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NOTIZIARIO DELL'ARCHIVIO OSVALDO PIACENTINI - CAIRE

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<strong>NOTIZIARIO</strong> DELL’ARCHIVIO <strong>OSVALDO</strong> <strong>PIACENTINI</strong><br />

via Reverberi, 2 - Reggio Emilia www.archiviopiacentini.it; info@archiviopiacentini.it<br />

tel. 0522/4410 Aprile 2008 - TOMO II<br />

Camicia: Camicia: Camicia: si si si dice dice dice con con con due due due emme emme emme e e e<br />

si si si si scrive scrive scrive scrive con con con con una. una. una. una.<br />

La La La La La capacit capacit capacità capacità capacit adattativa adattativa adattativa di di di un un un sistema sistema sistema è una una<br />

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calo calo calo di di di fiducia fiducia fiducia che che che si si si sta sta sta registrando registrando registrando ormai ormai ormai<br />

da da da tempo. tempo. tempo.<br />

EDITORIALE<br />

Ugo Baldini<br />

STUDI E RICERCHE<br />

Silvano Tintori, Roberto Fanfani, Paolo Silvestri<br />

POTERI FORTI, POTERI DEBOLI<br />

Paolo Pombeni, Giuseppe Gario, Enrico Ciciotti,<br />

Carlo Trigilia, Giovanni Teneggi, Paolo Corradini,<br />

Antonio Miglio<br />

• Le settimane sociali della Chiesa<br />

Giovanni Quaglia, Leopoldo Cassibba, Don Daniele<br />

Bortolussi, Luigi Bottazzi<br />

• Effi cienza e modernità della pubblica<br />

amministrazione<br />

Nicola Melideo, Giovanni Xilo, Domenico Tomatis,<br />

Arnaldo Toffali, Mauro Bonaretti<br />

• Questioni di genere: l’idea di modernità a confronto<br />

Francesca Traldi, Marzia Maccaferri<br />

DIRE, FARE, AMMINISTRARE<br />

• La questione Toscana<br />

Claudio Greppi, Mariella Zoppi, Renzo Moschini<br />

• La frontiera del Nord-Est<br />

Romeo Toffano, Paolo Gurisatti, Stafano Fracasso,<br />

Maurizio Scalabrin, Maurizio Carbognin<br />

• Il sud che ti aspetti<br />

Nicola Rossi, Concetta Irrera, Mario Serino,<br />

Vincenzo Linarello, Mauro Ponzi, Alessandra Valentinelli,<br />

Fabrizio Mangoni<br />

• Trasformazioni urbane<br />

Giovanni Crocioni, Francesco Evangelisti,<br />

Raffaele Radicioni, Giampaolo Bassetti, Patrizia Massocco,<br />

Gianni Gaggero, Maurizio Bartoli, Andrea Bocco<br />

• L’innovazione attesa<br />

Paolo Mogorovich, Alberto Silvani, Luigi Di Prinzio<br />

• La riforma del Trasporto Pubblico Locale<br />

Paola Villani, Alberto Santel, Valter Vanni, Mario Villa<br />

LAVORI D’ARCHIVIO<br />

Osvaldo Piacentini<br />

SULLA RIFORMA URBANISTICA<br />

Edoardo Salzano, Paolo Avarello, Michele Zanelli,<br />

Davide Rubbini, Stefano Bernardi, Otello Brighi,<br />

Piero Properzi, Franco Stringa<br />

L’AGENDA DEL SINDACO<br />

Luigi Spagnolli, Giordano Conti, Tiziano Gasperoni,<br />

Andrea Rossi, Francesco Balocco, Antonello Tabbò,<br />

Agostino Gay, Massimo Caleo<br />

ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’<br />

• Il Po e le sue Agende<br />

Giovanni Galizzi, Alberto Magnaghi, Giuseppe Gavioli,<br />

Mariella Borasio, Pier Luigi Dall’Aglio<br />

• Le risorse primarie e il consumo di suolo<br />

Antonio Saltini, Damiano Di Simine, Maria Cristina Treu,<br />

Enrico Bussi, Gabriele Bollini, Giuseppe Piacentini<br />

• Paesaggi e Parchi<br />

Mario Prusicki, Patrizia Chirico, Gioia Gibelli,<br />

Giancarlo Poli, Manuela Ricci, Dario Rei<br />

STORIE<br />

Ugo Baldini, Antonio Bonomi<br />

OBITUARY<br />

Gianfranco Pagliettini per Luciano Colla<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE


LAVORI D’ARCHIVIO 3<br />

• Esame della pianificazione urbanistica<br />

in Emilia Romagna (1983), Osvaldo Piacentini 53<br />

SULLA RIFORMA URBANISTICA 15<br />

• Sull’articolazione dei piani urbanistici<br />

in due componenti: come la volevamo, come è<br />

diventata, come sarebbe utile, Edoardo Salzano 17<br />

• Urbanistica che fare?, Paolo Avarello 27<br />

• Una riflessione sulla “qualità urbana” dopo dieci anni<br />

di attuazione della L.R.19/98, Michele Zanelli 31<br />

• Urbanistica e valorizzazione del patrimonio pubblico,<br />

Davide Rubbini 35<br />

• Sullo stato della pianificazione territoriale<br />

ed urbanistica della Regione Veneto, Stefano Bernardi 43<br />

• L’applicazione della L.R.20, Otello Brighi 47<br />

• Il piano dell’Armatura Urbana, Piero Properzi 51<br />

• Operativi e tempestivi: i problemi di un piano<br />

che vuole essere autorevole, intervista a Franco Stringa 57<br />

L’AGENDA DEL SINDACO 61<br />

• Bolzano, Luigi Spagnolli 63<br />

• Cesena, Giordano Conti 65<br />

• Gatteo, Tiziano Gasperoni 67<br />

• Casalgrande, Andrea Rossi 71<br />

• Fossano, Francesco Balocco 73<br />

• Albenga, Antonello Tabbò 75<br />

• Chieri, Agostino Gay 77<br />

• Sarzana, Massimo Caleo 79<br />

ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’ 81<br />

Il Po e le sue Agende 81<br />

• Scenari di evoluzione dell’agricoltura padana<br />

e gestione della risorsa idrica, Giovanni Galizzi 83<br />

• I contratti di Fiume:<br />

una lunga marcia verso nuove forme di pianificazione<br />

territoriale?, Alberto Magnaghi 89<br />

• Per un governo “federato” del Bacino Padano,<br />

Giuseppe Gavioli 99<br />

• Una Agenda, cento Agenzie.<br />

La valle dei Lamber, Mariella Borasio 115<br />

• Il paesaggio del Po<br />

o un paesaggio senza Po?, Pier Luigi Dall’Aglio 123<br />

sommario<br />

Le risorse primarie e il consumo di suolo 125<br />

• Dollaro, grano e petrolio, Antonio Saltini 127<br />

• Per uno statuto dei suoli, Damiano Di Simine 133<br />

• La città in estensione.<br />

Un perscorso di progetto, Maria Cristina Treu 137<br />

• Territorio, sicurezza alimentare<br />

e riforme attese, Enrico Bussi 143<br />

• Ma le biomasse sono davvero una fonte energetica<br />

rinnovabile? Gabriele Bollini 147<br />

• Monnezza e dintorni, Giuseppe Piacentini 151<br />

Paesaggi e Parchi 159<br />

• Il tema del degrado paesistico<br />

nell’aggiornamento del Piano del Paesaggio<br />

Lombardo, Mario Prusicki 161<br />

• La concezione del paesaggio nella nuova<br />

pianificazione regionale, Patrizia Chirico 165<br />

• Paesaggi e Paesaggio, Gioia Gibelli 175<br />

• Paesaggio? Che sapia mi,<br />

qua no ghe ne xe, Giancarlo Poli 181<br />

• La festa itinerante<br />

dei Centri Storici minori, Manuela Ricci 183<br />

• Paesaggio rurale, rete locale:<br />

alcune questioni, Dario Rei 185<br />

STORIE 189<br />

• Una è la Città Metropolitana, Ugo Baldini 191<br />

• Uno bambino nella cuna, Antonio Bonomi 193<br />

OBITUARY 197<br />

• Luciano Colla,<br />

un ricordo di Gianfranco Pagliettini 199<br />

NOTIZIE DALL’ ASSOCIAZIONE 201<br />

• Progetti in corso 203<br />

• Come aderire all’Associazione 206<br />

• Organi dell’Associazione 206<br />

• Assemblea 2007 206<br />

• Consultazione dei fondi documentari 206<br />

• Bilanci 206<br />

• Elenco associati e organi dell’Associazione 207<br />

INDICE DEI NUMERI PRECEDENTI 211<br />

GLI AUTORI DI QUESTO NUMERO 219


sommario


LAVORI DI ARCHIVIO<br />

• Esame della pianificazione urbanistica in Emilia Romagna (1983), di Osvaldo Piacentini<br />

lavori di archivio<br />

3


lavori di archivio<br />

4


Esame della pianifi cazione urbanistica in<br />

Emilia Romagna: il Piano Struttura<br />

Materiali per il Piano Territoriale della Regione Emilia Romagna (1983)<br />

Esame della pianifi cazione urbanistica in<br />

Emilia-Romagna<br />

L’opportunità di riprendere, a livello regionale,<br />

il dibattito sulla pianifi cazione urbanistica,<br />

dibattito certamente arricchito dalle esperienze<br />

degli anni più recenti soprattutto nel campo<br />

della conoscenza scientifi ca del territorio<br />

fi sico, è offerta oggi dalla analisi relativa alla<br />

destinazione urbanistica dei suoli espletata<br />

dall’Uffi cio cartografi co dell’Assessorato alla<br />

Programmazione, che consente di predisporre<br />

un mosaico degli strumenti urbanistici esteso a<br />

tutta la regione Emilia-Romagna 1 .<br />

La elaborazione consente di confrontare tra loro<br />

le diverse fi losofi e di programmazione, la struttura<br />

dei piani, le aree interessate dalle previsioni<br />

insediative sia residenziali che produttive, e di<br />

rendere facilmente leggibile l’estensione delle<br />

aree di rispetto (che per la verità sono predisposte<br />

negli strumenti urbanistici partendo da ottiche<br />

abbastanza difformi).<br />

Per struttura dei piani intendiamo qui intanto<br />

riferirci alle previsioni che attengono alle<br />

relazioni con la mobilità, di norma insistenti<br />

sulla rete viaria, la quale, come si è detto, spesso<br />

proviene da schemi territoriali di viabilità<br />

predisposti negli anni ’60.<br />

Fu quello un periodo nel quale, trovandoci di<br />

fronte ad una pianifi cazione urbanistica estesa<br />

contemporaneamente a quasi tutte le principali<br />

città emiliane, si tentò di programmare, o<br />

meglio di progettare, uno sviluppo organico<br />

della espansione urbana sul territorio regionale,<br />

legata ad uno schema di movimento appoggiato<br />

sulla rete viaria - ed in parte su quella ferroviaria<br />

ed autostradale - che aprisse le città verso il<br />

territorio e viceversa.<br />

L’inversione di tendenza dell’espansione a<br />

macchia d’olio e comunque della espansione<br />

lungo la fascia più fortemente urbanizzata incise<br />

sulla struttura insediativa di progetto in quasi<br />

tutti i casi analizzati.<br />

lavori di archivio<br />

di Osvaldo O Piacentini<br />

La rottura dello schema di accessibilità<br />

radiocentrico proprio dei piani precedenti agli<br />

anni ’60, con l’interruzione della urbanizzazione<br />

determinata dalle circonvallazioni (per la verità<br />

ancora presenti in molti strumenti urbanistici), la<br />

progettazione di cunei agricoli dalla periferia al<br />

centro spesso sostenuta da previsioni di parchi<br />

urbani, la elevata dotazione di aree destinate<br />

ai servizi urbani sia nel tessuto residenziale<br />

esistente che nelle previsioni di ampliamento,<br />

caratterizzano certamente in modo omogeneo<br />

quasi tutti gli strumenti urbanistici della<br />

regione.<br />

La distinzione, proposta negli anni ’60 tra vincoli<br />

atemporali (per esempio la fascia di rispetto<br />

della viabilità) e i vincoli temporali (determinati<br />

dalle previsioni di espansione rapportate prevalentemente<br />

all’aumento prevedibile di popolazione<br />

che in quegli anni si mostrava in forte<br />

crescita, la estensione, soprattutto per quanto riguarda<br />

le aree residenziali, dell’uso di strumenti<br />

legislativi che consentivano la acquisizione delle<br />

aree, dimostra quanto sia stata incidente nell’attuazione,<br />

la fi losofi a emiliana della pianifi cazione<br />

territoriale, almeno per quanto si riferisce agli<br />

strumenti urbanistici.<br />

Nè va sottaciuto (sempre riferito alle previsioni<br />

originarie), il tentativo di governare le “rendite”<br />

urbane e di localizzare in aree appositamente<br />

attrezzate la forte crescita di terziario che già si<br />

prevedeva caratterizzare le città principali fi no<br />

dagli anni ’60.<br />

La struttura viaria e la localizzazione dei servizi<br />

e delle attività terziarie era quasi sempre in<br />

funzione delle aree da servire che, nel caso<br />

delle città capoluogo, si estendevano di norma<br />

all’intera provincia. Tutto ciò derivava anche<br />

dagli studi intrapresi, già in questi anni, per la<br />

razionalizzazione dei trasporti pubblici urbani<br />

e, quando possibile, dai trasporti interurbani.<br />

5


lavori di archivio<br />

La struttura che ne nasceva, almeno per le città<br />

della Via Emilia, era rappresentata da una viabilità<br />

direzionale posta in senso nord-sud proveniente<br />

dalla collina-montagna, diretta ai comuni<br />

della pianura, la quale, una volta individuata,<br />

doveva raccogliere lungo il suo percorso urbano<br />

i servizi territoriali fondamentali ivi compreso il<br />

centro storico inteso come massimo erogatore di<br />

servizi territoriali.<br />

Uno dei recapiti fondamentali dell’asse urbano<br />

nord-sud era il casello autostradale esistente (e in<br />

alcuni casi previsto in variante) come generatore<br />

di traffi co in entrata e in uscita dalla città. Dove<br />

era possibile sul recapito dell’asse compariva<br />

anche la stazione ferroviaria.<br />

Quasi sempre i piani prevedevano anche un<br />

discutibile attraversamento est-ovest di svincolo al<br />

traffi co di attraversamento, allora molto intenso,<br />

rappresentato dalla Via Emilia.<br />

La maglia viaria che così veniva a confi gurarsi<br />

determinava una scelta per la mobilità su mezzo<br />

privato, rispetto al quale le città si sono poi di<br />

fatto andate espandendo.<br />

Tentativi di razionalizzazione della viabilità<br />

capillare urbana esistente (ad esempio, prevista<br />

nel piano di Modena) non sono mai stati posti<br />

in attuazione ad eccezione degli indifferibili<br />

provvedimenti di polizia del traffi co (sensi unici,<br />

parcheggi, ecc.) relativi ai centri storici.<br />

Nonostante che fosse di quegli anni la proposta<br />

di porre vincoli di protezione alle ferrovie<br />

esistenti (quando in generale si tendeva a considerare<br />

“rami secchi” quasi tutte le ferrovie<br />

secondarie e se ne preconizzava l’eliminazione)<br />

questo non comportò allora studi approfonditi<br />

(solo in qualche strumento urbanistico) sulla razionalizzazione<br />

degli scali ferroviari per merci,<br />

stazioni per le persone e sulla loro valorizzazione<br />

come recapiti della struttura viaria urbana<br />

fondamentale, o almeno, del trasporto pubblico<br />

urbano ed extraurbano.<br />

Alcuni piani (Modena, Reggio, Parma) prevedevano<br />

raccordi dei rami delle ferrovie secondarie<br />

by-passanti la struttura ferroviaria fondamentale<br />

Milano-Bologna-Ancona, ma nessuna attuazione<br />

è mai stata data a queste previsioni.<br />

In conclusione possiamo ritenere che la struttura<br />

di piano che costituisce ancora in generale la<br />

6<br />

base generatrice degli strumenti urbanistici<br />

degli anni ’60 tenne conto di un disegno<br />

territoriale ampio, esteso almeno alle intere<br />

province, ma prevalentemente viario, sul quale<br />

la maggior parte dei piani ancora oggi vigenti si<br />

strutturano.<br />

E’ signifi cativo a questo riguardo rilevare come<br />

spesso si è perduta nelle stesure di varianti<br />

successive la fi losofi a generale dei piani originari<br />

fi no a far cadere in qualche caso precisazioni<br />

viarie e/ rispetti stradali di largo respiro previsti<br />

per la attuazione della maglia infrastrutturale,<br />

perché nel tempo si era persa memoria delle<br />

ragioni per le quali tali rispetti erano stati<br />

previsti.<br />

La politica urbanistica successiva, vorremmo<br />

dire, si è limitata a modifi care alcune destinazioni<br />

di uso dei piani vigenti (spesso diminuendo la<br />

quota destinata ai servizi a favore della quota<br />

destinata alla edifi cazione privata) in una<br />

gestione “partecipata” dove spesso prendono<br />

forma decisioni di varianti che determinano<br />

scelte non congruenti col disegno generale<br />

di piano e le fi nalità che il piano si poneva.E’<br />

signifi cativo a questo proposito la resistenza da<br />

parte dei consigli di quartiere per la attuazione<br />

di alcune previsioni di piano come ad esempio<br />

il tronco tangente all’autodromo dell’asse<br />

attrezzato di Modena e la tangenziale nord-sud<br />

di Villa Ospizio a Reggio Emilia.<br />

La mancata presenza nel dibattito politico di una<br />

chiara visione globale degli interventi possibili,<br />

inquadrata in una pianifi cazione di largo respiro<br />

contribuì a mettere in gioco preziose aree<br />

rimaste libere in prossimità delle zone storiche<br />

o addirittura all’interno dei centri storici.Va<br />

anche ricordato che la politica urbanistica<br />

emiliana subì una serie di contestazioni anche a<br />

livello culturale. Battaglie perdute noi riteniamo<br />

siano state quelle della non realizzazione delle<br />

previsioni direzionali che potevano alleggerire<br />

le previsioni insediative di terziario nei centri<br />

storici. Fino al punto di giungere, in qualche<br />

caso anche sulla scia della contestazione della<br />

pratica dello zoning ad abbandonare previsioni<br />

di piano a favore di varianti prese caso per caso<br />

agendo a volte anche dal Consiglio di Quartiere<br />

Una interpretazione “nominale” degli standards<br />

ha talora comportato anche una erosione delle


aree destinate a servizi, individuate sull’onda<br />

della forte battaglia politica negli anni ’60, con<br />

una serie di varianti che tendevano a svincolare<br />

aree ancora libere con conseguente variazione di<br />

destinazioni d’uso.<br />

Il mancato studio - approfondito - delle concrete<br />

possibilità di espandere la città secondo un<br />

corretto programma di servizi pubblici per la<br />

mobilità ha permesso una proliferazione delle<br />

attività artigianali e industriali distribuite sul<br />

territorio, tali da non consentire più la possibilità<br />

di servirlo con una adeguata struttura di trasporti<br />

pubblici.<br />

I dati più recenti relativi all’incremento della<br />

occupazione dei suoli, dimostrano come a<br />

popolazione in diminuzione corrisponda<br />

ugualmente una occupazione crescente di suoli,<br />

in parte, è vero, destinata a servizi terziari,<br />

ma in parte ancora destinati alla espansione<br />

indifferenziata dell’insediamento.<br />

Inoltre la destinazione di molte aree agricole<br />

a riserva per la costituzione di parchi pubblici<br />

- soprattutto in prossimità della città - non è<br />

stata rianalizzata con suffi ciente attenzione nel<br />

tempo con un approfondimento dello studio in<br />

linea con quanto avviene in molti Paesi europei<br />

attorno alla fruizione della campagna come<br />

parco, accentuando così sempre più la politica di<br />

proporre vincoli “estetici” piuttosto che vincoli<br />

fi nalizzati ad una maggiore qualità agricola e<br />

naturale (e fruibilità).<br />

Infi ne le varianti endemiche ai piani, almeno<br />

fi no ai provvedimenti recenti contenuti nella<br />

seconda Legge Urbanistica Regionale, ha<br />

fatto sì che la variante (quasi sempre legata<br />

generata “a richiesta” dell’iniziativa privata)<br />

ha di fatto consentito nel tempo di modifi care<br />

radicalmentel’impianto del piano o comunque<br />

di attuarlo al di fuori e al di là di disegni<br />

preordinati.<br />

Possiamo constatare amaramente che l’iniziativa<br />

pubblica dopo la battaglia politica posta in essere<br />

negli anni ’60, oggi, attraverso la cosiddetta<br />

politica del consenso, tende a seguire la domanda<br />

privata piuttosto che prevenirla o governarla.<br />

Fino al punto di fornire anche suoli a basso<br />

costo a istituti per la costruzione di case non più<br />

popolari senza controllare invece, se non raramente,<br />

la possibilità di immettere sul mercato<br />

lavori di archivio<br />

le notevoli quote di alloggi in affi tto necessarie<br />

piuttosto che di alloggi da immettere sul mercato<br />

edilizio toutcourt.<br />

Una diversa impostazione della pianifi cazione<br />

urbanistica degli anni ’80<br />

Ci siamo soffermati sull’esame delle condizioni<br />

dell’urbanistica emiliana degli anni ’60 anche<br />

perchè essa fu di fatto la generatrice della legge<br />

urbanistica regionale, infl uente non solo in<br />

Emilia.<br />

Spesso si spaccia e si tende a liquidare la politica<br />

urbanistica degli anni ’60 sulla base del modo<br />

del tutto transitorio di elaborare, presentare ed<br />

adottare i piani di quell’epoca, piani che furono,<br />

viziati da provvedimenti legislativi ambigui e<br />

pericolosi che costrinsero a discostarsi sensibilmente<br />

da quanto richiesto dalla legge urbanistica<br />

allora vigente.<br />

L’esperienza innovativa del P.E.E.P. aveva<br />

fi nalmente consentito ai comuni di predisporre<br />

piani particolareggiati di attuazione del P.R.G.<br />

relativamente alle aree residenziali previste negli<br />

strumenti urbanistici vigenti, semplifi cando le<br />

procedure previste per gli strumenti attuativi<br />

nella legge urbanistica vigente.<br />

Si diede quindi l’avvio in quel periodo a modi di<br />

attuazione degli strumenti urbanistici attraverso<br />

gli strumenti intermedi (piani particolareggiati)<br />

- prescritti dalla legge urbanistica e mai posti in<br />

essere per la complessità delle procedure prescritte<br />

per quei casi.<br />

Purtroppo, proprio in questi anni la<br />

giurisprudenza metteva in discussione la<br />

possibilità per un comune di negare la licenza<br />

di costruzione ad un edifi cio previsto in una<br />

zona di espansione urbana priva di piano<br />

particolareggiato o di lottizzazione.<br />

Fino a quel momento invece la interpretazione<br />

adottata per oltre venti anni della legge<br />

urbanistica del 1942, anche se quasi mai<br />

completamente attuata, aveva introdotto<br />

fra la pianifi cazione generale comunale e il<br />

progetto edilizio un grado di pianifi cazione<br />

“particolareggiato” intermedio, di iniziativa<br />

pubblica, o indifferentemente privata.<br />

Anzi, le più moderne esperienze urbanistiche<br />

7


lavori di archivio<br />

tendevano già allora, grazie all’esistenza<br />

del grado intermedio di pianifi cazione<br />

particolareggiata, a rendere il piano generale<br />

sempre più vicino ad un piano di indirizzo,<br />

aperto ed elastico, e sempre più lontano da un<br />

piano di dettaglio, evidentemente più rigido<br />

nello spazio e nel tempo.<br />

Si tendeva infatti all’obiettivo di prescrivere con<br />

il P.R.G. per una zona di espansione, soltanto<br />

l’indice territoriale (cioè la quantità di volumi<br />

edifi cabili) e gli standards urbanistici (cioè la<br />

quantità di suolo riservato per ogni abitante alle<br />

diverse attrezzature scolastiche, ricreative, sportive,<br />

assistenziali, religiose, commerciali, ecc.);<br />

lasciando ai successivi piani particolareggiati,<br />

d’iniziativa pubblica o privata, il compito di<br />

specifi care la zonizzazione dettagliata e naturalmente<br />

di assumersi conseguentemente gli oneri<br />

di urbanizzazione.<br />

Non è questa la sede per polemizzare con la<br />

validità di quella recente - e non certo innovatrice<br />

- interpretazione giuridico-urbanistica.<br />

In attesa che la nuova legge (si stava elaborando<br />

infatti la legge ponte) risolvesse radicalmente<br />

la controversia, era però necessario far fronte<br />

con la normativa adeguata ai problemi che<br />

insorgevano da questa interpretazione, in base<br />

alla quale si sono di norma precisate nei piani<br />

di quegli anni la modalità di attuazione per ogni<br />

zona del piano.<br />

Si sceglieva quindi, nonostante dichiarazioni<br />

di principio, la strada di produrre urbanistica<br />

tecnica, anziché pianifi cazione continua 2 .<br />

Le carenze della legge urbanistica del 1942,<br />

aggravate dalla sentenza del Consiglio di Stato<br />

condussero quindi, in questi anni a prevedere e<br />

localizzare tutti i servizi necessari a dettagliare<br />

la rete viaria, così da organizzare in anticipo la<br />

presentazione di singoli progetti edilizi nelle<br />

aree destinate all’edifi cazione, appesantendo<br />

i piani sotto l’aspetto morfologico, (il disegno<br />

urbano) da cui emergeva, particolarmente chiara,<br />

la cronica impotenza realizzativa del P.R.G.<br />

secondo le disposizioni vigenti fi no al 1963. A<br />

quel periodo per la impossibilità di disegnare<br />

zone nuove di città senza poter prevedere la<br />

domanda insediativa né la richiesta di mercato<br />

da un lato e la temporalizzazione degli interventi<br />

dall’altro, lo strumento diveniva esclusivamente<br />

8<br />

vincolistico e non uno strumento attuativo:<br />

la zonizzazione dl piano poteva imporre le<br />

destinazioni dei suoli, l’uso pubblico o privato,<br />

gli indici di cubatura e gli indici metrici, ma non<br />

poteva scegliere con un programma vincolativo<br />

le zone di prima attuazione e quelle da rinviare<br />

nel tempo 3 .<br />

Non è a caso infatti che la legislazione di quel<br />

periodo non consentiva alla comunità di imporre<br />

alla proprietà dei suoli le spese per le urbanizzazioni<br />

destinate appunto a determinarne il valore<br />

di mercato: perché anche se un comune voleva<br />

indirizzare i suoi investimenti per i servizi<br />

pubblici in una zona del piano e non in un’altra,<br />

non avrebbe potuto impedire, alla zona priva di<br />

servizi, di riempirsi ugualmente di costruzioni,<br />

come non avrebbe potuto obbligare la proprietà<br />

fondiaria a realizzare i servizi a proprie spese.<br />

Di fronte a questa situazione gli urbanisti che<br />

dall’esperienza del P.E.E.P. avevano per la prima<br />

volta dovuto imparare a valutare la quantità di<br />

aree necessarie per dotare le aree edifi cate di<br />

servizi e di un sistema di mobilità adeguato oltre<br />

ad avere dovuto affrontare concretamente sul<br />

campo il problema del disegno urbano iniziarono<br />

a precisare, all’interno delle aree suscettive di<br />

successiva pianifi cazione particolareggiata, gli<br />

elementi propri al disegno urbano, costruendo<br />

piani eccessivamente defi niti e quindi<br />

estremamente vincolanti.<br />

La gestione di questi strumenti fu abbastanza<br />

agevole laddove i comuni con i provvedimenti di<br />

attuazione settoriali (P.E.E.P., P.I.P., ecc., e piano<br />

per la viabilità) realizzarono le previsioni attenendosi<br />

al disegno di piano; viceversa divennero<br />

strumenti eccessivamente complessi quando<br />

i ripensamenti e la volontà politica di governare<br />

l’espansione urbana, la profonda modifi cazione<br />

dei fabbisogni unita alle nuove pressioni insorgenti<br />

dalle proprietà riavutesi dall’improvviso<br />

ed imprevedibile provvedimento di esproprio<br />

posto in essere col P.E.E.P., tendevano a rendere<br />

sempre più ingovernabile il piano “disegnato”.<br />

Tutto questo ha aperto la stagione delle varianti<br />

endemiche ai piani: in fondo più per adeguarli<br />

alle richieste delle corporazioni, dei privati e<br />

dei consigli di quartiere, che per migliorare<br />

la qualità del disegno urbano, della armatura<br />

urbana, della città pubblica


In questo clima, brevemente descritto, sono maturate<br />

le legislazioni urbanistiche regionali, le<br />

quali, a nostro avviso, presentano oltre ai difetti<br />

dell’epoca nella quale sono state redatte 4 , anche<br />

una cattiva interpretazione delle possibilità che<br />

erano aperte dalla Legge Quadro Statale da cui<br />

quelle regionali dovevano trarre la matrice.<br />

Le Leggi Urbanistiche Regionali infatti istituzionalizzavano<br />

il “modo” di elaborare i piani in una<br />

sola fase, per forza di cose estremamente dettagliata,<br />

senza preoccuparsi di risolvere a monte<br />

il problema con l’attuazione dello strumento urbanistico<br />

per progetti attuativi (P.P ex lege 1942)<br />

e temporalizzati (ex lege 10/1981), modifi cando<br />

e semplifi cando al massimo tali strumenti e rendendoli<br />

simili come procedure al P.E.E.P., eliminando<br />

invece le complesse procedure prescritte<br />

per i piani particolareggiati della legge 1942.<br />

Nel contempo le legislazioni regionali a nostro<br />

parere risultarono in defi nitiva perfi no più arretrate<br />

della legge quadro istitutiva (L.U. 1942)<br />

accettando ad esempio la prassi della ricezione<br />

ed esame delle osservazioni ai piani presentate<br />

dai privati, osservazioni ed opposizioni le quali,<br />

nella legge 1942, si riferivano ai soli strumenti<br />

attuativi (P.P.).<br />

Le leggi regionali si infarcivano di prescrizioni<br />

regolamentari non obbligatoriamente da inserirsi<br />

nel testo di legge, entravano nel merito della<br />

quantifi cazione ancora vista nell’ottica di un<br />

fabbisogno continuamente crescente di aree edifi<br />

cabili, mentre non si preoccupavano granché<br />

del tessuto urbano esistente e dei modi e degli<br />

strumenti per il suo recupero.<br />

Il disegno di piano richiesto dalla legge unito a<br />

questa normativa complessa e soffocante di fatto,<br />

apriva ad esperimenti di gestione quanto mai<br />

discutibili, quando non pericolosi perché aperti<br />

a decisioni arbitrarie, a poteri discrezionali<br />

estremamente estesi, a politiche di attuazione<br />

non previamente concordate a livello decisionale<br />

e successivamente rese pubbliche prima di<br />

concedere licenze e/o concessioni.<br />

Alla luce delle brevi considerazioni precedenti,<br />

il processo di pianifi cazione comunale, in presenza<br />

di piano comprensoriale o provinciale,<br />

comporta l’esigenza (ormai matura nell’ambito<br />

stesso della rifl essione disciplinare sui contenuti<br />

e gli strumenti della pianifi cazione urbanistica)<br />

lavori di archivio<br />

che anche i nuovi P.R.G. Comunali (ed i Piani<br />

Intercomunali) assumano il caratteri di “quadro<br />

di determinazioni strutturali”, le cui previsioni<br />

di dettaglio si perfezionano in un processo<br />

continuo di pianifi cazione, anche attraverso la<br />

ricerca di un più stretto rapporto dialettico fra<br />

urbanistica e architettura, fra piano e progetto.<br />

Ciò consente anche di superare la contraddizione<br />

sempre più evidente nella situazione attuale,<br />

che, inducendo a ricercare nel processo stesso di<br />

formazione del piano specifi cazioni di dettaglio<br />

con caratteri tendenzialmente defi nitivi, comportano<br />

inevitabilmente un faticoso lavoro di<br />

aggiustamenti progressivi e di varianti, soggetti<br />

al medesimo iter procedurale dell’atto costitutivo.<br />

E’ del tutto evidente che gli orientamenti qui<br />

richiamati comportano anche una profonda revisione<br />

dell’attuale legislazione urbanistica regionale.<br />

Tuttavia, vi è ragione di ritenere che essa possa<br />

trovare opportunamente luogo nel corso stesso<br />

della nuova fase di pianifi cazione aperta dalla<br />

formazione di piani regionali e provinciali.<br />

Si pone attenzione a segnalare la necessità di<br />

un sostanziale ripensamento in ordine alla strumentazione,<br />

secondo la seguente casistica:<br />

• piano strutturale (in luogo del P.R.G. come<br />

oggi inteso in applicazione delle leggi regionali<br />

vigenti 5 ; esso:<br />

•• ha vigenza a tempo indeterminato e puntualizza<br />

i contenuti progettuali con valenza<br />

atemporale<br />

•• è soggetto a controllo da parte dell’autorità<br />

sub-regionale 6<br />

•• i suoi contenuti sono la maglia infrastrutturale<br />

principale, la defi nizione delle problematiche<br />

di area da sottoporre a progetti<br />

di esecuzione e a interventi coordinati<br />

dalla pianifi cazione di breve periodo, le<br />

aree di conveniente localizzazione 7 , le<br />

aree pubbliche necessarie per l’attuazione<br />

del Piano dei servizi, le aree strategiche<br />

della matrice fi sico-ambientale<br />

•• può essere imposta dalla autorità<br />

sovraordinata la sua estensione a più<br />

comuni; in tal caso si dovranno progettare<br />

9


lavori di archivio<br />

10<br />

le soluzioni più appropriate per le<br />

procedure di formazione e approvazione<br />

non risultando soddisfacenti quelle<br />

troppo rigide ed onerose defi nite per<br />

i P.R.G. intercomunali dalla legge<br />

1150/1942.<br />

•• le osservazioni ed eventuali opposizioni<br />

dei privati sono defi nite esclusivamente<br />

in sede di programmi attuativi.<br />

• Piani operativi 8 di specifi cazione e<br />

attivazione del piano-struttura, da redigersi<br />

non solo per area, ma anche per parti<br />

omogenee del tessuto urbano (riordino dei<br />

tessuti edifi cati, piano delle espansioni,<br />

ecc.) ovvero per porzioni di territorio con<br />

integrazione funzionale (es.: piano della<br />

porzione nord-est della città, che contiene<br />

periferia, zona residenziale, direzionali,<br />

aree industriali, progetti di infrastrutture,<br />

ecc.), o per funzioni (piano di riassetto delle<br />

infrastrutture di mobilità, delle attrezzature<br />

pubbliche, delle attività terziarie, delle<br />

attività industriali, ecc.)<br />

• Programmi attuativi 9 estesi ad un periodo<br />

congruente con gli atti di programmazione<br />

della spesa pubblica, aventi il fondamentale<br />

compito di coordinare investimenti<br />

pubblici e privati in vista della effi cienza<br />

della spesa complessiva attivabile rispetto<br />

al sistema insediativo. Esso interviene<br />

come strumento attuativo principalmente<br />

rivolto alla implementazione dei contenuti<br />

operativi riferiti alle aree di conveniente<br />

localizzazione; in ciò terrà conto anche di<br />

una ricognizione delle risorse attivabili<br />

presso di operatori di settore.<br />

Attraverso la articolazione e la concorrenza tra<br />

Piano Strutturale, Piani Operativi e Programmi<br />

Attuativi, si porrà in essere un processo di<br />

adattamento della pianifi cazione urbanistica alle<br />

risorse e alle necessità evolventesi nel tempo,<br />

senza peraltro distorcere i contenuti della<br />

maglia di riferimento che defi nisce la struttura<br />

delle relazioni territoriali e delle relazioni tra<br />

parti urbane.<br />

Il Piano Strutturale potrà essere sottoposto a<br />

variante, o per conseguenza della evoluzione<br />

dello scenario territoriale sovracomunale, o<br />

quando i contenuti dei piani operativi assumono<br />

un signifi cato tale da giustifi care una modifi ca<br />

dello scenario territoriale di riferimento.<br />

Criteri per la formazione del piano-struttura<br />

I problemi che si aprono in questo momento alla<br />

pianifi cazione locale si fondano soprattutto sulla<br />

necessità di reindividuare uno schema generale<br />

di “movimento” che consenta alla pianifi cazione<br />

locale stessa l’assunzione operativa del modello<br />

di area metropolitana policentrica individuato<br />

come obiettivo della pianifi cazione provinciale.<br />

Alcuni degli elementi di “evoluzione” della più<br />

recente esperienza di pianifi cazione urbanistica<br />

hanno comportato l’abbandono della ricerca di<br />

una “forma della città” verso la quale indirizzare<br />

il processo di crescita urbana. E, tuttavia, mai<br />

come oggi, a nostro parere, è necessario riportare<br />

l’attenzione sulla coerenza della forma della<br />

città per riprendere l’iniziativa sul terreno del<br />

controllo della domanda insediativa.<br />

Ma occorre intendersi: la “forma della città” non<br />

si riduce al disegno formale più o meno bello<br />

(anche se negli ultimi anni è risultata scadente<br />

persino l’attenzione per la qualità formale<br />

della progettazione urbanistica); piuttosto è<br />

l’effi cienza della città, pensata in funzione della<br />

sua fruizione “ottimale”, a richiedere attenzione<br />

alla morfologia urbana. Di questa nuova<br />

attenzione alla struttura e alla morfologia urbana<br />

possiamo delineare presupposto e strumento<br />

fondamentale nella intersezione tra “Piano<br />

Strutturale”, “Piani Operativi” e “Programmi<br />

Attuativi” come prima defi niti.<br />

E’ necessario confi gurare una chiara distinzione<br />

tra previsioni aventi valore atemporale e<br />

previsioni temporalizzate.<br />

Le prime sono contenute in un Piano Strutturale<br />

(master-plan), con valore strategico vincolante,<br />

che defi nisce la struttura delle relazioni<br />

e delle connessioni funzionali tra le parti<br />

dell’insediamento urbano e tra questo e il<br />

sistema territoriale; 10 esso costituisce la griglia<br />

invariante all’interno della quale procedere alle<br />

specifi cazioni operative dipendenti anche dalle<br />

situazioni congiunturali che si presenteranno<br />

nel tempo. I contenuti del Piano Strutturale<br />

dovranno essere:


• la defi nizione delle reti di movimento ed in<br />

particolare della rete di supporto ferroviario<br />

e stradale, fi nalizzate anche al rafforzamento<br />

di una mobilità più orientata al trasporto<br />

collettivo; la defi nizione dei principali<br />

collettori di rilievo urbano e la individuazione<br />

di una adeguata dotazione di aree a servizio<br />

degli interscambi tra diverse reti e vettori<br />

di trasporto. Per quanto riguarda la rete<br />

infraurbana di mobilità pedonale e ciclabile<br />

defi nirà i criteri per la loro individuazione in<br />

sede di piani operativi.<br />

• La defi nizione di aree di conveniente localizzazione,<br />

da farsi sulla base dei seguenti elementi:<br />

•• una mappa delle vocazioni urbane dei<br />

suoli, costituita sulla base delle analisi<br />

del territorio fi sico 11 , che evidenzi i diversi<br />

gradi di “impedenza” o di rischio ai fi ni<br />

della urbanizzazione e le aree strategiche,<br />

per suscettività o grado di infrastrutturazione,<br />

del sistema agro-forestale;<br />

•• l’esame delle infrastrutture di mobilità e<br />

dei loro più convenienti ambiti di “estensione”;<br />

l’esame dovrà essere fi nalizzato<br />

prioritariamente ad un progetto di accessibilità<br />

basato sul trasporto pubblico;<br />

•• l’esame della rete energetica e scolante<br />

e la defi nizione di criteri e modalità di<br />

un suo ampliamento, con la creazione,<br />

a partire dalle sue nuove parti, di un<br />

sistema integrato di reti infrastrutturali<br />

(energia, telecomunicazioni, defl ussi,<br />

ecc.);<br />

•• l’esame dell’insediamento urbano esistente<br />

e il suo progetto di razionalizzazione<br />

e qualifi cazione urbanistica, tenuto<br />

conto del grado di sostituibilità dei tessuti;<br />

ciò implica anche un approfondito esame<br />

delle aree attualmente non occupate<br />

da mantenersi quale riserva di lungo periodo<br />

a servizio di modalità insediative<br />

ora non prevedibili (sulla base di queste<br />

sistematiche ricerche avrà senso riaprire<br />

la discussione sugli standards urbanistici);<br />

•• l’esame del grado di assorbimento di<br />

utenza incrementale da parte del sistema<br />

dei servizi sociali di base esistenti.<br />

lavori di archivio<br />

• La localizzazione delle fondamentali infrastrutture<br />

prevalentemente a scala regionale<br />

o territoriale di servizio alla popolazione ed<br />

all’apparato produttivo.<br />

• La defi nizione della struttura del verde e più<br />

in generale degli spazi non edifi cati, il progetto<br />

della sua continuità e coerenza con la rete<br />

pedonale e ciclabile di mobilità; la introduzione<br />

della nozione di campagna-parco anche in<br />

sostituzione di grandi parchi territoriali, che<br />

talvolta potrebbero - investendo aree maggiormente<br />

distanziate dall’urbano - intervenire<br />

su aree scarsamente vocate all’uso agricolo<br />

o comunque bisognevoli di grandi opere<br />

di recupero idrogeologico consentendone la<br />

bonifi ca; con questo non si vuol certo sostenere<br />

che la città debba espandersi in forma<br />

compatta: al contrario la penetrazione di cunei<br />

di verde agricolo può anch’essa costituire<br />

un fattore determinante per la qualifi cazione<br />

dell’habitat.<br />

• La defi nizione dei criteri per la regolamentazione<br />

operativa del tessuto già urbanizzato<br />

(storico e non), per il quale è prioritario il fi ne<br />

di distinguere e specializzare le reti di movimento,<br />

creare adeguati spazi per il parcheggio<br />

e per il tempo libero, condizionare nuove<br />

destinazioni terziarie ad adeguati livelli di<br />

accessibilità e di sosta. Tali criteri riguarderanno.<br />

•• la defi nizione di progetti di fattibilità per<br />

i nodi strategici del tessuto urbano da attivare<br />

anche in connessione con la formazione<br />

di piani operativi;<br />

•• l’integrazione dei parametri quantitativi<br />

di controllo volumetrico con indirizzi per<br />

la progettazione urbanistica di dettaglio;<br />

per la periferia insediata ad esempio, si<br />

dovranno connettere le possibilità di intervento<br />

sui volumi esistenti e la variazione<br />

di destinazione d’uso alla riprogettazione<br />

degli spazi a terra;<br />

•• gli indirizzi del “piano dei servizi” come<br />

strumento tendente a superare ogni defi<br />

nizione puramente quantitativa degli<br />

standards, attraverso lo sviluppo di valutazioni<br />

sulle caratteristiche qualitative,<br />

localizzative e funzionali del sistema delle<br />

attrezzature pubbliche;<br />

11


lavori di archivio<br />

12<br />

•• la defi nizione delle politiche quantitative e<br />

qualitative del riuso e recupero dei tessuti<br />

esistenti; da esse dipenderà la consistenza<br />

delle quote di nuova urbanizzazione.<br />

Il Piano Strutturale utilizzerà come elemento di<br />

espressione delle sue previsioni oltre agli elementi<br />

di maglia infrastrutturale e di zonizzazione<br />

(intesa come defi nizione degli ambiti di conveniente<br />

localizzazione delle diverse funzioni<br />

urbane), criteri da osservarsi per la formazione<br />

dei piani operativi, priorità e politiche da perseguire<br />

in sede di programmi attuativi.<br />

Il Piano Strutturale deve insistere su ambiti signifi<br />

cativi della struttura territoriale. Ambiti<br />

ottimali per la pianifi cazione locale dovranno<br />

essere defi niti come contenuto dei piani sub-regionali<br />

e proposti alla Regione, per la formalizzazione<br />

della obbligatorietà a procedere con atti<br />

urbanistici intercomunali o per il loro coordinamento<br />

in vista della risoluzione di politiche di<br />

settore; ambiti che si candidano per la evidenza<br />

della interrelazione tra le singole componenti,<br />

sono quelli a cui si estendono gestioni integrate<br />

dei servizi (vedi U.S.L.).<br />

I progetti operativi del piano strutturale (che si<br />

confi gurano come previsto dalla L. 1150/1942<br />

come Piani Particolareggiati di Attuazione e che<br />

all’interno dello schema previsto per la Legge<br />

Regionale Emiliana sono interamente demandati<br />

alla competenza dell’autorità comunale) si<br />

confi gurano come momento di specifi cazione e<br />

sviluppo delle prescrizioni e indicazioni del piano<br />

strutturale.<br />

Questo processo dapprima di defi nizione di elementi<br />

strutturali e successivamente di loro sviluppo<br />

operativo, si contrappone ad una pratica<br />

di determinazioni puntuali e minuziose in sede<br />

di Piano Generale, continuamente controdedotto,<br />

e non per questo migliorato, attraverso varianti<br />

successive che non si fanno mai carico di<br />

riferirsi ad ambiti coerenti con i problemi che<br />

affrontano.<br />

La conferenza dei servizi nella processualita’<br />

del piano e per la semplifi cazione delle procedure<br />

gestionali 12<br />

Sul piano delle procedure la necessità di introdurre<br />

una effi cace distinzione tra gli elementi<br />

strutturali del piano, i suoi elementi esecutivi<br />

ed i processi di gestione e programmazione della<br />

sua attuazione potrà comportare l’esigenza<br />

di revisioni anche signifi cative delle previsioni<br />

consolidatesi:<br />

• per la introduzione di eventuali differenziazioni<br />

nei modi di implementazione del piano-struttura<br />

tra comuni di diverse caratteristiche,<br />

che possono riguardare:<br />

•• modi e contenuti di pianifi cazione esecutiva<br />

(esclusione degli strumenti urbanistici<br />

attuativi in determinati casi);<br />

•• modi e contenuti della programmazione<br />

attuativa;<br />

• per una generale revisione delle procedure<br />

per la approvazione dei piani che possono<br />

riguardare:<br />

•• la introduzione di “conferenze dei servizi”<br />

nell’ambito di sessioni straordinarie<br />

di consigli 13, regionale (per i piani subregionali)<br />

provinciali (per i piani intercomunali),<br />

comunali (per i comuni non tenuti<br />

a formare il P.R.G. intercomunale);<br />

•• la “conferenza dei servizi” sostituisce la<br />

consultazione degli organismi di decentramento<br />

amministrativo;<br />

•• le osservazioni pubbliche di partiti, sindacati,<br />

enti ed associazioni sono espresse<br />

in sede di “conferenza dei servizi”;<br />

•• le osservazioni dei privati sono allegate<br />

agli atti di conferenza dei servizi;<br />

• per la ridefi nizione della politica regolamentare,<br />

stralciando dalla normativa (e dalla<br />

legislazione urbanistica) le parti proprie di<br />

regolamento edilizio e/o di igiene, individuando<br />

procedure più snelle per l’aggiornamento<br />

e la revisione delle norme regolamentari<br />

(ad esempio trasferimento alle norme<br />

regolamentari di larga parte della disciplina<br />

degli interventi dei centri storici).


lavori di archivio<br />

1 Le prime elaborazioni di assemblaggio espletate si riferiscono alla costa romagnola (progetto Adriatico) ed alla zona centrale<br />

(progetto Via Emilia) aree per le quali è disponibile la rappresentazione grafi ca della destinazione dei suoli attualmente<br />

consultabile in una copia a colori nel rapporto 1:25.000.<br />

Gli strumenti urbanistici analizzati si riferiscono quindi a quelli giacenti presso l’Uffi cio regionale competente elaborati entro<br />

il giugno 1979. Si tratta di materiale suffi cientemente recente il quale per altro ha subito certamente variazioni dalla data citata<br />

ad oggi.<br />

Abbiamo ritenuto quindi di poter procedere ad un esame comparato dei piani senza incorrere in sensibili errori per la fi nalità<br />

che ci siamo posti di rilevare, trattandosi di rappresentazioni nel rapporto 1:25.000, le variazioni avvenute nella pianifi cazione<br />

urbanistica dal primo impianto (quasi sempre attorno agli anni ’60).<br />

Si tratta infatti di variazioni per lo più modeste (per quanto attiene l’espansione urbana) e soprattutto di variazioni che<br />

insistono a meno di poche eccezioni, su aree interessate alla espansione urbana nei piani redatti nei decenni precedenti.<br />

Può sembrare strana la tranquillità con la quale ci si riferisce ad un così lungo periodo di tempo a chi non ha conosciuto la<br />

stagione della pianifi cazione urbanistica emiliana dal 1960 al 1980 dove le scelte di fondo della politica di programmazione<br />

territoriale furono orientate sui seguenti presupposti che elenchiamo in modo sintetico.<br />

1) piani di minima che comportavano la riduzione drastica delle previsioni di espansione urbana precedenti al 1960;<br />

2) uso massiccio degli strumenti di attuazione e della politica degli espropri, sia per le aree residenziali che per le aree<br />

produttive;<br />

3) massimizzazione delle aree da destinarsi a servizi;<br />

4) schemi strutturali di piano che contestando le tendenze all’espansione a macchia d’olio aprissero al massimo la struttura<br />

viari quasi sempre radiale, verso il territorio appoggiandosi alle previsioni fornite dal livello regionale (piano della<br />

viabilità predisposto dalla Unione delle province emiliana, inquadramento territoriale derivante dai piani di Modena,<br />

Reggio, Parma e dal Comprensorio di Bologna.<br />

Fanno eccezione a questa regola i piani dei comuni più piccoli prevalentemente collocati nelle aree montane per i quali la<br />

prima elaborazione dei piani spesso non è stata assoggettata alla consuetudine dei piani di minima già negli anni ’60-’70.<br />

Riteniamo invece che, come già detto, per quanto si riferisce ai centri con popolazione superiore ai 4-5.000 abitanti la lettura<br />

dell’assemblaggio dei piani corrisponde, ai fi ni di una lettura regionale, abbastanza bene alla situazione concreta.<br />

2 Dall’urbanistica tecnica alla pianifi cazione continua<br />

Per porre in luce le differenze sostanziali fra le due principali ed antitetiche concezioni attuali dell’urbanistica, emerse dalle<br />

molteplici esperienze degli anni ’50, occorre esaminare, in sintesi, il meccanismo concettuale ed operativo di entrambe.<br />

Defi niamo “urbanistica tecnica” quella in cui si verifi cano essenzialmente le seguenti condizioni:<br />

1) i piani concepiti “a tempo indeterminato” senza specifi care le fasi di attuazione o, se queste sono ipotizzate, senza<br />

formulare effi caci strumenti operativi per conseguirle,<br />

2) i piani agiscono essenzialmente mediante la combinazione di “vincoli” e di “incentivi”: vincoli là dove di intende limitare<br />

in tutto o in parte l’uso del suolo, vincoli ed incentivi si traducono tecnicamente e giuridicamente in “prescrizioni di zona”,<br />

che consistono essenzialmente in rapporti fi sici tra area e volume costruibile,<br />

3) il controllo sull’attività economica avviene esclusivamente “in modo indiretto” e limitatamente all’applicazione delle<br />

prescrizioni urbanistiche di zona,<br />

4) l’attuazione dei piani è lasciata al libero giuoco delle singole iniziative pubbliche e private, con la sola condizione del<br />

“rispetto” delle prescrizioni di zona, il coordinamento spazio-temporale delle iniziative pubbliche e private non rientra<br />

nelle fi nalità di questo tipo di piano.<br />

Secondo la logica di questo meccanismo concettuale ed operativo, la pianifi cazione urbanistica si manifesta essenzialmente<br />

nella formazione, approvazione ed applicazione dei piani e coincide quindi con una “planotecnica”. i piani sono concepiti<br />

in modo statico ed astratto, svincolati cioè sia dal processo di sviluppo in atto, sia da traguardi temporali, le previsioni di<br />

piano sono quindi proiettate in un futuro lontano ed imprecisato in cui le parti del piano saranno realizzate, raggiungendo<br />

così la giusta dimensione progettata per l’insediamento e l’equilibrio dimensionale e spaziale fra le singole parti costitutive.<br />

Nell’attesa che questa dimensione e questo equilibrio siano raggiunti, si sviluppa, entro le maglie delle prescrizioni di zona,<br />

l’insieme delle iniziative pubbliche e private, il “dove” non interessa, perché il piano è concepito come un grande serbatoio a<br />

molti scomparti (le zone) e cioè che conta è riempire via via in qualche modo i vari scomparti per colmare alla fi ne il tutto.<br />

Defi niamo “pianifi cazione creativa continua” quella che contiene, sostanzialmente, i seguenti elementi concettuali ed<br />

operativi:<br />

1) le scelte e le determinazioni urbanistiche generali sono coerenti con consapevoli accertamenti sul processo di sviluppo in<br />

atto, sulle sue intrinseche suscettività di amplifi cazione economica e demografi ca e sulle possibilità di trasformazione delle<br />

sue stesse componenti, al fi ne di un più produttivo “sinergismo”,<br />

2) le scelte determinanti spaziali, qualitative e quantitative, generali e particolari, sono “temporalizzate” e rese coerenti con<br />

il processo di sviluppo economico-demografi co ipotizzato ed accertato,<br />

3) i piani sono concepiti in forma “operativa”, per il conseguimento di fi nalità defi nite, ed articolati in piano a lunga, media<br />

breve scadenza,<br />

4) l’operatività dei piani è assicurata essenzialmente da atti di “intervento” diretto, cioè a carattere esecutiva, l’intervento<br />

pubblico assume carattere prioritario e di guida per quello privato, che non è affatto escluso, e che può essere più o meno<br />

ampio, a seconda dei casi, sempre che sia subordinato a quello pubblico,<br />

5) le scelte di distribuzione spaziale sono sottoposte ad analisi e verifi che ex ante,<br />

6) la pianifi cazione urbanistica è, in ogni sua fase, coerente con la programmazione o la pianifi cazione economia.<br />

Secondo la logica di questo meccanismo concettuale ed operativo, il piano, anzi la successione di piani, assume carattere<br />

puramente strumentale, rispetto al processo di analisi, scelta e verifi ca che costituisce, in questa nuova posizione, l’assenza<br />

stessa della pianifi cazione. L’insediamento o il territorio o la regione, soggetti a pianifi cazione secondo questo processo, sono<br />

sempre necessariamente oggetto di una visione globale, sia in prospettiva lontana, sia in ogni tappa di attuazione, a tempi<br />

medi e brevi, cosicché la ricerca di equilibrio spaziale è costante e le singole tappe di attuazione si pongono come altrettanti<br />

“stati di equilibrio” nel processo di sviluppo pianifi cato. Il concetto di “stato fi nale perfetto” implicito nel piano tecnico astratto<br />

è così sostituito da una successione di stati di sviluppo.<br />

13


lavori di archivio<br />

Il piano di qualsiasi tappo non si confi gura più come somma di sintesi di trasformazioni e di iniziative possibile, ma è<br />

costituito dall’insieme delle operazioni che si decide di compiere, i piani a tempi medi ed a tempi brevi assumono carattere<br />

eminentemente operativo e nei tempi brevi il piano di attuazione, in una pianifi cazione effi ciente che abbia superato le fasi di<br />

rodaggio, assomma tutte e solo le operazioni deliberate per l’esecuzione.<br />

La defi nizione dei tempi lunghi, medi e brevi assume, in questa prospettiva, volare procedurale determinate e l’aderenza alle<br />

realtà ed ai suoi imprevisti, come pure il superamento delle eventuali diffrazioni fra progetto ed esecuzione sono garantiti<br />

dalla revisione periodica dei piani a lunga scadenza e dalla “scorrevolezza” dei piani a breve e medio termine, la pianifi cazione<br />

diventa”continua”.<br />

“La tendenza classica dell’economia - afferma Henri Janne (Lee problemes de la planifi cation, 1962) - consiste nel proiettare<br />

il presente nel futuro, perché si considera ciò che è attualmente conosciuto come indicativo di ciò che sarà, di conseguenza,<br />

questo modo di pensare ha la tendenza a prolungare il presente nel futuro.<br />

Nella pianifi cazione, si può dire, invece, che il presente è già conformato in funzione di una rappresentazione del futuro. Ci si<br />

rappresenta il futuro: è questo il sistema di previsione creatrice.<br />

G. ASTENGO - ENCICOLPEDIA UNIVERSALE DELL’ARTE; voce “Urbanistica” vol. XIV<br />

3 Per la verità l’istituto del P.P. pretendeva in un certo senso anche la temporalizzazione degli interventi ed il loro aggancio al<br />

bilancio comunale coprendo le carenze più ovvie della pianifi cazione prescritta.<br />

4 Abbandono generale di ogni tentativo di programmazione, non solo in questa materia, ma anche sul terreno della<br />

programmazione economica nazionale, o agricola, o comunque settoriale rifugiandosi nella giustifi cazione culturale del non<br />

potersi o doversi sporgere su programmi vincolanti o comunque ipotizzati per il futuro.<br />

5 Può essere utilmente fatto riferimento alla esperienza inglese dei “masterplan” e anche al criterio e funzione stabilito in ordine<br />

al P.R.G. della L.1150/42.<br />

6 Ad esempio, sottopone e quindi defi nisce il piano strutturale attraverso conferenze dei servizi ogni volta che le decisioni<br />

interessano altri enti pubblici di diretta competenza nelle materie trattate (Regione, Provincia, F.S, ANAS, ecc.).<br />

7 Vedi trattazione del problema alle pagine successive.<br />

8 Il riferimento può essere ai P.P. ex lege 1159; opportunamente rivisti e soprattutto dopo aver rimosso e semplifi cato la<br />

procedura di adozione.<br />

9 Il riferimento è da farsi con il P.P.A. ex lege 10, opportunamente ripensato, dopo lo svuotamento fattone con la legge 94/82<br />

(legge Nicolazzi).<br />

10 Vedi anche comprensorio o provincia.<br />

11 In questi anni sono giunte a livelli di specifi cazione assai elevata.<br />

12 Da operarsi nell’ambito delle eventuali previsioni delle leggi regionali.<br />

13 “Conferenza dei servizi” è termine mutuato dalla pratica previgente al trasferimento alle regioni delle competenze in materia<br />

urbanistica; si intende un consesso in cui siano presenti contemporaneamente tutti i soggetti portatori di interesse pubblici,<br />

eventualmente allargato a portatori di interessi collettivi (partiti, sindacati, enti ed associazioni).<br />

14


SULLA RIFORMA URBANISTICA<br />

• Sull’articolazione dei piani urbanistici in due componenti:<br />

come la volevamo, come è diventata, come sarebbe utile, utile di Edoardo Salzano<br />

• Urbanistica che fare?, di Paolo Avarello<br />

• Una rifl essione sulla “qualità urbana” dopo dieci anni di attuazione<br />

della legge regionale 19/98, di Michele Zanelli<br />

• Urbanistica e valorizzazione del patrimonio pubblico, di Davide Rubbini<br />

• Sullo stato della pianifi cazione territoriale ed urbanistica<br />

della Regione Veneto, di Stefano Bernardi<br />

• L’applicazione della L.R. 20, 20 di Otello Brighi<br />

• Il piano dell’Armatura dell’ Armatura Urbana Urbana, di Piero Properzi<br />

• Operativi e tempestivi:<br />

i problemi di un piano che vuole essere autorevole, autorevole intervista a Franco Stringa<br />

sulla riforma urbnistica<br />

15


sulla riforma urbanistica<br />

16


Sull’articolazione dei piani urbanistici in<br />

due componenti: come la volevamo, come<br />

è diventata, come sarebbe utile<br />

Sono tra quelli che, a partire dell’inizio degli<br />

anni Ottanta, hanno cominciato a proporre e<br />

sperimentare l’articolazione della pianificazione<br />

in due componenti: una componente strutturale,<br />

una componente programmatica. Le proposte che<br />

in quegli anni proponemmo e sperimentammo 1<br />

acquisirono marcata evidenza pubblica nel<br />

Congresso dell’INU del 1993, e ispirarono molte<br />

legislazioni regionali successive (a partire da<br />

quella toscana e quella ligure del 1995-1997) e<br />

la formazione di strumenti di pianificazione<br />

particolarmente in Toscana, Liguria, Emilia-<br />

Romagna, Veneto.<br />

Oggi si discute (ma in cerchie abbastanza<br />

ristrette) sull’efficacia di quella articolazione.<br />

Una discussione nella quale si sentono molte<br />

voci critiche le quali, a mio parere, si riferiscono<br />

più all’applicazione concreta dell’articolazione<br />

che al suo significato. In questa note vorrei<br />

domandarmi se quella articolazione abbia<br />

ancora oggi un senso oppure no: se sia sbagliato,<br />

o comunque criticabile, il principio in se, il<br />

metodo che esso suggerisce, oppure se ne sia<br />

stata sbagliata l’applicazione; e se quindi quel<br />

principio e quel metodo siano ancora validi,<br />

e meritino perciò d’essere riproposti e, dove<br />

possibile, praticati.<br />

Esporrò prima le intenzioni dell’articolazione<br />

della pianificazione in due componenti, poi<br />

esaminerò brevemente alcuni aspetti della sua<br />

applicazione. E avverto subito il lettore che queste<br />

note non hanno un carattere sistematico ed<br />

esprimono e illustrano il portato e le opinioni<br />

desunte da esperienze personali. Sarebbe a mio<br />

parere estremamente utile se in qualche sede<br />

si svolgesse una ricerca seria, oggettiva, raccogliendo,<br />

raccontando e confrontando riflessioni<br />

ed esperienze dei numerosi urbanisti che sulla<br />

stessa linea si sono mossi, negli ultimi decenni.<br />

Così come sarebbe estremamente utile se, le<br />

regioni che hanno avviato ormai da molti anni,<br />

l’esperienza dell’articolazione del piano in più<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Edoardo Salzano<br />

componenti promuovessero un serio bilancio<br />

critico dell’applicazione delle loro leggi urbanistiche.<br />

Le intenzioni e le prime esperienze<br />

Due esigenze<br />

Cominciammo a ragionare (con Edgarda Feletti<br />

e Luigi Scano) all’articolazione della pianificazione<br />

(anzi, allora del “piano”) quando nel 1981<br />

avviammo la redazione di un nuovo PRG per la<br />

città storica di Venezia; proseguimmo, soprattutto<br />

con Luigi Scano, in numerose occasioni<br />

successive, sia nel lavoro professionale di collaborazione<br />

con comuni, province e regioni sia<br />

nell’ambito dell’INU (di cui sono stato il presidente<br />

dal 1983 al 1990) e poi dell’associazione<br />

Polis. Ciò che volevamo soprattutto risolvere era<br />

la contraddizione tra due esigenze, che minava<br />

l’efficacia della pianificazione tradizionale.<br />

Da una parte, il fatto che la definizione delle<br />

scelte territoriali richiedeva, soprattutto nella<br />

fase di prima impostazione, un lavoro di analisi<br />

della struttura fisica e di quella sociale del<br />

territorio di notevole impegno e durata, e che,<br />

soprattutto, le scelte strategiche sulle prospettive<br />

della città richiedevano – una volta definite – la<br />

loro permanenza per un tempo lungo trattandosi<br />

di decisioni che richiedevano operazioni<br />

complesse e lunghe per essere tradotte in<br />

concrete trasformazioni della realtà. Del resto,<br />

le scelte derivanti da quelle analisi consistevano<br />

soprattutto nelle tutele degli elementi di qualità<br />

del territorio e nella definizione della strategia<br />

che si configurava per quel determinato<br />

territorio: città o ambito d’area vista che fosse.<br />

In entrambi i casi, scelte che dovevano avere<br />

una certa fermezza e costanza nel tempo, quindi<br />

dovevano dettare regole di carattere permanente,<br />

o almeno di lungo periodo.<br />

Dall’altro lato, la necessità di poter modificare<br />

17


sulla riforma urbanistica<br />

nel tempo scelte legate ad eventi non prevedibili,<br />

o di per sé tali da mutare in tempi mediobrevi:<br />

le caratteristiche della popolazione, le trasformazioni<br />

nell’assetto delle convenienze sociali<br />

ed economiche di utilizzazione degli spazi,<br />

i differenti orientamenti politici (e i differenti interessi<br />

sociali) prevalenti nelle istituzioni elettive.<br />

Si trattava di scelta che non era ragionevole<br />

ancorare a tempi indefiniti né lunghi, come non<br />

era ragionevole prescrivere procedure complesse<br />

per modificarle: purché, ovviamente, fossero<br />

coerenti e conformi alle decisioni strutturali e<br />

strategiche preliminarmente definite.<br />

Il conflitto tra queste due esigenze diveniva più<br />

marcato negli anni in cui le trasformazioni sociali<br />

ed economiche subivano vistose accelerazioni,<br />

e la pianificazione tradizionale sembrava incapace<br />

di assicurare la flessibilità necessaria alle<br />

decisioni sul territorio. La pianificazione appariva<br />

dominata dalla rigidezza, dalla difficoltà di<br />

seguire in tempi ragionevoli il modificarsi delle<br />

esigenze e delle opportunità. L’unica risposta<br />

era quella di estendere all’inverosimile la pratica<br />

delle varianti parziali, episodiche, discrezionali<br />

al piano: una risposta che, inseguendo la flessibilità<br />

e tentando di soddisfarla, provocava la<br />

perdita di ogni coerenza al sistema territoriale.<br />

Per soddisfare entrambe le esigenze cominciammo<br />

allora a ragionare sulla possibilità di articolare<br />

le scelte della pianificazione in due componenti:<br />

l’una, contenente le scelte strutturali (in riferimento<br />

particolare alla struttura fisica del territorio,<br />

urbano ed extraurbano) e quelle strategiche<br />

(non fruttuosamente modificabili nel breve<br />

periodo); l’altra contenente le scelte, coerenti<br />

e compatibili con quelle strutturali e strategiche,<br />

concernente le trasformazioni da programmare e<br />

operare nel breve periodo, che si convenne coincidere<br />

con il mandato amministrativo.<br />

Il piano del centro storico di Venezia<br />

Il primo tentativo al quale partecipai fu la<br />

redazione del nuovo PRG per il centro storico di<br />

Venezia, avviato nel 1981 2 . L’analisi tipologicostrutturale<br />

delle unità edilizia (e delle altre unità<br />

di spazio) della città storica ci aveva condotto<br />

a individuare e definire, per ciascun tipo<br />

edilizio storico, due elementi: le trasformazioni<br />

fisiche consentite (che andavano generalmente<br />

18<br />

nella direzione del ripristino degli elementi<br />

della tipologia storica originaria) e la gamma<br />

(generalmente molto larga) delle utilizzazioni<br />

compatibili con quel tipo: cioè tali da non<br />

stravolgerne l’assetto fisico e funzionale. Inoltre<br />

il piano perimetrava le parti della città in cui<br />

si potevano e dovevano effettuare operazioni<br />

più consistenti, fino alla ristrutturazione<br />

urbanistica; per questa parti il piano stabiliva le<br />

caratteristiche fisiche e funzionali da rispettare<br />

nella formazione dei piani urbanistici attuativi.<br />

Questa scelte dovevano avere carattere di<br />

permanenza nel tempo. In occasione di ogni<br />

mandato amministrativo si doveva invece<br />

decidere che cosa concretamente rendere esecutivo<br />

nel periodo successivo: quali destinazioni<br />

d’uso erano ammesse nelle diverse tipologie<br />

strutturali, naturalmente nella gamma di quelle<br />

compatibili; quali specifiche trasformazioni<br />

rendere obbligatorie nel periodo considerato;<br />

quali piani attuativi formare.<br />

Ogni quinquennio insomma, tenendo conto delle<br />

condizioni sociali, delle possibilità economiche,<br />

degli indirizzi politici, delle disponibilità degli<br />

operatori, il Consiglio comunale (mentre verifica<br />

e aggiorna, ove necessario, la parte “fissa”<br />

del piano), rielabora integralmente la parte<br />

“programmatica”: stabilisce di nuovo quali sono,<br />

nell’ambito della gamma ampia di utilizzazioni<br />

compatibili con i vari tipi edilizi, le destinazioni<br />

d’uso che devono, o possono essere attivate nel<br />

periodo successivo. E stabilisce anche quali sono<br />

gli ambiti per i quali si procederà alla formazione<br />

dei piani particolareggiati, e approva quelli nel<br />

frattempo redatti.<br />

Lungo periodo e breve periodo<br />

Esposi un primo tentativo di generalizzare<br />

l’esperienza di Venezia a un convegno organizzato<br />

dalla Provincia di Bologna nel 1984, al quale<br />

mi invitò l’amico Giorgio Trebbi.<br />

Nella mia relazione, proponendo i requisiti di<br />

una nuova pianificazione, sostenevo che il piano<br />

“deve contenere indicazioni valide per il<br />

lungo periodo (poiché le caratteristiche della risorsa<br />

territorio sono sostanzialmente invariabili<br />

nel tempo, se si prescinde dalle trasformazioni<br />

operate dal piano), ma deve anche, e precisa-


mente e tassativamente, indicare quali sono le<br />

trasformazioni operabili - prescritte - nel breve<br />

periodo: nel periodo per il quale le previsioni<br />

sono certamente attendibili, la volontà politica<br />

è certamente costante, le risorse sono certamente<br />

disponibili”. Sostenevo di conseguenza che<br />

il piano “deve costituire un quadro di coerenza<br />

sia per il lungo periodo (a causa della relativa<br />

invariabilità temporale della risorsa territorio,<br />

e l’ampiezza dell’arco di tempo necessario ad<br />

eseguire le opere di trasformazione di più ingente<br />

consistenza), che per il breve periodo:<br />

per il periodo cioè nel quale in modo più certo<br />

esplica la propria efficacia”, e che esso deve, di<br />

conseguenza, “essere contemporaneamente aggiornabile<br />

nella sua parte invariabile, o di lungo<br />

periodo, e programmabile nella attuazione delle<br />

trasformazioni di breve periodo: deve essere un<br />

quadro di coerenza dinamico, il quale abbia la<br />

capacità di adattarsi alle modificazioni da esso<br />

stesso impresse (e di seguire i mutamenti della<br />

domanda sociale e delle risorse disponibili) conservando<br />

costantemente la sua coerenza complessiva”<br />

3 .<br />

Dal piano alla pianificazione<br />

L’articolazione del piano in due componenti<br />

era fin d’allora parte di una convinzione che<br />

riguardava l’intero ambito della pianificazione<br />

territoriale e urbana: quella che, in un saggio<br />

per La Rivista Trimestrale di Franco Rodano e<br />

Claudio Napoleoni, definii come il passaggio<br />

dell’urbanistica dal piano alla pianificazione 4 .<br />

In quella sede, anche in riferimento alla polemica<br />

allora in corso tra i sostenitori del “piano” e<br />

quelli del “progetto”, sostenevo che era ormai<br />

insufficiente “l’immagine di uno strumento,<br />

costruito come la definizione del desiderabile<br />

assetto di una determinata parte del territorio,<br />

concluso e statico”, uno strumento “che, una<br />

volta delineato, verrà poi successivamente<br />

attuato mediante una separata attività di<br />

gestione e, nei casi migliori, di programmazione<br />

dei modi nei quali sviluppare nel tempo la sua<br />

attuazione”.<br />

Spostare “l’accento dallo strumento del ‘piano’<br />

all’attività di ‘pianificazione’ significa non concepire<br />

e praticare più l’uso dei tre momenti tradizionali<br />

del ‘piano’ (ossia del disegno dell’as-<br />

sulla riforma urbnistica<br />

setto desiderato), del ‘programma’ (ossia della<br />

scelta, all’interno dell’universo delle opportunità<br />

definite del ‘piano’, di quelle da realizzare<br />

in una fase determinata), e della ’gestione’ (ossia<br />

dell’attuazione concreta, attraverso ‘progetti’<br />

esecutivi, degli interventi previsti dal ‘programma’)<br />

come tre operazioni separate e successive,<br />

ma concepire invece, e praticare, i tre momenti<br />

suddetti come momenti logici di un’attività (la<br />

‘pianificazione’, appunto) che si svolge con una<br />

stretta e continua interazione tra l’uno e l’altro<br />

momento”.<br />

Le strutture pubbliche della pianificazione<br />

Una condizione essenziale perché si potesse<br />

compiere il passaggio “dal piano alla pianificazione”<br />

e perché quest’ultima potesse essere organizzata<br />

in modo nuovo (in particolare) procedendo<br />

con continuità in un’attività sistematica<br />

di programmazione, esecuzione, monitoraggio<br />

delle scelte operative conseguenti dalle condizioni<br />

e dalle strategia dettate dalla componente<br />

strutturale della pianificazione, era costituita<br />

dalla presenza di adeguate strutture pubbliche<br />

specificamente adibite all’attività di pianificazione.<br />

Lo avevamo già avvertito nell’esperienza<br />

veneziana, come sottolineavo nell’illustrazione<br />

del piano del centro storico, dove rilevavo che<br />

l’impostazione proposta richiedeva, “per il suo<br />

pieno esplicarsi - una condizione irrinunciabile:<br />

una struttura di pianificazione e gestione comunale<br />

solida, efficiente, autorevole, e dotata degli<br />

attrezzi necessari per operare con continuità, sistematicità<br />

ed efficacia”.<br />

Lo ribadivo nel saggio de La Rivista Trimestrale,<br />

dove ricordavo che “é da decenni che la migliore<br />

cultura urbanistica sostiene che la possibilità<br />

di esercitare un effettivo ed efficace governo<br />

del territorio ha il suo passaggio obbligato<br />

nella formazione di strutture pubbliche di pianificazione”<br />

e osservavo che “questo problema,<br />

mai risolto in modo compiuto, è oggi più urgente<br />

che mai proprio per le novità che sono intervenute”.<br />

L’esperienza dell’INU prima della “svolta”<br />

Ero presidente dell’INU quando (1988-89)<br />

avviammo la preparazione del XIX congresso<br />

19


sulla riforma urbanistica<br />

nazionale. Proposi di lavorare per un congresso<br />

a tesi, al fine di consentire alle varie posizioni<br />

che venivano a manifestarsi nell’ampio gruppo<br />

dirigente dell’Istituto di esprimersi nel modo<br />

esplicito. La discussione fu ampia e, a mio parere,<br />

proficua. Non si riuscì, se non parzialmente,<br />

a giungere all’esplicitazione chiara di ipotesi<br />

alternative su cui votare all’Assemblea dei soci,<br />

coinvolgendo tutta la base associativa in una<br />

discussione che mi sembrava fondamentale.<br />

Si approdò invece a un documento unitario,<br />

approvato a maggioranza 5 .<br />

Al congresso, che si svolse a Milano dal 27 al 29<br />

settembre 1990, presentai nella loro formulazione<br />

originaria le proposizioni che avevo avanzato<br />

nel corso dei lavori preparatori. Si trattava di<br />

due gruppi di tesi, che riguardavano argomenti<br />

nodali: l’efficacia del sistema di pianificazione e il<br />

rapporto tra pubblico e privato. Su quest’ultimo<br />

punto rendevo esplicita e argomentata con<br />

episodi concreti la critica alla “urbanistica<br />

contrattata”, che poi emerse con forza negli<br />

anni successivi con l’inchiesta giudiziaria<br />

“mani pulite e lo svelamento di Tangentopoli 6 .<br />

Ma la maggioranza dell’INU preferì glissare.<br />

Sul primo argomento (l’efficacia del sistema<br />

di pianificazione) proponevo sostanzialmente<br />

un metodo basato sulla concezione della<br />

pianificazione come attività continua e sistematica,<br />

la preliminare considerazione dell’analisi<br />

delle risorse territoriali e della definizione<br />

delle invarianti strutturali e delle “regole della<br />

trasformabilità”, l’articolazione del piano in<br />

due componenti. Proponevo in particolare “di<br />

porre la lettura delle qualità del territorio e la<br />

definizione delle regole della trasformabilità alla<br />

base dei processi di pianificazione non solo in<br />

tutta la pianificazione regionale ma anche nella<br />

pianificazione territoriale e urbanistica ai livelli<br />

provinciale o metropolitano e comunale”.<br />

E proponevo di definire successivamente<br />

“quali sono, all’interno della gamma delle<br />

trasformazioni teoricamente possibili per una<br />

corretta utilizzazione del territorio, lo operazioni<br />

che è concretamente possibile operare in un<br />

determinato e prevedibile arco di tempo, in<br />

relazione alla domanda socialmente prioritaria<br />

e alle risorse impiegabili per le trasformazioni<br />

necessarie per soddisfarla” 7.<br />

Le mie proposte non vennero accolte.<br />

20<br />

La proposte dell’associazione culturale Polis<br />

Il Congresso di Milano dell’INU comportò<br />

la sconfitta della posizione culturale che, in<br />

quanto presidente dell’Istituto, esprimevo.<br />

Non ne fui più il presidente, né partecipai al<br />

gruppo direttivo e, successivamente, diedi<br />

le dimissioni dall’Istituto 8 Con un gruppo di<br />

amici costituimmo un’associazione, che doveva<br />

consentirci di proseguire l’elaborazione che<br />

avevamo avviato nell’INU. Dopo una serie di<br />

seminari e di convegni approdammo, soprattutto<br />

grazie al lavoro di Luigi Scano, alla definizione<br />

di una proposta legislativa compiuta. Essa fu<br />

presentata a un convegno nazionale, organizzato<br />

a Venezia dal PDS e dalla Sinistra europea,<br />

dedicato a una riflessione sull’urbanistica in<br />

occasione al cinquantesimo anniversario della<br />

legge del 1942 9 .<br />

Per quanto riguarda le caratteristiche della<br />

pianificazione, nella posizione di Polis si<br />

sottolineava in primo luogo la necessità di<br />

provvedere, “ad ogni livello, a determinare, in<br />

via preliminare, le disposizioni finalizzate alla<br />

tutela sia dell’integrità fisica che dell’identità<br />

culturale del territorio interessato, da porre come<br />

“condizioni” (da intendersi sia come limiti,<br />

sia come prerequisiti) ad ogni possibile scelta<br />

di trasformazione (fisica e/o funzionale) del<br />

medesimo territorio”. Era, questo, un assunto<br />

che derivava anche dalla riflessione sulla legge<br />

431/1995 (Legge Galasso) e dall’esperienza di<br />

formazione, ai sensi di quella legge, del piano<br />

paesaggistico regionale dell’Emilia-Romagna.<br />

Questo piano era stato considerato dai suoi<br />

protagonisti come la prima fase di un processo di<br />

pianificazione, che avrebbe dovuto completarsi<br />

con la formazione di un piano territoriale<br />

regionale 10 .<br />

La preliminare definizione delle regole di tutela<br />

non veniva peraltro considerato solo fine a se<br />

stesso, cioè come funzionale all’esigenza di difendere<br />

prima d’ogni altra scelta le qualità naturali<br />

e storiche del territorio, ma anche come necessaria<br />

premessa “per un’attività pianificatoria<br />

altamente, e correttamente, flessibile”. Una pianificazione,<br />

si sottolineava, “non soggetta a più<br />

o meno frequenti, e più o meno semplificate, ma<br />

comunque indiscriminate, variazioni delle scelte<br />

o delle disposizioni del piano, sulla base di<br />

urgenze e di nuove dinamiche troppo spesso insuf-


ficientemente valutate o neppure verificate nei<br />

loro effetti sull’assetto complessivo del territorio”,<br />

ma una pianificazione, “capace di assumere<br />

la gerarchia degli interessi e degli obiettivi che<br />

la comunità esprime e di dare tempestivamente,<br />

ma in costante riferimento ad essi, le risposte ai<br />

nuovi problemi via via insorgenti”.<br />

Ecco che, sulla base di questa premessa, Polis<br />

riproponeva nella sua proposta di legge<br />

urbanistica l’articolazione della pianificazione,<br />

a tutti i livelli, in due componenti: “quella<br />

strutturale, rivolta al perseguimento dei<br />

principali obiettivi ambientali, culturali e socioeconomici,<br />

e comprendente la definizione delle<br />

condizioni alle trasformazioni e delle trasformazioni<br />

strategiche, che costituisce la parte più solida,<br />

più duratura, della pianificazione, e che, quindi,<br />

richiede procedure di formazione di maggiore<br />

garanzia istituzionale”, e quella “programmatica,<br />

rivolta alla precisazione, alla configurazione ed<br />

all’organizzazione specifica delle trasformazioni,<br />

che costituisce la parte flessibile, e più agilmente<br />

modificabile, della pianificazione, e che, quindi,<br />

deve disporre di procedure più semplici e<br />

tempestive”.<br />

La proposta al XX Congresso (Bologna, 1995)<br />

Nel 1995 si tenne a Bologna il 21° congresso nazionale<br />

dell’INU. Inviai un contributo che fu<br />

inserito negli atti del congresso 11 . Ribadivo “la<br />

possibilità, l’opportunità e l’utilità di una trasformazione<br />

del tradizionale strumento di pianificazione<br />

(il PRG)” mediante la “articolazione<br />

degli elaborati. grafici e normativi del piano comunale<br />

(ma analogo criterio viene proposto per<br />

gli atti di pianificazione degli altri livelli) in due<br />

serie di componenti” la strutturale e la programmatica.<br />

La prima ”rappresenta e disciplina le decisioni<br />

relative alla tutela ambientale e della riduzione<br />

dei rischi, e quindi definisce, per ciascuna unità<br />

di spazio, le condizioni che l’esigenza suddetta<br />

pone alle trasformazioni territoriali, e inoltre<br />

individua (rappresentandole e disciplinandole)<br />

le scelte relative a opere e interventi di carattere<br />

strategico, e cioè riferite al lungo periodo e<br />

governabili solo in una prospettiva lunga.<br />

Essa ha validità a tempo indeterminato, viene<br />

periodicamente verificata (e aggiornata solo<br />

sulla riforma urbnistica<br />

se ciò si rivela necessario), e comporta un iter<br />

procedimentale più garantistico dell’altra<br />

componente.”<br />

La seconda componente “definisce le destinazioni<br />

d’uso attivabili, nonché le trasformazioni<br />

fisiche operabili (le une e le altre, ovviamente,<br />

nell’ambito e nel rispetto delle condizioni definite<br />

dalla componente strutturale e in coerenza<br />

con la sua stralegia), […] ha validità per un<br />

quadriennio, cioè per un periodo coincidente<br />

con il mandato amministrativo; alla fine di tale<br />

periodo essa decade, e deve essere sostituita da<br />

un nuovo analogo atto. L’iter procedimentale<br />

della componente programmatica si esaurisce<br />

nell’ambito dell’ente territoriale che l’ha adottata<br />

(comune, provincia o città metropolitana,<br />

regione)”.<br />

La proposta trovò un’eco che giudicai limitata<br />

nella proposta finale avanzata dall’INU.<br />

Riepilogando: i contenuti essenziali della proposta<br />

Possiamo adesso riepilogare sinteticamente i<br />

contenuti essenziali del modello di pianificazione<br />

che, a partire dall’esperienza del piano per il<br />

centro storico di Venezia, si era venuto via via<br />

precisando<br />

L’articolazione della pianificazione in due componenti<br />

è ritenuta utile a tutti i livelli, sulla base<br />

del cosiddetto “principio di pianificazione” 12 .<br />

Il contenuto della componente strutturale è costituito<br />

da due elementi: le regole che garantiscono<br />

la tutela delle qualità naturali e storiche del<br />

territorio e la salvaguardia dai rischi, le strategie<br />

definite per quel determinato territorio, sia nel<br />

loro aspetto di “progetto” di lungo periodo che<br />

in quello di trasformazioni di vasto respiro strategie.<br />

Dato il suo contenuto, le sue scelte sono<br />

valide a tempo indeterminato e definite con “rigidezza”,<br />

con una condivisione interistituzionale<br />

“interscalare”, necessaria perché esse coinvolgono<br />

interessi non disponibili esclusivamente<br />

per la comunità direttamente interessata, ma anche<br />

per quelle più e meno vaste.<br />

Il contenuto della componente programmatica è<br />

costituito dalle decisioni che possono o devono<br />

essere operative nel breve periodo, ovviamen-<br />

21


sulla riforma urbanistica<br />

te nell’ambito e nel rispetto delle regole e delle<br />

strategie definite dalla componente strutturale.<br />

Esse sono valide a tempo determinato, e costituiscono<br />

il luogo della flessibilità nel rispetto delle<br />

rigidezze definite dalla componente strutturale.<br />

La responsabilità si esaurisce nell’ambito del<br />

territorio di competenza dell’ente proponente, e<br />

quindi le procedure di formazione si concludono<br />

entro il livello proprio.<br />

Un corollario che ne discende è il passaggio dall’approvazione<br />

alla verifica di conformità. Poiché<br />

ogni istituzione esprime la proprie scelte<br />

mediante un atto di pianificazione, invece dell’approvazione<br />

da parte dell’ente sovraordinato<br />

delle scelte del livello sottordinato, o di complesse<br />

procedure di co-pianificazione, il ruolo<br />

dell’ente sovraordinato si esaurisce nella definizione<br />

del proprio piano e nella verifica di conformità<br />

del piano sottordinato rispetto ad esso.<br />

Due condizioni sono indispensabili perché un<br />

simile modello funzioni.<br />

La pianificazione non deve consistere più nella<br />

formazione di piani, ciascuno caratterizzato da<br />

un inizio e una fine del suo percorso (della sua<br />

storia), ma si invera in un’attività sistematica<br />

e continua nel tempo, nella quale le varie fasi<br />

dell’analisi, delle scelte, del monitoraggio<br />

e della formulazione delle nuove scelte si<br />

susseguono ciclicamente. Un’attività della<br />

quale il quadro conoscitivo, sistematicamente<br />

aggiornato e condiviso con tutti gli attori<br />

direttamente e indirettamente coinvolti è la base<br />

indispensabile.<br />

Ma perché questa condizione possa verificarsi<br />

è indispensabile che, a ciascun livello, operino<br />

strutture pubbliche tecniche dotate di tutte le<br />

competenze e le attrezzature necessarie per<br />

svolgere con efficacia le operazioni necessarie.<br />

Strutture la cui qualificazione sia tale da consentir<br />

loro di individuare i supporti di consulenza<br />

necessari nelle diverse fasi del processo e in<br />

relazione ai diversi contenuti specialistici<br />

necessari, sia in termini di conoscenze esperte<br />

che di progettazione di singoli aspetti o settori<br />

od oggetti.<br />

Una terza condizione, sulla quale in questa<br />

sede non mi soffermerò ma che è anch’essa<br />

essenziale, è la volontà politica e culturale, da<br />

parte degli eletti, di adoperare effettivamente un<br />

22<br />

metodo e un procedimento siffatto per decidere<br />

sulle trasformazioni territoriali, nel breve e nel<br />

lungo periodo.<br />

La pratica successiva, nelle leggi e nei comportamenti<br />

Le leggi regionali<br />

Si può dire che tutte le leggi regionali approvate<br />

a partire dal 1995 prevedono l’articolazione<br />

del piano secondo criteri analoghi a quelli<br />

che ho enunciato. Esse adottano, sia pure in<br />

maniera molto diversificata, la distinzione di<br />

due (o più) componenti, o parti, o disposizioni,<br />

nell’ambito degli atti di pianificazione generale,<br />

o, più ampiamente, di più piani con differenti<br />

denominazioni, contenuti, procedure.<br />

Nelle proposte che avevo contribuito a definire<br />

l’articolazione riguardava la pianificazione a<br />

tutti i livelli. La quasi totalità delle leggi regionali<br />

l’applica invece solo al livello comunale. Esse<br />

attribuiscono alla pianificazione di livello<br />

comunale, e ai relativi documenti, un carattere<br />

complessivo e riassuntivo di tutte le scelte<br />

sull’assetto del territorio.<br />

La Toscana (1995) articola la pianificazione comunale<br />

in “piano strutturale”, “regolamento urbanistico”<br />

e “programma integrato d’intervento”:<br />

il primo con un carattere di individuazione<br />

e classificazione delle risorse territoriali, il secondo<br />

con efficacia di attribuzione di prescrizioni<br />

(e valori) agli immobili, il terzo con funzione<br />

programmatica e operativa.<br />

L’Umbria (1995) articola il piano comunale in<br />

una “parte strutturale, che individua le specifiche<br />

vocazioni territoriali a livello di pianificazione<br />

generale in conformità con gli obbiettivi ed<br />

indirizzi urbanistici regionali e di pianificazione<br />

territoriale provinciale”, e una “parte operativa,<br />

che individua e disciplina le previsioni urbanistiche<br />

nelle modalità, forme e limiti stabiliti nella<br />

parte strutturale”. La Liguria (1997) articola<br />

il “piano urbanistico comunale” in “descrizione<br />

fondativa”, “documento degli obiettivi”, “struttura<br />

del piano”, “norme di conformità e di congruenza”.<br />

Il Lazio (1999) articola il “piano urbanistico<br />

comunale” in “disposizioni strutturali”<br />

e “disposizioni programmatiche”. La Basilicata<br />

(1999) e l’Emilia Romagna (2000) articolano ana-


logamente, alla legge toscana, la pianificazione<br />

comunale in “piano strutturale comunale”,<br />

“piano operativo” e “regolamento urbanistico”.<br />

La Calabria (2002) prevede un “piano strutturale<br />

comunale”, peraltro ricco di articolati contenuti<br />

precettivi, un “regolamento urbanistico ed<br />

edilizio”, che contamina contenuti propriamente<br />

“urbanistici” con quelli tipici del più tradizionale<br />

regolamento edilizio, e un “piano operativo<br />

temporale”, con forte valenza di programmazione<br />

temporalizzata degli interventi, arricchita di<br />

alcuni elementi di specificazione della disciplina<br />

urbanistica.<br />

Come si vede, alcune regioni prevedono più<br />

piani, tra loro connessi ma reciprocamente autonomi,<br />

per le componenti strategico-strutturali e<br />

per quelle più direttamente operative; altri invece<br />

articolano in più componenti un’unica figura<br />

pianificatoria generale.<br />

Alcune leggi regionali attribuiscono l’articolazione<br />

della pianificazione in più parti o componenti<br />

anche ai livelli sovraordinati. Così la Liguria<br />

prevede a ciascuno dei tre livelli un documento<br />

di analisi fondativa (“quadro descrittivo”<br />

a livello regionale, “descrizione fondativa” a livello<br />

provinciale e comunale), una trascrizione<br />

precettiva di tale analisi (“quadro strutturale” e<br />

“struttura del piano”).<br />

Il Lazio prevede la distinzione tra “disposizioni<br />

strutturali” e “disposizioni programmatiche”<br />

anche a livello regionale e provinciale. In particolare,<br />

la legge laziale stabilisce che “la pianificazione<br />

territoriale ed urbanistica generale si<br />

articola in: previsioni strutturali, con validità<br />

a tempo indeterminato, relative alla tutela dell’integrità<br />

fisica e dell’identità culturale del<br />

territorio regionale, alla definizione delle linee<br />

fondamentali e preesistenti di organizzazione<br />

del territorio ed alla indicazione delle trasformazioni<br />

strategiche comportanti effetti di lunga<br />

durata; previsioni programmatiche, riferite ad<br />

archi temporali determinati, dirette alla definizione<br />

specifica delle azioni e delle trasformazioni<br />

fisiche e funzionali da realizzare e costituenti<br />

riferimento per la programmazione della spesa<br />

pubblica nei bilanci annuali e pluriennali”.<br />

In sostanza, l’impostazione delle legislazioni<br />

regionali rimane fedele ad alcuni dei criteri<br />

emersi dalle elaborazioni culturali degli<br />

sulla riforma urbnistica<br />

anni precedenti. In particolare, per la parte<br />

strutturale della pianificazione comunale sono<br />

sempre presenti tre elementi: la preliminare<br />

individuazione degli elementi del territorio<br />

che ne condizionano l’integrità e ne connotano<br />

l’identità; la definizione delle regole che ne<br />

assicurino la corretta utilizzazione anche<br />

per i posteri; l’individuazione delle direttrici<br />

strategiche dell’azione di trasformazione.<br />

A causa di questa sua natura, il piano strutturale<br />

parte generalmente da una descrizione, la assume<br />

come fondativa delle scelte di lungo periodo (lo<br />

“statuto dei luoghi”), la traduce in regole di<br />

lunga durata (di carattere “statutario”).<br />

L’attuazione<br />

Non mi risulta che sia stata compiuta una<br />

seria analisi comparativa delle esperienze di<br />

applicazione dell’articolazione del piano in più<br />

componenti. Sarebbe a mio parere un lavoro<br />

estremamente utile. Un’analisi che parta da<br />

una chiara enunciazione degli obiettivi che<br />

si volevano raggiungere, dalle intenzioni che<br />

li sorreggevano, che esponga il modo in cui<br />

i precetti sono stati applicati nelle diverse<br />

situazioni (o almeno in un certo numero di casi<br />

oculatamente scelti come rappresentativi), che<br />

misuri la distanza tra gli obiettivi e i risultati,<br />

che formuli alcune ipotesi sullo scarto maggiore<br />

o minore tra gli uni e gli altri. Ma non sembra<br />

facile, ai nostri tempi e nel nostro paese, fondare<br />

l’attività legislativa su un’analisi rigorosa<br />

dell’attuazione delle leggi che si vogliono<br />

cambiare, e di cui semplicemente di vuole<br />

verificare l’adeguatezza.<br />

Mi limiterò quindi, per ora, a formulare alcune<br />

osservazioni sulla base delle conoscenze più<br />

ravvicinate di cui dispongo. Credo di poter<br />

innanzitutto sostenere che gia nelle leggi<br />

regionali, e ancor di più nella loro attuazione, si<br />

siano trascurati due aspetti della questione che<br />

a me sembrano essenziali. In primo luogo, non<br />

si è applicato quello che ho definito il “principio<br />

di pianificazione”. Stato, regioni, province non<br />

hanno espresso le loro scelte territoriali sulla<br />

base di metodi e procedimenti di pianificazione,<br />

ossia traducendo in quadri coerenti e olistici,<br />

trasparentemente formati, l’insieme delle loro<br />

decisioni, ma hanno proceduto per singoli<br />

23


sulla riforma urbanistica<br />

programmi, settori, opere, politiche, spesso<br />

occasionati dall’emergenza o da motivazioni di<br />

prestigio e d’immagine, o meramente di potere.<br />

In secondo luogo, si è completamente trascurato<br />

il fatto che il nuovo modello avrebbe richiesto<br />

un poderoso rafforzamento delle strutture<br />

pubbliche adibite alla pianificazione.<br />

L’aggiornamento della base conoscitiva e la sua<br />

alimentazione con i risultati del monitoraggio<br />

sui piani e sulle trasformazioni da essi indotte,<br />

l’aggiornamento della componente strutturale e<br />

la sistematica riformulazione della componente<br />

operativa, il prolungamento dell’azione di pianificazione<br />

territoriale e urbanistica nelle attività<br />

esecutive (edificazioni private, interventi<br />

pubblici di infrastrutturazione e urbanizzazione,<br />

definizione di politiche aventi ricadute sul<br />

territorio), azione di stimolo nei confronti della<br />

partecipazione dei cittadini alle scelte: tutto ciò<br />

avrebbe richiesto la presenza di strutture abitate<br />

da tecnici qualificati e motivati, dotate di attrezzature<br />

efficaci, formalizzate in un’organizzazione<br />

autorevole e qualificata.<br />

Un’esperienza diretta<br />

Ho dedicato tutta la prima parte di queste<br />

note all’esposizione di proposte maturate<br />

nell’esperienza personale. Concluderò questo<br />

appunto con alcune considerazioni riferite<br />

anch’esse all’esperienza personale: in particolare,<br />

alla sperimentazione di una delle migliori leggi in<br />

materia, la 5/1995 toscana, nella collaborazione<br />

alla formazione degli strumenti urbanistici nuovi<br />

(piano strutturale e regolamento urbanistico)<br />

del comune di Sesto Fiorentino. Un comune di<br />

circa 60mila abitanti, nel auqle si sono succedute<br />

amministrazioni capaci di condurre politiche<br />

urbanistiche lungimiranti.<br />

La premessa politica del nostro lavoro è stata<br />

ottima. L’amministrazione ci ha fornito direttive<br />

che abbiamo completamente condivise: porre<br />

termine all’espansione, salvaguardare il<br />

territorio inedificato, grantire le visuali libere<br />

e promuovere le connessioni ambientali e di<br />

percorrenza tra i due complessi paesaggistici più<br />

rilevanti, il Monte Morello e la piana dell’Arno,<br />

coordinare le scelte con i comuni limitrofi,<br />

accrescere il livello della vivibilità della cittadina,<br />

rispettare l’individualità dei singoli paesi che la<br />

24<br />

componevano ma consolidare l’unitarietà del<br />

Comune.<br />

Anche sul piano normativo la nostra interpretazione<br />

della legge regionale, che gli uffici regionali<br />

hanno formalmente dichiarato di condividere,<br />

ci ha consentito di utilizzare i diversi nuovi<br />

istituti prescritti dalla legge (lo statuto dei luoghi,<br />

le invarianti strutturali, i sistemi e sub-sistemi<br />

territoriali, le unità territoriali organiche elementari)<br />

in modo coerente con il contenuto delle<br />

componenti della pianificazione (quella strutturale<br />

e quella operativa) che era la nostra.<br />

Su alcuni punti rilevanti delle scelte abbiamo<br />

trovato soluzioni a mio parere convincenti,<br />

che però sono state frutto di una interpretazione<br />

della legge, alla quale numerose altre potevano<br />

contrapporsi (e si sono infatti contrapposte). Mi<br />

riferisco al rapporto tra dimensionamento di<br />

lungo periodo, richiesto dalla legge per il piano<br />

strutturale (ma ha senso un dimensionamento<br />

di lungo periodo?), e la sua articolazione in una<br />

serie di piani operativi. Mi riferisco al rapporto<br />

tra aspetti strutturali del piano e aspetti strategici,<br />

tra sistema delle tutele e progetto di città. Mi<br />

riferisco ancora al rapporto tra la rigidità delle<br />

scelte strutturali e strategiche e la flessibilità delle<br />

scelte operative: un rapporto difficile, che spinge<br />

i comuni a interpretare il piano strutturale o<br />

come un documento vago, generico e privo di<br />

regole, oppure, al contrario, come un vecchio<br />

piano regolatore generale.<br />

C’è poi un paio di problemi per i quali neanche<br />

interpretando creativamente la legge abbiamo<br />

potuto raggiungere soluzioni soddisfacenti: il<br />

livello d’area vasta, i tempi della pianificazione.<br />

In assenza di una pianificazione regionale e<br />

provinciale che definisca le scelte territoriali<br />

di più vasta portata è particolarmente incerto<br />

il rapporto con l’area vasta. Molte delle scelte<br />

comunali riguardano aspetti (ambientali, paesaggistici,<br />

infrastrutturali) che hanno rilevanza<br />

sovracomunale, e che solo operando a questo livello<br />

possono essere affrontati seriamente. Ma in<br />

Toscana (e, credo, anche altrove) la dimensione<br />

d’rea vasta è del tutto trascurata. La regione trascura<br />

generalmente la dimensione provinciale<br />

della pianificazione (e, in generale, del governo<br />

del territorio) e “risolve” i problemi con rapporti<br />

bilaterali regione-comune.


