96 - Sciroeu de Milan

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE 

SCIROEU de MILAN 

Anno XV – Numero 96 – Marzo/Aprile 2013 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999 

Milano perché 

Gianfranco Gandini 

Attraversando le vie del centro 

mi trovo in piazza Mercanti 

dove, volgendo alto lo 

sguardo, sulla seconda arcata 

del Palazzo della Ragione incontro 

il bassorilievo che raffigura 

la scrofa semilanuta. 

La storia sul nome di Milano 

si perde nella leggenda; fra le 

più ricordate troviamo Belloveso, 

capitano gallico che 

da un oracolo apprese che 

avrebbe dovuto fondare la 

città nel luogo in cui avesse 

trovato una scrofa semilanuta 

(medio lanae). 

Vi sono poi Medo e Olano, 

capitani etruschi i quali durante 

la colonizzazione del 

nord Italia, cercando spazi 

per i loro accampamenti, si 

posero in questa pianura attraversata 

da fiumi che, a loro 

giudizio, costituiva un’ottima 

posizione per l’insediamento 

di un villaggio che pian piano 

crebbe e si estese. 

Ma la più coerente potrebbe essere la derivazione del 

nome dalla posizione centrale nella pianura (in celtico 

lann). 

Quale sia l’origine e la verità storica sul nome di Milano, 

oggi noi siamo i protagonisti di questa importante 

città che arriva ai giorni nostri con le sue ricchezze 

storiche e la sua proverbiale operosità che ne hanno 

determinato la status di città simbolo dell’economia e 

della finanza italiana; una città “intensa”, intrigante e 

affascinante. 

Proprio per questo la redazione ha pensato di dare la 

possibilità a tutti i soci di approfondirne la conoscenza 

trascrivendo, per gentile concessione del nostro 

presidente onorario Ing. Gino Toller Melzi che ne è 

www.sciroeu.it 

l’autore, la “STORIA DI MILANO” che va dalle origini 

fino al 1859. 

Questa nuova rubrica sarà proposta su internet e rappresenterà 

un’estensione del Sciroeu che viene spedito 

in forma cartacea. 

Qualche pagina in più che però non si limita alla “Storia 

di Milano” ma propone anche la traduzione in poesia 

de “I promessi sposi”, un’importante trascrizione 

lirica dell’opera manzoniana realizzata dal nostro 

socio effettivo Marco Candiani e che consta di 500 

sestine pari a 3000 endecasillabi. 

Continua a pag. 5

EDITORIALE 

Milano perché 

di Gianfranco Gandini 

2 Sciroeu de Milan - Marz/April 2013 

SOMMARIO 

PROGRAMMI E SEGNALAZIONI 3 

“El Varon” Primo glossario della lingua milanese 

di Edoardo Bossi 

Il gioiello del Museo Aecheologico, la Coppa Trivulzio 

ha 1600 anni 

di Osmano Cifaldi 

Giovanni Barrella 

da “Letteratura dialettale milanese” di Claudio Beretta 

Si torna a parlare della Pietà dei milanesi 

di Francesca Piragine 

IN CARTA 10 

MILAN... LA COGNOSSI? di Giorgio Moro Visconti 

Via della Moscova 

SCIROEU DE LA PRÒSA 

Scurati, Vichi, Brambilla 

La bélla Gigogin 

di Edoardo Bossi 

LEGGIUU E SCOLTAA 17 

VEDRINA DE LA BOTANICA a cura di Fior-ella 

Orzo, il primo cereale conosciuto 

CUNTA SÙ di Ella Torretta 

El Palazz del Capitan de Giustizia 

Papa Benedetto ha lasciato il soglio di Pietro 


SALUTE A MILANO di Filippo Bianchi 

Quando non si assorbe 

FIRIFISS 27 

1 

4 

5 

6 

8 

11 

12 

16 

21 

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24 

25 

Accademia 

del Dialetto Milanese 

Quote annue di adesione del 2013 

Soci Aderenti da € 35,00 

Soci Effettivi da € 52,00 

Soci Sostenitori da € 180,00 

La quota può essere versata su 

Banca Popolare del Commercio e 

dell’Industria 

Iban IT24H0504801613000000003602 

Agenzia 33 – via Secchi 2 – Milano 

oppure: C/C Postale N°24579203 

“Accademia del Dialetto Milanese” 


Edito dall’Accademia del Dialetto Milanese 

Bimestrale fondato nel 1999 

Reg. Trib. di Milano N°789 del 24-12-99 

Direttore: Gianfranco Gandini 

Fax 02 8266463 

www.sciroeu.it 

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE 

Sede c/o Centro Culturale di Milano 

Via Zebedia 2 - 20123 Milano 

Tel. 3336995933 Fax 028266463 

C.F. 97206790152 NAT. GIUR. 12 

Presidente onorario: Gino Toller Melzi 

Presidente: Gianfranco Gandini 

Vicepresidente: Mario Scurati 

Consiglieri: Ella Torretta - Segretaria 

Edoardo Bossi 

Mario Scurati 

Lucio Calenzani 

Redazione: Edoardo Bossi, 

Gianfranco Gandini, 

Francesca Piragine 

Gino Toller Melzi, Ella Torretta, 

Marialuisa Villa Vanetti 

E-mail: redazione-sciroeu@libero.it 

Hanno collaborato a questo numero: 

Filippo Bianchi, Osmano Cifaldi, 

Fior-ella, Giorgio Moro Visconti 

Realizzazione e disegni di: 

Marialuisa Villa Vanetti

APPONTAMENT E MANIFESTAZION: 

PROGRAMMI 

Sabato 2 Marzo h. 15.30 Sciroeu di Poetta 

c/o Circolo Filologico Milanese - Via Clerici 10 

Sabato 6 Aprile h. 15.30 Sciroeu di Poetta 

c/o Circolo Filologico Milanese - Via Clerici 10 

Manifestazion di amis 

ADA LAUZI 

“I AMIS DE LA POESIA” 

ogni terzo lunedì del mese alle 15.30 

presso la Sala Bleu della Parrocchia di San Protaso, 

via Osoppo 2 - Milano 

El Pontesell 

Biblioteca Fra’ Cristoforo - via Fra’ Cristoforo 6 - Milano 

fino al 27 maggio 2013 

XV Corso di Lingua e Cultura Milanese 

strutturato su due percorsi con cadenza quindicinale 

il Lunedì dalle 17.00 alle 19.15 

Docenti: Paola Cavanna, Gianmaria Ferrari, 

Gianfranco Gandini, Bianca Mancuso, Pietro Passera, 

Mario Torchio con la partecipazione di altri esperti. 

Informazioni telefoniche dalle 17,00 alle 19,00 

02 89530231 - 02 88465806 - 02 26145172 

dal 13 marzo ogni mercoledì dalle 18.00 alle 19.15 


terrà il corso “L’ABC del Milanese” grammatica milanese di base 

CIRCOLO FILOLOGICO MILANESE 

ATTENZIONE IMPORTANTE 

dal mese di Marzo le riunioni 

del Sciroeu di Poetta si terranno presso il 

CIRCOLO FILOLOGICO MILANESE, 

Via Clerici 10 

Per motivi organizzativi è importante che 

vi accertiate che le riunioni di Poetta 

si tengano regolarmente. 

I numeri di riferimento sono quelli del Circolo 

Filologico oltre al numero 3336995933 

Ella Torretta 

ha ripreso le conversazioni 

“Freguj de milanes” 

quindicinalmente 

il giovedì alle 15.30 

ed alle 16.30 

“Scrivemm in milanes” 

Humaniter - via S. Barnaba, 48 - Milano 

Gino Toller Melzi 

conversazioni 

“Storia di Milano” 

il giovedì 

dalle 16.30 alle 17.30 

UNITRE 

via Ariberto 11 - Milano 

RADIO MENEGHINA 

Radio Meneghina, è diretta da Tullio Barbato, trasmette 24 ore su 24 in FM sulla frequenza 91.950 megahertz. 

Produce settimanalmente 112 programmi presentati da 136 conduttori. Trasmette diverse ore al giorno notiziari, i 

principali alle 12.00, 13.20, 19.00 ai quali collaborano Luca Barbato, Giovanna Ferrante, Michaela Barbato e Lorenzo 

Barbato. Approfondisce ogni materia nella fascia della “università” (15.00). Radio Meneghina è l’emittente che 

riserva il maggiore spazio alla produzione dialettale di canzoni, poesie, prose, specialmente negli orari del “Milanese” 

(12.30). 

Radio Meneghina: Via Biancardi 6 Milano - Tel-Fax 02 48518913 - e-mail: segreteria@radiomeneghina.it 

Si ascolta anche via Internet: è sufficiente sintonizzarsi con il sito dell’emittente www.radiomeneghina.it 

Sciroeu de Milan - Marz/April 2013 3

Trattare un argomento come “El Varon” 1 non è mai 

stato facile per gli studiosi del dialetto milanese e 

per gli storici, figuratevi per il sottoscritto, comunque 

noi ci proviamo. 

Siamo verso la fine del 1500 e dallo stampatore Bartoli 

viene pubblicato a Pavia un libercolo dal titolo 

“De la lengua da Milan”; l’autore usa lo pseudonimo 

di Varon milanes. In realtà il suo vero nome era 

Giovanni Capis e lo avrebbe scritto quando, ancora 

fresco di dottorato in legge, frequentava uno Studio 

in Pavia, probabilmente in compagnia con altri neo 

avvocati milanesi. Il Capis era nativo di Domodossola, 

ma milanese di adozione; non è certa la sua 

data di nascita, né quella della sua morte, si suppone 

però sia nato verso la metà del 1500 e deceduto poco 

dopo il 1610. 

Era quello il periodo in cui si riprendevano gli studi 

dei classici greci e latini così, nelle intenzioni del 

Capis, grande stimatore della nascente letteratura 

meneghina, vi fu l’idea di assegnare una etimologia 

di stampo classico alle “Parol Milanes” in maniera 

di dare maggior gloria alle stesse. 

Nel 1606, il letterato milanese Ignazio Albani, nato 

a Merate verso la fine del 1500 e morto attorno al 

1650, avrebbe curato una ristampa del De la lengua 

da Milan; egli apportò alcune modifiche, ma senza 

sottoscriverne la presentazione, dando così l’anonimato 

all’opera che fu consegnata allo stampatore 

Giovanni Como, il quale la pubblicò assieme al Prissian 

de Milan de la parnonzia milanesa 2 di Giovanni 

Ambrogio Biffi. 

Il Biffi scrisse il suo Prissian, poichè tra alcuni gentiluomini 

era sorta una disputa circa l’esatta pronuncia 

dei vocaboli milanesi esposti dal Capis nel suo 

Varon; questi si rivolsero al Biffi, affinchè chiarisse 

il contendere. Venuto a conoscenza dell’accaduto, 

l’editore Giovanni Como pregò il Biffi di mettere 

per iscritto le sue osservazioni dando origine così 

al Prissian. 


ACCADEMIA 

“EL VARON” Primo glossario della lingua milanese 

a cura di Edo Bossi 

Torniamo alle prime due edizioni e consideriamo le 

etimologie del Varon, siano esse del Capis o rielaborate 

o integrate dall’Albani e notiamo che le stesse 

destano non poche perplessità. 

Il tono burlesco ed a volte fin troppo dignitoso del 

primo autore in evidente contrasto col curatore dell’edizione 

del 1606, più faceto, più spiritoso fanno 

nascere il sospetto che il primo autore abbia dato 

all’opera un’impronta goliardica, burlesca ad una 

cosa seria, e che l’Albani abbia calcato ancor più la 

mano riempendola di canzonature e burle. Lo stesso 

Albani, nelle sue “Esplicatione de i vocaboli milanesi” 

ci fa questo esempio alle voci: 

“Napij - Napion = Naso smisurato. Due sono le 

esplicationi, la prima è dell’Autur nomato (Capis), 

l’altra è mia. Dice adonque egli e derivato dal nome 

greco ναπει che significa locus umbrosus. Ma dirammi 

alcuno, che cosa ha che far Napij, che vuol 

dir un naso smisurato con ναπει greco qual significa 

luogo ombroso. Udite l’artificio e la gentil metafora 

insieme. Si come chi va sotto un luogo ombroso 

resta ombreggiato, così chi si ritira da una parte de 

cotali nasi, segue l’istesso; cosa che particolarmente 

all’estate sogliono far molti, i quali andando in compagnia 

d’alcuni, ch’abbi il naso di tal sorte, con bella 

destrezza lo mandano dalla parte, che il sole scocca i 

cuocenti rai, acciò restino meno offesi, et si servono 

del naso di quel tale, come d’un Parasole. Sin qui 

sono le parole dell’Autor incognito, il quale a mio 

giudicio più studio ha posto in far una bella Hiperbole, 

che in trovar la buona esplicatione. Sentite adonque 

se questa forsi più vi piace. Napij, dico io, credo 

sia tolto dal latino Napus che significa quel che 

diciamo noi Navon, cioè radice simile alla rappa; er 

quasi vogliono dire: tu hai un naso fatto a somiglianza 

d’un Navon, quando dicono Napij. 

