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165 Parte seconda Lettere K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 167 I. Alcune Lettere apostoliche Nel cuore del mistero della sofferenza (Salvifici doloris – 1984) KRZYSZTOF CHARAMSA 1. Dal magistero della vita di Giovanni Paolo II… La Lettera apostolica Salvifici doloris (=SD) è un documento del magistero pontificio che ha compiuto ormai oltre due decenni. Scritto nel sesto anno del pontificato di Giovanni Paolo II1, non ha cessato di essere completato, dallo stesso Pontefice, nell’arte e nell’ascesi di soffrire di cui egli è stato un provato maestro. In un certo senso, questo documento è stato riscritto e riconfermato autorevolmente dalla testimonianza della vita stessa del Santo Padre Giovanni Paolo II2. Ininterrottamente egli è stato maestro del “saper soffrire” per la salvezza, ma soprattutto negli ultimi tempi del suo pellegrinaggio terreno, si è fatto fratello e guida di chi è afflitto da varie prove. Ciò avvenne, per esempio, quando si recò, per l’ultima volta a Lourdes, nell’agosto 2004, per condividere con i malati le sue sofferenze davanti all’effige pura dell’Immacolata. Quando, dal Policlinico Gemelli, ricoverato per due volte agli inizi dell’anno 2005, non smetteva di rivelare il suo volto sofferente alla Chiesa e al mondo, dando la certezza che esiste una forza vittoriosa sul dolore. Quando ha celebrato il suo ultimo Triduo Sacro della Pasqua nel misterioso silenzio di Dio, in cui era entrato. 1 Firmato nella memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, l’11 febbraio 1984, Anno giubilare della Redenzione. Questo giorno mariano si iscrive nella storia del pontificato come straordinario annuncio e impegno per i sofferenti e i malati. L’anno dopo, Giovanni Paolo II firmava la Lettera ap. Motu proprio Dolentium hominum, con la quale costituiva la Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari, trasformata poi in un Pontificio Consiglio. Più tardi, ancora in un 11 di febbraio, il papa decideva di istituire un’annuale celebrazione della Giornata Mondiale del Malato (Lettera del 13 maggio 1992). Di nuovo, l’11 febbraio 1994, il Pontefice firmava la Lettera apostolica Motu proprio Vitae Mysterium, con la quale istituiva la Pontificia Accademia per la Vita per la difesa di chi soffre, spesso, senza voce. 2 Cf. F. RUFFINI, Giovanni Paolo II, un Papa che viene dalla sofferenza, in Giovanni Paolo II e la sofferenza, a cura di F. ANGELINI – J. REDRADO – F. RUFFINI, Editrice Velar, Gorle 1995, 18-49. 168 I. Alcune Lettere apostoliche Quando, con la croce abbracciata sulla via del Venerdì santo, toccava la passione del Signore e la consegnava al mondo come via preziosa di salvezza. Quando, poi, sul letto del dolore, dopo i giorni della passione, sentiva la voce del Signore che lo chiamava alla casa del Padre, come figlio amato, fedele servo della sofferenza, che ora entrava nella gioia della risurrezione. E quando il popolo di tutta la Chiesa e gli uomini di buona volontà si sono radunati attorno al suo letto, con quella dedizione con cui si dovrebbe seguire ogni più stretto famigliare, il padre, il nonno o il fratello, nel momento della sua sofferente dipartita. Ecco come il papa – nei giorni della passione – ha completato la stesura della sua pagina magisteriale sul valore salvifico della sofferenza: la pagina vitale della Salvifici doloris. Il mondo si è stupito, forse, della propria capacità di compassione, che Giovanni Paolo II era riuscito a destare nei cuori: chi aveva rifiutato la sofferenza, rimaneva sorpreso che, dentro di sé, fosse ancora capace di portarne il peso insieme al fratello; chi aveva abbandonato i morenti, non riusciva a vincere l’emozione e la tensione che lo attirava in Piazza San Pietro per essere vicino al Padre morente, mentre passava alla vera Vita; chi aveva nascosto a se stesso l’esistenza del dolore e la richiudeva tra le cose assurde, scopriva l’eloquenza e il valore del martirio; chi aveva perduto il senso della vita, ora, in mezzo al sofferto morire del grande papa, ritrovava la freschezza del coraggio e del conforto; chi era abituato al rifugio di un’anestesia totale, invocata ad ogni prova, scopriva la forza d’animo e la resistenza dello spirito. C’era chi mai aveva letto Salvifici doloris, ed ora assisteva alla lectio