Materiali e documenti
Diritto, Politica, Economia
The best interest
of the child
a cura di
Mirzia Bianca
University Press
Collana Materiali e documenti
76
Diritto, Politica, Economia
The best interest
of the child
a cura di
Mirzia Bianca
2021
Copyright © 2021
Sapienza Università Editrice
Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma
www.editricesapienza.it
editrice.sapienza@uniroma1.it
Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420
ISBN 978-88-9377-189-4
DOI 10.13133/9788893771894
Pubblicato nel mese di settembre 2021
Quest’opera è distribuita
con licenza Creative Commons 3.0 IT
diffusa in modalità open access.
In copertina: foto di Fabrizio Sorrentino.
Al mio adorato Padre
che, senza mai declamare
la formula del Best
interest of the child,
l’ha sempre resa concreta
con i Suoi scritti
e con la Riforma
della filiazione
Con infinito affetto
Indice
tomo i
Prefazione
Mirzia Bianca
xv
Presentazione dell’opera
Guido Raimondi
xix
I best interests of the child tra passato, presente e futuro
Filomena Albano
xxiii
Un ricordo del Prof. Cesare Massimo Bianca
Carla Garlatti
xxvii
parte i – L’interesse del minore nell’ordinamento interno
ed internazionale
L’interesse del minore: le nuove sfide d’un concetto vago
e magari antipatico
Ursula Cristina Basset
Un modello europeo per l’armonizzazione della legge
sulla responsabilità genitoriale
Katharina Boele-Woelki
3
11
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant: quelle articulation ? 35
Hugues Fulchiron
Autorità giudiziaria e superiore interesse del minore
Carla Garlatti
47
viii
The best interest of the child
Interesse del minore: problematiche interpretative
Giovanni Giacobbe
61
La maternità surrogata e l’interesse del minore
Gabriella Luccioli
69
The best interest of the child. L’interesse del minore
nella giurisprudenza interna e internazionale
Gabriella Palmieri
L’interesse del minore
Paolo Papanti Pelletier
85
97
The best interest of the child nella giurisprudenza
della Corte suprema di Cassazione
Luigi Antonio Scarano
101
Interés superior del menor y maternidad subrogada:
estado de la cuestión en el derecho español
José Ramón de Verda y Beamonte
131
parte ii – L’interesse del minore e i new media
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di Internet 153
Luisa Avitabile
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina
sul cyberbullismo
Alberto Maria Benedetti
165
Il diritto all’oblio del soggetto minore nel Regolamento europeo
sulla protezione dei dati personali
Maria Romani Allegri
179
La questione della consapevolezza digitale nei minori
Ida Cortoni
189
Responsabilità genitoriale e controllo Facebook
Alessandra Gatto
207
Discorsi d’odio online e tutela costituzionale dei minori
Paola Marsocci
215
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 231
Donatella Pacelli – Camilla Rumi
Indice
Il libro bianco Media e minori: l’età del consenso digitale
tra consapevolezza e responsabilità
Giulio Votano
ix
245
parte iii – L’interesse del minore e il suo diritto a crescere
in famiglia
L’interesse del minore alla propria famiglia: un interesse ancora
in attesa di piena tutela
Cesare Massimo Bianca
255
Una riflessione su “l’interesse del minore e il suo diritto
a crescere in famiglia”
Enrico Quadri
261
Il diritto del minore alla bigenitorialità ed il ruolo del terzo
genitore nella prospettiva della famiglia ricomposta
Enrico Al Mureden
269
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
Ettore Battelli
Condizioni di indigenza dei genitori e il diritto del minore
di crescere nella propria famiglia
Clorinda Ciraolo
285
303
Il bambino in una famiglia a confini variabili
Paola Di Nicola
313
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
Nelson Rosenwald
323
parte iv – L’interesse personale e patrimoniale del minore
e la sua partecipazione all’attività negoziale
Il minore e la relazione di cura
Alessandra Bellelli
341
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 351
Vincenzo Barba
Le Dat del minore e il conflitto di interessi dei genitori
Marco Bellinvia
381
x
The best interest of the child
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
Alberto Giulio Cianci
La nuova legge italiana sul testamento biologico
e il ruolo del minore
Attilio Gorassini
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
Claudia Irti
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale:
i rischi della sottovalutazione degli aspetti psicologici durante
l’ospedalizzazione
Giovanna Leone
The best interest of the child tra persona e contratto
Roberto Senigaglia
399
429
439
477
491
tomo ii
parte v – L’interesse del minore all’accertamento
dello stato filiale
L’incidenza dell’interesse del minore nella costituzione
e rimozione dello stato filiale
Tommaso Auletta
523
L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari
Massimo Paradiso
611
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
Davide Achille
619
The same-sex parented family option. An outlook
of the Italian case Law
Gianni Ballarani
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
Mirzia Bianca
Due non è uguale a uno più uno. Bigenitorialità
e rapporti omoparentali
Emanuela Giacobbe
643
669
695
Indice
xi
Maternità surrogata e tutela del minore:
quale il best interest of the child?
Emanuele Lucchini Guastalla
729
La determinación de la filiación derivada de las técnicas
de reproducción asistida: problemas y perspectivas
José Ramón de Verda y Beamonte
745
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
Ugo Salanitro
761
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
Susanna Sandulli
775
parte vi – L’interesse del minore ad una crescita serena:
responsabilità genitoriale, relazioni familiari e conflitti
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
Filippo Romeo
Conflittualità familiari e affidamento di minori
in servizi sociali
Daniela Cremasco
789
807
L’interesse del minore alla bigenitorialità
Lorenzo Delli Priscoli
813
Il diritto del minore all’abitazione. Profili pubblicitari
Giampaolo Frezza
837
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
Gaetano Edoardo Napoli
855
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
Adriana Neri
877
Prevalencia y garantìa del intéres del menor
en los procesos de familia
Pilar María Estellés Peralta
899
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore:
un progetto di tavolo interdisciplinare
Maria Letizia Spasari
921
xii
The best interest of the child
tomo iii
parte vii – L’interesse del minore e il diritto all’identità
L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica
Marisa Ferrari Occhionero
La complejidad del derecho a la identidad a la luz
de las sugerencias de la jurisprudencia de la Corte
interamericana de derechos humanos
Ursula Cristina Basset
937
947
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
Liliana Caravelli
967
Minore-consumatore e diritto all’identità
Fabrizio Criscuolo
983
The identity of child consumer in Hungarian Law
Klára Gellén – Andrea Labancz
995
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
Arnaldo Morace Pinelli
L’identità sociale del minore di fronte alle sfide
dei mutamenti familiari
Mariella Nocenzi
1011
1035
Born to buy: la socializzazione del giovane consumatore
Domenico Secondulfo
1049
Cognome del minore e identità personale
Stefano Troiano
1061
parte viii – L’interesse del minore alla continuità affettiva
Contraddizioni e criticità del principio della continuità affettiva
nei procedimenti di adozione: continuità affettiva e affido familiare 1105
Alida Montaldi
L’adozione in casi particolari
Melita Cavallo
1115
L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi 1133
Rosario Carrano
Indice
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
Silvia Fornari
Genitore (e nonno) sociale. Diritti e tutele nell’interesse
della persona di età minore? Il cammino della giurisprudenza
interna ed europea
Maria Giovanna Ruo
Due modelli giurisprudenziali e due ipotesi a confronto
in tema di continuità affettiva
Rosita Lifrieri
xiii
1141
1153
1181
parte ix – L’interesse del minore e il diritto alla stabilità
territoriale. Il problema del minore migrante
The best interest of the child “to be or not to be adopted”.
Intercountry Adoptions, intercultural Discriminations
Mario Ricca
1199
Tutela degli interessi del minore e normativa dell’Unione europea
sul ricongiungimento familiare
1261
Adelina Adinolfi
Minore migrante e tutela dei diritti umani
Silvia Albano
1281
Aspetti penalistici della tutela del minore migrante
Pasquale Bronzo
1291
Problematiche civilistiche del minore migrante
Gabriele Carapezza Figlia
1299
El Convenio de la Haya de 1980. Las medidas preventivas
establecidas por el legislador español en la sustracción
internacional de minores
María Ascensión Martín Huertas
1307
Nutrire le radici del futuro: bambini, degrado ambientale
e diritti umani
Bruno Maria Mazzara
1343
La sottrazione internazionale del minore e i problemi
psicologici relativi alla stabilità affettiva e territoriale
Mimma Tafà
1361
Prefazione
La presente pubblicazione raccoglie gli Atti di un Convegno internazionale
e interdisciplinare dedicato al tema del “The best interest of the child” che
si è tenuto nei giorni 20-22 settembre 2018 presso l’Università La Sapienza.
Si è trattato di un evento che ha avuto la partecipazione di tanti operatori
professionali, accademici italiani e stranieri, giudici, avvocati, psicologi, assistenti sociali. L’organizzazione di questo Convegno è stata impegnativa
perchè si è svolto per tre giorni con tre sessioni parallele la mattina e tre il
pomeriggio, nell’intento ideale di coprire tutte le tematiche che riguardano
il minore e la ricerca del suo best interest (si veda al riguardo la sintesi del
Convegno che è stata pubblicata sulla Rivista Giudicedonna 2018), formula
magica contenuta nella Convenzione di New York sul diritto del fanciullo,
di cui si è da poco celebrato il trentennio.
Di quelle giornate ricordo la fatica ma anche l’entusiasmo. Ringrazio
sentitamente per l’aiuto Rosita Lifrieri, Susanna Sandulli, Fabiola Orlandi,
Chiara Proietti, che mi hanno affiancato instancabilmente. Ringrazio il personale del Coris, l’allora segretario amministrativo Michele Mazzola, che
mi ha dato un supporto incredibile in ogni fase organizzativa.
Ringrazio inoltre le numerose organizzazioni che sono state presenti: Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ; Consiglio dell’Ordine degli Assistenti Sociali ; Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza; Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia; Comitato italiano per l’UNICEF;
Associazione Cammino; Save the Children; Accademia del Notariato;
Casa ciociara della cultura; Accademia di psicoterapia della famiglia.
Un grazie sincero va ai relatori che hanno partecipato tutti con
grande generosità. La presente pubblicazione non è la riproduzione
fedele di quelle giornate, anche se si è cercato di mantenere il più
possibile l’impianto del Convegno. La suddivisione nelle numerose
xvi
The best interest of the child
sessioni è rimasta pressoché inalterata, anche se è stato necessario
accorparne qualcuna al fine di una più sistematica organizzazione
dell’opera. Così, e mi scuso anticipatamente con i relatori, potrà capitare che un relatore originariamente (nel Convegno) collocato in una
sessione, sia stato risistemato in altra di più ampio contenuto. Inoltre non si tratta di riproduzione totalmente fedele in quanto alcuni
relatori si sono limitati ad un aggiornamento del proprio contributo,
mentre altri hanno preferito cogliere l’occasione per scrivere un saggio più approfondito. Non ho voluto costringere i primi a fare un
saggio più approfondito né ho voluto fermare l’attività creativa di chi
ha voluto scrivere di più. Ciò spiega perchè alcuni contributi sono
di poche pagine e altri più estesi. Questa distinzione ha comportato
delle differenze dal punto di vista editoriale, in quanto può capitare
di leggere alcuni contributi privi di note e di sommario e altri corredati da sommario e da note. Si tratta di disomogeneità che, come
ripeto, sono imputabili alla libertà che ho deciso di voler attribuire
ai numerosi autori che hanno voluto partecipare a questa iniziativa.
Inoltre l’opera si è arricchita di nuovi contributi da parte di autori
che, benché non presenti al Convegno, hanno voluto generosamente
inviarmi un loro contributo.
La stessa libertà ho deciso di attribuire alla scelta della lingua di
pubblicazione. La dimensione e il valore internazionale dell’opera
mi ha convinta a lasciare a ciascun autore la possibilità di scegliere
la propria lingua. Così vari autori stranieri hanno inviato il loro
contributo in lingua originale, mentre alcuni autori italiani hanno
scelto di pubblicare in altra lingua. Sono poi numerosi gli scritti
pubblicati in italiano.
La mole dei contributi e soprattutto la presenza di vari autori stranieri,
insieme alle scelte editoriali di cui mi ritengo responsabile come curatrice,
rende l’opera naturalmente complessa e difficilmente omogenea sotto il
profilo formale e quindi mi scuso anticipatamente con il lettore.
Fatte queste necessarie premesse, abbiamo tuttavia cercato il più possibile di realizzare un buon livello di ordine formale e di questo sono
debitrice alle mie collaboratrici e in particolare a Susanna Sandulli, che
mi ha supportata nel lavoro di sistemazione con velocità e destrezza.
Ringrazio ancora tutti coloro che generosamente hanno dato il loro
contributo in una tematica di così attuale e delicata rilevanza. Durante
la correzione delle bozze, ho avuto un grave problema familiare che ha
comportato un ritardo nella pubblicazione. Per questo mi scuso con gli
Prefazione
xvii
autori e con lo staff della redazione della Casa editrice della Sapienza
che mi ha supportato con pazienza. Questo ritardo ha tuttavia arricchito
la pubblicazione della presentazione della nuova Garante per l’infanzia
e l’adolescenza che si affianca a quella della precedente.
Mirzia Bianca
Presentazione dell’opera
Ho accolto molto volentieri, e con gratitudine, l’invito rivoltomi dalla
Professoressa Mirzia Bianca a redigere una breve presentazione per
l’opera che ora vede la luce e che raccoglie gli atti del Convegno tenutosi alla Sapienza dal 20 al 22 settembre 2018.
Il titolo del Convegno era lo stesso di questo volume, cioè The Best
Interest of the Child, un titolo che, riprendendo il leit motiv di quello
che è oramai il testo fondamentale di riferimento nella materia, cioè la
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (New York,
20 novembre 1989), immediatamente proietta la riflessione sulla tutela
giuridica del minore, molto riccamente sviluppata nei tre giorni del
Convegno, che ha visto la partecipazione di molti studiosi non italiani,
nella sua oramai imprescindibile dimensione internazionale.
Da non specialista della materia osservo che in un Paese come l’Italia,
nel quale gli studi sulla protezione dell’infanzia, non solo nei suoi aspetti
giuridici, hanno sempre mantenuto un livello di eccellenza, informando
soluzioni legislative e giurisprudenziali molto spesso all’avanguardia,
la necessità del confronto con altre esperienze e con la giurisprudenza
delle corti internazionali potrebbe anche non essere accolta con assoluto
favore. Per questo sono grato, come dicevo, per la richiesta di accompagnare con un mio scritto la pubblicazione degli atti del Convegno,
ciò che dimostra lo spirito di sincera apertura degli organizzatori del
Convegno, curatori di questo volume, in particolare verso il sistema europeo di protezione dei diritti umani, che è parte a livello regionale della
dimensione internazionale che evocavo, e verso la Corte europea dei
diritti dell’uomo (in seguito: la Corte) che ho avuto l’onore di presiedere. Aggiungo che, dal punto di vista della Corte europea, la sensibilità
degli studiosi e dei pratici che operano nell’ambito degli ordinamenti
xx
The best interest of the child
nazionali verso i valori della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(in seguito: la Convenzione) e la giurisprudenza di Strasburgo ha una
fondamentale importanza per la vitalità del sistema europeo di protezione dei diritti umani e il suo futuro, che sempre di più dipenderanno
dal livello di corretta applicazione della Convenzione all’interno degli
ordinamenti nazionali e quindi dal buon funzionamento del principio di
sussidiarietà o, come oggi si preferisce dire, della responsabilità condivisa,
condivisa, s’intende, tra il livello nazionale e quello europeo.
Anche se la Convenzione contiene solo pochi riferimenti espliciti
ai minori, la Corte ha sviluppato un vasto corpus di giurisprudenza
a proposito dei diritti del fanciullo. Considerando che i minori sono
titolari di diritti, piuttosto che semplici oggetti di protezione, la Corte
li ha trattati sia come beneficiari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione, sia come destinatari di uno speciale regime in ragione delle loro
caratteristiche specifiche.
Così facendo, la Corte ha esaminato i diritti dei minori in una varietà
di circostanze.
In primo luogo, molti casi in materia di minori portati all’attenzione
della Corte riguardano la vita familiare come l’affido, i diritti di visita,
il sostegno ai minori e il loro controllo, o l’adozione. Un altro gruppo
di ricorsi in quest’area – non necessariamente presentati da minori –
riguardano questioni d’identità personale, come l’accertamento della
paternità o della maternità e, più recentemente, il riconoscimento della
filiazione legata alla c.d. maternità surrogata.
Inoltre, la Corte ha esaminato un certo numero di casi che sollevano
questioni inerenti ad altri diritti del fanciullo, come l’educazione, la
salute, l’alloggio, la proprietà e la libertà di espressione o di religione.
Casi di discriminazione contro i minori, in particolare sulla base dell’origine etnica, hanno assunto un particolare rilievo. Casi di discriminazione di minori sono stati esaminati dalla Corte anche in relazione ad
altri aspetti, come la nascita.
Infine, sono stati portati all’attenzione della Corte casi di abusi di
minori, sottrazione di minori e questioni concernenti i minori migranti.
In tutti questi casi, tra i più delicati tra quelli esaminati a Strasburgo, la Corte trae sovente ispirazione da altri materiali internazionali,
come la citata Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo,
i “Commenti generali” del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del
fanciullo, il Regolamento “Bruxelles 2 bis” e la Convenzione dell’Aja
sugli aspetti civili della sottrazione di minori.
Presentazione dell’opera
xxi
Si tratta, come dicevo, di una giurisprudenza ricca e articolata, oggi
punto di riferimento imprescindibile per l’operatore giuridico interno,
com’è confermato dalla grande attenzione che essa ha ricevuto nei lavori dei tre giorni del Convegno, documentati negli atti che si pubblicano con questo volume.
Naturalmente l’interesse di questa pubblicazione va oltre la conoscenza della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure vi occupa un largo spazio. Il lettore troverà in particolare analisi complete e
aggiornate dei vari aspetti legati all’interesse del minore dal punto di
vista del diritto nazionale e anche preziose indicazioni di diritto comparato, sviluppate nelle ricchissime sessioni e nei workshops del Convegno e durante la Tavola Rotonda interdisciplinare che lo ha chiuso.
Dal punto di vista della Corte di Strasburgo, questo volume è prezioso proprio perché, con la sua attenzione alla giurisprudenza europea, costituisce uno strumento molto efficace per spingere gli operatori
interni verso l’integrazione della dimensione convenzionale nelle procedure giurisdizionali nazionali. In prospettiva i vantaggi sono evidenti, perché l’attenzione alle esigenze convenzionali da parte del giudice
interno – opportunamente sollecitato dagli avvocati – permette in molti casi, se non in tutti, di evitare la necessità di un ricorso a Strasburgo.
Penso al sollievo per il carico di lavoro della Corte, ma penso anche,
e credo che questo sia anche più importante, al risultato che si può
ottenere in questo modo, cioè il pieno rispetto dei diritti protetti dalla
Convenzione già al livello nazionale, senza attendere una pronuncia
della Corte europea, pronuncia che rischia di arrivare quando i minori
che necessitano della protezione della Convenzione non sono più tali.
Guido Raimondi
I best interests of the child tra passato,
presente e futuro
Filomena Albano
Il 20 novembre 2019, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza celebra i trent’anni dalla sua adozione,
avvenuta in seno all’Assemblea generale, a New York, nel 1989 (d’ora in avanti anche “Convenzione di New York”). Si tratta della Convenzione che ha raccolto più consensi nella storia dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite: essa conta attualmente 196 Stati parte, vale a dire
pressoché tutti gli Stati al mondo tranne gli Stati Uniti d’America, che
pure l’hanno firmata nel 2010 ma non ancora ratificata. L’Italia ha dato
esecuzione alla Convenzione con legge 27 maggio 1991, n. 176.
La Convenzione di New York è il punto di arrivo di un percorso
avviato quasi un secolo fa, nel 1924, con la Dichiarazione di Ginevra
sui diritti del bambino che, per la prima volta, sia pure con strumento
non vincolante, ha enunciato cinque obblighi che gli adulti hanno nei
confronti dei bambini. Nel 1950, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”),
il primo strumento internazionale che sancisce in maniera vincolante
i diritti dell’essere umano in quanto tale, non dedica un articolo specifico al minorenne ma lo inserisce nei casi particolari in cui eccezionalmente una persona possa essere privata della propria libertà personale
(art. 5 – diritto alla libertà e alla sicurezza) e ne menziona gli “interessi”
nel quadro del giusto processo (art. 6). Nel tempo, la Corte europea
dei diritti dell’uomo ha colmato questa lacuna di protezione attraverso
un’interpretazione evolutiva del diritto al rispetto della vita privata e
familiare sancito all’art. 8: la Corte ha individuato la persona di minore
età come soggetto, analogamente agli adulti, destinatario di tale diritto
(ex pluribus v. decisione 3 maggio 2011, Negrepontis-Giannisis c. Grecia,
ricorso n. 56759/08).
xxiv
The best interest of the child
A livello sovranazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata a Nizza nel 2000 e riconfermata nel 2007 (“Carta di Nizza”), dedica un intero articolo ai “diritti del bambino” (art. 24),
stabilendone il diritto alla protezione e alle cure necessarie, il diritto
di esprimere liberamente la propria opinione e il diritto a che questa
venga presa in considerazione sulle questioni che lo riguardano in funzione della sua età e maturità (par. 1). La disposizione sancisce altresì
il principio del superiore interesse del minore (par. 2) nonché il diritto
di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con
i due genitori salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse (par. 3).
Dal 1989, la Convenzione ha avviato una vera e propria “rivoluzione culturale”, elevando la persona di minore età da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti, non più “minore” rispetto a un
“maggiore”, ma persona che di minore ha solo l’età, determinando una
rottura con il passato e gettando solide basi per costruire una “nuova”
identità del minorenne. A partire dalla Convenzione, infatti, la persona
di minore età si è andata delineando con sempre maggiore forza: attiva, partecipe, che va ascoltata, informata e rispettata.
A partire dalla Convenzione, è mutata anche la relazione tra minorenni e adulti che ha connotato la storia nel corso dei secoli. Ne è prova il
diritto di famiglia: la “responsabilità genitoriale” subentra alla originaria
“potestà”, apportando un cambiamento terminologico che ha un valore
culturale profondo, in termini di abbandono di qualsiasi logica di “appartenenza” delle persone minorenni. Più in generale, nella relazione adultobambino si passa dal concetto di “autorità” a quello di “autorevolezza”.
L’art. 3, par. 1, della Convenzione di New York, cui è ispirato l’art. 24 par.
2 della Carta di Nizza, sancisce il principio del superiore interesse del minore (best interests of the child): “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di
competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale,
dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
L’art. 3, par. 1, stabilisce un obbligo intrinseco per gli Stati, è direttamente
applicabile (self-executing) e può essere invocato dinanzi a un tribunale.
Nel 2013, il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza –
organo di monitoraggio deputato a tutelare l’effettiva e corretta applicazione della Convenzione di New York negli Stati che l’hanno ratificata
– ha chiarito portata e significato del superiore interesse del minore, nel
Commento generale n. 14 (CRC/C/GC/14) intitolato The right of the child
to have his or her best interests taken as a primary consideration (art. 3, para. 1).
I best interests of the child tra passato, presente e futuro
xxv
Il Comitato ha specificato che il concetto di interesse superiore del
minore è volto a garantire sia il pieno ed effettivo godimento di tutti
i diritti riconosciuti nella Convenzione sia lo sviluppo olistico del minore. Il giudizio di un adulto in merito all’interesse superiore di un
minore non può prevaricare l’obbligo di rispettare i diritti del minore
ai sensi della Convenzione: come è noto, non esiste una gerarchia dei
diritti nella Convenzione, tutti i diritti ivi previsti sono nel “superiore interesse del minore” e nessun diritto può essere compromesso da
un’interpretazione negativa dell’interesse superiore del minore.
I best interests of the child, dunque, sono insieme strumento e obiettivo cui tende l’intera Convenzione di New York, traducono un concetto composito con un triplice significato: il superiore interesse del
minore è insieme diritto sostanziale, principio giuridico interpretativo
fondamentale e regola procedurale. Esso permea, pertanto, tutte le situazioni in cui la persona di minore età eserciti i diritti conferiti dalla
Convenzione: dalla determinazione del rapporto di filiazione, a quello
della continuità degli affetti e del fenomeno delle migrazioni minorili.
La valutazione del superiore interesse del minore è un’attività
esclusiva che dovrebbe essere intrapresa volta per volta, operando un
bilanciamento tra tutti gli interessi in gioco, con attenzione a tutti gli
elementi del singolo caso e alla luce delle circostanze specifiche (personali e familiari) di ciascuna persona di minore età. Per questo motivo, non è possibile “costringere” entro rigidi limiti né la definizione
di superiore interesse del minore né la procedura attraverso la quale
determinarlo. A tal proposito invero, nel Commento generale n. 14, il
Comitato ONU ha ritenuto utile stilare un elenco non esaustivo e non
gerarchico degli elementi che potrebbero essere inclusi in una valutazione dell’interesse superiore da parte di qualsiasi organo decisionale
che debba determinare l’interesse superiore di un minorenne. Il carattere non esaustivo degli elementi dell’elenco implica la possibilità di
andare oltre tali elementi e di prendere in considerazione altri fattori
rilevanti nelle circostanze specifiche del singolo minorenne. Tutti gli
elementi dell’elenco devono essere presi in considerazione e bilanciati
alla luce di ciascuna situazione. La lista degli elementi da tenere in considerazione, che dovrebbero fornire orientamenti concreti ma flessibili,
è la seguente: i) opinioni del minore; ii) identità del minore; iii) tutela
dell’ambiente familiare e mantenimento dei rapporti; iv) cura, protezione e sicurezza del minore; v) situazioni di vulnerabilità; vi) diritto
alla salute; vii) diritto all’istruzione.
xxvi
The best interest of the child
I trent’anni della Convenzione di New York rappresentano l’occasione per riflettere sul cammino dei diritti delle persone di minore età,
per verificare quanto sia cambiato, dal 1989, e quanto ancora debba essere modificato. Nelle proprie osservazioni conclusive rivolte all’Italia
il 1° febbraio 2019, nel quadro della revisione periodica dell’attuazione
della Convenzione nel nostro Paese (CRC/C/ITA/CO/5-6), il Comitato
ONU ha raccomandato un maggior impegno per garantire che il principio del superiore interesse di ogni minorenne sia adeguatamente integrato, coerentemente interpretato e applicato in tutte le regioni del
Paese e in tutti i procedimenti e le decisioni legislative, amministrative
e giudiziarie così come in tutte le politiche, i programmi e i progetti
che siano rilevanti e che abbiano un impatto sui minorenni, in particolare quelli non accompagnati. Il Comitato ha altresì chiesto all’Italia di sviluppare procedure e criteri che siano di indirizzo per tutti i
professionisti competenti nel determinare in ogni ambito quale sia il
superiore interesse del minore e nel dare ad esso il dovuto peso come
considerazione prioritaria, in particolare in relazione ai minorenni non
accompagnati che giungano nel nostro Paese.
Nel solco della “rivoluzione culturale” inaugurata trent’anni fa, la
rotta è quella indicata dalla Convenzione di New York: promuovere e
verificare l’attuazione di tutti i diritti in essa sanciti, facendo “perno”
sul superiore interesse del minore, “lenti” attraverso le quali leggere
tutte le misure adottate a tutela delle persone di minore età (a monte)
nonché attraverso cui interpretarle e applicarle (a valle).
Nel flusso di una società “liquida”, in movimento, i diritti conferiscono stabilità, tengono a galla, i diritti sono compatti, non polverizzati,
sono effettivi e di tutti. Riconoscere che i bambini e i ragazzi sono titolari di diritti non significa però delegarli ad avventurarsi da soli nei
meandri della vita, rinunciare a far loro da guida, e da guida solida. Il
superiore interesse del minore impone agli adulti – e agli Stati, destinatari degli obblighi sanciti nella Convenzione di New York – di rispondere
alle esigenze di bambini e ragazzi avendo riguardo alla loro condizione di minore età, senza che ciò ne pregiudichi la titolarità di diritti. La
parola responsabilità, invero, viene dal latino “respondere”: esercitare
una responsabilità vuol dire rispondere a qualcuno, ma anche saper
rispondere di qualcuno, saper rispondere di quell’aspettativa a una vita
felice che bambini e ragazzi portano naturalmente con sé, ascoltandoli,
costituendo punti di riferimento solidi e consentendo loro di vivere la
propria età con leggerezza.
Un ricordo del Prof. Cesare Massimo Bianca
Carla Garlatti
Quest’opera raccoglie l’immane fatica della professoressa Mirzia Bianca:
a Lei va tutta la mia ammirazione perché ha saputo ideare, pianificare,
organizzare e realizzare il convegno The best interest of the child, tenutosi
alla Sapienza a Roma nelle giornate del 20, 21 e 22 settembre 2018.
Tre giornate intense, in cui si sono avvicendati gli interventi di personalità, anche provenienti dall’estero, tutte di elevata competenza e di
alto profilo: è stato un onore, allora, essere annoverata tra queste, ed è
grande, oggi, il piacere di poter vedere raccolti in questi volumi tutti i
preziosi contributi.
Mi risulta difficile aggiungere qualcosa a quanto è già stato autorevolmente scritto dal dottor Guido Raimondi e dalla dottoressa Filomena
Albano (alla quale sono di recente succeduta quale Autorità Garante per
l’infanzia e la adolescenza) sulla ricchezza e importanza di questa opera.
Nella consapevolezza di andare “fuori tema”, scelgo allora di dedicare un
pensiero al grande Uomo al quale la professoressa Bianca ha dedicato la
sua fatica: suo padre, il professore Massimo Cesare Bianca, “Il Professore”.
Viene in primo luogo da sottolineare che Egli non è stato, in quel
settembre 2018, solo e semplicemente uno dei relatori che hanno partecipato al convegno.
Penso di poter affermare senza timore di essere smentita che la sua
presenza si sia avvertita e si sia percepita in ogni contributo che ciascuno dei relatori ha offerto, e che in definitiva permei tutta l’opera che
oggi vede la luce.
E del resto non potrebbe che essere così: la tutela dei deboli e dei vulnerabili e, nello specifico, - come bene ha ricordato la professoressa Bianca - il superiore interesse del minore, sono stati sempre delle priorità per
suo Padre e ne è prova concreta la ricca produzione scientifica sul tema.
xxviii
The best interest of the child
Tra le diverse occasioni di incontro con il Professore, ho avuto il
privilegio di fare parte della Commissione da Lui presieduta, istituita con DM 9 marzo 2012 presso il Dipartimento per le Politiche della
Famiglia “per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti
la famiglia, l’elaborazione di proposte di modifica alla relativa disciplina e per
fornire supporto tecnico scientifico ai fini della conclusione dell’iter di approvazione del disegno di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento
dei figli naturali e dell’elaborazione degli schemi di decreti legislativi delegati”
e ricordo con nostalgia il clima sereno e costruttivo di quelle riunioni,
alle quali era sempre un piacere partecipare perché si rivelavano ogni
volta fonte di crescita professionale.
Se mi si chiedesse di descrivere il Professore con un solo aggettivo,
il primo che sceglierei è: moderno.
Il Professore, infatti, era una persona moderna: il suo pensiero era
sempre al passo con la trasformazione dei costumi sociali, rispetto alla
quale, invece, la legislazione troppo spesso arranca.
Ma non solo.
Egli aveva anche la straordinaria capacità di saperla anticipare,
questa trasformazione, con una visione lucida della evoluzione che la
famiglia stava e sta vivendo nel nostro Paese: avvertiva perciò in modo
particolare la necessità di una normazione adeguata a tutelare quella
formazione sociale, allargata e diversa rispetto alla visione tradizionale, che è la famiglia di oggi. Sotto questo profilo, non posso non ricordare l’“imbarazzo” con il quale il Professore affrontava, nei lavori della
Commissione sopra ricordata, la riforma della filiazione: una riforma,
ci faceva notare, che avrebbe dovuto essere realizzata molti anni prima
e rispetto alla quale, pertanto, il Paese era in colpevole ritardo.
Ma c’è anche un altro aggettivo che caratterizza il Professore: determinato.
Determinato nel perseguire l’obiettivo di offrire concreta tutela ai
deboli, alle persone vulnerabili, agli incapaci, con la forza e la tenacia
che derivava dalla sua indiscussa autorevolezza.
Un grande Maestro, con il cui pensiero, proprio grazie alla sua modernità, potremo continuare a confrontarci negli anni a venire. E la
raccolta della professoressa Bianca ci stimola oggi a dare inizio, o a
rinnovare, questo confronto.
Carla Garlatti
Roma, 15 febbraio 2021
parte i
L’interesse del minore nell’ordinamento
interno ed internazionale
L’interesse del minore: le nuove sfide
d’un concetto vago e magari antipatico
Ursula C. Basset1
Sommario: 1. L’interesse dei bambini sotto l’occhio critico. – 2.
L’accettazione generalizzata e i suoi rischi. – 3. L’interesse del minore e la sua resistenza a qualsiasi manipolazione. – 4. La natura
specificamente umana dell’approccio all’interesse del minore. – 5.
I diritti “adulti”, la loro autonomia e gli interessi dei bambini. – 6.
Autonomia degli adulti... e autonomia dei minori. – 7. Un nuovo
fronte del diritto di famiglia individuale e autonomico
Prima d’incominciare, mi sia permesso di ringraziare la mia carissima
amica, la Professoressa Mirzia Bianca. È il suo finissimo spirito che
permette che noi siamo oggi qui a discutere sui soggetti più vulnerabili
della nostra società
1. L’interesse dei bambini sotto l’occhio critico
Siamo troppo duri con la nozione del superiore interesse del minore. Malgrado l’uso generalizzato da parte di tutta la dottrina giuridica, e la sua
invocazione nella maggior parte delle decisioni dei tribunali, si avverte
un tono piuttosto critico, soprattutto avuto riguardo al suo contenuto indeterminato2. Per la sociologa francese Irene Thery l’interesse funziona
“come un alibi per l’ideologia dominante”3, ossia quella della persona
che lo invoca. In un pezzo famoso scritto del 1975, l’autore americano
1
Direttrice del Centro di Diritto di Famiglia. Ordinaria di Diritto di Famiglia e delle
Successioni. Pontificia Università Cattolica Argentina.
2
M. Freeman, Article 3: The Best Interest of the Child, Leida, 2007, p. 2.
3
I. Thery, The Interest of the Child and the Regulation of the Post-Divorce Family, in C. Smart
- S. Sevenhuijsen (eds) Child Custody and the Politics of Gender, Londra, 1989, p. 82.
4
The best interest of the child
Robert Mnookin aveva affermato che il principio era “neutro”4. In un altro articolo, Hillary Clinton aveva sostenuto eloquentemente che il principio del superiore interesse del minore era “uno slogan in cerca d’una
definizione”5. Altri dicono che si tratta d’un concetto vago6 o ambiguo7.
Indubbiamente, hanno ragione. Però, le critiche aventi ad oggetto la
formula del superiore interesse del minore si basano sull’accettazione
del fatto che questo concetto riceve un uso generalizzato. Non esiste
uno strumento internazionale con una applicazione cosi ampia8.
2. L’accettazione generalizzata e i suoi rischi
Se abbiamo abusato di questo principio, è precisamente perché esso
esprime un’idea forte che si allinea con le radici più profonde dell’umanità, con la necessità di sopravvivenza che è, in fatto, una condizione evolutiva di sussistenza. La nostra vita dipende, nel senso più
egoista e meschino, dai bambini, dai bambini e dal fatto che essi che
possano diventare adulti, dal fatto che i bambini, durante la loro infanzia, siano curati con premura e che, di conseguenza, siano disposti, a
loro volta, a curare altri bambini o i familiari anziani.
Il paradosso pericoloso dell’idea del superiore interesse del minore
è che la sua ovvietà, la ripetitiva e abusiva antifona che ne abbiamo
fatto, lo rende invisibile e troppo stesso noi siamo diventati insensibili o anche refrattari alla necessità vitale, adultocentrica di realizzarla,
d’iscrivere la sua giuridicità teorica nella storia quotidiana. La causa
di questa sorte di “backlash”9, d’insensibilità, con riferimento al “best
interest” si trova probabilmente nel suo uso ricorrente.
4
R. Mnookin, Child Custody Adjudication: Judicial Functions in the Face of Indeterminacy,
in Law and Contemporary Problems, 39, p. 235.
5
H. Rodham, Children Under the Law, in Harvard Educational Review 43 (1973), in
inglese “a slogan in search of a definition”.
6
C.E. Schneider, Discretion, Rules, and Law: Child Custody and the UMDA’s Best-Interest
Standard, in 89 Mich. L. Rev. 2215 (1990-1991). Concerning the ambiguity of the word “best”,
cf. J. Crowe - L. Toohey, From Good Intentions To Ethical Outcomes: The Paramountcy Of
Children’s Interests In The Family Law Act, in Melbourne University Law Review, 15, 2009.
7
K. Boele-Woelki - B. Braad - I.Curry-Summers, European Law in Action, Vol. III.
Parental Responsibilities, 2005, Anwerp-Oxford, p. 479. J. Wolf, The Concept of the Best
Interest in the UN Convention on the Rights of the Child, in M. Freeman - P. Veerman,
The Ideologies of Children Rights, Dordrecht ; Boston , 1992, The Hague, p. 126
8
L’unico Stato che non ha ratificato la Convenzione internazionale sono gli Stati Uniti.
9
Il fenomeno del “backlash” sui diritti fondamentali è un assunto di tutta attualità. V.
L’interesse del minore
5
Non è soltanto l’invocazione ripetitiva. Alcune voci cominciano a
sollevarsi per segnalare la “overlegalization”10 e anche il profilo legalistico11 del diritto dei minori. Questa “irritazione” per eccesso retorico
o eccesso giuridico colpisce il principio del “best interest” svuotando il
suo contenuto.
Inoltre, la plasticità, l’indeterminazione, la reiterazione, l’uso contradittorio del concetto, rischiano d’indebolire la forza argomentativa
del principio.
3. L’interesse del minore e la sua resistenza a qualsiasi
manipolazione
In fatto, l’interesse superiore dei minori è una verità fisica e giuridica. È giuridica perché esprime una verità pratica, un orientamento
direttivo che percorre trasversalmente tutto il diritto, senza eccezioni.
È una verità fisica, perché i minorenni costituiscono una condizione evolutiva di sussistenza della umanità. Dunque, c’è una resistenza
strutturale del concetto dell’interesse del minore alla sua manipolazione. Il concetto del “best interest” ha una indipendenza nei confronti di qualsiasi possibile manipolazione: è simile alla realità fisica o
alla legge di gravità, come se si tira una mela verso l’alto: cade sulla testa.
La nozione dell’interesse del minore ha una sorte di resistenza e di
resilienza. Quando gli adulti provano a silenziarlo, il principio tende
a prevalere e a contrastare lo status di privilegio, la mancata attuazione dell’interesse dei bambini si rivolge contro di loro in termini
di solitudine in vecchiaia, nella malattia, nella vulnerabilità. L’interesse del bambino è, in un certo senso, una conferma del carattere
scientifico e comprovabile del diritto: le sentenze giuridiche hanno
conseguenze pratiche.
Gr. S. Hopegood - J. Snyder J. – L. Vinjamuri, Human Rights Futures: Backlash and
Beyond, in Cambridge University Press, 2017.