Continua a pag. 20 

1) Termine usato dal Capis per antonomasia e riferentesi a Marco Terenzio Varrone, poligrafo romano nato a Reate nel 114 

a.C.autore “De la lingua latina”, testo utilizzato ancora nel 1500 per lo studio del latino. 

2) Termine usato dal Biffi per antonomasia e riferentesi a Prisciano, grammatico latino del V sec .d.C. nato a Cesarea, insegnò a 

Costantinopoli e scrisse i “Commentaria grammaticorum” che servirono di base all’insegnamento del latino sino al sec. XVI

ACCADEMIA 

Il gioiello del Museo Archeologico, la Coppa Trivulzio ha 1600 

anni 


Il Museo Archeologico conserva ed espone in modo 

raffinato e razionale le opere d’arte più antiche fra 

quante possono ammirarsi a Milano. 

La sede del Museo la troviamo nell’area dov’era la 

Milano romana, quando la città fu capitale dell’impero 

romano d’Occidente dal 286 al 402 d.C. e quando 

Sant’Ambrogio fu vescovo della città. 

Da queste parti si possono ancora vedere le vestigia 

di quel tempo lontano: le mura fatte costruire dall’Imperatore 

Massimiano, un circo che misurava m.80 di 

larghezza e 505 m. di lunghezza ove si svolgevano le 

corse delle bighe ed i combattimenti gladiatori, ambienti 

con pavimentazioni d’epoca. 

Al numero 15 di Corso Magenta è situato questo interessantissimo 

museo che conserva pezzi archeologici 

davvero preziosi. 

L’oggetto che vogliamo porre all’attenzione del lettore 

è la Coppa Trivulzio, una preziosa manifattura 

di vetro realizzata in epoca romana tra il 350 ed il 

400 d.C.: la famosa tazza “diatreta”. 

Si tratta di un raffinato recipiente di vetro eseguito da 

un maestro vetraio con una abilità incredibile con tutt’intorno 

una decorazione quasi a merletto fatta da una 

specie di reticella di vetro delicatamente traforata. 

Questa piccola coppa è alta dodici centimetri e por- 

Continua dalla prima pagina - Milano perché 

Un impegno importante che la redazione del nostro 

periodico ha deciso di porsi come sfida e, anche, 

come punto di partenza per un Sciroeu sempre più 

moderno e una Accademia in divenire nell’organizzazione, 

nei contenuti e con la presenza di nuovi collaboratori 

che dimostrano vero interesse per il nostro 

sodalizio e per il Sciroeu de Milan. 

Ma perché le sfide possano riuscire si deve poter 

contare anche sulla partecipazione attiva dei soci, nei 

ta un’iscrizione in latino che è tutto un programma: 

“Bibe vivas multis annis”. Promette lunga vita a chi 

beve in questa stupefacente coppa. 

La coppa “diatreta” porta anche il nome dell’abate 

Trivulzio ultimo proprietario dell’oggetto. 

La tazza fu scoperta nel novarese attorno al 1675 e 

fu acquistata nel 1935 dal Comune di Milano. 

Ammirarla è puro godimento visivo. La luce madreperlata 

dalle iridescenze dell’arcobaleno e dell’indaco 

che cromatizzano l’accurato reticolo che avvolge 

la coppa, danno l’illusione che l’oggetto sia sospeso 

nell’aria. 

Il prezioso oggetto è stato trattato da un professionista 

dell’intaglio: il “diatretarius”. 

I vasi diatreti venivano per lo più prodotti in un noto 

laboratorio di Colonia che poteva annoverare danarosi 

committenti di tutta Europa. L’imperatore Costantino, 

che per un certo tempo tenne Corte a Milano, concesse 

a questi mirabili artisti l’esenzione delle tasse se s’impegnavano 

ad insegnare la loro arte ai figli. 

Ricordiamo che il Museo Archeologico è diviso in 

due sedi, una in corso Magenta 15 che ospita le sezioni 

greca-etrusca-romana-barbarica, ed una al Castello 

Sforzesco con le sezioni preistorica-egizia-lapidario 

romano. 

termini in cui ciascuno è tenuto, a partire dal rinnovo 

dell’iscrizione. 

Il rinnovo della tessera è “infatti” determinante per 

poter garantire la continuità delle attività che l’Accademia 

sta programmando nonché la realizzazione 

del Sciroeu che rappresenta una delle poche – se non 

l’unica – voce su carta stampata e in internet legata 

al mantenimento e alla diffusione della cultura e del 

dialetto milanese. 

Da questo numero lo Sciroeu 

sarà arricchito da nuove rubriche che potrete trovare on-line 

collegandovi al sito www.sciroeu.it 


Giovanni Barrella 

PROCESSION IN RIVA AL LAGH 

ACCADEMIA 

da “LETTERATURA DIALETTALE MILANESE” di Claudio Beretta 

De sott de la terrazza del Ponis, 

la Clelia, la soa tosa e ’l Giovannin 

hann portaa lì ona tenda, del tarlis¹, 

di frasch, ona coverta, on tavolin, 

el tabernacol d’or, trij o quatter ciar, 

e, in d’on moment, hann pareggiaa l’altar. 

Per terra, sotta ai pè del tavolin, 

hann miss on teppee vecc tutt a fioramm. 

Sul tavol on lenzoeu, l’acquasantin, 

on poo de fior in d’on vasett de ramm, 

e tutt intorna hann scovaa sù el stradon, 

perchè gh’ha de passà la procession. 

La procession la ven de la gesetta 

e la serpenta dent in mezz ai cà: 

la se incanala giò per la stradetta, 

la riva in riva al lagh, la volta là, 

per poeu girà denanz a l’altarin 

che ha preparaa i dò donn, col Giovannin. 

Denanz ven on ceregh vecc, on prategon, 

che fa tutta la strada a marcia indree, 

e rema cont i man come on timon 

per fà stà in riga quatter busseree 

che porten on stendard monumental, 

ch’el pesa minga men de mez quintal. 

Poeu ven tutt l’infilera de l’asilli, 

coi tosanett e i mas’c in scossarin. 

In man gh’hann tutti on fior. Chi porta on gilli, 

chi ona rosa o on mazzett de pamporzin; 

chi piang, chi rid, chi segna coi manin 

i covert ai finestr’e i sandalinn. 

La tosa pussee sgnuzza del paês 

la porta la gran crôs cont sù el Signor. 

La donda e la biscocca per el pês, 

ma l’è talment compresa de st’onor, 

che la và innanz, ’me in sogn, col sguardo fiss, 

e i oeucc come impastaa sul Crocefiss. 


PROCESSIONE IN RIVA AL LAGO 

Sotto alla terrazza del Ponisio, la Clelia, sua 

figlia ed il Giovannino (abitanti del luogo) 

hanno portato una tenda, del traliccio, delle 

frasche, una coperta, un tavolino, il 

tabernacolo dorato, tre o quattro lumi e, in 

un momento, hanno apparecchiato un altare. 

Per terra, sotto i piedi del tavolino, hanno 

messo un vecchio tappeto, tutto a fiorami. 

Sul tavolo un lenzuolo, l’acquasantino, un 

po’ di fiori in un piccolo vaso di rame e, 

tutto intorno, hanno scopato lo stradone, 

perché deve passare la processione. 

La processione viene dalla chiesetta e 

serpeggia entro le case, si incanala giù per 

una piccola strada, arriva sulla riva del lago, 

volta, per poi girare davanti al piccolo altare 

che hanno preparato le due donne 

col Giovannino. 

Davanti viene un chierico vecchio, un praticone, 

che fa tutta la strada a marcia indietro, 

ed arranca con le mani, quasi fossero un timone, 

per tenere in riga quattro bussolanti, i quali 

portano uno stendardo monumentale, 

che non pesa meno di mezzo quintale. 

Poi viene l’infilata dell’asilo, con le bambine 

e i maschi in grembiulino. In mano hanno 

tutti un fiore. Chi porta un giglio, chi una rosa, 

chi un mazzetto di ciclamini; chi piange, 

chi ride, chi segna con le manine le coperte 

alle finestre e i festoni. 

La ragazza più robusta del paese porta la 

gran croce con su il Signore. Dondola e fa 

l’altalena per il peso, ma è così compresa di 

questo onore, che procede come sognando, 

con lo sguardo fisso e gli occhi come 

appiccicati al Crocifisso.

Dedree ven tutt le figlie di Maria, 

col naster bloeu de sora del corpett 

e canten a dò vôs la litania; 

’na cantilena egual che se ripett 

e la deslengua in l’aria e la se smorza, 

lassandet strengiuu el coeur ’me in d’ona smorza. 

Dopo gh’è i donn anzian an’lor in fila, 

cont el coll stort e i ouecc che guarda in bass. 

In man gh’hann tucc la torcia o la candila, 

tegnuda al largh per minga sbrodolass, 

e vann, cont i pè piatt... ’me sù on binari, 

intanta che masteghen el rosari. 

In fin, la confraternita maschil, 

con bianch la vesta e ross el mantellin, 

la ven coi vecc, che vann sôra dò fil, 

guardandes vun con l’altr ’in del coppin, 

coi torc in man, i brasc giò penzolon 

coj oeucc mezz indorment, senza espression. 

Tre tosanett che paren trij angiolitt, 

cont el vell bianch intorna a la testinna, 

porten di foeuj de rosa in di cestitt, 

e, quand topicchen minga in la vestinna, 

peschen i foeuj de rosa in del cestin, 

per spantegaj davanti al balducchin, 

ch’el ven innanz a ond, con sotta sês, 

ch’el barcamenen tutt come on bigatt. 

El porten i notabil del paês, 

an’lor in bianch, coi mantellin scarlatt, 

e certi guant, miss sù per l’occasion, 

che paren faa de ges o de carton. 

De sotta al balucchin, soll, de per lù, 

la faccia smorta e fin trasfigurada, 

el scior curaa, coi oeucc che ghe vêd pù 

tanto hinn fissaa in quell’Ostia consacrada, 

el porta l’ostensori in del pivial, 

segond i regol del cerimonial. 

ACCADEMIA 

Dietro vengono tutte le figlie di Maria, 

col nastro azzurro sopra il corpetto 

e cantano a due voci la litania; 

una cantilena monotona che si ripete 

e si dilegua nell’aria e poi si smorza, 

lasciandoti stretto il cuore come in una morsa. 

Dopo vengono le donne anziane, in fila 

anche loro col collo torto e gli occhi che 

guardano in basso. In mano hanno tutte una 

torcia o una candela, tenuta al largo, per non 

sbrodolarsi, e vanno coi piedi piatti, come su 

di una binario, intanto che biascicano il rosario. 

Infine, la confraternita maschile, con bianca 

la veste e rosso il mantellino, viene 

coi vecchi, che vanno su due file, guardandosi 

l’un l’altro nella collottola, con le torce 

nelle mani, le braccia penzoloni e gli occhi 

semiaddormentati, senza espressione. 

Tre ragazzette che sembrano tre angioletti, 

col velo bianco attorno alla testolina, 

portano petali di rosa, in un piccolo cesto 

e, quando non inciampano nella vestina, 

prendono i petali dal cestino, per 

sparpagliarli davanti al baldacchino, 

che viene avanti a onde, portato da sei 

(uomini), che lo barcamenano come un 

baco. Lo reggono i notabili del paese, 

anch’essi in bianco, con le mantelline 

scarlatte, e certi guanti, messi per l’occasione 

che sembrano di gesso o di cartone. 

Sotto al baldacchino, solo, la faccia smorta 

e perfino trasfigurata, il signor curato, con 

gli occhi che non vedono più, tanto sono 

fissi sull’Ostia consacrata, porta l’ostensorio 

nel piviale, secondo le regole 

del cerimoniale. 




ACCADEMIA 

Si torna a parlare della Pietà dei milanesi 

di Francesca Piragine 

“Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di 

sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite”. Con 

queste parole viene inventariata la Pietà Rondanini 

rinvenuta nello studio di Michelangelo appena dopo 

la sua morte avvenuta nel 1564. 

I milanesi che non sono mai andati a farle visita dovrebbero 

pensare di ritagliarsi due ore di tempo per 

fare la sua conoscenza. 

