Thomas J. Scheff

Per infermità mentale - Una teoria sociale della follia

Feltrinelli, Milano 1974

Introduzione alla lettura di Luigi Anepeta

Nella recensione de La misura dell’anima di Wilkinson e Pickett ho sottolineato che il saggio, frutto di una ricerca durata 25 anni, segna il ritorno di una sociologia critica che assume come oggetto i fenomeni di devianza, tra cui un rilievo del tutto particolare assumono i disturbi psichiatrici.

Di fatto, il rigore con cui gli autori hanno portato avanti le loro ricerche, giungendo peraltro a conclusioni diverse, richiamano alla mente i fasti della sociologia delle malattie mentali, avviatasi alla fine degli anni 40’ del secolo scorso con E. Lemert, che è stata sviluppata da E. Goffman, e ha trovato in Th. Scheff il suo ultimo rappresentante (cfr Labelling Theory).

Chi ha partecipato alla lotta antistituzionale italiana, ricorda bene l’influenza esercitata dai libri di Goffman (Asylums, Stigma), che avevano il pregio (e il limite) di denunciare la pratica psichiatrica senza alcuna enfasi ideologica e, apparentemente, senza alcuna valenza politica.

Goffman aveva ereditato da E. Lemert il criterio della neutralità di giudizio, intesa come prerequisito essenziale per portare avanti un progetto di ricerca scientifico.

A Lemert, del resto, si riconduce anche T. Szasz, che attinge alla teoria dell’etichettamento per denunciare non già il sistema capitalistico (come farà nello stesso periodo E. Fromm), ma la teoria e la pratica psichiatrica come lesive dei principi liberali cui quel sistema si ispira.

La lettura di alcuni capitoli del saggio di Scheff può aiutare a capire quanto l’antipsichiatria, a partire appunto da Szasz, deve alla corrente sociologica della labelling theory (teoria dell’etichettamento).

Nonostante la teoria dell’etichettamento sia stata addirittura ridicolizzata come espressione estrema di sociologismo, volta a dimostrare che qualunque fenomeno di devianza è un prodotto dell’organizzazione sociale, nessuno degli autori ha mai sostenuto qualcosa del genere. Tutti operano una distinzione tra devianza primaria, riconducibile ad un comportamento che viene percepito socialmente come contrastante o infrattivo rispetto alla rete di regole, implicite e esplicite, che governano la vita di relazione, e la devianza secondaria, che rappresenta la conseguenza del modo in cui la società, informalmente o istituzionalmente, risponde a quel comportamento stesso, determinando spesso un’interazione negativa e una carriera deviante.

Th. Scheff sottolinea di continuo che le sue ipotesi, solo in minima parte verificate, richiedono ulteriori approfondimenti scientifici per giungere ad una teoria sociologica della malattia mentale.

Se ci si chiede perché questo orientamento di ricerca sia stato abbandonato, la risposta non è semplice.

Sicuramente, e ovviamente, ha inciso il revival della psichiatria nosografica e organicista che ha preso avvio verso la metà degli anni ’80 del Novecento. Essa ha approfittato del punto debole della teoria dell’etichettamento, vale a dire la sua incapacità di spiegare la devianza primaria. Nonostante, infatti, questo problema sia stato affrontato in termini microsistemici dalla scuola di Palo Alto, da Laing e da Esterson, la teoria del paziente come vittima dei disturbi comunicativi della famiglia non è mai stata ritenuta valida generalmente.

La psichiatria ha avuto buon gioco nel profittare di quel punto debole avanzando l’ipotesi di una vulnerabilità costituzionale del paziente, e radicalizzando tale ipotesi fino all’estremo limite di assumere la vulnerabilità genetica come fattore sine qua non si potrebbe sviluppare un disturbo psichiatrico.

Non meno, nel determinare quell’abbandono, ha inciso il basaglismo, che si è dedicato a lottare contro i processi di istituzionalizzazione del disagio psichico, utilizzando a piene mani le ipotesi della labelling theory, ma dando ad esse un significato di critica radicale del sistema capitalistico, e, soprattutto, mettendo tra parentesi la “faccia reale” della malattia mentale, vale a dire il problema della devianza primaria, del perché, in breve, un giovane manifesta repentinamente un delirio, un eccitamento maniacale, una grave depressione.

La messa tra parentesi del problema della causalità dei fenomeni psicopatologici ha spianato, purtroppo, la strada al ritorno della Psichiatria, che ad esso fornisce una risposta scientificamente inconsistente (quella appunto della vulnerabilità genetica e del disordine biochimico), ma di grande presa sull’opinione pubblica.

Rileggere Scheff rappresenta l’occasione per capire in quale misura l’approccio sociologico al problema della malattia mentale ha ancora una grande validità dal punto di vista scientifico, a patto che esso sia integrato da una spiegazione della devianza primaria che assuma la personalità umana come dimensione dinamica al cui funzionamento normale o patologico concorrono fattori di ordine biologico, soggettivo, interpersonale, microsistemico e storico-culturale.

Non si tratta insomma di contrapporre alla teoria sociologica una teoria intrapsichica, bensì di capire come l’appartenenza socio-culturale segna in profondità l’evoluzione e la strutturazione della personalità, realizzando in molti casi una normalizzazione e, in altri, un’incapacità di organizzare l’esperienza personale nei canali istituzionali che essa propone per sfuggire alla devianza.

In questa ottica, il lavoro di Scheff è ancora stimolante per più aspetti, il più rilevante dei quali è l’analisi che egli fa dell’interiorizzazione del pregiudizio psichiatrico nei pazienti stessi. E’ su questa base, infatti, che un numero rilevante di essi accettano l’etichettamento psichiatrico e le prescrizioni che ad esso seguono, mentre una minoranza si ribella ma proiettando all’esterno quel pregiudizio che di fatto condivide (affermando per esempio che matti sono gli altri).

Uno dei compiti più importanti dell’Antipsichiatria è portare avanti la lotta contro la nefasta ideologica psichiatrica, senza dimenticare che essa non ha fatto altro che convalidare una tradizione culturale di lunga durata, che è purtroppo rappresentata ed attiva anche nella soggettività dei soggetti che manifestano fenomeni psicopatologici e li induce, per sfuggire all’etichettamento, a negare la loro sofferenza cadendo nella trappola dell'assenza di coscienza di malattia che gli psichiatri considerano un segno patognomonico di essa<.

PARTE PRIMA (pp. 35-112)

TEORIA

I SISTEMI INDIVIDUALI E SOCIALI E LA DEVIANZA

Quantunque gli ultimi cinquant'anni abbiano visto un gran numero di studi sui disturbi mentali funzionali, non esiste sinora in questo campo un corpo concreto e verificato di conoscenze. Mancano in letteratura delle nozioni rigorose sulla causa, la cura, e anche sui sintomi di questi disturbi, o si trovano in forma clinica e intuitiva, e perciò non soggetta a verifica da parte di metodi scientifici. Si considerino per esempio le ricerche che sono state fatte sulle origini della schizofrenia, una delle maggiori turbe mentali. Lewis riferisce che dal 1920 al 1934 sono stati pubblicati 1778 articoli, monografie e libri su questa malattia come disturbo dell'organismo.

Nel periodo compreso tra il 1935 e il 1945, Bellack ha contato 3200 lavori in proposito. Infine negli anni che vanno dal 1940 al 1960 Jackson enumera qualcosa come 500 articoli sull'eziologia! Anche considerando la sovrapposizione fra le cifre riferite da Bellack e da Jackson, possiamo stimare che ci siano stati al minimo cinquemila scritti che riportano ricerche sulla schizofrenia nel cinquantennio successivo al 1920.

Che progressi sono stati ottenuti, come esito di quest'indagine massiva? Arieti cosí riassume i risultati degli studi biologici (organici):

Il numero di questi studi e la varietà di indirizzi da essi assunta rivelano che non si sono fatti molti progressi e che non si è ancora trovata una direzione costruttiva in campo organico.

Jackson, riassumendo i lavori più recenti, afferma:

Questi studi sono discordanti in vari punti e riflettono il fatto che la schizofrenia è una malattia particolarmente difficile da studiare...

Oggi la schizofrenia è uno dei nostri più grossi problemi medici e ciò non soltanto a causa della sua incidenza (valutata dall'uno al tre per cento della popolazione) e della sua cronicità (un quarto dei letti negli ospedali degli Stati Uniti è occupato da questi pazienti), o perché la sua incidenza più alta si registra durante il periodo più produttivo della vita, all'incirca tra i 15 e i 44 anni. Ma anche perché la medicina ha fatto progressi nella conoscenza di molte altre gravi malattie e quindi il problema della schizofrenia, per contrasto, appare più oscuro e più grave.

In altri termini, Jackson dice che non è stato fatto praticamente nessun progresso nelle ricerche sulla schizofrenia.

L'enorme quantità di tempo e fatica profusi nello studio di questa malattia e la mancanza di significatività dei risultati ottenuti con questo sforzo hanno prodotto una notevole inquietudine tra gli studiosi di psichiatria. Molti di essi hanno osservato che ciò che occorre non è solo un aumento delle ricerche, ma anche che queste si inquadrino in una cornice radicalmente diversa da quella degli studi precedenti. La seguente citazione, tratta da un recente simposio sulla schizofrenia, indica la necessità di cambiare fondamentalmente prospettiva:

Nello scorso decennio i problemi della schizofrenia cronica hanno richiesto l'impegno dei ricercatori in molti campi. Nonostante i contributi significativi, che riflettono un continuo pro. gi‑esso, dobbiamo ancora imparare a rivolgere a noi stessi le domande giuste.

Molti studiosi, non solo nel campo della schizofrenia, ma in quello di tutti i disturbi mentali, sono ora unanimemente d'accordo; non solo le indagini sistematiche non sono riuscite a fornire risposte ai problemi causali, ma c'è in grande misura la sensazione che il problema stesso non sia stato formulato in modo corretto.

Una deficienza rilevata di frequente nell'impostazione psichiatrica del problema consiste nel fatto che i pocessi sociali non vengono compresi nella dinamica delle malattie mentali. Quantunque gli psichiatri riconoscano sempre di più l'importanza di questi processi, i sistemi cui si riferiscono i modelli concettuali usati nell'impostare i problemi della ricerca hanno fondamentalmente una base individuale piuttosto che sociale. Le indagini genetiche, biochimiche e psicologiche ricercano agenti causali differenti, utilizzando però modelli simili: i sistemi dinamici localizzati all'interno dell'individuo. In queste ricerche i processi sociali tendono a essere relegati a un ruolo sussidiario, in quanto il modello concentra l'attenzione sulle differenze individuali piuttosto che sul sistema sociale di cui l'individuo [a parte.

Anche nelle teorie che non hanno una base organica, al sistema sociale viene attribuita una funzione di importanza relativamenta minore per l'interpretazione delle malattie mentali. Questo è vero per la psicoanalisi, la più autorevole delle teorie non organiche, quantunque Freud e i suoi allievi abbiano rilevato di frequente l'importanza dell'ambiente sociale e culturale. Per sottolineare l'impbrtanza del sistema di riferimento usato da una teoria, è utile confrontare le idee psicoanalitiche, edificate sui sistemi individuali, con l'analisi marxista, che è interamente basata su quelli sociali, ed esclude completamente ogni considerazione dei primi.

Per la teoria psicoanalitica le origini delle nevrosi sono esterne all'individuo. La formulazione di Freud era: "Il complesso di Edipo è il nocciolo di ogni nevrosi." Fenichel, allievo di Freud e principale codificatore delle idee psicoanalitiche, afferma:

Il complesso di Edipo è allo stesso tempo l'acme normale dello sviluppo sessuale infantile e la base di tutte le nevrosi.

Secondo questa teoria, tutti i bambini passano attraverso una fase in cui il genitore di sesso opposto è scelto come oggetto sessuale, provocando un'ostilità e una rivalità intense nei riguardi dell'altro genitore. Nei bambini che si avviano a diventare adulti normali, il complesso di Edipo si risolve: il bambino, cioè, respinge come oggetto sessuale il genitore di sesso opposto, e si identifica con l'altro, liberandosi attraverso il rifiuto da successivi impulsi incestuosi, e avviando, attraverso l'identificazione, la formazione del Super‑lo, che è la vera base di una normale struttura psichica adulta.

Se però uno dei genitori non viene rifiutato e l'altro non viene preso come modello, si genera un difetto fondamentale della struttura psichica. In questo caso, si forma un adulto che non è mai separato psicologicamente dai suoi genitori: durante tutta la vita egli non farà altro che combattere il conflitto edipico. Tutti i suoi rapporti con le persone dell'altro sesso saranno pervasi dalla colpa dell'incesto, essendo le sue percezioni fondate sulle immagini della prima infanzia in famiglia. Analogamente, tutti i suoi rapporti con le persone dello stesso sesso si coloreranno dell'ostilità e della rivalità che provava per l'altro genitore.

Secondo questa teoria, il ragazzo che attraversa l'infanzia senza risolvere il conflitto di Edipo non potrà più stabilire nella vita nuove relazioni con donne o uomini, ma rimarrà imprigionato nella relazione incestuosa, e perciò psicologicamente insostenibile, con la madre, e in quella ostile e colma di rivalità con il padre.

Fenichel osserva che la situazione sociale della famiglia del bambino all'epoca del conflitto edipico è una chiave determinante per la sua risoluzione. L'assenza di uno dei genitori, o la debolezza di uno o dell'altro come molte altre eventualità, sono cause potenziali di una mancata risoluzione. Occorre, tuttavia, notare che una volta passata la fase edipica (approssimativamente tra i tre e i sette anni), questi fattori nocivi esterni non sono più in gioco nel sistema di comportamento nevrotico. Se il conflitto non si risolve in questa fase, il danno psichico si manterrà per tutta la vita, più o meno indipendentemente dalle ulteriori esperienze. E' vero che gli psicoanalisti parlano di fattori scatenati nell'età adulta, ma è chiaro che essi presentano solo un interesse secondario. Chi è angosciato dal conflitto edipico è un adulto imperfetto, e le tensioni che gli altri potrebbero superare con facilità possono gettarlo in una completa nevrosi. Il modello psicoanalitico della nevrosi è cosí, fondamentalmente, un sistema di comportamento interno all'individuo. La situazione esterna in cui vive è vista solo come una fonte pressoché illimitata di fattori scatenanti per un conflitto nevrotico già pienamente sviluppato al suo interno. La psicoanalisi, come molte teorie contemporanee sulle malattie mentali sia psicologiche sia organiche, pone il sistema nevrotico entro l'individuo.

A dire il vero gli psicoanalisti, come altri teorici in campo psichiatrico, riconoscono anche elementi esterni. Fenichel afferma:

Per usare la metafora di Freud, nella persona normale sono poche le "truppe di occupazione" che rimangono nella posizione del 'complesso di Edipo," in quanto in maggioranza han marciato in avanti. Però, in caso di grave minaccia, aneh'esse possono ritirarsi, e cosi una persona normale può diventare nevrotica. Chi ha invece una disposizione nevrotica, lascia quasi tutte le sue truppe nel complesso di Edipo: hanno avanzato solo in poche, e alla più lieve difficoltà anche queste devono indietreggiare e raggiungere il grosso delle forze nella loro prima posizione, appunto il complesso di Edipo.

Ammissioni analoghe si possono trovare in pratica in tutte le teorie correnti sulle malattie mentali. Inutile dire che in queste, come nella psicoanalisi, l'impulso e la direzione nella quale evolvono non vanno cercati nelle eccezioni e nelle specificazioni, ma nei legami sistematici da esse affermati, che uniscono le caratteristiche fondamentali degli individui al loro comportamento nevrotico. Nella teoria psicoanalitica si ottiene un importante sviluppo concettuale quando si collegano le origini delle nevrosi nella fase edipica, attraverso i meccanismi evolutivi psicosessuali, al loro risultato finale, che è trattato dai teorici della psicoanalisi con grande ricchezza di dettagli: la formazione dei sogni, gli errori e le dimenticanze di ogni giorno, e infine, nella loro multiforme varietà e complessità, i sintomi nevrotici.

Molti critici della teoria psicoanalitica hanno contestato proprio questo tratto: il far risalire i tipi più differenti di reazioni umane alla generica sub‑struttura psicologica risultante dal complesso edipico. I critici di Freud affermano che il modello psicoanalitico di uomo è troppo ristretto, limitato, rigido, monodimensionale. Ne è un esempio il modo con cui gli psicoanalisti si sono sforzati di mostrare come la creatività artistica derivi dal conflitto psicosessuale. E' stato anche contestato il postulato chiave di Freud della sovradeterininazione dei sintomi. La letteratura psicoanalitica abbonda di esempi che mostrano come un sintomo non sia semplicemente la conseguenza di una causa singola, ma solo un aspetto di un'autentica rete di fenomeni psichici. E' per questo motivo che di solito gli psicoanalisti sono contrari al trattamento dei sintomi: la loro teoria li porta ad attendersi che se un sintomo viene eliminato senza cambiare la struttura psicologica di base, ben presto ne comparirà uno nuovo al suo posto. Ma i critici hanno obiettato che la teoria psicoanalitica sembra affermare un tipo di predestinazione in cui il nevrotico è inesorabilmente prigioniero del suo sistema.

Dal punto di vista dell'edificazione di una teoria scientifica valida, però, molte di queste critiche sembrano malposte. E' proprio la "sistemicità" della teoria psicoanalitica che la rende un'arma cosi potente per l'indagine del comportamento nevrotico. Partendo da relativamente pochi postulati generali, essa sviluppa un numero enorme di proposizioni estremamente concrete. Una tale teoria è al tempo stesso potente, ramificandosi in molti campi del comportamento, ma anche potenzialmente confutabile, sicché con un adeguato programma di ricerche empiriche potrebbe essere adattata, rigettata o trasformata.

Inoltre la nozione di sovradeterminazione dei sintomi si accorda in larghissima misura con i recenti sviluppi della costruzione delle teorie. Nella teoria dei sintomi generali, per esempio, l'idea di sovradeterminazione è strettamente correlata al modello di un sistema ad auto‑regolazione. Il tratto chiave di un sistema di questo tipo è il "feed‑back negativo," tale che le devianze dallo stato di equilibrio del sistema sono rilevate e immesse nuovamente nello stesso, in modo tale da provocare un ritorno allo stato di equilibrio. Non c'è motivo di credere che un sistema di questo tipo si trovi nei domini dell'elettronica o della biologia: le interpretazioni psicoanalitiche hanno suggerito in vario modo la presenza di queste proprietà nei sistemi psicologici. Nei seguenti capitoli verrà delineato un sistema ad auto‑regolazione comprendente la devianza e la reazione alla stessa.

L'obiezione che viene qui mossa alla teoria psicoanalitica non consiste nel fatto che considera il comportamento nevrotico come parte di un sistema chiuso, ma che il sistema enunciato è troppo ristretto, in quanto lascia fuori aspetti del contesto sociale che sono vitali per la comprensione dei disordini mentali. Il modello fondamentale su cui è costruita la psicoanalisi è quello di malattia, in quanto dipinge il comportamento nevrotico come rigidamente originato da un sistema psicologico difettoso insito nel corpo.

Per porre maggiormente in rilievo il carattere individuale del sistema teorizzato dalla psicoanalisi, è istruttivo porlo a confronto con la teoria marxiana, che si basa sul sistema sociale.

Come Freud, Marx inizia la sua analisi con relativamente pochi postulati, ma molto astratti. Di questi, l'affermazione fondamentale è che in ogni società sono i modi di produzione che determinano le forme sociali fondamentali, inclusi i sistemi politici ed economici, la direzione e l'andamento dei mutamenti sociali e, in definitiva, anche la coscienza dell'uomo. Questo punto è posto con molta chiarezza quando Marx afferma che in ogni società i modi di produzione costituiscono la struttura, e tutte le altre forme sono mere sovrastrutture. Marx procede da questa premessa di base per costruire una teoria della storia e della società in cui le caratteristiche degli individui sono più o meno irrilevanti.

Nell'analisi dell'Europa a lui contemporanea, Marx affermò che l'accumulazione del capitale era il processo che determinava la struttura e i mutamenti sociali. Nel capitalismo primitivo, il punto più critico era costituito dall'accumulazione di un capitale sufficiente perché non fosse continuamente in pericolo l'esistenza dell'uomo. Il primo capitalista poteva permettersi di pattuire il prezzo del lavoro, piuttosto che accettare qualsiasi cosa gli offrisse il mercato. La società si divideva in due classi, i capitalisti che potevano fissare i contratti, e i lavoratori che non lo potevano fare. Nel corso della stipulazione, i prezzi di mercato del lavoro assumevano inevitabilmente il livello più basso, quello della sopravvivenza dei lavoratori, a spese dei quali, per la stessa logica, i capitalisti si arricchivano. Per i nostri scopi, il lato più interessante della teoria di Marx è il modo con cui questi trascurava le motivazioni degli individui. Per ciò che riguarda i capitalisti, ad esempio, non importava per lo sviluppo del sistema capitalistico che questi avessero o no concezioni umanitarie. Se uno di questi si fosse rifiutato per ragioni umanitarie di depredare i lavoratori, sarebbe stato egli stesso depredato dagli altri capitalisti. Marx e i suoi seguaci avevano coscienza di aver sviluppato una teoria che era indipendente dalla psicologia degli individui.

Da queste considerazioni, Marx formulava la legge dell'accumulazione del capitale:

Ma tutti i metodi per la produzione di plusvalore sono al tempo stesso metodi dell'accumulazione e ogni estensione dell'accumulazione diventa, viceversa, mezzo per lo sviluppo di quei metodi. Ne consegue quindi, che nella misura in cui il capitale si accumula, la situazione dell'operaio, qualunque sia la sua retribuzione, alta o bassa, deve peggiorare. La legge infine che equilibra costantemente sovrappopolazione relativa, ossia l'esercito industriale di riserva da una parte e volume e energia dell'accumulazione dall'altra, incatena l'operaio al capitale in maniera più salda che i cunei di Efesto non saldassero alla roccia Prometeo. Questa legge determina un'accumulazione di miseria proporzionata all'accumulazione di capitale. L'accumulazione di ricchezza all'uno elci poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale.

Marx rileva l'effetto sociale e psicologico di questo processo sul lavoratore come individuo:

[..] entro il sistema capitalistico tutti i metodi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese dell'operaio individuo; tutti i mezzi per lo sviluppo della produzione si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore, mutilano l'operaio facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest'ultimo la scienza viene incorporata conic potenza autonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale.

Partendo dalla dinamica del sistema capitalistico, Marx sviluppava delle proposizioni che giungevano infine a predire le conseguenze psicologiche per gli individui. L'affermazione concernente la mancata utilizzazione delle potenzialità intellettuali del lavoro, insieme ad altre simili, è uno dei fondamenti delle correnti formulazioni sulla alienazione, condizione psicologica che costituisce uno dei temi più attuali del dibattito della psichiatria.

Ai fini del nostro discorso, della teoria marxiana non sono tanto importanti le manchevolezze quanto la forma generale. Il sorgere di efficienti sindacati industriali viziava l'analisi di Marx alla premessa, vale a dire l'irreversibilità della legge dell'accumulazione del capitale. Nella sua forma, comunque, la teoria fornisce l'esempio di un modello di sistema sociale che non include nessun aspetto dei sistemi individuali di comportamento. Da questo confronto sorge la seguente domanda: possiamo formulare una teoria che integri in qualche modo i sistemi di comportamento sia individuali sia sociali?

Recentemente diversi autori hanno cominciato a sviluppare un tipo di impostazione che, pur non trascurando del tutto gli aspetti individuali, dà ai processi sociali un risalto maggiore di quanto non facciano le teorie psichiatriche tradizionali. Lemert, Erikson e Goffman tra i sociologi, e Szasz, Laing e Esterson tra gli psichiatri, hanno dato un contributo notevole in questo senso. Lemert, in particolare, ha diretto specificamente la sua attenzione sui meccanismi di controllo sociale, rifiutando i riferimenti più convenzionali alle origini dei sintomi mentali e ponendo invece l'accento sull'importanza potenziale della reazione della società nella stabilizzazione della trasgressione alla norma. Il lavoro di tutti questi autori suggerisce delle strade di ricerca separabili analiticamente dai problemi dei sistemi individuali, e mirano, perciò, a una teoria che incorpori i processi sociali.

Nella sua discussione dell'arte del gioco, Berne espone un'analisi dell'alcolismo fondata sul modello di un sistema sociale piuttosto che individuale:

"Nell'analisi del gioco l'alcolismo e gli alcolizzati non esistono; esiste però un gioco con un personaggio che si chiama l'Alcolizzato.

Se il vizio del bere è radicato in una anomalia biochimica o fisiologica ‑ ma la cosa è ancora discutibile ‑ allora il caso riguarda l'internista. L'analisi del gioco si occupa di tutt'altro: si occupa cioè dei tipi di transazione sociali collegati al vizio di bere. Di qui l'"Alcolizzato" inteso come gioco.

Nella sua espressione più completa si gioca in cinque, ma siccome la stessa persona può interpretare più parti, si può impostare e giocare anche in due. Il personaggio principale è l'Alcolizzato, che chiameremo il Bianco (il suo antagonista sarà il Nero). L'antagonista è l'Accusatore, interpretato nelle situazioni tipiche da un individuo dell'altro sesso, di solito il coniuge. Viene poi il Salvatore, che è quasi sempre dello stesso sesso del Bianco: magari ii buon medico di famiglia che si interessa del paziente ma anche dei problemi clell'alcolismo. Nella situazione classica, riesce a farlo smettere e a salvarlo. Quando il Bianco è stato per almeno sei mesi senza bere neppure un bicchierino, si congratulano reciprocamente. Il giorno dopo il Bianco finisce ubriaco fradicio nel classico rigagnolo.

Poi c'è il Merlo. In letteratura, il personaggio è interpretato dal droghiere di buon cuore, disposto a far credito al Bianco, a dargli un panino o un caffè gratis, senza rimproveri e senza tentativi di riportarlo sulla retta via. Nella vita invece la parte è quasi sempre riservata alla madre del Bianco, pronta a rifornirlo di soldi, a compatirlo, a prendere le sue parti contro la moglie incomprensiva. Il Bianco è tenuto a dare una giustificazione più o meno plausibile del suo bisogno di denaro: ed ecco che tira in ballo qualche vago progetto in cui fingono di credere tutti e due, pur sapendo benissimo dove andranno a finire i soldi. Qualche volta il Merlo assolve un'altra funzione, utile ma non essenziale: quella dell'Agitatore, del 'bravo ragazzo" sempre pronto a offrire da bere senza che nessuno glielo chieda: "Andiamo, tienimi compagnia (così fai prima a rovinarti)".