10
L.R. Helfers, Overlegalizing Human Rights: International Relations Theory and the
Commonwealth Caribbean Backlash Againt Human Rights Regimes, in 102 Columbia Law
Review 1832-1911, 2002, https://scholarship.law.duke.edu/faculty_scholarship/2030
11
V.M. Beloff., Derechos del Niño. Su Protección Especial en el Sistema Interamericano,
Buenos Aires, 2019, p. 60.
6
The best interest of the child
4. La natura specificamente umana dell’approccio
all’interesse del minore
Gli animali non s’interrogano sulla natura della protezione dei minorenni, né sul suo contenuto: curano i loro cuccioli e basta. L’uomo riflette
sull’infanzia e cosa è il suo interesse12. Gli animali, con una variata sensibilità, dipendendo dalle specie, agiscono in base ai loro istinti. L’uomo è
capace di negare i propri istinti e di contraddirli. La libertà, fondamento
della dignità dell’uomo, è, allo stesso tempo, la sua peggiore minaccia.
E da questa libertà vengono le nuove sfide della tutela degli interessi dei minorenni.
5. I diritti “adulti”, la loro autonomia e gli interessi
dei bambini
Il diritto di famiglia contemporaneo si fonda soprattutto sul principio
di libertà, che si estende e delinea una direttiva nettamente individualista, in cui l’autonomia della volontà diventa centrale. Una rilettura delle
relazioni di famiglia all’interno della categoria negoziale13 ha determinato un’accentuazione della libertà individuale, diventata principio centrale14. Al punto che famiglia oggi è quello che scelgono gli adulti: non esiste
una definizione unica di famiglia15. L’interesse dei bambini non è più il
criterio determinante per disciplinare la famiglia. Questa libertà presuppone, tuttavia, una uguaglianza tra i soggetti del rapporto giuridico.
In accordo al principio di libertà espansiva, gli adulti disciplinano i
loro rapporti secondo i loro desideri, affetti e circostanze.
Sulla premessa che i rapporti di convivenza o di coniugio non hanno nessuna incidenza sulla responsabilità parentale, come se si trattassero di due mondi paralleli, il diritto di famiglia amplifica, massimizza
il principio di libertà.
12
Ci sono tanti studi sulle concezioni dell’infanzia nella storia. V. Gr., I. Ravetllat Ballesté,
Aproximación histórica a la construcción sociojurídica de la categoría infancia, València, 2015.
13
Su questo, A. Zoppini, L’autonomia privata sessant’anni dopo, in Rivista di diritto
civile, Vol. 48, n. 2, 2002, p. 213, è un classico chi approfondisce un altro classico
(Santoro-Passarelli).
14
M.C. De Cicco, in P. Zatti, Trattato di Diritto di Famiglia, Milano, 2011, t. 1, p. 1021: “La
centralità della persona nell’ordinamento porta ad una prevalenza dell’autonomia
della persona e degli interessi degli individui su valori di ordine pubblico...”.
15
Confusione che si manifesta, e. Gr. in M.R. Marella - G. Marini, Di cosa parliamo
quando parliamo di famiglia, Roma, 2014.
L’interesse del minore
7
L’isola (riprendendo la famosa metafora di Carlo Arturo Jemolo) dei
rapporti di filiazione, un tempo lambita dal concetto di libertà, oggi deve
dirsi invece completamente inondata. Il diritto della filiazione, quale ramo
del diritto di famiglia si caratterizza più per le scelte degli adulti che per
l’interesse dei bambini16. In Argentina, nel nuovo codice civile e commerciale (2015), la filiazione, nel caso di procreazione assistita, si determina
per via del contratto che i genitori (o il genitore, perché la monoparentalità è ammessa) firmano con una terza parte: il medico o l’istituzione che
provvedono a fornire i servizi di fecondazione. In realtà, è proprio il bambino che è diventato un soggetto terzo rispetto al rapporto di filiazione17.
Il potere dei genitori è enorme e sta crescendo sempre di più: un
contratto permette di comandare, e così di decidere il futuro di questo
bambino, considerato ormai un abito su misura cucito sui desideri dei
genitori. D’altra parte, la pluralità di costellazioni familiari sottopone
i bambini ad una pluralità di figure genitoriali e quasi-genitoriali, che
arricchiscono la sua personalità.
Tuttavia tutto questo rappresenta per il bambino uno sforzo psichico ed emotivo che lo distrae dallo sviluppo proprio della sua età,
richiedendogli l’impiego di forze che gli permettano la resilienza.
Ma non è questo che si legge nei documenti internazionali. La Convenzione Americana sui diritti umani (1969) dice:
Articolo 17. 4. In caso di scioglimento, saranno introdotte previsioni
finalizzate alla necessaria protezione dei figli, esclusivamente sulla base
del loro interesse.
Articolo 19. Diritti dell’infanzia. Ogni minore d’età ha il diritto alle
misure di protezione rese necessarie dalla sua condizione di minore,
da parte della sua famiglia, della società e dello Stato.
Tra genitori e figli, la sfida dell’interesse del minore è democratizzare la libertà degli adulti. Uguaglianza e libertà sono in un rapporto
che, ogni tanto, diventa patologico, soprattutto quando la libertà crede
di andarci con i piedi per terra, assumendo di tutelare un’uguaglianza
che in realtà non esiste.
16
Vedi per esempio la acuta osservazione di Cesare Massimo Bianca in Prefazione di
M. Bianca, Filiazione, Commento al Decreto Attuativo, Milano, 2014, p. XIII: “Si tratta
di una distorta lettura del decreto, che mostra di ignorare una sicura esigenza del
minore (v. Gr. l’affido condiviso), quella di un minimo di stabilità esistenziale”.
L’interesse del minore è chiave ermeneutica.
17
U.C., Basset, Libro de Relaciones de Familia, in J.H. Alterini, Código Civil y Comercial
Comentado, Tratado Exegético, t. III, Buenos Aires, 2019.
8
The best interest of the child
6. Autonomia degli adulti... e autonomia dei minori
In conclusione, l’autonomia è una delle grandi conquiste del diritto dei minori di età, uno strumento formidabile che consente di dare
rilevanza al grado di maturazione. Tuttavia anche qui troviamo una
nuova sfida: una autonomia precoce libera più gli adulti che i minori.
Una autonomia precoce non protegge e diventa ingiusto abbandono.
7. Un nuovo fronte del diritto di famiglia individuale
e autonomico
Il diritto deve proteggersi dall’eterno movimento pendolare e trovare il giusto peso, si direbbe la sua pietra angolare, il suo “pondus”,
quello che lo riorienta alla sua evoluzione. Un diritto che ha perso la
bussola è un diritto disorientato, smarrito.
Per non diventare contra-evolutivo il diritto de famiglia deve tornare sui suoi passi e riconoscere la primazia dei minori come guida
della libertà degli adulti. Ciò non deve essere inteso nel senso di una
contrapposizione tra l’interesse dei minori e l’interesse della famiglia o
degli adulti. Reinserire l’interesse del minore nel contesto familiare è la
realizzazione ottima di questo interesse. Pensare l’interesse del minore
esige ripensare il diritto di famiglia.
Penso che un buon diritto di famiglia sia quello che guarda al futuro, in una prospettiva che converge verso questo orizzonte di futuro.
Un diritto di famiglia che sistema la libertà a misura degli interessi
degli adulti, rischia, al contrario, di sotterrare questi interessi.
Questo non significa che gli interessi degli adulti rimangono inascoltati, è proprio il contrario, invece.
Una buona e salutare disciplina degli interessi degli adulti si realizza al meglio quando prende consapevolezza che non è una disciplina autonoma e separata. Soprattutto quando il diritto di famiglia
contemporaneo deve ancora dimostrare che la libertà, tale è motivo di
maggiore felicità e non d’un isolamento e d’una solitudine che vanno
sempre in aumento.
Questa libertà non resiste neanche una generazione. Basta arrivare alla vecchiaia per avere già i resultati della patologia della libertà
contro-evolutiva. Forse queste pagine saranno una eccellente opportunità per individuare nuovi equilibri per allineare il diritto di famiglia
all’interesse dell’infanzia.
L’interesse del minore
9
Bibliografia
Basset U.C., Libro de Relaciones de Familia, in J.H. Alterini, Código Civil y Comercial
Comentado, Tratado Exegético, t. III Buenos Aires, 2019
Beloff M., Derechos del Niño. Su Protección Especial en el Sistema Interamericano,
Buenos Aires, 2019, p. 60
Bianca M. (cur.), Filiazione, Commento al Decreto Attuativo, Milano, 2014, p. 13
Boele-Woelki K. - Braad B. - Curry-Summers I. (cur.), European Law in Action,
Vol. III. Parental Responsibilities, Anwerp-Oxford, 2005, p. 479
Crowe J. - Toohey L., From Good Intentions To Ethical Outcomes: The Paramountcy
Of Children’s Interests In The Family Law Act, in Melbourne University Law
Review 15, 2009
De Cicco M.C., in P Zatti., Trattato di Diritto di Famiglia, Milano, 2011, t. 1
Freeman M., Article 3: The Best Interest of the Child, Leida, 2007, p. 2
Helfers L.R., Overlegalizing Human Rights: International Relations Theory and
the Commonwealth Caribbean Backlash Againt Human Rights Regimes, in 102
Columbia Law Review 1832-1911, 2002, https://scholarship.law.duke.edu/
faculty_scholarship/2030
Marella M.R. - Marini G., Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Roma, 2014
Mnookin R., Child Custody Adjudication: Judicial Functions in the Face of Indeterminacy, in Law and Contemporary Problems, 39, p. 235
Ravetllat Ballesté, I., Aproximación histórica a la construcción sociojurídica de la
categoría infancia, Editorial Universitat Politècnica de València, 2015
Rodham H., Children Under the Law, in Harvard Educational Review 43, 1973
Schneider C.E., Discretion, Rules, and Law: Child Custody and the UMDA’s BestInterest Standard, in 89 Mich. L. Rev. 1990-199, p. 2215
Thery I., The Interest of the Child and the Regulation of the Post-Divorce Family, in
Smart C. - Sevenhuijsen, S. (eds) Child Custody and the Politics of Gender,
Londra, 1989, p. 82
Wolf J., The Concept of the Best Interest in the UN Convention on the Rights of
the Child”, in Freeman M. - Veerman P., The Ideologies of Children Rights,
Kluwer, 1992, The Hague, p. 126
Zoppini A., L’autonomia privata sessant’anni dopo, in Rivista di diritto civile, Vol.
48, n. 2, 2002, p. 213
Un modello europeo per l’armonizzazione
della legge sulla responsabilità genitoriale
Katharina Boele-Woelki*
Sommario: 1. Elaborazione dei principi in materia di diritto di famiglia
europeo, sulla base di una ricerca comparativa. – 2. Metodologia di lavoro. – 3. Strumenti internazionali europei. – 4. Struttura. – 5. Concetto
di responsabilità genitoriale. – 6. Separazione e divorzio. – 7. Mantenimento di relazioni personali, residenza del figlio, trasferimento. – 8.
Questioni procedurali.
1. Elaborazione dei principi in materia di diritto
di famiglia europeo, sulla base di una ricerca comparativa
Quasi vent’anni fa, la commissione sul diritto di famiglia europeo (d’ora
in avanti “cefl”) ha dato avvio al proprio lavoro accademico, con l’elaborazione dei principi in materia di diritto di famiglia europeo, i quali sono
considerati lo strumento più adeguato all’armonizzazione del diritto di
famiglia in europa. Ciò ha portato alla redazione di principi su divorzio
e mantenimento tra ex-coniugi (2004), a quelli sulla responsabilità genitoriale (2007) e infine a quelli sui rapporti patrimoniali tra coniugi (2013).
Nel 2019 sarà, poi, ultimata la prossima serie di principi, concernente le
unioni civili e coppie di fatto. I principi in materia di diritto di famiglia
europeo non sono regole vincolanti. Innanzitutto, essi si rivolgono al
legislatore nazionale. Infine, essi possono costituire una fonte di ispirazione tanto per il legislatore europeo, quanto per quello internazionale.
* Presidente della Bucerius Law School di Amburgo, nonché Presidente della Commissione sul
Diritto di Famiglia Europeo. Una versione (an extended version) in inglese di questo contributo
è stata pubblicata in: Bernardi/Mortelmans (eds), Shared Physical Custody – Interdisciplinary
Perspectives, Springer 2019. Questo contributo è stato tradotto da Cristina Rapagna.
12
The best interest of the child
Tale contributo1 illustrerà gli aspetti metodologici sottesi alla stesura
dei principi. Dopodiché, fornirà al lettore una disamina della grande
quantità di strumenti internazionali ed europei, rilevanti in materia di
responsabilità genitoriale. Sebbene ciascuno di questi strumenti affronti alcuni aspetti specifici della legge sulla responsabilità genitoriale, nel
loro insieme essi costituiscono il quadro generale che ha dato l’impulso
allo sviluppo dei vari sistemi nazionali in europa. In nessun altro ambito del diritto di famiglia sono stati elaborati, conclusi e adottati – fino
a diventare vincolanti – così tanti accordi tra stati. Questo sviluppo, cominciato circa cinquant’anni fa e culminato nel 1989 con l’approvazione
della convenzione sui diritti del fanciullo, può essere classificato come
una spontanea armonizzazione del panorama legislativo riguardante il
rapporto genitori-figli. Esso rappresenta le vere e proprie fondamenta
sulla base delle quali i principi cefl sono stati redatti. Prima di analizzare il concetto di responsabilità genitoriale, e i principi che riguardano
specificamente la situazione successiva alla separazione o al divorzio
dei genitori (affidamento congiunto e/o esclusivo, disaccordo in merito
all’affidamento, residenza del figlio, trasferimento, mantenimento delle relazioni personali, ascolto del minore, rappresentanza del minore),
verrà esaminata la struttura dei principi. Infine, dodici anni dopo la
pubblicazione di questi principi, è giunto il momento di fare un bilancio e valutare come essi siano stati percepiti. Hanno avuto un impatto
sul processo di armonizzazione del diritto di famiglia?
2. Metodologia di lavoro
L’istituzione della cefl nel 2001 e l’elaborazione da parte sua di principi comuni hanno condotto a un diffuso e intenso dibattito tra gli studiosi
di diritto di famiglia comparato, circa il metodo di lavoro da seguire. Nel
corso degli anni, la cefl ha applicato un proprio metodo, consistente, in
pratica, in sei passaggi. Il primo passaggio è la scelta dei settori del diritto
di famiglia maggiormente idonei ad un’armonizzazione. Il secondo passaggio è la redazione di un questionario sulla base di un approccio funzionale, che mira alla risoluzione di problemi e prevede che le domande
siano poste in termini prettamente funzionali, senza alcun riferimento ai
1
V. anche Boele-Woelki K., The CEFL Principios regarding parental responsibilities:
Predominance of the common core, in Boele-Woelki S. (eds), European Challenges in
Contemporary Family Law, in European Family Law series no. 19, 2008, p. 63-91.
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
13
concetti di un certo sistema legale: vale a dire, chiedendosi quale sia il
problema a cui una data norma vuole porre rimedio. Il terzo passaggio
è la stesura di relazioni nazionali che prendano in considerazione non
solo la legge, per come essa è scritta nei manuali, ma anche la sua applicazione pratica. Ciascun sistema legale può prevedere una lista di fonti
ufficiali, che però vincola solo giudici e tribunali interni e non necessariamente un comparatista. L’importanza concreta della legge in azione
vale anche per l’ambito del diritto di famiglia. Le relazioni nazionali si
propongono di comprendere come i professionisti stiano effettivamente
utilizzando le norme. Il quarto passaggio è la raccolta e divulgazione di
materiale comparatistico: oltre alle relazioni dei singoli paesi, accessibili
sul sito della cefl, è stata pubblicata anche una versione integrata e stampata, la quale segue i numeri delle domande. Tale versione offre una rapida visione d’insieme e un confronto simultaneo e diretto tra le diverse
soluzioni all’interno dei vari sistemi nazionali. Il quinto passaggio è la
redazione dei principi di diritto di famiglia europeo. A tal fine, vengono
avanzate proposte dai membri del comitato organizzativo. Esse sono,
poi, discusse con gli autori delle relazioni nazionali (il gruppo di esperti). A questo punto, si dovrà optare per l’approccio “common core” o per
quello “better law”, ove il primo punta all’individuazione di un “nocciolo duro” comune ai vari sistemi nazionali, e il secondo si prefigge di
scegliere la legge ritenuta migliore tra quelle dei vari sistemi. Il sesto e
ultimo passaggio è la pubblicazione dei principi.
Analogie e differenze, punti di convergenza e di divergenza, legge
comune e/o migliore sono le espressioni centrali discusse nell’esaminare le varie conclusioni. Le domande principali si riducono alle seguenti: quando e perché dovremmo partire dalle analogie, dai punti
di convergenza e, infine, dal common core e come possiamo far fronte a
differenze e divergenze? E quando e perché dobbiamo invece optare
per un approccio better law? Nella redazione dei principi sulla responsabilità genitoriale, tali domande sono state più volte poste, per poi
trovare risposta in merito a ciascuna specifica materia. È stato possibile
riscontrare molte analogie, gran parte delle tendenze convergenti e un
common core a proposito di numerosi aspetti.
3. Strumenti internazionali europei
Nel campo della responsabilità genitoriale, le differenze tra i sistemi
europei sono molto meno intense che in altri ambiti del diritto di famiglia.
14
The best interest of the child
Dunque, nella maggior parte dei casi, i principi cefl costituiscono solo la
ripetizione di soluzioni comuni, generalmente applicate. L’armonizzazione della normativa sulla responsabilità genitoriale in europa ha avuto
luogo gradualmente, attraverso gli svariati strumenti internazionali ed
europei. Nella redazione dei principi sulla responsabilità genitoriale, si
è tenuto conto di sedici convenzioni, elaborate rispettivamente dalle nazioni unite, dalla conferenza de l’aja sul diritto internazionale privato, e
dal consiglio d’europa; sono stati tenuti presenti anche un regolamento
ue, quattro dichiarazioni delle nazioni unite, tredici raccomandazioni e,
inoltre, il libro bianco sul dialogo interculturale del consiglio d’europa2.
Benché ciascuno di questi strumenti copra degli specifici aspetti della
normativa sulla responsabilità genitoriale, nel loro insieme essi hanno
disegnato un quadro generale, il quale ha in buona misura influenzato i
singoli sistemi nazionali in europa. In nessun altro ambito del diritto di
famiglia sono stati elaborati, conclusi e adottati – fino a diventare vincolanti – così tanti accordi tra stati.
4. Struttura
La pubblicazione di trentanove principi sulla responsabilità genitoriale3 compresa la raccolta di materiale comparatistico4 sono il risultato di un lavoro di squadra al quale hanno contribuito ventisei esperti
di diritto di famiglia comparato, provenienti da ventidue giurisdizioni
europee diverse. Ciascuna sezione contenente un principio si compone di quattro parti: il testo del principio vero e proprio5 è seguito da
una panoramica delle norme internazionali e/o europee rilevanti, sulla
questione analizzata dal principio, in modo da richiamare gli impegni
internazionali preesistenti. È attorno agli obblighi internazionali – che
hanno costruito una struttura di base – che i principi si sono modellati.
Le analisi comparate e i commenti si riferiscono non solo alle ventidue
2
K. Boele-Woelki - F. Ferrand, - C. González Beilfuss - M. Jänterä-Jareborg - N.
Lowe - D. Martiny - W., Pintens Principios of European Family Law Regarding Parental
Responsibilities, in European Family Law Series no. 16, 2007, p. 15-19.
3
K. Boele-Woelki - F. Ferrand, - C. González Beilfuss - M. Jänterä-Jareborg - N.
Lowe - D. Martiny - W., Pintens Principios of European Family Law Regarding Parental
Responsibilities, in European Family Law Series no. 16, 2007.
4
K. Boele-Woelki - B. Braat - I. Curry-Sumner (eds.), European Family Law in Action,
Volume III: Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 9, 2005.
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Allegato in Appendice di seguito al contributo.
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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relazioni nazionali elaborate dagli esperti cefl, ma esse includono anche
i relativi strumenti internazionali e/o europei. Le quattro parti sono inscindibili.
Preambolo
Capitolo I:
definizioni
Capitolo II:
diritti del minore
Capitolo III:
responsabilità genitoriale di genitori e soggetti terzi
Capitolo IV:
esercizio della responsabilità genitoriale
Sezione a: genitori
Sezione b: soggetti terzi
Capitolo V:
contenuto degli obblighi di responsabilità genitoriale
Sezione a: rapporti personali e patrimoniali del minore
Sezione b: mantenimento dei rapporti personali
Capitolo VI:
cessazione della responsabilità genitoriale
Capitolo VII: decadenza da responsabilità genitoriale e reintegrazione nella stessa
Capitolo VIII: questioni procedurali
Il sommario indica quali temi vengono affrontati. Essenzialmente,
si distinguono tre aree diverse. I capitoli i, ii e viii contengono regole di
ordine generale. A queste ultime corrispondono quattro parti: il preambolo e due principi che definiscono da un lato il concetto di responsabilità genitoriale, e dall’altro i titolari della responsabilità stessa. La scelta
di adottare un concetto ampio di responsabilità genitoriale implica la
necessaria indicazione di coloro ai quali essa può essere attribuita, vale
a dire di coloro che possono esercitare i diritti e doveri relativi alla stessa. Il concetto della cefl distingue espressamente tra genitori e soggetti
terzi. I genitori sono gli incaricati principali all’esercizio della responsabilità genitoriale. Tuttavia, anche persone diverse dai genitori, così
come enti pubblici, possono essere titolari di responsabilità genitoriale.
Il capitolo ii, sui diritti del minore, è stato profondamente influenzato
dai rilevanti strumenti di tutela internazionale ed europea dei diritti
umani. Con i suoi cinque principi, questo capitolo costituisce la parte
generale principale dei principi cefl. I diritti del minore devono sempre essere tenuti in considerazione, in ogni questione di responsabilità
genitoriale. Essi rappresentano il punto di partenza fondamentale, dal
quale ogni altro argomento viene affrontato. Anche le questioni procedurali hanno natura generale. I capitoli iii, iv e v riguardano tre aspetti:
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The best interest of the child
la posizione di genitori e soggetti terzi, l’esercizio degli obblighi di responsabilità genitoriale e il contenuto di tali obblighi. Infine, i capitoli vi
e vii si occupano della cessazione della responsabilità genitoriale e della
decadenza dalla stessa.
5. Concetto di responsabilità genitoriale
Cos’è la responsabilità genitoriale e chi ne è titolare? Conformemente
agli strumenti internazionali ed europei, la cefl ha optato per un’ampia
nozione di responsabilità genitoriale, consistente nell’insieme di diritti
e doveri correlati al prendersi cura della persona e del patrimonio dei
figli (principio 3:1). Concetti come tutela e custodia, ancora utilizzati
nei sistemi nazionali, sono qui stati abbandonati. La responsabilità genitoriale, per come essa è intesa dalla cefl, si applica ai figli dalla loro
nascita fino al raggiungimento della maggiore età. È stata effettuata una
distinzione tra figli più piccoli e adolescenti, benché sia stata deliberatamente evitata l’indicazione di un preciso limite di età: infatti, non è solo
l’età del minore, ma la sua maturità a consentire di valutare se la sua
opinione debba essere tenuta o meno in considerazione.
I principi fanno riferimento alla piuttosto prolissa espressione “titolari di responsabilità genitoriale”. Di norma, il figlio ha due genitori titolari di responsabilità genitoriale. Tuttavia, anche un soggetto diverso
da un genitore, che non ha vincoli giuridici con il bambino, può essere titolare di responsabilità genitoriale, ed esercitarla di conseguenza:
il principio 3:2 precisa tale distinzione. Sono, innanzitutto, i genitori,
per i quali è stato legalmente riconosciuto il rapporto di filiazione, i
principali incaricati all’esercizio di responsabilità genitoriale. Ad ogni
modo, anche soggetti fisici diversi dai genitori, nonché enti pubblici,
possono essere titolari di responsabilità genitoriale. Dunque, i principi
cefl ammettono la coesistenza di più di due titolari di responsabilità
genitoriale.
6. Separazione e divorzio
In caso di separazione o divorzio dei genitori, questi continuano ad
essere titolari congiunti di responsabilità genitoriale. Il principio 3:10
afferma che la responsabilità genitoriale non deve essere influenzata
né dalla dissoluzione o annullamento del matrimonio o di un’altra relazione formale, né dalla separazione legale o di fatto dei genitori. Di
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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conseguenza, una separazione o un divorzio non hanno alcun impatto
sull’attribuzione di responsabilità genitoriale. Il principio rispecchia
il common core dei sistemi legali analizzati dalla cefl. Pertanto, i genitori titolari di responsabilità genitoriale dovrebbero avere il costante
ed eguale diritto e dovere di provvedere congiuntamente all’esercizio
di tale responsabilità. Tuttavia, vi sono eccezioni all’esercizio eguale e
congiunto della responsabilità genitoriale, nella misura in cui si riconosce che esso sia previsto “ogniqualvolta ciò sia possibile”. Questo è
quanto affermato dal principio 3:11. Il fatto che la responsabilità genitoriale richieda un esercizio congiunto della stessa non significa che i
genitori debbano agire insieme in qualsiasi circostanza. Tale punto è
sviluppato dal principio 3:12(1), che riconosce la possibilità di agire
singolarmente nelle situazioni ordinarie del quotidiano. Però, il principio 3:12(2) richiede che decisioni importanti, a proposito di temi come
l’istruzione, le cure mediche, la residenza del bambino, o la gestione
dei suoi beni debbano essere prese congiuntamente. Il principio contiene una lista non esaustiva a scopo meramente illustrativo: non tutte
le materie elencate richiedono una decisione congiunta, bensì solo se
la questione in sé è rilevante. I principi non forniscono un criterio per
la valutazione dell’importanza della questione. Ad ogni modo, scelte
con effetti duraturi nel tempo per il bambino dovrebbero essere considerate rilevanti. Ad esempio, decidere se fargli frequentare o meno un
corso di lingua, sebbene riguardi l’istruzione del bambino, non sarà
ritenuta una scelta di importanza tale da richiedere il consenso di entrambi i genitori, mentre un cambio di istituto scolastico sarebbe, con
tutta probabilità, considerato tale. Tuttavia, molto dipende dalle circostanze specifiche del caso concreto. Indipendentemente dalla natura
importante o meno di una decisione, ciascun genitore ha il diritto di
agire individualmente in caso di urgenza, pur informando l’altro genitore senza indugio (principio 3:12(2)).
Dal momento che l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale diviene più complesso dopo la separazione o il divorzio dei genitori,
questi sono invitati a trovare un accordo sulla gestione dei rispettivi diritti
e doveri. Il principio 3:13(1) fissa la possibilità, generalmente riconosciuta ai genitori, di accordarsi sull’esercizio della responsabilità genitoriale:
vale a dire, su svariate questioni o su di uno specifico problema. L’accordo può arrivare a coprire tutti gli aspetti della responsabilità genitoriale
elencati al principio 3:1, in particolar modo la cura, tutela e istruzione
del figlio. Un tale accordo tra i titolari di responsabilità genitoriale ben
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The best interest of the child
potrebbe anche condurre all’esercizio della stessa da parte di uno solo
dei genitori, secondo quanto stabilito dal principio 3:15(a); ad ogni modo,
sia l’accordo sull’esercizio congiunto che quello sull’esercizio individuale
della responsabilità genitoriale sono subordinati al miglior interesse del
minore. Ne consegue che l’autorità competente, di solito una corte, dovrebbe partire da quest’ultimo, nell’analisi dell’accordo.
Tuttavia, in molti casi i genitori non trovano un accordo sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Questa situazione è stata affrontata
nel principio 3:14, che stabilisce che, in caso di disaccordo, i genitori
possono rivolgersi all’autorità competente, ove la questione sia rilevante, come ad esempio la residenza o l’istruzione del bambino. In tal
caso, l’autorità competente deve prima tentare il raggiungimento di
un accordo tra le parti. Inoltre, può decidere essa stessa la questione,
o ancora può autorizzare uno dei genitori ad agire individualmente in
relazione a una o più materie. Questa seconda alternativa evita ogni
interferenza non necessaria nella vita familiare. Spesso, però, il risultato pratico sarà lo stesso, in quanto scegliere chi sia il genitore più
competente sarebbe difficile senza considerare quale sia la materia in
oggetto. Per questo, il principio 3:14(3) lascia aperta la possibilità che la
responsabilità genitoriale venga esercitata da uno solo dei titolari della
stessa, o che la questione venga invece decisa dall’autorità competente.
Sarebbe preferibile autorizzare uno dei due genitori ad agire singolarmente quando un problema specifico e separabile deve essere risolto e
sempreché uno dei titolari di responsabilità genitoriale abbia un grado
sufficiente di competenza o conoscenza per perseguire il migliore interesse del minore, riguardo la questione in oggetto. L’autorità competente dovrà confarsi al principio del miglior interesse del minore in
ogni caso, e dovrà anche prendere in considerazione il comportamento
pregresso dei genitori.
La maggior parte dei principi presenti nel capitolo iv, sull’esercizio
della responsabilità genitoriale, si basa sul common core dei sistemi nazionali e degli strumenti internazionali ed europei. Tali regole generali
sono state scelte quali migliori soluzioni da applicare. Però, a proposito di pochi, ma importanti aspetti, non è stato possibile individuare
un approccio comune. Dunque, in questi casi, si è optato per soluzioni
applicate solo in alcuni paesi. Soluzioni che risultassero attuabili e in
linea con gli obiettivi della cefl, nella creazione di un sistema flessibile
ed efficiente, basato sull’eguaglianza. Questo è avvenuto in relazione al
potere dei genitori di agire individualmente nelle questioni ordinarie
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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del quotidiano, nonostante la responsabilità genitoriale congiunta (principio 3:12 (1)), all’obbligo del genitore che ha agito in situazioni urgenti
di informare l’altro senza indugio (principio 3:12(2)), alla competenza
dell’autorità nel decidere la disputa o autorizzare uno dei genitori titolari di responsabilità genitoriale, in caso di disaccordo tra di loro (principio 3:14(3)), all’esercizio di responsabilità genitoriale da parte di un solo
genitore, su decisione di entrambi (principio 3(15)) e al riconoscimento
che la responsabilità genitoriale possa anche essere esercitata da terzi, in
aggiunta o in luogo dei genitori (principio 3:17). Dunque, in relazione a
tali punti, la cefl ha applicato l’approccio della better law, per costituire
un coerente quadro normativo.
7. Mantenimento di relazioni personali, residenza
del figlio, trasferimento.
Il mantenimento di relazioni personali tra il figlio e i propri genitori
rientra nell’ambito della responsabilità genitoriale, e viene stabilito tramite contatti tra gli stessi. Il principio 3:25 predilige parlare di relazioni
personali, piuttosto che di “accesso” poiché tale termine è più ampio
ed esprime meglio la natura bilaterale delle relazioni personali. Dal
momento che il mantenimento delle relazioni personali viene previsto
nell’interesse principale del minore, ad esso dovrebbero corrispondere
uno specifico diritto in capo ai minori, e il relativo dovere in capo ai
genitori. Dunque, il principio 3:25(1) qualifica espressamente le relazioni personali come un diritto e, così facendo, implicitamente afferma
l’esistenza di uno speculare dovere dei genitori, in tal senso.
Il principio 3:25(2) asserisce che un bambino debba avere anche il
diritto a mantenere relazioni personali con familiari diversi dai genitori, e con ciò ci si riferisce principalmente ai nonni. Infatti, in questi
casi, vi sono legami familiari molto stretti e i nonni possono risultare
essenziali per lo sviluppo del minore. I nonni non vengono espressamente menzionati, nonostante la loro posizione privilegiata all’interno
di molti sistemi familiari. Il mantenimento delle relazioni personali dovrebbe coinvolgere anche fratelli e sorelle. Tuttavia, il principio 3:25(2)
non definisce una lista di tali familiari, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 5 § 1 della convenzione sulle relazioni personali riguardanti i fanciulli del 2003. Il diritto alle relazioni personali con soggetti che non siano i genitori va garantito anche contro la volontà di un
genitore, o di entrambi: infatti, a tale diritto corrisponde un obbligo, in
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The best interest of the child
capo ai genitori, di consentire e agevolare tali rapporti. I principi cefl
non affrontano, però, la questione dell’esistenza o meno di un diritto
azionabile, di tali soggetti terzi, ad avere relazioni personali con i bambini, anche contro la volontà dei loro genitori. Vi sono buone ragioni
per non porre in essere tali contatti, ove ciò alteri profondamente il
rapporto genitori-figli. Questo è quanto previsto in alcuni sistemi nazionali, che non riconoscono un tale diritto a persone diverse dai genitori, o che consentono maggiori restrizioni al diritto stesso, rispetto a
quando esso viene applicato nelle relazioni tra i figli e i propri genitori.
Il principio 3:25(3) riconosce anche la possibile esistenza di legami
stretti tra i bambini e soggetti terzi, pur in assenza di relazioni di parentela. Una grande varietà di soggetti può essere ricompresa in tale
categoria (matrigne e patrigni, genitori adottivi). In particolare, quando tali soggetti hanno ricoperto funzioni familiari, il mantenimento di
relazioni interpersonali con gli stessi è appropriato e – generalmente
– esso è nel miglior interesse del minore. Tuttavia, il principio 3:25(3)
afferma solo che “possono” esservi relazioni; non vi è alcun mantenimento automatico delle stesse. Difatti, dal momento che le circostanze
fattuali e il grado di intensità dei legami potrebbero differire di molto,
è opportuno che vi sia solo un diritto al mantenimento delle relazioni
interpersonali, e non un obbligo.
Due aspetti meritano di essere analizzati con particolare attenzione
quando i genitori si separano o divorziano. Quale sarà la residenza
del bambino e a quali condizioni dovrebbe essere possibile trasferirla
ad un altro luogo o stato? In molti sistemi nazionali, l’individuazione
della residenza del bambino non è un punto separato. Tale questione
costituisce, però, un’eccezione, in quanto nessun common core è stato
identificabile. Ciò è dovuto, da un lato, al fatto che vi è una sempre
maggiore mobilità delle persone fisiche, all’interno dell’europa ma anche nel mondo; dall’altro, alla considerazione che la responsabilità genitoriale condivisa conduce in misura crescente a un’eguaglianza nel
rivestire il ruolo di genitori, tale da portare a una residenza alternata
per il figlio. Questi sono sviluppi recenti, e in quanto tali sono gestiti
in maniera differente all’interno dei vari sistemi analizzati. Mancano
previsioni legislative in materia di residenza alternata, e in giurisprudenza si evidenziano esiti largamente diversi. In quest’area, i principi
cefl forniscono nuove soluzioni, in parte basate sulla prassi legale di alcuni paesi. Tali soluzioni potrebbero costituire le linee guida non solo
per il legislatore, ma anche e soprattutto per le corti e per le autorità
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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amministrative che si trovano a dover decidere in merito a questioni
concernenti la residenza dei minori.
Conformemente all’approccio cefl, sono i genitori a scegliere con
chi il bambino risiederà. Il principio 3:20(1) ribadisce che ogni decisione sulla residenza del figlio richiede il raggiungimento di un accordo
da parte dei genitori, se la convivenza di questi cessa. Ciò è in linea
con il principio 3:10, che stabilisce che la responsabilità genitoriale resta inalterata a seguito della separazione o del divorzio dei genitori.
Se questi non riescono a raggiungere un accordo sulla residenza del
bambino, allora la questione verrà devoluta all’autorità competente, la
quale procederà secondo quanto disciplinato dal principio 3:14.
Quando i principi cefl sono stati redatti, nessuna delle giurisdizioni analizzate aveva legiferato sul concetto di residenza condivisa
o alternata del figlio, che implica che il bambino viva con entrambi i
genitori, alternativamente, per uno specifico periodo di tempo6. Altre
espressioni comunemente utilizzate per riferirsi a tale situazione sono:
custodia condivisa, responsabilità genitoriale condivisa, affidamento
congiunto, affidamento condiviso, collocamento condiviso. Questo
processo è iniziato da circa vent’anni. Ex coniugi che mantenevano un
rapporto molto collaborativo gestivano insieme la cura giornaliera dei
figli, grazie a orari di lavoro flessibili e residenze geograficamente vicine. Tuttavia, quando i padri (e le organizzazioni a tutela dei diritti
dei padri) hanno cominciato a vedere la residenza alternata non solo
come una maniera alternativa di organizzare la gestione dei figli dopo
la separazione, ma anche come una questione di eguaglianza, è aumentata la richiesta e necessità di maggiori disposizioni concernenti la
residenza alternata, anche in situazioni in cui questa si rivelava meno
appropriata7. Il principio 3:20(2) riguarda la residenza alternata. Non
è esso, però, a stabilire se la residenza alternata debba essere la regola
o piuttosto l’eccezione. Infatti, tale principio riconosce solo che essa
è possibile, quando vi è un accordo a riguardo tra i detentori di responsabilità genitoriale, e l’autorità competente approva tale accordo.
6
N. Nikolina, Divided Parents – Shared Children, Legal Aspects of (Residential) CoParenting in England, the Netherlands and Belgium, in European Family Law series no.
39, 2015.
7
M.V. Antokolskaia, Solomo´s oordeel nieuwe stijl: verblijfsco-ouderschap, in België en
Nederland. Over de rol van de wetenschap, invloed van de politiek, en nattevingerwerk in
het wetgevingsproces, Rede uitgesproken bij de aanvaarding van de Marcel Storme
leerstoel te Universiteit Gent op 12 mei 2010, p. 7.
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The best interest of the child
I criteri che quest’ultima dovrebbe considerare a tal fine sono elementi
quali: (a) l’età e l’opinione del bambino; (b) la capacità e volontà dei
genitori di cooperare su questioni che riguardano i figli, e la situazione
personale dei genitori; e (c) la distanza geografica tra le diverse residenze dei genitori, e tra queste e la scuola del bambino. Nel caso in
cui chi detiene la responsabilità genitoriale non riesca a raggiungere
un accordo, il principio 3:20(2) contempla anche la possibilità che la
residenza alternata sia decisa dall’autorità competente, ove essa sia
nel miglior interesse del minore, alla luce dei fattori di cui al principio
3:20(2). Dal momento che la capacità e volontà dei titolari di responsabilità genitoriale sono tra gli elementi di cui tenere conto, l’autorità
competente dovrebbe concedere la residenza alternata solo quando
non si raggiunge un accordo, in casi eccezionali. Non vi è dubbio che
la residenza alternata debba essere possibile solo quando essa sia nel
miglior interesse del minore. La lista di fattori offre delle linee guida
per esaminare ogni accordo dei genitori riguardante la residenza alternata del bambino. Tale lista è utile anche quando non vi è un accordo,
ma è l’autorità competente a occuparsi della decisione sulla residenza
alternata. I fattori elencati riflettono la preoccupazione della cefl secondo la quale, nonostante la residenza alternata possa promuovere le
relazioni interpersonali con entrambi i genitori, essa potrebbe altresì
privare il bambino di un ambiente stabile, e rivelarsi dunque pregiudizievole per il suo interesse. Ciascun caso è a sé stante, e la decisione
finale dovrà essere presa dall’autorità competente.