E non solo perché si tratta di un grande capolavoro 

“non finito”, ma anche perché delle cinque Pietà 

scolpite dal Buonarroti la Rondanini è quella che più 

si discosta dalla produzione del celebre scultore che 

si dedicò a quest’opera fino a pochi giorni prima della 

sua scomparsa. 

Con la sua ultima opera incompiuta, infatti, Michelangelo 

ripensa il proprio tormentato percorso artistico 

e abbandona la perfezione formale per approdare 

ad una moderna concezione di scultura che enfatizza 

il sentimento artistico e la spiritualità anche attraverso 

un nuovo tema compositivo, un doloroso abbraccio 

concepito in verticale con la Vergine che sorregge 

da dietro il Cristo. Nella scultura sono evidenti due 

parti tra loro contrapposte, due stili che si riferiscono 

alle due versioni della Pietà, quella precedente, anatomico-realistica 

e quella successiva ripensata con 

un linguaggio più espressionista, più intimistico. 

Questo capolavoro scultoreo sta suscitando un rinnovato 

entusiastico interesse nella nostra Milano culturale 

ed artistica. Sulla scultura si accendono i riflettori 

quando il Comune di Milano annuncia l’intenzione di 

collocare l’opera in un contesto museografico nuovo, 

sia pur all’interno delle mura del Castello Sforzesco 

dove da sessant’anni alberga stabilmente. 

Con l’aiuto della Fondazione Cariplo nella sala dell’ex 

Ospedale Spagnolo si lavora per allestire una 

nuova dimora. Si tratterà di uno spazio che, per la 

sua ampiezza (circa 600 metri quadri), permetterà al 

pubblico una diversa percezione di quello che può 

considerarsi il testamento michelangiolesco; sarà un 

museo dentro al museo, con tanto di biglietteria e 

bookshop, oltre a stanze didattiche che connoteranno 

il nuovo sito come vero e proprio centro di studio e di 

documentazione. L’iniziativa, si pensa, potrà contribuire 

a rilanciare l’immenso patrimonio museale del 

Castello, ma soprattutto a valorizzare la Pietà, opera 

d’arte di particolare fascino, poco conosciuta e spesso 

dimenticata, in particolar modo dai milanesi. 

La Pietà appartiene alla città di Milano dal 1952, anno 

in cui, grazie ad una raccolta popolare di fondi, il Comune 

l’acquistò per 135 milioni di lire dalla famiglia 

Vimercati che, a sua volta, la ricevette dai marchesi 

Rondanini (proprietari dal 1744) con l’acquisto dell’omonimo 

palazzo in via del Corso a Roma. 

Essa fu destinata alle Raccolte Civiche del Castello 

Sforzesco ed esposta al grande pubblico nel 1956. 

Per lei fu pensato un allestimento particolare, sofisticato, 

in linea con le tendenze stilistiche del momento: 

lo studio Bbpr (degli architetti Banfi, Belgioioso. 

Peressutti e Rogers) la posizionò dietro un’elegante 

nicchia in pietra serena che l’avrebbe volutamente 

isolata dalle altre sculture della sala degli Scarlioni, 

chiudendo, in tal modo, il percorso scultoreo del civico 

museo milanese di arte antica.

Questa collocazione, oltre a ragioni di protezione, fu 

volutamente studiata per creare una sorta di aspettativa 

nel visitatore, una tensione che si placa solo quando 

quest’ultimo, trovandosi molto vicino alla scultura, 

s’incontra emotivamente con essa, come in un dialogo 

intimo tra opera e fruitore. Si trattò di un approccio 

prettamente intellettuale, un’intuizione portata avanti 

da uno studio di architettura all’epoca assai conosciuto 

e capace di rispondere alle nuove istanze culturali del 

tempo. Negli anni Novanta, però, quell’idea museografica, 

apprezzata da molti ancora oggi, andò incontro alle 

critiche dei teorici del museo di massa che, per l’ultimo 

capolavoro di Michelangelo, avrebbero desiderato una 

sistemazione che non si limitasse alla contemplazione 

da parte di piccolissimi gruppi e che permettesse una 

visione complessiva a distanza adeguata, una collocazione 

che potesse dare maggiore dignità alla Rondanini 

esaltando così il valore di un’opera molto significativa 

nella produzione dell’artista. Alle tante critiche, tutte discutibili, 

se ne aggiunse un’altra che non poteva e non 

può essere in nessun modo contestata: la presenza di 

scale per raggiungere l’opera rende difficile l’accesso ai 

portatori di handicap motori e si contrappone fortemente 

alle più sentite esigenze sociali e normative. 

Nonostante le opinioni poco favorevoli, la Pietà milanese 

non si è mai spostata dall’originale dimora. Si è 

pensato però di mettere mano alla scultura con una pregevole 

operazione di manutenzione straordinaria. Nel 

2004 la C.B.C., in collaborazione con l’Istituto Centrale 

del Restauro e il Politecnico di Milano, ha realizzato 

un intervento di pulitura finalizzato alla rimozione della 

patina che offuscava la superficie scultorea della Pietà. 

L’intervento ha riguardato anche l’ara funeraria romana 

del I secolo che fa da basamento alla scultura. Questa 

operazione di restauro conservativo ha permesso l’acquisizione 

e la raccolta di importanti dati che si sono 

rivelati utili, non solo agli operatori del settore, ma anche 

agli storici dell’arte. In particolare, alcune indagini 

petrografiche hanno smentito l’appartenenza alla Pietà 

Rondanini del cosiddetto Frammento Borghese, una testa 

di Cristo ritrovata a Roma negli anni 50 e attribuita 

nel 1973 alla prima versione della Pietà. Quel restauro 

fu un bel regalo per i milanesi: dal 2004 il Cristo e la 

Vergine sono tornati a risplendere, per emozionarci ancora 

di più, nel loro commovente abbraccio marmoreo. 

Ma la ripresa di interesse per l’opera michelangiolesca 

nelle ultime settimane non trova la sua unica giustificazione 

nel lavori in corso per la sua definitiva location. 

Il Comune ci ha riservato la sorpresa di primavera… 

ACCADEMIA 

In attesa della nuova casa, che sarà pronta nel 2014, 

e prima di essere esposta per Natale 2013 in Duomo, 

Palazzo Marino avrebbe deciso di traslocare provvisoriamente 

la scultura in carcere… Sì, proprio lì, nel penitenziario 

milanese di San vittore dove sarà posta nella 

cappella del Panottico, la 

Rotonda al centro dei sei 

raggi dell’istituto. 

Non è certo intenzione 

di chi scrive entrare nel 

merito della questione, 

chiedersi cioè se, dietro a 

quest’iniziativa ci sia un 

intento di provocazione 

demagogica o meno. È indubbio, 

però, che tale scelta 

faccia discutere il mondo 

dell’arte e l’opinione 

pubblica e abbia dato inizio, 

come era plausibile, al 

carosello degli interventi 

mediatici di fautori e detrattori 

dell’iniziativa. 

Il mio augurio è quello di 

ogni cittadino interessato 

alla crescita civile e culturale 

della propria città. 

E questa iniziativa mi 

sembra possa richiamare 

l’attenzione su due aspetti 

parimenti importanti ed 

attuali. Il primo riguarda la valorizzazione dei tesori artistici 

di Milano, che mi piacerebbe trovasse nella funzione 

pubblica dell’arte, e non solo nell’Expo, la sua 

giustificazione principale. La seconda è la drammatica 

condizione di sovraffollamento del carcere milanese, un 

problema gravissimo che aspetta da troppo tempo una 

soluzione definitiva, un’urgenza che non può più essere 

procrastinata se vogliamo vivere in una società che sia 

civile anche dentro le mura severe di una prigione. 

Non so se un tale progetto potrà contribuire a rendere 

più dignitose le condizioni di chi deve scontare una 

pena, né se a Michelangelo piacerebbe l’idea del Panottico. 

Sono quasi certa, però, che questa Pietà, transitando 

in un luogo di sofferenza, ci porterà inevitabilmente 

a riflettere su un tema centrale della nostra esistenza, un 

tema che l’arte affronterà sempre: quello del dolore. E 

saremo costretti a farlo tutti, cittadini liberi e detenuti, 

milanesi e turisti, italiani e stranieri. 


Forestee al mond 

Conobbi Gianmaria Ferrari alla mia seconda esperienza 

in qualità di partecipante ad un concorso di 

poesia dialettale milanese. 

Fui soddisfatto del mio secondo premio, e ammirai 

“quel tale” dott. Ferrari che vinse il primo 

premio. 

Non a caso Gianmaria Ferrari vinse il primo premio, 

le sue doti di poeta e le sue poesie mi colpirono 

da subito. Una coraggiosa denuncia verso 

ciò che di ingiusto ci riserva questa nostra esistenza, 

ma non solo, anche un percorso attraverso le 

emozioni e i momenti positivi che non possono 

mancare. 

Dopo il suo primo libro “On pontesell tra ciel e 

terra” vede ora la luce questo “Forestee al mond” 

dove Gianmaria alterna a liriche intimistiche e cariche 

di sogni e di ricordi, altre poesie che si rivelano 

subito più “leggere” e che potremmo definire 

allegre, mai però scontate o banali. 

Docente da diverso tempo Gianmaria Ferrari porta 

ai corsisti del “Pontesell” la sua esperienza e la 

sua capacità, soprattutto nello studio puntuale della 

grammatica milanese della quale, non a caso, 

ha pubblicato due volumetti di “Grammatica del 

milanese” che rappresentano un validissimo aiuto 

nella scrittura dialettale. 

Credo che Gianmaria abbia il compito di far conoscere 

al più vasto 

pubblico possibile 

la bellezza 

della poesia dialettale 

milanese 

affinché la si 

possa perpetuare, 

attraverso le 

leve di milanesi 

che verranno 

dopo di noi. 

È con questo augurio 

che esprimo 

la mia gratitudine 

e la mia 

ammirazione a 

Gianmaria per 

questo suo “Forestee 

al mond”. 


IN CARTA 

La Milan del missée Romeo 

Che cosa posso dire ancora su Roberto Marelli?! E 

chi sono io per poter discettare su questo eclettico 

personaggio del nòst Milan? 

Su di lui credo 

sia stato detto 

tutto salvo, 

ovviamente, 

r a c c o n t a r e 

qualche cosa 

sulla sua ultima 

opera 

letteraria “La 

Milan del missée 

Romeo”. 

Ma, anche qui, 

non voglio ergermi 

a critico 

o a saccente 

commentatore 

del suo libro. 

Mi colpisce, 

tuttavia, il titolo 

del libro 

e, soprattutto, 

quel “missée” che ritengo sia ingiustamente un termine 

troppo spesso considerato, “de andeghee...” 

E fa bene Roberto a riproporre il missée perché a volte 

rinverdire alcuni termini della lingua milanese 

serve agli “addetti ai lavori” per evitare certi 

facili neologismi o certe troppo facili italianizzazioni 

che non giovano alla conservazione del 

lessico meneghino. 

Oltre all’opera di narrazione di Marelli il libro 

è ulteriormente impreziosito dalle fotografie 

d’epoca, di Romeo Bosisio e da una serie di 

poesie di autori di chiara fama che ne fanno 

il commento: da Pier Gildo Bianchi a Fermo 

Roggiani, per passare a Lucio Calenzani, a Pier 

Luigi Amietta e a tanti altri che evito di citare 

per non sconfinare in una mera e arida lista. 

Ci dirà, Roberto, dove e quando potremo assistere 

alla presentazione di questa sua ultima 

opera che con interesse non mancheremo di 

leggere! 

Gianfranco Gandini

Via della Moscova 

di Giorgio Moro Visconti 

ACCADEMIA 

MILAN... LA COGNOSSI? a cura di Giorgio Moro Visconti 

Via della Moscova è una delle strade più lunghe di 

Milano (oltre 1 chilometro e mezzo) e scorre da via 

Manin (giardini pubblici) a piazzale Biancamano 

(vicino all’Arena ed al Parco Sempione). Raffaele 

Bagnoli nella sua enciclopedia toponomastica (ed. 

Effetti, 1971) da pag. 1202 a pag. 1206 le dedica 

molte considerazioni storiche. Lo citiamo: “Anticamente 

questa via, costeggiata da casupole, ortaglie e 

giardini, si divideva in tre tronchi: il primo 

detto “stradone di S. Angelo”, dall’omonima 

chiesa; l’altro, chiamato di 

“Santa Teresa”, da altra chiesa con convento 

sede di Carmelitane; seguiva poi 

la “strada di Porta Tenaglia”, località 

così chiamata da una fortificazione posta 

a difesa del Castello e fatta aggiungere 

dal governatore Ferrante Gonzaga. 