"La professione sussidiaria di tutti i giochi basati sul bere è quella del barman. Nell"Alcolizzato" fa da Agente di collegamento, il quinto personaggio del gioco: rifornisce il cliente, ascolta comprensivo le sue confidenze, è in un certo senso la persona più importante della sua vita. Tra lui e gli altri giocatori passa la stessa differenza che distingue i professionisti dai dilettanti in ogni tipo di gioco: il professionista sa quando è il momento di dire basta. Ad un certo punto il bravo barman rifiuta di servire l'Alcolizzato che così si vede tagliare i rifornimenti: a meno che non riesca a scovare un Agente di collegamento più indulgente»

Sembra che Berna suggerisca che la dinamica dell'alcolismo è legata più alle interazioni tra gli occupanti delle cinque posizioni interpersonali che descrive che alle motivazioni e alle caratteristiche dell'alcolizzato, il cui comportamento, secondo la sua analisi, può essere interpretato solo come parte integrale di un sistema interpersonale.

i teorici dell'apprendimento hanno condotto in psicologia una critica dell'uso dei modelli medici in psichiatria, la quale segue una linea sotto molti aspetti parallela a quella di questa discussione. Nell'introduzione di Case Studies in Behavior Modification se ne può trovare una Formulazione completa e ben documentata. Il modello psicologico proposto in alternativa a quello medico è fondato sull'arco stimolo‑risposta. I risultanti processi di diagnosi e trattamento sono stati descritti in modo semplice da Eysenck:

La teoria dell'apprendimento non postula nessuna "causa inconscia," ma considera i sintomi nevrotici delle semplici abitudini apprese; non c'è nessuna nevrosi alla base del sintomo, ma semplicemente il sintomo stesso. Liberati dal sintomo, e avrai eliminato la nevrosi.

Questi ricercatori propongono un tipo di impostazione nello studio dei disturbi mentali che si mostra superiore al modello medico sotto tre aspetti: primo, è comportamentistico, e perciò tiene conto della ricerca empirica. Secondo, è legato a un corpo di proposizioni sistematico ed enunciato esplicitamente, cioè la teoria dell'apprendimento. Infine, poggia su un insieme piuttosto cospicuo di studi empirici. Pare che questo tipo di impostazione abbia fornito importanti contributi sia alla teoria sia alla pratica psichiatrica, e condurrà probabilmente nel futuro a un lavoro fruttuoso.

Nello stesso tempo occorre anche notare come in pratica il concetto di "modificazione del comportamento" tenda ad essere usato come un modello di sistema individuale dei disturbi mentali. Questo non è concettualmente necessario; Ullmann e Krasner concepiscono i sintomi psichiatrici come comportamento disadattato, il cui trattamento, proseguono col dire, dovrebbe avere il fine di cambiare il rapporto tra paziente e stimoli ambientali. Questa formulazione non affronta il problema se questo rapporto debba essere cambiato agendo sul paziente o sull'ambiente, ma sembra chiaro, dall'elenco delle tecniche usate per modificare il comportamento, che l'obiettivo di queste sia il paziente. Tra le tecniche elencate da Ullmann e Krasner, ‑ il cui obiettivo è il paziente - le più importanti sono quelle come: risposte assertive, risposte sessuali, risposte di rilassamento, risposte di condizionamento negativo, risposte di alimentazione, chemioterapia, terapia espressiva, imagerie emotiva, presentazione in vivo di stimoli negativi, imitazione, pratica negativa, auto‑rivelazione, estinzione, rinforzo selettivo positivo, e deprivazione e saturazione di stimoli, che sono volte a cambiare il sistema psicologico del paziente più che il sistema interpersonale e sociale di cui è membro. Per di più, non è chiaro come sia possibile al terapista operare dei mutamenti attraverso il condizionamento, quando la tecnica che in realtà utilizza costituisce solo una piccola frazione della stimolazione ambientale totale cui il paziente è sottoposto.

La "modificazione del comportamento" tende, come il modello medico, a isolare il sintomo dal contesto sociale in cui si manifesta, e ciò anche nelle formulazioni più accurate, come quella di Ullmann e Krasner, in cui il comportamento disadattato viene posto in relazione con il contesto sociale:

I comportamenti disadattati sono appresi, e nell'evoluzione e nel mantenimento non differiscono dagli altri. Non c'è discontinuità tra modalità desiderabili o indesiderabili di adattamento, o tra comportamenti" sani" o "malati." Il primo e più importante problema implicito in questo modo di vedere le cose è come un comportamento possa essere identificato come desiderabile o no, adattato o meno. La risposta in generale che proponiamo è che, poiché nella maggioranza dei soggetti che manifestano un comportamento disadattato non ci sono concretamente delle malattie in gioco, la designazione di un comportamento come patologico o meno dipende dalla società in cui l'individuo vive.

A questo punto la loro formulazione di" comportamento disadattato" segue esattamente la definizione qui data di comportamento deviante. Essi proseguono specificandone inoltre il significato in termini di ruoli e rinforzo di ruolo.

Specificamente, mentre non esistono dei comportamenti singoli che possano dirsi adattati in tutte le culture, esistono però per ognuna di queste delle aspettative definite, o ruoli, per le funzioni degli adulti, in termini di responsabilità familiare o sociale. Accanto ai ruoli ufficiali, c'è un'intera gamma di rinforzi potenziali attesi. La persona il cui comportamento è disadattato non tiene del tutto fede alle aspettative riguardanti uno del suo ruolo, non risponde a tutti gli stimoli presenti, e non ottiene le forme di rinforzo tipiche o massime disponibili per uno del suo stato... Il comportamento disadattato è quello che viene considerato incongruo da quelle persone chiave nella vita di un individuo che ne controllano i rinforzi.

Riesposto in termini sociologici, questo enunciato afferma che la devianza è violazione di norme sociali, conduce a sanzioni sociali negative. Ancora una volta si ha un parallelo strettissimo tra la formulazione sociologica e quella psicologica.

Potenzialmente, questa formulazione del comportamento disadattato in termini di aspettative di ruolo e di rinforzo è un forte strumento psicologico, poiché tende a introdurre i meccanismi di controllo sociale, e perciò a fornire un vigoroso legame tra modelli di comportamento basati su sistemi individuali e sociali. Per conservare questo legame è comunque necessario ricordare che un comportamento viene classificato come disadattato relativamente alle norme di una società particolare, e non secondo un giudizio assoluto do stesso ragionamento è naturalmente valido per il concetto di devianza).

Quando vengono usati dei modelli fondati su sistemi individuali, mantenere una posizione relativistica si dimostra molto difficile, e in particolare quando questo inquadramento viene trasmesso a degli allievi. Un esempio di questa difficoltà è rappresentato dal lavoro di Sullivan e dei suoi seguaci. Quantunque Sullivan cercasse di individuare i sintomi psichiatrici al di fuori del paziente, definendoli come disturbi delle relazioni interpersonali, i suoi allievi li ricollocarono all'interno dell'individuo, definendo la malattia mentale come una deficienza della capacità di stabilire delle normali relazioni interpersonali. Una tale individualizzazione di concetti nati da sistemi sociali si può osservare nella formulazione di Ullmann e Krasner, quando definiscono la non rispondenza a "tutti gli stimoli effettivamente presenti" un criterio di comportamento disadattato. Poiché la risposta agli stimoli di ciascuno in ogni ruolo è altamente selettiva, sembrerebbe che a questo punto la definizione assoluta di devianza si sia capovolta in termini di patologia individuale. Un modello di malattia mentale fondato sui sistemi sociali ha una funzione, quella di fornire un'inquadratura che faciliti, nello studio di questi disturbi, un'impostazione libera dai problematici assunti della patologia implicita nei sintomi psichiatrici.

Tra le formulazioni degli antropologi, il modello bioculturale di Anthony F. C. Wallace è quello che segue più da vicino quello qui descritto. Wallace, che dà un maggior risalto alle origini organiche delle trasgressioni alla norma, afferma che la causa iniziale delle malattie mentali è fisiologica, ma che il loro decorso è profondamente modellato dai "labirinti" culturali (mappe cognitive). In modo abbastanza dettagliato, egli osserva come le "teorie" sulla malattia possedute dal soggetto, dalla sua famiglia, dagli altri con cui è in contatto, e dai "Professionisti," influenzino questa come sistema di comportamento. Le principali componenti di una "teoria" della malattia devono essere:

1. Gli stati specifici (normalità, turbamento, psicosi, cura, rinnovamento della personalità).

2. I meccanismi di passaggio che spiegano (a soddisfazione dei membri della società) le modalità attraverso cui un malato si muove da uno stato all'altro.

3. Il programma di malattia e guarigione, che è descritto dall'intero sistema.

Wallace analizza estesamente una sindrome particolare, il piblolctoq degli eschimesi, stato di eccitazione acuta nota a volte come isteria artica. Secondo la sua teoria questa forma ha un fondamento fisiologico nella deficienza di calcio (ipocalcemia), ma viene modellata dalle interpretazioni proprie di quella cultura fatte dai malati e da quelli con cui hanno a che fare. Seguendo il modello di Wallace, Fogelson espone un'analisi particolareggiata del windigo, una sindrome di cannibalismo coatto che si riscontra tra gli indiani di lingua nord‑algonchina, che pone in risalto le interpretazioni del comportamento di trasgressione alla norma proprie di quella cultura. Discuteremo in seguito il rapporto tra il modello di Wallace e quello qui sviluppato (v. cap. 6, pp. 188‑89).

Scopo del nostro discorso è enunciare un insieme di nove proposizioni che costituiscano gli assunti fondamentali di un modello fondato su un sistema sociale dei disturbi mentali. Ad eccezione di due da 4 e la 5), queste proposizioni derivano tutte dal lavoro degli autori che sono stati sopra elencati, e sono suggerite in modo più o meno esplicito dalla bibliografia citata. Enunciandole esplicitamente, questa teoria cerca di facilitare il controllo delle ipotesi fondamentali, nessuna delle quali è stata verificata empiricamente, o lo è stata solo in parte. Con questa formulazione in termini di concetti sociologici classici, tento di dimostrare la pertinenza per lo studio dei disturbi mentali dei risultati di diversi campi delle scienze sociali, come i rapporti tra le razze e la soggezione all'autorità, delineando anche tre problemi cruciali per una teoria sociologica di questi disturbi: in quali condizioni, in una determinata cultura, diversi tipi di trasgressione divengono stabili e uniformi; in quale misura, in differenti fasi della carriera dei pazienti, i sintomi delle malattie mentali sono il risultato di un comportamento di conformità; esiste un complesso generale di circostanze che conduce alla definizione di comportamento deviante come manifestazione di malattia mentale? Questa discussione cerca infine di precisare degli strumenti concettuali specifici direttamente legati alla teoria sociologica che tratta di questi problemi; ne sono esempi l'istituzione sociale della pazzia, la trasgressione residua alla norma, la devianza, il ruolo sociale del malato di mente, e la dicotomizzazione della reazione della società nelle due alternative di rifiuto e marchio.

Questi strumenti concettuali vengono utilizzati per costruire una teoria dei disturbi mentali in cui i sintomi psichiatrici sono considerati violazioni delle norme sociali cui è stato imposto un marchio, e la "malattia mentale" stabilizzata assume un ruolo sociale. La validità di questa teoria dipende da quanto le nove proposizioni sotto elencate verranno verificate dai futuri studi, e dovrebbe perciò essere applicata con cautela tenendone presenti i limiti. Uno di questi è che la teoria tenta di render conto di una classe di fenomeni molto più ristretta di quella che si trova abitualmente nell'elenco dei disturbi mentali; la discussione che segue si concentrerà esclusivamente sui disturbi mentali stabili o ricorrenti, senza spiegare le cause delle turbe episodiche. Un secondo e più importante limite è che la teoria probabilmente distorce i fenomeni in discussione. Come i modelli fondati sui sistemi individuali sottovalutano i processi sociali, quello qui presentato ne esagera probabilmente l'importanza, "mantenendo costanti" le differenze individuali per poter articolare il rapporto tra società e disturbo mentale. Sarebbe infine desiderabile una cornice che comprenda sia i sistemi individuali che quelli sociali, senza alterare il contenuto di nessuno dei due. La nostra inquadratura, ponendosi in contrasto esplicito con le più convenzionali impostazioni mediche e psicologiche, può, dato lo stato attuale delle formulazioni in questo campo, avere una sua utilità aiutando così a rendere più perspicui gli studi sociologici sulle malattie mentali.

Occorre chiarire, a questo punto, che lo scopo di questa teoria non è quello di rifiutare le formulazioni psichiatriche e psicologiche nella loro totalità. E' ovvio che queste hanno svolto e continueranno a svolgere sia nella teoria sia nella pratica utili funzioni in questo campo. Il nostro fine è piuttosto quello di sviluppare un modello che completi quelli fondati sui sistemi individuali, ponendosi con essi in un contrasto totale ed esplicito. I modelli fondati sui sistemi individuali, pur avendo condotto a dei progressi sia nelle ricerche sia nelle cure, hanno anche trascurato sistematicamente alcuni aspetti del problema; come i modelli psicologici, anche quelli fondati sui sistemi sociali. illuminano alcuni aspetti del problema mettendone in ombra altri. Questo però consente una nuova visione del campo, poiché chiarifica quei problemi che tendono ad essere più oscuri se osservati da un punto di vista medico o psichiatrico.

Max Weber, per l'analisi da lui chiamata "unilaterale," ha enunciato chiaramente le condizioni per l'uso di modelli analitici limitati:

La giustificazione di un'analisi unilaterale della realtà culturale da "punti di vista" specifici.., emerge sempliceniente come un espediente tecnico dal tatto che l'addestramento (training) all'osservazione degli effetti di categorie di cause qualitativamente simili e l'utilizzazione ripetuta dello stesso schema di concetti e di ipotesi offre i vantaggi della divisione dcl lavoro. E' libera dall'accusa di arbitrarietà nella misura in cui ha successo nel far discernere le interconnessioni che si sono mostrate preziose per la spiegazione causale di eventi storici concreti.

Si può pensare che l'analisi unilaterale offra anche un altro vantaggio oltre a quelli, come suggerito da Weber, della divisione del lavoro scientifico. Uno scopo centrale proprio della natura della ricerca scientifica è lo sviluppo dell'esperimento cruciale, uno studio i cui risultati conducono al confronto decisivo tra due opposte teorie, in modo da poterne accettare una e rigettare l'altra.

Implicita in ciò è la concezione della scienza come processo antagonistico, in cui il progresso scientifico nasce dal confronto di teorie esplicitamente in conflitto. Nella sua formulazione della storia dei mutamenti nelle scienze naturali, Kuhn considera tutti i progressi scientifici come conflitto di" paradigmi in competizione," cioè teorie opposte` Whitehead ha enunciato con molta chiarezza questo punto di vista:

Un conflitto di dottrine non è una sciagura, è una occasione per agire... Nella logica formale, una contraddizione è il segno di una sconfitta; ma nell'evoluzione del sapere effettivo segna il primo passo del progresso verso la vittoria.

Una via di progresso nella scienza è la formulazione intenzionale di modelli mutuamente incompatibili, ognuno incompleto ed esplicativo di solo una parte dell'area di ricerca. Come nella teoria legale delle procedure di opposizione tra le parti, l'avanzare della scienza poggia su un processo dialettico che si manifesta quando vengono poste in conflitto delle posizioni ognuna delle quali è di per sé inadeguata. In questa discussione sulle malattie mentali, il modello del sistema sociale non viene proposto come conclusivo in se stesso, ma come antitesi a quello del sistema individuale. Considerando esplicitamente questi modelli antitetici, si può aprire la via a una sintesi, un modello che abbia i vantaggi di entrambi senza presentarne gli inconvenienti.

In questa discussione verrà sviluppata [...] una teoria sociologica, che fornirà a sua volta l'inquadratura per gli studi sui campo che sono riportati nell'ultima parte del libro. Questa teoria ha due componenti fondamentali: il ruolo sociale e la reazione della società. I suoi assunti affermano che la maggior parte delle malattie mentali croniche rappresentano almeno in parte un ruolo sociale, e che la reazione della società è di solito il fattore determinante più importante per l'ingresso in tale ruolo...

2
LA DEVIANZA RESIDUA

Ogni teoria sociale sulle "malattie mentali" presenta come fonte dì difficoltà immediata il fatto che nella nostra società i termini usati in riferimento a questi fenomeni pregiudicano l'esito della teoria stessa. La metafora medica "malattia mentale" suggerisce un determinato processo che avviene all'interno dell'individuo: la manifestazione e lo sviluppo dell'infermità. Per poter evitare questa ipotesi, noi formuleremo il problema utilizzando concetti sociologici piuttosto che medici. In questo senso, è particolarmente decisivo il concetto di" sintomo" psichiatrico, che è assegnato a quel comportamento che vien preso a significare l'esistenza di una sottostante malattia mentale. Poiché l'esistenza della malattia sottostante non è provata nella grande maggioranza di questi casi, occorre discutere il comportamento "sintomatico" in termini che non implichino la presunzione di malattia.

I due concetti che sembrano più adatti al compito di discutere i sintomi psichiatrici da un punto di vista sociologico sono la trasgressione alla norma e la devianza. Con la prima si intende un comportamento che sia in chiara violazione delle regole accettate dal gruppo, e che vengono abitualmente definite dai sociologi come norme sociali. Se i sintomi delle malattie mentali devono essere interpretati come violazioni delle norme sociali, è necessario specificare di quale tipo di norme si tratti. Nella maggior parte dei casi al violatore non viene imposto il marchio di malato di mente, ma quello di maleducato, ignorante, immorale, criminale, o forse solo turbato, secondo il tipo di norma in gioco. Ci sono però innumerevoli norme su cui il consenso del gruppo è così assoluto che i suoi membri mostrano di darle per scontate.

Anche la più semplice conversazione è circondata da una moltitudine di tali norme: ci si aspetta che una persona impegnata a conversare sia rivolta verso l'interlocutore piuttosto che in direzione diametralmente opposta; se il suo sguardo è rivolto all'interlocutore, ci si attende che sia diretto verso i suoi occhi, piuttosto che, diciamo, verso la fronte; che rimanga a distanza conveniente per la conversazione, non troppo vicino né troppo lontano dall'interlocutore e così via. Di una persona che violasse sistematicamente queste aspettative probabilmente non ci si limiterebbe a pensare che è un maleducato, ma che è strano, bizzarro, e da temere, in quanto il suo comportamento viola il mondo presunto del gruppo, quello interpretato come il solo che sia naturale, conveniente e possibile.

Il concetto di devianza usato qui è in accordo con quello di Becker. Egli argomenta che la devianza può essere più utilmente considerata come una qualità della risposta della gente a un atto, piuttosto che come una caratteristica dell'atto stesso.

I gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui infrazione costituisce appunto devianza e applicandole a particolari individui che vengono classificati come estranei... la devianza non  una qualità dell'atto che una persona compie, ma piuttosto una conseguenza dell'applicazione da parte degli altri di regole e sanzioni al "trasgressore." Il deviante è  uno cui questo marchio  stato applicato con successo; il comportamento deviante è tale in quanto così marchiato dalla gente.

Secondo questa definizione, i devianti non sono un gruppo di persone che hanno commesso la stessa azione, ma che sono state stigmatizzate come tali.

Becker ritiene che ai fini scientifici è necessario distinguere tra trasgressione alla norma e devianza:

Poiché la devianza  tra le altre cose è una conseguenza delle risposte degli altri all'azione di una persona, gli studiosi della devianza non possono ritenere di trattare con una categoria omogenea quando studiano le persone che hanno ricevuto questo marchio. Essi, cioè, non possono ritenere che queste persone abbiano in realtà trasgredito a qualche norma, poiché il processo che porta al marchio può non essere infallibile... Essi per di più non possono ritenere che la categoria di coloro che hanno ricevuto il marchio di deviante contenga tutti quelli che hanno in realtà trasgredito a una norma, poiché tra questi ultimi molti possono sfuggire a una rilevazione, evitando così di essere inclusi nella popolazione studiata di "devianti." Dato che la categoria manca di omogeneità e non riesce a includere tutti i casi che le appartengono, non ci si può ragionevolmente attendere di trovare dei fattori comuni nella personalità o nelle situazioni esistenziali che rendano conto della supposta devianza.

Ai fini del nostro discorso ci atterremo alla distinzione di Becker fra trasgressione alla norma e devianza. La trasgressione si riferirà a una classe di azioni, violazioni di norme sociali, e la devianza ad azioni particolari che hanno ricevuto pubblicamente ed ufficialmente il marchio di violazioni di norme.

Utilizzando questa distinzione, possiamo classificare la maggior parte dei sintomi psichiatrici come esempi di trasgressione alla norma o di devianza residue. La cultura del gruppo fornisce un vocabolario di termini per classificare molte violazioni: esempi comuni ne sono delitto, perversione, ubriachezza e maleducazione. Ognuno di questi termini deriva dal tipo di norma infranta, e, in ultima analisi, dal tipo di comportamento in gioco. Dopo aver esaurito queste categorie, però, esiste sempre un residuo dei più diversi tipi di violazione, per cui la cultura non fornisce nessun esplicito marchio. Per esempio, quantunque ci sia una grande variabilità culturale di ciò che viene definito come decente o reale, ogni cultura tende a materializzare la sua definizione di decenza o di realtà, e così non fornisce nessun modo di trattare le violazioni delle sue aspettative in questi ambiti. La tipica norma che governa la decenza o la realtà è, perciò, in senso letterale, "tacitamente evidente," e una sua violazione  impensabile per la maggior parte dei membri. Per interpretare casi di trasgressione alla norma cui non può essere dato un nome, e che vengono richiamati all'attenzione della società,  è utile allora che queste violazioni possano essere raggruppate in una categoria residua: stregoneria, invasamento, o, nella nostra società, malattia mentale. In questa discussione i diversi tipi di trasgressioni per cui la nostra società non fornisce nessun marchio esplicito, e che perciò conducono a volte a marchiare il violatore come malato di mente, saranno considerati in senso tecnico some trasgressioni residue alle norme.

Consideriamo inoltre alcune delle implicazioni di una definizione dei "sintomi" psichiatrici come esempi di devianza residua.

In Behavior in Public Places, Goffman sviluppa il concetto dell'esistenza di un complesso di norme sociali che regolano il modo in cui un persona può comportarsi quando si trova alla presenza anche potenziale, di altri. La discussione di Goffman sulle norme che regolano lo "stare occupati," in particolare, illustra come dei sintomi psichiatrici quali la fuga dalla realtà e le allucinazioni possano essere considerati come violazioni di regole residue.

Osservando come l'oziare e il vagabondare siano abitualmente proibiti specificamente dalle leggi codificate, Goffman procede mettendo in evidenza che vi è un insieme di norme molto più elaborate centrate sull'aspettativa che una persona che appare in pubblico sia occupata o impegnata nel fare qualcosa:

La regola contro il non "aver scopo" o l'essere disimpegnati è evidente nel ricorso ad occupazioni non censurabili ai fini di razionalizzare o mascherare l'ozio desiderato ‑ un modo per coprire la propria presenza fisica in urla data situazione con una vernice di attività visibile e accettabile. CosI quando le persone vogliono fare un intervallo nel loro lavoro abituale, possono recarsi in un luogo dove è accettabile il fatto che fumino, e là fumare in modo evidente. Alcune attività "ricreative" minime sono anche usate per mascherare una mancanza di occupazione, come nel caso della "pesca" sulle rive di un fiume dove si è sicuri che nessun pesce verrà a disturbare le nostre fantasticherie, o il "prendere la tintarella" sulla spiaggia, che protegge il sonno o il fantasticare, quantunque, come nell'ozio dei vagabondi, occorra indossare una particolare uniforme che proclami e istituzionalizzi la relativa inattività. Come è prevedibile, quando il contesto fornisce stabilmente un'occupazione dominante esterna alla situazione, come quando si viaggia in treno o in aereo, allora il guardar fuori dal finestrino, fantasticare o dormire può essere del tutto consentito. In breve, più la messa in scena garantisce che il partecipante non si è tirato indietro da ciò di cui dovrebbe occuparsi, più libertà sembra che avrà per manifestare ciò che in quella situazione verrebbe altrimenti considerato come una fuga dalla realtà.

Nella nostra società, la regola che richiede che un adulto sia "occupato" in pubblico non è enunciata, ma viene data talmente per scontata che, come illustra la citazione, gli individui difendono quasi automaticamente la loro mancanza di occupazione in modi socialmente accettabili. Questa regola sembrerebbe così essere una regola residua.

Per una discussione sulla devianza residua sono particolarmente importanti due tipi di occupazione trattati da Goffman: "essere lontano" e "occupazione occulta." L'"essere lontano" viene descritto in questo modo:

Un individuo, mentre apparentemente partecipa a un'attività all'interno di una situazione sociale, può permettersi di stornare la propria attenzione da ciò che sia lui sia tutti gli altri considerano il mondo reale o importante, e abbandonarsi per un po' a un mondo di gioco cui lui solo partecipa. Questo tipo di emigrazione all'interno può essere chiamato "essere lontano," e noi troviamo che vigono in merito delle strette regole.

Forse il modo più importante di "essere lontano" è quello attraverso cui l'individuo rivive alcune esperienze passate o fa la prova di future, sotto forma di quel che viene variamente chiamato fantasticare, essere assorto, distrarsi, sognare a occhi aperti e pensiero autistico. In tali occasioni l'individuo può dimostrare la sua assenza dalla situazione attuale con uno sguardo lontano e preoccupato negli occhi, con un'immobilità delle membra simile al sonno, o con quella classe particolare di occupazioni parziali che possono essere mantenute in modo completamente "inconscio" e astratto ‑ mormorare, dondolare, tambureggiare con le dita, torcersi i capelli, pulirsi il naso, grattarsi.

Questa discussione interessa i sintomi psichiatrici che vengono classificati come "fuga dalla realtà," mostrando come il comportamento che viene chiamato così non sia in sé inaccettabile socialmente. L'"essere lontano" va incontro a una censura pubblica solo quando si verifica in un contesto socialmente inaccettabile. Ma ciò equivale a dire che ci sono delle regole residue che governano il contesto in cui l'"essere lontano" può trovar posto. Quando queste regole sono violate, tende a essere chiamato fuga dalla realtà, e preso come manifestazione di malattia mentale.