Un altro punto che ai tempi della redazione dei principi cefl sulla responsabilità genitoriale non era presente in nessuna disposizione
normativa all’interno del diritto di famiglia delle giurisdizioni analizzate dalla cefl è la volontà di uno dei genitori a modificare la residenza
del figlio, entro o al di fuori dei confini nazionali. La cefl ha deciso di
introdurre un apposito principio sul trasferimento della residenza, al
fine di rispondere a una sempre maggiore mobilità nella società europea, che è strettamente correlata alla esistenza di una cittadinanza
europea. Il rilievo del trasferimento della residenza sta emergendo nel
contesto dell’integrazione europea, e della libera circolazione delle
persone, e probabilmente condurrà a molte controversie. La modifica
della residenza del bambino, entro o al di fuori dei confini nazionali, è
una questione talmente importante da richiedere che l’altro genitore ne
venga informato in anticipo. Dal momento che la scelta della residenza del figlio è considerata così importante da rendere necessario che i
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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genitori agiscano d’accordo, il dovere di informare l’altro è, in realtà,
implicito quando la responsabilità genitoriale è condivisa. Il principio
3:21(2) richiama in parte il principio 3:14. Quando non si giunge a un
accordo sul trasferimento della residenza, la questione dovrà essere
devoluta all’autorità competente. Il principio 3:21(3) contiene una lista
non esaustiva di fattori di cui l’autorità competente deve tenere conto,
nel prendere una decisione sul trasferimento della residenza. La scelta
dell’autorità competente deve cercare di bilanciare il diritto del bambino al mantenimento di relazioni interpersonali col genitore con il quale
non risiede, con i prossimi congiunti e con i soggetti coi quali il minore
ha legami stretti (principio 3:25) e il diritto del genitore convivente col
figlio a spostarsi per il perseguimento di un valido scopo, ad esempio
per migliorare la propria situazione professionale o per accompagnare il nuovo partner (libertà di movimento). La distanza geografica e
l’accessibilità, così come la situazione personale – in particolare, finanziaria – dei titolari di responsabilità genitoriale sono elementi determinanti. Come di consueto, si dovrebbe tenere adeguatamente conto
dell’opinione del bambino, avuto riguardo alla sua età e maturità.
8. Questioni procedurali
Tutti e cinque i principi del capitolo sulle questioni procedurali sono
basati su di un common core. Essi riguardano i seguenti aspetti. È prassi
generalmente accettata e riconosciuta che nel decidere se intervenire
o meno su questioni di responsabilità genitoriale, si debba indagare il
contesto in cui vive il bambino. A questo scopo, l’autorità competente
deve, ove necessario, designare ogni adeguato soggetto e/o ente, per
ottenere una panoramica chiara della situazione del bambino. Oltre a
tale approccio più tradizionale, i principi riconoscono anche la crescente importanza della risoluzione alternativa delle controversie, in linea
con quanto stanno facendo le varie leggi nazionali. Anche in questo ambito, un common core è evidente. Di conseguenza, in tutte le controversie
concernenti la responsabilità genitoriale, devono essere resi disponibili meccanismi di risoluzione alternativa delle stesse (principio 3:36). Il
principio 3:37(1) sottolinea che il minore deve essere sentito nel corso
del procedimento che lo riguarda. Tuttavia, si riconosce che vi siano
situazioni in cui una tale audizione potrebbe essere più pregiudizievole che benefica. Laddove l’autorità decida di non sentire il minore,
dovrà addurre le ragioni specifiche di questa scelta. Su questo punto,
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The best interest of the child
non vi è un common core, dunque è stata scelta la soluzione ritenuta
migliore. Non vi è uniformità, tra i vari sistemi nazionali, su chi debba procedere all’audizione del minore: vale a dire, se questa debba avvenire direttamente davanti all’autorità competente, o indirettamente
davanti a soggetti o enti designati dall’autorità stessa. I principi optano per la prima soluzione; il tribunale deve tenere conto dell’opinione
degli esperti, pur formandosi un proprio libero convincimento. Inoltre,
il minore deve essere sentito secondo modalità adeguate alla sua età e
maturità (principio 3:37 (3)). Non è fissato uno specifico limite di età.
Un principio rispondente al common core della maggior parte delle giurisdizioni rappresentate nella cefl è quello secondo il quale deve essere
designato un rappresentante speciale del minore in tutti i casi nei quali
l’interesse dello stesso potrebbe essere confliggente con quello dei titolari di responsabilità genitoriale, o nei quali il benessere del minore
sia a rischio in altri modi. Questa garanzia è stabilita dal principio 3:38.
Il rappresentante speciale deve essere designato d’ufficio mediante un
provvedimento dell’autorità competente, o può essere richiesto dal minore, a condizione che egli abbia una capacità di discernimento sufficiente. Infine, il principio 3:39 riguarda l’esecuzione rapida ed effettiva
delle decisioni dell’autorità competente, o degli accordi concernenti la
responsabilità genitoriale. Questa è la regola principale. In via eccezionale, potrebbe non darsi attuazione alle predette decisioni o accordi,
ove manifestamente incompatibili con il miglior interesse del minore.
Di conseguenza, ad esempio, non si dovrebbe dare esecuzione a un
provvedimento riguardante la residenza o le relazioni interpersonali
del bambino, contro la sua volontà, e sempre a condizione che il minore
abbia una sufficiente capacità di discernimento.
9. Impatto dei principi cefl
Nel complesso, i principi sulla responsabilità genitoriale costituiscono un utile quadro di riferimento per ogni legislatore. È stata svolta una
ricerca comparativa nel relativo campo, il materiale è facilmente accessibile e ampiamente diffuso, sono state determinate analogie e differenze, fornendone spiegazioni e, infine, nel valutare le soluzioni, sono stati
proposti principi comuni, i quali si fondano sulle conclusioni comparative. Lo scopo ultimo della cefl verrà raggiunto se, alla fine, il risultato
ottenuto acquisirà una significativa autorevolezza tra i numerosi strumenti internazionali ed europei che riguardano il rapporto genitori-figli.
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
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Inoltre, attraverso una sperimentazione empirica dei principi attuata in
una serie di sistemi legali, si può dimostrare se essi siano senz’altro accettabili, e/o se essi possano essere considerati come un miglioramento
delle leggi nazionali esistenti. Ciò è stato fatto da esin örücü e jane mair
proprio in relazione ai principi analizzati in questo contributo8.
In conclusione, ad oggi, i principi cefl sulla responsabilità genitoriale hanno ispirato il legislatore portoghese (lei do divórcio 2008), norvegese (children act 2010), croato (family law act 2013) e ceco (2014),
nel riformare rispettivamente la legge sul divorzio e quella sulle responsabilità genitoriali. Anche la relazione del consiglio d’europa che
accompagna la raccomandazione del 2015 sulla prevenzione e risoluzione delle controversie sul trasferimento dei minori fa riferimento al
principio 3:21. Sono attesi ulteriori riferimenti ai principi cefl. Di recente, al legislatore estone sono state fornite informazioni sui principi cefl
concernenti la residenza alternata.
Appendice
Principi di diritto di famiglia europeo sulla responsabilità
genitoriale
PREAMBOLO
Riconoscendo che, nonostante vi sia diversità tra i sistemi nazionali
di diritto di famiglia, c’è comunque una crescente convergenza tra le
norme;
Riconoscendo che la libera circolazione delle persone in europa è
ostacolata dalle rimanenti differenze;
Desiderando contribuire ai valori comuni agli stati membri dell’unione europea, in materia di diritti e benessere del minore;
Desiderando contribuire all’armonizzazione del diritto di famiglia
in europa, e facilitare ulteriormente la libera circolazione delle persone
all’interno dell’unione europea;
La commissione sul diritto di famiglia europeo raccomanda i seguenti principi:
8
E. Örücü - J. Mair (eds), Juxtaposing Legal Systems and the Principios of European
Family Law on Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 27, 2010.
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The best interest of the child
CAPITOLO I: DEFINIZIONI
PRINCIPIO 3:1 CONCETTO DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE
La responsabilità genitoriale è l’insieme di diritti e doveri miranti
alla promozione e tutela del benessere del minore. In particolare, tali
diritti e doveri ricomprendono:
(a) cura, tutela e istruzione;
(b) mantenimento dei rapporti personali;
(c) determinazione della residenza;
(d) amministrazione dei beni, e
(e) rappresentanza legale.
PRINCIPIO 3:2 TITOLARI DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE
(1) Titolare di responsabilità genitoriale è qualunque persona titolare, in tutto o in parte, dei diritti e doveri elencati nel principio 3:1.
(2) I titolari di responsabilità genitoriale, formanti oggetto dei seguenti principi, sono:
(b) i genitori del minore, nonché
(b) soggetti diversi dai genitori, titolari anch’essi, o in luogo degli
stessi, di responsabilità genitoriale.
CAPITOLO II: DIRITTI DEL MINORE
PRINCIPIO 3:3 MIGLIOR INTERESSE DEL MINORE
In tutte le questioni concernenti la responsabilità genitoriale andrà
prestata la massima attenzione al miglior interesse del minore.
PRINCIPIO 3:4 AUTONOMIA DEL MINORE
L’autonomia del minore va rispettata, conformemente alla sua capacità in via di sviluppo e al suo bisogno di agire in maniera indipendente.
PRINCIPIO 3:5 NON DISCRIMINAZIONE DEL MINORE
I minori non devono essere discriminati sulla base di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale, etnica o sociale, orientamento sessuale, disabilità,
ricchezza, nascita o ogni altra condizione, sia ove tali ragioni si riferiscano al minore, che ove esse si riferiscano ai titolari di responsabilità genitoriale.
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PRINCIPIO 3:6 DIRITTO DEL MINORE AD ESSERE ASCOLTATO
Il minore ha diritto ad essere informato di tutte le questioni che
lo riguardano, nonché ad essere consultato in relazione alle stesse e
ad esprimere la propria opinione, di cui si deve tenere conto, avuto
riguardo all’età e alla maturità del minore stesso.
PRINCIPIO 3:7 CONFLITTO DI INTERESSI
Gli interessi del minore vanno tutelati ogniqualvolta essi possano
confliggere con gli interessi dei titolari di responsabilità genitoriale.
CAPITOLO III: RESPONSABILITÀ GENITORIALE DI GENITORI
E SOGGETTI TERZI
PRINCIPIO 3:8 GENITORI
I genitori, per i quali è stato riconosciuto il rapporto di filiazione,
sono titolari di responsabilità genitoriale.
PRINCIPIO 3:9 SOGGETTI TERZI
La responsabilità genitoriale può essere attribuita in tutto o in parte
a soggetti diversi dai genitori.
PRINCIPIO 3:10 EFFETTO DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO
E SEPARAZIONE
Lo scioglimento o annullamento del matrimonio o di altra relazione
formalizzata, nonché la separazione legale o di fatto intervenuta tra i
genitori lasciano inalterata la responsabilità genitoriale.
CAPITOLO IV: ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE
SEZIONE A: GENITORI
PRINCIPIO 3:11 ESERCIZIO CONGIUNTO
I genitori titolari di responsabilità genitoriale hanno pari diritti e
doveri di esercitare tale responsabilità, che eserciteranno congiuntamente, nei limiti del possibile.
PRINCIPIO 3:12 SITUAZIONI ORDINARIE DEL QUOTIDIANO,
DECISIONI IMPORTANTI E URGENTI
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(1) I genitori titolari di responsabilità genitoriale hanno il diritto
ad agire singolarmente in relazione a situazioni ordinarie del
quotidiano.
(2) Decisioni importanti che riguardano questioni quali l’istruzione, le cure mediche, la residenza del bambino o l’amministrazione dei suoi beni vanno prese congiuntamente. L’altro
genitore deve essere informato senza indebito ritardo.
PRINCIPIO 3:13 ACCORDO SULL’ESERCIZIO
(1) Avendo riguardo al miglior interesse del minore, i genitori titolari di responsabilità genitoriale possono accordarsi sull’esercizio della stessa.
(2)
L’autorità competente può prendere in esame l’accordo.
PRINCIPIO 3:14 DISACCORDO SULL’ESERCIZIO
(1) Nel caso in cui i genitori titolari di responsabilità genitoriale
non riuscissero a raggiungere un accordo su una questione importante, potranno rivolgersi all’autorità competente.
(2) L’autorità competente deve promuovere il raggiungimento di
un accordo tra i genitori.
(3) Nel caso in cui non si riesca a raggiungere un accordo, l’autorità competente è tenuta a suddividere l’esercizio di responsabilità genitoriale tra i genitori, o a decidere la controversia.
PRINCIPIO 3:15 ESERCIZIO ESCLUSIVO A SEGUITO DI ACCORDO
O DECISIONE
Avendo riguardo al miglior interesse del minore, un genitore può
esercitare da solo la responsabilità genitoriale
(A) se è stato raggiunto un accordo tra i genitori, ai sensi del principio 3:13, o
(B) conformemente a una decisione dell’autorità competente.
PRINCIPIO 3:16 ESERCIZIO ESCLUSIVO DI UN GENITORE
Se un solo genitore è titolare della responsabilità genitoriale, questi
è tenuto singolarmente al suo esercizio.
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
29
SEZIONE B: SOGGETTI TERZI
PRINCIPIO 3:17 ESERCIZIO IN AGGIUNTA O IN LUOGO DEI GENITORI
Un soggetto diverso da un genitore può esercitare in parte o in tutto
la responsabilità genitoriale, in aggiunta o in luogo dei genitori.
PRINCIPIO 3:18 DECISIONI RELATIVE A SITUAZIONI ORDINARIE
DEL QUOTIDIANO
Il compagno del genitore, che vive con il minore, può prendere parte a decisioni riguardanti situazioni del quotidiano, a meno che l’altro
genitore titolare di responsabilità genitoriale non obietti a ciò.
CAPITOLO V: CONTENUTO DEGLI OBBLIGHI DI RESPONSABILITÀ
GENITORIALE
SEZIONE A: RAPPORTI PERSONALI E PATRIMONIALI DEL MINORE
PRINCIPIO 3:19 CURA, TUTELA E ISTRUZIONE
(1) I titolari di responsabilità genitoriale devono provvedere alla
cura, tutela e istruzione del minore, in linea con l’indole e i
tratti distintivi dello stesso, e le necessità relative allo sviluppo
del minore.
(2) Il minore non deve essere soggetto a punizioni corporali o ad
altri trattamenti umilianti.
PRINCIPIO 3:20 RESIDENZA
(1) In caso di esercizio congiunto di responsabilità genitoriale da
parte di soggetti che vivono separatamente, questi devono decidere con chi di loro il minore vivrà.
(2) Il minore può risiedere in maniera alternata con i titolari di
responsabilità genitoriale, sulla base di un accordo approvato
dall’autorità competente, o di una decisione della stessa. Questa prenderà principalmente in considerazione fattori quali:
(a) l’età e l’opinione del bambino;
(b) l’abilità e volontà dei titolari di responsabilità genitoriale
di cooperare su questioni riguardanti il bambino, e la loro
situazione personale;
(c) la distanza tra i rispettivi luoghi di residenza dei titolari
di responsabilità genitoriale e la scuola del bambino.
30
The best interest of the child
PRINCIPIO 3:21 TRASFERIMENTO
(1) In caso di esercizio congiunto di responsabilità genitoriale, se
uno dei titolari della stessa desidera modificare il luogo di residenza del minore, spostandolo entro o al di fuori dei confini
nazionali, questi deve previamente informare di ciò l’altro titolare di responsabilità genitoriale.
(2) Se l’altro titolare di responsabilità genitoriale si oppone al
cambio di residenza del minore, ciascuno dei titolari può chiedere una decisione all’autorità competente.
(3) L’autorità competente prenderà principalmente in considerazione fattori quali:
(a) l’età e l’opinione del minore;
(b) il diritto del minore al mantenimento di rapporti personali con l’altro titolare di responsabilità genitoriale;
(c) la capacità e volontà di cooperare dei titolari di responsabilità genitoriale;
(d) la situazione personale dei titolari di responsabilità genitoriale;
(e) la distanza geografica e l’accessibilità;
(f) la libertà di movimento delle persone fisiche.
PRINCIPIO 3:22 AMMINISTRAZIONE DEI BENI DEL MINORE
(1) I titolari di responsabilità genitoriale devono amministrare diligentemente i beni del minore, per preservarne o, ove possibile, aumentarne il valore.
(2) Nell’amministrare i beni del minore, i titolari di responsabilità
genitoriale non devono effettuare donazioni, a meno che non
si ritenga che queste rispondano all’esistenza di un obbligo
morale.
(3) I proventi derivanti dai beni del minore, non necessari per la
gestione degli stessi o per il mantenimento e l’istruzione del
minore possono, ove necessario, essere utilizzati per i bisogni
della famiglia.
PRINCIPIO 3:23 LIMITI
(1) I titolari di responsabilità genitoriale non possono amministrare i beni acquisiti dal minore attraverso un lascito testamentario o una donazione, se il testatore o il donante hanno
così disposto.
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
31
(2) Allo stesso modo, i guadagni del minore non possono essere
amministrati dai titolari di responsabilità genitoriale, a meno
che il minore non abbia età o maturità sufficiente per disporne.
(3) Nel caso di transazioni con significative conseguenze finanziarie per il minore, è necessaria l’autorizzazione dell’autorità
competente.
PRINCIPIO 3:24 RAPPRESENTANZA LEGALE
(1) I titolari di responsabilità genitoriale devono rappresentare
legalmente il minore in tutte le questioni riguardanti la sua
persona o i suoi beni.
(2) La rappresentanza legale non sussiste in caso di conflitto di
interessi tra il minore e i titolari di responsabilità genitoriale.
(3) Avuto riguardo all’età e maturità del minore, questi ha diritto
a difendersi da sé nei procedimenti legali che lo riguardano.
SEZIONE B: MANTENIMENTO DEI RAPPORTI PERSONALI
PRINCIPIO 3:25 RAPPORTI PERSONALI CON GENITORI E SOGGETTI
TERZI
(1) Il minore e i suoi genitori hanno diritto all’ottenimento e al
mantenimento di regolari rapporti personali tra di loro.
(2) Devono essere stabiliti rapporti personali tra il minore e i suoi
prossimi congiunti.
(3) É possibile stabilire rapporti personali tra il minore e coloro
con i quali questi ha rapporti stretti.
PRINCIPIO 3:26 CONTENUTO DEI RAPPORTI PERSONALI
(1) I rapporti personali comprendono la permanenza del minore
per periodi di tempo limitati, o incontri dello stesso, con genitori o persone diverse dai genitori con i quali questi non vive,
e ogni forma di comunicazione tra il minore e tali soggetti.
(2) Tali rapporti personali devono essere nel miglior interesse del
minore.
PRINCIPIO 3:27 ACCORDO
(1) Avendo riguardo al miglior interesse del minore, i genitori e
gli altri soggetti di cui al principio 3:25(2) e (3) possono raggiungere un accordo sui rapporti personali.
32
The best interest of the child
(2)
L’autorità competente può prendere in esame l’accordo.
PRINCIPIO 3:28 LIMITI
L’autorità competente può, ove richiesto dal miglior interesse del minore, limitare i rapporti personali, farli cessare o sottoporli a condizione.
PRINCIPIO 3:29 INFORMAZIONI AI GENITORI
Un genitore ha diritto a essere informato delle questioni riguardanti la situazione personale del minore.
CAPITOLO VI: CESSAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ
GENITORIALE
PRINCIPIO 3:30 CESSAZIONE
(1) La cessazione della responsabilità genitoriale è prevista nel
caso in cui il minore:
(a) raggiunga la maggiore età;
(b) contragga matrimonio o altra unione formalizzata;
(c) venga adottato;
(d) muoia.
(2) Se il compagno di uno dei genitori adotta il figlio di quest’ultimo, cessa la responsabilità genitoriale dell’altro genitore in
relazione al minore adottato.
PRINCIPIO 3:31 MORTE DEI GENITORI
(1) Se i genitori hanno responsabilità genitoriale congiunta e uno di
loro muore, la responsabilità genitoriale resta in capo all’altro.
(2) Se un genitore titolare esclusivo di responsabilità genitoriale
muore, la responsabilità deve essere attribuita all’altro genitore,
o a un soggetto terzo, previa decisione dell’autorità competente.
(3) Se entrambi i genitori muoiono, e almeno uno di loro era titolare di responsabilità genitoriale, l’autorità competente deve
porre in essere adeguate misure di tutela dei rapporti personali e patrimoniali del minore.
CAPITOLO VII: DECADENZA DA RESPONSABILITÀ GENITORIALE
E REINTEGRAZIONE NELLA STESSA
PRINCIPIO 3:32 DECADENZA DA RESPONSABILITÀ GENITORIALE
L’autorità competente deve disporre la decadenza da responsabilità genitoriale del titolare della stessa il cui comportamento o la cui
Un modello europeo di responsabilità genitoriale
33
negligenza causano, in tutto o in parte, un serio rischio per i rapporti
personali o patrimoniali del minore.
PRINCIPIO 3:33 RICHIESTA DI DECADENZA DA RESPONSABILITÀ
GENITORIALE
(1) La decadenza da responsabilità genitoriale può essere richiesta:
(a) da ciascuno dei genitori titolari di responsabilità genitoriale;
(b) dal minore, e
(c) da qualsiasi istituzione a difesa degli interessi del minore.
(2) L’autorità competente può anche disporre d’ufficio la decadenza da responsabilità genitoriale.
PRINCIPIO 3:34 REINTEGRAZIONE NELLA RESPONSABILITÀ
GENITORIALE
Avuto riguardo al miglior interesse del minore, l’autorità competente può disporre la reintegrazione nella responsabilità genitoriale,
quando non sussistono più le condizioni sulle quali si era fondata la
decadenza dalla stessa.
CAPITOLO VIII: QUESTIONI PROCEDURALI
PRINCIPIO 3:35 AUTORITÀ COMPETENTE
(1) Tutte le decisioni riguardanti la responsabilità genitoriale devono essere prese da un’autorità competente, sia essa un organo giudiziario o amministrativo.
(2) Ove necessario, l’autorità competente deve designare ogni
soggetto o organo idoneo a effettuare indagini circa le condizioni del minore.
PRINCIPIO 3:36 RISOLUZIONE ALTERNATIVA
DELLE CONTROVERSIE
In tutte le controversie riguardanti la responsabilità genitoriale,
devono essere disponibili meccanismi di risoluzione alternativa delle
controversie.
PRINCIPIO 3:37 AUDIZIONE DEL MINORE
(1) Conformemente al principio 3:6, in tutte le controversie che
riguardano la responsabilità genitoriale, l’autorità competente
deve procedere con l’audizione del minore; se decide di non
disporla, dovrà fornire specifiche ragioni.
34
The best interest of the child
(2) L’audizione del minore avviene o direttamente davanti all’autorità competente, o indirettamente davanti a un soggetto o
organo designato dalla stessa.
(3) L’ascolto del minore deve essere svolto secondo modalità adeguate alla sua età e maturità.
PRINCIPIO 3:38 DESIGNAZIONE DI UN RAPPRESENTANTE
SPECIALE DEL MINORE
Nei procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale, nei quali
potrebbe esserci un’ipotesi grave di conflitto di interessi tra il minore e i
titolari di responsabilità genitoriale, o nei quali il benessere del minore
è altrimenti a rischio, l’autorità competente deve designare un rappresentante speciale per il minore.
PRINCIPIO 3:39 ESECUZIONE
(1) Nel caso in cui una decisione dell’autorità competente o un
accordo con effetto tra le parti, riguardanti la responsabilità
genitoriale, non venissero rispettati su base volontaria, si deve
dare pronta esecuzione agli stessi.
(2) Non si deve dare esecuzione a una decisione o a un accordo, che
siano manifestamente contrari al miglior interesse del minore.
Bibliografia
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en nederland. Over de rol van de wetenschap, invloed van de politiek, en nattevingerwerk in het wetgevingsproces, rede uitgesproken bij de aanvaarding van
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Örücü e. - Mair j. (Eds), juxtaposing legal systems and the principios of european
family law on parental responsibilities, in european family law series no. 27, 2010
Intérêt supérieur de l’enfant et droits
de l’enfant:quelle articulation ?
Hugues Fulchiron
Résumé: 1. Les ambiguïtés de la notion d’intérêt de l’enfant. – 2. La
dialectique entre intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant.
De la Convention internationale relative aux droits de l’enfant (CIDE)1
à la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne (CDF)2 en
passant par les droits nationaux, la notion d’intérêt supérieur de l’enfant rayonne aujourd’hui sur l’ensemble du droit national, européen
et international. Comme l’a affirmé la Cour européenne des droits de
l’homme (Cour EDH, cf. arrêt Neulinger et Shuruk c. Suisse du 10 juillet
2010), il existe actuellement un large consensus – y compris en droit international – autour du principe de primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant3”.
Pour autant, cette promotion de l’intérêt supérieur de l’enfant
n’est pas allée sans susciter de vives critiques4. Tel est encore le cas
aujourd’hui, notamment lorsque le principe de primauté de l’intérêt
supérieur de l’enfant est utilisé par les juges (juges internes, européens
ou internationaux) pour remettre en cause des solutions qui ont parfois fait l’objet d’arbitrages politiques complexes, par exemple en droit
1
Art. 3 CIDE : “Dans toutes les décisions qui concernent les enfants, qu’elles soient le fait
des institutions publiques ou privées de protection sociale, des tribunaux, des autorités
administratives ou des organes législatifs, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une
considération primordiale”.
2
Art. 2 al. 2 CDE : “Dans tous les actes relatifs aux enfants, qu’ils soient accomplis par des
autorités publiques ou des institutions privées, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une
considération primordiale”.
3
Cour EDH, Gde chambre, Neulinger et Shuruk c. Suisse du 6 juillet 2010, req. 41615/07
4
Sur ces critiques, cf. P.H. Bonfils - A. Gouttenoire, Droit des mineurs, Paris, 2014,
p., 95 s. et réf. cit.
36
The best interest of the child
des étrangers5 ou dans des matières qui font “débat de société” comme
la famille homoparentale6 ou la gestation pour autrui7 (GPA). On en
dénonce le flou; on souligne l’ambiguïté du concept d’intérêt “supérieur” de l’enfant8; on s’interroge sur l’articulation entre intérêt de l’enfant et droits de l’enfant9.
C’est sur cette articulation entre droits et intérêt que je souhaiterais
apporter quelques éléments de réflexion. Pour cela, il paraît nécessaire
de souligner les ambiguïtés de la notion d’intérêt supérieur de l’enfant,
puis de l’inscrire dans la dialectique qu’elle entretient avec les droits
de l’enfant.
1. Les ambiguïtés de la notion d’intérêt de l’enfant
De fait, la notion même d’intérêt supérieur de l’enfant est marquée
par une double complexité.
a) Premier facteur de complexité, l’ambiguïté de la “notion-mère” d’intérêt
de l’enfant. Si l’intérêt de l’enfant est un concept-clef du droit contemporain de la famille, il est paradoxalement l’un des plus discuté10. Véritable
5
Cf. Conseil d’Etat (CE) 22 septembre 1997, demoiselle Cinar, RFD adm. 1998, 562,
concl. R. Abraham, JCP éd. G. 1998, II, 10051, note A. Gouttenoire-Cornut, qui
affirme que l’article 3 par. 1 de la CIDE est d’application directe en droit français.
Rappr. Cour EDH, 31 janvier 2006, Rodriguez da Silva et Hoogkamer c. Pays-Bas, req.
50435/99, ou Nunez c. Norvège, 28 juin 2011, req. 55597/09
6
Cf. l’avis rendu par la Cour de cassation à propos de l’adoption par l’épouse de la
mère d’un enfant né à l’étranger par IAD, Avis n° 15010 du 22 septembre 2014 et
Avis n° 15011 du 22 septembre 2014, D. 2014, 2031, note A. Leroyer, AJ famille 2014,
555, note F. Chénedé, Dr. fam. 2014, comm. n° 160, C. Neirinck; adde J. Hauser,
L’externalisation de la fabrique des enfants?, in JCP, 2014, p. 1004
7
CEDH 26 juin 2014, n° 65941/11, et n° 65192/11, arrêts Labassée c. France et Mennesson
c. France, D. 2014. 1797, note F. Chénedé, 1787, obs. P. Bonfils et A. Gouttenoire,
1806, note L. d’Avout, 2015. 702, obs. F. Granet-Lambrechts, 755, obs. J.C. Galloux,
1007, obs. A. Dionisi-Peyrusse, et 1056, obs. H. Gaudemet-Tallon; AJDA 2014. 1763,
chron. L. Burgorgue-Larsen, AJ fam. 2014. 499, et 396, obs. A. Dionisi-Peyrusse, Rev.
crit. DIP 2015. 1, note H. Fulchiron et C. Bidaud- Garon; RTD civ. 2014. 616, obs. J.
Hauser, et 835, obs. J.P. Marguénaud.
8
Cf. infra.
9
H. Fulchiron, Droits de l’enfant et intérêt de l’enfant, libres propos sur les interactions entre
deux notions clefs de la protection de l’enfant, in Y. Blay (ed.), La personne humaine, entre
autonomie et vulnérabilité, Mélanges en l’honneur d’Edith Deleury, Quebec, 2015, p. 181 s.
10
Dans l’arrêt Mamousseau et Washington c/ France du 6 décembre 2007 (req. n° 39308/05),
rendu en matière d’enlèvement d’enfant, la Cour EDH avait tenté de définir l’intérêt
de l’enfant: la Cour souhaite qu’il “soit constamment interprété de manière cohérente,
quelle que soit la convention internationale invoquée ”; selon elle, “en matière de garde
d’enfant, par exemple, l’intérêt supérieur de l’enfant peut avoir un double objet: d’une
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ?
37
“Protée” dont on se plait à souligner le caractère insaisissable, on a parlé
à son propos de notion “magique ”11. Cette dernière expression semble
particulièrement juste, dans son double sens de mystère (quel est le
contenu de la notion ?) et d’efficacité (la parole magique étant prononcé,
les portes s’ouvrent, le juge tranche).
D’une part, la notion d’intérêt de l’enfant est empreinte de relativité
et de subjectivité:
- Relativité dans l’espace et dans le temps car la notion se nourrit des
données propres à chaque époque et à chaque société; elle est liée
à une culture, à des savoirs, à une conception de la personne, de
l’enfant et de la famille (que l’on songe par exemple hier aux débats
sur l’enfant du divorce, aujourd’hui aux débats sur l’enfant dans la
famille homoparentale).
- Subjectivité individuelle (celle des parents, celle de l’enfant, celle du
juge) et subjectivité collective (celle d’une société, de l’image que se
fait cette société de l’enfant et, à travers cette image, celle que cette
société se fait d’elle-même).
D’autre part, la “notion-mère” d’intérêt de l’enfant est sans cesse
tiraillée entre appréciation in abstracto et appréciation in concreto.
-
Apprécié in abstracto, l’intérêt de l’enfant est appréhendé comme l’intérêt des enfants en général: l’enfant est considéré comme appartenant
à une catégorie de personnes et non comme un individu dans un cas
particulier. Ainsi, en matière d’enlèvement d’enfants, la Convention
de La Haye pose comme principe que l’intérêt de l’enfant est d’être
protégé contre les enlèvements12. Pour cela, il faut lutter contre les déplacements illicites en mettant en place un mécanisme de retour immédiat dans le pays de résidence habituelle afin d’éviter toute prime
au fait accompli13: l’enfant victime de l’enlèvement n’est qu’un enfant
part, lui garantir une évolution dans un environnement sain, et un parent ne saurait être
autorisé à prendre des mesures préjudiciables à sa santé et à son développement; d’autre part,
maintenir ses liens avec sa famille, sauf dans les cas où celle-ci s’est montrée particulièrement
indigne, car briser ce lien revient à couper l’enfant de ses racines”. Rendu dans une
affaire d’enlèvement d’enfants, l’arrêt reste somme toute assez flou... Rappr., tentant
également de cerner la notion, les arrêts Gnahoré c. France, 19 septembre 2000, req. n°
40031/98 et Schmidt c. France, 26 juillet 2007, req. n° 35109/02
11
J. Carbonnier, Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, Parigi, 2002, p. 85 et réf. cit.
12
Convention de La Haye du 25 octobre 1980 sur les aspects civils de l’enlèvement international
d’enfants, sur laquelle cf. not. le site très riche de la Conférence de DIP de La Haye,
hcch.net
13
Art. Article 12, al. 1: “Lorsqu’un enfant a été déplacé ou retenu illicitement au sens de
38
The best interest of the child
parmi d’autre; en protégeant la catégorie à laquelle il appartient, on
protège cet enfant en particulier; la prise en compte de son intérêt
“individuel” n’interviendra que dans un second temps, à titre exceptionnel14, mais à titre nécessaire, comme l’a rappelé la Cour EDH15.
- Apprécié in concreto, l’intérêt de l’enfant passe par la prise en compte
de la situation d’un enfant individualisé: celui dont l’intérêt est en
jeu dans le cas particulier, cet intérêt devant être apprécié en fonction des circonstances de la cause (cf. en cas d’enlèvement, l’enfant
qui s’est intégré dans son nouveau milieu, qui vit avec sa mère et
subirait un traumatisme grave s’il en été séparé16; en matière de
GPA, l’enfant particulier qui n’aurait pas de statut17 etc.).
Approche in abstracto et concreto in abstracto ne doivent pas cependant être trop systématiquement opposées. De fait, on passe souvent
de l’une à l’autre. Ainsi, même si l’on en reste à une approche in abstracto, il est impossible de faire l’impasse sur une approche in concreto.
Il n’y pas de droits ou d’intérêts suspendus dans l’éther; ils s’incarnent
dans les hommes dont les droits et intérêts sont en cause (de nouveau
on peut penser aux enlèvements d’enfant18). A l’inverse, l’approche in
l’article 3 et qu’une période de moins d’un an s’est écoulée à partir du déplacement ou du
non-retour au moment de l’introduction de la demande devant l’autorité judiciaire ou
administrative de l’Etat contractant où se trouve l’enfant, l’autorité saisie ordonne son retour
immédiat”.
14
Cf. les exceptions prévues aux article 13 et 20 de la Convention.
15
CEDH 6 juill. 2010, Neulinger et Shuruk c/ Suisse, n° 41615/07, D. 2011. 1374, obs. F.
Jault-Seseke, AJ fam. 2010. 482, A. Boiché, RTD civ. 2010. 735, obs. J.P. Marguénaud,
Dr. fam. étude 10, obs. A. Gouttenoire.
16
Sur l’application de l’article 13 de la Convention, cf. la jurisprudence recensée par la
Conférence de DIP de La Haye sur son site Incadat.
17
Cf. les arrêts Labassée et Mennesson de la Cour EDH, préc.
18
Face aux critiques faites à la Cour de risquer de remettre en cause le mécanisme
de retour immédiat mis en place par la Convention de La Haye et renforcé par le
Règlement, la Cour EDH a entendu “clarifier” sa position dans l’arrêt X. c/ Lettonie
(CEDH, gr. ch., 26 nov. 2013, n° 27853/09, D. 2014. 1059, obs. H. Gaudemet-Tallon
et F. Jault-Seseke, AJ fam. 2014. 58, obs. A. Boiché, JCP 2014. 106, obs. F. Sudre).
Selon la cour, “[l’]’intérêt supérieur de l’enfant ne se confond pas avec celui de son père
ou de sa mère, outre qu’il renvoie nécessairement à des éléments d’appréciation divers liés
au profil individuel et à la situation spécifique de l’enfant. Néanmoins, il ne saurait être
appréhendé d’une manière identique selon que le juge est saisi d’une demande de retour en
application de la Convention de La Haye ou d’une demande de statuer au fond sur la garde
ou l’autorité parentale, cette dernière relevant d’une procédure en principe étrangère à l’objet
de la Convention de La Haye (articles 16, 17 et 19; paragraphe 35 ci-dessus) “(par. 100);
“Partant, dans le cadre d’une demande de retour faite en application de la Convention de La
Haye, qui est donc distincte d’une procédure sur le droit de garde, la notion d’intérêt supérieur
de l’enfant doit s’apprécier à la lumière des exceptions prévues par la Convention de La Haye,
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ?
39
concreto est guidée par une certaine conception de ce qui est bon ou
de ce qui n’est pas bon pour l’enfant… en général, donc par une certaine vision de l’intérêt de l’enfant apprécié in abstracto. Il y a donc une
dialectique constante entre appréciation in abstracto et appréciation in
concreto, l’une nourrissant l’autre: la première cadre la seconde, la seconde donne vie (et au besoin fait évoluer) la première.
Reste que cette dialectique est complexe comme l’a montré la jurisprudence de la Cour EDH sur la question des enlèvements d’enfants.
b) Deuxième facteur de complexité, le concept d’intérêt “supérieur” de l’enfant.
Le concept d’intérêt supérieur de l’enfant est apparu avec la Convention internationale sur les droits de l’enfant19 (art. 3), repris par l’article 24
de la convention et consacré par nombre de jurisprudences nationales.
Pas question de revenir ici sur les débats suscités par l’adjectif “supérieur”20. Rappelons simplement que, en harmonie me semble-t-il avec
l’interprétation préconisée par le Commentaire n°14 du Comité sur les
droits de l’enfant21, la Cour EDH affirme que l’intérêt supérieur de l’enfant, en tant que composante du droit au respect de la vie familiale (art.
lesquelles concernent l’écoulement du temps (article 12), les conditions d’application de la
convention (article 13 a)) et l’existence d’un “risque grave” (article 13 b)), ainsi que le respect
des principes fondamentaux de l’Etat requis sur la sauvegarde des droits de l’homme
et des libertés fondamentales (article 20). Cette tâche revient en premier lieu aux
autorités nationales requintérêt supérieur de l’enfants, qui ont notamment le bénéfice
de contacts directs avec les intéressés. Pour ce faire au regard de l’article 8 de la
Convention, les juridictions internes jouissent d’une marge d’appréciation, laquelle
s’accompagne toutefois d’un contrôle européen en vertu duquel la Cour examine,
sous l’angle de la Convention, les décisions qu’elles ont rendues dans l’exercice de
ce pouvoir ” (par. 101). “ Précisément, dans le cadre de cet examen, la Cour rappelle
qu’elle n’entend pas substituer son appréciation à celle des juridictions internes (voir,
par exemple, Hokkanen, précité, et K. et T. c. Finlande [GC], req. no 25702/94, § 154,
Recueil 2001-VII). Elle doit cependant s’assurer que le processus décisionnel ayant
conduit les juridictions nationales à prendre la mesure litigieuse a été équitable et
qu’il a permis aux intéressés de faire valoir pleinement leurs droits, et ce dans le
respect de l’intérêt supérieur de l’enfant (Eskinazi et Chelouche c. Turquie (déc.), no
14600/05, C.E.D.H. 2005.XIII (extraits), Maumousseau et Washington, supra note 24,
et Neulinger et Shuruk, au para. 139)” (par. 102).
19
Il était déjà inscrit dans le Déclaration sur les droits de l’enfant, de 1959, mais dans
sans être affirmé comme un droit de l’enfant (cf. Principes 2 et 7).
20
Cf. T. Hammarberg, commissaire aux droits de l’homme Conseil de l’Europe, Le
principe de l’intérêt supérieur de l’enfant: ce qu’il signifie et ce qu’il implique pour les
adultes, 2008, conférence disponible sur le site du Conseil de l’Europe.