La provincia continua a essere considerata un<br />

ente settoriale, di rango inferiore, e le forme associative<br />

volontarie di comuni non hanno preso<br />

piede.<br />

È probabile che questo limite sia particolare<br />

evidente in Toscana, dove l’attuale gruppo dirigente<br />

della regione teorizza, oltre a praticare,<br />

la centralità del momento comunale risolve la<br />

maggior parte dei problemi con il rapporto diretto<br />

tra Regione e singolo comune: ciò che indubbiamente<br />

accresce il peso delle decisioni regionali<br />

e aumenta il suo potere discrezionale.<br />

In Toscana, ma anche in altre regioni, il problema<br />

principale è tuttavia rappresentato dalla lentezza<br />

con cui si rinnova la pianificazione e dall’inerzia<br />

delle decisioni. A Sesto Fiorentino, uno dei primi<br />

comuni nei quali si è adoperato l’incerto modello<br />

della legge 5/1995, il vecchio PRG è morto nel<br />

2006, cioè 11 anni dopo l’inizio dell’applicazione<br />

di quella legge.<br />

Nella provincia di Firenze molti comuni<br />

hanno approvato il piano strutturale ma non<br />

il piano operativo, il Regolamento urbanistico.<br />

Clamoroso è il caso di Firenze, che dopo tredici<br />

anni dal suo avvio anni non ha concluso l’iter<br />

formativo del piano strutturale. Nella più rosea<br />

delle ipotesi saranno necessari altri due anni per<br />

“superare” il vecchio PRG: cioè saranno trascorsi<br />

quindici anni dalla legge.<br />

Nel frattempo i vecchi PRG e le loro scelte<br />

obsolete (generalmente caratterizzate dal<br />

sovradimensionamento) pesano.<br />

sulla riforma urbnistica<br />

A Firenze oggi si realizza una tramvia pensata<br />

20 anni fa; la progettazione dell’attraversamento<br />

del treno ad alta velocità è iniziato negli<br />

anni Novanta; l’università a Sesto Fiorentino<br />

è attuativa di in un brandello del Piano<br />

intercomunale, progettato da Detti negli anni<br />

Sessanta, del quale si sono realizzati alcuni<br />

tasselli casuali che oggi appaiono del tutto<br />

privi di logica urbanistica; il famoso intervento<br />

sull’area Fiat-Fondiaria, contestato un quarto<br />

di secolo fa, sta per essere completato oggi (e<br />

non parliamo del come). In base alla legge (o<br />

meglio, alla sua interpretazione corrente) le<br />

previsioni obsolete o semplicemente vecchie non<br />

decadono: nulla di ciò che è stato promesso può<br />

essere messo in discussione, e tutto si somma in<br />

maniera casuale.<br />

Se almeno il tempo trascorso fosse stato<br />

impiegato per costruire strumenti e strutture di<br />

pianificazione efficaci, competenti, attrezzati,<br />

autorevoli, se almeno si fosse instaurata una<br />

prassi ci collaborazione tra le strutture tecniche<br />

dei diversi livelli di governo i cui interessi e le<br />

cui azioni si intersecano sugli stessi territori,<br />

se fosse maturata una cultura (tecnica, politica,<br />

amministrativa) condivisa e capace di durare nel<br />

tempo, il tempo impiegato nella prima fase di<br />

attuazione del nuovo modello di pianificazione<br />

avrebbe potuto dare frutti negli anni a venire.<br />

Così – almeno per quanto mi è dato conoscere<br />

– non è stato. Spero che altri contributi su questo<br />

tema possano consentire di affermare che non<br />

dappertutto è così.<br />

1 Nelle diverse fasi della riflessione e della sperimentazione concorsero a mettere a punto la proposta dell’articolazione della<br />

pianificazione in primo luogo, e decisivamente Luigi Scano, poi Edgarda Feletti, Vezio De Lucia, Giulio Tamburini, Alessandro<br />

Dal Piaz, Filippo Ciccone, Gianfranco Pagliettini, Giancarlo Storto, Paolo Berdini., Bernardo Rossi Doria, Mauro Baioni.<br />

2 Mi riferisco alla variante di PRG per la città antica, la cui costruzione fu impostata e iniziata nel 1982, interrotta nel 1985,<br />

ripresa nel 1987, conclusa e resa pubblica nel 1990. La variante venne adottata nel 1992 Ho seguito il piano come diretto<br />

responsabile nella prima fase, poi come collaboratore esterno negli anni in cui, assessori Boato prima e Salvagno poi, gli uffici<br />

diretti da Edgarda Feletti, con la costante collaborazione di Scano, lo conclusero e portarono all’adozione. La Giunta eletta nel<br />

1993 (sindaco Massimo Cacciari), vittima della ventata di neoliberismo che in quegli anni soffiava impetuosa, iniziò subito<br />

smantellare quel piano. Esso fu ampiamente rimaneggiato dall’assessore Roberto D’Agostino e dal consulente Leonardo<br />

Benevolo, soprattutto nella normativa, che cancellarono l’articolazione in due componenti e resero molto flessibile, per non<br />

dire inesistente, il controllo delle trasformazioni. Un riepilogo della vicenda è pubblicato sul Bollettino di Italia Nostra n.430<br />

(2007).<br />

3 “Livelli di pianificazione e livelli di governo: Le tendenze che devono affermarsi per la costruzione di un processo unitario di<br />

pianificazione”.”, in: Provincia di Bologna, Luoghi e logos - Il territorio fra sistemi di decisione e tecnologie della conoscenza,<br />

convegno nazionale, Bologna, 27-28 nov. 1984. Il mio contributo è inserito nel terzo volume dei materiali preparatori.<br />

4 “L’urbanistica dal piano alla pianificazione”, La Rivista Trimestrale, n. 4, dicembre 1985<br />

25


sulla riforma urbanistica<br />

5 Le tesi sono pubblicate in un supplemento allegato al n. 108, novembre-dicembre 1989, della rivista Urbanistica informazioni.<br />

6 Si veda P. Della Seta, E. Salzano, L’Italia a sacco. Come negli incredibili anni ’80, nacque e si diffuse Tangentopoli, Editori Riuniti,<br />

Roma, 1993.<br />

7 Le tesi alternative sono pubblicate in eddyburg.it, al seguente indirizzo: http://eddyburg.it/article/<br />

8<br />

articleview/10649/0/15/<br />

Le ragioni sono espresse nell’editoriale di “Commiato” che pubblicai nell’ultimo numero di Urbanistica informazioni che uscì<br />

sotto la mia direzione (n. 125-126, settembre-dicembre 1992).<br />

9 Convegno nazionale “1942-1992: Cinquant’anni dopo la legge urbanistica italiana”, Venezia, 8-9 ottobre 1992. Ora in:<br />

Cinquant’anni dalla legge urbanistica italiana 1942-92, a cura di E. Salzano, Editori Riuniti, Roma, 1993.<br />

10 Il Piano paesaggistico regionale dell’Emilia-Romagna fu adottato il 29 dicembre 1986.<br />

11 “Nota sulle proposte di riforma urbanistica dell’INU -1995”, in: XXI Congresso Inu, Bologna 23-25 novembre 1995, Atti, Volume<br />

secondo - I contributi al congresso.<br />

12 Nel mio Fondamenti di urbanistica (Laterza, Roma-Bari, 1998) l’ho definito come quel principio per il quale “ogni ente elettivo<br />

di primo grado, rappresentante di interessi generali della cittadinanza, esprime le proprie scelte sul territorio mediante atti<br />

di pianificazione; mediante atti, cioè, nei quali le scelte siano esplicite, chiaramente definite nei confronti di tutti, trasparenti e<br />

- ovviamente - riferite precisamente al territorio, cioè rappresentate su di una base cartografica di scala adeguata alla maggiore<br />

o minore definizione e precettività delle scelte”.<br />

26


Urbanistica che fare?<br />

In molti paesi europei, e non solo, l’urbanistica<br />

è stata la leva che ha risollevato le città e le<br />

economie nazionali dalla crisi post-industriale.<br />

Anche in questi paesi l’urbanistica è in genere<br />

materia di competenza locale/regionale, ma ciò<br />

non toglie che i governi nazionali se ne occupino<br />

ugualmente, direttamente o indirettamente, con<br />

indirizzi, programmi, provvedimenti e anche<br />

finanziamenti specifici.<br />

Naturalmente anche in questi paesi l’urbanistica<br />

crea da sempre conflitti; e anzi più di sempre,<br />

da quando l’urbanistica si è rivolta, in buona misura,<br />

alla trasformazione di parti di città già costruite<br />

(e magari abitate), inutilizzate (es. are industriali<br />

dismesse) e/o variamente degradate. E<br />

naturalmente anche in questi paesi l’urbanistica<br />

produce ricchezza, il che però non suscita particolare<br />

scandalo. Anzi, proprio questo è considerato<br />

l’interessante dell’urbanistica, il che contribuisce<br />

per altro anche a un’immagine positiva<br />

dell’urbanistica; più o meno, a seconda della<br />

capacità delle amministrazioni di recuperare<br />

una parte di questa ricchezza e, specialmente, di<br />

reinvestirla in miglioramenti ambientali e della<br />

qualità urbana in genere.<br />

Il convertire “direttamente” una parte del plus<br />

valore (o della “rendita”, se si vuole) delle trasformazioni<br />

urbane in “beni pubblici”, attraverso<br />

la mediazione dell’ente di governo locale,<br />

sembra per altro trasgredire una delle regole<br />

auree dell’economia classica (Einaudi, per esempio),<br />

che vorrebbe a monte (e a livello “centrale”)<br />

tasse generiche e generalizzate (possibilmente<br />

proporzionate ai redditi) e a valle macroscelte<br />

di spesa (sempre a livello “centrale”), più<br />

o meno adeguatamente ripartite, secondo necessità<br />

e opportunità, tra re-distribuzione sociale<br />

(assistenza, servizi pubblici, sicurezza,, housing<br />

sociale, etc.), comunque più o meno equa, e investimenti,<br />

comunque più o meno oculati.<br />

Questa seconda scelta è con tutta evidenza più<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Paolo Avarello<br />

difficile, dal punto di vista “politico”, perché<br />

necessariamente più determinata, più selettiva,<br />

e spesso anche meno immediatamente “spendibile”<br />

come immagine, soprattutto per opere<br />

che comportino tempi lunghi di realizzazione.<br />

Tuttavia, se nell’immediato questa scelta favorisce<br />

inevitabilmente una o più categorie (es.<br />

le imprese che realizzano infrastrutture), a medio/lungo<br />

termine anch’essa va a favore di tutti,<br />

perché sostiene comunque l’economia “reale”, e<br />

inoltre produce “beni collettivi”.<br />

E va detto che questa regola, già incrinata dal<br />

“modello keynesiano”, è stata comunque messa<br />

in crisi ovunque dagli sviluppi economici e<br />

sociali della seconda metà del secolo scorso.<br />

In particolare, con il mutamento di ruolo degli<br />

“stati centrali”, prodotto in buona parte appunto<br />

dalla crisi della “società industriale”, poi dalla<br />

fase di ristrutturazione dei sistemi produttivi,<br />

infine dalla tendenziale crescita delle autonomie<br />

regionali/locali, variamente perseguita, interpretata<br />

e più o meno organizzata nei diversi paesi.<br />

Questa fase critica della nostra storia recente<br />

ha significato per altro anche la fine, in Europa,<br />

e comunque la crisi, ovunque, dell’alternativa<br />

statalista di tipo socialista.<br />

In questo processo “inevitabile” un ruolo<br />

significativo, per i paesi europei, è stato svolto<br />

dalla Comunità, e poi dalla Unione Europea, non<br />

tanto come attenuazione dei poteri formali dei<br />

singoli stati nazionali – comunque gelosi della<br />

“materia urbanistica”, e non a caso – quanto<br />

in termini di controllo economico e finanziario<br />

(es. indebitamento, inflazione), di tendenziale<br />

omogeneizzazione di alcune regole e procedure<br />

(es. riguardo l’ambiente, ancora la finanza, i<br />

sistemi di valutazione, le certificazioni, etc.);<br />

infine, in parte, e in qualche modo, anche sulla<br />

concezione stessa dello “sviluppo” (più o meno<br />

“sostenibile/durevole”) e sulle modalità del suo<br />

perseguimento, soprattutto a livello locale.<br />

27


sulla riforma urbanistica<br />

Come ho scritto altrove (“Urbanistica”, n. 129),<br />

in Italia la considerazione sociale dell’urbanistica<br />

è molto bassa. È noto infatti che i poteri statali<br />

non se ne occupano affatto, anche se a volte<br />

assumono provvedimenti che direttamente o<br />

indirettamente (inconsapevolmente?) assumono<br />

di fatto incidenza urbanistica (es. Ici, alcune<br />

infrastrutture, etc.). Unica eccezione “consapevole”,<br />

e forzata, la Corte Costituzionale, che di<br />

sentenza in sentenza ha finito di sgretolare gli<br />

ultimi resti della vecchia (vecchissima) legislazione<br />

in materia, e che deve comunque occuparsi<br />

del contenzioso, nella stessa materia, tra Stato<br />

e regioni e, molto più, viceversa. Ma per fortuna,<br />

a questo punto, lo fa molto lentamente.<br />

In mancanza di una “riforma” (legislativa)<br />

nazionale, anche questo è noto, molte regioni<br />

hanno approvato proprie leggi per il “governo<br />

del territorio”, che in apparenza (spesso) e/o<br />

nella sostanza (qualche volta) hanno tentato di<br />

recepire le innovazioni variamente proposte (es.<br />

dall’Inu) dalla metà degli anni Novanta. Queste<br />

riforme regionali hanno prodotto qua e là<br />

qualche esito, per esempio nelle modalità e nei<br />

tempi di (redazione e) approvazione dei piani.<br />

In pochi, rarissimi casi anche nella sostanza e,<br />

quindi, nei contenuti dei piani stessi.<br />

Alcune regioni e molte province, infine, si sono<br />

impegnate direttamente nelle pianificazioni<br />

di loro competenza, a carattere “territoriale”<br />

e “generale”, mentre le regioni stesse (es. con<br />

i piani paesistici), ma anche altri enti, non<br />

“elettivi” si sono sporadicamente impegnati<br />

nelle pianificazioni ormai diffusamente chiamate<br />

“separate” (es. piani di bacino, dei parchi, etc.), e<br />

anche nella produzione di strumenti, per lo più<br />

a carattere amministrativo (es. piani delle cave,<br />

controllo delle acque, etc.), e anch’essi alquanto<br />

“separati”, di fatto destinati alla gestione di<br />

questo o quello specifico problema: al margine<br />

o, più spesso, del tutto al di fuori di ogni<br />

pianificazione.<br />

La maggior parte di queste pianificazioni,<br />

specie quelle a carattere “generale”, sono<br />

orientate comunque a “fornire indicazioni” alle<br />

pianificazioni comunali; ovvero, più che spesso,<br />

a porre “paletti” a eventuali, e per altro frequenti,<br />

eccessi di previsioni insediative/espansive,<br />

piuttosto che a delineare gli obiettivi, le strategie<br />

e le politiche degli enti stessi che pianificano.<br />

28<br />

Nonostante alcuni, generosi, tentativi di<br />

volgere in positivo la pianificazione urbanistica<br />

– al di là delle (ormai stanche) retoriche, che<br />

pure ricorrono diffusamente – il sottofondo<br />

prevalente rimane dunque quello dei “lacci<br />

e lacciuoli”: il piano esprime anzitutto – e<br />

comunque così viene percepito – quello che “non<br />

si deve fare”, piuttosto di quello che si vuole<br />

fare. Sembra dunque che il “potere di piano” si<br />

eserciti anzitutto negando per tutti, e poi magari<br />

concedendo a qualcuno, anche troppo, ma<br />

sempre caso per caso. Evidentemente le scelte<br />

determinate e “generali”, come del resto anche<br />

la trasparenza amministrativa – per altro assai<br />

poco praticata nel nostro paese – nuocciono<br />

alla politica. Di recente questi occhi hanno visto<br />

assessori litigare fino all’ultimo metro cubo,<br />

su un pre-preliminare di piano appositamente<br />

concepito e disegnato per impedire questo<br />

esercizio, nel tentativo, invece, di chiarire le<br />

possibili scelte di fondo.<br />

Le risorse sono d’altronde scarse: da tempo<br />

mi chiedo quale sia il senso di un piano, quali<br />

che siano le sue “previsioni”, ad esempio in<br />

un comune che non abbia nemmeno le risorse<br />

per la manutenzione di quel poco che ha? E,<br />

più in generale, se ha senso un piano le cui<br />

“previsioni” siano palesemente sproporzionate<br />

alle risorse disponibili, e per altro anche a quelle<br />

ragionevolmente attivabili.<br />

Dalla seconda metà degli anni Sessanta l’edilizia<br />

residenziale sociale, pubblica e/o assistita, è<br />

stato un contenuto fondamentale dei piani, e<br />

in buona parte anche della loro attuazione che,<br />

come è noto, prevedeva l’esproprio di tutta<br />

l’area necessaria alla realizzane dei “quartieri”<br />

(che pure raramente si sono dimostri tali).<br />

È questa comunque l’unica applicazione<br />

importante di quanto in realtà già previsto per<br />

tutti i piani particolareggiati dalla legge 1150/42.<br />

Tuttavia, per renderla legittima e possibile, ci<br />

volle il riconoscimento che si trattava davvero<br />

di interventi nel loro insieme di “pubblico<br />

interesse”, non bastando evidentemente quella<br />

originaria – la ordinata espansione degli<br />

insediamenti – pur concepita da un regime assai<br />

poco democratico e poco rispettoso dei diritti<br />

individuali.<br />

I giudizi a posteriori su questa esperienza – per<br />

altro condivisa con la maggior parte dei paesi


europei, così come le critiche di oggi – non sono in<br />

genere positivi, anche se a volte eccessivamente<br />

ingiusti. La fine di questa fase lascia comunque<br />

un vuoto, certamente determinante per la<br />

“questione abitativa”, ma che dovrebbe far<br />

riflettere anche sulla “questione urbanistica”, o<br />

almeno sui contenuti, e magari sulle “forme” dei<br />

piani urbanistici.<br />

Dai residui passivi del fondo ex-Gescal, già amministrato<br />

dal Cer – e anticipati da un paio di<br />

leggi regionali – nascono anche i primi di quelli<br />

in seguito definiti stabilmente “programmi complessi”,<br />

visti dapprima con scandalo, in quanto<br />

tendenzialmente strumenti “in variante” dei<br />

piani regolatori, per di più con modalità accelerate<br />

e/o semplificate (almeno in teoria), e di<br />

fatto basati sulla contrattazione tra pubblico (ovvero<br />

il comune) e privato, ovvero le imprese.<br />

Nonostante gli arcigni disgusti degli urbanisti<br />

più “trinariciuti”, e mettendo a parte le<br />

retoriche, questi programmi hanno avuto<br />

un iniziale successo, suscitando addirittura<br />

qualche entusiasmo; in qualche caso hanno<br />

perfino prodotto trasformazioni di qualche<br />

rilievo. Ho visto però, e più spesso, procedure<br />

“accelerate e semplificate” protrarsi per anni, tra<br />

mille contenziosi, e spesso, alla fine, partorire<br />

“topolini” (la ristrutturazione di un isolato o<br />

poco più) o, peggio, banalissimi insediamenti<br />

di espansione urbana, per i quali una “vecchia”<br />

lottizzazione convenzionata sarebbe stata anche<br />

troppo.<br />

Nella maggior parte dei casi, comunque, restano<br />

evidenti le difficoltà, le inerzie e gli attriti che si<br />

verificano tra la rigidità “senza tempo” delle<br />

prassi amministrative, e quindi anche dei piani<br />

urbanistici, che sono comunque anche strumenti<br />

sulla riforma urbnistica<br />

dell’amministrazione, e quella che dovrebbe<br />

essere una “nuova cultura (ovviamente non solo<br />

urbanistica) del fare”.<br />

In sostanza, i tentativi fino ad ora compiuti per<br />

rinnovare l’urbanistica italiana – dalle leggi regionali<br />

ai “nuovi” piani comunali che (più o<br />

meno) ne sono conseguiti, dalle pianificazioni<br />

territoriali alla sperimentazione dei “programmi<br />

complessi”, è affogata in buona parte – non<br />

tutta, per fortuna – nel totale disinteresse centrale/statale,<br />

nell’insipienza della politica (anche<br />

locale) – o almeno nella sua incapacità di modificare<br />

comportamenti e clientele – e, soprattutto,<br />

nell’inerzia culturale di tecnici e professionisti,<br />

interni ed esterni alle amministrazioni, che<br />

quando pure non espressamente ostili all’innovazione<br />

(per la verità non molti), hanno mostrato<br />

comunque, almeno, poca voglia di imparare,<br />

di aggiornarsi e di sperimentare; manovrando<br />

piuttosto per riassorbire le innovazioni nelle<br />

pratiche consuetudinarie, evidentemente più<br />

confortevoli.<br />

Fermo restando quindi l’obbligo morale di<br />

insistere, mettendo in atto ogni possibile<br />

pressione – e resistendo all’insopportabile<br />

silenzio politico – per una riforma nazionale<br />

del “governo del territorio” che sia davvero<br />

tale, e non si limiti a ridefinire le modalità della<br />

pianificazione locale/comunale, altrettanto e<br />

maggiore impegno bisognerebbe profondere<br />

per promuovere, a livello nazionale e locale, ma<br />

anche presso il piccolo popolo degli “addetti<br />

ai lavori”, una cultura urbanistica adeguata<br />

alle sfide di questo secolo, ovvero capace di<br />

affrontare e risolvere i problemi già emersi e<br />

quelli emergenti, per “produrre città” migliori,<br />

in maniera più efficiente e più equa.<br />

29


sulla riforma urbanistica<br />

30


Una riflessione sulla “qualità urbana”<br />

dopo dieci anni di attuazione della Legge<br />

Regionale 19/98<br />

Il concetto di riqualificazione implica un<br />

approccio integrato ai problemi del territorio<br />

e presuppone una domanda di qualità (qualità<br />

ambientale, qualità delle relazioni umane,<br />

qualità della vita urbana) che non può essere<br />

soddisfatta soltanto da interventi fisici di<br />

recupero o di sostituzione edilizia, ma richiede<br />

una maggiore disponibilità verso programmi<br />

complessi che integrino la trasformazione con<br />

obiettivi di ricucitura del tessuto urbano e il<br />

recupero delle preesistenze con opportuni<br />

inserimenti di architettura contemporanea.<br />

La stagione dei programmi complessi ci ha posto<br />

di fronte ad una quantità di strumenti tendenti<br />

a introdurre nella prassi urbanistica l’obiettivo<br />

di integrare fra loro la dimensione del piano e<br />

quella del progetto di architettura. Il termine<br />

progetto urbano può servire a sintetizzare<br />

questo approccio al progetto applicato ad un<br />

ambito urbano che comprende architetture<br />

e spazi aperti e si qualifica come generatore<br />

di un intervento che punta a recuperare in<br />

tale ambito obiettivi di centralità propri delle<br />

culture urbane, cercando di non riprodurre<br />

la dicotomia esistente tra centro e periferia.<br />

Del tutto correlato alla individuazione della<br />

“dimensione strategica” del progetto urbano è<br />

dunque il tema della definizione di un ambito<br />

significativo e degli obiettivi di qualità urbana<br />

da raggiungere in esso. Nella individuazione<br />

degli ambiti di intervento va ricercata anche<br />

la dimensione possibile per la partecipazione<br />

dei cittadini alle scelte che riguardano il loro<br />

territorio.<br />

Il progetto urbano deve evitare il rischio di<br />

cadere in due semplificazioni contrapposte,<br />

entrambe negative: da un lato l’ambizione<br />

di poter trattare intere parti di città con un<br />

disegno urbano precostituito alla scala del<br />

progetto architettonico, che è di per sé concluso<br />

e statico e non consente una flessibilità attuativa;<br />

dall’altro l‘illusione di concentrare nel progetto<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Michele Zanelli<br />

di un edificio o complesso architettonico di<br />

particolare fascino l’obiettivo di realizzare una<br />

nuova polarità urbana e di riscattare così un<br />

intero quartiere periferico dall’anonimato e<br />

dalla monofunzione residenziale.<br />

La qualità urbana del progetto deve essere<br />

assicurata dunque non dalla sua uniformità<br />

progettuale, quanto dalla pluralità di funzioni<br />

insediate e dalla flessibilità di impianto; la sua<br />

funzione strategica consiste nel costituire un<br />

quadro di assieme la cui fattibilità sia garantita<br />

anche in presenza di una certa variabilità dei<br />

singoli interventi.<br />

I Programmi di Riqualificazione Urbana<br />

costituiscono una tipologia di progetto urbano<br />

applicato agli ambiti di riqualificazione per<br />

governare i processi di trasformazione urbana, in<br />

uno scenario che si pensava caratterizzato dalla<br />

fine della fase di espansione della città. Sono<br />

uno strumento operativo di pianificazione che<br />

attua politiche urbane in partnership pubblicoprivato.<br />

Possono restare casi episodici, accordi<br />

“caso per caso”, alternativi alla pianificazione<br />

generale oppure divenire organici alla<br />

pianificazione strategica: perché ciò avvenga<br />

occorre evidentemente una forte regia pubblica<br />

che si traduca in una “agenda strategica della<br />

pubblica amministrazione” e definisca obiettivi<br />

e priorità da realizzare in un determinato arco di<br />

tempo (per esempio la prospettiva di un piano<br />

operativo comunale).<br />

La Legge regionale 19/1998 “Norme in materia<br />

di riqualificazione urbana” appartiene alla<br />

famiglia dei programmi integrati che a partire<br />

dagli anni 90 hanno innovato l’intervento<br />

pubblico in edilizia allargandolo alla sfera del<br />

quartiere e coinvolgendo in programmi di<br />

riqualificazione una pluralità di funzioni urbane<br />

e di soggetti attuatori pubblici e privati. La<br />

caratteristica di questi programmi, nei casi in cui<br />

hanno interessato realmente parti significative<br />

31


sulla riforma urbanistica<br />

del territorio urbano e hanno coinvolto i<br />

cittadini attraverso forme concrete di urbanistica<br />

partecipata, e non solo “consensuale”, è quella<br />

della immediata operatività che si traduce nella<br />

contestuale realizzazione di interventi privati e<br />

opere pubbliche che concorrono a rinnovare e<br />

riqualificare sistemi urbani complessi.<br />

Nel corso dei dieci anni trascorsi dalla sua<br />

emanazione, la legge è stata sperimentata in una<br />

cinquantina di Comuni selezionati sulla base<br />

del Bando regionale del 1999, che ha avviato<br />

la formazione di 60 Pru e la sottoscrizione<br />

di altrettanti Accordi di programma per la<br />

loro attuazione. A partire dal 2005 i Pru, o<br />

meglio i loro provvisori risultati effettivi, sono<br />

sottoposti alla valutazione del Servizio regionale<br />

Riqualificazione Urbana, con il duplice scopo di<br />

ricavarne un complessivo giudizio di coerenza<br />

con gli obiettivi della legge e di formulare<br />

una serie di osservazioni utili ad un eventuale<br />

adeguamento della legge stessa.<br />

L’effetto principale dei Pru, come d’altronde<br />

è il risultato atteso anche dai Contratti di<br />

Quartiere II, è il recupero urbano di quartieri di<br />

edilizia residenziale pubblica e la realizzazione<br />

di opere pubbliche e servizi complementari.<br />

L’apporto degli operatori privati ha prodotto<br />

risultati apprezzabili nella differenziazione<br />

del mix funzionale ma si è tradotto anch’esso<br />

soprattutto nella realizzazione di interventi<br />

abitativi. In alcune situazioni si è creato un<br />

positivo intreccio con le politiche dei trasporti,<br />

soprattutto in relazione agli ambiti di stazione,<br />

e più in generale sono stati introitati nei Pru<br />

finalità sociali e obiettivi di sicurezza urbana. Di<br />

fatto tuttavia quello che era uno degli obiettivi<br />

dichiarati della legge 19/98 - l’integrazione<br />

dei diversi settori di intervento che possono<br />

influire sulla qualità urbana - si è realizzato solo<br />

parzialmente o episodicamente.<br />

Nonostante alcuni esempi positivi, in effetti non<br />

si è realizzato in modo soddisfacente nelle amministrazioni<br />

locali il coordinamento delle azioni<br />

attinenti ai diversi settori nei quali le politiche<br />

urbane trovano la loro attuazione: dalle politiche<br />

sociali a quelle della mobilità, della regolamentazione<br />

del traffico, della lotta all’inquinamento,<br />

della difesa dell’ambiente, della sicurezza e del<br />

contrasto al degrado urbano. In questa scarsa rilevanza<br />

della intersettorialità hanno certamente<br />

32<br />

avuto un ruolo i vincoli di destinazione di buona<br />

parte delle risorse pubbliche utilizzate per<br />

promuovere i programmi, che essendo ancora<br />

provenienti dal settore dell’edilizia residenziale<br />

pubblica hanno indubbiamente determinato un<br />

indirizzo prevalente verso le politiche abitative.<br />

Tuttavia un altro motivo della scarsa integrazione<br />

delle funzioni nei Pru va ricercato in una carenza<br />

del processo partecipativo che, pur richiamato<br />

dalla legge regionale, in molti casi non si è<br />

tradotto in una efficace concertazione pubblica<br />

delle proposte e in una condivisione allargata<br />

delle scelte.<br />

La frammentazione della sfera pubblica è una<br />

patologia del governo della città che si trasmette<br />

al comportamento dei cittadini e da questo trae<br />

nuova linfa: il declino progressivo dello spazio<br />

pubblico va di pari passo con lo sviluppo di<br />

politiche urbane settorializzate per funzioni.<br />

Così come la zonizzazione, ossia la divisione<br />

dello spazio urbano in zone funzionali<br />

omogenee, ha infranto l’unitarietà della polis<br />

nella sua dimensione spaziale (ovvero lo<br />

spazio pubblico), altrettanto l’amministrazione<br />

della città articolata in settori specializzati per<br />

competenze ha frammentato la civitas (cioè la<br />

partecipazione alla comunità in base al diritto<br />

di cittadinanza) in una serie di categorie in cui<br />

i cittadini sono incasellati come stakeholders<br />

(portatori di interessi specifici) espressione che<br />

tende ad introdurre forme di specializzazione<br />

tra gli amministrati.<br />

La specializzazione è di per sé un fattore di<br />

dissoluzione per la vitalità dello spazio pubblico<br />

che si nutre di interazioni casuali e spontanee tra<br />

persone di età e attitudini diverse. Se le strade<br />

e le piazze della città non sono frequentate da<br />

un pubblico misto (socialmente, culturalmente,<br />

anagraficamente…) ci troviamo di fonte a<br />

patologie urbane: spazi segregati o connotati, sia<br />

in senso “elitario” che in senso “comunitario”,<br />

strade frequentate esclusivamente da un<br />

pubblico giovanile, luoghi dedicati agli anziani,<br />

ambiti periferici che diventano il punto di<br />

ritrovo di gruppi etnici, giardini pubblici in<br />

cui si incontrano solo spacciatori e così via.<br />

Spesso queste specializzazioni sono la risposta<br />

del “mercato” ad una domanda diversificata:<br />

per esempio il concentramento di birrerie e<br />

paninoteche in zona universitaria o la diffusione


delle boutique monomarca in alcuni settori del<br />

centro. Ma altrettanto spesso sono favorite,<br />

anziché disincentivate, dalle politiche pubbliche<br />

che non trovano un coordinamento strategico.<br />

Uno degli esempi più evidenti dell’incapacità<br />

dell’amministrazione di rispondere con<br />

programmi fra loro integrati all’emergere di<br />

problematiche diffuse di insicurezza e di degrado<br />

urbano sta nella tendenza a prendere iniziative<br />

episodiche ed emergenziali di ordine pubblico,<br />

quando si dovrebbero invece affrontare con<br />

misure di programmazione coordinata tra<br />

politiche sociali, culturali, di pianificazione degli<br />

usi e dei tempi della città.<br />

Altrettanto eclatante è la assoluta separatezza<br />

delle politiche del trasporto pubblico, che<br />

tendono ad affrontare in modo autoreferenziale<br />

puri obiettivi di efficienza ed economicità non<br />

interrogandosi sugli impatti delle diverse<br />

tecnologie sui contesti urbani né valutando<br />

appieno le opportunità che la rete dei trasporti<br />

pubblici può generare verso obiettivi complessivi<br />

di riqualificazione urbana.<br />

Con il progetto bolognese del Civis queste<br />

contraddizioni sono giunte ad una evidenza<br />

che ogni giorno si arricchisce di nuovi dettagli<br />

per la risonanza che la nuova tramvia ha<br />

ottenuto sulla stampa locale da quando, l’estate<br />

scorsa, iniziarono i primi cantieri stradali per la<br />

predisposizione del tracciato. Così i bolognesi<br />

sanno tutto sulla tecnologia del nuovo tram<br />

su gomma, “con lettura ottica del percorso<br />

e banchine per l’incarrozzamento a raso”<br />

ma nessuno, neppure la Soprintendenza ha<br />

potuto finora esaminare il progetto esecutivo<br />

del tracciato, che interessa le vie del centro<br />

storico, per il semplice motivo che, nel gioco<br />

di appalti e subappalti, il Comune non ne ha la<br />

disponibilità.<br />

Pare infatti che l ‘Associazione Temporanea di<br />

Imprese che si è aggiudicato l’appalto per conto<br />

dell’ATC debba ancora consegnare il progetto<br />

esecutivo, nonostante siano già iniziati i cantieri<br />

per la parte periurbana del percorso.<br />

Il problema della compatibilità del Civis con il<br />

centro storico non trova quindi una sede di verifica,<br />

né in rapporto alle esigenze di tutela e conservazione,<br />

né in funzione di un progetto coordinato<br />

di valorizzazione degli spazi pubblici che<br />

sulla riforma urbnistica<br />

tenga assieme le politiche di regolamentazione<br />

della sosta e della pedonalizzazione delle strade<br />

con la pianificazione delle attività commerciali e<br />

delle iniziative culturali, per arginare il declino<br />

evidente del capoluogo bolognese.<br />

Nel paradigma della “qualità urbana” è<br />

fortemente coinvolto il tema delle infrastrutture<br />

per la mobilità e l’accessibilità ai cosiddetti poli<br />

funzionali: sulla disponibilità ed adeguatezza<br />

dei sistemi di trasporto pubblico si misura un<br />

indubbio ritardo che gioca tutto a sfavore dei<br />

centri maggiori, soffocati dalla congestione<br />

del traffico privato non sufficientemente<br />

controbilanciato dalla presenza di mezzi di<br />

trasporto pubblico realmente competitivi. Se<br />

dunque è indispensabile ripianare il deficit<br />

infrastrutturale che le nostre città hanno<br />

accumulato in questi ultimi decenni, questo<br />

obiettivo non potrà essere perseguito soltanto<br />

attraverso misure congiunturali delegate ai piani<br />

urbani del traffico delle singole città, e neppure<br />

distribuendo le (scarse) risorse disponibili in<br />

spezzoni di progetti locali di metropolitane o<br />

varianti sul tema.<br />

Si rende quindi necessario attribuire una<br />

più marcata definizione al “sistema” delle<br />

infrastrutture non come sommatoria di diverse<br />

modalità di trasporto e viabilità, ma come rete<br />

i cui nodi divengano i poli privilegiati per la<br />

localizzazione di nuove funzioni residenziali<br />

e di servizi. In modo complementare si<br />

sente l’esigenza di un’analisi delle criticità<br />

rappresentate dalle “barriere” del sistema<br />

infrastrutturale su quello insediativo, che non si<br />

limiti ad individuare le problematiche esistenti<br />

ma ponga in essere un sistema di “soluzioni<br />

preventive” per le nuove infrastrutture urbane.<br />

Le quali possono essere concepite come<br />

l’occasione per rendere più attraente e moderna<br />

la città soltanto se inserite in un progetto che ne<br />

sottolinei la funzione e l’immagine identitaria.<br />

Va tuttavia sottolineato che l’intervento pubblico<br />

nelle aree urbane tende a dare priorità alle grandi<br />

opere e a privilegiare gli interventi fisici di<br />

trasformazione urbanistica, trascurando sempre<br />

di più “l’ordinaria amministrazione” della città<br />

pubblica. In questa tendenza, motivata anche<br />

dalla episodicità dei finanziamenti disponibili,<br />

oltre al fatto che l’attenzione viene proiettata su<br />

un futuro incerto per via dei tempi troppo lunghi<br />

33


sulla riforma urbanistica<br />

di attuazione di questi interventi, si esprime<br />

anche una scarsa attenzione alla manutenzione<br />

dello spazio pubblico, che necessita di una<br />

cura costante, fatta sia di azioni puntuali di<br />

riqualificazione dell’arredo urbano, sia di un<br />

presidio capillare e quotidiano per prevenire<br />

il decadimento della qualità dei luoghi e<br />

l’insorgere del degrado.<br />

Potrebbe essere questo l’obiettivo da porre in<br />

agenda per i prossimi anni: destinare le risorse per<br />

la riqualificazione a programmi di manutenzione<br />

che possano tradursi occasionalmente in opere<br />

puntuali ma conservino un carattere di strumento<br />

quadro per promuovere con sistematicità un<br />

innalzamento della qualità urbana diffusa.<br />

Resta da individuare un sistema di reperimento<br />

delle risorse che garantisca continuità di<br />

finanziamenti alla città pubblica, posto che il<br />

canale dei trasferimenti statali sembra essere<br />

esaurito e quello dei fondi comunitari non può<br />

assumere certamente un carattere di ordinarietà,<br />

al di là del riconoscimento del ruolo delle città<br />

come motore dello sviluppo.<br />

Un recente studio del Cresme ci consegna una<br />

fotografia abbastanza stupefacente dello stato<br />

delle città italiane negli anni 2000: le abitazioni<br />

di nuova produzione sarebbero aumentate<br />

dell’88% tra il 2000 e il 2007. Ciò è il frutto di<br />

un trend iniziato negli anni ’90, quando si pensava<br />

ormai esaurita la fase dell’espansione urbana.<br />

Ma a popolazione stabile la domanda sostitutiva<br />

di case e quella primaria sostenuta del<br />

numero crescente di nuove famiglie (frutto delle<br />

dinamiche migratorie e in gran parte composte<br />

da single) ha generato una forte pressione sull’offerta<br />

di nuove case localizzata in modo par-<br />

34<br />

ticolare nell’hinterland dei grandi sistemi urbani.<br />

Le periferie più estreme e i comuni minori delle<br />

aree metropolitane hanno registrato tra il ’91 e<br />

il 2001 forti crescite di popolazione che si sono<br />

ulteriormente intensificate nei primi anni 2000.<br />

L’edilizia è tornata d essere come nel primo dopoguerra<br />

il settore di investimento primario. Ma<br />

così come allora la qualità del prodotto in questa<br />

nuova fase espansiva si è attestata su livelli bassi<br />

e su tipologie edilizie tradizionali che riecheggiano<br />

quelle degli anni ‘60/’70: si tratta in gran<br />

parte di palazzine monofunzionali costruite con<br />

soluzioni tecnologiche non innovative senza attenzione<br />

al risparmio energetico e alla sostenibilità<br />

ambientale.<br />

La disciplina urbanistica impegnata ad elaborare<br />

ricette per la perequazione non ha inciso né<br />

da freno né da indirizzo, rimanendo ancorata<br />

alla ricerca di uno scambio leale tra pubblico e<br />

privato che non ha avuto modo di realizzarsi<br />

in una fase espansiva del mercato, assecondata<br />

dalla necessità dei comuni di fare cassa con il<br />

gettito dell’Ici e degli oneri di urbanizzazione.<br />

Forse occorre partire da questa constatazione<br />

un po’ tardiva per chiedersi se non sia il caso<br />

di rivedere al rialzo l’incidenza degli oneri e<br />

disciplinarne la destinazione per le esclusive<br />

necessità della città pubblica. E dato che sembra<br />

si vada ora verso una fase di riflusso della<br />

domanda di abitazioni, potrebbe essere venuto<br />

il momento per una riforma della disciplina<br />

urbanistica che promuova la riqualificazione<br />

del patrimonio edilizio esistente come terreno<br />

prioritario se non esclusivo degli investimenti<br />

immobiliari.


Urbanistica e valorizzazione del<br />

patrimonio pubblico<br />

Ragioni di cautela nella proliferazione di poteri<br />

pubblici per interventi diretti nel mercato<br />

immobiliare<br />

Quando si affronta la questione della<br />

valorizzazione del patrimonio pubblico locale<br />

(ppl) la prima verifica appare la definizione<br />

dell’obiettivo di tale azione. Cioè lo scenario di<br />

bilancio (uso istituzionale delle risorse pubbliche<br />

locali) che si intende perseguire. Anteporre a tale<br />

obiettivo, come spesso accade, la realizzazione<br />

di strumenti societari e/o finanziari derivati (es.:<br />

STU, Agenzia di Sviluppo, Società Patrimoniale,<br />

ecc…) è spesso deviante rispetto al fine stesso<br />

della loro ideazione. E’ infatti poco approfondita<br />

una riflessione attono alla vita (di come vivono)<br />

di questi strumenti. Con ciò si intende infatti<br />

segnalare la necessità che gli strumenti in<br />

questione siano usati per fini specifici, dunque<br />

abbiamo un termine entro cui realizzano<br />

tale scopo. Diversamente si trasformano in<br />

macchine complesse e poco gestite per i fini<br />

originari, e di più per autoreferenza. Quanto<br />

poi al loro contributo a concorrere a una azione<br />

di contenimento e/o riduzione del debito<br />

pregresso dell’ente locale/genitore, vi è molto<br />

da dubitare.<br />

Le partecipazioni a tali società sono spesso infruttifere<br />

e non consentono, oltre l’immobilizzo<br />

finanziario, politiche di bilancio che allarghino<br />

la base dei cespiti, la capacità di manovra dell’Ente/genitore.<br />

Spesso le Società Patrimoniali<br />

(SP) in particolare, hanno l’obiettivo di evadere<br />

il patto interno di stabilità, ma non aumentano la<br />

ricchezza potenziale dell’Ente originante. In secondo<br />

luogo la SP è spesso indirizzata a compiere<br />

interventi che non creano ricchezza o valore<br />

aggiunto, piuttosto tendono a coprire spazi che<br />

l’Ente originante non è in grado allo stato attuale<br />

di colmare. E’ il caso della gestione di servizi<br />

sociali a fondo perduto (manutenzioni stradali,<br />

pubblica illuminazione, nuove reti di fognature,<br />

manutenzioni di aree verdi, parchi e giardini<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Davide Rubbini<br />

pubblici, ecc…) o dove i cespiti che possono derivare<br />

dagli investimenti appaiono molto al di<br />

sotto delle capacità di ammortamento.<br />

L’obiettivo iniziale dunque, lo scenario di<br />

governo del bilancio, è fondamentale ai fini della<br />

definizione degli strumenti. Tant’è che nella<br />

cultura evoluta contemporanea si pensa alla<br />

assoluta in-utilità di strumenti derivati di scopo<br />

come quelli sopra menzionati. L’obiettivo quindi<br />

dovrebbe essere in prima istanza una manovra di<br />

bilancio che, sia nella sua impostazione tecnica sia<br />

nei suoi contenuti istituzionali di gestione delle<br />

risorse, modifichi e qualifichi la propria struttura<br />

affinchè si possano liberare risorse aggiuntive<br />

da azioni specifiche, utilizzabili sia verso una<br />

riduzione più accelerata di debito pregresso<br />

(quindi diminuendo passività finanziarie) sia<br />

verso nuovi investimenti. Collaterale a questi<br />

obiettivi viene da se’ una possibile riduzione<br />

di imposizione fiscale locale. Quest’ultima<br />

questione, dovrebbe peraltro essere affrontata<br />

anch’essa in un piano parallelo pluriennale.<br />

Infatti è anche con una riduzione della fiscalità<br />

che possono essere sostenuti i consumi e dunque<br />

aumentati i trends di creazione di PIL locale. Nel<br />

caso di una Provincia, (ma cio’ vale anche e di più<br />

per il Comune) si può pensare a un concerto con<br />

gli altri Enti locali per una prima impostazione<br />

del tavolo di bilancio riclassificato, allargabile<br />

al resto della P.A. che a livello locale detiene<br />

patrimoni e beni diversi.<br />

Il concerto con i Comuni (e tra essi) è infatti<br />

rilevante al fine di una amministrazione<br />

coordinata di strumenti urbanistici, utili alla<br />

cosiddetta ri-generazione di patrimonio. Sono<br />

infatti i Comuni che hanno potestà in merito.<br />

La Provincia, spesso definita Ente intermedio di<br />

programmazione, ha certo un proprio bilancio<br />

e un proprio patrimonio, ma non ha leve di<br />

gestione diretta per la sua valorizzazione sul<br />

territorio. Il concerto dunque e il coordinamento<br />

con altri patrimoni pubblici come quelli dei<br />

35


sulla riforma urbanistica<br />

Comuni, può a tale riguardo rappresentare<br />

la prima azione “politica” da impostare, e cio’<br />

vale al contrario per il Comune. Una seconda<br />

azione è la riclassificazione del bilancio. Un<br />

riposizionamento delle poste secondo criteri<br />

civilistici che superi il concetto entrate-uscite<br />

accogliendo la ripartizione conto economico/<br />

stato patrimoniale (e noi diciamo gestione di<br />

competenza ovvero finanziaria). Si avverte in<br />

tutto cio’ che alienazioni tout court di patrimoni<br />

sono un imperdonabile errore tecnico ed<br />

economico oltrechè politico ed istituzionale.<br />

Una azione di valorizzazione deve poter contare<br />

su un vasto articolato patrimonio, verso il<br />

quale operare con cautela, anche se alineazioni,<br />

permute, ri-acquisti ecc… sono parte di tali<br />

valorizzazioni. Vi è dunque in primo luogo da<br />

dare obiettivi di risanamento e sviluppo dello<br />

stato delle risorse pubbliche locali. Tali obiettivi<br />

dovrebbero consistere come in altre realtà<br />

civilisticamente regolate, nel realizzare avanzi<br />

di amministrazione, cioè utile d’esercizio (detto<br />

anche nella PA “avanzo primario”), al fine di<br />

poter misurare il valore aggiunto prodotto in<br />

termini sociali, in termini di capitale fisso, ma<br />

anche in termini economici. Quanta ricchezza<br />

produco con la mia attività istituzionale?<br />

La sostenibilità economico-sociale cioè di<br />

politiche di bilancio dovrebbe guidare tutta<br />

l’azione istituzionale propria dell’Ente pubblico.<br />

Si può dare il caso a tale riguardo che il nostro<br />

Ente abbia oneri e incombenze tali che non possa<br />

per un certo periodo di tempo realizzare avanzo<br />

primario. E’ proprio in tale evenienza che mettere<br />

mano sia alla riclassificazione delle strutture<br />

contabili, sia a politiche di valorizzazione dei<br />

patrimoni può consentire di inserire voci di<br />

ricavo aggiuntivo al conto economico, ma<br />

anche voci di attività aggiuntiva nello stato<br />

patrimoniale. Questi “ingressi” non saranno “una<br />

tantum”. Infatti la componente “valorizzazioni”<br />

diventerà una posta di bilancio costante, che<br />

potrà incrementare anche significativamente la<br />

capacità di realizzare avanzo primario dell’Ente,<br />

dunque tutte le altre azioni conseguenti.<br />

Fare avanzo primario significa realizzare<br />

“accantonamenti”, incrementare il patrimonio.<br />

Quest’ultimo infatti nella nuova versione del<br />

bilancio così riclassificato, assumerà una ragione<br />

diversa da quella che oggi rappresenta (spesso<br />

appunto come beni di alienare per fare cassa e<br />

36<br />

punto). Il patrimonio infatti avrà, così riordinato,<br />

anche funzioni di affidabilità dell’Ente, di<br />

definizione di un suo “rating”, ma anche una<br />

capacità di potenziale ricchezza ulteriorimente<br />

realizzabile e così via.<br />

Una volta riclassificato il bilancio anche (ma<br />

non solo) sulla base dei valori economici<br />

che il patrimonio potrà realizzare, si potrà<br />

naturalmente procedere a impostare le azioni di<br />

valorizzazione finalizzate agli obiettivi definiti<br />

in sede politica (nuovi investimenti, rientro<br />

graduale e/o accelerato dal debito pregresso,<br />

riduzione della fiscalità e così via).<br />

E’ allora che si imporrà sulla base della potenzialità<br />

“azzardata” della ricchezza dell’Ente, una analisi<br />

degli strumenti e della loro efficacia rispetto agli<br />

obiettivi. E non viceversa, come spesso accade.<br />

Da questo punto di vista, affermare quel’è il<br />

potenziale economico che può essere messo in<br />

campo da una epoca di investimenti pubblici,<br />

diverrà la forza attrattiva verso partners pubblici<br />

e soprattutto privati perché si affianchino<br />

a tale programma, condividendone frutti e<br />

soddisfazioni reciproche.<br />

L’obiettivo di questo annuncio pubblico è non<br />

la nostra affidabilità, ma soprattutto la capacità<br />

di attrarre altri capitali e risorse sui nostri<br />

investimenti. Dunque accelerare l’impiego di<br />

risparmio diffuso in investimenti socialmente<br />

utili ma anche remunerativi. Il panorama locale<br />

offre solitamente diverse situazioni e articolate<br />

condizioni di potenzialità d’investimento. Come<br />

si è già detto nel nostro caso potrebbe essere di<br />

qualche riflessione l’oggetto dell’articolazione<br />

di un programma di valorizzazioni patrimoniali<br />

concertate tra Provincia e resto della P.A. locale<br />

(USL compresa ad esempio).<br />

La Provincia in questo caso potrebbe<br />

attivare programmi distinti ma coordinati<br />

di valorizzazioni di patrimonio, attivando le<br />

politiche di riclassificazione interna dello stato<br />

economico dei Comuni e degli altri Enti (ad<br />

esempio i Consorzi di Bonifica, le USL, alcune<br />

fondazioni e così via) per coordinarle con le<br />

proprie riclassificazioni e avviando appunto<br />

programmi di investimento tramite una<br />

complessa azione di valorizzazione congiunta<br />

di tutti i cespiti patrimoniali locali.


Sulla natura del patrimonio immobiliare<br />

pubblico<br />

Il patrimonio pubblico, specialmente quello dei<br />

Comuni, ha alcune particolarità. Una di esse è<br />

la riproducibilità, un’altra è la dimensione che<br />

solitamente, specie nelle residenze, è riscontrabile<br />

con volumi significativi. Un’altra ancora è il suo<br />

rapporto con le politiche di bilancio che l’Ente<br />

mette in campo o meno.<br />

Una ulteriore è data dalla particolarità delle reti,<br />

solitamente in capo alle (ex) municipalizzate,<br />

ma che la legislazione richiede di scorporare<br />

dalle gestioni. Vediamo alcune questioni, utili<br />

ai nostri ragionamenti. La riproducibilità del<br />

patrimonio è qui intesa come crescita continua e<br />

stabile dell’asset comunale a seguito di politiche<br />

urbanistiche che l’Ente mette in atto. Un Comune<br />

che abbia regolarità di strumenti urbanistici e di<br />

gestione corrente dell’edilizia privata (rilascio<br />

di permessi a costruire, approvazione di Piani<br />

urbanistici ecc.), può senz’altro impostare<br />

una politica di selezione e qualificazione del<br />

patrimonio ceduto ad esso in conto di oneri<br />

di urbanizzazioni, standards, di convenzioni<br />

e diritti e così via. In questo modo il Comune<br />

avrà una risorsa autonoma di riproduzione del<br />

proprio patrimonio. Ciò può consentire ipotesi<br />

di politiche di bilancio sul medio-lungo periodo.<br />

Una seconda caratteristica è la dimensione.<br />

Solitamente una città di medie dimensioni<br />

italiana (50.000/150.000 abitanti) si trova a<br />

disporre di qualche migliaio di alloggi (ex IACP<br />

ecc.), di aree dismesse, relitti vari e terreni.<br />

La dimensione di questi patrimoni può essere<br />

un fattore competitivo per l’impiego di una<br />

“massa critica” minima che valorizzata può a<br />

sua volta comportare una capacità di smobilizzo<br />

forse non sempre quantificabile, o comunque<br />

immaginabile della Amministazione. Una terza<br />

caratteristica delle capacità di accumulazione<br />

patrimoniale del Comune è l’uso dell’esproprio.<br />

Il Comune può espropriare aree per usi pubblici<br />

a prezzi (una volta agricoli) certamente di favore<br />

e soprattutto con elisione di rendite di posizione,<br />

ma a sua volta il Comune può reimpiegare<br />

quegli asset in politiche più complesse,<br />

dunque valorizzare i parametri di usabilità.<br />

L’apprezzamento dell’asset pubblico riceve così<br />

una spinta a contribuire al valore complessivo<br />

con montanti più consistenti di quanto esso<br />

sulla riforma urbnistica<br />

è costato per l’acquisizione. Una ulteriore<br />

caratteristica degli asset pubblici è il loro stretto<br />

legame con la storia amministrativa dell’Ente.<br />

Laddove il Comune (o il consorzio di comuni…)<br />

ha realizzato reti energetiche diverse, nel corso<br />

degli anni, il patrimonio che esse rappresentano<br />

può essere riclassificato in quanto detentore di<br />

possibili atti di concessione d’uso e dunque di<br />

cespiti per l’affitto a operatori (pubblici o privati)<br />

titolati alla gestione. Tali cespiti sono conferibili<br />

in fondi, ovvero in linee programmatiche di<br />

bilancio utili a garantire solviblità dell’Ente<br />

locale a fronte di investimenti di lungo periodo.<br />

Tutto quanto sopra può a sua volta essere<br />

impiegato e orientato a realizzare politiche<br />

di medio periodo per il recupero del debito<br />

pregresso che l’ente locale oggi sopporta con<br />

sempre più difficili condizioni finanziarie, e<br />

peraltro contribuire a una politica corrispondente<br />

di riduzione del carico fiscale su imprese locali<br />

e cittadini, sostenendo in tal modo i consumi e<br />

dunque realizzando politiche di sviluppo di PIL<br />

locale.<br />

Debito e sviluppo<br />

La finanza locale conosce oramai da qualche<br />

anno nel nostro paese una situazione di grave<br />

criticità, per il riflesso che le politiche di<br />

risanamento hanno generato, scaricando sui<br />

bilanci degli Enti locali parte cospicua delle<br />

manovre di contenimento della spesa pubblica<br />

e, contemporaneamente, per la domanda,<br />

incomprimibile ed anzi crescente, di servizi e<br />

prestazioni cui da luogo una società in rapida<br />

e profonda trasformazione come quella italiana<br />

dei primi anni del nuovo secolo.<br />

Una situazione sempre più stringente alla<br />

quale gli Enti locali cercano di far fronte<br />

con un complesso di manovre che agiscono,<br />

non sempre senza inconvenienti, sulle leve<br />

tariffarie e fiscali, ma anche sui processi di<br />

sviluppo urbano (alimentando i bilanci in parte<br />

corrente con quote crescenti di entrate per<br />

Oneri di Urbanizzazione) e sulle condizioni del<br />

patrimonio pubblico, con politiche di alienazioni<br />

e privatizzazioni. E’ tuttavia possibile intendere<br />

il patrimonio pubblico – frequentemente poco<br />

conosciuto, oltre che poco valorizzato, non solo<br />

come un’ancora di salvezza la cui dismissione<br />

37


sulla riforma urbanistica<br />

può fornire, in ultima istanza, quelle risorse<br />

finanziare che urgono per tamponare situazioni<br />

congiunturali, ma come una vera e propria leva<br />

strategica su cui operare attraverso processi<br />

di valorizzazione per conseguire importanti<br />

risultati non solo in termini finanziari ma anche<br />

di sostegno allo sviluppo delle comunità locali e<br />

di implementazione di nuove politiche sociali.<br />

Processi che possono trovare la loro massima<br />

efficacia quando vengono sviluppati<br />

contestualmente e in stretta sinergia con la<br />

pianificazione urbanistica, sviluppandone e<br />

valorizzandone appieno, così, una impronta<br />

strategico strutturale. Si può per questo<br />

parlare di un vero e proprio tema di “finanza<br />

della pianificazione”. Cioè di modi per cui<br />

sia possibile generale, tramite le pratiche di<br />

pianificazione, risorse aggiuntive per la sfera<br />

pubblica (in particolare per i Comuni), senza<br />

aggravi (e anzi con significative possibilità di<br />

riduzione) degli oneri e della pressione fiscale<br />

che oggi gravano sugli operatori e sui cittadini.<br />

Di particolare interesse parrebbe quindi una<br />

riflessione e un confronto su questi temi<br />

nell’attuale circostanza in cui la Regione Emilia<br />

Romagna sta promuovendo una messa a<br />

punto della legislazione urbanistica regionale<br />

finalizzata ad obiettivi di qualità sociale e di<br />

efficienza. Il problema che si vuole affrontare<br />

è appunto quello di valutare come valorizzare<br />

patrimoni pubblici e generare risorse finanziarie<br />

utili anche alla riduzione del debito locale<br />

(non solo dei Comuni ovviamente, ma ad<br />

esempio anche di ASL ovvero di ACER, e così<br />

via), tramite gestioni patrimoniali, pratiche<br />

concertative, istituzione di nuovi strumenti<br />

finanziari appropriati e innovativi e così via.<br />

Anche le politiche di bilancio, e la stessa<br />

struttura del bilancio del Comune, potrebbero<br />

e dovrebbero a tale riguardo essere orientate<br />

da approcci di pianificazione strategica, a<br />

partire da una riconsiderazione del conto del<br />

patrimonio e tramite una sua riclassificazione,<br />

e perché no, anche attraverso procedure di<br />

“quotazione”, con attribuzione di “ratings”,<br />

ovvero istituendo borse immobiliari utili alla<br />

perequazione, non più solo locale, ma di vasta<br />

scala (almeno regionale ?).<br />

38<br />

Finanza della pianificazione<br />

Accogliendo le ragioni di necessità che<br />

impongono modifiche e integrazioni alla<br />

legislazione vigente le Regioni sembrano anche<br />

intenzionate ad “aggiornare” il loro impianto<br />

normativo con alcune opzioni più incisive in<br />

talune questioni. Aldilà di tali opzioni, peraltro<br />

tutte interne e conseguenti l’elaborazione storica<br />

che si è prodotta in materia, appare colta solo in<br />

parte l’occasione per una ulteriore riflessione<br />

generale in ordine alla necessità di affrontare<br />

fenomeni e processi, che in generale il sistema-<br />

Italia ha di fronte.<br />

Non cogliere l’occasione può essere una<br />

scelta politica e istituzionale, ma può anche<br />

testimoniare una fase di imbarazzo culturale a<br />

nuove elaborazioni, che una nuova disciplina<br />

urbanistica nazionale dovrà comunque non<br />

eludere, e che in altre sedi hanno già trovato<br />

enunciazioni compiute. Innanzitutto andrà<br />

sottolineato come, aldilà dei tecnicismi<br />

istituzionali/pianificatori, la legislazione<br />

vigente non affronti il tema della possibilità<br />

realizzativa che il sistema delle istituzioni locali<br />

(Regione compresa) si trova a dover affrontare,<br />

rispetto a un quadro di necessità pianificatorie<br />

che ancora rischiano di realizzarsi tramite<br />

“varianti”, e dunque in difformità (sostanziale<br />

o meno) dai progetti di impianto che gli atti di<br />

pianificazione comportavano. Ci riferiamo cioè<br />

a un mancato raccordo stretto tra intenzioni di<br />

piano e governo concreto e diretto di processi di<br />

trasformazione e sviluppo che l’assetto pubblico<br />

oggi deve affrontare.<br />

Più chiaramente, appare ancora una separazione<br />

tra il piano delle scelte programmatiche/urbanistiche<br />

e il piano della economia reale. Il nodo<br />

è cioè la produzione e riproduzione di risorse<br />

pubbliche a sostegno dello sviluppo, dunque il<br />

loro impiego per realizzare quelle intenzioni di<br />

piano prima accennate.<br />

Un secondo scenario che appare ancora debole,<br />

è costituito da taluni fenomeni che, anche<br />

tecnicamente, ormai la disciplina urbanistica<br />

e di pianificazione di area vasta ha assunto<br />

come criterio generale di valutazione per gli<br />

orientamenti e le scelte da assumere nelle<br />

cosiddette intenzioni di piano. Le leggi regionali<br />

infatti, appaiono generalmente applicate a


un territorio che non ha connotati propri, ma<br />

quasi a un territorio e a processi di evoluzione<br />

economica tout court senza contesto (storico e<br />

fisico). Diremmo applicate a territori virtuali.<br />

Esistono cioè nel territorio fatti urbani/fatti<br />

territoriali, siti economici e così via ove non è più<br />

pensabile una politica urbanistica generale (e<br />

tendenzialmente generica). Vi sono cioè ragioni<br />

di scala del piano, e ragioni di complessità delle<br />

relazioni in campo che non possono essere<br />

affrontate se non con altrettanti strumenti<br />

di scala e complessità di interlocuzione.<br />

Anche in questo caso la legge urbanistica di<br />

solito non affronta direttamente i processi di<br />

saturazione, di sviluppo, di declino e così via<br />

che aree significative della regione subiscono<br />

(hanno subito, subiranno) con strumenti di<br />

concertazione e accentuazione di risorse, di<br />

relazioni, di elaborazione.<br />

E’ in atto un dibattito molto esteso e articolato<br />

attorno alla mancanza di risorse pubbliche,<br />

utilizzabili per lo sviluppo. Sviluppo di<br />

politiche per le infrastrutture, per le reti, per<br />

la ricerca, per l’ambiente e così via. Risorse da<br />

spendere, da impiegare a titolo di investimento<br />

in nuovo capitale fisso sociale. Il patrimonio<br />

degli enti pubblici viene dunque ormai<br />

indicato come una risorsa che può essere spesa,<br />

valorizzata, alienata e dunque utile a generare<br />

risorse. Grava peraltro un debito pubblico di<br />

dimensioni ciclopiche che impedisce di liberare<br />

risorse (il debito del sistema pubblico locale è<br />

stimato in 100 miliardi di euro).<br />

Tutto ciò, raccordato a politiche di pianificazione<br />

territoriale e urbanistica potrebbe consentire<br />

di mettere in campo sistemi di riproduzione<br />

automatica e rinnovata di patrimoni pubblici,<br />

da destinare a impieghi produttivi, tramite<br />

politiche di valorizzazione, sia con strumenti<br />

esistenti in dote alla legislazione vigente, sia<br />

con strumenti innovativi di tipo finanziario,<br />

sia facenti capo al sistema pubblico sia a<br />

quello privato. Le ragioni di pianificazione<br />

non possono essere indistinte dalle ragioni di<br />

governo del miglioramento della qualità della<br />

vita dei cittadini e contemporaneamente tali<br />

ragioni hanno necessità di sorreggersi di risorse<br />

sia pubbliche sia private. Risorse pubbliche<br />

laddove solo il pubblico è in grado di affrontare<br />

taluni nodi. Risorse private ove non solo<br />

sulla riforma urbnistica<br />

l’utile e l’ammortamento di un investimento<br />

sono realizzabili, ma anche ove ampi spazi<br />

del pubblico possono essere dismessi, come<br />

appunto l’housing sociale, le reti, la gestione<br />

finanziaria di beni culturali e/o ambientali, e<br />

così via.<br />

In tale quadro si può affermare che gli indirizzi<br />

regionali di pianificazione dovrebbero raccordare<br />

tali azioni a una griglia dei meccanismi<br />

della formazione delle risorse pubbliche tramite<br />

il piano, proprio tentando di raccordare<br />

intenzioni a capacità, necessità a possibilità. Sarebbe<br />

un passo avanti. Già i meccanismi di perequazione<br />

vanno in questa direzione. Tuttavia<br />

non appaiono sufficienti allo stato delle finanze<br />

pubbliche, in via di accelerato peggioramento.<br />

Come finanziare grandi infrastrutture, grandi<br />

riconversioni, come reggere la gestione di grandi<br />

vincoli, come affrontare programmi sociali<br />

di grandi dimensioni (housing appunto, scuole<br />

e trasporti, restauri e beni culturali…). Non vi<br />

sono a nostro avviso e a tale riguardo tentativi<br />

apprezzabili di approfondimento attorno a<br />

quel raccordo, che prima si è accennato, tra politiche<br />

di piano e politiche di finanza pubblica,<br />

tra dimensioni urbane dei fenomeni e valorizzazione<br />

di patrimoni pubblici (o privati) per un<br />

loro rapporto di virtuosa interazione e capacità<br />

di suscitare nuove risorse. Sia la perequazione,<br />

sia la riproduzione di patrimonio pubblico data<br />

da politiche urbanistiche, potrebbero infatti<br />

costituire tema di disposizioni normative che<br />

incentivino la creazione di ricchezza, ma anche<br />

di concorrenza e apertura al (e del) mercato immobiliare<br />

regionale. Ciò potrebbe dar luogo ad<br />

esempio ad una Borsa Immobiliare Regionale<br />

(cfr. Regione Lombardia). Proprio in virtù dei<br />

ragionamenti precedenti, si potrebbero immaginare<br />

più ampie opportunità di pianificazione<br />

e gestione dei rapporti con il privato, articolando<br />

pur per sommi capi, talune forme di parternariato<br />

nella formazione e attuazione degli<br />

strumenti di pianificazione.<br />

E ancora, proprio con riferimento a quanto<br />

già evidenziato circa la non neutralità del<br />

territorio (regionale) rispetto alla legge di<br />

pianificazione dello stesso, e alla necessità di<br />

affrontare taluni fenomeni maturi dell’assetto<br />

territoriale (declino, sviluppo, saturazione), il<br />

riconoscimento di una potestà regionale per la<br />

39


sulla riforma urbanistica<br />

pianificazione di “corridoi” ovvero di “sistemi”,<br />

ovvero di “reti”, ovvero di “eccellenze” e così<br />

via che fanno la differenza soggettiva di un’area<br />

regionale rispetto al resto del paese, sarebbe<br />

forse un atto che andrebbe assunto in termini<br />

normativi, oltrechè politici.<br />

La ri-generazione della ricchezza potenziale<br />

locale<br />

Come si è cercato di evidenziare, il Comune è un<br />

soggetto pubblico che ha capacità di “arricchirsi”<br />

autonomamente con azioni di tipo politico.<br />

Infatti la sua azione politica in campo urbanistico<br />

consente di generare diversi cespiti (cioè fonti di<br />

ricchezza). E’ ovvio che ormai si dice urbanistica,<br />

ma si intende qualcosa di ben più complesso<br />

articolato e vasto, quanto a diffusione di azioni,<br />

soggetti, campi di intervento e così via. Non vi<br />

è dunque un primato dell’urbanistica in senso<br />

stretto, quanto un primato vero della politica. Se<br />

questa infatti è orientata a collocarsi su progetti<br />

di lungo respiro e con obiettivi di sviluppo<br />

(civile e sociale ma anche economico) della sua<br />

comunità, allora le politiche di bilancio possono<br />

essere adeguate con strumenti utili a quegli<br />

obiettivi.<br />

Sembrano, e sono, affermazioni semplici e<br />

banali, e tuttavia non appaiono nel senso<br />

comune e nelle pratiche quotidiane di semplice<br />

realizzazione. Richiedono infatti competenze,<br />

ma soprattutto consapevolezza del potenziale<br />

che la strumentazione che è oggi in dote<br />

consente. Certo vi sono procedure e regole<br />

complesse, normative e contesti giuridici che<br />

vanno attentamente sondati e utilizzati, anche<br />

border line, ma assumendo obiettivi di lungo<br />

respiro. Il Comune dunque può ri-generare<br />

risorse da mettere a disposizione sia di azioni<br />

di recupero del debito pregresso, sia di azioni a<br />

servizio dello sviluppo, del welfare locale e così<br />

via. Le leve patrimoniali sono come detto:<br />

• politiche urbanistiche<br />

• progetti concertati e partnership specifiche<br />

• valorizzazioni patrimoniali di beni già in<br />

dote<br />

• politiche di valorizzazione di reti locali<br />

A queste simulazioni della ricchezza potenziale<br />

40<br />

e della potenziale capacità di impiego 1 si<br />

dovranno affiancare due strumenti principali di<br />

governo di tutto il processo. Il primo riguarda<br />

una rinnovata stagione di elaborazione dei temi<br />

dello sviluppo compatibile con i connotati del<br />

sistema insediativo locale, per capirci indirizzi<br />

e obiettivi del nuovo PSC che non è più uno<br />

strumento che regola i permessi di costruzione,<br />

ma organizza politiche. Il secondo una<br />

strumentazione sofisticata in tema di politiche<br />

finanziarie abbinate al PSC. Anche il Comune<br />

deve fare finanza, su una economia potenziale<br />

di cui potrà disporre.<br />

Da questo punto di vista il Comune riassume<br />

ruoli e protagonismi inusitati di principale<br />

soggetto locale anche economico, di principale<br />

motore di economia reale e non più di economia<br />

di trasferimenti (pubblici). Se quindi già abbiamo<br />

accennato a talune insufficienze dei testi di<br />

riforma urbanistica sia regionali (compresa<br />

quella emiliana), sia nazionali, compresa quella<br />

recente del gruppo parlamentare dell’Ulivo,<br />

altrettanto si deve osservare quanto alla<br />

diffusione di una cultura finanziaria evoluta<br />

in sede locale. Ma di ciò si potrà discutere con<br />

elementi certi alla mano, dopo avere lavorato a<br />

una analisi specifica dei patrimoni e accertato la<br />

bontà delle nostre elaborazioni.<br />

Valorizzazioni di filiera<br />

Se dunque l’obiettivo dei ragionamenti è<br />

come ridurre il debito pregresso dell’Ente<br />

locale e liberare contemporaneamente nuove<br />

risorse senza ricorrere a leve fiscali, ma anzi<br />

progressivamente riducendone l’impatto sul PIL<br />

locale sostenendo viceversa redditi delle famiglie<br />

e tenore dei consumi, e se il patrimonio in senso<br />

lato (capitale fisso sociale più propriamente) di<br />

livello locale può rappresentare una delle leve<br />

di questo obiettivo, se tutto ciò è alla base di un<br />

programma di verifica della sua attendibilità,<br />

è possibile allora ritenere che vi siano anche<br />

progetti di filiera, cioè sistemi di valorizzazioni<br />

che possono assumere caratteri autonomi nel<br />

mazzo delle politiche locali. Autonomie che<br />

possono contribuire agli obiettivi suddetti,<br />

con proprie logiche di affermazione, con<br />

diverse capacità urbanistiche di pianificazione<br />

locale. E’ il caso dell’impiego delle reti (catasto


delle stesse, attribuzione di valore nominale,<br />

impiego su tecniche di finanza) è i caso di azioni<br />

concertative pubblico/pubblico, pubblico/<br />

privato, è il caso dell’edilizia pubblica (housing<br />

sociale più nobilmente definito).<br />

Non è qui l’occasione di approfondire i<br />

singoli processi e le ipotesi di lavoro che li<br />

presiedono. Tuttavia si può accennare a talune<br />

ulteriori opportunità che tali programmi<br />

possono indurre, influenzando le capacità di<br />

investimento pubblico, come detto a costi zero.<br />

Una politica di valorizzazione immobiliare, può<br />

ad esempio essere messa in atto per qualificare<br />

il sistema ricettivo locale, senza che ciò implichi<br />

investimenti pubblici tramite opere o tramite<br />

incentivi e contributi ai privati.<br />

Altrettanto potremmo dire di talune infrastrutture.<br />

Citiamo i cablaggi, cioè le reti informatiche<br />

in senso lato. Tali infrastrutture possono essere<br />

realizzate con concessione a privati e gestite da<br />

sulla riforma urbnistica<br />

privati, ovvero rappresentare l’opportunità per<br />

arricchire la capacità di trasporto di reti diverse<br />

già esistenti (es.: rete principale di fognatura da<br />

affittare al cablaggio). Quanto all’housing sociale<br />

sono già in atto diverse esperienze (Umbria,<br />

Lombardia, altri) che in diversi modi affrontano<br />

il rinnovo e lo sviluppo di edilizia residenziale<br />

pubblica con tecniche di finanza sofisticata (P.F.,<br />

Fondi di investimento, permute perequative,<br />

defiscalizzazione, ecc…).<br />

Concludendo, si potrebbe affermare che, una<br />

volta compresi sia le procedure di valorizzazione,<br />

sia la dimensione che tali azioni possono<br />

realizzare nel territorio locale, è possibile allora<br />

lanciare un programma pluriennale di medio<br />

periodo che abbia come obiettivo la riduzione<br />

del debito pubblico e contemporaneamente un<br />

programma di nuovi investimenti. E, guarda un<br />

po’, è ancora l’urbanistica la tecnica levatrice di<br />

un possibile new deal locale.<br />

1 Gli impieghi potrebbero essere classificati come:<br />

• spesa per funzionamento proprio dell’Ente;<br />

• investimenti per lo sviluppo locale;<br />

• welfare, cioè spesa per sostegno al livello di vita locale.<br />

Gli impieghi dovrebbero essere calcolati al netto della capacità di rientro dal debito, al netto delle spese per manutenzione<br />

del patrimonio, e al netto delle spese per azioni di valorizzazione del patrimonio stesso. In sintesi di potrebbe affermare che il<br />

Comune ha capacità di investimento se “guadagna” da una sua attività industriale.<br />

41


sulla riforma urbanistica<br />

42


Sullo stato della pianificazione territoriale<br />

ed urbanistica della Regione Veneto<br />

L’attuale “momento pianificatorio” che sta<br />

interessando la totalità del territorio della<br />

Regione Veneto è davvero singolare e forse<br />

irripetibile.<br />

In attuazione della “nuova” legge regionale<br />

23.4.2004, n.11 “Norme per il governo del<br />

territorio”, e a poco più di tre anni dalla sua<br />

entrata in vigore nella completezza di tutti gli<br />

articoli della normati-va, i Comuni, le Province<br />

e la Regione stanno elaborando i loro strumenti<br />

urbanistici e territoriali.<br />

Quindi si può ben dire che la totalità del territorio<br />

regionale, nella sua organizzazione amministrativa,<br />

è interessato dal processo di pianificazione<br />

a vari livelli, a varie scale e con procedure e<br />

metodologie che mettono a confronto i vecchi<br />

strumenti urbanistici vigenti con i nuovi<br />

approcci delle discipline che regolano il governo<br />

del territorio.<br />

Quale occasione, si direbbe, per avere finalmente<br />

un quadro pianificatorio coordinato nel tempo<br />

e alle diverse scale territoriali e tale comunque<br />

da assegnare ad ogni tipologia di strumento<br />

comunale, provinciale e regionale competenze<br />

specifiche e contenuti propri.<br />

Inoltre come base di partenza, se per quanto concerne<br />

i comuni tutti hanno un prg vigente,più<br />

o meno datato nel tempo, come la regione ha<br />

vigente un piano territoriale regionale di coordinamento<br />

approvato nel 1992, del tutto innovativo<br />

appare lo scenario che si sta delineando per le<br />

province in quanto nessuna delle sette province<br />

venete ha un piano approvato.<br />

Ma vediamo meglio nel dettaglio l’attuale<br />

situazione della pianificazione, prima però<br />

soffermandoci brevemente sullo stato di<br />

attuazione dell’apparato legislativo regionale<br />

nel suo complesso.<br />

A tale proposito è innanzi tutto da rilevare che<br />

non è stato ancora completato interamente il<br />

sistema legislativo/normativo regionale previsto<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Stefano Bernardi<br />

dalla l.r. 11/04 che affianca alla legge un corpus<br />

regolamentare composto da 21 atti di indirizzo,<br />

finalizzati a dettagliare specifiche indicazioni<br />

su singole fattispecie di categorie urbanistiche<br />

di cui alcune di rilevante importanza per la<br />

progettazione dei piani.<br />

Solo 9 di questi atti di indirizzo sono stati<br />

approvati, uno, relativo alle modalità applicative<br />

della VAS, adottato nel 2005 non è stato ancora<br />

approvato, mentre tutti gli altri non sono stati<br />

neppure approntati. Alcuni di questi atti di<br />

indirizzo si riferiscono a tematiche di rilevante<br />

importanza per la progettazione dei piani<br />

quali le modalità per il dimensionamento e<br />

degli standard di aree per servizi, i criteri per<br />

l’omogenea applicazione della perequazione,<br />

dei crediti edilizi e della compensazione, i criteri<br />

per l’operatività delle società di trasformazione<br />

urbana, i sussidi operativi per l’edificabilità<br />

nei centri storici e nelle zone sottoposte a<br />

vincolo paesaggistico, l’elaborazione dei criteri<br />

applicativi delle procedure per l’applicazione<br />

dello sportello unico per le attività produttive.<br />

Come si vede, tale carenza di impianto normativo<br />

risulta notevole e fonte di diversificazioni<br />

interpretative in fase progettuale dei piani,<br />

anche perché l’incompletezza degli atti di<br />

indirizzo non ne inibisce normativamente la<br />

loro approvazione.<br />

A maggior ragione, tenuto conto che è scaduta da<br />

diverso tempo la moratoria per l’approvazione<br />

delle varianti ai prg con limitate eccezioni<br />

particolarmente riferite alle oo.pp., ben si capisce<br />

come i comuni stiano accelerando le procedure<br />

per l’adozione dei nuovi strumenti urbanistici<br />

anche in presenza di incertezze normative.<br />

Attualmente su 581 comuni veneti circa 440<br />

hanno richiesto l’attivazione della procedura di<br />

copianificazione con la Regione, coinvolgendo in<br />

diverse situazioni territoriali anche la Provincia<br />

di appartenenza.<br />

43


sulla riforma urbanistica<br />

A circa tre anni e mezzo dall’entrata in vigore<br />

della legge urbanistica sono stati approvati 8<br />

PAT Piano di Assetto del Territorio) e 1 PATI<br />

(Piano di Assetto del Territorio Intercomunale)<br />

formato da 4 comuni,mentre altri 9 comuni<br />

hanno adottato il PAT e altri 6 hanno adottato<br />

un PATI (4+2); solo 3 comuni hanno finora<br />

deciso di utilizzare la procedura ordinaria senza<br />

copianificare con Regione e Provincia.<br />

Come si vede se il processo di pianificazione che<br />

coinvolge i comuni si è complessivamente messo<br />

in moto, secondo le varie fasi progettuali che<br />

comprendono la sottoscrizione dell’accordo di<br />

pianificazione (per i comuni in copianificazione),<br />

la predisposizione di un documento preliminare<br />

con gli obbiettivi e le strategie per conseguirli,<br />

periodo della concertazione con enti pubblici e<br />

con associazioni sociali ed economiche portatrici<br />

di interessi diffusi, e le successive fasi di adozione<br />

e deposito fino all’approvazione, solamente<br />

un limitato numero di comuni ha adeguato la<br />

propria strumentazione urbanistica alla nuova<br />

normativa.<br />

Si dirà che vari fattori hanno influito su questa<br />

situazione, come la novità della metodologia del<br />

piano sdoppiato(strutturale e operativo), una<br />

certa difficoltà di approccio ad alcuni tematismi<br />

quali la valutazione di sostenibilità delle scelte<br />

di piano o la progettualità richiesta per i territori<br />

aperti sinora considerati come semplici territori<br />

agricoli o una certa riluttanza ad abbandonare<br />

il più semplice metodo, soprattutto caro agli<br />

amministratori, dei tradizionali prg ,visti come<br />

sommatoria di aree edificabili, sta di fatto che<br />

troppo pochi comuni si sono adeguati in via<br />

definitiva.<br />

Tra l’altro lo stesso processo metodologico della<br />

nuova legge parte da un principio di fondo: nel<br />

Veneto si è costruito troppo, soprattutto male e in<br />

modo particolarmente disordinato su gran parte<br />

del territorio. I nuovi piani devono rispettare<br />

un concetto basilare: utilizzo di nuove zone<br />

territoriali solo quando non esistano alternative<br />

alla riorganizzazione e riqualificazione del<br />

tessuto insediativo esistente .Tale approccio<br />

ha indubbiamente messo in difficoltà tutto il<br />

complesso sistema, fortemente consolidato, di<br />

chi, e non sono pochi, opera con competenze<br />

diverse nell’ambito della progettazione dei<br />

piani urbanistici e in modo particolare chi ha<br />

44<br />

della risorsa territorio un concetto strettamente<br />

funzionale alla logica di mercato delle aree<br />

fabbricabili.<br />

Sotto il profilo strettamente correlato all’operatività<br />

della strumentazione urbanistica è da dire<br />

che notevole interesse hanno suscitato due nuovi<br />

contenuti normativi di legge: il credito edilizio,<br />

anche attraverso l’utilizzo della compensazione<br />

finalizzata al recupero di capacità edificatoria<br />

da parte dei proprietari di aree ed edifici<br />

oggetto di vincolo preordinato all’esproprio,<br />

nonché l’accordo pubblico/ privato finalizzato<br />

a proposte di progetti ed iniziative di rilevante<br />

interesse pubblico.<br />

I piani di assetto del territorio approvati,<br />

adottati o in corso di formazione contengono<br />

sempre la possibilità dell’utilizzo del credito<br />

edilizio, enunciando criteri ed indirizzi da<br />

determinarsi operativamente nel piano degli<br />

interventi, finalizzato a forme di riqualificazione<br />

del territorio con la possibilità di demolire<br />

edifici fatiscenti o dismessi, (è il caso di strutture<br />

di allevamenti ricadenti in zona agricola), in<br />

modo da riqualificare contesti degradati e di<br />

recuperare parte della volumetria nelle aree<br />

edificabili previste dallo strumento urbanistico<br />

operativo. Gli accordi pubblico/privato per<br />

proposte di interventi di rilevante interesse<br />

pubblico prendono sempre più forma nei<br />

meccanismi di costruzione normativa dei<br />

piani, di cui ne costituiscono parte integrante,<br />

e vengono visti come alternativa ai contenuti<br />

di una legge regionale, la 23/99, abrogata e<br />

relativa ai programmi integrati di recupero<br />

urbano e ambientale, che consentiva a fronte di<br />

benefici per la P.A. aggiuntivi alle aree a servizi<br />

di legge, di approvare piani attuativi in variante<br />

al prg e che nella Regione Veneto hanno avuto<br />

grandissima fortuna arrivando a circa 400<br />

approvazioni.<br />

Con questi accordi le amministrazioni comunali<br />

riescono, in un quadro di coerenza delle scelte<br />

strategiche di piano, ad ottenere strutture<br />

pubbliche di rilevante interesse per la comunità<br />

locale che le ridottissime risorse a disposizione<br />

renderebbero di difficile realizzazione. E’ da<br />

dire, tuttavia, che la formula dell’accordo<br />

pubblico/privato è comunque oggetto di attenta<br />

riflessione sia da parte della regione che dei<br />

comuni sotto l’aspetto giuridico-amministrativo


in fase di formazione dei piani, in primis le<br />

procedure per l’evidenza pubblica, al fine di<br />

evitare possibili e defatiganti contenziosi. In<br />

buona sostanza l’intervento diretto e alla luce<br />

del sole dei privati già nelle fasi di formazione<br />

del piano comporta una serie di implicazioni del<br />

tutto innovative rispetto al modo tradizionale di<br />

operare e costitusce in questi casi un notevole<br />

mutamento dello scenario della pianificazione<br />

comunale e non sempre i singoli amministratori<br />

o gli uffici tecnici sono già attrezzati per farvi<br />

fronte; d’altro canto è sempre opportuno<br />

sottolineare che il 56% dei comuni del Veneto è<br />

sotto i 5.000 abitanti residenti trattandosi spesso<br />

di piccole comunità.<br />

Sotto l’aspetto dei costi sostenuti per la<br />

predisposizione dei piani bisogna dire che,<br />

superato un primo momento di tensione con i<br />

comuni, preoccupati di dover sostenere oneri per<br />

due piani (strutturale e operativo), a fronte anche<br />

di finanziamenti annuali previsti dalla Regione<br />

con forte priorità per i piani intercomunali<br />

(2004:500.000 €, 2005:700.000 €, 2006:750.000<br />

€, 2007:850.000 €) e al fatto che l’elaborazione<br />

del quadro conoscitivo può usufruire in modo<br />

consistente di banche dati esistenti e indicate, il<br />

problema pare in parte superato.<br />

Per quanto riguarda la situazione relativa alle<br />

Province è opportuno rilevare che, nonostante<br />

già la l.r. 61 del 27.6.1985 prevedesse i piani<br />

territoriali provinciali con relativo trasferimento<br />

di competenze sulla strumentazione urbanistica<br />

comunale, nessuna provincia ha mai avuto un<br />

piano approvato.<br />

A dire il vero cinque province (Padova,<br />

Treviso,Venezia,Verona e Vicenza) in varie fasi<br />

temporali hanno adottato un piano, ma ben<br />

presto, causa di una certa indeterminatezza<br />

della vecchia legge 61/85, gli stessi sono risultati<br />

con caratteristiche progettuali notevolmente<br />

differenti fra di loro poco congruenti con la<br />

pianificazione comunale, con previsioni e<br />

normative confuse di difficile interpretazione.<br />

A ciò si deve aggiungere un continuo alternarsi<br />

di volontà politica regionale di affidare o non<br />

affidare competenze e risorse alle province a<br />

cui peraltro, non è estranea anche una certa<br />

persistente fragilità delle loro strutture tecniche.<br />

Attualmente la legge urbanistica ha previsto<br />

sulla riforma urbnistica<br />

comunque la restituzione degli esistenti piani<br />

provinciali adottati e trasmessi affinché gli stessi<br />

possano essere riformulati secondo le nuove e più<br />

precise modalità progettuali, ma soprattutto per<br />

garantire omogeneità di impostazione è prevista<br />

la costituzione di un ufficio di coordinamento<br />

regionale per la predisposizione dei piani. Inoltre<br />

la legge garantisce il trasferimento alle province<br />

delle competenze in materia di piani comunali<br />

(PAT/PATI) non dopo l’approvazione dei PTCP,<br />

ma comunque, una volta adottati e pubblicati,<br />

dopo 180 giorni dalla loro trasmissione alla<br />

Regione per l’approvazione.<br />

In questo momento tutte e sette le province<br />

hanno adottato il documento preliminare e<br />

due di loro (Padova e Vicenza) anche il PTCP,<br />

mentre le province di Treviso e Venezia sono<br />

nella fase finale del progetto di piano prima<br />

dell’adozione. C’è da dire che la costituzione<br />

dell’ufficio regionale per il coordinamento<br />

composto da funzionari regionali, ma che opera<br />

sempre coinvolgendo le strutture provinciali,<br />

ha sostanzialmente consentito di coordinare<br />

in modo efficace la predisposizione dei piani,<br />

in modo particolare si è lavorato a lungo sui<br />

contenuti del quadro conoscitivo utilizzando<br />

un percorso metodologico con al centro i temi<br />

della sostenibilità e le problematiche connesse<br />

con la tutela e la salvaguardia del paesaggio,<br />

individuando tematiche comuni da sviluppare<br />

e in modo tale da costituire una sorta di<br />

griglia progettuale da adattarsi alle singole e<br />

differenziate realtà locali. Inoltre è scelta della<br />

Regione di accompagnare e associare l’attuale<br />

processo di pianificazione provinciale con<br />

quello a scala regionale in atto, integrando e non<br />

sovrapponendo in mera scala gerarchica, i due<br />

strumenti con particolare attenzione a tematismi<br />

quali il ruolo delle città, il settore produttiv, la<br />

mobilità e il paesaggio. E’ pur vero, tuttavia, che<br />

a fronte di questo inizio confortante dei processi<br />

di pianificazione provinciale si è ultimamente<br />

riaperta, a livello politico, una forte polemica<br />

sul ruolo delle province e sulla loro effettiva<br />

funzionalità che, se non viene risolta in tempi<br />

ragionevolmente brevi, non potrà che rimettere<br />

in discussione quanto finora prodotto.<br />

Per quanto riguarda i contenuti di tutti i<br />

documenti preliminari e dei due piani adottati<br />

dalle province si può dire che gli stessi riservano<br />

45


sulla riforma urbanistica<br />

ampio spazio ai temi ambientali, della difesa<br />

del suolo e della sostenibilità degli interventi<br />

nonché particolare attenzione è data al tentativo<br />

di riorganizzare e razionalizzare tutto il sistema<br />

delle aree produttive, problematica molto<br />

pressante nel disordine insediativo veneto, e<br />

ai temi della viabilità che per alcune parti del<br />

territorio costituiscono elemento di priorità<br />

assoluta di intervento.<br />

Novità di rilievo è la previsione contenuta nei<br />

due strumenti provinciali adottati di rendere<br />

obbligatoria la progettazione strutturale intercomunale<br />

(PATI): per tutti comuni su tematiche<br />

specifiche il PTCP di Padova (sistema ambientale,<br />

difesa del suolo, paesaggio agrario e storico,<br />

sistema insediativi produttivo, sistema infrastrutturale<br />

e mobilità, servizi a scala territoriale<br />

e risparmio energetico e promozione fonti di<br />

energia rinnovabile) o per ambiti comprendenti<br />

in tutto o in parte più comuni finalizzato a<br />

tematismi specifici e territorializzati il PTCP di<br />

Vicenza.<br />

La pianificazione provinciale si è pertanto<br />

messa in moto e forse difficilmente potrà<br />

essere fermata, se non altro per le notevoli<br />

risorse impiegate e comunque molto dipenderà<br />

dagli effettivi contenuti e se la stessa saprà<br />

caratterizzarsi non come un grande piano<br />

strutturale comunale o come un piccolo piano<br />

territoriale regionale, ma con sue caratteristiche<br />

peculiari di coordinamento su temi specifici e<br />

non generici non potrà non avere un ruolo nel<br />

contesto della pianificazione regionale.<br />

Discorso altrettanto complesso per quanto<br />

riguarda il PTRC in fase di formazione in<br />

sostituzione di quello approvato nel 1992.<br />

Attualmente risulta adottato dalla GRV il<br />

documento preliminare (dgr n.2587 del 7 Agosto<br />

2007) che delinea gli obiettivi generali e le scelte<br />

strategiche nonché è stato predisposto il primo<br />

rapporto ambientale relativo ai contenuti del<br />

suddetto documento e a seguire il periodo di<br />

concertazione prima dell’adozione del piano.<br />

In effetti il documento preliminare, di fatto,<br />

costituisce una sintesi di per sé abbastanza<br />

46<br />

dettagliata di quelli che saranno gli obiettivi<br />

e le scelte strategiche regionali; le stesse,<br />

peraltro, sono frutto di tutta una serie di<br />

approfondimenti avvenuti nel tempo per fasi<br />

successive. Gli obiettivi individuati a livello<br />

strategico riguardano sei temi da sviluppare:<br />

uso del suolo, biodiversità, energia/risorse e<br />

ambiente, mobilità, sviluppo economico e la<br />

crescita sociale e culturale. Vengono poi previsti<br />

sia azioni che obiettivi a livello operativo<br />

con linee di progetto specifiche per la città, la<br />

montagna e trasversalmente per il paesaggio. Il<br />

documento preliminare al PTRC è poi corredato<br />

da sei allegati cartografici diagrammatici del<br />

territorio regionale dove sono indicati gli<br />

obiettivi e le strategie da perseguire nonché<br />

da un’ampia trattazione sul tema paesaggio<br />

comprensiva anche dell’individua-zione degli<br />

ambiti di paesaggio così come previsto dal<br />

Codice Urbani.<br />

Su questo tema ultimamente sembra esserci<br />

qualche incertezza, infatti ancorché il<br />

documento preliminare fissi chiaramente che<br />

il PTRC avrà i contenuti paesaggistici previsti<br />

dal Codice Urbani, si affacciano nuove ipotesi<br />

contrarie a tale impostazione e favorevoli a<br />

due piani disgiunti. Troppe competenze in<br />

materia di paesaggio a livello di strutture<br />

regionali, una carenza di legge regionale, in<br />

quanto entrata in vigore prima della normativa<br />

statale, e una discutibile interpretazione che<br />

viene data circa la possibilità di procedere anche<br />

con piani paesaggistici locali, circoscritti ad<br />

ambiti territoriali ristretti, cerca di mettere in<br />

discussione il principio di fondo del codice che il<br />

piano paesaggistico deve essere esteso all’intero<br />

territorio regionale e che in buona sostanza tutto<br />

il territorio è paesaggio, anche se questo può<br />

costituire motivo di apprensione da parte di chi<br />

il territorio intende utilizzarlo non proprio con<br />

finalità di tutela e valorizzazione.<br />

In conclusione di questa schematica carrellata<br />

sullo stato della pianificazione nella Regione<br />

Veneto si vede come tutta una serie di nodi<br />

siano ancora da sciogliere ed è auspicabile che<br />

lo siano al più presto.


L’applicazione della L.R. 20<br />

Sono passati più di sette anni dall’entrata in vigore<br />

della nuova legge urbanistica regionale, la<br />

20 del 2000, e stanno per andare in porto le prime<br />

modifiche sostanziali annunciate più di un anno<br />

fa. Non è semplice né scontato cercare di fare un<br />

bilancio di questa prima fase di attività di pianificazione<br />

al livello comunale. La prima ragione<br />

di un avvio a rilento della nuova legge è dovuta<br />

senz’altro al fatto che l’attività di pianificazione<br />

in Emilia Romagna è sempre stata all’attenzione<br />

delle Amministrazioni che hanno provveduto<br />

sistematicamente ad adeguare i piani o ad adottarne<br />

di nuovi. Nel 2000 non c’erano Comuni<br />

sprovvisti di Piano, o con una pianificazione<br />

obsoleta, che attendevano con ansia le nuove<br />

norme urbanistiche. C’era semmai l’esigenza di<br />

innovare complessivamente le regole ed i contenuti<br />

legislativi, a livello nazionale e locale, ormai<br />

fermi da troppo tempo. E’ sufficiente ricordare<br />

come il quadro legislativo nazionale sia fermo<br />

alla pure gloriosa legge del 1942, la 1150. E di<br />

una legge quadro nazionale che rifaccia il punto<br />

dopo tante controversie, dopo tante esperienze<br />

e, soprattutto dopo tante sedimentazioni di<br />

strumenti “in variante al PRG”, leggasi PRU,<br />

PRUSST, Accordi di programma…, credo ce ne<br />

sia veramente bisogno! Ha fatto bene la Regione<br />

ad assumere l’iniziativa legislativa.<br />

Nel 2000, tornando alla nostra realtà, molti<br />

Comuni avevano in corso la redazione di<br />

nuovi piani o li avevano da poco approvati. Ad<br />

esempio il Comune di Cesena, nel quale lavoro,<br />

ha adottato il suo Piano nel maggio del 2000 e<br />

la sua approvazione da parte della Provincia è<br />

avvenuta nel luglio del 2003.<br />

La pianificazione comunale negli anni ‘90<br />

La pianificazione di quegli anni aveva già<br />

introdotto molti dei contenuti della 20/2000 a<br />

partire dalle componenti strutturali e strategiche<br />

sulle quali era venuta basandosi la pianificazione<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Otello Brighi<br />

provinciale e quella di bacino. L’attenzione<br />

ai temi dell’ambiente, alle problematiche<br />

geoambientali era ben presente ai pianificatori<br />

ed era stata sviluppata ed incorporata nel Piano<br />

ex lege 47/78, come da ultimo modificata con la<br />

6/95.<br />

Ad esempio nel piano di Cesena è stata<br />

introdotta l’invarianza idraulica per tutte le<br />

nuove aree di trasformazione residenziali e<br />

produttive. Successivamente, col piano stralcio<br />

del Bacino dei fiumi romagnoli, la regola è stata<br />

estesa anche alle aree di completamento. Ma lo<br />

stesso piano contiene anche una carta di rischio<br />

archeologico per il centro storico e adotta il<br />

principio della perequazione per tutte le nuove<br />

aree di trasformazione.<br />

In quest’ultimo caso la legge regionale offre più<br />

solide basi ad un istituto, quello appunto della<br />

perequazione, che ormai si stava diffondendo<br />

come scelta della pianificazione comunale,<br />

seppure non supportata da alcuna norma<br />

legislativa di carattere nazionale o regionale, ma<br />

semplicemente come acquisizione disciplinare<br />

e scelta politica affidata alle regole del piano.<br />

Come si vede, nello specifico, non esistevano<br />

e, a parer mio non esistono tuttora, ragioni<br />

impellenti tali da fare mettere mano con urgenza<br />

al rifacimento di un PRG così concepito. Ma di<br />

casi se ne potrebbero ricordare tanti.<br />

L’applicazione della nuova legge<br />

Si può ritenere che anche le norme transitorie della<br />

20, che consentono una giusta “manutenzione”<br />

dei piani pregressi, fino alla possibilità di<br />

trasformarli in “strutturale, regolamento<br />

urbanistico ed edilizio ed operativo”, col famoso<br />

“spacchettamento”, non abbiano spinto ad<br />

utilizzare immediatamente la nuova disciplina<br />

ma abbiano piuttosto cercato di avviare un<br />

processo.<br />

47


sulla riforma urbanistica<br />

Nuova disciplina che è stata apprezzata si può<br />

dire unanimemente sia dagli urbanisti che<br />

dagli amministratori. Ma forse, ripeto, per una<br />

legge che innova profondamente la forma del<br />

piano fino a scomporlo in tre distinti strumenti<br />

di cui due a lunga scadenza come il PSC ed il<br />

RUE, è difficile farne una concreta valutazione<br />

se non altro per un numero ancora esiguo di<br />

strumenti effettivamente operanti. Oserei dire<br />

che strumenti a lunga scadenza vanno valutati<br />

a lungo termine.<br />

Ci si può chiedere, e ci si è chiesti, se questa<br />

partizione fosse proprio necessaria o se non<br />

fosse sufficiente fermarsi a due strumenti, lo<br />

strutturale e l’operativo, ma penso che anche su<br />

questo occorrerà valutare sulla base dei fatti. La<br />

forma può aiutare la buona pianificazione, cioè<br />

la sostanza. Ma una buona forma da sola non<br />

basta a produrre una buona sostanza. A questo<br />

proposito ritengo opportuno fare una riflessione<br />

sui tempi della pianificazione che significa anche<br />

sull’efficacia e sull’efficienza. Per non dire dei<br />

costi intesi in senso proprio ed in senso lato.<br />

La variabile tempo non è mai indipendente,<br />

specie nell’epoca della globalizzazione che<br />

porta ad una rapida obsolescenza delle idee e<br />

dei progetti e non solo alla loro possibilità di<br />

fluttuare per il mondo sedimentandosi nei posti<br />

meno immaginabili. Ma, ahinoi, i tempi della<br />

pianificazione sono lunghi, lunghi, lunghi!<br />

Efficacia, efficienza, tempestività e costi<br />

Conciliare l’esigenza della tempestività delle<br />

scelte, e perciò della loro reale efficacia, con i<br />

processi di partecipazione, l’ipertrofia degli<br />

apparati conoscitivi e delle analisi, gli strumenti<br />

di valutazione, il contenimento dei costi è<br />

un’impresa pressoché impossibile.<br />

Ci si chiede se sia davvero necessario e produttivo<br />

impiegare anni ed anni in un processo di<br />

pianificazione così complesso ed articolato. E,<br />

soprattutto, dipenderà da questo la “buona pianificazione”<br />

o non ne sarà piuttosto messa a rischio?<br />

Ho presente l’esperienza di un comune molto<br />

importante come quello di Ravenna.<br />

Ho avuto il piacere di partecipare in rappresen-<br />

48<br />

tanza del mio Comune, in quanto confinante,<br />

alla conferenza di pianificazione. Sono testimone<br />

della qualità di quella pianificazione ma qui<br />

mi interessa affrontare la variabile tempo. Puntualmente,<br />

ogni 10 anni, Ravenna si è dotata di<br />

un nuovo Piano. Alla loro elaborazione ha provveduto<br />

un’efficiente e capace ufficio di piano<br />

con la partecipazione, di volta in volta, del fiore<br />

degli urbanisti italiani; così anche all’ultimo<br />

hanno collaborato con l’ufficio di Piano diretto<br />

da Franco Stringa e Alberto Mutti, Gianluigi Nigro,<br />

Enzo Tiezzi, Edoardo Preger.<br />

Il Piano si chiama PRG 2003. ma l’elaborazione<br />

è cominciata subito dopo l’approvazione della<br />

nuova legge. Elaborato il quadro conoscitivo che<br />

ha comportato qualche anno di lavoro è partita<br />

la conferenza di pianificazione protrattasi per<br />

circa tre me mesi, poi si è passati all’adozione<br />

del PSC nel giugno 2005 dopo avere esperito<br />

una fase concorsuale per l’inserimento delle aree<br />

da trasformare e si è giunti all’approvazione del<br />

PSC febbraio 2007.<br />

Attualmente il RUE è in fase di adozione. Manca<br />

ancora il POC. Il famoso” Piano del Sindaco”.<br />

Certo non del Sindaco che ha avviato lo<br />

Strutturale. Il che forse non è un gran male per<br />

una realtà che esprime una cultura del territorio<br />

sicuramente elevata ed una continuità politica<br />

invidiabile. Ma se così non fosse? Forse qualche<br />

problema si porrebbe.<br />

Può, in buona sostanza, un processo di pianificazione<br />

durare quasi un decennio? Non siamo<br />

tornati daccapo, al tema dei tempi impossibili<br />

della pianificazione? E se è così, anche se il Piano<br />

Strutturale avrà una durata di venti anni, non<br />

rischia di essere già vecchio prima ancora di essere<br />

nato? E allora, che si fa, si riparte con le varianti?<br />

Bisognerà davvero pensare a una qualche<br />

forma di semplificazione puntando ad esempio<br />

ad una vera sussidiarietà fra gli Enti ma anche<br />

fra gli strumenti della pianificazione. Se l’analisi<br />

ambientale la fa il PTCP utilizziamo quella e<br />

implementiamola solo per gli aspetti essenziali a<br />

livello comunale e cosi dicasi per il quadro conoscitivo,<br />

per le scelte infrastrutturali. Sotto questo<br />

aspetto è molto importante l’articolo 9 della<br />

legge sulla sussidiarietà e la copianificazione. Le<br />

scelte vanno ponderate, condivise e partecipate.<br />

Non si possono cambiare in continuazione.