Nel 1813, il viceré Eugenio Beauharnais 

fece iniziare i lavori di ampliamento e 

modifica di queste tre strade, riunendole 

in un solo imponente tracciato, che 

prese il nome di “via della Moscova”. 

Con tale nome si volle onorare l’epica 

vicenda di quindicimila italiani in Russia, 

dove il nostro piccolo e bell’esercito 

combatté a Malojaroslawez, a Wiazna 

e a Krasnoi contro ben settantamila russi”. Dopo 

la caduta di Napoleone (19 aprile 1814) e il ritorno 

degli austriaci a Milano lo stradone, ormai definito 

urbanisticamente, riprese i vecchi nomi e, solo nel 

1860, quello antico e glorioso di via della Moscova. 

All’inizio della stessa via, all’angolo di via Manin, 

c’era il palazzo della Zecca, costruito nel 1778 per 

ordine di Maria Teresa d’Asburgo. Nel 1890 la Zecca 

di Milano venne chiusa e trasportata a Roma. Al suo 

posto venne costruito il Palazzo degli Uffici finanziari. 

Di fianco a loro, arretrata rispetto la strada, c’è 

la chiesa di S. Bartolomeo, aperta il 28 aprile 1867. 

Di fronte l’imponente palazzo di quella che era la 

Montecatini, ridenominata Edison nel 2002. Via della 

Moscova procede attraverso quello che si chiamava 

Largo Turati (ora è rimasta la via contigua, dove 

c’è la Permanente) e che ora è denominata Piazza 

Stati Uniti d’America (il consolato è li vicino). Al 

numero 12 della via c’è la “Cà Brutta” dell’architetto 

Giovanni Muzio, costruita negli anni 20 sopra un 

grande giardino patrizio. La via fiancheggia poi piazza 

S. Angelo dei Frati francescani. Dopo l’incrocio 

con il Corso di Porta Nuova, al posto del Convento 

delle suore Carmelitane e della chiesa di S. Teresa, 

esisteva la Fabbrica Nazionale dei Tabacchi, istituita 

nel 1637 dall’imperatore Ferdinando III d’Asburgo. 

Famosa la rivolta delle sigaraie nel maggio 1898. 

Nel tratto tra gli stabili del n. 13 e del n. 23, nel 1841 

fu edificato su terreno agricolo il Palazzo Cattaneo 

su progetto dell’omonimo architetto Giuseppe. Dal 

1861 ininterrottamente tale palazzo è la sede della 

Legione Carabinieri di Milano. Per le immagini i lettori 

possono vedere il libro di Luigi Nobili, edito da 

Arnoldo Mondadori nel 1988. Basta leggere alcune 

motivazioni di medaglie per fremere di riconoscenza 

per l’Arma. Davanti alla Caserma è stata realizzata 

una piazza pubblica di circa 2500 metri quadri con 

attrezzature sportive di 5.000 metri quadri. Il Corriere 

del 4 dicembre 2012 intitolava articolo a pag. 

9 della Cronaca di Milano “L’incomprensibile spreco 

dell’area di via Moscova”. Al n. 33 c’è il palazzo 

asburgico della Banca Popolare del Commercio e 

dell’Industria (che ora fa parte del Gruppo UBI) e ne 

abbiamo parlato con il presidente onorario Giuseppe 

Vigorelli. 



Nel pezzo Quel dì de dicember, nel 

“Sciroeu de la pròsa” del numero 

precedente, c’è stata una svista 

importante (In è verbo e si scrive Hinn), 

Vanetti e Calenzani si scusano, una per 

aver fatto “la svista” e l’altro per non 

averla corretta. 

EL FINAL SBAGLIAA DE LA ROMANZA “MAT- 

TINATA” 

Fulvio Vichi 

De fioeu mì gh’avevi ona bella vos, inscì come la mia 

mama, el mè papà e la mia sorella. Vos de sopran i 

dònn, vos de bariton mè pader e vos tenoril mì, vos 

che hoo lassaa là in di Martinitt per via de la dòccia. 

Minga semper gh’era l’acqua calda e vist che la dòccia 

l’era on òbbligh, acqua calda ò freggia, te toccava de falla. 

Per soramaròss ginnastica mattutina appenna levaasù, 

in camisa de nòtt e finestron de la camerada spalancaa. 

L’è stada la manera giusta per ciappà la bronchite crònica 

e la raucedin che ancamò incoeu me fann compagnia. 

Alter che diaframma! 

Prima de la mòrt de mè pader s’eri staa compagnaa a 

provà la vos dal Maester Lorenzo Perosi direttor del “ 

coro di voci bianche del Duomo”. Timid come s’eri la 

vos l’è restada denter ma el Maester che ’saveva come 

eren i fioeu l’aveva capii tusscòss e ’l m’ha daa on 

alter appontament per el lunedì dòpo. Ma quell lunedì 

dòpo mè pader el moeur in d’on incident. 

Fine del (probabile?) futuro come voce bianca. Parli 

del 1937 quand nò gh’eren anmò tutti programma per 

i fioeu come gh’hinn per quei del dì d’incoeu. Numm 

gh’avevom la radio, l’era staa el regal de mè pader a 

la mia mama quand in ’sto mond (faa domà per quei 

nassuu con la camisa) l’è rivada lee, la mia sorella piscinina. 

Ona radio Marelli Alcor de lusso cont el fono: 

se podeva scoltaa el giradischi senza girà la manovella. 

Lire 1.000, tòlta a rate naturalment (50 lira al mes) 

e la fonziona ancamò. 



Il Direttore 

Con la radio in cà emm faa a la svelta a imparà tòcch 

de òpera, canzon e operett che poeu cantavom per 

nòster cunt. Quej ch’hinn on poo avanti cont i ann se 

regòrdarann senz’alter che quij dònn e quij òmen, che 

dòpo la guerra e anca prima, giraven per i cortil cont 

el megafono in man a cantà operett e canzon e anca 

on quai tòcch d’òpera. Da i part de la Baròna in doe 

stavi de cà, rivava on òmm che ’l cantava on poo de 

tutt e devi dì che ’l cantava anca ben, però quand che 

’l taccava la romanza “Mattinata” del Leoncavall, el 

sbagliava semper el final. 

Mia mama che la gh’aveva per la musica on’oreggia 

che mòllala, quand la sentiva el final de la romanza la 

gh’aveva i cavei bei drizz in pee. 

On dì, stracca de sentì quell là borlà dent al sòlit sbali, 

la scriv on bigliett, la gh’ha involtiaa dent ona moneda 

e la me manda giò a portaghel. El bigliett el diseva: 

“perché sbagliate sempre il finale? Non termina così 

il brano”. 

El cantant leg el bigliett poeu da òmm de spirit el ciappa 

on tòcchel de lapis e su l’altra facciada del bigliett 

el scriv: “Perché non venite voi a farmi sentire il finale?”. 

Mia mader, dònna de spirit anca lee la va giò e 

con la soa bella vos l’improvvisa sul moment el final 

giust. 

L’òmm l’è restaa lì ’me on looch e poeu ancamò mezz 

imbesuii el tira foeura de saccòccia la moneda che la 

mia mama la gh’aveva mandaa giò ghe le da indree e el 

ghe dis: “Grazie, da voi non posso accettare denaro.” 

In seguit quand che ’l tornava a cantà “Mattinata” el 

final l’era quell che l’aveva cantaa la mia mama. 

Dio! Che vite sprecate! Ci fosse stato un pizzico di 

buona sorte... solo un pizzico.

CARA EL MÈ MOND 

Bosii bei e brut 

Mario Scurati 

Cara el mè Mond, te gh’heet in ment ch’el tal “Geppetto” 

che da on tòcch de legn, adasi adasi l’ha tiraa 

foeura on magatell che con pazienza l’ha ciappaa per 

man, el gh’ha faa imparà a tappascià e a parlà fin tant 

che l’è diventaa autonom e bon de governass indeperlù... 

sì pròppi quell, cara el mè Mond, parli del famos 

“Pinòcchio”. 

E sto Pinocchio dòpo che l’ha conossuu el Gatt e la 

Volp e alter barlicch el ciappava gust a cuntà sù ona 

quai bosia e sto vizzi el ghe faseva slongà el nas, ma 

tutt sommaa sti bosii eren modest e quasi senza colpa, 

inscì el nas, a on certo punto, el s’è pù slongaa. 

E sto magatell, dai e dai, l’è diventaa el caroeu de tutti 

bagai e tosann e anca on esempi per tanti “matusa” de 

tanti generazioni! Pròppi inscì, cara el mè Mond. 

Ma fòrsi sto benedett Pinocchio l’ha spantegaa in gir ona 

somenza che col temp l’ha taccaa a buttà in pòcch temp 

hinn nassuu on sacch de Pinocchio ma... in carna e òss. 

Sì, cara elmè Mond, e adess de magattei in carna e òss 

ghe n’è intorna on badalucch e di vòlt se sconfonden 

coi òmen onest e sincer! Ma ai Pinocchio di nòster 

temp ghe se slonga nò el nas... ma domà la lingua e 

la ghe ven talment longa cont ona lappa che l’incanta 

anca i serpent. 

E ’dess gh’hinn in gir on sacch de bolgironi che fann 

vedè lusiroeul per lanterna e te fann sù come on remissell 

domà per la goloseria de fà danee ò per tegnì de 

cunt el cadreghin che gh’hann sòtta al sedes. 

Sì, cara el mè Mond, proeuva a dagh on’oggiada a la 

television, scolta la radio ò leg i notizzi sui giornai e 

scolta quell che disen ò quell che scriven certi soggett 

e te vegn adòss on magon e on nervos ch’el te fa andà 

insema i sentiment! 

Ma el Pinocchio original l’avria mai pensaa de lassà ona 

eredità che la saria stada usada inscì mal, domà per convenienza 

e a dagn de la gent per ben e in bòna fed! 

E fòrsi anca el Geppetto, vist come l’è andada, l’avria 

preferii doprà ch’el tòcch de legn per pizzà el camin. 

Adess, purtròpp, cara el mè Mond, de somenza grama 

ghe n’è intorna talment tanta che la vita l’è diventada 

on tribuleri, e adess se viv dì per dì cont el fiaa sospes 

e con la sgaggia in ògni moment de vess bolgiraa. 

Speremm, cara el mè Mond, che sta somenza de “Pinocchio 

Moderno” prima ò dòpo la gh’abbia de seccass... 

ma gh’hoo paura che la mia la sia nò nanca ona 

speranza ma... on sògn! 


L’ETAA DE L’ÒR 

Franca Brambilla 

L’è giamò on quart d’ora pussee che la coa dinnanz del 

sportell di pension l’è ferma. I pensionaa spetten con 

santa pazienza (se fa per dì) senza mollà i oeucc pontaa 

in sù l’impiegada dedree di veder corazzaa, che la gh’ha 

ona sveltezza pròppi de gatt de marmor. 

Oltre tutt la par anca in luna sbiessa, la fuma de brutt, e 

la gh’ha on fà de manera che tira i s’giaff. 

E pensà che, al sportell visin, quell di ‘Rimborsi’, gh’è 

on giovinòtt tutt lughii che in quatter e quattròtt l’ha desfesciaa 

la soa coa e adess el sbircia la ‘scioretta’ capofila 

di pension che, con tant de oggiàj e biro, la scombatt 

con la malmostosa, e se dirìa ch’el ghe catta gust a vedella 

tripillà… e pensà che lee, la ‘scioretta’, la tenta de 

fà varì i sò reson d’ona vita de sgobattà, e quell che la 

pretend l’è del sò. 

De la fila ven-sù on colp de toss, poeu duu, che vegnen 

subit smorzaa cont on para de boffad. 

“E pensà” - la sbròtta la quarta de la fila - “…che on mè 

nevod che l’è in Germania, el dis che là-inscì i pension 

je manden a cà con la pòsta, minga assee…”. 

Quell dòpo de lee le tocca dent e ’l ghe fa segn on cartell 

“Silenzio”, intratant ch’el ghe ziffola in l’oreggia: “Se 

la permett, me le cunta dopo còssa succed in Germania. 

Magari… toeuvom on cafè… e discorrom”. 

Lee la fa segn de sì, la varda l’impiegada del sportell 

che l’ha pizzaa anmò ona sigaretta (ma com’è, l’è minga 

proibii de fumà in di sít pubblich?). El scior de prima par 

ch’el ghe legia in la ment: “Se la permett… Carlo… on 

poo de pazienza anmò…”. 