21
Cf. J. Cardona Llorens, Presentation of General Comment No. 14: strengths and
limitations, points of consensus and dissent emerging in its drafting, in Conseil de
l’Europe, The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, 2016
40
The best interest of the child
8 Conv. EDH) doit constituer pour les autorités étatiques une considération primordiale22. En cas de conflits d’intérêts ou en tout cas de revendications, la Cour a rappelé (Johansen c. Norvège du 7 avril 199623) que
“bien qu’il faille ménager un juste équilibre entre l’intérêt de l’enfant et ceux
de ses parents, la Cour attache une importance particulière à l’intérêt supérieur
de l’enfant qui, selon sa nature et sa gravité, peut l’emporter sur celui des parents...”. Un poids particulier doit donc être attaché à la prise en compte
de l’intérêt de l’enfant. Mais il ne l’emportera pas systématiquement sur
les autres droits et intérêts en présence: dans l’arrêt Johansen c. Norvège, la
Cour EDH en reste à un prudent “peut” l’emporter. Au législateur et au
juge de faire la juste balance. De façon générale, la règle inscrite à l’article
3 CIDE permet donc de dépasser les conflits de droit et d’intérêts, en
faveur du respect des droits et des intérêts de l’enfant (cf. l’arrêt Frölich
du 26 juin 201824). Si le juge (plus généralement si l’autorité publique ou
privée) fait prévaloir d’autres intérêts (intérêts collectifs, intérêts des parents, voire intérêt de l’enfant apprécié in abstracto il devra s’en expliquer
(cf. l’arrêt Campanelli et Paradiso25 dans lequel la Cour insiste sur l’importance des intérêts étatiques).
Reste que cette utilisation de l’intérêt supérieur de l’enfant comme
critère de décision en cas de conflits de droits ou d’intérêts suscite ellemême un certain nombre d’interrogations26. Une fois affirmé le caractère “primordial” de l’intérêt supérieur de l’enfant, jusqu’où laisser se
22
Cf. par ex. Cour EDH, 28 juin 2007, Wagner c. Luxembourg, n° 76240/01 ou Cour EDH,
Chbihi Loudoudi et autres c. Belgique, 10 décembre 2014, n° 52265/10, à propos du refus
des autorités belges de prononcer l’adoption d’un enfant confié en kafala.
23
Johansen c. Norvège, 7 avril 1996, J.C.P. 1997.I.4000, obs. F. Sudre. Adde par exemple
Bronda c. Italie, 9 juin 1998, en matière de placement dans une famille d’accueil:
selon la cour “bien qu’il faille ménager un juste équilibre entre l’intérêt supérieur de S.
(l’enfant) à demeurer placée et ceux de sa famille naturelle à vivre avec elle, la Cour attache
une importance particulière à l’intérêt supérieur de l’enfant qui, aujourd’hui âgé de quatorze
ans, a toujours manifesté fermement sa volonté de ne pas quitter la famille d’accueil. En
l’occurrence, l’intérêt de S. l’emporte sur celui de ses grands-parents”.
24
Cour EDH, 5ème sect. 26 juillet 2018, Frohlich c. Allemagne, req. 16112: selon la Cour,
peut être refusé comme contraire à l’intérêt de l’enfant, le droit pour un père
biologique dont la paternité légale n’a pas été établie malgré sa volonté de voir
établir le lien, d’entretenir des relations personnelles avec l’enfant et d’être informé
sur le développement de celui-ci, et même la possibilité de faire la preuve de sa
paternité biologique, dont pourrait, selon le droit allemand, découler de tels droits.
25
CEDU, gr. ch., 24 janv. 2017, Paradiso et Campanelli c/ Italie, n° 25358/12.
26
N. Cantwell, The concept of the best interests of the child: what does it add to children’s
human rights?, in The best interests of the child. A dialogue between theory and practice,
préc.
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ?
41
développer son dynamisme propre? Le mélange détonant de droits et
d’intérêts, réalisé par l’article 3-1 de la CIDE, ne risque-t-il pas de faire
imploser ou exploser, c’est selon, des pans entiers de nos systèmes juridiques ? Une telle crainte a été exprimée par de nombreux auteurs.
En un sens, elle fait écho aux critiques dont fait l’objet la promotion
contemporaine de droits fondamentaux accusée de mettre en péril les
équilibres voulus par les législateurs nationaux. Mais dans le cas de l’intérêt supérieur de l’enfant, ces critiques prennent une force particulière,
compte tenu du caractère “flou” de la notion. De nouveaux équilibres
sont à rechercher, qui ne peuvent être trouvés que si l’on approfondit la
dialectique entre droits de l’enfant et intérêt supérieur de l’enfant.
2. La dialectique entre intérêt supérieur de l’enfant
et droits de l’enfant
Selon une analyse traditionnelle, l’intérêt supérieur de l’enfant
peut être mobilisé par les autorités chargées de prendre une décision relative à l’enfant, selon deux modalités: pour arbitrer entre
des droits et intérêts concurrents ou pour évincer des règles légales
(au sens large) jugées contraires au principe de primauté de l’intérêt de l’enfant. Cette double fonction peut avoir des conséquences
profondément perturbatrices sur les systèmes nationaux. A la limite
elle pourrait rendre vaine l’affirmation des droits de l’enfant. D’où
la nécessité d’encadrer le jeu de l’intérêt supérieur de l’enfant par un
travail sur les droits de l’enfant. C’est cette dialectique d’approfondissement qu’il convient de présenter.
a) L’intérêt supérieur de l’enfant comme règle de conflit de droits et d’intérêts et comme règle de conflit de normes. Tant que la notion d’intérêt supérieur de l’enfant est utilisée comme critère de décision dans la pesée
entre deux intérêts ou entre deux droits, son usage reste dans l’épure
traditionnelle des “notions-cadres”, des “standards”, bien connus en
droit de la famille27. Les choses deviennent plus délicates lorsque l’intérêt supérieur de l’enfant est invoqué pour écarter telle ou telle règle
générale, au motif que la mise en œuvre de ladite règle, dans le cas particulier, serait contraire à l’intérêt supérieur de l’enfant. Tel est le cas
27
Cf. not. S. Rials, Les standards, notions critiques du droit, in C. Perelman - R. Vander
Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit, Bruxelles, 1984, p. 42 s. et J. Carbonnier,
Les notions à contenu variable dans le droit français de la famille, ibidem, p. 99 s.
42
The best interest of the child
lorsque le juge, s’appuyant sur l’article 3-1 de la CIDE qui, finalement,
érige en droit de l’enfant la considération de son intérêt, écarte telle ou
telle disposition légale28.
Encore faut-il, dans cette hypothèse, distinguer deux cas de figure.
Dans une première série d’hypothèses, la primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant conduit à écarter, dans le cas particulier, l’application de la règle de droit au motif qu’en l’espèce, son application serait contraire à l’intérêt supérieur de l’enfant29. Dans une seconde série
d’hypothèses, la primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant conduit à
censurer la règle elle-même (et non pas son application au cas particulier30). Dans les deux cas, la hiérarchie des normes est respectée,
puisqu’en sa qualité de norme internationale, la Convention internationale des droits de l’enfant a une valeur supra légale. Mais on comprend que nos systèmes juridiques risquent d’en être profondément
ébranlés: la loi est écartée, voire censurée, au nom de l’intérêt supérieur de l’enfant.
Reste à savoir jusqu’où laisser la considération de l’intérêt supérieur
de l’enfant développer ce que j’appelai tout à l’heure son “dynamisme
propre ”. Prise comme unique instrument de mesure par le juge (même
si l’article 3-1 ne parle que de “considération primordiale”), ne risque-telle pas de remettre en cause nombre de nos règles juridiques, non
seulement à travers leurs applications concrètes, mais aussi dans leur
substance même? Non sans ironie, un des plus grands juristes français
de la seconde moité du XXème siècle, Jean Carbonnier, faisait observer
naguère qu’à la limite, la notion d’intérêt de l’enfant pourrait rendre
28
Cf. P. Bonfils - A. Gouttenoire, Droit des mineurs, op. cit., n° 97 s. et réf. cit.
29
Cf. C.E., 22 septembre 1997, Demoiselle Cinar, préc.; adde par ex. en matière de
regroupement familial au profit d’un enfant recueilli en kafala, C.E., 22 février 2013,
n° 330211.
30
Cf. C.E., 7 juin 2006, Association Aides et autres, req. n° 285576, AJDA, 2006, 2233,
note D. Hervé Rihal, 2007, 2192, obs. L. Brunet). Le Conseil d’Etat affirme que
les dispositions de l’article 3-1 de la CIDE interdit que les enfants, au sens de la
convention, “connaissent des restrictions dans l’accès aux soins nécessaires à leur santé;
que, par suite, en tant qu’ils subordonnent l’accès à l’aide médicale de l’Etat à une condition
de résidence interrompue d’au moins trois mois en France, sans prévoir de dispositions
spécifiques en vue de garantir les droits des mineurs étrangers et qu’il renvoie ceux-ci,
lorsque cette condition de durée de résidence n’est pas remplie, à la seule prise en charge par
l’Etat des soins énoncés à l’article L. 254-1 du CASF, c’est-à-dire [...] des seuls soins urgents
dont l’absence mettrait en jeu le pronostic vital ou pourrait conduire à une altération grave
et durable de l’état de santé de la personne ou d’un enfant à naître, l’article 97 de la loi de
finances rectificative du 30 décembre 2003 est incompatible avec les dispositions précitées”.
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ?
43
superflues toutes les institutions de droit familial31. La remarque prend
aujourd’hui tout son sens, avec la combinaison inédite entre droits et
intérêts que réalise l’article 3-1 de la CIDE. A l’inverse l’intérêt supérieur de l’enfant pourrait être utilisé pour nier les droits fondamentaux
des autres personnes concernées: par exemple dans l’arrêt Fröhlich32,
non seulement la Cour EDH rejette la demande du père d’établir sa
filiation mais elle lui refuse même le droit d’être informé du développement de l’enfant dont pourtant tout montre qu’il est son enfant et
dont, depuis sa naissance, il demande à pouvoir s’occuper.
Que l’on ne s’y trompe pas: il n’est pas question de critiquer le statut
réservé aujourd’hui à la CIDE en général et à son article 3-1 en particulier, mais simplement de souligner les dangers d’une application qui
ferait de ce texte non pas une considération “primordiale”, mais une
règle absolue. Comme la notion d’intérêt de l’enfant, la notion d’intérêt
supérieur de l’enfant est par nature complexe et évolutive, marquée,
on l’a dit, par la relativité et la subjectivité. Construire du droit, peutêtre même construire le droit, sur des bases aussi mouvantes, ôte à la
règle juridique toute prévisibilité et, peut-être, toute solidité.
Il paraît donc plus raisonnable et certainement plus efficace pour
assurer la protection de l’enfant, de résister aux séductions d’une lecture “extrémiste” de l’article 3-1 et de poursuivre le travail de reconnaissance et d’approfondissement des droits de l’enfant, en exploitant
les potentialités de la CIDE comme celles des autres textes qui, s’ils
ne sont pas propres à l’enfant, lui garantissent des droits en sa qualité
d’être humain.
C’est en ce sens que l’on peut parler des droits de l’enfant comme
“révélateur” de l’intérêt supérieur de l’enfant.
b) Les droits de l’enfant comme “révélateur” de l’intérêt supérieur de l’enfant. Pour bien comprendre l’idée, je prendrai l’exemple des arrêts Labassée et Mennesson33 de la Cour EDH. Dans ces deux décisions, la cour
ne se fonde pas sur l’intérêt supérieur de l’enfant mais sur les droits de
l’enfant, tels qu’éclairés par la prise en compte de l’intérêt supérieur de
l’enfant. Précisément, la cour met en avant le droit de l’enfant au respect de son identité; elle souligne que, compte tenu des circonstances
de l’espèce, se pose “une question grave de compatibilité” d’une décision
31
Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, op. cit., p. 85.
32
Préc.
33
Préc.
44
The best interest of the child
qui refuse la reconnaissance de la filiation telle qu’établie à l’étranger et
interdit l’établissement en France d’une telle filiation, “avec l’intérêt supérieur des enfants, dont le respect doit guider toute décision les concernant”
(Mennesson, par. 99, Labassée, par. 78).
L’intérêt supérieur de l’enfant permet ainsi de mieux comprendre
le sens et la portée des droits de l’enfant. Mais il ne se substitue pas à
eux: c’est, en quelque sorte, par l’approfondissement des droits de l’enfant que s’affirme le respect de ses intérêts. Corrélativement, le fait de
mettre dans la balance l’intérêt de l’enfant apprécié in concreto, permet
de faire pencher celle-ci en faveur de la reconnaissance de la filiation
de l’enfant telle qu’établie à l’étranger dès lors que cette filiation est
conforme à la vérité biologique et qu’elle est voulue et vécue par les
intéressés.
C’est en cela que l’on peut parler de mouvement dialectique:
- sans droit-support, il ne peut y avoir d’intérêt de l’enfant: ou alors
un intérêt purement subjectif, livré aux appréciations contradictoires des parties au litige… ou du juge. En ce sens, l’approfondissement des droits de l’enfant permet de consolider l’intérêt supérieur
de l’enfant.
- la prise en compte de l’intérêt de l’enfant permet d’approfondir la
compréhension des droits de l’enfant (en l’espèce le droit de l’enfant
de connaître ses origines) et de les faire prévaloir dans le cas particulier sur les autres droits et intérêts en présence.
C’est à travers cette dialectique que peut être assurée la garantie la
protection maximale de l’intérêt supérieur de l’enfant, dans le respect
des différents droits et intérêts en présence.
Bibliographie
Bonfils P.H. - Gouttenoire A., Droit des mineurs, Paris, 2014, p. 95 s.
Cantwell N., The concept of the best interests of the child: what does it add to
children’s human rights, in Conseil de l’Europe, The best interests of the child.
A dialogue between theory and practice, 2016
Carbonnier J., Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, Parigi, 2002, p. 85
Carbonnier J., Les notions à contenu variable dans le droit français de la famille, in
C. Perelman - R. Vander Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit,
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Cardona Llorens J., Presentation of General Comment No. 14: strengths and limitations, points of consensus and dissent emerging in its drafting, in Conseil de l’Europe, The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, 2016
Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ?
45
Fulchiron H., Droits de l’enfant et intérêt de l’enfant, libres propos sur les interactions entre deux notions clefs de la protection de l’enfant, in Y. Blay (ed.), La personne humaine, entre autonomie et vulnérabilité, Mélanges en l’honneur d’Edith
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Hammarberg T., Le principe de l’intérêt supérieur de l’enfant: ce qu’il signifie et
ce qu’il implique pour les adultes, 2008, conférence disponible sur le site du
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Hauser J., L’externalisation de la fabrique des enfants?, in JCP, 2014, p. 1004
Rials S., Les standards, notions critiques du droit, in C. Perelman - R. Vander
Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit, Bruxelles, 1984, p. 42 s.
Autorità giudiziaria e interesse
superiore del minore
Carla Garlatti
La Convenzione sui diritti del Fanciullo fatta a NY il 20 novembre 1989
resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991 n. 176 ricorda, all’art.
3, che: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve
essere una considerazione preminente”; la “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli”, fatta dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, resa esecutiva in Italia dalla legge 20 marzo
2003 n. 77, a sua volta, all’art. 6, nel disciplinare il processo decisionale
nei procedimenti riguardanti fanciulli (cioè, secondo la definizione che
ricaviamo dalla Convenzione di NY: “ogni essere umano avente un’età
inferiore a 18 anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della
legislazione applicabile”), detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve
conformarsi prima di giungere a qualunque decisione stabilendo, in
particolare, che l’autorità stessa deve acquisire “informazioni sufficienti
al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”.
Ancora: la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione (Nizza 7 dicembre 2000, riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) all’art. 24,
par 2, prescrive che “in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti
da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore
deve essere considerato preminente”.
Nell’ordinamento interno, l’art. 30, primo comma, della Costituzione
prevede il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire, educare i
figli: principio che ha acquisito una sempre maggiore centralità, in particolare nella riforma del diritto di famiglia del 1975 (legge n. 151) e poi
nella riforma della adozione realizzata con la legge 184 del 1983, come
poi modificata dalla legge n. 149 del 2001 e, ancora, con la riscrittura di
48
The best interest of the child
numerosi articoli del codice civile ad opera del d.lgs. 154 del 2013, fino
ad arrivare alla legge n. 173 del 2015 sulla così detta continuità affettiva.
Ma in cosa consiste l’interesse superiore del minore?
Solo ai fini di agevolare la mia esposizione richiamo brevemente
temi già portati alla vostra attenzione.
Ricordo, in particolare, che la versione inglese della Dichiarazione delle
Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959, all’art. 2, statuiva che “the
best interests of the child shall be the paramount consideration”: traducibile nel
senso che il superiore interesse del minore dovrebbe avere la considerazione “decisiva”. Tale formulazione venne poi abbandonata nel corso dei lavori preparatori per la redazione della Convenzione sui diritti del bambino
del 1989. Qui si ritenne più opportuno parlare di “a primary consideration”:
quindi, “a” invece di “the” e “primary” invece di “paramount”, con ciò volendo significare la necessità di un bilanciamento di interessi: la posizione
del minore deve essere messa a sistema con le ulteriori posizioni in gioco.
Il primo criterio interpretativo tracciato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati osserva come la traduzione francese utilizzi
il singolare – superiore interesse del minore – che è quella adottata in
Italia, mentre la traduzione inglese preferisca il plurale: interessi.
La Convenzione citata richiama poi l’attenzione sulla circostanza
che il minore è titolare anche di diritti con i quali l’interesse superiore del minore può entrare in conflitto. Quindi, non solo i diritti degli
adulti cedono di fronte all’interesse del minore, ma gli stessi diritti dei
minori possono subire una compressione se tale compressione corrisponde al superiore interesse dei minori stessi.
Mi spiego meglio con un esempio: il minore ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano; tale suo diritto,
però, può non corrispondere al suo interesse in quello specifico caso di
fronte al quale, quindi, è destinato a cedere. La suprema Corte ha infatti
affermato che “l’audizione dei minori, nei procedimenti giurisdizionali
che li riguardano, è un adempimento necessario salvo che il mancato
ascolto non sia giustificato dal loro superiore interesse: Cass. 19327/2015;
l’art. 42 del Reg. CE n. 2201/2003 parla di “inopportunità dell’audizione”
mentre la convenzione di Strasburgo – ratificata in Italia con legge 20
marzo 2003 n. 77 – all’art. 6 lettera b) esclude che si possa procedere
all’ascolto del minore quando ciò sia “manifestamente in contrasto con gli
interessi superiori dello stesso”. Dai lavori preparatori del recast del Regolamento Bruxelles II bis si desume la volontà del legislatore europeo di
regolamentare anche il diritto del minore a non essere ascoltato.
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
49
Il contenuto dell’“intesse superiore” non è mai definito. Si può
affermare che è una sorta di contenitore vuoto che va riempito di
volta in volta e nella pratica quotidiana, nel lavoro che tutti i giorni
i Tribunali per i minorenni e non solo sono chiamati a svolgere, il
principio – che rappresenta il faro, la linea guida della decisione del
giudice –, può a volte comportare una compressione di diritti (come
si è detto per quello all’ascolto, o per le cautele convenzionalmente
introdotte e valutate dal giudice, con certo margine di discrezionalità, per il diritto al rientro automatico del minore nel luogo della sua
illecita sottrazione) ma anche ad una interpretazione evolutiva che
affonda le radici nella mutata prospettiva con la quale si guarda al
minore: da oggetto del diritto a soggetto di diritto. Mutamento che
vede la sua rappresentazione plastica anche nella stessa terminologia
che si utilizza: non più “patria potestà” ma “responsabilità genitoriale”, ove l’accento si pone sui doveri, le responsabilità del genitore nei
confronti del figlio e non più sul potere del genitore sul figlio.
Parlavo prima del diritto all’ascolto che può essere “compresso”
alla luce del superiore interesse del minore. Ma vi sono altri rilevanti
esempi in cui il principio svolge una funzione di adeguamento, di temperamento o addirittura di disapplicazione di alcune norme.
Prendiamo il caso del diritto alla bigenitorialità. L’art. 24 paragrafo
3 dalla Carta dei diritti fondamentali della UE recita che: “il minore ha
diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con
i due genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse”. E ciò tanto
nella fase fisiologica della vita familiare quanto in quella di crisi della
relazione genitoriale.
Questo diritto del minore ad entrambi i genitori può entrare in contrasto con l’interesse superiore del medesimo a non dover patire maltrattamenti o a non dover assistere a maltrattamenti da parte di uno dei
due. Un provvedimento di limitazione o ablazione della responsabilità
di un genitore violento può, quindi, legittimamente accompagnarsi anche ad una limitazione o addirittura eliminazione della frequentazione
di questo genitore se ciò corrisponde all’interesse del minore.
La Suprema Corte con sentenza n. 13506 del 1° luglio 2015 ha statuito
che “la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità,
comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con gli articoli 13 e 32, comma 2, della Costituzione, atteso che, mentre l’intervento per diminuire la conflittualità
50
The best interest of the child
richiesto dal giudice al servizio sociale è collegato alla possibile modifica
dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore, quella prescrizione
è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione”.
Tale pronuncia (per quanto mi consti) è rimasta isolata.
Molti TM invero ritengono che trattandosi di soggetti minorenni e
di beni quali la vita, l’integrità fisica e la salute dei medesimi, occorra
sottolineare come la loro tutela sia un interesse costituzionale di valore
primario, o quanto meno paritario rispetto al diritto dell’adulto di non
essere sottoposto a percorsi obbligatori.
Caso per caso, pertanto, si tratterebbe di bilanciare i diversi interessi ammettendo anche la possibilità di subordinare i rapporti genitori
- figli a condizioni di sicurezza, dipendenti dalla sottoposizione degli
adulti di riferimento a percorsi ritenuti necessari.
Sul punto era intervenuta la CEDU (Lombardo c/Italia 29 gennaio
2013) che ha sanzionato l’Italia perché, per garantire il diritto di visita,
si era limitata ad interventi stereotipati e non aveva invece inviato i
genitori in terapia. (Pronuncia non risolutiva, a mio avviso).
Il nostro orientamento – TM Trieste – è di impartire la prescrizione,
precisando che non si tratta di un obbligo per il genitore, ma che in caso
di mancata adesione, da parte del predetto, al percorso terapeutico o di
sostegno, si dovrà prendere atto del mancato recupero della capacità genitoriale (e del mancato impegno al fine del superamento delle riscontrate carenze) e provvedere, di conseguenza, alla limitazione (o ulteriore
limitazione) della responsabilità genitoriale. In sostanza, il Tribunale dà
l’indicazione e i Servizi mettono a disposizione gli interventi; la mancata
ottemperanza del genitore comporta provvedimenti più incisivi a favore
del minore (limitazione o ablazione dalla responsabilità genitoriale).
Peraltro, è appena il caso di osservare che le due soluzioni sono solo
apparentemente contrastanti. Se, infatti, non vi è da parte del genitore una
adesione intima, convinta, alle prescrizioni impartite ma vi è solo una adesione formale, di facciata, è del tutto evidente che nessun recupero in tema
di capacità genitoriale, nessuna presa di coscienza della condotta dannosa
tenuta nei confronti dei minori, si potrà ottenere da quel genitore.
Sempre restando in tema di bigenitorialità, il principio del superiore interesse del minore è il criterio ermeneutico che ha portato ad
importantissime decisioni in tema di filiazione attraverso una interpretazione evolutiva del principio dell’ordine pubblico internazionale.
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
51
Mi riferisco in particolare alla pronuncia n. 19599 del 2016 (due
madri coniugate chiedono la trascrizione in Italia dell’atto di nascita
del figlio, nato in Spagna, dove entrambe le donne sono indicate come
madri) nella quale la Suprema Corte, richiamata la sentenza della
Corte Cost. 205 del 2015 laddove afferma che l’interesse del minore
“trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la
madre e reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un
compiuto e armonico sviluppo della personalità”, afferma che l’interesse superiore del minore si sostanzia nel diritto del minore a conservare lo status di figlio riconosciutogli da un atto validamente formato
in un altro Paese. I principi enunciati sono posti a fondamento anche
della recente decisione del Tribunale di Pistoia (5 luglio 2018) e della
Corte d’ Appello di Napoli (giugno 2018; depositata il 4 luglio 2018)
laddove si osserva che la nostra legge non prevede affatto che in tema
di PMA si debba dare rilevanza al dato genetico o biologico, prevedendo, invece, che ai fini della determinazione dello status filiationis
operi il diverso criterio della consapevole assunzione della responsabilità genitoriale sin dal momento del concepimento del bambino:
consenso che è irretrattabile e quindi, di conseguenza, anche lo status.
Il diritto del bambino è il medesimo sia che sia stato concepito biologicamente sia che sia stato concepito con la tecnica della PMA posto che
anche in questo caso è generato in forza di un progetto di vita comune
della coppia etero o omosessuale volto alla creazione di un nucleo
famigliare secondo un progetto di genitorialità condivisa.
La prospettiva determinate non è quella della coppia, ma quella
del minore: lo status filiationis è regolarmente costituito nei confronti
di entrambe le parti della coppia nel caso di ricorso alla PMA anche se
in violazione delle norme interne, altrimenti si avrebbe una discriminazione tra i bambini nati da PMA eterologa posta in essere da coppie
eterosessuali o da coppie omosessuali, quando in realtà ciò che accomuna entrambe le coppie è il consenso, il progetto genitoriale; e le
scelte degli adulti non possono andare a discapito dei minori, al loro
diritto alla bigenitorialità.
E ricordo anche la recente pronuncia (ordinanza) della Suprema
Corte n. 14007 del 13 aprile 2018 con la quale la Corte respinge il ricorso proposto avverso la ordinanza con la quale la Corte d’Appello
di Napoli aveva riconosciuto la validità in Italia di due sentenze di
adozione piena di altrettanti minori da parte di due coppie di persone
del medesimo sesso.
52
The best interest of the child
In questa pronuncia ancor più che nell’altra che ho citato, la Corte
dopo aver individuato nell’art. 65 della legge 218/1995 la norma applicabile al caso di specie, scende ad una puntuale disamina del principio
dell’ordine pubblico internazionale, posto che solo la manifesta contrarietà a questo potrebbe impedire il riconoscimento in Italia di dette
pronunce di adozione legittimante.
Afferma la Corte che “il principio del superiore interesse del minore opera necessariamente come un limite alla stessa valenza della
clausola di ordine pubblico, che va sempre valutata con cautela ed alla
luce del singolo caso concreto”.
L’art. 24 della Convenzione Aja 93 (ratificata in Italia con legge
476/1998) stabilisce che “il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato da uno Stato contraente solo se essa è manifestamente contraria
all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse superiore del minore”.
Orbene, afferma la Corte che “il preminente interesse del minore
che è alla base della normativa nazionale ed internazionale in materia
di adozione, e quindi il diritto del minore a vivere in modo stabile in
un ambiente domestico armonioso e ad essere educato e assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali, vale
dunque ad integrare lo stesso concetto di ordine pubblico nella materia
specifica”.
La pronuncia sottolinea come non vi sia incompatibilità con altra
pronuncia che ribadisce che la adozione legittimante è consentita solo
a coniugi uniti in matrimonio ai sensi dell’art. 6 della legge adozioni
perché nel caso di specie le due donne lo sono validamente secondo la
legge straniera (e non vi sono intenti elusivi); né si può affermare che
l’inserimento di un minore in un contesto di coppia omosessuale possa
avere ripercussioni negative sul piano della crescita e dell’educazione
essendo sufficiente il richiamo a quanto già la Corte ebbe ad affermare in ordine alla ininfluenza di meri pregiudizi (Cass. 601/2013) ed in
ordine alla incidenza dell’orientamento sessuale della coppia sull’idoneità dell’individuo alla assunzione della responsabilità genitoriale
(Cass. 15202/2017).
Ancora: l’intesse del minore si sostanzia nel diritto a conservare lo
status di figlio che gli è riconosciuto da un atto validamente formatosi
in altro Paese della UE. Diritto ad avere due genitori non significa diritto ad avere due genitori di sesso diverso (Cass. 19599/16, sopra ricordata, sulla trascrizione dell’atto di nascita formato in altro Paese UE).
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
53
Il minore è titolare del diritto ad una vita familiare ai sensi dell’art. 8
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: ciò comporta un obbligo per gli Stati di porre in essere tutte le misure necessarie a garantire al fanciullo un contesto familiare funzionale al suo sereno sviluppo.
E qui si pone il problema se corrisponda all’interesse del minore vivere
in un contesto familiare in cui vi sia una convivenza more uxorio tra
persone del medesimo sesso.
La giurisprudenza si è mossa in modo diverso a seconda che il minore fosse o meno figlio di uno dei due. Negli anni sessanta l’orientamento era molto restrittivo venendosi a configurare addirittura il reato
di cui all’art. 570 c.p. nel caso di convivenza di un minore con coppia
omosessuale (condotta contraria all’ordine e alla morale della famiglia
nei confronti della prole). Posizione successivamente abbandonata in
seguito al riconoscimento della copertura costituzionale (art. 2: formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo) della convivenza tra persone del medesimo sesso.
Negli anni settanta tale nozione è accolta, purché, però, non vi siano
figli, nel qual caso si ritorna alla interpretazione restrittiva.
Negli anni ottanta si hanno pronunce (di merito) in cui si elide la
presunzione per cui la convivenza tra persone del medesimo sesso sia
pregiudizievole per la prole: il pregiudizio va dimostrato in concreto.
Il canone ermeneutico della valutazione caso per caso è alla base della
nota (e già ricordata) pronuncia n. 601 del 2013 nella quale la Corte di
Cassazione facendo leva sul superiore interesse del minore esclude che
vi sia pregiudizio se non è dimostrato. Il pregiudizio per il minore va
quindi accertato volta per volta.
Si va così affermando il principio per cui il superiore interesse del
minore è quello alla stabilità dei legami, all’affetto e alla bigenitorialità
non necessariamente costituita da persone di sesso diverso.
Il principio del superiore interesse del minore, quindi, secondo il
Supremo Collegio, svolge una funzione integratrice ma anche di adeguamento, conformazione e di correzione dello stesso principio di
legalità, consentendo di temperare o al limite di disapplicare talune
norme che incidono sui minori (Cass. 14007/2018). Il principio opera
come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine pubblico
che va sempre valutata con cautela alla luce del singolo caso concreto:
il diritto del minore a vivere in modo stabile in un ambiente domestico
armonioso e ad essere educato ed assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali vale dunque ad integrare lo
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The best interest of the child
stesso concetto di ordine pubblico nella specifica materia. Il principio
in oggetto, conformando l’ordine pubblico, consente di derogare anche alle norme penali (Cass. 19599/16 e vedi anche Corte Cost. 31 del
2012 sulla illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p. [su alterazione
di stato e automatica perdita della potestà genitoriale] appello Napoli
15.6.2018 n. 145/18 dep. 4.7.2018; legge 40/2004.
Proseguendo nella rapida disamina dei casi in cui il superiore interesse del minore incide sui diritti soggettivi, si ricorda che, in un’ottica
che non deve essere adultocentrica, i genitori possono “subire” una
sorta di affievolimento della loro responsabilità genitoriale se questo
corrisponde all’interesse del minore. Mi riferisco all’istituto introdotto
dal d.lgs. 154/2013 all’art. 317 bis c.c.: “rapporti con gli ascendenti”.
La norma, invero, per come formulata sembra più dettare un principio a favore degli ascendenti ma in realtà i provvedimenti che il giudice può adottare nel procedimento instaurato dagli ascendenti ai quali è impedito l’esercizio del diritto di mantenere rapporti significativi
con i nipoti, devono essere adottati nell’esclusivo interesse del minore,
ciò significa che il diritto degli ascendenti può cedere anche totalmente
ove il mantenimento di tali rapporti non corrisponda in realtà all’interesse del minore.
Il principio del superiore interesse del minore governa/ispira la
legge sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine
in affido familiare (legge 173/2015): legge nella quale il superiore interesse del minore è intervenuto “alterando” di fatto l’istituto dell’affidamento. Si tratta, come è noto, di legge nata (anche) sotto la spinta
della giurisprudenza CEDU. Con la sentenza Moretti e Benedetti vs
Italia del 27 aprile 2010, infatti, la Corte di Strasburgo ha condannato
l’Italia a risarcire una coppia di coniugi che, dopo essersi presi cura di
un minore per 19 mesi attraverso l’istituto dell’affidamento, si era visto
portare via la piccola in seguito all’affidamento ad altra coppia selezionata a fini di adozione (così come previsto, peraltro, dalla normativa
vigente che, proprio al fine di evitare commistioni tra istituti aventi
finalità diverse, escludeva che una coppia di coniugi affidatari potesse
aspirare alla adozione del minore in affido). Nella fattispecie, tuttavia,
la Corte EDU ha ritenuto che non fosse stata adeguatamente valutata
dai giudici italiani la domanda di adozione presentata dagli affidatari
alla luce del superiore interesse del minore e del diritto dei genitori a
creare una famiglia sulla base dell’art. 8 della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo (Per la verità, non tutti i giudici erano d’accordo.
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
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Il giudice Karakas aveva, ad esempio, osservato che il semplice legame
di fatto stabilitosi tra i ricorrenti e la bambina non realizza vita familiare non rilevando a tal fine neppure il desiderio di adottarla).
Anche la regolamentazione dei rapporti tra i genitori presso i quali il
minore ha fatto rientro e gli affidatari riproduce, nella sostanza, quell’affievolimento della responsabilità genitoriale di cui si è detto prima.
Nell’affidamento giudiziale, in ogni caso, sarà il Tribunale che dispone il rientro in famiglia a definire i rapporti dopo aver valutato l’interesse del minore a mantenerli.
Anche qui a mio avviso è necessario prestare molta attenzione per non
cadere nella “trappola” adultocentrica. Chi va tutelato non sono gli affidatari che avevano riposto speranze e illusioni nel bambino loro affidato
ma il bambino cui va garantito il diritto a mantenere una relazione che per
lui, per il suo sviluppo psicofisico, è stata/è positiva, tanto positiva che se
sussistono le condizioni per l’adottabilità (stato di abbandono) e gli affidatari facciano domanda di adozione il Tribunale deve tenere conto del
prolungato legame affettivo che si è instaurato tra adottanti e minore. (Si
può parlare di una corsia preferenziale per gli affidatari? L’art. 4, comma
5-bis, della legge 184 del 1983 sembrerebbe disporre in tal senso…).
Infine, almeno un accenno merita la previsione normativa di cui
all’art. 31, comma 3, del decreto legislativo 286/98: disposizione pacificamente ispirata al principio del superiore interesse del minore che
viene ad incidere su di una materia specifica quale quella della Pubblica Sicurezza.
Come è noto, la norma è inserita al Titolo IV del decreto legislativo
n. 286/1998, la cui rubrica indica in maniera specifica ed autonoma il
diritto all’unità familiare e la tutela dei minori.
Si tratta di due valori distinti, entrambi protetti dalle disposizioni
contenute nel titolo e non tra loro coincidenti: l’unità familiare è assicurata attraverso l’istituto del ricongiungimento familiare (art. 29), per
la protezione del minore viene invece prevista l’autorizzazione di cui
al comma terzo dell’art. 31.
Il tratto unificante dei diversi istituti è rintracciabile nella disposizione del comma terzo dell’art. 28, che espressamente prevede che in
tutti i procedimenti riguardanti i minori “deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo conformemente a quanto previsto dall’art. 3 comma 1 della Convenzione dei diritti del
fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge
27 maggio 1991 n. 176”.
56
The best interest of the child
Il superiore interesse del minore costituisce quindi un criterio ermeneutico da utilizzare nell’applicazione dell’intera normativa contenuta al Titolo IV.
La Convenzione, peraltro, declina questo principio generale in disposizioni specifiche, segnatamente all’art. 9 comma 1° laddove è scritto che “Gli stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi
genitori contro la sua volontà a meno che le autorità competenti non decidano,
sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente
del fanciullo” e all’art. 10 comma 1° che, nel richiamare l’obbligo degli stati di evitare la separazione del minore dai genitori, impone che
“ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare
(sia) considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza”.
Questi sono i criteri interpretativi indicati dalla Convenzione da
adottare anche nell’esegesi dell’art. 31 comma terzo, in esame, il cui tenore letterale chiarisce che l’autorizzazione può essere pronunciata dal
Tribunale “per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto
dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova in territorio italiano”.
La norma è finalizzata, nel carattere eccezionale che la connota, ad
evitare che lo sviluppo psicofisico del minore abbia a soffrire un grave
pregiudizio in conseguenza dell’allontanamento dal territorio nazionale del genitore; a tal fine il legislatore si è espressamente riferito all’età e alle condizioni di salute del minore, al fine di individuare alcuni
dei criteri che debbono essere seguiti nell’operare la valutazione del
pregiudizio potenziale, senza che tuttavia questi elementi siano necessariamente esaustivi dell’esame della complessiva condizione del minore, poiché la ratio della disposizione è in primo luogo la tutela dello
sviluppo psicofisico del minore nella sua interezza e complessità, proteggendolo dal potenziale pregiudizio che potrebbe subire o seguendo
nell’allontanamento il genitore privo del titolo di soggiorno, oppure
distaccandosi da questi e rimanendo in Italia.
Il criterio informato a “spirito positivo, umanità e diligenza” indicato
dalla Convenzione di NY è il più apprezzabile perché consente di apprezzare la condizione del minore come soggetto in evoluzione, nell’interezza
dei bisogni e delle aspettative che la sua educazione e crescita evidenza,
bilanciando la sua tutela come soggetto in evoluzione con l’interesse pubblico ad una ordinata programmazione dell’ingresso e della permanenza
in Italia di cittadini stranieri provenienti da paesi non comunitari.
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
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Per tali ragioni l’integrità dello sviluppo psicofisico non coincide
necessariamente con la sola salute fisica e psichica, che ne costituisce
certo un presupposto essenziale ma non esaustivo e per la quale altra
ed autonoma tutala è assicurata dal precetto costituzionale espresso
dall’art. 32 a prescindere dall’età della persona; neppure coincide con
quello della unità familiare, per il quale, come già precisato, è invece
dal legislatore predisposto altro rimedio, con l’istituto del rilascio del
permesso di soggiorno per coesione e ricongiungimento familiare, disciplinato dalle norme contenute all’art. 29.
Tale interpretazione della norma in questione appare in linea con
l’orientamento espresso dalla Cassazione a SU (Cass. 25.10.2010, n.
21799): la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in
presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non
richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di
circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua
salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle
condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico,
deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto.
Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al
proprio rimpatrio o a quello di un familiare.
Le più recente giurisprudenza si pone sulla medesima linea e ribadisce che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia
del familiare del minore prevista dall’art. 31 comma 3 in esame “non
richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di
circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua
salute ma può comprendere qualsiasi danno effettivo concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età e delle
condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico,
deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto.
Deve trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile
durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi
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The best interest of the child
traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare” (Cass. 12.12.2017 n.
29795; Cass. 20.7.2015 n. 15191).
Superata quindi può ritenersi la precedente giurisprudenza (Cass. n.
747/2007, n. 10135/2007 e 5856/10 (postesi in continuità con la pronuncia delle sezioni Unite n. 22216 del 2006) che [escludeva dal paradigma
del disposto normativo le esigenze di salvaguardia di una situazione di
integrazione nel tessuto sociale che renda le condizioni di vita del minore consone alle esigenze evolutive proprie dell’età e migliori rispetto
a quelle godute o godibili nel paese di origine o altrove, in quanto si ricollegano al normale processo educativo - formativo del minore stesso
e sono perciò d’indeterminabile o lunghissima durata e] precisava che
le condizioni consistenti nei gravi motivi connessi allo sviluppo-psico
fisico del minore stesso, tenuto conto delle condizioni di salute e di età,
sono positivamente riscontrabili solo quando sia accertata l’esistenza
di una situazione d’emergenza, rappresentata come conseguenza della
mancanza o dell’allontanamento improvviso del genitore, a carattere
eccezionale o contingente, che ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, mentre non possono essere ravvisate
nelle ordinarie necessità di accompagnarne il processo d’integrazione
ed il percorso educativo, formativo e scolastico, trattandosi di esigenze
incompatibili con la natura temporanea ed eccezionale dell’ autorizzazione, che viene concessa in deroga all’ordinario regime giuridico dell’
ingresso e del soggiorno degli stranieri (cfr Cass. 5856/2010).