magistralis, del soffrire per salvare ed essere salvati… 2. … al Vangelo della sofferenza «Completo nella mia carne – dice l’apostolo Paolo spiegando il valore salvifico della sofferenza (Col 1, 24) – quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa» (n. 1). Nella propria sofferenza, Giovanni Paolo II ha scritto il capitolo più importante e più radicale della Salvifici doloris: è il capitolo della verità di fede contemplata, vissuta ed annunciata fino al martirio, fino a quel misterioso completamento delle sofferenze di Gesù Cristo, di cui il cristiano è stato reso capace. Riconoscendo, con trepidazione di cuore, che alla grandezza della passione del Signore non si può aggiungere niente, sa di poter completare il suo mistero redentivo. Questo capitolo dello specifico Vangelo della sofferenza (n. 25) non è mai né una teoria astratta né un’esposizione del tutto afferrabile razionalmente, ma è l’opera di un agire della forza salvifica in mezzo al dolore, che per troppi, oggi, sembra un assoluto non-senso. Il Pontefice – con la parola e con la testimonianza – ha aiutato l’uomo moderno a guardare oltre il dolore, a sperare e a vivere oltre il K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 169 dolore3, attingendo dagli occhi di Dio stesso rivolti verso chi soffre. Ma egli non ha mai proposto le facili vie di fuga e banalizzazioni, anzi invitava sempre a prendere sul serio e a vivere in pieno l’ora della prova, pur non cercando il martirio della sofferenza, ma accogliendolo generosamente, se questa fosse stata la volontà di Dio. 3. Sempre a partire dalla Parola di Dio Parlare della sofferenza non è mai facile, perché non è un tema che si possa riporre tra gli oggetti astratti di una discussione soltanto accademica. È una questione che impegna tutta la persona ed ogni persona umana, e la occupa non solo a livello dell’intelletto, ma forse, ancora di più, a livello del cuore, cioè di tutto ciò che più intimo e più decisivo è per la sua vita. La sofferenza è ciò che fa vedere il cuore dell’uomo, coinvolgendo lo spirito, l’anima e il corpo (cf. 1 Ts 5, 23), e perciò parlare del dolore non è mai esclusivamente un impegno di ragione, ma vi sono implicati, al contempo, i sentimenti e le emozioni, tutta la propria storia e l’esperienza del soffrire, che ogni persona porta dentro di sé. Insegnare ai fratelli cos’è la sofferenza richiede innanzitutto trovare la via giusta per un tale discorso. Del dolore si può parlare solo in modo discreto e sensibile, fiducioso e compassionevole, perché la parola possa raggiungere chi è alla prova. Nello stesso tempo, la parola sul soffrire deve essere forte e capace di trasmettere la certezza di quella che è l’ultima parola, la parola dell’amore. Quanto è difficile trovare il linguaggio giusto, lo sa chi ha dovuto assistere una persona sofferente, fino al punto che tanti rasserenano nell’ascoltare solo le confidenze del malato e dell’abbandonato. Trovare il linguaggio davanti alla prova del patire, significa spogliarsi delle proprie sicurezze e fare i conti con la fragilità umana e la provvisorietà dell’universo. Tale esame può essere molto rischioso, perché è capace di lasciarci a mani vuote e con gli occhi disperati. Le sole parole umane si confondono, se non si “aggrappano” ad una certezza più alta delle piccole consolazioni a misura d’uomo. Dove si trova dunque il linguaggio appropriato per osare di parlare dell’umano soffrire? Dove si trovano le parole che possano affrontare il dolore, quando le ricette di questo mondo, davanti alle varie pesti del male, che affliggono l’uomo, sembrano troppo spesso svanire nell’assurdo e nell’incomprensibile non-senso? Penso che questa è la prima domanda, alla quale risponde la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II. Egli indica il linguaggio della Parola di Dio che può misurarsi con la prova del soffrire. La Lettera si presenta in molte parti come una meditazione biblica. Essa si serve dell’esegesi storico-critica e ne offre una spiegazione teologica, risalendo sempre a 3 Per cogliere l’espressione di S. Leone in Oltre il dolore. La qualità della vita alla luce di una rinnovata teologia della sofferenza (Collectio Bioetica 1), Edi Oftes, Palermo 1992. 