Penso anche che la buona urbanistica dipenda<br />

più da scelte corrette che da un buon metodo che<br />

come sappiamo, può aiutare ma a volte rischia<br />

di coprire pessimi contenuti.<br />

Partecipazione e copianificazione<br />

Questa possibilità di fare copianificazione la<br />

legge la prevede non solo per le scelte dei grandi<br />

Enti: fra i grandi Comuni e la Provincia e la<br />

Regione, ma anche per i Comuni fra di loro e fra<br />

i Comuni e la Provincia per i Piani Strutturali.<br />

Per quanto riguarda i piccoli Comuni la legge<br />

riconosce di fatto la difficoltà di affrontare la<br />

complessità della pianificazione comunale e<br />

offre due possibilità alternative: quella del Piano<br />

intercomunale e quella del Piano (PSC) fatto<br />

assieme alla Provincia all’atto della redazione<br />

del PTCP o sua variante.<br />

Resto convinto che in un Paese come il nostro<br />

la permanenza di 8000 comuni, 100 province,<br />

20 regioni e di una miriade di altri enti fra<br />

comunità montane e consorzi vari sia un lusso,<br />

diciamo pure spreco, una diseconomia che grida<br />

vendetta. Ma in attesa di soluzioni razionali ha<br />

fatto bene il legislatore regionale a prevedere<br />

per l’urbanistica le possibilità sopra richiamate.<br />

Sussidiarietà<br />

In questo caso però occorre una duplice attenzione.<br />

La prima è che se si esagera nell’utilizzo<br />

dello strumento si corre il rischio che la pianifi-<br />

sulla riforma urbnistica<br />

cazione comunale sia portata in capo alla Provincia.<br />

Non è il suo mestiere e non è neanche<br />

sussidiarietà. Sarebbe un’espropriazione, un<br />

vero e proprio abuso di potere. La seconda è che<br />

quando comuni di media grandezza imboccano<br />

questa strada, quella di delegare alla Provincia<br />

la redazione seppur copianificata del PSC, a mio<br />

modo di vedere, vuol dire che qualcosa non funziona.<br />

Da una parte c’e un soggetto che si è indebolito<br />

e forse si illude di potere far fare ad altri scelte<br />

che gli competono e di cui è responsabile. Ciò<br />

produrrà inevitabilmente uno spostamento<br />

dei rapporti dei cittadini dal Comune verso<br />

la Provincia, e quindi anche dei poteri,<br />

contribuendo ad aumentare quella confusione<br />

dei ruoli che non giova a nessuno e soprattutto<br />

nuoce, come sempre, ai soggetti più deboli: i<br />

cittadini che non aderiscono a nessuna lobby.<br />

Non vorrei che a questo punto, evidenziati più<br />

gli aspetti critici di quelli positivi, si arrivasse<br />

alla errata conclusione che la legge 20 del 2000<br />

non è una buona legge.<br />

Al contrario a mio avviso la 20 è una buona legge<br />

ispirata a giusti e condivisibili principi.<br />

La sua verifica tuttavia non va fatta in astratto<br />

ma in rapporto a ciò che sta producendo nella<br />

prassi. E dall’esperienza della prassi può e deve<br />

venire quella buona manutenzione che è sempre<br />

necessaria. Occorrerà probabilmente ancora<br />

qualche anno per fare un bilancio credibile.<br />

Il monitoraggio costante della situazione è<br />

essenziale a tal fine.<br />

49


sulla riforma urbanistica<br />

50


Il piano dell’Armatura Urbana<br />

La caduta del governo Prodi è avvenuta in una<br />

delle fasi istituzionali più complesse degli ultimi<br />

anni, caratterizzata da riforme incompiute, da<br />

riforme sbagliate e da un diffuso novitismo per<br />

dirla con G. Sartori. Si tratta di una insufficienza<br />

istituzionale di cui in parte lo stesso governo è<br />

stato un prodotto e una vittima.<br />

Per quanto ci riguarda, come urbanisti e in<br />

quanto tali implicitamente riformisti, questa<br />

insufficienza istituzionale ha prodotto alcuni<br />

guai – la mancata discussione della legge sul<br />

governo del territorio, una mancata ridefinizione<br />

delle materie oggi malamente separate e o<br />

concorrenti, una sovrapposizione della VAS<br />

ed una paventata radicalizzazione del Codice<br />

Urbani.<br />

I guai degli urbanisti sono strettamente connessi<br />

con le altre dimensioni della crisi del paese. Non<br />

è una riflessione profonda, e non mi consola che<br />

sia qualcun altro a dover rimettere in ordine<br />

questo sistema disordinato. Anche il piano –<br />

fare il piano – è un modo di intervenire in questo<br />

processo e di modificarlo in positivo ma questo<br />

rimette in discussione la tradizionale relazione<br />

gerarchia tra istituzione - piano - sviluppo, e si<br />

può ripartire anche dal piano per la ricostruzione<br />

dei rapporti tra istituzioni e per la costruzione di<br />

nuove istituzioni.<br />

L’insufficienza istituzionale ha infatti determinato<br />

una segmentazione decisionale e autoreferenziale,<br />

senza controlli e senza “leale collaborazione”<br />

tra gli enti. A questo intreccio perverso<br />

ha spesso contribuito una proliferazione di leggi<br />

regionali, rivendicative di falsi autonomismi e<br />

di inutili particolarismi, e spesso anche il piano<br />

è portato a sostegno di questa falsa autonomia<br />

(dagli ipermercati che rastrellano ICI, ai PRG<br />

senza aree di espansione voluti dai leghisti). Sul<br />

territorio tutto questo sistema si traduce in accelerazioni<br />

furbesche e piccoli ricatti che coincidono<br />

con la fine del piano.<br />

sulla riforma urbnistica<br />

di Piero Properzi<br />

Insufficienza istituzionale quindi a tutti i livelli<br />

ma in parallelo incapacità di “fare sviluppo”. La<br />

crisi del modello di sviluppo all’italiana, quello<br />

delle partecipazioni statali e quello della terza<br />

Italia, per capirci quello centrale e ridistributivo<br />

della DC e quello in “nero”, autarchico ed<br />

endogeno, padre dei distretti, si sono dissolti tra<br />

il conformismo salvifico dell’euro e le incursioni<br />

corsare della finanza e della globalizzazione.<br />

In questo scenario il Piano, senza il riferimento ad<br />

una positiva evoluzione dei sistemi istituzionali,<br />

e senza una diffusa condivisione del Modello<br />

Sociale Europeo, ha perso ruolo e funzioni, o<br />

meglio ne ha assunte di volta in volta alcune,<br />

che però non sono parte di un processo organico<br />

di riforma, anche se esprimono comunque<br />

potenziali innovativi.<br />

Per esemplificare, attorno alle due più recenti e<br />

significative posizioni culturali e disciplinari - la<br />

separazione del PRG di tradizione (strutturale/operativo)<br />

come superamento della rigidità<br />

vincolistica e della corrispondente ineffettualità<br />

delle previsioni e i Programmi complessi alle<br />

diverse scale (Pru – Prusst – Piattaforme) come<br />

superamento della razionalità unica e comprensiva<br />

del Piano - si sono articolate altre posizioni<br />

minori ed eccentriche, interessate di volta in<br />

volta più alla dimensione ambientale o a quella<br />

contrattuale – consensuale.<br />

Questa evoluzione disciplinare, per altro densa di<br />

sperimentazioni e di confronti, è però avvenuta<br />

nella generalità dando per risolta la questione<br />

dei sistemi istituzionali e di contro accettando il<br />

modello di sviluppo locale proposto da Barca-<br />

Ciampi come se modello di sviluppo, sistema<br />

delle istituzioni e strumenti di piano fossero<br />

variabili indipendenti.<br />

A questo tentativo ha difettato una interpretazione<br />

condivisa della nuova società italiana e ancor<br />

più delle trasformazioni territoriali avvenute<br />

e in corso e quindi la capacità di proporre un<br />

51


sulla riforma urbanistica<br />

progetto di sviluppo consapevole di questi<br />

cambiamenti.<br />

Non ritengo che si debba necessariamente fare<br />

riferimento ad un grande progetto compiuto<br />

e trascinante, espresso da una parte politica,<br />

fatto di valori condivisi assunti come obiettivi<br />

e di regole anch’esse condivise e coerenti ai<br />

valori ipotesi tardo illuministica, ma a diverse<br />

idee di sviluppo, coerenti al modello sociale<br />

europeo e comunque praticabili da una società<br />

che è sostanzialmente immatura per eccesso di<br />

ridistribuzione e di centralismo paternalista.<br />

Penso ad un approccio ”debole” ma consapevole<br />

delle questioni in gioco nei diversi territori<br />

e responsabile delle scelte e in parte questo<br />

ha coinciso con il modello di sviluppo locale<br />

assunto dalla Nuova programmazione.<br />

Dove la “nuova programmazione” ha fallito è<br />

stato proprio per l’incapacità di interpretare<br />

lo sviluppo locale in termini territoriali. I Patti<br />

territoriali di territoriale hanno avuto ben poco,<br />

ma hanno messo in luce che senza territorio<br />

non si fa sviluppo, e di questo si è convinta<br />

anche la recalcitrante Comunità europea, che<br />

nel suo 3° Rapporto di coesione introduce come<br />

novità, la “coesione territoriale”. Il fallimento<br />

probabilmente è dipeso da una sfiducia antica<br />

e giustificata dei programmatori verso il piano<br />

di tradizione, ormai arrivato alla sua eclissi,<br />

e al contempo da una idea troppo ottimistica<br />

delle capacità progettuali delle società locali.<br />

Si può dire che il piano, il nuovo piano non sia<br />

intervenuto con le sue potenzialità in questa<br />

fase e che neanche il piano di tradizione sia stato<br />

utile.<br />

Il confronto-scontro tra i riformisti si è incentrato<br />

proprio sul tema territorio/sviluppo e sulla<br />

sperimentazione di nuovi strumenti. I principali<br />

protagonisti sono stati il Dipartimento del<br />

territorio presso il MEF, che ha gestito la<br />

ridistribuzione dei Fondi strutturali, e la Dicoter<br />

presso il MIT che con poche risorse, ma con una<br />

tradizione “territoriale” ha messo in campo una<br />

notevole capacità di governance partendo dalle<br />

città. Sono state due interpretazioni entrambe<br />

riformiste, ma divergenti, dello sviluppo, che<br />

anche in relazione alla differenza delle risorse<br />

disponibili, hanno connotato politiche regionali<br />

e politiche locali diverse, più ridistributive<br />

ma, come è stato autorevolmente sottolineato,<br />

52<br />

senza una visione “territoriale” e “centrale”<br />

dello sviluppo le prime, più progettuali, urbane<br />

e infrastrutturali, ma consapevoli dei limiti<br />

del piano di tradizione e basate su un ampio<br />

tentativo di governance territoriale plurilivello<br />

le seconde.<br />

Questo è avvenuto, in una prima fase, con<br />

un’enfasi, forse troppo ottimistica, dello sviluppo<br />

locale concertativo e con il depotenziamento<br />

dell’Asse città nei POR, a cui si è risposto con una<br />

diffusione di Programmi complessi, prima urbani<br />

poi di valenza territoriale che hanno tentato la<br />

ricomposizione di quadri strategici di assetto. La<br />

città e le politiche urbane negate dalla diffusiva<br />

Nuova programmazione di Barca sono divenute lo<br />

snodo di una nuova urbanistica di cui Fontana<br />

può essere considerato il motore. Dall’eclissi<br />

della prima stagione dei fondi strutturali si sono<br />

così salvate solo le politiche territoriali integrate,<br />

di scala sovrallocale. La evoluzione dei Prusst (e<br />

dei Programmi “Sistema” e “Porti e Stazioni”),<br />

nelle Piattaforme Territoriali, intese non tanto<br />

come nodi critici di 2° livello, la cui soluzione<br />

appare finanziariamente impraticabile per uno<br />

stato esangue, ma come reti potenziali che<br />

condividono una strategia spaziale per quel<br />

contesto specifico.<br />

Noi tutti sappiamo che la politica di piano<br />

serve a questo paese e non solo quale fattore<br />

aggiunto ai progetti di sviluppo, spesso carichi<br />

di innovazione o di entusiasmo, ma privi<br />

di coerenza e di compatibilità, incapaci di<br />

dialogare con altri progetti e di verificare la<br />

propria sostenibilità, quanto per ricostruire una<br />

dimensione di condivisione reale.<br />

Parlo di condivisione, non nei termini retorici<br />

della partecipazione richiesta dalle direttive comunitarie<br />

e gestita dai movimenti ambientalisti<br />

attraverso la VIA e la VAS, né nei termini derivati<br />

con sillogismi azzardati dal successo elettorale<br />

(chi ha vinto ha la condivisione su tutto<br />

quello che farà), ma di condivisione costruita<br />

attraverso il piano, basata sul confronto tra interessi<br />

reali e tra ragionamenti argomentabili. Una<br />

condivisione mai totale, fatta di compromessi<br />

, di conquiste e di rinunce, in una logica incrementale<br />

e perfezionista , una logica riformista.<br />

Il piano è, e resta, lo strumento essenziale di<br />

questo processo, ma lo è ancora più oggi in


assenza di modelli sociali di sviluppo condivisi e<br />

di sistemi istituzionali coerenti o coesi anche se<br />

non amato e tanto meno praticato dai governi<br />

passati ed omesso dai programmi elettorali dei<br />

nuovi partiti.<br />

Ma quale piano?<br />

Pongo alcune questioni partendo dai piani<br />

che facciamo, dalle leggi che si sono e senza<br />

ambizioni di novitismo.<br />

Ho già anticipato alcune forme di piano ricorrenti:<br />

• il piano come messa in coerenza degli assetti<br />

derivanti dai diversi progetti di sviluppo di<br />

volta in volta conflittuali e/o cooperanti.<br />

• il piano come esito di strategie ad alto contenuto<br />

ambientale (in senso lato qualità della vitapaesaggio).<br />

In entrambi i casi si tratta di una dimensione del<br />

piano che in questi anni ha trovato molteplici<br />

forme di sperimentazione che si sono progressivamente<br />

aggregate nella diffusione di linguaggi<br />

e di contenuti “strutturali” (nelle leggi e nei<br />

piani).<br />

Nella definizione di strutturale convivono diverse<br />

culture e tradizioni, da quella ambientalista<br />

che sulle invarianti strutturali costruisce l’intero<br />

piano (Gambino), a quella tardo riformista<br />

che ha proposto di risolvere le contraddizioni<br />

del PRG di tradizione separando le componenti<br />

strutturali necessarie alle politiche pubbliche<br />

necessarie alle politiche pubbliche senza che le<br />

stesse “conformino” i diritti proprietari (Campos<br />

Venuti).<br />

La coincidenza tra le due interpretazioni,<br />

santificata nella legge toscana, ha spesso prodotto<br />

piani molto descrittivi e poco previsivi, pesanti<br />

nella ricognizione e nell’ampliamento dei vincoli<br />

morfologici, leggeri nelle nuove previsioni .<br />

In Toscana questa interpretazione ha del resto<br />

corrisposto alla produzione di molti strutturali e<br />

di pochi operativi.<br />

Ma ritorna anche il problema del rapporto<br />

(coerenza-conformità) tra strutturale e operativo<br />

e con esso quelli delle varianti, e del controllo,<br />

della natura non conformativa delle proprietà,<br />

etc. perché è nella dimensione operativa che<br />

sulla riforma urbnistica<br />

la retorica dello strutturale deve trovare la sua<br />

verifica .<br />

Ritorna allora la questione dei suoli con tutti<br />

i suoi problemi e su di essa le strategie dello<br />

sviluppo devono comunque fondare le proprie<br />

regole.<br />

Pianificazione strutturale – pianificazione strategica<br />

La tendenza a reinterpretare lo strutturale in<br />

una dimensione strategica (i piani strategici delle<br />

città prima ed ora dei Territori-snodo e delle<br />

Piattaforme), al di là delle noiose distinzioni<br />

semantiche e delle inutili primogeniture procedurali<br />

(prima l’uno o l’altro) costituisce indubbiamente<br />

una delle questioni intorno alla quale<br />

verificare l’utilità del nuovo piano.<br />

A questa dimensione occorrono però strumenti<br />

valutativi di maggiore validità e al contempo di<br />

più ampia praticabilità.<br />

Detto nei termini delle politiche pubbliche neocontrattuali,<br />

occorrono impianti di conoscenza<br />

condivisi (su basi appunto neocontrattuali) per<br />

valutare le compatibilità degli assetti proposti.<br />

Si tratta di Quadri conoscitivi condivisi,<br />

aggiornabili, parametrizzabili, ai quali collegare<br />

indicatori di natura ambientale ma anche<br />

paesaggistico territoriale.<br />

Capisco di toccare un tasto delicato, quello della<br />

Valutazione e degli indicatori, in genere rifiutati<br />

dalla cultura del progetto e in parte da quella<br />

del piano, ma le valutazioni che accompagnano<br />

le scelte devono necessariamente riferirsi ad un<br />

conferimento di senso (e di valore) che la società<br />

locale deve condividere rispetto al territorio, al<br />

paesaggio e all’ambiente . Questo deve avvenire<br />

su basi di regole “stabilite prima” e da soggetti<br />

terzi, politiche appunto neocontrattuali, pur<br />

nella consapevolezza dei loro limiti e della<br />

loro relatività (spaziale e temporale), questa<br />

dimensione limitata ne costituisce per altro verso<br />

la forza in quanto ne comporta un progressivo<br />

perfezionamento proprio attraverso una ciclicità<br />

degli attori e dei loro ruoli.<br />

Il piano si libera del problema giustificativo<br />

(sempre un po’ ambiguo – far tornare i conti -<br />

e ipocrita – tanto sappiamo che le cose stanno<br />

53


sulla riforma urbanistica<br />

diversamente) e le società locali si caricano di<br />

responsabilità relativamente al senso e al valore<br />

dei luoghi.<br />

Solo allora la dimensione strategica della pianificazione<br />

e la sua connotazione strutturale fatta<br />

di coerenze di assetti spaziali, trovano una verifica<br />

di compatibilità rispetto alle ragioni del<br />

Territorio – Ambiente – Paesaggio.<br />

Il piano dell’armatura urbana<br />

La stessa caratterizzazione neo-contrattuale<br />

investe le politiche pubbliche “urbane” o per<br />

meglio dire quelle delle Armature Urbane e<br />

territoriali.<br />

Uso volutamente questa definizione molto<br />

criticata dagli amici affezionati agli standards<br />

proprio perché mi interessa superare una<br />

concezione urbanocentrica del governo del<br />

territorio.<br />

Se si accetta la questione della metropolizzazione<br />

che interessa intere aree del paese, così<br />

come l’ha posta F.Oliva, nel suo documento per<br />

il prossimo congresso e non ci si affida alle sole<br />

soluzioni “progettuali” insite nella definizione<br />

disciplinare del “Progetto di territorio” o alle<br />

“Agende” senza progetto, si può ripartire dall’urbanistica<br />

della terra, quella che tratta i rapporti<br />

tra strade e valori dei suoli, quelle dei confini,<br />

dei modi d’uso e dei modi di intervento, dei<br />

regimi proprietari.<br />

Si tratta di cose a noi ben note, ma che in questi<br />

anni abbiamo trattato con difficoltà tra l’impraticabilità<br />

dell’esproprio e le difficoltà della perequazione<br />

spesso sostenuta solo dall’inventiva<br />

dei professionisti, memori di inutile battaglie<br />

ideologiche e preoccupati di invadenti neo capitalismi.<br />

Trattare quest’urbanistica comporta, per dirla<br />

con Mazza, che anche prima ho richiamato senza<br />

citarlo, la assunzione di una logica “repubblicana”<br />

nel senso di porre il piano come la dimensione<br />

responsabile della parte pubblica della<br />

città, della parte esistente e del suo progetto,<br />

in relazione all’uso che ne fanno i cittadini e gli<br />

utenti. Anche questa natura “pubblica” dal piano<br />

è stata oggetto di scontro e di battaglie inutili<br />

tra riformisti e massimalisti (esistono ancora).<br />

54<br />

Non è da riaffermare la prevalente natura<br />

pubblica della pianificazione quanto piuttosto<br />

la responsabilità pubblica nel definire, nel<br />

realizzare e nel gestire la parte della città<br />

necessaria alla concretizzazione dei diritti<br />

minimi di cittadinanza (abitazione, mobilità,<br />

accessibilità, sicurezza, salute, etc.)<br />

Diviene allora essenziale fornire parametri<br />

certi ai nuovi e incerti processi di interazione<br />

pubblico-privato.<br />

Un mondo nuovo per gli urbanisti, anche<br />

questo fatto di quantità misurabili ma anche di<br />

prestazioni difficili da misurare.<br />

Si può pensare quindi a due sfere di operatività<br />

per il nuovo piano, una quella della compatibilità<br />

delle trasformazioni rispetto al territoriopaesaggio-ambiente,<br />

così come li interpretano le<br />

società locali in base ad un approccio cognitivo<br />

condiviso.<br />

L’altra quella della definizione delle Armature<br />

(urbane e territoriali) quali supporti dei progetti<br />

di sviluppo ma ancor prima come tessuto<br />

connettivo dei diritti minimi di cittadinanza.<br />

Il nuovo piano può riarticolare le sue potenzialità<br />

intorno a questi due temi e questo non tanto<br />

per la loro natura “urbanistica” fatta di tradizioni<br />

disciplinari solide (fabbisogni standard<br />

– welfare – riformismo) e di concretezza amministrativa<br />

quanto per una più profonda necessità<br />

rifondativa che l’attività di piano deve avere<br />

rispetto all’insufficienza istituzionale.<br />

Le Istituzioni cambiano e non solo nelle forme né<br />

per un’auto rigenerazione ma in questo processo<br />

interagiscono fattori culturali economici sociali . Il<br />

nuovo piano va riguardato in questa prospettiva.<br />

Emergono allora le questioni “etiche” nel senso<br />

che presuppongono una concezione dei rapporti<br />

tra urbanistica e società basata su attribuzione di<br />

senso e di valore.<br />

• la fondazione di impianti conoscitivi condivisi<br />

(per la valutazione e per la pianificazione)<br />

non interni al progetto (al piano);<br />

• la dimensione strutturale quale esito dell’interazione<br />

esplicita tra diversi progetti di<br />

sviluppo, interazione nella quale il pubblico<br />

non ha funzioni dirigistiche ma regolatrici<br />

(teoria del benessere);


• il progetto dell’Armatura urbana come oggetto<br />

principale della pianificazione, intesa<br />

come equa distribuzione dei diritti minimi<br />

(teoria della giustizia) ma anche come elemento<br />

regolativo dei rapporti pubblico privato<br />

(perequazione) e organizzativo della<br />

morfologia dei sistemi insediativi;<br />

• la costruzione di nuove istituzioni più aderenti<br />

ad una società liquida e ad un territorio<br />

metropolizzato.<br />

sulla riforma urbnistica<br />

Gran parte di questi temi eccetto l’ultimo sono<br />

trattati nelle L.R. innovative, ma in modo<br />

parziale, disarticolato e a volte contraddittorio,<br />

è compito della disciplina non tanto ricostituire<br />

una dimensione unitaria e ordinata quanto<br />

quello di verificare la reale “utilità” del nuovo<br />

piano e la sua “eticità”.<br />

55


sulla riforma urbanistica<br />

56


Operativi e tempestivi: i problemi di un<br />

piano che vuole essere autorevole<br />

U. Baldini e G. Lupatelli - Nel panorama delle<br />

grandi città della regione, Ravenna è tra quelle<br />

che si è spinta più avanti nel complesso cammino<br />

che la Legge Regionale 20 del 2000 ha disegnato<br />

per i nuovi strumenti urbanistici: da questo<br />

osservatorio privilegiato quale è la valutazione<br />

che ti è possibile avanzare sull’efficacia della<br />

legge e sui suoi problemi?<br />

F.Stringa – Il tema centrale per valutare l’impatto<br />

della legge 20 sulla attività di pianificazione è<br />

quello dei tempi troppo lunghi di formazione del<br />

piano: a Ravenna abbiamo discusso in consiglio<br />

comunale il primo documento di indirizzi<br />

nel novembre 2001 (si noti un documento<br />

non previsto dalla L.R. 20 ma necessario per<br />

coinvolgere il Consiglio comunale all’inizio<br />

del processo, prima dello stesso documento<br />

preliminare del PSC) e non abbiamo ancora<br />

concluso l’intero processo.<br />

Il Documento preliminare del PSC è stato<br />

approvato in Giunta a febbraio 2003 e subito<br />

si è aperta la Conferenza di Pianificazione che<br />

si è chiusa a maggio; a luglio 2003 Consiglio<br />

comunale e Consiglio provinciale hanno<br />

deliberato l’Accordo di pianificazione. Tempi<br />

rapidi conseguenti ad una prassi consolidata<br />

di collaborazione fra i vari Enti e ad un clima<br />

politico positivo e non litigioso.<br />

Il Documento preliminare aveva una struttura<br />

lontana dal PRG tradizionale senza cartografia:<br />

individuava criticità, obiettivi e azioni e definiva<br />

la “forma piano” articolando il territorio in Spazi<br />

e Sistemi (Spazio naturalistico, spazio rurale,<br />

spazio Portuale, Spazio urbano e tre Sistemi<br />

trasversali: paesaggistico-ambientale, della<br />

mobilità, delle dotazioni); è un vero e proprio<br />

documento strategico. Poi abbiamo prodotto<br />

una bozza di PSC nell’ottobre 2004 (il cd “ PSC<br />

comunicazione”) con cartografia sovrapposta<br />

di PRG 93 e PSC e a fianco le due bandelle che<br />

richiamavano obiettivi e azioni del documento<br />

sulla riforma urbnistica<br />

Intervista di Ugo Baldini e Giampiero Lupatelli (BL) a Franco Stringa (FS)<br />

Preliminare e le riferivano nello spazio. Su<br />

questo documento si è promossa una attività di<br />

confronto e concertazione con tutti gli attori che<br />

ha portato all’adozione del PSC nel giugno 2005<br />

e alla sua approvazione nel febbraio 2007. Oggi<br />

stiamo adottando il RUE, presentato nell’ottobre<br />

2007, e stiamo formando il 1° POC (abbiamo<br />

pubblicato uno specifico bando).<br />

Ma tornando ai tempi, si può dire con certezza<br />

che sono troppo lunghi, tempi imposti da<br />

procedure ripetitive, da un modello troppo<br />

rigido, ma soprattutto da una cultura urbanistica<br />

e politica che non ha la cultura del tempo, della<br />

necessità di dare risposte in tempi certi.<br />

BL - Se tornassi indietro cosa cambieresti<br />

nell’esperienza di formazione del PSC, in quali<br />

trappole cercheresti di non cadere?<br />

FS – spesso mi chiedo se abbiamo sbagliato<br />

qualcosa e ovviamente sarà così. Un piano è<br />

come una suonata d’Orchestra, se suona male la<br />

colpa è del direttore? di qualche orchestrale fuori<br />

tempo? dello spartito? Io non lo so. So solo che<br />

è più difficile operare quando le leggi, pur ben<br />

confezionate e “avanzate”, si propongono come<br />

“modelli”, modelli che bisogna poi seguire, come<br />

è nel nostro caso con “il modello INU prendere<br />

o lasciare”, sposato troppo acriticamente dalla<br />

L.R. 20 e neppure rivisto oggi alla luce delle<br />

esperienze reali con la nuova proposta di legge.<br />

Nel percorso di attuazione della 20 Ravenna<br />

ha vantaggi e svantaggi specifici: ha una lunga<br />

e consolidata esperienza di pianificazione<br />

(un piano ogni dieci anni dal 1973) proprio<br />

per questo non aveva particolari pressioni a<br />

fare in fretta (il PRG 93 permetteva ancora<br />

una buona gestione dei processi e forse anche<br />

questa situazione più rilassata ha contribuito ad<br />

allungare i tempi), una cultura diffusa del piano<br />

come processo e quindi poche spinte a “varianti<br />

e variatine”, un territorio vasto e complesso che<br />

permetteva da un lato una pianificazione di<br />

57


sulla riforma urbanistica<br />

area vasta all’interno di una realtà comunale,<br />

ma nello stesso tempo estremamente ricco di<br />

problematiche e impegnativo per la grande<br />

varietà di temi e luoghi.<br />

BL - In generale come funziona il rapporto con<br />

la classe politica?<br />

FS – Quando ti muovi nei comuni e nelle reti<br />

locali c’è sempre il problema di avere a che<br />

fare con Sindaci e Amministrazioni più o<br />

meno consapevoli, ma c’è anche la realtà di un<br />

modello di pianificazione imposto dalla Legge<br />

che non tiene conto delle diversità di situazione<br />

tra dimensioni diverse, contesti diversi e ruoli<br />

diversi e per questo a volte non capito, non<br />

accettato. Inoltre non è maturata la cultura dei<br />

diversi ruoli fra Consiglio comunale, Giunta<br />

e dirigenza, con invasioni di campo che non<br />

aiutano la chiarezza del processo, la sua durata<br />

e la sua efficacia.<br />

Per esempio abbiamo appena pubblicato il<br />

bando per la formazione del POC con una<br />

determina del Dirigente, in quanto basato sugli<br />

indirizzi già definiti dal PSC, tuttavia sono stato<br />

criticato per questo. Ma, torno a dire, tutto questo<br />

dipende dal fatto che è carente la cultura delle<br />

competenze, della divisione dei ruoli e dopo il<br />

periodo della Bassanini si sta registrando un<br />

ritorno indietro specie nei piccoli comuni.<br />

Infine una partecipazione più spesso promossa<br />

per una ricerca di consenso e troppo condizionata<br />

dalle mediazioni, dalle pressioni corporative e<br />

quindi caratterizzate più dalla lunghezza dei<br />

tempi che dalla efficacia del confronto.<br />

BL - Arrivati, come tu sei arrivato, quasi in<br />

fondo all’esperienza del nuovo sistema “in tre<br />

atti” di pianificazione, come valuti il modello<br />

della 20 pensando ad una situazione matura,<br />

ormai giunta a regime, quali sono gli elementi di<br />

razionalità che propone e quali invece i rimedi<br />

alle sue criticità che si possono mettere in campo,<br />

nei tempi brevi e nei tempi lunghi?<br />

FS - Con il PSC abbiamo definito cosa va al RUE<br />

(intervento diretto) e cosa al POC (strumenti<br />

attuativi) ma con i necessari margini di flessibilità<br />

che consentano anche escursioni del POC nel<br />

territorio del RUE e rinvii dal RUE al POC.<br />

Chi dice che si può risparmiare tempo facendo<br />

PSC, POC e RUE contemporaneamente non<br />

58<br />

tiene conto delle risorse finanziarie e umane<br />

che servono per questo sforzo e poi, davvero il<br />

POC lo possiamo fare su un PSC solo adottato?<br />

E questo senza parlare della interpretazione<br />

iniziale che voleva il RUE come un regolamento,<br />

addirittura senza cartografia! Che bisogno c’era<br />

allora di riportare ad unità la parte urbanistica<br />

e quella edilizia, oppure che senso ha che il<br />

PSC comprenda la disciplina diffusa. Il RUE di<br />

Ravenna è dotato di una cartografia complessiva<br />

nella quale sono già previsti gli ambiti del<br />

POC, già definiti dal PSC, (il POC sarà a<br />

schede). Si deve cercare di rendere più flessibile<br />

l’articolazione dei piani più che sposare la tesi<br />

dei due o tre livelli.<br />

Quanto ai rimedi, innanzitutto occorre introdurre<br />

più flessibilità nel PSC; quanto alle criticità c’è<br />

da chiarire il ruolo del livello di pianificazione<br />

sovracomunale, c’è da scongiurare il rischio<br />

di un sovraffollamento disciplinare (a partire<br />

dagli schemi strutturali strategici, dai temi del<br />

paesaggio come autonomi o sovraordinati) che<br />

propone ogni nuovo approccio come portatore di<br />

una visione e di una sintesi generale centrata su<br />

se stesso: ma solo il piano urbanistico deve fare<br />

sintesi delle varie tematiche ed essere quadro<br />

di riferimento comune per gli approfondimenti<br />

settoriali.<br />

Da ultimo c’è il tema su cui si è molto dibattuto,<br />

forse anche in modo un po’ stucchevole sul<br />

carattere conformativo o meno del PSC: per me,<br />

se è ovvio che il PSC non è conformativo per i<br />

diritti edificatori (non si approvano PUA e non<br />

si rilasciano permessi di costruire con il PSC) lo<br />

è certo per tutto il resto, perché lo è per valori<br />

fondiari, per la individuazione degli ambiti<br />

comunque sia fatta o raccontata, lo è per il<br />

territorio. Esiste una conformazione progressiva<br />

che va ricercata, disciplinata, così come vi deve<br />

essere una concertazione progressiva, che<br />

partendo dal PSC mantenga tale concertazione<br />

all’interno del processo di piano e non assuma<br />

invece un ruolo derogatorio.<br />

BL - Ma forse, per parlare di questi altri aspetti,<br />

non si dovrebbe usare il termine conformativo,<br />

ma orientativo, organizzativo, strategico…<br />

FS – Ma anche al limite operativo! Il PSC può<br />

essere operativo in alcune sue scelte strategiche<br />

e urgenti di interesse generale. Gianluigi Nigro


dice che, dopo un Documento Preliminare<br />

consistente, strategico, partecipato ed oggetto<br />

di Accordo di pianificazione (un documento<br />

del tipo di quello da noi predisposto), il PSC<br />

potrebbe avere anche contenuto regolamentare<br />

delle componenti strutturali del territorio, fino<br />

ad assorbire il RUE (modello umbro); ma questo<br />

comporterebbe la gestione di osservazioni<br />

su questioni molto minute, ancorché riferite<br />

a componenti strutturali del territorio, che<br />

sembrano dover essere estranee al PSC. Resta<br />

il fatto che “il modello a tre stadi” è compreso<br />

a fatica dalla gente anche dove la cultura<br />

urbanistica diffusa è elevata come qua, ma anche<br />

dagli stessi politici e tecnici.<br />

Se ho un approccio operativo, se penso alla<br />

necessità dell’efficacia del piano, di essere<br />

credibile e autorevole, devo preoccuparmi dei<br />

tempi di attuazione delle scelte, non solo delle<br />

scelte. Debbo poter far “coincidere” PSC e<br />

POC per esempio per quelle opere o per quegli<br />

accordi di cui all’art. 18 che hanno un rilievo<br />

strategico e sono maturi per partire subito, poi<br />

di POC ne posso fare più d’uno e non solo ogni<br />

cinque anni.<br />

Nei confronti dei portatori di interessi noi<br />

a Ravenna siamo da sempre autorevoli per<br />

la storia e la continuità di pianificazione che<br />

abbiamo. Cominciamo però a non esserlo più,<br />

perché non sappiamo indicare e rispettare i<br />

tempi di formazione del Piano. Il fattore tempo<br />

(che è anche un fattore economico) fa perdere<br />

autorevolezza al Piano se diventa una variabile<br />

incontrollata o incontrollabile.<br />

Abbiamo fatto un grande sforzo per chiudere<br />

gli Accordi coi privati prima del POC perché è<br />

nel PSC che il Comune ha più potere negoziale,<br />

è nel PSC che il Comune li deve proporre, nel<br />

processo di piano e in una logica di concertazione<br />

progressiva (gli accordi sono su tre livelli: PSC,<br />

POC e PUA e formulati dopo aver approvato da<br />

parte del Consiglio Comunale un Accordo tipo).<br />

Ciò garantisce al Comune il ruolo di decisore e<br />

al piano un ruolo guida. Il processo concertativo<br />

lo devi realizzare partendo dal PSC, che per<br />

questo può poter avere parti operative: posso<br />

far partire un PUA a PSC adottato e approvarlo<br />

immediatamente dopo a PSC approvato, allorché<br />

costituisce anche POC.<br />

sulla riforma urbnistica<br />

BL - Ma così mi pare che tu stia prefigurando un<br />

masterplan piuttosto che un piano conformativo,<br />

una esigenza di selezionare operatività strategica<br />

piuttosto che distribuire facoltà e diritti. O no?<br />

FS – In parte si, operatività strategica che non<br />

nega la conformazione pregressiva di cui dicevo.<br />

Per precisare meglio il discorso di prima dico che<br />

solo facendo leva su un forte potere negoziale<br />

dell’Amministrazione abbiamo potuto ottenere<br />

200 Euro/mq. di oneri aggiuntivi rispetto ai<br />

74 Euro/mq di oneri di U1 e U2 per tutti gli<br />

ambiti a programmazione unitaria individuati<br />

dal PSC, il che porterà per i 28 Accordi conclusi<br />

un introito di fatto di oltre 84 milioni di Euro,<br />

recuperando concretamente al pubblico parte<br />

della valorizzazione fondiaria. Solo facendo<br />

leva su detto potere negoziale abbiamo potuto<br />

introdurre le previsioni per l’ERP che, come<br />

detto nella nuova finanziaria, abbiamo inteso<br />

come previsioni aggiuntive e non “sottrattive”<br />

del carico urbanistico assegnato dal PSC. E’ in<br />

relazione a ciò che abbiamo definito meccanismi<br />

perequativi per tutti gli ambiti di trasformazione<br />

e indici edificatori composti fra quota assegnata<br />

alla proprietà, diritti edificatori da ospitare<br />

e derivati da aree pubbliche da cedere<br />

gratuitamente al Comune, e quote di ERP.<br />

Per queste innovazioni il Prof. Graziosi ci ha<br />

attaccato (e con noi Modena) su una rivista<br />

giuridica rifacendosi al vecchio armamentario<br />

della legge del 1942 e dal DM del 1968, ma<br />

in realtà noi non abbiamo contenzioso sugli<br />

Accordi di cui all’art. 18; abbiamo 7 ricorsi al<br />

TAR e tutti su aspetti marginali. Se rendi più<br />

efficiente il processo con una buona pratica<br />

concertativa riduci di fatto il contenzioso, certo<br />

che la legislazione va adeguata, altrimenti<br />

rischi, in tal senso la finanziaria ha aiutato.<br />

Aiuterebbero quindi più chiare disposizioni<br />

legislative nazionali e regionali.<br />

Ed è proprio per arrivare a questo risultato di<br />

efficacia attraverso la concertazione che abbiamo<br />

– come ho già detto - presentato fin dall’agosto<br />

2003 all’inizio della formazione del PSC, il Bando<br />

per promuovere gli Accordi ex art. 18, sulla base<br />

dei criteri definiti nel Documento Preliminare<br />

del PSC.<br />

BL - Quale giudizio dai sulla gestione dei<br />

bandi?<br />

59


sulla riforma urbanistica<br />

FS – Certamente positivo. Nell’Ottobre 2003<br />

abbiamo avuto 136 risposte in seguito al bando<br />

(erano contributi collaborativi alla formazione<br />

del Piano a cui non eravamo tenuti a dare<br />

risposta immediata): da queste domande sono<br />

nati 10 dei 28 accordi che abbiamo inserito nel<br />

PSC, più altri 10 che però sono entrati nel PSC<br />

in forma totalmente modificata rispetto alla<br />

domanda che era stata presentata; per i restanti<br />

casi, invece, l’accordo è nato su diretta e originale<br />

iniziativa del Comune. Tutti comunque definiti<br />

preventivamente dalla Bozza di PSC dell’ottobre<br />

2004. Infatti i tavoli di concertazione coi privati<br />

sono stati tutti aperti successivamente e<br />

contestualmente fra il novembre 2004 e maggio<br />

2005, alla luce delle schede tecniche già definite<br />

dal PSC stesso.<br />

BL - Nella nostra esperienza di costruzione<br />

del Piano viene ad assumere un ruolo sempre<br />

più centrale il momento della valutazione e il<br />

percorso della VAS…<br />

FS - Una valutazione efficace dovrebbe partire<br />

da una adeguata individuazione del suo<br />

oggetto: sulle trasformazioni rilevanti dovresti<br />

selezionare pochi ma precisi e significativi<br />

indicatori, altrimenti il rischio è che si debba fare<br />

gli stessi studi per l’ampliamento della casa del<br />

contadino come per una lottizzazione…<br />

Dovremmo unificare tutte le procedure di<br />

gestione dei vincoli (individuare metologie<br />

valutative che possano divenire comuni<br />

per i vari e troppi soggetti competenti) e<br />

specializzare opportunamente su questo ruolo<br />

di identificazione e certificazione il PTCP.<br />

BL - Come valuti il tema delle relazioni<br />

istituzionali nel sistema di pianificazione<br />

disegnato dalla 20?<br />

FS - Il tema della sussidiarietà è affermato<br />

con forza al primo articolo della legge ma<br />

poi troppe volte contraddetto a partire dal<br />

secondo. Una tendenza centralistica degli enti<br />

sovraordinati che a volte fa venire il sospetto<br />

e non solo di una scarsa fiducia nella capacità<br />

di pianificazione e gestione dei Comuni;<br />

occorre una partecipazione collaborativa e non<br />

sostitutiva di questi enti soprattutto nelle realtà<br />

più deboli e frammentate.<br />

60<br />

Inoltre come ho già detto non si può pensare<br />

che il modello a tre livelli possa essere il vestito<br />

giusto per tutte le realtà. Occorre veramente<br />

definire meccanismi di reale flessibilità e<br />

sussidiarietà, rischiando e puntando sulla<br />

responsabilizzazione di tutti i soggetti, anche i<br />

più piccoli, solo così forse semplificazione delle<br />

procedure e non solo, e tempi “brevi” saranno<br />

possibili.<br />

Tu gestisci il Piano ma altri gestiscono altri piani<br />

e altri vincoli: tutti i pareri esterni dovrebbero<br />

essere pareri consultivi, oggi troppi hanno diritto<br />

di veto. Questa è utopia nella frammentazione<br />

istituzionale e di poteri che c’è in Italia o è una<br />

scommessa possibile?<br />

Nella sostanza il tema, come ho detto non è<br />

forse molto rilevante per il Comune di Ravenna<br />

(66.000 kmq) che è già area vasta e non ha grossi<br />

problemi di intercomunalità. E’ anche l’esigenza<br />

di arrivare alla formazione di uno schema<br />

strategico in tempi brevi, il che è essenziale<br />

per i Comuni (vedi Bologna) che si devono<br />

confrontare con un’area vasta, con una città<br />

reale che è notevolmente più grande del comune<br />

stesso, lo è meno per noi. Qui forse sarò accusato<br />

di essere autarchico, che Ravenna, come dice<br />

Campos, fa un po’ quello che gli pare, è un caso<br />

a parte. Forse però bisogna confrontarsi anche<br />

con i casi a parte.<br />

BL - Allora per la serie istruzioni per l’uso<br />

(in attesa delle integrazioni doverose di<br />

Maurizio Sani nel momento del trapasso delle<br />

responsabilità) prova a dire quali sono in sintesi<br />

i punti del processo di piano che ritieni critici<br />

per un miglioramento del rendimento della L.R.<br />

20.<br />

FS - Mi sembra di averli già detti e non solo da<br />

oggi: la sua rigidità, il suo derivare più da un<br />

“modello” che dalle esperienze reali.. In questi<br />

casi però o è colpa di chi non si spiega, o di chi<br />

non capisce o fa finta di non capire.


L’Agenda del Sindaco<br />

• Bolzano, Luigi Spagnolli<br />

• Cesena, Giordano Conti<br />

• Gatteo, Tiziano Gasperoni<br />

• Casalgrande, Andrea Rossi<br />

• Fossano, Francesco Balocco<br />

• Albenga, Antonello Tabbò<br />

• Chieri, Agostino Gay<br />

• Sarzana, Massimo Caleo<br />

l’agenda del sindaco<br />

61


l’agenda del sindaco<br />

62


Bolzano<br />

La caratteristica essenziale dell’Italia è, da sempre,<br />

la disomogeneità.<br />

Disomogeneità che, in sé, non è necessariamente<br />

uno svantaggio: ma se si vuole ridare efficienza<br />

al Paese non si può non tenerne conto, cercando<br />

ovviamente di valorizzarla, ove possibile, e di<br />

limitarne gli effetti negativi, sempre ove possibile.<br />

C’è una disomogeneità territoriale, per cui in<br />

Lombardia si vive in modo diverso piuttosto<br />

che in Puglia; ma c’è anche una disomogeneità<br />

strutturale, per cui a fronte di apparati pubblici<br />

e privati di conclamata efficienza vi sono oggi in<br />

Italia altri apparati pubblici e privati che quanto<br />

all’efficienza lasciano molto a desiderare.<br />

Come Sindaco mi tocca soffermarmi sul pubblico.<br />

Gli enti territoriali tradizionali, Regioni,<br />

Province e Comuni, cui si sono via via aggiunte<br />

Comunità Montane e di Valle, Parchi Nazionali,<br />

Città Metropolitane e quant’altro, sono già tra<br />

loro assai variegati: vi sono Regioni grandi e<br />

piccole per dimensioni e popolazione, Province<br />

idem, Comuni idem, ed è difficile dire se c’è<br />

più differenza tra la Lombardia e il Molise, tra<br />

la Provincia di Napoli e quella di Prato, tra il<br />

Comune di Palermo e quello di Massimeno (TN<br />

– abitanti 32), tralasciando gli aspetti legati agli<br />

Statuti Speciali. Anche per questo, ovviamente,<br />

molto diverso è il peso (politico, economico, ecc.)<br />

rispetto allo Stato, e quindi il rapporto con esso.<br />

Ma il problema di fondo è che, nonostante la riforma<br />

dell’Articolo V della Costituzione, il rapporto<br />

tra gli enti suddetti rimane di tipo gerarchico,<br />

non foss’altro per via di chi tiene i cordoni<br />

della borsa.<br />

Ecco dunque che una maggiore efficienza della<br />

cosa pubblica, da cui discende una maggiore<br />

funzionalità dei servizi pubblici e quindi un<br />

miglior supporto ai cittadini ed alle imprese,<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Luigi Spagnolli<br />

deve passare attraverso una razionalizzazione<br />

degli enti locali ed una contrattualizzazione dei<br />

rapporti reciproci.<br />

Razionalizzazione: qual è l’ambito territoriale<br />

ideale per esercitare le diverse competenze?<br />

Ad esempio, la programmazione economica, la<br />

gestione della sanità e la pianificazione e gestione<br />

del ciclo dei rifiuti hanno senso a livello di<br />

Regione, mentre la pianificazione del territorio,<br />

la realizzazione e manutenzione delle strade e<br />

l’organizzazione dei servizi sociali è ottimale se<br />

svolta al livello di Provincia, dove però va detto<br />

che una Provincia, per essere adeguatamente<br />

dimensionata, non può avere una popolazione<br />

inferiore a x (300.000 abitanti, a mio avviso,<br />

sono ancora pochi) ed un territorio omogeneo<br />

non inferiore a y (sempre a mio avviso, almeno<br />

3000 kmq). Invece la gestione dei servizi al cittadino,<br />

propri dei Comuni, diventano ottimali<br />

per Comuni con un numero minimo di abitanti<br />

(20.000? 40.000? la discussione è aperta), con una<br />

certa complessità socio-economica (nel senso che<br />

un’area urbana dove pernottano 100.000 persone,<br />

che però lavorano altrove, non ha senso che<br />

faccia Comune) e con una superficie territoriale<br />

massima (direi non più di 200/300 kmq, salvo<br />

casi particolari – montagne, isole, ecc. -).<br />

Ovviamente gli organi di gestione di tali enti<br />

vanno dimensionati in funzione di una gestione<br />

ottimale: a mio avviso non più di una decina di<br />

componenti per gli organi esecutivi, e tra i 15 ed<br />

i 50 per gli organi deliberativi e legislativi.<br />

Ecco che allora si potrebbe pensare ad un’Italia<br />

con 20 Regioni, 100 Province e 2000 Comuni,<br />

che partecipano stabilmente ad un tavolo istituzionale<br />

permanente per definire di continuo<br />

chi è meglio che faccia cosa. E che sviluppa in<br />

continuazione i contratti reciproci e quelli con<br />

lo Stato, secondo una regola base: che qualsiasi<br />

competenza debba essere esercitata, va accompagnata,<br />

nella norma che la istituisce, all’indivi-<br />

63


l’agenda del sindaco<br />

duazione delle risorse economiche che consentono<br />

di gestirla. La conseguenza? La certezza, per<br />

gli enti locali, delle entrate minime, e la garanzia<br />

che, per ogni investimento effettuato, è prevista<br />

la spesa per mantenerlo, negli anni successivi.<br />

Del resto, una simile contrattualizzazione dei<br />

rapporti tra Enti esiste già nella Mittelereuropa,<br />

basta copiarla.<br />

In tal modo, tra l’altro, lo Stato potrebbe<br />

definitivamente concentrarsi sui propri servizi<br />

di competenza, che dovrebbero essere solo quelli<br />

64<br />

istituzionalmente statali: giustizia, sicurezza,<br />

emanazione di leggi. Guarda caso, proprio quei<br />

settori del pubblico dove i costi sono meno<br />

controllati e controllabili.<br />

Caro Stato, invece di continuare a mettere le<br />

mani nelle tasche degli enti locali per rimediare<br />

ai Tuoi sprechi, mettile nelle Tue tasche, le mani:<br />

dimezzando, per esempio, il Parlamento e le<br />

sedi di Uffici Giudiziari la spesa pubblica ne<br />

beneficerebbe, e non poco.


Cesena<br />

Trasformare le nostre città all’insegna della qualità<br />

e del buon vivere. Sono convinto che sia questo<br />

uno degli obiettivi prioritari che, oggi, ogni<br />

sindaco è chiamato a perseguire con grande<br />

determinazione per ridare un volto sempre più<br />

umano e accogliente agli spazi in cui abitiamo.<br />

Le grandi trasformazioni che hanno interessato<br />

le nostre città nei decenni passati, infatti, anche<br />

a causa della velocità con cui si sono susseguite,<br />

non sempre sono state accompagnate e guidate<br />

da progetti capaci di mettere alla base quelle esigenze<br />

di qualità della vita e sostenibilità che oggi<br />

sono più che mai centrali nel sentire comune dei<br />

cittadini e devono orientare le scelte dell’amministrazione<br />

pubblica. Ecco perché, a Cesena, da<br />

tempo abbiamo inserito in agenda progetti che<br />

vanno in questa direzione, coinvolgendo anche<br />

partner privati interessati alla valorizzazione e<br />

al miglioramento qualitativo della nostra città.<br />

E’ una direzione di marcia imboccata molti anni<br />

fa con la scelta di privilegiare il riuso delle aree<br />

dismesse all’interno del tessuto urbano. Alla<br />

fine degli anni ’70 si diede avvio al recupero<br />

dell’ex stabilimento Arrigoni, di fronte alla<br />

stazione ferroviaria, destinandolo a campus<br />

scolastico, alla realizzazione dell’autostazione<br />

e ad altre funzioni pubbliche. Negli anni ’90<br />

è stata la volta del Piano di recupero dell’ex<br />

Zuccherificio, una grande area industriale tra<br />

la via Emilia, il fiume Savio e il centro storico<br />

con destinazioni integrate. Sono sorte residenze<br />

Peep, un centro commerciale, il polo direzionale<br />

della Cassa di Risparmio e gli uffici dell’USL,<br />

oltre a un nuovo ponte che collega il nuovo<br />

quartiere con la zona Ippodromo, una passerella<br />

ciclopedonale che unisce le due sponde del<br />

fiume e un sovrappasso carrabile della via<br />

Emilia. Completeranno il quartiere, progettato<br />

dallo studio Gregotti associati, la nuova sede<br />

delle facoltà di Architettura e di Ingegneria e il<br />

nuovo palazzo comunale. Un terzo intervento<br />

che merita di essere ricordato è quello del<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Giordano Conti<br />

PRU denominato Parco Europa, lungo il<br />

viale che conduce dalla stazione alla zona ex<br />

zuccherificio. L’intervento, che riguarda le aree<br />

di insediamento dei più antichi capannoni per<br />

la trasformazione e commercializzazione dei<br />

prodotti ortofrutticoli, interamente di proprietà<br />

privata, trasformerà il tessuto produttivo in<br />

comparti per residenza, commercio e uffici<br />

e doterà la città di una nuova stazione per gli<br />

autobus extraurbani e di un’area sulla quale<br />

sorgerà un istituto superiore a completamento<br />

del campus scolastico. Il progetto è curato<br />

dall’architetto Adolfo Natalini.<br />

Ma il più importante di questi progetti è, senza<br />

dubbio, quello che farà nascere un nuovo<br />

quartiere – denominato “Novello”, in onore di<br />

Malatesta Novello che in passato arricchì Cesena<br />

di colta bellezza – attraverso la riqualificazione<br />

di un’area di 33 ettari posta sopra la Secante,<br />

l’asse urbano di scorrimento in variante alla<br />

via Emilia che, nel tratto urbano, si interra<br />

per 1600 metri dando vita al primo ecotunnel<br />

realizzato in Italia, e a cavallo della ferrovia a<br />

nord ovest della città. Questa zona, collocata a<br />

ridosso del centro storico, è stata per decenni<br />

l’insediamento storico delle attività legate al<br />

commercio ortofrutticolo, ma da tempo ha perso<br />

la sua funzione originaria.<br />

Negli intenti dell’amministrazione comunale,<br />

che ha definito le linee guida, il quartiere Novello<br />

diventerà un luogo centrale e simbolico del<br />

tessuto urbano e sarà innalzato ai massimi livelli<br />

europei sotto il profilo della qualità urbanistica<br />

e architettonica.<br />

A questo fine abbiamo indetto un concorso internazionale<br />

di idee, consentendo ai partecipanti di<br />

sperimentare anche nuovi approcci, sempre fedeli<br />

al criterio del buon vivere stabilito dalla filosofia<br />

dell’intervento. Fra i dieci finalisti figurano<br />

alcuni fra i più importanti studi di progettazione<br />

italiani ed europei: Braghieri, Chipperfield, Ta-<br />

65


l’agenda del sindaco<br />

gliabue, Snozzi, Viganò, Monestiroli, Gulinello,<br />

Gabrielli, Galantino, Casamonti.<br />

Il richiamo alla qualità della vita non è una semplice<br />

dichiarazione di intenti, ma si esprime in<br />

scelte concrete che abbiamo anticipato proprio<br />

nelle linee di indirizzo. Penso, ad esempio, all’esclusione<br />

dell’attraversamento carrabile dell’area,<br />

il che significa che sarà una zona prevalentemente<br />

pedonale, o alla previsione di uno<br />

spazio centrale di aggregazione che accoglierà<br />

gran parte del verde dell’intero comparto. O, ancora,<br />

alla possibilità di collegamento alla rete di<br />

teleriscaldamento per gli edifici che sorgeranno.<br />

Nell’utilizzo complessivo dell’area, inoltre, la<br />

funzione residenziale avrà un peso prevalente<br />

(circa l’80%). In particolare, una quota importante<br />

(non inferiore al 5%) della superficie edificabile<br />

sarà riservata ad alloggi destinati alla locazione<br />

e alla vendita a prezzi agevolati.<br />

Il resto della superficie, invece, ospiterà un<br />

grande parco pubblico, spazi pedonali, un<br />

parcheggio sotterraneo (circa 260 posti), attività<br />

commerciali e artigianali e un nuovo edifico<br />

scolastico che completerà l’offerta degli istituti<br />

superiori cesenati, arricchendo il campus lì<br />

66<br />

presente. Sotto il profilo urbanistico, uno dei<br />

principali obiettivi è la valorizzazione dell’asse<br />

di via Europa: questa strada, da arteria di servizio<br />

diventerà un vero e proprio viale cittadino,<br />

con alberature e appropriato arredo urbano,<br />

assumendo il ruolo di direttrice privilegiata di<br />

collegamento tra l’area della stazione ferroviaria<br />

e il nuovo polo universitario e polivalente dell’ex<br />

Zuccherificio.<br />

Il quartiere Novello, infine, permetterà di rispondere<br />

alla necessità di connettere fisicamente<br />

e simbolicamente le due parti della città separate<br />

dall’infrastruttura ferroviaria, che oggi<br />

rappresenta una censura fortissima, anche da un<br />

punto di vista psicologico.<br />

Sono contento che una delle operazioni di<br />

maggior peso per il futuro di Cesena e l’attenzione<br />

al buon vivere che la anima siano state recepite<br />

anche da diversi soggetti privati all’interno della<br />

città. Ritengo, infatti, che quando si devono<br />

affrontare trasformazioni urbane così importanti<br />

e qualificanti i privati possano assumere un<br />

prezioso ruolo di investitori pubblici per poter<br />

dotare la città di servizi e spazi a favore della<br />

collettività.


Gatteo<br />

Sempre maggiore attenzione stanno riscontrando<br />

fra i cittadini le problematiche relative ai temi<br />

ambientali ed al risparmio energetico. Bisogna<br />

affrontare le tematiche ambientali ed energetiche<br />

rifuggendo sia dal catastrofismo di chi lega<br />

il miglioramento delle condizioni di vita al peggioramento<br />

delle condizioni ambientali sia dall’ottimismo<br />

di chi ritiene che questi problemi “si<br />

risolvano da soli” grazie alla crescita economica.<br />

Il principio da assumere è quello noto: soddisfare<br />

le esigenze attuali senza compromettere le<br />

possibilità per le generazioni future di soddisfare<br />

le proprie.<br />

E’ quindi opportuno che un’amministrazione<br />

comunale attenta si interroghi sul da farsi.<br />

Questo mio intervento vuole essere un contributo<br />

in tal senso.<br />

Le tematiche ambientali che il Comune di<br />

Gatteo può adottare si riconducono a 4 linee di<br />

intervento: al contenimento energetico pubblico<br />

e privato; all’aumento del verde pubblico; alla<br />

qualità del sistema ambientale; alla efficienza<br />

dello smaltimento rifiuti.<br />

Per ognuno di questi ambiti vanno individuate<br />

le migliori opportunità tenendo sempre presente<br />

il criterio dell’appropriatezza e della concreta<br />

possibilità di riuscita dell’intervento.<br />

Certificazione energetica pubblica e privata<br />

Gli interventi da programmare devono essere individuati<br />

anche attraverso modifiche alle norme<br />

del PRG e del Regolamento Edilizio comunale,<br />

prevedendo la possibilità di installazione, con<br />

procedure sempre più semplificate, delle moderne<br />

tecnologie (fotovoltaico, geotermico, pannelli<br />

solari, bioedilizia, risparmio idrico,ecc…),<br />

scomputate dalla SU (Superficie Utile).<br />

Si può pensare a premi urbanistici, partendo<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Tiziano Gasperoni<br />

però dal principio che non va premiato solo il<br />

virtuoso ma va anche penalizzato chi non si attiene:<br />

con aumenti dello standard di verde, aree<br />

a parcheggio da cedere o riduzioni dell’indice di<br />

edificabilità.<br />

Interessante sarebbe prevedere il riconoscimento<br />

delle cosidette “serre bioclimatiche”o sconti<br />

sugli oneri di urbanizzazione ed altre forme di<br />

incentivi. Vanno progressivamente aggiornate<br />

le rendite catastali (ai fini del calcolo dell’ICI)<br />

in maniera inversamente proporzionale alla<br />

classificazione degli edifici. Più è basso il livello<br />

di risparmio, più si paga.<br />

E’ però evidente che l’amministrazione non<br />

può solo chiedere ai privati ma deve dare anche<br />

l’esempio, provvedendo ad una progressiva<br />

riduzione dei propri consumi. Per gli edifici<br />

comunali vanno messe in campo pratiche di<br />

contenimento del consumo di energia attraverso<br />

il processo di “dimerizzazione”degli impianti<br />

elettrici (spegnimenti automatici delle luci,<br />

illuminazione interna degli uffici proporzionali<br />

alla luminosità esterna, ecc…); stessa procedura<br />

per l’illuminazione pubblica sulle strade e<br />

nei luoghi pubblici dove vanno individuate<br />

fasce orarie e necessità variabili a seconda<br />

della localizzazione e dell’uso dell’area, con lo<br />

spegnimento notturno laddove possibile.<br />

L’aumento di superfici residenziali deve inevitabilmente<br />

andare di pari passo con l’aumento<br />

delle aree verdi in dotazione alla comunità locale.<br />

Attualmente l’amministrazione comunale ha<br />

in uso circa 100.000 mq. di verde pubblico attrezzato,<br />

ed è prevedibile, nel periodo 2008 - 2011,<br />

il raddoppio di tali superfici. Ai fini ambientali<br />

ritengo però che il verde “organizzato” da solo<br />

non sia sufficiente e che occorrerà ragionare sulla<br />

possibilità di creare nuove aree boschive per<br />

la rinaturalizzazione del territorio non solo ad<br />

uso umano, ma anche per creare habitat naturali<br />

integrati.<br />

67


l’agenda del sindaco<br />

Un esempio concreto è stata la creazione<br />

dell’Oasi Costiera LIPU presso la foce del Fiume<br />

Rubicone. In alcune parti del nostro territorio,<br />

sono presenti specie animali che consideravamo<br />

scomparse dal nostro ambiente naturale, mi<br />

riferisco ad esempio al ritorno degli aironi lungo<br />

le aree comprese fra il torrente Rigossa ed il Rio<br />

Baldone, alla nidificazione dei gufi in ambiti<br />

urbani ed alla presenza di cigni alla foce del<br />

fiume Rubicone.<br />

A tale proposito importante è stata l’esperienza<br />

di condivisione, con i Comuni di San Mauro<br />

Pascoli e di Savignano, di politiche intercomunali<br />

a partire da quelle paesistiche e ambientali,<br />

che hanno dato il giusto respiro e la giusta<br />

dimensione ai progetti di tutela e valorizzazione<br />

con al centro ovviamente il Rubicone, che ha<br />

dato il nome alla nuova Città e alla coalizione<br />

intercomunale.<br />

L’obiettivo deve diventare quello di creare, oltre<br />

ai parchi cittadini, aree di più grandi dimensioni<br />

dove la natura possa esercitare il suo corso.<br />

E’ necessario piantumare tutte le aree anche quelle<br />

marginali e dotarle, se necessario, di barriere<br />

protettive contro i rumori e l’ inquinamento da<br />

polveri sottili prodotte dal traffico veicolare.<br />

Un’ipotesi innovativa potrebbe/dovrebbe essere<br />

un accordo fra amministrazione comunale e<br />

agricoltori. Questi, in caso di dismissione delle<br />

colture agricole, potrebbero rendere boschiva,<br />

con essenze autoctone, parte dei loro terreni che<br />

altrimenti rimarrebbe totalmente priva di vegetazione,<br />

ottenendo in cambio di una riduzione<br />

e/o diminuzione dell’ICI. Un obiettivo successivo<br />

dell’amministrazione comunale in quest’ottica<br />

potrebbe essere la costruzione di piste pedonali<br />

e/o ciclabili per collegare e visitare queste<br />

aree e renderle fruibili a tutti.<br />

Gatteo anche grazie alla sua configurazione<br />

(suddivisa in frazioni simili ed equidistanti) può<br />

diventare sicuramente un’eccellenza in questo<br />

campo: si pensi alla possibilità di creare vari<br />

percorsi pedonali di collegamento fra le frazioni<br />

del nostro territorio. Territorio che, va ricordato,<br />

si estende dalla via Emilia al mare distanti fra<br />

loro solo 8/10 km.<br />

A tale proposito occorre sfruttare al meglio le<br />

esperienze già in atto come quella dell’Associa-<br />

68<br />

zione CAMINA, associazione che da anni si occupa<br />

di problematiche ambientali e sostenibilità<br />

e di cui il comune è socio già dal 2003.<br />

La qualità del sistema ambientale di un<br />

paese come Gatteo può essere poi migliorata<br />

introducendo forme di risparmio energetico<br />

che devono però essere condivise da tutta la<br />

comunità e promosse con adeguate campagne<br />

di comunicazione per diffondere la cultura del<br />

contenimento dei consumi. Importante anche<br />

la collaborazione con le istituzioni scolastiche<br />

al fine di trasmettere alle nuove generazioni<br />

il concetto che l’ambiente va usato ma anche<br />

conservato con cautela, non essendo una risorsa<br />

infinita!.<br />

Occorre in generale sviluppare, con un’ azione<br />

culturale, il concetto che la qualità della nostra<br />

vita è migliore se migliore è la qualità della<br />

nostra città e dell’ambiente in cui viviamo.<br />

Ultimo, ma non per importanza, è il tema<br />

dei rifiuti. Tema di grande attualità in questi<br />

giorni ed oggetto del dibattito pubblico sia<br />

per i temi riferiti alla produzione che a quelli<br />

riguardanti il loro smaltimento. Sono convinto<br />

che fondamentale sarà prevedere politiche che<br />

mirino ad una diminuzione della produzione<br />

di rifiuti e imballaggi. Resta però evidente<br />

che questo obiettivo non è immediatamente<br />

raggiungibile e, nel frattempo, le modalità di<br />

gestione delle problematiche legate ai rifiuti<br />

sono tante e occorrerà individuare fra queste<br />

le migliori possibili per il nostro territorio,<br />

un territorio disomogeneo per il quale sarà<br />

opportuno pensare, in collaborazione con il<br />

gestore del servizio, a soluzioni differenziate.<br />

Una soluzione unica per tutte le realtà non è, a<br />

mio avviso, attuabile; meglio orientarsi verso<br />

un sistema integrato che tenga conto delle<br />

peculiarità del territorio e della stagionalità, si<br />

pensi ad esempio cosa significherebbe la raccolta<br />

porta a porta a Gatteo a Mare nei sei mesi estivi,<br />

laddove sono presenti 15.000 turisti.<br />

Questo sistema va bene sicuramente nei centri<br />

urbani delle nostre frazioni dell’entroterra,<br />

mentre nelle aree con case sparse va privilegiata<br />

ad esempio la pratica del compostaggio<br />

domestico, con la dotazione gratuita delle<br />

compostiere da parte del gestore.


Va introdotta la raccolta della frazione umida<br />

del rifiuto con appositi cassonetti stradali o i<br />

condominio e riservato invece il porta a porta<br />

per carta, vetro,plastica e dunque tutti i rifiuti<br />

facilmente contenibili nelle nostre abitazioni.<br />

Puntare ad una decisa riduzione dei cassonetti<br />

stradali al fine di incentivare l’utilizzo delle<br />

stazioni ecologiche, stazioni dove già oggi è<br />

possibile avere sconti sulla tariffa a seguito del<br />

conferimento di materiale.<br />

l’agenda del sindaco<br />

Queste brevi riflessioni hanno cercato di<br />

evidenziare solo alcune delle tematiche che si<br />

possono mettere in campo e sicuramente non<br />

hanno la pretesa di essere esaustive.<br />

Spero però che servano a far capire che anche<br />

da territori “periferici” e da reti comunali poso<br />

estese possono venire idee utili e che non sempre<br />

serve andare troppo lontano per ricercare la<br />

soluzione che spesso abbiamo sottocasa.<br />

69


l’agenda del sindaco<br />

70


Casalgrande<br />

Uno spiazzo, o meglio uno slargo irregolare<br />

delimitato da fabbricati anni Cinquanta e Sessanta<br />

di dubbio gusto, condomini nati e popolati<br />

in fretta, qualche casa colonica a dispetto del<br />

tempo. Al centro il monumento ai Caduti e su<br />

un lato il vecchio palazzotto municipale. Questo<br />

Boglioni fino a pochi anni fa.<br />

Già, Boglioni, parola onomatopeica che evoca il<br />

ribollire dei canali che qui si intrecciavano prima<br />

di raggiungere la fertile campagna. E poi<br />

crocevia di camion rumorosi e polverosi carichi<br />

di terra e piastrelle, origine e prodotto della dilagante<br />

industria ceramica, quando le ceramiche<br />

nascevano come i funghi. Croce e delizia dell’economia<br />

locale.<br />

Boglioni, Casalgrande: né Scandiano, né Sassuolo,<br />

una via di mezzo, un luogo indefinito senza<br />

un centro riconosciuto e riconoscibile. Casalgrande<br />

Alto e Casalgrande Basso, divisi dalla<br />

Strada Statale con la perenne processione dei<br />

camion e la ferrovia: barriere insormontabili.<br />

Uno scatto di orgoglio, voltare pagina, riaffermare<br />

la propria presenza e la propria identità, a<br />

partire proprio da Boglioni.<br />

E’ questa la sfida che le ultime amministrazioni<br />

comunali hanno lanciato. Così in pochi anni si<br />

ristruttura il Comune; si ridisegna lo slargo che<br />

finalmente diventa una piazza; si pavimentano<br />

le strade di accesso; e ancora marciapiedi, punti<br />

luce, panchine, verde, elementi di arredo urbano<br />

a sottolineare uno spazio conquistato, reso a<br />

chi lo abita, fruibile da tutti, luogo di mercato,<br />

di spettacolo, di festa, di incontro. E’ stata una<br />

sfida di idee e risorse per ribadire la cultura dell’appartenenza<br />

e l’amore per il proprio paese. La<br />

sfida, o meglio la prima battaglia, è stata vinta.<br />

Casalgrande ora ha un centro: è la “nuova” Boglioni.<br />

Ora si tratta di proseguire sulla strada iniziata,<br />

dando vita ad una seconda serie di interventi<br />

che si dovranno integrare con quanto fatto<br />

per arrivare ad una ridefinizione completa del<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Andrea Rossi<br />

nuovo centro. Da qui nasce “NeoURBANO” , il<br />

concorso di idee per la nuova centralità di Casalgrande,<br />

con il quale l’amministrazione comunale<br />

intende valutare le soluzioni più idonee per<br />

la riqualificazione del centro cittadino, mediante<br />

la creazione di una nuova centralità urbana. Nel<br />

concreto ci si propone di coordinare il recupero<br />

di Piazza Costituzione, il suo collegamento<br />

con la nuova Piazza Ruffilli, la sistemazione e<br />

la creazione di una piazza - giardino nell’area<br />

circostante Via Marx, la ridefinizione morfologia<br />

degli edifici prospicienti la piazza oggetto<br />

del recupero: l’ex biblioteca, l’edificio che ospita<br />

l’ufficio postale, l’area e l’edificio attualmente<br />

occupati dal Consorzio agrario.<br />

Si tratta, di un progetto ambizioso e di una grande<br />

opportunità per Casalgrande. Grazie alle idee<br />

di architetti e urbanisti di valore, potremo infatti<br />

mettere in campo azioni forti tese a ridefinire la<br />

centralità di Boglioni, inteso come luogo di identità<br />

collettiva e che si riconosce negli elementi<br />

centrali del sistema delle piazze, del Municipio,<br />

del Centro Culturale, della chiesa. In altre parole<br />

da un non luogo o da luogo delle marginalità com’è<br />

sempre stato Casalgrande si tende a realizzare<br />

un superluogo della centralità ritrovata. Saranno<br />

quindi recuperati spazi pubblici che i cittadini<br />

potranno fruire pienamente per le attività ludiche,<br />

culturali, del tempo libero. Ma anche per<br />

una qualità migliore dell’abitare e per le attività<br />

economiche e del terziario.<br />

Come è già avvenuto in seguito agli interventi<br />

di riqualificazione di Piazza Martiri e delle via<br />

circostanti, l’intervento su Piazza Costituzione<br />

sarà sicuramente un volano anche per interventi<br />

privati tesi a riqualificare le proprie abitazioni<br />

o gli esercizi commerciali. Intanto l’amministrazione<br />

comunale continua a lavorare per raccogliere<br />

le proposte, i suggerimenti e i contributi<br />

dei cittadini per condividere con loro queste<br />

idee che porteranno ad un nuovo paese.<br />

71


l’agenda del sindaco<br />

72


Fossano<br />

Le unioni dei comuni: una strada contro la<br />

frammentazione<br />

Fra i problemi che assillano la pubblica<br />

amministrazione, uno dei più rilevanti è il<br />

perenne stato di incertezza nella ripartizione<br />

delle competenze fra corpi intermedi dello<br />

Stato. Il problema - va detto - non riguarda tanto<br />

le Regioni, che con la riforma del Titolo V della<br />

Costituzione hanno ormai acquisito una certa<br />

stabilità. E’ più evidente, invece, quando si parla<br />

delle Province, che non hanno ancora trovato<br />

una funzione chiara e la cui permanenza viene<br />

oggi da più parti messa in discussione.<br />

L’esperienza cuneese (un territorio molto vasto<br />

e geograficamente disomogeneo) induce a<br />

ritenere che, almeno nelle realtà periferiche,<br />

dove non esistono grandi centri urbani che<br />

fungono da elemento catalizzatore, le Province<br />

abbiano ancora ragione di esistere, sia pure con<br />

competenze parzialmente diverse da quelle<br />

attuali. La prospettiva è quella di rafforzare il<br />

loro ruolo di coordinamento e programmazione,<br />

limitando quello di gestione, che dovrebbe invece<br />

essere affidato alle Regioni e ai Comuni. Diverso<br />

è il caso delle realtà delle aree metropolitane,<br />

che potrebbero assorbirne le funzioni senza<br />

particolari contraccolpi.<br />

Nessuno mette in dubbio, invece, il ruolo<br />

dei Comuni, che rappresentano una realtà<br />

formidabile, dal punto di vista storico e<br />

culturale, nell’articolazione dello Stato italiano,<br />

e che sono gli enti a cui dovrebbe essere affidata<br />

la competenza gestionale e operativa sui territori<br />

di riferimento.<br />

C’è tuttavia un dato, che riguarda la realtà cuneese:<br />

la presenza, cioè, di un numero eccessivo<br />

di Comuni (250 sugli 8.000 presenti in Italia,<br />

in un rapporto di 1 su 32), rispetto alla popolazione<br />

residente (560.000 contro i 56.000.000 cittadini<br />

italiani, in un rapporto di 1 su 100). Tale<br />

frammentazione ha suggerito al Comune di Fos-<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Francesco Balocco<br />

sano di farsi promotore di un nuovo organismo,<br />

l’Unione del Fossanese, radunando attorno a sé<br />

6 Comuni vicini di dimensioni inferiori, con un<br />

duplice obiettivo: razionalizzare i servizi e le risorse<br />

per creare più economia e più efficienza, e<br />

individuare una “mission” per il nostro territorio,<br />

intendendo come tale una vocazione e le linee<br />

di sviluppo indispensabili per tradurla nella<br />

realtà, che i Comuni più piccoli non sarebbero<br />

autonomamente in grado di perseguire.<br />

L’Unione del Fossanese lo ha fatto seguendo<br />

due filoni: quello paesaggistico-culturale,<br />

prendendo a spunto la presenza del fiume<br />

Stura che collega tutti i territori dei Comuni di<br />

appartenenza, e quello economico-produttivo,<br />

con particolare riferimento alla creazione di<br />

una rete infrastrutturale (strade, trasporti<br />

pubblici, banda larga, ecc.) che possa rendere<br />

le nostre aziende maggiormente competitive,<br />

permettendo loro di spendere di meno, sprecare<br />

meno tempo, ma anche di inquinare di meno.<br />

Il tutto con lo scopo di qualificare il nostro territorio<br />

come un luogo dove si vive bene e si lavora<br />

bene, capace di rappresentare un’alternativa anche<br />

residenziale alla metropoli, in grado di attirare<br />

persone con servizi efficienti e mirati.<br />

Con questo non vogliamo certo rincorrere<br />

inutili (quando non dannose) duplicazioni di<br />

funzioni che non competono alle nostre piccole<br />

realtà. Come il decentramento universitario, che<br />

in questi anni non ha dato buona prova di sé,<br />

incompatibile com’è con la necessità dei nostri<br />

ragazzi di intessere, durante la loro formazione,<br />

relazioni quanti più universali. Almeno questo<br />

non sia un compito da affidare ai Comuni o alle<br />

Unioni dei Comuni.<br />

73


l’agenda del sindaco<br />

74


Albenga<br />

Una urbanistica nuova per uno sviluppo<br />

convincente e condiviso<br />

La pianificazione urbanistica come è attualmente<br />

intesa e per come si è evoluta nel tempo può<br />

dare sulla base dell’esperienza, effettivamente<br />

maggiore concretezza alle speranze per un<br />

futuro sostenibile (equo e competitivo) di una<br />

Città e di un Territorio come sono Albenga e<br />

il suo Distretto, ed è in quest’ottica che va letta<br />

l’impostazione che attraversa tutto il percorso<br />

partecipato e di ascolto che ci siamo dati per<br />

la redazione del Piano Urbanistico Comunale.<br />

Partendo consapevolmente dal presupposto<br />

della necessità di un coinvolgimento nel Piano<br />

il più possibile ampio dei cittadini, perché la<br />

loro partecipazione alla formazione delle scelte<br />

urbanistiche è essenziale per la sua efficacia e la<br />

sua tenuta nel tempo.<br />

Le scelte del Piano devono essere convincenti e<br />

condivise, non imposte. Con questo presupposto<br />

ci stiamo muovendo e abbiamo lanciato il<br />

programma di un ascolto il più possibile attento<br />

e diffuso dei problemi e delle speranze, dei sogni<br />

e delle visioni, dei bisogni e delle preferenze di<br />

questa Città. Ci sarà poi il momento responsabile<br />

della sintesi politica e successivamente quello<br />

dell’elaborazione tecnica.<br />

Alla luce di ciò il Puc assume innanzitutto un<br />

significato generale di esplorazione e costruzione<br />

del “futuro”, perché sono in gioco i prossimi<br />

anni della Città che vengono pensati, concertati<br />

e pianificati in un PUC che non deve essere<br />

una mera distribuzione di indici edificatori o di<br />

vincoli, come il tradizionale piano urbanistico,<br />

ma vuole essere piuttosto strumento efficace<br />

del progetto di sviluppo sociale ed economico,<br />

paesistico e ambientale di questa Città e della<br />

sua Gente, di chi abita e di chi frequenta le terre<br />

ingaune.<br />

La sfida affascinante di Albenga (ed anche<br />

il valore distintivo che la pone in condizioni<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Antonello Tabbò<br />

diverse da altri comuni della provincia) sta nel<br />

fatto di non (voler) essere realtà monotematica e<br />

monoculturale, un economia unica, ma qualcosa<br />

di molto più articolato e ricco come si confà alla<br />

sua antica tradizione urbana: dovrà essere perciò<br />

posta l’attenzione giusta verso tutto lo spettro di<br />

potenzialità economiche presenti, a cominciare<br />

dall’agricoltura (e dalla sua filiera), che resta<br />

l’economia di base portante della piana (e la sua<br />

- assai originale - modellatrice).<br />

Potenzialità che peraltro dovranno necessariamente<br />

integrarsi con un nuovo turismo, più<br />

caratterizzato dalla forte impronta storicoculturale<br />

generata dalla presenza di un distretto<br />

archeologico di rilevanza europea; il tutto con un<br />

imperativo e una parola d’ordine: qualità, perché<br />

Albenga può svilupparsi solo attraverso una<br />

forte opzione per la qualità e con la cura assidua<br />

del proprio patrimonio di presenze culturali,<br />

sociali ed economiche, oltreché con il ricorso alle<br />

riserve cospicue di spirito e di spiritualità.<br />

Abbiamo uno splendido clima, panorami unici<br />

e un territorio bellissimo e dobbiamo crederci<br />

sempre di più e crederci assieme, facendo delle<br />

differenze di sensibilità e di proposta una risorsa<br />

da valorizzare.<br />

Le varie iniziative che stiamo portando avanti,<br />

la depurazione delle acque, lo spostamento a<br />

monte della ferrovia e il rilancio dell’aeroporto<br />

- per dirne alcune -, ci dicono che dobbiamo<br />

prendere di petto la questione infrastrutturale<br />

che evidenzia in modo chiaro come Albenga<br />

sia in un momento delicato ed importante che<br />

necessariamente dovrà garantire un impiego<br />

equilibrato di tutti questi fattori comunque<br />

critici per ogni prospettiva di crescita.<br />

Altro argomento importante su cui porre<br />

l’attenzione è la questione della raccolta<br />

differenziata. Alla luce dei drammatici fatti<br />

campani è aumentata la consapevolezza che<br />

bisogna sprecare di meno e differenziare di più (e per<br />

75


l’agenda del sindaco<br />

questo fare affidamento alla migliore capacità<br />

organizzativa ed al migliore senso civico che<br />

possediamo).<br />

Ho la massima fiducia nella capacità dei cittadini<br />

di stare al passo con le altre città virtuose, in<br />

Italia e in Europa, che stanno compiendo questo<br />

sforzo.<br />

Si pone, come si sa, il problema dello smaltimento<br />

finale, del residuo, ma se siamo tutti d’accordo<br />

che bisogna consumare meglio, differenziare<br />

di più e sprecare il meno possibile questa è già<br />

una conquista. Esiste un piano provinciale dei<br />

rifiuti cui dobbiamo attenerci dando il nostro<br />

contributo critico e fattivo.<br />

Per quanto concerne poi il dibattito in corso<br />

sulle modalità di smaltimento, è necessario dire<br />

che in questi anni sono sorte nuove possibilità<br />

tecnologiche (vedi la pirolisi) che potrebbero<br />

indicare strade e modalità nuove: diviene<br />

indispensabile ragionare senza preconcetti<br />

ideologici e cercare quello che realmente ci<br />

unisce e fa il nostro bene. Mi opporrò a tutte<br />

quelle modalità di smaltimento che vadano ad<br />

incidere sulla qualità della vita delle famiglie e<br />

sulla funzionalità delle imprese.<br />

76<br />

Tra gli impegni che abbiamo preso, il polo scolastico<br />

nella Turinetto che ha già visto lo stanziamento<br />

da parte della Provincia delle risorse<br />

economiche necessarie; proprio in questi giorni<br />

stiamo firmando il protocollo tra la Regione Liguria<br />

e il Demanio ed entro il 30 giugno la società<br />

che ha vinto l’appalto di gara del piano di<br />

valorizzazione deve depositare gli atti.<br />

La Provincia ritengo voglia far partire il bando<br />

prima della fine del suo mandato che scade nel<br />

2009. Altra scelta importante è quella di porre<br />

grande attenzione per la qualità sociale, l’ospitalità<br />

e per i valori della multiculturalità, di fronte<br />

agli ingressi crescenti di nuovi cittadini, ma<br />

contemporaneamente, e su questo siamo inflessibili,<br />

ponendo con una grande attenzione alla<br />

sicurezza, esigenza vitale e diritto fondamentale<br />

del cittadino, perché accoglienza e sicurezza devono<br />

viaggiare in parallelo e coesistere.<br />

In ciò la presenza di importanti esperienze e<br />

centri di solidarietà sociale e religiosa che fanno<br />

di Albenga una Città tra le prime (da sempre)<br />

della propria regione, è sicuramente una<br />

garanzia di azione efficace e concorde per il bene<br />

comune cui il Piano e la Amministrazione tutta<br />

porterà il suo contributo di idee, di passione e<br />

di fatti.


Chieri<br />

Ogni tanto accade che l’impatto sulla vita locale<br />

faccia percepire meglio i termini di una questione<br />

che fino a quel momento sembrava interessare<br />

più che altro il sistema generale.<br />

Devo dire che fino a qualche anno fa il tema<br />

dell’utilità delle Province mi sembrava posto in<br />

modo un po’ demagogico: se è vero, infatti, che la<br />

loro soppressione comporterebbe un risparmio,<br />

altrettanto vero è che il vuoto che si creerebbe<br />

fra i singoli Comuni e la Regione dovrebbe<br />

essere colmato con organismi di coordinamento<br />

probabilmente di pari costo.<br />

Demagogico e schizofrenico, visto che la messa<br />

all’ordine del giorno della soppressione delle<br />

Province è contemporanea all’istituzione di<br />

Province nuove. Demagogico ed improvvisato,<br />

visto che dopo l’accantonamento dell’ipotesi di<br />

istituire i Comprensori, si è lasciato proliferare<br />

di tutto (Comunità Montane e Unioni Collinari),<br />

senza per altro che si intravedesse qualcosa<br />

di veramente vicino ai Comuni che hanno la<br />

necessità di pianificare e di gestire servizi su<br />

territori omogenei dimensionati secondo logiche<br />

di sostenibilità.<br />

Poiché la speranza di un provvedimento dall’alto<br />

che tarda a venire e che, in ogni caso, avrà tempi<br />

di attuazione lunghi, mi sembra legittimo che<br />

dal basso si proceda ad esplorare vie nuove. E’<br />

in base a questo principio che accostandoci al<br />

concetto di pianificazione strategica abbiamo<br />

puntato su un area territoriale dai confini<br />

amministrativi diversi da quelli imposti dalla<br />

suddivisione per Province.<br />

Ci troviamo a Sud/Est del Capoluogo regionale<br />

piemontese in quell’area non molto vasta che,<br />

fin dal Medioevo, ha in Chieri il suo centro<br />

principale.<br />

E’ una zona che le colline di Torino hanno<br />

impedito che vivesse l’espansione urbana della<br />

grande città, una zona che, pertanto, ha potuto<br />

continuare a godere di un contesto ambientale<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Agostino Gay<br />

fortemente connotato dalla persistenza della<br />

campagna.<br />

Qui, la pur visibile trasformazione ambientale<br />

non ha modificato che in parte il sistema<br />

delle relazioni intercomunali tradizionali<br />

mantenendo inalterata l’attrattività degli storici<br />

poli funzionali di riferimento.<br />

A parte la fascia più occidentale del territorio<br />

attratta dal sistema industriale e commerciale di<br />

Moncalieri, infatti, è a Chieri che gran parte della<br />

popolazione fa riferimento per l’Ospedale e per<br />

le Scuole Superiori, anche quella dei Comuni<br />

(Castelnuovo Don Bosco, Bottigliera, Villanova)<br />

che fanno parte della Provincia di Asti.<br />

E’ la Geografica (e quindi la Storia) che lega i<br />

Comuni di questo lembo di Piemonte, al di là<br />

della volontà delle singole Amministrazioni, al<br />

di là delle competenze delle due Province.<br />

Era nell’ordine delle cose che un’Agenda<br />

Strategica (elaborata in collaborazione con la<br />

società Caire) nascesse con questi presupposti<br />

territoriali; ed è a quell’ambito territoriale che,<br />

dopo la parentesi del Programma Territoriale<br />

Integrato che doveva essere redatto tenendo<br />

conto dei confini provinciali, siamo ritornati.<br />

Nel panorama delle Province che pervicacemente<br />

si arroccano nella difesa acritica dell’esistente<br />

mi è sembrata un’apertura intelligente quella<br />

delle Province di Torino e di Asti che non si sono<br />

sentite messe in discussione ma hanno interpretato<br />

il loro ruolo in modo dinamico, accompagnando<br />

i Comuni nella ricerca dell’assetto programmatorio<br />

più utile.<br />

Penso che sia arrivata l’ora che i Comuni entrino<br />

nel dibattito sugli Enti sovracomunali uscendo<br />

dal ruolo di spettatori e di tifosi (Province sì,<br />

Province no) e inizino ad ipotizzare soluzioni<br />

che rispondano alle esigenze più vere e tenendo<br />

nella massima considerazione la sostenibilità<br />

organizzativa e finanziaria. Certo, qui siamo<br />

77


l’agenda del sindaco<br />

stati aiutati dall’insorgere di una prospettiva<br />

unificante, quella della realizzazione di<br />

una grande opera infrastrutturale come la<br />

Tangenziale Est di Torino; un’ipotesi che ha<br />

reso molto concreti i temi della salvaguardia<br />

78<br />

ambientale e dello sviluppo, temi che hanno<br />

un senso solo se posti per territori ampi. D’altra<br />

parte è solo sui problemi correnti che il dibattito<br />

acquista un senso e la teoria cessa di essere una<br />

sterile esercitazione concettuale.


Sarzana<br />

Quattro sono le linee strategiche, che guidano<br />

questa amministrazione nel governo del proprio<br />

territorio linee che esprimono orientamenti e<br />

scelte legate ad altrettante distinzioni tematiche,<br />

e che ritroviamo compiutamente sviluppate nel<br />

progetti di riqualificazione urbana che interessa<br />

una periferia della Città:<br />

• il territorio e le sue risorse,<br />

• i diritti individuali e collettivi,<br />

• la componente umana,<br />

• l’identità urbana.<br />

I criteri-chiave che interessano trasversalmente<br />

le strategie e che possono essere considerati<br />

obiettivi, rinviano alle questioni della<br />

integrazione e della innovazione, ed a valori<br />

fondamentali come il dialogo, la qualità, la<br />

responsabilità, e all’elemento cruciale dello<br />

sviluppo della città.<br />

Il territorio deve vedere come riferimenti<br />

prioritari la “deframmentazione” e la ricucitura<br />

del tessuto urbano (attraverso scelte di riuso,<br />

riconversione, riqualificazione dei suoli), il<br />

recupero di connettività (superando un gap di<br />

accessibilità e di mobilità alla scala urbana, ed a<br />

quella di “area vasta”).<br />

La qualità, quindi, come opzione di fondo,<br />

la qualità, potremmo dire, come occasione di<br />

miglioramento del quadro complessivo dei<br />

servizi, delle prestazioni, delle utilità per i<br />

cittadini e per le imprese.<br />

In coerenza con questi principi base della<br />

pianificazione ci siamo mossi per quanto<br />

riguarda i maggiori interventi a scala urbana<br />

e territoriale che sono in fase di avvio, insieme<br />

ad altri di minori dimensioni: innanzitutto la<br />

ristrutturazione del comparto che interessa<br />

le aree del vecchio mercato e della stazione<br />

ferroviaria.<br />

Sarzana è rimasta orgogliosamente chiusa<br />

in sè stessa, intatta e isolata nel cuore della<br />

l’agenda del sindaco<br />

di Massimo Caleo<br />

val di Magra, per oltre novecento anni, fino<br />

a quando le mura non hanno più avuto una<br />

funzione difensiva e nuove necessità, legate<br />

alla “rivoluzione” sociale e industriale, hanno<br />

prodotto le prime espansioni esterne. Da allora ci<br />

sono stati errori e occasioni mancate. La ferrovia<br />

ha causato una frattura mai sostanzialmente<br />

ricomposta tra la città antica e il suo intorno, le<br />

parti difensive della città storica sono state in<br />

larga parte soffocate, e le addizioni residenziali<br />

e produttive, progressivamente stratificatesi in<br />

particolar modo dal dopoguerra a tutti gli anni<br />

ottanta, costituiscono un tessuto diffuso di non<br />

altissima qualità.<br />

La periferia senza segnali di buona architettura<br />

è diventata una sorta di “opposto” del cuore<br />

della città, e costituisce una realtà di funzioni<br />

con poco splendore, senza vitalità e colore, con<br />

generale assenza di qualità, carenza di alcuni<br />

servizi e in alcuni casi afflitta da degrado.<br />

A questo punto importo poco “chi l’ha fatto” ma<br />

qual’è il progetto per il futuro. Come ripartire.<br />

Con che disegno.<br />

L’incontro con Mario Botta ed i suoi collaboratori<br />

è stato cercato e voluto nella consapevolezza<br />

del valore assoluto dell’opera progettuale<br />

(universalmente riconosciuto!), e della estrema<br />

attenzione che l’architetto pone nell’inserire le<br />

sue opere nel contesto urbano che le accoglie.<br />

Con lui si è discusso della rinascita di una vasta<br />

area chiave della nostra città: architetture di<br />

qualità come “segni” importanti e duraturi del<br />

nostro tempo, ricucitura di settori e di servizi<br />

tra loro oggi slegati e disarmonici, spazi per la<br />

cultura ed i giovani, infrastrutture di supporto<br />

e collegamenti veicolari e pedonali razionali ed<br />

esteticamente gradevoli.<br />

A lui è stato chiesto di progettare una nuova e<br />

vitale dimensione urbana delle aree prossime<br />

al centro storico, lontane oggi da un dignitoso<br />

disegno urbano.<br />

79


l’agenda del sindaco<br />

Ricucire le parti di città che oggi non dialogano<br />

tra loro, saldare il settore della stazione, del<br />

terminal degli autobus e della futura Metropolitana<br />

di superficie (le “life lines” decisive per il<br />

nostro sviluppo) al centro storico, fare del “solco<br />

ferroviario” un’occasione di unione e di rilancio,<br />

sono le idee base di un progetto che appare comunque<br />

decisivo per le sorti future di Sarzana.<br />

L’obiettivo è quello di ridare nuova centralità<br />

e vivibilità alle aree periferiche interessate,<br />

anche attraverso una nuova qualità edilizia e<br />

architettonica degli interventi.<br />

In questo programma assume particolare<br />

rilevanza la nuova struttura prevista nell’area<br />

80<br />

del vecchio mercato ortofrutticolo, destinata ad<br />

iniziative culturali e sportive, con l’intento di<br />

mantenere le attuali funzioni integrate ed anzi<br />

esaltarle in un rinnovato contesto architettonico<br />

e urbano.<br />

Le città sono note e vengono apprezzate<br />

generalmente per ciò che possiedono di<br />

eccezionale, magari addirittura di unico. Le<br />

amministrazioni locali tendono a far conoscere e<br />

sviluppare ciò che è particolarmente qualificato<br />

e importante, che dà peculiare significato e<br />

valore. Questo è abitualmente concentrato nel<br />

cuore della città, vogliamo che i “segni” di un<br />

maestro del nostro tempo come Botta, rendano<br />

unica e memorabile anche la nostra periferia.


ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’<br />

Il Po e le sue Agende<br />

l’agenda del sindaco<br />

• Scenari di evoluzione dell’agricoltura padana<br />

e gestione della risorsa idrica, di Giovanni Galizzi<br />

• I contratti di Fiume:<br />

una lunga marcia verso nuove forme di pianificazione territoriale?, di Alberto Magnaghi<br />

• Per un governo federato del Bacino padano, di Giuseppe Gavioli<br />

• Una Agenda, cento Agenzie. La Valle dei Lamber, di Mariella Borasio<br />

• Il paesaggio del Po o un paesaggio senza Po?, di Pier Luigi Dall’Aglio<br />

Le risorse primarie e il consumo di suolo<br />

• Dollaro, grano e petrolio, di Antonio Saltini<br />

• Per uno statuto dei suoli, di Damiano di Simine<br />

• La città in estensione. Un percorso di progetto, di Maria Cristina Treu<br />

• Ma le biomasse sono davvero una fonte energetica rinnovabile?, di Gabriele Bollini<br />

• Monnezza e dintorni, di Giuseppe Piacentini<br />

Paesaggi e Parchi<br />

• l tema del degrado paesistico<br />

nell’ aggiornamento del Piano del Paesaggio Lombardo, di Mario Prusicki<br />

• La concezione del paesaggio nella nuova pianificazione regionale, di Patrizia Chirico<br />

• Paesaggi e Paesaggio, di Gioia Gibelli<br />

• Paesaggio? Che sapia mi, qua no ghe ne xe, di Giancarlo Poli<br />

• La festa itinerante dei Centri Storici minori, di Manuela Ricci<br />

• Paesaggio rurale, rete locale: alcune questioni, di Dario Rei<br />

81


l’agenda del sindaco<br />

82


Scenari di evoluzione dell’agricoltura<br />

padana e gestione della risorsa idrica<br />

Questo intervento ha il solo obiettivo di richiamare<br />

l’attenzione sulla relazione strettissima che<br />

oggi lega la politica della gestione della risorsa<br />

idrica per usi agricoli alla politica di sviluppo<br />

dell’innovazione da parte della pubblica amministrazione<br />

e del mondo agricolo.<br />

L’impiego di acqua per usi irrigui si deve infatti<br />

confrontare in misura determinante con due<br />

condizioni, l’una di interesse generale, l’altra<br />

riguardante in modo specifico l’agricoltura,<br />

che in questi tempi caratterizzano la gestione<br />

dell’acqua.<br />

A livello generale, l’affermazione sia sul piano<br />

internazionale ed europeo (l’Agenda 21 del<br />

1992, le raccomandazioni della World Water<br />

Commission del 2000, le varie direttive CE) che<br />

su quello nazionale (le leggi 183/89 e 36/94) di<br />

alcuni principi fondamentali quali:<br />

• l’acqua è una risorsa finita e vulnerabile,<br />

• l’acqua fornisce servizi ambientali indispensabili<br />

e di alto valore,<br />

• l’acqua è un valore economico in tutti i suoi<br />

usi e deve essere trattata come un bene economico,<br />

• l’accorta gestione dell’acqua richiede cambiamenti<br />

profondi nel comportamento umano,<br />

cambiamenti che a loro volta esigono importanti<br />

mutamenti nelle consuetudini d’uso e<br />

nei diritti.<br />

A livello di settore agricolo, l’altra condizione è<br />

rappresentata dal carattere altamente dinamico<br />

dei sistemi irrigui. Questi sistemi sono delle<br />

realtà, dei complessi organici, caratterizzate dall’essere<br />

formate da elementi di natura fisica, economica,<br />

sociale, politica e dal loro interagire. I<br />

cambiamenti in uno di questi elementi, come, ad<br />

esempio, le trasformazioni in atto nella struttura<br />

produttiva dell’agricoltura, implicano di conseguenza<br />

dei mutamenti non meno rilevanti negli<br />

altri elementi se si vuole assicurare la migliore<br />

performance possibile del sistema.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Giovanni Galizzi<br />

Da ciò la necessità di affrontare il problema della<br />

gestione della risorsa idrica in termini effettivamente<br />

innovativi, secondo cioè una logica di<br />

lungo periodo, un approccio rigorosamente sistemico<br />

e un’attenta valutazione dell’efficienza<br />

economica, in modo di assicurare nella misura<br />

maggiore possibile la conservazione dell’acqua<br />

e, allo stesso tempo, di razionalizzarne l’uso da<br />

parte dei suoi tre grandi utilizzatori tradizionali:<br />

l’agricoltura, l’industria, il mondo urbano-domestico.<br />

Solo a queste condizioni è possibile garantire a<br />

questi utilizzatori la necessaria disponibilità della<br />

risorsa idrica, tutelare l’ambiente e provvedere<br />

l’acqua necessaria per tutta una serie di altri<br />

servizi quali: la produzione di energia elettrica,<br />

il raffreddamento degli impianti che producono<br />

energia utilizzando altre fonti, la navigazione,<br />

l’occupazione del tempo libero e il turismo.<br />

All’opposto, il continuare, come troppo spesso<br />

accade, ad affrontare il problema della gestione<br />

della risorsa idrica con interventi sporadici,<br />

dettati dall’emergenza, senza un organico programma<br />

di riferimento, può solo tradursi in<br />

uno spreco di risorse, condurre ad accrescere in<br />

misura ingiustificata i consumi di acqua a fini<br />

economici, minacciare seriamente il contributo<br />

dell’acqua alla tutela dell’ambiente, ed essere<br />

espressione dell’incapacità della pubblica amministrazione<br />

e del mondo dell’agricoltura di<br />

resistere alle pressioni delle varie lobby e di salvaguardare<br />

il futuro dell’interesse generale.<br />

Questa esigenza di una effettiva innovazione<br />

nelle politiche pubbliche e private di gestione<br />

della risorsa idrica è particolarmente urgente nel<br />

caso dell’agricoltura della Valle del Po a causa del<br />

ruolo che questa agricoltura gioca nel processo<br />

di sviluppo economico del Paese di taluni dei<br />

problemi che ne condizionano lo sviluppo. Un<br />

simile bisogno di innovare è determinato in<br />

83


all’insegna della sostenibilità<br />

special modo da quattro condizioni tipiche del<br />

settore.<br />

Primo, l’agricoltura padana concorre per oltre<br />

un terzo alla formazione dell’intera produzione<br />

agricola nazionale. Da sole le tre regioni<br />

Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna,<br />

nonostante contino meno di un quarto della<br />

superficie agraria utilizzata complessiva del<br />

Paese, contribuiscono con la loro agricoltura per<br />

circa il 45% alla produzione italiana di cereali,<br />

per il 42-44% alla produzione di carni e per<br />

circa il 55% alla produzione nazionale di latte.<br />

In modo analogo, l’industria alimentare delle<br />

tre regioni concorre in misura determinante<br />

alla produzione di questo comparto del settore<br />

manifatturiero. Questa industria comprende il<br />

28% del totale italiano del numero delle unità<br />

locali, occupa il 40% del totale nazionale degli<br />

addetti, contribuisce per oltre il 50% al totale<br />

delle esportazioni del comparto. E’ così facile<br />

concludere, anche senza dover considerare<br />

l’indotto, che l’agricoltura della Valle del Po<br />

contribuisce direttamente e indirettamente in<br />

una misura sostanziale alla sicurezza alimentare<br />

del Paese ed allo sviluppo della sua economia.<br />

Secondo, il contributo decisivo e insostituibile<br />

dell’irrigazione alla forte crescita negli ultimi<br />

decenni della produzione agricola padana. Una<br />

simile crescita è evidentemente il risultato di<br />

un forte impegno imprenditoriale da parte del<br />

mondo agricolo. Ma essa è anche, e in misura<br />

determinante, la risultante dello sviluppo<br />

dell’irrigazione.<br />

Nel corso dei secoli, a partire dall’epoca dei<br />

Comuni sino ai nostri giorni, è stata costante<br />

a tutti i livelli la preoccupazione di diffondere<br />

l’impiego di acqua per usi irrigui. E’ possibile<br />

ormai affermare che la totalità della superficie<br />

agraria utilizzabile delle zone agrarie di<br />

pianura della Valle del Po è irrigabile. E la<br />

ragione di fondo di questa preoccupazione<br />

e del peso dell’irrigazione nel condizionare<br />

i risultati dell’attività agricola è facilmente<br />

comprensibile; fatta eccezione per poche aree,<br />

la pianura padana è dominata da un clima subarido.<br />

Durante il periodo estivo essa registra<br />

della siccità e che, in ogni caso, permette alle<br />

diverse colture di esprimere solo parzialmente<br />

il proprio potenziale produttivo. Può inoltre<br />

accadere, come è stato lamentato la primavera<br />

84<br />

scorsa, che la crisi dovuta alla diminuzione delle<br />

riserve idriche e alla contemporanea riduzione<br />

delle precipitazioni si manifesti anche in altri<br />

periodi cruciali per lo sviluppo vegetativo delle<br />

coltivazioni.<br />

Data questa realtà, un’eventuale riduzione<br />

del sussidio dell’irrigazione è inevitabilmente<br />

destinato a provocare nella pianura padana un<br />

crollo in qualità, e ancor più in valore, della<br />

sua produzione agricole e una estensivazione<br />

di questa produzione, con tutta una serie di<br />

pesanti conseguenze per la crescita economica,<br />

la tutela dell’ambiente, la sicurezza alimentare<br />

del paese.<br />

Terzo, la recente, progressiva crescita della dimensione<br />

della tipica impresa agricola. Nell’agricoltura<br />

padana si è andato intensificando<br />

in questi ultimi lustri, a riprova dell’incessante<br />

impegno dei suoi agricoltori, un processo di<br />

consolidamento delle imprese agricole che sta<br />

portando alla serpe più netta affermazione di<br />

una struttura produttiva di tipo bipolare, fondata<br />

sulla presenza di due principali gruppi di imprese<br />

di dimensioni e di peso economico nettamente<br />

differente, all’affermazione cioè di quella<br />

che gli agricoltori nord-americani definiscono la<br />

regola del 20 e dell’80 per cento. Da una parte, il<br />

gruppo formato da un numero limitato (il 20%<br />

del totale) di imprese di grandi e medie dimensioni<br />

in termini di terra e/o di capitale che continuano<br />

a crescere, grazie alle capacità imprenditoriali<br />

dei loro agricoltori, tanto da concorrere in<br />

misura ormai determinante e progressiva (l’80%<br />

del totale) alla produzione complessiva del settore.<br />

Dall’altro lato, il gruppo assai più numeroso<br />

(l’80%) delle imprese, in genere di piccola<br />

dimensione, che per svariate ragioni quali, ad<br />

esempio, l’età avanzata dell’imprenditore, l’occupazione<br />

in attività extra-agricole, la difficoltà<br />

di accedere al credito, la localizzazione in aree<br />

svantaggiate, non riescono a stare al passo con il<br />

progresso tecnico, di modo che il loro contributo<br />

alla produzione agricola totale tende ad essere<br />

sempre più limitato (il 20%).<br />

Ebbene, l’impatto di questo processo di consolidamento<br />

di imprese è destinato a rivoluzionare<br />

l’organizzazione della distribuzione dell’acqua e<br />

della sua gestione e lo stesso senso dello sviluppo<br />

della tecnica irrigua. Esso accese l’estensione<br />

dei campi in lunghezza e larghezza, semplifica


enormemente la maglia della rete aziendale, riduce<br />

il numero degli utenti.<br />

Quarto, le incongruenze strutturali e organizzative<br />

dei comprensori di antica irrigazione. Gli<br />

attuali sistemi irrigui di una parte importante<br />

della pianura padana, specie in sinistra Po, sono<br />

frequentemente la risultante di una espansione<br />

della rete irrigua che si è andata progressivamente<br />

sviluppando in un arco di tempo plurisecolare.<br />

Dapprima sono stati utilizzati a fini<br />

irrigui i canali che inizialmente erano stati realizzati<br />

per assicurare il rifornimento dell’acqua<br />

ai centri urbani e/o il funzionamento di mulini.<br />

In seguito, si sono andati costruendo ad opera<br />

di altri utenti, in prossimità o anche accanto a<br />

canali già esistenti, dei nuovi canali primari che<br />

derivano, così come derivano tuttora, acqua dallo<br />

stesso fiume in punti talora contigui alle opere<br />

di derivazione già presenti, ma che erano dotati<br />

di una propria specifica rete di canali secondari<br />

di distribuzione. Inoltre questi diversi canali,<br />

nonostante le superfici da essi irrigate ricadano<br />

ormai nell’ambito del territorio di competenza<br />

di un solo consorzio di irrigazione o bonifica,<br />

conservano ancor oggi, sia pure in misura diversa<br />

da caso a caso, una certa autonomia gestionale<br />

ed amministrativa.<br />

Si è così giunti nei comprensori di antica irrigazione<br />

a dovere operare oggi con consorzi di<br />

irrigazione o di bonifica che sono obbligati, indipendentemente<br />

dalla loro volontà, a dover gestire<br />

delle reti di canali di derivazione e di distribuzione<br />

delle acque irrigue complesse, ridondanti,<br />

che talvolta si intersecano e quindi decisamente<br />

obsolete e altamente costose da mantenere in<br />

buone condizioni. Oltre a ciò questi consorzi<br />

sono contemporaneamente costretti a doversi<br />

confrontare con una frantumazione periferica<br />

della gestione dell’uso dell’acqua che sfugge al<br />

loro controllo e che in non pochi casi è causa di<br />

gravi inefficienze, di sprechi e di abusi del tutto<br />

incompatibili con il carattere di bene pubblico di<br />

tutte le acque.<br />

Queste irregolarità nell’uso della risorsa idrica<br />

hanno inoltre l’effetto di favorire ai fini irrigui<br />

l’impiego, al di fuori di ogni controllo, di acque,<br />

quali quelle sotterranee, sulle quali già grava<br />

una crescente domanda ad opera dell’industria<br />

e della popolazione civile. Un impiego questo<br />

che può assumere aspetti di particolare gravità<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

nei comprensori in destra Po, dove, a causa delle<br />

caratteristiche orografiche del territorio e della<br />

mancanza di invasi naturali, le falde acquifere<br />

rappresentano la sola riserva di acqua su cui<br />

potere effettivamente contare.<br />

Dato il quadro dello stato e delle tendenze<br />

evolutive dell’agricoltura padana qui tracciato<br />

movendo dalla particolare angolazione dell’uso<br />

della risorsa idrica, è opportuno, per ragioni<br />

di tempo, limitarci a due considerazioni<br />

conclusive.<br />

La prima di queste considerazioni riguarda<br />

l’idea che l’agricoltura della Valle del Po, o di<br />

una parte di questo territorio, possa ridurre<br />

i suoi consumi di acqua irrigua attraverso la<br />

coltivazione di specie meno esigenti dal punto<br />

di vista idrico. Si tratta in questo caso di un’idea<br />

difficilmente sostenibile per due fondamentali<br />

ragioni e per la gravità dei costi che ne possono<br />

derivare. La prima di queste ragioni è di natura<br />

squisitamente economica; il mercato non offre<br />

spazio alcuno a colture con queste caratteristiche<br />

ne è possibile pensare, dati gli attuali<br />

orientamenti della politica agricola comune e<br />

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio<br />

che il loro sviluppo possa essere sostenuto con<br />

sussidi alla produzione. L’altra ragione è di<br />

natura tecnica, ma pur sempre con importanti<br />

ricadute di carattere economico, ed è legata alla<br />

specifica fisiologia delle singole specie vegetali,<br />

alla loro capacità cioè di valorizzare l’acqua<br />

ai fini produttivi nelle varie condizioni agroecologiche.<br />

Basti pensare che il mais, il prodotto<br />

che spesso è accusato d’essere il responsabile dei<br />

forti consumi idrici estivi della pianura padana,<br />

è la coltura caratterizzata dall’esigere uno dei<br />

più bassi impieghi di acqua per unità di granella<br />

prodotta.<br />

Nel giudicare la convenienza dell’impiego<br />

dell’acqua irrigua non si può infatti prescindere,<br />

così come accade per ogni altro fattore di<br />

produzione, dal criterio della produttività, dal<br />

rapporto cioè tra volume di prodotto ottenuto e<br />

volume di acque consumata.<br />

Destinare all’irrigazione colture che richiedono<br />

meno acque per unità di superficie, ma più<br />

terra per unità di prodotto, significa, se si vuole<br />

mantenere immutato il livello della produzione<br />

complessiva, aumentare la superficie destinata<br />

85


all’insegna della sostenibilità<br />

a queste colture. Il che non solo è illogico: i<br />

consumi di acqua non diminuirebbero: ciò<br />

che viene risparmiano per unità di superficie<br />

è compensato dai maggiori consumi derivanti<br />

dall’aumento della superficie. Ma è assolutamente<br />

improponibile per un paese che, come il nostro,<br />

a causa della scarsità di terra coltivabile e del<br />

fenomeno particolarmente pericoloso della<br />

continua sottrazione di terra alla produzione<br />

agricola da parte degli altri settori dell’economia,<br />

è caratterizzato da un grado di autosufficienza<br />

alimentare particolarmente basso. Non si può<br />

infatti sottovalutare il fatto che per soddisfare<br />

le esigenze alimentari della sua popolazione,<br />

un bisogno primario pertanto, il nostro Paese<br />

dipende in misura sostanziale dalle importazioni<br />

di materie prime e prodotti agro-alimentari. In<br />

parole più semplici, la destinazione di acqua<br />

a queste colture implicherebbe un ulteriore<br />

peggioramento del problema, già assai grave,<br />

della sicurezza alimentare del Paese.<br />

Una simile destinazione sarebbe inoltre non<br />

meno grave per una serie di altre consulenze.<br />

L’eventuale sviluppo di “colture meno idroesigenti”<br />

implicherebbe una riduzione drastica<br />

della produzione agricola e del valore aggiunto<br />

per unità di superficie e conseguentemente lo<br />

sviluppo di una successione a catena di effetti<br />

assai negativi: diminuzione del reddito degli addetti<br />

all’agricoltura, riduzione della produzione<br />

nell’indotto e nell’industria alimentare, flessione<br />

dell’occupazione in agricoltura e nelle attività<br />

manifatturiere e di servizio ad essa legate, crisi<br />

dell’economia delle aree rurali, profonde modificazioni<br />

dell’ambiente e, infine, radicale impoverimento<br />

del paesaggio rurale, di un paesaggio<br />

cioè particolarmente prezioso anche perché è il<br />

frutto di un millenario di fatiche dell’uomo e<br />

l’espressione di colture e di identità locali.<br />

La seconda considerazione conclusiva riguarda<br />

essenzialmente i comprensori di antica<br />

irrigazione dell’Emilia-Romagna, senza con<br />

questo volere escludere che essa possa valere<br />

anche per gli altri comprensori.<br />

Il processo di consolidamento dell’impresa<br />

agricola che si è prima ricordato offre importanti<br />

motivazioni di natura tecnica ed economica<br />

per riidisegnare l’intero sistema irriguo del<br />

comprensorio, per adattarlo alle nuove tecniche<br />

irrigue, in particolare all’irrigazione a domanda,<br />

86<br />

e per un riordino delle utenze irrigue che, senza<br />

penalizzare nessuno, assicuri a ogni impresa<br />

agricola la dotazione necessaria di acqua irrigua.<br />

In altri termini, questo processo offre l’occasione<br />

per diminuire i costi dell’irrigazione e allo stesso<br />

tempo per ridurre l’impiego di acqua da parte<br />

dell’agricoltura. E cogliere questa occasione<br />

è principalmente responsabilità del mondo<br />

agricolo, dei soggetti cioè della domanda.<br />

Ma è anche vero che è non meno necessario<br />

un analogo impegno dal lato dell’offerta, un<br />

impegno che è essenzialmente compito degli<br />

enti pubblici. L’esigenza di soddisfare la<br />

crescente domanda di acqua per usi industriali<br />

e civili e per la protezione delle biodiversità e<br />

degli ecosistemi, di conservare la consistenza<br />

quantitativa e qualitativa delle falde acquifere e<br />

di fronteggiare i mutamenti climatici sfavorevoli<br />

non può essere soddisfatta con i soli risparmi<br />

derivanti dalla razionalizzazione della gestione<br />

dei sistemi irrigui e con l’incremento dell’offerta<br />

che può essere offerta dalla costruzione di<br />

piccoli invasi aziendali e dall’utilizzazione come<br />

bacini di riserva di casse d’espansione e di aree<br />

di cava.<br />

Se si vuole realizzare l’equilibrio tra la domanda<br />

e l’offerta di acqua necessaria per soddisfare<br />

i vari bisogni è indispensabile aumentare<br />

effettivamente le scorte di acqua, per usare altre<br />

parole, realizzando accumuli di acqua, invasi,<br />

specie in zone montane.<br />

La costituzione di queste riserve d’acqua ha tra<br />

l’altro il pregio d’essere il modo di cattura e di<br />

valorizzazione delle acque libere più logico e<br />

conveniente sia perché l’acqua così trattenuta<br />

andrebbe altrimenti persa, sia per l’elevata<br />

entità dei volumi idrici che possono essere<br />

accumulati, sia perché eventuali costi di natura<br />

ecologica sarebbero largamente compensati dai<br />

benefici ambientali derivanti dalla maggiore<br />

certezza e regolarità del deflusso delle acque e<br />

dalla possibilità di produrre energia elettrica,<br />

sia infine per la ragione che l’invaso, o gli invasi,<br />

che si formano possono diventare il nucleo di<br />

cristallizzazione di importanti iniziative legate<br />

al turismo e al tempo libero.<br />

Da ciò la necessità da parte degli enti responsabili<br />

della gestione del territorio di includere questi<br />

invasi tra gli interventi tesi a migliorare l’accu-


mulo e la conservazione delle acque e di avere,<br />

di conseguenza, il coraggio e la saggezza politica<br />

di promuovere un programma di iniziative<br />

di largo respiro, particolarmente proiettato nel<br />

futuro, e definito in base ad analisi costi-benefici<br />

di lungo periodo che prestino grande attenzione<br />

alle esternalità positive e negative.<br />

Un programma che sia inoltre accompagnato e<br />

sostenuto da una puntuale pianificazione finanziaria<br />

e da una sistematica e intensa attività di<br />

informazione delle popolazioni interessate dai<br />

vari interventi. Meglio ancora se a dare man<br />

forte a un simile programma intervengono dei<br />

provvedimenti tesi a superare la frammentazione<br />

delle gestione dell’acqua tra i numerosi enti<br />

pubblici e privati e ad adeguare le tariffe pubbliche<br />

al valore dell’acqua e ai costi di distribuzione.<br />

In ultima analisi, una corretta gestione della<br />

risorsa idrica è contemporaneamente responsabilità<br />

della pubblica amministrazione e del<br />

mondo agricolo. Essa è il banco di prova della<br />

capacità di questi due mondi di formulare e ge-<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

stire politiche effettivamente innovative e capaci<br />

a loro volta di promuovere l’innovazione, della<br />

capacità cioè di capire che gli interventi a livello<br />

delle infrastrutture hanno per il loro effetto moltiplicatore<br />

una efficacia nettamente superiore a<br />

quella delle agevolazioni finanziarie concesse<br />

alle singole imprese agricole. Essa è inoltre indice<br />

dell’impegno di questi due mondi a rifuggire<br />

da ogni forma di opportunismo, e della loro volontà<br />

di applicare le leggi che il Paese si è dato<br />

da tempo e che è loro compito specifico tradurre<br />

in atti concreti.<br />

La mia viva speranza è che almeno su questo<br />

tema si spezzi il circolo vizioso che, secondo<br />

il giudizio certo eccessivamente duro, ma ciò<br />

nonostante dotato di un buon fondo di verità, di<br />

Robert Putman, uno scienziato sociale profondo<br />

conoscitore del nostro paese, ci caratterizza:<br />

“Quasi tutti concordano che le leggi sono fatte<br />

per essere infrante, ma tutti chiedono una<br />

disciplina più severa, perché ciascuno teme<br />

il mancato rispetto della legge da parte degli<br />

altri”.<br />

87


all’insegna della sostenibilità<br />

88


I contratti di fiume: una lunga marcia<br />

verso nuove forme integrate di<br />

pianificazione territoriale 1<br />

Premessa<br />

Il percorso di sviluppo dei Contratti di fiume<br />

in Italia, a partire dall’esperienza pioniera<br />

dell’Olona promosso dalla Regione Lombardia<br />

nel 2003 2 , nella rapida diffusione territoriale<br />

che lo ha caratterizzato 3 è andato assumendo le<br />

caratteristiche di un “movimento” che ha portato<br />

linfa innovativa almeno in tre direzioni:<br />

• alle esperienze di partecipazione che, a partire<br />

dalle applicazioni italiane del “bilancio<br />

partecipativo” di Porto Alegre, fino ai<br />

coordinamenti delle agende 21 locali, i<br />

contratti di quartiere, le esperienze di<br />

pianificazione partecipata, i bilanci sociali e di<br />

genere, i coordinamenti di comuni promossi<br />

dalla Rete del Nuovo Municipio 4 , alla legge<br />

toscana sulla partecipazione 5 , ha visto un<br />

percorso in cui i processi partecipativi<br />

sono passati da eventi episodici su singoli<br />

problemi di quartiere a forme di democrazia<br />

partecipativa con caratteri di continuità,<br />

applicati ai problemi complessi del futuro<br />

di una comunità, estesi territorialmente dal<br />

quartiere alla città al territorio (Allegretti,<br />

Frascaroli 2006). Il contratto di fiume per la<br />

estensione delle comunità che investe e per<br />

la complessità delle tematiche che affronta<br />

può fornire, qualora imbocchi la strada di<br />

pratiche bottom up, un notevole contributo<br />

all’evoluzione in questa direzione dei<br />

percorsi di rinnovamento delle forme di<br />

partecipazione democratiche alle scelte del<br />

futuro di un territorio;<br />

• alle forme di pianificazione territoriale e di<br />

governo del territorio, attivando articolati<br />

processi strutturati di governance che possono<br />

dare risposte concrete sui temi della<br />

sussidiarietà e del federalismo municipale<br />

(Magnaghi 2006), contribuendo a ricostruire<br />

forme multilivello di autogoverno di estese<br />

comunità di valle, implementando originali<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Alberto Magnaghi<br />

percorsi di pianificazione strategica che rinnovano<br />

le politiche settoriali e impiantistiche<br />

sulla difesa del suolo e sulla gestione dei<br />

bacini idrografici;<br />

• alla sperimentazione di processi riorganizzativi<br />

virtuosi nelle amministrazioni regionali<br />

e provinciali verso l’attivazione di strutture<br />

di coordinamento orizzontale e verticale fra<br />

settori e livelli, volti a superare i compartimenti<br />

stagni dell’azione amministrativa e a<br />

sperimentare forme integrate di politiche e<br />

piani.<br />

Che si tratti di un movimento, lo ha testimoniato<br />

poi lo spirito del seminario promosso a Parma<br />

dall’Autorità di Bacino del Po 6 che ha visto<br />

amministratori locali, dirigenti, funzionari<br />

regionali e provinciali, studiosi, associazioni,<br />

misurarsi in un appassionato dibattito per lo<br />

sviluppo dei Contratti; dibattito non molto<br />

usuale nelle riunioni tecnico-amministrative e<br />

di pianificazione, nella consapevolezza di tutti<br />

che si stava giocando una partita importante<br />

nel rinnovamento delle forme di governo del<br />

territorio e nella rinascita di una “civiltà delle<br />

acque”, nella accresciuta coscienza dell’acqua<br />

come bene comune.<br />

D’altra parte questo “movimento” si è recentemente<br />

incrociato con l’evoluzione delle politiche<br />

dell’Autorità di bacino del Po, evoluzione<br />

sancita nel IV Congresso del Po 7 : dalle politiche<br />

emergenziali di riduzione del rischio idraulico e<br />

inquinologico incentrate sui PAI, alla pianificazione<br />

strategica del bacino e dei sottobacini, dai<br />

“piani stralcio” alla pianificazione integrata, per<br />

la riqualificazione del sistema fluviale come risorsa<br />

patrimoniale; pianificazione che prevede,<br />

tra l’altro, i contratti di fiume come strumento<br />

di governance e partecipazione.<br />

La metodologia indicata e praticata per i contratti<br />

di Fiume può appoggiarsi in particolare<br />

al recente documento strategico (2007) conse-<br />

89


all’insegna della sostenibilità<br />

guente al “Protocollo d’intesa per la tutela e la valorizzazione<br />

del territorio e la promozione della sicurezza<br />

delle popolazioni della valle del Po” stipulato<br />

in data 27 maggio 2005 tra la Consulta delle<br />

Province rivierasche del Po e l’Autorità di Bacino.<br />

Gli assi portanti del progetto “Un futuro<br />

sostenibile per il Po. Schema di programma di azioni<br />

per la valorizzazione del capitale umano, naturale<br />

e culturale delle terre del Po”(Adbpo 2007), si<br />

possono riassumere nel riconoscimento che<br />

“un approccio tradizionale di tipo settoriale (o<br />

disciplinare) alle questioni del fiume, oltre a essere<br />

ovviamente parziale , può essere pericoloso. Solo una<br />

politica integrata nel settore della difesa del suolo,<br />

della tutela delle risorse idriche e ambientali e della<br />

valorizzazione del territorio è in grado di individuare<br />

trade-off soddisfacenti tra gli aspetti idraulici,<br />

biomorfologici, naturalistici, economico sociali”.<br />

In coerenza con questo principio, gli assi del<br />

documento strategico riguardano:<br />

• sicurezza, difesa del suolo e gestione delle<br />

risorse idriche;<br />

• tutela e valorizzazione ambientale (rinaturazione,<br />

agricoltura ecocompatibile, certificazione<br />

ambientale);<br />

• promozione e sviluppo del territorio (sviluppo<br />

locale: paesaggio, cultura patrimonio;<br />

percorsi, le spiagge; creazione e promozione<br />

del sistema turistico; navigazione fluviale;<br />

valorizzazione risorse umane;<br />

• governance e partecipazione (fra cui i contratti<br />

di fiume).<br />

Una evoluzione di questa portata sancisce il<br />

passaggio da politiche emergenziali, collocate<br />

“a valle” delle cause del rischio, a politiche<br />

preventive, “a monte” delle cause, che estendono<br />

gli obiettivi dalla mitigazione del rischio alla<br />

valorizzazione del patrimonio fluviale; obiettivi<br />

che non possono che investire l’intero bacino<br />

con politiche integrate, per risultare efficaci 8 ; di<br />

qui la forte spinta alla realizzazione dei piani di<br />

sottobacino sull’intero sistema fluviale.<br />

90<br />

I caratteri innovativi del “Contratto di<br />

Fiume” 9<br />

Riferito a questo nuovo contesto della pianificazione<br />

strategica di bacino, il contratto di fiume,<br />

descritto nei suoi caratteri idealtipici, si qualifica<br />

per alcuni caratteri innovativi che possono<br />

contribuire alla implementazione del piano di<br />

bacino stesso:<br />

È uno strumento di pianificazione strategica.<br />

Il Contratto di fiume prevede forme di visioning,<br />

in primo luogo attraverso l’elaborazione di un<br />

manifesto culturale: un documento sintetico che<br />

delinea la filosofia del progetto e la inquadra<br />

nelle strategie di sviluppo del territorio del bacino;<br />

questo manifesto, non tecnico, è necessario<br />

in quanto documento fondativo del patto fra<br />

gli attori del contratto che presentano culture,<br />

linguaggi, interessi, diversificati, che dovranno<br />

condurre il percorso di formazione del contratto.<br />

In secondo luogo prevede l’elaborazione di un<br />

atlante patrimoniale in grado di rappresentare e<br />

comunicare le risorse su cui fondare la strategia<br />

di riqualificazione del sistema fluviale: risorse<br />

ambientali (ecomosaici di pregio, trame agrarie<br />

rivierasche, aree boscate, parchi, elementi per<br />

la riconnessione del sistema fluviale come<br />

corridoio ecologico); risorse territoriali (gli<br />

elementi patrimoniali storici persistenti nel<br />

bacino fluviale: ambienti insediativi, centri<br />

urbani rivieraschi, trame agrarie storiche e<br />

sistemi irrigui, derivazioni, rogge, infrastrutture<br />

storiche, ville, opifici storici, fornaci, mulini,<br />

gualchiere, chiuse; unità paesistiche di pregio,<br />

paleoalvei, terrazzi, aree boscate, parchi, aree<br />

industriali dimesse); risorse umane (soggetti<br />

culturali, ambientali, economici, interessati<br />

alla valorizzazione del sistema delle acque;<br />

progetti, piani e politiche istituzionali<br />

(regionali, provinciali, comunali, intercomunali)<br />

che affrontano parti specifiche (settoriali o<br />

puntuali) del progetto integrato; progetti e<br />

azioni nel campo sociale (associazioni, comitati<br />

di cittadini, ecc.) che si propongono azioni di<br />

valorizzazione del territorio in relazione al<br />

sistema delle acque).<br />

In terzo luogo prevede l’elaborazione di scenari<br />

strategici condivisi che orientano progetti locali,<br />

piani e politiche di settore verso la messa in


valore delle risorse patrimoniali rappresentate<br />

nell’atlante. Essi sono costituiti da un corpo centrale<br />

di progetti di riqualificazione e rivitalizzazione<br />

dei sistemi ambientali rivieraschi e del bacino,<br />

accompagnati da una trasformazione in senso<br />

ecologico delle principali componenti del sistema<br />

insediativo stesso: progetti e politiche sui sistemi<br />

territoriali e urbani, sui sistemi produttivi,sui<br />

sistemi agroforestali, sui sistemi energetici, sui consumi;<br />

politiche sociali.<br />

Lo scenario di futuro, enunciato e disegnato in<br />

un linguaggio comprensibile a tutti gli attori del<br />

progetto, costituisce lo “statuto del territorio”<br />

per il Contratto di fiume, la nuova “figura<br />

territoriale” di riferimento per le singole azioni,<br />

piani e progetti.<br />

Nell’avvalersi di specifici strumenti di programmazione<br />

negoziata (coordinamenti multisettoriali,<br />

procedure negoziali e “pattizie” multilivello<br />

e multiattoriale), il Contratto di fiume<br />

ha la peculiarità di assumere una “geometria<br />

variabile” degli attori, specifica ad ogni contesto,<br />

che si configura come un accordo volontario<br />

fra soggetti pubblici e privati che caratterizza<br />

obiettivi, strategie d’intervento, azioni da attiva-<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

La costruzione dello scenario condiviso integra<br />

in un unico disegno generale 10 la valorizzazione<br />

delle risorse individuate nell’atlante del patrimonio<br />

e i molti progetti locali e regionali che<br />

già si muovono nell’orizzonte degli obiettivi<br />

strategici; è dunque uno strumento di pianificazione<br />

integrata, che presuppone il passaggio dai<br />

piani di settore, sovente in conflitto fra loro, ad<br />

una progettazione multidisciplinare implementata<br />

attraverso un processo di attuazione multisettoriale<br />

e multiscalare; una esemplificazione<br />

del processo può far riferimento al diagramma<br />

che segue riferito allo scenario strategico per il<br />

Master Plan del parco fluviale della media valle<br />

dell’Arno, che assume la funzione di documento<br />

programmatico per il progetto di Contratto<br />

di fiume (Magnaghi 2007 a).<br />

re e competenze; il carattere pattizio del contratto,<br />

se perseguito in termini non opportunistici,<br />

ma finalizzati alla valorizzazione del “patrimonio<br />

fiume” come bene comune, dovrebbe garantire<br />

la coerenza delle azioni di ciascun attore<br />

rispetto allo scenario strategico; a questo fine<br />

dovrebbero conformarsi gli organi di gestione<br />

istituzionale: cabina di regia, segreteria tecnica,<br />

comitato di coordinamento, ecc. L’attivazione<br />

91


all’insegna della sostenibilità<br />

del contratto di fiume prevede forme allargate<br />

di partecipazione, che dovrebbero articolare<br />

sedi e istituti di concertazione e decisione multiscalare<br />

per: la raccolta e la sistematizzazione<br />

nell’atlante del patrimonio dei progetti e delle<br />

politiche istituzionali e sociali; la costruzione<br />

socialmente condivisa degli obiettivi dello scenario<br />

strategico di riferimento; la progettazione<br />

e la gestione di specifici progetti (di area vasta,<br />

locali, di settore, integrati).<br />

Il tavolo decisionale di concertazione e<br />

partecipazione, con le sue articolazioni ad<br />

hoc, accompagna perciò tutto il processo di<br />

pianificazione strategica, in forme strutturate;<br />

prevede l’attivazione di strumenti di governance<br />

dei processi di sviluppo locale finalizzati a<br />

coinvolgere e rendere sinergici gli obiettivi di<br />

tutti i soggetti interessati nella gestione e/o<br />

utilizzo della risorsa acqua e dei relativi bacini.<br />

E’ uno strumento che promuove la democrazia<br />

partecipativa<br />

Una forza innovativa dei Contratti di fiume<br />

rispetto ai processi di pianificazione ordinari,<br />

è data dalla possibilità concreta di affiancare<br />

agli strumenti di programmazione negoziata<br />

strumenti di democrazia partecipativa strutturati,<br />

che riguardano sia soggetti in relazione<br />

specifica con il fiume (aziende agricole, pescatori,<br />

canoisti, escursionisti, associazioni culturali<br />

e ambientaliste, attività turistiche, ecc) sia<br />

direttamente gli abitanti in quanto fruitori del<br />

fiume come bene e spazio pubblico; soggetti da<br />

attivare non occasionalmente su un problema<br />

specifico, ma in un percorso partecipativo caratterizzato<br />

dalla continuità, dall’interscalarità delle<br />

problematiche e dall’interazione reciproca su<br />

problematiche multisettoriali e integrate riguardanti<br />

il benessere e la qualità della vita delle<br />

popolazioni.<br />

Affrontare socialmente il riconoscimento dei<br />

valori patrimoniali dell’ambiente, del territorio<br />

e del paesaggio, stabilire in forme statutarie<br />

le regole condivise di uso del territorio che<br />

ne riproducano i valori e producano “valore<br />

aggiunto territoriale”, costruire socialmente<br />

scenari di valorizzazione degli ambienti di vita<br />

costituisce un modello di processo partecipativo<br />

che aiuta la crescita di cittadinanza attiva<br />

92<br />

e di “coscienza di luogo”, ridando ruolo a<br />

saperi contestuali nella cura del territorio e<br />

sviluppando imprenditività locale per la messa<br />

in valore sostenibile delle risorse patrimoniali.<br />

In questa direzione il documento programmatico<br />

del Contratto (manifesto, scenario strategico)<br />

deve avvalersi di un quadro conoscitivo<br />

che evidenzi le criticità, ma soprattutto il patrimonio<br />

ambientale, territoriale, paesistico,<br />

socioculturale su cui si può fondare la rinascita<br />

del fiume. Per una condivisione delle strategie<br />

è fondamentale la condivisione sociale del quadro<br />

conoscitivo come percezione e riconoscimento<br />

identitario delle popolazioni (art 1 della Convenzione<br />

europea del paesaggio), al fine di riavvicinare<br />

gli obiettivi della pianificazione alla produzione<br />

del benessere.<br />

Questo riavvicinamento richiede che la<br />

descrizione strutturale dei beni patrimoniali<br />

dei luoghi (atlante) prenda corpo e sostanza,<br />

attraverso percorsi strutturati di democrazia<br />

partecipativa, in quanto autorappresentazione<br />

identitaria della società locale e dei valori del<br />

suo ambiente di vita (ad esempio attraverso la<br />

costruzione di “mappe di comunità” 11 ). Solo<br />

questa autorappresentazione garantisce che<br />

le strategie di pianificazione siano saldamente<br />

ancorate e finalizzate alla realizzazione del<br />

benessere collettivo, ovvero alla messa in valore<br />

dei beni patrimoniali socialmente riconosciuti<br />

come tali. Questo atto “costituzionale” della<br />

società locale non promana da una semplice<br />

consultazione (come sovente si intende la<br />

partecipazione), ma è l’esito di complessi<br />

percorsi di costruzione della cittadinanza attiva<br />

che richiede tempi adeguati alla maturazione<br />

della “coscienza di luogo” 12 , in questo caso<br />

riferita all’identità di valle il cui filo conduttore<br />

che unifica diversi contesti locali e mondi di vita<br />

è proprio il sistema fluviale.<br />

La coscienza di luogo conduce abitanti e<br />

produttori alla cura del territorio come bene<br />

comune, alla valorizzazione quotidiana dei<br />

luoghi come strategia e pratica ordinaria di<br />

governo del territorio. In questa direzione la<br />

Convenzione europea del paesaggio ci indica<br />

una strada per riavvicinare il governo del<br />

territorio alla cura dei mondi di vita: assumendo<br />

i paesaggi del fiume come generatori di vita<br />

e di territorialità, beni comuni identificativi


dell’ambiente dell’uomo, urbano e rurale. I<br />

contratti di fiume bottom up possono dunque<br />

costituire un tassello verso la “coscienza di<br />

luogo”, la reidentificazione e la rinascita dei<br />

saperi contestuali, la cura, l’autogoverno delle<br />

comunità rivierasche e delle comunità di valle.<br />

In questo senso i Contratti di fiume possono<br />

costituire, se praticano questa strada di<br />

democrazia partecipativa (ancora embrionale<br />

nei casi italiani) 13 un percorso sperimentale<br />

di ricostruzione delle comunità locali in<br />

grado di esercitare funzioni di autogoverno,<br />

attraverso la ricostruzione di saperi locali<br />

a partire dalla rinnovata cura dei sistemi<br />

fluviali (dalla manutenzione ordinaria resa<br />

possibile dal ripopolamento delle riviere, fino<br />

alla riorganizzazione di attività economiche,<br />

culturali e sociali legate alla cultura dell’acqua);<br />

se il processo partecipativo ha il carattere della<br />

continuità, dell’inclusività, della progettualità,<br />

della cura, esso è in grado di rivitalizzare le<br />

deboli relazioni fra cittadinanza e istituzioni<br />

locali, contribuendo ad attivare modelli<br />

innovativi di sviluppo locale autosostenibili.<br />

Se si verificano queste condizioni, oltre a<br />

sviluppare l’efficacia interna ed esterna dei<br />

processi, possiamo parlare di efficacia generativa,<br />

ovvero di percorsi che generano trasformazioni<br />

culturali essenziali nelle loro ricadute operative,<br />

per l’assunzione condivisa e la gestione degli<br />

obiettivi strategici dei piani di sottobacino.<br />

E’ uno strumento che richiede l’ attivazione di<br />

modelli di valutazione integrata<br />

Il modello di valutazione integrata dovrebbe<br />

superare il carattere standardizzato delle<br />

applicazioni correnti della VAS, evolvendo<br />

verso un modello interattivo, costruito su<br />

misura del processo specifico, quindi adattivo,<br />

autoriflessivo, in grado di affiancare indicatori<br />

qualitativi e di processo agli indicatori<br />

quantitivi standard (Stame 2007). Dovrebbe<br />

inoltre consentire di:<br />

• verificare il difficile passaggio dalle<br />

politiche di settore alle politiche integrate (il<br />

governo del territorio è ancora in gran parte<br />

sommatoria di politiche di settore); in altri<br />

termini valutare l’efficacia, il grado di coerenza,<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di sinergia, e di molteplicità di valenze delle<br />

singole azioni di pianificazione ordinaria<br />

(ai vari livelli comunale, sovracomunale,<br />

provinciale, regionale) rispetto agli obiettivi<br />

strategici e ai progetti dello scenario; l’analisi<br />

di processo potrebbe aiutare a indicare<br />

forme di trasformazione delle strutture<br />

amministrative ai vari livelli coerenti con<br />

questi obiettivi;<br />

• individuare le cause del deficit di attuazione<br />

degli scenari strategici e delle azioni proposte<br />

dal contratto, rendendo espliciti e trattabili<br />

i processi che trasformano gli obiettivi dei<br />

piani e li rendono inefficaci, o li vanificano<br />

con azioni contrarie;<br />

• individuare i deficit delle strutture amministrative<br />

nel dare operatività ai processi partecipativi;<br />

• valutare i progetti e le politiche che è<br />

necessario affiancare e integrare a quelle in atto<br />

in ogni singola area per determinare soglie<br />

significative di inversione della tendenza al<br />

degrado e la riqualificazione integrata del<br />

sistema fluviale;<br />

• denotare, incentivare e integrare nel processo<br />

decisionale gli attori (economici, sociali,<br />

culturali, ecc.) portatori di progettualità e<br />

di energie positive per la qualificazione del<br />

processo di piano 14 .<br />

Il contributo dei contratti di fiume e dei piani<br />

di sottobacino al progetto strategico del PO<br />

Concepito in questa forma che connota una<br />

specifica accezione di pianificazione strategica<br />

in chiave territorialista (Magnaghi 2007 c) il<br />

Contratto di fiume può specificamente favorire<br />

la realizzazione degli obiettivi del progetto<br />

strategico “Un futuro sostenibile per il PO”. In<br />

particolare:<br />

• il Contratto di fiume, può aiutare a costruire<br />

“dal basso” in forma incrementale, a partire<br />

da specifici contesti vallivi, il passaggio da<br />

politiche settoriali di mitigazione del rischio<br />

idraulico e inquinologico a politiche integrate<br />

di riqualificazione ecologica, fruitiva e<br />

paesistica del sistema fluviale. La potenzialità<br />

di questa via bottom up al Progetto strategico<br />

93


all’insegna della sostenibilità<br />

94<br />

per il Po è testimoniata dal fatto che, nei<br />

Contrtti in atto o in progetto, i manifesti, gli<br />

scenari strategici, i “documenti monografici<br />

di area”, che fungono da riferimento per la<br />

sottoscrizione del Contratto da parte degli<br />

attori locali, istituzionali e non, ripropongono<br />

tutti la centralità del fiume in quanto<br />

patrimonio identitario delle popolazioni e<br />

la sua restituzione attiva al territorio come<br />

obiettivo primario delle politiche territoriali;<br />

questa centralità, storicamente data, ma<br />

per un lungo periodo negata da processi di<br />

marginalizzazione dei sistemi fluviali dal<br />

territorio e dalle città, richiede un nuovo<br />

ruolo multisettoriale delle politiche di<br />

valorizzazione dei bacini idrografici nella<br />

pianificazione territoriale;<br />

• i Contratti di fiume favoriscono la diffusione<br />

dei piani di sottobacino: nel caso del Po, si<br />

sta verificando una sorta di “risalita dei<br />

salmoni” dal sistema fluviale della pianura<br />

padana alle valli appenniniche e alpine.<br />

Questo percorso di risalita da valle a monte<br />

assume una duplice valenza:<br />

• favorisce una evoluzione concreta dai<br />

piani emergenziali che operano “a valle”<br />

delle cause del degrado dei bacini idrografici<br />

(piani storicamente rappresentati<br />

da opere idrauliche spondali, collettori,<br />

casse di espansione, vasche di laminazione,<br />

ecc), verso il trattamento strategico<br />

dell’intero bacino attraverso azioni multisettoriali<br />

“a monte”, verso la collina,<br />

la montagna, gli affluenti; trattando gli<br />

equilibri del bacino idrografico a partire<br />

dalla liberazione e dalla cura delle sorgenti;<br />

consentendo tra l’altro di affrontare<br />

in modo integrato i problemi del global<br />

change ( piani di conservazione della risorsa,<br />

rallentamento e trattenimento dei<br />

deflussi, riorganizzazione del bilancio<br />

idrico a fronte delle riduzioni delle portate,<br />

riuso dei reflui urbani e industriali,<br />

ecc);<br />

• favorisce il passaggio da modelli regionali<br />

“centroperiferici” del modello industriale<br />

fordista, fortemente congestionanti<br />

e squilibranti a modelli policentrici e<br />

reticolari che attribuiscono nuova centralità<br />

alle aree periferiche e marginali delle<br />

regioni; in particolare alle aree collinari e<br />

montane e agli entroterra costieri, affrontando<br />

i problemi relativi alla marginalità<br />

culturale, amministrativa, imprenditiva<br />

e di coesione sociale, indotti in queste<br />

aree dai modelli regionali centroperiferici;<br />

con particolare riferimento al ripopolamento<br />

rurale nel quadro di modelli di<br />

sviluppo locale agroterziari che mettono<br />

in valore le peculiarità identitarie delle<br />

singole valli, assumendo la qualità ambientale<br />

e paesaggistica come requisito<br />

essenziale.<br />

Un nuovo popolamento rurale ecologico, colto,<br />

consapevole del valore dei beni patrimoniali<br />

locali delle valli dell’arco alpino, della dorsale<br />

appenninica e degli entroterra costieri può<br />

costituire lo sfondo strategico dei Contratti di<br />

fiume vallivi rispetto alla pianificazione dei<br />

bacini idrografici; dal momento che l’attivazione<br />

di questo nuovo mondo rurale è la condizione<br />

di un presidio concreto del territorio, favorendo<br />

nel contempo il passaggio dalle seconde case<br />

metropolitane all’ospitalità diffusa da parte di<br />

una società locale agroterziaria; la crescita di<br />

questa società produce dunque, se remunerata,<br />

beni e servizi pubblici, in primis la cura delle<br />

acque.<br />

In questa prospettiva strumento fondamentale<br />

del ripopolamento rurale è il riconoscimento<br />

della multifunzionalità dell’agricoltura (salvaguardia<br />

idrogeologica, produzione di qualità<br />

alimentare, paesistica, ecologica, energetica,<br />

realizzazione di reti corte fra produzione e consumo);<br />

la multifunzionalità è la premessa necessaria<br />

per concepire nuove dimensioni della<br />

pianificazione degli spazi aperti, rigeneratori<br />

dell’insediamento umano degradato.<br />

• I Contratti di fiume costituiscono una particolare<br />

“famiglia” dei processi partecipativi<br />

in quanto consentono la sperimentazione di<br />

forme interscalari o multilivello di attivazione<br />

degli attori locali: dalle iniziative specifiche<br />

in tratti limitati di fiume, che consentono più<br />

facilmente la partecipazione diretta (di prossimità<br />

e su problemi specifici) delle popolazioni<br />

rivierasche, ad azioni di “valle” che<br />

relazionano e mettono in sinergia le azioni<br />

locali puntuali con gli scenari e i piani di<br />

sottobacino; questa interscalarità favorisce


da una parte il coodinamento istituzionale<br />

degli enti pubblici del sottobacino; dall’altra<br />

contribuisce a far crescere “coscienza di luogo”<br />

(di valle, di bacino, di regione idrografica)<br />

nelle popolazioni che è alla base della<br />

sottoscrizione dei “patti” del contratto.<br />

L’efficacia del processo: i Contratti di fiume<br />

come strumento della Pianificazione territoriale<br />

In questo quadro quale collocazione “istituzionale”<br />

possono assumere i contratti di fiume per<br />

avere efficacia?<br />

I Contratti di fiume non possono configurarsi<br />

né come un nuovo istituto di pianificazione che<br />

si affianca con forme di governo “speciale” agli<br />

istituti ordinari di pianificazione (come per le<br />

aree protette e i parchi); una scelta di questo<br />

tipo aggraverebbe la congestione istituzionale<br />

prodotta dalla già complessa e ridondante<br />

selva di istituti pianificatori sul territorio; né<br />

configurarsi soltanto come lo strumento attuativo<br />

di una politica specifica come il Piano di tutela<br />

delle acque (anche se contribuisce alla sua<br />

attuazione), dato il carattere eminentemente<br />

multisettoriale e integrato degli scenari dei<br />

Contratti stessi, che comportano una pluralità di<br />

azioni settoriali e puntuali.<br />

Piuttosto essi possono configurarsi come una<br />

forma specifica di programmazione (come nel caso<br />

lombardo) che interviene e alimenta varie fasi e<br />

aspetti dei processi di pianificazione territoriale<br />

ordinaria alle diverse scale, nel contesto di<br />

modelli di pianificazione strategica. Dunque<br />

uno strumento innovativo della pianificazione<br />

territoriale e del governo del territorio tout<br />

court.<br />

A definire questa collocazione contribuisce<br />

anche la modificazione del ruolo che va<br />

assumendo la pianificazione di bacino nel<br />

contesto della pianificazione territoriale.<br />

Se consideriamo in futuro (ma anche con<br />

riferimento alla piena applicazione della<br />

183/1989 artt. 1 e 3) il piano di bacino come<br />

piano che definisce le precondizioni ambientali<br />

dell’insediamento antropico sull’intero<br />

territorio 15 , tale piano dovrebbe superare il<br />

carattere di piano territoriale di settore (art<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

17) e assumere il ruolo cogente di invariante<br />

strutturale rispetto ai piani territoriali di governo<br />

del territorio ai vari livelli; una invariante che<br />

definisce in quanto tale le regole atte a garantire<br />

l’autoriproducibilità quali-quantitativa delle<br />

risorse idriche, l’equilibrio idrogeologico<br />

del bacino, il funzionamento e la continuità<br />

delle reti ecologiche; regole che investono e<br />

condizionano tutti i settori e piani interagenti<br />

con le trasformazioni dell’insediamento.<br />

Analoga funzione di invariante strutturale assumerà<br />

il piano paesaggistico ai sensi del Codice<br />

dei beni culturali e del paesaggio che, in quanto<br />

atto di copianificazione fra Ministero e Regioni,<br />

configura le prescrizioni del piano stesso come<br />

sovraordinate alle azioni e ai piani di settore e<br />

territoriali (art.145 comma 3) , intervenendo su<br />

tutto il territorio sia con politiche di conservazione<br />

sia di riqualificazione e ricostruzione di<br />

paesaggi degradati (che riguardano massicciamente<br />

i paesaggi fluviali sia nei fondovalle, sia<br />

nelle aree urbanizzate di pianura 1 ).<br />

Piano di bacino idrografico e di sottobacini, rete<br />

ecologica regionale e piano paesaggistico, pur<br />

nell’ipotesi di garantire un sistema federalistico e<br />

sussidiale fra stato, regioni e enti locali, possono<br />

cosi costituire il quadro coerente e interconnesso<br />

di invarianti strutturali che configurano la<br />

parte statutaria 2 della pianificazione relativa<br />

all’ambiente e al paesaggio, che si distingue e<br />

precede la parte strategica delle trasformazioni<br />

territoriali 3 .<br />

In questo contesto il Contratto di fiume, inserito<br />

nei processi ordinari di pianificazione, può<br />

assumere le seguenti funzioni:<br />

• contribuire ad individuare e rappresentare,<br />

nell’ambito più generale della costruzione<br />

dei quadri conoscitivi dei piani territoriali,<br />

i beni patrimoniali, ambientali, territoriali e<br />

paesaggistici connessi al fiume e al bacino<br />

idrografico attraverso processi di riconoscimento<br />

socialmente condiviso dei valori<br />

identitari, facendo interagire saperi esperti<br />

con saperi contestuali, implementando un<br />

capitolo rilevante del quadro conoscitivo<br />

patrimoniale dei piani territoriali (PTR, PPR<br />

e PTCP);<br />

• contribuire alla determinazione, socialmente<br />

condivisa, delle regole statutarie di<br />

95


all’insegna della sostenibilità<br />

96<br />

salvaguardia e valorizzazione dei beni<br />

patrimoniali; regole e condizioni delle<br />

trasformazioni antropiche da inserire nella<br />

parte strutturale dei piani territoriali e negli<br />

strumenti valutativi dei piani e azioni di<br />

settore;<br />

• individuare scenari strategici di valorizzazione<br />

dei sistemi fluviali e del bacino, progetti<br />

puntuali, azioni e criteri valutativi delle<br />

politiche ordinarie di settore e dei piani<br />

territoriali, come contributo rilevante alla<br />

definizione di modelli peculiari di sviluppo<br />

locale che fanno del sistema fluviale un elemento<br />

della produzione di “valore aggiunto<br />

territoriale”;<br />

Il riconoscimento istituzionale di queste<br />

funzioni nell’ambito degli istituti ordinari di<br />

governo del territorio e in particolare nei piani<br />

territoriali regionali, nei PTCP e nei piani<br />

comunali dovrebbe restituire efficacia esterna<br />

(implementazione dei processi) ai Contratti di<br />

fiume (e/odi bacino), pur mantenendo, anzi<br />

rafforzando, la loro formazione volontaria<br />

che garantisce l’effettiva partecipazione degli<br />

attori sociali locali; i loro elementi statutari e i<br />

loro scenari vanno in questo modo a costituire<br />

elementi di valutazione delle politiche di settore<br />

e dei piani territoriali: attraverso strumenti<br />

autoritativi (valore cogente delle invarianti<br />

strutturali), premiali e contrattuali (trattamento<br />

“pattizio” delle politiche, incentivazione<br />

finanziaria, tecnica, ecc delle politiche e dei<br />

piani a livello locale coerenti con gli statuti e<br />

con gli scenari avanzati dai Contratti).<br />

In questa visione il Contratto di fiume è “senza<br />

portafoglio”: tuttavia i deficit di efficacia interna<br />

sollevati dal “Manifesto di Parma” (Borasio<br />

e Dadone 2008), riguardanti le modalità di<br />

gestione dei processi, richiedono finanziamenti<br />

diretti e supporti tecnico scientifici per attivare<br />

le strutture che consentono il funzionamento<br />

del processo (segreterie tecniche, strutture tecnico<br />

scientifiche per l’elaborazione degli statuti<br />

e degli scenari progettuali, agenzie di sviluppo<br />

locale e di facilitazione per la conduzione dei<br />

processi partecipativi strutturati e per la gestione<br />

continuativa delle azioni dei contratti,<br />

ecc). La risoluzione dei deficit di efficacia interna<br />

è la precondizione per affrontare, con il<br />

ruolo delineato di riconoscimento istituzionale<br />

dei Contratti, i problemi di effìcacia esterna di<br />

implementazione dei processi (richiamati analiticamente<br />

nello stesso “manifesto di Parma”),<br />

attivando negli istituti di pianificazione le strutture<br />

decisionali atte ad indirizzare le voci di<br />

spesa ordinarie dei diversi settori che agiscono<br />

sul bacino fluviale (agricoltura, energia, idraulica,<br />

ecologia, urbanistica, paesaggio, ecc) verso<br />

la realizzazione degli scenari strategici progettati<br />

dal Contratto.<br />

Queste strutture decisionali debbono innanzitutto<br />

riguardare la modificazione degli assetti<br />

decisionali della struttura amministrativa regionale<br />

e provinciale, attraverso l’organizzazione<br />

di comitati intersettoriali stabili e strutturati,<br />

necessari alla costruzione di piani di sottobacino<br />

necessariamente integrati; in secondo luogo<br />

è necessario un processo di formazione del<br />

personale e di riqualificazione delle strutture<br />

tecnico-amministrative per gestire processi di<br />

pianificazione complessi che vanno dall’implementazione<br />

delle risultanze di processi partecipativi,<br />

all’organizzazione e monitoraggio permanente<br />

(valutazione integrata) delle sinergie<br />

delle politiche di settore.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

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contributi per un atlante di pratiche partecipative in Italia,<br />

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Angeli, Milano.<br />

Regione Emilia Romagna (2007), Progetti di paesaggio:<br />

idee ed esperienze nella programmazione regionale, Aspasia,<br />

Bologna.<br />

1 Questo testo riprende in parte gli argomenti trattati nella mie relazioni al convegno nazionale di Torino (“Il Po: la sicurezza<br />

idraulica del territorio”, 8 ottobre 2007); al IV Congresso nazionale del Po ( Il Po: una risorsa per l’Italia, Piacenza 23-24 novembre<br />

2007) e nel “Seminario sui processi partecipati per la riqualificazione paesistico-ambientale dei sottobacini del Po”, Autorità di<br />

Bacino del Po, Parma, 31 gennaio 2008.<br />

2 La Regione Lombardia sulla base degli studi e sperimentazioni precedentemente sviluppate sull’area dell’intera regione<br />

milanese Lambro-Seveso-Olona, a suo tempo inclusa nelle “Aree ad alto rischio di crisi ambientale” dal Ministero dell’Ambiente<br />

(1988) avvia nel 2003 un percorso sperimentale per la formazione del Contratto di fiume sul bacino dell’Olona inquadrando<br />

il Contratto in uno strumento di programmazione negoziata denominato “Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale” AQST<br />

(2002), e insediando presso l’Arpa Lombardia un gruppo di lavoro multidisciplinare per il Progetto OLOS-Olona sostenibile<br />

(Attività di supporto ai processi negoziali “Verso i Contratti di fiume” Bacino Lambro-Olona), per l’elaborazione del quadro<br />

conoscitivo, del manifesto, dello scenario progettuale e delle attività di supporto alla realizzazione del contratto, coordinato<br />

da A. Magnaghi e composto da: M. Borasio, L. Bisogni, A. Calori, V. Dotti, F. Simonetti S. Malcevschi, A. Marson, M, Prusicki,<br />

F. Zucchi<br />

3 le esperienze italiane, in rapida evoluzione pur non avendo ancora la consistenza temporale e territoriale di quelle francesi<br />

(circa 200 contratti diffusi su tutto il territorio nazionale) e belghe (diffuse in tutta la Vallonia) , in pochi anni si sono sviluppate,<br />

a partire dal primo contratto Olona-Lura-Bozzente, a diversi stadi di progettazione e realizzazione, in Lombardia (Seveso,<br />

Lambro, Adda, Mincio, Oglio, Mella ) in Piemonte (Sangone, Belbo, Agogna, Orba, Stura di Lanzo, Val Bormida (in progetto),<br />

in Liguria (città della Scrivia) in Toscana (Arno , in progetto nell’ambito del PIT),in Emilia Romagna ( Samoggia Larino (Reno),<br />

in Umbria Alto Tevere-Chiascio (Forum agenda 21), in Basilicata (Ofanto)<br />

97


all’insegna della sostenibilità<br />

4 La Rete del Nuovo Municipio (www.nuovomunicipio.org) ha organizzato diversi convegni di amministrazioni locali che<br />

praticano esperienze di democrazia partecipativa, segnando questa progressione dei temi dal quartiere al territorio. In<br />

particolare:<br />

• Piacenza, 18 Ottobre 2003: “Todo esto se puede!” - Assemblea nazionale degli Enti locali che sperimentano il Bilancio Partecipativo;<br />

Grottammare (AP), 9 Ottobre 2004: II Assemblea nazionale degli Enti locali impegnati sul Bilancio Partecipativo<br />

Bari, 5 Novembre 2005: Federalismo municipale solidale - La democrazia partecipata e il progetto locale - III Assemblea<br />

nazionaledegli Enti locali/territoriali che sperimentano pratiche partecipative;<br />

• Milano, 20-21 Ottobre 2006: Federalismo e Partecipazione - dal Municipio all’Europa - IV Assemblea nazionale degli Enti locali<br />

che sperimentano pratiche partecipative;<br />

• Roma, 23-25 Novembre 2007: Esperienze locali e Reti europee - Vivere, Curare, Governare, Smilitarizzare, Aprire il Territorio V<br />

Assemblea nazionale degli Enti locali che sperimentano pratiche partecipative.<br />

5 Regione Toscana “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”, LR n°<br />

69/2007<br />

6 Autorità di Bacino del Po, Seminario di Parma 31 gennaio 2008, cit.<br />

7 Autorità di Bacino del fiume Po, IV Congresso nazionale del Po, cit<br />

8 Fra le generazioni di piani che fin dalla metà degli anni ‘90 pongono la questione della necessità di passare da politiche di<br />

settore a politiche integrate in un approccio “territorialista” richiamo il Progetto Territoriale Operativo della Regione Piemonte<br />

(1994, “Progetto Po”) (Gambino 2007) e il progetto di riqualificazione ambientale del Bacino Labro-Seveso Olona della Regione<br />

Lombardia (Irer 1995)<br />

9 prendo a riferimento l’organizzazione del contratto di fiume dell’Olona; i contratti di fiume successivi lombardi e piemontesi<br />

hanno una struttura che tiene conto di questa prima esperienza italiana. Nello schema che propongo svolgo considerazione<br />

aggiuntive volte a superare i limiti di quella esperienza, prevalentemente di carattere di carattere top down, organizzata dalla<br />

Regione prevalentemente con attori istituzionali<br />

10 sugli scenari strategici disegnati, richiamo come esempio di importanza strategica quello relativo alla riqualificazione<br />

ambientale e paesistica della valle della Vettabbia “del flumen mediolanensis per eccellenza che, dopo essere stato per oltre<br />

un secolo il principale canale fognario a cielo aperto di Milano, riacquista nuovo valore e grandi potenzialità ecosistemiche<br />

e paesistiche come sistema articolato e complesso, ritrovando nella antica valle fluviale un fondamentale riferimento”<br />

(Prusicki 2006); i disegni di scenario di Marco Prusicki, in questo caso estremo di riconquista delle acque perdute al territorio,<br />

riconfigurano addirittura l’immagine della “valle” scomparsa dalle carte topografiche moderne, fungendo da “visione” per<br />

la riprogettazione paesaggistica del territorio e da guida per i diversi progetti di riqualificazione multisettoriale della valle<br />

stessa; sul ruolo degli scenari disegnati vedi anche Magnaghi (2007 b)<br />

11 Introdotte in Italia a partire dalle esperienze delle Parish maps scozzesi del Common ground , si stanno sviluppando in molte<br />

Regioni soprattutto a partire dalle esperienze identitaria degli ecomusei. Vedasi ad esempio: Maggi e Falletti 2000; Ires<br />

Piemonte 2006<br />

12 La coscienza di luogo si può in sintesi definire come la consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale<br />

degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione<br />

della vita individuale e collettiva, biologica e culturale. In questa presa di coscienza, il percorso da individuale a collettivo connota l’elemento<br />

caratterizzante la ricostruzione di elementi di comunità, in forme aperte, relazionali, solidali (Magnaghi 2007 b) .<br />

13 Molto più sviluppata ad esempio nei contratti belgi, dove sovente il Contratto è promosso da associazioni locali; i percorsi<br />

bottom up di riqualificazione fluviale possono partire dall’attività di associazioni culturali come nel caso della Maison de<br />

l’Homme sul Rodano a Lione, evolutasi da attività espositive e di ricerca sulla storia fluviale, fino a diventare parte promotrice<br />

con associazioni locali e ambientaliste della riqualificazione fluviale (Micoud 2005); o da associazioni miste privato pubblico<br />

come l’Associazione per l’Arno che associa i comuni rivieraschi con associazioni sportive, ricreative, culturali e che organizza<br />

dal 2004 eventi di mobilitazione lungo il fiume dalle sorgenti alla foce (Magnaghi 2007 a)<br />

14 Un “modello di valutazione polivalente” di questo tipo è quello proposto per il fiume Lambro (Irer 1998,) sviluppato da S.<br />

Malcevschi nel “Progetto Olos” per il Contratto di fiume dell’Olona (Arpa Lombardia 2003)<br />

15 Per una disamina del ruolo prospettico delle applicazioni future della 183/99 rimando alla Relazione a cura del Comitato<br />

scientifico (presidente prof. Roberto Passino) per il IV Congresso nazionale del Po (Piacenza 23 e 24 novembre 2007)<br />

16 la relazione fra il piano paesaggistico e il piano di bacino è testimoniato ad esempio dal Piano paesaggistico della Regione<br />

Lombardia (2008, aggiornamento del Piano del 2001) laddove assume la fascia C dei PAI come ambito di valorizzazione<br />

dei paesaggi fluviali di cui denota la “rilevanza paesaggistica”, attraverso la “valorizzazione dei processi di pianificazione<br />

integrata dei singoli sottobacini del PO”; ma anche ad esempio nei Progetti di paesaggio della Regione Emilia Romagna<br />

(2007), dove la valorizzazione e la promozione integrata degli ambienti fluviali, a partire dal Po, diviene una componente<br />

fondamentale della programmazione regionale.<br />

17 mutuo qui il linguaggio della legge per il governo del territorio della Regione Toscana (Lr 1/2005) che distingue con chiarezza<br />

una parte strutturale e statutaria del piano che definisce le invarianti strutturali come regole di trasformazione del territorio<br />

che garantiscono la conservazione e la valorizzazione delle risorse essenziali del territorio; e una parte strategica che riguarda<br />

i progetti di trasformazione che devono misurarsi con gli obiettivi della parte statutaria.<br />

18 Tale valore di relazione normativa fra Contratto di fiume e piani paesaggistici è stato ad esempio evidenziato nella progettazione<br />

del Contratto di bacino del fiume Mella, dove “si è proposto che i risultati di un processo di pianificazione strategica che<br />

vengono recepiti in un contratto di bacino fluviale costituiscano il riferimento per i progetti di paesaggio dei PTCP, i quali<br />

assumono in tal modo il valore e gli effetti dei piani di tutela…” (Dadone e Poggi 2007);<br />

98


Per un governo “federato” del bacino<br />

padano<br />

Novità in controtendenza?<br />

In poco più di un mese, attorno al bacino padano,<br />

registriamo due atti rilevanti: 1) il documento di<br />

analisi e di indirizzo, “Il Po: una risorsa per<br />

l’Italia” e lo Schema di programma operativo<br />

pluriennale, che connotano e concludono il IV<br />

“Congresso nazionale del Po” (Piacenza, 23/24<br />

novembre scorsi) 1 ; 2) la successiva delibera CIPE<br />

del 21 dicembre, che assume esplicitamente<br />

il “Progetto Valle del Fiume Po”, conseguente<br />

al Congresso, tra i “progetti strategici speciali”<br />

per il 2007/2013 con una dote di 180 milioni di<br />

euro, attribuita alla responsabilità dell’Autorità di<br />

bacino del Fiume Po e in capo al Fondo per le Aree<br />

Sottoutilizzate (FAS) per il Centro–Nord 2 , dentro il<br />

Quadro Strategico Nazionale (QSN).<br />

In parallelo, la legge finanziaria 2008 introduce<br />

un riferimento esplicito al Po, ”ai fini della<br />

riqualificazione e valorizzazione economica della<br />

regione fluviale del Fiume Po e della crescita del<br />

turismo”(art 2, n. 330), corredata da una posta<br />

simbolica (500 mila euro per ognuno degli anni 2008,<br />

2009, 2010). Oltre alla dotazione generale di spesa<br />

per tutti i bacini, di 265 milioni per ciascuno degli<br />

anni 2008 e 2009, autorizzate dalla legge 183/89<br />

(pianificazione di bacino) e 493/93 (piani stralcio),<br />

sia pure destinati a generici “piani strategici” e<br />

per di più adottati impropriamente dal Ministro<br />

dell’Ambiente e in parte altrettanto discutibilmente<br />

destinati a finanziare diversi fondi in capo allo stesso<br />

Ministero (art 2, nn. 322, 323, 325, 326).<br />

Complessivamente: un primo sbocco di alcuni<br />

anni di una vivace attività promozionale e<br />

partecipativa, promossa dalla Consulta delle<br />

Province rivierasche del Po con la Segreteria<br />

generale dell’Autorità di bacino, ma nel contesto<br />

di una lunga transizione politica e istituzionale,<br />

segnata dalla pasticciata vicenda dell’insieme<br />

della controriforma della normativa ambientale<br />

(D.Lgs. 152/2006, cd “decreto Matteoli”), seguita<br />

da una revisione lasciata a metà dalla chiusura<br />

anticipata della legislatura, ma non solo.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Giuseppe Gavioli<br />

Nel bacino padano, queste difficoltà aggravano<br />

la condizione di scollamento del governo<br />

unitario del fiume e alimentano la dissipazione<br />

di iniziative scoordinate che richiedono una risoluta<br />

inversione di marcia su diversi piani. Innanzitutto<br />

su quello istituzional: l’assunzione<br />

di responsabilità congiunta nella sede propria<br />

- l’Autorità di bacino - da parte delle Regioni<br />

che la costituiscono, assieme al Governo nazionale.<br />

L’attuale entropia istituzionale e culturale viene<br />

segnalata dallo stesso fiorire di sinonimi di<br />

identificazione di questi territori, dai significati<br />

e per ambiti diversi, ma impiegati indiscriminatamente<br />

come fossero intercambiabili, (Padania<br />

3 , Valle e Regione padana, Area padano/veneta;<br />

Nord e Nord/est, ecc), allusivi a realtà che<br />

si sovrappongono ma non si identificano: nella<br />

difficoltà crescente ad esprimere riferimenti comuni<br />

riconosciuti. Alcuni hanno avuto fortuna<br />

nel linguaggio politico corrente dei movimenti<br />

secessionisti della Lega e delle diverse espressioni<br />

di insofferenza delle “marche” del Nord e<br />

Nord/est, fino ad identificare una cd “questione<br />

settentrionale” 4 : paradossale rovesciamento<br />

ideologico della “questione meridionale”. Mentre<br />

continua ad incontrare minore fortuna la<br />

lettura critica degli aspetti involutivi di queste<br />

realtà, sinteticamente individuate come “profondo<br />

Nord”.<br />

In questo panorama oscillante, fatica ad avere<br />

spazio anche tra gli addetti ai lavori e nella<br />

cultura di larga parte delle stesse classi di<br />

governo di questi territori il riferimento alla<br />

realtà dell’ecosistema integrato delle acque e<br />

del suolo del bacino idrografico, del bacino<br />

padano, cui rapportare le politiche territoriali<br />

e urbanistiche di Regioni, Province, Comuni.<br />

Come prevede(va) l’introduzione nel nostro<br />

ordinamento la legge di riforma ambientale<br />

e istituzionale 183/89, riduttivamente definita<br />

“per il riassetto organizzativo e funzionale della<br />

99


all’insegna della sostenibilità<br />

difesa del suolo”, in realtà per la regolazione<br />

integrata di acqua e suolo, nella modalità della<br />

cooperazione tecnica e istituzionale tra le Regioni<br />

per i territori di pertinenza di ciascun bacino e col<br />

Governo nazionale nei bacini di maggior rilievo:<br />

le Autorità di bacino, dal 1990 al 2006; abrogate<br />

col D.Lgs. 152/2006, riesumate (“prorogate”,<br />

come scrive il D.Lgs. 282 dell’ottobre successivo,<br />

“sino alla data di entrata in vigore del decreto<br />

correttivo” dello stesso D,Lgs 152/2006).<br />

Come è noto, anche per il nostro Paese e in<br />

termini vincolanti da 8 anni, la Direttiva<br />

comunitaria sulle acque 2000/60 rilancia in<br />

termini di innovazione di sistema la “gestione”<br />

(il testo italiano della Direttiva va inteso nel senso<br />

allargato di governo interattivo di regolazione e<br />

gestione) della tutela delle acque e via via della<br />

difesa dalle acque, a partire dalle alluvioni:<br />

appunto, a scala di bacino, singolo o coordinato<br />

nella forma del Distretto; e per gruppi di Distretti<br />

per i problemi comuni alle acque costiere. Come<br />

prevede(va) la proposta di revisione del D.Lgs.<br />

152/2006 in materia ambientale (art 18, n.3),<br />

arrivata all’ordine del giorno del Consiglio<br />

dei Ministri con esasperante lentezza e senza<br />

l’impegno corrispondente alla importanza della<br />

posta in gioco da parte del Governo nazionale e<br />

delle Regioni. E ora saltata con la conclusione<br />

anticipata della legislatura.<br />

In questa fase dagli sviluppi incerti, segnata<br />

dalla fine di una stagione politica e culturale<br />

di almeno un quindicennio, sul versante delle<br />

politiche territoriali ed economiche, diventa<br />

un elemento indispensabile, discriminante, la<br />

riconduzione del progetto speciale strategico<br />

“Valle del Fiume Po” (un altro sinonimo,<br />

stavolta da riferire ai territori dell’asta centrale<br />

del bacino padano, oggetto dell’iniziativa della<br />

Consulta delle Province rivierasche del fiume<br />

assieme alla Segreteria dell’Autorità di bacino)<br />

alla responsabilità unificante dell’Autorità di<br />

bacino.<br />

Affollamento di soggetti e frantumazione delle<br />

decisioni<br />

Il IV° congresso di Piacenza segna un primo<br />

punto d’arrivo di sette tappe di avvicinamento 5<br />

di un viaggio lungo le città dei territori rivieraschi<br />

padani.<br />

100<br />

Attraverso questo percorso e nel confronto tra<br />

diversi progetti locali e tematiche ricorrenti, le<br />

Province rivierasche sono chiamate alla prova<br />

- non scontata - di far maturare l’obiettivo<br />

dichiarato di portarli all’unità di riferimento<br />

comune, il fiume Po 6 : a) oggetto centrale della<br />

pianificazione dell’Autorità di bacino del fiume,<br />

a partire dal Piano dell’Assetto Idrogeologico<br />

(PAI), approvato nel 2001, dopo due alluvioni<br />

(1994, 2000); b) misura di un programma che<br />

deve trovare, nella difesa comune della sicurezza<br />

delle popolazioni e del territorio della fascia<br />

fluviale e nella tutela e valorizzazione sostenibile<br />

dello straordinario patrimonio ambientale,<br />

culturale e storico del fiume, il suo elemento di<br />

identificazione e valore aggiunto.<br />

L’iniziativa, innestata sulla prima fase autonoma<br />

della attività della Consulta attorno alle tematiche<br />

del turismo, negli ultimi anni è venuta<br />

crescendo in collaborazione con la Segreteria<br />

dell’Autorità di bacino, in mezzo ad una abbondante<br />

ricchezza di organismi, tecnici e istituzionali,<br />

che non hanno ancora trovato le modalità<br />

condivise di un governo pienamente unitario,<br />

anche quando già esiste. E’ diventato allora<br />

urgente vedere esplicitamente le smagliature<br />

esistenti, tra i momenti tecnici e istituzionali,<br />

tra questi e i portatoti di interesse, tra i processi<br />

partecipativi e decisionali, tra il riconoscimento<br />

delle condizioni e dei vincoli necessari: nella<br />

formazione delle scelte, negli effetti specifici e di<br />

sistema, nelle retroazioni: di fronte ai fenomeni<br />

di scollamento settoriali, alla difficoltà a far prevalere<br />

la discriminante dei beni comuni rispetto<br />

agli interessi aggressivi, nell’intreccio contrastato<br />

con le culture consolidate del senso comune e<br />

i comportamenti quotidiani prevalenti.<br />

Quanto ai soggetti. Come è noto, gli organismi<br />

istituzionali, tecnici e aziendali costituiti o<br />

coordinati dalle Regioni che operano sul<br />

territorio, con riferimento al bacino idrografico<br />

(ma non tutti coincidenti con esso), sono tuttora<br />

numerosi. Oltre all’Autorità di bacino del fiume<br />

Po, con sede a Parma, abbiamo:<br />

1) l’Agenzia Interregionale per il fiume Po<br />

(AIPO, già Magistrato per il Po 7 ), sempre a<br />

Parma, anzi nello stesso palazzo dell’Autorità<br />

di bacino, con 12 sedi decentrate;<br />

2) il Sistema delle Agenzie Regionali per


l’Ambiente (ARPA) del bacino, ancora a<br />

Parma e nello stesso palazzo, con un’intensa<br />

e qualificata attività di monitoraggio e di<br />

proiezione di scenari di medio periodo, in<br />

collaborazione con la Segreteria dell’Autorità<br />

di bacino, col progetto Re.Mo. del Po: un<br />

programma di azioni specifiche per l’asta del<br />

fiume Po 8 ; come sui cambiamenti climatici,<br />

assieme al Ministero Ambiente;<br />

3) l’Azienda Regionale per la Navigazione<br />

Interna (ARNI), in capo alla sola Emilia-<br />

Romagna, sulla base dell’Intesa interregionale<br />

tra le stesse Regioni che costituiscono l’AIPO,<br />

con sede a Boretto (Reggio Emilia).<br />

Agli effetti di un reale governo unitario ed efficace,<br />

tutti questi organismi devono fare riferimento<br />

a criteri conoscitivi e di monitoraggio<br />

delle condizioni delle acque e del suolo - almeno<br />

coordinati e interattivi - a scala di bacino e<br />

comunque ricondotti ad una modalità di “comando”<br />

unitario, di pianificazione corrispondente:<br />

a seguito della legge di riforma 183/89,<br />

appunto l’Autorità di bacino, espressione diretta<br />

delle 6 Regioni padane e della Provincia autonoma<br />

di Trento col Governo centrale.<br />

All’Autorità di bacino e di norma tramite le Regioni,<br />

per l’attuazione degli atti di pianificazione<br />

fa riferimento il tessuto istituzionale dei 3023<br />

Comuni, delle 36 Province e Comunità montane padane,<br />

delle loro forme associate di governo, a partire<br />

dagli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO). Così<br />

come i numerosi enti e associazioni che gestiscono<br />

e/o utilizzano l’acqua e il suolo: dalle<br />

aziende e società di gestione dei servizi idrici,<br />

anche a scala regionale e interregionale, alle società<br />

di produzione dell’energia, ai Consorzi di<br />

bonifica e idraulici.<br />

La parabola della formazione di un governo<br />

unitario del bacino<br />

L’avanzamento di un governo unitario e<br />

integrato del bacino è il risultato di un percorso<br />

complesso, lungo nel tempo e non lineare.<br />

Anche l’avvento dell’Autorità di bacino - di<br />

quella del Po in particolare - specialmente nella<br />

sua prima fase, ha operato:<br />

• sull’accelerazione dei piani di intervento<br />

obbligati da due alluvioni (1994 e 2000), ma<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

anticipatori della logica e della formazione<br />

del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI),<br />

approvato nel 2001;<br />

• sulla realizzazione di una intensa attività<br />

conoscitiva, introducendo una forte innovazione<br />

dei paradigmi di lettura e della formazione<br />

dei piani, in una logica di crescente<br />

interdisciplinarietà, negli organismi tecnici<br />

di governo del bacino, in alcune esperienze<br />

di elaborazione analitica e di scenario con<br />

singoli ricercatori ed esperti; come nella collaborazione<br />

con alcuni settori universitari e<br />

altri centri di ricerca, di tecnici e professionisti<br />

che sono venuti costruendo sul campo<br />

vere e proprie équipes interdisciplinari (a<br />

fronte dell’esiguità numerica, ma qualificata,<br />

della dotazione interna dell’Autorità). Così<br />

da riutilizzare nel nuovo contesto progettuale<br />

le competenze già sperimentate nelle<br />

amministrazioni di provenienza, qualificando<br />

assieme una nuova generazione di tecnici<br />

attrezzati e colti.<br />

Più difficile verificare quanto sia cambiato<br />

il grado di innovazione e qualificazione<br />

interdisciplinare degli interfaccia tecnici<br />

cresciuti nelle amministrazioni locali. Appare<br />

più facile verificarlo nelle amministrazioni<br />

regionali, soprattutto nella modalità di lavoro<br />

intersettoriale per problemi, progetti, aree<br />

specifiche, collegati a riferimenti di ecosistema<br />

di bacino e sottobacino e nei gruppi di lavoro<br />

comuni in sede di Autorità di bacino. Dove<br />

la presenza e la partecipazione dei tecnici<br />

regionali sono parte costitutiva del Comitato<br />

tecnico dell’Autorità: nella impostazione dei<br />

progetti e nella definizione delle direttive, nella<br />

formazione dei piani e nella loro anticipazione<br />

per stralci.<br />

Infine, sul piano della ricerca e della formazione<br />

di una comune cultura diffusa, a partire dalla<br />

scuola, sono cresciuti numerosi centri locali di<br />

educazione ambientale. In particolare, dal 1995,<br />

il Centro di Documentazione, Informazione,<br />

Educazione ambientale e ricerca 9 sull’area<br />

Padana (CIDIEP), con sede a Colorno (Parma).<br />

Il Centro è finora costituito da tre delle Province<br />

rivierasche (Parma, Piacenza, Cremona), ha<br />

sottoscritto nel 2005 un accordo quadro con la<br />

Segreteria generale dell’Autorità di bacino, la<br />

Consulta delle Province rivierasche del fiume; e<br />

101


all’insegna della sostenibilità<br />

sta realizzando il Progetto “Partecipare il Po”,<br />

riconosciuto e cofinanziato (assieme allo stesso<br />

CIDIEP) dal Ministero della Pubblica Istruzione<br />

e in collaborazione con i suoi Uffici Scolastici<br />

Regionali (USR) di Lombardia, Piemonte,<br />

Emilia-Romagna e della Provincia di Rovigo 10 ;<br />

ed ora parte costitutiva del “Progetto Valle del<br />

Fiume Po”.<br />

Stanno anche prendendo piede molteplici manifestazioni<br />

di riscoperta, ricerca e valorizzazione<br />

sostenibile (dalla cultura al turismo ai cibi)<br />

di elementi identitari comuni: ultima in ordine<br />

di tempo, “Alla ricerca del grande fiume”, un<br />

viaggio di formazione lungo il corso del Po, intrapreso<br />

dagli studenti dell’Università di Scienze<br />

gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) e di Colorno<br />

(Parma), in occasione del cinquantenario della<br />

mitica trasmissione televisiva RAI “Viaggio nella<br />

valle del Po, alla ricerca di cibi genuini” di Mario<br />

Soldati.<br />

Ma tutta questa mole di soggetti e questa accumulazione<br />

di attività conoscitive e di formazione,<br />

di governo e associative sono direttamente<br />

condizionate dallo sviluppo o dall’affievolimento<br />

della cultura reale e delle scelte<br />

nazionali e delle Regioni di ciascun bacino: le<br />

une e le altre incalzate dalle indicazioni vincolanti<br />

dell’Unione europea, di cui siamo parte.<br />

Pure anticipate per alcuni aspetti dalla riforma<br />

ambientale e istituzionale n.183/89, negli ultimi<br />

anni le indicazioni comunitarie vengono piuttosto<br />

rincorse con scarsa partecipazione all’attività<br />

della loro elaborazione e verifica da parte<br />

dei rappresentanti del nostro Paese. Con pesanti<br />

inadempimenti a scala nazionale e non solo,<br />

ripetutamente sanzionati in sede comunitaria.<br />

Persiste una consapevolezza inadeguata delle<br />

innovazioni di sistema, davvero “strategiche”<br />

introdotte col governo cooperativo dei bacini,<br />

invece che per separazione di ‘confini’ amministrativi,<br />

sia pure delle Regioni.<br />

L’indebolimento dell’idea della centralità del<br />

Po e del sistema padano, sta rischiando di far<br />

disperdere la stessa capacità di individuare i<br />

punti di appoggio del lungo faticoso percorso<br />

della formazione condivisa dello stesso progetto<br />

unitario di governo del fiume. E dunque<br />

del ricchissimo capitale unitario del reticolo<br />

– naturale e costruito - delle sue acque; della accumulazione<br />

millenaria delle opere e dei giorni<br />

102<br />

che hanno reso straordinario il patrimonio di<br />

questa grande “macroregione europea”, nella lunghissima<br />

continuità della “coscienza del fatto” individuata<br />

da Carlo Cattaneo, come cifra distintiva<br />

della Lombardia, ma estensibile ai territori<br />

di tutto l’ecosistema; e che oggi costituiscono un<br />

ancoraggio fondamentale nella formazione di<br />

ogni progetto proiettato a costruire un futuro<br />

comune, con la responsabilità di ricondurvi il risanamento<br />

delle alterazioni operate soprattutto<br />

nell’ultimo cinquantennio 11 .<br />

Eppure nell’arco di quasi un quarantennio<br />

sono venuti crescendo movimenti e attestazioni<br />

positive di rilievo. Qui basta ricordare tre<br />

passaggi:<br />

• nella fase di formazione delle Regioni e<br />

nel clima di ottimismo di quegli anni, per<br />

impulso dell’Associazione “Amici del Po” il<br />

2° Congresso nazionale del Po, a Mantova<br />

del ’71, aperto da una bella prolusione di<br />

Cesare Zavattini “come uomo della strada”,<br />

vede un confronto appassionato tra i nuovi<br />

amministratori delle Regioni padane, studiosi,<br />

tecnici di valore, portatori di interessi, sulle<br />

condizioni e sulle idee da realizzare per<br />

la difesa delle caratteristiche naturali del<br />

fiume, innanzitutto per la sicurezza (per<br />

tutte, la colta e avanzata relazione di Mario<br />

Rossetti, Presidente del Magistrato per il Po<br />

sulla idraulica padana 12 ), sulle indicazioni di<br />

programma e di collaborazione;<br />

• la prima iniziativa congiunta delle Regioni<br />

padane, che pongono la questione del Po<br />

all’attenzione del Parlamento europeo<br />

(Strasburgo, 17-18 maggio 1988) 13 ;<br />

• la successiva Conferenza interregionale<br />

del bacino del Po in stretta connessione<br />

con l’Adriatico, che lancia il piano di risanamento<br />

delle acque dell’intero bacino (Ferrara,<br />

9 febbraio 1989), a fronte dei processi<br />

di eutrofizzazione, poi del fenomeno delle<br />

mucillagini e a seguito della lunga azione di<br />

contrasto degli anni precedenti, per impulso<br />

della Regione Emilia-Romagna 14 : probabilmente<br />

la spinta finale all’approvazione della<br />

legge quadro di riforma del 18 maggio n.<br />

183/89, modellata in prevalenza sul Po, per<br />

l’attenzione prevalente di quegli anni attorno<br />

ai problemi delle acque del bacino pada-


no 15 e dell’Adriatico (e assai meno a quelli di<br />

dimensioni minori e con problemi specifici<br />

differenziati del Centro/sud).<br />

Pianificazione di bacino e Piani territoriali<br />

locali<br />

In questa ultima fase, sul piano della elaborazione,<br />

il documento di indirizzo del Comitato scientifico<br />

della Consulta, Il Po: una risorsa per l’Italia, che<br />

accompagna la preparazione, aggiorna le analisi<br />

e fissa gli indirizzi del Congresso di Piacenza del<br />

23/24 novembre scorso, rappresenta un importante<br />

contributo alla formulazione dei possibili<br />

scenari evolutivi del bacino padano, dei sistemi<br />

di governo e di regolazione dei conflitti, del consolidamento<br />

istituzionale e del coordinamento<br />

delle politiche, dell’azione informativa e dei processi<br />

partecipativi, sullo stato dell’arte (“cosa ha<br />

funzionato e cosa non ha funzionato”): per l’indirizzo<br />

delle politiche e delle opzioni strategiche<br />

nel bacino padano e dunque dell’asta centrale<br />

del fiume 16 . Il documento aggiorna e sviluppa<br />

l’importante studio sul piano “strategico”, predisposto<br />

dall’Autorità di bacino con un gruppo<br />

di esperti, a conclusione del primo decennio di<br />

attività della stessa Autorità (2000) 17 , intrecciato<br />

con il ricchissimo lavoro conoscitivo di analisi e<br />

pianificazione.<br />

Terreno immediato di verifica, il Piano di<br />

Assetto Idrogeologico (PAI): formalmente in<br />

vigore dal 2001, unificato dalla individuazione,<br />

tutela e recupero delle fasce fluviali, innanzitutto<br />

del fiume Po – e dunque dei territori rivieraschi<br />

oggetto della attività della Consulta delle Province<br />

del Po): formalmente, direttamente vincolante<br />

per la pianificazione regionale e locale.<br />

Proviamo solo a pensare cosa possono<br />

significare e quali effetti alimentare – intanto<br />

per questi territori e a scala di bacino - una<br />

lettura e un governo realmente coordinati dei<br />

territori dell’asta fluviale del Po. Innanzitutto<br />

attraverso la verifica e la formazione comune,<br />

in sede coordinata di Autorità di bacino, di<br />

un progetto unitario di tutela della sicurezza<br />

idraulica e delle popolazioni, di coordinamento<br />

e valorizzazione dei beni culturali e ambientali,<br />

dei processi decisionali, dei conflitti con elementi<br />

di ripresa in diversi territori rivieraschi del Po.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Sulla base della conformità dei Piani Territoriali<br />

di Coordinamento Provinciale (PTCP) delle<br />

Province rivierasche del fiume con il PAI e della<br />

loro interazione si può realizzare: un vero e<br />

proprio piano stralcio integrato “strategico”,<br />

fornito della dote specifica della delibera<br />

CIPE del 21 dicembre scorso e in capo alla<br />

responsabilità dell’Autorità di bacino, con<br />

il supporto e la cooperazione dell’AIPO; e<br />

con la unificazione dei diversi strumenti di<br />

monitoraggio e controllo delle attività estrattive<br />

operanti sul corso del fiume, tuttora scoordinati<br />

tra loro, inefficaci e da verificare congiuntamente.<br />

Sarebbe allora possibile, assieme la tutela<br />

ambientale e alla sicurezza delle popolazioni,<br />

assicurare a questi territori almeno una parte<br />

delle entrate ricavabili da una attività estrattiva<br />

legale e sostenibile. Con la capacità di affrontare<br />

in termini corretti e integrati le possibilità e i<br />

limiti della navigabilità interna dell’asta centrale del<br />

Po e del Fissaro-Tartaro-Canal Bianco, che anche il<br />

Comitato di consultazione dell’attività di piano<br />

ha chiesto di unificare al bacino padano e domani<br />

alla sua forma di governo del Distretto.<br />

Si tratta di una opzione impegnativa ma realistica,<br />

che:<br />

• ridarebbe fisionomia unitaria e qualificazione<br />

riconoscibile della vivibilità e della<br />

valorizzazione di queste terre e del fiume,<br />

alimentata da una riappropriazione conoscitiva<br />

diffusa e partecipata, a partire dalle<br />

scuole (come il progetto in corso, già richiamato<br />

“Partecipare il Po” 18 ):<br />

• rafforzerebbe la capacità di interlocuzione<br />

reale dell’insieme del tessuto interregionale<br />

delle amministrazioni locali rivierasche<br />

verso ciascuna Regione e assicurerebbe una<br />

incidenza effettiva unificante ai PTCP nei<br />

propri territori di riferimento;<br />

• alimenterebbe un effetto di irradiazione e di<br />

moltiplicazione di intese analoghe per piani<br />

stralcio capaci di aggregare PTCP di più<br />

Province, innanzitutto nei territori delle fasce<br />

fluviali degli affluenti, anche interregionali<br />

(come per il Ticino, oltre naturalmente al<br />

Delta del fiume), dove possono svolgere un<br />

ruolo rilevante, anche di traino, i numerosi<br />

parchi fluviali già esistenti in tutte le Regioni<br />

del bacino.<br />

103


all’insegna della sostenibilità<br />

E’ ancorandosi a questi obiettivi di lunga<br />

durata, avviati dall’iniziativa coordinata delle<br />

amministrazioni locali, che diventa possibile<br />

rafforzare la capacità ordinaria di previsione<br />

e di far fronte in termini più efficaci alla<br />

intensificazione dei fenomeni ricorrenti di<br />

crisi: dalle alluvioni (1994 e 2000) alla scarsità<br />

di acqua (estati 2003 e 2006; “attesa” e poi non<br />

avvenuta, l’estate scorsa) di un bacino che da<br />

tempo immemorabile ne era ricchissimo.<br />

Come è noto, per fronteggiare crisi idrica del<br />

2003 è stata sperimentata la “cabina di regìa”, che<br />

ha visto il ruolo centrale del Dipartimento della<br />

Protezione civile, ripresa successivamente e<br />

sempre più intrecciata con l’Autorità di bacino e<br />

coordinata dal suo Segretario generale, fino alla<br />

sua formalizzazione nel 2007 19 .<br />

Adesso, l’accelerazione dei cambiamenti climatici,<br />

che sta producendo mutazioni di sistema a<br />

scala planetaria, impone una capacità di lettura<br />

e di azioni integrate anche a scala di ecosistema<br />

di bacino, come è avvenuto rispettivamente<br />

l’estate scorsa da parte del Sistema delle Agenzie<br />

regionali per l’Ambiente del bacino 20 ; e già nel febbraio<br />

precedente nell’accordo specifico tra le Regioni<br />

padane. Sia pure in parallelo alle modalità di<br />

governo unitario dell’Autorità di bacino.<br />

Cooperazione interistituzionale e partecipazione<br />

pubblica<br />

Se guardiamo allo stato di avanzamento del<br />

governo unitario e partecipato dei territori del<br />

bacino padano vanno intanto attuate modalità<br />

di cooperazione e – finora in misura minore -<br />

partecipative già presenti nella legislazione italiana.<br />

Infatti, nella cooperazione interistituzionale, le<br />

norme ci sono:<br />

• le Conferenze di programma, promosse da<br />

ciascuna Regione per i territori di propria<br />

competenza, di norma a scala provinciale,<br />

prima dell’approvazione dei piani, come si<br />

è cominciato a fare nella fase finale dell’iter<br />

di formazione del PAI del bacino padano), in<br />

attuazione della L. 365/2000;<br />

• le Intese dell’Autorità di bacino con le<br />

Province, di norma sulla base delle modalità<br />

104<br />

disciplinate da ciascuna Regione del Po e<br />

in termini interattivi con la pianificazione<br />

di bacino, sui Piani territoriali di<br />

coordinamento provinciale (PTCP), che<br />

così assumono “il valore e gli effetti dei<br />

piani di tutela nei settori della protezione<br />

della natura, della tutela dell’ambiente, delle<br />

acque e della difesa del suolo e della tutela<br />

delle bellezze naturali” (art 57 D.Lgs. 112/98:<br />

cd Bassanini);<br />

• intese tra pianificazione di bacino e piani e<br />

programmi dei parchi e delle aree protette 21 ;<br />

4) forme di cooperazione con le esperienze<br />

e i progetti di tutela e valorizzazione delle<br />

aree fluviali dei maggiori fiumi dell’Unione<br />

europea.<br />

Come si vede, alcune norme già esistono. Tuttavia<br />

è sul piano della partecipazione pubblica,<br />

centrale nella Direttiva comunitaria 2000/60<br />

(art 14: informazione e consultazione pubblica)<br />

e negli sviluppi successivi, che noi possiamo<br />

avere la spinta maggiore alla governabilità riconosciuta<br />

dei bacini idrografici nei prossimi<br />

Distretti.<br />

Infatti, emergono già da tempo con chiarezza<br />

l’insufficienza e soprattutto l’inefficacia di<br />

processi di pianificazione propri della logica<br />

del comando e controllo, dall’alto e dall’esterno,<br />

ancora fortemente presente nella cultura della<br />

183/89. Anche le norme di modifica della 183/89<br />

sulla cooperazione interistituzionale andavano<br />

in questa direzione.<br />

Si tratta allora di promuovere senza riserve sia<br />

i diritti di accesso reale alle informazioni da<br />

parte dei cittadini, utenti e no, sia le modalità<br />

della partecipazione dei portatori di interessi<br />

nella formazione e controllo delle decisioni,<br />

come nella regolazione dei conflitti.<br />

Nel bacino padano, abbiamo probabilmente le<br />

esperienze più ricche di modalità di consultazione<br />

e di partecipazione pubblica in atto in Italia:<br />

dal Comitato di consultazione per l’attività di<br />

piano alla Consulta delle Province rivierasche,<br />

dall’associazione dei Comuni di Riva di Po ai<br />

Contratti di fiume. E finora in netta prevalenza<br />

nella fascia dei territori rivieraschi dell’asta del<br />

Po:<br />

• il Comitato di consultazione per l’attività


di piano: è l’esperienza più lunga di<br />

partecipazione, promossa dalla stessa<br />

Autorità di bacino nel ’94 e in funzione<br />

da 13 anni. Il Comitato, formato dalle<br />

rappresentanze dei principali portatori di<br />

interessi economici, sociali, delle associazioni<br />

ambientaliste, degli enti locali, dei Consorzi<br />

di bonifica, dell’ENEL, esprime il proprio<br />

parere – non vincolante - sulle principali<br />

scelte dell’Autorità di bacino, prima che<br />

vengano assunte. Purtroppo si tratta della<br />

sola esperienza esistente in Italia a scala<br />

di bacino. Appare significativo che tra le<br />

proposte di revisione del D.Lgs. 152/2006<br />

(non approvata), venisse richiamata la<br />

forma dei Comitati di consultazione. Per il<br />

Comitato, si tratta in ogni caso di passare alla<br />

sua istituzionalizzazione e alla definizione<br />

di una modalità formalizzata della sua<br />

partecipazione alla formazione delle scelte<br />

di governo del bacino/Distretto e di suoi<br />

stralci 22 . Alcune indicazioni vengono anche<br />

dal recente documento del Comitato 23 ;<br />

• l’associazione dei Comuni RIVA di PO: una<br />

esperienza pilota, promossa dalla Segreteria<br />

dell’Autorità di bacino con l’associazione di<br />

90 Comuni, quasi tutti rivieraschi, costituita<br />

a seguito delle alluvioni 1994 e 2000, ’Acqua,<br />

benessere, sicurezza’; e la collaborazione<br />

dell’Università del Piemonte Orientale di<br />

Alessandria e della Cattolica di Piacenza.<br />

L’associazione opera su tre filoni di progetto:<br />

per la riduzione del rischio, sostenibilità e<br />

conservazione integrata delle fasce fluviali<br />

(SAFE); per le attività di manutenzione e<br />

monitoraggio dei corsi d’acqua, individuate<br />

dal PAI; per lo sviluppo locale, attraverso la<br />

realizzazione di un’esperienza pilota sulle<br />

potenzialità del territorio;<br />

• i “contratti di fiume”: strumenti di<br />

programmazione negoziata collegati a<br />

processi di riqualificazione dei bacini<br />

fluviali, comprensiva degli aspetti paesisticoambientali,<br />

attraverso una metodologia e<br />

un percorso di co-pianificazione, condivisi<br />

con tutti gli attori interessati. Si tratta di<br />

processi che tendono passare dalle azioni di<br />

tutela dell’ambiente a più ampie politiche di<br />

“gestione delle risorse paesistico-ambientali”.<br />

In particolare le Regioni Lombardia e<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Piemonte individuano “i contratti di fiume”<br />

come strumenti di attuazione dei Piani di<br />

tutela regionali, di norma per sottobacini<br />

fluviali; e si fa strada lo sviluppo di sinergie<br />

tra “contratti di fiume” e pianificazione<br />

territoriale provinciale (es. contratto di<br />

bacino del fiume Mella, in Lombardia) 24 ;<br />

• la Consulta delle Province rivierasche del<br />

Po: l’Associazione ha preso avvio nel 1991,<br />

inizialmente sulla promozione turistica; negli<br />

ultimi anni è venuta rimodulando obiettivi<br />

strategici e programmi. Come le esperienze<br />

di diverse decine di Comuni rivieraschi,<br />

il suo rilancio e aggiornamento degli ultimi<br />

anni hanno proceduto attraverso una collaborazione<br />

stretta con la Segreteria dell’Autorità<br />

e una crescente attività di connessione tra<br />

le diverse realtà delle singole Province rivierasche<br />

(cui si è aggiunta quella di Modena,<br />

come invitata permanente), fino all’approssimazione<br />

di una proposta integrata, come<br />

il “Progetto Valle del Fiume Po”, assunto in<br />

sede nazionale dal CIPE e inserito tra i programmi<br />

del Quadro Strategico Nazionale<br />

2007/2013 e cofinnziato in sede comunitaria<br />

e nazionale.<br />

Condizioni/obiettivo di affidabilità nel governo<br />

del Po<br />

In questa fase di crisi della rappresentanza e<br />

di sfiducia nelle istituzioni, la sola partecipazione<br />

che può muovere e impegnare cittadini<br />

e portatori di interessi economici e sociali è<br />

quella che concorre alla formazione di decisioni<br />

e al controllo della loro attuazione, sulla<br />

base di garanzie riconosciute e amministrazioni<br />

affidabili: per ridurre e governare i conflitti,<br />

assumere decisioni efficaci, con il concorso finanziario<br />

dei beneficiari/utenti delle concessioni<br />

e dell’utilizzo delle risorse pubbliche (canoni,<br />

contributi, tariffe); e a fronte dei crescenti rischi<br />

ambientali (alluvioni, siccità, inquinamenti, ecc)<br />

nelle forme delle assicurazioni, già diffuse in diversi<br />

Paesi: una interpretazione allargata rispetto<br />

al principio: “chi inquina paga”.<br />

La modalità della ‘gestione’ del bacino, nella<br />

forma della cooperazione tecnica e istituzionale<br />

dell’Autorità di bacino/Distretto, già si fonda<br />

su una distinzione tra momento tecnico-<br />

105


all’insegna della sostenibilità<br />

conoscitivo istruttorio e politico-decisionale e<br />

sulla loro interazione esplicita e trasparente, da<br />

realizzare attraverso la partecipazione pubblica<br />

dei portatori degli interessi, garantiti da:<br />

• conoscenza delle condizioni e dei vincoli della<br />

riproducibilità di beni pubblici e comuni come<br />

l’acqua e della sostenibilità dei carichi sul<br />

territorio;<br />

• percorsi trasparenti e condivisi per regolare i conflitti<br />

e la formazione di scelte non precostituite;<br />

• meccanismi tecnico-scientifici autonomi di<br />

monitoraggio e controllo.<br />

Senza un impegno di questa portata, si<br />

alimentano aspettative che cadono rapidamente<br />

assieme ai processi partecipativi. Come credo<br />

avvenga col solo criterio della negoziazione,<br />

senza riconoscimento – sia pure faticoso - delle<br />

condizioni e dei vincoli comuni, come sembra<br />

invece propendere anche una indagine recente<br />

su alcuni progetti e sperimentazioni, proprio nel<br />

bacino padano, ruotanti attorno alle “politiche<br />

contrattualizzate” 25 .<br />

Vanno esplicitamente in questa direzione gli<br />

indirizzi e la normativa dell’Unione europea di<br />

cui siamo parte: in particolare la Direttiva quadro<br />

2000/60 in materia di acque e i suoi sviluppi<br />

successivi, a partire da quella di contrasto<br />

delle alluvioni, finora largamente inattuate dal<br />

nostro Paese, come nella scarsa partecipazione<br />

alla attività di implementazione e verifica in<br />

sede comunitaria. Con la conseguenza di ripetuti<br />

richiami e sanzioni. Nonostante la crescita di<br />

un’attenzione di analisi e proposte di istituti di<br />

ricerca e di associazioni: oltre all’impegno permanente<br />

del WWF, particolarmente attiva l’iniziativa<br />

della associazione onlus Gruppo 183 26 ,<br />

assieme allo IEFE Bocconi 27 , sulla vicenda della<br />

formazione, revisione (purtroppo solo parziale)<br />

del D.Lgs. 152/2006 in materia ambientale<br />

(cd codice Matteoli) fino alla promozione della<br />

riflessione pubblica di analisi e proposta sulla<br />

applicazione della Direttiva e sulla modifica<br />

del D.Lgs. 152/2006 28 , con la partecipazione del<br />

mondo scientifico, delle rappresentanze del Parlamento<br />

e del Governo, delle Regioni e dei portatori<br />

d’interesse 29 .<br />

La sottovalutazione della necessità di rivedere<br />

il Decreto Matteoli da parte del Governo di<br />

106<br />

Centro/sinistra e delle Regioni lo ha modificato<br />

solo in parte, lasciando invariato l’impianto<br />

istituzionale e di ‘gestione’ dei Distretti; la<br />

caduta del Governo e la fine anticipata della<br />

legislatura hanno poi moltiplicato la confusione<br />

e la stessa credibilità della pianificazione e del<br />

governo integrato per ecosistemi.<br />

Dei rischi di scollamento dei piani<br />

In questo contesto pasticciato, le novità promosse<br />

dall’impegno congiunto delle amministrazioni<br />

rivierasche del Po, dalle condizioni comuni e<br />

dagli interessi convergenti, con la Segreteria dell’Autorità<br />

di bacino e le stesse attestazioni parziali<br />

raggiunte, se non vengono ricondotte alla<br />

logica e alla compatibilità della pianificazione<br />

esistente (il PAI, innanzitutto, naturalmente<br />

da verificare nell’interazione permanente con<br />

la pianificazione regionale e locale) e alla responsabilità<br />

comune dei suoi contitolari (le<br />

Regioni nella sede comune dell’Autorità di<br />

bacino), sono esposte al rischio paradossale di<br />

venire vanificate dagli stessi soggetti quando<br />

si muovono in ordine sparso: nelle modalità<br />

della contrattazione diretta e parallela di ciascuna<br />

Regione (o perfino Comune) con ciascun<br />

Ministero (o con lo stesso Ministro), con scarsa<br />

trasparenza, assenza di processi partecipativi,<br />

retroazioni distorte di sistema, magari in nome<br />

di una prassi diffusa e altrimenti legittima (gli<br />

Accordi Programma Quadro: APQ).<br />

Quanto all’assetto idrogeologico. Stiamo<br />

parlando dei rischi concreti che sta correndo<br />

l’importante delibera CIPE del 21 dicembre<br />

scorso col relativo stanziamento di 180 milioni<br />

di euro per il “Progetto Valle del Fiume Po” (il<br />

linguaggio impreciso risente della modalità in<br />

cui è venuto prendendo corpo il progetto): a<br />

fronte delle pressioni convergenti a svuotare<br />

l’indispensabile riconduzione alla ‘gestione’<br />

dell’ unità di comando ‘federato’ dell’Autorità<br />

di bacino. Pure richiamata espressamente<br />

nella delibera: e non per sottrarre competenze<br />

decisionali - la titolarità della programmazione<br />

regionale in materia di difesa del suolo - ma<br />

all’opposto per rafforzare l’efficacia di sistema<br />

del governo cooperativo delle Regioni padane.<br />

E’ appena il caso di richiamare che gli interventi<br />

sui versanti a monte del corso del fiume hanno


effetti diretti sulla sicurezza del corso d’acqua<br />

e delle popolazioni a valle; e che l’analisi e<br />

gli indirizzi definiti congiuntamente in sede<br />

propria, l’Autorità di bacino (con il supporto<br />

dell’AIPO), rafforzano la correttezza e l’efficacia,<br />

il potere e la responsabilità di ciascuna Regione<br />

sull’intero corso del fiume e dunque sulla parte<br />

del territorio di propria competenza.<br />

Quanto alla tutela della qualità delle acque e<br />

dei suoi impieghi. Negli ultimi anni, l’attività<br />

di pianificazione delle acque e dei loro utilizzi<br />

vede la dilatazione delle spinte “separatiste”<br />

di ciascuna Regione, all’interno dei propri<br />

‘confini’ amministrativi, anche tra le stesse<br />

Regioni del Po, dove pure appare di immediata<br />

evidenza l’inscindibilità “organica” dell’insieme<br />

del reticolo dei corsi d’acqua e dei laghi, in<br />

montagna e in pianura, delle acque superficiali<br />

e sotterranee, delle acque interne di transizione<br />

e costiere.<br />

La modalità di formazione e di governo dei Piani<br />

regionali di tutela delle acque è il terreno di<br />

verifica più rilevante. Attorno ad essi è in corso<br />

una intensa attività di pianificazione e di faticosa<br />

riorganizzazione dei servizi idrici, in attuazione<br />

della legge 36/94 (cd Galli), innanzitutto<br />

ad uso civile, (mentre continuano a rimanere<br />

sostanzialmente invariati quelli ad uso agricolo,<br />

che impiegano la maggiore quantità della risorsa;<br />

per non parlare di quelli idroelettrici), nel<br />

contesto di radicali trasformazioni degli utilizzi<br />

delle acque superficiali e di falda. Con profonde<br />

alterazioni della qualità e della disponibilità<br />

delle acque superficiali e sotterranee che vedono<br />

l’intensificazione delle cd “emergenze naturali”<br />

(siccità e alluvioni), la dilatazione degli interventi<br />

del Dipartimento della Protezione civile e<br />

– soprattutto nelle regioni del Sud - la moltiplicazione<br />

dei commissariamenti di settore.<br />

Ora, proprio l’intensificazione dell’attività di<br />

pianificazione delle Regioni non si può dire<br />

veda un rafforzamento della cooperazione<br />

permanente tra le Regioni in sede di Autorità di<br />

bacino (domani, Distretto). A partire dal punto<br />

di governo principale: la formazione e gestione<br />

comune del “bilancio idrico” quali/quantitativo<br />

tra le pressioni delle diverse domande d’impiego<br />

della risorsa e la sua disponibilità complessiva,<br />

nel medio e nel breve periodo. E dunque nelle<br />

azioni almeno coordinate di previsione e di<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

conseguente riorganizzazione dei programmi:<br />

al fine di regolare tutela e distribuzione dei<br />

diversi utilizzi compatibili, fissare i canoni di<br />

derivazione e l’accollo degli oneri e dunque<br />

delle entrate necessarie alla tutela della risorsa,<br />

alla sua riproducibilità ed equa distribuzione<br />

territoriale e sociale.<br />

Per la verità, già il complesso D.Lgs. 152/1999, che<br />

pure introduceva forti elementi di innovazione,<br />

nel caso specifico apriva una falla nel sistema del<br />

governo a scala di bacino, previsto dalla riforma<br />

183/89, in nome delle competenze di ciascuna<br />

Regione (art 44), ma guardando all’indietro: più<br />

alla legge Merli 30 che ai cambiamenti di sistema<br />

delle riforme-quadro 183/89 e 36/94 (cd Galli),<br />

peraltro abrogate dal D.Lgs. 152/2006, senza<br />

suscitare finora reazioni di rilievo.<br />

Così, in questa fase di scollamento diffuso, anche<br />

nel bacino padano gli elementi di separatezza<br />

in “confini”, sia pure regionali, rischiano<br />

di avere la meglio sul rafforzamento degli<br />

elementi comuni a scala di bacino e in primo<br />

luogo nel collettore centrale del Po.<br />

Oscuramento dell’”unità di comando federato”<br />

31<br />

Queste “smagliature” alimentano i processi di<br />

scollamento. E’ in discussione la cd “governance”:<br />

32 parola chiave della politica e del politichese<br />

di questi anni, diventata un passpartout che<br />

“promuove un po’ troppo disinvoltamente i<br />

problemi (complessi) a soluzioni (facili)” 33 .<br />

Se vogliamo utilizzare il termine “governance”<br />

come espressione dei processi normativi,<br />

partecipativi e decisionali, concertati con i<br />

portatori di interessi secondo criteri/obiettivi<br />

riconosciuti, e proviamo a verificarla nei territori<br />

del bacino padano (e alle scale ridotte locali,<br />

riprese ad esempio nei “contratti di fiume”),<br />

troppe volte impiegato come fungibile di<br />

significati ed estensioni differenti, bisogna tenere<br />

conto che sullo stesso territorio abbiamo tanti<br />

soggetti di pianificazione, numerosi piani (dal<br />

PAI ai piani regionali di tutela delle acque),<br />

organismi di gestione e di partecipazione, ma<br />

si è oscurata l’”unità di comando”: il governo<br />

integrato e partecipato, riconosciuto ed efficace,<br />

dell’ecosistema di bacino padano, così come<br />

107


all’insegna della sostenibilità<br />

di quello dell’Alto Adriatico’ 34 (o delle “Alpi<br />

orientali”, come scrive il ‘decreto Matteoli’); e il<br />

coordinamento tra di loro e la Regione Marche,<br />

presso l’Autorità di Distretto del Po, per i<br />

problemi comuni delle acque costiere, come<br />

prevedeva la bozza di proposta di revisione<br />

del D.Lgs. 152/2006 (art17, n.3, in sostituzione<br />

dell’art 64 del Decreto Matteoli).<br />

Va sottolineato che, in queste condizioni e prospettive<br />

incerte, i territori della fascia rivierasca<br />

del Po sono l’area più esposta e sensibile<br />

ai rischi e ai danni della mancanza di questo<br />

governo unitario: ancora più paradossale quando<br />

siamo ad una prima attestazione positiva<br />

quanto fragile del lungo lavoro di questi anni,<br />

che potrebbe contribuire a individuare ed affrontare<br />

nodi centrali per tutto il territorio dell’intera<br />

fascia rivierasca, di destra e sinistra del<br />

Po: da riscoprire e recuperare come eccezionale<br />

ricchezza indivisibile della sicurezza e della qualità<br />

della vita di queste popolazioni e per tutto il<br />

Paese. Con la possibilità, in ripresa innanzitutto<br />

da parte di chi ci vive, di riconoscere insieme<br />

alle nuove generazioni -indigene ed immigrate<br />

- questi territori come il patrimonio culturale,<br />

sociale ed economico principale di cui si è parte;<br />

E di concorrere a modificare – gradualmente e<br />

non da soli - il senso di marcia di una convivenza<br />

che parta dal fiume, invece di voltargli<br />

le spalle.<br />

Allora si tratta di:<br />

• ripartire dal fiume e dai suoi affluenti, dal<br />

territorio del bacino del Po e dalla sua fascia<br />

rivierasca: vuol dire riconoscere – e tirane<br />

le conseguenze - che sono le istituzioni<br />

(innanzitutto le Regioni padane, insieme<br />

tra loro e in relazione interattiva con<br />

Province, Comuni, Comunità montane) a<br />

doversi rapportare al Po e non viceversa: da<br />

assumere congiuntamente – e non in ordine<br />

sparso - come condizione e misura della<br />

correttezza e della efficacia delle azioni di<br />

politiche territoriali ed economiche. Ogni<br />

volta che prevale la chiusura in “confini”<br />

amministrativi, non solo si danneggia la<br />

possibilità di difendere e valorizzare in<br />

termini di sostenibilità e sicurezza l’insieme<br />

del bacino, ma si riduce la stessa capacità<br />

conoscitiva, di programmazione, di governo<br />

di ciascuna Regione anche all’”interno” dei<br />

108<br />

territori di propria competenza diretta. Del<br />

resto, come si possono pensare piani di assetto<br />

idrogeologico per confini amministrativi? O<br />

il bilancio idrico – fisico ed economico - tra<br />

pressioni della domande e disponibilità della<br />

risorsa, se non a scala di bacino? Peraltro già<br />

lo stabilivano la legge sui servizi idrici (art<br />

3, la L. 36/94: cd Galli) e il D.Lgs. 152/99<br />

sulla tutela delle acque dall’inquinamento<br />

e di recepimento delle Direttive 91/271<br />

(trattamento delle acque reflue urbane e<br />

91/676 sulla protezione delle acque dagli<br />

inquinamenti da fonti agricole (art 22);<br />

• prendere atto, a proposito della richiesta,<br />

ripetuta quanto generica, di un governo del<br />

Po, che l’ organismo non è da introdurre:<br />

c’è già, l’Autorità di bacino del Po, dal 1990<br />

(cioè da quasi 18 anni).<br />

Allora si tratta di fare la chiarezza necessaria e<br />

di assumere l’Autorità di bacino come il solo<br />

organismo istituzionale operante sul bacino<br />

padano, espressione diretta delle Regioni e<br />

dei loro poteri (col Governo nazionale, al fine<br />

di assicurare l’unità di indirizzo nazionale),<br />

nelle modalità di un vero e proprio governo<br />

“federato”, al quale ricondurre agenzie e<br />

aziende operanti nel bacino e di norma già<br />

espressione diretta delle stesse Regioni padane<br />

(non sempre di tutte). Dipende soprattutto da<br />

loro.<br />

Scelte immediate di valenza strategica<br />

Si tratta di muoversi all’altezza della migliore<br />

elaborazione comunitaria e dei suoi indirizzi,<br />

peraltro vincolanti. E dunque di costruire una<br />

visione comune delle prospettive di queste terre<br />

all’altezza di una vera “macroregione europea”,<br />

assumere questa sfida, verificare insieme i nodi<br />

critici, promuovere le innovazioni necessarie e i<br />

modi di realizzarle, capaci di contrastare le velleità<br />

di ritorni centralistici, con l’autorevolezza e<br />

la forza di farlo.<br />

La questione è all’ordine del giorno, a partire<br />

dallo sblocco delle condizioni di stallo delle istituzioni<br />

di governo “federato”. Nell’immediato:<br />

• per uscire da una condizione di precarietà e<br />

assicurare le condizioni ordinarie di funzionamento<br />

dell’Autorità di bacino, va chiesto


e ottenuto in sede nazionale la convocazione<br />

del Comitato istituzionale dell’Autorità di<br />

bacino per la nomina del Segretario generale<br />

dell’Autorità, senza alcuna giustificazione<br />

vacante da oltre sette mesi;<br />

• a proposito dell’affollamento degli organismi<br />

che si occupano del Po e degli interrogativi<br />

ricorrenti sulla loro pletoricità, va ricordato<br />

che l’AIPO (ex Magistrato del Po), non è<br />

un organismo istituzionale ma un’agenzia<br />

tecnica, espressione diretta ed esclusiva<br />

delle quattro maggiori Regioni padane, da<br />

riqualificare sempre di più sul piano tecnico e<br />

scientifico, innanzitutto per la gestione della<br />

sicurezza idraulica. La disciplina attuale,<br />

concordata a suo tempo dalle Regioni che la<br />

costituiscono, è finalmente in discussione.<br />

Ma non può procedere per “autoriforma”<br />

separata dall’insieme del governo del<br />

bacino. Fino a legittimare, come avviene<br />

disinvoltamente, un’AIPO alternativa alla<br />

stessa espressione istituzionale del governo<br />

dell’ecositema padano: l’Autorità di bacino,<br />

prossimo Distretto;<br />

• la stessa ARNI: azienda interregionale di<br />

gestione delle condizioni della navigazione<br />

interna del Po e idrovia ferrarese, (ancora) in<br />

capo alla sola Emilia-Romagna, è espressione<br />

di una intesa tra le stesse quattro Regioni.<br />

Si tratta di vedere se debba restare azienda<br />

autonoma o vada inclusa (come sembra più<br />

efficace) in un riassetto razionale e integrato<br />

di funzioni che hanno punti in comune tra<br />

loro, operando sul corso del fiume (come<br />

l’AIPO), intrecciandosi necessariamente con<br />

l’attività di controllo sulla sicurezza e sulle<br />

attività estrattive in alveo.<br />

In ogni caso, AIPO e ARNI, vanno almeno<br />

ricondotte sistematicamente all’organismo<br />

istituzionale di governo unitario del bacino,<br />

l’Autorità di bacino (domani Distretto). E<br />

questo può essere deciso fin d’ora dalle stesse<br />

Regioni padane, avendone già oggi tutte le<br />

competenze.<br />

A questo fine, appare non più rinviabile una<br />

verifica comune tra le Regioni padane in sede di<br />

Autorità di bacino, se si vuole evitare la crescita<br />

di canali paralleli impropri, ed assicurare una<br />

effettiva unità di governo;<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