Con la pronuncia n. 4238 del 4 giugno 2018, inoltre, la Suprema
Corte ha affermato che “la sussistenza di comportamenti del familiare
medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale
deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della
sua condotta al fine di stabile, all’esito di un attento bilanciamento, se
le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi
connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria”.
Una significativa modifica ha subito anche il comma 4 dell’art. 31
per effetto della legge 47/2017. In forza della novellata disposizione
infatti, la espulsione del minore non può essere disposta se comporta
un rischio di danni gravi per il minore. Quindi, nel bilanciamento degli interessi, da un lato la sicurezza, dall’altro l’interesse del minore,
quest’ultima prevale.
Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore
59
Merita ancora di essere ricordato come il principio del superiore
interesse del minore abbia portato la giurisprudenza ad una interpretazione estensiva della espressione “altri familiari” di cui all’art. 3,
comma 2, lettera a) del d.lgs. 30 del 2007 (che ha recepito la Direttiva
sul diritto dei cittadini della UE e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri) in conformità con la Convenzione di NY; secondo una accezione non strettamente parentale in ragione del perseguimento, appunto del superiore
interesse del minore, prevalente su eventuali interessi confliggenti.
Nel caso di specie la Cass (22.5.2014 n. 11404) ha cassato il decreto
della corte d’appello con cui si era negata la qualifica di familiare di
cittadino comunitario al minore extracomunitario non discendente diretto del coniuge o del partner, ma solo in forza di un istituto quale
la Kafalah giudiziale, vigente nello stato del Marocco ai fini del ricongiungimento in Italia.
Da ultimo, interessante, nella sottrazione internazionale di minore
l’evoluzione della giurisprudenza soprattutto della CEDU: in un primo momento il principio del superiore interesse del minore viene utilizzato come chiave di lettura e interpretazione della Convenzione di
diritto internazionale privato in materia di sottrazione di minore; poi
si assiste ad una progressiva erosione della rigida applicazione della
fonte di diritto in esame per giungere a decisioni in cui il best interest
autonomamente considerato determina provvedimenti giurisdizionali
non stereotipati ma aderenti ad un’analisi case by case.
Interesse del minore: problematiche
interpretative
Giovanni Giacobbe
1. Nel preparare la mia riflessione in questo importante convegno, ho
limitato l’analisi con riferimento ad una questione metodologica – per
non dire linguistica o semantica – avendo come punto di riferimento
l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione e dei giudici di merito, nonché della elaborazione dottrinale, al fine di identificare, nell’ambito della legislazione vigente, quale sia il contenuto che
deve attribuirsi all’espressione interesse del minore, avuto riguardo in
modo particolare con quanto affermato nella recente legge sulla filiazione che, giustamente, viene indicata come legge Bianca.
2. Prescindendosi dalla formulazione in lingua inglese, che dà il titolo
a questo convegno, le espressioni usate sono variamente articolate: interesse del minore, interessi del minore, prevalente interesse del minore. Tuttavia, dovendosi tradurre le formulazioni indicate nel loro contenuto
precettivo, che deve essere individuato in funzione della adozione di
provvedimenti che di tale interesse debbano realizzare la tutela, rimane, a mio avviso, una evidente incertezza del dato legislativo che la giurisprudenza tende a tradurre in certezza, attraverso l’attuazione di quella categoria definita diritto vivente, ormai divenuta una sorta di dogma
nella interpretazione del sistema ordinamentale, avuto riguardo, per
un verso, alle indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, per
altro verso, al dato normativo che attribuisce alla Corte di Cassazione la
competenza ad assicurare l’esatta osservanza del diritto oggettivo nazionale,
realizzandosi quella che viene comunemente definita nomofilachia.
Certamente, le richiamate indicazioni adottate dalla Corte Costituzionale, con una giurisprudenza ormai consolidata, portano a ritenere che il dato normativo non vive nella sua astrattezza espressa dalla
62
The best interest of the child
formulazione letterale della disposizione, ma vive nella attualità della
applicazione che viene operata in sede giurisprudenziale.
Si tratta di un principio che ormai ha avuto ed ha larga applicazione
anche se non esprime una novità categoriale, dovendosi riconoscere che,
fin dalle codificazioni realizzate nell’ampia evoluzione storica del diritto
romano, i tentativi di delimitare gli effetti della interpretazione rispetto
alla formulazione legislativa non hanno avuto grande successo. Come è
noto, infatti, nel corso della evoluzione del diritto romano, fin dalla legge
cosiddetta delle citazioni, si era posto il tentativo di delimitare i contenuti
interpretativi della norma giuridica; per non dire di quanto accaduto nel
corso della Rivoluzione francese, nell’ambito della quale la creazione della
Corte di Cassazione aveva come suo obiettivo di definire l’ambito del potere dell’interprete, rispetto al rapporto tra la legislazione rivoluzionaria
e la formazione dei giuristi riconducibile alla cultura dell’ancien regime.
Nell’indicato contesto, il giurista interprete, magistrato, avvocato,
teorico del diritto – personalmente non ho mai ritenuto che vi sia una
contrapposizione tra le indicate posizioni – deve, attraverso l’analisi
del sistema normativo, individuare il contenuto della disciplina dettata dal legislatore, al fine di risolvere il conflitto di interessi che, di volta
in volta, deve essere valutato.
3. Tornando alla analisi della categoria giuridica interesse del minore –
categoria che nella molteplicità delle indicazioni legislative può qualificarsi come clausola generale – e verificandone l’attuazione attraverso
l’intervento giurisprudenziale e la correlativa elaborazione dottrinale,
emergono situazioni non univocamente definibili negli effetti giuridici
che ne derivano.
Invero, l’analisi della giurisprudenza, di merito e di legittimità, che
è stata condotta nella prima parte di questo convegno, porta a ritenere
che, nella concretezza delle situazioni di fatto analizzate per definire la
tutela del minore, e gli effetti giuridici che ne derivano, si è realizzata
una molteplicità di qualificazioni, in concreto, dell’indicato interesse.
Premesso che sul punto la giurisprudenza, soprattutto della Corte
di Cassazione, ma anche dei giudici di merito, ha posto in essere opzioni interpretative non sempre riconducibili in modo univoco al sistema normativo, sembra doversi osservare che nella identificazione della categoria giuridica in esame, pur dovendosi aderire – a mio parere
– come prima prospettiva al dato ordinamentale, sia pure, ovviamente,
con tutte le implicazioni che l’attività interpretativa comporta, si rende
Interesse del minore: problematiche interpretative
63
necessario operare una verifica attraverso l’interpretazione sistematica
dell’ordinamento giuridico, nell’ambito della quale l’interprete deve
perseguire l’obiettivo di identificare, in modo univoco, quale sia in
concreto l’interesse del minore.
Al fine di procedere alla indicata identificazione, non possono non
manifestarsi serie perplessità che l’analisi della giurisprudenza suggerisce, soprattutto avuto riguardo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale sembra orientata, nell’esercizio della funzione nomofilattica che le è propria, a dare la prevalenza alla situazione concreta, piuttosto
che alla riconduzione di essa nell’ambito del parametro normativo.
Nell’ambito della ricostruzione del diritto vivente operata dalla Corte di Cassazione si inserisce la recente sentenza delle Sezioni Unite
civile 12193 del 2019 la quale, affrontando la problematica del limite
all’ordine pubblico che preclude la maternità surrogata, ha affermato
il principio secondo cui la tutela della dignità della gestante, espressione di un valore di ordine pubblico prevale sull’interesse del minore
nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore,
al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione.
Si tratta di una ulteriore puntualizzazione, ancora una volta riservata
alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione che merita di essere approfondita, nel tentativo di dare soluzione alla problematica della
tutela dell’interesse del minore nel sistema ordinamentale vigente.
4. In prima approssimazione, deve considerarsi, nell’ambito del diritto
positivo, ancorché interpretato secondo le indicazioni contenute nell’art.
12 delle preleggi, l’art. 2 della Costituzione, nella duplice prospettiva della tutela dei diritti inviolabili della persona e, contestualmente,
dell’applicazione degli inderogabili valori della solidarietà sociale.
Secondo tale indicazione, l’interesse del minore deve essere identificato nella tutela, con riferimento alla condizione nella quale il minore
si trova, dei diritti inviolabili nella loro molteplice articolazione, ovviamente rapportata alla condizione del minore medesimo.
La configurazione dell’art. 2 della Costituzione, come norma fondamentale idonea ad identificare l’interesse del minore, comporta il necessario richiamo al rapporto tra la individualità del minore e le formazioni sociali nelle quali esso è inserito fin dalla nascita, prima fra tutte la
famiglia, che rappresenta la prima aggregazione tra soggetti nella quale
il minore è inserito e nell’ambito della quale emergono interessi primari
quali l’educazione, il mantenimento, l’istruzione, la formazione.
64
The best interest of the child
5. Il richiamo alle formazioni sociali nelle quali il minore, come individuo,
si inserisce, e nell’ambito delle quali deve realizzarsi l’interesse – o gli interessi – del quale è portatore, emerge l’art. 29 della Costituzione che, garantendo i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio,
identifica – sembra ovvio – i diritti del minore che, come si è detto, nella
famiglia realizza il primo incontro con la realtà sociale.
Ovviamente, prescindo in questa sede dall’affrontare il dibattito su
che cosa debba intendersi, nella applicazione del citato art. 29 Cost.,
come famiglia: il dibattito che da qualche decennio si svolge nella
cultura giuridica e sociale del nostro tempo, e che recentemente ha
trovato applicazione in alcuni interventi legislativi suscettibili di serie perplessità, non può tuttavia prescindere dalla applicazione, nella
identificazione della categoria interesse e/o interessi del minore, della tutela dei diritti inviolabili riconducibili a quest’ultimo, nella prospettiva
di specifico riconoscimento contenuto nel più volte citato art. 29 Cost.
Senza approfondire la problematica, mi limito soltanto ad osservare che non deve ritenersi condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale che ha identificato, soprattutto con riferimento alla adozione
nei casi speciali, la possibilità di adozione da parte di coppie dello stesso sesso, fino ad arrivare alla affermazione di tale risultato che risulterebbe compatibile con il sistema ordinamentale, non essendo legislativamente vietato alle coppie dello stesso sesso di procreare: si tratta,
infatti, di una espressione, ancorché contenuta in sentenza di merito,
di difficile comprensione, determinata probabilmente dalla circostanza che è sfuggito all’estensore il significato specifico del termine ontologico: per chiudere il riferimento all’indicato indirizzo giurisprudenziale, sembra doversi ritenere che la garanzia di tutela dell’interesse
del minore, riconducibile ai diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio, debba presupporre che la categoria famiglia
sia quella definita in modo univoco dall’art. 29 della Costituzione.
6. Secondo le indicazioni che precedono, a mio sommesso avviso, ci
si deve collocare in una prospettiva di analisi sistematica dell’ordinamento giuridico, che, non potendosi condividere, o non potendosi
sempre condividere, gli orientamenti della giurisprudenza, di merito
e di legittimità, non consenta di circoscrivere la categoria dell’interesse
del minore, avuto riguardo alla mera situazione di fatto, senza identificare i parametri normativi che, secondo il legislatore, debbono essere
assunti per la identificazione della categoria in esame.
Interesse del minore: problematiche interpretative
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Nell’indicato contesto, non può non prospettarsi qualche perplessità con riferimento a quegli orientamenti giurisprudenziali che, al fine
di tutelare l’interesse del minore, sembrano legittimare effetti giuridici
in concreto definiti senza procedere alla realizzazione del rapporto tra
situazione concreta e previsione normativa: si tratta, infatti, della utilizzazione di una astratta e generica categoria di interesse del minore per
legittimare, sul piano degli effetti giuridici, conseguenze che sono difficilmente condivisibili, come nell’ipotesi – che si trae da una decisione
di merito – nella quale l’interesse del minore viene assunto come criterio idoneo a consentire la disapplicazione di una norma imperativa
di diritto positivo, fino ad arrivare anche alla disapplicazione, se non
vado errato, di un precetto del codice penale.
In questa prospettiva, sembra imporsi una riflessione relativa alla
identificazione dei confini entro i quali l’attività interpretativa dell’ordinamento positivo deve essere realizzata: le prospettate disarticolazioni che conseguono dagli indicati indirizzi giurisprudenziali, secondo la mia valutazione, sono determinate dalla utilizzazione del criterio
metodologico di identificare la categoria interesse del minore, avuto riguardo alla situazione di fatto nella concretezza della sua attuazione,
prescindendosi dal necessario raffronto con il parametro normativo
che deve costituire la premessa della attuazione del provvedimento di
tutela del minore.
7. Procedendo nel quadro delle linee tracciate dalla Costituzione, ed
operando una analisi degli orientamenti interpretativi, giurisprudenziali e dottrinali, che debbono essere correlati al parametro costituzionale, un ulteriore elemento identificativo dell’interesse del minore, da
attuarsi nella concretezza delle singole situazioni, emerge dall’art. 30,
comma 1 della Costituzione che, con formulazione radicalmente innovativa rispetto alla previgente tradizione giuridica, ha affermato il diritto e dovere dei genitori di istruire, educare e mantenere i figli anche se nati
fuori del matrimonio. Il carattere innovativo della indicata formulazione
precettiva emerge ove si consideri che nel rapporto conseguente alla
procreazione si identifica la categoria del diritto soggettivo del genitore
che, nell’ordinamento previgente, veniva definito sotto il profilo del
potere-dovere: il legislatore costituente, che era tecnicamente attrezzato,
certamente più del legislatore attuale, ha avuto cura di distinguere il
profilo della istruzione dal profilo della educazione, in relazione al quale
poi deve essere valutato l’art. 33 della stessa Costituzione, nel quale
66
The best interest of the child
allo Stato è assegnato il compito di realizzare le strutture dirette alla
istruzione, mentre il compito educativo – che non può competere allo
Stato, trattandosi di Stato laico – viene riservato a strutture indipendenti, il cui compito educativo deve svolgersi, in virtù dell’art. 29 Cost.,
in collaborazione con la famiglia.
Il richiamo all’art. 30 della Costituzione sembra fondamentale per
procedere alla identificazione della natura giuridica e del contenuto della categoria interesse e/o interessi del minore per affermare la preminente
espressione dell’interesse del minore ad essere istruito, educato e mantenuto dai genitori, con particolare riferimento alla formazione sociale,
identificata nella famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio.
La indicata prospettazione non contraddice con la previsione che il
diritto-dovere dei genitori si realizza anche qualora il rapporto procreativo non abbia titolo legittimante nel matrimonio: infatti, l’art. 30 della Costituzione non contraddice, ma integra, l’art. 29, estendendo gli
effetti vincolanti del rapporto procreativo anche nella ipotesi che esso,
come si è detto, non trovi legittimazione nel matrimonio, attribuendosi rilevanza costituzionale al predetto rapporto procreativo, secondo
quella che è stata definita responsabilità per la procreazione.
Nella prospettiva definita sulla base della individuazione di parametri normativi di natura costituzionale, a mio avviso, deve ribadirsi,
con tutti gli effetti che ne derivano sul piano dell’ordine pubblico costituzionale, nonostante talune discutibili pronunce giurisprudenziali, il divieto della maternità surrogata e, a mio avviso, il divieto della
fecondazione eterologa, che comporta, tra l’altro, la preclusione alla
identificazione di colui che abbia assunto la responsabilità per la procreazione.
Sono consapevole della decisione al riguardo della Corte Costituzionale, ma, pur altrettanto consapevole della presunzione nell’esprimere una mia valutazione, ritengo che la fecondazione eterologa, con
preclusione della ricerca del rapporto conseguente alla procreazione,
sia in contrasto con l’art. 30, comma 1 della Costituzione, nella misura
in cui elimina il rapporto giuridico costituzionalmente garantito tra
colui che procrea e colui che è procreato.
8. La ricostruzione del sistema ordinamentale da assumere come parametro normativo per la identificazione della natura giuridica e del
contenuto dell’interesse del minore si riflette nell’art. 147 c.c., integrato
dagli artt. 315 bis e 317 bis c.c., introdotti con la legge Bianca, che, nella
sostanza, dà applicazione all’art. 30, comma 1 Cost., correlato all’art. 29
Interesse del minore: problematiche interpretative
67
della stessa Costituzione. Il rapporto procreativo determina, come si è
già accennato, un vincolo giuridico di natura costituzionale, dal quale
scaturiscono elementi fondamentali per la realizzazione della personalità del minore e che, quindi, debbono rappresentare, nella applicazione e nella interpretazione dell’ordinamento positivo, parametri
normativi essenziali per definire negli effetti giuridici e nei contenuti,
la categoria interesse del minore.
9. Altre analisi potrebbero essere prospettate per concorrere alla individuazione di parametri normativi che debbono essere adottati, pur
nella concretezza della situazione nella quale il minore si trova, per
identificare la categoria interesse del minore, in ordine al quale, sembra
debba essere considerata la recente fondamentale riforma che ha definito un unico status giuridico unitariamente considerato come effetto
della procreazione, nella duplice dimensione che emerge dall’art. 30
Cost. dianzi citato.
Nella indicata prospettiva, pur consapevole delle, certamente più
autorevoli, indicazioni, mi permetto di sottoporre alla valutazione critica di questo incontro l’esigenza di una revisione metodologica, che
possa eventualmente portare anche ad una ipotesi di introduzione di
criteri normativi che siano orientativi dell’attività dell’interprete, nel
senso di definire, in termini, non direi oggettivi – l’oggettività assoluta nell’ambito dei criteri normativi non esiste – ma di indicazione
di linee unitarie di comportamento che possano consentire di evitare
quella variegata, per non dire altro, articolazione della giurisprudenza
che prospetta soluzioni che non sempre sono condivisibili e che, non
sempre, realizzano quell’interesse del minore che dovrebbero attuare nel
caso concreto.
La maternità surrogata e l’interesse del minore
Gabriella Luccioli
Sommario: 1. La maternità surrogata. – 2. Lo status del bambino nato
da maternità surrogata e il suo superiore interesse. – 3. La trascrivibilità dei certificati di nascita dei bambini nati all’estero da maternità
surrogata. Il limite dell’ordine pubblico internazionale.
1. La maternità surrogata
Forse in nessuna materia come quella della maternità surrogata la
questione dell’interesse del minore, che costituisce il tema centrale
del convegno, viene in rilievo in modo tanto immediato e dirompente.
La definizione dello status del minore nato da surrogazione, che
il legislatore non ha in alcun modo disciplinato, limitandosi a porre
il divieto penalmente sanzionato di accesso a tale pratica, impone in
via prioritaria di esaminare la natura della gestazione per altri e la sua
compatibilità con i principi fondamentali del nostro ordinamento: si
tratta di un grande tema, di enorme complessità e delicatezza, che richiede un approccio di tipo interdisciplinare, in quanto chiama in causa la filosofia, l’etica, la biologia, la sociologia, il diritto.
Discutere di maternità surrogata vuol dire inserirsi in un dibattito nato
alcuni anni or sono in Francia e rapidamente sviluppatosi in molti Paesi,
che vede fronteggiarsi due posizioni antitetiche tra gli osservatori e soprattutto tra le osservatrici, divise tra coloro che intendono la surrogazione come un dono o come espressione di libertà procreativa e coloro che
ritengono che essa si sostanzi in un atto di mercificazione del bambino e
della madre e ricordano che il grembo materno non è un contenitore, ma
un luogo di relazione, e che tale pratica decostruisce la nozione giuridica
70
The best interest of the child
di maternità e sovverte il principio della verità del parto, integrando una
sorta di schiavismo moderno.
Come accennavo, la pratica della maternità surrogata è vietata e sanzionata penalmente nel nostro Paese (ma anche in Austria, Germania,
Spagna, Francia, Svizzera, tra gli altri) dall’art. 12 comma 6 della legge n.
40 del 2004, mentre è consentita in vari Stati stranieri, in alcuni di essi solo
se gratuita (come in Canada, Danimarca, Regno Unito, Irlanda, Australia,
Nuova Zelanda, Belgio, Olanda, Grecia, Israele, Repubblica Ceca), in altri
anche se attuata in forma commerciale (così in Georgia, Ucraina, Messico, Russia, alcuni Stati USA). La California e l’Ucraina sono gli Stati
nei quali è più fiorente l’industria della surrogacy. Segnalo in particolare
che in California il favore verso tale pratica è così forte che l’accordo di
surrogazione può essere sciolto soltanto con l’intervento del giudice, e
non per volontà delle parti, e che è possibile ottenere un provvedimento
giudiziale attributivo della genitorialità ai committenti ancor prima della
nascita del bambino, così rendendo fin da quel momento definitiva e irrevocabile la rescissione di ogni legame tra madre surrogata e nascituro.
Va al tempo stesso evidenziato che vari ordinamenti in cui la maternità surrogata era in passato ampiamente consentita hanno di recente
avviato un processo di revisione delle proprie posizioni: la Thailandia
ed il Nepal nel 2015 hanno vietato la maternità surrogata commerciale; l’India, dopo aver largamente aperto alle pratiche surrogatorie, nel
dicembre 2018 ha approvato una legge che ne limita l’applicazione alle
coppie indiane sposate da almeno cinque anni, o almeno a quelle in
cui uno dei committenti abbia passaporto indiano, dispone altresì che
la gravidanza sia gestita da una parente stretta della coppia e pone il
divieto assoluto di maternità surrogata commerciale.
Analizzando il fenomeno in oggetto può osservarsi in una prima
approssimazione che nel quadro delle metodiche di procreazione medicalmente assistita la maternità surrogata riveste una posizione del
tutto peculiare rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale, omologa o eterologa, postulando la collaborazione di una donna
estranea alla coppia, definita madre surrogata o gestazionale, che presta
il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire
un bambino non per sé, ma per un’altra persona, solitamente definita
madre committente, a prescindere dalla provenienza del materiale genetico e dalle modalità con le quali esso viene introdotto nel corpo della
donna, che si impegna a consegnare il bambino, una volta messo al
mondo, alla coppia committente.
La maternità surrogata e l’interesse del minore
71
Si tratta quindi di una pratica che utilizzando tecniche inizialmente
create per altri fini coinvolge più soggetti in modo assai più pervasivo della fecondazione eterologa e che conferisce un ruolo centrale alla
posizione della gestante per altri, onde qualsiasi semplicistica assimilazione ad una p.m.a. eterologa è chiaramente improponibile.
È evidente che la sanzione penale di cui all’art. 12 comma 6 della
legge n. 40 esprime l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento attribuisce alla surrogazione di maternità, in essa ravvisando
una inaccettabile frattura del rapporto genitoriale materno, con effetti
pregiudizievoli sia sui minori che sulle donne coinvolte, ed una altrettanto inaccettabile riduzione del rapporto con il bambino in termini
meramente proprietari.
Nella stessa prospettiva si pongono l’art. 5 c.c., che vieta gli atti di
disposizione del proprio corpo, l’art. 3 della Carta di Nizza, che vieta
di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,
nonchè il disposto dell’art. 21 della Convenzione di Oviedo, ai sensi
del quale il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali,
fonte di profitto, e prima ancora l’art. 31 Cost., che al comma 2 fa carico
allo Stato di proteggere la maternità.
La forza primaria e dirimente conferita dall’ordinamento a quei valori
che attengono all’essenza stessa della persona, come quello alla sua dignità, un valore che l’art. 3 comma 1 della Costituzione antepone al principio
di eguaglianza e che costituisce un criterio ineludibile di definizione del
rapporto tra diritto e scienza, induce a ritenere che il divieto di maternità
surrogata si ponga a tutela del valore fondamentale della dignità della
donna, che non può essere ridotta ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata per contratto a non appartenerle mai ed il cui
corpo non può essere affittato come si affitta un appartamento vuoto.
L’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il
bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto,
riducendo la prima a mero servizio gestazionale ed il secondo ad atto
conclusivo di tale prestazione servente, costituisce a mio avviso una
ferita alla dignità di quella donna ed un attacco demolitore della relazione materna.
Non può tacciarsi di dogmatismo una posizione di tutela del valore
fondamentale della dignità della gestante, atteso che la dignità non è
un dogma, ma è un valore che permea l’intero patto costituzionale.
72
The best interest of the child
Né possono essere ignorati i pesanti limiti che devono subire le
donne durante la gravidanza rispetto al cibo, allo stile di vita, ai controlli medici, e dopo il parto rispetto alla privazione dell’allattamento.
A ben vedere, la rinuncia preventiva ai diritti materni si risolve in
un atto contrario alla libertà non solo di quella donna, ma di tutte le
donne. Se non si dà senso a parole che lo hanno smarrito si finisce con
il pensare che far nascere un bambino con la surrogata sia un gesto di
libertà e di progresso, mentre il rifiutare una pratica che riduce le donne a contenitori ed i bambini a oggetto di scambio sia segno di bigottismo reazionario. A me sembra piuttosto che la rinuncia preventiva
ai diritti materni riduca quella donna ad una donna-cosa, e che nulla
cambi per il bambino, ma per molti aspetti anche per la madre, se ciò
avvenga a titolo oneroso o gratuito.
In questa prospettiva è agevole individuare quale solida ratio del divieto posto dall’art. 12 comma 6 l’esigenza di porre regole e confini al
desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona, utilizzato come mero supporto
materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile.
Né mi pare fondata l’obiezione di chi osserva che la surrogazione
di maternità costituisce l’unica forma di accesso alla genitorialità non
adottiva per le coppie omosessuali maschili e che pertanto un divieto assoluto di tale pratica, oltre che rivelare una posizione ideologica
contraria alla omogenitorialità, integrerebbe una evidente disparità
di trattamento rispetto alle coppie omosessuali femminili. Si tratta a
mio avviso di una obiezione mal posta, in quanto non viene qui in
discussione la capacità genitoriale delle coppie omosessuali, siano esse
maschili o femminili, ma la compatibilità con i valori fondamentali
dell’ordinamento di una pratica, utilizzabile anche dalle coppie eterosessuali, che mercifica e sfrutta il corpo femminile. Non può inoltre
non rilevarsi che, come è stato già ricordato, la genitorialità non è un
diritto, ma un desiderio, un’aspirazione o un istinto che non può portare oltre i limiti dell’umano.
In conclusione, a fronte di un turismo procreativo sempre più intenso che si avvale di mercati aperti per raggiungere obiettivi in Italia
vietati, diventa comprensibile, anche se difficile da percorrere, la linea
tracciata da quei movimenti che nello sforzo di reperire soluzioni a
livello globale tendono ad investire le istituzioni internazionali della
questione ed invocano la configurazione di un reato universale, al fine
di porre termine ad un fenomeno ritenuto come una nuova forma di
La maternità surrogata e l’interesse del minore
73
schiavitù realizzata prevalentemente dal mondo ricco e civilizzato ai
danni dei paesi e dei soggetti più poveri e che in ogni caso poggia su
relazioni economiche diseguali.
Ricordo altresì che il Parlamento Europeo con la Risoluzione del
17 dicembre 2015 ha condannato la pratica in discorso in quanto compromette la dignità umana della donna, dal momento che il suo corpo e le sue
funzioni riproduttive sono usati come una merce, e che il Consiglio d’Europa l’11 ottobre 2016 ha bocciato la proposta di raccomandazione della
parlamentare belga De Sutter diretta, tra l’altro, a dettare le linee guida
per la disciplina dello status dei bambini venuti al mondo a seguito di
maternità surrogata, ritenendo che detto intervento potesse favorire la
legalizzazione diffusa di detta pratica.
Mi sembra ancora utile segnalare che il 2 febbraio 2016, a conclusione di un convegno svoltosi a Parigi nella sede del Parlamento francese,
è stata votata e approvata da organizzazioni impegnate nella difesa dei
diritti umani, da rappresentanti del mondo politico e della comunità
scientifica la Carta di Parigi, un documento volto a proporre agli Stati
europei l’abolizione della maternità surrogata, ritenuta disumanizzante
e contraria alla dignità e ai diritti delle donne e dei bambini.
A fronte di un dibattito così acceso appare essenziale un intervento
del Parlamento che affronti il quesito se sia opportuna l’apertura di
uno spazio di legittimazione della gravidanza per altri o se invece se
ne debba sancire l’illegalità anche se compiuta all’estero. In quest’ultima direzione si muovono varie iniziative legislative avviate sia nella
precedente che nel corso di questa legislatura (ricordo tra gli altri il
disegno di legge del Senato n. 519) dirette a configurare come illecito
penale la surrogazione di maternità realizzata all’estero.
2. Lo status del bambino nato da maternità surrogata
e il suo superiore interesse
La questione più delicata da affrontare riguarda lo status del bambino nato all’estero da surrogacy conformemente alla lex loci, ovvero comunque nato da detta pratica in Italia o all’estero in violazione di norme
di legge, atteso da un lato che la previsione di essa come reato non soccorre ai fini della determinazione dello status del minore e che d’altro
lato per giurisprudenza consolidata la surrogazione all’estero in conformità della legge ivi vigente da parte di cittadini italiani non può essere
ricondotta all’illecito penale di cui all’art. 12 comma 6 della legge n. 40.
74
The best interest of the child
È evidente che nell’approccio a tale questione è necessario confrontarsi
con il principio del superiore interesse del minore, che costituisce, come è
noto, la stella polare del sistema ed il fondamentale canone di riferimento
in tutte le decisioni che riguardano i minori. Il tema sollecita alcuni stringenti interrogativi: come si atteggia l’interesse del minore, che deve essere
superiore, e quindi preminente su ogni altro interesse, rispetto al fatto compiuto posto in essere in violazione della legge italiana?
È giusto ritenere che bastano pochi giorni o poche settimane di convivenza per usucapire il bambino in ragione del suo superiore interesse,
ma in plateale elusione del divieto di rilevanza penale di maternità
surrogata?
Ed ancora, quale valore finisce per assumere la sanzione penale
se è sufficiente ricorrere alla surrogazione all’estero per veder sanata
la violazione attraverso l’attribuzione dello status di cittadino italiano
al figlio della coppia committente? È evidente che una tale sanatoria
comporta il sostanziale venir meno di ogni possibilità di prevenzione
del fenomeno.
È peraltro indiscutibile che affidare la riposta a tali quesiti al ruolo di
supplenza del giudice può dar luogo ad incertezze ed oscillamenti giurisprudenziali estremamente pregiudizievoli per gli utenti della giustizia e per tutti i cittadini, a fronte di una forte esigenza di chiarezza.
Come correttamente osserva Casaburi, detti interrogativi non
sono stati affrontati dalla Corte Costituzionale nella non remota sentenza n. 272 del 2017, che nel delimitare l’oggetto della prospettata
questione di costituzionalità all’impugnazione del riconoscimento ex
263 c.c. per difetto di veridicità ha considerato estranei al tema al suo
esame sia il divieto della maternità surrogata sia i limiti della trascrivibilità in Italia dei relativi certificati di nascita. Nel prendere atto
che in tale decisione il progetto riproduttivo è rimasto fuori dal contesto di riferimento, non può tuttavia non rilevarsi la scarsa linearità
di alcuni passaggi della motivazione, lì dove da un lato si ribadisce
l’illegittimità della surrogazione e dall’altro si afferma la necessità di
salvaguardare l’interesse superiore del minore. La scelta consapevole
della Corte di eludere il problema rimette nelle mani dell’interprete
ogni valutazione circa l’interferenza del divieto in discorso con l’interesse superiore del minore.
Nel procedere a tale valutazione io credo che non ci si debba
munirsi del microscopio che ingrandisce i dettagli del caso specifico, ma si debba usare il telescopio, che consente di esaminare con
La maternità surrogata e l’interesse del minore
75
uno sguardo lungo tutte le implicazioni che comporta il ricorso alla
maternità surrogata. Pur nella estrema opinabilità di ogni soluzione,
io penso che il principio di tutela della dignità della gestante ferita
dalla mercificazione del suo corpo, quel principio sopra ampiamente
evocato, non possa non influenzare la decisione. Ciò vale a dire che il
considerare la gestazione per altri come pratica contraria ai principi
fondamentali del nostro ordinamento non lascia spazio ad un bilanciamento con interessi diversi che faccia prevalere quello del minore
alla conservazione dello status filiationis.
Osservo al riguardo che il far coincidere il best interest of the child
con la conservazione senza condizioni di un legame inteso come formativo della sua identità personale e sociale, richiamando il diritto,
di cui ogni minore è titolare, a vivere in modo stabile in un ambiente
domestico armonioso nel segno della continuità affettiva, vuol dire relegare nella sfera dell’irrilevanza l’aver fatto ricorso alla gestazione per
altri, fornendo altresì legittimazione a rapporti instaurati sfuggendo
ad ogni verifica del giudice italiano. Per questa via la tutela del presunto interesse del minore alla conservazione dell’esistente finisce anzi per
prevalere sul principio di legalità, permettendo di aggirare il divieto di
maternità surrogata.
Rilevo inoltre che identificare il superiore interesse del minore con
il diritto a conservare lo status filiationis riconosciuto da un atto formato all’estero significa formulare una valutazione del tutto priva di
concretezza, in quanto svincolata da ogni riferimento alla vita di quel
minore ed ancorata soltanto al dato giuridico dell’acquisizione dello
status all’estero. Ancor prima, a me pare che tale identificazione, che
prescinde dall’età del bambino e dalla durata e qualità del legame con
i committenti, sia espressione di mera ideologia.
Ritengo altresì che l’esigenza di tutela della stabilità affettiva e
delle relazioni con gli adulti che hanno segnato nel passato la crescita del minore non possa confondersi con il rispetto a priori e in assoluto di situazioni poste in essere al di fuori di ogni controllo, spesso
con l’inganno, sulla base di scelte ispirate ad un malinteso desiderio
di genitorialità.
Osservo ancora che l’identità personale è un concetto dinamico e
relazionale, non cristallizzato al momento della nascita, ma soggetto
ad essere influenzato dalle relazioni sviluppatesi con il mondo esterno,
dall’appartenenza al luogo in cui si cresce, dalla storia e cultura propri
e dei propri genitori.
76
The best interest of the child
Credo piuttosto sia necessario chiedersi se corrisponda al miglior
interesse del minore l’interruzione netta e definitiva, immediatamente
dopo il parto, del legame simbiotico tra il nato e colei che lo ha generato, con una lacerante destrutturazione della relazione materna, associata al fatto di non poter mai neppure conoscere l’identità della genitrice.
Per queste ragioni non condivido la posizione di coloro che tendono a distinguere il caso in cui si faccia questione di pretese strettamente inerenti al contratto di surrogazione, in cui la contrarietà all’ordine
pubblico internazionale non potrebbe essere posta in dubbio, da quello in cui si invochi il riconoscimento dello status di figlio per il soggetto
nato da tale pratica, in cui verrebbero unicamente in gioco l’interesse
del minore ed i diritti fondamentali della persona.
Come è noto, con la sentenza n. 24001 del 2014, pronunciandosi per
la prima volta sul tema, la Corte di Cassazione ha ravvisato lo stato di
abbandono, e di conseguenza l’adottabilità, di un minore nato da madre portatrice in Ucraina, procreato con gameti del tutto estranei ai coniugi committenti, entrambi cittadini italiani, in violazione anche della
legislazione ucraina, che consente la gestazione surrogata a condizione
che il patrimonio genetico del nascituro provenga almeno per metà
dalla coppia committente. La Corte in tale decisione ha affermato che
non poteva essere trascritto in Italia il falso certificato di nascita ucraino attestante il rapporto di filiazione con i committenti perché contrario all’ordine pubblico internazionale – inteso come comprensivo di
principi e valori dell’ordinamento nazionale, purché fondamentali e
irrinunciabili –, ritenendo che il divieto nel nostro Paese di pratiche di
surrogazione di maternità posto dall’art. 12 comma 6 della legge n. 40
costituisce norma di ordine pubblico a presidio del valore fondamentale di dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione, con il
quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto.
La circostanza che nella fattispecie esaminata si trattava di surrogazione effettuata in violazione anche della legge ucraina – che rendeva
certamente più agevole pervenire alla soluzione accolta – non esclude
la validità dei principi enunciati in detta decisione anche in caso di
surrogazione effettuata conformemente alle leggi del paese ospitante.
La posizione espressa in quella sede ha trovato autorevole conforto nella sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo nel
caso Paradiso e Campanelli c./ Italia, depositata il 24 gennaio 2017.
La Grande Camera, in una fattispecie simile a quella esaminata dalla
Cassazione, ribaltando la decisione della seconda sezione ha ritenuto
La maternità surrogata e l’interesse del minore
77
che fosse applicabile l’art. 8 della CEDU quanto alla violazione del
diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, stante l’esistenza di
un loro progetto di vita genitoriale con il quale la decisione di allontanare il bambino aveva interferito, ma che l’allontanamento dalla coppia committente era stato legittimamente disposto dallo Stato italiano
in ragione dell’interesse pubblico superiore di ripristinare la legalità
violata e dell’urgenza di adottare misure a tutela del bambino stesso.
Ha altresì osservato che la decisione di allontanamento era sostenuta
da ragioni sufficienti ed era proporzionata, in quanto qualsiasi altra
misura che prolungasse la permanenza del minore con i richiedenti
esponeva al rischio che il caso fosse deciso dal mero trascorrere del
tempo, infine affermando che l’interesse generale prevalesse su quello
dei ricorrenti di perseguire il loro progetto genitoriale.
In conclusione la Grande Camera, nell’attribuire valenza negativa all’aggiramento delle norme italiane sull’adozione e sul divieto di
maternità surrogata e nel considerare la mancata instaurazione, per
il breve tempo trascorso, di quei legami familiari di fatto che nel bilanciamento degli interessi in conflitto avrebbero potuto prevalere, ha
espresso la tendenza a rifiutare la logica del fatto compiuto e della esaltazione della genitorialità di intenzione, negando che il superiore interesse
del minore, in termini di continuità affettiva, costituisse criterio prevalente rispetto all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.
Una posizione di cautela nei confronti della gestazione per altri,
della quale si paventano i rischi di abuso, appare espressa dalla Corte EDU anche nel parere consultivo emesso (per la prima volta) il 10
aprile 2019 ai sensi del Protocollo n. 16, su richiesta della Corte di Cassazione francese, lì dove ha ritenuto – in relazione ad una fattispecie
in cui il bambino era nato all’estero a seguito di maternità surrogata
ed era stato concepito usando i gameti del padre committente ed in
cui detta relazione genitoriale era stata riconosciuta nell’ordinamento
nazionale – che il diritto del minore al rispetto della vita privata non
richieda che il riconoscimento della relazione genitoriale con la madre designata, indicata nel certificato di nascita emesso all’estero come
madre legale, assuma la forma necessaria della iscrizione nel registro
delle nascite, in quanto un altro mezzo, come l’adozione da parte della
madre designata, può essere utilizzato dal Paese aderente, sempre che
la procedura stabilita dalla legislazione nazionale garantisca una sua
attuazione tempestiva ed efficace, nel rispetto dell’interesse superiore
del bambino.
78
The best interest of the child
3. La trascrivibilità dei certificati di nascita
dei bambini nati all’estero da maternità surrogata.
Il limite dell’ordine pubblico internazionale
Le questioni fin qui affrontate spiegano con immediatezza la loro
rilevanza in relazione al problema della trascrivibilità nei registri dello
stato civile dei certificati di nascita di minori nati all’estero da pratiche
di surrogazione. Il problema rivela tutta la sua attualità a fronte delle
iniziative di sindaci di varie città italiane, di diverse estrazioni politiche, che consentono la trascrizione di atti di nascita da maternità surrogata rilasciati all’estero o anche la formazione in Italia di atti di nascita
di minori contenenti l’indicazione di entrambi i genitori omosessuali.