170 I. Alcune Lettere apostoliche quella fonte inesauribile che sono le Sacre Scritture4. Si potrebbe dire che il papa, nell’ecclesiale impegno di fede, rilegge la Scrittura come «un grande libro sulla sofferenza» (n. 6): la legge come un manuale del saper soffrire per la salvezza5. Ma non si ferma qui. La Parola di Dio rivela all’uomo ciò che egli è, perché solo in Cristo si riesce a comprendere pienamente il mistero dell’uomo (Gaudium et spes 22, Redemptor hominis 8). È la parola che conosce a fondo le prove del cuore umano, con le sue nostalgie e debolezze; ed è la via attraverso la quale si scopre la speranza e la fiduciosa coscienza di una transitorietà del male. La Rivelazione della Persona di Gesù Cristo, del Servo sofferente, morto e risorto, offre un linguaggio che non ha paura del dolore, ma trasmette il conforto e la divina promessa, anzi, il compimento della vittoria, avvenuto sulla Croce. Già nella stesura di molti suoi documenti, Giovanni Paolo II attingeva alla forma della meditazione biblica, come ad un modo prediletto per dire «tutto nel frammento», per aprire orizzonti all’insegnamento e indicare le vie sicure di navigazione teologica e spirituale. Ma nella Salvifici doloris, tornare al linguaggio della Scrittura, ha uno scopo del tutto speciale. Davanti a chi soffre, il Pontefice si pone direttamente con la Parola di Dio, perché sia Dio Amore ad intraprendere il dialogo con l’amico bisognoso, ad infondere consolazione e a rivelare il profondo senso in mezzo agli ostacoli per la felicità su questa terra. Parlare della sofferenza con le stesse parole della Scrittura, significa accettare la divina pedagogia. Dio non ha mai dato esaurienti spiegazioni della sofferenza. Non si è impegnato in un discorso teorico sul soffrire, ma in tutta la storia della salvezza, nonostante le infedeltà dell’uomo peccatore, si è caricato del peso del soffrire, conseguenza del peccato. Ha operato per salvare. La prima preoccupazione non è di spiegare il perché e il come, e perché proprio io e non un altro! La prima intenzione di Dio è di offrire se stesso per vincere il dolore e sconfiggerlo per sempre. Questa è la certezza del Vangelo della sofferenza, che decide la forma e il contenuto del linguaggio cristiano circa il soffrire. In quest’ottica si pone Giovanni Paolo II quando, per la prima volta nella storia della Chiesa, in un documento del magistero pontificio, tratta il dolore6. Non a caso si abbandona totalmente alla Parola di Dio 4 Per un utile approfondimento si veda: J.M. MCDERMOTT, La sofferenza umana nella Bibbia. Saggio di teologia biblica (Piccola biblioteca di teologia 9), Edizioni Dehoniane, Roma 1990. 5 Cf. J. SARAIVA MARTINS, Tra resistenza e resa: il mistero del dolore. A vent’anni dalla Salvifici doloris, in Il dolore tra resistenza e resa, a cura di G. CINÀ (Salute e salvezza 23), Edizioni Camilliane, Torino 2004, 71-83; Z. ALSZEGHY, Il senso della sofferenza. Riflessioni sulla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Salvifici doloris”, in «Medicina e Morale» 35 (1985) 11-22, qui 14-16. 6 Circa la struttura della Lettera apostolica in questione, oltre ad una Introduzione e Conclusione, essa è distribuita in sei capitoli: 1. Il mondo dell’umana sofferenza; 2. Alla ricerca della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza; 3. Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore; 4. Partecipi delle sofferenze di Cristo; 5. Il Vangelo della sofferenza; 6. Il buon samaritano. Nel presente K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 171 incarnato in Cristo, per offrire alla Chiesa il grande trattato cristiano sul soffrire. 4. Conoscere le sofferenze umane per cercarne il senso Già a partire dal titolo del documento, si può vedere come il papa intendeva affrontare un incontro tra ciò che è cristiano e ciò che è profondamente umano: il senso cristiano del soffrire umano. Da ultimo, si tratta di una soprannaturale prevalenza salvifica di ciò che è cristiano (ovvero un senso) su ciò che è la profonda esperienza umana (la sofferenza), dove la realtà naturale viene compenetrata da quella divina. Non si tratta primariamente di volere spiegare il significato della sofferenza, oppure di provare a prevenirla o alleviarla al meglio, eliminarla o comprenderla fino in fondo. Si vuole trovare il suo senso e così ritrovarla in una luce nuova, forse non nella luce originale di una definizione innovativa, ma proprio nella ed a partire