In questo quadro, la formazione della Consulta<br />

delle Province rivierasche del Po (come<br />

in parte le esperienze di diverse decine di<br />

Comuni rivieraschi dell’area centrale del Po)<br />

e i suoi sviluppi rappresentano almeno una<br />

esperienza indicativa delle potenzialità presenti<br />

e da sviluppare. Nata come iniziativa autonoma,<br />

esterna alla istituzione dell’Autorità dio bacino;<br />

negli ultimi anni ha rilanciato la sua attività,<br />

aggiornandone l’impostazione attraverso una<br />

crescente attività di connessione tra le diverse<br />

realtà delle singole Province rivierasche (cui<br />

si è aggiunta quella di Modena, come invitata<br />

permanente) e l’approssimazione a una proposta<br />

coordinata, il “Programma di azioni per la<br />

valorizzazione del capitale umano, naturale<br />

e culturale delle terre del Po”, assieme alla<br />

Segreteria dell’Autorità di bacino, assunto in<br />

sede nazionale e inserito nel Quadro strategico<br />

nazionale (QSN) 2007/2013.<br />

La dimensione della iniziativa della Consulta<br />

e il suo riconoscimento nel Quadro Strategico<br />

Nazionale per l’arco temporale di sette<br />

anni segnala l’importanza del progetto, va<br />

di pari passo – anche nel linguaggio - con<br />

la “pianificazione strategica” di bacino e<br />

segnala una modificazione in atto della stessa<br />

configurazione e natura della pianificazione di<br />

bacino, appunto in “pianificazione strategica”.<br />

In effetti si sta spostando il centro dell’analisi<br />

e delle politiche dalla cultura e dalla<br />

pianificazione “settoriale” di bacino, ma<br />

direttamente vincolante sulla pianificazione<br />

territoriale e urbanistica nei termini fissati<br />

dalla 183/89 (art 17), al cd piano strategico (di<br />

bacino? di area padana?), dove le politiche<br />

territoriali ed economiche e le proiezioni di<br />

scenario assorbono i programmi e le azioni sulle<br />

acque e del suolo.<br />

Si tratta di vedere da dove si parte e cosa va<br />

tenuta ferma: se cioè le azioni “settoriali” di<br />

tutela delle acque e del suolo restano, anzi<br />

dispiegano la loro condizione/obiettivo delle<br />

politiche territoriali/urbanistiche economiche, o<br />

vengono ridotte ad una condizione esornativa<br />

cui continuare a rendere omaggio formale.<br />

109


all’insegna della sostenibilità<br />

Dalla pianificazione di bacino alla pianificazione<br />

strategica?<br />

Sul crinale di questi approcci sostanzialmente<br />

alternativi, in questa fase incerta, con la<br />

necessità di individuare paradigmi di riferimento<br />

e di progetto, modalità di partecipazione e<br />

prove di esercizio di responsabilità, appare<br />

significativo che in una sede specifica come<br />

l’Autorità di bacino del Po stiano fiorendo una<br />

vivace attività seminariale e la produzione<br />

di scenari strategici 35 . Assieme a ricognizioni<br />

sull’attuazione del PAI, i piani di tutela delle<br />

acque procedono separatamente da parte di<br />

ciascuna Regione, e sono a fatica riconducibili -<br />

anche nella conoscenza dei dati- ad una lettura<br />

unitaria alla scala di ecosistema di bacino e alla<br />

verifica di conformità degli stessi piani agli<br />

indirizzi astrattamente vincolanti dell’Autorità<br />

di bacino. Negli stessi pareri positivi espressi sui<br />

piani regionali, già compiuti, viene introdotta la<br />

formula cautelativa della revisionabilità del<br />

parere, lasciando almeno aperta la possibilità di<br />

modifica, non potendo cambiare la normativa.<br />

Come invece prevedeva la proposta di revisione<br />

della parte terza del decreto Matteoli, travolta<br />

dalla caduta del Governo Prodi e dalla fine della<br />

legislatura.<br />

Non siamo di fronte a una disputa accademica,<br />

ma alla modifica delle procedure che rendono<br />

più difficile il coordinamento dei piani regionali<br />

e il loro governo. Infatti appare problematico<br />

costruire e governare gli impieghi sostenibili<br />

delle acque, anche con il supporto dell’utilizzo<br />

dei canoni, delle tariffe e delle contribuzioni, al di<br />

fuori della formazione e “gestione” del bilancio<br />

idrico quali/quantitativo tra disponibilità e<br />

impieghi delle acque per confini amministrativi,<br />

quelli appunto regionali.<br />

In realtà si sta transitando dalla pianificazione<br />

integrata e unitaria delle acque e del suolo a<br />

politiche disgiunte, con modalità ed effetti<br />

separati, astrattamente ricondotti ad obiettivi<br />

unitari di medio periodo (“strategici” appunto),<br />

con retroazioni difficilmente misurabili.<br />

Invece di passare dalle politiche integrate di difesa del<br />

suolo e delle acque, formalmente vincolanti quanto<br />

largamente disattese, ad una loro indispensabile integrazione<br />

con le politiche territoriali ed economiche,<br />

che riconoscano le condizione/obiettivo di sistema<br />

della tutela delle acque e del suolo (come si sta al-<br />

110<br />

meno in termini accelerati, percependo per l’aria, per<br />

l’energia a scale diverse) e l’inscindibilità tra tutela e<br />

sviluppo umano e del capitale naturale e culturale che<br />

lo rende possibile.<br />

Nelle presenti difficoltà a passare alla<br />

innovazione di sistema dell’unità di comando<br />

complesso e partecipato, invocata perentoriamente<br />

fin dal primo Congresso del Po del 1928 – secondo<br />

l’ideologia del regime di allora - la delibera CIPE<br />

del 21 dicembre scorso, formulata al di fuori<br />

delle procedure proprie della pianificazione di<br />

bacino, con una identificazione approssimativa<br />

della stesso ambito di applicazione (“Valle del<br />

Fiume Po”) e senza la partecipazione diretta<br />

delle Regioni padane, ma nei fatti costruito<br />

con l’apporto della Segreteria dell’Autorità<br />

di bacino e poi fatto proprio dal Comitato<br />

istituzionale della stessa Autorità, segna il<br />

crinale significativo della ambivalenza del<br />

passaggio che stiamo vivendo.<br />

Questa ambivalenza espone la positiva novità<br />

introdotta dalla delibera CIPE alle immediate<br />

pressioni di riappropriazioni indebite e<br />

di semplice spartizione amministrativa delle<br />

risorse messe a disposizione, che le hanno seguite.<br />

Da contrastare nettamente:<br />

a) agganciando la delibera e lo Schema di programma<br />

2007/2013 ai criteri ordinatori dell’unità<br />

di comando “federato” e partecipato<br />

dell’Autorità di bacino/distretto;<br />

b) scegliendo esplicitamente di fare del progetto<br />

e del programma integrato della attuazione<br />

aggiornata del PAI nella fascia<br />

territoriale dell’asta del fiume, il punto discriminante<br />

di una pianificazione unitaria<br />

realmente strategica, in grado di superare<br />

la logica della semplice sommatoria delle<br />

richieste di ogni amministrazione locale rivierasca,<br />

come delle singole Regioni. E cioè<br />

di avviare l’ integrazione tra pianificazione<br />

di bacino e politiche territoriali ed economiche,<br />

nella logica di sistema della sostenibilità,<br />

costitutiva della Direttiva comunitaria<br />

200/60 e dei suoi sviluppi e delle reali<br />

necessità di innovazione di questa “macroregione<br />

europea”. Dove le stesse Province<br />

rivierasche nel loro insieme possano riconoscersi<br />

congiuntamente ed essere riconosciute<br />

come interlocutore partecipe delle<br />

decisioni che le riguardano.


all’insegna della sostenibilità<br />

1 I tre precedenti congressi: il I°, svolto a Piacenza dal 10 al 18 giugno 1927 (la copia anastatica degli Atti è uscita nel 2004; il II°,<br />

realizzato nella fase costituente delle Regioni, a cura dell’associazione “Amici del Po”, si svolge a Mantova il 9 e 10 ottobre<br />

1971 (Atti, Mantova, 1972; il III°, ‘Po, fiume d’Europa’, il 28 e il 29-31 marzo 1984, rispettivamente a Milano e Ferrara, promosso<br />

dall’associazione ‘Amici del Po’ e dall’Assemblea del Consiglio d’Europa (Atti, Franco Angeli, 1985).<br />

Passaggio intermedio tra i ‘congressi del Po’ e l’approvazione della legge di riforma 183/89, la convenzione di Piacenza del 10-<br />

12 giugno 1988, “Po, Arno, Adige,Tevere”, promossa dall Provincia di Piacenza, dall’UPI nazionale e dall’associazione ‘Amici<br />

del Po’.<br />

2 Delibera CIPE 21 dicembre 2007 sull’attuazione del Quadro Strategico nazionale (QSN) 2007-2013.<br />

3 Padanìa, come accentava Cesare Zavattini, secondo quanto testimonia Marzio Dall’Acqua: Il fiume che non divide, in: Bianco e<br />

nero. Il Po, a cura del Centro studi padano ‘Po 2000.Riccardo Bacchelli’, Parma 1993, ripreso da G.Gavioli, Verso Mezzogiorno. Un<br />

itinerario padano, ‘Meridiana’, rivista di storia e scienze sociali nn 34-35, Donzelli Roma, pag 209, n.1, ora nella raccolta omonima<br />

di scritti, Diabasis Reggio Emilia 2004.<br />

4 Una prima lettura di un osservatorio ‘esterno’: Questione settentrionale, numero monografico di Meridiana cit, n.16, 1993. Le<br />

analisi specifiche vengono introdotte da un saggio redazionale, Questione settentrionale, pagg 9-18.<br />

Una proposta di rilettura complessiva aggiornata, sia pure centrata in prevalenza sugli aspetti economici, nell’Annale Feltrinelli,<br />

La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione, a cura di Giuseppe Berta, Milano 2007. V. in particolare, assieme al<br />

saggio introduttivo di Berta, filo conduttore delle analisi dei vari contributi, la ricostruzione del contesto culturale in cui prende<br />

corpo, alla fine degli anni cinquanta, la formula ‘questione settentrionale’, in termini ‘oppositivi’ alle culture dominanti della<br />

‘questione meridionale’: Luciano Cafagna, La questione settentrionale nell’Italia contemporanea: un’autointervista, pagg 1-12. Dove<br />

vengono ricostruite l’idea e la realizzazione dell’Antologia di scritti, ‘Il Nord nella storia d’Italia’ dello stesso Cafagna, uscito nel<br />

1962 da Laterza, lo stesso editore che un anno prima aveva pubblicato con successo, l’antologia, ‘Il Sud nella storia d’Italia’, a<br />

cura di Rosario Villari.<br />

5 Mantova, Lodi, Cremona, Torino, Roviglo, Parma Da ultimi gli Atti della tappa di Mantova del 2 aprile 2007: Un Po un fiume da<br />

salvare. La sicurezza territoriale e la gestione delle magre, Diabasis, Reggio Emilia 2007. Per una informazione più dettagliata delle<br />

iniziative di avvicinamento: www.iv congressonazionaledelpo.it.<br />

6 Un futuro sostenibile per il Po: Programma di azioni per la valorizzazione del capitale umano, naturale e culturale delle<br />

terre del Po, a cura della Consulta delle Province rivierasche del Po e della Segreteria dell’Autorità di bacino, in corso di<br />

definizione.<br />

7 Costituita dalle Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto.<br />

8 Progetto Re,Mo. del Po: Progetto per la condivisione delle conoscenza e lo sviluppo di sistemi informativi e di monitoraggio su temi<br />

specifici di interesse per la pianificazione di bacino<br />

9 Tra le ricerche ambientali, storiche e di innovazione dei paradigmi di formazione realizzate dal CIDIEP: Un Po di terra, Guida<br />

all’ambiente della bassa pianura padana e alla sua storia (2000), Un Po di acque. Insediamenti umani e sistemi acquatici<br />

del bacino padano (2003); infine, Un Po di carte. Tavole cartografiche (2007), per impulso del Servizio idrografico del Po<br />

e poi dell’ARPA Emilia-Romagna. Il progetto è stato impostato e diretto da Lucio Gambi con gruppi di ricerca coordinati<br />

rispettivamente dallo stesso Gambi con Carlo Ferrari, e poi da Ireneo Ferrari con Gilmo Vinello e con Maurizio Pellegrini. I tre<br />

volumi sono editi da Diabasis, Reggio Emilia.<br />

10 Protocollo d’Intesa quadro per un’educazione alla sostenibilità e una formazione ambientale allo sviluppo sostenibile<br />

della valle del Po (9 novembre 2005), sottoscritto dal Segretario generale dell’Autorità di bacino, dal Presidente della Consulta<br />

delle Province rivierasche del Po e dal responsabile del CIDIEP; al Protocollo hanno fatto seguito: a) il seminario sulla proposta<br />

di progetto ‘Partecipare il Po’, promosso dal CIDIEP con l’Autorità di bacino, le Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna,<br />

insegnanti e Uffici scolastici regionali interessati, e concluso dal Viceministro alla Pubblica Istruzione Mariangela Bastico<br />

(Colorno 29 giugno 2006. Gli atti, sul Notiziarioo CIDIEP, maggio 2006, gennaio 2007 e sul sito: www.cidiep.it; b) il seminario<br />

residenziale sulla definizione del progetto operativo ‘Partecipare il Po’ (Colorno, 14-15 giugno 2007) e quello successivo sulla sua<br />

stesura con un gruppo di insegnanti delle scuole delle Province rivierasche (Parma, 29 agosto 2007); il seminario residenziale<br />

sullo stato di avanzamento della realizzazione del progetto, con la partecipazione dei rappresentanti dell’Autorità di bacino<br />

e della Consulta delle Province rivierasche, degli Uffici Scolastici Regionali del Ministero e dello stesso Ministero (Colorno,<br />

15-16 febbraio 2008).<br />

11 Una documentazione della mescolanza tra competenze collaudate e disinvolte apologie di grandi opere di alterazione<br />

strutturale del corso del fiume Po, dopo il primo sbarramento di Isola Serafini, la relazione del presidente del Magistrato per il<br />

Po, Giandomenico Cammarata favorevole alla bacinizzazione dell’asta del Po, anche a fronte delle numerose riserve avanzate<br />

dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e ribadita nelle conclusioni (“Abbiamo fatto un convegno sul tema “Po fiume<br />

d’Europa”; perché proprio il Po non deve avere quelle stesse caratteristiche anche artificiali ed artificiose che hanno altri corsi<br />

d’acqua per servire meglio i territori che attraversano?”): 2° Convegno di Idraulica Padana, con la partecipazione del Ministro<br />

dei LLPP Franco Nicolazzi, Parma 15-16 giugno 1984, Atti, parte I°, pagg 81-2, 348-9, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici,<br />

Magistrato per il Po,<br />

12 2° Congresso nazionale del Po, promosso dalla associazione ‘Amici del Po’, Mantova 9-10 ottobre 1971, Atti, vol 1°, pagg 43-52:<br />

“Considerati…i particolari caratteri dei deflussi del Po e del loro regime di piena nonché quelli dei territori adiacenti e delle loro esigenze di<br />

sicurezza, sono ancora una volta da confermare i concetti espressi in altre occasioni: lungo il corso medio e inferiore del Po non possono<br />

essere eseguite opere di sbarramento: le acque relative a qualunque stato idrometrico debbono avere la via di recapito al mare<br />

libera da ogni ostacolo, perché ogni occlusione, anche se governata, può essere la causa diretta di disastri alluvionali.<br />

Le affermazioni contrarie, anche se basate su considerazioni ed esempi tratti da altri corsi d’acqua europei, non possono essere<br />

accolte per il Po, se obiettivamente si vogliono riconoscere le dissomiglianze di regime ideologico e di ambiente idraulico”. A queste<br />

osservazioni vanno aggiunte le lucide analisi degli effetti devastanti delle estrazioni di materiale lapideo e sugli inquinamenti<br />

(pagg 48-51).<br />

111


all’insegna della sostenibilità<br />

13 Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto: Il sistema ambientale padano-adriatico, documento base per gli<br />

incontri con i rappresentanti del Parlamento europeo, Strasburgo 17-18 maggio 1988, seguito da un pronunciamento dello<br />

stesso Parlamento, che assume per la prima volta in sede comunitaria il problema del Po.<br />

13 V. Convegno nazionale di Ferrara, 11 gennaio 1985, “Po e Adriatico”, promosso dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia<br />

di Ferrara e concluso dal Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, Atti, “Po e Adriatico: risanamento e sviluppo sono compatibili.<br />

Come?”, Cappelli, Bologna 1985.<br />

15 Come conferma il fervore di iniziative che accompagnano la formazione della legge e soprattutto l’avvio dell’Autorità di<br />

bacino del Po. Per tutti, i convegni a cadenza annuale, dal 1989 al 1992, nazionali e internazionali, promossi dalla fondazione<br />

“Po 2000”, presieduta da Claudio Martelli e diretta da Achille Cutrera (gli atti vengono pubblicati a cura della Fondazione.<br />

16 Il Po: una risorsa per l’Italia, relazione a cura del Comitato scientifico. Il comitato, presieduto da Roberto Passino, è composto<br />

da Armando Brath, Rita Celerino, Enrico Cicciotti, Giovanni Cordini, Ireneo Ferrari, Roberto Gambino, Giuseppe Marchetti,<br />

con i contributi di Fabio Luino, Benedetto Meloni, Francesco Puma. Il testo è reperibile anche sul sito del Gruppo 183 (www.<br />

gruppo183.org).<br />

17 Il Po fiume d’Europa: riflessioni e proposte sulle strategie di pianificazione, a cura dell’Autorità di bacino, coordinato da<br />

Roberto Passino, Segretario generale e composto da Giuseppe De Matteis, Bruno Dolcetta, Pier Francesco Ghetti, Rossella<br />

Palomba, Giuseppe Roma, con i contributi di Giovanni Cordini, Laura Raimondo, Furio Dutto, Ivo Fresia., Parma gennaio<br />

2000, purtroppo a lungo senza seguito.<br />

18 V. nota 12.<br />

19 La Cabina tecnica di regìa, presso l’Autorità di bacino, è coordinata dal Segretario generale dell’Autorità di bacino ed è composta<br />

dai Ministeri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle Politiche agricole alimentari e forestali, dello Sviluppo<br />

economico; dalle Regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Provincia autonoma di Trento; dai<br />

Consorzi del Ticino, dell’Adda, dell’Oglio; dal Commissario regolatore del lago d’Idro; dall’Agenzia interregionale per il fiume<br />

Po; dall’associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari; da TERNA; dal Corpo Forestale dello Stato. Il<br />

Centro funzionale della Regione Emilia-Romagna provvede al necessario supporto competente quale riferimento della cabina<br />

tecnica di regia del fiume Po ed ha il compito di acquisire i dati idrometeopluviometrici da tutti i Centri Funzionali presenti<br />

nel bacino, secondo le disposizioni del Commissario delegato emergenza idrica dei territori dell’Italia centro-settentrionale<br />

Decreto Commiss. 13 luglio 2007).<br />

20 Il cambiamento climatico nel bacino del Po: variabilità e trend, relazione a cura di Stefano Tibaldi, in collaborazione con il<br />

sistema delle agenzie ambientali/APAT, Parma 26 luglio 2007, in preparazione della Conferenza nazionale sul clima.<br />

21 Stefano Picchi e Giorgio Pineschi, La Direttiva europea sulle acque: prospettive e opportunità per i parchi fluviali, in: Parchi e aree<br />

protette in Italia, ETS 2007; anche sul sito del Gruppo 183 ((www.gruppo183.org).<br />

22 Comitato di consultazione per l’attività di piano dell’Autorità di bacino del Po, Una riflessione approfondita in: La<br />

partecipazione pubblica nel processo di formazione dei piani gestione dei bacini idrografici, a cura di Emanuele Croci,<br />

Parma 29 settembre 2005.<br />

23 Il documento si pronuncia su diversi nodi aperti: 1) le competenze dell’Autorità di bacino distrettuale; 2) la delimitazione del<br />

bacino distrettuale padano; 3) la composizione degli organi deliberanti ed esecutivi dell’Autorità di bacino distrettuale con la<br />

richiesta di inserire i rappresentanti degli enti locali negli organi di governo del Distretto; 4) il coinvolgimento dei portatori<br />

di interessi alla governance del Distretto; 5) l’informazione e la partecipazione; 6) il finanziamento del settore della difesa del<br />

suolo.<br />

24 Filippo Dadone, Maria Elena Poggi, I processi partecipati per la riqualificazione dei bacini fluviali , 2007.<br />

25 Luigi Bobbio, Le politiche cotrattualizzate, in: Il futuro delle politiche pubbliche, a cura di Carlo Donolo, Milano 2006, pagg 59-79.<br />

26 L’associazione onlus Gruppo 183, attiva dal 1995 sui problemi della tutela delle acque e della difesa del suolo, con riferimento<br />

anche simbolico alla legge di riforma 183/89, si è venuto qualificando per una lunga azione di analisi e proposta: a) sui<br />

problemi della pianificazione di bacino, sui servizi idrici e sulla difesa del suolo, con particolare riferimento al Mezzogiorno;<br />

anche con uno studio sistematico del loro stato di avanzamento nelle Autorità di bacino di rilievo nazionale e e di quella<br />

pilota del Serchio e assieme a loro; b) sulla attuazione della Direttiva 2000/60 in materia di acque; c) sulla formazione del<br />

confuso D.Lgs 152/2006 in materia ambientale, che ha abrogato le Autorità di bacino di rilievo nazionale , sostituendoli con<br />

organismi a dominanza centralistica, ‘resuscitate’ alla fine del 2006.(i documento sono reperibili sul sito dell’associazione:<br />

(www.gruppo183.org).<br />

27 L’attuazione della Direttiva comunitaria sulle acque (2000/60).Sfide e opportunità per una politica sostenibile dell’acqua<br />

in Italia, convegno promosso da IEFE/Bocconi, Legambiente, Gruppo 183, Milano 17 ottobre 2003; Partecipazione pubblica<br />

nell’attuazione della Direttiva comunitaria sulle acque 2000/60, convegno promosso da IEFE/ Bocconi, Università di Udine,<br />

Gruppo 183, Milano 30 maggio 2005 (www.gruppo183.org).<br />

28 Sull’attività degli ultimi due anni: le Note critiche di lettura che hanno accompagnato la formazione del D.Lgs 152/2006 in materia<br />

ambientale; nella nuova legislatura avviata nel 2006, la promozione del convegno di proposta, ‘La sfida dei Distretti idrografici<br />

per il governo cooperativo delle acque e del suolo: la revisione del D.Lgs 152/2006 in materia ambientale’, con il Comitato<br />

Turroni, le rappresentanze delle Regioni, delle Autorità di Bacino, delle Commissioni competenti di Camera e Senato, delle<br />

associazioni ambientaliste e di esperti, del Ministro Pecoraro Scanio, Roma 7 novembre 2006; infine, le Note di analisi e di<br />

proposta sulla prima bozza provvisoria del ‘Comitato Turroni’ del 7 dicembre 2006, sul documento di osservazioni delle Regioni<br />

del 18 aprile 2007, sulle successive stesure dello stesso Comitato Turroni (luglio/settembre 2007). I testi sono reperibili sul sito<br />

dell’Associazione (www.gruppo183.org).<br />

29 Per un’analisi aggiornata: Paolo Urbani, relazione al convegno, Governo dei sistemi fluviali e qualità dell’ambiente, Stresa, 19<br />

ottobre 2007 (www.pausania.it) ;anche su:(www.gruppo183.org).<br />

30 Legge 10 maggio 1976, n. 319: Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, approvata quando non esisteva la<br />

modalità di tutela integrata e la regolazione delle acque e del suolo a scala di bacino nella modalità della cooperazione tecnica<br />

e istituzionale dell’Autorità di bacino (13 anni dopo!), già innestava questa dimensione quando prevedeva la redazione del<br />

piano generale di risanamento delle acque a scala di bacino, sulla base dei piani regionali, aggiungendo “il controllo della<br />

112


all’insegna della sostenibilità<br />

compatibilità dei piani regionali di risanamento delle acque relativi ai bacini idrografici a carattere interregionale, anche<br />

attraverso conferenze permanenti interregionali, promosse dal Ministro per i lavori pubblici” (artt 1, lett d; 2, lett c).<br />

Del resto, come sopra si è ricordato, la prima Conferenza interregionale del bacino del Po in stretta connessione con l’Adriatico<br />

(Ferrara, 8 febbraio 1988), alla vigilia dell’approvazione della legge 183/89, lancia il piano di risanamento generale delle acque del<br />

bacino e non la sommatoria di quelli regionali, con una interpretazione estensiva della stessa Merli. Adesso, si sta rischiando di<br />

tornare indietro, in ordine sparso.<br />

31 Il termine viene usato per indicare una necessità decisiva al I°congresso del Po (Atti cit, prefazione di S.E. Alberto De Stefani)<br />

e ripreso ripetutamente nel corso dei lavori.<br />

32 “Il concetto di ‘governance’ designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a<br />

livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza”, La Governance<br />

europea. Un libro bianco, Commissione delle Comunità europee, 5 maggio 2001, pagg 8, n.1; 10-11.<br />

33 Una rassegna della letteratura: Denika Cepiku, Governance: riferimento concettuale o ambiguità terminologica nell’innovazione della<br />

P.A? Roma 2004; per una analisi critica: Silvano Bellini, Miss Governance, J presume, in Meridiana, Riformismo/i, nn 50-51, Roma<br />

2004, pagg 181-209.<br />

34 Antonio Rusconi, relazione al convegno: Il governo delle acque delle Regioni del Distretto idrografico del Nord-Est, promosso<br />

dall’IUAV/università, CIRF, Gruppo 183, Venezia 16 marzo 2007 www.gruppo183.org<br />

35 V. i materiali di analisi e di lavoro coordinati dalla Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (<strong>CAIRE</strong>), per conto della<br />

Segreteria dell’Autorità di bacino, che vanno da una ’lettura strutturale del PAI’ a manuali di valutazione delle politiche, ad<br />

agende di lavori tematici e complessivi, tutti coordinati al fine del ‘Piano strategico’.<br />

113


all’insegna della sostenibilità<br />

114


Una Agenda, cento Agenzie<br />

La Valle dei Lamber<br />

Per la riqualificazione paesistico-ambientale dei<br />

bacini certamente occorre far Agende strategiche,<br />

ove possibile far co-pianificazione strategica,<br />

meglio se coniugata con processi partecipati<br />

di programmazione negoziata; ma non sarebbe<br />

ancor più efficace far Agenzie di bacino/sottobacino?<br />

Quando pensiamo al bacino Lambro-Olona, la<br />

valle dei Lamber, stiamo pensando alla regione<br />

urbano-rurale milanese, che, forse, davvero solo<br />

Al Gore definisce “un modello di sostenibilità a<br />

livello internazionale” (!?). I cinque milioni di<br />

umani che la abitano producono continuamente<br />

anche organizzazioni di poteri, pubbliche, miste,<br />

private, di ogni possibile tipologia e scopo<br />

che, nel dichiarare, ciascuno a modo proprio,<br />

obiettivi sintropici, interagiscono poi in modo<br />

caotico come generatori di entropia.<br />

Alcune di esse operano con mission assimilabili<br />

a quella su cui ci stiamo interrogando. Penso a<br />

Milanometropoli SpA, in primis, ma anche, per<br />

altri versi, a Navigli Lombardi SCarl. Certamente<br />

non penso a AATO, Consorzi di bonifica e a<br />

tutta la multiforme molteplicità di soggetti giuridici<br />

prodotti nel tempo per assolvere a funzioni<br />

settoriali, anche se “acquee”. Ma soprattutto<br />

penso alle autonomie funzionali come Fondazioni<br />

ex bancarie, Camere di Commercio, Università;<br />

Autorità di distretto!<br />

Lo Stato mortifica le Autorità di bacino/distretto?<br />

E noi valorizziamo, a partire dai “cento” bacini, il<br />

modello di organizzazione dotata di autonomia<br />

funzionale esperito dall’ Autorità di Bacino del<br />

Po facendone il cuore di un reticolo sistemico<br />

di Agenzie, che ne mutuino le caratteristiche e<br />

nel contempo, proprio grazie al contributo delle<br />

loro differenziazioni, ne potenzino l’esperienza!<br />

A mio parere dovrebbero essere enti pubblici<br />

dotati di autonomia funzionale, come è<br />

AdBPo, ma capaci di management efficaci come<br />

imprese private; capaci di far governance, di<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Mariella Borasio<br />

far pianificazione strategica; e davvero si fa<br />

presto a dire governance, pianificazione strategica,<br />

programmazione negoziata; poi, però, bisogna fare;<br />

chi fa visioning? artisti. Dobbiamo esprimere le<br />

nostre capacità creative; co-formarci e formare<br />

“artisti”.<br />

Allora, penso a governance più che flessibili,<br />

fluide, fluide come le acque, appunto. E penso<br />

ad Agenzie fatte di umani altrettanto “fluidi”.<br />

Pienamente consapevoli. Creativi. E pertanto<br />

efficaci ed efficienti. Gente di mare, insomma.<br />

Orbene, nel bacino Lambro-Olona, nella valle<br />

dei Lamber, non è la prima volta che ci si<br />

pone il problema di costituire una struttura di<br />

implementazione dei processi di riqualificazione;<br />

già nel 1993 la Regione Lombardia avviò<br />

una riflessione in tal senso all’interno del VI<br />

seminario organizzato da IRER Lombardia per<br />

definire le strategie di inversione della tendenza<br />

al degrado del sottobacino del Po milanese<br />

partendo dalla condivisione sulle cause di<br />

fallimento del Piano Lambro (approvato con il<br />

DPCM 29.07.88, n. 363)<br />

Tali cause furono individuate non solo nel<br />

fatto che, rispetto agli obiettivi a largo raggio<br />

che il Piano si proponeva, prevedeva quasi<br />

esclusivamente interventi nei settori del<br />

trattamento delle acque e dei rifiuti (4.255<br />

miliardi di lire su 4.800) senza individuare<br />

e affrontare le cause del degrado paesisticoambientale,<br />

ma anche nelle gravi difficoltà di<br />

messa in opera del modello istituzionale adeguato ad<br />

una efficace ed efficiente gestione.<br />

Nel Piano Lambro, infatti, per quanto riguarda<br />

l’assetto istituzionale, si è tentato di governare<br />

la grande frammentazione istituzionale e la<br />

complessa sovrapposizione di competenze<br />

attraverso il modello dell’ authority, soggetto<br />

a cui avrebbero dovuto essere conferiti ampi<br />

poteri di gestione, finanziamento, realizzazione<br />

degli interventi<br />

115


all’insegna della sostenibilità<br />

Il modello individuato (DPCM 363) prevedeva<br />

due soggetti principali:<br />

• il Comitato di Coordinamento presieduto<br />

dal Presidente del Consiglio dei Ministri,<br />

il Presidente della Giunta regionale, gli<br />

Assessori regionali competenti, i presidenti<br />

delle Province, il Sindaco di Milano; si<br />

trattava di un organismo politico di controllo<br />

della attuazione del Piano con ampi poteri<br />

decisionali;<br />

• l’Agenzia Operativa per il finanziamento,<br />

la realizzazione e la gestione delle opere,<br />

costituita di intesa tra Stato e Regione,<br />

agenzia a cui erano delegati tutti i poteri di<br />

realizzazione delle opere di interesse statale e<br />

regionale e che, tramite il Comitato, avrebbe<br />

dovuto avere controllo e giurisdizione sui<br />

progetti gestiti da altri soggetti istituzionali.<br />

Il Comitato di Coordinamento non fu mai<br />

costituito e l’Agenzia (IRVA), costituita nel<br />

dicembre 1989 nella forma di SpA tra Regione<br />

(51%), ENI, IRI, Assolombarda e principali<br />

Banche regionali, pur dotata formalmente di<br />

ampi poteri e di notevoli risorse è diventata<br />

rapidamente una scatola vuota; gli interventi di<br />

interesse regionale e statale non sono decollati,<br />

i Comuni, i Consorzi di depurazione e/o di<br />

smaltimento e tutti gli altri soggetti titolari delle<br />

opere previste dal Piano nelle su diverse fasi<br />

non hanno conferito ad IRVA alcun potere di<br />

controllo sulla realizzazione e il finanziamento<br />

dei progetti.<br />

La vicenda del Piano Lambro permette di<br />

sottolineare come fattori di insuccesso sia la<br />

debolezza dello strumento Piano in sé, ove si<br />

connota come top down, sia l’inadeguatezza<br />

della soluzione tecnocratica data al problema<br />

della frammentazione e complessità dei poteri<br />

nell’area allora definita ad alto rischio di crisi<br />

ambientale; fattori di criticità sempre presenti<br />

nelle pianificazioni di area vasta come quella di<br />

bacino.<br />

A distanza di un ventennio, se da un lato<br />

già tre dei quattro sottobacini del Lambro-<br />

Olona sono interessati in modo appropriato<br />

(programmazione negoziata) da processi di<br />

riqualificazione - come previsto anche dalla<br />

Proposta di PTR 2008 - ancora appare poco<br />

chiaro come portare ad efficacia i piani d’azione<br />

116<br />

condivisi; occorre co-creare una struttura<br />

di management capace di far governance del<br />

sottobacino L/O per produrre efficacia rispetto<br />

ad un’ampia serie di politiche: politiche di<br />

tutela e valorizzazione delle risorse idriche,<br />

in primis, ma, poi, politiche urbanistiche<br />

locali, politiche economiche alle diverse scale,<br />

politiche di investimento di soggetti pubblici e<br />

privati, politiche di riqualificazione paesisticoambientale,<br />

ecc. Politiche di qualificazione degli<br />

insediamenti umani nella valle.<br />

Schematicamente, nel Seminario del 1993 furono<br />

considerate due strade come possibili:<br />

• la prima, oltre che sullo sviluppo di politiche<br />

attive, puntava sul conferimento all’Agenzia<br />

di bacino di alcuni poteri di formulazione e<br />

applicazione di criteri, direttive e indirizzi<br />

cui gli altri soggetti istituzionali dovevano<br />

uniformarsi per via gerarchica: ad es. esame<br />

dei progetti (superiori a certe dimensioni)<br />

dal punto di vista paesistico-ambientale;<br />

gestione diretta di politiche di incentivazione,<br />

di sistemi di regole, ecc<br />

• la seconda puntava esclusivamente su<br />

politiche attive, su enabling policies, sul ruolo<br />

di informazione, di produzione progettuale,<br />

di networking tra le istituzioni esistenti che<br />

mantenevano i propri poteri; in questo senso<br />

all’Agenzia venivano affidati solo compiti<br />

progettuali, di ricerca, di monitoraggio<br />

dell’attuazione del Piano di paesaggio<br />

condiviso.<br />

Da allora ad oggi un approccio assimilabile al<br />

secondo modello è stato parzialmente sperimentato<br />

all’interno del territorio del sottobacino<br />

Lambro-Olona dalla Provincia di Milano nel<br />

farsi promotrice del Bando CittàdiCittà (http://<br />

www.cittadicitta.it), ma, a parere non solo mio,<br />

va valorizzata soprattutto per le capacità di management<br />

dimostratesi efficaci, l’esperienza dell’<br />

Agenzia di sviluppo del sistema urbano milanese,<br />

MILANOMETROPOLI, che opera nella forma<br />

di S.p.A. (http://www.milanomet.it).<br />

Mancano ancora, comunque, non solo in Regione,<br />

neppure nel bacino padano, ma neanche a<br />

livello nazionale esperienze mutuabili in toto,<br />

tranne, a mio parere, in qualche modo, proprio<br />

le Autorità di bacino, anche se l’Agenzia di bacino<br />

che ritengo potrebbe rappresentare un buon


fattore di successo per le politiche di riqualificazione<br />

di bacino fluviale in un’area insediata<br />

come quella milanese dovrebbe essere, nel<br />

quadro delle normative attuali, una Autonomia<br />

Funzionale ben progettata ad hoc. A ogni bacino<br />

la sua Agenzia.<br />

Una Agenzia che si ponga come pivot del<br />

processo di riqualificazione, con carattere<br />

propositivo e progettuale, la cui autorità sia<br />

correlata all’autorevolezza della propria capacità<br />

propositiva, alla propria capacità di mobilitare<br />

tutti gli attori da coinvolgere, alla propria<br />

capacità di “governare la frammentazione”<br />

attraverso la leadership piuttosto che una formale<br />

autorità. Potente nell’utilizzo di meccanismi<br />

capaci di limitarne la debolezza che potremmo<br />

descrivere schematicamente sotto forma di<br />

possibili ipotesi:<br />

• la prima, quella più “tradizionale”, potrebbe<br />

prevedere di affiancare alla Agenzia di<br />

Progettazione e Management un Comitato<br />

politico composto dai rappresentanti Istituzionali<br />

che la promuovono (Città capoluogo,<br />

Province, Regione, Autorità di distretto, anche<br />

(?) Ministero, ecc) dotato di poteri decisionali<br />

in alcune – poche – materie condivise;<br />

• la seconda, più innovativa, potrebbe vedere<br />

l’affidamento all’Agenzia - che progetta il<br />

processo accompagnandolo - di un potere di<br />

auditing e di informazione al pubblico sulla<br />

realizzazione del Piano strategico di riqualificazione;<br />

le competenze decisionali resterebbero<br />

totalmente in capo ai soggetti ordinari,<br />

ma l’Agenzia dovrebbe periodicamente<br />

indire conferenze, work out, ecc., occuparsi<br />

pertanto di tutti gli aspetti comunicazionali/partecipativi,<br />

in senso lato, per accompagnare<br />

il processo di realizzazione del Piano<br />

facilitandone, al contempo, la condivisione.<br />

L’Agenzia si avvarrebbe in tal senso del potere<br />

di rendere manifeste le inadempienze<br />

ovvero i successi nell’avanzamento del processo<br />

partecipativo, decisionale, attuativo.<br />

• la terza ipotesi: in costruzione.<br />

Di certo, l’Agenzia, nel proprio progettare/<br />

accompagnare, potrà valorizzare la grandissima<br />

messe di studi e ricerche di cui, nel corso degli<br />

ultimi decenni, la Regione Lombardia si è dotata;<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

R.L. infatti ha progressivamente elaborato<br />

delle strategie di governance dei processi di<br />

trasformazione di modello insediativo per lo<br />

sviluppo durevole di un sistema paesistico/<br />

ambientale/territoriale molto vulnerabile quale<br />

quello della regione milanese, in cui è veramente<br />

difficile cogestire i processi di trasformazione<br />

conservando nel tempo il patrimonio di risorse<br />

non rinnovabili, a cominciare da acque e<br />

suoli: la Proposta di PTR 2008, attualmente in<br />

Consiglio Regionale, riassume efficacemente<br />

tale elaborazione.<br />

Si tratta di sistemi complessi di politiche che,<br />

anche se non sempre esplicitamente, hanno fatto<br />

riferimento anche ai Documenti strategici di cui si<br />

è progressivamente dotata per innescare processi<br />

di riqualificazione dei paesaggi, riequilibrio<br />

ecosistemico generale, processi di sviluppo<br />

occupazionale, innalzamento della qualità della<br />

vita in senso lato; vi si propongono scenari che<br />

declinano nelle specificità dei diversi sistemi<br />

locali la scelta strategica generale di giungere<br />

a tempi medio-brevi alla condivisione delle<br />

decisioni in merito agli interventi da realizzare<br />

valorizzando progetti e politiche delle comunità<br />

insediate, opportunamente messi in relazione<br />

con programmi e politiche elaborati a livello<br />

sovralocale, con un approccio che permette di<br />

passare da una molteplicità di visioni settoriali<br />

ad una visione integrata, capace di interpretare<br />

l’evoluzione dei paesaggi in quanto sistemi<br />

unitari nei quali le componenti ecosistemiche<br />

interagiscono con quelle insediative, economiche<br />

e socio-culturali. Così facendo la Regione<br />

Lombardia si allinea con gli obiettivi sia delle<br />

Direttive Comunitarie che della normativa<br />

nazionale – in particolare con la L.N. 09. 01.06,<br />

n. 14, che ratifica i principi della Convenzione<br />

europea sul paesaggio<br />

Il primo esito del lavoro di ricerca affidato dalla<br />

Regione Lombardia all’Istituto Regionale di<br />

Ricerca per l’elaborazione di linee strategiche<br />

per l’inversione della tendenza al degrado della<br />

regione milanese individuata come area ad alto<br />

rischio di crisi ambientale - la prima sperimentazione<br />

di pianificazione strategica in ambito pubblico<br />

in Regione Lombardia- venne pubblicato<br />

nel 1995 – A. Magnaghi, a cura di, “Bonifica,<br />

riconversione e valorizzazione ambientale del<br />

bacino dei fiumi Lambro, Seveso, Olona. Linee<br />

orientative per un progetto integrato” Urbanisti-<br />

117


all’insegna della sostenibilità<br />

ca Quaderni 2 -1995– IReR Lombardia – INU 1 .<br />

Il Documento strategico, ampiamente condiviso<br />

in vari ambiti non solo istituzionali, ha costituito<br />

nell’ultimo decennio uno dei riferimenti per<br />

l’elaborazione dei PTCP delle Province del<br />

sottobacino e per lo sviluppo di molte politiche<br />

anche, e non solo, del Comune di Milano. Nel<br />

corso degli anni le Linee orientative Lambro/<br />

Olona hanno generato una serie di ulteriori<br />

documenti strategici regionali riferentisi alla<br />

riqualificazione dei singoli sottobacini (Lambro<br />

settentrionale; Seveso; Olona), a Tecniche e<br />

Strumenti per l’elaborazione di progetti integrati<br />

e condivisi, a Progetti Pilota individuati come<br />

tali nel Documento 1995, a cominciare da quello<br />

riguardante il basso milanese (che attualmente è<br />

inquadrato come Azione pilota nelle Linee guida<br />

per la gestione delle trasformazioni territoriali-<br />

L.O.T.O. 2006); il Progetto del sistema di<br />

depurazione delle acque milanesi, premiato<br />

nel 2007 con il Premio Pays.Doc del Paesaggio<br />

Europeo; il Progetto regionale Abbazie 2008;<br />

ecc.<br />

Anche la DGR 2004 – Accordo Quadro di<br />

Sviluppo Territoriale CONTRATTO DI FIUME<br />

OLONA - fa propria la scelta strategica declinata<br />

nei vari Documenti strategici prodotti nel<br />

decennio trascorso dalla Regione Lombardia<br />

come strategia di risanamento del sottobacino<br />

Lambro/Olona, così come la DGR 2006 –<br />

AQST CONTRATTO DI FIUME SEVESO – e il<br />

Protocollo d’Intesa verso VERSO IL CONTRATTO<br />

DI FIUME LAMBRO 2007.<br />

Come ben vediamo, nel promuovere i<br />

Contratti di Fiume nella forma di processi<br />

di programmazione negoziata delle azioni<br />

funzionali alla riqualificazione paesisticoambientale<br />

dei sottobacini fluviali Lambro/<br />

Olona, certamente la Regione Lombardia si<br />

è avviata nella direzione di definire strutture<br />

di implemetazione adeguate agli scopi di<br />

valorizzazione delle acque e difesa dei suoli, ma<br />

ancora è ben lontana dal definire quali Agenzie<br />

siano funzionali ad un management efficace ed<br />

efficiente di tali processi di riqualificazione.<br />

L’Agenzia del bacino dei Lamber potrà forse essere<br />

una agenzia funzionale che mutui alcune<br />

caratteristiche di altre Autonomie Funzionali, a<br />

cominciare proprio dalle Autorità di distretto, con<br />

118<br />

le quali dovrebbe consolidare statutariamente<br />

opportune relazioni e con cui dovrebbe<br />

condividere alcune attribuzioni funzionali,<br />

come l’ elaborazione di criteri e strumenti<br />

della pianificazione di distretto (anche, forse, il<br />

bilancio idrico quali/quantitativo; il demanio<br />

idrico da ricostruire congiuntamente, come,<br />

anche la finalizzazione delle entrate dai canoni,<br />

contribuzioni, tariffe, incentivi e disincentivi);<br />

parimenti, potrà avvalersi del corpus assai ampio<br />

di elaborazioni prodotte da AdBPo attinenti a<br />

Piani stralcio, Piani strategici, ecc.<br />

Il sottobacino Lambro/Olona, la valle del<br />

Lamber, appare sotto ogni profilo, e a tal<br />

punto, come un territorio dotato di senso, che<br />

certamente può essere individuato come ambito<br />

di governance locale, di gestione in comune di<br />

servizi, di costruzione in comune di politiche,<br />

sistema complesso di paesaggi che concorrono<br />

alla costruzione dell’identità e del profilo della<br />

regione urbana nel suo insieme. Questa esigenza<br />

incrocia aspettative dal basso – di trattamento di<br />

problemi identitari, ambientali, infrastrutturali,<br />

di sviluppo economico locale – con istanze, che<br />

potremmo definire “dall’alto”, di costruzione di<br />

figure territoriali che superino i confini comunali<br />

in Piani di Paesaggio che, come regolato dal<br />

PTR regionale, perseguano l’obiettivo prioritario<br />

della valorizzazione delle acque e della difesa<br />

dei suoli.<br />

Forse, solo agendo su questi diversi livelli<br />

– agenzie funzionali, costruzione della visione,<br />

costruzione della informazione sulla regione<br />

vasta, organizzazione per paesaggi intermedi<br />

– sembra possibile offrire un riferimento per<br />

processi di governance territoriale variabili per<br />

dimensione e composizione del set degli attori,<br />

capaci di incidere su alcuni temi che si intrecciano<br />

con quelli propri della scala insediativa milanese,<br />

sia del capoluogo che di ogni città nella regione<br />

urbana vasta del bacino considerato. Un grande<br />

corpo d’acque. Un mare.<br />

La Regione Lombardia può, forse, diventare<br />

uno dei laboratori di pratiche innovative in<br />

tale direzione poiché l’attività sviluppata in<br />

anni recenti per la riqualificazione paesisticoambientale<br />

dei bacini fluviali ha dato vita<br />

a esperienze diversificate, alcune promosse<br />

direttamente da R.L. (CdF Olona-2004, CdF<br />

Seveso-2006 che si configurano come processi


di programmazione negoziata – AQST - come si<br />

configurerà anche il CdF Lambro attualmente in<br />

itinere), altri frutto di iniziative locali incentivate<br />

dai Fondi messi a disposizione nell’ultimo<br />

triennio da Bandi della Fondazione Cariplo,<br />

concordati con DG Reti RL (Mella, Oglio, Mincio,<br />

Adda, ecc); esperienze innovative che hanno<br />

suscitato attenzione e interesse verso processi di<br />

simile natura da parte di altre regioni del bacino<br />

padano, e non solo, che hanno avviato percorsi<br />

assimilabili.<br />

Nel contempo, l’AdbPo, consapevole della valenza<br />

strategica di tali esperienze, al fine di valorizzarle<br />

all’interno del processo di pianificazione<br />

di bacino per integrare opportunamente una<br />

pianificazione per sottobacini alla pianificazione<br />

per stralci funzionali, ha avviato un Osservatorio<br />

di buone pratiche di valorizzazione delle acque e difesa<br />

dei suoli nel bacino del Po. In un recente incontro<br />

dell’ Osservatorio vertente su Efficacia ed efficienza<br />

dei processi di riqualificazione, è stata ampiamente<br />

condivisa la constatazione che sulle condizioni di<br />

efficacia delle politiche di riqualificazione insistono<br />

fortemente:<br />

• le modalità di gestione dei processi, i modelli<br />

di relazione tra attori e tra approcci disciplinari,<br />

la messa in campo di competenze diversificate<br />

e di prodotti differenziati, l’utilizzo<br />

di regole, da condividere, sia per ciò che<br />

attiene ai meccanismi di governance, sia per le<br />

procedure amministrative;<br />

• le profonde interrelazioni tra gli aspetti di<br />

partecipazione e quelli di pianificazione e/o<br />

programmazione dei processi di riqualificazione<br />

dei bacini fluviali.<br />

Poiché la caratterizzazione dei Contratti di<br />

Fiume come “accordi volontari” orientati alla<br />

promozione di ampia partecipazione lascia aperti<br />

molti interrogativi sulla loro efficacia rispetto<br />

agli obiettivi ove non strettamente correlati<br />

con politiche di pianificazione, all’interno della<br />

fase di V.A.S del PTR Lombardia, l’ Autorità di<br />

Bacino del Po, in stretta collaborazione con la DG<br />

Reti e la DG Territorio della Regione Lombardia,<br />

ha suggerito di promuovere una loro evoluzione<br />

verso Piani di sottobacino la cui cogenza sia ben<br />

accetta perché frutto di processi di autentica<br />

condivisione; se, infatti, la “debolezza” dei<br />

Piani stralcio di bacino – PAI, PTUA – attiene<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

forse anche alla carente partecipazione alla loro<br />

definizione, per altri versi la debolezza dei CdF<br />

potrebbe essere il loro carattere di volontarietà.<br />

Appare, pertanto, opportuno integrare le due<br />

modalità di approccio alla riqualificazione dei<br />

sottobacini mutuandone reciprocamente le<br />

caratteristiche.<br />

All’interno della fase di V.A.S. del PTR<br />

Lombardia 2 , pertanto, AdBPo, ha elaborato una<br />

proposta finalizzata a dare rilievo e cogenza alla<br />

pianificazione territoriale strategica elaborata e<br />

condivisa all’interno dei processi di CdF (scenari<br />

strategici) al fine di :<br />

• farne esplicito riferimento per gli strumenti<br />

di pianificazione territoriale alle varie scale<br />

(PTR, PTCP, PTC, PGT);<br />

• prefigurare, attraverso la sottoscrizione di apposite<br />

Intese, una valenza di tutela paesistico-ambientale<br />

dei PTCP – rif Dlgs 112/1998<br />

– che si configureranno così come Piani stralcio<br />

territoriali del Piano di bacino del Po.<br />

La Proposta di PTR Lombarda – DGR 16.01.2008,<br />

accoglie ampiamente al suo interno tali<br />

suggerimenti là ove sostiene che“ la dimensione<br />

fisica del sottobacino, correlata in modo<br />

sistemico con quella del bacino di appartenenza,<br />

si configura come potenzialmente ottimale per<br />

sviluppare processi partecipati di riqualificazione<br />

in cui un disegno strategico del territorio possa<br />

essere veramente condiviso, come mostrano le<br />

molteplici esperienze di Contratti di fiume in corso<br />

in Lombardia; (…) proprio all’interno di tali<br />

esperienze è maturata la consapevolezza della<br />

necessità di sviluppare processi di pianificazione<br />

strategica di sottobacino: per le componenti acque<br />

e suoli - in coerenza con quanto previsto a suo<br />

tempo dalla legge 183/89 – l’ambito territoriale<br />

adeguato per valutare il quadro di sostenibilità<br />

deve essere individuato nella differenziata<br />

caratterizzazione dei sottobacini idrografici<br />

del Po che, nel loro insieme, costituiscono il<br />

territorio regionale in quanto tale impostazione<br />

costituisce un irrinunciabile aspetto di coerenza<br />

esterna con la pianificazione di bacino 3 ”.<br />

In tal senso, la Proposta di PTR della Lombardia,<br />

“individua nelle differenti fisicità dei bacini idrografici/idrogeologici<br />

gli ordinatori di riferimento<br />

fondativi per i sistemi complessi e interrelati di<br />

politiche con cui si deve misurare la moltepli-<br />

119


all’insegna della sostenibilità<br />

cità dei sistemi territoriali lombardi al fine di<br />

garantire efficacia ai processi di riqualificazione,<br />

nel pieno rispetto dei Piani stralcio del Piano di<br />

bacino del Po – a cominciare da PAI e PTUA - e<br />

in costante correlazione con le politiche interregionali<br />

di riqualificazione dell’intero bacino padano<br />

4 ”.<br />

“La Regione Lombardia, pertanto, nell’intento di<br />

passare da politiche di tutela dell’ambiente a più<br />

ampie politiche di gestione delle risorse paesisticoambientali<br />

promuove per la riqualificazione dei<br />

bacini regionali processi partecipati di pianificazione<br />

strategica e programmazione negoziata – l.r. 2/2003<br />

– nella forma di Contratti di fiume (rif. l.r.<br />

26/2003 5 ) e Piani strategici di sottobacino del<br />

Po” 6 , facendo riferimento a quelle normative<br />

che chiedono alla Pubblica Amministrazione<br />

di far governance delle acque e dei suoli in modo<br />

partecipato e sussidiario. 7<br />

Più in generale, il nuovo quadro normativo<br />

regionale lombardo offre interessanti opportunità<br />

per portare ad efficacia la riqualificazione<br />

dei bacini fluviali sia tramite l’aggiornamento del<br />

Piano Territoriale Paesistico Regionale, sia attraverso<br />

l’applicazione dei “Criteri e indirizzi relativi<br />

ai contenuti paesaggistici dei Piani Territoriali di<br />

Coordinamento Provinciale” DGR VIII/6421, 27.12.<br />

2007 8 .<br />

La proposta di Piano Territoriale Regionale, infatti,<br />

“aggiorna 9 il precedente Piano Territoriale<br />

Paesistico Regionale 2001 in linea con la Convenzione<br />

Europea del paesaggio e con il D. Lgs.<br />

42/2004, proseguendo più incisivamente nell’integrazione<br />

tra pianificazione del paesaggio,<br />

pianificazione territoriale e urbanistica, pianificazione<br />

di difesa del suolo e ambientale”. 10<br />

120<br />

“Le Nuove misure di indirizzo e di prescrittività<br />

paesaggistica intendono consolidare il sistema<br />

di pianificazione urbanistico/territoriale previsto<br />

dal PAI e dalla l.r. 12/05 nei diversi livelli<br />

(comunale, provinciale e regionale) garantendo<br />

la sostenibilità delle scelte pianificatore, soprattutto<br />

in sottobacini come quello Lambro – Olona<br />

11 , corrispondente al sistema metropolitano<br />

milanese, in cui “i processi di pianificazione di<br />

sottobacino vanno sviluppati integrando le politiche<br />

regionali in materia di paesaggio (riqualificazione<br />

e recupero paesaggistico degli ambiti<br />

degradati secondo le indicazioni del Piano del<br />

Paesaggio della Lombardia) con quelle di sicurezza<br />

idraulica ed idrogeologica, di uso delle<br />

acque (collettamento, scarichi e depurazione) e<br />

dell’ambiente (rinaturalizzazione dei corsi d’acqua)”.<br />

Per concludere, visto che anche gli Indirizzi di<br />

riqualificazione e contenimento del degrado<br />

paesaggistico del Piano Paesaggistico Regionale<br />

recitano che “per intervenire sul contenimento<br />

dei processi di progressivo degrado e compromissione<br />

paesistica, particolarmente significative<br />

sono le iniziative di processi partecipati<br />

di riqualificazione paesistica e ambientale che<br />

formulano quadri strategici multiscalari e multisettoriali<br />

(“scenari di riqualificazione”, “vision”)<br />

come ad es. Contratti di fiume, Contratti di<br />

Quartiere, etc., l’elaborazione di “Linee guida”<br />

e l’individuazione e pubblicizzazione di “Buone<br />

pratiche”, 12 quale struttura di implementazione<br />

di processi di siffatta natura potrà dunque esser<br />

a tal punto efficiente da portare ad efficacia la<br />

riqualificazione?<br />

1 Il Documento strategico si compone di una prima parte, “il manifesto progettuale”, in cui si descrivono e rappresentano le<br />

condizioni di degrado dell’area individuata come ad alto rischio di crisi ambientale e l’insostenibilità del modello insediativo<br />

e, di seguito, gli obiettivi del Piano strategico, le azioni a carattere tattico e quelle a carattere strategico, le politiche di<br />

riqualificazione e rivitalizzazione dei sistemi ambientali, dei sistemi territoriali e urbani, produttivi, energetici, sociali; infine<br />

viene descritto e rappresentato lo scenario strategico di trasformazione del modello insediativo. La parte seconda riguarda<br />

invece una serie di Documenti tematici di varia natura, declinati in 13 Quadri; tra di essi, di particolare interesse: Quadro 11<br />

-Strumenti di gestione e governance del piano strategico; Quadro 12 - Progetti Pilota; Quadro 13-Progetti di ricerca.<br />

2 VAS del PTR - DGR 16.01.2008, Rapporto ambientale, Cap. 10.1.2. Un quadro di riferimento per la sostenibilità ambientale<br />

3 R.L. Proposta di PTR - DGR 16 gennaio 2008 Rapporto ambientale, paragrafo 10.1.2


all’insegna della sostenibilità<br />

4 R.L. Proposta di PTR – DGR 16 gennaio 2008 – Documento di piano Cap. 1.6. Indirizzi per il riassetto idrogeologico del<br />

territorio.<br />

5 R.L. Proposta di PTR, DGR 16.01.2008, Documento di Piano, Cap. 1.6.2.1 :“E’ la l.r. 26/2003 ad individuare come strumenti per<br />

la riqualificazione dei bacini fluviali i Contratti di fiume, che nelle pratiche avviate si sono andati configurando come processi<br />

di programmazione negoziata che si declinano in percorsi di co-pianificazione, sviluppati con metodologie partecipate, al fine<br />

di pervenire alla condivisione tra tutti gli attori coinvolti di scenari di sviluppo durevole dei bacini fluviali; la “riqualificazione<br />

di bacino” va intesa nella sua accezione più ampia e riguarda nella loro interezza gli aspetti paesistico-ambientali, riassetto<br />

idrogeologico e tutela e regolazione degli usi delle acque secondo quanto stabilito dalla legislazione nazionale (anche la legge<br />

nazionale 9/2006 di recepimento della Convenzione europea del paesaggio). Contratti di fiume e Contratti di lago sono strumenti<br />

promossi dal Piano di Tutela e Uso delle Acque (DGR 29 marzo 2006, n. 2244) come azioni sinergiche di risanamento nei bacini<br />

che presentano problemi di recupero della qualità delle acque, anche per valutare la coerenza degli interventi previsti dalle<br />

Autorità d’Ambito con le previsioni del PTUA, in modo da evitare discrasie tra lo strumento di pianificazione regionale e la<br />

concreta programmazione degli interventi.”<br />

6 R.L. Proposta di PTR, DGR 16.01.2008, Documento di Piano, Cap. 1.6.2.1 -Politiche integrate di valorizzazione paesistico-ambientale<br />

e di difesa dei suoli e delle acque: promozione di processi partecipati di pianificazione strategica e programmazione negoziata per la<br />

riqualificazione dei bacini idrografici<br />

7 R.L. Proposta di PTR, DGR 16.01.2008, Documento di Piano, Cap. 1.6.2.1 : “In particolare, la Direttiva 60/2000 CE (che prefigura<br />

politiche sistemiche di riqualificazione delle acque superficiali e sotterranee) e la più recente Direttiva 60/2007 CE (relativa<br />

alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni) indicano come irrinunciabile la qualità partecipativa dei processi da<br />

avviare per raggiungere in modo efficace gli obiettivi di tutela, così come fa la Proposta di Direttiva Quadro per la Protezione<br />

del Suolo (SFD - Soil Framework Directive) che obbliga le PA ad individuare, descrivere e valutare l’impatto delle politiche<br />

settoriali sui processi di degrado dei suoli sollecitando gli Stati membri a onorare la Strategia per lo Sviluppo Sostenibile<br />

dell’Unione Europea ed il VI Programma comunitario di azione ambientale, che hanno sancito l’obiettivo di proteggere il suolo<br />

dall’erosione e dall’inquinamento”.<br />

8 A livello provinciale, risultano particolarmente importanti come riferimento anche i “Criteri e indirizzi relativi ai contenuti<br />

paesaggistici dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale”, DGR VIII/6421, 27.12. 2007 9 attualmente vigenti; “nella<br />

legislazione e pianificazione regionale lombarda il PTCP è chiamato a rispettare e declinare gli obiettivi e le priorità della<br />

disciplina paesaggistica regionale, definendo una specifica disciplina provinciale, che tenga conto dei contenuti indicati agli<br />

articoli 135 e 143 del dlgs. 42/2004, e succ. mod. e integr., cercando di mettere in campo forme efficaci di coordinamento del<br />

livello comunale”. “Già la legge regionale di governo del territorio, n. 12, 11 marzo 2005, all’art. 15 pone l’accento sul valore<br />

integrato, coordinato e strategico della pianificazione provinciale; l’efficacia paesaggistico-ambientale, esplicitata al comma<br />

1, accompagna tutte le attività richieste dal legislatore al PTCP (…) e si affianca alla tutela ambientale e alla difesa del suolo<br />

indicate al comma 3; (…) particolare attenzione è posta nei Criteri per i PTCP alla riqualificazione dei paesaggi degradati e al<br />

contenimento dei possibili fenomeni di futuro degrado”.<br />

10 Con delibera DGR 6447 del 16 gennaio 2008 la Giunta regionale della Lombardia:<br />

- ha approvato le integrazioni e gli aggiornamenti del quadro di riferimento paesistico e degli indirizzi di tutela del PTPR<br />

del2001, come primo ed immediato aggiornamento dello stesso di competenza della giunta stessa – Tali integrazioni sono<br />

pertanto immediatamente operative.<br />

- ha inviato al Consiglio regionale la proposta complessiva del Piano Paesaggistico quale sezione specifica del PTR che<br />

comprende oltre agli aggiornamenti di cui cui sopra la revisione della disciplina paesaggitica regionale e correlati documenti<br />

e cartografie.<br />

11 R.L. Proposta di PTR – Piano Paesaggistico – Relazione generale; http://www.ptr.regione.lombardia.it<br />

12 R.L. Proposta di PTR-DOC di PIANO, Cap. 1.5.6. - ob. PTR 7,8,14,15,21: “ il sottobacino Lambro-Olona (…) una vastissima<br />

valle d’acque suddivisibile, in direzione nord-sud, in quattro bacini fluviali principali (Olona, Lambro meridionale, Seveso-<br />

Vettabbia e Lambro settentrionale) e, in senso trasversale, in due fasce facilmente riconoscibili, una porzione “asciutta” e una<br />

“irrigua”, che a loro volta si possono suddividere in due parti ciascuna, legate alle strutture idrogeologiche che le costituiscono”<br />

che, visto il fallimento di politiche di riqualificazione efficaci malgrado fosse dichiarato ad alto rischio di crisi ambientale fin<br />

dal 1987, è individuato dal PTPR regionale come caratterizzato da forte degrado paesistico-ambientale; uno di quei territori<br />

in cui, per essere efficaci ed efficienti nel coniugare la riqualificazione paesistico-ambientale alla valorizzazione e tutela delle<br />

risorse fondamentali, acque e suoli, le PA devono sperimentare e favorire nuove modalità di governance del territorio che, nella<br />

logica della sussidiarietà, siano aperte e condivise dai diversi attori che lo animano”.<br />

13 R.L. Proposta di PTR – Piano Paesaggistico Regionale. Indirizzi di riqualificazione e contenimento del degrado paesaggistico.<br />

121


all’insegna della sostenibilità<br />

122


Il paesaggio del Po o un paesaggio senza Po?<br />

Nello scorso mese di Novembre, a Frassineto<br />

Po, è stata inaugurata una struttura espositiva<br />

particolare perchè si propone l’obiettivo,<br />

indubbiamente ambizioso, di offrire gli strumenti<br />

per una lettura diacronica e multidisciplinare<br />

del paesaggio del Po nel tratto fra la confluenza<br />

con la Dora Baltea e lo Scrivia.<br />

In questo contenitore espositivo, che è stato significativamente<br />

chiamato “Centro di interpretazione<br />

del paesaggio del Po”, sono confluiti i<br />

risultati e le suggestioni di una ricerca multidisciplnare<br />

e regressiva che ha fatto emergere dal<br />

paesaggio attuale, dominato dalla risaia e comunque<br />

da un’agricoltura intensiva e dai resti<br />

di un’industrializzazione aggressiva, ma non<br />

sempre riuscita, i segni e i caratteri dei paesaggi<br />

precedenti e i meccanismi dell’interazione tra<br />

uomo e ambiente che li ha prodotti e continuamente<br />

trasformati e rimodellati.<br />

Al di là dei risultati specifici, il dato che è emerso<br />

con maggior forza è che la differenza fondamentale<br />

tra i paesaggi del passato e quelli nati<br />

negli ultimi cinquant’anni è la progressiva marginalizzazione<br />

e quasi cancellazione del fiume:<br />

il fiume non c’è più, non lo si avverte più, la sua<br />

presenza è relegata nella memoria delle persone<br />

più anziane, nell’attività ricreativa e nella cultura<br />

di una fascia ristretta della popolazione. Tutto<br />

questo, qui come altrove, è il prodotto delle profonde<br />

modificazioni intervenute nell’economia<br />

e nella società e del diverso modo di concepire<br />

lo spazio e di muoversi al suo interno: i moderni<br />

ponti in muratura permettono di attraversare il<br />

fiume come se fosse un semplice rigagnolo, le<br />

strade e le autostrade, che sono il nuovo elemento<br />

portante, corrono lontano dal fiume e anche i<br />

segni della sua presenza, come le chiome degli<br />

alberi cresciuti lungo le rive o il profilo di un argine,<br />

sono nascosti alla vista frettolosa dei viaggiatori<br />

da teorie di capannoni e di nuovi edifici.<br />

Si vive lungo il fiume senza più accorgersi della<br />

sua esistenza, senza più essere in simbiosi con<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Pier Luigi dall’Aglio<br />

esso. Il fiume però c’è, e non solo perché qualche<br />

piena ce lo porta “in casa”, ma perché l’ambiente<br />

nel quale viviamo continua ad essere strettamente<br />

connesso con il fiume. Il problema è allora<br />

quello di recuperare la consapevolezza che, oggi<br />

come un tempo, viviamo in un paesaggio che ha<br />

nel fiume l’elemento centrale e stabilmente connotativo.<br />

Le risaie, ad esempio, sono un portato<br />

recente e non è detto che continueranno anche<br />

in futuro ad avere la medesima importanza che<br />

hanno oggi. Il fiume invece c’è e ci sarà.<br />

La risposta a questo problema non può, a nostro<br />

avviso, essere quella, che si è sentita più volte riproporre<br />

anche nel corso del recente Convegno<br />

internazionale sul Po a Piacenza, di concentrasi<br />

su interventi di rinaturalizzazione del fiume e<br />

delle aree golenali. Indubbiamente restituire le<br />

golene al fiume o togliere inutili pennelli o non<br />

necessarie difese spondali, spesso realizzate con<br />

materiali assolutamente non coerenti con l’ambiente<br />

circostante, sono tutti interventi auspicabili<br />

e che hanno ricadute positive sulla “salute”<br />

complessiva di qualunque corso d’acqua, Po<br />

compreso, ma sono interventi che ripropongono<br />

il fiume come un elemento isolato, che vive di<br />

una vita propria conclusa in se stessa. E’ invece<br />

necessario occuparsi non tanto e non solo del<br />

fiume, ma di tutto il territorio il cui paesaggio<br />

è stato costruito dalla diretta interrelazione tra<br />

l’azione dell’uomo e quella del fiume.<br />

E’ questo quello che il Parco Regionale del Po,<br />

tratto Vercellese-Alessandrino, ci ha chiesto di<br />

fare: non limitarci a studiare i problemi legati<br />

all’asta del fiume, ma allargare lo sguardo per<br />

cercare di capire le dinamiche che si sono sviluppate<br />

nel corso del tempo tutt’attorno al Po e<br />

che hanno portato alla formazione del paesaggio<br />

attuale. Si tratta, per certi versi, di un’operazione<br />

estremamente innovativa soprattutto se<br />

si pensa alle caratteristiche e finalità dell’attore<br />

principale: un parco fluviale e quindi un ente<br />

che di norma agisce sull’area di diretta pertinen-<br />

123


all’insegna della sostenibilità<br />

za del fiume e con un taglio naturalistico ed ecologico.<br />

In questo caso il Parco è andato al di là<br />

delle competenze specifiche, mettendo assieme<br />

un quadro storico-paesaggistico da cui si può<br />

partire per proporre progetti di valorizzazione<br />

territoriale che recuperino il ruolo centrale del<br />

fiume.<br />

Dalla lettura integrata è così emerso come<br />

tutta l’organizzazione del popolamento e le<br />

infrastrutture territoriali abbiano sempre avuto<br />

come elemento portante il Po, anche quando<br />

vediamo gli insediamenti o l’antico asse<br />

stradale romano andare a collocarsi sul ripiano<br />

pleistocenico o comunque su quello dell’Olocene<br />

più antico. Nonostante, infatti, che questi ripiani<br />

siano alti rispetto all’area di diretta pertinenza<br />

del fiume, la presenza del Po la si avverte nel<br />

fatto che gli abitati, sia quelli romani che delle età<br />

successive, e la strada che da Pavia per Lomello<br />

raggiungeva e raggiunge Torino, tendono ad<br />

avvicinarsi il più possibile all’orlo della scarpata<br />

scolpita dal Po, quando, addirittura, non vanno<br />

a collocarsi proprio in corrispondenza di essa,<br />

come avviene, ad esempio, per le abbazie di<br />

Breme e di Acqualonga, che, nella pianura a<br />

valle della confluenza con il Sesia, sono gli<br />

organismi che rimettono a coltura il territorio<br />

dopo l’abbandono tardo-antico.<br />

Il rapporto uomo/fiume esce poi con estrema<br />

chiarezza se si considera l’ubicazione dei due<br />

centri più importanti di tutto questo settore:<br />

Casale Monferrato e Valenza. Casale sorge là<br />

dove le colline del Monferrato si interrompono<br />

per lasciare il posto alla pianura e dove, per<br />

motivi di carattere tettonico, la zona all’interno<br />

della quale il Po si è sempre spostato, è più<br />

ridotta. Lo stesso avviene più a valle, nella zona di<br />

Valenza. Qui il Po, ingrossato dal Sesia, modifica<br />

il proprio alveo descrivendo meandri più ampi,<br />

costruendo isole e correndo complessivamente<br />

più sinuoso, nonché allargando la propria fascia<br />

di meandreggiamento. In corrispondenza di<br />

Valenza, tuttavia, questa fascia si restringe per<br />

poi allargarsi di colpo, giungendo a raddoppiare<br />

la propria ampiezza. E’ dunque evidente come<br />

Casale e Valenza siano entrambe collocate là<br />

dove è più agevole attraversare la zona di diretta<br />

pertinenza del Po e dove quindi passavano le<br />

principali bretelle che in età romana, ma anche<br />

nelle epoche successive, univano la strada che<br />

124<br />

correva a nord del Po a quella che da Piacenza va<br />

a Torino, passando a sud del fiume e della colline<br />

del Monferrato. Non è quindi casuale che Casale<br />

e Valenza siano i due centri più importanti anche<br />

in età romana, ma lo stesso ruolo che Casale<br />

ha avuto in età moderna va appunto messa in<br />

relazione con la sua funzione di controllo di uno<br />

dei guadi, se non del guado più importante.<br />

Lo dimostra la posizione del castello, costruito<br />

a ridosso del fiume tra le ultime colline e la<br />

pianura e, più complessivamente, il disegno<br />

urbano di Casale caratterizzato dall’asse sudnord,<br />

cioè quello che porta al Po, che lambisce il<br />

nucleo circolare medievale.<br />

Ancor più evidente è il legame tra il fiume e la<br />

presenza dell’uomo nella bassa Lomellina. Qui<br />

non solo torna la corrispondenza dei centri più<br />

importanti con i punti di attraversamento del<br />

Po o con l’orlo delle scarpate che dominano il<br />

ripiano più basso, ma l’estensione della fascia<br />

di meandreggiamento del Po ha fatto sì che le<br />

variazioni di corso del fiume abbiano portato<br />

alla scomparsa o allo spostamento di diversi<br />

centri abitati, ad esempio quello di Sparvara,<br />

abbandonata dopo l’alluvione del 1716, e<br />

determinato la fortuna di alcune famiglie come<br />

quella dei Conti di Guazzora che nel XIII secolo<br />

basarono la propria ricchezza sullo sfruttamento<br />

delle alluvioni del Po. Essi ottennero infatti che le<br />

alluvioni di Po, Tanaro e Scrivia non si dovessero<br />

aggregare ai fondi sulla cui fronte si venissero<br />

a formare, ma fossero devoluti interamente alla<br />

loro famiglia.<br />

Una lettura che non si limiti ai caratteri attuali<br />

del paesaggio restituisce dunque una centralità<br />

del fiume che, per quanto non più avvertita,<br />

rimane anche oggi. Qualunque progetto di<br />

valorizzazione territoriale non può quindi<br />

prescindere da tale centralità, una centralità che<br />

però non può né deve essere intesa come una<br />

riproposizione del fiume quale un ecosistema<br />

autonomo e chiuso, ma come un elemento di un<br />

ecosistema più ampio e complesso.<br />

Questa visione deve ispirare anche gli interventi<br />

di “ingegneria fluviale” se non si vuole arrivare<br />

ad un fiume ridotto sempre più ad un canale di<br />

servizio e ad un paesaggio che, rifiutandolo e<br />

marginalizzandolo, finisce per negare se stesso.