L"occupazione occulta" viene definita come sottotipo dell'"essere lontano:"

C'è un modo di" essere lontano" in cui l'individuo dà agli altri l'impressione più o meno giustificata di non essere conscio. Questo è l'ambito di ciò che la psichiatria chiama "allucinazione" e stati deliranti. Accanto a queste attività verbali" innaturali" ve ne sono altre corporee, in cui sembra che l'individuo stia svolgendo pazientemente un compito che non è però "comprensibile" né dotato di" significato." L'azione innaturale può anche comprendere il tenere o l'afferrare qualcosa, come quando il paziente psichiatrico adulto mantiene strettamente la presa su una bambola o su un pezzo di stoffa come feticcio. In questo caso si adottano i termini manierismo," "atto rituale," "atteggiamento posturale" che, come per la parola innaturale," sono abbastanza chiari per quanto li riguarda, ma a stento ci dicono specificamente ciò che caratterizza gli atti «naturali.

A prima vista sembrerebbe che se c'è un tipo di comportamento che viene visto sempre in se stesso come anormale, questo è l'"occupazione occulta." Come osserva però Goffman, anche qui vi è un elemento di definizione culturale:

Esistono società in cui la conversazione con uno spirito non presente è altrettanto accettabile, se sostenuta da persone specificamente autorizzate, quanto la conversazione per telefono nella società americana.

Per di più egli pone in evidenza come anche nella società americana ci siano delle circostanze in cui le occupazioni occulte non vengono censurate:

I partecipanti a una seduta spiritica non considererebbero inappropriato che il medium interagisse con "qualcuno dell'al di là," indipendentemente dal credere che si tratti di una messinscena o di un'interazione genuina. E indubbiamente noi consideriamo appropriato pregare, se fatto nelle occasioni adatte.

Così parlare agli spiriti o pregare Dio non sono considerate delle azioni in se stesse scorrette; se eseguite in modo opportuno vengono certamente ritenute modalità legittime di agire ‑ quando, cioè, si verificano in circostanze socialmente appropriate, e sono opera di persone cui viene riconosciuta la legittimità della loro occupazione anche se riguarda il mondo occulto.

Da questa discussione seguono due implicazioni significative circa le convenzioni che regolano l'essere occupati.

La prima è che sintomi psichiatrici quali la fuga dalla realtà, le allucinazioni, il mormorio continuo, gli atteggiamenti posturali ecc., possono essere classificati come violazioni di determinate norme sociali: quelle norme date così per scontate che non sono esplicitamente verbalizzate, e che abbiamo chiamato norme residue. Queste, negli esempi particolari qui discussi, riguardavano l'essere occupati in pubblico. È vero, naturalmente, che aspetti specifici di tali norme si trovano occasionalmente, per esempio, nei galatei. Si veda, a questo proposito, questa tipica proibizione che riguarda l'occuparsi della propria persona in pubblico:

In pubblico, gli uomini non devono mai guardarsi allo specchio né pettinarsi i capelli. Al massimo possono raddrizzarsi la cravatta o aggiustarsi i capelli con la mano. Non è necessario aggiungere, probabilmente, che è molto poco attraente grattarsi la testa, fregarsi il volto o toccarsi i denti, o pulirsi le unghie in questa circostanza. Tutte queste operazioni vanno eseguite in privato.

È importante osservare che tutte queste regole informali, per quanto se ne possano indicare molte, si riferiscono a situazioni specifiche Non c'è da nessuna parte un principio generale codificato che riguardi l'essere occupati, anche di se stessi. Si tratta di aspettative che, a differenza dei principi codificati come i Dieci Comandamenti, si pensa debbano governare, anche se inespresse, il comportamento di ogni persona che segua le norme del vivere civile. E in quanto inespresse, la nostra cultura non ci ha fornito gli strumenti adatti a classificarne con facilita le violazioni, lasciandoci pero la possibilità di ricorrere a una residua categoria di riserva delle violazioni, vale a dire i sintomi delle malattie mentali.

Se si dimostra corretto il fatto che la maggior parte dei sintomi delle malattie mentali possono essere classificati sistematicamente come violazioni di particolari strutture normative di una cultura, allora questi possono essere tolti dal dominio degli eventi fisici universali, dove ora la teoria psichiatrica tende a porli insieme ad altri sintomi indipendenti dalla cultura, quali la febbre, e possono diventare oggetto della ricerca antropologica e sociologica come ogni altra manifestazione del comportamento sociale.

Una seconda implicazione della ridefinizione dei sintomi psichiatrici in termini di devianza residua è il grande rilievo che questa prospettiva dà al contesto in cui si manifesta il comportamento "sintomatico." Come mostra ripetutamente Goffman, l'"essere lontano", le occupazioni occulte, e altri tipi di violazioni di norme, non provocano di per sé una censura: questa si ha solo quando questi atti vengono compiuti da persone non qualificate o in contesti inappropriati. Questi atti, cioè, sono censurabili quando si manifestano in modo non conforme alle convenzioni non enunciate, ma cionondimeno operative, che li governano. Quantunque recentemente il dibattito psichiatrico sulla sintomatologia abbia cominciato a mostrare un notevole interesse per il contesto sociale, è anche vero che la diagnosi psichiatrica tende a concentrarsi sul modello del comportamento sintomatico in se stesso, trascurando il contesto in cui il sintomo si manifesta. Discuteremo oltre quanto sia importante questa tendenza nei procedimenti diagnostici in psichiatria. Il resto di questo capitolo sarà dedicato a una discussione su origini, prevalenza e decorso del comportamento che noi abbiamo qui definito come trasgressione residua alla norma.

Le origini della trasgressione residua alla norma

Abitualmente nelle ricerche psichiatriche si ricerca un'unica causa, o almeno un numero ridotto di cause delle malattie mentali. La nuova definizione dei sintomi psichiatrici in termini devianza residua suggerisce pero immediatamente che può esserci un numero illimitato di cause di devianza. La prima proposizione perciò è:

1. La trasgressione residua alla norma ha origine da cause fondamentalmente diverse. Ne verranno qui discussi quattro tipi: cause organiche, psicologiche, stress esterni e atti volontari di rinnovamento o di sfida. Le cause organiche e psicologiche sono ampiamente note, e in questa sede non ne parleremo a lungo. E' stato ripetutamente dimostrato che casi particolari di malattie mentali sono nati da alterazioni genetiche, biochimiche o fisiologiche. Vengono anche evidenziate di frequente origini psicologiche; in particolare nella letteratura psicoanalitica si è parlato spesso di particolarità nel modo di allevare o educare i bambini. Gli studi accurati e sistematici sulle cause dei disturbi mentali sono stati limitati per la grande maggioranza alle cause organiche o a quelle psicologiche.

Viene largamente ammesso, comunque, che i sintomi psichiatrici possono originare anche da stress esterni come la privazione di cibo, di sonno, ed anche di esperienze sensoriali. Il comportamento di trasgressione alla norma che origina da queste fonti meno familiari verrà illustrato con alcuni estratti degli scritti sulle conseguenze degli stress.

I medici sanno da molto tempo che sostanze tossiche, se ingerite in dosi adatte, possono provocare dei sintomi di tipo psicopatico. Recentemente è stata sperimentata un'ampia gamma di farmaci per riprodurre delle "psicosi sperimentali." In particolare sono stati descritti dei sintomi molto simili a quelli psichiatrici, quali le allucinazioni visive, la perdita dell'orientamento nello spazio e nel tempo, l'interferenza con i processi ideativi ecc., prodotti da droghe quali la mescalina e l'LSD‑25. Presentiamo una citazione tratta dal resoconto di uno psicologo qualificato che aveva preso dell'LSD‑25:

Un fatto concomitante all'assunzione di LSD che ho condiviso con altri soggetti è stato la distorsione del senso del tempo. Il mio tempo soggettivo sembrava andare a tutta velocità, e ciò si osservava nel contare sessanta secondi, anche con una dose di 25 milligrammi. Anche il ritmo che battevo con le dita era accelerato. A dosi maggiori (mezzo grammo) il mio senso del tempo si spostava di ore, pensavo che il pomeriggio fosse trascorso quando erano solo le tredici. Potevo guardare l'orologio e rendermi conto dell'errore, ma continuavo ad essere disorientato nel tempo. Il senso del tempo dipende dal modo con cui viene riempito, ed io ero probabilmente sensibile al ritmo più veloce dell'esperienza.

In pratica era questo l'effetto irresistibile che mi faceva l'LSD. A cominciare dalle sensazioni fisiologiche leggerezza, eccitazione) venivo rapidamente sommerso da una marea di idee, immagini e sentimenti che sembravano spingersi spontaneamente dentro di me a viva forza. Avevo sprazzi di pensieri estremamente lucidi, come una rapida comprensione dei processi psicotici, che avrei voluto descrivere... Ma essi si sostituivano l'uno all'altro. Una volta passati, non li potevo riafferrare, non riuscendo ad arrestare la sfilata delle nuove immagini.

Il disorientamento temporale descritto è un sintomo psichiatrico familiare, cosI come la "fuga" delle idee, che viene abitualmente classificata come un tratto dell'eccitamento maniacale.

Psicosi da combattimento e sintomi originati dalla fame sono stati ripetutamente descritti nella letteratura psichiatrica. Meno familiari sono i sintomi psicotici originati dalla mancanza di sonno. Illustreremo questo tipo di reazione con un esempio. Brauchi e West riferiscono i sintomi manifestati da due partecipanti a una maratona radiofonica, in cui si richiedeva che parlassero alternativamente ogni trenta minuti. Dopo centosessantotto ore, uno dei contendenti cominciò a credere di appartenere con il suo avversario a una società segreta di non dormitori. Accusò la sua ragazza di baciare uno spettatore, anche se in quel momento essa era con lui. Ebbe la sensazione che lo stessero punendo, ebbe transitorie allucinazioni uditive e visive, divenne suggestionabile, manifestò insieme con l'avversario un periodo di folie à deux in cui allucinazioni e deliri dell'uno vennero accettati dall'altro. I sintomi psicotici si mostrarono persistenti, con deliri intorno ad agenti segreti, ed egli si senti responsabile del conflitto tra Egitto e Israele. Nelle sue reazioni ci sono molti elementi che gli psichiatri definirebbero come tratti paranoidi e depressivi.

Recentemente ci sono stati molti studi che mostrano come la privazione sensoriale possa provocare allucinazioni ed altri sintomi. In uno di questi Heron riferisce su soggetti che erano stati posti in isolamento sensoriale.

Degli studenti universitari di sesso maschile furono pagati per rimanere ventiquattro ore al giorno su un letto confortevole in una cabina illuminata semi‑isolata acusticamente... avevano degli schermi traslucidi davanti agli occhi che consentivano di vedere una luce diffusa ma impedivano una visione strutturata. Salvo che per mangiare e andare al gabinetto, indossavano guanti di cotone e salvamani di cartone, in modo da limitare le percezioni tattili.

I soggetti rimasero in queste condizioni per due o tre giorni. Dei ventinove soggetti, venticinque riferirono di aver avuto delle allucinazioni, che abitualmente erano all'inizio semplici per diventare progressivamente più complesse con l'andar del tempo. Tre di essi avevano creduto che le loro visioni fossero reali:

Uno pensava di vedere degli oggetti che gli venivano contro, e mostrava di ritrarre il capo ogni volta che questo accadeva; un secondo era convinto che stessimo proiettando dei film sui suoi schermi oculari con qualche tipo di macchina cinematografica; un terzo aveva la sensazione che nella cabina ci fosse qualcun altro insieme a lui.

Attualmente si pensa che anche solamente ambienti monotoni, come si hanno durante la guida o il volo per lunghe distanze, siano capaci di generare dei sintomi. Il seguente è uno di una serie di esempi di sintomi psichiatrici manifestatisi nell'aviazione militare:

Un pilota volava su un bombardiere a 40.000 piedi (12.000 m.) di altezza, e si era mantenuto in linea retta e alla stessa quota per circa un'ora. Sulla terra c'era della nebbia che impediva una visione precisa e rendeva indistinto l'orizzonte. L'altro membro dell'equipaggio era seduto in un posto separato al di fuori della visuale del pilota, e i due uomini non si parlavano. Improvvisamente il pilota si sentì distaccato dall'ambiente circostante ed ebbe quindi la netta impressione che l'aereo avesse un'ala abbassata e stesse girando. Senza consultare gli strumenti corresse la direzione, ma l'aereo cominciò a precipitare a vite dato che in effetti sino a quel momento aveva volato in linea retta e mantenuto la sua quota. Il pilota fu molto fortunato a uscire dalla caduta a vite, e quando atterro la struttura dell'aereo venne trovata distorta [dalla sollecitazione della caduta].

Visitando il pilota non venne trovata alcuna anormalità psichiatrica... Poiché non voleva abbandonare il volo, e in effetti era idoneo sia fisicamente sia mentalmente, gli venne offerta una spiegazione del fenomeno per rassicurarlo. Ritornò quindi al suo servizio di volo.

In questo caso i sintomi (depersonalizzazione e disorientamento spaziale) manifestatisi, come fecero, in una situazione reale, avrebbero potuto risolversi facilmente in un incidente fatale. Di solito, negli studi di laboratorio sulle psicosi sperimentali, le conseguenze vengono controllate con facilità. Per il nostro discorso è particolarmente interessante il ruolo che ha la rassicurazione del soggetto da parte dello sperimentatore, una volta che l'esperienza sia terminata.

In tutti gli studi sperimentali (così come in quest'ultimo caso), le persone che hanno avuto delle esperienze "psicotiche" vengono in qualche modo rassicurate; gli viene detto, per esempio, che le esperienze che avevano avuto erano dovute esclusivamente alla situazione cui erano state sottoposte, e che in tali circostanze qualsiasi altra persona avrebbe provato delle sensazioni simili. In altre parole, viene rifiutato ciò che la trasgressione alla norma implica nei riguardi dello status sociale e del concetto di sé del trasgressore. Supponiamo però, ai fini del discorso, che venga eseguito un esperimento diabolico in cui i soggetti, dopo aver manifestato sintomi psicotici sotto stress, ricevano il "marchio." Venga detto, cioè, che quei sintomi non rappresentavano una reazione normale, ma un indizio attendibile di una turba psicologica situata nel profondo della loro personalità. Supponiamo che un tale marchio sia mantenuto effettivamente nella loro vita ordinaria. Questo processo renderebbe stabile una trasgressione alla norma che sarebbe stata altrimenti transitoria? Questo problema verrà considerato nella seguente proposizione 3 e nel capitolo 3.

Tornando a considerarne le origini, la trasgressione può infine essere vista come un atto volontario di rinnovamento o di ribellione. Due esempi della storia dell'arte illustrano che le prime reazioni dei critici e del pubblico ai quadri degli impressionisti francesi furono di incredulità e di costernazione; in particolare, i colori furono considerati talmente irreali da essere una prova di follia. L'ironia volle che nella contesa che ne segui gli impressionisti e i loro seguaci finissero per mutare le norme di colore valide per il pubblico: oggi noi accettiamo i colori degli impressionisti (come nella pubblicità della Pepsi Cola) senza discutere.

Il dadaismo ci dà un esempio di una corrente artistica concepita deliberatamente per violare, e quindi rifiutare, i modelli di gusto e di valore esistenti. Il libro tempestato di gioielli dei dadaisti che doveva contenere i più grandi tesori della civiltà contemporanea venne trovato pieno di carta igienica, erba e cose simili. Un tipico objet d'art prodotto dal dadaismo era una tazza di tè foderata di pelliccia. Un avvenimento che rende l'idea del movimento fu l'Esposizione Dada fatta all'Opera di Berlino. Vennero invitati ad assistere alla serata inaugurale tutte le celebrità del mondo artistico tedesco ed i dignitari della repubblica di Weimar. La prima parte della serata consisteva in una gara di lettura di poesia, a cui partecipavano quattordici contendenti. Poiché questi leggevano contemporaneamente le loro poesie, la serata terminò ben presto in una gran confusione.

Gli esempi di trasgressione residua che abbiamo dato non sono stati presentati come casi tipici di questo comportamento da un punto di vista scientifico. In questi settori esistono molti problemi di attendibilità, particolarmente per il materiale riguardante il comportamento risultante da ingestione di farmaci e privazione sensoriale o di sonno, materiale che consiste in gran parte semplicemente di impressioni cliniche o autobiografiche relative a isolati casi singoli. Negli studi che sono stati condotti, di solito non si è prestata sufficiente attenzione al progetto di ricerca, alle tecniche per la raccolta sistematica dei dati, ai mezzi per proteggersi dalle prevenzioni dello sperimentatore o del soggetto.

Una delle domande più interessante tra le molte di natura più generale che vengono poste da questi esempi è: le "psicosi sperimentali" prodotte da droghe o privazione di cibo, sonno e stimoli sensoriali, sono effettivamente identiche a quelle naturali? Su questo punto le opinioni dei ricercatori sono divise. Molti affermano che le psicosi sperimentali e quelle reali sono fondamentalmente la stessa cosa. Secondo un recente studio, nelle relazioni autobiografiche, cliniche e sperimentali sulla privazione sensoriale appaiono frequentemente i sintomi cardinali di Bleuler della schizofrenia: disturbo delle associazioni, disarmonia affettiva, ambivalenza, dissociazione dei processi mentali secondari accompagnata a regressione verso i processi primari, deterioramento della capacità di valutare la realtà, distorsione dello schema corporeo, depersonalizzazione, deliri e allucinazioni. Altri ricercatori comunque insistono sull'esistenza di differenze fondamentali tra questi due tipi di psicosi.

La controversia sulle psicosi sperimentali testimonia l'esistenza di una difficoltà fondamentale nello studio scientifico dei disturbi mentali. Quantunque ci sia un'enorme letteratura sulla descrizione dei sintomi psichiatrici, in tutti questi scritti non esistono delle descrizioni scientificamente rispettabili dei sintomi principali, descrizioni che si siano cioè mostrate precise, attendibili e valide. Non solo non sono stati fatti studi che dimostrino la precisione, l'attendibilità e la validità della misurazione dei sintomi psichiatrici, ma non sono ancora state formulate le basi reali, le definizioni operative ditali sintomi. Nella medicina somatica esistono degli strumenti che forniscono delle misure facilmente verificabili e ripetibili dei sintomi di malattia: un esempio ovvio ne è il termometro, che viene usato per rilevare la presenza di febbre. Gli strumenti analoghi della medicina psichiatrica, questionari, scale di valutazione del comportamento ecc., che forniscano delle misure verificabili della presenza di alcuni modelli sintomatici (per esempio l'ideazione paranoide) devono ancora essere trovati, saggiati e accettati.

In assenza di prove scientificamente accettabili, noi possiamo basarci solo sul nostro personale giudizio sui risultati ottenuti, e insieme sulla nostra valutazione delle opinioni contrastanti degli psichiatri che si dedicano alla ricerca. Al momento attuale manca una risposta conclusiva a questo problema, ma i risultati sembrano pesare maggiormente in favore del fatto che le psicosi sperimentali non siano fondamentalmente dissimili da quelle ordinarie. Si vede quindi che la prima proposizione, che dice che la trasgressione residua alla norma ha molte origini diverse, è sostenuta dalle nostre attuali conoscenze.

Prevalenza

La seconda proposizione riguarda la prevalenza della trasgressione residua nell'intera popolazione dichiaratamente normale, e che corrisponde approssimativamente a quella che i medici epidemiologici chiamano la prevalenza "totale" o "vera" dei sintomi mentali.

2. Relativamente al tasso delle malattie mentali curate, quello delle trasgressioni residue alla norma non rilevate è estremamente elevato. E' provato che spesso violazioni grossolane di regole non vengono notate o, se lo sono, vengono razionalizzate come eccentricità. E' palese che molte persone notevolmente ritirate in se stesse, o che fuggono la realtà per lunghi periodi di tempo, che immaginano eventi fantastici, oppure odono voci e hanno visioni, non vengono classificate come pazze né da loro stesse né dagli altri. Anzi, la loro trasgressione non viene riconosciuta, è ignorata o razionalizzata. Questo modello di disattenzione o razionalizzazione verrà chiamato "rifiuto".

Oltre alle prove del tipo sopra citato, vi sono molti studi epidemiologici sulla prevalenza totale, e l'interpretazione dei loro risultati apre numerosi problemi. La difficoltà principale consiste nel fatto che le malattie mentali vengono definite in modo differente da studio a studio, così come differiscono i metodi per vagliare i casi. Questi studi ci forniscono comunque le informazioni più valide, e possono essere utilizzati per stimare la prevalenza totale.

Una conveniente rassegna dei risultati viene presentata da Plunkett e Gordon, che confrontano metodi e popolazioni utilizzati in undici studi sul campo ed elencano i tassi della prevalenza totale (in percentuale) come 1,7; 3,6; 4,5; 4.7; 5,3; 6,1; 10,9.; 13.8; 23,2; 23,3 e 33,3.

Dopo la pubblicazione della rassegna di Plunkett e Gordon, sono comparsi due studi in proposito, uno su Manhattan, l'altro sulla Nuova Scozia. Nello studio sul centro di Manhattan viene riferito che usualmente l'80% del campione ha manifestato almeno un sintomo psichiatrico. Probabilmente meglio confrontabile con gli studi precedenti è la valutazione che viene qui fatta di "minorato per malattia di mente," attribuita al 23,4% della popolazione. Negli studi sulla Contea di Stirling, la stima della prevalenza corrente è del 57%, con il 200/o dei soggetti classificato come "turba psichiatrica con minorazione significativa."

Qual è il risultato del confronto tra questi tassi e quelli dei disturbi mentali curati? Uno degli studi citati da Plunkett e Gordon, quello su Baltimora di Pasamanick, è utile da questo punto di vista perché comprende sia i casi trattati che gli altri. Confrontata con la percentuale dei casi non curati del 10,9%, quella dei pazienti in cura negli ospedali della Virginia e nelle cliniche private era, tra gli abitanti di Baltimora, dello 0,5%Th Per ogni paziente mentale, cioè, c'erano approssimativamente 20 persone non curate che erano state individuate dall'inchiesta.

E' comunque possibile che la percentuale dei malati trattati sia troppo bassa, dato che non erano inclusi i pazienti in cura presso medici privati. Giudicando da un altro studio, quello sulla prevalenza dei malati in cura nel New Haven, in confronto al numero degli ospedalizzati, quello dei pazienti che si rivolgono alla pratica privata è piccolo: pur essendo state usate tecniche estensive per rintracciare i casi, oltre ii 70% dei pazienti individuati in questa ricerca era ricoverato. Nello stesso studio di New Haven veniva riportata una prevalenza complessiva dello 0,8% per i casi in cura, una cifra che ben si accorda con la mia stima dello 0,7% per lo studio di Baltimora. Accettando per lo studio di Pasamanick come limite superiore della prevalenza dei casi curati lo 0,8%, ii rapporto tra curati e non è di 1 a 14. Per ogni paziente, cioè, noi dovremmo aspettarci di trovare nella comunità 14 casi non in cura.

Questi risultati possono essere interpretati nel senso che nella comunità i pazienti non curati rappresentano il gruppo di quelli con disturbi meno gravi, mentre quelli con gravi menomazioni ricadano tutti nell'altro gruppo. Ciò si accorderebbe con alcuni risultati dello studio di Pasamanick in cui, fra gli individui non in cura, la metà almeno era stata classificata come composta di psiconevrotici; di questi, a loro volta, la metà circa almeno era stata classificata come sofferente di disturbi minimi. Almeno un quarto del gruppo dei non trattati, quindi, soffriva di disturbi molto lievi.

Se però si considera il gruppo di coloro cui era stata fatta diagnosi di psicosi, questa interpretazione non viene confermata. Su quasi tutti gli appartenenti a questo gruppo era stato dato un giudizio di grave minorazione, ma le diagnosi di psicosi erano state fatte per la metà nel gruppo dei non trattati. In altre parole il numero dei casi di psicosi in cura era uguale a quello dei casi non in cura.

Nello studio su Manhattan è stato fatto un confronto diretto per età nel gruppo più deviante (di quelli classificati come "inabili") e tra le persone che ricevevano effettivamente un trattamento psichiatrico. I risultati per i gruppi dei più giovani (da venti a quarant'anni) sono simili a quelli dello studio di Pasamanick: la prevalenza di quelli in cura è approssimativamente dello 0,6%, e la proporzione di quelli classificati come "inabili" è di circa l'l,5%. Nel gruppo dei più anziani, però, c'è un brusco cambiamento del rapporto tra trattati e non. La prevalenza dei primi è di circa lo 0,5%, ma nella popolazione il 4% viene definito "inabile." In questo gruppo, perciò, il rapporto è di circa 8 a 1.

Ancora una volta, i dati sulla prevalenza non sono conclusivi per la mancanza di confrontabilità tra i diversi studi, i risultati contrastanti, e i progetti di ricerca inadeguati. Il peso dei risultati esistenti sembra però sostenere in notevole misurala proposizione 2.

Durata e conseguenze della trasgressione residua alla norma

Frequentemente, nella maggior parte delle ricerche epidemiologiche si ritiene che la prevalenza dei casi in cura sia un indizio eccellente della prevalenza totale. Gli studi sulle comunità discussi sopra indicano però che la maggior parte dei casi di "malattie mentali" non riceve mai un'attenzione medica. Questo risultato è molto importante per un problema cruciale nel campo della devianza residua: dato un caso tipico di trasgressione residua alla norma, quale decorso e quali conseguenze dobbiamo attenderci? O, per porre la stessa domanda in linguaggio medico, qual è la prognosi di un caso in cui segni e sintomi psichiatrici siano evidenti?

L'abituale ipotesi di lavoro per i medici che si trovano davanti a un segno o a un sintomo è lo sviluppo progressivo della malattia con il rivelarsi della sua logica interna. Questo tipo di impostazione porta ad attendersi che, a meno di un intervento medico, segni e sintomi siano abitualmente precursori di successive e più serie conseguenze per chi li manifesta. Ciò non significa naturalmente che tutti i sintomi siano ritenuti dai medici componenti della struttura di una malattia progressiva: ne è testimone il concetto di "benignità." Il fatto è che le immagini richiamate da questo modello tendono a predisporre il medico all'attesa di una futura malattia di cui i sintomi sono solo i segni iniziali.