dalla luce dell’esperienza di salvezza, di cui la sofferenza fa parte, in modo del tutto particolare. Il papa sa che bisogna partire dalla dignità dell’uomo, creato ad immagine di Dio (Gn 1, 27), dalla sua natura aperta all’infinito, ma toccata parimenti dalla finitezza delle passioni e della morte. Il mondo dell’umana sofferenza è talmente vasto e drammaticamente quotidiano, che appare come un’immensità difficile da conoscere7. Pertanto rimane «quasi ineffabile ed incomunicabile» (n. 5). Tale realtà si può misurare nel profondo, scrutando i vari livelli della sofferenza, cominciando dalla più immediata, quella fisica, che si esprime propriamente nel dolore del corpo, alla forma più sottile della sofferenza psichica, fino alle sofferenze morali e spirituali, che abbracciano quanto di più profondo dell’uomo e della sua esistenza. Ma il mondo della sofferenza bisogna comprenderlo anche nella sua orizzontalità che unisce tutti gli uomini di tutti i tempi. Una volta si sperimentavano più da vicino i dolori della propria famiglia, della città e, se mai, della nazione, ora ci si confronta – con la velocità dettata dalle notizie che corrono attraverso i mass-media – con le sofferenze individuali e collettive di ogni parte del mondo. Da una parte, il vissuto della sofferenza, ha oltrepassato i confini dell’ambiente intimo dei vicini e del relativo vicinato. Si sperimenta ora, sempre di più, come una realtà di tutta la famiglia umana, diventando una prova di comunione e di solidarietà, prima inimmaginabili. Dall’altra parte si rischia la dispersione e la frammentazione, che spesso svela contributo, più che presentarne il contenuto, intendiamo mostrare le linee magistrali di questo vero trattato sul senso cristiano del soffrire. 7 Si possono vedere: A. GRECO, Fenomenologia del dolore. Riflessione teologica sul valore salvifico della sofferenza, Armando Editore, Roma 2004, 12-43; E. LARGHERO, Dolore e sofferenza nell’insegnamento di Giovanni Paolo II (Salute e salvezza 24), Edizioni Camilliane, Torino 2005, 19-97; Homo patiens. Prospettive sulla sofferenza umana, a cura di R. ESCLANDA – F. RUSSO (Studi di filosofia 26), Armando Editore, Roma 2002. 172 I. Alcune Lettere apostoliche indifferenza e insensibilità, con una sorta di fredda consuetudine nell’affrontare il mondo delle sofferenze che ci sovrasta. Molti, infatti, non sentono più niente, in un’anestesia della mente e del cuore, davanti alle immagini della sofferenza, della malattia, della morte, delle catastrofi, di ogni sorta di male che opprime il cuore dell’uomo. La sofferenza, invece, deve porre le domande nel cuore umano, deve inquietare e smuovere sia il pensare sia il sentire. Da sempre, il dolore fa nascere la domanda sul perché. Il perché della sofferenza ha dato risposte più o meno felici nell’arco dei secoli. Ma mai, come nei tempi moderni, questa domanda è stata indirizzata verso Dio fino a colpevolizzare l’Altissimo dell’esistenza del dolore, fino a scaricarne la responsabilità o a negarlo, per rimanere conformi all’affermazione delle infinite sofferenze. Gli ateismi moderni hanno cancellato Dio in nome delle sofferenze presenti, soprattutto quelle degli innocenti. I relativismi hanno attribuito a Dio – con un tocco manicheo – la prima ed eterna fonte del dolore, portandovi la contraddizione nella sua immagine pura. Il papa, nella Salvifici doloris, conosce queste tragiche risposte ideologiche (n. 9). La domanda sul patire dovrebbe essere rivolta più all’uomo che a Dio, perché il mistero della sofferenza è sempre legato al mistero del male, al misterium iniquitatis. Non è mai totalmente indipendente dal dramma del peccato originale e perciò riguarda l’uomo (n. 15). Nondimeno, esiste anche il modo giusto in cui l’uomo pone questa domanda difficile al suo Creatore e al Signore del mondo (nn. 9-13). Una tale giusta domanda – che nella Bibbia trova il suo preludio paradigmatico nel libro di Giobbe – pone l’uomo nella prospettiva di redenzione e di salvezza (cf. Gb 19, 25-26). Non è solo la richiesta sul perché circa la causa o la ragione e lo scopo, quanto l’interrogativo su un qualche senso del soffrire nell’esistenza umana. Il male che passa davanti agli occhi degli uomini è conseguenza delle singole colpe dei peccatori o insito nella debolezza della natura, segnata dal peccato delle origini. Il