Le Risorse Primarie e il Consumo di Suolo<br />

• Dollaro, grano e petrolio, di Antonio Saltini<br />

• Per uno statuto dei suoli, di Damiano Di Simine<br />

• La città in estensione. Un percorso di progetto, di Maria Cristina Treu<br />

• Territorio, sicurezza alimentare e riforme attese, di Enrico Bussi<br />

• Ma le biomasse sono davvero una fonte energetica rinnovabile?, di Gabriele Bollini<br />

• Monnezza e dintorni, di Giuseppe Piacentini<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

125


all’insegna della sostenibilità<br />

126


Dollaro, grano e petrolio<br />

Se ne è accorta la televisione di intrattenimento.<br />

Chi scrive non possiede un televisore, ma è stato<br />

costretto, a casa di un amico, ad un pomeriggio<br />

alla presenza incombente del teleschermo. Era la<br />

vigilia di Natale: divi di vario splendore e numi<br />

del proscenio politico erano interpellati sui<br />

preparativi del cenone. L’anziano Mentore del<br />

serial televisivo rimpiangeva i tempi in cui era<br />

possibile acquistare l’indispensabile per il cenone<br />

con un milione di lire, si univa al lamento l’alfiere<br />

della politica spettacolo della rutilante età<br />

di Craxi, l’amabile intrattenitore interrompeva<br />

l’intervista e cedeva la linea all’inviato speciale<br />

al mercatino rionale, che mostrava, indignato,<br />

i prezzi sul tronco di pescespada e sul cumulo<br />

di indivie. Sdegnato da quello delle ciliegie, 22<br />

euro al chilo! Un frutto di stagione! Per Natale!<br />

Se ne sono accorti i rotocalco destinati al<br />

divanetto del barbiere, che hanno affrontato<br />

l’argomento con impegnative interviste al<br />

panettiere e alla pensionata che la pasta, ai prezzi<br />

che ha raggiunto, non può più permettersela. Se<br />

ne è accorto il re dei giornali, che ha bandito le<br />

appassionate denunce della signora che ispira il<br />

pensiero delle casalinghe con villa all’Argentario<br />

e a Cortina: cresce il prezzo degli alimentari. E’<br />

inaudito!<br />

Nella denuncia che ha accomunato tv spazzatura<br />

e rotocalchi da cassonetto gli esperti interpellati<br />

non hanno esitato a identificare la causa dei<br />

rincari in un crimine orrendo: la speculazione.<br />

Singolarmente, chi denuncia la speculazione sul<br />

quotidiano che si stampa in via Solferino leva lo<br />

stesso grido che, a distanza di due isolati, levava,<br />

l’anno di grazia 1628, il giorno di San Martino,<br />

la folla che assaliva i forni di piazza Cordusio:<br />

morte agli incettatori!<br />

Se ne è accorta la tv spazzatura, se ne sono<br />

accorti i settimanali sfoglia e getta: il prezzo<br />

del cibo cresce. Ha iniziato a crescere quello<br />

dei cereali, li ha seguiti il latte, li seguirà,<br />

inevitabilmente, la carne, che dei cereali non è<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Antonio Saltini<br />

che un derivato. Rialzi modesti. Un chilo di pane<br />

costava, nel 1960, come un chilo di frumento: 60<br />

lire. Il guadagno del mugnaio corrispondeva al<br />

valore della crusca, quello del fornaio a quello<br />

dell’acqua. Oggi (ieri) per acquistare un chilo<br />

di pane occorre (occorreva) il ricavato di venti<br />

chili di frumento: i panettieri hanno potuto<br />

rispondere al primo aumento della farina senza<br />

ritoccare il prezzo del pane.<br />

Aumenti modesti, che, fossero, come proclamano<br />

gli esegeti della tv, frutto della speculazione,<br />

potrebbero dissolversi appena le autorità infliggessero<br />

qualche punizione esemplare. Che<br />

era quanto chiedeva la folla in piazza Cordusio.<br />

“Siccome, però, tutti i provvedimenti di questo<br />

mondo, per quanto siano gagliardi – rileva l’illustre<br />

cronista della sommossa- non hanno virtù di diminuire<br />

il bisogno del cibo, né di far venir derrate<br />

fuor di stagione… così il male durava e cresceva…”<br />

Che costituisce il problema sul quale i panettieri<br />

intervistati non sanno pronunciarsi: continueranno<br />

i prezzi a salire? Il male è fenomeno congiunturale,<br />

o è destinato a protrarsi?<br />

Nel 1972 l’agricoltura sovietica, gigante deforme<br />

e impotente, realizzò un raccolto tanto esiguo che<br />

l’inverno sarebbe stato senza pane. Si riunisce<br />

il Politburo: sull’aula incombe lo spettro di<br />

Novocherkassk, la città dove dieci anni prima,<br />

in circostanze analoghe, la folla affamata si è<br />

scontrata con la polizia, che ha sparato uccidendo<br />

decine di dimostranti.<br />

Il consesso verifica che al cittadino sovietico è già<br />

proibito tutto: non si può proibirgli di mangiare.<br />

Le riserve di oro consentono, peraltro, l’acquisto<br />

di quanto frumento e mais si voglia: con venti<br />

tonnellate di metallo si acquistano quaranta<br />

milioni di tonnellate di cereali, da trasformare<br />

in carne e formaggio, e continuare a ripetere ai<br />

sudditi che solo loro, in un Pianeta affamato,<br />

imbandiscono la tavola con la carne due volte<br />

la settimana.<br />

127


all’insegna della sostenibilità<br />

A differenza degli occidentali i sovietici sanno<br />

decidere in segreto: la scelta dei vertici è<br />

trasmessa all’organo creato, con magniloquenza,<br />

per esportare cereali, che in incontri riservati<br />

con i mercanti americani acquista 24,2 milioni<br />

di tonnellate. Il riserbo è tale che quando il<br />

presidente Nixon, avvertito dalla Cia il 31 agosto,<br />

informa i giornali, gli americani si accorgono<br />

che le scorte nazionali sono state trasferite dal<br />

Mississippi ad Odessa. Per due anni steack e<br />

hamburger saranno più cari .<br />

Segue la più violenta impennata dei prezzi che si<br />

sia registrata nella metà di secolo trascorso tra il<br />

1955 e il 2005. L’Italia è colta disarmata, a Napoli<br />

(naturalmente Napoli) vengono assaliti tre forni,<br />

un terrorizzato ministro dell’agricoltura, Mario<br />

Ferrari Aggradi, vola a Washington a implorare<br />

l’aiuto del collega americano, che gli spiega che<br />

il suo Governo non commercia in granaglie, ma<br />

che sarà sufficiente prolungare il viaggio fino a<br />

Chicago per acquistare, al Board of trade, tutto il<br />

grano e il mais che l’Italia desideri convertire<br />

in pane e salcicce. I prezzi sono alti? Il Ministro<br />

non comanda alla Borsa.<br />

La fiammata dei prezzi accende il confronto tra<br />

gli osservatori dello scenario agrario internazionale:<br />

a chi sostiene che l’evento sia accidentale,<br />

siccome le capacità del Pianeta di produrre<br />

alimenti sarebbero lontane dai propri limiti, si<br />

oppone chi asserisce che gli acquisti russi hanno<br />

prodotto l’emergere del primo segno della rottura<br />

degli equilibri tra risorse naturali e bisogni<br />

dell’umanità, che continua a crescere numericamente<br />

e a dilatare il prelievo di ogni abitante sul<br />

patrimonio comune. Nell’Italia felice di essere<br />

assurta a potenza industriale, in fidente attesa<br />

che sindaci e geometri urbanizzino l’ultimo metro<br />

di campagna, il confronto non desta che eco<br />

remote. Tra Washington, Parigi e Pechino si svilupperà,<br />

invece, nei decenni successivi.<br />

Se ne può enucleare il contrappunto nel rilievo<br />

con cui ha definito le ipotesi opposte, in un saggio<br />

relativamente recente, Alex Mc Calla, professore<br />

in California, capo di uno degli uffici studi della<br />

World Bank. Alle opinioni opposte, la certezza<br />

dell’esistenza, su scala planetaria, di potenzialità<br />

produttive inespresse, l’asserzione che i margini<br />

residuali sarebbero esigui, corrisponderebbe<br />

esattamente, secondo l’economista americano,<br />

la professione degli studiosi schierati sotto le<br />

128<br />

bandiere contrarie: la prima tesi raccoglierebbe<br />

il consenso degli economisti, la seconda quello<br />

dei naturalisti. La certezza dei primi che<br />

l’agricoltura mondiale possa produrre molto di<br />

più, si fonderebbe, secondo Mc Calla, sul rilievo<br />

del trend calante dei prezzi reali durante l’intero<br />

cinquantennio chiuso l’anno 2000: prezzi calanti<br />

significano, secondo un dogma economico<br />

inviolabile, assenza di stimoli ad investire. Se<br />

gli agricoltori hanno aumentato le produzioni,<br />

per cinque decenni, a prezzi calanti, è certo, per<br />

gli economisti, che, se i prezzi fossero saliti, gli<br />

stessi agricoltori avrebbero investito, e prodotto<br />

di più.<br />

Sul fronte opposto, gli esponenti delle discipline<br />

naturalistiche, geografi, pedologi, botanici<br />

e agronomi, hanno continuato a sommare<br />

le ragioni per cui l’agricoltura del Pianeta<br />

non potrebbe produrre molto più di quanto<br />

producesse l’anno 2000: su tutti i continenti<br />

città e industrie sottraggono volumi crescenti<br />

dell’acqua degli invasi creati per irrigare mais<br />

e frumento, e superfici immense di suoli, quelli<br />

di cui decine di generazioni di coltivatori<br />

hanno progressivamente elevato la fertilità.<br />

Centinaia di milioni di ettari, su tre continenti,<br />

sono preda dell’erosione, che sottrae centinaia<br />

di milioni di tonnellate di humus. Fertilizzanti<br />

e antiparassitari hanno contribuito, dal 1950, a<br />

triplicare le produzioni cerealicole, ma non è<br />

possibile distribuirne, sulle campagne dei sei<br />

continenti, quantità maggiori. La genetica, per<br />

i chierici della disciplina chiave di ogni aumento<br />

delle produzioni, sta rivelando limiti che nei<br />

decenni scorsi nessuno specialista avrebbe<br />

previsto. Gli ibridatori che, con procedure ancora<br />

primitive, creavano nuovi risi e frumenti negli<br />

anni Sessanta e Settanta, avrebbero ottenuto<br />

risultati tali da avvicinare le piante fondamentali<br />

ai propri “limiti biologici”: salvo “creare” piante<br />

nuove, i prodigiosi strumenti della biologia<br />

molecolare non sarebbero in grado di fare<br />

di più. A conferma del rilievo gli incrementi<br />

annuali delle produzioni essenziali denunciano,<br />

da tre decenni, una sistematica contrazione: si<br />

impiegano mezzi nuovi, gli incrementi che se<br />

ne ricavano sono inferiori a quelli che mezzi<br />

comparativamente rudimentali assicuravano<br />

negli anni Sessanta.<br />

Due schieramenti, due analisi del medesimo


scenario: da postulati diversi, un teorema<br />

economico, l’esame dello stato delle risorse,<br />

conclusioni in opposizione, prospettive future<br />

radicalmente divergenti. Il rilievo di Mc Calla<br />

riassume le argomentazioni del fronte degli<br />

economisti, non esonera dalla verifica delle<br />

tesi capitali dello schieramento avverso, tra<br />

le quali si impongono le enunciazioni di<br />

Lester Brown, già direttore dell’International<br />

agricultural development Service del Ministero<br />

dell’agricoltura di Washington, presidente di<br />

successivi centri di studi di cui voci informate<br />

hanno suggerito le affinità elettive con la Cia,<br />

nella sfera agraria interessata a verificare<br />

l’evoluzione dei rapporti tra le potenze in grado<br />

si soddisfare la richiesta mondiale di alimenti o<br />

di frustrarla.<br />

Sostenitore, fino dal 1976, quando assumeva la<br />

presidenza del neocostituito Worldwatch Institute<br />

di Washington, dell’inarrestabile contrazione<br />

dei margini di produttività dell’agricoltura<br />

mondiale, Brown precisava la propria visione<br />

del futuro alimentare, nel 1995, in un pamphlet<br />

il cui titolo avrebbe costituito cippo miliare del<br />

dibattito sugli equilibri tra le risorse ed i bisogni<br />

umani. Who will feed China? Chi sfamerà la Cina?<br />

proponeva una tesi di elementare semplicità:<br />

la Cina ha vinto, scriveva Brown, il confronto<br />

millenario con la fame, lo ha vinto assicurando<br />

alla popolazione una dieta che supera le 3.000<br />

calorie, una dieta fondata sul riso con contributi<br />

modesti di carne di pollo e suino. Ma la Cina<br />

mostrava di essere sulle soglie, era, sottolineo, il<br />

1995, di uno sviluppo economico che si prospettava<br />

travolgente: il nuovo benessere avrebbe<br />

mutato, prima di qualunque cosa diversa, il regime<br />

alimentare, che avrebbe assunto come pilastro<br />

la carne. Ma la Cina non disponeva che di<br />

un decimo di ettaro di suoli arativi per abitante,<br />

una superficie con la quale la dieta occidentale<br />

fondata sulla carne è impossibile. E, convertendosi<br />

in potenza industriale, la Cina avrebbe ricoperto<br />

di cemento milioni di ettari di risaie: i<br />

cereali da trasformare in carne avrebbe dovuto<br />

acquistarli sul mercato mondiale.<br />

L’industrializzazione cinese non avrebbe potuto<br />

non percorrere, argomentava Brown, la strada<br />

seguita da Giappone, Corea e Taiwan, che<br />

all’alba del proprio sviluppo disponevano di una<br />

superficie equivalente a quella cinese, che per<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

realizzare industrie e aeroporti l’hanno ridotta<br />

ad un trentesimo di ettaro. Con la conseguenza<br />

della dipendenza, pressoché totale, dai mercati<br />

internazionali. Il Giappone vive, oggi, di cereali<br />

sbarcati da Stati Uniti, Canada e Argentina:<br />

25 milioni di tonnellate ogni anno. Se la Cina<br />

avesse ricalcato l’esempio nipponico l’entità<br />

delle sue importazioni avrebbero superato,<br />

prevedeva Brown, i 200 milioni di tonnellate, una<br />

quantità equivalente alla somma del commercio<br />

mondiale.<br />

Singolarmente, mentre Brown moltiplicava le<br />

prove dell’incombente penuria planetaria, il<br />

Governo americano combatteva la guerra più<br />

ostinata per ottenere lo smantellamento del<br />

sistema agricolo europeo. I nostri produttori<br />

sono più efficienti, hanno diritto di vendere ai<br />

vostri consumatori, hanno ripetuto, petulanti<br />

e minacciosi, per trent’anni, i negoziatori<br />

americani. Dovete smantellare il vostro apparato<br />

agricolo, che è costoso e inefficiente: i primi<br />

beneficiari saranno i vostri consumatori. Potete<br />

farlo con sicurezza: siamo il fornitore più sicuro,<br />

più reliable, del Globo. Vi riforniamo oggi, vi<br />

riforniremo domani.<br />

Le pretese americane si sono scontrate, per<br />

trent’anni, con le fondamenta del meccanismo<br />

concepito, dai padri della Comunità europea, De<br />

Gasperi, Schumann e Adenauer, perché i popoli<br />

uniti nel sodalizio non avessero più a conoscere<br />

la penuria, una penuria che non ha mancato di<br />

convertirsi in fame, degli anni drammatici tra il<br />

1945 e il 1947. Poi nella Comunità entrava l’Inghilterra,<br />

che della Comunità non aveva contribuito<br />

a fissare le fondamenta, che quelle fondamenta<br />

ha sempre contestato, in singolare, perfetta<br />

sintonia con Washington. Alla volontà inglese<br />

di distruggere la macchina agricola comunitaria<br />

si univa, in disinteressata comunione di intenti,<br />

il mondo industriale, desideroso di dilatare le<br />

importazioni agricole per favorire le esportazioni<br />

manifatturiere. E non è stato, probabilmente,<br />

casuale che gli auspici dell’industria abbiano<br />

suscitato l’appassionata adesione della grande<br />

stampa, che per tre decenni ha suonato pifferi e<br />

tamburi per denunciare la “vergogna” dei “surplus”,<br />

gli eccessi di produzione che un sistema<br />

concepito per assicurare l’approvvigionamento<br />

di trecento milioni di consumatori determina,<br />

inevitabilmente, nelle annate favorevoli, per la<br />

129


all’insegna della sostenibilità<br />

banale ragione che il clima non legge il Corriere<br />

della sera.<br />

Mentre pretendevano lo smantellamento dell’apparato<br />

agricolo europeo, per poter mantenere le<br />

promesse del produttore più reliable del Globo,<br />

gli Stati Uniti hanno continuato, qualsiasi fosse<br />

il volume delle proprie eccedenze, a potenziare<br />

la propria agricoltura, per la quale nessun presidente,<br />

governassero democratici o repubblicani,<br />

ha ridotto contributi e sovvenzioni.<br />

Mentre proclamava, in tutte le sedi negoziali,<br />

che era doveroso che la Comunità smantellasse<br />

la propria agricoltura, l’amministrazione di<br />

Washington dimostrava di ritenere la propria<br />

macchina agricola altrettanto importante del<br />

proprio apparato militare: una chiave per la<br />

conservazione della preminenza mondiale. Le<br />

catastrofiche previsioni di Brown, a Roma e a<br />

Bruxelles reputate malinconiche fantasie, suscitavano,<br />

verosimilmente, l’attenzione della<br />

Segreteria di Stato: l’importanza di avere lettori<br />

alla Cia!<br />

L’attenzione della Segreteria di Stato ha dimostrato<br />

la propria fondatezza quando il dollaro ha<br />

iniziato il declino che, reputato, all’alba del millennio,<br />

circostanza occasionale, appare sempre<br />

più il segno del tramonto degli Stati Uniti quale<br />

prima potenza economica mondiale.<br />

Prima potenza economica del Pianeta, gli<br />

Stati Uniti hanno finanziato, dal termine del<br />

secondo conflitto mondiale, un astronomico<br />

disavanzo valutario, fatto di acquisti di materie<br />

prime, di manufatti, di imponenti spese militari<br />

all’estero, stampando dollari e titoli di stato<br />

che tutte le banche del Mondo accumulavano,<br />

avidamente, nei propri forzieri. In cinquant’anni<br />

di disavanzo dollari e titoli dedicati a George<br />

Washington hanno raggiunto un’entità che non<br />

ha, verosimilmente, più relazione con il ruolo<br />

effettivo dell’economia americana. Per ripagare<br />

i dollari posseduti da tutte le banche del Pianeta<br />

gli Stati Uniti dovrebbero offrire una quantità di<br />

beni e servizi, una montagna di lingotti, che non<br />

possiedono.<br />

Svalutando il dollaro, definitivamente, e non<br />

temporaneamente, possono scaricare su tutte<br />

le banche del Mondo, ricolme di dollari, il costo<br />

di quarant’anni di imprese militari: il sistema<br />

bancario del Pianeta sta ripagando il gendarme<br />

130<br />

del Mondo di tutte le spese dalla guerra di Corea<br />

a quella del Vietnam, dall’Afganistan all’Irak.<br />

Segno e prova del declino del dollaro, la sua<br />

inarrestabile perdita di valore rispetto al petrolio:<br />

se l’economia americana è fondata sull’illimitata<br />

disponibilità di energia, la capacità del dollaro<br />

di convertirsi vantaggiosamente nella capitale<br />

materia prima energetica era la prova del<br />

ruolo mondiale dell’economia che nel dollaro<br />

si esprimeva, la sua incapacità a trasformarsi<br />

vantaggiosamente in energia è la prova che<br />

la prima moneta del mondo è decaduta, che<br />

l’economia che in quella moneta si identifica ha<br />

iniziato il declino verso un ruolo che non sarà<br />

più il primo del Mondo.<br />

Ma se il dollaro non è più capace di convertirsi<br />

in energia, gli Stati Uniti disponevano di una<br />

chiave diversa della vita economica che, seppure<br />

l’opinione collettiva lo avesse dimenticato, non<br />

è meno indispensabile dell’energia: il grano, in<br />

termini più ampi i cereali. Primo produttore<br />

mondiale di mais, gli Stati Uniti ne sono il primo<br />

esportatore, come sono il primo esportatore<br />

mondiale di frumento e di soia. Sono: erano.<br />

Nel turbinare della crisi dei mercati del 1973,<br />

quando alla vampata dei prezzi dei cereali<br />

seguì, con la guerra in Palestina, quella del<br />

petrolio, più di un osservatore americano<br />

annotò che contro l’oilpower che pretendevano di<br />

esercitare gli sceicchi, l’America avrebbe potuto<br />

impiegare l’agripower, il potere di affamare il<br />

Pianeta. Il proclama fu sepolto, felicemente, dal<br />

ventennio di surplus incontenibili che seguì gli<br />

anni di crisi. Se gli Stati Uniti hanno impiegato<br />

tutte le armi negoziali, ed i ricatti politici, per<br />

annientare l’agricoltura altrui e imporre a chi<br />

produceva i propri cereali di abbandonare la<br />

produzione per consumare cereali americani,<br />

è verosimile che tanta protervia negoziale non<br />

fosse frutto del capriccio, che rispondesse a un<br />

disegno strategico. Quel disegno si è rivelato,<br />

inequivocabile, al crollo del dollaro. Provata<br />

l’incapacità del dollaro a convertirsi in energia,<br />

a Washington è stato deciso di convertire in<br />

energia il mais del Corn Belt, un progetto che<br />

verrà perfezionato, pare, in poco più di quattro<br />

anni, escludendo gli Stati Uniti dal novero degli<br />

esportatori di cereali. Che significa il crollo<br />

dell’allevamento di polli, suini e vacche da<br />

latte in tutto il mondo arabo e nelle prepotenti


nazioni asiatiche che contendono agli Stati Uniti<br />

il primato economico mondiale. Nelle quali il<br />

sogno, analizzato dallo psicanalista Brown, di<br />

mangiare carne tre volte la settimana, dimostrerà<br />

tutte le valenze della visione ossessiva.<br />

Ma se il mais americano non raggiungerà<br />

più gli allevamenti del Globo, che dovranno<br />

ridimensionare l’attività secondo disponibilità di<br />

cui è difficile prevedere la consistenza, se l’Asia<br />

dovrà rinunciare al sogno della carne, non è<br />

immaginabile che alla rivoluzione possa sottrarsi<br />

l’Italia, un paese in cui un’urbanizzazione<br />

che può solo definirsi furente ha dimezzato la<br />

disponibilità di campi in pianura, tanto che su<br />

quattro chili di pane che ci vende il fornaio tre<br />

derivano da frumento di importazione. Non può<br />

sottrarsi al ciclone alimentare un paese dove da<br />

vent’anni contendono il proscenio agricolo le<br />

primedonne regionali, nell’assoluta assenza di<br />

qualunque politica agricola nazionale.<br />

Si è accorta che il prezzo del cibo aumenta la<br />

tv spazzatura, se ne è accorta la stampa che<br />

dal divanetto del barbiere viene trasferita,<br />

puntualmente, nel cassonetto, non se ne è<br />

accorto l’ultimo Ministro dell’agricoltura.<br />

Non avrebbe potuto. Era il continuatore di<br />

una serie ininterrotta di statisti, dalla signora<br />

Poli Bortone all’avvocato Pecoraro Scanio, al<br />

laureando ingegner Alemanno, che occupavano<br />

il posto con il solo interesse delle nomine negli<br />

enti di competenza ministeriale: esemplare il<br />

gesto cortese di Alemanno, che il giorno del<br />

matrimonio del portaborse ha donato alla sposa<br />

la direzione generale della ricerca scientifica<br />

nazionale.<br />

Ma la serie degli incompetenti, verosimilmente<br />

più interessati alle nomine che alle sorti della<br />

patria agricoltura, è stata interrotta, per due<br />

volte, dall’enfant prodige del pensiero agrario<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

nazionale, il professor De Castro, che a provare<br />

le benemerenze per l’imbandigione della tavola<br />

degli italiani ha vergato un libro, in cui vanta di<br />

avere operato, novello Cavour, il ribaltamento<br />

delle alleanze, schierandosi contro la Francia,<br />

l’alleata antica, a fianco dell’Inghilterra, l’alleata<br />

nuova. Contro la Francia fautrice della filosofia<br />

della sicurezza degli approvvigionamenti del<br />

Trattato di Roma, primo produttore europeo<br />

di frumento, tanto da garantirci, nel contesto di<br />

quella filosofia, i tre chili di grano che ci mancano<br />

per mettere in tavola il pane tutti i giorni.<br />

Ma quella filosofia era, spiega il Professore,<br />

ridicola anticaglia. A fianco dell’Inghilterra,<br />

che assicurava che l’anticaglia si poteva gettare<br />

perché gli amici americani erano il fornitore più<br />

reliable del Globo. Parola di chi sa cosa significhi<br />

essere la prima potenza del Pianeta, e perdere<br />

il posto.<br />

L’essenza del futuro agrario consisterebbe, si<br />

evince dalle pagine illuminanti, nelle specialità<br />

gastronomiche: lardo di Colonnata e culatello<br />

di Felino. Una visione in singolare sintonia<br />

con la gustosa filosofia dell’agricoltura del<br />

divulgatore gastronomico che capovolgendo<br />

la locuzione americana fast food ha creato<br />

l’agenzia di promozione culinaria di maggior<br />

successo del Paese. Tanto da indurre a credere<br />

che, incantato dal successo del re dei cuochi, il<br />

Professore abbia ridisegnato il pensiero agrario<br />

sui testi di Anthèlme Brillant Savarin. Possiamo<br />

confidare nel futuro alimentare: mangeremo<br />

pane un giorno ogni quattro, ma il companatico,<br />

con provenienza certificata da Colonnata<br />

o Langhirano, ripagherà gioiosamente del<br />

digiuno.<br />

131


all’insegna della sostenibilità<br />

132


Per uno statuto dei suoli<br />

E’ possibile pensare al suolo come ad una risorsa<br />

naturale finita e non rinnovabile? Sembrerebbe<br />

una domanda semplice a cui dare una risposta<br />

scontata, eppure nel corposo sistema normativo<br />

del nostro Paese non esiste nulla che affermi ciò<br />

e ne faccia discendere una disciplina di tutela.<br />

Di più: non esiste nemmeno una ‘contabilità’ dei<br />

suoli, nessuno è in grado di dire con precisione<br />

quanto suolo venga consumato ogni anno per<br />

case, capannoni, strade, parcheggi.<br />

E’ l’intero nostro ordinamento ad essere privo<br />

di uno ‘Statuto’ dei suoli, che elevi questa<br />

risorsa al ruolo che le compete, implicito<br />

alla definizione che ne danno gli studiosi: “il<br />

prodotto della trasformazione di sostanze minerali e<br />

organiche, operata da fattori ambientali attivi per un<br />

lungo periodo di tempo sulla superficie della Terra<br />

... capace di provvedere allo sviluppo delle piante<br />

superiori e, pertanto, di assicurare la vita all’uomo<br />

e agli animali”. Dunque, i suoli sono frutto di<br />

una evoluzione lenta nella storia biologica<br />

del pianeta: anche in Pianura Padana, area<br />

geologicamente giovane, gran parte dei suoli<br />

attuali si sono evoluti nell’arco di decine o<br />

anche di centinaia di migliaia di anni. Per di più<br />

si tratta di una risorsa limitata e circoscritta alla<br />

superficie terrestre – il suolo fertile è solo un<br />

sottilissimo strato di poche decine di centimetri<br />

– oltre che non rinnovabile, se non in tempi che<br />

trascendono la nostra esistenza. Esso inoltre è il<br />

substrato indispensabile della vita vegetale e di<br />

tutti gli organismi che dai vegetali dipendono,<br />

quindi anche di quelli appartenenti alla specie<br />

umana. Ciò che è chiara evidenza per scienziati<br />

ed agricoltori, non sembra esserlo per i legislatori<br />

regionali né per quelli nazionali, che tutt’al più<br />

hanno previsto tutele parziali e condizionate,<br />

riferite a specifici attributi e funzioni.<br />

La legge nazionale sulla tutela dei suoli, la<br />

ormai storica 183/89, è un’ottima legge il cui<br />

titolo trae in inganno: essa infatti si occupa in<br />

realtà di bacini idrografici e di prevenzione del<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Damiano Di Simine<br />

dissesto, ovvero di una funzione connessa ai<br />

suoli e alla regolazione idrica che deve essere<br />

salvaguardata. Una funzione indubbiamente<br />

fondamentale, ma il suolo è molto di più e<br />

altro.<br />

La legislazione urbanistica, sia quella tradizionale<br />

che quelle di “nuova generazione”, considera<br />

il suolo per la sua mera dimensione spaziale<br />

e, nonostante le buone intenzioni talvolta dichiarate,<br />

non riesce mai ad andare oltre un’idea<br />

di fondo, che è l’idea del ‘costruire città’, in cui<br />

il suolo “libero” è un contorno del progetto,<br />

magari importante – come lo è lo sfondo per il<br />

ritratto della Gioconda – ma comunque non è<br />

“il soggetto”, la risorsa in sé da valorizzare per<br />

quello che è e per quello che può produrre a<br />

partire, in prima istanza, dalla vita vegetale.<br />

Nelle norme di tutela paesaggistica, come in<br />

quelle sulle aree protette, il suolo è un valore<br />

solo se produce un attributo particolare e meritevole<br />

di un qualche rispetto estetico–contemplativo<br />

o naturalistico, comunque “speciale”.<br />

La Convenzione Europea del Paesaggio ha introdotto,<br />

certo, una innovazione, declinando il<br />

concetto di paesaggio verso quello di ‘habitat<br />

di ogni comunità’: una rivoluzione concettuale<br />

profonda, non priva di ricadute su quello che<br />

dovrebbe essere uno statuto dei suoli, ma ancora<br />

del tutto priva di qualsiasi sviluppo legislativo<br />

nel nostro Paese, che pure l’ha ratificata.<br />

In Italia la costruzione e la manutenzione del<br />

paesaggio resta un sottoprodotto, non particolarmente<br />

obbligatorio, della programmazione<br />

urbanistica che, come detto, tutt’al più si occupa<br />

di plasmare e rimodellare il solo paesaggio<br />

urbano a scapito di tutto il resto.<br />

Il suolo peraltro non è riducibile al paesaggio:<br />

substrato essenziale per l’espressione della<br />

biodiversità terrestre e base produttiva per<br />

l’agricoltura, nella sua estensione e nella<br />

diversificazione degli ambienti esso, certo,<br />

133


all’insegna della sostenibilità<br />

esprime il paesaggio come irrinunciabile spazio<br />

“sociale” e identitario di una comunità, ma<br />

in primo luogo definisce un intero comparto<br />

della biosfera (la “pedosfera”) di importanza<br />

fondamentale per la chiusura dei cicli<br />

biogeochimici (tra questi, il ciclo del carbonio<br />

di cui il suolo è il principale “sink” terrestre)<br />

oltre per il ciclo dell’acqua. Solo in ultima<br />

istanza, il suolo è anche spazio disponibile per<br />

insediamenti e infrastrutture la cui realizzazione<br />

– se applichiamo le basilari definizioni di<br />

sviluppo sostenibile - non può pregiudicare i<br />

diritti e le possibilità delle future generazioni.<br />

Non è poi così normale che le sorti del suolo<br />

vengano stabilite per via esclusivamente<br />

amministrativa da atti che si richiamano<br />

alla disciplina urbanistica, dal momento che<br />

questa disciplina è “incompetente” rispetto<br />

all’esigenza di conservazione della risorsa. Ed in<br />

effetti all’estero ciò non è: altri Paesi, che come<br />

l’Italia hanno conosciuto i problemi connessi<br />

con il consumo dei suoli e con la conseguente<br />

trasformazione del paesaggio, hanno sviluppato<br />

norme che attribuiscono al suolo valore di<br />

bene indisponibile. Ogni trasformazione,<br />

ogni rivendicazione di diritti, incluso quello<br />

edificatorio, è subordinata alla prevalenza<br />

dell’interesse pubblico alla conservazione del<br />

complesso delle funzioni e dell’organizzazione<br />

dei suoli.<br />

Da noi invece la produzione normativa recente<br />

ha istituzionalizzato la contrattazione di<br />

aree e destinazioni su base sostanzialmente<br />

privatistica, indebolendo le possibilità di agire<br />

per salvaguardare la preminenza dell’interesse<br />

collettivo sulle aspettative di imprese e privati.<br />

L’Unione Europea si è allertata, per mettere<br />

in guardia i Paesi membri circa i rischi della<br />

crescita inflattiva e disordinata del consumo di<br />

suolo. Ma anche in Europa quella della tutela<br />

dei suoli è una “sfida ignorata” 1 , sebbene alcuni<br />

Paesi, a cominciare dalla Germania, vantino in<br />

questo campo corpi legislativi estremamente<br />

avanzati. La Valutazione Ambientale Strategica<br />

finalmente entrata nel nostro ordinamento è<br />

strumento per verificare la sostenibilità delle<br />

scelte di pianificazione territoriale e imporre<br />

azioni compensative. Ma anche questo<br />

strumento risulta depotenziato, in quanto al<br />

suolo non viene riconosciuto lo status che gli<br />

134<br />

compete: la perdita o la compromissione di<br />

suolo non è contabilizzata come un danno<br />

ambientale connesso alle trasformazioni, se non<br />

per via indiretta.<br />

E’ a partire da questa constatazione che, in una<br />

regione ad altissima densità insediativa come la<br />

Lombardia, la Legambiente, insieme ad alcuni<br />

docenti e ricercatori, ha avviato un dibattito con<br />

urbanisti, economisti, ma anche agricoltori ed<br />

amministratori sul riconoscimento di uno statuto<br />

dei suoli e sull’introduzione di strumentazioni<br />

normative per limitarne il consumo e il cattivo<br />

uso.<br />

In Lombardia, come nelle altre regioni italiane,<br />

le leggi urbanistiche non hanno finora prodotto<br />

alcun argine alla crescita degli spazi urbanizzati<br />

a scapito del tessuto rurale. Le stesse province<br />

lombarde, che pure si sono finalmente dotate<br />

di strumenti di pianificazione d’area vasta (i<br />

Piani Territoriali di Coordinamento) - in diversi<br />

casi anche di ottima qualità come nel caso del<br />

PTC in discussione in Provincia di Milano -<br />

hanno assistito ad una progressiva erosione<br />

delle possibilità di intervenire e guidare i<br />

processi di trasformazione territoriale, pur<br />

restando almeno per ora titolari dell’importante<br />

responsabilità di disciplinare gli ambiti agricoli.<br />

Per questo abbiamo iniziato a raccogliere punti<br />

di vista intorno a una proposta che attribuisca<br />

al suolo un valore riconosciuto, che obblighi a<br />

monitorarne lo stato e le trasformazioni. Questo<br />

percorso sta già da ora raccogliendo il contributo<br />

di ricercatori e studiosi di vari settori, perchè<br />

non pensiamo che definire uno ‘Statuto dei<br />

suoli’ sia solo affare da urbanisti: esso chiama in<br />

causa le competenze di agronomi, paesaggisti,<br />

pedologi, chimici del suolo, naturalisti, forestali,<br />

ma anche studiosi di scienze economiche e<br />

discipline sociali. Perno della nostra proposta<br />

è quello che la tutela del suolo chiami in causa<br />

un principio di responsabilità (delle istituzioni,<br />

degli operatori, a partire dal settore delle<br />

costruzioni) nei confronti della risorsa, che<br />

trova un primo momento di applicazione nel<br />

meccanismo della “compensazione ecologica<br />

preventiva” (Pileri 2007) 2 : in pratica si tratta di<br />

imporre il collegamento di ogni trasformazione<br />

urbanistica a carico dei suoli all’obbligo di una<br />

misura compensativa, da attuare non a posteriori<br />

ma come precondizione alla trasformazione stessa,


che si faccia carico quindi anche della gestione<br />

del territorio non urbanizzato, conferendovi un<br />

assetto definitivo, trasferendovi risorse per la<br />

sua qualificazione in termini naturalistici e di<br />

assetto paesaggistico, in misura proporzionale<br />

alle funzioni, attuali e potenziali (biologiche,<br />

produttive, chimico-fisiche, paesaggistiche, di<br />

generazione di reddito agricolo), compromesse<br />

a seguito della perdita di suolo libero. In<br />

un’area densa, come quella di Milano e del suo<br />

hinterland, ciò si traduce nell’obbligo di acquisire,<br />

“attrezzare naturalisticamente” e mettere a<br />

disposizione della collettività aree, dello stesso<br />

comune in cui ha luogo la trasformazione,<br />

nella misura in cui tali aree siano realmente<br />

disponibili. Il meccanismo è simile a quello<br />

adottato dalla legislazione tedesca contro il<br />

consumo di suolo, quella legge voluta da Angela<br />

Merkel, all’epoca Ministro dell’Ambiente, che<br />

stabilisce obiettivi di progressiva riduzione del<br />

consumo di suolo (fino ad arrivare a zero alla<br />

soglia del 2050) da conseguire per l’appunto con<br />

strumenti di responsabilizzazione, affidando<br />

agli enti locali la scelta delle modalità con cui<br />

attuare la compensazione ma definendone dal<br />

livello statale i caratteri strategici e gli obiettivi.<br />

La proposta della Compensazione Ecologica<br />

Preventiva è ovviamente solo un elemento (ma<br />

immediatamente “cantierabile”) di una revisione<br />

normativa e ordinamentale che non può<br />

prescindere da una riforma della fiscalità locale,<br />

che consenta ai comuni di basare i propri bilanci<br />

su fiscalità ambientale ed erogazione di<br />

servizi anziché sul consumo di risorse non rinnovabili<br />

quale in primo luogo il suolo, e su un<br />

Febbre di cemento: una malattia inguaribile?<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

riconoscimento legale e sostanziale del suolo quale<br />

bene comune la cui tutela deve prevalere sulle<br />

aspettative private di trasformazione urbana: si<br />

tratta di una via obbligata di riforma, che richiede<br />

di essere condivisa anche con la comunità<br />

nazionale in quanto non può essere scissa dalla<br />

discussione complessiva su temi quali quello<br />

del federalismo fiscale e della sostenibilità dei<br />

bilanci degli enti locali.<br />

La proposta della compensazione ecologica<br />

preventiva ha anche il merito di attivare un<br />

flusso di risorse economiche e/o patrimoniali<br />

per affrontare la gestione del territorio non urbanizzato,<br />

comunque questa avvenga: tramite<br />

il trasferimento di risorse ad imprenditori agricoli<br />

ovvero agendo direttamente come pubblica<br />

amministrazione.<br />

Un flusso di risorse che non necessariamente<br />

necessita di transazioni economiche e che anzi<br />

in generale esclude la monetizzazione: infatti<br />

ciò che conta è il risultato, questo è il senso di<br />

quel termine “preventivo”, non si dà adito a<br />

trasformazioni che producano perdite di suolo<br />

libero se - prima – non si dimostra nei fatti di<br />

poter riprodurre le funzioni compromesse dei<br />

suoli attraverso azioni che generalmente possono<br />

essere definite come “creazione di paesaggio”,<br />

“generazione di natura”.<br />

Forse è già tardi per discutere di come frenare<br />

il consumo di suolo, molte trasformazioni sono<br />

già avvenute in modo irreversibile. Di certo non<br />

si può perdere altro tempo, specialmente in<br />

Lombardia.<br />

Confronto cubature realizzate in Lombardia tra la media del decennio del boom edilizio (1958-1967) e gli anni 1995-2002<br />

Media annuale<br />

cubature<br />

realizzate<br />

decennio<br />

1958/59-1967<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

1995<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

1996<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

1997<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

1998<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

1999<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

2000<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

2001<br />

Nuove<br />

cubature<br />

realizzate nel<br />

2002<br />

22.588.466 37.502.301 33.128.364 27.397.458 27.833.975 34.451.758 35.299.453 36.543.732 51.231.048<br />

Fonte: Ministero dei LLPP (1970) in Urbanistica n.56 e ISTAT; Elaborazioni: P. Pileri (2007)<br />

1 Il riferimento è al titolo della pubblicazione, a cura dell’European Environmental Agency e del EC - Joint Research Center,<br />

‘Urban Sprawl in Europe, the ignored challenge’, Copenaghen 2006.<br />

2 Pileri, P. ‘Compensazione Ecologica Preventiva, Principi, strumenti e casi. Carocci Editore, Roma, 2007.<br />

135


all’insegna della sostenibilità<br />

136


La città in estensione. Un percorso di<br />

progetto<br />

Il tema della città e il consumo di suolo<br />

Oggi, con il termine città ci riferiamo a territori<br />

urbanizzati caratterizzati da una successione più<br />

o meno densa ed estesa di centri urbani : sono<br />

le grandi megalopoli regionali e interregionali<br />

che la letteratura sul tema interpreta ricorrendo<br />

a metafore fortemente evocative e che lasciano<br />

aperte molte opzioni sulle opportunità di<br />

sviluppo .<br />

D’altra parte, non disponiamo nemmeno di una<br />

definizione univoca di popolazione urbana 1<br />

e dobbiamo attenderci processi crescenti di<br />

inurbamento. Entro il prossimo decennio, circa<br />

due terzi della popolazione del mondo, vale<br />

a dire cinque miliardi di persone, vivranno<br />

in ambito urbano e dovremo misurarci con<br />

qualche centinaio di città particolarmente estese<br />

e popolose e con una domanda di energia e di<br />

beni crescenti e concentrati.<br />

Contestualmente, disponiamo di un incerto<br />

sistema di conoscenza sulle questioni ambientali<br />

e di uso del suolo. Mi riferisco ad un modello<br />

di conoscenza condiviso e aperto, relativamente<br />

autonomo rispetto alle decisioni da adottare,<br />

alimentato nel tempo dagli esiti delle stesse<br />

azioni di piano e di progetto, delle pratiche di<br />

perequazione urbanistica e delle iniziative di<br />

compensazione territoriale.<br />

Inoltre, nonostante i passi avanti fatti a livello<br />

istituzionale con le leggi sul riordino delle<br />

autonomie locali 2 e più recentemente con la<br />

riforma del Titolo V° della Costituzione, i livelli di<br />

pianificazione di area vasta sono in difficoltà per<br />

l’emergere di conflitti tra le troppe competenze<br />

concorrenti e per una gestione delle scelte<br />

urbanistiche dominata dalla strumentazione<br />

attuativa comunale 3 . Lo ius aedificandi è rimasto<br />

un diritto privato connaturato alla proprietà<br />

del suolo, comunque esigibile con il pagamento<br />

della concessione a costruire in nome di un<br />

trattamento eguale di tutti i cittadini e in forza<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Maria Cristina Treu<br />

della necessità di poter contare su un incremento<br />

delle imposte comunali sugli immobili (ICI).<br />

La recente legge urbanistica della Regione<br />

Lombardia, la legge di Governo del Territorio,<br />

11 marzo 2005, n.12, ha assegnato alle Province<br />

il compito dell’identificazione sia degli ambiti<br />

da destinare alla produzione agricola che dei<br />

criteri che i Comuni dovranno adottare, nel<br />

corso dell’adeguamento del loro strumento<br />

urbanistico, per azzonare queste stesse aree<br />

che, sempre secondo la su richiamata legge,<br />

non possono essere oggetto di perequazione<br />

urbanistica.<br />

Questa scelta, esito di un confronto serrato tra<br />

le diverse direzioni generali della stessa regione<br />

e il gruppo di lavoro per la stesura della nuova<br />

legge di nomina assessorile 4 , sta sollevando<br />

moltissime reazioni :<br />

• da un lato, quelle dei comuni, che si sentono<br />

“espropriati” di una loro competenza da parte<br />

delle Province e che spingono per far rientrare<br />

tali aree nella contabilità perequativa,<br />

ovvero per limitare tali aree a situazioni di<br />

eccellenza 5 aziendali e paesaggistiche e alle<br />

manifestazioni di interesse e di disponibilità<br />

da parte di singoli coltivatori, proprietari e<br />

affittuari, a diventare anche prestatori di un<br />

servizio urbano;<br />

• dall’altro lato, quelle di chi è deciso a riproporre<br />

il tema del consumo di suolo nell’ambito<br />

di un nuovo e più maturo approccio che<br />

definisca criteri identificativi e di stima condivisi<br />

e gestiti in modo sistematico e ufficiale<br />

6 e che, in particolare, riconosca la necessità<br />

di salvaguardare le aree agricole nell’ambito<br />

di un progetto di città cui queste possono<br />

contribuire con la produzione di paesaggio e<br />

di beni alimentari di una maggiore qualità e<br />

più sicuri.<br />

137


all’insegna della sostenibilità<br />

La preservazione del paesaggio non è un tema<br />

del solo spazio agricolo<br />

La questione dell’identificazione delle aree agricole<br />

impone un approccio alla pianificazione di<br />

progettazione integrata nel tempo e a livello interscalare:<br />

a questo proposito restituirò, aiutandomi<br />

con delle immagini, alcuni passaggi di una<br />

successione di esperienze condotte a livello di<br />

area vasta e a livello comunale che può restituire<br />

più efficacemente alcuni aspetti significativi<br />

delle vicende di Milano, nella sua dimensione di<br />

città metropolitana regionale.<br />

La prima immagine (cfr.tav. 1) rappresenta la<br />

ricostruzione di quella che può essere intesa<br />

come la megalopoli delle regioni del nord. La<br />

tavola riporta l’ordinamento gerarchico delle<br />

polarità urbane a partire dalla popolazione<br />

residente nei singoli comuni e tenendo conto del<br />

peso relativo di alcuni fattori riferiti alla struttura<br />

della popolazione e al livello di dotazione<br />

infrastrutturale. Contestualmente l’immagine<br />

mette in risalto l’area agricola della pianura<br />

padana, una campagna urbana tra le più ricche<br />

e produttive d’Italia e d’Europa, e l’area verde<br />

del Parco Agricolo Sud di Milano<br />

La contrapposizione tra i sistemi urbani<br />

e il territorio dell’agricoltura, evidenziata<br />

dalla mappa nasconde, in realtà, più di una<br />

contaminazione d’uso tra le due grandi aree.<br />

Lo scopo è quello di evidenziare, oltre al<br />

sistema delle polarità urbane, il ruolo che la<br />

grande area verde della pianura padana ha<br />

nei confronti dell’intero sistema delle regioni<br />

del nord e di porre domande sul destino che si<br />

138<br />

intende riservare a quest’area dove il consumo è<br />

legato da un lato, all’espansione insediativa e al<br />

programma di opere infrastrutturali di portata<br />

strategica e locale, dall’altro allo sviluppo di<br />

monoculture e di allevamenti intensivi.<br />

Sotto questo profilo la questione non può<br />

essere ridotta alla salvaguardia delle situazioni<br />

paesaggistiche di eccellenza: l’unicità e la<br />

continuità del sistema rurale richiede un<br />

progetto strategico che consideri le risorse suolo,<br />

acqua e paesaggio sullo stesso piano delle scelte<br />

di lungo periodo relative alle esigenze della<br />

crescita urbana.<br />

Il secondo passaggio fa riferimento a una<br />

sequenza di cartografie tematiche, elaborate<br />

in occasione dell’adeguamento del PTCP della<br />

provincia di Milano alle indicazioni della legge<br />

12/2005, ai fini della identificazione degli<br />

ambiti agricoli. Alcune di queste cartografie<br />

(cfr. le tav. 2/3/4/) sono di carattere analitico,<br />

sono implementabili e rappresentano ciascuna<br />

un set diverso di indicatori, distinti in quelli<br />

che rappresentano la caratterizzazione delle<br />

coltivazioni e delle aziende agricole, quelli<br />

che localizzano le permanenze con valore<br />

paesaggistico e quelli che riportano gli elementi<br />

naturalistici; altre cartografie sono di natura<br />

sintetica, una di queste (cfr. tav.5) restituisce i<br />

caratteri dello spazio rurale, una seconda (cfr.<br />

tav.6) evidenzia i macrosistemi fisici e territoriali<br />

cui corrispondono le funzioni produttive,<br />

ambientali e di presidio ecologico dello spazio<br />

libero coltivato e non coltivato.<br />

tav.1 - Schema interpretativo dei sistemi territoriali<br />

tav.2 - I macro sistemi fisi e territoriali


Nell’insieme le cartografie restituiscono un<br />

possibile sistema di conoscenza sul consumo<br />

di suolo, sulle qualità paesaggistica delle aree<br />

e sulle rispettive funzioni: indicazioni che<br />

possono sostenere l’identificazione degli ambiti<br />

agricoli e i criteri per una loro definizione a scala<br />

comunale, orientandone le scelte a partire da<br />

una visione di area vasta 7 .<br />

Rispetto al consumo di suolo che si attesta attorno<br />

a un valore medio del 42%, con valori massimi<br />

vicini all’’80% e minimi prossimi al 30% a<br />

seconda dei comuni rispettivamente del nord e<br />

del sud (cfr. tav.7) l’indicazione del PTCP è che<br />

la crescita urbanistica media si attesti,nei prossimi<br />

anni, attorno a un valore massimo del 5%.<br />

tav.3 - Il consumo di suolo<br />

Ma la traduzione a livello territoriale di questa<br />

percentuale deve tener conto dei caratteri e delle<br />

funzioni del suolo che hanno altri confini da<br />

quelli amministrativi e deve fare sintesi rispetto<br />

ad una idea di progetto: per esempio, rispetto<br />

al progetto di infrastruttura strategica, la dorsale<br />

verde, che a nord dovrebbe saldare le aree dei<br />

parchi e quelle libere e agricole ancora presenti ;<br />

e nelle aree del Parco Sud, rispetto a un sistema<br />

di progetti di sistemi verdi integrati, dal metrobosco,<br />

ai percorsi attrezzati dei raggi verdi, alle<br />

iniziative di promozione delle aziende.<br />

Per ciascun comune si deve poi trovare un equilibrio<br />

nella compensazione territoriale, eventualmente<br />

sostenuta da un fondo perequativo<br />

regionale o provinciale cui possono contribuire<br />

anche gli investitori privati.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Milano. Una città di dimensioni contenute con<br />

la grande risorsa del Parco Agricolo Sud<br />

Il terzo tipo di immagini restituisce un quadro<br />

sintetico dei maggiori interventi nella città di<br />

Milano (cfr. tav 8)<br />

Questa immagine può essere accostata a quella<br />

del progetto dei raggi verdi, un concept plan, che<br />

ipotizza di connettere la corona delle aree verdi e<br />

boscate attorno alla città con il centro attraverso<br />

percorsi alberati di mobilità lenta (cfr. tav 9).<br />

L’interesse degli operatori che ha avviato gli<br />

interventi di trasformazione urbana 8 è innescato<br />

dall’adozione nel 2000 del Documento di<br />

Inquadramento, uno strumento programmatico<br />

attivato da una legge regionale (la legge regionale<br />

9/99) che ha anticipato alcune scelte poi riprese<br />

e sviluppate dalla legge 12 del 2005 9 .<br />

Il documento,oggi in parte rivisto sulla base<br />

dell’esperienza maturata negli ultimi cinque<br />

anni, introduce un indice volumetrico unico, la<br />

possibilità di modificare le destinazioni d’uso<br />

vigenti e di negoziare la realizzazione di opere<br />

(gli standard di qualità) oltre a quelle dovute<br />

secondo i tradizionali standard urbanistici 10 .<br />

L’attuale amministrazione intende raggiungere,<br />

con lo strumento del PGT in corso di definizione,<br />

i due milioni di abitanti 11 , utilizzando la perequazione<br />

urbanistica sull’intero suo territorio<br />

e costituendo una borsa dei diritti volumetrici<br />

immobiliare.<br />

Nel frattempo, ha anticipato due nuovi<br />

programmi: il primo finalizzato alla realizzazione<br />

di edilizia residenziale a prezzi convenzionati<br />

con la liberalizzazione dell’uso di 147 piccole<br />

aree che il PRG vigente aveva classificato come<br />

zone B rinviandone l’utilizzo a scelte successive;<br />

il secondo che riprende e formalizza l’accordo<br />

con le FFSS per la valorizzazione dei sedimi<br />

ferroviari dismessi in cambio di alcune opere a<br />

carico della stessa società come la chiusura della<br />

cerchia ferroviaria per la realizzazione di una<br />

circolare ad alta frequenza attorno alla città.<br />

Tutte queste sono scelte che, prese singolarmente,<br />

sono di difficile confutazione; esse non restituiscono<br />

un disegno urbano e sono la somma di<br />

tanti singoli interventi tutti rivolti a rinnovare<br />

la città riempiendo i vuoti di un tessuto urbano<br />

già congestionato ed esercitando una inevitabile<br />

139


all’insegna della sostenibilità<br />

pressione sulle aree ancora libere per adeguare<br />

la carenza di infrastrutture, per realizzare nuovi<br />

grandi servizi urbani e per programmare l’offerta<br />

di alloggi sociali.<br />

Gli esiti sono quanto mai frammentati e<br />

contradditori soprattutto rispetto al divario<br />

tra l’effervescenza del mercato immobiliare 12<br />

e il rialzo dei prezzi della residenza da un<br />

lato e dall’altro la scarsità e la lentezza nella<br />

realizzazione delle infrastrutture e nella messa<br />

a disposizioni di alloggi a prezzi convenzionati,<br />

in affitto o a riscatto.<br />

140<br />

tav.8 - Quadro d’insieme<br />

delle infrastrutture<br />

Raggi verdi<br />

tav.9 - I caratteri dello spazio rurale a Milano<br />

Manca una idea di città altrettanto forte di<br />

quella che costituisce il nostro archetipo di città<br />

compatta tramandatoci dall’800; manca l’idea di<br />

una città in estensione 14 dove si possano riscoprire<br />

nuovi racconti e dare forma e qualità ai nuovi<br />

stili e forme di vita dei cittadini del domani;<br />

Le domande, risultate idonee nell’ultimo bando<br />

ERP, sono più di 12.000 contro circa 2.000 alloggi<br />

sociali, in fase avanzata di attuazione, esito del<br />

primo Piano Regionale di ERP del 2002-2004, ma<br />

localizzati prevalentemente in Provincia.<br />

D’altra parte anche la seconda giunta Albertini<br />

licenziava un progetto di utilizzo di aree<br />

pubbliche per alloggi sociali i cui bandi non sono<br />

ancora usciti e anche il programma per 12000<br />

alloggi sociali promosso dalla Provincia, con il<br />

Comune di Milano, come uno degli obiettivi del<br />

Patto metropolitano non sembra avere gli esiti<br />

immediati auspicati 13 .<br />

Raggi verdi<br />

manca una programmazione urbanistica capace<br />

di correlare le politiche di lungo periodo con le<br />

scelte di scala intermedia e di livello comunale.<br />

Ma l’amministrazione cittadina è in grande<br />

fermento per l’attesa che a Milano sia assegnato<br />

l’expo 2015.<br />

1 La definizione di popolazione urbana varia, tra stati e regioni, in base alle diverse soglie di densità territoriale che distinguono<br />

popolazione urbana e popolazione rurale e, in altri casi, in base alle diverse perimetrazioni amministrative o statistiche.<br />

2 cfr., la legge 142/90 e le rispettive applicazioni regionali che in alcuni casi arrivano anche dieci anni dopo come nel caso della<br />

legge 1/2000 delle Regione Lombardia e le cosidette leggi Bassanini<br />

3 La Regione Lombardia conta 1457 comuni e tra questi il 94% sono comuni al di sotto i 5000 abitanti.


all’insegna della sostenibilità<br />

4 cfr., le più recenti proposte di modifica della legge che, in caso di conflitto tra province e comuni rimettono la decisione al livello<br />

regionale assestando in questo modo un ulteriore colpo alla pianificazione di area vasta.<br />

5 il gruppo di lavoro di cui ho fatto parte fu nominato nel 2000 dall’assessore di allora, Alessandro Moneta e lavorò sino al<br />

2004.<br />

6 oggi abbiamo stime ufficiose che sono sovradimensionate o sottodimensionate e l’ISTAT stesso ci dà una misura delle superfici<br />

agricole utilizzate (SAU) e non una misura del consumo di suolo.<br />

7 I risultati sono ottenuti applicando il metodo Metland per il calcolo del valore forestale (un metodo messo a punto negli Stati<br />

Uniti ed trasferito in Italia dal prof. A. Toccolini della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano), quindi il metodo Land<br />

analisys model (LAM) che seleziona, organizza e confronta i diversi parametri mediante operazioni di overlay mapping(un<br />

metodo messo a punto dal gruppo di M. C. Treu, C. Peraboni; S. Zorzolo del Politecnico di Milano)<br />

8 Oltre ai grandi progetti di riqualificazione urbana che comprendono dall’ex area Fiera, all’area Garibaldi Repubblica, a Santa<br />

Giulia-Rogoredo, ad oggi sono stati approvati circa 150 programmi integrati di intervento, coincidenti in molti casi con poco<br />

più di un edificio<br />

9 cfr., la separazione tra lo strumento del Documento di Piano con valenza programmatica e gli strumenti del Piano dei Servizi e<br />

d<br />

10 Il disegno avrebbe dovuto restituire la direzione di sviluppo della futura città è il logo della T rovesciata che rappresenta,<br />

da un lato la prospettiva del consolidamento del tessuto urbano lungo il percorso del Passante Ferroviario e,dall’altro, la<br />

riqualificazione delle aree. dismesse, innescate dal Progetto Bicocca<br />

11 I residenti attuali si attestano a circa1.300.000 abitanti ,più o meno quelli censiti nel 1951, ma in gran parte più anziani e più<br />

ricchi. La dimensione territoriale di Milano è di 182 kmq, una città piccola tra le città metropolitane italiane, e tuttavia con un<br />

Parco Agricolo che misura 42,3 sul totale di 463 Kmq dell’intero parco.<br />

12 Sono circa 85.000 gli alloggi privati realizzati nei primi cinque anni del 2000 contro una previsione di fabbisogno di edilizia che<br />

periodicamente, ogni decennio, ripropone per l’area metropolitana una domanda di 120-140.000 alloggi sociali convenzionati,<br />

prevalentemente inevasi.<br />

13 ll bando della seconda Giunta Albertini fece scalpore perché utilizzò una leggina regionale che anticipava la possibilità di<br />

considerare l’edilizia sociale come un servizio e pertanto da realizzare su aree a standard. Su quella base furono individuate<br />

circa 100 aree, poi risultate in parte inutilizzabili, e fu ipotizzata la realizzazione di 20.000 alloggi in affitto convenzionato: oggi<br />

siamo ancora in attesa del primo bando che dovrebbe attivare 9 aree. Invece il programma di 12.000 alloggi fissato come uno<br />

degli obiettivi del Patto Metropolitano si sta misurando con i costi delle aree, molto cresciuti anche nei comuni contigui a Milano<br />

e con la resistenza da parte dei Comuni nei confronti di nuovi interventi di edilizia sociale. Nel frattempo, la rigenerazione<br />

della popolazione della città è più lenta del previsto e le nuove famiglie cercano soluzioni più lontane e meno costose.L’ultima<br />

speranza è,ma forse era, il recente accordo sul programma di finanziamenti nazionali.<br />

14 cfr.,MCTreu, Margini e bordi nella città in estensione,in MCTreu e D:Palazzo(a cura di), Margini. Descrizioni, strategie. progetti,<br />

Alinea editrice,Firenze 2006<br />

141


all’insegna della sostenibilità<br />

142


Territorio, sicurezza alimentare e riforme<br />

attese<br />

Competizione nei servizi<br />

Il modello statunitense di supervisione pubblica<br />

sulla sicurezza alimentare, varato negli anni ’20<br />

del secolo scorso, supera i confini interni degli<br />

Stati e si basa su un’amministrazione unica<br />

centrale, la Food and Drugs Administration (FDA).<br />

Questo modello è stato preso come riferimento<br />

dall’UE che ha inserito nel trattato sulla sicurezza<br />

alimentare del 2000 e nei Regolamenti emanati<br />

in seguito, questi due principi:<br />

• il controllo è affidato alla responsabilità delle<br />

imprese che seguono dei metodi stabiliti<br />

dall’UE;<br />

• la supervisione pubblica sul controllo aziendale<br />

(controllo ufficiale) è realizzata da ogni<br />

Paese e il suo costo deve andare a carico delle<br />

imprese se stanno su un gradino elevato<br />

della scala del rischio.<br />

Nel modello USA la supervisione pubblica è<br />

fortemente centralizzata e si avvale di ispettori<br />

federali che intervengono in tutti gli Stati, invece<br />

l’UE ha lasciato ad ogni Paese membro il compito<br />

di realizzarla. Per esempio, la Francia dispone<br />

di ispettori pubblici che si muovono da una<br />

parte all’altra del Paese. Sono in numero ridotto,<br />

altamente specializzati per ogni tipo di filiera,<br />

tecnologia, e in questo modo rendono omogenei<br />

i comportamenti delle aziende agroalimentari di<br />

ogni zona. L’Olanda ha appaltato una parte del<br />

servizio pubblico ad un’impresa privata. Tutti i<br />

Paesi membri si sono mossi per riorganizzare i<br />

servizi ispettivi, aumentare l’efficienza e ridurre<br />

i costi, tranne l’Italia.<br />

L’organizzazione italiana ha avuto origine dal<br />

Comune che assumeva la diretta responsabilità<br />

pubblica sulla sicurezza per i rifornimenti<br />

annonari in ogni area urbana. A causa di questa<br />

matrice la parte più rilevante dell’attività<br />

pubblica per la sicurezza alimentare oggi si<br />

trova inserita nelle Unità Sanitarie Locali che<br />

operano con Aziende tra loro autonome. Con<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Enrico Bussi<br />

la riforma sanitaria del 1975 sono stati inseriti<br />

nelle USL i Medici Veterinari comunali (per il<br />

controllo sul bestiame vivo e al macello), così<br />

come i Medici e le altre figure che operavano<br />

a livello provinciale per il controllo sui negozi<br />

di alimentari. Per questo motivo, da un lato,<br />

rimane diffusa l’idea (sbagliata) che il controllo<br />

per la sicurezza alimentare sia assicurato<br />

dall’intervento pubblico. Dall’altro gran parte<br />

dell’attività svolta resta incapsulata nell’USL<br />

con due gravi conseguenze:<br />

• la dimensione dell’USL non ha alcun nesso<br />

con il movimento delle derrate alimentari,<br />

avendo un bacino di utenza concepito per i<br />

servizi di medicina umana;<br />

• le competenze dell’USL si limitano agli<br />

aspetti igienico sanitari e non comprendono<br />

gli altri fattori della sicurezza alimentare:<br />

qualità dell’aria, dell’acqua, qualità dei suoli,<br />

sofisticazioni e frodi.<br />

Grandezza e pochezza<br />

Il servizio svolto dalle USL per la sicurezza<br />

alimentare si avvale di circa 10.000 addetti<br />

suddivisi tra Servizio Veterinario per le<br />

produzioni animali e Servizio Ispezione<br />

Alimenti Nutrizione per trasformazioni vegetali,<br />

punti vendita, bar e ristorazione: 7.000 Medici<br />

Veterinari, 3.000 Medici del SIAN e tecnici della<br />

prevenzione (Ministero della Salute, SICURA<br />

2007).<br />

La separazione di competenze tra i due Servizi<br />

(SIVET, SIAN), l’autonomia di ogni USL,<br />

le diverse scelte compiute da ogni Regione<br />

provocano una eterogeneità nelle ispezioni su<br />

aspetti igienico-sanitari tra produzioni (animali<br />

e vegetali), tra produttori e tra punti vendita.<br />

L’organizzazione dell’ispezione sul controllo<br />

igienico-sanitario in ambiti territoriali più<br />

ristretti rispetto alle filiere agroalimentari e<br />

143


all’insegna della sostenibilità<br />

la mancanza di mobilità degli operatori tra le<br />

USL determinano la complessiva inefficacia del<br />

sistema ispettivo italiano rilevata dai Paesi Terzi<br />

che chiedono alle imprese italiane di applicare i<br />

loro sistemi.<br />

L’attività dell’USL risente di condizionamenti<br />

locali soprattutto nelle aree dove la presenza<br />

delle organizzazioni criminali è più forte e anche<br />

in altre zone si manifesta la tendenza dei servizi<br />

sanitari a non intervenire nei casi difficili. La<br />

mobilità e la specializzazione sono alla base dell’attività<br />

ispettiva in ogni settore: vale l’esempio<br />

dello sport dove lo stesso arbitro opera in luoghi<br />

diversi, mentre sarebbe assai condizionato e<br />

poco attendibile se arbitrasse sempre e soltanto<br />

sul luogo di gara dove risiede. Non a caso, le<br />

infrazioni più gravi per la sicurezza alimentare<br />

vengono scoperte dalla Guardia di Finanza, dai<br />

NAS e da altri organi, tuttavia senza una impostazione<br />

chiara e unificante.<br />

Il costo enorme dell’attività ispettiva affidata al<br />

Servizio Sanitario Nazionale, rispetto alle attese<br />

di chi produce, distribuisce e consuma, è messo<br />

in risalto con alcuni confronti:<br />

• il solo Servizio Veterinario italiano costa<br />

quanto la FDA degli USA (Ministero della<br />

Salute)<br />

• l’ispezione pubblica per la sicurezza<br />

•<br />

alimentare in Francia è affidato a 500<br />

ispettori specializzati che operano su tutto<br />

il territorio nazionale (con una dimensione<br />

territoriale e di volume di merci superiore a<br />

quella italiana)<br />

nel SSN manca la figura dell’ispettore<br />

specializzato per i prodotti vegetali (INRAN,<br />

SANA 2007).<br />

Per colmare i limiti delle USL, numerosi altri organismi<br />

intervengono sulla sicurezza alimentare<br />

ad ogni livello, locale, regionale e nazionale.<br />

Molti controllori<br />

Numerose amministrazioni pubbliche fanno<br />

ispezioni sulle imprese in materia di applicazione<br />

delle norme igienico-sanitarie, merceologiche<br />

(contro le frodi, le sofisticazioni, le infrazioni<br />

sull’etichettatura), di rispetto dell’ambiente e<br />

del benessere animale, tutte materie che fanno<br />

144<br />

parte della sicurezza alimentare. Si stende un<br />

elenco probabilmente incompleto:<br />

• Ministero della Salute: Uffici Veterinari per<br />

gli Adempimenti degli obblighi Comunitari<br />

(UVAC) e Posti di Ispezione Frontaliera<br />

(PIF):<br />

• Ministero della Difesa: corpi specializzati dei<br />

Carabinieri (Nuclei Antisofisticazioni - NAS,<br />

Nuclei Antifrodi Carabinieri - NAC, Nucleo<br />

Operativo Ecologico - NOE) e Capitanerie<br />

di Porto (controllo sul pescato, sulle derrate<br />

trasportate per mare);<br />

• Ministero dell’Interno: corpi specializzati<br />

della Polizia di Stato;<br />

• Ministero del Tesoro: corpi specializzati della<br />

Guardia di Finanza;<br />

• Ministero dello Sviluppo Economico: Istituto<br />

Nazionale Conserve Alimentari (INCA), per<br />

i controlli igienico sanitari e di qualità delle<br />

conserve vegetali;<br />

• Ministero delle Politiche Agricole Forestali<br />

Alimentari: Agenzia per le erogazioni nell’agroalimentare<br />

(AGEA), Ispettorato Centrale<br />

per il Controllo della Qualità dei Prodotti<br />

Alimentari (ICQ), Corpo Forestale dello<br />

Stato (CFS);<br />

• Ministero dell’Ambiente: Agenzia Nazionale<br />

Protezione Ambiente (ANPA);<br />

• Regioni: organismi per controlli merceologici,<br />

agenzie regionali per le erogazioni nell’agroalimentare,<br />

Istituti Zooprofilattici Sperimentali<br />

(interregionali), Agenzie Regionali<br />

Protezione Ambiente (ARPA), Servizi ispettivi<br />

sui prodotti regolamentati (DOP, IGP,<br />

biologico);<br />

• Province: Osservatori fitosanitari, Polizie<br />

Provinciali, Guardie ecologiche;<br />

• Comuni: Polizia Municipale, Vigili Annonari,<br />

Aziende Municipalizzate (distribuzione<br />

acqua potabile, smaltimento dei rifiuti liquidi<br />

e solidi).<br />

Queste istituzioni sono del tutto separate e<br />

la collaborazione “spontanea” non funziona<br />

perché richiede che ogni addetto sia in grado<br />

di superare delle procedure complesse. Inoltre,<br />

se da un lato la “collaborazione” non risolve il<br />

problema dei costi pubblici, dall’altro non riesce


a raggiungere le condizioni di tempestività e<br />

organicità di intervento.<br />

Le USL svolgono la parte ispettiva maggiore,<br />

tuttavia al loro interno manca l’approccio ai<br />

flussi delle materie prime, semilavorati e prodotti<br />

finiti provenienti da zone diverse e da altri<br />

Paesi. Non a caso, la denuncia delle infrazioni<br />

igienico-sanitarie più gravi per la sicurezza alimentare<br />

è quasi sempre collegata alle ispezioni<br />

condotte ai fini tributari, mentre l’attività ispettiva<br />

delle USL rischia di cadere in eccessi di rigore<br />

verso le aziende piccole e i comportamenti meno<br />

gravi per il rischio igienico-sanitario. L’insieme<br />

dell’agroalimentare composto soprattutto da<br />

aziende piccole (agricoltura, artigianato, somministrazione<br />

del cibo) si trova sommerso dalle<br />

richieste di adempimenti burocratici ripetitivi.<br />

Riforme mancate<br />

In base alle norme dell’UE il sistema agroalimentare<br />

italiano dovrà prendere a carico una<br />

parte del costo del SSN per l’attività ispettiva,<br />

ma non otterrà vantaggi analoghi a quelli dei<br />

Paesi concorrenti.<br />

Sinora l’industria alimentare non riceve tutela<br />

per l’esportazione dei prodotti italiani verso<br />

Paesi extra UE (che reputano disorganico il nostro<br />

sistema pubblico e impongono alle aziende le<br />

proprie impostazioni) e per l’importazione di<br />

alimenti da Paesi extra UE dove gli interventi<br />

richiesti alle imprese per la sicurezza alimentare<br />

sono molto leggeri.<br />

Il sistema distributivo italiano sostiene un<br />

elevato costo per l’autocontrollo perché ogni<br />

punto vendita è chiamato a fare fronte a criteri<br />

diversi a seconda dei criteri ispettivi adottati<br />

da ogni singolo ente (Comune, USL, Regione)<br />

e aumenta l’incertezza causata dall’iniziativa<br />

autonoma di diversi organismi ispettivi.<br />

Il riordino dell’intero apparato pubblico è<br />

dunque ineludibile per la sopravvivenza del<br />

sistema agroalimentare italiano e avrebbe altri<br />

tre risultati. Una più adeguata protezione del<br />

consumatore, la riduzione della spesa pubblica e<br />

le informazioni da fornire all’autorità scientifica<br />

nazionale chiamata a valutare le minacce per<br />

la salute umana derivanti da fattori naturali<br />

straordinari (nuovi agenti patogeni, calamità),<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

da innovazioni tecnologiche (biologiche,<br />

chimiche, fisiche) per potersi confrontare in sede<br />

internazionale.<br />

Il Paese chiede con forza la semplificazione delle<br />

procedure e la riduzione del peso delle amministrazioni<br />

pubbliche. Nel campo agroalimentare<br />

queste esigenze sono state acuite dalla profonda<br />

riorganizzazione attuata nei Paesi concorrenti<br />

per applicare l’ordinamento comunitario rivolto<br />

a tutelare la sicurezza del consumatore e a rafforzare<br />

il sistema produttivo. Invece di fornire un<br />

servizio efficiente per l’agricoltura, l’industria,<br />

il commercio, la salute, l’educazione alimentare<br />

la via italiana al federalismo mantiene le separazioni,<br />

moltiplica le iniziative locali e regionali<br />

aggravando un quadro già molto appesantito.<br />

Vediamo due esempi.<br />

Esistono forti pressioni per suddividere gli Istituti<br />

Zooprofilattici trasformando quelli interregionali<br />

in più istituti regionali come nel caso<br />

della Lombardia e dell’Emilia-Romagna.<br />

L’Italia ha ottenuto nel 2003 la sede dell’European<br />

Food Safety Authority ed è l’unico Paese<br />

membro dell’UE che non ha messo in funzione<br />

un’Autorità nazionale. L’EFSA è il punto di riferimento<br />

dell’Unione Europea per quanto riguarda<br />

la valutazione dei rischi relativi alla sicurezza<br />

alimentare. Opera per fornire una consulenza<br />

scientifica indipendente, una comunicazione<br />

chiara sui rischi esistenti ed emergenti. Riceve le<br />

valutazioni scientifiche provengono dalla Commissione<br />

europea, dal Parlamento europeo e dagli<br />

Stati membri attraverso le Autorità nazionali.<br />

L’Italia non ha provveduto a riorganizzare le<br />

competenze pubbliche per sicurezza alimentare<br />

e solo nel Febbraio 2008 ha istituito l’Autorità<br />

nazionale che dovrà cominciare a funzionare a<br />

Foggia dove non c’è alcuna istituzione scientifica.<br />

Grande handicap – grande recupero<br />

Il sistema agroalimentare italiano sconta dei<br />

gravi pesi a causa della mancata riorganizzazione<br />

delle competenze sull’uso delle risorse naturali<br />

(acqua, terra, aria) e sui settori (agricoltura,<br />

industria, distribuzione, ristorazione) che si riepilogano.<br />

• Prodotti importati. Non esiste un’organica<br />

145


all’insegna della sostenibilità<br />

146<br />

attività ispettiva sui prodotti agroalimentari<br />

importati.<br />

• Produzione agricola e delle piccole imprese<br />

di trasformazione. Adempimenti complessi<br />

per amministrazioni diverse: tributarie<br />

(nazionali e locali), previdenziali, consortili<br />

(irrigazione e smaltimento rifiuti), settoriali<br />

(agricoltura, sanità, ambiente).<br />

• Produzione industriale. L’industria alimentare<br />

è chiamata a sostenere forme di autocontrollo<br />

per la sicurezza alimentare, attività<br />

ispettive di organismi pubblici italiani e sistemi<br />

richiesti dai Paesi Terzi destinatari delle<br />

nostre esportazioni. USA, Giappone, Cina,<br />

Singapore, Corea del Sud, Messico, Australia,<br />

ecc chiedono di applicare la loro impostazione<br />

per la sicurezza alimentare perchè<br />

non si fidano di quella italiana. Nello stesso<br />

tempo ogni gruppo della GDO impone il suo<br />

sistema di autocontrollo/controllo per la sicurezza<br />

alimentare ai suoi fornitori.<br />

• Distribuzione alimentare. Riceve ispezioni<br />

provenienti, più o meno, da 15 istituzioni<br />

pubbliche che intervengono in modi differenti<br />

e che cambiano, a seconda dell’ubicazione<br />

del punto vendita, da Regione a Regione, da<br />

USL a USL, da Comune a Comune.<br />

• Immagine del prodotto. L’autocontrollo applicato<br />

dalle imprese e il controllo pubblico<br />

non sono valorizzati per le politiche commerciali<br />

(aziendali, interaziendali e pubbliche)<br />

a causa dell’assenza di soluzioni per la<br />

trasmissione dei dati tra le amministrazioni<br />

pubbliche, tra queste e le imprese.<br />

Non esiste una quantificazione complessiva<br />

del costo pubblico dell’intero sistema ispettivo<br />

sull’agroalimentare italiano.<br />

Per quanto riguarda il costo che ricade sulle imprese,<br />

la Federazione dell’Industria Alimentare<br />

italiana aderente alla Confindustria (nella Relazione<br />

del Presidente all’Assemblea svoltasi in<br />

occasione di Cibus a Roma il 13 Aprile 2007) ha<br />

sottolineato quanto segue.<br />

• Aumento dei costi per l’industria italiana<br />

provocato dalla complessità del sistema<br />

ispettivo pubblico;<br />

• Richiesta delle imprese della GDO di applicare<br />

diversi metodi di autocontrollo in ordine<br />

alla sicurezza alimentare (Standard BRC,<br />

IFS, EurepGap, altri);<br />

• Assenza della GDO italiana sui mercati di altri<br />

Paesi e la presenza in Italia di imprese della<br />

GDO provenienti da più Paesi: l’industria<br />

alimentare italiana deve rispondere a tanti<br />

sistemi di controllo privati per la sicurezza<br />

alimentare quanti sono i clienti di diversa<br />

nazionalità da rifornire.<br />

Le industrie concorrenti sopportano un minore<br />

peso per il controllo pubblico e per quello privato<br />

e Federalimentare ha stimato che solo gli<br />

adempimenti formali (burocratici) richiesti per<br />

documentare l’autocontrollo sulla sicurezza alimentare<br />

assorbono il 2% del fatturato dell’industria<br />

alimentare, pari a 2 milioni di euro.<br />

Manca del tutto la misura del danno creato dal<br />

disordine nell’uso del territorio, addirittura non<br />

conosciamo il consumo di superfici agricole<br />

in corso mentre in un Paese federale come la<br />

Germania si stabilisce qual è il tetto complessivo<br />

annuale di superficie agricola destinata a usi<br />

extra agricoli e viene rispettato nel singolo<br />

Lander e Comune.<br />

Importeremo, oltre alle tecnologie avanzate e ai<br />

beni di lusso, sempre più prodotti alimentari,<br />

tuttavia abbiamo una grande capacità di<br />

recupero. Se cominciamo a demolire i frazionismi<br />

statali, regionali e statali si può sfruttare un vero<br />

e proprio giacimento di risorse sottoutilizzate.


Ma le biomasse sono davvero una fonte<br />

energetica e rinnovabile?<br />

Le biomasse utilizzabili a fini energetici (come<br />

biocarburanti, biocombustibili per la produzione<br />

di energia elettrica, biogas dalla digestione)<br />

per essere considerate fonti energetiche rinnovabili<br />

(FER), a differenza delle altre FER (eolico,<br />

solare, idroelettrico, ecc.) che lo sono di per se<br />

(per natura), devono soddisfare determinate caratteristiche<br />

di ecosostenibilità nella loro produzione<br />

e utilizzo.<br />

Le filiere agroenergetiche da promuovere<br />

in quanto, oltre che rinnovabili, siano anche<br />

ecosostenibili devono essere corte (nello spazio)<br />

e brevi (nel tempo), devono garantire un<br />

bilancio energetico positivo e una produzione<br />

complessiva di CO 2 negativo o nullo, non<br />

devono prescindere dal contributo che le<br />

buone pratiche agricole possono dare alla<br />

fissazione al suolo del carbonio, alla lotta alla<br />

desertificazione e all’erosione, al processo di<br />

graduale sostituzione dei concimi chimici e al<br />

miglioramento della qualità dei suoli, mediante,<br />

ad esempio, l’uso in agricoltura di ammendanti<br />

prodotti dal compostaggio delle biomasse ad<br />

elevata umidità.<br />

Ma non essendoci al momento regolamentazione<br />

normativa da assumere a riferimento, che<br />

ne stabiliscano obbligatoriamente queste<br />

caratteristiche, si pone, per chi si trova a<br />

programmare o a valutare e approvare<br />

determinati progetti che prevedono il loro<br />

sfruttamento, il problema di come considerare<br />

questi criteri di ecosostenibilità. Criteri che<br />

rappresentano, come già detto, una sorta di<br />

spartiacque per la classificabilità delle biomasse<br />

fra le FER.<br />

Le biomasse sono da considerarsi una fonte<br />

rinnovabile? E come incidono sui cambiamenti<br />

climatici (produzione di CO 2 )?<br />

Le biomasse vanno considerate rinnovabili se<br />

quanto viene sottratto all’ambiente naturale<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Gabriele Bollini<br />

o agricolo corrisponde a quanto nuovamente<br />

sarà riprodotto: in un anno è possibile togliere<br />

all’ambiente tanti quintali di biomassa, quanti in<br />

quell’anno l’ambiente riprodurrà o naturalmente<br />

o artificialmente (coltivazioni agricole dedicate<br />

o riforestazione).<br />

Per il bilancio della CO 2 teoricamente, se tanti<br />

sono i quintali che si bruciano quanti quelli che si<br />

riproducono annualmente, la CO 2 prodotta dalla<br />

combustione sarà circa uguale a quella inglobata<br />

dalle piante, grazie alla fotosintesi. Tuttavia,<br />

se consideriamo che le coltivazioni (erbacee o<br />

arboree) richiedono l’impiego di fertilizzanti<br />

chimici di sintesi e fitofarmaci, oltre a macchine<br />

agricole, pompe per l’irrigazione e trasporto dei<br />

prodotti, ciò significa che sono necessarie grandi<br />

quantità di energia di origine fossile che produce<br />

CO 2 . Pertanto il bilancio non è più in equilibrio,<br />

perché vi è una produzione netta di CO 2 a causa<br />

dell’impiego di energia fossile, non rinnovabile:<br />

le biomasse utilizzabili devono dunque essere o<br />

naturali o prodotte biologicamente o “secondo<br />

natura”.<br />

L’industrializzazione dell’agricoltura ha aumentato<br />

in media di 50 volte il flusso di energia rispetto<br />

all’agricoltura tradizionale. Pertanto, per<br />

esempio, il sistema agricolo statunitense consuma<br />

dieci volte più energia di quanta ne produca<br />

sotto forma di cibo o, se si vuole, utilizza più<br />

energia fossile di quella che deriva dalla radiazione<br />

solare. Considerando solo la produzione<br />

dei fertilizzanti, va detto che servono circa due<br />

tonnellate di petrolio (in energia) per produrre e<br />

spargere una tonnellata di concime azotato.<br />

Bilancio energetico positivo e produzione di<br />

CO 2 negativa<br />

L’utilizzo a fini energetici delle biomasse è<br />

consentito a condizione che siano rispettati i<br />

criteri di efficienza energetica. Bisogna calcolare<br />

in modo completo il contributo delle diverse fonti<br />

147


all’insegna della sostenibilità<br />

di energia che concorrono al processo produttivo<br />

(input), dalla coltivazione al consumo finale (ad<br />

esempio carburanti per trasporti, fertilizzanti,<br />

energia elettrica, manodopera …) e la quantità<br />

di energia che se ne ricava (output).<br />

Il valore positivo del rapporto output/input si<br />

ha quando l’energia solare immagazzinata e poi<br />

liberata (output) è maggiore di quella proveniente<br />

da fonti non rinnovabili utilizzata lungo tutto il<br />

processo produttivo (input). Se il saldo energetico<br />

è positivo dovrebbe essere pari o negativo quello<br />

della produzione di CO 2 ; ma qui entra in gioco<br />

la variabile tempo. L’anidride carbonica fissata<br />

nei combustibili fossili in processi durati milioni<br />

di anni, viene liberata in atmosfera nello spazio<br />

brevissimo della combustione degli stessi. È<br />

questo che ne provoca l’accumulo in atmosfera<br />

e causa l’effetto serra. La CO 2 prodotta nella<br />

conversione di biomasse viene utilizzata nel<br />

processo di fotosintesi per la produzione<br />

di nuova biomassa e non contribuisce agli<br />

effetti negativi sul clima. È chiaro però che la<br />

conversione della biomassa in energia deve<br />

essere compatibile con i ritmi naturali, e il tempo<br />

dalla coltivazione al consumo finale deve essere<br />

il più breve possibile: ad esempio un conto è<br />

produrre biodisel o bioetanolo proveniente da<br />

una coltura che ha bisogno di soli pochi mesi<br />

di coltivazione, tutt’altro conto è trasformare<br />

foreste centenarie – quindi con cento anni di CO 2<br />

fissata – in legna da ardere. Di qui il concetto di<br />

ciclo breve nel tempo.<br />

Ciclo corto (nello spazio) e breve<br />

Nell’ambito delle fonti energetiche rinnovabili<br />

derivate da processi produttivi agricoli è necessario<br />

fare una precisa distinzione fra le produzioni<br />

espressione dei filiere produttive locali e le<br />

produzioni energetiche rinnovabili con biomasse<br />

o concentrati di esse con provenienza estera.<br />

Pur essendo ambedue no fossil – e quindi con<br />

emissioni di CO 2 pari a zero – non si può riconoscere<br />

agli impianti bioenergetici che si approvvigionano<br />

all’estero la stessa valenza ambientale<br />

delle produzioni locali. E questo per due motivi:<br />

il primo, di carattere strettamente ambientale,<br />

è che i già risicati margini del bilancio energetico<br />

vengono fortemente ridotti o azzerati con<br />

i trasporti; il secondo, non meno importante, è<br />

148<br />

di carattere etico: questi processi intensificano la<br />

rapina delle risorse agricole del sud del mondo<br />

e sottraggono alle produzioni alimentari enormi<br />

quantità di terreno in aree dove fame e sottonutrizione<br />

sono ancora presenti.<br />

Circoscrivere il raggio in cui reperire la biomassa<br />

necessaria all’alimentazione dell’impianto, ha<br />

lo scopo di rendere la biomassa a tutti gli effetti<br />

una fonte energetica rinnovabile e sostenibile.<br />

E’ di facile comprensione infatti, che il beneficio<br />

dovuto al bilancio nullo di emissioni di CO 2 della<br />

biomassa ad uso energetico può essere vanificato<br />

dall’apporto delle emissioni di CO 2 generate<br />

dal trasporto della biomassa fino all’impianto,<br />

in maniera più o meno significativa a seconda<br />

della distanza di origine delle biomasse medesime<br />

e del combustibile usato per il trasporto.<br />

Le garanzie tra gli attori della filiera<br />

Le filiere agroenergetiche devono fondarsi sulla<br />

figura dell’agricoltore che non può essere solo un<br />

attore tra i tanti, e cioè l’anello iniziale (e debole)<br />

della lunga catena che porterà alla produzione<br />

di energia, ma deve essere un protagonista di<br />

tutta la filiera, anche sotto il punto di vista dei<br />

redditi garantiti dalla riconversione energetica<br />

delle sue colture.<br />

Le colture bioenergetiche non hanno un mercato<br />

diffuso in grado di sostenere iniziative imprenditoriali<br />

slegate da un preciso e organizzato<br />

processo e flusso di filiera. Come tutte le colture<br />

destinate alla trasformazione industriale devono<br />

essere contrattualizzate con appositi accordi<br />

interprofessionali. In particolare gli impianti di<br />

combustione devono essere vincolati ad un preciso<br />

e dimostrabile accordo di filiera locale con i<br />

produttori.<br />

Senza di ciò la nascita di un impianto di generazione<br />

o di cogenerazione finirà per essere utilizzato<br />

per bruciare biomasse prodotta altrove,<br />

vanificando tutti i benefici ambientali in termini<br />

di emissioni complessive di gas di serra derivanti<br />

dal loro uso energetico. Va infine esclusa categoricamente<br />

l’ipotesi di utilizzare gli impianti a<br />

biomasse per bruciare anche i rifiuti di matrice<br />

organica, molto più utili per la produzione di<br />

compost per l’agricoltura per compensare la tendenza<br />

alla desertificazione dei suoli.


Faccio ora un esempio sul calcolo delle superfici<br />

occorrenti per il mantenimento di un impianto a<br />

biogas (al momento la modalità di utilizzo della<br />

biomassa probabilmente più efficiente e meno<br />

impattante) da 1,4 MW, e conseguentemente<br />

sulla necessità di “bacinizzare” il territorio al<br />

fine di prevedere una giusta quantità di impianti<br />

sostenibili dal territorio stesso.<br />

Atteso che la produzione di biomassa<br />

complessiva, necessaria per alimentare in un<br />

anno tale impianto è pari a 30.000 ton. di insilati<br />

di cereali, si ritiene che per quanto riguarda<br />

la produzione di insilati di mais si dovrebbe<br />

calcolare la resa unitaria non tanto sui 690 q.li<br />

ad ettaro, ottenibili solo con il ricorso alla pratica<br />

irrigua così come proposto dal richiedente, ma<br />

in coltura asciutta. Questo in quanto da un<br />

punto di vista della sostenibilità ambientale la<br />

produzione di energia da fonti rinnovabili deve<br />

essere perseguita utilizzando o i sottoprodotti/<br />

scarti delle produzioni agricole o nel caso di<br />

coltivazioni dedicate, apportando i minori<br />

“inputs” energetici possibili.<br />

Pertanto calcolando una produzione media<br />

di 550 q.li/ha di insilati in coltura asciutta il<br />

fabbisogno complessivo di terreni per garantire<br />

le 30.000 ton necessarie all’anno sono stimabili<br />

in 545 ettari anziché i 430 ettari come indicato in<br />

alcuni casi pratici.<br />

Inoltre, dovendo l’azienda che intende<br />

realizzare l’impianto garantire almeno il 50,1%<br />

di produzione propria, la superficie minima che<br />

annualmente tale azienda dovrà investire, per<br />

ottenere la materia prima occorrente, non potrà<br />

essere inferiore a 275 ettari.<br />

Superficie questa che dovrà inoltre essere<br />

accompagnata da un minimo di rotazione dei<br />

terreni al fine di evitare problemi di natura<br />

agronomica (stanchezza dei terreni, rese, apporti<br />

di inputs chimici ecc.); la rotazione dovrà essere<br />

effettuata alternando la stessa coltura sullo stesso<br />

terreno ogni tre anni e questo pertanto comporta<br />

la disponibilità, sempre in capo all’azienda<br />

stessa di una superficie di almeno 825 ettari.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

A questo si aggiungono le necessarie considerazioni<br />

in merito all’area di reperimento delle<br />

biomasse, ipotizzando che essa non possa essere<br />

superiore ad una superficie di raggio 25Km circa<br />

(vedi alcuni piani energetici provinciali che<br />

hanno trattato la materia) al fine di garantire il<br />

principio delle filiere corte nello spazio.<br />

È evidente quindi come non sia possibile pensare<br />

di localizzare ovunque sul territorio impianti<br />

energetici a biomassa a prescindere dalla effettiva<br />

disponibilità in loco della biomassa stessa.<br />

Sui territori agiscono contemporaneamente<br />

diverse competenze che non dialogano assolutamente<br />

fra di loro: accordi nazionali che riguardano<br />

il futuro degli ex zuccherifici, piani<br />

energetici regionali con previsioni, p.e. quello<br />

della Regione Emilia-Romagna, di impianti a<br />

biomassa da 300 MW, competenze provinciali<br />

per impianti di taglia inferiore: nessuno che si<br />

occupi di valutare la disponibilità effettiva della<br />

biomassa tenendo conto anche della necessità di<br />

garantire coltivazioni per l’alimentazione.<br />

Conseguentemente non è possibile, per tutte le<br />

argomentazioni fin qui svolte circa la sostenibilità<br />

ambientale, localizzare comunque impianti<br />

alimentati da biomassa proveniente da altri Paesi:<br />

insilato di mais dall’Argentina o olio di palma<br />

dal Madagascar o da altrove.<br />

In conclusione, lo sviluppo di filiere agricole non<br />

food a fini energetici, deve attuarsi attraverso<br />

la messa a punto di un sistema normativo<br />

regolamentare nazionale e/o regionale che<br />

assicuri che le produzioni agricole portino reali<br />

benefici al bilancio energetico ed ambientale<br />

complessivo, mirando ad una effettiva riduzione<br />

di CO 2 , salvaguardando specie ed habitat<br />

dalle minacce rappresentate dalla possibile<br />

introduzione di colture transgeniche e, ultimo<br />

ma non ultimo, la sovranità alimentare delle<br />

popolazioni locali.<br />

149


all’insegna della sostenibilità<br />

150


Monnezza e dintorni<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Giuseppe Piacentini<br />

“...poi il sacerdote offrirà il sacrificio espiatorio e e compirà l’espiazione per colui che si purifica della sua<br />

immondezza, quindi immolerà l’olocausto” Lv 14,21.<br />

Puro e impuro: e il rusco dove lo metto?<br />

La visione biblica di un cosmo decaduto a causa<br />

del peccato da uno stato di primigenia “purità”,<br />

e dal quale è necessario purificarsi per entrare<br />

nei luoghi del sacro, fornisce l’etimologia<br />

– e naturalmente non solo quella – al concetto<br />

di “immondizia” o immondezza: “ciò che è<br />

immondo, il contrario di mondezza e pulizia,<br />

dal latino mundus” 1 .<br />

Da notare, in quella medesima concezione, al<br />

contempo etica ed estetica, che tutto quello che<br />

ci dà anche solo vagamente l’idea di corruzione<br />

e di morte (anch’esse una conseguenza del<br />

peccato di Adam) entra necessariamente<br />

nell’orbita di ciò che è “immondo”, e che come<br />

tale ha la proprietà di contaminare anche quello<br />

che è mondo.<br />

Molto più prosaica, la parola “spazzatura” indica<br />

quello che rimane dopo avere pulito: sarebbe<br />

l’emiliano “rusco” che in termine dialettale<br />

suona “ròsc”.<br />

L’esperienza degli antichi, che con l’immondizia<br />

hanno avuto a che fare tanto quanto noi, e<br />

non solo gli ebrei, se persino ai tempi delle<br />

palafitte i villaggi dovevano spostarsi quando<br />

la convivenza con i loro stessi rifiuti diveniva<br />

insopportabile (le terramare oggetto di studio di<br />

Gaetano Chierici 2 , prima di lui utilizzate come<br />

fertilizzante), ci consente di sgomberare subito il<br />

campo dai miti e dagli spropositi neo-romantici<br />

o neo-bucolici del riciclo/recupero totale 3 : con la<br />

monnezza bisogna fare dei conti precisi e trovare<br />

delle soluzioni percorribili; da semplice sacco<br />

da gettare essa può trasformarsi in enorme ed<br />

informe mostro avviluppante e paralizzante,<br />

Neapolis docet.<br />

Entropia e economia: lanciati a folle corsa nello<br />

spreco di risorse e di energia soffochiamo nei<br />

loro sottoprodotti<br />

Le leggi della termodinamica, altrettanto ferree<br />

come quelle divine, e, al contrario di quelle, sperimentabili<br />

“scientificamente” (per la teologia<br />

biblica è molto grave “tentare/provare” Dio, sarebbe<br />

come avere su di Lui una sorta di “potere”,<br />

al quale Egli si sottrae deliberatamente) ci indicano,<br />

in senso più generale, che ogni trasformazione<br />

energetica genera degrado e sottoprodotti<br />

non voluti, sotto forma di calore e di disordine;<br />

più al nostro sistema forniamo input energetici<br />

più otteniamo disordine, perdite energetiche e<br />

sottoprodotti vari – ovvero monnezza - di cui il<br />

calore (effetto serra!) è solo uno degli effetti fisici<br />

indesiderati.<br />

Nella civiltà dell’energia è quindi necessario<br />

investire molte risorse nella purificazione e nella<br />

ramazza – non essendo possibili gli spostamenti<br />

tipici dell’età del bronzo; e questo accade in<br />

proporzione dell’energia immessa nei cicli<br />

produttivi.<br />

Un diverso ordine di considerazioni, di tipo<br />

specificatamente economico, è concorrente ad<br />

indicare e giustificare le montagne di rifiuti che<br />

nottetempo i nostri netturbini fanno sparire:<br />

l’appartenere al nord opulento del mondo ci<br />

privilegia – ingiustificatamente - dal punto di<br />

vista della sproporzionata disponibilità di materie<br />

prime, che non paghiamo per quello che valgono:<br />

o perchè direttamente o indirettamente in mano<br />

nostra, o per qualche forma di retaggio neo-coloniale,<br />

o perchè “scambiate” nella bilancia del<br />

pagamenti dei paesi terzi con prodotti tecnologicamente<br />

avanzati (fra cui le armi). Chi è stato,<br />

per esempio, in Cina, sa bene che buttare anche<br />

solo un bicchiere di plastica (operazione per noi<br />

consueta) consente di trovare immediatamente<br />

qualche raccoglitore assai poco schifiltoso.<br />

151


all’insegna della sostenibilità<br />

Quanti “sacchi” sono?<br />

Una pluriennale esperienza di lavoro nel Corpo<br />

Forestale dello Stato nel settore consente a chi<br />

scrive di esprimere qualche valutazione di<br />

merito sulla situazione dei rifiuti nel nostro<br />

paese 4 .<br />

Di veramente recuperabile da RU 5 , a parte la<br />

frazione organica di cui si dirà, c’è carta, vetro,<br />

plastica (con limitazioni) e i metalli.<br />

I conti sono presto 6 fatti: ogni italiano produce<br />

quasi 550 Kg di rifiuti (RU) ogni anno, dei quali<br />

la percentuale di recupero può essere circa un<br />

quarto, senza arrivare al terzo. Percentuali<br />

maggiori, riferibili al nord del paese, solitamente<br />

nascondono in realtà il fatto che si aggregano<br />

al recuperato o recuperabile gli “assimilabili”<br />

agli urbani, come ad esempio gli imballaggi<br />

di cartone dei supermercati, che poco o nulla<br />

hanno a che vedere con la monnezza vera, ma che<br />

sono per loro natura pienamente recuperabili in<br />

un qualche circuito di lavorazione della carta.<br />

Questo consente di facilitare le procedure<br />

logistiche e giuridiche di recupero e di immettere<br />

direttamente al recupero – senza passare da un<br />

impianto autorizzato – materiali “standard” più<br />

vari: carte e cartoni, mobili, abiti usati, ecc.<br />

Aumentare gli “assimilabili” recuperando di<br />

più, dal punto di vista statistico incrementa<br />

le percentuali di recupero, ma aumenta<br />

proporzionalmente i Kg/procapite/giorno di<br />

rifiuto urbano, e da qui la confusione che regna<br />

sui conti e la differenza anche notevole fra<br />

provincie, ma della quale è detto più sotto con<br />

due città - esempio.<br />

Due città a caso<br />

Il confronto dei dati fra due città prese “a caso”<br />

nel panorama nazionale, la prima fra quelle<br />

a minore produzione di rifiuti pro capite e la<br />

seconda fra quelle a maggiore, la prima al sud e<br />

la seconda nel nord, ci consente di esemplificare<br />

i casi (ma non sono casi limite) entro i quali<br />

si compendiano, a vario grado, le 100 città<br />

italiane.<br />

Napoli, una delle città singolarmente (sigh!) a<br />

minore produzione pro capite di rifiuti nel panorama<br />

nazionale, nel 2005 produceva 520 Kg<br />

152<br />

di rifiuti a persona, dei quali meno del 10% derivanti<br />

dalla raccolta differenziata, diciamo più o<br />

meno 40 Kg. L’indifferenziato rimanente, circa<br />

480 Kg, è quello che potremmo chiamare il “sacco<br />

nero”: più leggero a motivo del peso analogo<br />

del reddito pro capite (ci si pensa su due volte<br />

prima di dire: butto e poi ricompro) e per la capillare<br />

diffusione, nella città campana, di esercizi<br />

e mercati nel settore della distribuzione che<br />

limitano non solo gli imballaggi 7 , ma anche gli<br />

sprechi di sostanze alimentari 8 .<br />

Per contro questa città fa poco o nulla per la<br />

raccolta differenziata: quasi tutto finisce nel<br />

cassonetto.<br />

Reggio Emilia, invece, “differenzia” in modo<br />

spinto, anche per l’impegno costante di<br />

amministratori, tecnici, e municipalizzate: le<br />

proiezioni 2007 9 indicano quote da capogiro:<br />

quasi il 50% di raccolta differenziata, ma la<br />

produzione di rifiuti pro capite “passa” a 760<br />

Kg, più di una volta e mezza quella partenopea.<br />

L’indifferenziato pro capite di Reggio Emilia, al<br />

netto della raccolta differenziata, risulta perciò<br />

“solo” di 70 Kg inferiore a Napoli, 410 contro 480<br />

Kg/giorno, attestandosi su un “nocciolo duro”<br />

difficilmente intaccabile, quello dei fatidici 1.1<br />

Kg/g a persona 10 .<br />

Ma compost da cosa?<br />

Mi ricordo la favola dei lombrichi, che venivano<br />

allevati per “digerire” i sottoprodotti, e che<br />

venivano venduti ad altri che iniziavano<br />

l’allevamento. Poi anche questi li rifilavano ad<br />

altri... C’era una volta un re...<br />

Nessun agricoltore che non voglia lucrare sui<br />

rifiuti anziché lavorare guadagnandosi il pane<br />

col sudore della fronte porta sul suo campo<br />

– dove coltiva roba da mangiare – quello che<br />

avanza della sua pattumiera, e tantomeno di<br />

quella degli altri, per quanto meravigliosamente<br />

compostato e maturato 11 ; né si è mai visto<br />

allevare gerani sul terrazzo con un terriccio che<br />

sia eterogeneamente troppo sospetto: il compost<br />

commerciabile è in realtà quello proveniente da<br />

raccolta differenziata: residui di potatura, residui<br />

industriali, frazione umida di RU separato alla<br />

fonte, ecc.<br />

O, a voler essere veramente alternativi, quello


prodotto nel giardino di casa: perfetto contrappasso<br />

della sindrome NIMBY 12 . In quest’ultimo<br />

caso, per ottenere un rapporto corretto carbonio/azoto,<br />

sarebbe addirittura necessaria una<br />

frequente spruzzata di urea, anche questa di<br />

fonte naturale, com’è facilmente intuibile dalle<br />

assonanze.<br />

Di “digestioni anaerobiche” bisognerebbe<br />

parlare solo con la discrezione con cui si<br />

menziona solitamente l’ultima porta a destra:<br />

ricordano troppo da vicino – per forza di cose: il<br />

processo è il medesimo – quello che avviene nei<br />

nostri visceri, ed anche i suoi sottoprodotti solidi,<br />

liquidi ed eterei sono poco simpaticamente<br />

analoghi.<br />

La FOS (frazione organica stabilizzata)<br />

proveniente dal compostaggio “industriale”<br />

degli RU indifferenziati (cioè procedimenti<br />

di lavorazione e separazione del contenuto<br />

dei “sacchi neri”) è normalmente utilizzata<br />

per ricoprire periodicamente la monnezza tale<br />

e quale nelle discariche, mentre sopra e sotto<br />

questo strato “pulito” vi giace anche la frazione<br />

non recuperata (anche oltre il 50%), proveniente,<br />

anch’essa, dagli impianti di compostaggio:<br />

siamo davvero sicuri che valga la pena di<br />

investire tanto – in termini di energia, di tempi,<br />

di impianti, di trasporti – per ottenere questo,<br />

anche idealmente, ben misero risultato?<br />

La spinta alla produzione di compost è costituita<br />

in realtà dai contributi e soprattutto dalla<br />

fortissima detassazione, anche oltre l’80% della<br />

tariffa, di cui godono i rifiuti derivanti dai processi<br />

di recupero, spesso ottenuti in settori borderline<br />

ed in “zone grigie” non normate: la Regione<br />

Emilia Romagna solo nel 2006 ha introdotto una<br />

percentuale “minima” di recupero per ottenere<br />

lo sconto di tariffa, e di consueto non è l’ultima<br />

regione italiana a entrare nel merito.<br />

Una domanda è più che lecita: ma alla fine chi<br />

paga?<br />

Porta a porta: se Vespa inquina l’etere<br />

bisognerebbe differenziarlo alla fonte<br />

La forma più efficace di recupero, nel campo<br />

degli RU, è quello alla fonte: educativo, efficace,<br />

reale. In questo caso, tutta la frazione organica<br />

diventa potenzialmente recuperabile in compost,<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

ma solo a prezzo di un aumento considerevole<br />

dei costi della gestione delle reti di raccolta<br />

e, naturalmente, di un certo incremento del<br />

disagio individuale e collettivo nella gestione<br />

quotidiana del problema dei rifiuti: il “porta<br />

a porta” si ottiene solo con una capillare e<br />

impegnativa educazione ambientale specifica,<br />

e funziona in ambiti urbani di livello piccolo e<br />

intermedio, caratterizzati da una forte identità e<br />

coscienza ambientale - caso “classico” quello di<br />

Graz - mentre diventa difficile pensarlo attuabile<br />

ad ogni livello ed in ogni situazione.<br />

Il motivo principale è di ordine generale: saturato<br />

il mercato del compost, i cui impianti già oggi<br />

sono sottoutilizzati rispetto alle potenzialità,<br />

si dovranno aumentare sensibilmente anche a<br />

valle gli incentivi, tali da far giungere i costi del<br />

processo ad un limite insuperabile.<br />

Si parla di percentuali da sogno, oltre il 50 e fino<br />

al 60% di RU “differenziato”, ma ci si riferisce<br />

alle esperienze pilota, e guai ad applicare<br />

queste quote al recupero finale: ogni processo di<br />

gestione e di recupero del rifiuto produce scarti<br />

e sovvalli in quantità davvero imbarazzanti:<br />

è sufficiente un singolo maldestro atto di<br />

smaltimento “indifferenziato” per fare “buttare<br />

a mare” (terramare?) tutta la partita, rendendo<br />

vano anche lo sforzo altrui contro l’entropia.<br />

Rimane quindi a valle dei processi di recupero<br />

una quantità di indifferenziato o di scarto<br />

che, a parere di chi scrive 13 , non si discosterà<br />

sensibilmente in meno dal chilo al giorno a<br />

testa.<br />

E’ perciò evidente che la raccolta differenziata<br />

e che anche le forme più o meno spinte di<br />

raccolta “porta a porta” non possono costituire<br />

un’alternativa “piena” alle forme tradizionali<br />

di gestione, come dimostra l’intera l’esperienza<br />

europea ed oltre. Se persino Calcutta 14 ha le sue<br />

discariche, come si suol dire: un motivo ci deve<br />

pure essere.<br />

Montagne e “montagnole” di monnezza: le<br />

discariche<br />

Le nostre terramare sono il metodo più semplice<br />

per disfarsi dei rifiuti, interrandoli in un buco<br />

e ricoprendoli, e la semplicità, quando è ora di<br />

trattare con materiale non solo povero, ma di<br />

153


all’insegna della sostenibilità<br />

cui tutti si vogliono sbarazzare, e che ha per<br />

giunta costi forti di trasporto, di stoccaggio, di<br />

eventuale lavorazione, può davvero essere una<br />

strategia vincente.<br />

La “montagnola” di Bologna, parco pubblico<br />

frequentatissimo, è una ex.<br />

Dire che inquinano le falde è da irresponsabili:<br />

vengono scelti siti idonei e opportunamente<br />

impermeabilizzati, ed il percolato finisce<br />

normalmente al depuratore.<br />

Producono gas (CO2, CH4, ecc.) dalla<br />

fermentazione né più né meno delle nostre<br />

naturalissime quanto imbarazzanti flatulenze;<br />

parlare di effetto serra è improprio: qui è solo il<br />

ciclo del carbonio che si chiude, e succederebbe,<br />

almeno a grandi linee, con qualunque altro<br />

metodo o sistema, compreso il compost,<br />

l’abbruciamento, la digestione, l’incenerimento,<br />

ecc. a meno di non voler spedire i rifiuti sulla<br />

luna.<br />

Portarli invece in Germania, dove gli standard<br />

richiesti sono elevati - ad essi vi si adegua<br />

costantemente la normativa europea - ma le<br />

discariche non mancano, e dove anche gli<br />

autotrasporti ci sono ormai concorrenziali<br />

(potenza teutonica) è folle: le discariche<br />

devono essere non troppo distanti dai luoghi di<br />

produzione, ed è giusto ed equo che ogni città o<br />

provincia abbia le sue.<br />

Imballarli e poi stoccarli su campi presi in affitto<br />

a prezzo salatissimo, in attesa di una collocazione<br />

opportuna, non trova altro motivo se non la<br />

connivenza con speculatori senza scrupoli.<br />

Il contributo del metano prodotto dalle discariche<br />

all’effetto serra è tema tutto da discutere, ma<br />

non sembra argomentazione discriminante per<br />

preferire un sistema di trattamento dei rifiuti<br />

all’altro 15 .<br />

“Ricordati uomo che sei cenere ed in cenere<br />

ritornerai “ – i termovalorizzatori<br />

Il primo “messaggio” che Dio dà all’uomo<br />

decaduto per il peccato, inaspettatamente<br />

e scandalosamente “materialistico”, e ben<br />

differente da altre affermatissime concezioni<br />

religiose, che pongono la fine dell’individualità<br />

fra gli epifenomeni apparenti e/o recuperandone<br />

154<br />

qualche scarno brandello nei cicli della<br />

reincarnazione – ci offre lo spunto, alludendo<br />

a tutti gli effetti (fra le altre cose) al ciclo del<br />

carbonio, per affrontare il tema in titolo 16 .<br />

L’incenerimento o termovalorizzazione (il ciclo<br />

di lavorazione è esotermico con una discreta<br />

produzione di energia, nemmeno paragonabile,<br />

ovviamente, a quella delle centrali energetiche) è<br />

un’ottima soluzione tecnica per i RU, pienamente<br />

abbracciata, solo per fare uno fra i tanti possibili<br />

esempi, da un paese come la Svizzera, che in fatto<br />

di pulizia (ma per il danaro vale come sarcasmo)<br />

non ha da imparare nulla a nessuno 17 .<br />

Compostare prima per ottenere CDR 18 pare una<br />

inutile complicazione: meglio bruciare tutto<br />

subito.<br />

Dire che producono diossina è allarmismo<br />

irresponsabile: è noto che per evitare il<br />

problema è sufficiente regolare la temperatura<br />

della caldaia. La diossina si produce casomai a<br />

bruciare i rifiuti – le plastiche - all’aria aperta,<br />

cosa che accade quotidianamente nel caso di<br />

eventuali emergenze monnezza.<br />

Quanto all’effetto serra, vale quanto già detto: se<br />

la materia che si brucia è organica (cioè dedotta la<br />

plastica ed assimilati) non si fa che accelerare la<br />

chiusura del ciclo del carbonio: la CO 2 prodotta è<br />

la medesima che le piante – solitamente nel corso<br />

di un solo anno nei cicli agricoli – avevano fissato<br />

sottraendola all’atmosfera, ed è la medesima che<br />

si otterrebbe molto più lentamente con l’utilizzo<br />

del compost nel terreno ad opera degli organismi<br />

decompositori.<br />

Inoltre una sola ciminiera monitorata e munita<br />

di filtro in chiusura è sempre tecnicamente ed<br />

ambientalmente molto più affidabile dal punto<br />

di vista delle emissioni di tante “stufette”<br />

diffuse, ed il controllo diretto o indiretto<br />

dell’apparato pubblico – nel nostro paese questa<br />

è una chimera: si punta sull’allarmismo per<br />

avere uditorio - dovrebbe dare quella fiducia<br />

sufficiente alla popolazione non troppo distante:<br />

gli inceneritori, riducendo il volume dei rifiuti<br />

a circa il 30% in peso ed il 10% in volume<br />

del materiale immesso, per poi collocare il<br />

sottoprodotto in discarica (per rifiuti speciali<br />

non pericolosi), devono necessariamente essere<br />

ubicati vicino alle fonti di produzione del rifiuto<br />

stesso, e cioè non troppo distante dalle case dei


loro produttori, che verranno anche riscaldate<br />

con gli avanzi di calore non diversamente<br />

recuperabili nella cogenerazione.<br />

Le difficoltà di collocazione di eventuali impianti<br />

sono perciò da valutare opportunamente –<br />

costituiscono un costo oggettivo ed un possibile<br />

fattore di fallimento – nella loro previsione.<br />

Collocandosi ad un livello intermedio,<br />

gli inceneritori non sono sostitutivi delle<br />

discariche, indispensabili nei momenti di stop<br />

tecnico, di problemi di emissioni, di problemi<br />

con immancabili “comitati”, nonché per la<br />

collocazione dei loro cinerei sottoprodotti.<br />

Vo concludendo<br />

Prima ancora dei problemi sanitari e ambientali,<br />

è il nostro innato senso estetico – quello descritto<br />

nelle rubriche liturgiche del sacrificio e delle<br />

abluzioni del libro del Levitico come quello<br />

desunto dal comportamento dei progenitori<br />

dell’età del bronzo – a farci aborrire la monnezza.<br />

L’insegnamento degli antichi è semplice e buono:<br />

da essa bisogna semplicemente liberarsi, il prima<br />

possibile, ad una distanza ragionevolmente<br />

vicina (ma non dietro casa, è sempre la NIMBY!)<br />

ed al costo più basso possibile. Investirvi risorse<br />

ulteriori è costoso e alle volte inefficace, talora<br />

addirittura controproducente.<br />

Anche dalla parabola di Re Mida dobbiamo<br />

imparare: la rincorsa all’opulenza fine a sé stessa<br />

rischia alla lunga di ingolfarci di cose inutili e dei<br />

loro voluminosi e maleodoranti – e inquinanti<br />

– sottoprodotti. Tutto è potenziale rifiuto, anche<br />

l’oro zecchino, se troppo abbondante e se troppo<br />

avulso dalle nostre necessità vitali.<br />

Neapolis quoque docet: il “rifiuto” è oggi uno dei<br />

temi qualificanti del compito di amministratori,<br />

tecnici e politici, non solo perchè le tariffe<br />

relative cominciano a pesare sulle tasche dei<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

loro amministrati: se non c’è soluzione al<br />

problema le città possono diventare davvero<br />

invivibili. E, nell’emergenza, fare qualcosa<br />

è davvero difficilissimo: si sviluppano nella<br />

pubblica opinione paure irrazionali che i media<br />

amplificano e rinfocolano quotidianamente nel<br />

progressivo e autodistruttivo (per entrambi)<br />

circolo vizioso: più l’informazione scorretta<br />

spaventa, più è richiesta.<br />

Bene il recupero alla fonte degli urbani – quelli<br />

industriali va da sé – ma non lo si ponga<br />

come “alternativa” ai tradizionali sistemi di<br />

smaltimento: non lo è.<br />

E’ indispensabile poter contare in un ipotetico<br />

territorio provinciale (una delle 100 e non<br />

una delle due) su almeno qualche discarica<br />

e differenziare: visti i tempi ed i costi e le<br />

difficoltà di localizzazione e realizzazione degli<br />

impianti, quando insorgono difficoltà non si<br />

può fare altro che allargare quelle esistenti. Le<br />

discariche “rimangono” anche nel caso della<br />

termovalorizzazione, che si deve appoggiare<br />

a strutture di stoccaggio e collocazione a<br />

destino finale esistenti. Ma prima di proporre<br />

quest’ultima soluzione – il cui immediato effetto<br />

sarà quello dell’insorgenza di agguerritissimi<br />

comitati spontanei fortemente motivati e<br />

determinati, nonché mossi da motivazioni di<br />

carattere privatistico mascherate da attenzioni<br />

globali all’ambiente - è indispensabile contare<br />

su un sufficiente grado di consenso pubblico.<br />

Forse qualche futuro Gaetano Chierici, in<br />

un’epoca imprecisata, andrà a cercare le terramare<br />

dell’era della plastica, per vedere com’erano i<br />

suoi antenati: arduo da dire, ma ci valuterà forse<br />

sciuponi e spreconi, causa diretta ed indiretta di<br />

degrado complessivo del pianeta e quant’altro.<br />

Ma una cosa mi pare certa: non le potrà nè le<br />

vorrà utilizzare come fertilizzante.<br />

1 Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani.<br />

2 Gaetano Chierici (Reggio Emilia 1838 – 1920), naturalista e paletnologo, fu tra i primi a studiare le terramare, sino ad allora note<br />

e utilizzate come fertilizzante.<br />

3 L’epigono di una visione fortemente ideologica ed irrealizzabile del “recupero totale” in Italia è Walter Ganapini, alle cui<br />

numerose pubblicazioni rimando.<br />

155


all’insegna della sostenibilità<br />

4 Fonte: Rapporto rifiuti 2006, curato da APAT – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici e ONR –<br />

Osservatorio Nazionale Rifiuti (Roma, gennaio 2007). Il rapporto è reperibile direttamente in rete su: http://www.apat.gov.<br />

it. Ne riportiamo ampio stralcio per maggiore chiarezza ed informazione con l’avvertenza che i dati si riferiscono al 2005. “La<br />

produzione dei rifiuti urbani fa, purtroppo, registrare, un ulteriore aumento nel 2005, raggiungendo 31,7 milioni di tonnellate, con un<br />

incremento di ben 1,6 milioni di tonnellate rispetto al 2003 (+5,5%), ed un pro capite di circa 539 kg/abitante per anno (6 kg/abitante per<br />

anno in più rispetto al 2004 e 15 kg/abitante per anno in più rispetto al 2003). Una risposta positiva è data dall’incremento della raccolta<br />

differenziata che, nel 2005, si colloca al 24,3% della produzione totale dei rifiuti urbani. Tale valore risulta, tuttavia, ancora sensibilmente<br />

inferiore rispetto al target del 35%, originariamente previsto per il 2003 dal D.Lgs. 22/97 e successivamente posticipato al 31 dicembre<br />