La nostra giurisprudenza di legittimità e soprattutto di merito ha
avuto più occasioni di occuparsi di vicende siffatte: le decisioni hanno
riguardato sia ipotesi di minori figli di due madri, l’una biologica e
l’altra gestazionale, sia quelle in cui una sola delle due donne abbia
dato il contributo alla nascita, sia, molto più raramente, casi di figli
di due padri, uno dei quali abbia fornito il materiale genetico ad una
donna rimasta innominata che abbia gestito la gravidanza e partorito il
bambino. Come appare evidente, soltanto in quest’ultima ipotesi può
ravvisarsi a monte, come evento generatore della nascita, un fatto di
surrogazione di maternità.
Nell’affrontare il quesito se tali trascrizioni siano compatibili con
l’ordine pubblico internazionale, ai sensi degli art. 65 della legge n. 218
del 1995 e 18 del d.p.r. n. 396 del 2000, va richiamata la nota sentenza
della Corte di Cassazione 2016 n. 19599, che, pur pronunciando in una
fattispecie non integrante un’ipotesi di maternità surrogata, in quanto
relativa ad un figlio nato da due madri, una italiana e l’altra spagnola,
a ciascuna delle quali il bambino risultava legato da rapporto biologico, ha attribuito una portata estremamente restrittiva al concetto di
ordine pubblico internazionale, assumendo il legame pur necessario
con l’ordinamento nazionale come limitato ai principi fondamentali
desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei
diritti fondamentali della UE, nonché dalla Convenzione europea di
diritti dell’uomo, ossia ai principi che non potrebbero essere in alcun
modo sovvertiti dal legislatore ordinario. Tale limitazione del concetto
segnava un deciso mutamento di rotta rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale, che pur a fronte di una progressiva e costante riduzione della sua portata rispetto al passato, secondo una linea del
La maternità surrogata e l’interesse del minore
79
tutto coerente con la storicità della nozione, si era attestato nel ritenere
che l’ordine pubblico internazionale vada inteso come il complesso dei
principi fondamentali che distinguono l’ordinamento interno, anche
se privi di copertura costituzionale, e costituisca limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri
a protezione della sua coerenza interna.
Alla base di quell’indirizzo consolidato era il convincimento che la
discrezionalità del legislatore in materia non costituzionalizzata non
è assoluta, ma può e deve trovare limiti nella disciplina di istituti che
hanno solo un indiretto riferimento nel quadro costituzionale e si radicano nella nostra tradizione giuridica e nella nostra identità culturale,
così che quel determinato prodotto giudiziale straniero, ove introdotto
nel sistema, risulterebbe abnorme o quanto meno totalmente confliggente con i principi fondamentali ed i valori che, pur non direttamente
enunciati in Costituzione, segnano in modo essenziale, nell’ambito del
quadro costituzionale, il nostro sistema interno.
Un convincimento che non si fondava su una posizione antistorica e nazionalistica di chiusura nei confronti di istituti propri di ordinamenti diversi a tutela della identità giuridica e culturale del Paese,
contrastante con la visione di una società aperta, tollerante e democratica, ma era rivolto a verificare se il recepimento di un istituto o di una
pronuncia che nega un valore fondativo del nostro ordinamento metta
in crisi la coerenza complessiva del sistema.
Va altresì considerato al riguardo che l’armonia interna dell’ordinamento è un valore perseguito anche a livello internazionale, tanto
che tutte le convenzioni internazionali prevedono la clausola di compatibilità con l’ordine pubblico, nonostante la normativa pattizia sia
ispirata al diverso valore dell’armonia internazionale. Analoga previsione è riscontrabile nei regolamenti adottati dalle istituzioni europee,
pur in presenza del clima di reciproca fiducia che ispira la normativa
dell’Unione Europea.
Come è noto, con la sentenza n. 12193 del 2019 le Sezioni Unite, alle
quali era stata rimessa la soluzione del conflitto, chiamate a decidere in
un caso riguardante una coppia omosessuale maschile, coniugata secondo la legge canadese, che aveva chiesto la trascrizione del nome del
secondo padre nell’atto di nascita di due gemelli nati in Canada, hanno
preso le distanze dall’indirizzo segnato da Cass. 2016 n. 19599 (successivamente ribadito da Cass. 2017 n. 14007 e 2017 n. 14878), enunciando
il principio di diritto che la compatibilità con l’ordine pubblico “deve
80
The best interest of the child
essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della
nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella
disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di
sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non
può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico,
quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato
momento storico”.
Le stesse Sezioni Unite hanno altresì affermato che “il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con
cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’ intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto
della surrogazione della maternità previsto dall’art. 12, comma sesto,
della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di diritti fondamentali, quali la dignità
umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori,
non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore,
nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore,
al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale,
mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi
particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n.
184 del 1983”.
Lo spazio disponibile in questa sede non mi consente di svolgere
un’analisi approfondita della decisione. Peraltro le osservazioni svolte
in precedenza sul fenomeno della maternità surrogata, sull’interesse
del minore e sul limite dell’ordine pubblico internazionale valgono almeno in parte ad evidenziare la mia condivisione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite.
Mi limito ora ad aggiungere che netto è il superamento, pur apparentemente sfumato in alcuni passaggi del tessuto motivazionale, dell’indirizzo espresso dalla sentenza del 2016 n. 19599, che assumendo una
nozione così restrittiva dell’ordine pubblico internazionale, sostanzialmente abrogatrice dell’istituto, aveva escluso la possibilità di verificare
la compatibilità dell’atto di nascita straniero, che attribuiva la maternità
naturale a due donne, con il complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico o
La maternità surrogata e l’interesse del minore
81
fondati su esigenze di tutela dei diritti della persona, così precludendosi
di cogliere la portata e le implicazioni delle disposizioni del codice civile, ed in particolare del terzo comma dell’art. 269 c.c., che assegnano unicamente alla partoriente la qualità di madre, quali norme caratterizzanti
l’ordinamento interno.
È proprio il forte richiamo alla rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione,
che segna nella decisione delle Sezioni Unite la presa di distanza dalla
pronuncia della prima sezione, la quale aveva eliminato la legge ordinaria dal giudizio di conformità all’ordine pubblico (secondo una impostazione dalla quale già la sentenza delle Sezioni Unite n. 16601 del
2017 in tema di punitive damages si era discostata), così da consentire di
ricondurre nell’ambito dell’ordine pubblico internazionale il divieto di
accesso alle tecniche di maternità surrogata.
Osservo inoltre che il riferimento, pur veloce e in qualche misura assertivo, in quanto non supportato da argomentazioni esplicative,
contenuto in alcuni passaggi della motivazione alla dignità della donna esprime un approccio corretto, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello etico e sociologico, al fenomeno della gestazione per altri.
Rilevo altresì che le Sezioni Unite sembrano contrarie a seguire
quell’orientamento dottrinario, recepito nella richiamata sentenza n.
19599 del 2016, che tende a ravvisare nell’interesse superiore del minore una clausola generale di interpretazione ed applicazione della normativa riguardante i minori anche in materia di status e ad attribuire
a tale interesse superiore, nella sua declinazione di interesse alla conservazione dello status acquisito, pur se non corrispondente alla verità
biologica, il ruolo di controlimite nella valutazione del contrasto con
l’ordine pubblico o di canone interpretativo del concetto, così da svolgere una funzione integratrice e di conformazione della stessa nozione
di ordine pubblico.
Ed invero, nell’argomentare delle Sezioni Unite l’interesse del minore è assunto come autonomo canone di riferimento che, se da un lato
richiede di prescindere dalla rigida alternativa tra vero e falso, dall’altro
lato esige di tener conto di variabili più complesse, tra le quali assume particolare rilievo la presenza nell’ordinamento di strumenti legali
idonei a consentire la costituzione di un rapporto giuridico del minore
stesso con il genitore intenzionale. Seguendo tale impostazione le Sezioni Unite hanno ricordato, richiamando i rilievi svolti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017, che vi sono dei casi in cui la
82
The best interest of the child
valutazione comparativa degli interessi è fatta direttamente dalla legge e
che nella specie una valutazione siffatta è stata compiuta dal legislatore
nel porre il divieto di maternità surrogata e al tempo stesso nel predisporre uno strumento idoneo a costituire con il genitore intenzionale
un legame giuridico che, pur diverso da quello previsto dall’art. 8 della
legge n. 40, garantisce al minore una adeguata tutela. Uno strumento siffatto è quello dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d) della
legge n. 184 del 1983, inteso come clausola di chiusura del sistema, che
appunto facendo leva sull’interesse del fanciullo a vedere riconosciuti i
legami sviluppatisi con soggetti che di lui si prendono cura dà copertura
giuridica ed assicura la continuità della relazione affettiva ed educativa.
Anche tale posizione merita a mio avviso piena condivisione, atteso che il criterio del superiore interesse del minore è concettualmente distinto da quello dell’ordine pubblico: quelli di ordine pubblico
e di interesse del minore sono concetti diversi, che presidiano valori
diversi e che vanno tenuti distinti, pur nel loro possibile interferire.
Tale distinzione concettuale è chiara nel pensiero delle Sezioni Unite,
lì dove affermano che l’interesse del minore ben può “costituire oggetto di contemperamento con altri valori considerati essenziali e irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione ben può incidere
sull’individuazione delle modalità più opportune da adottare per la
sua realizzazione”.
Pur dando atto del carattere compromissorio di alcuni passaggi
argomentativi, evidentemente ispirati dall’esigenza di ridimensionare
la portata dei contrasti emersi nella giurisprudenza della Corte, ritengo in conclusione che la soluzione accolta dalla sentenza delle Sezioni
Unite n. 12193 del 2019 sia meritevole di apprezzamento, per aver ben
enucleato i principi e i valori, in primo luogo quello di dignità della
persona, che caratterizzano il nostro ordinamento, per aver correttamente delineato la nozione di ordine pubblico internazionale, per aver
ritenuto il ricorso all’adozione in casi particolari, finalmente soggetta
al controllo del giudice per la verifica dei richiesti requisiti soggettivi
ed oggettivi, e quindi al di fuori di ogni automatismo, lo strumento
idoneo a garantire tutela giuridica al rapporto tra il minore e l’adulto
a lui legato non da un rapporto biologico, ma di una relazione di cura
e di vicinanza.
L’auspicio è che i principi dettati dalle Sezioni Unite costituiscano
fermi punti di riferimento per i giudici di merito, chiamati sempre più
frequentemente ad esaminare, in un quadro così magmatico ed aperto
La maternità surrogata e l’interesse del minore
83
a relazioni familiari del tutto nuove, fattispecie di grande complessità
e delicatezza ed a fornire adeguate risposte di giustizia, senza fughe in
avanti non supportate da un solido apparato argomentativo.
The best interest of the child. L’interesse
del minore nella giurisprudenza interna
e internazionale
Gabriella Palmieri
Sommario: 1. Premessa. – 2. La giurisprudenza della Corte costituzionale.
_ 3. La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione. _ 4. La
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
1. Premessa
1.1. Desidero, innanzitutto, ringraziare vivamente la Professoressa
Mirzia Bianca per avermi invitato insieme con Relatori così autorevoli
a svolgere un intervento nell’ambito di un Convegno davvero prestigioso avente ad oggetto un tema così importante e di grande attualità
qual è quello sul concetto del “best interest of the child”.
Ne sono davvero molto onorata.
Il tema induce a profonde riflessioni e il mio contributo è frutto
dell’esperienza maturata nella trattazione del contenzioso attinente al
tema del Convegno com’è stato declinato sia dalla giurisdizione nazionale, sia da quella internazionale.
Nel trattare queste tematiche così delicate bisogna avere sempre
molto garbo e grande rispetto nei confronti delle posizioni soggettive
coinvolte, perché, al di là dei problemi squisitamente giuridici che si
affrontano, vi sono comunque persone emotivamente coinvolte.
L’Avvocatura dello Stato, nel difendere la legittimità di una norma o
la sua interpretazione nell’applicazione in concreto, non si dirige contro
singoli soggetti, ma porta all’attenzione dei Giudici principi e posizioni
di carattere generale, che spesso non sono condivisi dalle parti private
intervenute anche nel giudizio di costituzionalità. Tuttavia, è proprio il
confronto dialettico che permette al Giudice di valutare con attenzione
i diversi profili di una questione e di analizzarne tutte le sfaccettature.
86
The best interest of the child
Si tratta in ogni caso di assumere posizioni e formulare conclusioni
in termini essenzialmente giuridici e nell’esercizio del ruolo istituzionale di difensore tecnico del Governo, prescindendo, pertanto, dall’ottica morale e/o etica che non attiene a tale ruolo istituzionale.
2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale
2.1. Per quanto riguarda il giudice nazionale, le questioni che saranno
analizzate nel corso di questo intervento sono state affrontate innanzi
alla Corte Costituzionale.
Si richiamerà anche la giurisprudenza elaborata in materia dalla
Corte di Cassazione e quella espressa dalla CEDU.
Il contenzioso in materia innanzi alla Corte Costituzionale è, innanzitutto, caratterizzato da una casistica variegata che ne affronta gli
aspetti sotto molteplici punti di vista.
Alcune questioni rilevanti al fine di comporre il quadro generale di
riferimento costituiscono la conferma che, sebbene in generale siano
sensibilmente diminuite le questioni di legittimità costituzionale sotto
il profilo numerico, sono, invece, aumentate le ordinanze di remissione
che attengono a materie eticamente sensibili.
2.2. Procedendo a una disamina in senso diacronico va ricordata,
come particolarmente significativa in tema di filiazione, la sentenza n.
266/2006, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo
l’art. 235, comma 1, n. 3, c.c., nella parte in cui, ai fini dell’azione di
disconoscimento della paternità, subordinava l’esame delle prove tecniche del DNA alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.
Nel difendere la previsione normativa, avevo sostenuto la necessità di
tutelare il “diritto a non sapere” del bambino laddove una simile notizia poteva alterare il suo equilibrio familiare e in tal senso avevo portato l’esempio di altri Paesi in cui, data la facilità con cui è possibile oggi
reperire sul mercato un kit per il test del DNA, si è ritenuto di dover
tutelare primariamente l’interesse del figlio a mantenere l’equilibrio
raggiunto nella famiglia dov’era nato e cresciuto.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che, al fine di decidere la questione, assumessero rilevanza i progressi della scienza biomedica che,
ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di
accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione, la
difficoltà pratica, chiaramente evidenziata dall’ordinanza della Corte
The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale
87
di Cassazione (remittente), di fornire una piena prova dell’adulterio
e l’insufficienza di tale prova ad escludere la paternità; e ha, quindi,
dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella
parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili
con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie (punto 3. del Considerato in diritto).
2.3. Con la sentenza n. 31/2012, in tema di automatica decadenza dalla potestà genitoriale per dichiarazioni false in merito allo status del
minore, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p.
nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro
il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’art. 567,
comma 2, c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale,
così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto1.
La sentenza ha argomentato che, come il dettato della norma rende
palese, la citata pena accessoria consegue di diritto alla condanna pronunciata contro il genitore, precludendo al giudice ogni possibilità di
valutazione e di bilanciamento dei diversi interessi implicati nel processo e in questo consiste la sua illegittimità.
La Corte, quindi, come pure in altre successive sentenze, ha valorizzato il ruolo del giudice nel valutare e operare il bilanciamento degli
interessi contrapposti nel caso concreto (v. sentenza n. 225/16 infra).
Come sottolineato dalla Corte, infatti, nella fattispecie in questione
vengono in rilievo non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della
potestà punitiva nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali
parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno
dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione.
1
Nel caso di specie, la madre aveva preferito alterare lo stato civile del figlio con false
dichiarazioni per non rendere noto il nome del padre che riteneva non all’altezza di
crescerlo a causa del suo legame con la malavita. In seguito, tuttavia, il padre aveva
riconosciuto il figlio ed era così emersa la falsità della dichiarazione della madre.
88
The best interest of the child
Si tratta di un interesse complesso, articolato in diverse situazioni
giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno2.
Va rimarcato che la citata sentenza afferma che “appare evidente,
dunque, che nell’ordinamento internazionale è principio acquisito che
in ogni atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente
il suo interesse, considerato preminente. E non diverso è l’indirizzo
dell’ordinamento interno, nel quale l’interesse morale e materiale del
minore ha assunto carattere di piena centralità, specialmente dopo la
riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto
di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la legge 4
maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei
minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno
fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di
tutela sempre più incisiva dei diritti del minore” (punto 3. del Considerato in diritto).
2.4. Con la sentenza n. 7/2013 vengono ribaditi i principi affermati nella
citata sentenza n. 31/2012, anche a proposito del delitto di soppressione di stato, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p.,
nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro
il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566,
comma 2, del c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto (punto 4. del Considerato in diritto).
2
Quanto al primo, la Convenzione sui diritti del fanciullo (per quest’ultimo
dovendosi intendere «ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni, salvo
se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile», ai sensi
dell’art. 1 della Convenzione stessa), approvata a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone nell’art.
3, primo comma, che “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia
delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità
amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve
essere una considerazione preminente”.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata
il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell’art. 24, comma secondo, prescrive che “In tutti
gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni
private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”; e il
comma terzo del medesimo art. aggiunge che “Il minore ha diritto di intrattenere
regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora
ciò sia contrario al suo interesse” (punto 6.3. del Considerato in diritto).
The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale
89
Ha sottolineato, poi, la Corte che la questione risulta fondata
anche sul versante della necessaria conformazione del quadro normativo agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese sull’aspetto specifico della protezione dei minori (la Convenzione sui
diritti del fanciullo, art. 3, primo comma; la Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva
con legge 20 marzo 2003, n. 77, art. 6, modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi “prima di adottare qualsiasi decisione”,
stabilendo che l’autorità stessa deve “esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo”; le specifiche indicazioni enunciate
nelle Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su una “giustizia a misura di minore”, adottate il 17 novembre
2010, nella 1098^ riunione dei delegati dei ministri, posto che, fra
gli altri importanti princìpi, il documento espressamente afferma
che «Gli Stati membri dovrebbero garantire l’effettiva attuazione
del diritto dei minori a che il loro interesse superiore sia al primo
posto, davanti ad ogni altra considerazione, in tutte le questioni
che li vedono coinvolti o che li riguardano» (punto 6. del Considerato in diritto).
2.5. Tra le principali questioni in tema di filiazione (che ho avuto
modo di trattare anche direttamente), va annoverata senz’altro la sentenza n. 162/2014, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato
legittimo il divieto della maternità surrogata previsto dall’art. 12 della legge n. 40/2004 e ribadito l’incompatibilità di tale pratica medica
con il nostro ordinamento.
Nella sentenza n. 162 del 2014 è stato affermato che la legge n. 40
del 2004 citata costituisce la “prima legislazione organica relativa ad
un delicato settore […] che indubbiamente coinvolge una pluralità di
rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano
quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa” (punto 5. del Considerato in diritto).
Le relative questioni di costituzionalità toccano temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di
equilibrio delle contrapposte esigenze, appartiene primariamente alla
valutazione del legislatore (ibidem, punto 5. del Considerato in diritto).
90
The best interest of the child
Si tratta, infatti, di una materia nella quale le scelte legislative non
costituzionalmente obbligate sono sindacabili al solo fine di verificare
se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano3.
La progressiva eliminazione di tali divieti è espressione di un’analisi e di una valutazione specifica su singoli aspetti di un problema che
non può essere riassunto in un giudizio di valore unitario, in quanto la
Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli e la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia non implica che la
libertà in esame possa esplicarsi senza limiti (sentenze n. 162 del 2014,
punto 6. del Considerato in diritto; n. 189 del 1991 e n. 123 del 1990).
Nella citata sentenza n. 162 del 2014, la Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale della preclusione assoluta di
accesso alla PMA di tipo eterologo alle coppie affette da grave patologia
che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, senza porre
in discussione la legittimità del divieto di tale pratica, previsto dall’art.
12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 citata, e nemmeno la sua assolutezza, “poiché la dichiarata illegittimità del divieto non incide sulla previsione recata dall’art. 5, comma 1, di detta legge, che risulta ovviamente
applicabile alla PMA di tipo eterologo (come già a quella di tipo omologo); quindi, alla stessa possono fare ricorso esclusivamente le “coppie
di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”” (punto 6. del Considerato in diritto).
Infine, la Corte ha ritenuto irragionevole un divieto indiscriminato
di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita nell’ipotesi di una
coppia affetta da patologie trasmissibili, rispetto alle quali sarebbe più
traumatica l’interruzione della gravidanza (sentenza n. 96 del 2015)4.
3
Alla luce del dichiarato scopo della legge n. 40 del 2004 “di favorire la soluzione dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” (art. 1, comma
1), negli interventi in tema di procreazione medicalmente assistita, la Corte
Costituzionale ha dapprima, con la sentenza n. 151 del 2009, rimosso il limite della
ammissibilità di un unico impianto di ovuli; ha, poi, con la sentenza n. 162 del 2014,
eliminato il divieto di fecondazione eterologa; ha, infine, con la sentenza n. 96 del
2015, eliminato il divieto di accedere alla fecondazione assistita per coppie fertili
portatrici di malattie genetiche trasmissibili.
4
Questa ricostruzione dei principi generali della materia trova un preciso riscontro
logico-giuridico nelle analoghe considerazioni svolte dalla Corte Suprema di
Cassazione, Sezioni Unite Civili, nella sentenza n. 12193/2019, depositata in data 8
maggio 2019, successivamente, quindi, allo svolgimento del Convegno, (punti 13.2.
e 13.3. delle Ragioni della decisione), con la quale, in particolare per quel che rileva in
The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale
91
La stessa norma, come interpretata estensivamente dalla Corte di
Cassazione nella sentenza n. 12962 del 2016, esclude l’adozione speciale del figlio del coniuge, ai sensi dell’art. 44, lett. b), della legge n. 184
del 1983 citata, ma lascia aperta l’applicazione della lett. d), del medesimo art. (impossibilità di affidamento preadottivo).
È nel contesto così delineato che va esaminata la posizione dei genitori o di coloro che aspirano a divenire tali, tenendo ben presente
la ratio della disciplina sulla PMA che è quella di tutelare il superiore
interesse del nascituro.
Se, in precedenza, il contenuto della filiazione5 veniva principalmente identificato nella patria potestà, nel tempo si è posto l’accento
sul legame personale e sul ruolo che è chiamato a svolgere il figlio.
Questi non è più la parte passiva di un rapporto di soggezione, ma la
figura centrale che, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni, condiziona
lo svolgimento del rapporto e il cui interesse tende a prevalere su ogni
altro interesse contrario al suo sviluppo coerente e completo.
Tale diritto, che afferisce all’identità personale del minore, nella sua
precisa e integrale dimensione psico-fisica, comporta che il diritto alla
genitorialità sussiste se corrisponde al migliore interesse per il minore
medesimo (“the best interest of the child”, secondo, appunto, la formula rinvenibile nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 e adottata
come sintetica, ma efficace, complessiva espressione concettuale).
2.6. Va ricordato il caso deciso con la sentenza n. 225/20166 con la quale
la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter c.c., osservando che “l’interruzione
ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con
l’interesse del minore [questo è il punto nodale della decisione n.d.r.], di
un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con
questa sede, sono state risolte le questioni relative al concetto di ordine pubblico da
applicare in casi analoghi e sulla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero,
contenente il riferimento al doppio padre.
5
V. retro, nota 2, pag. 4.
6
Il caso era quello di due donne legate da una relazione omoaffettiva che, dopo aver
avuto una coppia di gemelli attraverso la procreazione assistita eterologa, avevano
interrotto la loro relazione. In particolare, la madre biologica aveva escluso l’altra,
il c.d. genitore sociale, dalla vita dei bambini e la Corte d’Appello di Palermo aveva
rimesso il caso davanti alla Corte Costituzionale, dubitando che fosse legittimo
non riconoscere alcun diritto al cd. genitore sociale soltanto perché non legato
biologicamente ai bambini.
92
The best interest of the child
soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta
del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale
l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico
ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione” (punto
3.2. del Considerato in diritto). “Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela
dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente” (punto 3.3.
del Considerato in diritto).
Tali considerazioni di sistema inducono la Corte Costituzionale a
dichiarare la questione di legittimità non fondata, proprio perché non
vi era un vuoto di tutela dell’interesse del minore, in quanto rientra
nei poteri del Giudice ordinario disporre in modo da consentire ai due
bambini di continuare a frequentare anche l’altro genitore c.d. “sociale”.
La Corte Costituzionale ha, dunque, recepito nella sua decisione
e ha utilizzato nella loro accezione ormai comunemente accettata termini coniati di recente, come “genitore sociale”, “genitore biologico”
e “genitore genetico” per descrivere situazioni in evoluzione che non
sono omologabili nei concetti anche giuridici tradizionalmente in uso.
2.7. L’interesse del minore è stato considerato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017, che ha dichiarato infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., censurato nella
parte in cui non prevedeva che l’impugnazione del riconoscimento del
figlio minore per difetto di veridicità, potesse essere accolta solo quando fosse rispondente all’interesse del minore. Secondo la Corte Costituzionale, pur dovendosi riconoscere in ipotesi di maternità surrogata
un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status
alla realtà della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento
della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore
di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con l’interesse concreto del minore, in tutti i casi di possibile
divergenza tra identità genetica e identità legale7.
Secondo la Corte Costituzionale, peraltro, “si tratta, dunque, di una
valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte
necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che
7
In tal senso anche la sentenza della Cassazione n. 12193/19 citata, ibidem, punto 13.2.,
p. 36-37.
The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale
93
il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata
da apposita disposizione penale” (sentenza n. 272/17 citata, punto 4.3.
del Considerato in diritto).
3. La Giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione
Anche il diritto alla genitorialità è stato evocato dalla giurisprudenza che si è occupata della genitorialità delle coppie omosessuali al solo
fine della valutazione delle conseguenze sulla posizione giuridica del
minore, in comparazione con l’interesse dello stesso a conservare determinati rapporti affettivi (Corte di Cassazione, sentenze n. 14878 del
2017 e n. 19599 del 2016 citate).
Il diritto di un adulto di procreare non appare tutelato nella sua assolutezza dall’ordinamento, né la configurazione costituzionale della
famiglia appare preordinata esclusivamente alla filiazione.
Se la nostra legislazione tutela l’interesse del minore alla genitorialità ed il suo diritto a mantenere rapporti significativi anche con il cosiddetto “genitore sociale” (dunque, anche nell’ambito di coppie dello
stesso sesso, sentenza n. 225/2016 citata), non è riscontrabile alcuna disposizione che assicuri il diritto di un adulto a procreare.
Del resto, nell’architettura costituzionale la famiglia non è concepita come una formazione necessariamente preordinata alla filiazione,
come si evince proprio dalla struttura stessa dell’art. 30 della Costituzione, che enuncia il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli e non è, invece, finalizzata a garantire il benessere
psico-fisico della coppia attraverso la filiazione.
Sul punto si osserva, peraltro, che la stessa giurisprudenza costituzionale ha inteso la nozione di famiglia come non necessariamente
legata alla presenza dei figli (sentenze n. 189/1991 e n. 123/1990 citate).
La prospettiva concettuale che non può essere condivisa è quella
che finisce per esprimere unicamente e semplicemente una impostazione decisamente “adultocentrica”, lontana o che, comunque, non
tiene affatto conto del principio del “best interest of the child”, ovvero
della necessità di adottare tra più soluzioni astrattamente possibili
quella più conforme e adatta alle esigenze del minore.
Tale considerazione trova conferma proprio nella stessa giurisprudenza della Corte EDU, nella parte in cui precisa che, pur non
potendosi ignorare il dolore provato da coloro i quali vedono frustrato il proprio desiderio di genitorialità, non può ritenersi sanci-
94
The best interest of the child
to in base alla Convenzione “alcun diritto di diventare genitore”,
statuendo, altresì, che quest’ultima aspirazione deve comunque
cedere rispetto al superiore interesse del nascituro che, infatti, non
verrebbe adeguatamente tutelato ove venissero consentite pratiche
di fecondazione assistita al di fuori dei limiti consentiti dalla normativa vigente (in questo senso, CEDU, Grand Chambre, 24 gennaio
2017, causa Paradiso Campanelli c. Italia, su cui ci si soffermerà più
diffusamente infra).
Il tema della genitorialità nelle coppie dello stesso sesso è stato affrontato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex plurimis,
sentenze n. 14878/2017; n. 19599/2016; e n. 12962/2016) soltanto al fine
di valutarne la compatibilità rispetto all’interesse del minore a conservare determinati rapporti affettivi, già sviluppatisi nel tempo all’interno di nuclei anche omoaffettivi.
Si tratta, pertanto, di decisioni che hanno affrontato il nodo problematico relativo alla opportunità per il minore di vedere in parte giuridicamente riconosciuti taluni rapporti affettivi, precedentemente costituitisi e consolidatisi nel tempo, e che, viceversa, in alcun modo hanno
affermato un ipotetico “diritto ad essere genitori”. E ciò in quanto le
citate pronunce, lungi dal riconoscere e tutelare in via preminente una
pretesa alla genitorialità, hanno, in realtà, posto al centro dell’attenzione le esigenze dei singoli minori coinvolti, piuttosto che gli interessi e le aspirazioni degli adulti interessati, in una corretta prospettiva
“puerocentrica”8.
8
Su questi concetti ho basato la difesa della legittimità costituzionale delle norme di
cui articoli 5 e 12, commi 2, 9 e 10 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante le “Norme
in materia di procreazione medicalmente assistita”, nella parte in cui, rispettivamente,
limitano l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole
“coppie di sesso diverso” (art. 5 citato) e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi
tali tecniche “a coppie composte da soggetti dello stesso sesso” (art. 12 citato). La
questione di costituzionalità è stata discussa all’udienza del 18 giugno 2019, quindi
successivamente allo svolgimento del Convegno. Con comunicato stampa nella
stessa data dell’udienza, è stata data notizia che la Corte costituzionale si era riunita
in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone
e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle
coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte faceva sapere che
al termine della discussione le questioni erano state dichiarate non fondate. La Corte
aveva, infatti, ritenuto che le disposizioni censurate non fossero in contrasto con i
principi costituzionali invocati dai due Tribunali remittenti.
The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale
95
Non si tratta, pertanto, del riconoscimento di un diritto alla genitorialità in quanto tale, ma piuttosto della necessità di assicurare la
costante prevalenza del “best interest of the child”9.
Come sottolineato da autorevole dottrina, bisogna, peraltro, usare una
“particolare cautela quando ci si addentra in ambiti dal forte carattere assiologico, come quello della procreazione, in quanto si potrebbe arrivare
a ricondurre quelli che nascono come bisogni sotto l’etichetta di diritti”.
4. Nella giurisprudenza interna ed internazionale
Va, infine, ricordata la già citata (supra, punto 3. p. 10) sentenza 24
gennaio 2017 della Grand Chambre della Corte EDU, nel caso Paradiso
e Campanelli c. Italia, che, in relazione alla decisione di allontanamento
del minore per un caso di maternità surrogata, caratterizzato dall’assenza di legame biologico tra i genitori intenzionali e il minore, dopo
il ricorso dello Stato italiano, ha modificato l’esito non definitivo della sentenza del 27 gennaio 2015, affermando che una coppia non può
riconoscere un figlio come suo, se il bambino è stato generato senza
alcun legame biologico con i due aspiranti genitori e grazie ad una maternità surrogata. Ha riconosciuto, quindi, che i giudici italiani hanno
realizzato un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco, restando, nel contempo nei limiti dell’ampio margine di apprezzamento del
quale disponevano nel caso di specie (§ 215).
9
D’altronde, recentemente, quindi, dopo lo svolgimento del Convegno, la Cassazione,
Prima Sezione Civile, in una fattispecie affatto particolare (PMA che ha consentito
il concepimento successivo alla morte del coniuge che aveva espresso il consenso
in base all’art. 6 della legge n. 40/2004 citata), ha precisato che se, da un lato, “la
genitorialità spesso può anche scindersi dal nesso del matrimonio e della famiglia,
declinandosi in una molteplicità di contesti prima ritenuti inediti, è necessario
comprendere se i divieti di genitorialità pur evincibili dal nostro ordinamento,
possano fungere da “controlimite” alla tutela dei diritti di chi è nato, oppure se
occorra superare i confini della tradizione ed accettare, regolandoli i nuovi percorsi
della genitorialità” (sentenza n. 1300/19, depositata il 15 maggio 2019, punto
7.3.3., pag. 19, delle Ragioni della decisione); dall’altro, ha riconosciuto la correttezza
dell’assunto in base al quale “l’ordinamento deve proteggere l’infanzia garantendo
il diritto ad avere una famiglia composta da due figure genitoriali nel chiaro intento
positivo di considerare prevalente la tutela del nascituro rispetto alla genitorialità”.
Ha risolto, quindi, “la concreta fattispecie” al suo esame nel senso che, nella specie,
“l’interesse del nato è quello di acquisire rapidamente la certezza della propria
discendenza bigenitoriale, elemento di primaria rilevanza nella costruzione della
propria identità (ibidem, punti 7.8.8.6.2., 7.8.9. e 7.9. delle Ragioni della decisione).
96
The best interest of the child
In ogni caso, sia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza, che, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, TUE, ha assunto “lo stesso valore giuridico dei trattati”),
sia la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo
e delle libertà fondamentali – CEDU – in materia familiare rinviano
in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei
principi ivi affermati.
In particolare, l’art. 9 della Carta, nel riconoscere il “diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia”, riserva ai singoli Stati membri dell’Unione il compito di garantirli nei rispettivi ordinamenti “secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, in tal modo
esplicitamente chiarendo che la disciplina generale concernente la garanzia di tali diritti è “materia” attribuita alla competenza di ciascuno
degli stessi Stati membri (in questo senso, Cassazione civile, Sez. I, 15
marzo 2012, n. 4184).
Analogamente, l’art. 12 della CEDU afferma esplicitamente che
“uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e
fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.
Pertanto, come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione dianzi richiamata, sussiste, in materia familiare, una riserva
assoluta di legislazione nazionale.
Grazie per l’attenzione.
L’interesse del minore
Paolo Papanti Pelletier
“L’interesse del minore” è una clausola generale dell’ordinamento e
non si presta alla riconduzione ad un significato univoco.
Vengono analizzati, nel corso del convegno, vari aspetti nei quali
assume rilevanza l’interesse del minore.
Si tratta di aspetti diversi, che vanno da profili strettamente personalistici (per es., il diritto a conoscere le proprie origini), a profili riguardanti il mondo degli affetti (per es., il diritto a mantenere rapporti
significativi con i parenti), a profili riguardanti l’ambiente di vita (per
es., l’interesse valutabile ai fini dell’affidamento), a profili di carattere
economico (per es., l’accettazione o il rifiuto dell’eredità), etc.
Ciò, per accennare solo ad alcuni dei profili di rilevanza del tema
oggetto di queste giornate di studio.
Difficile è il compito di stabilire a chi spetti il potere-dovere di giudicare se sussista o non sussista l’interesse del minore. In alcuni casi è
la legge che assegna tale compito al giudice. In altri casi sono i genitori
o addirittura terzi soggetti i destinatari del compito ora detto.
Ancor più difficile è stabilire quando vi sia, nelle singole situazioni
ipotizzate dalle norme, l’interesse del minore. È noto che, a tale riguardo, sono state prospettate varie tesi, la più estrema delle quali può considerarsi quella, secondo cui tale interesse sussisterebbe quando fosse
corrispondente alla volontà del minore. Ciò presupporrebbe l’acquisizione della capacità di discernimento da parte del minore, nonché,
evidentemente, la manifestazione di tale volontà mediante l’“ascolto”,
oggi disciplinato dall’art. 337 octies c.c.
È da notare peraltro che la norma ora citata prevede l’ascolto “del
figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove
capace di discernimento”. Il che può comportare che venga chiamato ad
98
The best interest of the child
esprimersi su scelte importanti anche un bambino, perché tale può
considerarsi non solo il soggetto infra-dodicenne, ma anche colui o colei che abbia appena compiuto dodici anni o poco più.
Queste semplici osservazioni mi inducono a ritenere che l’interesse del minore non possa e non debba necessariamente coincidere
con la volontà espressa dal minore, tanto più tenuto conto che essa
potrebbe essere indirizzata o deviata da parte di un genitore o da
soggetti terzi.
Credo che un parametro sicuro di riferimento sia costituito dal
dettato dell’art. 337 ter, comma 2, c.c., nella parte in cui dispone che
“il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Gli aggettivi ora citati, per di
più nella sequenza risultante dal dettato normativo, indicano – a mio
avviso – chiaramente che il parametro da seguire nell’adozione delle
scelte non possa essere soggettivo, ma debba essere necessariamente
obiettivo.
La norma citata assume una valenza che va ben al di là dell’ambito
applicativo in cui essa è collocata. Ferma, infatti, la sua immediata applicazione alla sedes materiae relativa all’affidamento, non va trascurato
che essa è prevista nel contesto di un lungo articolo (337 ter c.c.) che
reca la rubrica “Provvedimenti riguardo ai figli”, che a sua volta si inserisce nel Capo II, dedicato all’esercizio della responsabilità genitoriale
nelle varie ipotesi di crisi della coppia.
Il quesito si sposta allora nella determinazione prima dell’interesse
morale e poi dell’interesse materiale.
Ritengo che per interesse morale debba intendersi un’attenzione
particolare alla formazione del minore in un ambiente sano, in cui egli
possa ricevere gli strumenti per un suo equilibrato sviluppo, tenuto
conto delle regole di condotta che dovranno condurlo progressivamente ad assumere comportamenti maturi e consapevoli.
Va inoltre considerato che l’aggettivo “morale” ha un’indubbia attinenza con i valori etici ed educativi, che portano necessariamente con
sé la formazione secondo canoni della morale religiosa o laica.
È allora inevitabile che, volendo restare fedeli al dettato normativo, si debbano individuare modalità per far sì che al suddetto interesse corrisponda una formazione etica del minore. Ciò inevitabilmente potrà comportare il fatto che il giudice, qualora sia chiamato
a pronunciarsi su vertenze concernenti per esempio, l’affidamento
esclusivo o il c.d. affidamento familiare, debba tenere in prioritaria
L’interesse del minore
99
considerazione la personalità morale del soggetto al quale il minore
dovrebbe essere affidato.
Più semplice è indubbiamente la risposta al quesito relativo alla determinazione dell’interesse materiale. Senonché, anche in questo caso
occorre distinguere a seconda delle ipotesi considerate.
Certamente, se si trattasse di decidere in ordine all’accettazione o
alla rinuncia ad una eredità, il criterio basilare di valutazione dovrebbe essere quello economico. Tale criterio tuttavia non dovrebbe essere
disgiunto, anche in questo caso, da valutazioni di carattere morale (per
es., nel caso in cui si trattasse di dare l’assenso all’accettazione o alla
rinuncia di una eredità, sia pur cospicua, già appartenuta ad un noto
pregiudicato arricchitosi con attività criminali o di dubbia moralità).
Se poi si trattasse di decidere in merito ad uno dei casi di affidamento sopra accennati, il citato criterio economico non potrebbe costituire certamente il criterio preminente, la cui conseguenza sarebbe
quella dell’affidamento del minore alla persona più facoltosa.
Anche in questo caso ritengo che la valutazione del profilo morale
della persona giochi un ruolo molto rilevante, di cui sicuramente si
dovrà tener conto nell’individuazione della persona affidataria.
