L’INTERVISTA

andrea rossi
«Giorgia Meloni dice che il Superbonus è stato un regalo dello Stato ai truffatori? Ne deduco che stia ammettendo di essere una truffatrice, visto che mi risulta che oltre ad averlo sempre sostenuto abbia anche usufruito – come metà dei ministri del suo governo – dei bonus edilizi. Ci troviamo di fronte a un governo che ogni giorno cerca di dare in pasto all’opinione pubblica qualche colpevole per giustificare la totale incapacità di risolvere i problemi di un Paese che sta per entrare in una nuova stagione di austerità, fatta di tagli e tasse. Una situazione che ha un solo responsabile: Giorgia Meloni».
La presidente del Consiglio ha appena affondato il colpo contro il bonus edilizio quando Chiara Appendino, da pochi giorni vicepresidente del Movimento 5 Stelle, le risponde con una durezza senza precedenti: «Il suo è un governo fallimentare e codardo».
Meloni ha dovuto scrivere la legge di bilancio con 20 miliardi di crediti da rimborsare per il Superbonus. Una zavorra, non crede?
«È ridicolo, Meloni non sa distinguere tra un costo e un investimento. Per quanto tempo ancora pensa di poter giustificare il vuoto della sua azione con il Superbonus?».
Il ministro Giorgetti ha stoppato l’ipotesi di proroga chiesta da FdI e Forza Italia.
«È lo stesso che da ministro con Draghi sosteneva il bonus e voleva estenderlo? Siamo alla farsa: un governo spaccato di fronte a migliaia di esodati abbandonati dallo Stato».
Per Meloni la legge di bilancio tutela il Paese. Sbaglia?
«La manovra è fatta di tagli che faranno aumentare le disuguaglianze, la crescita è a zero, da nove mesi la produzione è in calo. E sul patto di stabilità alla faccia della patriota che doveva tutelare l’interesse del Paese Meloni si fa dettare la politica economica da quelli che definiva “i burocrati di Bruxelles”. Sta condannando il Paese alla rovina».
Molti, anche tra i critici, la promuovono sulla politica estera. Non è d’accordo?
«Che cosa ha ottenuto finora? Nulla. Non tocca palla: il ritorno all’austerità, una politica estera su cui si fa dettare la linea da Washington, una figuraccia planetaria sull’Expo 2030, zero risultati sulla gestione dei migranti e un’altra figuraccia sull’accordo con l’Albania, sospeso dalla Corte costituzionale».
Il Mes serve all’Italia?
«No, e non è un caso che di fronte a pressioni enormi, da presidente del Consiglio Conte non lo attivò».
Per la premier siete voi i responsabili dello stallo attuale.
«Cerca disperatamente di riscrivere la storia. Era ministra nel 2011 quando il governo Berlusconi approvò l’istituzione del Mes, poi ha mentito agli italiani facendo credere che Conte l’avesse attivato. Ma se siamo stati noi, e dunque il Mes c’è già, perché lei ora è chiamata a ratificarlo? La sua propaganda è smentita dai fatti. Ora deve dire agli italiani se intende attivarlo o meno».
Sul Pnrr l’Europa ha promosso il governo: sì alla revisione e al pagamento della quarta rata.
«Gioiscono per un Pnrr con meno posti nido, terapie intensive e soldi ai comuni. L’ufficio parlamentare di bilancio ha certificato il devastante ritardo nella messa a terra del piano: nel 2023 sono stati spesi 2,5 miliardi, meno dell’8%; sulla sanità si è speso l’1% dei 16 miliardi previsti. Si sta perdendo un’occasione unica per modernizzare l’Italia. Ma anche qui è colpa di qualcun altro: dal record di migranti al caro benzina l’elenco dei colpevoli fabbricati da Meloni e dai suoi ministri è lungo. Questo è un governo irresponsabile e inopportuno».
A che cosa si riferisce?
«Vuole l’elenco? Santanché, Delmastro, Sgarbi, Lollobrigida, Gasparri. C’è un’enorme questione morale e di opportunità. Con Meloni è tornata la casta, un potere arrogante e al di sopra delle regole, i privilegi, la totale assenza di rispetto per le istituzioni».
Pochi giorni fa è stata eletta vicepresidente del M5S ma con il voto di appena il 12% degli attivisti aventi diritto. Un flop?
«Mi chiedo quale altro partito oggi faccia votare alla base i suoi dirigenti a vari livelli. Io sono orgogliosa di farne parte. Che poi in politica esista un tema rispetto alla partecipazione è innegabile, basta analizzare i tassi di astensione alle urne. Ora sento una responsabilità duplice: rappresentare al meglio la comunità interna al M5s ma anche una forza che ha il dovere di costruire un’alternativa alle politiche di questo governo».
I segnali di dialogo con il Pd si moltiplicano ma resta una certa riluttanza a tradurli in alleanza strutturale. Come mai?
«Quando Giuseppe Conte è diventato leader del Movimento è stato motore di un’evoluzione che condivido e una collocazione chiara nel campo progressista. A partire da qui cerchiamo di costruire, dove possibile, risposte ai bisogni dei cittadini. Il salario minimo è emblematico anche perché abbiamo visto le altre forze – come il Pd di Schlein– cambiare idea e impegnarsi in questa battaglia. Non esiste oggi un’alleanza strutturale ma a partire dai temi si stanno costruendo, dove esistono le condizioni, percorsi comuni».
Succederà anche in Piemonte? Lei è considerata il principale ostacolo a un accordo.
«Noi stiamo lavorando al programma per poi arrivare a un confronto con le altre forze. Niente “no” a priori ma non rinunciamo alla nostra identità, chiediamo discontinuità con il passato e una posizione netta su alcuni temi: noi parliamo di sanità e trasporto pubblici, e il Pd piemontese? Perché io ricordo un partito che ha lavorato per privatizzare entrambi e mi sembra lo stesso di dieci anni fa». —