Ma sì, lee, la Rina de pazienza n’ha portaa assee in la 

vita, però quell fatto de trovass-lì ogni duu mes in mezz 

a on campionari de gent compagn de lee, macarent, malsabadaa, 

che ghe fann toccà con man ch’el doman el 

sarà semper pussee grís… Se l’è quell-lì el ‘futuro’, la se 

sent anmò pussee a terra! 

Passa la ‘scioretta’ capo-fila cont i danee in man e la varda 

soddisfada i ultim de la fila. Finalment! 

- Ma va se, dopo ona vita de sgobattà e de sacrifizzi, 

come ricompensa gh’è de fà la fila ogni duu mes, cont 

i magagn che pesen semper pussee… a la mercè d’ona 

ganivella… per podè vègh el sò dovuto. Eggià, ma la leg 

l’è fada inscì, e pensà che in Germania, là, te la porten a 

cà, con tanti saluti e ringraziamenti de lo Stato, sissignori, 

de lo Stato; l’è lo Stato ch’el te dis: “Brava, sciora Colombo 

(o mamma, pròppi Colombo nò, sarà Schmidt), 

lee l’ha faa el sò dover e adess tanti auguri de scampà 

mej che la pò, e questi- chì hinn i mezzi”. 



Fontane di Milano 

da “Fontann de Milan, pozz, laghett e sbilz d’acqua” di Ella Torretta 

FONTANA LIBERTÀ - PAS - CIVILTÀ 

Per comincià ve presenti ona moderna e stramba 

fontana che in d’ona giornada d’inverno, intant che 

ghe passavi arent, hoo sentii che la sospirava... 

“sòtt’a la luna d’argent, la nòtt freggia la m’ha gelaa 

el vestii e son diventada ona cascada de giazz!” 

L’è òpera de l’Arch. Andrea Cascella su progett de 

l’Arch Tartaglia. 

La se troeuva in Piazza Leonardo da Vinci - Città Studi. 

L’è stada inaugurada el 4 de magg del 1985, dopo 

40 ann da la 2° Guerra Mondial, “Dedicata alle idee 

di libertà, alla pace, alla civiltà di tutti i popoli”... 

anca de quei che, pòcch civilment, de spess l’hann 

spegasciada! 

Purtròpp dòpo ona settimana l’aveven giamò 

smorzada, perchè la manutenzion la costava tròpp al 

Comun de Milan. 

In de sti ann la funziona domà... quand vanzen i danee... 

se de nò la tas! 

FONTANA CORTI BAIRES 

Per chi voeur passà ona giornada a Milan a comprà 

anca quell che l’è minga necessari, el pò andà in Cors 

Buenos Aires, dove ona quantità de bottegh soddisfen 

ògni esigenza di turista. 

Per questa gent, hinn nassuu le “Corti Baires”. 

In d’ona giornada d’estaa l’è bell trovass cont on’amisa, 

setass in tranquillità denanz al tavolin d’on bar per 

gustà on sorbett e cicciarà del pù e del men. 

Oppur, se te see de per tì, restà in ammirazion d’ona 

fontana che rinfresca l’aria e scoltà 

La canzone che l’acqua racconta da sempre

FONTANN DE LA STAZION CENTRAL 

Ve ricordii i dò fontann de la Stazion Central in Piazza 

Duca d’Aosta? 

Dopo tanti ann de succia, dai mascheroni coi oeugg 

tobis e cont el cô bindaa di “sfingi” egizian tra i 

dent de la bocca sbarattada sbilza foeura ona cascada 

d’acqua s’ciumosa, goduda dai milanes e dai forestee 

in di giornad de gran cald. 

FONTANA DE L’OSPEDAL SAN RAFFAEL 

Monte Tabor l’è el nòmm del monument-fontana, 

in marmo de Veròna, ch’el se troeuva a l’entrada de 

l’Ospedal San Raffael in Via Olgettina. 

L’è rappresentada la stòria de Raffaele e Tobia, ona 

stòria de amicizia e de fiducia. 

L’angiol Raffael (Medicina di Dio) el compagna Tobia 

in del viagg de la vita e el ghe insegna a guarì el 

coeur e el fidegh cont el fel del pess pescaa in del 

fiumm Eufrate. 

Quest l’è quell che gh’è scritt a letter grand: 

“Sara, sua sposa dallo spirito cattivo 

ed il suo papà, Tobi dal male agli occhi, 

gli insegna anche a pregare: 

Benedetto Dio che vive in Eterno! 

Egli corregge ed usa misericordia. 

Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male. 

Nulla sfugge alla mano di Dio. 

Contemplate ciò che ha fatto per voi 

e ringraziatelo con tutta la voce. 

Brillerete come splendida luce!”

La bélla Gigogin 

a cura di Edoardo Bossi 

Quanti vòlt èmm sentii ‘sto nòmm, quanti vòlt èmm cantaa 

e ziffolaa “… daghela avanti on passo…”, eppur, ancamò 

incoeu, tanti sann nò chi l’era la “Bèlla Gigogin”. 

Per parlaa de ’sto personagg, bisògna rifass on poo a la 

stòria e on poo a la leggenda: la Gigogin la ven a voltra, 

per la prima vòlta, el dì 22 de marz del 1848, quand in sui 

barricad de Pòrta Tosa (incoeu Pòrta Vittòria) sbandera 

el tricolor. L’era quèll el dì che Luciano Manara el combatteva 

contra l’esercit di tognitt del General Radetzky, 

pussee de 16 mila òmen cascià via da Milan: “le cinque 

giornate di Milano (18-22 marzo 1848). Quand l’hann 

vista vestida cont on gipponin, on para de coturna e ona 

pedagna larga e gh’hann domandaa el sò nòmm, lee l’ha 

risponduu “Gigogin” (diminutiv piemontes de Teresina, 

Gigogin, tra i cospirador, voreva dì anca Italia) 

Scappada dal colleg, la rièss andà volontaria cont i lombard. 

Se cunta che on dì Luciano Manara el da l’incarich 

a la Gigogin de consegnà ona lèttera al colonnèll di Bersaglier 

La Marmora; se dis anca che la sarà nominada, 

officialment, vivandera e cantinera de l’esèrcit. Gigogin 

la cognoss el Mameli e pararia che fra i duu sia nassuu 

l’amor. La va in prima linea a Goito, la da ona man per 

curà i ferii e confortà i soldaa e inscì la soa nòmina la sutta 

a crèss. El sò amor per Mameli l’è nò domà faa de sentiment; 

lee, le salva da la polizia austriaca con l’inscenà 

ona sòrta de pantomima: la se mètt a insultà l’Imperador 

Ferdinando II (L’Imperador Francesco Giuseppe e la 

soa miee, la Principessa Sissi sarann, a la fin de l’ann, 

i sò ered). 

El tornà anmò in colleg l’è staa inevitabil. La Gigogin la 

scappa on’altra vòlta e la va a mèttes insèma a i òmen del 

’48 che intanta eren andaa tutti a Roma insèma al Garibaldi. 

Nissun l’ha mai savuu el sò nòmm vera e se mai la 

fudèss esistida verament. 

La canzon 

Se tramanda che la canzon l’è stada sonada per la prima 

vòlta la sera de San Silvester, el 31 de dicember del 1858, 

al teater Carcano de Milan. Serom a la vigilia de la seconda 

guèrra d’indipendenza, quèlla che la segnarà la prima 

unificazion de l’Italia. Quèlla sera lì, se dis, che gh’era 

ona strana atmosfera. Chi l’era giamò staa informaa el 

tripillava e el spettava domà che rivass la mèzza-nòtt, chi 

nò, le capiva per la strana sensazion che girava in l’aria. 

Quand la banda civica, dirètta dal maèster Gustavo Rossari, 

l’ha taccaa a sonà la Polka, musicada dal maèstar 


ACCADEMIA 

Giorza, el pubblich l’ha capii subit el significaa del messagg: 

… per non, per non, per non mangiar polenta. 

Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza. 

Lassala, lassala, lassala maridà… 

Bisognava vègh pazienza e spettà che se consolidass (el 

matrimòni) l’alleanza tra Vittorio Emanuele II e Napoleone 

III per podè marcià “…daghela avanti on passo…” 

La banda l’ha dovuu ripètt per ben vòtt vòlt la canzon, 

perchè el pubblich el podeva minga sopportà i tognitt che 

eren lì present e la piantava pù de batt i man e cantà el 

ritornell. Inscì, ai quattr’or de la mattina de quèll primm 

de l’ann, quand la banda l’era dree a trasferiss davanti 

al palazz del vicerè austriaco, ona gran massa de gent la 

gh’è andada dree e l’ha compagnaa la banda cont el cantà, 

senza mai dismètt, el ritornèll de la canzon. Nissun 

l’haa mai savuu chi l’era staa l’autor, ma da subit hinn 

cominciaa a circolà ona desèna de version: I pubblicazion 

del Ricordi hinn staa subit sequestraa dal Governador 

austriaco. S’è capii allora che la Bèlla Gigogin l’era 

mai mòrta, la soa giovinèzza l’era mai sfiorida: se dis 

anca che la canzon l’era stada sonada quand l’era in cors 

la battalia de Magenta, el 4 de giugn del 1859, quand i 

frances del General Mac Mahon hann battuu i tognitt del 

General Giulaj. A la banda militar austriaca, che come 

segnal d’attacch l’intonava “La bèlla Gigogin”, la banda 

di Zuav la rispondeva cont el ritornèll “…daghela avanti 

on passo…” 

Testo della canzone 

Oh la bélla Gigogin trallerillerilellera, 

la va a spass col sò sposin trallerillerillellà. 

A quindici anni facevo l’amore 

daghela avanti un passo delizia del mio cuore! 

A sedici anni ho preso marito: 

daghela avanti un passo delizia del mio cuore! 

A diciassette mi sono spartita: 

daghela avanti un passo delizia del mio cuor. 

La ven, la ven, la ven a la finèstra, 

l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta incipriada. 

La dis, la dis, la dis che l’è malada, 

per non per non, per non mangiar polenta, 

bisògna, bisògna, bisògna aver pazienza 

lassala, lassala, lassala maridà. 

Oh la bèlla Gigogin trallerillerilellera, 

la va a spass col sò sposin trallerillerillellà. 

La ven, la ven, la ven a la finèstra, 

la dis, la dis, la dis che l’è malada, 

bisògna, bisògna, bisògna aver pazienza 

lassala, lassala, lassala maridà. 

Oh la bèlla Gigogin trallerillerilellera, 

la va a spass col sò sposin trallerillerillellà

LEGGIUU E SCOLTAA 

“Sciroeu di poetta” ospita, così come ci sono pervenute le composizioni, “lette e ascoltate”, noi le pubblichiamo, correggendo qualche palese refuso, convinti di stimolare la volontà 

di chi sente spontaneo il desiderio di esprimersi, interloquendo con la musa, in dialetto milanese e con l’augurio che queste pagine possano scoprire nuovi talenti. 

LA MIA ETA’ 

Quand me domanden: “Quanti ann el gh’ha?” 

soo minga se rispond, resti perpless. 

Ma perchè mai gh’hoo de vegh on’età 

se a mì me par de vess nassuu adess? 

Per certi vers a gh’hoo anmò de nass 

per certi alter sont on giovinòtt 

che lòtta, el se ribella, el fa frecass. 

Per certi anmò me senti on bell veggiòtt, 

ma sagg ‘me on patriarca de cent ann. 

Per quest domandémm minga i ann che gh’hoo. 

Misùri nò l’età cont i malann ... 

e in ‘sta manera ve respondaroo: 

mì vivi e basta. Me pias fà e desfà: 

se gh’entren mai i ann con la mia età? 

Tutt se pò fà, e s’è mai vegg per nient: 

l’età a l’è domà in la nostra ment ! 

GHE PENSI MÌ 

La sura Gilda la me cascia adoss 

la borlanda de tutti i sò desgrazzi: 

el marì rangognon, el fioeu baloss 

la tosa che la par voeuna di Grazzi 

de tant che l’è ben fada e prosperosa 

ma la riess no a trovà vun che la sposa; 

el gatt de la vesinna, sto porscell, 

che ghe fa i sò bisogn sora ’l zerbin, 

la serva scema che la fa sfragell 

de piatt e de biccer, la roba el vin; 

la sarta che l’ha faa soo no che asnada 

ma la pretend l’istess de vess pagada; 

la portinara che (lee l’è sicura) 

la leg tutta la posta de la cà 

e la ghe fa ancasì la faccia scura 

(brutta terrona!) quand la ved passà: 

e la conclud: “Ah, voraria morì!”. 

Se l’è domà per quell la mazzi mì! 