2006 dal D.Lgs. 152/2006. Difficilmente il gap di oltre 10 punti percentuali potrà essere colmato nell’arco di un anno considerando, anche,<br />

che con la finanziaria 2007, il Governo ha fissato il raggiuntimento dell’obiettivo di almeno il 40% entro il 31 dicembre 2007. La situazione<br />

appare, comunque, decisamente diversificata passando da una macroarea geografica all’altra; infatti, mentre il Nord, con un tasso di raccolta<br />

pari al 38,1%, supera ampiamente l’obiettivo del 35% (tale target era già stato conseguito nel 2004), il Centro ed il Sud, con percentuali<br />

rispettivamente pari al 19,4% ed all’8,7%, risultano ancora decisamente lontani da tale obiettivo. In questo contesto, particolarmente<br />

rilevante è il dato relativo alla crescita del settore del compostaggio che, nel 2005, fa registrare un incremento percentuale del 13% circa,<br />

dopo l’andamento negativo riscontrato nel periodo 2002-2004; aumentano sia i quantitativi di rifiuti trattati (oltre 2 milioni di tonnellate<br />

di rifiuti urbani), che il numero di impianti presenti sul territorio nazionale. Vale la pena di sottolineare che il riciclaggio della frazione<br />

biodegradabile degli RU e la sua trasformazione in compost assume particolare significato anche ai fini del ripristino di un adeguato tenore<br />

di sostanza organica nei suoli per il mantenimento della fertilità e la limitazione dei fenomeni di erosione e desertificazione, assai accentuati<br />

in alcune aree del nostro Paese. Inoltre, la trasformazione dei rifiuti biodegradabili ed il loro utilizzo agronomico, rispondono alla necessità<br />

di allontanare la frazione organica dalla discarica con l’obiettivo prioritario di ridurre la produzione di metano, un gas serra 21 volte più<br />

potente del biossido di carbonio. Nell’anno 2005, ben il 22,6% dei rifiuti urbani, pari ad oltre 8,4 milioni di tonnellate, è stato avviato ad<br />

impianti di biostabilizzazione e produzione di CDR. Non può, invece, commentarsi in termini positivi il perdurare di elevate percentuali di<br />

rifiuti urbani allocati in discarica. Lo smaltimento in discarica, pur mostrando una lieve riduzione, pari al 3%, si conferma, anche nel 2005,<br />

come la forma di gestione più utilizzata, con oltre 17 milioni di tonnellate di rifiuti. Va, comunque, registrata la progressiva diminuzione<br />

del numero di discariche (61 in meno rispetto al 2004), soprattutto al Sud del Paese dove maggiore era la loro concentrazione e la loro<br />

inadeguatezza rispetto agli standard fissati dalla direttiva europea in materia. L’incenerimento, che interessa il 10,2% dei rifiuti gestiti,<br />

registra una crescita di poco inferiore al 9% e raggiunge quota 3,8 milioni di tonnellate. Dei 50 impianti operativi, 30 dei quali localizzati al<br />

Nord, ben 47 sono dotati di recupero energetico e molti di essi sono di nuova generazione e dotati di efficaci sistemi di abbattimento, secondo<br />

gli standard imposti dalle migliori tecniche disponibili.”<br />

5 Rifiuti Urbani.<br />

6 Se si analizza il sacchetto medio della spazzatura degli italiani, si scopre che buona parte dei rifiuti prodotti, circa il 43% del<br />

totale, è costituita da rifiuti organici (in particolare, scarti alimentari e vegetali). L’altra principale componente dei nostri rifiuti<br />

è costituita dagli imballaggi (circa 40%) suddivisibili a seconda della materia prima di cui sono fatti, in carta e cartone (22%),<br />

vetro (7%), plastica (7%) e metalli (3%). Dati della Fondazione Eni Enrico Mattei.<br />

7 La standardizzazione della distribuzione e le necessità logistiche impongono ormai tre ordini di imballaggi per le merci.<br />

8 E’ noto che uno degli effetti collaterali della grande distribuzione e dei suoi “sconti” è lo spreco di prodotti alimentari, che può<br />

arrivare anche al 40% dell’acquistato.<br />

9 I dati dell’Osservatorio Provinciale Rifiuti di Reggio Emilia si riferiscono in realà solo al primo semestre 2007.<br />

10 Ecco i dati completi, riferiti alle due provincie, del rapporto citato per il 2005: Napoli: abitanti 3.086.622, produzione pro capite<br />

di rifiuti: 523,45 Kg; di cui da raccolta indifferenziata Kg 483,10 e differenziata Kg 40,35; Reggio Emilia: abitanti 494.212,<br />

produzione pro capite di rifiuti: 759,56 Kg; di cui da raccolta indifferenziata Kg 414,07 e differenziata Kg 345,49; la media pro<br />

capite UE era di 580 Kg procapite nel 2004.<br />

11 Assai differente è il caso dei fanghi di depurazione, smaltiti in agricoltura, assimilabili ai letami ed ai reflui di allevamento<br />

essendo il prodotto digestivo dei batteri responsabili dei processi di depurazione.<br />

12 “Not In My Back Yard”, non nel mio giardino, è lo slogan consueto di chi non vuole discariche e inceneritori troppo poco distanti<br />

da casa. Potremmo scherzosamente coniare un neologismo per la sindrome da riciclo privato: JIMBY (Just In My Back Yard).<br />

13 E’ un caso di inquinamento metafisico o “spamming”: l’abbondanza di numeri sui rifiuti rende impossibile reperire questo dato<br />

significativo a livello provinciale o anche nazionale: il netto recuperato e il resto delle operazioni di recupero, quello che si<br />

impara alle elementari: peso lordo - peso netto = tara.<br />

14 Qualche lustro fa un vecchio prete di montagna, don Zanni, le raccontava con un misto di pudore e di sconcerto puntinate qua<br />

e là di piccole sfere biancastre rotondeggianti, segno di quanto “potè il digiuno”.<br />

15 Anche se meno presente della CO2 , il metano sembra responsabile del 20% dell’innalzamento dell’effetto serra. Il metano è<br />

infatti prodotto dai batteri responsabili della decomposizione della materia organica in condizioni di anaerobiosi – cioè in<br />

mancanza o scarsità di ossigeno – e quindi dalle discariche e dalla normale attività biologica di molti animali, come i milioni<br />

di bovini e suini presenti sulla terra. Si emette metano anche durante la produzione e il trasporto di carbone e gas naturale. Il<br />

bilancio del metano, che contribuisce all’effetto serra oltre 20 volte più della anidride carbonica a parità di peso, è peraltro assai<br />

complesso: si stima che 110 milioni tonnellate all’anno di emissioni di metano provengono dalla produzione di energia, 40<br />

milioni di tonnellate dalle discariche, 25 dal trattamento dei rifiuti, 40 dalle biomasse bruciate, 20 dalle termiti, 15 dall’oceano,<br />

10 dagli idrati, 115 dai ruminanti e 225 dalle zone umide (risaie, ma anche paludi). Il contributo delle discariche sarebbe<br />

così inferiore al 7% di tutte le emissioni. Inoltre Il metano è sequestrato dall’atmosfera nel processo naturale di formazione<br />

dell’acqua e rimane in atmosfera per 11-12 anni, meno di molti altri gas serra. Su “le Scienze” di aprile 2007 è apparso un<br />

articolo di Frank Keppler e Thomas Rockmann che ha stimato il possibile contributo delle piante vive (non in condizioni<br />

di anaerobiosi) al metano presente in atmosfera e sono arrivati a un valore impressionante compreso tra 60 e 240 milioni di<br />

tonnellate all’anno. Il valore più alto corrisponde a ben un terzo delle emissioni totali in atmosfera. La ricerca è tuttavia ancora<br />

in fase di forte discussione. In ogni caso il metano prodotto dalle discariche, essendo relativamente concentrato, può essere<br />

facilmente controllato (bruciato) o addirittura sfruttato.<br />

16 In realtà il detto biblico dice più esattamente “polvere”, “terra”: Adam, in ebraico, allude ad Adamà (terra) allo stesso modo del<br />

156


all’insegna della sostenibilità<br />

latino Homo che allude a Humus (Cfr. Luigi Rigazzi: “e Dio disse...” Silvana Piolanti editore, 2007). I due termini sono peraltro<br />

accostati spesso (Gn 18.27; Gb 2.12, 42.6, ecc.) e l’uso di polvere o cenere sul capo o addosso assume il medesimo significato di<br />

memento mori.<br />

17 In Europa l’incenerimento interessa la metà circa dei rifiuti smaltiti in discarica, con oltre 600 impianti. Volendo fare una<br />

panoramica più generale sulla destinazione dei rifiuti in Europa: il numero di impianti di discarica è superiore a 11.000 (8.700<br />

considerando solo gli Stati membri UE25). Particolarmente elevato appare il numero di discariche presenti in Germania,<br />

Turchia, Regno Unito, Polonia e Grecia. Il numero di impianti di incenerimento censiti dall’OCSE sul territorio europeo risulta<br />

pari a 646, di cui 562 dotati di sistemi atti a garantire il recupero di energia. Per quanto riguarda i rifiuti urbani si calcola un<br />

ammontare complessivo di rifiuti urbani smaltiti in discarica superiore a 90 milioni di tonnellate; l’incenerimento può essere<br />

quantificato in circa 45 milioni di tonnellate di rifiuti trattati, quasi interamente avviati ad impianti dotati di sistemi per il<br />

recupero di energia. Nei Paesi UE15 l’ammontare di RU complessivamente inceneriti è pari ad oltre 40 milioni di tonnellate.<br />

I trattamenti biologici e le operazioni di riciclo, infine, si attestano, entrambi, a circa 37 milioni di tonnellate. Dal 1995 al 2003,<br />

l’incenerimentonell’UE15 aumenta di circa 27 kg/abitante per anno, da 81 kg/abitante per anno a 108 kg/abitante per anno,<br />

che si traduce in una crescita percentuale superiore al 33%. Da: “Rapporto...”, cit.<br />

18 Combustibile Da Rifiuto.<br />

157


all’insegna della sostenibilità<br />

158


Paesaggi e Parchi<br />

• l tema del degrado paesistico<br />

nell’ aggiornamento del Piano del Paesaggio Lombardo, di Mario Prusicki<br />

• La concezione del paesaggio nella nuova pianificazione regionale, di Patrizia Chirico<br />

• Paesaggi e Paesaggio, di Gioia Gibelli<br />

• Paesaggio? Che sapia mi, qua no ghe ne xe, di Giancarlo Poli<br />

• La festa itinerante dei Centri Storici minori, di Manuela Ricci<br />

• Paesaggio rurale, rete locale: alcune questioni, di Dario Rei<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

159


all’insegna della sostenibilità<br />

160


Il tema del degrado paesistico nell’aggiornamento<br />

del Piano del Paesaggio Lombardo<br />

Il degrado paesistico è un fenomeno sempre<br />

più pervasivo e devastante che sembra oggi<br />

difficilmente arrestabile.<br />

La consapevolezza che una vera inversione<br />

di tendenza possa essere innescata solo da un<br />

radicale cambiamento del modello di sviluppo<br />

insediativo non deve impedire di elaborare<br />

e mettere in atto al più presto strategie di<br />

riqualificazione e di contenimento/prevenzione<br />

il più possibile efficaci anche nel breve-medio<br />

periodo. Ciò implica la necessità di affrontare<br />

la gestione del paesaggio anche in termini<br />

specificatamente progettuali.<br />

In questa direzione, la ratifica della Convenzione<br />

Europea 1 che sancisce il principio fondamentale<br />

che tutto il territorio è paesaggio, ha dato una<br />

forza straordinaria (forse non del tutto prevista)<br />

all’indicazione contenuta nell’art.143, comma 1,<br />

lettera f) del Codice che affida al Piano Paesaggistico<br />

il compito di individuare a scala regionale<br />

gli interventi di recupero e riqualificazione delle aree<br />

significativamente compromesse o degradate.<br />

Attraverso questo combinato disposto, ulteriormente<br />

rafforzato dalla recentissima sentenza<br />

della Corte Costituzionale che riafferma il paesaggio<br />

come valore “primario e assoluto” 2 , il<br />

tema del recupero e della riqualificazione delle<br />

aree degradate non può più essere trattato solamente<br />

in rapporto ad alcune situazioni particolari<br />

e circoscritte o come espressione di una volontà<br />

di parte: esso assume un nuovo spessore<br />

ed una nuova complessità, divenendo necessariamente<br />

uno dei temi centrali della pianificazione<br />

paesistico-ambientale.<br />

In quest’ottica l’aggiornamento del Piano Territoriale<br />

Paesaggistico della Lombardia 3 , entrato<br />

a far parte integrante (ai sensi della L.R.12/2005)<br />

della proposta di Piano Territoriale Regionale attualmente<br />

in itinere 4 , ha costituito un’importante<br />

momento di approfondimento affrontando<br />

in particolare quattro questioni fondamentali.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Come definire il degrado paesistico ?<br />

di Marco Prusicki<br />

Mancava una definizione di degrado paesistico<br />

efficace in termini operativi alle diverse scale di<br />

lettura e di intervento.<br />

Considerando il territorio nella sua totalità e<br />

nel suo processo di continua trasformazione, al<br />

riconoscimento della condizione di degrado come<br />

“perdita, deturpazione di risorse naturali e di caratteri<br />

culturali, storici, visivi, morfologici testimoniali” 5 ,<br />

si è ritenuto necessario correlare anche il<br />

riconoscimento del mancato raggiungimento di<br />

una nuova condizione qualitativamente significativa<br />

sul piano dell’abitabilità dei luoghi, strettamente<br />

connessa all’arricchimento e/o alla valorizzazione<br />

del loro patrimonio naturalistico, artistico-culturale,<br />

estetico (durevole e dunque trasmissibile) 6<br />

Secondo tale definizione sono dunque da considerare<br />

aree e ambiti degradati e/o compromessi<br />

7 (in base ad un giudizio sul grado di reversibilità<br />

o irreversibilità degli effetti), tutte le situazioni<br />

dove alla sistematica distruzione del paesaggio<br />

millenario 8 non è finora corrisposta la riconfigurazione<br />

(o la promessa attendibile e condivisa<br />

di una futura prevedibile riconfigurazione)<br />

di un nuovo quadro paesistico-insediativo, che,<br />

seppure diverso dal precedente, possa essere ritenuto<br />

altrettanto significativo in termini qualitativi<br />

e in grado di consentire l’avvio di una nuova<br />

fase di re-identificazione del territorio che superi<br />

le fasi precedenti, ricomprendendole.<br />

Come descrivere e classificare i fenomeni di<br />

degrado paesistico ?<br />

Mancava una fenomenologia del degrado paesistico<br />

utile per formulare un primo quadro conoscitivo<br />

di insieme del degrado/compromissione<br />

paesistica in essere e potenziale a scala regionale.<br />

I fenomeni di degrado/compromissione<br />

paesistica sono stati osservati e descritti con<br />

riferimento alle cause che li determinano; sono<br />

161


all’insegna della sostenibilità<br />

state così individuate cinque macro-categorie di<br />

cause che agiscono e/o interagiscono nei diversi<br />

contesti del territorio lombardo, evidenziando<br />

per ciascuna di esse le criticità paesistiche in termini<br />

di effetti diretti e indiretti sull’assetto fisico<br />

spaziale e sulle condizioni di vita delle popolazioni.<br />

Esse sono:<br />

• dissesti idrogeologici e avvenimenti calamitosi<br />

e catastrofici (naturali o provocati dall’azione<br />

dell’uomo);<br />

• processi di urbanizzazione, infrastrutturazione,<br />

pratiche e usi urbani;<br />

• trasformazioni della produzione agricola e<br />

zootecnica;<br />

• sotto-utilizzo, abbandono e dismissione (sia<br />

di spazi aperti che di parti edificate);<br />

• criticità ambientali (aria – acqua – suolo).<br />

Per ciascuna di queste macro-categorie sono<br />

state definite corrispondenti categorie e sottocategorie<br />

di aree e ambiti di degrado/compromissione<br />

paesistica da utilizzare come “legenda unificata”<br />

anche per la precisazione del quadro conoscitivo<br />

a scala provinciale e locale. 9<br />

Come rappresentare il degrado paesistico a<br />

scala regionale ?<br />

Mancavano dati e informazioni direttamente<br />

utilizzabili per elaborare una rappresentazione<br />

cartografica della effettiva localizzazione delle<br />

aree e degli ambiti di degrado/compromissione<br />

paesistica in essere e potenziale estesa all’intero<br />

territorio lombardo.<br />

Essa è stata costruita utilizzando come<br />

“indicatori” per ciascuna delle categorie<br />

di degrado sopraindicate alcuni tematismi<br />

delle banche dati disponibili, pur nella<br />

consapevolezza delle loro disomogeneità e dei<br />

limiti che essi hanno nel trattamento degli aspetti<br />

paesaggistici 10, ancora più evidenti trattando<br />

specificatamente gli aspetti relativi al degrado/<br />

compromissione: non solo perché le classi stesse<br />

di tematizzazione degli oggetti territoriali non<br />

coincidono direttamente con le categorie di<br />

degrado individuate, ma anche perché, nella<br />

definizione dei loro attributi, manca ovviamente,<br />

quasi sempre, un giudizio di valore in tal senso,<br />

da cui è impossibile prescindere.<br />

162<br />

I “tematismi-indicatori” utilizzati riguardano :<br />

• classi di oggetti territoriali che, per caratteristiche<br />

intrinseche, sono già identificati o quasi<br />

sempre identificabili come aree/ambiti di<br />

degrado paesistico (ad es. i siti contaminati,<br />

le cave, le discariche, etc.);<br />

• classi di oggetti e di forme territoriali che,<br />

in molte situazioni, comportano il possibile<br />

determinarsi di situazioni di degrado/compromissione<br />

paesistica (ad. es. le conurbazioni,<br />

le aree contermini alle infrastrutture<br />

della mobilità, le aree industriali e logistiche,<br />

le aree dismesse, le aree agricole a monocoltura,<br />

le aree a colture intensive su piccola<br />

scala, etc.);<br />

• alcuni fenomeni particolari che possono determinare<br />

situazioni di degrado/compromissione<br />

(ad es., la diminuzione dell'utilizzo<br />

del suolo per l'attività agricola o la diminuzione<br />

di popolazione di centri e nuclei storici,<br />

che generalmente innescano processi<br />

di abbandono con conseguente progressivo<br />

degrado/compromissione paesistica).<br />

In questa fase l’individuazione cartografica delle<br />

aree e degli ambiti degradati/compromessi in<br />

essere e potenziale del territorio regionale è,<br />

dunque, solo indicativa.<br />

• Il passaggio successivo sarà cruciale per<br />

garantire efficacia al processo e richiederà<br />

un forte senso di responsabilità agli enti<br />

locali che, avranno il compito di precisare<br />

localizzazioni e caratterizzazioni effettive,<br />

in applicazione del principio di sussidiarietà<br />

e di maggior definizione. Attraverso gli atti<br />

a valenza paesistica di scala provinciale<br />

(PTCP) e di scala locale (PGT), valutando i<br />

diversi contesti e formulando caso per caso<br />

un giudizio di valore condiviso, si procederà<br />

infatti a distinguere , all’interno delle singole<br />

classi di oggetti, e delle diverse forme<br />

territoriali<br />

• le situazioni da considerare effettivamente<br />

degradate o compromesse, o potenzialmente<br />

tali, dal punto di vista paesistico. 11


Come formulare norme e indirizzi per la riqualificazione<br />

paesistica delle aree degradate e per<br />

il contenimento – prevenzione del rischio ?<br />

Mancava un quadro sistematico di riferimento<br />

per definire norme e indirizzi specifici. Essi sono<br />

stati messi a punto a partire dall’enunciazione<br />

di alcuni principi generali coerenti con<br />

l’impostazione data, fondati sull’affermazione<br />

della necessità di agire il più profondamente<br />

possibile sulle cause e di puntare sulla<br />

costruzione di una sempre più diffusa volontà<br />

collettiva di valorizzazione dei caratteri identitari<br />

del paesaggio, nella piena consapevolezza<br />

che la loro perdita progressiva vada di pari<br />

passo con la perdita di qualità della vita delle<br />

popolazioni e del loro senso di appartenenza 12<br />

A dare maggiore forza e concretezza alle nuove<br />

misure di indirizzo e prescrittività paesaggistica<br />

è innanzitutto il fatto che esse sono state<br />

definite in stretta e reciproca relazione con le<br />

priorità e gli obiettivi messi a sistema nel PTR,<br />

proprio con specifica attenzione ai temi della<br />

riqualificazione paesaggistica, ricercando una<br />

integrazione, sempre maggiore e più incisiva,<br />

tra pianificazione del paesaggio e i vari livelli di<br />

pianificazione territoriale e di settore.<br />

PTR - Regione Lombardia - Riqualificazione paesistica: ambiti ed aree di attenzione<br />

regionale.<br />

La tavola individua gli ambiti e le aree di attenzione regionale per la “Riqualificazione<br />

paesaggistica”, ove si registrano condizioni di elevata criticità provocate da<br />

degrado/compromissione paesaggistica in essere, e gli ambiti e le aree di attenzione<br />

regionale per il “Contenimento dei processi di degrado” relativamente alle<br />

situazioni di maggiore rischio.<br />

Nella fascia alpina e prealpina, sia nelle valli che negli ambiti sciabili, essi sono<br />

determinati in prevalenza dai fenomeni franosi e dalla diffusione e consistenza dell’urbanizzazione,<br />

infrastrutturazione e diffusione delle pratiche urbane; nella fascia<br />

pedecollinare e della pianura, caratterizzata da una sommatoria di conurbazioni,<br />

essi sono determinati in modo massiccio dai processi di urbanizzazione e infrastrutturazione,<br />

particolarmente accentuati nel settore nord-occidentale e, per quanto riguarda<br />

la fascia della pianura irrigua, dalle trasformazioni della produzione agricola<br />

e zootecnica che appaiono molto rilevanti soprattutto nel settore sud-orientale.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

La strategia propone di agire su più fronti:considerare<br />

le azioni di riqualificazione paesistica<br />

come una risorsa fondamentale e prioritaria su<br />

cui far confluire investimenti pubblici e privati;<br />

mettere in atto misure di prevenzione del rischio<br />

di degrado e compromissione paesistica estendendo<br />

il concetto di “manutenzione” (intesa sia<br />

come cura, che come monitoraggio e dialogo<br />

transettoriale) agli aspetti paesaggistici di tutto<br />

il territorio; premiare (con riconoscimenti, incentivi<br />

etc) gli atteggiamenti virtuosi che si mostreranno<br />

efficaci nel conseguire risultati concreti di<br />

riqualificazione.<br />

In tale direzione viene dato particolare risalto<br />

e sostegno alle iniziative di processi partecipati<br />

di riqualificazione paesistica e ambientale che<br />

formulano quadri strategici multiscalari e multisettoriali,<br />

“scenari di riqualificazione”, “vision”<br />

(come ad esempio i Contratti di fiume, etc.), capaci<br />

di cogliere in modo sinergico le opportunità<br />

offerte dalle iniziative già in corso a livello<br />

locale e sovralocale (piani, programmi, progetti,<br />

etc) rilevanti per la definizione di interventi integrati<br />

di riqualificazione paesistico-ambientale<br />

e fruitiva.<br />

PTR - Regione Lombardia - Contenimento dei processi di degrado e qualificazione<br />

paesaggistica: ambiti ed aree di attenzione regionale<br />

Lo schema consente di leggere la prevalenza e/o la compresenza delle diverse cause<br />

di degrado nelle diverse unità tipologiche di paesaggio, mettendo in luce, da<br />

una parte, la nota pervasività delle condizioni di degrado in essere e potenziale<br />

dovute ai processi di urbanizzazione, infrastrutturazione e diffusione delle pratiche<br />

urbane, presenti in tutto il territorio, e, dall’altra, il determinarsi di condizioni di<br />

elevato rischio di degrado/compromissione paesistica soprattutto nel settore sudorientale<br />

della regione, tra i poli urbani di Brescia-Cremona-Mantova, dovuto alla<br />

compresenza simultanea di molti fattori, nessuno dei quali, per il momento, appare<br />

prevalente.<br />

163


all’insegna della sostenibilità<br />

Risulta, così, particolarmente significativa, la<br />

traduzione in norma del principio secondo il<br />

quale, ribaltando una consuetudine consolidata,<br />

l’incidenza paesistica di tutti gli interventi di trasformazione<br />

debba essere attentamente verificata<br />

anche negli ambiti degradati o compromessi<br />

o a rischio di degrado, non solo per evitare di<br />

aggravare ulteriormente le condizioni di degrado/compromissione,<br />

ma anche per evitare di<br />

sprecare preziose occasioni (talvolta uniche) per<br />

l’avvio di processi virtuosi di riqualificazione. 13<br />

Gli indirizzi 14 articolano maggiormente le<br />

categorie di ambiti e aree afferenti alle diverse<br />

cause di degrado, fornendo indicazioni relative<br />

sia ai fenomeni che possono derivarne, che<br />

alle azioni utili per la loro riqualificazione e<br />

164<br />

all’attivazione di politiche di contenimento e<br />

prevenzione di possibili future forme di degrado<br />

o compromissione.<br />

Le province, i parchi e i comuni, tramite i propri<br />

strumenti di pianificazione e programmazione<br />

territoriale e urbanistica, rispetto ai propri<br />

territori e competenze, una volta individuate<br />

in modo puntuale le situazioni realmente<br />

interessate da degrado o compromissione<br />

paesaggistica o da rischi di futuro degrado,<br />

dovranno definire conseguentemente alle<br />

norme e agli indirizzi formulati a scala<br />

regionale, politiche e azioni di intervento per la<br />

riqualificazione e il contenimento del degrado<br />

paesistico-ambientale locale.<br />

1 (Legge n.14 del 9 gennaio 2006.<br />

2 Sentenza della Corte Costituzionale 14 novembre 2007, n.367.<br />

3 L’aggiornamento del Piano Paesaggistico è stato curato dalla Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione<br />

Lombardia con la responsabilità istituzionale dell’assessore Davide Boni, la direzione del Direttore Generale Mario Nova e il<br />

coordinamento di Dario Fossati, Diego Terruzzi, Anna Rossi. In particolare il lavoro di ricerca sui temi del degrado, coordinato<br />

da Anna Rossi , è stato affidato a IREALP e svolto da Marco Prusicki (responsabile scientifico) con la collaborazione di Franco<br />

Resnati, Paolo Dell’Orto e Giorgio Limonta.<br />

4 La giunta della Regione Lombardia ha approvato con delibera DGR 6447 del 16.01.2008 le integrazioni e gli aggiornamenti<br />

del quadro di riferimento paesistico e degli indirizzi di tutela del PTPR (vigente dal 2001), come primo e immediato<br />

aggiornamento dello stesso di competenza della giunta stessa (integrazioni quindi immediatamente operative)ed ha inviato<br />

al Consiglio regionale la proposta complessiva del Piano Paesaggistico quale sezione specifica del PTR comprendente oltre<br />

agli aggiornamenti di cui sopra, anche la revisione della disciplina paesaggistica regionale e correlati documenti (abachi e<br />

cartografie).<br />

5 secondo quanto già condiviso e operante nelle zone tutelate. Vedi : DPCM 12 dicembre 2005 - Allegato Relazione Paesaggistica<br />

– “Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti, ai<br />

sensi dell’ art.146, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”<br />

nota 2.<br />

6 Definizione entrata in normativa (art.28 – comma 1)<br />

7 D’area quando il fenomeno riguarda una situazione limitata e circoscrivibile nella sua estensione, tendenzialmente interessata<br />

da un processo univoco di degrado/dismissione che può riguardare anche un sistema di aree , afferenti ad uno stesso<br />

territorio e una stessa problematica, per esempio aree di cave cessate di pianura a falda affiorante in contesto rurale. D’ambito<br />

quando riguarda una situazione territoriale estesa e non esattamente circoscrivibile, interessata da fenomeni diffusi di degrado<br />

o banalizzazione.<br />

8 Vedi PTPR-2001, I paesaggi della Lombardia: ambiti e caratteri tipologici, Le eredità del passato e i motivi dell’identità lombarda, Vol 2,<br />

§1.5, pag.15<br />

9 Vedi Regione Lombardia - DGR VIII/6421, 27.12.2007 -“Criteri e indirizzi relativi ai contenuti paesaggistici del Piani Territoriali<br />

di Coordinamento Provinciale”<br />

10 Vedi L.Bisogni, Utilizzazione dei dati dei SIT per analisi e progetti di paesaggio, in AA.VV., “LOTO, Landscape Opportunities.<br />

La gestione paesistica delle trasformazioni territoriali. Complessità territoriale e valorizzazione del paesaggio, Esperienze a<br />

confronto in Lombardia, maggio 2006, p.25<br />

11 Vedi Norme di attuazione - Parte II - Titolo III - Disposizioni del PTPR immediatamente operative - art. 28, comma 5<br />

12 Vedi A.Rossi, L.Grancini, M.Prusicki, L.Scazzosi, Linee guida per una lettura e interpretazione del paesaggio finalizzata ad orientare<br />

le scelte di trasformazione territoriale in Regione Lombardia, “LOTO Landscape Opportunities. La gestione paesistica delle<br />

trasformazioni territoriali:linee guida e casi pilota”, settembre 2005, p.11<br />

13 A tale proposito l’art. 28, comma 10 della normativa. Esso stabilisce infatti che, ai fini della “determinazione del grado di<br />

‘sensibilità paesistica’, anche nei territori non assoggettati a specifiche tutele paesaggistiche (ai sensi degli artt.134 e 142 del<br />

D.Lgs.42/2004) le aree paesisticamente compromesse o degradate sono da considerarsi a “sensibilità elevata o molto elevata”, e che, di<br />

conseguenza dovrà essere attentamente valutata l’incidenza paesistica degli interventi e dei programmi urbanistici che le riguardano”,<br />

tenendo sempre “in attenta considerazione le connotazioni del contesto sovralocale” e le coerenze con gli scenari di riqualificazione<br />

paesistica eventualmente definiti dalla pianificazione locale, prevedendo semplificazioni procedurali solo nel caso che “la<br />

pianificazione abbia definito anche specifiche e dettagliate norme e indicazioni paesistiche per gli interventi di recupero”<br />

14 Indirizzi di Tutela – parte IV. Degrado e compromissione paesistica : indirizzi di riqualificazione e di contenimento.


La concezione del paesaggio nella nuova<br />

pianificazione regionale<br />

Premessa<br />

Sulla tematica della tutela paesistica e relativa<br />

attuazione esiste un’ampia letteratura di riferimento<br />

regionale, sia in campo giuridico sia<br />

disciplinare. Dagli anni ’80, le componenti ambientali<br />

e paesistiche hanno assunto un ruolo ed<br />

una posizione sempre di maggior rilievo, all’interno<br />

dei processi di formazione dei piani, per<br />

una corretta gestione territoriale.<br />

Negli anni 90’, è registrabile l’assoluto abbandono<br />

ideologico rispetto alle soluzioni rigidamente<br />

vincolistiche in precedenza consolidatesi, si<br />

afferma un approccio alle tematiche paesistiche<br />

sempre più attento, integrato, e specializzato in<br />

senso multidisciplinare.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Patrizia Chirico<br />

Brückner, 1898<br />

“Il paesaggio, oltre che una sintesi, è un programma”<br />

Enciclopedia Sovietica, 1939<br />

“Il paesaggio è un porzione naturalmente delimitata della superficie terrestre, le cui componenti naturali formano un<br />

insieme di interrelazioni e interdipendenze”<br />

Szava-Kovats, 1960<br />

“Tutto ciò che v’è sull’involucro terrestre, tutto, nella sua esistenza e interferenza, costituisce il paesaggio”<br />

Sestini, 1963<br />

“Il paesaggio è la complessa combinazione di oggetti e fenomeni legati fra loro da mutui rapporti funzionali, sì da costituire<br />

una unità organica”<br />

Valerio Giacomini, 1972<br />

“Il paesaggio è una costellazione di ecosistemi. Esso coincide inoltre con il processo evolutivo della biosfera i cui significati<br />

intimi appartengono alle leggi naturali che governano il divenire vitale”<br />

Rosario Assunto, 1984<br />

“Il gioco fra arte e natura nonché natura e cultura crea paesaggi dalla forma differente,<br />

indicatrice, nello stile e nell’architettura, della specifica cultura che l’ha promossa”<br />

Forman e Godron, 1986<br />

“Un paesaggio è una parte eterogenea di una regione, composta da un’aggregazione di ecosistemi interagenti che si ripete in<br />

ogni punto con forme simili”<br />

Naveh, 1990<br />

“Il paesaggio è un’unità ecologica e culturale, spaziale e temporale e, parafrasando Troll, è la complessiva entità spaziotemporale<br />

della sfera vitale dell’uomo”<br />

Ingegnoli, 1992<br />

“Il paesaggio è un sistema di ecosistemi”<br />

Romani, 1994<br />

“Il paesaggio è l’insieme eterogeneo di tutti gli elementi, i processi e le interrelazioni che costituiscono l’ecosfera, considerato<br />

nella sua struttura unitaria e differenziata, ecologico-sistemica e dinamica, che lo identifica con un processo evolutivo nel<br />

quale si integrano le attività della natura e quelle dell’uomo, nella loro dimensione storica, materiale, culturale e spirituale.<br />

Con il decreto legislativo 42/2004 Codice Urbani<br />

e nel rispetto dei principi condivisi con la<br />

Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta<br />

a Firenze nel 2000, si introduce la sostanziale<br />

interpretazione del paesaggio come l’insieme<br />

del territorio e non più solo dei paesaggi di eccellenza,<br />

ma anche dei paesaggi del quotidiano<br />

e degradati.<br />

La natura, l’ambiente, la storia, le dinamiche<br />

territoriali, uniti ai valori estetico-culturali concorrono<br />

a collocare il paesaggio al vertice degli<br />

obiettivi della pianificazione a scala vasta; che<br />

grazie alla Convenzione Europea del Paesaggio<br />

riconosce un ruolo portante ed imprescindibile<br />

anche ai valori identitari attribuiti ai luoghi dalle<br />

comunità locali.<br />

165


all’insegna della sostenibilità<br />

Il paesaggio è costituito dal territorio riconosciuto<br />

come risorsa essenziale indivisibile e bene comune<br />

della collettività. Il Codice è stato redatto<br />

con l’obiettivo di ridisegnare in una logica unitaria<br />

le materie inerenti il patrimonio storico, artistico,<br />

archeologico, già tutelato dall’art. 9 della<br />

Costituzione Italiana. 1<br />

L’accezione percettiva e la Convenzione<br />

Europea del Paesaggio<br />

“Landscape” means an area, as perceived by<br />

people, whose character is the result of the action<br />

and interaction of natural and/or human factors,<br />

Convenzione Europea del Paesaggio, versione<br />

ufficiale in inglese del Consiglio d’Europa,<br />

art.1.<br />

Paesaggio designa una determinata parte di territorio,<br />

così come è percepita dalle popolazioni,<br />

il cui carattere deriva dall’azione di fattori<br />

naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni,<br />

Convenzione Europea del Paesaggio, traduzione<br />

italiana art. 1.La traduzione italiana del testo<br />

inglese della Convenzione Europea del Paesaggio<br />

è stata soggetta ad una interpretazione<br />

arbitraria, in quanto l’art.1 non coglie il nuovo<br />

senso di paesaggio contenuto nella Convenzione,<br />

ma lo assimila al precedente concetto di paesaggio<br />

come bellezza naturale, nato in Italia con<br />

L.1497/1939.<br />

Il paesaggio non è una determinata parte di<br />

territorio come si evince dalla traduzione, è<br />

sufficiente leggere la versione inglese o francese<br />

come fonte, il senso di determinata parte non c’è,<br />

perché l’azione di determinazione è effettuata<br />

dalla percezione della popolazione, che è un<br />

processo successivo. Non esistono determinate<br />

parti perché in base alla Convenzione tutto è e<br />

può essere paesaggio, è questo uno dei motivi<br />

per cui la traduzione italiana viene assoggettata<br />

a diverse revisione. Pertanto sarebbe meglio<br />

seguire una traduzione che riconosce il paesaggio<br />

come bene culturale a carattere identitario,<br />

senza separazioni, frutto della percezione della<br />

popolazione e nel rispetto del riconoscimento<br />

della propria interezza.<br />

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella<br />

gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che<br />

anche quando non ci sei resta ad aspettarti” 2<br />

166<br />

Il paesaggio è anche un prodotto sociale e non<br />

rappresenta un bene stabile, ma dinamico. In base<br />

a queste caratteristiche, in quanto determinato<br />

dal carattere evolutivo e percettivo, il paesaggio<br />

è sempre relazionato all’azione dell’uomo.<br />

In particolar modo la percezione del paesaggio è<br />

frutto di un’interazione tra:<br />

• la soggettività umana; 3<br />

• i caratteri oggettivi della fisiologica evoluzione<br />

dell'ambiente antropico o naturale; 4<br />

• i mediatori socio-culturali legati al senso di<br />

identità riconosciuto da una società su un<br />

determinato tipo di ambiente. 5<br />

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, è<br />

un’affermazione complessa, composto da 184<br />

articoli, redatto con l’obiettivo di ridisegnare in<br />

una logica unitaria materie inseparabili, quali<br />

il patrimonio storico, artistico, archeologico e il<br />

paesaggio, tutelate dall’art. 9 della Costituzione<br />

ed interessate dalle modifiche del Titolo V della<br />

Costituzione stessa, con ricadute dirette sulla<br />

pianificazione paesaggistica.<br />

La complessità del Codice si presta, in alcuni<br />

passaggi, ad interpretazioni non univoche; il<br />

testo contiene affermazioni ed interpretazioni<br />

suscettibili di essere smentite, annullate, o<br />

modificate nelle diverse circolari del Ministero<br />

dei Beni e delle Attività Culturali (Mibac).<br />

Di seguito si apre una riflessione lungo un<br />

percorso costituito da alcuni dei diversi intervalli<br />

interpretativi più dibattuti:<br />

• l’esplicitazione di alcuni aspetti utili a collocare<br />

un nuovo Piano Paesaggistico (Pp) nel<br />

contesto legislativo istituzionale regionale ed<br />

amministrativo stabilito ad accoglierlo;<br />

• il significato attribuito al territorio da alcune<br />

definizioni introdotte dal Codice e ad alcune<br />

comportamenti richiesti al governo del paesaggio;<br />

• l’indagine dei contenuti del nuovo Pp che<br />

introducono innovazioni tali da configurarlo<br />

come uno strumento effettivamente progredito<br />

ed evoluto;<br />

• alcuni brevi riflessioni, volte ad esplicitare le<br />

difficoltà interpretative dei meandri attuativi<br />

che dovrebbero rendere operativo ed efficace<br />

il Pp.


Il grado di innovazione del Piano Paesaggistico<br />

Se si intende misurare l’effettiva differenza<br />

tra il nuovo Pp e la precedente pianificazione<br />

paesistica occorre confrontarlo con l’art. 5 della<br />

L. 1497/1939 e con il successivo RD 1357/1940,<br />

che nell’art.23 definisce i contenuti del Piano<br />

Territoriale Paesistico:<br />

I Piani Territoriali Paesistici di cui all’art. 5 della<br />

legge 1497/1939 hanno il fine di stabilire:<br />

• le zone di rispetto;<br />

• il rapporto tra aree libere ed aree fabbricabili<br />

in ciascuna delle diverse zone della località;<br />

• le norme per i diversi tipi di costruzione;<br />

• la distribuzione e il vario allineamento dei<br />

fabbricati;<br />

• le istituzioni per la scelta e la varia<br />

distribuzione della flora:<br />

Si tratta dunque di uno strumento attuativo<br />

paragonabile ad un piano particolareggiato o<br />

latamente di settore.<br />

Su questa facilmente opinabile base, prima della<br />

L. 431/1985 legge Galasso, sono stati redatti i<br />

Piani Regionali Paesistici e, con dei riferimenti<br />

interpretativi ai Piani Territoriali di Coordinamento<br />

ex L. 1150/1942, i Piani Urbanistico Territoriali<br />

con specifica considerazione dei valori<br />

paesistici. Il nuovo Pp è uno strumento radicalmente<br />

differente dai precedenti, sicuramente in<br />

grado di svolgere con efficacia un compito del<br />

tipo di quello prefigurato dalla Galasso, ma con<br />

una dimensione prevalente di tipo non areale e<br />

multidisciplinare.<br />

Le novità nel sistema delle pianificazioni<br />

Il tempo trascorso tra la L. 1497/1939 non è<br />

percepibile soltanto nelle mutazioni della forma<br />

del Pp, ma anche nel contesto destinato ad<br />

accoglierlo, ovvero il sistema delle pianificazioni<br />

di settore, come la L. 183/89 per il Piano di Bacino.<br />

che dalla L. 394/91 per il Piano dell’Area Protetta,<br />

che, volendo semplificare al massimo la gestione<br />

territoriale, ha modificato rilevantemente i<br />

soggetti in campo e la competenze in atto. Si<br />

assiste quindi a:<br />

• moltiplicazione delle componenti paesaggistiche;<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

• diversificazione regionale della sua articolazione<br />

ed interpretazione.<br />

La moltiplicazione degli strumenti di governo<br />

del territorio, la relativa sovraordinazione assoluta,<br />

sono elementi di criticità oggettiva nella<br />

fase di gestione territoriale; alla apparizione di<br />

piani di matrice ambientale si aggiunge la pianificazione<br />

dei piani di settore, l’incorporazione<br />

delle tematiche ambientali e quindi anche del<br />

paesaggio, negli strumenti tradizionalmente<br />

concepiti come urbanistici, Piano territoriale di<br />

Coordinamento Provinciale Ptcp, Piano Regolatore<br />

Generale comunale, Prgc. Alla difficoltà<br />

comunicativa dei piani a scala vasta va ad aggiungersi<br />

la disomogeneità delle legislazioni regionali<br />

in materia del territorio.<br />

Questi fattori interpretativi, considerati nel loro<br />

insieme, danno il senso delle complessità interne<br />

nel proporre uno strumento di natura e specificità<br />

quale il Pp in un sistema tanto articolato e ad<br />

alta mutabilità come quella ragionale.<br />

La polivalenza del concetto di paesaggio<br />

Un ulteriore elemento da considerare tra gli<br />

aspetti di contesto è legato alla trasversalità del<br />

concetto di paesaggio. Una definizione omnicomprensiva<br />

di paesaggio potrebbe essere quella<br />

di fisionomia del territorio. Di conseguenza<br />

il Pp interagisce potenzialmente con tutti gli<br />

strumenti di piano e con tutte le attività passibili<br />

di modificare e/o amministrare i mille volti<br />

del territorio; valere a dire la quasi totalità degli<br />

strumenti pianificatori e delle infinite attività<br />

antropiche; interrelazioni tra paesaggio e difesa<br />

del suolo, oppure tra paesaggio e protezione<br />

ambientale diffusa capillarmente, ad esempio<br />

le reti ecologiche, oppure alle relazioni, potenzialmente<br />

conflittuali, tra paesaggio e infrastrutture,<br />

nonché tra paesaggio ed insediamenti.<br />

Non è che questo problema della trasversalità<br />

sia nuovo alla pianificazione di scala vasta. Gli<br />

esempi precedenti non sono stati presi a caso:<br />

annoverano questo problema, sia la L.183/89<br />

che la L.394/91 i quali hanno collocato i propri<br />

strumenti di pianificazione, rispettivamente il<br />

Piano di bacino ed il Piano del parco, al vertice<br />

del sistema delle pianificazioni, scelta che anche<br />

il Codice ripercorre.<br />

167


all’insegna della sostenibilità<br />

Amministrazioni pubbliche e paesaggio<br />

(art. 132)<br />

Il comma 1 contiene una dichiarazione di<br />

grande rilievo, che le amministrazioni pubbliche<br />

cooperano per la definizione di indirizzi e criteri<br />

riguardanti le attività di tutela, pianificazione,<br />

recupero, valorizzazione del paesaggio e di gestione<br />

dei relativi interventi; il comma 2 introduce anche<br />

una corrispondenza reciproca tra salvaguardia/<br />

reintegrazione dei valori sul paesaggio e sviluppo<br />

sostenibile.<br />

Pianificazione paesaggistica (art. 135)<br />

L’art. 135 costituisce una specie di presentazione<br />

al successivo art. 143 che sviluppa in particolare<br />

contenuti e percorsi di formazione del PP<br />

fissando tre elementi di rilievo:<br />

• le regioni assicurano che il paesaggio sia<br />

adeguatamente tutelato e valorizzato, e a tal<br />

fine approvano Piani Paesaggistici: elemento<br />

fondamentale per rendere i contenuti del<br />

Codice compatibili con i differenti regimi di<br />

governo del territorio vigenti nelle regioni,<br />

viene richiesta alle regioni di assicurare<br />

tutela e valorizzazione: approvando i piani<br />

paesaggistici e non, come ad esempio<br />

faceva la L. 431/85, art. 1 bis, di redigere<br />

materialmente i piani stessi. Questo criterio<br />

molto prudente consente presumibilmente<br />

alle regioni di investire della materia<br />

paesaggistica anche la provincia, ad esempio<br />

con il PTCP ed i comuni con il PRG;<br />

• vengono riunificate le nozioni di piano<br />

paesaggistico e di piano urbanistico –<br />

territoriale con specifica considerazione dei<br />

valori paesaggistici, che divengono piani<br />

paesaggistici e considerati identici;<br />

• viene riconosciuta la natura complessa<br />

del Piano Paesaggistico, cui viene affidato<br />

il compito di definire le trasformazioni<br />

compatibili con i valori paesaggistici, le azioni<br />

di recupero e di riqualificazione degli immobili e<br />

delle aree sottoposte a tutela nonché gli interventi<br />

di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione<br />

alle prospettive di sviluppo sostenibile. 6<br />

168<br />

Il coordinamento della pianificazione paesaggistica<br />

con altri strumenti di pianificazione<br />

(art. 145)<br />

Non è compito del Codice mettere ordine<br />

nella disorganica struttura delle pianificazioni<br />

urbanistico-territoriali ed ambientali vigenti.<br />

Il Pp viene collocato al vertice del sistema, sia<br />

dalla L. 183/89 per il piano di bacino. che dalla<br />

L. 394/91 per il piano dell’area protetta, infatti<br />

come esplicitato dalla verifica ed adeguamento dei<br />

piani paesaggistici (art. 156, il comma 1 stabilisce<br />

che, entro quattro anni dalla entrata in vigore<br />

del Codice le regioni già dotate di piani paesistici<br />

verificano la conformità dei predetti piani e le<br />

previsioni dell’art. 143 e, in difetto, provvedono ai<br />

necessari adeguamenti, tab.1.<br />

Il comma 2 impegna il Mibac a predisporre,<br />

previa intesa con la conferenza Stato-Regioni,<br />

uno schema generale di convenzione con le<br />

regioni in cui vengono stabilite le metodologie<br />

e le procedure di ricognizione, analisi, censimento<br />

e catalogazione degli immobili e delle aree oggetto<br />

di tutela, ivi comprese le tecniche per la loro<br />

rappresentazione cartografica e le caratteristiche atte<br />

ad assicurare l’operabilità dei sistemi informativi.<br />

Conseguente all’art.156 dovrebbe esserci una<br />

nuova e ricca stagione di pianificazione paesaggistica<br />

di adeguamento degli strumenti oggi vigenti.<br />

I profili efficienti del nuovo Pp ed i suoi contenuti<br />

(art. 143)<br />

Su questo articolo fa cardine la pianificazione<br />

paesaggistica futura.<br />

Procede in prima istanza affermando, al comma 1<br />

che il piano, dopo attenta ricognizione, ripartisce<br />

il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato<br />

pregio paesaggistico fino a quelli significativamente<br />

compromessi e degradati.<br />

Viene successivamente specificato, al comma<br />

2, che il piano deve assegnare a ciascun ambito<br />

corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica,<br />

prevedendo in particolare:<br />

• il mantenimento delle caratteristiche, degli<br />

elementi costitutivi e delle morfologie, tenuto<br />

conto anche delle tipologie architettoniche,<br />

nonché delle tecniche e dei materiali costruttivi;


• le previsioni di linee di sviluppo urbanistico ed<br />

edilizio compatibili con diversi livelli di valore<br />

riconosciuti e tali da non diminuire il pregio<br />

paesaggistico del territorio, con particolare<br />

attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella<br />

lista del patrimonio mondiale dell’Unesco e delle<br />

aree agricole;<br />

• il recupero e la riqualificazione degli immobili<br />

e delle aree sottoposti a tutela compromessi o<br />

degradati, al fine di reintegrare i valori preesistenti<br />

ovvero di realizzare nuovi valori paesaggistici<br />

coerenti ed integrati con quelli.<br />

Lo svolgimento specialistico di elaborazione del<br />

nuovo Pp viene introdotto con il comma:<br />

• ricognizione dell’intero territorio, attraverso<br />

l’analisi delle caratteristiche storiche, naturali,<br />

estetiche e delle loro interrelazioni e la conseguente<br />

definizione dei valori paesaggistici da tutelare,<br />

recuperare riqualificare e valorizzare;<br />

• analisi delle dinamiche di trasformazione del<br />

territorio attraverso l’individuazione dei fattori<br />

di rischio e degli elementi di vulnerabilità del<br />

paesaggio, la comparazione con gli altri atti di<br />

programmazione, di pianificazione e di difesa del<br />

suolo;<br />

• individuazione degli ambiti paesaggistici e dei<br />

relativi obiettivi di qualità paesaggistica;<br />

• definizione di prescrizioni generali ed operative<br />

per la tutela e l’uso del territorio compreso negli<br />

ambiti individuati;<br />

• determinazione di misure per la conservazione<br />

dei caratteri connotativi delle aree tutelate per<br />

legge e, ove necessario, dei criteri di gestione e<br />

degli interventi di valorizzazione paesaggistica<br />

degli immobili e delle aree dichiarati di notevole<br />

interesse pubblico;<br />

• individuazione degli interventi di recupero e<br />

riqualificazione delle aree significativamente<br />

compromesse o degradate;<br />

• individuazione delle misure necessarie al corretto<br />

inserimento degli interventi di trasformazione<br />

del territorio nel contesto paesaggistico, alle<br />

quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti<br />

finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree<br />

interessate;<br />

• individuazione, ai sensi dell’articolo 134, lettera<br />

c), di eventuali categorie di immobili o di aree,<br />

diverse da quelle indicate agli articoli 136 e 142,<br />

da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia<br />

e di utilizzazione.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Sia nella organizzazione che nel lessico, il Pp rimanda<br />

esplicitamente all’art.6, ed in particolare<br />

alle lettere c), d) ed e), della Convenzione Europea<br />

del Paesaggio, e si ritiene che questa scelta<br />

del Codice sia stimolo per l’avvio di una pianificazione/gestione<br />

del paesaggio più accurata ed<br />

efficace di quella fino ad oggi praticata. 7 Occorre<br />

aggiungere che, dietro un inizio segnato con<br />

un’impronta di immediata chiarezza, i commi<br />

successivi dell’art. 143, 5, 6 10 e 12 8 sembrano<br />

portare i segni di un dibattito non ancora chiarito,<br />

come dimostrano le differenti versioni dello<br />

stesso Codice in itinere 9 . In particolare sarebbe<br />

stato forse necessario definire con maggiore<br />

chiarezza l’iter di formazione del Piano stesso,<br />

che dovrebbe prevedere due possibilità, la prima<br />

caratterizzata da una compiuta applicazione<br />

dei principi collaborativi richiamati nell’art. 132<br />

del Codice, e la seconda, più tradizionale, caratterizzata<br />

da una volontà di procedere, da parte<br />

della Regione, in essenziale autonomia. Le due<br />

strade conducono a risultati differenziati anche<br />

sotto il profilo tecnico, in quanto:<br />

• le Regioni concertative, ovvero quelle<br />

che concertano con Mibac e Minambiente<br />

l’elaborazione del Pp, hanno la possibilità di<br />

dispiegare compiutamente le tutte potenzialità<br />

territoriali in essere; la ricognizione dei<br />

valori paesistici supera la settorializzazione<br />

territoriale delle categorie Galasso, o meglio<br />

le aree tutelate per legge dell’art. 142, che<br />

non scompaiono, ma vengono calate e<br />

riconfigurate spazialmente, quindi soggette<br />

ad una normativa partecipata. Ciò consente<br />

una maggiore fluidità nella gestione del<br />

vincolo, in quanto il ricorso alla autorizzazione<br />

risulta potenzialmente di applicazione più<br />

circoscritta, essendo in alcune aree aperta la<br />

possibilità di sostituirla con una verifica di<br />

coerenza della trasformazione, da valutare<br />

nei suoi effetti paesistici;<br />

• le Regioni non concertative, ovvero che non<br />

ricorrono alla concertazione di cui si è detto<br />

in precedenza, diminuendo la possibilità<br />

di limitare il ricorso alla autorizzazione<br />

nei territori indicati dall’art. 152 e quindi<br />

continuando ad operare in un regime simile<br />

all’attuale, essendo comunque tenute a<br />

redigere il Pp secondo i percorsi innovativi<br />

dell’art. 143.<br />

169


all’insegna della sostenibilità<br />

Riflessioni in atto<br />

Il Pp del Codice è uno strumento compiutamente<br />

definito, che recepisce ad ampia scala le<br />

innovazioni emerse dalla Legge Galasso ad oggi,<br />

passando attraverso la Convenzione Europea<br />

del Paesaggio e che potenzialmente consente<br />

alle amministrazioni ai vari livelli di gestire<br />

il paesaggio in maniera molto più efficiente<br />

rispetto alla pianificazione antecedente.<br />

Considerando il territorio nel proprio insieme e<br />

non più caratterizzato da una sorta di classifica,<br />

nemmeno tanto virtuale, in serie A o B.<br />

Il Codice prevede la possibilità che il Pp<br />

venga redatto di concerto tra Regione, Mibac 10<br />

e Minambiente 11 : questa possibilità è resa<br />

vantaggiosa per le Regioni, in quanto, al<br />

contrario di Pp redatti in autonomia dalla<br />

sola Regione, il Pp concertato ha la facoltà di<br />

riconfigurare spazialmente le aree soggette a<br />

vincolo, superando la rigida geometria delle<br />

categorie Galasso.<br />

Il Codice prevede che le Regioni redigano i<br />

nuovi Pp entro quattro anni dall’entrata in<br />

vigore dello stesso e quindi entro il maggio 2008;<br />

termine solo apparentemente rigoroso, ma che<br />

risulta talmente lontano se si tiene conto della<br />

complessità dell’operazione da mettere in moto,<br />

dovuta alla compresenza dei molteplici aspetti<br />

complementari.<br />

Regione LEGGE REGIONALE PIANO TERRITORIALE<br />

170<br />

La pianificazione regionale<br />

Per quanto costruiti con informazioni<br />

generalmente datate, risalenti alla stagione<br />

dei Piani Paesistici Galasso, ovvero al 1986-<br />

90, sono presenti in quasi tutte le Regioni<br />

piani territoriali che potenzialmente possono<br />

configurarsi sia come contenitori di conoscenze,<br />

sia come contenitori di scelte, e che hanno<br />

influito, in misura variabile, nella redazione di<br />

altri strumenti di pianificazione paesistica.<br />

I nuovi pp dovranno integrarsi nel sistema<br />

delle pianificazioni di matrice urbanisticoterritoriale.<br />

I nuovi pp si svilupperanno in un sistema delle<br />

pianificazioni regionali molto più complesso<br />

rispetto al passato; in particolare si è gia<br />

accennato al fatto che molte regioni si sono<br />

dotate di proprie leggi urbanistiche, o meglio<br />

di governo del territorio, più avanzate della<br />

legislazione nazionale, ma tra loro differenti<br />

per organizzazione e costruzione istituzionale,<br />

che è cresciuto negli ultimi 10 anni il ruolo della<br />

pianificazione di settore, acque, cave, trasporti,<br />

rifiuti, ed infine che molte delle province sono<br />

dotate di ptcp, considerati oggi strumenti<br />

suscettibili di contenere al proprio interno già la<br />

dimensione paesistica, possibilità esplicitamente<br />

prevista dalla legge n. 59 del 1997 Bassanini.<br />

PIANO TERRITORIALE A<br />

VALENZA PAESISTICA<br />

PIANO PESISTICO<br />

PIANO PAESAGGISTICO<br />

IN ITINERE O<br />

ADEGUAMENTO<br />

Piemonte 56/77 PTPR X X<br />

Valle d’Aosta 11/98 PTP X X X<br />

Liguria 36/97 PTCP X<br />

Lombardia 12/05 PTPR X X<br />

Veneto 11/04 PTRC X X<br />

P.A. Bolzano LP. 44/97 PPP X<br />

P.A. Trento LP. 22/91 PUP X<br />

Friuli Venezia Giulia 52/91 PTR X<br />

Emilia Romagna 20/00 PTPR X<br />

Toscana 1/05 PIT X X<br />

Umbria 28/95 PTCP X X<br />

Marche 34/92 PPAR X<br />

Lazio 38/99 PTPR X<br />

Abruzzo 70/95 PTR X X<br />

Campania 16/04 PTP area X X<br />

Molise 23/05 PTP X X X<br />

Puglia 25/00 PUTT X X<br />

Basilicata 23/99 PTP area X<br />

Calabria 19/02 Linee guida Linee guida<br />

Sardegna 8/04 PRP Linee guida<br />

Sicilia 11/91 PTPR


Un’assunzione di consapevolezza paesistica<br />

richiesta anche agli strumenti comunali, che<br />

l’esperienza dimostra essere gli unici, capaci<br />

di cogliere, gestire e tutelare le emergenze<br />

paesaggistiche locali, anche se non sarebbe<br />

un’innovazione; in qualche modo si tornerebbe<br />

all’originario piano paesistico ex L1497/39,<br />

attento alle tipologie edilizie ed agli allineamenti,<br />

passati alla dimensione di scala vasta.<br />

Nella rappresentazione di governo territoriale,<br />

contenuto nei nuovi Pp, le loro interrelazioni con<br />

il sistema delle pianificazioni, sarà indispensabile<br />

che vengano concepiti per essere inseriti nel<br />

quadro istituzionale sviluppato all’interno di<br />

ciascuna Regione.<br />

Non basta che il Pp sia dichiarato dal Codice<br />

sovraordinato agli altri strumenti; i suoi<br />

contenuti e la sua efficacia, se si vuole ottenere<br />

un Pp applicabile, vanno costruiti con estrema<br />

attenzione con le leggi regionali; così come<br />

analoghe forme di inserimento dovranno essere<br />

sperimentate con altri elementi di rilievo del<br />

sistema delle pianificazioni territoriali; piani di<br />

aree protette, piani di bacino, piani di settore,<br />

osservato in tutta la sua componente fortemente<br />

trasversale.<br />

I nuovi Pp dovranno tener presente dei<br />

differenti orientamenti disciplinari del<br />

soggetto paesaggio.<br />

Gli usuali aspetti di visione ed interpretazioni<br />

del paesaggio inteso come tratto di Paese aperto,<br />

maggiormente all’approccio storico adottato da<br />

E. Sereni nella sua “Storia del paesaggio agrario<br />

italiano”, si sono arricchiti in tempi relativamente<br />

recenti sia con approcci maggiormente attenti<br />

alle componenti naturalistiche del paesaggio,<br />

come l’ecologia del paesaggio, che ha fornito<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

anche strumenti operativi utili alla definizione<br />

delle reti ecologiche, ritenute da molti fortemente<br />

interagenti con le politiche del paesaggio,<br />

sia con forme di lettura ed interpretazione<br />

specificamente rivolte al paesaggio urbano.<br />

Il nuovo Pp è stato configurato come uno<br />

strumento applicabile, ovviamente con modalità<br />

e discipline diverse, all’intero territorio, ed è<br />

quindi da prevedersi, nel processo di redazione,<br />

il coinvolgimento di saperi disciplinari inerenti<br />

i diversi approcci. Il Pp regionale, nel caso che<br />

si decida di costruirlo, soppesando i singoli<br />

aspetti, non potrà prescindere dall’essere<br />

redatto con una metodologia unitaria, come di<br />

qualunque strumento di pianificazione a cui si<br />

voglia attribuire l’efficacia dell’autorevolezza.<br />

Alcune regioni, in passato, hanno costruito il<br />

proprio Piano Paesistico interpretando piani<br />

locali redatti con metodologie differenziate,<br />

queste esperienze non hanno dato risultati<br />

positivi, sia perché non si è riusciti a pervenire<br />

ad un prodotto unitario, sia perché è risultato<br />

evidente la soggettività di alcune scelte di<br />

guida. La costruzione del Pp regionale è una<br />

operazione di concertazione, sia politica, perché<br />

deve esprimere il punto di vista della Regione<br />

in materia di governo del paesaggio, sia tecnica,<br />

perché occorre confezionare un prodotto<br />

con determinate caratteristiche, suscettibile<br />

all’utilizzato come strumento per amministrare<br />

dai singoli Enti.<br />

Per il futuro, con l’innovazione del Codice, si<br />

auspica che la stesura dei nuovi Pp sia preceduta<br />

dalla definizione di una metodologia unitaria<br />

che assicuri omogeneità di trattamento alle<br />

differenti componenti del mosaico paesistico<br />

regionale al livello nazionale. Sarebbe un<br />

grande successo qualora si pervenisse ad una<br />

metodologia unitaria a livello nazionale.<br />

1 Costituzione della Repubblica Italiana Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.<br />

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.<br />

2 Cesare Pavese, 1950<br />

3 Convenzione Europea del Paesaggio Art. 1 Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle<br />

popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni;<br />

4 Politica del paesaggio designa la formulazione, da parte delle autorità pubbliche competenti, dei principi generali, delle<br />

strategie e degli orientamenti che consentano l’adozione di misure specifiche finalizzate a salvaguardare gestire e pianificare il<br />

paesaggio;<br />

171


all’insegna della sostenibilità<br />

5 Obiettivo di qualità paesaggistica designa la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato<br />

paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita;<br />

Salvaguardia dei paesaggi indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un<br />

paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento<br />

umano;<br />

Gestione dei paesaggi indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine<br />

di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali;<br />

Pianificazione dei paesaggi indica le azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di<br />

paesaggi.<br />

6 codice dei beni culturali e del paesaggio art. 143 piano paesaggistico<br />

7 Convenzione Europea del Paesaggio Articolo 6 - Misure specifiche<br />

A Sensibilizzazione<br />

Ogni parte si impegna ad accrescere la sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità<br />

pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione.<br />

B Formazione ed educazione<br />

Ogni Parte si impegna a promuovere :<br />

a la formazione di specialisti nel settore della conoscenza e dell’intervento sui paesaggi;<br />

b dei programmi pluridisciplinari di formazione sulla politica, la salvaguardia, la gestione e la pianificazione del paesaggio<br />

destinati ai professionisti del settore pubblico e privato e alle associazioni di categoria interessate;<br />

c degli insegnamenti scolastici e universitari che trattino, nell’ambito delle rispettive discipline, dei valori connessi con il<br />

paesaggio e delle questioni riguardanti la sua salvaguardia , la sua gestione e la sua pianificazione.<br />

C Individuazione e valutazione<br />

1 Mobilitando i soggetti interessati conformemente all’articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi,<br />

ogni Parte si impegna a:<br />

a i individuare i propri paesaggi, sull’insieme del proprio territorio;<br />

ii analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano;<br />

iii seguirne le trasformazioni ;<br />

b valutare i paesaggi individuati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuiti dai soggetti e dalle popolazioni<br />

interessate.<br />

2 I lavori di individuazione e di valutazione verranno guidati dagli scambi di esperienze e di metodologie organizzati tra le<br />

Parti, su scala europea, in applicazione dell’articolo 8 della presente Convenzione.<br />

D Obiettivi di qualità paesaggistica<br />

Ogni parte si impegna a stabilire degli obiettivi di qualità paesaggistica riguardanti i paesaggi individuati e valutati, previa<br />

consultazione pubblica, conformemente all’articolo 5.c.<br />

E Applicazione<br />

Per attuare le politiche del paesaggio, ogni Parte si impegna ad attivare gli strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla<br />

gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi.<br />

8 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio EX ART Articolo 143 Piano paesaggistico<br />

1. In base alle caratteristiche naturali e storiche ed in relazione al livello di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il<br />

piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente<br />

compromessi o degradati.<br />

2. n funzione dei diversi livelli di valore paesaggistico riconosciuti, il piano attribuisce a ciascun ambito corrispondenti<br />

obiettivi di qualità paesaggistica. Gli obiettivi di qualità paesaggistica prevedono in particolare:<br />

a) il mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie, tenuto conto anche delle tipologie<br />

architettoniche, nonché delle tecniche e dei materiali costruttivi;<br />

b) la previsione di linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili con i diversi livelli di valore riconosciuti e tali da non<br />

diminuire il pregio paesaggistico del territorio, con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del<br />

patrimonio mondiale dell’UNESCO e delle aree agricole;<br />

c) il recupero e la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, al fine di reintegrare<br />

i valori preesistenti ovvero di realizzare nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati con quelli.<br />

3.Il piano paesaggistico ha contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo. La sua elaborazione si articola nelle seguenti<br />

fasi:<br />

a) ricognizione dell’intero territorio, attraverso l’analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro<br />

interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare;<br />

b) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di<br />

vulnerabilità del paesaggio, la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo;<br />

c)individuazione degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica;<br />

d)definizione di prescrizioni geerali ed operative per la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati;<br />

e) determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e, ove necessario, dei<br />

criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse<br />

pubblico;<br />

f) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate;<br />

g) individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel<br />

contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree<br />

interessate;<br />

h) individuazione, ai sensi dell’articolo 134, lettera c), di eventuali categorie di immobili o di aree, diverse da quelle indicate<br />

agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione.<br />

172


all’insegna della sostenibilità<br />

4. Il piano paesaggistico, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio,<br />

individua distintamente le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle<br />

prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico ai sensi del comma 3, lettere d), e), f) e g),<br />

e quelle per le quali il piano paesaggistico definisce anche parametri vincolanti per le specifiche previsioni da introdurre<br />

negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento ai sensi dell’articolo 145.<br />

5. Il piano può altresì individuare:<br />

a) le aree, tutelate ai sensi dell’articolo 142, nelle quali la realizzazione delle opere e degli interventi consentiti, in<br />

considerazione del livello di eccellenza dei valori paesaggistici o della opportunità di valutare gli impatti su scala<br />

progettuale, richiede comunque il previo rilascio dell’autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159;<br />

b) le aree, non oggetto di atti e provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 138, 140, 141 e 157, nelle quali, invece, la<br />

realizzazione di opere ed interventi può avvenire sulla base della verifica della conformità alle previsioni del piano<br />

paesaggistico e dello strumento urbanistico, effettuata nell’ambito del procedimento inerente al titolo edilizio e con le<br />

modalità previste dalla relativa disciplina, e non richiede il rilascio dell’autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159;<br />

c) le aree significativamente compromesse o degradate nelle quali la realizzazione degli interventi di recupero e<br />

riqualificazione non richiede il rilascio dell’autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159.<br />

6. L’entrata in vigore delle disposizioni previste dal comma 5, lettera b), è subordinata all’approvazione degli strumenti<br />

urbanistici adeguati al piano paesaggistico ai sensi dell’articolo 145. Dalla medesima consegue la modifica degli effetti<br />

derivanti dai provvedimenti di cui agli articoli 157, 140 e 141, nonché dall’inclusione dell’area nelle categorie elencate<br />

all’articolo 142.<br />

7. Il piano può subordinare l’entrata in vigore delle disposizioni che consentono la realizzazione di opere ed interventi<br />

ai sensi del comma 5, lettera b), all’esito positivo di un periodo di monitoraggio che verifichi l’effettiva conformità alle<br />

previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate.<br />

8. Il piano prevede comunque che nelle aree di cui all’articolo 5, lettera b), siano effettuati controlli a campione sulle opere<br />

ed interventi realizzati e che l’accertamento di un significativo grado di violazione delle previsioni vigenti determini la<br />

reintroduzione dell’obbligo dell’autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159, relativamente ai comuni nei quali si sono<br />

rilevate le violazioni.<br />

9. Il piano paesaggistico individua anche progetti prioritari per la conservazione, il recupero, la riqualificazione, la<br />

valorizzazione e la gestione del paesaggio regionale indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure<br />

incentivanti.<br />

10. Le regioni, il Ministero e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio possono stipulare accordi per l’elaborazione<br />

d’intesa dei piani paesaggistici. Nell’accordo è stabilito il termine entro il quale è completata l’elaborazione d’intesa,<br />

nonché il termine entro il quale la regione approva il piano. Qualora all’elaborazione d’intesa del piano non consegua il<br />

provvedimento regionale, il piano è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell’ambiente<br />

e della tutela del territorio.<br />

11. L’accordo di cui al comma 10 stabilisce altresì presupposti, modalità e tempi per la revisione periodica del piano, con<br />

particolare riferimento alla eventuale sopravvenienza di provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 140 e 141.<br />

12. Qualora l’accordo di cui al comma 10 non venga stipulato, ovvero ad esso non segua l’elaborazione congiunta del piano,<br />

non trova applicazione quanto previsto dai commi 5, 6, 7 e 8.<br />

9 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio Articolo 143 - Piano paesaggistico - Vigente<br />

1. L’elaborazione del piano paesaggistico si articola nelle seguenti fasi:<br />

A) ricognizione del territorio, considerato mediante l’analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro<br />

interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare;<br />

B) puntuale individuazione, nell’ambito del territorio regionale, delle aree di cui al comma 1, dell’articolo 142 e<br />

determinazione della specifica disciplina ordinata alla loro tutela e valorizzazione;<br />

C) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi<br />

di vulnerabilità del paesaggio, nonché la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di<br />

difesa del suolo;<br />

D) individuazione degli ambiti paesaggistici di cui all’articolo 135;<br />

E) definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati;<br />

F) determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e, ove necessario,<br />

dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di<br />

notevole interesse pubblico;<br />

G) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate<br />

e degli altri interventi di valorizzazione;<br />

H) individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel<br />

contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle<br />

aree interessate;<br />

I) tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), di immobili o di aree, diversi da quelli<br />

indicati agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione.<br />

2. Il piano paesaggistico, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio,<br />

individua le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle<br />

misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico ai sensi del comma 1, lettere e), f), g) ed h), e quelle per le<br />

quali il piano paesaggistico definisce anche specifiche previsioni vincolanti da introdurre negli strumenti urbanistici in<br />

sede di conformazione e di adeguamento ai sensi dell’articolo 145.<br />

3. Le regioni, il ministero ed il ministero dell’ambiente e della tutela del territorio possono stipulare intese per l’elaborazione<br />

congiunta dei piani paesaggistici. Nell’intesa è stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione<br />

del piano. Il contenuto del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo preliminare ai sensi degli<br />

articoli 15 e 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche. Entro i novanta giorni successivi all’accordo il piano<br />

173


all’insegna della sostenibilità<br />

è approvato con provvedimento regionale. Decorso inutilmente tale termine, il piano è approvato in via sostitutiva con<br />

decreto del ministro, sentito il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. L’accordo preliminare stabilisce altresì<br />

i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza<br />

di provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 140 e 141.<br />

4. Nel caso in cui il piano sia stato approvato a seguito dell’accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di<br />

cui agli articoli 146 e 147 il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante.<br />

5. Il piano approvato a seguito dell’accordo di cui al comma 3 può altresì prevedere:<br />

A) la individuazione delle aree, tutelate ai sensi dell’articolo 142 e non oggetto di atti o provvedimenti emanati ai sensi<br />

degli articoli 138, 140, 141 e 157, nelle quali la realizzazione di opere ed interventi può avvenire previo accertamento,<br />

nell’ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, della loro conformità alle previsioni del piano<br />

paesaggistico e dello strumento urbanistico comunale;<br />

B) la individuazione delle aree gravemente compromesse o degradate nelle quali la realizzazione degli interventi<br />

effettivamente volti al recupero ed alla riqualificazione non richiede il rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo<br />

146.<br />

6. L’entrata in vigore delle disposizioni di cui ai commi 4 e 5 è subordinata all’approvazione degli strumenti urbanistici<br />

adeguati al piano paesaggistico, ai sensi dell’articolo 145.<br />

7. Il piano può subordinare l’entrata in vigore delle disposizioni che consentono la realizzazione di opere ed interventi<br />

senza autorizzazione paesaggistica, ai sensi del comma 5, all’esito positivo di un periodo di monitoraggio che verifichi<br />

l’effettiva conformità alle previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate.<br />

8. Il piano prevede comunque che nelle aree di cui al comma 5, lettera a), siano effettuati controlli a campione sulle opere<br />

ed interventi realizzati e che l’accertamento di un significativo grado di violazione delle previsioni vigenti determini la<br />

reintroduzione dell’obbligo dell’autorizzazione di cui agli articoli 146 e 147, relativamente ai comuni nei quali si sono<br />

rilevate le violazioni.<br />

9. Il piano paesaggistico individua anche progetti prioritari per la conservazione, il recupero, la riqualificazione, la<br />

valorizzazione e la gestione del paesaggio regionale indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure<br />

incentivanti.<br />

10 Ministero per i Beni e le Attività Culturali.<br />

11 Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.<br />

174


Paesaggi e Paesaggio<br />

Il paesaggio non era niente e non interessava<br />

a nessuno. Era talmente poco importante che<br />

quei brani di mondo abbandonati da Dio e dagli<br />

uomini, che stanno e crescono ai margini delle<br />

città venivano chiamati “vuoti urbani”: il nulla.<br />

Non più fortunati erano i “non paesaggi”, ovvero<br />

“i non luoghi” che probabilmente potrebbero<br />

essere le parti inesistenti di paesaggi assenti.<br />

Ma chi può abitare i non luoghi? Probabilmente<br />

dei “non abitanti”. Questo problema non era<br />

stato risolto: temo, in effetti, che ogni risposta<br />

a tale domanda sarebbe stata “politicamente<br />

scorretta”.<br />

Il paesaggio esisteva, allora, più per negazione<br />

che per presenza.<br />

Certo. È molto più semplice, quando una cosa è<br />

inafferrabile, dire cosa non è, piuttosto che cosa<br />

è. Anche se poi, a parte la “boutade” di effetto,<br />

l’utilità del “cosa non è” è tutta da dimostrare.<br />

Il paesaggio era un’astrazione e, pertanto, non<br />

tutti potevano goderne.<br />

Non tutte le menti hanno capacità di astrazione<br />

e, comunque, ogni mente ne ha un livello<br />

diverso. Ma, allora……Orrore! Il paesaggio non<br />

era un oggetto democratico, ma qualcosa per<br />

pochi eletti. Solo per visionari o per quanti erano<br />

in grado di fare strane elucubrazioni mentali<br />

a forma di colline fiorite o campi contornati<br />

da alberi frondosi. Tutti gli altri, i più, erano<br />

esclusi.<br />

Infatti non ne parlava nessuno, se non in qualche<br />

salotto buono, un po’ di soppiatto, senza farsi<br />

troppo sentire perché si faceva la figura degli<br />

snob.<br />

Taluni osavano, sottovoce, ipotizzare che, forse,<br />

qualcosa di concreto nel paesaggio c’era. Forse,<br />

si sussurrava, il paesaggio è fatto di aria, di<br />

acqua, di suolo, di piante, di animali e di uomini<br />

e di tutto quanto questi percepiscono, pensano e<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Gioia Gibelli<br />

fanno. Oggetti concreti? Che trivialità! No no, è<br />

solo nella mente umana: infatti c’è un paesaggio<br />

per ogni persona al mondo!<br />

Caspita. Una folla. Come fanno a starci tutti quei<br />

paesaggi su questa povera nostra terra già così<br />

densa e affaticata?<br />

Altri, per la verità si contavano sulle dita di una<br />

mano, pensavano addirittura che fosse un sistema.<br />

Un sistema complesso in cui l’ecosfera e<br />

la noosfera si intrecciano continuamente generando<br />

nuove combinazioni, nuove situazioni.<br />

Questo è veramente troppo: il paesaggio come<br />

luogo di produzione delle novità che stanno alla<br />

base dell’evoluzione! E Darwin che fine ha fatto?<br />

Forse era giusto metterlo nei cassetti come, per<br />

altri motivi meno interessanti e nobili, in alcuni<br />

luoghi del mondo è stato fatto.<br />

Meglio pensare che fosse un’astrazione, dava<br />

sicuramente meno problemi. Come tale, non<br />

si poteva toccare, plasmare, pasticciare, e<br />

neppure….. arraffare. No, no, non interessava<br />

proprio quasi a nessuno.<br />

Ma se non si poteva toccare, com’è stato che in<br />

tutti questi anni se ne è fatto uno scempio? Come<br />

è potuto succedere che un’entità che non c’era, è<br />

stata reiteratamente distrutta in più parti?<br />

Intanto che i più pensavano ad altro e i pochi<br />

eletti filosofeggiavano, la macchina delle trasformazioni<br />

ignoranti lavorava in modo indefesso,<br />

stravolgendo pesantemente qualcosa che non<br />

c’era, ma era un capitale unico e irripetibile.<br />

Mentre in Italia e altrove, si consumavano fatti<br />

e misfatti, il Consiglio d’Europa ci ha regalato<br />

la Convenzione Europea del Paesaggio (CEP),<br />

la quale, con il ben noto pragmatismo nordico,<br />

ci ha riportati prontamente alla realtà, dandoci<br />

addirittura una definizione di paesaggio. La CEP,<br />

considera il paesaggio un sistema complesso,<br />

infatti “Il termine “ paesaggio “ 1 viene definito<br />

come una zona o un territorio, quale viene percepito<br />

175


all’insegna della sostenibilità<br />

dagli abitanti del luogo o dai visitatori, il cui aspetto<br />

e carattere derivano dall’azione di fattori naturali<br />

e/o culturali (ossia antropici). Tale definizione tiene<br />

conto dell’idea che i paesaggi evolvono col tempo, per<br />

l’effetto di forze naturali e per l’azione degli esseri<br />

umani. Sottolinea ugualmente l’idea che il paesaggio<br />

forma un tutto, i cui elementi naturali e culturali<br />

vengono considerati simultaneamente”.<br />

Tale definizione si pone come un importante<br />

riferimento concettuale e operativo anche<br />

perché, considera sia gli aspetti cognitivi propri<br />

degli abitanti e dei visitatori, sia gli aspetti<br />

ambientali nel loro dinamismo, sia le interazioni<br />

tra tutto questo. La CEP, dunque, tende verso<br />

l’integrazione dei diversi approcci disciplinari<br />

che, nel Paesaggio, convergono.<br />

Ancora “la convenzione si applica all’insieme del<br />

territorio europeo, che si tratti degli spazi naturali,<br />

rurali, urbani o periurbani. Non la si potrebbe limitare<br />

unicamente agli elementi culturali od artificiali,<br />

oppure agli elementi naturali del paesaggio: si riferisce<br />

all’insieme di tali elementi e alle relazioni esistenti<br />

tra di loro.” Ecco che si deve superare il dualismo<br />

uomo-natura e la conflittualità intrinseca in<br />

questo approccio: sono le interazioni, infatti, gli<br />

elementi caratterizzanti il Paesaggio, il quale si<br />

pone come la risultante di tutto ciò che accade<br />

sia per cause naturali che per cause antropiche e<br />

le une condizionano le altre.<br />

Al paesaggio, nella sua interezza, viene<br />

riconosciuto un importantissimo ruolo alla base<br />

non solo della vita quotidiana delle persone,<br />

ma anche del sistema socio-economico: “il<br />

paesaggio svolge importanti funzioni di interesse<br />

generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e<br />

sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività<br />

economica, e che, se salvaguardato, gestito e<br />

pianificato in modo adeguato, può contribuire alla<br />

creazione di posti di lavoro; il paesaggio è in ogni<br />

luogo un elemento importante della qualità della vita<br />

delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne,<br />

nei territori degradati, come in quelli di grande<br />

qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in<br />

quelle della vita quotidiana”.<br />

Possiamo quindi dire che il paesaggio è un<br />

insieme unico e indivisibile, costituito da entità<br />

diverse che si incontrano e si rimescolano di<br />

continuo: gli oggetti concreti e tangibili (i prati e<br />

i boschi, le strade e gli edifici, i corsi d’acqua,<br />

176<br />

le montagne e le pianure, ecc.), che nel loro<br />

insieme lo costituiscono e mantengono in vita la<br />

seconda grande entità: i processi (le forze fisiche<br />

e biologiche, naturali e antropiche e le relazioni<br />

richiamate dalla convenzione, tra cui i processi<br />

decisionali), la percezione che ognuno di noi ha di<br />

questi insiemi, che ci permette di interpretarli,<br />

viverli e modificarli ognuno a proprio<br />

modo, il tempo durante il quale avvengono le<br />

trasformazioni per effetto dei processi e delle<br />

scelte che ognuno di noi, quotidianamente,<br />

opera anche in base alla percezione del proprio<br />

intorno.<br />

Dunque, secondo la CEP; il paesaggio è<br />

costituito da parti oggettivamente rilevabili,<br />

concrete, costituite da elementi, e forze definibili<br />

e misurabili (potremmo definirli come la<br />

componente “ambientale” del paesaggio), e una<br />

parte decisamente soggettiva, ma fortemente<br />

condizionata dalla prima, che attiene alla natura<br />

propria degli individui e delle comunità e alla<br />

loro capacità di decodificazione e interpretazione<br />

del mondo che li circonda. Le due parti si<br />

influenzano a vicenda attraverso continui scambi<br />

di informazioni che determinano l’evoluzione<br />

dei paesaggi. Il Paesaggio, trasformandosi<br />

continuamente, è. Ed è un’entità che vive.<br />

Queste considerazioni permettono di arricchire<br />

le metodologie di studio del paesaggio, le quali<br />

devono integrare gli aspetti puramente sensoriali<br />

e cognitivi con quelli oggettivi, i quali afferiscono<br />

al campo delle scienze fisiche e biologiche.<br />

Ma come? Allora il paesaggio è. Non è solo un<br />

“non è”.<br />

Non solo. L’opportunità che la CEP ci ha fornito<br />

è quella di mettere ordine nei vari concetti di<br />

Paesaggio, ufficializzandone uno che, al di<br />

là delle diverse concezioni e sfumature, può<br />

costituire il riferimento primo del legislatore e<br />

degli operatori.<br />

La CEP è stata sottoscritta per la prima volta da<br />

alcuni stati membri, tra cui l’Italia, il 20 ottobre<br />

2000, a Firenze. È stata ratificata nel 2006 dallo<br />

Stato italiano con la legge n. 14-2006.<br />

Dunque, dal 2000 il paesaggio è ufficialmente<br />

apparso in Italia, dapprima sommessamente,<br />

in modo molto discreto, poi via via sempre più<br />

rumorosamente.


Ora, intorno al paesaggio, c’è il fragore del caravanserraglio<br />

dei fuoriusciti da quel deserto dove<br />

il nulla era un oggetto prezioso, sconosciuto ai<br />

più. Improvvisamente il numero dei “paesaggisti”,<br />

o simili, è cresciuto esponenzialmente<br />

generando in tempi brevissimi una quantità di<br />

esperti, inesistenti fino al 1999: un nuovo miracolo<br />

italiano.<br />

Ma il nostro è uno strano paese: nel tempo<br />

intercorso tra la firma e la ratificazione della<br />

CEP, lo Stato italiano ha ritenuto opportuno<br />

dotarsi di un altro provvedimento inerente il<br />

Paesaggio: nel 2004, vara il Codice dei Beni<br />

culturali e del Paesaggio 2<br />

. Poteva trattarsi dello<br />

strumento di recepimento e attuazione della<br />

CEP. Probabilmente il buon senso avrebbe<br />

suggerito questo. Invece il Codice risultava<br />

quasi totalmente estraneo alla Convenzione, al<br />

punto tale da sembrare, talvolta, che lo scrivente<br />

non fosse a conoscenza della CEP.<br />

Tutto il decreto è impostato su un concetto di<br />

paesaggio fortemente, se non unicamente, legato<br />

agli aspetti storici e culturali, basato su una<br />

gerarchizzazione dei valori paesistici in funzione<br />

della storicità e della bellezza dei luoghi, anche<br />

se le modifiche del 2006 ne hanno migliorato<br />

alcune parti: “La tutela e la valorizzazione del paesaggio<br />

salvaguardano i valori che esso esprime quali<br />

manifestazioni identitarie percepibili”, non considerando,<br />

nei fatti, tutta la ricchezza che la CEP<br />

segnala nei confronti delle relazioni tra le componenti<br />

concrete ed oggettive, anche molto diverse,<br />

e le componenti soggettive, e dell’importanza<br />

del paesaggio, del suo dinamismo per la<br />

qualità di vita delle popolazioni, dei legami con<br />

il sistema socio-economico e del fatto che non<br />

esistono solo i luoghi eccezionali, ma che anche i<br />

luoghi degradati necessitano di attenzione.<br />

Nel Codice tutto ciò esiste in modo molto<br />

sfumato, quasi un contorno“Ai fini del presente<br />

codice per paesaggio si intendono parti omogenee<br />

di territorio i cui caratteri distintivi derivano<br />

dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche<br />

interrelazioni 3<br />

. Mentre nella definizione esiste il<br />

concetto di relazione, gli strumenti attuativi sono<br />

in netta prevalenza diretti alla tutela dei “beni<br />

paesaggistici”, ossia di oggetti ben identificabili<br />

e indipendenti da un contesto statico che può<br />

anche essere estraneo. Questo concetto porta<br />

alla conservazione museale di qualcosa che vive,<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

induce a non vedere le relazioni fondamentali tra<br />

elementi diversi, tra le parti e il tutto e viceversa,<br />

tra gli oggetti e le persone che li vivono: ma<br />

anche l’oasi più protetta, se il deserto avanza,<br />

tende a inaridirsi perché le relazioni contano più<br />

dell’oggetto in sé.<br />

Il codice porta a dividere il nostro mondo tra<br />

paesaggi di serie A da tutelare e proteggere<br />

e paesaggi di serie B e C nei quali è ammesso<br />

perpetrare qualsiasi scempio. Senza pensare<br />

che, tra l’altro, il degrado dei paesaggi di serie B<br />

e C, nel tempo, investirà anche la serie A perché<br />

se le regole cambiano, poi, cambiano anche i<br />

giocatori.<br />

La CEP, invece, ci ha spiegato come mai siamo<br />

riusciti a compiere tutti quei danni: il paesaggio,<br />

ci dice, non è solo dentro la nostra testa e non è<br />

solo in certi luoghi. Il paesaggio è tutto il nostro<br />

mondo, è quello che ci circonda, che tocchiamo,<br />

manipoliamo, vediamo, decodifichiamo e,<br />

quindi, modifichiamo secondo le nostre necessità<br />

e voglie. E dopo averlo modificato, lo vediamo<br />

ed elaboriamo diversamente: è cambiato, ma non<br />

solo nella nostra testa. E’ cambiato veramente,<br />

talvolta sparito, consumato.<br />

La CEP, inoltre, invita a “riconoscere giuridicamente<br />

il paesaggio”. Si tratta di una grande novità<br />

nei confronti della tutela e della gestione del<br />

paesaggio, ripresa peraltro dal codice che introduce<br />

il regime sanzionatorio per le violazioni<br />

alla tutela dei beni paesaggistici (non del paesaggio).<br />

E’ da segnalare come l’idea europea di<br />

paesaggio sia quella di un oggetto concreto, in<br />

qualche modo individuabile, e rappresentabile,<br />

tanto da poter essere difeso nelle aule dei tribunali,<br />

se pur variamente interpretabile e percepibile<br />

dalle popolazioni.<br />

Peraltro, al momento attuale, Il Codice del<br />

Paesaggio resta l’unico strumento attuativo per<br />

la gestione del paesaggio, e fornisce disposizioni<br />

nei confronti della tutela dei “beni paesaggistici”<br />

(non del paesaggio), della formazione dei Piani<br />

paesistici, nonché del regime sanzionatorio in<br />

presenza di illeciti.<br />

In definitiva ci troviamo di fronte ad un<br />

profondo salto culturale, all’indietro, rispetto<br />

alla CEP, la quale, al contrario, ci spinge ad uno<br />

sforzo importante di integrazione tra le teorie<br />

scientifiche derivate dalle scienze ecologiche<br />

177


all’insegna della sostenibilità<br />

e dalla geografia, quelle storiche, estetiche e<br />

percettive derivate dal mondo dell’arte e della<br />

letteratura e quelle socio-economiche legate alle<br />

scienze sociali, psicologiche ed economiche. E<br />

in questa innovazione concettuale ci fornisce<br />

strumenti non tanto per la tutela, quanto per<br />

la gestione attiva di quel sistema dinamico<br />

che costituisce l’ambiente di vita delle<br />

popolazioni e che con esse si evolve e trasforma<br />

continuamente.<br />

E’ abbastanza interessante notare come, nei<br />

diversi paesi europei, ci siano delle differenze<br />

sostanziali nell’intendimento del paesaggio, cosa<br />

che sottolinea ulteriormente l’importanza della<br />

Cep per un’integrazione e un completamento<br />

reciproco dei diversi concetti così da arrivare,<br />

in tutta Europa, ad un concetto che possa tener<br />

conto il più possibile della complessità che<br />

caratterizza il paesaggio.<br />

A questo proposito, mi piace ricordare<br />

un’episodio significativo: un paio di anni<br />

fa stavo traducendo un testo sull’incertezza<br />

nella pianificazione di M. Antrop (2006), in cui<br />

l’autore, belga, richiamando il testo della CEP,<br />

aveva ritenuto opportuno specificare ai suoi<br />

concittadini che “La convenzione richiama inoltre<br />

l’importanza dell’estetica, dei valori scenici e non<br />

solo le funzioni economiche, ecologiche e di utilità”,<br />

sottolineando l’importanza dei valori estetici<br />

e percettivi, che devono essere considerati al<br />

pari di quelli ecologici ed economici, quindi<br />

di gestione delle risorse naturali. Questi ultimi<br />

infatti, sono tradizionalmente dati per scontati<br />

nella cultura medio-europea sul Paesaggio, la<br />

quale ha da sempre influito fortemente sulla<br />

gestione delle risorse naturali. Al contrario in<br />

Italia, riferendosi ai medesimi contenuti della<br />

Convenzione, viene in genere sottolineato<br />

come novità il richiamo ai valori ecologici ed<br />

economici, spesso trascurati nelle teorie e nella<br />

prassi. Queste infatti, tendono a privilegiare<br />

le funzioni estetiche e percettive, con ricadute<br />

gestionali totalmente diverse da quelle medio<br />

Europee. Ecco che la Convenzione europea<br />

può giocare un ruolo veramente importante<br />

nell’amalgamare le culture e, conseguentemente,<br />

tracciare le strade per percorsi di gestione del<br />

paesaggio sempre migliori, che ne integrino la<br />

multifunzionalità.<br />

Mi piace concludere con un ultimo richiamo alla<br />

178<br />

Convenzione: Il paesaggio deve diventare un tema<br />

politico di interesse generale, poiché contribuisce<br />

in modo molto rilevante al benessere dei cittadini<br />

europei che non possono più accettare di “subire i<br />

loro paesaggi”, quale risultato di evoluzioni tecniche<br />

ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una<br />

questione che interessa tutti i cittadini e deve venir<br />

trattato in modo democratico, soprattutto a livello<br />

locale e regionale.<br />

Questo passo, se ancora rimanevano dei dubbi,<br />

sposta il valore del Paesaggio da “bene di lusso”,<br />

quindi opzionale, a “bisogno” per il benessere<br />

dei cittadini. Pertanto è necessario che la qualità<br />

del paesaggio, nella sua completezza, diventi<br />

obiettivo fondante di piani e progetti ed esca<br />

dal ghetto dell’”imbellettamento a posteriori”,<br />

funzione nel quale la visione estetica prevalente,<br />

in Italia, l’aveva relegato. Inoltre impone che la<br />

crescita culturale che la Convenzione ha spinto<br />

ad imboccare sia continua, rapida e diffusa.<br />

Ciò per far sì che i cittadini siano in grado di<br />

rendersi conto dell’importanza del paesaggio e<br />

dei risultati delle modifiche indotte su di esso,<br />

e abbiano gli strumenti per non “subire i loro<br />

paesaggi”.<br />

Al termine di queste note sintetiche sulla<br />

molteplicità di intendere il Paesaggio, possiamo<br />

affermare che la complessità ha tante facce, ma<br />

l’oggetto è uno.<br />

E’ tempo di trovare la strada per descriverlo<br />

nella sua complessa interezza e di mettere<br />

questa nuova conoscenza al servizio delle scelte,<br />

in modo tale da limitare quelle sbagliate, quelle<br />

che consumano il Paesaggio invece di aiutarlo<br />

a vivere. Per fare ciò è indispensabile giungere<br />

ad una integrazione tra le diverse teorie parziali,<br />

al fine di sistematizzare quella che alcuni autori<br />

definiscono la “Scienza del Paesaggio” (Klijn<br />

& Vos, 2000, Farina, 2004). Tale integrazione<br />

non costituisce solo un interessante tema di<br />

dibattito scientifico, ma apre a nuovi approcci<br />

al paesaggio, con risvolti applicativi molto<br />

promettenti.<br />

Il cammino è sicuramente ancora lungo, non<br />

privo di difficoltà e necessita non solo di studi<br />

e ricerche, ma anche dell’atteggiamento che<br />

Popper attribuisce al vero pensiero scientifico<br />

nel richiamare la necessità di “falsificare” le<br />

teorie precedenti, al fine di trovare nuove


soluzioni ai problemi, mantenendo, comunque,<br />

un atteggiamento di forte critica nei confronti<br />

delle nuove soluzioni, perché queste possano<br />

contribuire effettivamente ad un avanzamento<br />

del sapere scientifico e si possano formulare<br />

nove teorie realmente efficaci.<br />

Per quanto riguarda il paesaggio molte sono le<br />

tesi assolutistiche che vanno superate per poter<br />

giungere all’integrazione di cui sopra, ma la<br />

strada pare tracciata.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Antrop, M., 2006, Landscape planning and uncertainty,<br />

in Gibelli, G., Brancucci, G. (a cura di), Pianificare<br />

L’Incertezza, Siep-Iale, Milano.<br />

Farina A., 2004, Verso una scienza del paesaggio, Oasi<br />

Alberto Perdisa. Klijn J. & Vos W., 2000.<br />

From Landscape Ecology to Landscape Science. WLO,<br />

Wageningen, Kluwer Academic Publ., 162 pp.<br />

Priore, R., 2006, Convenzione Europea del Paesaggio – Il testo<br />

adottato e commentato, Edizioni Centro Stampa d’Ateneo,<br />

Reggio Calabria, pp.95.<br />

Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.<br />

Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 157.<br />

Legge n. 14-2006.<br />

1 Sono richiamati alcuni stralci del testo della Convenzione, all’interno dei quali si ritrovano molti degli aspetti che determinano<br />

la complessità del paesaggio e ne definiscono alcuni caratteri fondamentali. Il testo in corsivo è tratto dalla Convenzione. In<br />

neretto i concetti che si ritengono più importanti e che, analizzati uno per uno, contribuiscono a definire il paesaggio nella<br />

sua complessità. Si specifica che i testi sono tratti dalla diffusa traduzione di R. Priore e G. Anzani (2006), non risultando, al<br />

momento, una traduzione ufficiale da parte del Governo italiano.<br />

2 Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, modificato con il Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 157, per quanto riguarda il<br />

Paesaggio.<br />

3 Le parti in corsivo si riferiscono al testo così come modificato con il D.L. 157 del 24-03-2006.<br />

179


all’insegna della sostenibilità<br />

180


Paesaggio? Che sapia mi, qua no ghe ne xe<br />

Paesaggio? Che io sappia, qua non ce n’è. E’ la<br />

risposta che due ricercatrici dell’Università di<br />

Padova hanno ricevuto nel corso di una indagine<br />

nella città diffusa veneta. 1<br />

Una affermazione che palesa la difficoltà della<br />

nostra società di riconoscere il paesaggio in<br />

chiave di contesto di vita quotidiano. Questo<br />

ancorché il paesaggio eserciti un ruolo sociale<br />

significativo, tale da influenzare decisioni,<br />

comportamenti e aspirazioni sia delle singole<br />

persone, sia di comunità.<br />

Una difficoltà che si riscontra, purtroppo, anche<br />

nelle istituzioni pubbliche e in particolare in<br />

quelle dello Stato che detengono la competenza<br />

esclusiva della tutela del paesaggio, ma che la<br />

esercitano secondo una concezione passatista<br />

e canoni prevalentemente formali, obbligando<br />

gli enti locali e le popolazioni al ruolo di<br />

spettatori di un paesaggio istituzionalmente<br />

definito che in realtà non esiste. Un paesaggio<br />

statico e limitato ad alcuni lembi di territorio<br />

che presentano caratteri peculiari (i cosiddetti<br />

beni paesaggistici). In definitiva una posizione<br />

culturale non dissimile da quella dell’agricoltore<br />

veneto secondo il quale il paesaggio forse “ce<br />

n’è a Piove di Sacco, dove ci sono i casoni e<br />

forse alle Motte”; cioè posti da visitare perché<br />

mantengono tratti residui di tipicità. Lo stato<br />

di degrado del paesaggio italiano ci evidenzia<br />

tuttavia, l’impossibilità di conservare anche le<br />

sole tipicità se non si governano le trasformazioni<br />

del territorio.<br />

E’ sempre più evidente infatti l’incapacità<br />

d’inscrivere lo sviluppo, le trasformazioni, il<br />

rapido mutamento del territorio in un paesaggio<br />

voluto e collettivamente controllato. Ciò<br />

produce un’alterazione agli equilibri ed è fonte<br />

di crescente malessere sociale per l’influenza<br />

diretta che il paesaggio stesso esercita sulle<br />

condizioni di vita e, in prospettiva, sul sistema<br />

economico che ha sempre più necessità di<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Giancarlo Poli<br />

rendersi competitivo a scala globale. Nell’era<br />

dell’economia della conoscenza e dello sviluppo<br />

digitale, tornano a essere fondamentali per<br />

la competitività, il paesaggio e il territorio, a<br />

condizione però che se ne colgano significati e<br />

opportunità e che la società nel suo insieme sia<br />

messa nelle condizioni di interpretarli come<br />

tali.<br />

Un processo interpretativo, fino ad oggi, per<br />

nulla o scarsamente perseguito dalle politiche<br />

territoriali, urbanistiche, oltre che dagli strumenti<br />

utilizzati per la gestione del paesaggio, ma<br />

assolutamente necessario per mettere in valore<br />

nella contemporaneità la risorsa paesaggistica.<br />

Occorre ribadire che il paesaggio (che nella<br />

nozione europea 2 è rappresentato dall’intero<br />

territorio e ricomprende tutti i tipi di paesaggio)<br />

è un prodotto eminentemente culturale, frutto<br />

della percezione sociale del territorio. Un<br />

supporto fisico, tangibile che possiamo guardare,<br />

toccare, misurare e contestualmente un fenomeno<br />

interpretativo impalpabile attraverso il quale le<br />

singole persone o una collettività nel suo insieme<br />

assegnano significati e valori ad un determinato<br />

territorio. La fisionomia e contemporaneamente<br />

il pensiero di una persona come efficacemente<br />

lo rappresenta il filosofo Claude Raffestin.<br />

Un processo relazionale di “appropriazione<br />

consapevole” da cui la popolazione è stata fino<br />

ad oggi esclusa per l’affermazione di una cultura<br />

tradizionalmente elitaria che si è impadronita<br />

dell’interpretazione del paesaggio e che ne<br />

condiziona tuttora pesantemente l’evoluzione.<br />

Conseguentemente, è diffusa la convinzione<br />

che le trasformazioni che si determinano<br />

incessantemente nel territorio siano un fenomeno<br />

avulso dalla tutela del paesaggio. Purtroppo per<br />

noi, l’esercizio della tutela, non è un problema<br />

che si misura con inventari più o meno<br />

completi, quantità di vincoli o piani adeguati<br />

ai dettami ministeriali, ma con la capacità di<br />

181


all’insegna della sostenibilità<br />

perseguire l’integrazione, il coordinamento<br />

e la finalizzazione di ogni singola azione di<br />

trasformazione verso un progetto consapevole e<br />

condiviso di paesaggio.<br />

Una tutela priva di progetto, e per di più<br />

autoreferenziata, si trasforma inevitabilmente<br />

nel terreno di scontro per il controllo delle<br />

dinamiche territoriali, sociali ed economiche che<br />

continuativamente distorcono significati, valori<br />

e caratteri del paesaggio. Non basta, dunque,<br />

conservare l’aspetto esteriore dei luoghi,<br />

restaurare i contenitori storici o riqualificare<br />

le città, né controllare la sola trasformazione<br />

fisica del territorio per migliorare il paesaggio,<br />

perché esso assume valore nel rapporto con la<br />

popolazione, in funzione del significato, degli<br />

usi e della immagine che questa gli attribuisce.<br />

E’ quanto mai urgente intervenire sul modello<br />

culturale ed economico della società fornendo le<br />

chiavi interpretative necessarie per una corretta<br />

percezione del paesaggio, affinché possano<br />

effettivamente affermarsi nuove qualità, nuove<br />

identità, nuove appartenenze, nuovi riferimenti,<br />

nuove economie; altrimenti non c’è paesaggio!<br />

L’opportunità di mettere in pratica gli<br />

orientamenti sopra richiamati è fornita dalla<br />

necessità di adeguare i piani paesaggistici al<br />

Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.<br />

Una attività che deve diventare l’occasione per<br />

elaborare una Strategia generale 3 tale da fare<br />

assumere al paesaggio il ruolo di orientamento,<br />

supporto e monitoraggio della qualità dell’intero<br />

sistema regionale, concependo una gestione<br />

marcatamente progettuale che, partendo<br />

dall’individuazione delle potenzialità e dal<br />

182<br />

riconoscimento dei rischi di perdita di valori a<br />

livello locale, inneschi processi di invenzione, di<br />

identificazione e riqualificazione dei paesaggi in<br />

rapporto alla specificità dei singoli contesti e alle<br />

aspirazioni delle diverse comunità locali.<br />

Una strategia che si sviluppa secondo due<br />

principali linee di intervento: una rivolta a<br />

salvaguardare il paesaggio, in quanto patrimonio<br />

collettivo e risorsa per lo sviluppo (la matrice<br />

identitaria, il carattere e l’immagine dei territori,<br />

le diversità locali), l’altra tesa a migliorare la<br />

qualità diffusa dei paesaggi ordinari, degli<br />

ambienti di vita quotidiani, di quelli del lavoro e<br />

del tempo libero.<br />

Questo approccio, che implica un ribaltamento<br />

della logica conservazionista classica, contempla<br />

il territorio globalmente inteso, anziché i singoli<br />

beni tutelati, e sposta l’attenzione sul complesso<br />

tessuto relazionale che ha storicamente legato<br />

il patrimonio naturale a quello culturale e<br />

che tuttora lega la funzionalità e la qualità<br />

dei paesaggi all’uso e alla fruibilità antropica<br />

del territorio. In conclusione è assolutamente<br />

fondamentale non solo riconoscere, ma anche<br />

riconoscersi nel paesaggio, perchè “solo se si<br />

rafforzerà il rapporto dei cittadini con i luoghi in<br />

cui vivono, essi saranno in grado di consolidare<br />

sia le loro identità, sia le diversità locali e<br />

regionali, al fine di realizzarsi dal punto di vista<br />

personale, sociale e culturale. Tale realizzazione<br />

è alla base dello sviluppo sostenibile di qualsiasi<br />

territorio, poiché la qualità del paesaggio<br />

costituisce un elemento essenziale per il successo<br />

delle iniziative economiche e sociali, siano esse<br />

private o pubbliche” (Cep, 2000).<br />

1 Castiglioni B., Ferrario V., Dove non c’è paesaggio: indagini nella città diffusa veneta e questioni aperte, Riv. Geograf. Ital., 114<br />

(2007), pp.397 – 425.<br />

2 Convenzione Europea del Paesaggio aperta alla firma dei paesi membri del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000,<br />

ratificata dall’Italia con legge n.14 del 2006.<br />

3 Governo e riqualificazione solidale del territorio. Progetto di legge di iniziativa della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna. Titolo<br />

III – BIS “Tutela e valorizzazione del paesaggio.