papa spiega che gli amici di Giobbe erano convinti che la sofferenza è sempre la conseguenza della colpa personale; la riconoscevano un «male giustificato» a partire dalla giustizia, ma la sofferenza di Giobbe è la passione di un innocente, ciò che segna una sua profonda misteriosità: «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione» (n. 11). Esiste anche la sofferenza che è una dura prova a cui l’uomo è sottoposto per corroborare la sua fedeltà, per rinforzare la propria fede, per crescere. In definitiva, la sofferenza respira l’esistenza del male, che indica il più delle volte un mare magnum di mali piccoli e grandi che tormentano il quotidiano. È importante rendersi conto e conoscere da vicino la drammaticità del male, ma fermarsi ad un suo scrutinio solo naturale e razionale, rischia oggi di offuscare la prospettiva dell’intera verità. Porta in sé il pericolo di voler spiegare il male nel contesto parziale di un esistenza debole e perciò appesantita e piegata su se stessa. Non può essere questa K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 173 la direzione a cui bisogna rivolgere lo sguardo per cercare di capire la sofferenza. Ci vuole la prospettiva divina del bene e dello stesso Bene assoluto, che è Dio. Solo in questo modo, illuminato dalla fede, si comprenderà il valore salutare e pedagogico della sofferenza, in quanto pena per il peccato oppure spinta continua verso la conversione, cioè la ricostruzione del bene (cf. n. 12), ma anche come prova e occasione privilegiata di cooperare con Cristo nella redenzione del mondo. 5. Gesù Cristo: l’unica definitiva vittoria sulla sofferenza Non basta conoscere i mali del mondo e le sofferenze del cuore dell’uomo. Se uno ha sperimentato la via evangelica della liberazione dal male, che gli viene comunicata nella fede, non può più fermarsi alle risposte parziali, ma deve partire e permanere sull’annuncio della definitiva redenzione dal dolore. Il cristiano è depositario della grazia e del ministero dell’azione salvifica di Dio che, nel suo Figlio unigenito, ha realizzato la vittoria sulla passione. La Redenzione compiuta da Gesù Cristo è la chiave del pensiero del papa sulla sofferenza e deve essere la forza di ogni pensiero cristiano sul soffrire, che in un’altra prospettiva si affievolisce e perde l’equilibrio dell’impegno e dell’abbandono in mezzo alla prova. Il Redentore «dà la risposta all’interrogativo sulla sofferenza e sul senso della sofferenza non soltanto col suo insegnamento, cioè con la Buona Novella, ma prima di tutto con la propria sofferenza, che con un tale insegnamento della Buona Novella è integrata in modo organico ed indissolubile» (n. 18). Giovanni Paolo II, spiegando i Carmi del Servo sofferente di Jahvé8, insegna il vero paradosso della Redenzione. Per mezzo di essa, Dio vuole cancellare le sofferenze degli uomini, ma vuole pure che la sofferenza stessa diventi via privilegiata nel redimere la creatura. Il culmine, il punto di forza di tutta la Lettera si potrebbe indicare nelle parole di alto spessore cristologico, che descrivono questo nuovo valore e senso, umanamente inimmaginabile, della sofferenza. Rileggiamole, in quanto costituiscono il cuore del mistero della sofferenza redentrice: «Se la sofferenza “viene misurata” col male sofferto, allora le parole del profeta ci permettono di comprendere “la misura di questo male” e di questa sofferenza, di cui Cristo si è caricato. Si può dire che questa è sofferenza “sostitutiva”; soprattutto, però, essa è “redentiva”. L’Uomo dei dolori di quella profezia è veramente quell’’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”. Nella sua sofferenza, i peccati vengono cancellati proprio perché egli solo, come Figlio unigenito, poté prenderli su di sé, assumerli con quell’amore verso il Padre che supera il male di ogni peccato; in un certo senso, annienta questo male nello spazio spirituale dei rapporti tra Dio e l’umanità e riempie questo spazio col bene. 8 Cf. Is 42, 1-4; 49, 1-7; 50, 4-11; 52, 13-53, 12. Il commento del papa, proposto nella SD, 17-19, si concentra sull’inizio del capitolo 53 del Profeta (vv. 2-12). 