Lucio Calenzani 

Gino Toller Melzi 

VÒTT DE MARZ 

El vòtt de marz, per rispett di tradizion, 

hoo vorsuu regalà i fior a la miee. 

“È stato un gesto... così...” per prevenzion 

Per nò trovamm pù tard dent on vespee 

faa de rangògn, de strilli... e on mezz process 

sul tipo “Te se regòrdet mai de mì 

ma te faroo pagà con l’interess... 

...dove lo vuoi l’amarin per digerì?” 

Quest’ann però hoo pròppi rimediaa, 

son rivaa a cà cont on mazzett in man, 

quij fior faa de ballin bei de guardà 

che resten fresch d’incoeu fin a doman. 

S’eri sicur d’avè faa la ròba giusta 

e me spettavi i carezz de la miee 

hoo poggiaa i fior sul comò in bella vista 

e con speranza hoo spettaa che rivass lee. 

E lee l’ha doggiaa i fior e poeu rabbiosa: 

“Te minga vist che i ball hinn tucc marron?? 

Questo non è un rametto di mimosa!! 

Quest l’è mirtillo! ’Na bròcca de lorion!!!” 

E dòpo discussion e ’na schisciada 

emm tirà foeura on vasett de marmellada!! 

DOMA’ FREGUJ 

Fulvio Vichi 

Pòcch gott…’me rosòli 

pòcch paròll… on discors 

pòcch oggiad… e capiss 

pòcch minutt… on temp longh. 

Domà freguj, tanti pòcch 

d’on quaicòss… de inscì grand. 

Mara Chierichetti 


DESLIPPA E AMOR 

El rusa el sò carell 

con sù tutta la cà 

per viv... se da de fà 

el dòrma sòtta i stell. 

La barba longa e grisa 

cavei bisc, sperlusciaa 

on toscan de fumà, 

arent el gh’ha on’amisa. 

An’lee la tira adree 

on carellòtt pien ras 

d’on sacch de barlafus 

a spass... la strusa i pee. 

Vann spess a spass insèma, 

cicciaren tra de lor 

pò vess on poo d’amor 

seren senza problema. 

Settaa arent al Dòmm 

sgandolen on quaicòss 

per lù domà pan pòss 

lee la sgagnòtta on pòmm. 

Finii el sò disnà 

lù el lecca i sò barbis 

lee la sciscia on benis; 

hinn lì pront per andà, 

...ma prima... 

on sorris...’na carezza 

lee la ghe va visin 

la ghe scròcca on basin 

...fann tanta tenerezza! 

La vita anca a lor, 

seben hinn dislippaa 

on poo i ha soddisfaa, 

...la fòrza de l’amor! 

Mario Scurati 



IER 

Foeura di finester, 

bombas, 

bombas ch’el sconfond, 

che quatta tusscòss. 

Giri in di man foeuj bianch, 

voeuri scriv ma... 

el ciel el se sferla, 

là in fond 

e ’l me toeu via i penser. 

Ier, sì l’era ier 

la m’ha guardaa 

e... la m’ha dii... 

Bombas, 

che quatta tusscòss, 

anca i penser... 

ier... 

SILENZI 


Quanto 

baccan intorna 

che voeuja 

de silenzi! 

Ma dove 

el troeuvi, 

in mezz a ’sto frecass, 

che gh’è in de l’aria. 

El cerchi 

e me n’incòrgi nò 

ghe l’hoo visin 

l’è chì 

l’è dent de mì. 

Alarico Zeni 

Dedicata ai miei figli Mauro e Ilaria 

L’adozione di due bambini colombiani 

Brayan e Natalia hanno riempito i cuori di gioia. 

ON SORRIS 

Dent la gabanna del preseppi, 

al pòst del Bambin 

hoo mettuu on fioeu e ’na tosetta 

che ’l ciel l’ha consegnaa, 

per bòna sòrt, 

a duu spos innamoraa. 

“Papi !…” 

senti ciamà el mè fioeu papà…” 

e a mì… “Nònno, nònno!...” 

(cosa se proeuva denter, 

el se pò minga dill a paròll) 

On grand sorris 

sul faccin di bagai 

che te corr incontra 

viscor ’me on redesces, 

te ciappa la man 

e via… invers la stanzetta. 

“Guarda nònno!” 

Subet derven cassett, 

antinn di armadi, 

tutt ciappaa in del mostrà 

vestii, scarp, gipponitt. 

(…ghe son staa attent) 

In quell sò slanz… 

mì vedi ’na man che pian pian 

la scancella el passaa. 

“Siete contenti!” 

Te sorriden citto 

e slisen via… de corsa 

a saltà ’l còll al papà 

e regalà basitt a la mama 

col nas per aria 

e i oeucc refignaa che parlen d’amor... 

on amor che ’l contagia. 

…Ona “còppia” 

diventada famiglia, 

…on nòno e ona nòna in truscia 

pront a tornà fioeu. 

Dent la gabanna del preseppi 

duu fioeu che rinass 

a ’na vita normal 

con denanz… segura… on doman 

retajaa in del seren. 

Alberico Contursi

SOTTVOS 

Sottvos, 

come on boff caprizios 

che l’inziga i germoeuj 

in di sces 

come on vôl de farfall 

sora l’onda fiorida 

in l’erba alta 

d’on praa 

’me on bisbili d’on aves 

ch’el slisa la teppa 

di prej sott ai frasch 

come i gôtt trasparent 

d’ona fresca dacquada 

sora i brocch, sora i tecc 

’me el respir d’on fiolin 

indorment ch’el se insogna 

di favol bosard 

Sottvos, 

tì t’hee dit el mè nomm... 

Francesca Giussani Ornago 


FOEURA DEL CAVAGNOEU 

ALLORA 

In su la strada 

di rimpiant 

me fermi 

domà on poo. 

Quell che basta 

a no trasà 

el bell temp 

de quest’ora 

che diman 

l’è giamò “Allora”. 

Oreste Jannelli 

L’Accademia del Dialetto Milanese, della quale era e 

socio effettivo vuole ricordare Carlo Albertario, con 

questa sua poesia che forse lui stesso aveva scritto pensando 

a quando le sue poesie le avrebbe scritte usando 

un refolo di vento per tracciarle sopra le nuvole. 

La redazione 

ON SCAPUSC 

Ai! Gh’hoo la sc’ena rotta in milla tòcch, 

on morell sul genoeucc e sul garon, 

ona sgarbelladura sul muson 

e ona man gibollada e disi pòcch. 

Vorrii de sto sconquass la spiegazion? 

Traversavi la strada de lifròcch 

col coo per ari come fann i òcch 

e hoo topiccaa in d’on boeucc cont el tallon. 

A Milan, tutt’i strad del dì d’incoeu 

hin talment in disordin e sòttsora 

che, a vess propi sincer, me fann pietaa. 

Ma forse gh’è anca on’altra veritaa: 

l’è che, compagn d’on merlo marziroeu, 

mì doggiavi, intrattant, ’na bella sciora. 

De sera 

Pier Gildo Bianchi 

Cerchi dent la memòria la preghiera 

che disevi con la mama de fiolin. 

Me la faseva dì quand l’era sera, 

in cà, denanz a on sempliz altarin. 

Mettuu sul ciffon, in bèlla manera, 

on santin de la Madòna col Bambin 

e ’l ritratt de chi ona vòlta ’l gh’era, 

illuminaa con la lus de on ciarin. 

La mia mama la me cascia in lètt 

e la spiegava ’l motiv de vèss in pas 

per ciappà sògn e riposà quiètt... 

Disi adèss quèll’antiga preghiera 

intant che in sto moment tusscòss el tas. 

El par anmò quèll temp, ma l’è n’altra 

sera. 

Carlo Albertario 


Continua da pag. 7 - Giovanni Barrella 

Dedree gh’è tutt la trôppa di paisan 

che vann, compagn di pegor a monton. 

Nissun che fiada, col cappel in man, 

strusand sui sass i ciod di sò scarpon, 

giovin e vecc, paisan e pescador, 

vann tutti in massa a compagnà el Signor. 

E intanta che sul lagh ven sù la breva¹ 

che sgonfia ’me ona vella el balducchin, 

el fumm che fa l’incens el se solleva, 

e quatta el tabernacol, l’altarin, 

el sfiora la terrazza del Ponis 

e el va direttament in paradis. 

Continua da pag. 4 - “EL VARON” Primo 

glossario della lingua milanese 

In questa derivatione io vi scuopro bellissima facetia, 

et bellissima Analogia.” 

Non furono queste le sole edizioni del Varon e del 

Pressian; a quelle del 1606 seguì una ristampa nel 

1750 a cura del Marelli ed un’altra ancora del 1816 

curata dal tipografo milanese Pirotta. Quest’ultima 

edizione è detta “cherubiniana” in quanto curata ed 

argomentata da Francesco Cherubini, noto dialettologo 

e lessicografo della lingua milanese. 

Rimane comunque ancora assai incerta l’origine del 

Varon della prima edizione pavese stampata dal Bartoli, 

incerta è anche la parte avuta dall’Albani nella 

seconda edizione milanese. 


ACCADEMIA 

Dietro v’è tutta la truppa dei paesani 

che vanno, come le pecore, a mucchi. 

Nessuno che parla, col cappello in mano, 

strascinando sui sassi i chiodi dei loro scarponi, 

giovani e vecchi, contadini e pescatori, 

vanno tutti in massa ad accompagnare il Signore. 

E intanto che sul lago vien la breva, 

che gonfia come una vela il baldacchino, 

il fumo che fa l’incenso si solleva, 

copre il tabernacolo, il piccolo altare, 

sfiora la terrazza del Ponisio 

e va direttamente in paradiso. 

MITTI IN “fb” 

L’è la prima vòlta che guardi el sit 

dervii in “fb” … come l’è bèll! 

T’el seet, el par miniaa polit polit 

el tò Navili faa in acquarèll. 

Mì ‘l taccaria sul mur col casciavit 

inscì de podè vègghel ‘me modèll 

e scriv quatter versitt e taccà lit 

cont el dialètt: carioeu del mè cervèll. 

Vedè la nev sui spond e là in sui tècc, 

vedè ‘l color del ciel in del Navili, 

l’è on’emozion che fa vegnì i petècc 

e slargaa i oeugg fin sora i sopracili. 

L’è on tòcch de la Milan di nòster vègg 

che Mitti l’ha miss là con gran pontili. 

Edoardo Bossi

VEDRINA DE LA BOTANICA 

Orzo, il primo cereale conosciuto 

di Fior-ella 

Pianta erbacea annuale che può raggiungere anche 

un metro di altezza. 

Diffusa in tutto il mondo sia per alimentazione umana 

sia come foraggio perciò coltivata su larga scala. già 

10.000 anni fa a C. in Cina. 

Nell’antica Grecia costituiva il cereale per eccellenza 

e aveva ruolo fondamentale in campo alimentare, era 

l’unico coltivato nell’antica Roma, prima di essere 

soppiantato dal farro. 

In Egitto era usato nei rituali dedicati alla dea 

Osiride. 

Nome scientifico Hordeum vulgare. 

Appartiene alla famiglia delle Graminacee 

Foglie lanceolate a superficie ruvida colore verde 

argenteo, fiori, raccolti in spighe disposte in numero 

di tre su ogni nodo, compaiono in maggio/giugno. 

I frutti, semi secchi indeiscenti, tipici delle 

Graminacee, con un solco sulla faccia interna, 

vengono nominati cariossidi allungati e sono raccolti 

in estate. 

Nei semi germogliati, che costituiscono il malto, si 

sviluppano gli enzimi in amido, sostanze assimilabili 

dall’apparato digerente. 

A scopo terapeutico il frutto viene mondato dalla 

corteccia e venduto anche in farmacia come “orzo 

perlato”. 

Orzo, simbolo di ricchezza ed abbondanza, è 

l’ingrediente base per la birra. 

L’Orzo aggiunto al latte veniva somministrato a 

persone anemiche o con febbre alta, come bevanda 

denominata “Acqua d’orzo”. 

L’Orzo torrefatto e macinato è utilizzato come 

bevanda chiamata “Caffè d’Orzo”, con proprietà 

diuretiche e disintossicanti. 

Alimento energetico, digeribile, adatto per preparare 

minestre e zuppe, come per esempio la seguente: 

Minestra d’orzo delle Dolomiti 

100 gr. speck - 100 gr. orzo - 1 cipolla - 1 carota - ½ 

porro - 1 patata - 1 costa di sedano - 1 cucchiaio di 

olio. 