L'aver scoperto che la grande maggioranza delle persone che manifestano sintomi psichiatrici non viene sottoposta a trattamento conduce alla proposizione 3:

3. La maggior parte delle trasgressioni residue alla norma viene "rifiutata" e ha importanza transitoria. L'enorme tasso di prevalenza totale suggerisce che la maggior parte delle trasgressioni residue non venga riconosciuta o sia razionalizzata in modo diverso. Lemert, per questo tipo di trasgressioni amorfe e non cristallizzate, usava l'espressione "devianza primaria." Comportamenti analoghi sono descritti da Balint come "la fase non organizzata della malattia.'° Quantunque Balint ritenga che i pazienti che sono in questa fase finiscano per "stabilizzarsi" in una "malattia organizzata," sono possibili esiti diversi. Una persona in questo stadio può "organizzare" la sua devianza in termini che non siano quelli di malattia, per esempio come eccentricità o genio, oppure la trasgressione può cessare una volta che venga rimosso lo stress legato alla situazione.

L'esperienza degli psichiatri sul campo di battaglia può essere interpretata a sostegno dell'ipotesi che la trasgressione alla norma è di solito transitoria. Glass riferisce che le nevrosi da combattimento terminavano spesso spontaneamente se il soldato veniva lasciato alla propria unità, e gli veniva prestata un'attenzione estremamente superficiale da un punto di vista medico.' Alcune descrizioni del comportamento infantile possono essere interpretate allo stesso modo. Secondo queste descrizioni, la maggior parte dei bambini attraversa periodi in cui si manifestano almeno alcuni dei seguenti tipi di trasgressione: incollerirsi, battere la testa, graffiare, pizzicare, mordere, avere dei compagni di gioco o degli animali fantastici, provare dolori fisici illusori, temere suoni, forme, colori, persone, animali, buio, tempo, fantasmi, e così via. Nella grande maggioranza dei casi, comunque, questi modelli di comportamento non diventano stabili.

Esistono naturalmente delle condizioni morbose che corrispondono al modello della malattia che si manifesta in modo progressivo. Nel caso di un paziente che manifesti sintomi psichiatrici in quanto affetto da paralisi progressiva, i primi segni si rivelano indizi buoni, anche se non perfetti, del successivo e più grave deterioramento sia della salute fisica sia del comportamento sociale. Le condizioni morbose dimostratesi di questo tipo sono comunque relativamente rare. La paralisi progressiva, che un tempo era una delle più importanti malattie mentali, rappresenta oggi solo una proporzione veramente minima dei pazienti in cura. La proposizione 3 sembrerebbe adattarsi alla grande maggioranza dei pazienti mentali, in cui si incontrano spesso stress esterni come conflitti familiari, affaticamento, droghe, e fattori simili.

Delle tre proposizioni, quest'ultima è allo stesso tempo la più decisiva per la teoria nel suo complesso, e la meno confermata dalle prove esistenti Non è che ci siano molte testimonianze negative che mostrino come i sintomi psichiatrici siano indizi attendibili delle successive malattie, ma piuttosto ci sono scarsi risultati di qualsiasi tipo circa il comportamento dei sintomi lungo il tempo. Ci sono però molte analogie suggestive nella storia della medicina somatica. Per esempio, fino al '50 circa si pensava che l'istoplasmosi fosse una rara malattia tropicale con esito assolutamente fatale. Recentemente, però, si è scoperto che ha un'ampia diffusione e che l'esito fatale, o anche solo una menomazione, sono estremamente rari. Possiamo ritenere dimostrato che la maggior parte delle "malattie mentali," una volta che vengano fatti adeguati studi longitudinali dei casi nella popolazione normale, seguano lo stesso modello.

Se la trasgressione residua alla norma ha un'ampia diffusione tra le persone dichiaratamente "normali", ed è abitualmente transitoria, come suggeriscono le due ultime proposizioni, come si può spiegare il fatto che una piccola percentuale di trasgressione inizi una carriera deviante? Per porre la domanda in altro modo, in quali condizioni si stabilizza la trasgressione residua? L'ipotesi convenzionale dice che la risposta si trova nel trasgressore stesso. L'ipotesi qui proposta dice che il più importante fattore singolo (ma non l'unico) nella stabilizzazione della trasgressione residua è la reazione della società. La trasgressione residua può stabilizzarsi se viene definita come prova di malattia mentale, e/o il trasgressore viene posto in uno status deviante, e comincia a interpretare il ruolo del malato di mente. Per evitare di dedurre che la malattia mentale sia semplicemente un ruolo e un pretesto, è necessario discutere nel prossimo capitolo l'istituzione sociale della pazzia.

3.

L'ISTITUZIONE SOCIALE DELLA PAZZIA

Tra gli psichiatri, Szasz è stato quello che ha criticato più esplicitamente l'uso del modello medico applicato alle "malattie mentali." Secondo la sua critica, la malattia di niente è un mito al servizio di funzioni la cui natura è in larga misura non medica:

I nostri avversari non sono i demoni, le streghe, il fato o le malattie mentali. Non abbiamo nemici da poter combattere, esorcizzare o scacciare con la "cura." Quel che abbiamo sono problemi dell'esistenza, siano questi biologici, economici, politici o sociopsicologici... Il campo cui si indirizza la moderna psichiatria è vasto, e io non faccio lo sforzo di abbracciarlo tutto. La mia argomentazione si limitava alla proposizione per cui la malattia mentale è un mito, la cui funzione è mascherare, e così rendere più gradevole, l'amara pillola dei conflitti morali nelle relazione umane.

L'enunciazione di Szasz sulle funzioni sociali e non mediche che il concetto di malattia mentale è fatto per servire è chiara, vigorosa e convincente. La sua concettualizzazione del comportamento sintomatico della "malattia mentale" è però aperta a critiche di natura sociopsicologica.

In Il mito della malattia mentale, Szasz propone che i disturbi mentali vengano visti entro la cornice del "modello di gioco del comportamento umano. Egli descrive allora l'isteria, la schizofrenia, le altre turbe mentali, come la "personificazione" di individui malati da parte di coloro il cui" reale" problema riguarda "problemi dell'esistenza." Quantunque Szasz affermi che l'interpretazione del ruolo da parte del paziente mentale può non essere completamente, o neanche principalmente, volontaria, ne è implicita una visione della malattia di mente come strategia scelta dall'individuo per poter ottenere un aiuto da parte degli altri. Così il termine "personificazione" suggerisce una mistificazione deliberata da parte del paziente. Quantunque egli rilevi le differenze tra i modelli di comportamento dell'isteria, della simulazione e della frode, suggerisce che tali differenze possano dipendere principalmente dal punto di vista scelto per descrivere il comportamento.

Sistemi individuali e interpersonali nell'interpretazione del ruolo

In questa discussione utilizzeremo per analizzare i disturbi mentali anche i modello dell'interpretazione del ruolo; dando pero più risalto agli aspetti involontari di quanto non faccia Szasz, che tende a trattare l'interpretazione come un sistema individuale di comportamento. In molte discussioni sociali e psicologiche, comunque, l'interpretazione del ruolo viene considerata parte di un sistema sociale. L'individuo interpreta, il suo ruolo articolando il proprio comportamento con le indicazioni e gli atti delle altre persone con cui interagisce. Un'interpretazione appropriata dipende dalla cooperazione dell'uditorio. Questa proposizione può anche essere invertita: l'avere un uditorio che agisce in modo uniforme in direzione dell'individuo può portare questi ad interpretare il ruolo atteso pur non essendo particolarmente interessato a farlo. Il "piccolo della famiglia" può finire per trovare il suo ruolo esecrabile, ma l'insieme uniforme di atti e indicazioni di fronte a cui si trova in famiglia può rinchiuderlo nel suo repertorio di risposte in modo da rendergli difficile e sconveniente non interpretare la parte attesa. Nella misura in cui vengono esclusi ruoli alternativi, quello offerto può diventare l'unico modo con cui l'individuo può affrontare la situazione.

Una delle più appropriate formulazioni di Szasz tocca gli aspetti dell'interpretazione del ruolo legati al sistema sociale. Egli traccia un'analogia tra il ruolo del malato di mente e il "tipo" degli attori. Alcuni attori acquistano una reputazione nell'interpretare dei ruoli di un certo tipo, e trovano difficoltà a ottenerne altri. Quantunque possano dispiacersene, è anche possibile che giungano a incorporare degli aspetti del loro ruolo "tipo" nel loro concetto in sé, e infine nel loro comportamento. I risultati di diversi studi sociopsicologici suggeriscono che il comportamento di un individuo nel proprio ruolo può essere modellato dal tipo di "deferenza" di cui questi è fatto regolarmente oggetto da parte degli altri.

Un aspetto del problema della volontarietà dell'interpretazione del ruolo è costituito da quanto l'attore crede alla parte che sta interpretando. Quantunque il ruolo possa essere interpretato cinicamente, senza crederci, o in modo assolutamente sincero, con tutto il cuore, molti lo sono sulla base di un intricato groviglio di buona e mala fede. Nel corso di uno studio condotto in un grande ospedale psichiatrico, molti pazienti dissero confidenzialmente all'autore che utilizzavano cinicamente i loro sintomi.., per spaventare il nuovo personale, sfuggire a particolari sgradevoli del lavoro, e così via. In altre occasioni, però, gli stessi sembravano sinceri nel loro comportamento sintomatico. Evidentemente per loro era difficile dire, a volte, se erano loro a padroneggiare il ruolo o viceversa. Vi sono alcuni tipi di sintomatologia estremamente interessanti a questo proposito. Nei casi dei pazienti che simulano precedenti stati psicotici, o in quel particolare comportamento noto agli psichiatri come sindrome di Ganser, è quasi impossibile all'osservatore separare con certezza assoluta i sintomi simulati dalle azioni involontarie.

La seguente citazione tratta da una storia clinica illustra quella che è stata chiamata dagli psichiatri simulazione di uno stato psicotico precedente:

Un uomo di 32 anni, ingegnere, venne riammesso in ospedale avendo presentato nuovamente un comportamento psicotico. In precedenza era stato ricoverato due volte. La prima volta gli era stato praticato un trattamento di elettroshock, cui era seguita una remissione durata quattro anni. Uno di noi... lo vide durante il secondo ricovero. Allora era notevolmente regredito, aveva continue allucinazioni, comportamento magico e delirante, con diverse idee di natura messianica. Dopo molti mesi di psicoterapia intensiva seguita privatamente, e inoltre un trattamento di coma insulinico, ebbe un buon recupero funzionale. Diversi anni più tardi si manifestò una ricomparsa dei sintomi, e, dato che lo avevo conosciuto durante il precedente ricovero, mi venne inviato dallo psicoterapista. All'ammissione il suo comportamento era strano quanto bastava ad autorizzare un invio al reparto agitati. Là egli chiamò a raccolta il reparto reclamando dei diritti di anzianità per la precedente permanenza.

Quando il medico lo visitò egli aveva un atteggiamento giovialmente condiscendente, si rivolgeva alle sue voci sorridendo e inframmezzava il colloquio con vaghe interpretazioni magiche che sembrava avessero una grande importanza. Faceva di continuo un gesto particolare, che era oggetto di molti sforzi interpretativi durante il precedente ricovero, quello dell'orologio con le mani nella posizione delle sei. In conseguenza del precedente contatto fu possibile agire in modo più diretto, e rivolgergli delle domande in modo migliore che se fosse stato un nuovo paziente. Sul momento non fornì indicazioni sullo stimolo che aveva fatto precipitare il conflitto dissociativo. In alcune battute in cui egli si riferiva al ricovero attuale come a una vacanza o a un ritorno del vecchio studente alla sua Alma Mater, gli venne detto che questa poteva dimostrarsi una costosa riunione di vecchi compagni di corso (il che era in relazione con una delle ragioni dichiaratemi per interrompere la psicoterapia dopo i disturbi precedenti, e cioè che il trattamento era troppo costoso). A seguito di questa osservazione, e con rapidità quasi drammatica, il suo strano comportamento cessò, ed egli divenne estremamente depresso, sebbene ancora comunicativo.

Il giorno seguente fu possibile trasferirlo in un reparto meno controllato, ed egli raccontò in modo del tutto coerente, con emozione intensa ma appropriata, di essere stato molto in collera con la moglie che lo rimproverava e lo sminuiva. Aveva avuto paura di non essere capace di controllarsi, e aveva pensato che se fosse stato malato come l'ultima volta avrebbe evitato una temuta esplosione di violenza fisica con il ricovero in ospedale. In pochi giorni poté rendersi conto che gran parte dell'ira che provava verso la moglie era diretta alla sua attuale gravidanza. Quantunque persistesse una modesta depressione, non ci fu ricomparsa del comportamento bizzarro o di apparenti allucinazioni. Lasciò l'ospedale dopo tre settimane e tornò direttamente a casa ed al suo lavoro.

Per una teoria delle malattie mentali fondata su un sistema sociale, quel che rende particolarmente interessante la "simulazione" è il fatto che si ritiene che un tale comportamento sia abitualmente una reazione di difesa a stress esterni:

(Questa condizione) consiste di vari gradi di simulazione conscia del precedente stato psicotico da parte e sotto il controllo dell'Io del paziente, in occasione del manifestarsi di una successiva situazione stressante.

Questa definizione psichiatrica è strettamente parallela a quella sociologica di "devianza secondaria" di Lemert:

Quando una persona comincia a impiegare il suo comportamento deviante o un ruolo basato su di esso come mezzo di difesa, di attacco o di adattamento di fronte a problemi palesi o nascosti creati dalla conseguente reazione della società, la sua devianza è secondaria.

Si vede inoltre che una simulazione di questo tipo può manifestarsi anche quando non ci sono stati degli episodi psicotici in precedenza:

Un esempio particolarmente notevole di ciò si vide in una giovane impiegata dell'archivio dell'ospedale che sviluppò un complesso di sintomi soggettivi che erano altamente suggestivi per un tumore del lobo frontale del cervello. Le prove fisiche e di laboratorio, per non parlare degli studi sul suo aspetto, rivelarono che la natura dei suoi disturbi era riconducibile ad un meccanismo di conversione, e che essi erano in parte modellati sulle storie cliniche che aveva letto con maggior diligenza di quanto non fosse richiesto dal suo lavoro.

Evidentemente il ruolo del malato di mente può essere interpretato senza averne mai avuto esperienza. Nel paragrafo che seguirà la proposizione 5, verrà discusso l'apprendimento mediato dell'immagine del ruolo di malato mentale.

La sindrome di Ganser illustra il modo complesso con cui elementi volontari e involontari si intrecciano nell'interpretazione del ruolo. Gli psichiatri si riferiscono a questa condizione parlando di sindrome delle "risposte approssimative" o sindrome Vorbeireden (parlare dando risposte laterali e di traverso):

Il paziente è disorientato per quanto riguarda il tempo e lo spazio e risponde alle domande in modo assurdo. Spesso afferma di non sapere chi è, da dove viene, o dov'è. Quando gli si chiede di eseguire dei calcoli semplici fa degli errori grossolani, per esempio dice che 2 più 2 fa 5. Quando gli si domanda di identificare degli oggetti, dà il nome di un oggetto collegato a quello in questione: se gli si mostrano delle forbici, può dire che si tratta di coltelli; il ritratto di un cane può essere identificato cori quello di un gatto; un oggetto giallo può essere considerato rosso e così via. Se gli si chiede a che cosa serve un martello, può rispondere: per tagliare la legna. Se gli si mostra una moneta da 50 lire può affermare che si tratta di una da 100 lire e così via. Se gli si domanda quante gambe ha un cavallo, può rispondere "sei."

A volte sembra che si svolga un gioco tra l'esaminatore e il paziente. L'esaminatore pone domande che sono quasi sciocche nella loro semplicità, ma il malato arriva a dare una risposta ancora più sciocca. Eppure sembra che egli comprenda la domanda, poiché la risposta, sebbene errata, ha un legame con la domanda.

Secondo quanto è stato qui detto sulla natura sociale dell'interpretazione del ruolo, interpretare la simulazione di stati psicotici precedenti e la sindrome di Ganser è reso difficile dal fatto che il paziente rimane confuso dal proprio comportamento allo stesso modo dell'osservatore.

Alcuni psichiatri sospettano che nella schizofrenia vi sia una gran parte del comportamento che appartiene alla zona di confine tra attività volontaria e non. Presentiamo alcune citazioni tratte dal resoconto autobiografico di una schizofrenica che pone in rilievo gli aspetti relativi all'interpretazione del ruolo:

Noi schizofrenici diciamo e facciamo un sacco di cose che non hanno importanza, e quindi mischiamo con tutto questo le cose importanti per vedere se il dottore si prende abbastanza cura da vederle e sentirle...

I pazienti ridono e si mettono in posa quando intuiscono che il dottore, che sta dicendo che li aiuterà, in realtà non vuole o non può... Cercano di compiacere il dottore, ma anche lo confondono in modo che non incominci nulla di importante. Quando trovate della gente che vi aiuterà realmente, non avete bisogno di distrarla, potete comportarvi normalmente.

Io riesco a sentire se il dottore non solo vuole aiutarmi, ma anche se lo può e se mi aiuterà...

I pazienti scalciano e gridano e lottano quando non sono certi che il dottore può vederli. E' una delle sensazioni più spaventose di cui ci si possa render conto, il fatto che il dottore non può capire quello che senti e che va avanti solo con le sue idee. Cominciavo a pensare di essere invisibile o forse di non esserci affatto. Dovevo far chiasso per vedere se il dottore avrebbe risposto a me, non solo alle sue idee.

Si noti che questa paziente ha applicato a se stessa il marchio di deviante ("noi schizofrenici") e che il suo comportamento si accorda con la definizione di devianza secondaria di Lemert: essa mostra di aver usato il ruolo di deviante come mezzo di adattamento.

Questa discussione suggerisce che I'esecuzione stabile di un ruolo nasce quando l'immagine che l'attore ha del ruolo si unisce strettamente al tipo di "deferenza" che gli viene regolarmente offerta. Un esempio limite di questo processo può trarsi dai resoconti medico‑antropologici riguardanti il "ruolo di morto," come nelle uccisioni predeterminate per magia (bone-pointing). Queste morti mostrano di originare dall'unione di due processi fondamentali che caratterizzano tutto il comportamento sociale. In primo luogo, tutte le persone si orientano continuamente attraverso le risposte che percepiscono nell'interazione sociale: l'identità dell'individuo e la continuità dell'esperienza dipendono da questi indici.

Generalizzando dei risultati sperimentali, Black e Mouton cosí parlano dei processi di conformità, resistenza all'influenzamento, e conversione a un ruolo:

Un individuo, per poter orientare e regolare le sue interazioni con gli altri, ha bisogno di un sistema di riferimento stabile, che includa punti di riferimento fermi e ben rivelabili. Questo sistema consiste dì ancoraggi interni e esterni che l'individuo può utilizzare, ne sia o meno cosciente. Se questo sistema di riferimento è accettabile, egli può rifiutarsi di dare o ricevere informazioni discordanti con lo stesso e che gli richiedono di abbandonarlo. In assenza di un sistema stabile egli cerca attivamente di costruirne uno, sforzandosi di utilizzare le informazioni appropriate e significative che gli vengono fornite nel contesto dell'interazione. Controllando la quantità e il tipo di informazioni valide per potersi orientare, può essere portato ad assumere atteggiamenti di conformità del tutto estranei al suo precedente modo dì pensare.

In secondo luogo, l'individuo ha un repertorio di attese, che in una particolare situazione può accordarsi o meno con le sanzioni cui è esposto. L'ingresso in un ruolo può essere completo quando fa parte delle attese dell'individuo, e quando queste sono riaffermate nell'interazione sociale. Nelle pagine seguenti questo principio verrà applicato al problema delle cause dei disordini mentali, attraverso considerazioni sull'istituzione sociale della pazzia.

Apprendimento e conservazione dell'immagine del ruolo

Quali sono le credenze e le consuetudini che costituiscono l'istituzione sociale della pazzia? e come figurano nello sviluppo dei disordini mentali? Considereremo ora due proposizioni sulle credenze del grosso pubblico sui disordini mentali.

4. L'immagine stereotipata dei disturbi mentali viene appresa nella prima infanzia. Quantunque manchino degli studi probanti in questo campo, l'autore è portato a concludere da osservazioni non sistematiche che i bambini apprendono una considerevole quantità di immagini riguardanti la devianza, e che molte di queste provengono dai loro coetanei piuttosto che dagli adulti. Il significato letterale di "matto," un termine attualmente usato in un'ampia varietà di contesti, viene probabilmente afferrato dai bambini durante i primi anni della scuola elementare. L'argomento è circondato da un'aura di mistero, dato che gli adulti sono spesso vaghi ed evasivi nelle loro risposte alle domande in proposito. In questo aspetto della socializzazione sopravvivono gli stereotipi più grossolani ereditati dalle paure infantili, per esempio "l'uomo nero." Naturalmente queste conclusioni sono del tutto speculative, e richiedono delle ricerche sistematiche, possibilmente con tecniche simili a quelle usate negli studi sull'apprendimento precoce degli stereotipi razziali.

Riportiamo alcune osservazioni psichiatriche sul "gioco del matto" di un gruppo di pazienti in età infantile. Onesto materiale indica che questi bambini (età 8‑12 anni) sono già in possesso degli stereotipi sociali e che questi hanno una parte attiva nelle loro cognizioni e nel loro comportamento. Questo è anche in accordo con la discussione precedente sull'interpretazione del ruolo e sulla devianza secondaria.

Ugualmente importante è l'interesse che essi portano per la pazzia, per la possibilità che siano essi stessi pazzi... Tale interesse sembra riflettere la reazione dei bambini alle loro sporadiche esperienze e al loro comportamento psicotico, una coscienza sociale di come essi appaiono agli altri, e forse in un certo senso un tentativo di" spiegare" il loro proprio comportamento. Indubbiamente essi stanno anche rispondendo ai tormenti e agli insulti dei coetanei, e ai rimproveri esasperati di genitori e maestri...

L'interesse dei bambini per la pazzia si affaccia in molti luoghi e modi diversi. Malcolm, in associazione con la figura che disegna, persevera nelle osservazioni sulla pazzia. "B un matto," "Non ha cervello, è proprio pazzo," "Un pazzo, ecco cos'è, è nato così", "B matta, questo è quel che la gente dice di lei ‑ Hitler era matto, no?" Gale entra palesemente sconvolta nello studio del suo terapista, rifiuta bruscamente di parlare di qualsiasi disturbo, insiste nel dire che sta bene. Ben presto dice di aver visto che nella sala di attesa ci sono delle letture sui bambini emotivamente disturbati, e grida di non essere pazza. Bob si taglia accidentalmente un dito nel laboratorio di ergoterapia. In grande agitazione, guarda fissamente il sangue e urla: "Mio Dio, sto diventando matto." Un altro dice di voler solo i fumetti di Looney (matto) Tunes: "Looney Tunes," sbuffa, "questo è quello che fa per me." Mark scopre di aver confuso i giorni di lavoro in laboratorio, ha paura che ciò significhi che sta perdendo il cervello. Molti bambini fanno dell'umorismo e proiettano questo interesse.., descrivendo.., gli altri come "matti." Spesso concentrano la loro pazzia sul cervello, sia che abbiano fatto o meno esami neurologici o elettroencefalogrammi "Non ho cervello," "Il mio cervello è perso e mi galleggia intorno alla testa," "Il cervello e la mente non sono buoni, mi si sono stancati troppo presto," "A volte ho ‑ si sentono come delle esplosioni, nella mia testa," "C'è qualcosa che sbatte quassù."

...Una componente considerevole dello strano comportamento di questi bambini ha un elemento conscio ‑ vale a dire, essi stanno giocando al matto. Gran parte del loro gioco, ma non tutto, si concentra sulla passata esperienza e sul continuo interesse per l'essere pazzi. Il gioco assume diverse forme; può essere quieto e riservato o rumoroso e evidente, la pazzia identificata come "finta" dal bambino, o "difesa" sino alla fine. Tra queste varie forme ci sono il guardare in modo strano, fissare nel vuoto, o agire in modo completamente confuso; stati simili a rabbia selvaggia, primitiva, disorganizzata; verbalizzazioni bizzarre, incoerenze, mugolii; allucinazioni e deliri dichiarati; insistenza del bambino di essere un animale o uno spettro o un'altra creatura; o vari altri comportamenti grossolanamente bizzarri. La maggior parte dei bambini manifesta molte di queste forme di gioco; molti annunciano chiaramente anche se in modo che non è assolutamente attendibile ‑ di aver giocato al pazzo o cli aver intenzione di farlo, e parlano di" far solo finta." Le complesse componenti del loro gioco diventano spesso chiare solo dopo averli osservati e trattati a lungo.

A volte il bambino sta giocando al pazzo in modo completamente conscio, deliberato, quasi con gusto ‑ non è sotto nessuna tensione interna significativa, è completamente controllato, e al termine è più sicuro. Questo in quanto se uno può fingere apertamente di essere pazzo, come può esserlo realmente? Non solo le ansie attuali ma i reali incidenti passati possono così essere cancellati magicamente. Forse con maggior frequenza, il giocare al pazzo viene usato come lo sono spesso gli altri tipi di gioco, per raggiungere cioè una tardiva padronanza degli eventi traumatici, o degli stati ansiogeni interni...

Ma anche in altri momenti ‑ ancora non quando sono sotto forte tensione o in alcun modo prossimi alla dissociazione ‑ i bimbi fingono o giocano con la pazzia, in modo deliberato e controllato, quasi che stessero sperimentando o controllando delle esperienze psicotiche attenuate: il comportamento sembra abbastanza diretto verso una padronanza anticipata di stati futuri piuttosto che verso la riduzione di passate ansie. Si sente che il bambino sta dicendo, "E se dovesse succedere questo e questo...?" o "Come sarebbe se...?" Ciò si potrebbe bene classificare come una misura "antisorpresa," anche se chiaramente gli stati psicotici precedenti non sono totalmente indipendenti da questa forma di comportamento, in cui il bambino per tentativi va tastando il terreno delle temute esperienze future di dissociazione. La cosa è bene espressa da Fenichel: "...un'azione di prova: si ripete il passato opprimente e si anticipa il possibile futuro." Vengono create le tensioni, "...che possono manifestarsi, ma il tempo e la misura sono determinati dal partecipante stesso, e quindi sono sotto controllo."

In altri momenti, quando stanno scivolando o sono già praticamente in stato psicotico, i bambini possono ancora tentare freneticamente di fingere di essere pazzi. O forse più precisamente, essi fingono di essere più pazzi di quanto non lo siano in quel momento...