La festa itinerante dei Centri Storici minori<br />

I centri storici minori sono una realtà molto<br />

importante del nostro Paese. Ben il 91,8% dei<br />

comuni italiani hanno meno di 15 mila abitanti;<br />

la loro superficie complessiva è pari al 79,4% del<br />

territorio; quasi tutti hanno un nucleo storico, di<br />

valore più o meno rilevante.<br />

Questi insediamenti raccolgono circa il 42,2%<br />

della popolazione; al loro interno, numerosi<br />

borghi antichi sono stati abbandonati, soprattutto<br />

dai giovani, alla ricerca di un lavoro o di alloggi<br />

migliori.<br />

In un certo senso si potrebbe provare ad assimilare<br />

questi piccoli centri storici alle periferie<br />

urbane: hanno certamente in comune il degrado<br />

fisico e sociale; là dove nelle periferie il fenomeno<br />

si associa a stati di densità e nei centri storici<br />

minori a fenomeni di de-densificazione.<br />

Questo solo per affermare che se è importante<br />

occuparsi delle periferie è altrettanto importante<br />

occuparsi dei territori minori.<br />

Dunque, l’idea di organizzare una festa che<br />

parli dei centri storici minori e che ne racconti<br />

la vitalità e l’apertura – promossa da FOCUS,<br />

Master ACT e Monti&Taft 1 – nasce dall’esigenza<br />

di riempire un gap rispetto ad un “soggetto”<br />

che non merita di essere confinato a mero<br />

oggetto di studio per pochi appassionati o ad<br />

oggetto di puro consumo turistico, che deve,<br />

piuttosto, essere esaltato per le potenzialità e le<br />

caratteristiche di luogo di “terra” di crescita e<br />

di espressione.<br />

La denominazione attribuita alla festa tende a<br />

mettere in relazione due dimensioni: quella del<br />

piccolo centro storico (xs-extrasmall) e quella del suo<br />

territorio (terre).<br />

Generalmente quando si parla di centri<br />

storici, soprattutto minori, si pone l’attenzione<br />

prevalentemente sul borgo, sull’edificato<br />

storico. Di fatto un centro storico minore è anche il<br />

suo territorio vasto, che può estendersi a più comuni<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Manuela Ricci<br />

e ad altri centri storici; è la potenzialità di questa<br />

dimensione a svilupparsi attraverso risorse<br />

endogene ed esogene.<br />

La Festa si presenta, dunque, con un marchio,<br />

accompagnato dal sottotitolo terre di…, che<br />

consentirà, a ogni edizione, di specificare il tema<br />

oggetto dell’anno. Per il 2008 si tratta di terre di<br />

sviluppo.<br />

• con “terre di sviluppo” si suggerisce il fermento,<br />

la condizione di patrimonio inespresso<br />

in attesa di risveglio, la scoperta del circuito<br />

più adatto per far circolare la corrente della<br />

valorizzazione; la ‘festa’ è la scossa, l’occasione<br />

gioiosa per lo scambio, l’occasione d’incontro;<br />

• “itinerante” è l’evento che testimonia dell’apertura<br />

e vitalità, della necessità di tessere<br />

legami, di scoprire corrispondenze tra contesti<br />

e reti, di approfondire, ridisegnandola,<br />

una più ampia mappa di possibilità per lo<br />

sviluppo 2 .<br />

In tale contesto, la manifestazione si pone<br />

l’obiettivo di costruire un luogo di scambio di<br />

tutti gli attori, pubblici e privati, che operano<br />

nei processi di riqualificazione di questi centri.<br />

Attività e workshop coinvolgeranno anche i<br />

cittadini e le comunità locali per mostrare alla<br />

Comunità internazionale la forza innovativa<br />

che nel giro degli ultimi anni questi sistemi<br />

territoriali sono stati in grado di esprimere nella<br />

promozione dello sviluppo locale e di percorsi<br />

di valorizzazione dei patrimoni storici, culturali<br />

e ambientali.<br />

L’intervento ha come obiettivo quello di costruire<br />

uno spazio in cui lasciar sfilare le realtà più<br />

interessanti che operano con interventi creativi<br />

sul territorio; di costituire un luogo d’incontro<br />

di prassi innovative, professionali, culturali e<br />

produttive legate ai mondi locali.<br />

183


all’insegna della sostenibilità<br />

La festa intende anche documentare, con<br />

una serie di iniziative, i contenuti della<br />

contemporaneità e contribuire a consolidare<br />

la necessità di un’apertura alla cultura del<br />

territorio come possibilità di sviluppare mercati<br />

e interessi e come strumento di dialogo con<br />

le esigenze delle comunità locali. Quello che<br />

si intende offrire è una funzione di bussola,<br />

una mappa che tiene insieme cultura, storia,<br />

paesaggio, innovazione, creatività in “piccole”<br />

reti (materiali e immateriali) produttive, di<br />

commercializzazione e servizi in grado di<br />

rendere competitivo il territorio.<br />

L’impatto generale atteso è quello di porre le<br />

basi e le forme per la costruzione di percorsi<br />

di sviluppo locale dei territori storici, anche<br />

a livello intercomunale, che coinvolgano il<br />

pubblico e il privato e che possano essere<br />

assunti, progressivamente, a livello esteso<br />

da un grande numero di Paesi europei. Ciò<br />

al fine di valorizzare in maniera appropriata<br />

le risorse locali, riducendo la pressione sulle<br />

amministrazioni locali di piccola dimensione<br />

che dispongono di budget sempre più ridotti.<br />

Lo scambio di esperienze su aree diverse, ma<br />

su temi spesso complementari, o comunque<br />

184<br />

simili, potrà contribuire a costruire un ricco<br />

data base, che sarà raccolto in un sito ad hoc, dal<br />

quale partire per costruire i temi e le proposte<br />

dei nuovi incontri e implementare le capacità<br />

progettuali.<br />

Due convegni, con manifestazioni culturali<br />

annesse, previsti per il 2008:<br />

• il 15 febbraio a Orvieto: è un incontro che<br />

vede l’importante compresenza delle confederazioni<br />

degli artigiani e dei commercianti<br />

per discutere su soggetti, attività e forme di<br />

rivitalizzazione dei centri storici;<br />

• in settembre a Spoleto: attrattività territoriali<br />

e reti globali, intende guardare al centro<br />

storico minore come a un luogo il cui<br />

sviluppo non è più legato, in maniera<br />

unica ed esclusiva, ad attività economiche<br />

strettamente commerciali e produttive, ma<br />

anche ad altri sistemi ugualmente capaci<br />

di accrescerne il valore e l’attrattività come<br />

quello dei beni immateriali, che rimandano<br />

alla storia e alle tradizioni delle popolazioni<br />

locali, e ai segni materiali e immateriali<br />

lasciati da coloro che lo abitano (e che lo<br />

hanno abitato in passato).<br />

1 Master ACT, sulla valorizzazione e gestione dei centri storici minori, Università “La Sapienza” di Roma (w3.uniroma1.it/<br />

arcorvieto); Monti&Taft, Società di management culturale (www.monti-taft.org).<br />

2 Alberto Arletti, Appunti per una bibliografia sui centri storici minori, in corso di pubblicazione.


Paesaggio rurale, reti locali<br />

Vivo in una microarea rurale, situata al confine<br />

fra le province di Torino e di Asti, ed in un contesto<br />

collinare, che l’ esclusione dalle vie pesanti<br />

del traffico e la separatezza dall’ industrializzazione<br />

espansiva torinese hanno preservato dal<br />

rischio di perdere tipicità ambientali e paesaggistiche,<br />

che in altre parti del territorio suburbano<br />

sono rapidamente scomparse.<br />

Il paesaggio rurale che vedo è una trama<br />

continua di normale semplicità: vallette, colline<br />

basse, corsi d’acqua, una zona densa di boschi,<br />

biotopi di flora e fauna locale, una viabilità non<br />

impattante, piccole tracce del lavoro umano<br />

del passato, segni del sacro diffuso… Nulla di<br />

straordinario, molto di irripetibile.<br />

La conservazione di piccoli patrimoni paesaggistici<br />

come questo appare un problema etico, culturale<br />

e politico, ben prima di quanto non ponga<br />

questioni di norme da applicare. Del resto, l’ applicazione<br />

intelligente delle norme presuppone<br />

una idea univoca ad esse soggiacente, che lo<br />

stesso Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio<br />

è lungi dal proporre con inequivoca chiarezza. Il<br />

concetto di paesaggio vi appare infatti assunto<br />

secondo una pluralità di accezioni non perfettamente<br />

coincidenti. Descrittivamente, esso indica<br />

“parti omogenee di territorio, i cui caratteri distintivi<br />

derivano dalla natura, dalla storia umana<br />

o dalle reciproche interrelazioni”(art.131).<br />

Normativamente, paesaggio è l’ espressione dei<br />

valori presenti nei territori, intesi “quali manifestazioni<br />

identitarie percepibili”(art.131).<br />

E’ un contenitore di beni della scena visibile:<br />

cose contraddistinte da “bellezza singolare o<br />

non comune”, aree che compongono un caratteristico<br />

aspetto,“avente valore estetico e tradizionale”,<br />

“bellezze panoramiche considerate come<br />

quadri”, punti di vista o di belvedere accessibili<br />

al pubblico, “dai quali si goda lo spettacolo di<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

di Dario Rei<br />

quelle bellezze”(artt. 134 - 136). Ma paesaggio è<br />

pure il termine di una pianificazione specifica,<br />

ancorché estesa a tutto il territorio regionale,<br />

attraverso l’elaborazione di appositi Piani paesaggistici<br />

che interagiscono con le scelte della<br />

pianificazione territoriale generale.<br />

Di qui una prima questione: se il paesaggio sia<br />

una “parte estraibile” dal territorio secondo<br />

parametri selettivi di qualità, che consentono ad<br />

esempio di attribuire la qualifica “di notevole<br />

interesse pubblico ai fini paesaggistici“ a specifici<br />

beni, aree e territori.<br />

Non sfugge come l’intento di salvaguardare<br />

caratteristiche storiche, culturali, naturali,<br />

morfologiche ed estetiche - “che abbiano significato<br />

o valore identitario del territorio in cui<br />

ricadono, o che siano percepite come tali dalle<br />

popolazioni”(art.138 del Codice) implica un certo<br />

slittamento dalla pretesa oggettività del bene<br />

“in sé” alla discrezionalità del valore che viene<br />

ad esso attribuito e risulta insito nella sua rappresentazione.<br />

Ma che accade (seconda questione) quando<br />

attraverso il criterio del paesaggio è invece<br />

l’intero territorio ad essere considerato sotto<br />

una certa angolazione di valore? Non ne deriva<br />

una certa tensione fra “beni del paesaggio” e<br />

“ paesaggi come beni”, che induce a chiedersi<br />

che cosa comporti realmente fare del paesaggio<br />

in quanto tale un parametro di riconoscimento,<br />

tutela e valorizzazione? Questo per dire che il<br />

modo in cui una pianificazione paesaggistica<br />

possa concorrere alla normativa regionale sul<br />

governo complessivo del territorio lascia aperto<br />

un ventaglio di opzioni possibili, in termini<br />

più o meno cogenti di vincoli, indirizzi, scelte<br />

complessive, interventi rivolti a specifici ambiti<br />

e verso unità locali di limitate dimensioni.<br />

185


all’insegna della sostenibilità<br />

La pluralità delle accezioni implicate dalla nozione<br />

di paesaggio non è priva di dirette ricadute<br />

sulla gestione desiderabile delle trasformazioni<br />

a livello locale. Quando si affacciano preoccupazioni<br />

di salvaguardia di patrimoni paesistici e<br />

ambientali “di vita quotidiana”, si trova sempre<br />

chi pensa che i poveri conservino il mondo in<br />

cui vivono, in quanto non hanno i mezzi economici<br />

e tecnici sufficienti per alterarlo a piacere,<br />

al fine di arricchirsi.<br />

E chi ritiene che la conservazione meticolosa<br />

sia la sindrome snob dei veramente ricchi, i soli<br />

che avendo già tutto possono anche permettersi<br />

di ostentare sobrietà. Toccherebbe dunque<br />

alle classi intermedie, dei non troppo ricchi e<br />

appagati, dei non troppo desolatamente poveri,<br />

sobbarcarsi il duro compito di “costruire”<br />

il mondo. Nutrendo anche l’aspettativa -<br />

ritenuta quanto mai legittima - di ricevere<br />

dalle amministrazioni locali piani, supporti e<br />

incentivi, che si collocano entro la retorica della<br />

devoluzione, sempre più spinta “verso il basso”,<br />

di funzioni e poteri decisionali.<br />

Evocare a questo proposito la sussidiarietà<br />

verticale mi pare del tutto improprio. Tale<br />

criterio chiede di instaurare un rapporto<br />

adeguato fra lo svolgimento di funzioni e la<br />

scala a cui esse sono ottimalmente esercitate<br />

(che è, o dovrebbe essere, la scala a cui operano<br />

l’ente o l’istituzione titolare dell’ esercizio di<br />

tali funzioni). Ma se il criterio sussidiario ha a<br />

che vedere con la legittimità della decisione,<br />

nulla ancora dice circa la qualità della decisione<br />

stessa, e la sua capacità di avere visione, e di<br />

produrre efficienza ed efficacia nella soluzione<br />

di problemi.<br />

Ancor meno convincente è la sussidiarietà verticale<br />

- e rischia di confondersi pericolosamente<br />

con un decentramento “per abbandono”- quando<br />

non giunga mai ad incontrarsi con l’energia<br />

attiva e propositiva espressa da reti associative<br />

e volontaristiche, che perseguono beni comuni<br />

di qualità ambientale e paesaggistica generabili<br />

localmente.<br />

Tali reti associative sono una risorsa della<br />

cittadinanza, poiché mostrano, in concreto,<br />

la differenza che intercorre fra l’homo civicus<br />

attento ai beni comuni e lo stakeholder mero<br />

portatore di interessi; a patto, s’intende, che tali<br />

186<br />

reti, nell’ occuparsi di questioni pubbliche anche<br />

in ambiti circoscritti, costruiscano e mantengano<br />

un equilibrio vitale fra diritti e doveri,<br />

responsabilità e proposta: “solo in questo modo<br />

l’esaltazione delle autonomie locali, il recupero<br />

dell’ amor loci non si trasforma in una chiusura<br />

all’ interno della propria identità, ma diventa<br />

strumento privilegiato per la ricostruzione di<br />

una tradizione civica, per la diffusione di forme<br />

di azione cooperatrice, per l’allargamento del<br />

capitale sociale condiviso”( F. Cassano, Homo<br />

civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Bari<br />

Dedalo 2004).<br />

Sussidiarietà compiuta si potrà avere,<br />

promuovendo connessioni virtuose fra piccole<br />

amministrazioni e piccole reti associative<br />

civiche, e sviluppando una interdipendenza<br />

generatrice di “cura dei luoghi” e “sviluppo del<br />

loro statuto”.<br />

Le aree rurali di collina sono un campo ideale,<br />

per sperimentare dei progetti locali attenti alla<br />

salvaguardia dei valori e capaci di esaltare le<br />

proprietà distintive dei luoghi.<br />

La collina, a differenza della pianura urbanizzata,<br />

non è sede di un forte potere politico ed amministrativo.<br />

A differenza della costa ingolfata,<br />

non attira speculazione commerciale e traffico<br />

intenso in entrata e in transito.<br />

Si apre alle ibridazioni e alle varietà. La costituzione<br />

di una Nuova società rurale di collina richiederà<br />

di mantenere una forte interconnessione<br />

fra tutti gli elementi e le funzioni (lavorare,<br />

abitare, accogliere, fruire delle qualità naturali e<br />

culturali ecc.) del luogo entro un progetto locale<br />

che riconosce i valori ambientali, sa innestarvi<br />

delle attività umane coerenti, produzioni sostenibili,<br />

una residenzialità ben sorretta da servizi<br />

diffusi per il benessere e la qualità di vita di persone<br />

e comunità.<br />

Nell’orizzonte di una Nuova società rurale,<br />

la salvaguardia dei valori paesaggistici è un<br />

requisito essenziale e comporta l’adozione ed<br />

il rispetto di elementari regole di intelligenza<br />

pianificatoria:


• tenere fuori dei fl ussi di attraversamento<br />

nodale le forme storiche degli insediamenti;<br />

• evitare di fondere in agglomerati indistinti<br />

i nuclei densi e le case sparse e mantenere<br />

anche alle frazioni la loro riconoscibilità;<br />

• impedire il riempimento additivo della fascia<br />

collinare, e la saturazione della distanza che<br />

separa i nuclei storici alla sommità e le vie di<br />

scorrimento veloce a fondo valle;<br />

• insediare le vie del traffi co nodale sul basso,<br />

previa valutazione adeguata dei fl ussi<br />

esistenti e delle potenziali mobilità, e del risparmio<br />

di spazio consentito da più effi cienti<br />

e veloci reti telematiche;<br />

• potenziare i supporti fi sici delle reti telematiche<br />

in parola, e renderle di accesso culturale<br />

e sociale amichevole e diffuso, anche a correzione<br />

del digital divide intergenerazionale;<br />

• contenere l’impatto ambientale delle infrastrutture<br />

più invasive con tutte le opportune<br />

scelte di mitigazione e compensazione;<br />

• favorire un criterio generale di complementarietà<br />

ed oscillazione fra “vuoti” e “pieni”,<br />

linee e isole, nodi e fl ussi, in un quadro dal<br />

forte signifi cato tassonomico riconoscibile.<br />

Sembra implicito che ciò comporti una più<br />

elevata e governata interdipendenza fra zone<br />

abitate, campagne coltivate e naturalità fruibile,<br />

perseguendo l’obiettivo di avere più natura e<br />

più qualità ambientale nell’ urbano, più qualità<br />

sociale e maggiore dotazione culturale nel<br />

rurale.<br />

Non vanno tuttavia in tale direzione, e appaiono<br />

perciò destinati ad intrinseca contraddittorietà,<br />

quei programmi detti di “sviluppo locale”- peraltro<br />

ampiamente perseguiti negli ultimi tempi<br />

- che pretendono di realizzare obiettivi fra loro<br />

sostanzialmente incoerenti: costruire aree industriali,<br />

dispositivi di supporto alle attività agroalimentari,<br />

capannoni di stoccaggio e lavorazione,<br />

infrastrutturazioni di viabilità pesante, ma<br />

avere anche - negli stessi luoghi, con gli stessi<br />

piani, talora con gli stessi fi nanziamenti - produzioni<br />

di agricoltura biologica tipica e di nicchia,<br />

turismo di alta qualità, beni culturali e ambientali<br />

ripristinati e fruibili, riuso di centri storici<br />

per nuova residenzialità e accoglienza.<br />

all’insegna della sostenibilità<br />

Programmi che sovente si esauriscono con i fi -<br />

nanziamenti che li hanno alimentati, lasciando<br />

dietro di sé più dissipazione di risorse che capitale<br />

sociale sviluppato ed autosostenibile.<br />

Per concludere con una immagine. Non sembra<br />

dubbio che gli amanti del silenzio ed i cultori del<br />

chiasso non possono convivere, gli uni accanto<br />

agli altri, nel rispetto delle loro specifi che preferenze.<br />

Poiché alla fi ne il gioco è a somma zero, i<br />

meno invadenti fi niranno per soccombere.<br />

Allo stesso modo, si può dire che un impatto da<br />

crescita sregolata, non governata secondo una<br />

visione di coerenza e sostenibilità, va a danno<br />

della base fi sica che regge i valori territoriali, attenta<br />

alle loro qualità microsistemiche, e fi nisce<br />

per produrre l’effetto Chronos: il territorio che<br />

“mangia se stesso”, perde valori autentici ed<br />

espelle deiezioni e degradi.<br />

Di questi esiti perversi la qualità delle forme<br />

percettive, e la bellezza dei luoghi, saranno le<br />

prime e silenziose vittime.<br />

fotografie e immagini di paesaggi - Dario Rei<br />

187


all’insegna della sostenibilità<br />

188


STORIE<br />

• Una è la Città Metropolitana, di Ugo Baldini<br />

• Uno bambino nella cuna, di Antonio Bonomi<br />

storie<br />

189


storie<br />

190


Una è la Città Metropolitana<br />

Bologna “patinata e rimessa a nuovo” dal nuovo corso urbanistico, guelfa sem-<br />

pre e ora anche un po’ gabellina:<br />

una è … la Città Metropolitana (e una<br />

anche la moschea “Al Cahab”);<br />

due sono le logge;<br />

tre sono (se ne sono rimasti…) gli<br />

Spiriti Animali;<br />

quattro i Santuari;<br />

cinque (almeno) le tecnologie di trasporto;<br />

sei (vedi i sacri testi) le fasi storiche;<br />

sette (nonostante tutto, come i gatti)<br />

le vite;<br />

otto i municipi (sette, più uno per i terzo - mondiali “senza<br />

terra”);<br />

nove i cantieri partecipati;<br />

dieci i comitati accreditati;<br />

undici gli alloggi sociali perequati dal PSC;<br />

dodici … le Tue Bologne litigiose e di nuovo “alla Guazza”;<br />

tredici (tutti tranne uno...) i Celestini sedati, assunti in cielo e tolti<br />

“dalla Piazza”.<br />

storie<br />

di Ugo Baldini<br />

191


storie<br />

192


Uno, bambino nella cuna<br />

Uno<br />

bambino nella cuna<br />

deciderà<br />

se il babbo farà il sindaco<br />

o se ne andrà<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il<br />

Piccì<br />

Due<br />

Giacomo e Maurizio<br />

ognuno col suo sfi zio<br />

Passante o metrotram<br />

mi sa che gna’a fan<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il<br />

Piccì<br />

Tre<br />

remagi prepotenti<br />

pretendon tanti doni<br />

Filetti, i costruttori<br />

e le Cooperazioni<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il<br />

Piccì<br />

Quattro<br />

Sinistra arcobaleno<br />

e chi la vuole tanto<br />

e chi la vuole meno<br />

chissà se si farà<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il<br />

Piccì<br />

Cinque<br />

sistemi di trasporto<br />

più d’uno va già storto<br />

e nel binario morto<br />

mi sa che fi nirà<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il<br />

Piccì<br />

storie<br />

di Antonio Bonomi<br />

sullo schema di una antica fi lastrocca ebraica, che fu adattata anche al catechismo<br />

cattolico. Da una prima idea di Piergiorgio Rocchi e da una proposta di Ugo Baldini.<br />

Dedicata a Maurizio Sani come benvenuto fra noi pensionati.<br />

193


storie<br />

194<br />

Sei<br />

i beni comuni<br />

del territorio<br />

che Toni ci tien tanto<br />

chi li difenderà<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì<br />

Sette<br />

città del piessecì<br />

spiegate ed illustrate<br />

che non se ne può più<br />

sembrano un pierregì<br />

beni comuni<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì<br />

Otto<br />

binari esseffemme<br />

i treni vanno lemme<br />

e i pendolari affranti<br />

sono sempre di men<br />

città del piessecì<br />

beni comuni<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì<br />

Nove<br />

pezzi di Tua Bologna<br />

ciascuno che s’ingegna<br />

per tornare a sguazzar<br />

ma ce la potrà far?<br />

binari esseffemme<br />

città del piessecì<br />

beni comuni<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì<br />

Dieci<br />

i Celestini erranti<br />

sembravan forti e tanti<br />

nessuno più ne sa.<br />

qualcun si è sistemà<br />

pezzi di Tua Bologna<br />

binari esseffemme<br />

città del piessecì<br />

beni comuni<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì


Tanti<br />

i Sindaci festanti<br />

tutti di un sol partito<br />

or nuovo e ripulito<br />

formano un forte gruppo<br />

che vuole lo sviluppo<br />

che chiaman sostenibile<br />

con faccia inossidabile<br />

cioè più capannoni<br />

torri cave stradoni<br />

per far pagare al fesso<br />

che arriva solo adesso<br />

e togliere via l’ICI<br />

a tutti vecchi amici<br />

e a chi li voterà<br />

i Celestini erranti<br />

pezzi di Tua Bologna<br />

binari esseffemme<br />

città del piessecì<br />

beni comuni<br />

sistemi di trasporto<br />

Sinistra arcobaleno<br />

remagi prepotenti<br />

Giacomo e Maurizio<br />

bambino nella cuna<br />

la notte e il dì<br />

a far l’Emilia Rossa è stato il Piccì<br />

Dopo aver dato opportuna enfasi (largo sostenuto) all’ultima strofe tornare indietro<br />

al contrario, fi no all’inizio e poi così avanti fi no alla fi ne della tornata amministrativa<br />

(o all’espressione irrevocabile del bambino suddetto)<br />

storie<br />

195


storie<br />

196


OBITUARY<br />

• Luciano Colla, un ricordo, di Gianfranco Pagliettini<br />

obituary<br />

197


obituary<br />

198


Luciano Colla, un ricordo<br />

E’ morto Luciano Colla.<br />

Ho avuto la notizia da Ugo Baldini e, con lui,<br />

abbiamo diffuso la notizia a coloro che lo<br />

avevano conosciuto. Ci siamo resi conto che<br />

aveva lasciato un buon ricordo nonostante il<br />

periodo non lungo (5 anni) che aveva vissuto e<br />

lavorato in questa regione prima di lasciarla per<br />

ritornare nella sua Liguria.<br />

L’ho conosciuto giovanissimo quando ci siamo<br />

incontrati non ricordo dove, ma durante i lunghi<br />

percorsi in treno che ci portavano in giro per<br />

l’Italia a sfogare un grande entusiasmo politico<br />

in convegni, congressi, seminari. Mi tornano<br />

in mente cose che mi avevano colpito: la sua<br />

capacità di dormire poco (in treno o in macchina,<br />

non c’erano i soldi per altre soluzioni) e quella di<br />

sopravvivere accontentandosi di un cappuccino<br />

e una brioche.<br />

Fu quello stesso entusiasmo che, saputo che<br />

a Parma avevamo fondato il “Collettivo di<br />

architettura, urbanistica e ricerche”, lo spinse a<br />

volerne fare parte. Arrivò nel 1972, poco dopo la<br />

laurea e si adoperò per costruirvi la sezione di<br />

ricerche socio-economiche.<br />

Visse un momento che credo sia stato molto<br />

bello perché così l’ho vissuto anch’io. Perché<br />

era un periodo esaltante sul piano politico e<br />

disciplinare.<br />

obituary<br />

di Gianfranco Pagliettini<br />

Nel quale il lavoro innovativo che i Comuni<br />

emiliani avevano svolto nel decennio precedente,<br />

per proporre una nuova cultura del governo<br />

del territorio, aveva trovato nella neonata Regione<br />

nuove prospettive di sintesi e di efficacia.<br />

Perché, con il Collettivo, aveva lavorato a<br />

fianco degli amici della Cooperativa Architetti e<br />

Ingegneri di Reggio Emilia e quindi, di Osvaldo<br />

Piacentini, che ha costituito uno degli uomini<br />

fondamentali di riferimento per la formazione<br />

di molti di noi.<br />

Perché, e questo vale per lui, stava crescendo<br />

come figura professionale inusuale nel nostro<br />

panorama nazionale: un sociologo che integrava<br />

nella propria professionalità il sapere economico<br />

e quello urbanistico.<br />

L’entusiasmo con cui lavorava gli ha regalato,<br />

in un tempo breve ma di intensissima attività,<br />

un grande bagaglio culturale e disciplinare<br />

che ha voluto portare nella sua regione, nella<br />

sua attività all’ILRES, nel suo insegnamento<br />

all’Università, nella sua attività professionale.<br />

Sfortunatamente si è fermato troppo presto, ma<br />

fortunatamente ha lasciato cose cui molti di noi<br />

potranno attingere.<br />

199


obituary<br />

200


NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

• Progetti in corso<br />

• Come aderire all’Associazione<br />

• Elenco associati e organi dell’Associazione<br />

• Assemblea 2007<br />

• Consultazione dei fondi documentari<br />

• Bilanci<br />

notizie dall’associazione<br />

201


notizie dall’associazione<br />

202


L’esperimento INA<br />

Casa del quartiere “Rosta” a Reggio Emilia<br />

Fotografi a Europea 2007<br />

notizie dall’associazione<br />

PROGETTI IN CORSO<br />

Su commissione dell’assessorato alla Cultura<br />

del Comune di Reggio Emilia in occasione<br />

della Fotografi a Europea 2007 l’Archivio<br />

Osvaldo Piacentini ha realizzato la mostra<br />

L’esperimento Ina- Casa del Quartiere “Rosta”<br />

a Reggio Emilia.<br />

La mostra, curata dal prof. Pier Giorgio Massaretti<br />

dell’ Università di Bologna, ha analizzato<br />

l’esemplare caso Rosta Nuova inserendolo<br />

nel dibattito europeo sulla ricostruzione<br />

post-bellica, in rapporto alle scelte progettuali<br />

di altri paesi maturate prima e dopo<br />

la seconda guerra mondiale, scelte che nel<br />

“nostro” dopoguerra sono riprese e reinterpretate<br />

alla luce della tradizione italiana.<br />

Particolare attenzione è stata dedicata alla<br />

realtà nazionale e al ruolo del piano Ina-<br />

Casa e alla sua forte coerenza con la politica<br />

governativa del periodo.<br />

L’Ina-Casa rappresenta per i tecnici la prima<br />

vera occasione per realizzare “una grande<br />

ricostruzione” e la possibilità di incidere<br />

sullo sviluppo urbano e sulla forma fi sica e<br />

sociale della città: l’unità quartiere diventa<br />

strumento indispensabile per modellare l’informe<br />

e diffusa crescita delle città italiane. Il<br />

quartiere con le sue case, attrezzature collettive,<br />

spazi aperti e giardini non è semplice<br />

addizione urbana, ma è interpretato come<br />

ambito di formazione e dispositivo per una<br />

ricostruzione anche sociale dell’Italia.<br />

Rosta è esempio signifi cativo di questa nuova<br />

concezione del quartiere, molti gli spazi<br />

comuni (la piazza, la scuola, il centro sociale<br />

e i portici) che come direbbe<br />

Osvaldo Piacentini “favoriscono la formazione<br />

di vincoli di comunanza e di solidarietà”;<br />

esemplari le tecniche di costruzione che si<br />

riallacciano alla tradizione, ai suoi materiali<br />

e alle maestranze locali; importante poi la<br />

vivace attività socio-culturale che da sempre<br />

caratterizza il quartiere dimostrazione concreta<br />

di come il “governo partecipato” del<br />

proprio territorio sia ancora, nonostante un<br />

ventilato declino dirigista della politica locale,<br />

una rara ricchezza sulla quale investire<br />

con coraggio.<br />

203


notizie dall’associazione<br />

204<br />

Osvaldo Piacentini:<br />

un intellettuale del territorio fra miracolo economico<br />

e genesi del modello emiliano. Seminario di approfondimento.<br />

Marzia Maccaferri, assegnista presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Cognitive<br />

e Quantitative dell’Università di Modena e Reggio Emilia l’8 novembre<br />

2007 presso l’Aula Magna Pietro Manodori dell’Università di Modena e Reggio<br />

ha presentato lo stato di avanzamento della ricerca sulla biografi a storicointellettuale<br />

di Osvaldo Piacentini.<br />

“La ricerca ha lo scopo di arricchire la rifl essione sullo spazio pubblico italiano<br />

nell’età contemporanea, e contribuire al dibattito urbanista, alla ricostruzione<br />

della storia dell’urbanistica italiana nel secondo dopoguerra.<br />

Ma anche per contribuire alla interpretazione della questione urbanistica<br />

come elemento imprescindibile della storia del dopoguerra italiano, come<br />

prisma dello spazio e del discorso pubblico – la storia delle città, del territorio,<br />

gli interventi urbanistici intesi come “storia civile”.<br />

Per interrogarsi sulla relazione fra modernizzazione e gestione del territorio,<br />

per considerare l’urbanistica un aspetto della costruzione e sedimentazione<br />

del welfare state. Per tentare, in altre parole, di “fare” una storia della modernizzazione<br />

italiana non settoriale, ma interdisciplinare”.<br />

Seminario sullo stato di attuazione della L.R. 20<br />

Bologna, 12 febbraio 2008<br />

Il 12 Febbraio 2008, presso il Padiglione dell’Esprit Noveau al quartiere<br />

fi eristico di Bologna, l’Archivio Osvaldo Piacentini, nel quadro della sua<br />

attività di promozione del dibattito disciplinare sui temi dell’urbanistica e<br />

dello sviluppo civile, ha organizzato in collaborazione con Oikos Centro Studi<br />

un seminario per rifl ettere sullo stato di attuazione della Legge Regionale 20<br />

anche alla luce delle proposte di modifi ca contenute nel Progetto di Legge<br />

di iniziativa della Giunta Regionale per una “riforma solidale” della legge<br />

urbanistica e avendo a riferimento la più generale esigenza di servire una<br />

svolta culturale, tecnica e politica più attenta all’effi cacia e all’effi cienza delle<br />

politiche pubbliche e al recupero di operatività del Sistema Paese.<br />

Il Seminario, introdotto dalle relazioni di Ugo Baldini e Giorgio Pagliari, ha<br />

visto la partecipazione di numerosi esperti impegnati nella pianifi cazione<br />

urbanistica in campo regionale e la presenza di un nutrito gruppo di<br />

Amministratori e Dirigenti della Regione Emilia Romagna, ha partire<br />

dall’assessore Luigi Gilli, dal presidente della Commissione Consiliare<br />

Giancarlo Muzzarelli e dal direttore dell’ANCI Emilia Romagna Antonio<br />

Gioiellieri.<br />

Nei lavori del seminario sono intervenuti tra gli altri Felicia Bottino, Carlo<br />

Monti, Giovanni Crocioni, Leonardo Draghetti, Giovanni De Marchi, Giovanni<br />

Santangelo, Michele Zanelli.


notizie dall’associazione<br />

Prossima Pubblicazione<br />

“Dalla Ricostruzione al Post Concilio. Generazioni a confronto”.<br />

Testimonianze raccolte sulla generazione di Osvaldo Piacentini nella storia reggiana del<br />

secondo novecento di Paolo Burani, Antonella Morlini, Giuseppe Piacentini, Cristian Ruozzi,<br />

introduzione di Sandro Spreafi co.<br />

Il progetto, nato ancora nel 2003, voleva raccogliere alcune testimonianze “in diretta” sulla realtà ecclesiale<br />

reggiana del dopoguerra, quella di Osvaldo Piacentini, valutandone i moti profondi, le attese, le speranze, le<br />

(dis)illusioni; lo spaccato ideale e reale, dal suo medesimo punto di vista, di una generazione protagonista della<br />

storia civile e religiosa della città e della provincia di Reggio Emilia.<br />

Durante la sua realizzazione sono state raccolte, in un periodo di più di 2 anni, circa una sessantina di testimonianze<br />

- alcune delle quali oggi irripetibili per la scomparsa dei protagonisti - su un universo naturalmente non esaustivo<br />

di circa 150 persone interpellate, tutte dell’ambiente, più o meno allargato, di crescita umana, lavorativa, civile<br />

ed ecclesiale di Osvaldo Piacentini. Le interviste erano differenziate, almeno come domande di riferimento, sui<br />

“coetanei”, i “giovani” ed i “non praticanti”, per poter sentire la voce anche di chi guarda le cose da un punto di<br />

vista più esterno.<br />

La eterogeneità del materiale raccolto, dalla semplice risposta su qualche punto alla memoria dattiloscritta,<br />

alcuna di queste ultime davvero notevole per profondità e ampiezza di rifl essioni, ha suggerito di raccogliere in<br />

quattro saggi ordinati per materia – citando ampiamente il materiale disponibile col discorso diretto – il fi lo dei<br />

risultati, anche discordanti, delle risposte ai questionari-guida delle interviste.<br />

Paolo Burani affronta il tema di come la generazione del dopoguerra dovette prima imparare “cos’è la democrazia”,<br />

e solo poi di cercare di realizzarla sotto la guida di Giuseppe Dossetti e l’ispirazione di Jacques Maritain, dopo<br />

avere subito la dura forgia della guerra.<br />

Antonella Morlini coglie il passaggio successivo – delicato e sempre da riconquistare - che va dal “costruire la<br />

società (a ispirazione) cristiana” al “costruire la democrazia”: non un “arretramento, ma un “avanzamento”<br />

secondo la citazione del Lazzati.<br />

Cristian Ruozzi interpreta questi passaggi attraverso l’opera, l’impegno, la azione professionale di alcuni protagonisti<br />

emergenti dalle interviste, e la cui personalità fornisce un contributo importante al merito del lavoro.<br />

Giuseppe Piacentini raccoglie la vita più propriamente ecclesiale del medesimo ambiente in un periodo più lungo:<br />

dal Concilio sino al Sinodo diocesano, allargando la prospettiva raccolta dalle prime interviste con l’analisi di alcuni<br />

contesti diocesani particolarmente signifi cativi nell’interpretare “il nuovo”: oltre alla Parrocchia di Piacentini le<br />

realtà di Sant’Ilario, di Santa Croce, di San Faustino di Rubiera.<br />

Il saggio è introdotto dal maggiore studioso della realtà ecclesiale reggiana, lo storico Sandro Spreafi co.<br />

205


notizie dall’associazione<br />

Presidente: Eros Guareschi<br />

Vice Presidenti: Ugo Baldini<br />

Tesoriere: Giuseppe Piacentini<br />

Consiglieri: Ugo Baldini, Enrico Borghi, Enrico Bussi, Medardo Chiapponi, Giuseppe Dossetti, Francesco Evangelisti, Carla<br />

Ferrari, Giorgio Ferrari, Luciana Garbuglia, Mauro Giudice, Eros Guareschi, Mario Lonardi, Giampiero Lupatelli, Francesco<br />

Merli,Giuseppe Piacentini, Tiziano Teneggi, Enzo Valbonesi<br />

Collegio dei Sindaci Revisori: Antonio Miglio, Aldo Barchi, Giampaolo Bassetti<br />

Si è svolta l’ 19 maggio 2007 l’Assemblea ordinaria degli Associati per l’approvazione del Bilancio consuntivo 2006.<br />

I fondi documentari dell’Associazione sono disponibili per la consultazione previo appuntamento telefonico allo 0522/441040<br />

o allo 0533/451657. È possibile prelevare originali cartografi ci e fotografi e per effettuare copie o scansioni.<br />

206<br />

COME ADERIRE ALL’ARCHIVIO<br />

Per aderire all’Archivio Osvaldo Piacentini è suffi ciente provvedere al versamento della quota associativa annuale di 55<br />

euro, tramite bonifi co bancario:<br />

Banca Popolare dell’Emilia Romagna - Agenzia 5 - Reggio Emilia<br />

coordinate IBAN<br />

IT/O6/G/05387/12804/000001112238 -<br />

oppure<br />

compilando la scheda allegata al presente Notiziario e inviarla tramite posta o fax agl indirizzi dell’Archivio:<br />

Archivio Osvaldo Piacentini, via Reverberi,2 - 42100 Reggio Emilia<br />

tel.0522 - 441040 fax 0522 - 439336<br />

e-mail: info@archiviopiacentini.it<br />

Si pregano gentilmente gli associati di comunicare le variazioni di indirizzo alla Segreteria dell’Associazione, in modo da<br />

permettere una diffusione ottimale delle pubblicazioni e degli avvisi.<br />

Ricavi<br />

Attività Istituzionale 17.813,20<br />

Progetti 54.461,68<br />

Totale Generale Ricavi 72.274,88<br />

Ricavi<br />

Attività Istituzionale 22.040,57<br />

Progetti 56.425,00<br />

Totale Generale Ricavi 78.465,57<br />

ORGANI DELL’ASSOCIAZIONE<br />

ASSEMBLEE DEGLI ASSOCIATI<br />

CONSULTAZIONE DEI FONDI DOCUMENTARI<br />

Consuntivo 2006<br />

Preventivo 2007<br />

BILANCI<br />

Costi<br />

Attività Istituzionale 33.320,60<br />

Progetti 38.679,50<br />

Totale Generale Costi 72.000,10<br />

Avanzo 274,78<br />

Costi<br />

Attività Istituzionale 37.354,20<br />

Progetti 41.000,00<br />

Totale Generale Costi 78.354,20<br />

Avanzo 111,37


NUOVE ADESIONI<br />

notizie dall’associazione<br />

ELENCO DEGLI ASSOCIATI<br />

Nel corso dell’anno 2007e dell’anno 2008 hanno aderito all’Archivio Osvaldo Piacentini:<br />

Giampaolo Artioli, Barbara Biale, Marco Bianchini, Claudia e Pier Roberto Bonfardini, Mariella Borasio, Sascia Canale,<br />

Bruno Cattero, Giuseppe Fiorani, Maria Clotilde Fiori, Renato Lanzetti, Pier Giorgio Massaretti, Carlo Monaco, Giorgio<br />

Pagliari, Stefano Parboni, Ettore Picchi, Ugo Sturlese, Luciano Surace, Giuseppe Tacchini, Vera Negri Zamagni.<br />

ANCI Emilia-Romagna<br />

Associazione Culturale “il Ponte” Vercelli<br />

<strong>CAIRE</strong> - Urbanistica<br />

<strong>CAIRE</strong> - Progettazione<br />

Comune di Bologna<br />

Comune di Castellarano<br />

Comune di Cavriago<br />

Comune di Cesena<br />

Comune di Correggio<br />

Comune di Guastalla<br />

Comune di Modena<br />

Comune di Parma<br />

Comune di Reggio Emilia<br />

Comune di Sant’Ilario d’Enza<br />

Comune di Vetto d’Enza<br />

Comunità Montana Appennino Reggiano<br />

ACERBI Ercole, già assessore Provincia di Forlì-Cesena<br />

AIMI Gianluca, funzionario Comune di Sassuolo<br />

ALEMAGNA Pietro Maria, architetto, INU Emilia Romagna<br />

ALLEGRETTI Girolamo, storico, Pesaro<br />

ALMAGIONI Roberto, architetto, Milano<br />

ALIBERTI Francesco, imprenditore, Reggio E.<br />

ANCESCHI Fabrizio, insegnante, Reggio E.<br />

ANDREETTI Giovanni, Università di Parma<br />

ARBIZZANI Eugenio, Amministratore STS, Bologna<br />

AREA srl, Bologna<br />

ARRÒ Luisa, architetto, Cuneo<br />

ARTIOLI Giampaolo, ingegnere, Bologna<br />

BACCARINI Cesare, Legacoop, Bologna<br />

BALDI Carlo, Presidente “Laboratorio per Reggio”<br />

BALDINI Ugo, architetto, Reggio E.<br />

BARCHI Aldo, urbanista, Reggio E.<br />

BARGOSSI Maria Luisa, architetto, Regione Emilia-<br />

Romagna<br />

BARICCHI Walter, architetto, Reggio E.<br />

BARILLI Angelo, agronomo, Reggio E.<br />

ENTI SOCI<br />

Comunità Montana Valle Gesso - Cuneo<br />

CRPA - Reggio Emilia<br />

INU Sezione Emilia-Romagna<br />

Provincia di Bologna<br />

Provincia di Modena<br />

Provincia di Reggio Emilia<br />

Provincia di Parma<br />

Provincia di Piacenza<br />

Regione Emilia-Romagna<br />

UNCEM<br />

ENIA<br />

PERSONE E SOCIETA’<br />

Ordine degli Architetti di Novara del Verbani-Cusio-Ossola<br />

BASSETTI Giampaolo, architetto, Forlì<br />

BATTISTONI Mirella, presidente Elfo, Reggio E.<br />

BEDOSTI Raffaella, architetto, Bologna<br />

BELLOCCI Marina, architetto, Reggio E.<br />

BELLONE Gianfranco, architetto, Aosta<br />

BELTRAME Valentina, biologo, Provincia di Bologna<br />

BENASSI Ugo, senatore, Reggio E.<br />

BERTOLETTI Federica, architetto, Parma<br />

BERTOLINI Giuseppe, agronomo, Reggio E.<br />

BESATE Aldo, architetto, Vercelli<br />

BEVIVINO Raffaello, architetto, Reggio E.<br />

BIAGIANTI Roberto, architetto, Pesaro<br />

BIAGINI Maicher, presidente <strong>CAIRE</strong> Progettazione,<br />

Reggio E.<br />

BIALE Barbara, direttore confartigianato di Imperia<br />

BIANCHINI Marco, Università di Parma<br />

BIANCO Bruno, architetto, Politecnico di Torino<br />

BICO Gianluca, forestale, Savona<br />

BONACINI Claudio, sociologo, Reggio E.<br />

BONEZZI Dante, architetto, Reggio E.<br />

207


notizie dall’associazione<br />

BONFARDINI Claudia, Cuneo<br />

BONFARDINI Pier Roberto, architetto, Cuneo<br />

BONTEMPI Carlo, architetto, Parma<br />

BORASIO Mariella, architetto, Milano<br />

BORGHI Antonella, grafi ca, Reggio E.<br />

BORGHI Enrico, presidente UNCEM<br />

BORGOGNO Sergio, agronomo, Imperia<br />

BORRINI Italo, ingegnere, Parma<br />

BOTTAZZI Luigi, economista, Reggio Emilia<br />

BRIGANTI Cesario, architetto, CSI Piemonte<br />

BRIGHI Otello, architetto, Comune di Cesena<br />

BRIONI Maurizio, presidente Istituto Banfi , Reggio E.<br />

BUFFA Antonio, ingegnere, Verona<br />

BULGARELLI Germano, già Sindaco di Modena<br />

BUSSI Enrico, agronomo, Reggio E.<br />

BUSSI BONFERRONI Giuseppina, Reggio E.<br />

CAGLIERO Giorgio, ingegnere, Fossano<br />

CAMERLENGHI Eugenio, agronomo, Mantova<br />

CAMPEOL Anna Maria, architetto, Provincia di Reggio E.<br />

CAMPOS VENUTI Giuseppe, presidente onorario INU<br />

CANALE Sascia, ingegnere,TECNIC, Roma<br />

CANOVI Antonio, storico, Reggio E.<br />

CAREDDU Paola, CERFORM Sassuolo<br />

CARRI Alessandro, senatore, Reggio E.<br />

CASARINI Alessandro, architetto, Verona<br />

CASANOVI Osvaldo, Castelnuovo Garfagnana<br />

CASOLI Barbara, geologo, Reggio E.<br />

CASSIBBA Leopoldo, agronomo, Torino<br />

CASTAGNETTI Pier Luigi, deputato, Reggio E.<br />

CATELLI Paolo, ingegnere, Pesaro<br />

CATTERO Bruno, sociologo, Torino<br />

CAVALCOLI Piero, architetto, Regione Puglia<br />

CAVINI Bruno, segretario generale UNCEM, Roma<br />

CAVO Adriano, Provincia di Imperia<br />

CEFALOTA Franco, economista, Reggio E.<br />

CENCETTI Stefano, Direttore Azienda AUSL Modena<br />

CENINI Vittorio, direttore della rivista “Il diaconato in<br />

Italia”, Reggio E.<br />

CHANOUX Maria Lucia, architetto, Cagliari<br />

CHESI Sandro, Reggio E.<br />

CHIAPPONI Medardo, direttore del Corso di laurea in<br />

disegno industriale, IUAV<br />

CHICCHI Giuseppe, già Sindaco di Rimini<br />

CIGARINI Gian Paolo, Reggio E.<br />

CIGARINI Giovanni, Bipop-Carire, Reggio E.<br />

CILLONI Andrea, economista, Reggio E.<br />

CIMARELLI Piero, economista, Pesaro<br />

CIOLFI Mario, architetto, Campobasso<br />

CIUCCI Rodolfo, architetto, Pesaro<br />

COGNIGNI Liana, geologo, Bologna<br />

COLUMBRO Carmela, architetto, Regione Lombardia<br />

CONFETTA Giancarlo, agronomo, Reggio E.<br />

CONTI Giordano, Sindaco di Cesena<br />

CROCIONI Giovanni, Università di Bologna<br />

CROTTI Contardo, agronomo, Bergamo<br />

DE GIACOMI Antonio, già Assessore, Provincia di Cuneo<br />

208<br />

DEL CIMMUTO Loreto, Lega Autonomie Locali, Roma<br />

DEL RIO Graziano, Sindaco di Reggio Emilia<br />

DI BELLO Luigi, agronomo, Parma<br />

DI MEGLIO Luigi, Associazione “Il Ponte”, Vercelli<br />

DOMINIONI Paolo, economista, Provincia di Verona<br />

DOSSETTI Giuseppe, Presidente Ce.I.S., Reggio E.<br />

DREI Roberto, CCC, Bologna<br />

ELENA Domenico, Provincia di Rimini<br />

ELIOFOTOTECNICA BARBIERI, Parma<br />

EVANGELISTI Francesco, architetto, Comune di Bologna<br />

FACCIOTTO Pier Mario, ingegnere, Cuneo<br />

FANFANI Roberto, Università di Bologna<br />

FARINA Roberto, OIKOS, Bologna<br />

FERRARI Carla, architetto, Modena<br />

FERRARI Daria, architetto, Provincia di Verona<br />

FERRARI Giorgio, ingegnere, Reggio E.<br />

FERRARI Luisa, insegnante, Reggio E.<br />

FERRI Vittorio, architetto, Parma<br />

FESTANTI Maurizio, dirigente Servizio Istituzioni<br />

Culturali,Comune di Reggio E.<br />

FILIPPINI Claudio, Provincia di Reggio. E.<br />

FIORANI Giuseppe, Università di Modena e Reggio E.<br />

FINI Giovanni, ingegnere, Bologna<br />

FIORAVANTI Valerio, architetto, Reggio E.<br />

FIORI Maria Clotilde, La Spezia<br />

FOIETTA Paolo, architetto, Provincia di Torino<br />

FORNACIARI Raffaello, Reggio E.<br />

FORTELLI Maddalena, Comune di Reggio E.<br />

FORTELLI Matteo, Reggio E.<br />

FORTUNATO Franco, architetto, Biella<br />

FRANZONI Vittorio, Reggio E.<br />

FRIGERIO Antonio, già direttore CEDOC, Varese<br />

GABETTA Monica, biologo, Milano<br />

GABRIELLI Bruno, Università di Genova<br />

GAIETTA Giorgio, architetto, Provincia di Vercelli<br />

GALIZZI Giuseppe, Università Cattolica del Sacro Cuore,<br />

Piacenza<br />

GALLIANO Giuseppe, geologo, Mondovì<br />

GANDINI Stefano, Novellara<br />

GANDOLFO Claudio, giornalista, Brescia<br />

GARBUGLIA Luciana, Assessore alle Attività Produttive<br />

Comune di Forlì<br />

GARIO Giuseppe, sociologo, Banca Intesa, Milano<br />

GHERPELLI Giuseppe, Dirigente alla Cultura Comune di<br />

Firenze<br />

GIORGI Paolo, architetto, Sulmona<br />

GIUDICE Mauro, architetto, Regione Piemonte<br />

GOLINELLI Pier Paolo, avvocato, Mondovì<br />

GONZI Guido, già Presidente UNCEM<br />

GOTTARDI Matteo, agronomo, Bologna<br />

GRAPPI Enzo, economista, Reggio E.<br />

GROSSI BIANCHI Giovanni, architetto, Genova<br />

GROSSO Luigi, sociologo, Fossano<br />

GUARESCHI Eros, informatico Comune di Reggio E.<br />

JAFFEI Carlo Alberto, agronomo, Bologna<br />

LACAVA Alberto, Università di Roma


LAGUZZI Sergio, informatico, CSI, Torino<br />

LANZETTI Renato, ricercatore, Savigliano<br />

LAVECCHIA Francesco, architetto, Reggio E.<br />

LEONI Giancarlo, architetto, Provincia di Mantova<br />

LIGABUE Guido, dirigente ACER, Reggio E.<br />

LONARDI Mario, già Sindaco di San Martino Buonalbergo<br />

LUGLI Gemininano, Reggio E.<br />

LUPATELLI Giampiero, economista, Reggio E.<br />

MAERO F. Paolo, Società Studi Storici, Cuneo<br />

MALAGOLI Angelo, presidente ACT Reggio E.<br />

MALAVASI Luciana, architetto, Comune di Parma<br />

MAMMI Antonio, insegnante, Reggio E.<br />

MANDRILE Livio, architetto, Comune di Torino<br />

MANENTI VALLI Franca, architetto, Reggio E.<br />

MANICARDI Enrico, architetto<br />

MANIERI Giovanni, ingegnere, Regione Emilia Romagna<br />

MANFREDI Giuliana, Edizioni Diabasis, Reggio E.<br />

MANGINI Fiamma, Comune di Genova<br />

MARCHETTI Giuseppe, Università di Pavia<br />

MARGARITELLI Dorino, Centro Studi Val Ceno<br />

MARMIROLI Francesco, sacerdote, Reggio E.<br />

MARTINETTI Bartolomeo, onorevole, Mondovì<br />

MARTUFI Fiorenza, Comune di Pesaro<br />

MARVASI Matteo, economista, Regione Calabria<br />

MARZANI Carlo Pio, Sindaco di Bardi<br />

MASSARETTI Piergiorgio, architetto Università di Bologna<br />

MASSOCCO Patrizia, architetto, Fossano<br />

MATIUSSI Paolo, Regione Emilia-Romagna<br />

MAURO Maurizio, architetto, Roma<br />

MAZZA Francesco, ingegnere, Bologna<br />

MAZZAPERLINI Mario, Reggio E.<br />

MELE Nicodemo, giornalista, Bologna<br />

MELLONI Alberto, Università di Modena e Reggio E.<br />

MERLI Francesco, medico, Reggio E.<br />

MICHELINI Massimo, Presidente Consorzio AIMAG,<br />

Mirandola<br />

MIGLIO Antonio, Presidente Fondazione Cassa di<br />

Risparmio di Fossano<br />

MONACO Carlo, Presidente Gruppo Assembleare per<br />

l’Emilia Romagna, Bologna<br />

MONTANARI Giacomo, architetto, Piacenza<br />

MONTECCHI Elena, Sottosegretario di Stato ai beni e<br />

alle attività culturali, Reggio E.<br />

MONTRESOR Giovanni, ingegnere, Verona<br />

MORELLI Cleto, architetto, Roma<br />

NEGRI ZAMAGNI Vera, Università di Bologna<br />

NICOLO Giuseppe, Lega delle cooperative, Torino<br />

NIGRO Gianluigi, Università La Sapienza, Roma<br />

ORSO Marinella, architetto, Albenga<br />

PAGLIARI Giorgio, Università di Parma<br />

PANZETTA Marco, architetto, Rimini<br />

PARBONI Stefano, informatico Torino<br />

PARMIGGIANI Marina, architetto, Reggio E.<br />

PARMIGGIANI Silvio, Reggio E.<br />

PASA Marco, insegnante,Verona<br />

PASINI Egidio, Reggio E.<br />

PASTORELLO Nicola, Biella<br />

notizie dall’associazione<br />

PASTORINI Antonio, architetto, Reggio E.<br />

PEDRONI Claudio, architetto, Reggio E.<br />

PELLICIOLI Francesco, Bergamo<br />

PERBELLINI Gianni, architetto, Verona<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Anna, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Agnese, Novellara (Re)<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Benedetto, religioso, Israele<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Chiara, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Francesco, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Giovanni, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Giuseppe, Corpo Forestale dello Stato,<br />

Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Lucia, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Maria, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Pietro, Reggio E.<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Sara, religiosa, Bologna<br />

<strong>PIACENTINI</strong> Teresa, religiosa, Giordania<br />

<strong>PIACENTINI</strong> BUSSI Liliana, Reggio E.<br />

PICCININI MARIO Presidente INU sezione, Emilia<br />

Romagna<br />

PICCHI Ettore, Reggio E.<br />

PIGNONE Raffaele, geologo, Regione Emilia-Romagna<br />

PIGONI Pasquina, insegnante, Reggio E.<br />

PIRAZZOLI Maurizio, Presidente Ordine Naz. Agronomi<br />

PLATA Marco, architetto, Novara<br />

PORTA Sergio, architetto, Reggio E.<br />

PREGER Edoardo, architetto, Cesena<br />

PRODI Paolo, storico, Bologna<br />

PRODI Quintilio, architetto, Reggio E.<br />

PROPERZI Piero, Università dell’Aquila<br />

QUARANTA Livio, Presidente Comunità Montana V. Stura<br />

RANZANI Piero, architetto, Milano<br />

REVERBERI Luca, ingegnere, Reggio E.<br />

RIGAMONTI Paolo, architetto, Genova<br />

RIGHI Ezio, architetto, Modena<br />

RINALDI Giacomo, sacerdote, Reggio E.<br />

RINALDI Giovanni, Regione Emilia Romagna<br />

RIXI Lorenzo, già direttore ILRES, Genova<br />

ROBERI Natale, già Sindaco di Priola, Cuneo<br />

ROCCHI Pier Giorgio, architetto, Bologna<br />

RONCO Roberto, Università di Torino<br />

ROTA Enrico, insegnante, Reggio E.<br />

RUINI Roberto, già Presidente Provincia di Reggio Reggio<br />

SACCHETTI Francesco, Università di Firenze<br />

SACCHETTI Lauro, ingegnere, Reggio E.<br />

SALIZZONI Giovanni, già Vice Sindaco di Bologna<br />

SALVATICO Gianluca, geometra, Cuneo<br />

SALVIO Massimo, dirigente d’azienda, Milano<br />

SANTANIELLO Mariano, architetto, Provincia di<br />

Alessandria<br />

SAPORITO Guglielmo, avvocato, Reggio E.<br />

SARPIERI Carlo, già Presidente della Provincia di Forlì<br />

SCANSANI Sandro, Edizioni Diabasis, Reggio E.<br />

SEZZI Azio, economista, A.P.I., Reggio E.<br />

SIAS srl, Modena<br />

SILVANI Alberto, CNR, Roma<br />

SIMONAZZI Daniele, sacerdote, Reggio E.<br />

209


indici dei numeri precedenti<br />

STORCHI Massimo, Comune di Reggio E.<br />

STORTI Maristella, architetto, Università di Genova<br />

STURLESE Ugo, vice presidente SIMEO, Società Italiana<br />

Medici di Emergenza e Urgenza, Cuneo<br />

SURACE Luciano, Istituto Idrografi co della Marina,<br />

Genova<br />

TABBÒ Antonello, Sindaco di Albenga<br />

TACCHINI Giuseppe, architetto, Piacenza<br />

TAGLIAFERRI Lorenzo, Reggio E.<br />

TAMBURINI Patrizia, architetto, Forlì<br />

TECNICOOP - S.c.r.l, Bologna<br />

TENEGGI Marianives, grafi ca, Reggio E.<br />

TENEGGI Tiziano, architetto, Reggio E.<br />

TINTORI Silvano, Politecnico di Milano<br />

TOMATIS Domenico, Regione Piemonte<br />

TONDELLI Omar, informatico, Reggio E.<br />

TORCHIO Giuseppe, Presidente, Provincia di Cremona<br />

TORTORETO Emanuele, Politecnico di Milano<br />

210<br />

TRUFFELLI Corrado, Università di Parma<br />

TURATI Marco, architetto, Cremona<br />

VECCHI Giancarlo, IRS, Milano<br />

VENTURI Carlo Maria, ECUBA, Bologna<br />

VERONI Gabriella, architetto, Varese<br />

VIANELLO Dioniso, ingegnere, Bassano del Grappa<br />

VIANELLO Gilmo, Università di Bologna<br />

VIEL Gianni, geologo, Bologna<br />

VILLA Mario, Politecnico di Torino<br />

VOLTOLINI Anna Maria, Reggio E.<br />

VOLTOLINI Giovanni, sacerdote, Reggio E.<br />

ZANI Angelo, ingegnere, Reggio E.<br />

ZANNI Alberto, Ente Formazione Professionale Edile,<br />

Reggio E.<br />

ZAPPI Onorio, economista, Imola<br />

ZIMMER Eva,VOITH TURBO, Reggio E.


INDICE DEI NUMERI PRECEDENTI<br />

Numero l, Anno 1- Gennaio 1997<br />

• Un anno di Archivio, U. Baldini<br />

indici dei numeri precedenti<br />

STUDI E RICERCHE:<br />

• Progetto per una biblioteca di geografi a civile, C. Truffelli<br />

• Progetto di ricerca sulla storia urbanistica di Sant'Ilario d'Enza, A. Canovi e S. La Ferrara<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE:<br />

• Stato della catalogazione<br />

• Pubblicazioni dell' Archivio<br />

• Borse di studio<br />

• Partecipazione all' Archivio per Enti, Società, Amministrazioni<br />

• Convenzione con l’IBC<br />

• Bilancio di previsione 1997<br />

• Contributi ricevuti<br />

• Elenco associati 1996<br />

• Assemblea Associati 1997<br />

INEDITI DALL 'ARCHIVIO:<br />

• Osvaldo Piacentini, Vogliono dare l’anima al mondo<br />

• Giuseppe Dossetti, Omelia del 5/0l/94 nel IX anniversario della morte di O. Piacentini<br />

SCHEDE:<br />

• Il concorso di idee per la Stazione di Bologna (1983), S. Pompei<br />

• Il Progetto Appennino, G. Lupatelli<br />

RECENSIONI:<br />

• Storia del concilio Vaticano II, diretta da G.Alberigo, Vol. I (/959-1962): a c. di A. Melloni,<br />

Il Mulino, Bologna 1995, note di lettura di A. Riccardi<br />

COMUNICAZIONI:<br />

• Modifi che allo Statuto<br />

• Testo della Convenzione con l'Istituto Beni Culturali<br />

Numero 2, Anno 2 - Gennaio 1997<br />

• L’Archivio un anno dopo, U. Baldini<br />

STUDI E RICERCHE:<br />

• Siamo un fi lo e vogliamo conoscere la trama ,M. Quaini<br />

• Problemi di cittadinanza di un quartiere urbano in transizione, M. Chiapponi e M. Storchi<br />

• Progetto del Forum on-line sui temi della qualità urbana, E. Guareschi e C. Piacentini<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE:<br />

• Catalogazione<br />

• Pubblicazioni<br />

•<br />

Adesioni e riconoscimenti<br />

211


indici dei numeri precedenti<br />

212<br />

• Contributi ricevuti<br />

• Ricerche in corso<br />

• Elenco associati<br />

• Adesioni 1998<br />

• Normativa ONLUS<br />

• Resoconto dell'Assemblea 1997<br />

• Bilanci<br />

• Organi direttivi<br />

• Assemblee 1998<br />

INEDITI DALL' ARCHIVIO:<br />

• Osvaldo Piacentini, La Parrocchia e il territorio<br />

SCHEDE:<br />

• Osvaldo Piacentini nella rinascita del diaconato permanente in Italia, V. Cenini<br />

• Il Progetto Appennino vent'anni dopo, G. Lupatelli<br />

• La RUR di Ferrara, P.M. Alemagna<br />

RECENSIONI:<br />

• Note di lettura di G. Gario, D. Naddeo, C. Bonacini, M. Brioni<br />

Numero 3, Anno 3 - Giugno 1999 199<br />

• Le Occasioni dell’Archivio, U.Baldini<br />

STUDI E RICERCHE:<br />

• I buoi sono scappati: e la stalla ? è diventata un garage, garage C.Greppi<br />

• L’esperienza di pianifi cazione dell’area vasta bolognese, F.Evangelisti………<br />

• Problemi della montagna, spazio rurale e politiche pubbliche nella riconsiderazione critica del<br />

Progetto Appennino, G.Galizzi, R. Fanfani<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAIZONE:<br />

• Catalogazione di dettaglio.<br />

• Inventariazione delle fotografi e<br />

• L’Archivio di don Torreggiani<br />

• Dati sulla consultazione dell’Archivio<br />

• Pubblicazioni<br />

• Ricerche in corso<br />

• Adesioni e riconoscimenti<br />

• Verbali delle Assemblee 1999<br />

• Verbali delle Assemblee 1999<br />

• Elenco associati<br />

• Adesioni 1999<br />

• Bilanci<br />

• Organi del Consiglio di Presidenza<br />

• I working papers dell’Archvio<br />

INEDITI DALL’ARCHIVIO:<br />

• Pievepelago 2, O. Piacentini<br />

• Una memoria<br />

SCHEDE<br />

• Gli Incontri Emiliani: note di M.Gallingani, M.Gallingani temi delle relazioni<br />

di S.Tintori, P.Rigamonti e G.Nigro<br />

• La rinaturazione delle aree fl uviali negli obiettivi dell’Autorità<br />

dell’Autorit di bacino del Po, Po G.Piacentini<br />

• Verso una città animata dai ragazzi, M. Bellocci<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura di: G. Crocioni, S. Pezzoli e M. Foschi, D.Naddeo, S. La Ferrara


Numero 4, Anno 4 - Marzo 2000<br />

• L’anno degli Incontri Emiliani, U.Baldini<br />

STUDI E RICERCHE<br />

• Il paesaggio racconta, racconta E. Turri.<br />

• Senza stancarsi mai: scritti di un cittadino diacono, E. Guareschi<br />

• Beni collettivi: una tragedia?,G. Piacentini<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

• Ricordo di Don Altana, Progetto Appennino,<br />

Working papers, Organi dell’Associazione,<br />

Assemblea, Adesioni, Associati, Sito web,<br />

Progetto EDEN<br />

DOSSIER COESIONE<br />

Note<br />

• Comunità, coesione e partecipazione, A. Balducci<br />

• Note di progetto per l’Osservatorio della coesione, A. Canovi<br />

SCHEDE<br />

• Osservatorio romagnolo, G.Bassetti<br />

• Il “Riconoscimento nazionale Città dei bambini”, M. Bellocci<br />

• La dispersione scolastica a Reggio Emilia, C. Bonacini<br />

I concorsi Inu di Urbanistica partecipata, M. Capelli e F.Evangelisti<br />

• Ascoltare Correggio, D.Ibattici<br />

• Tempi, spazi, socialità, M.G.Ruggerini<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura, di G. Lupatelli (A.Bagnasco), S.Porta (D.Engwitch),<br />

M. Chiapponi (J.Esler), B. Bianco (P. Lombardi, E. Micelli)<br />

DOCUMENTI<br />

• Convenzione per l’osservatorio della Coesione<br />

Numero 5, Anno 5 - Novembre 2001<br />

• Editoriale, U. Baldini<br />

STUDI E RICERCHE<br />

• Paesaggi culturali, geografi a storica e pianifi cazione, L. Rombai<br />

• Il Progetto Appennino di Osvaldo Piacentini, C. Baccarini<br />

• Fondazioni e territorio: un legame da salvare, A. Miglio<br />

• L’offerta di aree comunali per l’edilizia residenziale e produttiva, E. Righi<br />

• Gli Incontri Piemontesi, M. Giudice<br />

DOSSIER COESIONE<br />

• Saint Denis, la croisée des chemins, P. Braouezeck e J. C. Vidal<br />

• Santa Croce a Reggio Emilia, il contenitore e il contenuto, L. Chiais<br />

• Una delegazione reggiana nella Provincia di Enzkreis, S. Masini ,<br />

• Note di lettura, A. Canovi<br />

LAVORI D’ARCHIVIO<br />

Tesi e ricerche in corso<br />

Quartieri operai 1952-1959, A. Magnani<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

• Progetti in corso<br />

• Catalogazione<br />

• Pubblicazioni<br />

• Verbale Assemblee<br />

• Adesioni e riconoscimenti<br />

indici dei numeri precedenti<br />

213


indici dei numeri precedenti<br />

214<br />

• Organi dell’Associazione<br />

• Elenco associati<br />

• Come aderire<br />

• Obituary<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura di G. Angelini, I. Ferrari, M. L. Bisognin, R. Cirifalco, G. Bertolini<br />

Numero 6, Anno 6 - Dicembre 2002<br />

EDITORIALE<br />

E<br />

• Interpretare il cambiamento, U. Baldini<br />

STUDI E RICERCHE<br />

• Analisi del paesaggio e governo del territorio: il ruolo dello studio del passato, P. Dall’Aglio<br />

• Nuovi strumenti per il governo delle trasformazioni urbane e territoriali, territoriali<br />

M. Giudice e M. Plata<br />

• Il piano come strumento popolare: un caso nel Gran Buenos Aires, G. Lanfranchi<br />

• Spazio ed educazione, M. Piacentini<br />

DOSSIER PROGETTO APPENNINO<br />

• L’occasione del Progetto Appennino, C. Truffelli<br />

• L’attualità del Progetto Appennino per una strategia delle opportunità per la montagna,<br />

G. Vianello<br />

• Cosa insegna il Progetto Appennino, M. Pirazzoli<br />

• Il Progetto Appennino: la prova che può esistere un piano realizzabile, L.Di Bello<br />

• Osvaldo Piacentini e il Progetto Appennino: l’esperienza di un agronomo, A. Barilli<br />

• Occasioni della programmazione, E. Bussi<br />

• L’unicità geopolitica, produttiva ed esistenziale dell’Appennino, L.Cangini<br />

• Emilia Romagna: dal Progetto Appennino ad A.P.E., E. Valbonesi<br />

• Progetto Appennino: da rilettura a nuova opportunità, G. Gonzi<br />

LAVORI D’ARCHIVIO<br />

• Le scuole popolari nella montagna reggiana, M. Mazzaperlini<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

• Progetti in corso, Appuntamenti, Pubblicazioni, Verbali Assemblee, Organi<br />

dell’Associazione, Adesioni, Elenco associati, Obitaury<br />

DIBATTITI<br />

• La Pace ultima possibilità per l’uomo, G. Dossetti<br />

RECENSIONI<br />

• Note di G. Ferrari, G. Lupatelli, E. Chiari, M.C. Ferrari<br />

Numero 7, Anno 7 - Maggio 2004<br />

EDITORIALE, EDITORIALE U. Baldini<br />

POTERI FORTI, POTERI DEBOLI<br />

• Appunti sui percorsi di urbanistica partecipata, G. Bassetti<br />

• Nuovo riformismo e nuova comunità, E. Borghi<br />

• Codice del paesaggio e competenze del territorio, P. Rigamonti<br />

• Natura in vendita al mercato dei Parchi, S. Lagomarsini<br />

DIRE, FARE, AMMINISTRARE<br />

Cronache dalle pratiche urbanistiche regionali<br />

•<br />

Paesaggio reale e pianifi cazione paesistica, G. Gaggero<br />

• Tutela e sviluppo di una valle: pianifi care senza rotture, M. Giudice


indici dei numeri precedenti<br />

• Verso il nuovo PTR della Regione Emilia-Romagna, P. Matiussi<br />

• Il nuovo Piano Territoriale della Regione Liguria, D. Biondi<br />

• Tra PTR e Agenda XXI: l’esperienza della Provincia di Lecco, P. Mastalli<br />

• Sulla costruzione di un piano della e per la contemporaneità: il Piano Strategico Strutturale<br />

di Bologna, F.S. Sartorio<br />

• Divagazioni sul tema della qualità urbana: la riqualifi cazione delle periferie, M. Zanelli<br />

• A chi serve l’urbanistica? alcune rifl essioni sulle recenti esperienze di Bologna, M. Bertocchi,<br />

G. Fini, G. Santoro<br />

PARCHI E COMUNITA’<br />

• Lezioni di piano nel parco, G. Bettini<br />

• Agricoltura e città: parchi agricoli e aziende multi funzionali nelle aree urbane e<br />

periurbane, G. Cafi ero<br />

• Il Parco delle Radure: un parco di comunità, F. Fortunato<br />

LAVORI D’ARCHIVIO<br />

• Bologna di sempre, C. Doglio (con una nota di M.L. Bisognin)<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

STORIE<br />

• Luoghi parlanti, G. Ferrari<br />

• La maestra e l’architetto. Una traversata del Novecento, E. Bussi<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura di G. Lupatelli (P. Bonora) e G. Ferrari (P.G. Odifreddi)<br />

Numero 8, Anno 8 - Agosto 2005<br />

EDITORIALE, U. Baldini<br />

POTERI FORTI, POTERI DEBOLI<br />

Il I nuovo che avanza<br />

• Si diceva “La Cina è vicina” ...sì ma a Marte, C. M. Venturi<br />

• “Tra poco questa strada scomparirà”: Shangai simbolo della Cina che cambia, E. Cecinelli<br />

• Un “eroe della discesa”. Nicholas Georgescu - Roegen e la decrescita, M. Della Pina<br />

Sul Riformismo<br />

•<br />

Domanda sociale e bisogni sul territorio tardo moderno, S. Tintori<br />

• Riformismo forte, riformismo debole?, G. Nicolo<br />

• Il riformismo delle leggi regionali, P. Properzi<br />

• Riformismo e umanesimo, per interpretare il cambiamento, A. Soliani<br />

Per Decidere come Decidere<br />

• Partecipazione e processi decisionali, G. Pasquino<br />

• Il dialogo tra pianifi cazione e ricerca storica, M. Storchi<br />

• Di fronte e attraverso il decidere, Don G. Bedogni<br />

• Tra ordine e spontaneità, A. Sezzi<br />

• Pianifi care per decidere, F. Nigro<br />

• Decidere come decidere, per decidere tutti, F. Minucci<br />

• Decidere: come, quando, cosa? D. Bruno<br />

• Il processo decisionale e possibili case-studies, D. Ferretti<br />

DIRE, FARE, AMMINISTRARE<br />

• Un commento a caldo sul disegno di legge sul governo del territorio, G. Nigro<br />

• Sulla nuova legge per il governo del territorio della Regione Lombardia, M. Pompilio<br />

• Visti da lontano, F. Evangelisti<br />

• Dopo il guazzabuglio, M. Zanelli<br />

• Forse occorre un nuovo slancio progettuale per il nodo ferroviario di Torino?, M. Villa<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

• Un commento a caldo sul disegno di legge sul governo del territorio, G. Nigro<br />

215


indici dei numeri precedenti<br />

216<br />

• Sulla nuova legge per il governo del territorio della Regione Lombardia, M. Pompilio<br />

• Visti da lontano, F. Evangelisti<br />

• Dopo il guazzabuglio, M. Zanelli<br />

• Forse occorre un nuovo slancio progettuale per il nodo ferroviario di Torino?, M. Villa<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

PAESAGGIO, PARCHI E COMUNITA’<br />

• Il Po e l’ambiente naturale, E.Coffrini<br />

• Sulla pianifi cazione ambientale, R. Moschini<br />

• Un progetto, magari non perfetto, D. Ferrari<br />

LAVORI D’ARCHIVIO<br />

• Bologna: immagini del cambiamento, E.Turri<br />

• Carteggio Piacentini/Pastorini (con una nota di A. Pastorini sulla Bassa)<br />

STORIE<br />

• Frammenti dal pianeta degli invisibili ... appunti di un’esploratrice, E. Bulgarelli<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura di, G. Lupatelli (J.Jacobs), A. Canovi (P. Crocioni) e A. Barilli (J. D. Van Der<br />

Ploeg)<br />

Numero 9-10, Anno 9 - Giugno 2007 200<br />

EDITORIALE<br />

Dire fare nel paese con la cammicia, cammicia Ugo Baldini con un commento di Michele Zanelli<br />

STUDI E RICERCHE<br />

• Vantaggi competitivi e sviluppo locale, Sergio Conti<br />

• Osvaldo Piacentini, un intellettuale del territorio. Fra miracolo economico e genesi del<br />

modello emiliano, Marzia Maccaferri<br />

• I galeoni del gas, Marco Della Pina<br />

• Spazi agricoli e produzione alimentare: la correlazione dimenticata, Antonio Saltini<br />

•<br />

Il nuovo regolamento LIFE + per la sostenibilità ambientale e la conservazione della natura e<br />

della biodiversità. Agire localmente in una strategia Europea, Stefano Corazza<br />

PADRI NOBILI E COMPAGNI DI STRADA<br />

• Lucio Gambi e il debito delle discipline del territorio, Paola Bonora<br />

• Per Eugenio Turri: ieri, oggi, domani…,Giuseppe Papagno<br />

• Paolo Fareri un urbanista che amava gli sconfi namenti, Sandro Balducci<br />

• Franco Tinti, memoria di un urbanista discreto, Rudi Fallaci<br />

POTERI FORTI, POTERI DEBOLI<br />

• Riforma, piani e urbanistica sul campo, Paolo Avarello<br />

• Elogio del nostro tempo, Gino Mazzoli<br />

• Etica e ambiente nella prospettiva della fede cristiana, Leopoldo Cassibba<br />

• Appunti per una politica nazionale dell’informazione territoriale, Luciano Surace<br />

• La governance non è un miraggio. Il caso del Piemonte, Silvana Sanlorenzo<br />

• Piccole retoriche della valutazione strategica, Alex Fubini<br />

• Volver lungo la Via Emilia. Gruppi di dieci e sviluppo economico, Fausto Anderlini<br />

• Risorse e democrazia: la lezione del Progetto’80, Luciano Colla<br />

DIRE, FARE, AMMINISTRARE<br />

• Il totem dell’innovazione: dirigenti pubblici e cambiamento nella Pubblica Amministrazione,<br />

Nicola Melideo<br />

• Il centro storico: un tema da rilanciare. Il caso di Firenze, Marco Massa<br />

Perequazione e dintorni<br />

• La perequazione prima della perequazione, Marta Colombo<br />

• La perequazione urbanistica nel Piano Strutturale Comunale di Parma, Dario Naddeo<br />

• Politiche per la casa e riqualifi cazione urbana, Edoardo Preger<br />

Le voci della partecipazione


indici dei numeri precedenti<br />

• Ascolti urbani per processi partecipati, Mauro Giudice<br />

• Perché non attecchisce in Italia l’Agenda 21. Appunti di viaggio, Carmela Riccardi<br />

• La fi ne delle buone pratiche. Agenda 21, buone pratiche e pratiche meno buone: consigli per<br />

l’uso, Piero Remitti<br />

• Cronache dall’Olonia. Una pratica non buona? Mariella Borasio<br />

• Tra Eletto e Elettori, con responsabilità e partecipazione, Gianfranco Pasquino<br />

Itinerari emiliani<br />

• Il lungo cammino della forma del Piano, a Modena, Ezio Righi<br />

• L’Agenda strategica come ausilio alle politiche di sviluppo locale. Il caso di Sassuolo,<br />

Giuseppe Fiorani<br />

• Demiurghi smemorati. Reggio Emilia e la diffi cile memoria del Novecento, Massimo Storchi<br />

Notizie dalle regioni<br />

• Programmazione regionale e pianifi cazione strategica in Liguria. In attesa di tempi migliori,<br />

Federica Alcozer e Laura Canale<br />

• Segnali da una Toscana sempre meno felix, Antonello Nuzzo<br />

• Nelle Marche, schegge da ricomporre, forse, Antonio Minetti<br />

• Una lettera dal Sud, Piero Cavalcoli<br />

• Tra polemiche e consensi la Sardegna ha il proprio Piano Paesistico, Giorgio Sanna<br />

• Co-governare il territorio: i comuni e la Regione Veneto, Stefano Bernardi e Sandro Baldan<br />

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE<br />

PER DECIDERE COME DECIDERE<br />

• Breve nota su “Per decidere come decidere”, Franco Valli<br />

• Democrazia come esercizio della ragione pubblica, Mario Piccinini<br />

• Le istituzioni pubbliche fi ngono di decidere e il mondo rurale viene soppresso, Enrico Bussi<br />

• Per decidere la democrazia, Ettore Borghi<br />

ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’<br />

• Sostenibilità e immaginario, Mario Virano<br />

• Cesenatico: fra memoria, crescita urbanistica e rispetto del territorio, Piero Piraccini<br />

Le risorse primarie e il consumo di suolo<br />

• Problemi e prospettive del sistema agricolo-ambientale nel Lazio, Maurizio Di Mario<br />

• Politiche per il controllo e la riduzione del consumo di suolo agronaturale, Marco Gamberini<br />

• Il consumo di suolo nelle esperienze di pianifi cazione lombarde, Marco Pompilio<br />

• Individuazione di nuove risorse idriche in Emilia - Romagna, Raffaele Pignone<br />

Paesaggi e parchi<br />

• I “nuovi” piani paesistici del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, Paolo Rigamonti<br />

• Ripartire dai parchi, Renzo Moschini<br />

• Fiumi: laboratori per la rivalutazione identitaria dei territori di “margine”, Ippolito Ostellino<br />

FORUM<br />

Sull’università<br />

• L’università “tradita”, Roberta Pinelli<br />

• La riforma del mercato del lavoro: fl essibilità o ipocrisia? Amerigo Della Pina e Diego Grappi<br />

Sulla legge urbanistica<br />

• Pianifi cazione comunale e legislazione regionale: alcune rifl essioni a ridosso di un esperienza<br />

recente (e reale), Fabio Ceci<br />

• Appunti modenesi senza fronzoli, Marco Stancari<br />

• Appunti per il dibattito sulla Legge Urbanistica Nazionale, Piero Properzi<br />

STORIE<br />

• Incrocio fatale, Stefano Corazza<br />

RECENSIONI<br />

• Note di lettura di Pierluigi Dall’Aglio (R. Biagianti)<br />

• Note di lettura di Luisa Ferrari (F. Magnani)<br />

217


indici dei numeri precedenti<br />

218


GLI AUTORI DI QUESTO NUMERO<br />

PAOLO AVARELLO, professore ordinario presso il Dipartimento di Studi Urbani, Università degli Studi di Roma Tre<br />

UGO BALDINI, architetto, Vicepresidente dell’Archivio Osvaldo Piacentini e presidente di <strong>CAIRE</strong> - Urbanistica<br />

MAURIZIO BARTOLI, dirigente Pianifi cazione Territoriale Provincia di Pesaro<br />

GIAMPAOLO BASSETTI architetto urbanista, Forlì<br />

STEFANO BERNARDI, architetto, già dirigente servizio di pianifi cazione concertata Regione Veneto.<br />

ANDREA BOCCO, architetto, ricercatore in tecnologia dell’architettura presso il Politecnico di Torino e direttore<br />

dell’Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario<br />

GABRIELE BOLLINI, dirigente Servizio Valutazione Impatto Ambientale Provincia di Bologna, fa parte dell’Associazione<br />

degli Analisti Ambientali<br />

MAURO BONARETTI, direttore Generale del Comune di Reggio Emilia<br />

autori<br />

ANTONIO BONOMI, architetto urbanista in pensione, consigliere Comunale a Calderara BO<br />

MARIELLA BORASIO, consulente di Regione Lombardia<br />

DON DANIELE BORTOLUSSI, direttore dell’Ufficio della Pastorale sociale e del Lavoro del Piemonte<br />

OTELLO BRIGHI, architetto, funzionario tecnico del settore programmazione urbanistica del Comune di Cesena<br />

ENRICO BUSSI, direttore TETA, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma<br />

MAURIZIO CARBOGNIN, già direttore generale del Comune di Verona dal 2003 al 2007<br />

LEOPOLDO CASSIBBA, collaboratore dell’Uffi cio della Pastorale sociale e del lavoro del Piemonte<br />

PATRIZIA CHIRICO, architetto, collabora con la Regione Piemonte<br />

GIORDANO CONTI, Sindaco del Comune di Cesena<br />

PAOLO CORRADINI, ex-urbanista, ex-dirigente pubblico, oggi dirigente d’azienda<br />

ENRICO CICIOTTI, professore ordinario di Economia Applicata Università Cattolica del Sacro Cuore<br />

GIOVANNI CROCIONI, urbanista, docente all’Università di Bologna<br />

PIERLUIGI DALL’AGLIO, professore associato presso il Dipartimento di Archeologia, Università degli studi di Bologna<br />

LUIGI DI PRINZIO, ha fondato e dirige il corso di Laurea in Sistemi Informativi Territoriali presso l’Università IUAV di<br />

Venezia<br />

DAMIANO DI SIMINE presidente Legambiente Lombardia<br />

FRANCESCO EVANGELISTI, dirigente unità pianifi cazione urbanistica del Comune di Bologna<br />

ROBERTO FANFANI, professore ordinario di Politica Economica ed Economia Agraria all’Università di Bologna<br />

STEFANO FRACASSO, sindaco del Comune di Arzignano<br />

GIANNI GAGGERO, dirigente settore Programmi Urbani Complessi, Regione Liguria, già dirigente del settore<br />

Pianifi cazione Territoriale<br />

GIOVANNI GALIZZI, Istituto di Economia Agro Alimentare Università Cattolica del Sacro Cuore<br />

GIUSEPPE GARIO, economista, già direttore IReR e dirigente Banca Intesa<br />

TIZIANO GASPERONI, sindaco del Comune di Gatteo<br />

GIUSEPPE GAVIOLI, tra i promotori dell’associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche “Gruppo 183” (Roma) e<br />

responsabile del Centro di documentazione, informazione, educazione ambientale e ricerca sull’area padana (“CIDIEP”,<br />

Colorno/Parma)<br />

GIOIA GIBELLI, architetto è Vice-Presidente della Siep-Iale, Sez. Italiana della International Association for Landscape<br />

Ecology<br />

PAOLO GURISATTI, presidente fondatore di STEP srl (Società, Territorio, Economia Politica), presidente del Distretto<br />

Tecnologico Trentino dell’Energia e dell’Ambiente Habitech. docente di Politica Regionale dell’Unione Europea presso<br />

la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova<br />

CLAUDIO GREPPI, geografo, insegna presso la Facoltà di Lettere e Filosofi a dell’Università di Siena, dove dirige il<br />

Laboratorio del Dipartimento di Storia impegnato nello studio dei paesaggi storici toscani<br />

CONCETTA IRRERA, avvocato, consulente legale presso l’Uffi cio della Consigliera di Parità della Regione Calabria,<br />

219


autori<br />

membro del Consiglio Direttivo dell’Ente Parco d’Aspromonte.<br />

VINCENZO LINARELLO, presidente del Consorzio Sociale GOEL di Locri<br />

MARZIA MACCAFERRI, assegnista, Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia<br />

ALBERTO MAGNAGHI, ordinario di Pianifi cazione Territoriale, Università di Firenze; Presidente Rete del Nuovo<br />

Municipio<br />

FABRIZIO MANGONI, docente di urbanistica, facoltà di architettura, università Federico II di Napoli<br />

PATRIZIA MASSOCCO, architetto Presidente della Commissione Regionale Beni Ambientali Sezione Decentrata di Cuneo<br />

NICOLA MELIDEO, dirigente generale dello Stato a contratto, Responsabile dell’Area Innovazione nelle Regioni e negli<br />

Enti locali del CNIPA, Centro Nazionale per l’Informatica ella Pubblica Amministrazione.<br />

ANTONIO MIGLIO, presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, Vice Presidente ACRI (Associazione di<br />

Fondazioni e di Casse di Risparmio S.p.A.), componente Comitato Tecnico Fondazione per il Sud.<br />

PAOLO MOGOROVICH, ricercatore del CNR, collabora con l’Università di Pisa e lo IUAV di Venezia<br />

RENZO MOSCHINI, direttore dell’Osservatorio Parchi Europei per Federparchi<br />

GIANFRANCO PAGLIETTINI, Urbanista, Parma<br />

GIUSEPPE <strong>PIACENTINI</strong>, vice questore aggiunto Corpo Forestale Provincia di Reggio Emilia<br />

GIANCARLO POLI, geologo, responsabile del Servizio valorizzazione e tutela del paesaggio e degli insediamenti storici<br />

della Regione Emilia-Romagna<br />

PAOLO POMBENI, professore di Storia dei Sistemi Politici Europei Università di Bolognadella Regione Emilia-Romagna<br />

MAURO PONZI, presidente Consorzio di Solidarietà Sociale Oscar Romero Reggio E.<br />

MARIO PRUSICKI, professore Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Politecnico di Milano<br />

GIOVANNI QUAGLIA, presidente della Provincia di Cuneo dal 1988 al 2004, attualmente Vice Presidente della<br />

Fondazione CRT. Insegna Economia e Direzione dell’Impresa all’Università di Torino.<br />

RAFFAELE RADICIONI, architetto, svolge attività nel campo della pianifi cazione urbanistica<br />

MANUELA RICCI, direttore di FOCUS Centro di Ricerca sulla valorizzazione dei centri storici minori dell’Università La<br />

Sapienza di Roma<br />

MAURIZIO SCALABRIN, Sindaco del Comune di Montecchio Maggiore<br />

ANDREA ROSSI, sindaco del Comune di Casalgrande<br />

NICOLA ROSSI, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università “Tor Vergata”<br />

DAVIDE RUBBINI, presidente Uteco, Ferrara<br />

ANTONIO SALTINI, giornalista agrario e scrittore politico<br />

EDOARDO SALZANO, urbanista, scrittore e direttore di eddyburg.it<br />

ALBERTO SANTEL, direttore U.O. Mobilità Comune di Genova<br />

MARIO SERINO, docente di storia, già Presidente della provincia di Benevento<br />

ALBERTO SILVANI, esperto di politica scientifi ca e direttore UNIMITT<br />

PAOLO SILVESTRI, professore di Scienze delle Finanze, Università di Modena e Reggio E. e membro del CAAP<br />

LUIGI SPAGNOLLI, sindaco del Comune di Bolzano<br />

FRANCO STRINGA, responsabile dell’Area Pianifi cazione Territoriale del Comune di Ravenna<br />

ANTONELLO TABBO’, sindaco del Comune di Albenga<br />

GIOVANNI TENEGGI, direttore Confcooperative Reggio Emilia<br />

SILVANO TINTORI, architetto e urbanista, già ordinario di urbanistica nel Politecnico di Milano<br />

ARNALDO TOFFALI, presidente dell’ordine degli architetti di Verona, dirigente del Comune di Villafranca<br />

ROMEO TOFFANO, dirigente della Direzione Pianificazione Territoriale e Parchi, Regione Veneto<br />

DOMENICO TOMATIS, responsabile Uffi cio Stampa e Comunicazione Gruppo regionale Forza Italia<br />

FRANCESCA TRALDI, Fondazione Bruno Kessler, Trento<br />

MARIA CRISTINA TREU, professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, VicePresidente della Fondazione<br />

Politecnico di Milano<br />

CARLO TRIGILIA, docente di sociologia economica all’Università di Firenze<br />

ALESSANDRA VALENTINELLI, urbanista, attualmente è consulente per l’Autorità di Bacino del Sarno. Collabora inoltre al<br />

Progetto pilota dell’Autorità di Bacino del Po per la gestione delle Aree Montane<br />

VALTER VANNI, Responsabile per il Veneto del settore infrastrutture e trasporti del Partito Democratico, Membro<br />

dell’Esecutivo Regionale<br />

220


MARIO VILLA, ingegnere docente al Politecnico di Torino, Esperto dell’Osservatorio sulla ferrovia Torino-Lione della<br />

Presidenza del Consiglio dei Ministri.<br />

PAOLA VILLANI, già Mobility Manager del Comune di Milano (2001 – 2002) e della Provincia di Torino (2007),<br />

Politecnico di MIlano<br />

GIOVANNI XILO, ricercatore e consulente di organizzazione della pubblica amministrazione<br />

MICHELE ZANELLI, responsabile Servizio Riqualifi cazione Urbana e Promozione Qualità Architettonica Regione Emilia-<br />

Romagna<br />

MARIELLA ZOPPI, ordinario di Urbanistica, Facoltà di Architettura, Università di Firenze<br />

HANNO SCRITTO SUL <strong>NOTIZIARIO</strong> DELL’ARCHIVIO<br />

autori<br />

Federica Alcozer, Pietro Maria Alemagna, Fausto Anderlini, Giuseppe Angelini, Paolo Avarello, Cesare Baccarini, Sandro<br />

Baldan, Ugo Baldini, Alessandro Balducci, Angelo Barilli, Maurizio Bartoli, Giampaolo Bassetti, Don Gianni Bedogni,<br />

Marina Bellocci, Stefano Bernardi, Mauro Bertocchi, Glauco Bertolini, Giovanni Bettini, Bruno Bianco, Dino Biondi, Maria<br />

Luisa Bisognin, Andrea Bocco, Gabriele Bollini, Claudio Bonacini, Paola Bonora, Mauro Bonaretti, Antonio Bonomi,<br />

Mariella Borasio, Enrico Borghi, Ettore Borghi, Don Daniele Bortolussi, Paul Braouezec, Otello Brighi, Maurizio Brioni,<br />

Danilo Bruno, Elisabetta Bulgarelli, Enrico Bussi, Laura Canale, Giovanni Cafi ero, Lucio Cangini, Antonio Canovi, Manuela<br />

Capelli, Maurizio Carbognin, Leopoldo Cassibba, Piero Cavalcoli, Fabio Ceci, Ebe Cecinelli, Vittorio Cenini, Luigi Chiais,<br />

Edda Chiari, Medardo Chiapponi, Patrizia Chirico, Enrico Ciciotti, Gian Paolo Cigarini, Roberta Cirifalco, Ermes Coffrini,<br />

Luciano Colla, Marta Colombo, Giordano Conti, Sergio Conti, Stefano Corazza, Paolo Corradini, Giovanni Crocioni, Pier<br />

Luigi Dall’Aglio, Cecilia Della Casa, Amerigo Della Pina, Marco Della Pina, Luigi Di Bello, Maurizio Di Mario, Giuseppe<br />

Di Prinzio, Damiano Di Simine, Giuseppe Dossetti jr., Francesco Evangelisti, Rudi Fallaci, Roberto Fanfani, Roberto Farina,<br />

Giorgio Ferrari, Luisa Ferrari, Ireneo Ferrari, Maria Carla Ferrari, Daria Ferrari, Daniele Ferretti, Lorenzo Ferretti, Giovanni<br />

Fini, Giuseppe Fiorani, Franco Fortunato, Marina Foschi, Stefano Fracasso, Alex Fubini, Giovanni Galizzi, Mariangiola<br />

Gallingani, Mauro Giudice, Marco Gamberini, Gianni Gaggero, Giuseppe Gario, Tiziano Gasperoni, Giuseppe Gavioli,<br />

Gioia Gibelli, Guido Gonzi, Diego Grappi, Claudio Greppi, Eros Guareschi, Paolo Gurisatti, Dario Ibattici, Concetta Irrera,<br />

Sandro Lagomarsini, Gabriel Lanfranchi, Silvia La Ferrara, Vincenzo Linarello, Giampiero Lupatelli, Marzia Maccaferri,<br />

Alberto Magnaghi, Alba Magnani, Fabrizio Mangoni, Sonia Masini, Marco Massa, Patrizia Massocco, Pierfranco Mastalli,<br />

Paolo Mattiussi, Mario Mazzaperlini, Gino Mazzoli, Nicola Melideo, Alberto Melloni, Antonio Miglio, Antonio Minetti,<br />

Fabio Minucci, Paolo Mogorovich, Renzo Moschini, Dario Naddeo, Giuseppe Nicolo, Francesco Nigro, Gian Luigi<br />

Nigro, Antonello Nuzzo, Ippolito Ostellino, Giuseppe Pagani, Gianfranco Pagliettini, Giuseppe Papagno; Gianfranco<br />

Pasquino, Antonio Pastorini, Mino Petazzini, Stefano Pezzoli, Chiara Piacentini, Giuseppe Piacentini, Maria Piacentini,<br />

Mario Piccinini, Roberta Pinelli, Piero Piraccini, Maurizio Pirazzoli, Marco Plata, Giancarlo Poli, Stefano Pompei, Marco<br />

Pompilio, Paolo Pombeni, Mauro Ponzi, Sergio Porta, Edoardo Preger, Piero Properzi, Mario Prusicki,Giovanni Quaglia,<br />

Massimo Quaini, Raffaele Radicioni, Piero Remitti, Andrea Riccardi, Carmela Riccardi, Manuela Ricci, Ezio Righi, Paolo<br />

Rigamonti, Leonardo Rombai, Andrea Rossi, Nicola Rossi, Davide Rubbini, Maria Grazia Ruggerini, Antonio Saltini,<br />

Edoardo Salzano, Silvana Sanlorenzo, Giorgio Sanna, Alberto Santel, Gabriella Santoro, Azio Sezzi, Francesca S. Sartorio,<br />

Maurizio Scalabrin, Mario Serino, Alberto Silvani, Paolo Silvestri, Albertina Soliani, Luigi Spagnolli, Sandro Spreafi co,<br />

Marco Stancari, Massimo Storchi, Franco Stringa, Luciano Surace, Antonello Tabbò, Giovanni Teneggi, Silvano Tintori,<br />

Domenico Tomatis, Romeo Toffano, Francesca Traldi, Maria Cristina Treu, Carlo Trigilia, Corrado Truffelli, Eugenio<br />

Turri, Franco Valli, Enzo Valbonesi, Alessandra Valentinelli, Valter Vanni, Carlo Maria Venturi, Gilmo Vianello, Jean<br />

Claude Vidal, Mario Villa, Paola Villani, Mario Virano, Giovanni Xilo, Michele Zanelli, Mariella Zoppi, Giulio Zucchi.<br />

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autori<br />

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