In conclusione, su questo punto, ritengo che si possa affermare che
nella difficile applicazione dell’interesse del minore, quale clausola
generale dell’ordinamento, un utile indirizzo possa essere costituito
dagli indicati parametri di cui all’art. 337 ter, comma 2, c.c.
*
*
*
Se poi si passa all’analisi di aspetti particolari, come per esempio
quello, assai delicato, della determinazione del genitore c.d. collocatario nella separazione, nel divorzio e nella cessazione della convivenza
non matrimoniale, l’individuazione dell’interesse del minore diventa
ancor più complessa.
È noto che l’indicazione del genitore con collocazione prevalente –
generalmente la madre – porta con sé, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c.,
l’assegnazione della casa coniugale allo stesso genitore.
In effetti, non vi è dubbio che sia interesse del minore continuare
a vivere in quello che è stato il luogo dei suoi affetti, per evitare che il
disgregarsi del consorzio genitoriale comporti anche una grave situazione di disagio ambientale.
Occorre, tuttavia, a questo riguardo, distinguere varie ipotesi.
100
The best interest of the child
C’è l’eventualità ottimale che il genitore non collocatario, uscendo
dalla casa familiare, trovi un alloggio adeguato per sé e per i figli per il
periodo di tempo che egli trascorre con loro.
Ma c’è l’eventualità, purtroppo non infrequente, che il genitore non
collocatario non abbia le possibilità economiche per procurarsi un simile alloggio. Senza arrivare ai casi di cronaca dei padri che pernottano in automobile e che consumano i pasti nelle mense della Caritas, è
frequente il caso di genitori non collocatari che dispongono solo di un
posto letto o che comunque non hanno la possibilità di dare alloggio ai
figli e di fornire loro uno spazio da condividere.
È anche da tenere in considerazione che il genitore non collocatario
non può assumere il ruolo di un soggetto che trascorre con i figli solo
i momenti ludici, portandoli al luna-park, al cinema o in pizzeria. Ciò
distorce l’immagine che i figli si formano di tale genitore, che non trascorre con loro momenti di vita reale, la quale è fatta talvolta di giochi,
ma più spesso di vita comune, costituita semplicemente dallo stare insieme così come avviene ordinariamente in famiglia.
Va inoltre considerato che, anche quando vi sia un alloggio adeguato per la prole, può verificarsi l’eventualità che il figlio non possa
uscire di casa, perché malato, o perché deve fare i compiti o per altre
esigenze.
Ciò comporta inevitabilmente che il genitore non collocatario – così
come un tempo il genitore non affidatario – “perda il turno”, generalmente senza possibilità di recupero, salvo che vi sia la benevolenza
dell’altro genitore.
A me sembra che per risolvere questi problemi si possa trovare un
semplice rimedio, di carattere non normativo ma giurisprudenziale.
L’assegnazione della casa familiare non deve essere intesa come
estromissione assoluta dell’altro genitore. Ferma, infatti, l’abitazione e
la messa a disposizione, in generale, a favore del genitore collocatario,
essa deve poter servire anche alla ordinaria frequentazione dei figli da
parte dell’altro genitore, salvo che questi non preferisca portare i figli
con sé nella propria abitazione (se ne dispone) o altrove.
Pertanto, già nella fase presidenziale dei procedimenti di crisi familiare o successivamente nella fase istruttoria o nella sentenza, potrebbe
essere disposto che il genitore non collocatario abbia la facoltà di frequentare i figli, se lo ritiene, nella casa familiare. Ciò risolverebbe molti
dei problemi sopra evidenziati e soprattutto costituirebbe senz’altro un
provvedimento nell’interesse dei figli minori.
The best interest of the child nella giurisprudenza
della Corte suprema di cassazione
Luigi A. Scarano
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Origine storica. – 3. The best interest
of the child nell’ordinamento italiano. – 4. Segue. Nel codice civile. – 5.
Segue. Nella giurisprudenza. – 6. Interesse del minore e principio di legalità. – 7. Segue. La sentenza Cass. n. 19599 del 2016. – 8. Segue. Il caso
Paradiso e Campanelli c. Italia. – 9. Conclusioni.
1. Introduzione
È anzitutto da chiedersi perché fare ricorso all’utilizzazione dell’espressione The best interest of the child anziché quella corrispondente in italiano.
E se esiste una formula esattamente corrispondente in italiano.
Ulteriore quesito riguarda l’utilizzata formula al singolare, anziché
al plurale.
2. Origine storica
La locuzione best interests of the child costituisce l’originario paradigma
del sistema di common law anglo-americano, che trova le sue origini
nell’avvento della rivoluzione industriale, con l’affermazione della
nuova famiglia borghese e del pensiero illuminista, allorquando venne
ad assegnarsi per la prima volta un valore all’infanzia quale bene della
comunità da promuovere e perseguire, nonché la predisposizione di
strumenti giuridici di tutela e di promozione del benessere dei minori.
Furono emanate le prime leggi a tutela del lavoro dei minori e a promozione dell’esigenza di istruzione e del benessere dei medesimi1.
1
V. L Giacomelli, (Re)Interpretando i Best Interests of the Child: da strumento di giustizia
102
The best interest of the child
La Factory Regulation Act del 1833 stabilì il divieto di lavorare per i
minori di 9 anni, riducendo ad 8 ore la giornata lavorativa dei minori
al di sotto di 13 anni ed introducendo l’obbligo di istruzione.
La Guardianship of Infant’s Act del 1886 introdusse la previsione che
nelle decisioni concernenti l’educazione del minore il giudice potesse
tener conto del benessere dello stesso.
Già in precedenza, con la decisione del caso Commonwealth v. Addicks
del 1815 una Corte americana aveva fatto invero riferimento al best interest of the child nell’esercizio del proprio potere discrezionale per affidare
i figli minori alla madre, in ragione della relativa tenera età2.
Per la prima volta, facendo uso del suo potere discrezionale, il giudice
americano fece in tal caso eccezione alla regola secondo cui the laws is
clear, the custody of a child, of whatever age, belongs to the father, if he chooses3.
Il giudice aveva in tal modo elaborato il rimedio per non applicare la
norma di legge, individuando il criterio per ovviare, nel caso concreto,
alla rigidità del sistema.
Analogamente, nei casi United States v. Green del 1824, Commonwealth c. Wales Briggs (1834) Mercein c. Barry (1840) l’interesse del minore
venne ad essere per la prima volta indicato come paramount rispetto ai diritti dei parents, che debbono cedere to the interests and welfare of the infant4.
Il paradigma del best interest of the child nasce dunque in un alveo di
concezione e tradizione ancor oggi molto diverso da quello dei Paesi
europei di diritto continentale (civil law), e dell’Italia in particolare.
Mentre in questi ultimi è senz’altro scontato e incontroverso che anche i minori siano titolari di diritti, e in particolare di quelli assoluti e
fondamentali-, in quanto persone, e pertanto alla stregua della dignità
umana innata e propria di ogni persona, origine e fondamento di ogni suo
diritto, a prescindere pertanto dalla capacità di compiere scelte inerenti la
propria vita, nel sistema di common law anglo-americano il paradigma del
best interest of the child nasce ed evolve come una sorta di autolimitazione
del potere degli adulti sui minori, indotta dai cambiamenti della società5.
sostanziale a mera icona linguistica, in F. Giuffrè - I. Nicotra (cur.), La famiglia davanti
ai suoi giudici, Atti del Convegno dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Catania 7-8
giugno 2013, 2014, p. 467 e 469 ss.
2
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 471.
3
Principio affermato nel caso inglese De Manneville c. De Manneville del 1804, citato da
L. Giacomelli, op. loc. ult. cit., nota n. 7.
4
V. la citazione in L. Giacomelli, op. cit., p. 472.
5
V. E. Lamarque, op. cit., p. 41 ss. e 67.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 103
In tale sistema predomina la will theory, caratterizzata dalla concezione
dei diritti individuali quali pretese azionabili da parte di individui autonomi e capaci di scegliere ciò che è meglio per la loro vita (claims by autonomous, self-determining and self-interested individuals).
Essendo i minori individui non autonomi ed incapaci di scelte autonome, in quanto ancora privi di piena capacità di discernimento,
sull’onda del paternalismo liberale (Mill) matura l’esigenza di proteggere i minori da loro stessi, allo scopo di tutelare i relativi interessi
fino al momento dell’acquisto della capacità di essere responsabili dei
propri atti illeciti6.
Attribuire a chi non ha affatto (minore in tenera età) ovvero non ha
piena (adolescente) capacità di discernimento le medesime prerogative di autodeterminazione di un adulto significa infatti danneggiarlo o
esporlo a gravi pericoli, sicché non si possono “abbandonare i minori
ai loro diritti”7, e cioè alle loro scelte, che possono rivelarsi per i medesimi dannose, ed emerge la necessità di compensare la loro debolezza
e vulnerabilità.
In tale sistema, i minori non sono titolari di diritti in senso proprio
(perché il termine rights si presta ad essere inteso nel senso di pretese,
e pretese azionabili – claims – di autodeterminazione) ma meritevoli di
protection, di un intervento sostitutivo, di sostegno, di assistenza a carico
degli adulti e dell’intera società nei loro confronti8, versando essi (come
gli anziani, i malati e i disabili9) in una situazione di dipendenza da altri.
Ai children non debbono essere riconosciuti rights ma deve essere
garantita protection.
Soggetti pubblici o privati sono incaricati di decidere per loro e al
loro posto in ordine a quale sia il loro best interest o i best interests, e cioè
quali scelte realizzano meglio il loro welfare e il loro well-being10.
I diritti dei minori sono stati definiti quali meri moral rights, semplici doveri morali a carico degli adulti e della società), ritenendosi
difficile qualificarli legal rights.
6
In tema di capacità delittuale del minore v. C.M. Bianca, Diritto civile 1, Milano, 2002,
p. 239 ss.
7
V. B.C. Hafen, Children’s Liberation and the New Egalitarism: Some Reservations About
Abandoning Youth To Their Rights, in BYU L. Rev., 1976, p. 607, citato da E. Lamarque,
p. 51, nota 74.
8
V. E. Lamarque, op. cit., p. 51-52.
9
V. E. Lamarque, op. cit., p. 42-43.
10
V. E. Lamarque, op. cit., p. 52.
104
The best interest of the child
Anche chi (advocats of the children’s rights) è favorevole al riconoscimento di veri e propri diritti in capo ai children muove invero dalla concezione dei diritti individuali propria della will (o choise o power) theory,
quali poteri di scelta preminenti sulla altrui volontà, ritenendo necessario garantire ai minori la possibilità di compiere autonomamente le
scelte che li riguardano, determinando essi medesimi il modo migliore
di condurre la loro vita (teoria dell’authonomy o della self-determination,
che muove dalla ideologia liberazionista)11.
Nato come criterio di giudizio, come strumento di giustizia sostanziale nel singolo caso concreto, declinato al plurale (best interests), diviene in breve anche criterio che deve guidare la discrezionalità del
legislatore, nei suoi interventi in favore del minore.
Da criterio di giudizio, di soluzione del singolo caso concreto, esso
diviene criterio che deve guidare la disciplina generalizzata della misura di protezione per tutti coloro (minori) che si trovino in una determinata situazione, assumendo pertanto rilievo di carattere generale12.
Il paradigma acquista plurimi significati, diviene polisenso e si sviluppa la Best Interests of the Child Doctrine13, su cui si fonda la legge del
Massachusetts del 1851 in tema di adozione14 per pervenire a consentire che il minore venga definitivamente inserito in una famiglia diversa
da quella di sangue15.
Da criterio di giustizia sostanziale del singolo caso concreto il paradigma best interest of the child diviene criterio per individuare la soluzione ideale generale e astratta per ogni situazione.
Tramite il diritto internazionale esso viene ad assumere rilievo anche nel civil law16.
11
V. E. Lamarque, op. cit., p. 50-51.
12
V. E. Lamarque, op. cit., p. 64-65.
13
V. E. Lamarque, op. cit., p. 69; L. Giacomelli, op. cit., p. 477.
14
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 473-475.
15
V. L. Lenti, Vicende storiche e modelli di legislazione in materia adottiva, in P. Zatti (dir.),
Trattato di diritto di famiglia, II, Filiazione, p. 777 ss. citato da E. Lamarque, op. cit., p.
69 nota 115.
16
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 477.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 105
La diversità tra la concezione anglo-americana dei children’s rights
e quella europea dei diritti dei minori si riflette invero anche negli strumenti internazionali17, sembrando “fin dall’origine” incolmabile18.
La Dichiarazione di Ginevra della Società delle Nazioni del 1924 è
di matrice britannica19, e risulta improntata alla concezione dei doveri
degli adulti verso i minori, enunziando obblighi morali (duties) nei loro
confronti20.
La Dichiarazione ONU di New York dei diritti del fanciullo del
1959 contempla espressamente il principio del best interest of the child,
che assurge a criterio guida della medesima, con riferimento sia all’azione dei pubblici poteri (in particolare i legislatori nazionali) che dei
privati (i genitori).
I best interests of the child sono indicati (al 2° principio) come da
tenersi in the paramount consideration e (al 7° principio) quale criterio
guida per tutti coloro che hanno la responsabilità dell’educazione e
dell’orientamento del minore.
La Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989
(resa esecutiva in Italia con L. n. 176 del 1991)21 riflette emblematicamente le differenti concessioni dei sistemi di common law anglo-americani e di quelli di diritto continentale europeo22.
Il minore risulta tratteggiato come persona titolare di diritti fondamentali solo in ragione della sua qualità di essere umano (e non anche
della sua capacità di esercitarli), estranea alla concezione della tradizione anglo-americana.
17
La Dichiarazione di Ginevra della Società delle Nazioni del 1924, la Dichiarazione
ONU di New York dei diritti del fanciullo del 1959, la Convenzione ONU di New
York sui diritti dell’infanzia del 1989 (resa esecutiva in Italia con L. n. 176 del
1991), la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in
materia di adozione internazionale del 1993, la Convenzione europea sull’esercizio
dei diritti del fanciullo (Strasburgo 1996, resa esecutiva con L. n. 77 del 2003), la
Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. proclamata a Nizza nel 2000 e riproclamata
a Strasburgo nel 2007.
18
V. E. Lamarque, op. cit., p. 48-49.
19
Scritta da Eglantyne Jebb, attivista inglese co-fondatrice della associazione Save
the children Fund, nata per far fronte alla situazione di estrema indigenza in cui
versavano i minori in molti Paesi europei dopo la prima guerra mondiale.
20
V. E. Lamarque, op. cit., p. 47.
21
Di cui la Jebb è stata considerata la madre ma che più recentemente si è sottolineato
essere figlia dell’opera del polacco Korczak e della sua idea della dignità della
persona del minore quale origine e fondamento di ogni suo diritto.
22
V. E. Lamarque, op. cit., p. 50.
106
The best interest of the child
Il paradigma dei best interests of the child enunziato all’art. 3 presenta
peraltro “caratteristriche genetiche anglo-americane”23.
Si sottolinea che comunque l’art. 3 della Convenzione ONU di New
York sui diritti dell’infanzia del 1989 eleva l’interesse del minore a principio cardine di ogni decisione che lo riguarda, e per la prima volta risulta predisposto un vero e proprio statuto normativo integrale dei diritti
del minore, sia di protezione che di prestazione e di promozione24.
L’art. 3 della Convenzione ONU di New York pone il best interest
of the child come principio generale di tutto il diritto minorile25, senza
peraltro dire alcunché sul suo significato e contenuto26.
La formula viene quindi recepita nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 (artt. 1, 6 e 10); nella
Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. del 2000 (art. 24, 2° comma); in tutti
gli atti normativi di diritto europeo derivato riguardanti minori di età27.
L’interesse del minore diviene valore apicale del sistema in materia di
diritto minorile e dell’intero diritto di famiglia28.
La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di
Strasburgo del 1996 e la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. del
2000 prevedono il diritto di ascolto del minore e il diritto del minore di
esprimere liberamente la propria opinione (partecipazione).
L’ascolto e la partecipazione sono strumenti volti a favorire la realizzazione del best interest of the child evitando al contempo il rischio
che l’interesse del minore possa essere piegato alla realizzazione dell’interesse degli adulti29.
La CEDU non contempla espressamente il best interest of the child,
ma la Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha ravvisato costituire
aspetto essenziale del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art.
8, 1° co., CEDU).
23
V. E. Lamarque, op. cit., p. 63.
24
V. V. Scalisi, Superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ.,
2018, I, p. 406.
25
In all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare
institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests
of the child shall be a primary consideration.
26
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 478.
27
In particolare, il Regolamento 22/2003/CE, la Direttiva 2003/86/CE, la Direttiva
2011/36/UE, il Regolamento 2013/604/UE, la Direttiva 2013/33/UE.
28
V. V. Scalisi, op. cit., p. 407.
29
V. V. Scalisi, op. cit., p. 411.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 107
Si è al riguardo sottolineato come, piuttosto che l’interesse del minore
in generale si sia a tale stregua riconosciuto il diritto del minore ad intrattenere una relazione affettiva connotata dall’intimità familiare30.
3. The best interest of the child nell’ordinamento italiano
Nell’ordinamento italiano, nel quale come per gli altri ordinamenti
di diritto continentale è marcata l’influenza degli strumenti internazionali convenzionali nonché della disciplina normativa dell’U.E. e
dell’orientamento delineato dalla CEDU e dalla Corte di Giustizia, il
principio del best interest of the child trova applicazione sia quale criterio di orientamento della politica del diritto, rilevante per il legislatore,
sia quale criterio interpretativo sia quale criterio di giudizio per la soluzione delle controversie.
Attesa la sua indeterminatezza, si paventa che attribuisca al giudice
(e agli organi amministrativi) una eccessiva discrezionalità ai fini della decisione del singolo caso concreto, tanto da potersi prestare, con
eterogenesi dei fini, a realizzare in realtà la tutela degli interessi degli
adulti in luogo di quelli dei minori, e a privilegiare, in ragione del relativismo culturale, qualsiasi valore (es., punizioni corporali, mancata
previsione dell’obbligo scolastico)31.
Si è posto allora il problema di attribuire il corretto significato al
paradigma del best interest of the child32.
Questione che muove anzitutto dalla sua trasposizione al singolare, ispirata alla traduzione della Convenzione ONU di New York sui
diritti dell’infanzia del 1989, anziché all’espressione inglese al plurale
(best interests of the child)33.
Si è sostenuto che l’espressione inglese può essere resa in italiano
nel senso di: a) massimo benessere per il minore; b) miglior interesse
del minore; c) maggior benessere possibile per il minore; d) soluzione
migliore (tra quelli possibili) per il minore.
30
V. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, I, p. 94.
31
V. E. Lamarque, op. cit., p. 63, che al riguardo teme l’arbitrio.
32
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 479.
33
V. L. Giacomelli, op. cit., p. 480. V. supra al § 2.
108
The best interest of the child
Si è posto in rilievo che spesso l’interesse del minore è qualificato
come superiore o preminente laddove il termine best (migliore) non introduce di per sé alcuna gerarchia o comparazione tra interessi, bisogni,
esigenze, diritti del minore e quelli di altre persone o della società34.
L’espressione superiore (o preminente) deriva dalla traduzione francese superieur, e indica che l’interesse del minore non è assoluto ma
deve essere bilanciato con altri interessi eventualmente contrapposti,
attribuendogli invero priorità, venendo altrimenti a configurarsi quale
diritto (o interesse) tiranno35.
Si è per altro verso sottolineato che in un ordinamento come quello
italiano, che riconosce il minore quale titolare di diritti (e in particolare
quelli fondamentali) in quanto persona, a prescindere cioè dalla capacità di farli valere autonomamente come viceversa richiesto dalla will
theory di common law anglo-americano), e che prevede una serie di strumenti volti a garantirne l’attuazione e la protezione, è nel linguaggio
giuridico insorta confusione tra diritti del minore e interesse del minore,
quasi si trattasse di nozioni interscambiabili36.
Confusione che discende in realtà dal segnalato diverso contesto in
cui il paradigma del best interest of the child è nato e si è sviluppato, e
comune a tutti i Paesi di civil law.
Nonostante le perplessità e le accuse di essere una sorta di “araba
fenice” (“che ci sia ciascun lo dice ma dove sia e cosa sia nessun lo
sa”)37, un principio polivalente38, polimorfo39 e pertanto suscettibile di
interpretazioni anche profondamente divergenti40, di essere in realtà
una mera “scatola vuota”41, una cortina di fumo che si presta ad operazioni mistificatorie o un passpartout per donare d’incanto base oggettiva a qualsiasi decisione che lo evochi, anche senza alcuna motivazione
al riguardo42, nell’ordinamento italiano l’interesse del minore è assurto
34
V. E. Lamarque, op. cit., p. 80.
35
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 89.
36
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 93.
37
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 86.
38
V. E. Lamarque, op. cit., p. 64.
39
V. R. Rivello, L’interesse del minore fra diritto internazionale e multiculturalità, in
Minorigiustizia, 2011, p. 21 ss.
40
V. C. Focarelli, La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il concetto di “best
interests of the child”, in Riv. dir. int., 2010, p. 986 ss., ivi alla p. 992.
41
V. V. Pocar - P. Ronfani, La famiglia e il diritto, cit., p. 172 ss.
42
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 106.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 109
a valore apicale del sistema, quale principio organizzatore di tutto il
diritto minorile e più in generale del diritto di famiglia43.
Principio che trova fondamento nell’esigenza solidaristica di pieno
sviluppo della persona umana enunziata negli artt. 2 e 3 Cost. e richiamata dalla Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del
1989 (artt. 18, 27, 29 32)44, ed è idoneo: a) a delineare la finalità politica
d’indirizzo dell’attività legislativa; b) a costituire il principale criterio
ermeneutico di ogni normativa sui minori; c) a fondare la ratio decidendi di ogni questione controversa riguardante i minori; d) a porsi quale
criterio di controllo, a fini integrativi o correttivi del sistema, per mitigare la rigidità del principio di legalità e per giustificare a volte anche
la disapplicazione, legittimando contrastanti situazioni di fatto45.
Senza perdere il carattere di criterio di giudizio/giustizia del caso singolo, l’interesse del minore è venuto ad acquisire sempre più valore quale
criterio di designazione della finalità primaria, da perseguire in materia
di diritto dei minori (e ancora più in generale del diritto di famiglia), quale scopo che deve orientare non solo il giudice ma anche il legislatore,
assumendo pertanto il rilievo di categoria generale ed astratta a prescindere dalla situazione del singolo minore coinvolto nel caso di specie46.
4. Segue. Nel codice civile
La locuzione interesse del minore è contemplata in più norme del
codice civile e leggi speciali.
In alcune ipotesi l’interesse del minore è qualificato come esclusivo47,
in altre come superiore48, in altre ancora quale preminente49, in ulteriori
come prioritario50.
43
V. V. Scalisi, op. cit., p. 407.
44
V. V. Scalisi, op. cit., p. 413.
45
V. V. Scalisi, op. cit., p. 415.
46
V. L. Lenti, op. loc. ult. cit.
47
Art. 337 ter, 3° co., c.c., in caso di affidamento all’esito di interruzione della
convivenza dei genitori; art. 317 bis c.c., in tema di rapporti tra nonni e nipoti; art.
11, 1° co., L. adoz., ai fini della scelta dell’adozione in casi particolari invece di quella
piena; art. 25, 5° co., L. adoz., ai fini dell’adozione da parte di un solo coniuge in caso
di separazione personale dopo l’affidamento preadottivo; art. 33, 4° co., L. adoz., per
giustificare l’ingresso di minori non accompagnati in occasione di eventi bellici.
48
Artt. 32, 1° co., e 35, 3° e 4° co., L. adoz., in tema di adozione internazionale.
49
Art. 57, 2° co., L. adoz., in caso di adozione in casi particolari.
50
Art. 337 sexies, 1° co., per l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione
110
The best interest of the child
La considerazione in termini di esclusività non può che essere eccezionale (es., interesse del minore straniero in caso di eventi bellici
o calamità naturali nei confronti dell’interesse dello Stato a limitare
l’immigrazione)51, altrimenti l’interesse del minore si tramuterebbe in
interesse tiranno, idoneo ad escludere qualsiasi bilanciamento con altri
interessi eventualmente confliggenti, in ragione non già del valore o
del bene tutelato quanto del soggetto che ne è portatore52.
La Corte Costituzionale ha recentemente ribadito che la tirannia di
un valore o di un diritto non è costituzionalmente ammissibile, essendo necessario “un continuo bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi”, in quanto
“tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in
rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela
deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme
non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si
verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme,
espressione della dignità delle persone”53.
personale dei coniugi o di divorzio.
51
V. L. Lenti, op. ult. cit., 104; V. V. Scalisi, op. cit.
52
V. E. Lamarque, op. cit., p. 84.
53
Così Corte Cost., 9/5/2013, n. 85, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 867 ss., con
nota di M. Mazzotta, Il caso Ilva al vaglio della Corte costituzionale; Corte Cost.,
11/2/2015, n. 10, in Foro it., 2015, I, c. 1502 ss., con nota di R. Romboli, L’efficacia “ex
nunc” della dichiarazione di incostituzionalità attraverso un dispositivo forse inadeguato
a realizzare le finalità espresse dalla Corte nella motivazione, e ivi, c. 1922 ss., con nota
di G. Tesauro, Incostituzionalità della “Robin Hood Tax”!: ragioni di bilancio uber
alles, ove si aggiunge: “per questo la Corte opera normalmente un ragionevole
bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sottoposta al suo esame, dal
momento che “[la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche
e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento
tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di
essi” (sentenza n. 85 del 2013). Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole
bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti a determinare la scelta della tecnica
decisoria usata dalla Corte: così come la decisione di illegittimità costituzionale
può essere circoscritta solo ad alcuni aspetti della disposizione sottoposta a
giudizio – come avviene ad esempio nelle pronunce manipolative – similmente la
modulazione dell’intervento della Corte può riguardare la dimensione temporale
della normativa impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di illegittimità
costituzionale sul piano del tempo”.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 111
Anche la Corte di Giustizia ha sottolineato che il principio di interesse del minore non può da solo essere decisivo, perché altrimenti
diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente garantite alla persona, che costituiscono nel loro insieme la tutela della sua dignità.
Pur se preminente, l’interesse del minore deve essere dunque bilanciato con gli altri valori e principi di pari rango54.
5. Segue. Nella giurisprudenza
In giurisprudenza il primo riferimento alla priorità dell’interesse
del minore (inteso come regola operativa che permette di disapplicare
regole consolidate, sia legislative che giurisprudenziali) viene collocato intorno alla metà del secolo scorso, quale criterio utilizzato soprattutto per motivare l’affidamento del figlio alla madre in ipotesi di
separazione ascritta a sua colpa55.
A livello costituzionale, l’ingresso del principio è segnato dall’affermazione che sono le stesse norme costituzionali ad imporre la “ricerca della soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore,
quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la
“miglior cura della persona”56.
Anche quando non accompagnato da aggettivi, nell’applicazione
giurisprudenziale, l’interesse del minore assurge sempre più a preminente, prioritario, prevalente57, superiore, esclusivo58.
Viene considerato esclusivo in tema di affidamento/collocazione del
minore ex art. 337 quater c.c. (già art. 155 c.c.), reclamando la riduzione
54
V. Corte Cost., 9/5/2013, n. 85, cit.; Corte Cost., 11/2/2015, n. 10, cit.; Cass., 30/9/2016,
n. 19599, in Dir. fam., 2017, p. 298 ss., con nota di P. Di Marzio, Figlio di due madri ?
e in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 362 ss., con nota di G. Palmeri, Le ragioni della
trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex
e in Giur. it., 2017, p. 2075 ss., con nota di C. Fossà, Il paradigma del best interest of
the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno. (Filiazione), e in Guida al dir., 2016,
fasc. n. 44, p. 39 ss., con nota di A. Porracciolo, Esclusa la violazione dei principi di
ordine pubblico.
55
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 91.
56
V. Corte Cost., 10/2/1981, n. 11, in Foro it., 1981, I, c. 1839 ss., con nota di M. Dogliotti,
Adozione speciale e adozione ordinaria davanti alla Corte Costituzionale, ed ivi, 1982, I, c.
28 ss., con nota di L. Rossi Carleo, Il conflitto fra adozione ordinaria e adozione speciale
nel giudizio della Corte Costituzionale; Lamorgese, op. cit., p. 78.
57
V. Cass., 30/9/2016, n. 19599, cit.
58
V. Lamorgese, op. cit., p. 83, V. Scalisi, op. cit.
112
The best interest of the child
al massimo dei danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore59.
È indicato come preminente in tema di assegnazione della casa
familiare in sede di separazione personale dei coniugi e di divorzio;
in materia di adozione, con riferimento all’interesse del minore a
vivere e crescere non già in una qualunque famiglia ma nella propria famiglia di origine60; con riferimento all’onore, alla reputazione
e alla riservatezza, a cui favore viene risolto il bilanciamento con il
diritto di cronaca61.
È qualificato come superiore in tema di sottrazione internazionale
ai sensi della Convenzione dell’Aja del 198062, di ricongiungimento
59
V., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/7/2019, n. 14728, in Familia, 2019, p. 345 ss., con
nota di M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus
superiore interesse del minore.; in Fam. dir., 2019, p. 653 ss., con nota di M. Dogliotti,
Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e con nota di G.
Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile
la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento; in Nuova giur. civ. comm., 2019,
I, p. 737 ss., con nota di U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione
omosessuale e surrogazione di maternità, ove si è escluso che la scelta di aderire ad una
confessione religiosa diversa da quella cattolica (testimoni di Geova) costituisca
ragione sufficiente a giustificare l’affidamento esclusivo dei minori all’altro genitore;
Cass., 27/6/2006, n. 14840, in Foro it., 2007, I, c. 138 ss. ; Cass., 19/4/2002, n. 5714, in
Arch. civ., 2002, p. 904 ss.; Cass., 22/6/1999, n. 6312, in Giur. it., 2000, p. 1395 ss., con
nota di Petrella; Cass., 17/2/1995, n. 1732; Cass., 16/3/1991, n. 2817, in Nuova giur.
civ. comm., 1992, I, p. 89 ss., con nota di C. Hubler, Trasferimento all’estero ed identità
etnica. La difficile individuazione dell’esclusivo interesse del minore, e in Giust. civ., 1992,
I, p. 1061 ss., con nota di C. Orefice, L’interesse morale e materiale della prole in caso di
separazione personale dei coniugi.
60
V. Cass., 23/11/2003, n. 19862; Cass., 2/4/1998, n. 3405, in Guida al dir., 1998, fasc. n.
26, p. 53 ss.; Cass., 11/11/1996, n. 9861; Cass., 20/11/1989, n. 4956, in Giur. it., 1990, I,
1, c. 933 ss., e in Giust, civ., 1989, I, p. 678 ss.; Cass., 27/2/1988, n. 180 (ove l’interesse
è indicato come prioritario, così come in Cass., 30/6/2016, n. 13435); Cass., 29/11/1985,
n. 5952.
61
V. Cass., 5/9/2006, n. 19069, in Fam. dir., 2007, p. 136 ss., con nota di B. Lena, Le
incertezze della Cassazione su privacy del minorenne e diritto di cronaca: tutela rafforzata
della riservatezza o prevalenza dell’utilità della notizia?.
62
V. Cass., 5/10/2011, n. 20365, in Corriere giur., 2012, p. 517 ss., con nota di S. De Santi,
Sottrazione internazionale di minori e rischio per la loro incolumità, che nel superiore
interesse del minore ha respinto la domanda di rimpatrio in caso di inidoneità del
genitore affidatario; Cass., 16/6/2011, n. 13241; Cass., 7/3/2007, n. 5236, in Guida al
dir., 2007, fasc. n. 14, p. 24 ss., con nota di S. Pascasi, Il rimpatrio del bimbo può essere
negato se ci sono rischi per la sua incolumità, che nel superiore interesse del minore
ha respinto la domanda di rimpatrio in caso di rischio derivante dall’esposizione a
pericoli fisici o psichici e ad una situazione intollerabile.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 113
familiare63, di partecipazione e ascolto64, di immigrazione65, di declaratoria di stato di adottabilità66, di trascrizione nei registri dello stato
civile di sentenza straniera (di adozione piena dei rispettivi figli biologici
da parte di due donne di cittadinanza francese e residenti in Italia)67, di
63
V. Cass., 22/5/2014, n. 11404, ove si è affermato che l’espressione altri familiari di cui
all’art. 3 L. n. 39 del 2007 va interpretata -in conformità ai principi posti all’art. 3
Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 in accezione non
strettamente parentale.
64
V. Cass., 31/3/2014, n. 7478, che ha limitato la nomina di difensore del minore ex art.
316 c.c. ai soli provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà/responsabilità
genitoriale (ove vi sia un concreto profilo di conflitto tra interesse del genitore e
minori) giacché la partecipazione del minore al giudizio si esprime (ove ricorrano
le condizioni) normalmente mediante l’ascolto dello stesso, adempimento già
previsto all’art. 155 sexies c.c. e ora divenuto adempimento necessario ex art. 315
bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardavano, in attuazione dell’art. 12 Convenzione ONU di New York sui diritti
dell’infanzia del 1989, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con l’interesse del
minore. V. altresì Cass., n. 22238 del 2009; Cass., n. 9094 del 2007. V. altresì, in tema
di ascolto del minore in caso di sottrazione internazionale, Cass., 16/6/2011, n. 13241.
65
V. Cass., 9/4/2014, n. 8398, ove si è affermata la sussistenza della competenza del
tribunale ordinario (e non già del tribunale per i minorenni) su domanda proposta
da genitori stranieri volta ad ottenere l’iscrizione dei figli minori sul permesso di
soggiorno ex art. 31 d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto l’inserimento nel permesso
di soggiorno non presuppone necessariamente l’esperimento della procedura
di ricongiungimento ex art. 29 d.lgs. n. 286 del 1998 e tale scelta appartiene alla
discrezionalità del legislatore a tutela del diritto all’unità familiare (nel rispetto
del superiore interesse del minore) espressamente riconosciuto agli stranieri
regolarmente presenti in Italia (che siano titolari di carta di soggiorno oppure di
permesso di soggiorno di durata non inferiore ad 1 anno.
66
V. Cass., 11/11/2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, c. 3408 ss., con nota di G. Casaburi,
Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, e in Corriere giur., 2015, p.
471 ss., con nota di A. Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed
interesse del minore, e in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 241 ss., con nota di B. Benanti,
La maternità è della donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione
di maternità e conseguente adottabilità del minore, e in Vita not., 2015, p. 674 ss., con
nota di A. Mendola, L’interesse del minore tra ordine pubblico e divieto di maternità
surrogata: trattasi di minore generato da donna ucraina su commissione di una
coppia italiana (contratto tra l’altro nullo pure secondo la legge ucraina per l’assenza
di un legame biologico del nato anche con il padre), in quanto contrario all’ordine
pubblico interno (in ragione della tutela costituzionale garantita alla dignità umana
della gestante) e tenuto conto che nel superiore interesse del minore esso affida solo
all’istituto dell’adozione la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di
legame biologico con il nato.
67
V. Cass., 31/5/2018, n. 14007, ove si è affermato che ai sensi dell’art. 24 Conv. Aja
del 1980 il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato da Stato membro solo
se, tenuto conto del superiore interesse del minore, sia contrario all’odine pubblico.
Superiore interesse del minore nella specie ravvisato coincidere con il mantenimento
della stabilità della vita familiare consolidatasi con entrambe le figure genitoriali,
anche se dello stesso sesso, ritenendosi non incidere l’orientamento sessuale
sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale.
114
The best interest of the child
disconoscimento della paternità68, di ingresso in Italia e ricongiungimento con l’affidatario, di kafalah negoziale69.
6. Interesse del minore e principio di legalità
Particolare rilievo assume la questione della considerazione dell’interesse del minore quale criterio di controllo, a fini integrativi o correttivi, del sistema per mitigare la rigidità della norma, fino ad imporne la
disapplicazione.
L’interesse del minore può dunque operare quale criterio di specificazione o rafforzamento di tutele già normativamente previste. Ma può
anche venire anche in conflitto con il principio di legalità.
In tal caso, si pone quale causa giustificativa della disapplicazione della legge, ergendosi a principio fondante della tutela accordata a
situazioni di fatto che ne sarebbero altrimenti prive in quanto contrastanti con la legge70.
68
V. Cass., 22/12/2016, n. 26767, in Foro it., 2017, I, c. 121 ss., con nota di G. Casaburi,
Filiazione, disconoscimento di paternità, interesse del minore, rilevanza, fattispecie, e in
Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 851 ss., con nota di F. Scia, Disconoscimento della
paternità tra favor veritatis e interesse del minore, che ha cassato la decisione di
merito che aveva accolto la domanda di disconoscimento di paternità nonostante
i rischi derivanti al minore dallo sradicamento affettivo e dallo stato di infermità
psichica della madre da tempo trasferitasi in Nigeria. Si è nel caso affermato che
il quadro normativo (art. 30 Cost., 24, 2° co., Carta fondamentale dell’U.E., 244
c.c.) non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris ma impone un
bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità
biologica con l’interesse alla certezza dello status e alla stabilità dei rapporti familiari,
nel quadro di un’evoluzione della stessa considerazione del diritto all’identità
personale come non necessariamente correlato alla verità biologica bensì ai legami
affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia.
69
Istituto di affidamento familiare che, diversamente da quella giudiziale, non ha
quale presupposto una situazione di abbandono bensì la semplice difficoltà o
inadeguatezza dell’ambiente familiare originario, sicché non cancella il rapporto
di filiazione ma si propone di assicurare l’opportunità di vivere in una situazione
più favorevole alla sua crescita: v. Cass., 2/2/2015, n. 1843, in Nuova giur. civ. comm.,
2015, I, p. 717 ss., con nota di M. Di Masi, La Cassazione apre alla kafalah negoziale
per garantire in concreto interest of the child, ove si è affermato che tale istituto non
contrasta con l’ordine pubblico italiano e neppure con la Convenzione ONU di New
York sui diritti dell’infanzia del 1989, pur operando quest’ultima il riconoscimento
della sola kafalah giudiziale.
70
V. V. Scalisi, op. cit., pag. 415.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 115
La portata dirompente si coglie ancor più significativamente allorquando viene a fondare il mantenimento in vita di situazioni di fatto
formatesi in conseguenza di condotte illecite/illegali di un adulto71.
La Corte europea dei diritti dell’uomo applica il principio dell’interesse del minore in funzione di supporto e rafforzamento dei diritti
fondamentali del medesimo, estendendone la portata72 ovvero consentendo l’operatività di alcuni diritti (es., diritto di rispetto della vita familiare), per ovviare a circostanze eccezionali (es., mancato rilascio di
permesso di soggiorno)73.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha (anche) emesso sentenze
integrative o adeguatrici o correttive del principio di legalità in tema di
rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU74.
La Corte di Giustizia U.E. ha fatto anch’essa utilizzazione del criterio dell’interesse del minore a difesa e sostegno dei diritti fondamentali
del medesimo.
In particolare in materia di proroga o spostamento di competenza
giurisdizionale e di riconoscimento ed esecuzione di decisioni giudiziarie in tema di responsabilità genitoriale; di determinazione della
residenza abituale del minore; di diritto ad un equo processo, anche
sotto il profilo di tempi particolarmente celeri, con negazione di qualsiasi effetto sospensivo75.