A volte il bambino mantiene uno sguardo attento sulle reazioni dell'uditorio mentre si produce in una manifestazione completamente inventata e controllata di pazzia. Dopo aver chiesto all'osservatore di giudicarlo, attende tormentosamente la risposta.

"Sono pazzo? Tu pensi che io sia così pazzo, che abbia perso talmente il controllo che realmente potrei... comportarmi in questo modo?" Se la risposta fosse troppo premurosa potrebbe sentirsi minacciato in malo modo dalla possibilità di essere ciò che teme e finge. E può difendersi rabbiosamente, come fece Dart in un'occasione simile: "Io non sono tanto pazzo!"

Dato che l'ipotesi 4 sia corretta, quale effetto ha l'apprendimento precoce delle concezioni della pazzia condivise dalla società? Nella prima infanzia vengono apprese molte cose errate, che vengono successivamente scartate quando sono sostituite da un'informazione più adeguata. Questo problema conduce all'ipotesi 5.

5. Gli stereotipi della pazzia vengono continuamente riaffermati, senza prestare attenzione, nella comune interazione sociale. Quantunque molti adulti acquistino familiarità con i concetti medici sulle malattie mentali, gli stereotipi tradizionali non vengono scartati, ma continuano ad esistere parallelamente alle concezioni mediche, poiché ricevono un sostegno quasi continuo da parte dei mezzi di comunicazione di massa e nelle comuni conversazioni sociali. Nelle campagne per l'educazione alla salute mentale, nelle conferenze televisive di psichiatri ecc., negli articoli sulle riviste e nelle cronache dei giornali, appaiono abbastanza spesso discussioni mediche sulle malattie mentali; ma esse sembrano essere soverchiate di gran lunga dai riferimenti stereotipati.

Un recente studio di Nunnally dimostra, mediante una analisi dei contenuti ampia e sistematica condotta su televisione, radio, giornali e riviste, che il quadro delle malattie mentali fornito dai mass media è stereotipato in misura schiacciante.

I mezzi di comunicazione di massa accentuano nelle loro presentazioni la stranezza dei sintomi dei malati di mente. E' stata per esempio registrata 89 volte l'informazione relativa al I fattore (la concezione che l'aspetto e le azioni del malato di mente siano diversi da quelli delle persone normali). Di queste, 88 affermano il fattore, indicano, cioè, o suggeriscono che l'"aspetto e le azioni" della gente che ha problemi di salute mentale siano "diversi": solo una risposta negava il I fattore. Nei drammi televisivi, per esempio, il malato entra spesso in scena con lo sguardo fisso e gli occhi vitrei, la bocca spalancata, mormorando frasi incoerenti e ridendo in modo incontrollabile. Anche le persone affette da quelli che dovrebbero essere considerati i disturbi più lievi, le fobie e le ossessioni nevrotiche, vengono presentate come se avessero strane espressioni sul volto e compissero azioni bizzarre.

Sono di particolare interesse i confronti fatti tra l'immagine dei disturbi mentali data dai mass media, quella degli esperti di salute mentale e quella del grosso pubblico. Oltre a quelli dell'analisi suddetta, i dati erano stati raccolti in un gruppo di psichiatri e psicologi e in un campione scelto nella popolazione complessiva. Questo confronto viene riassunto nella figura sotto riprodotta.

 

 

La linea continua, che rappresenta le risposte degli esperti di salute mentale, è posta più a sinistra in direzione di una minore stereotipia. I circoletti, che riassumono i risultati dei mass media, sono posti per la maggior parte all'estrema destra, in direzione della stereotipia massima. La linea tratteggiata, che indica i risultati dell'indagine sul campione tratto dal pubblico, si pone tra i profili dei risultati dei mass media e quelli degli esperti.

Questi risultati possono essere interpretati nel senso che le concezioni che il pubblico ha dei disturbi mentali sono la risultante di una duplice pressione: le opinioni degli esperti, espresse durante le campagne di salute mentale, e nei programmi "seri" dei mass media, che allontanano la pubblica opinione dagli stereotipi; e le produzioni più frequenti e visibili di questi mezzi, che rinforzano gli stereotipi tradizionali.

Poiché il campione che Nunnally aveva tratto dai mass media era stato preso durante un breve periodo di tempo (una settimana del 1955), egli non fa direttamente una analisi delle tendenze che si manifestano nel corso del tempo; fornisce, comunque, testimonianze indirette che sono del tutto pertinenti per questa discussione. Egli presenta il numero di programmi televisivi che trattano di malattie mentali, ponendo da un lato i documentari, che presentano presumibilmente discussioni mediche serie, e dall'altro, in contrapposizione, gli altri programmi: vale a dire per ogni anno racconti e film durante il periodo 1951-58. I suoi risultati sono (...) che anche in un periodo recente (1957‑58) i programmi seri sono inferiori agli altri in un rapporto dell'ordine di I a 100. Evidentemente inoltre, tale sproporzione non era decrescente, come ritenevano molti di coloro che si occupavano di salute mentale, ma in realtà crescente, con l'aumento dell'interesse della gente per il problema.

Lo studio di Nunnally, pur rappresentando un contributo per le nostre conoscenze di quest'immagine nei mass media e nel grosso pubblico, ha un interesse abbastanza limitato per i termini del nostro discorso attuale, in quanto tratta solo di riferimenti diretti alle malattie mentali, e per valutare questi utilizza un insieme incompleto di categorie. Per prima cosa discuteremo l'insieme di categorie, e successivamente i riferimenti diretti.

Le categorie utilizzate per valutare il contenuto dell'immagine delle malattie mentali sono di interesse disuguale; la categoria 1 ‑ "Aspetto e modo d'agire diversi" - e la 6 ‑ "Senza speranza" ‑ sono probabilmente essenziali per capire la natura di quest'immagine nel grosso pubblico. Ci sono comunque altre dimensioni che non sono state incluse nell'analisi di Nunnally; tra queste le più importanti sono la pericolosità, l'impossibilità di far previsioni, e la valutazione negativa. Questo punto può essere chiarito facendo riferimento alle cronache dei giornali in proposito.

Nei giornali è pratica comune menzionare il fatto che un violento o un assassino è stato un tempo malato di mente. Ci sono diversi esempi: sotto il titolo "Ragazza interrogata per l'uccisione del bambino," il racconto inizia: "Una ragazza di 15 anni, con una storia clinica di malattia di mente, è stata interrogata in riferimento al rapimento e al successivo assassinio di un bimbo di 3 anni." Una storia simile, sotto il titolo "Un uomo ucciso e due poliziotti feriti nella rissa all'Ospedale," inizia: "Un ex malato di mente si è impadronito della rivoltella di un poliziotto e ha cominciato a sparare contro 15 persone nella sala dell'accettazione del City Hospital n. 2, giovedì."

Spesso gli atti di violenza vengono collegati alle malattie mentali anche se le prove sono scarse o inesistenti. Per esempio, sotto il titolo "Uomo del Milwaukee infuriato spara contro un ufficiale," la cronaca, dopo aver descritto i fatti, cita un capitano di polizia che dice: "Può trattarsi di un pazzo." In un'altra storia, sotto il titolo "Nel Texas, figlia afferma che il padre ha ucciso quattro bambini e si è suicidato," l'ultima frase dice: "Una notizia asserisce che Kinsey (l'assassino) era stato un tempo in cura psichiatrica." E' evidente che in ogni numero dei maggiori quotidiani c'è almeno una cronaca di questo genere.

Anche se i resoconti di questi atti di violenza fossero molto scrupolosi, darebbero sempre al lettore un'impressione ingannevole, in quanto le informazioni negative vengono raramente compensate da cronache positive. Un brano come quello che segue è quasi inconcepibile:

Mr. Ralph Jones, un ex malato di mente, è stato eletto presidente del Circolo Bellavista e della Società del Giardino nella loro riunione di giovedì scorso.

Attraverso questi resoconti colmi di pregiudizi, il lettore è libero di inferire impunemente che assassini, rapimenti e altri atti di violenza si manifestano molto più di frequente tra coloro che sono stati malati di mente che nella popolazione in genere. In realtà è stato dimostrato che, tra i primi, i crimini violenti (come ogni altro delitto) presentano un'incidenza molto più bassa che nel resto della popolazione." Ma il quadro che la pratica giornalistica propone al pubblico non è questo. I giornali hanno stabilito un rapporto ineluttabile tra malattia mentale e violenza, e forse, e ciò è importante, questo legame sta anche a significare l'incurabilità di questi disordini; si associano, cioè, quelli che sono stati malati di mente, con gli imprevedibili atti di violenza.

Sembra paradossale che il progresso delle tecniche di comunicazione abbia creato un tale stato di fatto per cui probabilmente il processo di stereotipizzazione diventerà sempre più forte. I giornali usano attualmente le comunicazioni per telescrivente dalle agenzie di stampa, e poiché queste riferiscono dall'intera nazione su delitti e violenze in cui sono coinvolti malati di mente, l'influenza della scelta del campione sul quadro presentato al pubblico diventa enorme.

Ogni giorno ci sono circa 600.000 adulti confinati negli ospedali psichiatrici degli Stati Uniti, e un gruppo ancora più vasto di ex pazienti. I giornalisti, quando riferiscono quotidianamente gli atti violenti di qualche paziente o ex paziente, indicando nello stesso tempo solo raramente la grande quantità di pazienti non violenti, compiono un'opera grossolanamente mistificatrice. Inavvertitamente, la stampa dà cronache selettive dello stesso tipo di quelle che si trovano nelle inserzioni e nella propaganda più spudoratamente falsa, per "provare" di continuo che i malati di mente sono violenti in modo imprevedibile.

Queste cronache selettive hanno un gran peso in quanto confermano gli stereotipi della pazzia che ha il pubblico. Anche se i giornali si mettessero a spiegare quanto siano parziali questi resoconti, il problema non verrebbe eliminato. La vivida descrizione di un solo caso di violenza umana ha sul lettore una forza d'urto maggiore delle statistiche che specificano in termini matematici qual è il reale pericolo costituito dai pazienti psichiatrici come classe.

Di solito la reazione dell'uomo medio al fatto che la probabilità che si manifestino degli episodi di violenza del tipo di quelli riferiti dai giornali è di uno su un milione circa, è che questa probabilità rappresenta comunque un rischio reale che non si sente di correre. Eppure approssimativamente è lo stesso rischio di morte che egli accetta senza starci a pensare quando fa un viaggio in aereo o in automobile attraverso il paese. Una componente dello stereotipo della pazzia è anche una paura irragionata e irragionevole dei malati di mente, che rende la gente riluttante a correre dei pericoli in questo campo; quantunque questi abbiano la stessa grandezza di quelli che vengono incontrati e accettati di frequente nel comune ambiente di vita.

La riaffermazione dello stereotipo della pazzia si manifesta non solo nei mass-media, ma anche indirettamente nella conversazione ordinaria, negli scherzi, negli aneddoti e anche nelle frasi convenzionali. Nella conversazione informale di frequente si incontrano frasi del tipo: "Sei pazzo?" o "Sarebbe un manicomio," o "Mi sta facendo uscire di cervello," o "Ridevamo come matti," o "Stava correndo come un pazzo," e ancora centinaia d'altre. Quando si usano queste frasi, la pazzia di per sé è raramente l'argomento della conversazione, e chi parla non intende far riferimento a essa, e di solito non ne è conscio.

Casualmente ho udito dei malati di mente usare senza pensarci queste frasi mentre parlavano tra di loro. Anche chi lavora nel settore della salute mentale, come psichiatri, psicologi e sociologi, che sono i più interessati a mutare le concezioni sulle malattie di mente, usano spesso queste espressioni ‑ talvolta per scherzo ma di solito senza pensarci ‑ nelle discussioni informali. Esse fanno talmente parte del linguaggio ordinario che solo chi soppesi con cura ogni parola può eliminarle dalla sua conversazione. Attraverso l'uso verbale lo stereotipo della pazzia è una parte rigida della struttura sociale.

Occorrerebbe discutere le immagini implicate in queste frasi. Quando viene usata la frase: "Correre come un pazzo," questa comunica implicitamente l'immagine di un movimento di tipo selvaggio e forse incontrollato. La domanda: "Sei uscito di senno?" sta a significare un comportamento che viene disapprovato da chi parla. Il termine "matto," usato frequentemente, implica spesso, quantunque non sempre, un marchio o un sottile senso di ridicolo. Queste implicazioni esistono anche se le persone che usano le espressioni non intendono comunicarle.

Queste immagini inavvertite e incidentali sono simili a quelle contenute negli stereotipi razziali ed etnici. Uno che parlando usi la frase; "Jew a man down" ("Imbrogliare completamente una persona") può non avere necessariamente dei pregiudizi contro gli ebrei (come nel Sud rurale, dove gli ebrei sono rari), ma usa semplicemente la frase come un modo comodo per poter comunicare il suo pensiero; ma per gli altri quello che vi è implicito non può essere frainteso ‑ l'immagine dell'ebreo come una persona che intriga nel proprio interesse ed è eccessivamente attaccata al denaro.

Ancora, le immagini sono spesso comunicate per mezzo di scherzi e di aneddoti, come avviene per gli stereotipi razziali ed etnici." Un esempio del tipo di facezia che si ascolta nelle conversazioni correnti è tratto dal Reader's Digest:

Un visitatore vede in un ospedale psichiatrico un ricoverato che all'aspetto e al comportamento sembra una persona normale. Gli chiede perché si trovi nell'ospedale. "Perché amo le frittelle di patate," risponde il paziente. "Non è niente, anch'io amo le frittelle di patate," dice il visitatore. Il paziente si volge eccitato verso di lui. "Lei!", esclama. "Venga allora nella mia stanza, ne ho un baule pieno."

Le implicazioni che si possono trarre da una facezia di questo tipo sono abbastanza chiare. Le persone che sono malate di mente sono fondamentalmente diverse, anche quando non sembra. Tra gli altri, questo è un tema ricorrente nella conversazione ordinaria in riferimento a queste malattie, che assieme a quelli dell'"aspetto e modo d'agire diversi" e dell'"incurabilità," fa parte probabilmente di un solo modello più ampio: questi devianti (come gli altri devianti) appartengono a una classe fondamentalmente diversa di esseri umani, o forse anche a specie differenti. Le credenze e le azioni basate sulla premessa che coloro che sono nemici, estranei o devianti rispetto a una persona, non importa quanto attraenti o simpatici possano apparire all'incauto, siano essenzialmente e fondamentalmente diversi dal suo tipo, sono una manifestazione di "fuori‑gruppo."

Una facezia razziale illustrerà questo punto, la differenza e la fondamentale inferiorità del fuori‑gruppo:

Un dirigente di pubblicità negro viene intervistato nella sua casa, un lussuoso appartamento sull'Hudson, per il programma televisivo "Da persona a persona." E' vestito impeccabilmente e parla disinvoltamente con l'accento colto della società dell'East Coast. "Buona sera, Ed," dice. "Buona sera, Mr. Johnson," dice il presentatore. Il dirigente presenta la sua famiglia. "Prima di farci fare un giro per la casa," dice il presentatore, "vuol dire qualcosa ai nostri ascoltatori sulla sua giornata di lavoro?" "Certo, Ed," dice Mr. Johnson, "in un comune giorno lavorativo il mio segretario viene a prendermi alle nove circa, raggiungiamo l'ufficio alle dieci, sono in riunione fino alle dodici, pranzo‑cocktail fino alle due. Alle due ho un'altra riunione, poi detto la corrispondenza fino alle sei circa. II mio segretario torna a prendermi, sono a casa per le sette. Spesso, ma non sempre, abbiamo gente a cena e per un drink; rimangono fino alle undici, mezzanotte, e quindi vado fuori sul balcone e guardare banorama di giddà."

Per riassumere questo paragrafo: gli stereotipi pubblici delle malattie mentali possono cambiare difficilmente perché ricevono delle conferme continue, sebbene involontarie, dai mezzi di comunicazione di massa e nelle conversazioni comuni. A sostegno di questa proposizione, sono state citate delle prove tratte da molti studi e da osservazioni dell'Autore.

Su questa base si sospetterebbe che le campagne di salute mentale, basate in larga misura sulla diffusione di informazioni, siano condannate al fallimento per la schiacciante preponderanza delle notizie e delle immagini stereotipate cui viene esposta la persona media.

E' difficile dire al momento attuale come si possa cambiare questa situazione. In alcuni mezzi, per esempio la televisione, è stato fatto un preciso tentativo di "epurare" i riferimenti alle malattie mentali. Questi tentativi, però, come rileva Nunnally, non sono particolarmente fruttuosi. Mentre la televisione si è indirizzata verso una pratica eliminazione di tutti i riferimenti irriverenti di gergo alle malattie mentali, non sono stati fatti dei tentativi per cambiare le immagini visive.

Perché questi stereotipi sono resistenti al mutamento? Una possibile spiegazione è che siano funzionali all'ordine sociale corrente, e tendano a essere integrati nella struttura psicologica di tutti i membri della società. Funzioni simili possono essere eseguite dagli stereotipi razziali. Nella parte meridionale degli Stati Uniti, per esempio, questi ultimi non sono atteggiamenti fortuiti e isolati; piuttosto sono parte integrante della struttura cognitiva del meridionale. Lo stereotipo del negro compie le funzioni di una concezione di contrasto, un punto di riferimento per fare dei confronti sociali e autovalutarsi. Una traccia dell'esistenza di tali concezioni è il vocabolario estremamente ampio di termini dialettali che si riferiscono ai negri, che si trova nel Sud; solo pochi esempi, nel numero enorme di tali termini, sono Jig, coon, spade, buck, e jungle bunny.

Nel linguaggio corrente c'è un gran numero di espressioni che si riferiscono alla pazzia, ad esempio: dar fuori di matto, cose da pazzi, matto da legare, innamorato pazzo, pazzo per la musica, voglia matta, gusto matto, spese pazze, velocità pazza, testa matta, gabbia di matti, fossi matto!, darsi alla pazza gioia, tempo pazzo, ecc.

Giudicando dalla frequenza con cui i riferimenti ai disturbi di mente appaiono nei mezzi di comunicazione di massa e nel linguaggio discorsivo, il concetto di disordine mentale serve come fondamentale concezione di contrasto della nostra società, con la funzione di preservare la morale corrente. Al mutamento di una concezione così comoda si è probabilmente resistito per questa ragione. In alcune società primitive, il concetto di "invasamento" spiega sogni, malattie, disturbi mentali, grandi successi, morte improvvisa, e molti altri fenomeni altrimenti inspiegabili. Il membro medio di una tale società ha perciò un sostanziale vantaggio psicologico nel credere all'invasamento.

Analogamente negli Stati Uniti il cittadino medio resiste al mutamento delle sue concezioni sulla pazzia o, se appartiene alla classe media, sulla malattia mentale perché queste sono funzionali a un mantenimento del suo consueto mondo morale e cognitivo.

Questo paragrafo si concluderà con la discussione di un processo che può mettere in relazione la stereotipizzazione del malato di mente con la dinamica sociale, della malattia: l'apprendimento mediato. La trasmissione di immagini stereotipate attraverso i mass media e la conversazione ordinaria può gettare luce su un problema che è stato vivacemente dibattuto: se i sintomi dei disturbi mentali siano innati o appresi. Quantunque i difensori del punto di vista dell'apprendimento abbiano indicato dei casi i cui sintomi sembravano appresi (folie à deux, modelli di ruolo nella famiglia), non sono mai stati completamente soddisfatti da questa spiegazione, in quanto pone particolarmente in risalto manifestazioni apparentemente infrequenti.

In questa discussione si suggerisce che ciascuno in una società apprende mediatamente i sintomi dei disturbi mentali attraverso le immagini che vengano trasmesse intenzionalmente nella vita quotidiana. Queste immagini tendono a essere associate al gergo di ogni lingua e cultura, il che può dare una spiegazione del perché ci siano delle considerevoli variazioni nei sintomi dei disturbi di mente che si manifestano nelle diverse culture. Se, come si suggerisce qui, queste immagini possono essere utilizzate dal trasgressore alla norma per strutturare e così "capire" la propria esperienza, la qualità della reazione della società diventa estremamente importante per determinare la durata e l'esito della trasgressione residua, inizialmente amorfa e non strutturata. Nel prossimo paragrafo mostreremo che la natura della reazione della società è composta di parti alternative, anzi mutuamente esclusive ‑ rifiuto o marchio.

Rifiuto e marchio

Secondo l'analisi che abbiamo presentato, gli stereotipi tradizionali dei disturbi di mente sono solidamente attestati nella popolazione in quanto vengono appresi nella prima infanzia e continuamente riaffermati dai mass media e dalle conversazioni quotidiane. Che funzione svolgono queste credenze nei processi che portano alle malattie mentali? Questo problema verrà considerato in riferimento per prima cosa alla precedente discussione sulla reazione della società alla trasgressione residua alla norma.

Si era affermato che la reazione abituale alla trasgressione residua è il rifiuto, e che in tali casi la maggior parte delle trasgressioni è transitoria. La reazione della società alla trasgressione non è comunque sempre il rifiuto. In una piccola proporzione di casi la reazione è differente esagerando e a volte distorcendo l'entità e il grado della violazione. Questo modello di esagerazione, che chiameremo "marchio," è stato rilevato da Garfinkel nella sua descrizione della "degradazione" di quelli che vengono riconosciuti ufficialmente come criminali. Goffman fa un'osservazione simile nella sua descrizione del "discredito" di cui soffrono i pazienti mentali.

[La cartella clinica del paziente] evidentemente non viene mai regolarmente usata per registrare le circostanze in cui il paziente si sia mostrato in grado di lottare onorevolmente con successo contro le difficili situazioni della vita. Tipicamente la cartella viene usata per dare una media approssimativa o un campione della sua condotta passata. [Piuttosto si estrae] dall'intero corso della sua vita un elenco di quelle occasioni che hanno o possono avere un significato sintomatico... Ritengo che la maggior parte delle informazioni raccolte nelle cartelle cliniche sia del tutto vera, quantunque possa anche sembrar vero che dal corso della vita di quasi tutti si potrebbero ottenere dei fatti denigratori in numero sufficiente per fornire le basi di una giustificazione dell'internamento, almeno secondo le cartelle stesse.

Palesemente, in alcune circostanze la società reagisce alle trasgressioni cercando di scoprire dei segni di anormalità nella storia del deviante, per mostrare che egli era sempre stato essenzialmente un deviante.

Le reazioni sociali contrastanti di rifiuto e marchio ci danno i mezzi per rispondere a due domande fondamentali. Primo, se la trasgressione nasce da diverse origini - fisiche, psicologiche e situazionali ‑ di dove si sviluppa l'uniformità di comportamento che viene associata alla pazzia? Secondo, se la trasgressione è di solito transitoria, come si stabilizza in quei pazienti che diventano dei devianti cronici? Per riassumere, quali sono le origini dell'uniformità e della stabilità nel comportamento deviante?

Nel tipo di impostazione qui scelto, la risposta a queste domande è fondata sulle ipotesi 4 e 5, vale a dire sul fatto che l'immagine del ruolo della pazzia è appresa precocemente nell'infanzia e riaffermata nell'interazione sociale. In una crisi, quando la devianza di un individuo diviene un affare pubblico, lo stereotipo tradizionale di malattia mentale diventa l'immagine che dirige l'azione, sia per quelli che reagiscono alla devianza, sia, a volte, per il deviante stesso. Quando gli agenti della società e le persone che sono attorno al deviante reagiscono verso di lui in modo uniforme secondo gli stereotipi tradizionali della pazzia, la sua trasgressione amorfa e astrutturata tende a cristallizzarsi in conformità alle attese, diventando così simile al comportamento degli altri devianti classificati come malati di mente, e a stabilizzarsi nel tempo. Il processo di uniformazione e stabilizzazione diventa una parte dell'orientamento con cui il deviante dirige il proprio comportamento.

Il concetto che gli stereotipi culturali possono stabilizzare la trasgressione residua e tendono a produrre l'uniformità dei sintomi è confortato da studi transculturali dei disturbi mentali. Quantunque alcuni osservatori insistano sul fatto che ci sono delle somiglianze sottostanti, sono molti che concordano sull'esistenza di enormi differenze dei sintomi manifesti delle malattie mentali stabili tra le società, e di grandi somiglianze entro le società.

Queste considerazioni suggeriscono che il processo del marchio sia un evento cruciale nella maggior parte delle carriere della devianza residua. Così Glass, che osservava che gli incidenti neuropsichiatrici non divengono malattie mentali se i colpiti vengono mantenuti nel loro reparto, prosegue dicendo che l'esperienza militare con la psicoterapia è stata deludente. Afferma che i soldati che vengono spostati dalla loro unità a un ospedale spesso diventano dei malati cronici. La loro devianza, cioè, viene stabilizzata dal processo del marchio implicito nel loro spostamento e ospedalizzazione. Un'interpretazione analoga può essere data confrontando le osservazioni sulle turbe infantili tra gli americani di origine messicana e quelli di origine anglosassone. I disturbi infantili del genere del susto (una malattia che si crede originata dalla paura) hanno a volte esiti dannosi nei bambini di origine messicana. Ma il comportamento deviante in gioco è molto simile a quello di una forma che pare abbia un'alta incidenza tra i bambini anglo‑americani, in cui non si verificano praticamente mai delle menomazioni permanenti. Evidentemente,, attraverso le indicazioni dei parenti, il bambino di origine messicana, che all'inizio si comporta come il suo corrispondente angloamericano, apprende a entrare nel ruolo di malato, a volte con serie conseguenze.

Accettazione del ruolo deviante

Da questo punto di vista, i disturbi mentali possono essere considerati, per la maggior parte, dei ruoli sociali, ruoli che completano e riflettono lo status del pazzo nella struttura sociale. Le varie trasgressioni da cui originano i disturbi di mente vengono rese uniformi e stabili attraverso i processi sociali che mantengono il pazzo nel suo status. La stabilizzazione e l'uniformazione della devianza residua divengono complete quando il deviante accetta il ruolo come l'intelaiatura entro cui organizzare il proprio comportamento. Vengono qui sotto enunciate tre ipotesi che prospettano alcuni dei processi che fanno si che il malato accetti un ruolo così stigmatizzato.

6. Coloro che hanno ricevuto il marchio di deviante possono trarre un beneficio dall'interpretazione del ruolo di deviante stereotipato.