174 I. Alcune Lettere apostoliche Tocchiamo qui la dualità della natura di un unico soggetto personale della sofferenza redentiva. Colui che, con la sua passione e morte sulla Croce opera la Redenzione, è il Figlio unigenito che Dio “ha dato”. E nello stesso tempo questo Figlio consostanziale al Padre soffre come uomo. La sua sofferenza ha dimensioni umane, ha anche – uniche nella storia dell’umanità – una profondità ed intensità che, pur essendo umane, possono essere anche incomparabili profondità ed intensità di sofferenza, in quanto l’Uomo che soffre è, in persona, lo stesso Figlio unigenito: “Dio da Dio”. Dunque, soltanto Lui – il Figlio unigenito – è capace di abbracciare la misura del male contenuta nel peccato dell’uomo: in ogni peccato e nel peccato “totale”, secondo le dimensioni dell’esistenza storica dell’umanità sulla terra» (n. 17). Non si può capire fino in fondo la profondità ed intensità della sofferenza del Figlio di Dio, per cui si dovrebbe penetrare in modo esaustivo il mistero divino-umano del Salvatore (n. 18). Nella passione della Croce si tocca l’immensità del soffrire, ma si anticipa pure la gloria della Risurrezione (n. 22). La gloria accompagna ininterrottamente la sofferenza del Redentore, pur in modo nascosto, ma eloquente e decisivo. Essa – nel momento della Risurrezione – svela la prospettiva escatologica, in cui non ci sarà più ombra del dolore. Il Signore Risorto fa sperimentare all’uomo la beatitudine eterna che eliminerà le sofferenze. Ma Egli fa vedere anche quale è la sofferenza più grande, che non può essere paragonata con i dolori presenti. È la sofferenza definitiva di chi muore alla vita eterna, nella dannazione. L’essere respinto da Dio e perdere l’eternità è la vera sofferenza che non trova rimedio (n. 14). Essa, per il credente, cambia tutta la gerarchia dei dolori e delle vere preoccupazioni per essi. In questa luce non è la sola sofferenza ad essere illuminante in mezzo alle prove e al martirio, ma piuttosto «l’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero» (n. 13). Non è primariamente il soffrire stesso a rivelare il senso, ma piuttosto la sublimità dell’amore divino, comunicato nel Figlio ai credenti. Perciò il papa ribadisce ancora: «l’Amore è anche la sorgente più piena della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza» (n. 13). Anzi egli indica in queste parole un significato vitale del suo insegnamento, perché la chiave di lettura che è data sia nella redenzione sia nell’amore non la si può solamente apprendere, ma verso l’amore redentivo di Dio bisogna aprirsi ed accoglierlo, per comprendere a sua volta anche il mistero delle afflizioni9. 9 Una teologia della sofferenza non può essere che una teologia dell’amore per non cadere sotto il giogo di un dolorismo, sempre rifiutato dai cristiani. cf. J.M. MCDERMOTT, Il senso della sofferenza, ne «La Civiltà Cattolica» 3.272 (1986) 112-126. K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 6. 175 La gioia e la pace della Chiesa nelle sofferenze La sofferenza, che diventò il prezzo della redenzione, e così è stata anch’essa redenta, nella Nuova Alleanza diventa la via di condivisione delle sofferenze di Cristo. Al riguardo il papa proclama: «Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Ognuno è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza, mediante la quale si è compiuta la redenzione. È chiamato a partecipare a quella sofferenza, per mezzo della quale ogni umana sofferenza è stata anche redenta. Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo» (n. 19). Nel paradosso della debolezza e della forza, i credenti vivono il soffrire non più solo come un giogo opprimente, ma lo percepiscono in un’apertura all’opera salvifica di Dio. Nella nuova unione con Dio, i fratelli di Cristo sono capaci perfino di pace interiore e di gioia spirituale, che sono i segni del Regno di Dio. «Cristo ci ha introdotti in questo Regno mediante la sua sofferenza. E anche mediante la sofferenza maturano per esso gli uomini avvolti dal mistero della redenzione di Cristo» (n. 21). La rivelazione della forza salvifica e del significato salvifico della sofferenza viene coniato in un termine caro al Santo Padre, quello del Vangelo della sofferenza (cf. n. 25). Si tratta della buona notizia che proclama chi accoglie la sofferenza per Cristo e a causa di Cristo. Nello stesso tempo è il Vangelo di coloro che soffrono insieme con Cristo e che mediante la prova si avvicinano a Lui con una forza vittoriosa, con una nuova maturità e grandezza spirituale, trovando quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione (n. 26). Nella sublimità di un tale annuncio parla incessantemente «lo strano paradosso: le sorgenti della forza divina sgorgano proprio in mezzo all’umana debolezza. Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri. Quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo» (n. 27). La prima figura del Vangelo della sofferenza non è un discepolo o tutti i discepoli presi insieme, ma è una donna, è Maria, Madre di Gesù, essendo «testimone della passione del Figlio con la sua presenza, e di essa partecipe con la sua compassione» (n. 25). Proprio per il suo rapporto particolarissimo a Cristo e perciò anche per lo speciale modo di completare le sue sofferenze, l’icona di Maria Santissima sta nella Salvifici doloris ad aprire il Vangelo della sofferenza. Invece, subito dopo, la figura del buon Samaritano è richiamata ai testimoni di Cristo come tangibile segno che nessuno di loro può sottrarsi 176 I. Alcune Lettere apostoliche all’impegno del dono di sé per chi soffre (cf. nn. 28-30). Egli insegna che «l’uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l’amore nella sofferenza. Le istituzioni sono molto importanti ed indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l’amore umano, l’iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro. Questo si riferisce alle sofferenze fisiche, ma vale ancora di più se si tratta delle molteplici sofferenze morali, e quando, prima di tutto, a soffrire è l’anima» (n. 29). Il vero prossimo della parabola di Gesù è ogni uomo sensibile alla sofferenza fino alla commozione e alla compassione, alle quali però non si può fermare. Il cristiano – davanti alle passioni del mondo – è colui che agisce e cerca aiuto efficace, sfugge ogni tentazione di passività, ma assomiglia al Signore, che passando operava il bene, di cui alla fine saremo giudicati. Il fratello Samaritano svela in ogni tempo cristiano il compito di sprigionare l’amore e di essere apostoli, cioè messaggeri di un Amore che è più grande dell’umano soffrire. In questo senso, la voce del Pontefice offre una preziosa spiegazione della dottrina cattolica sul valore della sofferenza, ma nondimeno è una potente esortazione per tutti i credenti ad essere testimoni dell’amore, che nei dolori di questo mondo trova occasione preziosa di sprigionamento e di crescita verso il Sommo Bene. Infatti, se «la sofferenza è, in se stessa, un provare il male», era Cristo che «ne ha fatto la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna. Con la sua sofferenza sulla Croce, Cristo ha raggiunto le radici stesse del male: del peccato e della morte. Egli ha vinto l’artefice del male, che è Satana, e la sua permanente ribellione contro il Creatore» (n. 26). Ancora alla fine della sua vita lo stesso Giovanni Paolo, proprio nell’ultimo libro «Memoria e identità», confermava questo glorioso annuncio, dicendo: «Ogni sofferenza umana, ogni dolore, ogni infermità racchiude una promessa di salvezza una promessa di gioia: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi”, scrive san Paolo (Col 1, 24). Ciò vale per ogni sofferenza provocata dal male; vale anche per quell’enorme male sociale e politico che oggi divide e sconvolge il mondo»10. 7. Saper soffrire per essere salvati Il passato, non molto remoto, conosceva scaffali di volumi dedicati all’arte del buon soffrire, come a quella del buon morire. All’inizio del XX secolo – con le riflessioni sul soffrire di N. Salvaneschi, di A. 10 Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rusconi, Milano 2004, 199. K. CHARAMSA - Nel cuore del mistero della sofferenza 177 Zacchi11 e di molti altri – ci si impegnava a imparare e a intraprendere una capacità, tanto pratica, quanto altamente spirituale. In una lezione spirituale, che riusciva a comprendere tutto l’uomo, era impegnato Dio, non solo come un assoluto orizzonte in sé beato, ma anche come compagno e amico, pur restando il traguardo di una vita libera dalla sofferenza e dalle lacrime. All’inizio del XXI secolo si sente l’urgente necessità di insegnare alle persone l’arte della gestione delle sofferenze, un’arte preoccupata di eliminarle presto e automaticamente, non arrivando nel profondo degli interrogativi dello spirito. Grazie a Dio, in una moderna, veloce terapia, tecnologica o psicologica, si