Tagliare lo speck a dadini e farlo soffriggere con olio 

in una capiente pentola. Aggiungere orzo ed acqua, 

lasciar bollire per circa 1 ora. Aggiungere cipolla, 

carota, porro, patata, sedano tritati e continuare la 

cottura per ½ ora. Servire la minestra calda su crostini 

di pane scuro. 

a cura di Fior-ella 

Pianta sacra dedicata alla Dea Greca delle Messi che 

si chiamava Demetra, nome che significa “Madre 

dell’Orzo” e questa è la sua leggenda: 

Quando Persefone, figlia di Demetra, venne rapita 

da Plutone, la dea mandò sulla terra una terribile 

carestia. 

Plutone obbligato da Zeus, lasciò tornare Persefone 

dalla madre e per alleviare i disastri provocati dalla 

carestia, regalò agli uomini l’orzo insegnando loro i 

metodi di coltivazione. 

Persefone era considerata dispensatrice di vita alla 

maturazione dei frutti. I sacerdoti egizi seminavano 

grani di orzo all’interno della sua statua e quando 

i grani germinavano si diceva che era risorta la 

divinità. 

Persefone era costretta a scendere agli inferi ogni 

anno d’inverno, ma tornava nel mondo in primavera 

portando i germogli di orzo con le sue spighette. 


Continua da pag. 13 - L’ETAA DE L’ÒR 

Questi hinn i penser de la Rina che, intratanta, l’è rivada 

al sportell de doe l’inonda el fumm de la sigaretta de la 

sparpiattola che la ghe slonga, ruspana (con de quij man 

mal tegnuu… i did giald de nicotina), la ghe slonga quij 

quatter parpaj che la sa mai come faj stà assee. 

“Che la me spetta, ’dess tocca a mì, e che la tegna-nò 

i danee rotolaa in man… vegni”, el ghe dis el Carlo 

boffandegh in l’oreggia, e a lee ghe riva, mes’ciaa a 

la spuzza de la sigaretta de l’impiegada, on profumm, 

on savor bon de dòpo-barba, de marca bònna, de sicur, 

lee se n’intend. 

E de colp la se sent come on’onda de nostalgia, la voeuja 

de on para de brasc fòrt… oh!, domà per pondass! 

Ossignor! Còssa ghe ven in ment? La se varda intorna 

per vess sicura che ’sto penser el ghe sia minga scappaa 

foeura del coo e magari ciappà còrp in sù la faccia 

d’on quajghedun de la fila! 

El cafè l’è pròppi bon. De on quart d’ora la Rina la 

scolta volentera el Carlo, che ghe le cunta-sù soave, 

con la confidenza de tanti ‘apontament’, se fa per dì, 

ai sportej de la pension. 

E inscì, ona paròla tira l’altra, salta-foeura che lù el viv 

indeperlù in d’on local cont i servizii, visin a la tosa 

sposada… ona nevodina… “la varda ’me l’è bella!”, 

e lee la tira-foeura an’lee la fotografia di sò trii nevod, 

e ghe se string el coeur al penser de la noeura… già la 

noeura! 

Mai ona volta che la ghe disa de vegnì a godes ’sti trii 

patanitt, domà quand la gh’ha bisogn! 

Ghe ven in ment quand el sò fioeu ghe l’aveva presentada: 

on stramoscin senza dennanz né dedree… ma còssa 

mai el gh’avarà trovaa in quell manich de scoin lì? 

Lù inscì bell, grand e ben pientaa. 

Anca la soa sorella Elsa l’era sbrottada: “Ma tì, te lasset 

ch’el tò fioeu el toeuva per miee quell ferma-antipòrt 

lì? Ona morgnina che la sa né de tì né de mì!”. 

Eh nò! Adess l’è tròpp! Se el sò Gianni l’aveva cattaa-foeura 

quella-lì, le saveva lù el perchè, e la Elsa la 

gh’aveva nò el diritto de parlagh adree in quella manera 

lì. 

Puttòst, l’aveva tentaa de parlaghen lee al Gianni, ma, 

odèss, gh’era staa nient de fà. 

A ’sto penser la Rina la scorliss el coo, tant ch’el Carlo, 

premoros: “L’è fòrsi minga bon el cafè?”. 

“Nò nò, l’è bonissim”, intratant che l’osserva ’sto 

òmm, rangiaa-sù polito, cont on bell para de scarp. 

“Già, i scarp” - el fa lù - “che la se figura che i hoo 


ACCADEMIA 

vist foeura in cors Venezia a on prezzi spropositaa! Ma 

siccome al mè gener, ch’el lavora in la pubblicità, ghi 

hann daa de omagg, combinazion hinn del mè numer 

e minga del sò…”. 

- Par infina ch’el voeura scusass de parì quell che l’è 

nò. Che persona per ben! - Foeura del bar fann quatter 

pass fina al supermercaa, vann denter e lù el ghe ruzza 

dennanz el carrellett. La podarìa toeu nient per el fatto 

che la gh’ha de stà bottonada in d’el spend, e ormai 

la spesa l’ha fada, ma tant per minga fass toeu via, la 

mett in del cestin on pacchett de biscòtt e on vasett de 

mel… intratant che la ghe ven adòss masarada. 

Tutt quell ben de dio, la musica, i color, i lus de le ‘offerte 

speciali’, ghe fann vegnì in ment i sò duu locaj a 

equo canone ch’hinn “in vendita”… che lee la podarà 

mai compraj e che chissà in doe l’andarà a finì. 

La pessega a voltà-via el coo e cont el did la scorlissvia 

ona lagrimetta del canton de l’oeucc. 

Par che tutt el sia lì a portada de man per mangià e bev in 

compagnia e in alegria, e lee, inveci, semper pussee solla… 

Foeura del ‘super’ ’me fudessen d’accòrd, s’invien a i 

giardinett, la banchetta, anmò quatter ciaccer e quand 

se lassen l’intesa l’è de trovass-lì, el dì dòpo, “…o se 

nò, podarissom andà al cinema”, el fa lù. “E perchè 

nò?” - la ghe rispond, e denter de lee la tenta de regordass 

l’ultima volta che l’è andada al cinema e per 

gionta compagnada d’on òmm! 

A pòcch a pòcch la Rina la torna a gustà el piasè d’ona 

pòrta averta per lassalla passà, d’ona man per andà in 

sù l’autobus, la se mett pussee in ordin, la derva perfina 

ona boggetta de profumm de chissà quanti ann fa, 

ma bon anmò, e lù el riconoss la marca. 

Torna anmò el dì de la fila ai sportej de la pension. 

Quand vegnen foeura, lù le ciappa a brazzet e senza 

tegnì cunt di domand de lee, le mèna in sù ’l cors lì 

arent in d’ona agenzia de viagg. 

“7 giorni a Palma di Majorca per 2 persone nell’età 

dell’oro”, e lù el ghe sprofonda-lì asquas tutt i sò danee 

de la pension, intratant che la Rina, a momenti 

senza fiaa, la ghe farfoja: 

“E dòpo?”. 

“Dòpo, on quaj sant provvederà!”. 

Foeura, in sù ’l marciapee, a la Rina ghe par de vess in 

gondola, a lù ghe sberlusen i oeucc, el rid ’me on bagaj 

a l’ultim dì de la scòla. 

Se ciappen per man: in de ’l coeur de tutt e duu on, 

soeuja-mì, de dolz, de mòrbid, de quiett mai provaa, o 

fòrsi nò, domà desmentegaa.

CUNTA SÙ 

a cura di Ella Torretta 

El Palazz del Capitan de Giustizia 

di Ella Torretta 

El Palazz del Capitan de Giustizia l’è quell che, ristrutturaa 

dopo i bombardament del 1943, restauraa 

in del 1965 da l’arch Piero Portaluppi el se troeuva 

in Piazza Beccaria, dove adess gh’è el Comand de la 

Vigilanza Urbana, i Ghisa. 

Ona targa de marmo sott’al pòrtigh la ricòrda la 

stòria de sto Palazz dove se amministrava la leg, se 

dava disposizion per la viabilità e se tegneven i process 

contra i Carbonari, come confermaa su on’altra 

lapide a sinistra del porton. 

In del 1628 el Capitan de Giustizia l’era Gian Battista 

Visconti. 

Per la costruzion del Palazz Carlo Borromeo l’aveva 

contribuii con “300 scudi”, el Governador Albuquerque 

con “6000 scudi” e el Consili Comunal, che allora 

el se ciamava “Consili de la Cameretta”, con 

“1000 scudi”. 

L’approvazion a la costruzion l’è datada 20/7/1569, 

ma domà on ann dòpo s’è dervii al cantier e la pòsa 

de la prima preia. 

Pedro Enrique de Azevedo, conte di Fuentes, l’ha 

daa disposizion per ingrandì el Palazz con l’inseriment 

al pian terren de cell per i carceraa, tant che 

la gent l’ha subit nominaa “Palazzo Popolare delle 

Carceri Nuove”. 

Finalment in del 1605 el Palazz l’è pront anca se 

manca el mur de cinta e in de la piazza la cà del boia 

e on gabiòtt dove posteggià la carretta, ciamada “berlina” 

che trasportava i condannaa. 

L’ingress principal cont on “ricco portale del XVII 

sec.” l’è staa ristrutturaa on secol dòpo da l’Arch. 

Piermarini. 

De l’original palazz de la fin del 1500, òpera de l’Arch. 

Piero Antonio Barca, funzionari de l’amministrazion 

spagnola, allora ciamaa “Palazzo del Tribunale 

vecchio” gh’è restaa domà el cortil principal a pòrtigh. 

In del 1880 on alter intervent l’è staa faa per mettigh 

dent la Cort d’ Assis. 

Per rivà ai nòster temp, i ghisa in servizi in de la nòtt 

del 2-3 agost del 1926 hann faa camminà per i strad 

da via Dante a Via Torin i “pedoni” sul marciapee a 

sinistra deviand i “veicoli” su la destra. 

Chi osservava minga sta disposizion el podeva “conciliare 

la multa”, s’el pagava subit, in “25 lire” per i 

vettur ò “10 lire” per tutti i alter person ò animai che 

Ella Torretta 

ha vinto con il racconto “On milanes... de color” 

il 2° Premio per la prosa 2012 

indetto dall’Antica Credenza di Sant Ambrogio 

impieniven i strad. 

Dove ona vòlta gh’era la cà del bòia, visin a quell 

che l’era el Palazz del Capitan de Giustizia. gh’è el 

monument in marmo progettaa da Giuseppe Grandi, 

inauguraa el 19-3-1871, a Cesare Beccaria, pader de 

l’abolizion de la pena de mòrt - liber “Dei delitti e 

delle pene” - pubblicaa in del 1764, trattaa che riguarda 

la giustizia moderna. 

In del 1914 hann faa ona copia in bronz de la statua 

a Cesare Beccaria, perché l’original l’aveven grattada... 

Come se leggeva in sul giornal “Il Secolo” del 16- 

3-1887 el Comun de Milan el se impegnava a cercà 

anca i statov sparii da la Galleria, perchè par che el 

sindich Pippo Vigoni ingegnee, l’avaria ordinaa de 

portà via da la rotonda de la Galleria Vittori Emanuel 

anca i ventidò statov, alt dù meter, che daven tròppa 

grazia “alle linee generali” de la Galleria. 

Sti statov hinn staa pù trovaa, come quella del Beccaria, 

chissà che fin avarann faa! 

È interessant vegnì a conoscenza del caratter de Beccaria 

Cesare. 

Òmm de pòcch paròll, el dava pòca confidenza a chi 

el cercava de imbastì on discors che riguardava la 

soa vita privada. 

L’era on personagg sedentari, diventaa grass e domà 

per estrema necessità el levava sù da la cadrega ò da 

l’adorada poltròna. 

La soa miee, ona bella dònna, ghe piaseva mettes in 

mostra per suscità l’ammirazion di present. 

In occasion d’on Convegn letterari la s’è presentada 

cont on vestii longh e inveci del sòlit cappellin con la 

veletta, cont on gran cappell de piumm coloraa che 

l’ha meravigliaa tutta la gent che partecipava a la 

manifestazion, come cunta sù Pietro Verri. 

Cesare Beccaria l’era soci de la l’ “Accademia dei 

Pugni”, come Alessandro Verri, Gianbattista Biffi, 

Luigi Lambertenghi, Alfonso Clono e Giuseppe Visconti. 



A sorpresa papa Benedetto ha deciso di abdicare alla 

cattedra di Pietro. 

È probabile che la decisione sia la conseguenza di 

un pensamento profondo, di un tormento interiore 

non indifferente. “Sono pervenuto alla certezza che 

le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte 

per esercitare in modo adeguato il ministero pietrino...” 

Il codice di diritto canonico recita: “Nel caso che il 

Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede che la rinuncia 

sia fatta liberamente e debitamente manifestata...” 