Di solito i pazienti che si mostrano capaci di "introspezione" vengono ricompensati dagli psichiatri e dall'altro personale ospedaliero. I pazienti, cioè, che si danno da fare per trovare una prova della "loro malattia" nel loro comportamento presente e passato ricevono dei benefici. Questo tipo di comportamento è un caso particolare di un modello più generale che Balint ha chiamato la "funzione apostolica," in cui il medico e gli altri inavvertitamente fanno si che il paziente mostri i sintomi della malattia che il medico pensa che abbia. La funzione apostolica si manifesta nel contesto delle trattative che intercorrono tra paziente e dottore su ciò che si deciderà circa la natura della malattia del paziente:

Alcune delle persone che per una ragione o per l'altra trovano difficile lottare con i problemi dell'esistenza ricorrono alla malattia. Se il medico ha l'opportunità di vederli nelle prime fasi della loro condizione di malato, prima cioè che si stabilisca una malattia definita, "organizzata," può osservare che questi pazienti offrono, per così dire, o propongono varie malattie, e che devono seguitare ad offrirne di nuove, finché tra medico e paziente non possa essere raggiunto un accordo risultante nell'accettazione da parte di entrambi di una di queste come giustificata.

E' in questa situazione fluida che Balint crede che il medico influenzi le manifestazioni di malattia:

La missione o funzione apostolica significa in primo luogo che ogni medico ha un'idea vaga, ma quasi incrollabilmente ferma, di come dovrebbe comportarsi il paziente quando è malato. Questa idea è estremamente forte quantunque sia tutto meno che esplicita e concreta; e, come abbiamo scoperto, influenza praticamente ogni particolare del lavoro del medico con il suo paziente, quasi come se ogni dottore avesse una conoscenza rivelata di ciò che è giusto o sbagliato attendersi e tollerare per i pazienti e, inoltre, come se avesse il sacro dovere di convertire alla sua fede tutti gli ignoranti e i miscredenti.

Non solo i medici, ma anche l'altro personale ospedaliero e gli altri pazienti remunerano il deviante perché si conformi agli stereotipi. Caudill, che ha fatto delle osservazioni di vita di corsia nelle vesti di paziente, riferisce varie pressioni esercitate su di lui dai compagni. Nella seguente citazione, per esempio, nel consiglio degli altri pazienti c'è il suggerimento di rendersi conto di essere ammalato:

Il secondo giorno, dopo una discussione con il terapista, l'osservatore espresse del risentimento per non avere il privilegio di uscire per visitare la biblioteca e lavorare al suo libro ‑ uno dei fattori che aveva condotto alla sua ospedalizzazione era l'ansia compulsiva relativa alla sua incapacità di terminare il lavoro (secondo la storia clinica simulata). Immediatamente due pazienti, Mr. Hill e Mrs. Lewis, che dovevano più tardi diventare i suoi amici piò stretti, gli dissero che si stava mettendo "sulla difensiva"; dato che il dottore non voleva che facesse quel lavoro, probabilmente era meglio che lo lasciasse perdere. Mr. Hill arrivò a dire che uno dei suoi disturbi, quando era venuto la prima volta in ospedale, era il pensare a cose che doveva fare o riteneva di dover fare. Disse che ora non si preoccupava di nulla. Mrs. Lewis affermò che all'inizio aveva considerato l'ospedale come una sorta di albergo, e aveva passato le sue ore di terapia "a sedurre" il medico, ma gli era stato fatto notare dagli altri che si trattava di un ospedale per malattie mentali, e che avrebbe dovuto lavorare attivamente con il suo medico se voleva aspettarsi dei buoni risultati.

Nell'ospedale psichiatrico della California in cui l'Autore ha condotto uno studio nel 1959, tra i pazienti un tema comune di discussione sull'ammissione in reparto era il "riconoscimento" delle malattie di ciascuno. Questo scambio di battute, che ebbe luogo durante una riunione di reparto all'atto dell'ammissione di una donna, ne fornisce un esempio limite:

Nuova paziente: Io non c'entro, non mi piacciono tutti questi matti. Quando potrò parlare col dottore? Sono qui da quattro giorni e non l'ho visto. Io non sono pazza.

Altra paziente: Dice che non è pazza. (Risata dei pazienti.)

Altra paziente: Tesoro, se non sei pazza mi piacerebbe sapere come hai fatto ad entrare in questo ospedale.

Nuova paziente: È complicato, ma posso spiegarlo. Io e mio marito...

Prima paziente: Dicono tutti così. (Risata generale.)

Esiste quindi una considerevole pressione sul paziente per spingerlo ad accettare il ruolo di malato di mente come parte del suo concetto in sé.

7 I devianti che hanno ricevuto il marchio vengono puniti se cercano di tornare ai ruoli convenzionali.

Il secondo processo operativo è il blocco sistematico all'ingresso dei ruoli non devianti una volta che il marchio sia stato applicato pubblicamente. Così l'ex paziente mentale, quantunque abbia urgenza di riabilitarsi nella comunità, abitualmente si trova discriminato quando cerca di tornare al suo vecchio status o cerca di trovarne uno nuovo nel campo dell'occupazione, del matrimonio, della società ecc.

Studi recenti hanno mostrato che gli ex pazienti, come gli ex condannati, possono avere difficoltà nel trovare un impiego, anche quando comportamento e qualifiche sono ineccepibili. Uno studio sperimentale di Phillips ha mostrato che il rifiuto dei malati di mente è in larga misura un esempio di stigmatizzazione, piuttosto che di valutazione del loro comportamento:

A dispetto del fatto che la persona "normale" è più un tipo ideale" che una persona normale, se si dice che è stata in un ospedale psichiatrico viene rifiutata più degli psicopatici di cui si dice che non chiedono di essere aiutati, o che si rivolgono a un sacerdote, e più di un nevrotico depresso che si rivolge a un sacerdote.

Anche quando si dice della persona normale che si limita a rivolgersi a uno psichiatra, questa viene rifiutata più di un semplice schizofrenico che non chiede di essere aiutato [e] più di un fobico compulsivo che non chiede di essere aiutato o che si rivolge a un sacerdote o a un medico.

Prese insieme, le proposizioni 6 e 7 suggeriscono che a un certo punto il deviante che ha ricevuto il marchio ottiene un guadagno dalla devianza e viene punito se cerca di conformarsi.

8. Nella crisi che si verifica quando il trasgressore residuo riceve pubblicamente il marchio, il deviante è estremamente suggestionabile, e può come unica alternativa accettare il ruolo di pazzo che gli viene offerto.

Quando una trasgressione grossolana viene riconosciuta pubblicamente e diventa un caso, il trasgressore può essere profondamente confuso, ansioso e umiliato. Sembra ragionevole ritenere che il trasgressore durante questa crisi sarà suggestionabile da parte delle indicazioni che riceve dalle reazioni degli altri nei suoi confronti. Ma quelli che gli stanno attorno attraversano anch'essi una crisi; la natura incomprensibile della trasgressione e l'apparente necessità di agire immediatamente li portano a un'azione collettiva contro il trasgressore sulla base dell'atteggiamento che tutti condividono ‑ gli stereotipi tradizionali della pazzia.

Il trasgressore è sensibile alle indicazioni fornite da questi altri e comincia a pensare a se stesso in termini del ruolo stereotipato di folle, che fa parte anche del suo repertorio di ruoli, dato che, come quelli che reagiscono nei suoi confronti, lo ha appreso nella prima infanzia. In questa situazione il suo comportamento può cominciare a seguire il modello suggeritogli dai propri stereotipi e dalla reazione degli altri. Quando, cioè, il trasgressore residuo organizza il suo comportamento entro il quadro dei disordini mentali, e quando questa sua organizzazione viene convalidata da altri, che hanno un particolare prestigio come i medici, egli è "preso all'amo" e procederà lungo la carriera della deviazione cronica.

Ci sono scarse prove dirette circa la parte che le immagini del ruolo hanno nello sviluppo delle malattie mentali, ma esistono varie indicazioni che queste possono essere importanti. Per esempio, Rogher e Hollingshead, nel loro studio sulla schizofrenia a Portorico, danno un considerevole risalto al ruolo del loco (matto) nei casi che hanno studiato. Confrontando le quaranta persone cui era stata fatta la diagnosi di schizofrenia con il gruppo di controllo, essi affermano:

Il ruolo del loco presenta un problema per quasi tutti gli schizofrenici, ma solo per pochi sani. I malati stanno estremamente sulla difensiva riguardo a questo argomento. Di volta in volta, affermano di non essere locos, anche quando non gli viene posta nessuna domanda in proposito. Quando gli viene chiesto direttamente, solo un malato afferma di essere loco, e solo la moglie di un malato sostiene questo di suo marito. Gli altri appartenenti al gruppo dei malati non ammettono la locura; piuttosto, dopo un diniego vigoroso, aggiungono frasi come: "A volte agisco come un loco, ma non lo sono." "Può darsi che lo diventi, adesso non lo sono." "Se non mi si aiuta posso diventare loco." "Forse sono sulla via di diventarlo". "A volte soltanto agisco come un loco."

Quantunque tutte e quaranta queste persone su cui era stata fatta la diagnosi di schizofrenia, a eccezione di due, negassero di essere locos in risposta a domande dirette, il fatto che essi stessi sollevassero il problema quando non gli veniva posta la domanda suggerisce che le immagini del ruolo di loco venissero usate nei loro processi di pensiero, indipendentemente dal loro esplicito diniego. E' importante che il lettore comprenda che la diagnosi di schizofrenia veniva posta in questo studio come parte del processo di ricerca, e non era necessariamente ufficiale per la comunità. I soggetti erano persone che avevano cercato un aiuto psichiatrico e che erano state diagnosticate come schizofreniche dallo psichiatra aggregato al gruppo di ricerca. Dal nostro punto di vista possiamo considerare il gruppo dei "malati" (cioè degli schizofrenici) come persone che stanno facendo esperienza con il ruolo di malato di mente. Rogler e Hollingshead hanno trovato che l'immagine del ruolo di loco posseduto dal gruppo dei malati non differiva da quella del resto della comunità.

Gli schizofrenici sono particolarmente suscettibili al fatto che gli venga assegnato il ruolo di loco. Di conseguenza abbiamo esplorato la possibilità che il quadro di questo ruolo posseduto dagli schizofrenici fosse espresso in termini meno gravi e più benigni di quelli dei sani. Quest'idea era sbagliata! Non c'è nessuna tendenza negli schizofrenici ad attenuare il quadro del loco; malati e sani lo descrivono come violento, immorale, criminale, sudicio, idiosincratico e ripugnante. Per di più le concezioni di loco di uomini e donne non differiscono. Queste visioni sono uniformi e profonde; forse sono fissate inalterabilmente.

Questo risultato è in accordo con le proposizioni 4 e 5; se l'immagine del ruolo di deviante viene appresa precocemente e continuamente ribadita, l'immagine della pazzia posseduta da una persona non dovrebbe probabilmente essere alterata anche quando essa stessa corresse il rischio di riceverne il marchio. Le immagini del ruolo sono parte integrante della struttura sociale, e perciò non possono essere abbandonate facilmente. Possedendo tali immagini relativamente rigide, il trasgressore, come quelli che gli stanno intorno, è suscettibile, in occasione di una crisi, a essere suggestionato socialmente.

II ruolo della suggestione è rilevato da Warner nella sua descrizione delle morti predestinate magicamente (bone‑pointing):

L'effetto [della suggestione dell'intera comunità sulla vittima] è evidentemente violento. E' difficile immaginare una situazione analoga nella nostra civiltà. Se lutti i parenti di una persona, padre, madre, fratelli, sorelle, moglie, figli, compagni, amici, e tutti gli altri membri della società, dovessero improvvisamente tirarsi indietro in qualche circostanza drammatica, rifiutando di assumere qualsiasi atteggiamento che non sia quello di tabù.., e quindi eseguissero su di lui una cerimonia sacra.., possiamo capire abbastanza da soli.., l'enorme potere suggestivo di questo movimento... della comunità dopo che i suoi atteggiamenti [verso la vittima] si sono cristallizzati.

Se alla magia nera sostituiamo il tabù che di solito accompagna la malattia di mente, consideriamo come una cerimonia sacra la procedura di internamento o anche di ammissione in ospedale psichiatrico, la somiglianza tra la descrizione di Warner e i tipici avvenimenti dello sviluppo della malattia mentale diventa considerevole.

Le ultime tre proposizioni suggeriscono che una persona, una volta che sia stata posta in uno status deviante, ottiene dei benefici se si conforma a questo ruolo e delle punizioni nel caso contrario. Ciò non significa comunque che il comportamento sintomatico delle persone che occupano uno status deviante sia in ogni caso una manifestazione di conformità. Per spiegare questo punto occorre discutere un poco il processo di auto‑controllo nei "normali."

In una recente discussione del processo di auto‑controllo, Shibutarii ha osservato che questo non è automatico, ma piuttosto possiede un equilibrio complesso e instabile che si può mantenere solo in circostanze propizie.

Come egli ha mostrato, molte condizioni, tra cui la fatica, la reazione ai narcotici, la tensione o l'eccitamento eccessivi (come può verificarsi nei tumulti), e così via, interferiscono con l'auto‑controllo, che viene al contrario facilitato dalle condizioni che producono gli stati corporei normali e dai processi deliberativi quali la simbolizzazione e l'anticipazione immaginativa prima dell'azione.

Si può ritenere che un aspetto che ha un'importanza cruciale nell'anticipazione è l'immagine di se stessi che viene proiettata nella futura azione. Nella società americana, l'immagine culturale dell'adulto "normale" è certamente quella di una persona dotata di auto‑controllo ("forza di volontà," "spina dorsale" o "carattere forte"). Per una persona che si veda dotata di questi tratti, l'auto‑controllo è più facile, in quanto può immaginare se stessa che resiste agli stress durante l'anticipazione immaginativa e anche sotto gli stress reali.

Ma se l'immagine che la persona ha di se stessa è priva della capacità di controllare le proprie azioni, è probabile che questo processo crolli sotto stress. Una persona di questo tipo può sentire di aver raggiunto il "punto di rottura" in circostanze cui un altro con un concetto di sé "normale" avrebbe resistito. Vale a dire che in quei ruoli di cui la cultura trasmette immagini che accentuano la mancanza di auto‑controllo questa mancanza tende ad apparire più grave di quel che gli stress possano spiegare. Una tale immagine viene trasmessa nella società americana per i ruoli di molto giovane e molto vecchio, ubriacone e drogato, giocatore e malato di mente.

Il ruolo sociale del malato di mente ha così una differente importanza nelle diverse fasi della devianza residua. Quando il marchio viene posto per la prima volta, si limita a dare il nome a una trasgressione che ha altre origini. Quando (e se) la trasgressione diventa un fatto pubblico e non viene ignorata o razionalizzata in altro modo, il marchio può creare un tipo sociale, un modello di comportamento "sintomatico" in conformità alle attese stereotipate degli altri. Infine, nella misura in cui il ruolo deviante diviene parte dell'auto‑concezione del deviante stesso, la sua capacità di controllare il proprio comportamento può essere menomata sotto stress, con episodi compulsivi.

9. Fra i trasgressori residui alla norma, il marchio è la causa singola più importante della carriera di deviante residuo.

Secondo questa ipotesi, la maggior parte delle trasgressioni residue non conduce ad una carriera di deviante a meno che non costituisca la base per l'ingresso nel ruolo di malato. Secondo il discorso che abbiamo portato avanti, il caso più frequente è che la trasgressione residua avrà poche conseguenze sociali, seppure ce ne saranno. Occasionalmente comunque tale trasgressione può diventare la base per mutamenti in meglio dello status sociale del trasgressore, salvo il caso di una degradazione allo status di malato di mente. Tali mutamenti verranno illustrati dalle tre citazioni seguenti.

Caso n. 1: Alcune tribù indiane della California accordavano prestigio principalmente a quelli che passavano attraverso certe esperienze di trance. Non tutte le tribù credevano che fossero esclusivamente le donne a essere così consacrate, ma questa era la convinzione tra gli Shasta. I loro sciamani erano donne, ed esse avevano il massimo prestigio nella comunità. Venivano scelte per la loro capacità costituzionale di cadere in trance o simili manifestazioni. Un giorno una donna che era così destinata, mentre era intenta al lavoro abituale, cadde d'improvviso al suolo. Aveva udito una voce che le parlava con toni della massima intensità.

Voltandosi, vide un uomo con l'arco e la freccia tesi. Egli le comandò di cantare il dolore di essere colpiti al cuore dalla sua freccia, ma sotto la tensione dell'esperienza essa cadde priva di sensi. La sua famiglia si riunì. Essa giaceva rigida, respirando a stento. Essi sapevano che per qualche tempo aveva avuto dei sogni di carattere particolare che indicavano una chiamata sciamanica, sogni in cui fuggiva da orsi grigi, cadeva da rupi o alberi, o veniva circondata da sciami d'api. La comunità sapeva perciò cosa aspettarsi. Dopo poche ore la donna comincio a gemere piano e a rotolarsi per terra tremando violentemente. Si supponeva che stesse ripetendo la canzone che le era stato detto di cantare e che durante la trance le era stata insegnata dallo spirito. Come si riebbe, il suo gemito cominciò a divenire sempre più chiaramente la canzone dello spirito, sinché alla fine proclamò il nome dello stesso, e subito le usci del sangue dalla bocca.

Quando la donna fu tornata in sé dopo il primo incontro con lo spirito, quella sera danzò la sua prima danza sciamanica di iniziazione. Danzò per tre notti, sorretta da una corda che pendeva dal soffitto. La terza notte doveva ricevere nel corpo il potere dello spirito. Stava danzando, e come senti che era il momento gridò: "Mi colpirà, mi colpirà." I suoi amici le stavano accanto perché mentre danzava in una sorta di stato catalettico, dovevano afferrarla prima che cadesse e morisse... Da allora seguitò a convalidare il suo potere soprannaturale con ulteriori dimostrazioni di catalessi, e veniva chiamata in circostanze eccezionali di vita e di morte per curare, divinare, consigliare. In altre parole, divenne attraverso questa procedura una donna di grande potere e importanza.

Caso n. 2: [Samuele viveva nella casa di Eli il sacerdote. Una sera, mentre dormiva, udì una voce che chiamava il suo nome]... Ed egli rispose: "Eccomi." E corse da Eli, e disse: "Eccomi, giacché tu mi hai chiamato." Ed Eli disse: "Non ti ho chiamato, torna a dormire." Ed egli andò e dormì.

[Ancora Samuele udì chiamare il suo nome.] E Samuele si levò e andò da Eli e disse: "Eccomi; giacché tu mi hai chiamato." Ed egli rispose: "Io non ti ho chiamato, figlio mio; torna a dormire." [Per la terza volta Samuele udì chiamare il suo nome.] Ed egli si levò e venne a Eli, e disse: "Eccomi, giacché tu mi hai chiamato." Ed Eli vide che il Signore aveva chiamato il fanciullo.

Perciò Eli disse rivolto a Samuele: "Va', dormi, e avverrà che se Egli ti chiama, tu dirai: parla, o Signore; perché il Tuo servo Ti ascolta." Così Samuele andò e dormi al suo posto.

E il Signore venne, e si fermò, e chiamò come le altre volte: "Samuele, Samuele." Allora Samuele rispose: "Parla, o Signore, perché il Tuo servo Ti ascolta." [Samuele udì profetizzare la caduta della casa di Eli.] E tutta Israele, da Dan fino a Beersheba, seppe che era stabilito che Samuele fosse un profeta del Signore.

Caso n. 3: Intervistatore: "Come arrivaste a credere la prima volta di avere dei poteri psichici?"

Mrs. Bendit: "... In quel particolare periodo della mia vita stavo affrontando molti problemi personali, che a volte sembravano sopraffarmi. Ero del tutto depressa e confusa, e sentivo che la tensione aumentava progressivamente. Son rimasta in questo stato per due settimane circa, quando un sabato mattina, in chiesa, fui colpita dal vedere sulle travi del soffitto un gruppo di angeli. Non potevo allontanare gli occhi da quella visione, sebbene mi accorgessi che nessun altro nella congregazione stava guardando in alto. Dopo questa esperienza vagabondai per diversi giorni, sapendo a stento cosa fare di me stessa. Una sera, poco tempo dopo, andai ad un ricevimento, sperando di allontanare la niente dai miei turbamenti.

Alla festa stavo abbastanza per mio conto, quando di li a poco mi accorsi che nella stanza c'era una donna che mi stava fissando intensamente. Infine essa avanzò verso di me e si presentò. Quindi disse: 'Voi siete psichica, vero?'

Le chiesi che cosa intendesse dire. Essa allora mi spiegò la chiaroveggenza in modo abbastanza esteso. Le parlai della mia visione nella chiesa, ed essa mi spiegò che questa esperienza era un esempio dei miei poteri psichici. Disse che anch'essa era un psichica, e che poteva dire che io avevo il dono. Quantunque la sua spiegazione mi suonasse strana, mi sentii abbastanza sollevata. Nelle settimane seguenti la vidi spesso e conversammo a lungo. Mi introdusse nel gruppo dei chiaroveggenti e delle persone interessate cui apparteneva .... Fu in questo gruppo che cominciai a dimostrare per la prima volta la mia chiaroveggenza... Diversi anni dopo riuscii a organizzare con l'aiuto di mio marito [suo marito è un medico] alla Royal Academy di Medicine una dimostrazione di chiaroveggenza.

I primi due casi illustrano delle elevazioni nello status sociale basate su una trasgressione primaria. Il terzo illustra quel che potremmo chiamare un movimento laterale nello status, poiché evidentemente Mrs. Bendit si è completamente identificata con il suo ruolo di chiaroveggente.

La probabilità che la trasgressione residua non conduca di per sé a un marchio di deviante attira l'attenzione sull'importanza centrale delle circostanze che influenzano la direzione e l'intensità della reazione della società. Sviluppare un insieme definito e largamente applicabile di tali circostanze è uno dei compiti concettuali più pressanti per una teoria sociologica del comportamento deviante. La classificazione che viene qui presentata è solo un primo passo approssimativo in questa direzione.

Quantunque ci sia un'ampia varietà di circostanze che conducono al marchio, queste possono essere classificate semplicemente in termini di natura della trasgressione alla norma, cli persona che trasgredisce, e di comunità in cui si manifesta la trasgressione. A parità di circostanze, la gravità della reazione della società è funzione, primo, del grado, dell'entità e visibilità della trasgressione; secondo, del potere del trasgressore e della distanza sociale tra lui e gli agenti di controllo sociale; e, infine, del livello di tolleranza della comunità e della disponibilità di ruoli alternativi non devianti nella cultura della società.

E' particolarmente decisiva per le future ricerche l'importanza delle due prime circostanze (grado e entità di trasgressione) che sono caratteristiche del trasgressore, in confronto alle rimanenti cinque, che sono caratteristiche del sistema sociale. Nella misura in cui si trova empiricamente che questi cinque fattori sono dei determinanti indipendenti di marchio e rifiuto, lo status del paziente mentale può essere considerato parzialmente attribuito piuttosto che interamente conseguito. La dinamica delle malattie di mente curate potrebbe allora essere studiata con profitto, prescindendo del tutto dalla dinamica individuale, e concentrandosi sulle circostanze relative al sistema sociale.

Nota sul feed‑back nei sistemi amplificatori di devianza

Occorrerebbe, comunque, notare che queste circostanze sono causali solo in quanto entrano a far parte di un sistema dinamico: l'interrelazione reciproca e cumulativa tra il comportamento del trasgressore e la reazione della società. Per esempio, più il trasgressore entra nel ruolo di malato di mente, più viene definito dagli altri come tale; na più viene definito come tale, più completamente entra nel ruolo; e così via. Un circolo vizioso di questo genere è del tutto caratteristico di molti tipi differenti di sistemi individuali e sociali. E' molto importante capire la parte che le circostanze sociali hanno in un sistema di questo tipo, poiché il rapporto causa-effetto non è semplice.

Nello studio sulla schizofrenia a Portorico di Rogler e Hollingshead, gli autori posero la loro attenzione sull'interrelazione dinamica tra ingresso nel ruolo e mutamenti nel concetto di sé dei devianti.

Quantunque il malato sia profondamente assorto nella sua malattia, e senta il desiderio di parlarne, i confidenti vengono selezionati con cura. La malattia viene eliminata dagli argomenti di conversazione con amici e compagni. Vengono fatti degli sforzi per dare l'impressione di non essere un loco. Vengono controllate le attività che accentuano il comportamento da loco. Questi sforzi sono relativamente vani, comunque, essendo i sintomi della malattia forti e facilmente visibili nella densa struttura sociale in cui il malato vive. Effettivamente, questi ha cominciato a essere visto e trattato come un loco, e si ritrae dalla società per paura di essere così stigmatizzato. A sua volta, il rifiuto di cui è oggetto da parte di amici e compagni lo spinge a ritrarsi. Il marchio unito a questo ruolo è cosi forte che il ritrarsi della persona malata dalla partecipazione a gruppi sociali di ogni genere sembra essere una conseguenza naturale della condanna che subisce.

Il processo descritto in questo passo può essere interpretato come un circolo vizioso iniziato con la stigmatizzazione, il ritiro dalla società per evitare un marchio più forte, la stigmatizzazione a causa del ritrarsi e dei suoi effetti, e così via in circolo.

L'effetto del circolo vizioso si manifesta non solo all'ingresso nel ruolo da parte del trasgressore, ma anche in altre parti del sistema. Per poterlo vedere più chiaramente, è utile rappresentare la teoria in un diagramma a blocchi (vedi diagramma 1).

 

Questo diagramma rende chiaro che la presente teoria sui disturbi stabili di mente è in effetti un insieme di moduli di sistema interagenti. C'è il modulo della trasgressione residua, il modulo delle circostanze che eliminano la maggior parte dei trasgressori attraverso il rifiuto, il modulo della crisi, il modulo del concetto in sé del trasgressore, il modulo del controllo sociale, che opera in modo tale che il deviante tende a interpretare il ruolo stereotipato, e, infine, il modulo del comportamento compulsivo. Ognuno di questi moduli è in se stesso un sistema con le proprie circostanze. Nel contesto di una teoria più ampa, comunque, ognuno è un sottosistema che in condizioni appropriate opera come parte dell'interazione.

Il sistema totale forma ciò che Maruyama ha chiamato un sistema di "amplificazione di devianza," in cui vengono stabilizzati degli eventi a bassa probabilità. In un sistema di questo tipo, la semplice legge causale per cui condizioni simili di devianza producono effetti simili non è operativa. Non operano neppure modelli più complessi di cause contingenti, in quanto è necessario specificare lo stato dell'intero sistema.