riesce lodevolmente ad eliminare molti mali, che prima erano sofferti in modo straziante. Non si riesce invece spesso ad intravedere Dio: l’uomo sembra restare solo col suo soffrire, e Dio sembra lontano, non impegnato nella corsa contro il tempo che concentra le forze contro il dolore. La sofferenza comunque, rimane sempre, se non altrimenti, almeno nel dolore di dover morire. Trovare il senso della sofferenza significa trovare un Dio che salva e redime l’uomo, il Dio della beatitudine infinita, che non conosce il soffrire, ma libera dalle passioni. Saper soffrire consiste, non solo nel trovare l’equilibrio umano nell’affrontare le prove, ma viverle, trovando il senso salvifico che traspare dall’amore con cui si accoglie anche il dolore. In questa scuola di vita ci vuole, alla guida, da una parte, quel Dio di Gesù Cristo, che possa redimerci dai dolori e portarci nella pienezza della sua luce senza ombra di sofferenza (cf. Gc 1, 17), e dall’altra, quello stesso Dio Uno e Trino, che non sia indifferente e insensibile, ma amorosamente impegnato ed interessato delle nostre prove. Un Dio beato, che non patisce in eterno, ma che conosce meglio di noi le nostre passioni e realizza l’insito desiderio di essere beati, cioè felici nel Regno della vita infinita. Bibliografia (in ordine cronologico) 1. Attorno alla Salvifici doloris di Giovanni Paolo II Z. ALSZEGHY, Il senso della sofferenza. Riflessioni sulla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II «Salvifici doloris», in «Medicina e Morale» 35 (1985) 11-22. Giovanni Paolo II e la sofferenza, a cura di F. ANGELINI – J. REDRADO – F. RUFFINI, Editrice Velar, Gorle 1995. A. GRECO, Evangelizzazione e sofferenza nel magistero di Giovanni Paolo II, Nuovo dialogo, Taranto 1998. Il valore redentivo della sofferenza. Salvifici doloris, a cura di L. NOVARESE – A. GIORGINI, Edizioni Centro Volontari della sofferenza, Roma 2001. Il dolore tra resistenza e resa, a cura di G. CINÀ, (Salute e salvezza 23), Edizioni Camilliane, Torino 2004. 11 Cf. rispettivamente Il trittico del cuore. Saper amare. Saper soffrire. Saper credere, Milano 1948, 177-365, e Il problema del dolore – dinanzi all’intelligenza e al cuore, Roma 1946. 178 I. Alcune Lettere apostoliche A. GRECO, Fenomenologia del dolore. Riflessione teologica sul valore salvifico della sofferenza, Armando Editore, Roma 2004. E. LARGHERO, Dolore e sofferenza nell’insegnamento di Giovanni Paolo II (Salute e salvezza 24), Edizioni Camilliane, Torino 2005. G. TALIERCIO, Il valore della sofferenza. Riflessioni sulla Salvifici doloris di Giovanni Paolo II, Edizioni ADP, Roma 20053. 2. Attorno alla sofferenza – da varie prospettive J.M. MCDERMOTT, Il senso della sofferenza, ne «La Civiltà Cattolica» 3.272 (1986) 112-126. F. D’ONOFRIO, Il dolore: fisiopatologia e valore, Campagna Serafica, Napoli 1989. J. GALOT, Perché la sofferenza? (Comunicare la fede), Ancora, Milano 1989. C.A. BERNARD, Sofferenza, malattia, morte e vita cristiana (Spiritualità 6), Edizioni Paoline, Milano 1990. J.M. MCDERMOTT, La sofferenza umana nella Bibbia. Saggio di teologia biblica (Piccola biblioteca di teologia 9), Edizioni Dehoniane, Roma 1990. S. LEONE, Oltre il dolore. La qualità della vita alla luce di una rinnovata teologia della sofferenza (Collectio Bioetica 1), Edi Oftes, Palermo 1992. M. BAZZOTTO, Il grido di Giobbe. L’uomo, la malattia, il dolore nella cultura contemporanea, Edizioni Paoline, Milano 1995. L. SANDRIN, Come affrontare il dolore. Capire, accettare, interpretare la sofferenza (Psicologia e personalità 12), Edizioni Paoline, Milano 1995. C. BENSAID, Ama te stesso, la vita ti amerà. Comprendere il proprio dolore per riconoscere il proprio desiderio (Collana di psicologia 3), Editrice CVX, Roma 1998. W.J. EIJK, La sofferenza: un argomento passato sotto silenzio, in «Rivista di Teologia di Lugano» 3 (1998) 621-631. L. CICCONE, Davanti al dolore. Tra sedazione e valorizzazione. Tra analgesici e cure palliative, in ID., La vita umana (Manuali 4), Edizioni Ares, Milano 2000, 307-317. Homo patiens. Prospettive sulla sofferenza umana, a cura di R. ESCLANDA – F. RUSSO (Studi di filosofia 26), Armando Editore, Roma 2002. K. CHARAMSA, Davvero Dio soffre? La Tradizione e l’insegnamento di San Tommaso (Claustrum 21), Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2003.