L’ultimo Pontefice che abdicò formalmente fu Pietro 

da Morrone, Celestino V, il 13 dicembre 1294. Sottratto 

alla sua cella d’eremita ed elevato al soglio, 

abdicò, dopo soli cinque mesi di pontificato, adducendo 

alla sua ottuagenaria fragilità. 

Altri tre papi prima di Celestino abdicarono dal 97 

al 1045 in circostanze storicamente non esattamente 

accertate. 

Dante liquidò con questi versi la rinuncia celestiniana. 

“Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto vidi e 

conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran 

rifiuto” (Inferno versi 58/60). Dante però non seppe 

percepire la profonda Fede del monaco del Morrone 

vero spiritualista e mistico di prua. 

La storia della Chiesa ci racconta pure che furono 

sette i papi deposti per varie ragioni dal 537 al 1048. 

Dunque, rispetto per l’angosciosa decisione di Benedetto. 

Occorre però nel contempo trovare la forza di 

comprendere le cose che nella Chiesa ci deludono e 

ci addolorano. 

Mi sembra che i papi hanno sempre più bisogno dei 

pastori minori che conoscono le piaghe, le sofferenze, 

le difficoltà e le speranze della umane creature. 

La forza della Chiesa di Cristo passa soprattutto attraverso 

l’opera dei Giovanni Bosco, Don Guanella, 

Don Orione, Don Gnocchi, Don Milani, Teresa di 

Calcutta, Cottolengo... 

Siamo entrati nel terzo Millennio e anche nella Chiesa 

spira aria di rinnovamento. Una Chiesa meno legata 

ai rituali di palazzo e che cammini con la gente 

“Pellegrina sulla Terra”rispettosa delle decisioni nodali 

del Concilio Vaticano II. 

L’evoluzione della Storia porta irreversibilmente an- 


ACCADEMIA 

Papa Benedetto ha lasciato il soglio di Pietro 

È IL QUINTO PAPA CHE ABDICA – SETTE I PAPI CHE FURONO DEPOSTI 


che il papato ad esercitare ruoli e impegni diversi dal 

passato per potere restare fedele al carattere evangelico 

originario. 

I Papi che abdicarono: 

CLEMENTE I - 97 

PONZIANO - 235 

BENEDETTO XI - 1045 

CELESTNO V - 1294 

I Papi deposti: 

SILVERIO - 537 

MARTINI I - 654 

GIOVANNI XII - 963 

BENEDETTO V - 963 

LEONE VIII - 964 

BENEDETTO XI - 1044 - 1048 (regnò tre volte ) 

Pontificati più lunghi: 

PIETRO - anni 37 

PIO IX - 32 

GIOVANNI PAOLO II - 26 

LEONE XIII - 25 

ADRIANO I - 24 

PIO VI - 24 

PIO VII - 23 

ALESSANDRO II - 22 

Pontificati più brevi: 

BONIFACIO VI - giorni 10 

URBANO VII - 13 

CELESTNO IV - 17 

MARCELLO II - 20 

TEODORO II - 22 

GIOVANNI PAOLO I - 30

Quando non si assorbe 

di Filippo Bianchi 

Con il termine di malassorbimento si indica una 

situazione patologica che è determinata da un 

difetto dei normali meccanismi di assorbimento 

delle sostanze nutritizie (introdotte nel nostro organismo 

attraverso i cibi) a livello di quella parte 

dell’apparato digerente chiamata intestino tenue. 

Essa può riconoscere cause diverse. Un’importante 

causa di malassorbimento intestinale può 

essere un’alterazione della flora batterica normalmente 

presente nell’intestino. Bisogna sapere 

che il nostro apparato digerente, e in modo particolare 

l’intestino, è colonizzato da moltissimi microrganismi 

che, nel loro insieme, costituiscono quella che 

si chiama “flora batterica”. In condizioni normali, la 

flora batterica è in perfetta simbiosi con l’organismo; 

in altre parole si ha un perfetto rapporto di convivenza 

fra il corpo umano e i batteri, ed entrambi traggono 

un proprio beneficio: l’uomo (ospite) fornisce 

materiale indigerito per il sostentamento dei batteri, 

e in compenso questi microrganismi svolgono varie 

funzioni utili all’uomo, in particolare protettive verso 

l’entrata di microorganismi patogeni. Quando si 

ha un’alterazione di questa benefica flora batterica si 

parla di “disbiosi”. La disbiosi intestinale è determinata 

da vari fattori come l’età, le infezioni, l’uso di 

farmaci, la minore regolarità intestinale, lo stress e 

un’alimentazione sbagliata. 

Quando dunque si ha un’alterazione della flora batterica 

i batteri salutari diminuiscono e quelli nocivi 

aumentano: questo mutamento della flora intestinale 

rende impossibile la completa elaborazione dei materiali 

fecali, si generano pertanto fermentazioni anomale 

e putrefazioni che, oltre a variare la temperatura 

intestinale, infiammano la mucosa e poi intossicano 

l’intestino danno origine a quel gruppo di malattie 

chiamate coliti. 

La maggior parte delle sindromi da malassorbimento 

oggi note sono però dovute ad una condizione genetica, 

che determina un difetto dei meccanismi di digestione 

di un determinato principio nutritivo. Tipico 

esempio di una malattia di questo tipo è il cosiddetto 

morbo celiaco (chiamato anche “enteropatia da glutine”). 

Questa malattia è nota in due forme, una infantile 

ed una dell’adulto. I sintomi sono quelli tipici di 

tutte le sindromi da malassorbimento; diarrea cronica 

associata ad anemia, tensione e dolori addominali, 

SALUTE A MILANO 

a cura di Filippo Bianchi 

perdita di peso, 

ritardo nell’accrescimento, 

malattie delle 

ossa, infertilità, 

intolleranza al 

latte. 

La causa del 

morbo celiaco 

non è ancora 

stata chiarita, però è noto che esso costituisce la 

risposta dell’organismo all’introduzione di glutine 

nella dieta. Il glutine è un complesso di sostanze che 

si formano durante l’impasto con acqua della farina 

di alcuni cereali, come avena, frumento, farro, kamut, 

orzo e segale. Mentre una persona sana tollera 

perfettamente il glutine, nel paziente celiaco questa 

sostanza esercita una azione “tossica” a livello intestinale, 

probabilmente dovuta alla carenza geneticamente 

determinata di un enzima necessario per il 

suo assorbimento. Nel sospetto di malattia celiaca la 

prima indagine da effettuarsi è un prelievo di sangue 

per il dosaggio di particolari sostanze (anticorpi 

anti-endomisio e anti-transglutaminasi). In caso di 

positività alla ricerca di questi anticorpi, bisognerà 

effettuare una biopsia digiunale tramite l’esecuzione 

di una gastroscopia, durante la quale viene prelevato 

un campione di mucosa digiunale, che verrà analizzato 

dall’anatomopatologo, al quale spetta pertanto il 

compito della diagnosi definitiva. 

Una persona, dopo aver scoperto la sua indisposizione 

nel consumo di alimenti contenenti glutine, è 

indispensabile che apporti qualche cambiamento al 

proprio stile di vita. Innanzitutto è necessario variare 

la propria alimentazione escludendo ogni alimento 

contenente glutine. Oggi, infatti, l’alimentazione 

senza glutine specifica per celiaci include una vastissima 

gamma di prodotti che vanno a sostituire (senza 

nulla togliere) tutte quelle pietanze un tempo proibite 

con valide e gustosissime alternative. In seguito 

a questo primo cambiamento è possibile osservare i 

primi miglioramenti e la scomparsa dei sintomi. Non 

esiste una terapia farmacologica in grado di risolvere 

la condizione ed eliminare il problema. La celiachia 

è una condizione con la quale si deve convivere per 

tutta la vita. 


Continua da pag. 11 - Via della Moscova 

Siamo all’angolo con via Solferino, dove era stato 

eretto nel 1904 il panificio militare 

e lo stabilimento per la “stagionatura” 

e l’assaggio delle sete. “Nel 

1909 si organizzava una sezione di 

depositi fruttiferi di denaro a risparmio 

allo scopo di raccogliere capitali 

per il disimpegno e servire di 

anticipazioni su merci… Di fronte 

a questo edificio, ove erano le case 

di Castelbarco con i vasti giardini 

che giungevano sino a via Marsala, 

sono sorte alcuni anni dopo la 

guerra, le case d’abitazione del signorile 

e ridente Quartiere Giardino 

(vedi pubblicazione del nostro 

Comune su “Milano 1945-1955). 

All’angolo di via Moscova largo 

la Foppa, dal lato destro, si ricorda l’antica presenza 

di una chiesetta detta di S. Maria degli Angioli, 

cenobio di monache Cappuccine, fondato nel 1619. 

Dirimpetto è il nuovo palazzo, moderno, lucente per 

il nitore dei cristalli e del metallo; rappresenta il primo 

vistoso passo verso la sistemazione urbanistica 

di corso Garibaldi e di largo La Foppa, arrivata ormai 

alla progettata soluzione. Via Moscova, a questo 

Continua da pag. 23 - El Palazz del Capitan 

de Giustizia 

In de la medesima piazza pòdi minga fà a men de 

ricordà el famos “Teatro Girolamo”, unich teater in 

Europa costruii in del 1868 per spettacol de magattei. 

Dal 1907 al 1957 l’è staa utilizzaa dai Fradei Colla 

con la rappresentazion de òper lirich, ballett ò 

commedi. 

El Palazz e la sala in stil del vòttcent, l’è òpera de 

l’Arch. Mengoni, l’architett de la Galleria Vittori 

Emanuel, teater dedicaa a Girolamo, maschera 

piemontesa del primm vòttcent. 

Già mezz secol prima su la stessa area gh’era on alter 

teater, òpera del Cagnola, che se ciamava “Fiando”, 

nòmm del proprietari e romanin piemontes Fiando. 

Poeu hinn rivaa i Fradei Colla cont i famos personagg 


ACCADEMIA 

punto, si allarga e assume un aspetto anonimo privo 

di ricordi e di testimonianze che valga la pena di ricordare”. 

All’angolo con via Lovanio il palazzo, che 

era stato sede del giornale “Popolo d’Italia” (poi in 

piazza Cavour). 

La giurisdizione religiosa di via della Moscova spetta 

alla Parrocchia S. Bartolomeo fino ai numeri 7 e 

22, a quella di S. Marco dal 9 al 29 e dal 24 al 32, a 

S. Simpliciano, il resto del dispari e a S. Maria Incoronata 

il resto dei pari. 

de legn, alt mezz meter circa, semper vestiti ben, 

manovraa dai romanitt sconduu in d’on soppalch, 

bravi a moeuv tutti i fil di magattei e interpretà i vari 

personagg de l’òpera rappresentada. 

El Teater Giròlom l’era la riproduzion in miniadura 

del Teater a la Scala, ciamaa da Carletto Colombo, 

“la Bomboniera”, classich teater a l’antiga, da 

trent’ann bandonaa, svoiaa e quell pòcch che gh’è 

restaa, resignaa da ratt e gatt. 

GLOSSARIO 

magattei. = marionette 

romanin = burattinaio 

romanitt = burattinai 

svoiaa = vuotato 

resignaa = rosicchiato

In solitudine, prestiamo un´attenzione appassionata 

alla nostra vita, ai nostri ricordi, ai dettagli che ci 

circondano. 

Virginia Woolf 

Ama tutti, credi a pochi e non far del male a nessuno. 

William Shakespeare 

Il giornalismo musicale è fatto da persone che non 

sanno scrivere che intervistano persone che non sanno 

parlare per persone che non sanno leggere. 

Firifiss 

Frank Zappa 

Di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore. 

Friedrich Nietzsche 

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso. 

Vos de ringhera 

(Proverbio popolare) 

Pestà l’acqua in del mortee. 

Pestare l’acqua nel mortaio (fare un lavoro inutile). 

Sô sui Oliv e acqua sui ciapp. 

Sole alla domenica delle Palme (ulivi), acqua a Pasqua 

(uova). 

In cà di alter loda tutt, fin i fioeu cattiv e brutt, fin el 

gatt che te sgrafigna, fin el can che te mordiga. 

In casa d’altri loda ogni cosa. 

Letizia Schettino 

“senza titolo 1” - terracotta 

Amor e gelosia se fan semper compagnia. 

Amore e gelosia si fanno sempre compagnia. Letizia Schettino 

“senza titolo 4” - terracotta


L’acqua nella pittura 

Ettore Tito 

Le mondine in Polesine, 1885. 

L’acqua a Milano 

In copertina: Naviglio Pavese

96 - Sciroeu de Milan

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