In termini cibernetici, un circolo vizioso come quello cui noi ci siamo riferiti viene chiamato un feed‑back positivo, e si vede dal diagramma che nel sistema ci sono molti circuiti a feed‑back. Gli episodi di comportamento compulsivo interagiscono con i sottosistemi delle crisi più precoci, delle risposte degli altri, del concetto di sé del deviante, e l'interpretazione del ruolo del deviante controregola il sistema di controllo sociale, così come il concetto di sé del deviante. In condizioni adatte, la devianza non viene estinta dall'azione del sistema, come avviene abitualmente nei sistemi sociali, ma viene stabilizzata o anche amplificata.

Conclusione

La discussione ha sin qui presentato una teoria sociologica delle cause dei disturbi mentali stabili. Poiché le prove presentate in appoggio alla teoria erano disperse e frammentarie, questa può essere proposta solo come stimolo a ulteriori discussioni e ricerche. Tra i campi da porre in evidenza per le indagini successive vi sono studi sul terreno sulla diffusione e la durata della trasgressione residua; sugli stereotipi dei disturbi di mente nei bambini, nei mass media e nelle conversazioni degli adulti; sulla remunerazione della devianza stereotipata; sul blocco del ritorno a ruoli convenzionali, e sulla suggestionabilità dei trasgressori nelle crisi. L'ultima ipotesi causale propone studi sulle condizioni in cui si manifestano rifiuto e marchio delle trasgressioni. La variabile che può influenzare la reazione della società concerne la natura della trasgressione, del trasgressore stesso e della comunità in cui si manifesta la trasgressione. Quantunque molte ipotesi suggerite manchino ampiamente di verifica, esse propongono alcune vie dì ricerca sulle malattie di mente differenti da quelle che vengono abitualmente seguite, e i rudimenti di una teoria generale del comportamento deviante.

(...)

6. CONCLUSIONI (pp. 168-195)

Questo capitolo finale ricapitolerà la teoria e le ricerche che sono state discusse, e aggiungerà due suggerimenti conclusivi: una raccomandazione sull'interpretazione dei sintomi psichiatrici, che presenta implicazioni per le ricerche sulle malattie di mente, e una formulazione teorica in cui l'indagine sulle loro cause viene tradotta in uno studio delle dinamiche dei sistemi degli stati.

La teoria esposta nei capitoli precedenti afferma che i sintomi possono essere considerati violazioni di norme sociali residue, e che la carriera dei devianti può essere considerata più efficacemente come dipendente dalla reazione della società e dai processi di interpretazione di ruolo, quando viene vista come parte di un sistema sociale piuttosto che esclusivamente individuale...

La formulazione teorica dei sintomi in termini di violazioni di norme dà un grande risalto al contesto sociale in cui si manifesta il comportamento sintomatico, così come i risultati delle ricerche sui procedimenti quasi automatici di valutazione psichiatrica. In queste considerazioni è implicita una relazione tra sintomo, contesto e significato, che può avere una grande importanza per le future ricerche.

Sintomo, contesto e significato

Lo studio sulle ammissioni mostrava che nella maggior parte delle giurisdizioni, l'internamento coatto negli ospedali psichiatrici  di solito basato sulla presunzione di malattia da parte dei responsabili. Quanto è accurata questa presunzione? I funzionari che abbiamo intervistato ritenevano che praticamente in tutti i casi la famiglia e gli altri querelanti cercassero l'ospedalizzazione solo dopo aver esaurito ogni altra alternativa, e solo se vi erano condotti dal comportamento privo di significato e incontrollabile dell'eventuale paziente. L'opinione che alcune famiglie, pur di evitare l'ospedalizzazione, tornano sulle loro decisioni,  è confermata da studi precedenti. Yarrow e altri hanno mostrato che la definizione della trasgressione ripetuta alla norma come problema psichiatrico viene evitata per periodi di tempo piuttosto lunghi.

I funzionari quindi ritenevano che le famiglie e gli altri querelanti fossero molto riluttanti anche a prendere in considerazione il ricovero, eccetto nei casi in cui fosse inevitabile concludere che era necessario. A eccezione di qualche funzionario di tribunale, gli altri non sembravano considerare la possibilità che alcuni potessero aver agito con troppa fretta anziché troppo lentamente. Ci sono famiglie in cui c'è qualcosa di "sbagliato" più che nel paziente singolo? Nel loro studio sui "capri espiatori" familiari, Vogel e Bell trovarono che l'incapacità dei genitori e i conflitti coniugali si proiettavano spesso sul più debole dei figli, che veniva "indotto" in questo modo nel ruolo di deviante. Alcune dimostrazioni empiriche di questi ruoli "indotti" nelle denunce contro persone cui erano state attribuite malattie mentali sono state trovate a Philadelphia, dove un'indagine sulla preospedalizzazione mostrò che circa nel 25% delle querele era l'attore, piuttosto che l'eventuale paziente, ad essere sospetto in modo evidente.

Il lavoro di Laing ed Esterson fornisce l'esempio pi chiaro della parzialità delle querele familiari.' Essi presentano analisi dettagliate di casi di persone cui era stata fatta diagnosi di schizofrenia, mostrando che quel che viene presentato come un sintomo psicotico  di solito è una ribellione contro genitori estremamente tirannici e bizzarri. Risultati di questo genere hanno dato origine alla opinione condivisa da molti ricercatori, che sono spesso le famiglie invece che i pazienti ad essere in realtà "matte," e che i sintomi di questi ultimi sono solo reazioni normali a situazioni molto insolite.

Le formulazioni sulla "patologia familiare," quantunque conducano a una prospettiva più giusta, rappresentano probabilmente soltanto una soluzione parziale. Nel suo scritto sulla dinamica sociale della paranoia, Lemert pone in evidenza il fatto che i querelanti che iniziano l'azione contro il non conforme possono essere coinvolti insieme con lui in una spirale di informazioni errate, attribuzioni scorrette, e infine deliri da ambo le parti. Secondo la formulazione di Lemert, sono la politica interna e i processi socio-psicologici dei piccoli gruppi che possono condurre a un'espulsione prima informale, e quindi formale, dai gruppi stessi. Così i fattori determinanti dell'espulsione possono risiedere non già nella patologia del querelante, ma nella situazione socio-psicologica del gruppo ospite, che può generare un comportamento elementare collettivo.

II lavoro di Lemert può anche servire a correggere il punto di vista secondo cui solo l'organizzazione familiare può condurre al tipo di comportamento non conforme che riceve il marchio della malattia di mente. I piccoli gruppi studiati da questo autore non stanno nelle famiglie, ma nelle organizzazioni: gruppi antagonistici nelle aziende, nelle fabbriche, nelle scuole. Comunque la politica di gruppo, la percezione selettiva, e l'attenzione e delle comunicazioni tra l'individuo sospetto e il resto del gruppo, possono evidentemente manifestarsi in modo simile a quello descritto da Lemert per le grandi organizzazioni.

Come Laing ed Esterson, Lemert indica che i sintomi psichiatrici, per poter essere compresi, devono essere visti nel contesto della situazione familiare o di gruppo in cui si sono manifestati. La grave debolezza del processo decisionale psichiatrico è la mancanza degli elementi della situazione. Come ha recentemente posto in evidenza uno psichiatra:

La più importante fonte di difficoltà nella diagnosi e nelle valutazioni psichiatriche consiste nel fatto che i sintomi sono considerati manifestazioni patologiche, senza tener conto del contesto in cui si manifestano. In se stessi, comunque, i sintomi non sono né normali né anormali: essi acquistano importanza solo in relazione alla situazione in cui si manifestano.

Laing ed Esterson documentano minuziosamente la distorsione che si ottiene negli esami psichiatrici omettendo il contesto. Sintomo dopo sintomo, essi riescono a mettere in evidenza come un comportamento significativo, se preso fuori del suo contesto, venga percepito come una manifestazione psichiatrica.

Per prendere il primo caso che discutono, Maya, una paziente di ventotto anni, era stata diagnosticata all'età di diciotto anni come una schizofrenica paranoide con vari sintomi quali allucinazioni auditive, idee di riferimento e influenzamento, e vari deliri persecutivi. Attraverso lunghi e dettagliati colloqui con la paziente e con i suoi genitori, Laing ed Esterson riuscirono a porre questi sintomi in una luce ben diversa. Esaminando un incidente in cui, si era detto, si erano manifestate allucinazioni auditive, la paziente fu condotta a queste affermazioni:

Essa diceva che allora si era sentita completamente bene: non le sembrava di aver avuto a che fare cori la sua malattia, di questo era certa. Non le era stato detto di agire così dalle sue voci. Ad ogni modo, disse, le voci erano i suoi stessi pensieri!

Per ciò che riguardava le idee di influenzamento che le venivano attribuite, Laing ed Esterson scoprirono oltre un anno dopo che avevano cominciato ad avere colloqui con i familiari, che il padre e la madre pensavano che Maya potesse leggere i loro pensieri e che essi (i genitori) avessero effettivamente verificato i suoi "poteri" con esperimenti a casa. Anche qui, le idee di riferimento erano comprensibili nel contesto:

Una sua idea di riferimento era che tra i suoi genitori ci fosse qualcosa che non riusciva a capire bene, e che apparentemente la riguardava. Era veramente così. Quando venne tenuto un colloquio con tutti e due insieme, padre e madre presero a scambiarsi l'un l'altro una continua serie di cenni, ammiccamenti, gesti, sorrisi furbeschi così evidenti all'osservatore, che questi li fece rilevare dopo venti minuti di questo primo colloquio. Essi comunque continuarono senza limitarli, negando.

Sembrerebbe dunque che le idee di riferimento e di influenzamento della paziente e i suoi deliri persecutivi fossero semplicemente descrizioni del comportamento dei genitori nei suoi confronti. Laing ed Esterson documentano molte interpretazioni erronee di questo tipo, in tutti i casi che hanno studiato.

Come possono manifestarsi degli errori così clamorosi nelle diagnosi psichiatriche? Una causa palese è la semplice mancanza di informazioni. Lemert lavorò per diversi anni per raccogliere informazioni su otto casi mediante colloqui con parenti, vicini, medici, datori di lavoro, polizia, avvocati e giurati. Laing ed Esterson impiegarono una media di venticinque ore per i colloqui con ognuna delle undici famiglie nel loro studio, impiegando da sedici a cinquanta ore per famiglia. E' evidente che il tipo di informazioni contestuali da essi scoperto non poteva essere raccolto in un colloquio psichiatrico ideale di una o due ore, e a maggior ragione nei colloqui che osservammo nello stato del Midwest, che duravano da cinque a diciassette minuti.

Una ragione, quindi, per cui il comportamento del paziente cui viene attribuita una malattia mentale è considerato privo di significato, è che i colloqui psichiatrici e giudiziari, estremamente brevi e perentori, escludono la maggior parte delle informazioni sul contesto in cui il comportamento "sintomatico" si  manifestato. C'è comunque un fattore di altro genere che conduce alla presunzione di malattia, più o meno indipendentemente dalla lunghezza del tempo impiegato nella valutazione. Il modello medico, in cui il comportamento non conforme tende a essere visto come un sintomo di "malattia mentale", conduce di per sé a ignorare il contesto. Secondo l'accezione comune, il concetto di malattia si riferisce a un processo che si manifesta all'interno del corpo di un individuo. I sintomi psichiatrici, perciò, vengono concepiti come parte di un sistema di comportamento localizzato interamente all'interno del paziente, e indipendentemente dal contesto sociale entro cui si manifestano.

Comunque, il fatto che il significato del comportamento non è principalmente una proprietà del comportamento stesso, ma una relazione tra questo e il contesto in cui si manifesta,  è quasi un truismo per gli studiosi del linguaggio e i socio-psicologi. In un recente scritto, Garfinkel ha mostrato come anche il comportamento più abitudinario e convenzionale perda il suo significato quando viene omessa la penombra di sottili, ma molteplici relazioni. Il modello medico, essendo basato su una concezione degli eventi fisica più che sociale, spezza la relazione tra comportamento e contesto sociale, conducendo quasi inevitabilmente al pregiudizio per cui il comportamento sospetto  insensato. Dato un tale pregiudizio, i colloqui psichiatrici anche più estensivi e dettagliati non possono garantire da una presunzione di malattia.

Questa discussione ha suggerito che sia la teoria sia la pratica della valutazione psichiatrica tendono a essere influenzate verso una visione secondo la quale il comportamento della persona cui viene attribuita la malattia mentale sarebbe privo di senso e quindi sintomatico. La pratica della valutazione, nella sua brevità, tende a ignorare le informazioni contestuali, e la teoria, fondata com' sul modello medico, tende a omettere quelle disponibili. Il resto di questa discussione verrà dedicato ad alcune delle implicazioni di questi risultati teorici e metodo

Forse l'implicazione più chiara è la grossolana inattendibilità delle diagnosi psichiatriche come indicazione di alcunché che riguardi il comportamento del paziente mentale. Il processo di valutazione sembra meno sensibile alla maggior parte degli aspetti del comportamento del paziente che alle pressioni economiche, politiche e sociopsicologiche sugli agenti preposti. Questa proposizione indica che è necessario un orientamento fondamentalmente nuovo nelle teorie e nelle ricerche psicologiche sulle "malattie mentali." Troppo spesso gli psicologi e gli altri scienziati sociali accettano semplicemente i risultati dei processi di valutazione, come se fossero sostanzialmente validi.

Per il ricercatore , dopo tutto, è molto più comodo accettare la rapida misurazione fatta dalla società che la difficile ed elusiva variabile dipendente, l'anormalità psichiatrica, in modo da poter essere libero di fare misurazioni precise, attendibili e valide delle sue favorite variabili indipendenti. E' per questo che attualmente esiste un numero di studi, vasto in modo allarmante, in cui si verifica la ridicola situazione della presenza di una trattazione raffinata e sofisticata delle variabili indipendenti, siano genetiche, biochimiche, psicologiche, culturali, o molte altre ancora; e intanto la misurazione della "malattia mentale" è lasciata ai capricci oscuri anzi pressoché sconosciuti del processo psichiatrico di valutazione.

Per il ricercatore, accettare la diagnosi ufficiale della società è anche conveniente perché lo allinea con lo status quo, evitando così un conflitto quasi certo con le organizzazioni sociali (quali gli ospedali e i tribunali) la cui cooperazione gli è necessaria per portare avanti le ricerche. Lo psicologo è particolarmente tentato di accettare questa diagnosi, dato che la maggior parte dei comuni concetti psicologici si rifà ai processi endopsichici. Lo psicologo, come la società, può trovare molto più conveniente localizzare i suoi interessi all'interno della persona del paziente, piuttosto che nei processi, più difficili da indagare e controllare, che si svolgono nel mondo esterno.

Per porre su una base scientifica le ricerche sulle "malattie mental,," e per evitare la situazione in cui il ricercatore stesso diventa un'arma in più della reazione della società contro la non-conformità, riteniamo che il modello medico e le sue corrispondenti classificazioni psichiatriche debbano essere eliminati dai programmi di ricerca. Un nuovo orientamento di questo genere sembra richiesto in particolare da tre settori. Gli psicologi che studiano le cause della non-conformità dovrebbero misurare la loro variabile dipendente comportamentisticamente, e indipendentemente dalla reazione della società. Quantunque ci siano state delle ricerche sulle "malattie mentali" in cui la variabile dipendente è stata definita concettualmente e operativamente, il loro modello abituale dipende direttamente o indirettamente (come nella convalida di "gruppi conosciuti") dalla diagnosi della società.

Un secondo settore di ricerca è costituito dall'indagine sui processi micropolitici e sociopsicologici dell'espulsione dai piccoli gruppi quali le famiglie, i gruppi delle organizzazioni, i gruppi di vicinato. Attualmente si possono utilizzare delle informazioni sistematiche molto scarse sulle condizioni in cui si manifesta l'espulsione e sulle funzioni che questa svolge per il gruppo.

Il terzo e ultimo settore in cui vengono suggerite delle ricerche sistematiche è quello della dinamica dei processi decisionali degli agenti di salute e controllo. I processi di trasmissione dell'informazione, percezione selettiva e conflitto tra agente e cliente nell'organizzazione, hanno ricevuto una scarsa attenzione da parte dei ricercatori scientifici. Un esempio del tipo di studio necessario è un'indagine sulle differenze epidemiologiche di proporzione delle malattie mentali in termini non tanto di diffusione di malattia quanto di variazione dei procedimenti amministrativi. Un secondo esempio di ricerca, sul tipo di quello che verrà ora descritto, potrebbe concernere i processi decisionali nel trattamento.

Prefigurazione nelle diagnosi

Nella seguente discussione desidero indicare una particolare via di ricerca che si muoverebbe all'esterno di quella tradizionale sulla riabilitazione. Oggetto di questa discussione sono gli stereotipi diagnostici, prognostici e terapeutici di funzionari e clienti, e il modo con cui questi influenzano i processi di cura. Seguendo Sudnow, utilizzerò il termine generico "casi normali." Inizieremo con una rassegna dei concetti di Balint sul rapporto medico-paziente.

Una delle conclusioni di Balint è  l'esistenza di una funzione apostolica; i medici, cioè, si comportano in certo qual modo da apostoli, cercando di fare dei proseliti tra i loro pazienti, che devono avere il tipo di malattia che il medico ritiene più probabile nel loro caso. Sarebbe facile accettare questo enunciato come un'iperbole usata per puntualizzare con sottigliezza i problemi delle diagnosi somatiche e psichiche. Si può, comunque, anche considerarlo come vero alla lettera, e parlare dei tipi di organizzazione e dei tipi di situazione in cui gli stereotipi diagnostici vengono utilizzati per classificare i clienti e diventano la base dell'azione.

L'uso letterale di tali stereotipi  palese nei Normal Crimes di Sudnow. Facendo delle osservazioni sull'avvocato d'ufficio di una grande città, egli osserva che per questi l'effettiva unità diagnostica è  il delitto tipico: il delitto, cioè, che è tipico per quella città (quella che descrive) in quel momento storico. Egli parla di furti con scasso, insidie a bambini, rapine a mano armata, e altri crimini, nei termini del folklore usato nel tribunale di questa particolare città. Dire che è folklore non significa dire che sia completamente, o anche per la maggior parte, inesatto. Il punto è, comunque, che il difensore d'ufficio pensa in termini di delitti stereotipi, e interrogando l'imputato non cerca tanto di scoprire le dimensioni e gli aspetti particolari della situazione in cui questi si trova, ma quasi interamente quanto questi sembra adattarsi alla categoria stereotipa di criminale che esiste nella corte.

Non cercherò di ripetere in questa sede i dettagli di questo articolo. Quel che ci interessa è che questi stereotipi sono le unità funzionali che vengono utilizzate dal difensore d'ufficio, e palesemente anche dal pubblico ministero, per portare avanti il lavoro del tribunale. Anche in questo caso particolare occorre notare che nell'usare questi stereotipi lo scopo del difensore non è tanto quello di cercare di ottenere un'assoluzione, quanto una riduzione della condanna. Questa tecnica è perciò un sistema per mantenere scorrevoli le operazioni del tribunale, senza violare grossolanamente da un lato i concetti punitivi della corte, dall'altro i diritti dell'imputato.

Sembra probabile che tali stereotipi diagnostici vengano usati da molti tipi di organizzazioni di controllo, trattamento e assistenza sociale. E' comunque importante osservare che, come le unità funzionali con cui viene svolto il lavoro, questi "pacchetti diagnostici" hanno una diversa importanza a seconda dei tipi di organizzazione e di situazione. Si può ritenere che nel tipo di situazione esistente, poniamo, nella corsia chirurgica di un importante ospedale, questi stereotipi vengano usati come ipotesi preliminari, e conservati o rifiutati sulla base di successive indagini a un polo, cioè, del continuum dell'organizzazione. All'altro polo, nel tipo di situazione descritta da Sudnow, queste ipotesi stereotipate costituiscono allo stesso tempo l'inizio e il risultato finale dell'indagine. Esiste, cioè, una tendenza ad accettare gli stereotipi, facendo dei tentativi veramente minimi di verificare se si adattano al caso particolare presente. Più tardi, in questa discussione, enuncerò alcune proposizioni che pongono in rapporto il tipo di situazione, il tipo di organizzazione e l'importanza funzionale degli stereotipi diagnostici.

Sembrerebbe che il concetto di "caso normale" offra un cuneo penetrante per fare delle ricerche sui più diversi tipi di organizzazioni. Nella pratica medica corrente, la prospettiva dominante è la dottrina dell"eziologia specifica. In larga misura, essa è uno sviluppo dell'applicazione della teoria microbica delle malattie, che è stata coronata da successo, e ha dato origine all'era della "medicina scientifica," in cui il modello concettuale di malattia è un sistema determinato, le cui quattro componenti fondamentali sono la causa singola (di solito un agente patogeno all'interno del corpo), la lesione fondamentale, i sintomi uniformi e invarianti, e l'esito ricorrente con regolarità, di solito danno somatico o morte, a meno di un intervento medico.

Da questo modello traggono origine i "casi normali" in cui diagnosi, prognosi e terapia sono qualcosa di standardizzato. Così il diabete mellito è una malattia in cui la lesione fondamentale è l'intolleranza al glucosio, i tratti primari sono i disturbi metabolici e nutritivi e la predisposizione alle infezioni, quelli secondari sono le affezioni alla retina, al cuore, alle coronarie, ai reni, al sistema nervoso, e la terapia è costituita dall'abituale controllo con l'insulina. Una componente importante di questo modello di malattia è la richiesta di trattamento fatta dal paziente i cui disturbi sono riallacciabili all'infermità. (Feinstein usa il termine "lantanico" per quei pazienti che hanno la malattia, ma o non hanno i disturbi o questi non risultano quando richiedono il trattamento). I casi in cui è presente la malattia, ma non i sintomi sono evidenti deviazioni dal "caso normale," e provocano delle difficoltà nella pratica e nella ricerca medica. Ugualmente fastidiosi sono quei casi in cui ci sono i tratti primari e secondari, ma è assente la lesione fondamentale. Meador ha suggerito, solo a metà per scherzo, che a tali condizioni sia assegnato lo specifico status medico di "non malattia."

Il concetto di "caso normale" è strettamente legato alla nozione che i medici hanno di quello che "c'è in giro." Nella pratica normale, cioè, il medico non si trova davanti tutti i tipi delle più diverse malattie che vengono descritte nelle trattazioni, ma piuttosto solo un piccolo campione che si manifesta ripetutamente: raffreddore, influenza, appendicite, cefalea nervosa, mal di schiena ecc.

Ci si potrebbe aspettare che gli stereotipi diagnostici giochino un ruolo importante, direttamente proporzionale al crescere dell'importanza del caso, e inversamente sia al tempo che il medico impiega per ognuno, sia all'entità dell'interesse che prova. Alcuni dei racconti sulle atrocità della pratica medica nell'esercito o nell'industria suggeriscono quali siano i tipi di circostanze che si possono verificare. Come esempio limite, in alcune cliniche mediche per reclute dell'esercito, tutte le cure rientrano praticamente in una o due categorie - aspirina per il mal di testa e antistaminici per il raffreddore - e probabilmente in una terza: comunicazione all'ufficiale comandante per la categoria residua dei simulatori.

E' plausibile che organizzazioni sanitarie, assistenza sociale e controllo di altro genere utilizzino dei "pacchetti" concettuali dello stesso tipo. Nel campo della riabilitazione, le unità concettuali che vengono utilizzate dallo staff coprono certo solo un numero piuttosto limitato di circostanze di incapacità, possibilità di occupazione e atteggiamento del paziente. Gli stessi minimi di lavoro dovrebbero essere evidenti in diversi settori quali la concessione della libertà vigilata e sulla parola, i casi di divorzio e di adozione, il trattamento di polizia dei minorenni, e il campo della salute mentale.

Forse la caratteristica più importante da considerare nelle normali diagnosi, prognosi e terapia è la loro validità. Quanto sono accurati gli stereotipi che i sanitari e i pazienti utilizzano per valutare le loro situazioni? Si potrebbe pensare che la validità degli stereotipi vada di pari passo con la loro precisione. A parità di condizioni, si potrebbe pensare che quanto più gli stereotipi sono precisi tanto più approfondiscono varie caratteristiche del paziente, della situazione e della comunità, e tanto più sono accurati. La prima proposizione, quindi, riguarda semplicemente il numero dei differenti stereotipi utilizzati dai sanitari. Si potrebbe ipotizzare che validità e precisione siano correlate, che cioè più numerosi siano gli stereotipi effettivamente usati più siano precisi, e più siano validi.

La seconda proposizione riguarda il potere dei clienti. Usando il termine "marginalità" nel senso di Krause, più marginali sono i pazienti, meno numerosi, precisi e validi saranno gli stereotipi. Cioè, pùiù lo status dei pazienti è inferiore o differisce da quello dei sanitari, sia per la posizione economica, sia per gruppo etnico, razza, educazione ecc., e più inaccurati e definitivi saranno i casi normali.

Terza proposizione: quanto meno il sanitario dipenderà dalla buona volontà del cliente, tanto meno preciso e valido sarà lo stereotipo. Nella situazione della pratica privata, in cui il medico dipende per la remunerazione dal paziente, ci si può trovare più facilmente in una situazione come quella delineata da Balint, in cui la decisione riguardo la diagnosi del paziente diventa materia di contrattazione. In questa discussione precisiamo la formulazione di Balint, suggerendo che la contrattazione e la negoziazione siano una caratteristica del servizio medico quando i clienti hanno del potere, sicché gli stereotipi del medico vengono posti a confronto con quelli del paziente, che può influire alquanto sulla diagnosi finale.

Una quarta proposizione si riferisce al corpo di conoscenze delle organizzazioni che trattano con i pazienti. Si potrebbe sospettare che tanto più questo è scientifico e concreto, tanto meno i "pacchetti" concettuali sono importanti e tanto più sono validi e accurati. In aree della medicina generale quali la polmonite e la sifilide, per esempio, il processo di stereotipizzazione del genere qui discusso ha un'importanza relativamente scarsa. Lo stesso potrebbe essere vero per alcuni settori della riabilitazione fisica.

La quinta proposizione si riferisce alla socializzazione dei membri dello staff, per l'uso che fanno dei "pacchetti" concettuali. Si può ritenere che un indice discretamente accurato della socializzazione delle organizzazioni sanitarie sia costituito dal grado in cui utilizzano i pacchetti diagnostici prevalenti nel loro gruppo. Questa proposizione ne suggerisce un'altra che è alquanto più complessa, in quanto pone in rapporto l'efficienza del membro dello staff nel fare la diagnosi e la prognosi, con il suo uso degli stereotipi diagnostici. Si può ipotizzare l'esistenza di un rapporto curvilineare tra l'efficienza e la conoscenza e l'uso degli stereotipi.

All'inizio, un nuovo membro sarebbe solo in possesso della teoria e avrebbe una scarsa esperienza, e scoprirebbe che il trattamento da lui applicato ai pazienti tende a essere improprio, quanto a consumo di tempo e a diagnosi: come però apprende i "pacchetti" concettuali, diventa più rapido e abile nel lavoro, cosicché la sua efficienza aumenta. Il momento decisivo giunge a un certo punto, quando egli padroneggia i pacchetti diagnostici, e il problema che gli si presenta: la sua capacità di percepire le situazioni dei clienti e le sue possibilità di individuazione della loro posizione stanno raggiungendo un livello stereotipico, dove sono più efficienti di quando era un novizio nell'organizzazione? Rimangono bloccate a livello stereotipico, o egli sta incominciando a usare questi stereotipi come ipotesi che guidino le ulteriori sue indagini? Ritengo che questo è un punto cruciale nella carriera di ogni membro dello staff, e la ricerca che ce ne parlasse sarebbe estremamente utile.

Quantunque l'esecuzione di ricerche sui casi normali implicherebbe procedimenti abbastanza complessi (per esempio, per quanto riguarda il controllo della validità degli stereotipi diagnostici in una serie di casi), il lavoro iniziale potrebbe essere relativamente semplice. Una delle prime domande che bisognerebbe rivolgere all'inizio di uno studio di questo genere, sarebbe qualcosa di simile a: "Quale tipo di casi vedete con maggiore frequenza, qui?" Io credo che con una domanda di questo genere non ci sarebbe bisogno di una grande elaborazione per evidenziare alcuni degli stereotipi standard usati dalla maggioranza delle organizzazioni sanitarie. Proprio descrivendo la struttura dei casi normali si farebbe un passo importante per comprendere come funzionano queste organizzazioni.

Un programma di ricerche più ambiziose sugli stereotipi prognostici, diagnostici e terapeutici consisterebbe nel porli in relazione in ogni caso con il suo esito effettivo. Uno stadio intermedio di ricerca sarebbe rappresentato da tutti quegli studi sul tipo del gioco, in cui fossero assegnate a professionisti esperti e preparati certe informazioni, che si fosse trovato essere le prototipiche usate da determinate organizzazioni, su casi simulati. A questo scopo Leslie Wilkins ha sviluppato uno strumento, che si trova in appendice al suo libro sulla devianza sociale. Wilkins chiama questo strumento "tabella di informazioni." E' divisa in molte parti, circa cinquanta, in cui le informazioni su una storia clinica, classificate, appaiono su schede separate, con titoli sui margini visibili delle stesse. Per esempio, in un lavoro sui funzionari che si occupano della libertà vigilata, che eseguì come studio pilota, la tabella d'informazioni conteneva l'accusa, il racconto del caso fatto dal querelante, il racconto del coimputato, del trasgressore, l'aspetto generale di questi, sesso ed età, livello scolastico, soluzione pratica di problemi, atteggiamento verso l'autorità, e così via. Wilkins, nell'addestrare questi funzionari ai diversi giochi, li lasciava scegliere vari punti del possibile elenco, e quindi prendere una decisione.

Con esperimenti poco complessi, non dovrebbe essere difficile ideare dei giochi diagnostici con la tabella d'informazioni, che potrebbero essere eseguiti dallo staff di quasi tutte le organizzazioni.

Nella ricerca proposta, sarebbero necessarie principalmente due tipi di informazioni: primo, sul genere di dimensioni della condizione o comportamento del cliente che lo staff prende effettivamente in considerazione nei giungere giornalmente alle sue decisioni, siano la pressione del sangue, la razza, le abitudini, l'atteggiamento verso l'autorità, il livello d'attività, la storia della precedente condotta sessuale, e così via; secondo, sulle costellazioni di valori di queste dimensioni in cui lo staff (e i clienti) combinano questi elementi di informazione per formare i "casi normali."

Rimangono molte difficoltà d'ordine concettuale. Questo genere di ricerche è molto simile al tipo di impostazione utilizzato dagli antropologi nello studio delle istituzioni mediche delle piccole società: lo studio della "medicina folk," in cui si cerca di descrivere le istituzioni mediche di una società, senza accettarne i presupposti sottostanti. Allo stesso modo, impostando lo studio dei processi di riabilitazione attraverso i casi normali, si cerca di indagare l'andamento del lavoro in un'organizzazione, senza accettare i presupposti delle organizzazioni sanitarie e dei pazienti che ne fanno parte. A questo proposito occorre ricordare che comunque in molte organizzazioni sono in gioco almeno due gruppi folk, staff e pazienti, ognuno dei quali possiede probabilmente degli insiemi largamente diversi di categorie folk di malattia o colpa ecc.

Dal punto di vista di una formulazione concettuale ordinata, probabilmente nessuno dei concetti usati in questa discussione (per esempio, gli stereotipi diagnostici, i casi normali, i pacchetti concettuali) è molto soddisfacente. Il concetto di stereotipo implica una maggior distorsione di quanto si voglia intendere, e non si articola molto bene con la struttura dell'organizzazione. L'espressione "casi normali"  in generale è abbastanza buona, ma non conduce a una suddivisione più dettagliata in sottoelementi.

L'espressione "pacchetto concettuale" è troppo generica. L'insieme migliore di concetti potrebbe forse essere preso dall'analisi dei ruoli. I casi normali implicano un insieme di attese relative al ruolo che si articolano con la posizione del percipiente nell'organizzazione. Per esempio, gli stereotipi diagnostici in medicina possono essere spiegati come varianti complementari che integrano l'assetto del ruolo del medico per i pazienti. Il concetto di ruolo appare abbastanza statico per quest'uso, e non suggerisce immediatamente analogie concettuali per gli stereotipi prognostici (ruoli futuri?) o terapeutici. Forse alcune di queste difficoltà possono essere rimosse nella discussione successiva.

Un modo di concettualizzare il problema in un contesto più ampio è quello di vedere il sistema di lavoro nelle organizzazioni. Spesso c'è una notevole differenza tra la versione ufficiale del lavoro compiuto in un'organizzazione, e quello che viene fatto realmente. La discussione precedente suggerisce che l'effettivo sistema di lavoro può essere determinato da un numero relativamente piccolo di dimensioni: per esempio, la prefigurazione sopra descritta, il consenso sui ritmi (suggerito da Howard Becker), e la precisione e l'attendibilità con cui viene misurato il lavoro eseguito. Queste dimensioni forniscono pure indicazioni sul fatto che la cultura del luogo di lavoro può essere considerata come un sistema sovradeterminato e ad auto-regolazione, e potrebbe essere perciò studiata come un complesso analitico.

Questi commenti hanno avuto lo scopo di precisare il tipo di ricerca che eviterebbe un'accentuazione indebita sia sull'individuo e sul fisico, sia sulle altre presupposizioni dei professionisti specializzati nei processi di riabilitazione. II fatto che questo punto di vista differisca da quello usato dalle organizzazioni sanitarie potrebbe probabilmente provocare alcune difficoltà pratiche per portare avanti delle ricerche di questo tipo. Alle difficoltà di carattere metodologico e concettuale è già stato alluso in precedenza. Nondimeno, il programma di ricerca qui suggerito può fornire un'utile impostazione per lo studio di un vasto numero di problemi sulla riabilitazione e sulle organizzazioni mediche.


Malattia mentale e "status" sociale

Riteniamo che la debolezza delle teorie e dei procedimenti psichiatrici, interagendo con gli atteggiamenti delle organizzazioni di controllo e assistenza sociale della comunità, dia origine a una situazione in cui i concetti individualistici, sia medici sia psicologici, possono spiegare solo parte della variazione nel trattamento dei malati di mente. E' stato qui suggerito che gli studiosi seri degli avvenimenti che si manifestano con regolarità nella nostra società possono trovare tutto ciò utile per studiare le "malattie mentali" in termini di "circostanze di carriera" che governano il passaggio dallo status di cittadino ordinario a quello di paziente mentale.

Sociologicamente, uno status viene definito come un insieme di diritti e doveri. Quantunque si tenda a ritenere scontati i diritti e i doveri dei cittadini comuni, il fatto che esiste un insieme notevole di questi che definisce lo status del sano diventa chiaro quando ci rendiamo conto dei diritti che vengono abrogati quando una persona viene dichiarata mentalmente incapace, cioè, per dirla in parole povere, quando viene affidata a un ospedale psichiatrico. Nella tabella (seguente) c'è un elenco parziale di tali diritti.

Tabella 8. Aree legali che implicano la capacità

1. Volere (capacità testamentaria).

2. Eseguire un atto contrattuale, vendere.

3. Essere responsabile di un atto criminale.

4. Subire un processo dietro l'accusa di aver commesso un crimine.

5. Essere punito per un atto criminale.

6. Sposarsi.

7. Divorziare

8. Adottare un bambino.

9. Essere un genitore idoneo

10. Citare ed essere citato

11. Ricevere una proprietà.

12. Possedere una proprietà.

13. Fare una donazione.

14. Avere un tutore, sorvegliante o amministratore.

15. Essere affidato a un istituto psichiatrico.

16.Essere dimesso da un istituto psichiatrico.

17. Essere posto in libertà vigilata o sulla parola.

18. Essere responsabile civilmente di un atto lesivo.

19. Essere idoneo al servizio militare.

20. Essere soggetto a congedo dal servizio militare.

21. Manovrare un veicolo.

22. Dare un consenso valido.

23. Concedere la liberazione o la cessione di un vincolo.

24. Votare.

25. Testimoniare (capacità testimoniale).

26. Essere giudice o giurato.

27. Agire in funzione professionale come avvocato, insegnante, medico.

28. Agire in funzione rappresentativa pubblica come governatore, legislatore.

29. Agire in funzione fiduciaria come amministratore, esecutore testamentario.

30. Dirigere o partecipare in una ditta come dirigente o azionista.

31. Ricevere un compenso per inabilità al lavoro come risultato di una lesione.

E' evidente che quest'elenco comprende solo quei diritti che vengono persi formalmente e ufficialmente, e non include quelli che possono essere abrogati in modo informale, sia durante sia dopo l'ospedalizzazione. Un tale elenco mette in evidenza l'esistenza di uno status distinto e separato nella nostra società per il malato di mente.

Tra quello che  stato detto, sono stati portati esempi in cui si confrontavano i pazienti mentali con altre persone svantaggiate di basso status sociale. In quest'ultimo paragrafo riterremo utile dare un enunciato formale in cui le discussioni sulle malattie mentali vengono tradotte in termini di ruolo e status sociale; l'istituzione sociale della pazzia può essere considerata come costituita da una "gerarchia di stati" tra persone designate come sane e come malate di mente.

La maggior parte dei concetti sociologici che sono stati sviluppati per descrivere gerarchie di stati si riferiscono alle norme che governano il contatto tra razze: la "gerarchia di colori." La struttura di una gerarchia di colore, secondo la formulazione di Strong e altri,  costituita attorno a due stati, quello dei membri entro-gruppo, e quello dei membri fuori-gruppo. Tra questi due stati c'è una categoria d'eccezione, per le persone che non vengono assegnate a nessun gruppo. Infine, per completare l'asse degli stati, c'è quello ideale, che incorpora i valori del fuori-gruppo. Lo status ritrae cioè rispettivamente l"eroe" e il "cattivo." In corrispondenza di ognuno dei cinque stati c'è il ruolo appropriato, che specifica le caratteristiche delle persone che occupano quello status (vedi diagramma 2).

 

Applicato alla gerarchia di stati che separa i devianti dai non devianti, quest'asse conterrebbe lo status ideale, o eroe della conformità ai valori entro-gruppo, il ruolo conforme convenzionale, le categorie d'eccezione che non hanno né lo status di deviante né quello di non deviante, lo status convenzionale deviante, e l'ideale negativo, o super-cattivo.

Riferito alla separazione degli stati di sano e di pazzo, l'ideale negativo sarebbe il "pazzo furioso" di proporzioni eroiche, o altri stereotipi analoghi che incorporano le avversioni e le paure più intense della comunità. Lo stato di pazzo sarebbe quello negativo convenzionale, che corrisponde approssimativamente a quello del malato di mente internato. Le categorie di eccezione corrispondono a quelle condizioni sul tipo deli' "esaurimento nervoso," che fanno eufemisticamente parte del linguaggio popolare, e della "follia temporanea," in cui il comportamento di una persona viene scusato senza censure.

Lo status convenzionale conforme sarebbe quello del comune cittadino la cui salute non viene posta in dubbio. Nella nostra società, a cosa corrisponde lo status ideale su questo asse di separazione? Sarebbe stato più facile rispondere a questa domanda nelle società più antiche, dato che per la maggior parte esse hanno posseduto immagini non ambigue e ampiamente incontestate del tipo virtuoso. Nel Giappone medioevale, per esempio, lo status di samurai corrispondeva senza dubbio a quello ideale. Nella nostra storia più antica, gli "eletti," predestinati dalla grazia di Dio, si sarebbero anch'essi adattati a questo status. Nella società contemporanea, comunque, l'autorità religiosa non dà più una legittima indiscussa alle virtù positive, e la precisazione del ruolo ideale è continuamente in discussione.

Può darsi che nella nostra società il concetto di "salute mentale positiva" sia ciò che più si avvicina allo status ideale lungo l'asse sano-insano. Jahoda riferisce che non c' accordo, tra gli esperti in psicologia, sui criteri relativi a questo concetto. Tra questi, i più importanti sono i sei seguenti:

1. Atteggiamento verso se stessi: autostima, esattezza del concetto di sé ecc.

2. Crescita, sviluppo, o auto-realizzazione.

3. Integrazione dell'Io.

4. Autonomia, indipendenza.

5. Adeguatezza della percezione della realtà.

6. Padronanza dell'ambiente.

Questi criteri disparati e conflittuali di salute mentale apparirebbero scarsamente in rapporto con le comuni nozioni di salute, ma piuttosto formulazioni di quel che i vari autori considerano i più alti valori cui dovrebbe aspirare la nostra società per formare noi stessi e i nostri figli. Secondo tali valori, il concetto di "salute mentale positiva" si avvicina molto a quello che è stato definito lo status ideale.

Il modello bioculturale di Wallace ha qualche somiglianza con questo della gerarchia di stati. Wallace descrive cinque stati che compongono la "teoria" delle malattie mentali che è posseduta dai membri di una società: Normalità (N), Turbamento (T), Psicosi (P), Cura (C) e Rinnovamento della personalità (R). La sequenza degli stati  rappresentata nel seguente diagramma:

 

Nel caso in cui il Rinnovamento della personalità sia equivalente alla Normalità, il diagramma diventa:

 

In questa versione, N corrisponde allo status convenzionale e P a quello deviante, con T e C che rappresentano rispettivamente le fasi che hanno o meno ricevuto il marchio della trasgressione primaria alla norma. Entrambe queste fasi cadono sopra o presso la linea che separa l'entro-gruppo dal fuori-gruppo.

Sotto un aspetto, comunque, il modello di Wallace si differenzia fondamentalmente da quello qui presentato. Esso  fondato su ciò che credono i membri della società, le loro "teorie" del comportamento, e non  direttamente connesso al comportamento reale. Nel modello del sistema di stati qui discusso, le posizioni sono quelle sociali effettive, ognuna individuata da un insieme di diritti e doveri, ognuna riconosciuta come una legittima entità sociale da parte dei membri della società. In corrispondenza ai meccanismi di trasferimento enunciati da Wallace (i meccanismi che spiegano, per la soddisfazione dei membri della società, come si muove il malato da uno stato all'altro), nel presente modello ci sarebbero gli effettivi procedimenti sociali, i rites de passage che perfezionano il trasferimento delle persone da uno status all'altro. Così il modello di Wallace completa quello del sistema sociale, poiché riguarda le credenze dell'individuo che si accompagnano al comportamento. Sembrerebbe che entrambi i modelli siano necessari per descrivere il sistema di comportamento in gioco nel riconoscimento e nella cura delle malattie mentali.

In ogni sistema di stati, una delle caratteristiche più importanti è la permeabilità, cioè la facilità o difficoltà di passare da uno status all'altro. Un sistema impermeabile viene detto di casta; quelli permeabili possono essere chiamati di classe. Molti progressi di riforma che sono stati portati avanti negli ultimi decenni attraverso i mass media, e più recentemente negli ospedali psichiatrici, sono stati tentativi di rendere il sistema più permeabile, di dissagregare prima, e quindi, dopo la dissagregazione, democratizzare lo status del malato di mente.

Non occorre dire che questi programmi hanno ottenuto importanti successi; è indubbiamente vero che il tipico paziente mentale ha oggi possibilità molto migliori di tornare al suo status non deviante di quelle che avrebbe avuto cinquanta o anche venticinque anni fa. E' comunque anche vero che il sistema di stati della pazzia ha ancora aspetti del tipo della casta, come si può tuttora vedere nelle arretrate corsie della maggior parte degli ospedali psichiatrici, e in mille altri modi. E' anche vero che la crescente permeabilità di un tale sistema non significa solo che quelli nello status del pazzo possono passare più facilmente in quello del sano, ma anche il contrario. I pianificatori dei servizi di salute mentale hanno rilevato di frequente che questi sembrano degli abissi senza fondo: più ne vengono creati, più sembra che ce ne sia richiesta.

II fatto che gli atteggiamenti sociali giocano un ruolo così grande nella definizione delle malattie mentali comporta come conseguenza interessante, anche se abbastanza spiacevole, che l'educazione alla salute mentale può essere un'arma a doppio taglio.

Insegnando alla gente a considerare certi tipi di angoscia e di stranezze del comportamento come delle malattie, piuttosto che come normali reazioni agli stress della vita, eccentricità innocue e debolezze morali possono causare allarme e aumentare la richiesta di psicoterapia, il cui uso tende ad andare di pari passo con la sua disponibilità. Maggiore è il numero delle possibilità di trattamento, più facilmente questo viene conosciuto, e maggiore sarà il numero di persone che ne cercano l'aiuto. La psicoterapia è l'unica forma di cura, che, in qualche misura, sembra creare le malattie che tratta.

La crescente permeabilità potrebbe anche significare semplicemente, come ha suggerito Szasz, che problemi dei tipi più diversi, l'assistenza sociale, morale, politica, sono stati riversati nei canali della psichiatria. Schofield, in una rassegna ragionata di quel che chiama la "richiesta inflazionata" dei servizi psichiatrici, fa la seguente osservazione:

E' tempo che i dirigenti del movimento per la salute mentale indirizzino il loro pensiero alla... analisi dei problemi che psichiatria e psicologia tendono a trascurare: i criteri di salute mentale, la delimitazione di significati e forme delle malattie mentali, la precisa specificazione di cosa sono e cosa non sono i problemi psichiatrici. Sarebbe un contributo positivo per gli educatori in questo settore sviluppare il modo di comunicare al pubblico problemi quali: "Quando non andare dallo psichiatra"; e "Cosa fare prima di rivolgersi a uno psichiatra"; "Cosa non può fare per te la psicoterapia"; "Dieci fonti di conversazioni utili"; "Problemi che non fanno di te un 'caso mentale'".

Sia Frank che Schofield sembrano consigliare la necessità del "rifiuto" di fronte alla tendenza verso il "marchio," abituale nell'ideologia del movimento della salute mentale.

Queste considerazioni pongono problemi politici che, come tali, non sono al centro di questa discussione. In questo libro noi abbiamo cercato di fornire un'inquadratura che consentisse una descrizione ordinata del modo con cui le persone giudicate malate di mente sono trattate nella nostra società. Non è nostra intenzione far accettare quest'inquadratura come una descrizione esatta del sistema sociale che opera nei processi delle malattie mentali, ma solo come un passo verso teorie e ricerche più adeguate. Essa può riuscire utile non solo per le ricerche sulle malattie mentali, ma anche per i settori connessi del comportamento deviante, quali i delitti e il ritardo di mente. Come è stato detto prima, sembra che i rapporti razziali abbiano anch'essi strutture e dinamiche simili a quelle qui delineate.

Un campo infine che merita di essere ricordato a questo proposito è quello delle relazioni internazionali. Perry, nella sua formulazione del "ruolo nazionale," ha iniziato il tipo di concettualizzazione delle dinamiche di status tra nazioni che è stato qui discusso per le malattie mentali." Tali formulazioni sono maledettamente necessarie in molti settori delle scienze sociali, in quanto consentono di gettare un ponte tra processi individuali e sociali. L'integrazione di queste due aree di ricerca resta uno dei compiti principali delle scienze sociali. La teoria qui presentata  stata concepita come un passo in questa direzione.

Commento finale

Questo libro ha delineato un tipo di impostazione dello studio delle malattie mentali secondo cui gli agenti causali sono fuori del paziente come individuo, e vengono posti nel sistema costituito dal paziente, dalle altre persone che reagiscono nei suoi confronti, e dalle organizzazioni sociali di controllo e cura vigenti nella società. La teoria, con le prove relative alla sua verità o falsità,è riportata nella prima parte del libro. Riconoscendo che tali prove sono lontane dall'essere complete, sia per quantità sia per qualità, l'autore concludeva che allo stato attuale esse appoggiavano, forse di poco solamente, questa teoria sociologica, in confronto a quella alternativa tradizionale basata sul modello del sistema individuale. Evidentemente l'autore è propenso ad accettare la teoria, e può essere stato troppo poco imparziale nella selezione e nella valutazione delle prove. Altri ricercatori, più obiettivi di lui, possono rivederne le prove e giungere a conclusioni contrarie. Tale revisione potrebbe forse essere più valida se fosse fatta indipendentemente, stabilendo il valore delle prove portate per ognuna delle proposizioni della prima parte...

Le nove proposizioni discusse rappresentano una selezione abbastanza arbitraria di un numero pi ampio di assunti impliciti nella teoria. Riteniamo che questa teoria possa servire come punto di partenza per poter sviluppare un insieme pi concreto e coerente di proposizioni, che a sua volta potrebbe condurre a migliori ricerche e, in seguito, a una migliore interpretazione sia delle malattie mentali sia dei processi sociali che regolano conformità e devianza.

Nelle future ricerche ispirate a questa teoria sarebbe desiderabile aumentare non solo la specificità, ma anche lo scopo dell'indagine. Si può prevedere uno studio ad ampio raggio che verifichi molte delle proposizioni simultaneamente. Uno studio di questo tipo, per esempio, potrebbe essere uno studio longitudinale sul terreno, sui trasgressori residui, con l'uso di un programma sperimentale. Si potrebbe così utilizzare un'indagine per localizzare i trasgressori, che non avessero ricevuto il marchio da parte della comunità, e che verrebbero divisi in gruppi secondo l'entità e il grado delle loro violazioni, forse con un gruppo a un estremo che violi ripetutamente le norme fondamentali, e all'altro estremo un gruppo di persone che violino frequentemente norme meno importanti. Quale che sia il numero e la composizione di tali gruppi, ognuno dovrebbe poi essere diviso casualmente in un sottogruppo di "marchio" e uno di "rifiuto." I trasgressori, cioè, del gruppo del marchio verrebbero esposti ai normali processi di riconoscimento, definizione e trattamento come malati di mente, e il gruppo di rifiuto ne verrebbe escluso. Gli effetti del marchio e del rifiuto potrebbero quindi essere stabiliti sistematicamente per un certo periodo.

Per poter fare uno studio di questo genere in modo adeguato, anche con un campione relativamente piccolo di trasgressori, occorrerebbe una quantità piuttosto grande di tempo, denaro e ingegno. Sarebbero inoltre in gioco alcuni problemi gravosi e delicati di etica della ricerca, e di responsabilità del ricercatore verso i suoi soggetti e le comunità. Nondimeno, se il punto di vista qui discusso ha qualche validità, sia pure minima, il risultato di tale studio sarebbe enormemente rivelatore. La sua probabile conclusione non sarebbe una chiara verifica o smentita della teoria, ma un'indicazione sulle condizioni in cui il sistema sociale determina gli esiti dei casi: il tipo del trasgressore, della comunità, del trattamento psichiatrico o di altro tipo, e delle situazioni in cui la teoria del sistema sociale dà un quadro abbastanza accurato della sequenza degli eventi.

Indipendentemente dalle future ricerche, con quale successo questa discussione ha rispettato i compiti che si era proposti: formulare una teoria puramente sociologica delle malattie mentali croniche, confrontarla con le correnti teorie alternative, e giudicare il valore relativo di queste teorie contrastanti? Alcune manchevolezze sono evidenti. Per esempio, l'esclusione delle caratteristiche personali del trasgressore dall'analisi limita probabilmente il potere predittivo della teoria. Per considerare solo una caratteristica: se c'è un tratto generale di suggestionabilità, come a volte si  ritenuto, esso dovrebbe essere un fattore preminente per l'ingresso o meno nel ruolo di malato di mente. Contro l'assunto qui accettato, le caratteristiche personali dei trasgressori variano: qualcuno conserva con vigore le sue convinzioni, altri no; qualcuno conosce bene i procedimenti medici e legali, altri no; qualcuno è deferente verso l'autorità, e così via. Probabilmente queste caratteristiche sono importanti per determinare quanto un trasgressore potrebbe resistere a entrare nel ruolo deviante, quando gli venga offerto. Si potrebbero anche evidenziare altre dimensioni che preciserebbero e amplierebbero la teoria.

Come  stato osservato nel primo capitolo, comunque, lo scopo di questo libro non era tanto quello di dare una spiegazione definitiva quanto di fornire un punto di partenza per una analisi sistematica. Per valutare l'utilità della teoria, il lettore deve porre due domande: quanto è convincente l'analisi delle carriere delle malattie mentali, che utilizza processi sociali grossolani quali il rifiuto e il marchio, piuttosto che gli intricati meccanismi intrapsichici postulati dal modello medico? Secondariamente, in quale misura lo "scontro di dottrine," per usare l'espressione di Whitehead, che viene qui sviluppato, illumina l'attuale controversia su politica, teoria e ricerca in questo settore? Le future ricerche potranno dare una risposta definitiva a queste domande. Per il momento, il lettore dovrà farsi guidare dal proprio giudizio e dalle proprie inclinazioni.