7. Segue. La sentenza Cass. n. 19599 del 2016
In relazione a fattispecie caratterizzata dalla nascita in Spagna di figlio
di due donne coniugate (un’italiana, donatrice dell’ovulo, e una spagnola, che ha partorito), la Corte Suprema di Cassazione ha affrontato per
la prima volta la questione se la trascrizione negli atti dello stato civile
dell’atto di nascita formato in Spagna e valido per il diritto spagnolo, da
71
V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 87; F.D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema
della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1465.
72
V. Corte europea dei diritti dell’uomo 18/2/2014, che nel bilanciamento tra l’interesse
del padre putativo al disconoscimento della paternità e l’interesse del minore ad
avere legami familiari giuridici e certi, ha ritenuto prevalente quest’ultimo.
73
V. V. Scalisi, op. cit., pag. 416.
74
V. Corte europea dei diritti dell’uomo 14/1/2016, Mandet c. Francia, che ha ritenuto
ammissibile la rottura della relazione affettiva reciproca genitori-figli ex art. 8
CEDU con cessazione di ogni rapporto con la famiglia di origine a salvaguardia
dell’interesse del minore in presenza di condotta indegna o inadeguata.
75
V. V. Scalisi, op. cit., p. 417.
116
The best interest of the child
cui risulti che il nato è figlio di due donne (una, italiana, donatrice dell’ovulo e l’altra, spagnola, che l’ha partorito) coniugate in quel Paese, sia in
Italia consentita ovvero contrasti con l’ordine pubblico.
Il caso esaminato dalla S.C.76 pone due questioni fondamentali: a)
se costituisca principio di ordine pubblico internazionale il paradigma
eterosessuale77; b) se l’interesse del minore a conservare lo status filiationis, aspetto fondamentale dell’identità individuale78, debba prevalere in caso di scelta della pratica di procreazione assistita all’estero, non
consentita in Italia.
La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunziata in più occasioni in materia di maternità surrogata.
Ha posto in rilievo che in materia di maternità e filiazione gli Stati
membri hanno un ampio margine di discrezionalità.
Pronunziando su ricorsi di coppie di cittadini francesi che avevano
fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero e successivamente chiesto la trascrizione degli atti di nascita in Francia (ove il contratto di maternità surrogata è vietato per contrarietà all’ordine pubblico e la pratica è sanzionata penalmente), con rifiuto dell’autorità amministrativa
confermato dall’autorità giudiziaria, ha negato che tale diniego abbia
violato il diritto alla vita familiare tutelata ex art. 8 CEDU, affermando
che la scelta di vietare la trascrizione dell’atto di nascita da maternità
surrogata può realizzare un giusto equilibrio tra l’interesse dello Stato
e quello della coppia al rispetto della loro vita familiare.
76
Caso che non prospetta un’ipotesi di maternità per sostituzione o surrogata
(ipotesi i cui una donna – gestante – accetta di condurre una gravidanza per altre
persone-committenti o genitori d’intenzione – impegnandosi a consegnare il nato
alle medesime e a non rivendicarne la maternità, e che può essere realizzata con la
messa a disposizione dell’apparato riproduttivo nel suo complesso – inseminazione
artificiale o naturale con liquido seminale del committente – ovvero con la messa a
disposizione del solo utero – con accoglimento dell’embrione frutto di fecondazione
esterna –), in quanto la madre ha portato avanti la gravidanza per sé e non per altri,
e non si è impegnata a consegnare il figlio alla nascita ad una coppia committente,
né di fecondazione eterologa, in quanto la seconda madre ha messo a disposizione
un proprio ovocita.
77
Secondo la legge italiana genitori sono un padre e una madre, non essendo prevista
la possibilità di indicare nell’atto di nascita due genitori dello stesso sesso.
78
V. Corte Cost., 28/11/2002, n. 494, in Giur. cost., 2002, p. 4058 ss., con nota di C.M.
Bianca, La Corte Costituzionale ha rimosso il divieto di indagini sulla paternità e maternità
di cui all’art. 278, comma 1, cod. civ. (ma i figli irriconoscibili rimangono), e in Fam. dir.,
2003, p. 119 ss., con nota di M. Dogliotti, La Corte Costituzionale interviene a metà sulla
filiazione incestuosa, e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 543 ss., con nota di M. Di
Nardo, La filiazione incestuosa: al vaglio della consulta i limiti all’accertamento giudiziale
del rapporto.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 117
Ha peraltro ritenuto violata la vita privata, anch’essa tutelata dall’art.
8 CEDU, la quale implica che ciascuno possa stabilire la sostanza della
propria identità, inclusa la propria filiazione79.
Ha pertanto tutelato il diritto del minore nato da maternità surrogata a vedere riconosciuto il proprio legame di filiazione utilizzando
come parametro l’art. 8 CEDU unicamente con riguardo (non alla vita
familiare ma) alla protezione dell’identità personale compromessa dai
riflessi sul diritto al nome e alla cittadinanza80.
Il criterio del best interest of the child è venuto in tal caso ad orientare
l’interpretazione dell’art. 8 CEDU fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio in ragione dell’avvertita esigenza di tutelare il
nato da maternità surrogata.
Nell’ordinamento italiano l’unica disposizione in materia di P.M.A. è
quella di cui all’art. 12, 6° co., L. n. 40 del 2004, in base alla quale la surrogazione di maternità è sanzionata con la pena della reclusione e della multa,
non investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale del
divieto di fecondazione eterologa ex art. 4, 3° co. L. n. 40 del 200481.
In dottrina si è sostenuto che il disvalore trova fondamento nell’art.
30 Cost., integrante un principio di ordine pubblico internazionale
ostativo al riconoscimento delle sentenze straniere fondate su pratiche
di maternità surrogata82.
La L. n. 40 del 2004 ha regolato la P.M.A. in termini restrittivi.
La L. n. 76 del 2016, che ha disciplinato (per la prima volta) le convivenze di fatto e le unioni civili tra persone dello stesso sesso, non
79
V. Corte europea dei diritti dell’uomo 26/6/2014, Labasse c. Francia e Corte europea
dei diritti dell’uomo 26/6/2014, Mennesson c. Francia.
80
V. V. Varano, La maternità surrogata e l’interesse del minore: problemi e prospettive
nazionali e transnazionali, in Fam. dir., 2017, p. 832.
81
V. Corte Cost., 10/6/2014, n. 162, in Fam. dir., 2014, p. 1062 ss., con nota di G. Ferrando,
La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del
divieto di fecondazione “eterologa” e in Europa e dir. priv., 2014, p. 1117 ss., con nota di
C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, e in
Dir. fam., 2014, p. 973 ss., con nota di L. D’avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la
tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, e in Giur. it., 2014, p. 2827
ss., con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la legittimità
dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili, e in Foro it., 2014, I, c. 2343 ss.,
con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente
assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in Fam. dir., 2014, p. 753 ss., con nota di V.
Carbone, Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Guida al dir.,
2014, fasc. n. 27, p. 16 ss., con nota di A. Porracciolo, Un divieto non giustificabile
dall’ordinamento se ostacola la realizzazione della genitorialità.
82
V. Renda, op. cit., G. Casaburi, op. cit.
118
The best interest of the child
ammette il ricorso alla P.M.A. e ha omesso di disciplinare l’adozione
coparentale (c.d. stepchild adoption).
Ci si è chiesti se l’ordinamento italiano sia ispirato ad un principio
di ordine pubblico di assoluto divieto di accesso alla genitorialità da
parte delle coppie dello stesso sesso.
In dottrina si è risposto affermativamente, laddove la giurisprudenza di legittimità è pervenuta ad ammettere la possibilità di farsi luogo
all’adozione ex art. 44 L. adoz. del figlio del partner83.
L’ordine pubblico, originariamente inteso quale espressione di un
limite per la salvaguardia dell’ordinamento giuridico nazionale (informato a determinate concezioni di ordine morale e politico affermate
nella società e costituenti principio direttivi e informatori per il legislatore, cui lo Stato non può o non crede di rinunziare84) è ora diversamente inteso come riferito ai soli principi supremi o fondamentali della Costituzione (o delle fonti sovranazionali), e non estesa alle
norme costituenti esercizio di discrezionalità legislativa, inderogabili
dall’autonomia privata in quanto imperative85.
L’ordine pubblico coincide pertanto con l’ordine pubblico internazionale, da intendersi quale complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno ispirati alla tutela dei diritti
83
V. Cass., 22/6/2016, n. 12962, in Giur. it., 2016, p. 2573 ss., con nota di A. Spadafora,
Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, ed ivi,
2580 ss., con nota di I. Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il
superiore interesse del minore, e in Nuova giur. civ., comm., 2016, II, p. 1213 ss., con nota
di G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner, e in Fam. dir., 2016, p. 1034
ss., con nota di S. Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption,
e in Foro it., 2016, I, c. 2342 ss., con nota di G. Casaburi, L’adozione omogenitoriale e la
Cassazione: il convitato di pietra.
84
V. Cass., Sez. Un., 19/5/1964, n. 1220, in Riv. dir. int., 1964 p. 661 ss., con nota di S.
Lariccia, Ordine pubblico e delibazione di sentenze straniere di annullamento matrimoniale,
e in Foro it., 1964, I, c. 1415 ss., e in Giust. civ., 1964, I, p. 1551 ss.; Cass., 5/12/1969, n.
3881, in Foro it., 1970, I, c. 1967 ss., e in Riv. dir. int., 1970, p. 590 ss.
85
V. già Cass., 23/2/2006, n. 4040, in Mass. giur. lav., 2006, 932 ss., con nota di A. Pileggi,
Riforma del mercato del lavoro, appalto di manodopera e ordine pubblico internazionale;
Cass., 13/12/1999, n. 13928, in Foro it., 2000, I, c. 3571 ss., e in Nuova giur. civ. comm.,
1999, 2001, I, 1 p. 1 ss., con nota di G. Campeis - A. De Pauli, Rogatorie negate,
delibazioni e ordine pubblico processuale; Cass., 5/4/1984, n. 2215, in Riv. not., 1986, p.
149 ss., con note di G. Baralis, Brevi note in tema di ordine pubblico, norme imperative,
“nullità ambulatoria”, con una digressione finale sulla distinzione: norme imperativeordinative e sulla responsabilità notarile e di L.P. Comoglio, Ordine pubblico interno ed
internazionale: concetti in crisi di identità, e in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1368 ss., con nota di
G. Azzariti, Efficacia in Italia di sostituzione fedecommissaria disposta da cittadino di altro
Stato ove ne vien fatta ammissione.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 119
fondamentali comuni ai diversi ordinamenti e a livello sovraordinato
rispetto alla legislazione ordinaria.
Principi desumibili dalla Costituzione86, dai Trattati fondativi, dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.
Quali principi supremi o fondamentali essi non possono essere
“sovvertiti” dal legislatore ordinario.
A tale stregua, non è ravvisabile contrasto con l’ordine pubblico
in caso di mera difformità o contrasto della norma straniera rispetto a
quella interna, giacché alla concezione di ispirazione statalista si è opposta una maggiore apertura versi gli ordinamenti esteri più aderente
agli artt. 10, 11 e 117 Cost., corrispondente alla posizione dell’ordinamento italiano in ambito internazionale.
La S.C. ha sottolineato che il giudice italiano deve esaminare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale con riferimento a principi desumibili dalla Costituzione, dalla Dichiarazione ONU di New York dei
diritti dell’uomo, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dai
Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., dalla
Dichiarazione ONU di New York dei diritti del fanciullo del 1959, dalla
Convenzione europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore87.
L’interesse superiore del minore (sotto il profilo dell’identità personale e sociale, del diritto all’autodeterminazione e alla formazione di
una famiglia, nonché del diritto alla continuità dello status) è dunque
tutelato dalla Costituzione (artt. 2, 3, 31, 32) e da fonti sovranazionali
(Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989; Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo
del 1996; nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.)88.
In quanto il contrasto con l’ordine pubblico non deriva dalla mera violazione delle norme imperative o inderogabili, atteso che la valutazione
deve riguardare non già l’astratta formulazione della norma straniera o
86
V. Già Corte Cost., 18/7/1983, n. 214, in Foro it., 1984, I, c. 2691 ss., con nota di G.
Scarselli, e in Giur. it., 1983, III, 1, c. 316 ss., e in Giust. civ., 1983, I, p. 2830 ss., e in
Dir. fam., 1983, p. 833 ss.
87
V. Cass., 15/6/2017, n. 14878, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 1708 ss., con nota
di A. Palmeri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di
nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex. (Stato civile), e in Fam. dir., 2018,
p. 5 ss., con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico. (Atto di nascita).
Anche la Corte Federale tedesca ha affermato che l’interesse del minore alla
conservazione dello status di filiazione legittimamente acquisito all’estero va
esaminato con riferimento non già all’ordine pubblico nazionale ma all’ordine
pubblico internazionale: v. Corte Federale tedesca 19/12/2014 (X c. Land’s di Berlino).
88
V. supra, § 2.
120
The best interest of the child
la correttezza della decisione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o italiano, bensì i suoi effetti in termini di compatibilità con il nucleo
essenziale dei valori dell’ordinamento89, si è invero affermato che l’ordine pubblico va considerato anche con riferimento alle norme che attuano
l’ordinamento costituzionale90, sicché si pone l’interrogativo se rilevino al
riguardo anche la legge sulla p.m.a. e quella sulle unioni civili.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel premettere che in materia di maternità e filiazione gli Stati membri hanno ampio margine di
discrezionalità, trattandosi di materie eticamente sensibili, ha peraltro
affermato che l’ordine pubblico deve cedere a fronte dell’interesse del
minore, in quanto esso va tutelato a prescindere dalla natura genetica
o di altro tipo del legame genitoriale, sicché esso non può essere fonte
di discriminazione nei confronti del minore nato da pratica di procreazione assistita non consentita nello Stato ove si chiede la trascrizione
dell’atto di nascita (nella specie, Italia)91.
8. Segue. Il caso Paradiso e Campanelli c. Italia
Altro caso che nasce dal rifiuto di procedere alla registrazione
dell’atto di nascita formato all’estero negli atti dello stato civile, in
ragione della ravvisata contrarietà all’ordine pubblico trattandosi di
maternità surrogata effettuata anche in violazione delle leggi dello
Stato estero (Russia), è quello conosciuto come caso Paradiso e Campanelli c. Italia.
89
V. Cass., 18/4/2013, n. 9483; 23/2/2006, n. 4040, cit.; Cass., 13/12/1999, n. 13928, cit.;
Cass., 5/4/1984, n. 2215, cit.
90
V. Cass., Sez. Un., 5/7/2017, n. 16601, in Foro it., 2017, I, c. 2613 ss., con note di A.
Palmieri, R. Pardolesi, E. D’alessandro, R. Simone, P.G. Monateri, I danni punitivi
e le molte anime della responsabilità civile. (A. Palmieri, R. Pardolesi) - Riconoscimento
di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piove. (E. D’alessandro) La responsabilità civile non è solo compensazione: punitive damages e deterrenza. (R.
Simone) - I danni punitivi al vaglio delle Sezioni Unite. (P.G. Monateri), e in Foro it.,
2018, I, c. 2504 ss., con nota di Salvi, Le funzioni della responsabilità civile e il volto
italiano dei danni punitivi, e in Danno e resp., 2017, p, 437 ss., con nota di Monateri,
Le Sezioni Unite e le funzioni della responsabilità civile, ed ivi., con nota di Ponzanelli,
Polifunzionalità tra diritto internazionale privato e diritto privato, e in Nuova giur. civ.,
comm., 2017, I, p. 1392 ss., con nota di Grondona, Le direzioni della responsabilità civile
tra ordine pubblico e punitive damages. (Responsabilità civile), e in Rass. avv. stato, 2017,
p. 42 ss., con nota di I.M. Triolo, Danni punitivi: la “nuova” natura polifunzionale della
responsabilità civile.
91
V. Corte europea dei diritti dell’uomo 27/1/2015, Paradiso e Campanelli c. Italia.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 121
All’esito di contratto stipulato da due coniugi italiani con una società
russa (la Rosjurconsulting) per una P.M.A. con impianto di due embrioni asseritamente ai medesimi appartenenti, il nato è stato, conformemente alla legge russa, registrato all’anagrafe come figlio della coppia
italiana committente (i genitori sociali), senza far menzione della P.M.A.
La richiesta di trascrizione dell’atto di nascita nel Comune di residenza dai medesimi successivamente formulata al rientro in Italia non
è stata accolta dall’Ufficiale dello stato civile.
Il provvedimento è stato confermato dal giudice italiano, che ha argomentato dal rilievo: a) che i ricorrenti non erano genitori biologici del minore; b) che i medesimi hanno violato la legge russa, che per la maternità
surrogata richiede un legame genetico con almeno uno dei committenti;
c) che l’atto di nascita russo era affetto da falsità ideologica; d) che la
contrarietà di tale atto all’ordine pubblico ne precludeva la trascrizione.
Ha altresì disposto l’allontanamento del minore, collocandolo in
una casa famiglia, in vista della relativa dichiarazione di adottabilità in
quanto in stato di abbandono.
Come nelle sentenze riguardanti i casi francesi Labasse c. Francia
e Menesson c. Francia92, anche nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia
si pongono le questioni concernenti la tutela dell’identità personale e
dell’interesse del minore.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ravvisato in tal caso la
violazione della vita familiare di fatto costituitasi tra i coniugi italiani e il
minore, ritenendo integrata la violazione dell’art. 8 CEDU93.
Ha in particolare considerato sproporzionate le misure adottate,
avendo i giudici italiani fondato l’inidoneità della coppia essenzialmente sulla violazione delle disposizioni in tema di P.M.A. e di adozione internazionale senza tenere conto dell’interesse del minore a
proseguire la relazione con la instaurata famiglia di fatto.
Con sentenza del 2017 la Grand Chambre della Corte europea dei diritti
dell’uomo ha peraltro ribaltato tale decisione, ritenendo non violato l’art.
8 CEDU dalle misure adottate nel caso concreto dal giudice italiano non
essendo configurabile il diritto della coppia al rispetto della vita familiare
di fatto con il minore, stante il breve periodo (6 mesi) trascorso in Italia.
Si è del pari esclusa la violazione della vita privata, in quanto,
pur integrando le misure adottate una ingerenza esse erano state
92
V. supra, § 7.
93
V. Corte europea dei diritti dell’uomo, 27/1/2015.
122
The best interest of the child
necessarie, proporzionate e congruamente motivate, rispondendo
alla superiore esigenza di tutela dell’interesse del minore, attesa l’inadeguatezza genitoriale manifestata mediante la violazione delle
disposizioni italiane in materia di adozione internazionale nonché
del divieto di maternità surrogata.
La Grand Chambre ha dunque valorizzato l’illegalità della condotta dei
ricorrenti; la precarietà del legame, stante la mancanza di alcun legame
biologico e la decisione di stabilire la residenza in Italia; l’urgenza di provvedere, per evitare di prolungare il soggiorno del minore presso i ricorrenti per evitare il rischio che un collocamento provvisorio presso gli stessi
implicasse il rischio che il semplice decorso del tempo avrebbe portato il
consolidamento di un legame sorto illegalmente, la legalizzazione di una
situazione creata in violazione di regole importanti nel diritto italiano.
Alla decisione sono state allegate le opinioni dei giudici, sia di quelli concordanti che di quelli di minoranza.
I giudici a favore della decisione lamentano che la sentenza ha
adottato come elemento favorevole ai ricorrenti l’elaborazione di un
progetto genitoriale; sottolineano che la maternità surrogata a fini
commerciali è vietata praticamente in tutti gli Stati europei, oltre che
incompatibile con la dignità umana, costituendo un trattamento degradante per il minore e per la gestante, trattati come mezzi per soddisfare i desideri di altre persone.
I giudici di minoranza segnalano che la brevità della coabitazione è
stata nel caso dovuta all’allontanamento disposto dai giudici94; si dolgono che sia stato ritenuto lo stato di abbandono laddove del minore
si prendeva invero cura una coppia genitoriale; lamentano non essersi
considerato l’interesse dei coniugi a conservare il legame con il minore.
9. Conclusioni
I casi richiamati, e quello Paradiso e Campanelli c. Italia in particolare,
evocano una pluralità di questioni.
In particolare: a) chi decide quale sia l’interesse del minore nel singolo
caso concreto; se l’interesse del minore sia da intendersi quale mero
criterio di giudizio del caso singolo ovvero quale finalità di politica del
94
Per una critica alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2015, e in
particolare alla possibilità di considerarsi sufficiente a determinare l’insorgenza di
rapporti familiari di fatto (tra l’altro costituiti illecitamente) pressoché irrevocabili il
lasso di tempo di soli sei mesi, v. G. Casaburi, op. cit., p.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 123
diritto; se l’interesse del minore possa o debba assurgere o meno a tiranno; se l’interesse del minore -quale principio fondante di tutela- possa
valere (oltre che come integrativo della tutela apprestata dalla legge)
anche contro la legge, porsi cioè in contrasto con il principio di legalità.
Nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia la pronunzia del 2015 della
Corte europea dei diritti dell’uomo aveva censurato la decisione del
giudice italiano per aver determinato l’allontanamento (a fini di adozione) del minore dai genitori sociali in ragione della ravvisata loro idoneità palesata dall’avere volontariamente deciso di aggirare la disciplina italiana recandosi all’estero per stipulare un accordo di maternità
surrogata vietato in Italia.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto le misure adottate sproporzionate e suscettibili di conseguenze negative per il minore.
Movendo dal superiore interesse del minore nell’interpretazione
dell’art. 8 CEDU, ha ritenuto che vada considerato qualsiasi tipo di
legame familiare e tutelato il diritto del minore alla continuità delle
relazioni affettive e alla riconoscibilità dello status quale complemento
del rispetto della vita familiare.
Interesse a cui fronte, anche sotto il profilo della valutazione dell’ordine pubblico residua un margine molto ridotto.
Già qualche anno fa (2009) la Corte d’Appello di Bari, chiamata
a pronunziarsi sulla domanda di trascrizione nei registri dello stato civile italiano dei c.d. parental orders emessi (nel 1998 e nel 2001)
dall’autorità giudiziaria britannica, con i quali era stata attribuita alla
committente la maternità di due figli nati con le tecniche di maternità
surrogata, ha dichiarato l’efficacia ai fini della trascrizione dei medesimi, riconoscendo la c.d. maternità sociale alla committente, in ragione
della circostanza che ormai il legame protrattosi per oltre dieci anni
non poteva essere considerato contrario all’ordine pubblico interno,
trattandosi di aspetto necessario per la crescita dei minori.
La sussistenza di relazioni e legami familiari di fatto formati anche
contra legem (in ragione di condotte e pratiche integranti anche reato) la
cui stabilità ed immodificabilità sia da proclamarsi in ragione dell’interesse del minore, in tal caso in contrasto con il principio di legalità fa
indubbiamente riflettere.
Le argomentazioni della Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo del 201795 appaiono non facilmente contestabili.
95
V. supra, al § 8.
124
The best interest of the child
Non può d’altro canto sottacersi che la condotta dei genitori illecita ed
integrante anche reato non ha nel recente passato impedito alla Corte Costituzionale (2002) e successivamente anche al legislatore (2012) di far cadere la preclusione allo status di filiazione nei confronti dei figli incestuosi.
Si può al riguardo porre ulteriormente in rilievo che anche a chi
delinque non è precluso il rapporto parentale ma solo il suo esercizio
(art. 317 c.c.), sicché non si fa luogo all’adozione del figlio; che l’elemento di conformità al diritto dal suo inizio si è ritenuto non sempre
indispensabile, dovendo essere bilanciato in ragione della durata della
convivenza e della tempestività dell’intervento dell’autorità; che la logica sanzionatoria si è ritenuta non preclusiva del rapporto genitoriale
allorquando ciò risponda all’interesse del minore96.
È comunque soprattutto l’argomento che le colpe dei padri non
possono e non debbono ricadere sui figli ad assumere pregnante rilievo e a dover far riflettere (anche) il giurista.
Chiamata a pronunziare in ordine al rigetto della domanda, proposta
da due genitori dello stesso genere, coniugati in Canada, quali esercenti la potestà su due minori nati all’esito di procreazione medicalmente
assistita, di trascrizione nei registri dello stato civile di Trento del provvedimento della Superior Court of Justice dell’Ontario del 12/1/2011, di
accertamento della relazione di genitorialità di entrambi con i minori e
di emissione dell’ordine di emendare l’atto di nascita con l’aggiunta del
nome anche del 2° padre, con ordinanza n. 4382 del 2018 la Prima sezione della Corte Suprema di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la
questione di massima di particolare importanza “se la nozione di ordine
pubblico, che ai sensi dell’art. 64 L. 218/95 osta al riconoscimento in Italia
di sentenze straniere producenti effetti ad esso contrari, sia comprensiva
dei soli principi supremi o fondamentali e vincolanti della Corte Costituzionale ovvero si estenda anche ai principi contenuti in leggi ordinarie
costituenti esercizio della discrezionalità legislativa”.
96
V. Corte Cost., 23/2/2012, n. 31, in Giur. it., 2012, p. 1973, con nota di M.A. Federici,
Alterazione di stato e decadenza dalla potestà genitoriale, e in Fam. dir., 2012, p. 437 ss., con
nota di D. Chicco, Se proteggere un figlio diventa una condanna: la Corte costituzionale esclude
l’automatismo della perdita della potestà genitoriale, e in Guida al dir., 2012, fasc. n. 15, p. 70
ss., con nota di M. Finocchiaro, Il giudice deve avere la possibilità di valutare sull’interesse del
minore nel caso concreto. Con la condanna per il delitto dell’alterazione di stato non può scattare
la perdita della potestà genitoriale, la quale ha negato l’automatica decadenza dalla potestà/
responsabilità genitoriale in ipotesi di condanna per il reato di alterazione di stato,
richiedendosi la necessaria valutazione del giudice nell’esclusivo interesse del minore,
in ragione della qualità della relazione e dell’opportunità della tutela.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 125
La rimessione alle Sezioni Unite è stata argomentata dal rilievo che
la recente decisione Cass., Sez. Un., n. 16601 del 2017 in tema di danni
punitivi ha accolto una nozione ampia di ordine pubblico, estesa alle leggi
ordinarie che di volta in volta inverano l’ordinamento costituzionale.
Le Sezioni Unite si sono espresse affermando il principio in base al
quale il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra
un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e
il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, L. n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico,
in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della
gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un
bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice
non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante
il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari,
prevista all’art. 44, comma 1 lett. d), L. n. 184 del 198397.
Accolta, innovando al precedente orientamento98, una nozione lata
di ordine pubblico99, le Sezioni unite hanno affermato che il prevalente/
97
V. Cass., Sez. Un., 8/5/2019, n. 12193, cit.
98
Orientamento che le Sezioni Unite del 2019 indicano basato su una considerazione
dell’ordine pubblico quale “limite all’ingresso nel nostro ordinamento di norme
ed atti provenienti da altri sistemi e ritenuti contrastanti con i valori sottesi alla
vigente normativa”, alla stregua pertanto di una nozione “fortemente orientata alla
salvaguardia dell’identità e della coerenza interna dell’ordinamento, nonché alla
difesa delle concezioni morali e politiche” costituenti il “complesso dei principi
fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale
in un determinato periodo storico e etico-sociale della comunità nazionale in un
determinato periodo storico e dei principi immanenti ai più importanti istituti
giuridici” e che “finiva per lasciare ben poco spazio all’efficacia dei provvedimenti
stranieri, la cui attuazione nel territorio dello Stato risultava in definitiva subordinata
alla condizione che la disciplina dagli stessi applicata non differisse, almeno nelle
linee essenziali, da quella dettata dall’ordinamento interno”, per il quale fanno
espresso richiamo a Cass., 12/3/1984, n. 1680 (in Giust. civ., 1984, I, p. 1419 ss.), a
Cass., 14/4/1980, n. 2414 (in Foro it., 1981, I, c. 1303 ss., e in Giust. civ., 1980, I, p. 1489
ss., e in Riv. dir. int., 1981, p. 159 ss.) e a Cass., 5/12/1969, n. 3881, cit.
99
Nell’avvertire che l’apertura dell’ordinamento interno “al dritto sovranazionale”,
con recepimento di “principi introdotti dalle convenzioni internazionali cui il
nostro Pase ha prestato adesione”, è venuta a determinare “una modificazione del
concetto di ordine pubblico internazionale, caratterizzato, nelle formulazioni più
recenti, da un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla
comunità internazionale ed alla tutela dei diritti fondamentali”, le Sezioni Unite
126
The best interest of the child
superiore interesse del minore non è assoluto100 ma deve costituire oggetto di bilanciamento con altri interessi.
del 2019 affermano che “i principi di ordine pubblico vanno individuati in quelli
fondamentali della nostra Costituzione o in quelle altre regole che, pur non trovando
in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i
diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale
che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero
assetto ordinamentale”. Espressione di tale concezione considera essere la pronunzia
Cass., 30/9/2016, n. 19599, cit., secondo cui l’ordine pubblico “è da intendersi
limitato ai principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma
anche, laddove compatibili con essa, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo”, ed altresì la pronunzia Cass., 15/6/2017, n. 14878, cit., secondo cui “la
contrarietà dell’atto estero all’ordine pubblico internazionale dev’essere valutata alla
stregua non solo dei principi della nostra Costituzione, ma anche, tra l’altro, di quelli
consacrati nella dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo, nella Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo, nei Trattati fondativi e nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, nonché con particolare riferimento alla posizione del minore
e al suo interesse, tenendo conto della Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo,
della Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo e della Convenzione Europea di
Strasburgo sui diritti processuali del minore”.
Le Sezioni Unite del 2019 affermano che l’affermata “portata complementare” attribuita
ai “principi consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali” suindicate “non trova
smentita” nella recente sentenza Cass., Sez. Un., 5/7/2017, n. 16601, cit., ove si è “chiarito
che la sentenza straniera applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento
nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi “con
il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre
dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento
costituzionale”“, essendosi ivi posto in rilievo “la rilevanza della normativa ordinaria
quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione, e la conseguente
necessità di tener conto, nell’individuazione dei principi di ordine pubblico, del modo in
cui i predetti valori si sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti”.
Sottolineando “l’attenzione costantemente prestata, in tema di riconoscimento
dell’efficacia dei provvedimenti stranieri, all’opera di sintesi e ricomposizione
attraverso la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità sono pervenute
all’estrapolazione dei principi fondamentali, sulla base non solo dei solenni enunciati
della costituzione e delle Convenzioni e Dichiarazioni internazionali, ma anche
dell’interpretazione della legge ordinaria, che dà forma a quel diritto vivente dalla
cui valutazione non può prescindersi nella ricostruzione dell’ordine pubblico, quale
insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico”,
le Sezioni Unite del 2019 pongono d’altro canto in rilievo come “il processo di
armonizzazione tra gli ordinamenti … non esige … la realizzazione di un’assoluta
uniformità nella disciplina delle singole materie, spettando alla discrezionalità del
legislatore l’individuazione degli strumenti più opportuni per dare attuazione a quei
valori, compatibilmente con i principi ispiratori del diritto interno”. Come confermato
dal tenore degli artt. 64 ss. L. n. 218 del 1995, “i quali, nel disciplinare l’ingresso nel
nostro ordinamento di atti e provvedimenti formati all’estero, non prevedono affatto il
recepimento degl’istituti ivi applicati, così come sono disciplinati dagli ordinamenti di
provenienza, ma si limitano a consentire la produzione dei relativi effetti, nella misura
in cui gli stessi risultino compatibili con la delineata nozione di ordine pubblico”.
100
Altrimenti si configurerebbe come “tiranno”: v. supra § 2.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 127
Bilanciamento che può essere rimesso al giudice, ma che con riferimento alla maternità surrogata è stato operato in via generale dallo
stesso legislatore, attribuendo prevalenza all’identità genetica e biologica, come si desume dalla previsione di sanzione (anche) penale per la
violazione del divieto ex art. 12, comma 6, L. n. 40 del 2004101.
Ciò in quanto la maternità surrogata è lesiva della dignità della
donna (della gestante)102 e dell’istituto dell’adozione103.
Nell’affermare, come già la Corte Costituzionale104, che “la libertà e la
volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una
famiglia” non può “esplicarsi “senza limiti””; e nel sottolineare che il le101
Le Sezioni Unite del 2019 sottolineano come già la Corte Costituzionale abbia avuto modo
di affermare che la L. n. 40 del 2004, pur non avendo un contenuto costituzionalmente
vincolato, tocca “temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un
ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità
umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore”.
Criticamente nel senso che l’attribuzione “al legislatore un bilanciamento già
compiuto” costituisce una “rapida scorciatoia” utilizzata dalle Sezioni Unite, v. G.
Ferrando, op. cit., p. 685.
102
Per l’interrogativo se debba considerarsi lesiva della dignità della donna anche
l’ipotesi in cui la gestazione venga effettuata non per scopo di lucro ma per “scopi
solidaristici”, e cioè “per rendere possibile la realizzazione dell’altrui diritto alla
genitorialità” v. G. Ferrando, op. cit., p. 684, la quale sottolinea che tale pratica è
ammessa in alcuni Stati, come il Regno Unito o il Canada.
Favorevolmente in ordine alla conferma da parte delle Sezioni Unite del 2019 del
disvalore della maternità surrogata, senza alcuna distinzione tra surrogazione a
titolo oneroso e a titolo gratuito, v. M. Bianca, op. cit., p. 373 ss., la quale osserva che
“la lesività della dignità della donna gestante non attiene tanto alla prestazione ma
allo status di madre e tale profilo riguarda anche il nascituro”.
L’a. sottolinea viceversa criticamente che le Sezioni Unite del 2019 non abbiano fatto
alcun riferimento anche alla dignità del nascituro laddove, preso atto che con riguardo
alla “genitorialità disgiunta dal legame biologico” hanno negato “rilevanza all’atto
di accertamento privato e al suo eventuale riconoscimento, individuando nel solo
strumento dell’adozione la forza di creare una genitorialità disgiunta da qualsiasi
legame biologico”, ravvisa in ogni caso “la necessità di evitare che il figlio nato da
maternità surrogata e privo di legami biologici con uno dei genitori sia trattato in
maniera diversa rispetto al bambino sottoposto ad un procedimento di adozione”.
Sostiene altresì che “la dignità del nascituro appare lesa, non solo in quanto egli è
trattato al pari di una res, ma anche perché la progettazione della sua nascita lo espone
al rischio di incertezza in ordine alla sua identità filiale”, pervenendo a concludere che
“e si accoglie l’idea che la surrogazione di maternità determina al contempo la lesione
della dignità della madre e del nascituro, ci si avvede che ordine pubblico e interesse
superiore del minore, almeno inteso in questa specifica accezione, non risultano in
contrasto, non potendosi affermare che l’uno sia prevalente rispetto all’altro”.
103
Come già affermato da Cass., 11/11/2014, n. 24001, cit., ove si è posto in rilievo che
solo alla disciplina legislativa dell’adozione, caratterizzata “da regole particolari
poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori”, l’ordinamento affida
la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”.
104
V. Corte Cost., 10/6/2014, n. 162.
128
The best interest of the child
gislatore ha considerato contraria all’ordine pubblico l’attribuzione della
qualità di genitore a soggetto privo di alcun legame biologico con il nato
all’estero da maternità surrogata, le Sezioni Unite hanno stigmatizzato il
giudice dell’appello per aver “preteso di sostituire la propria valutazione a
quella compiuta in via generale dal legislatore, attribuendo la prevalenza
all’interesse dei minori alla conservazione dello status filiationis, nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale”, e hanno conseguentemente negato il riconoscimento di efficacia
(mediante trascrizione nei registro dello stato civile) del provvedimento
giudiziale straniero di accertamento del rapporto di filiazione tra il nato
all’estero mediante maternità surrogata e il genitore d’intenzione.
Per altro verso, hanno ribadito che “le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004, imputabili agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa
illegale in Italia, non possono ricadere su chi è nato”105, e che “il diritto
fondamentale … alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero, destinato ad affievolirsi in caso di ricorso
alla surrogazione di maternità”, deve essere comunque tutelato dagli
Stati, pur nel loro “ampio margine di apprezzamento”.
Non si sono quindi limitate ad affrontare la questione dell’ordine
pubblico, ma hanno affrontato anche quella concernente il rapporto tra
il nato e il genitore d’intenzione, pervenendo ad indicare quale strumento idoneo a realizzare l’interesse del minore alla sua vita privata e
familiare in caso di assenza di qualsiasi legame genetico o biologico tra
il nato ed entrambi i genitori l’istituto dell’adozione particolare ex art. 44,
comma 1 lett. d), L. n. 184 del 1983106.
105
In altri termini il principio in base al quale le colpe dei padri non possono e non
debbono ricadere sui figli. Per l’affermazione che il disvalore della condotta dei
genitori non può riverberare sullo status dei figli v. Corte Cost., 23/2/2012, n. 31, cit.;
Corte Cost., 28/11/2002, n. 494, in Fam. dir., 2014, p. 753 ss., con nota di V. Carbone,
Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Corriere giur., 2014, p. 1062
ss., con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte
costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, e in Dir. fam., 2014, p.
973 ss., con nota di L. d’Avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta
un percorso tutto da regolamentare, e in Europa e dir. priv., 2014, p. 1117 ss., con nota
di C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, e in
Foro it., 2014, I, c. 2343 ss., con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa) per il divieto
di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in Giur. it., 2014,
p. 2827 ss., con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la
legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili.
106
V. Corte Cost., 18/12/2017, n. 272, in Corriere giur., 2018, p. 446 ss., con nota di G.
Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore.
Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 129
Soluzione che risulta consentanea con la recentissima Advisory Opinion del 10 aprile 2019 emessa (per la prima volta) ai sensi del Protocollo 16 della CEDU107 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo su richiesta della Court de Cassation francese nell’ambito del procedimento
Mennesson c. Francia, che ha indicato come conforme alla Convenzione
la tutela del rapporto tra il nato e la madre d’intenzione mediante istituti anche diversi dalla trascrizione dell’atto di nascita, quale l’adozione108.
(Filiazione), e in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, p. 540 ss., con nota di A. Gorgoni, Art.
263 c.c.: tra verità e conservazione dello status filiationis. (Filiazione), e in Giur. it., 2018,
p. 1830 ss., con nota di Falletti, Il riconoscimento in Italia dello status di figlio nato da
surrogacy straniera. (Filiazione e riconoscimento di atto di nascita straniero), e in Foro it.,
2018, I, c. 5 ss., con nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La
verità non va (quasi mai) sopravvalutata, e in Giur. cost., 2017, p. 2990 ss., con nota di S.
Niccolai, La regola di giudizio. Un invito della Corte a riflettere sui limiti del volontarismo.
In dottrina, criticamente, per l’inidoneità dell’istituto dell’adozione, che “appare una
sorta di finzione (si adotta il figlio altrui non il proprio)”, che “non garantisce al figlio
lo status fin dalla nascita ma solo successivamente, in seguito ad un procedimento
giudiziale che ha i suoi tempi, le sue procedure, le sue incertezze negli esiti”, v. G.
Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile
la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, cit., p. 686, la quale sottolinea la
necessità di “prendere atto che si assiste al “mutamento” antropologico della filiazione
e degli stessi modi in cui si manifesta la vita familiare”, e che “il diritto deve trovare gli
strumenti appropriati per tutelare i diritti delle persone in questo nuovo contesto”.
Perplessa è altresì M. Bianca, op. cit., p.
Diversamente, per l’idoneità di tale istituto a salvaguardare le esigenze al riguardo
ravvisate imprescindibili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo v. U. Salanitro, op.
cit., p. 741.
107
Protocollo approvato a Strasburgo il 2 ottobre 2013, ed entrato in vigore il 1°
agosto 2018 nei dieci Paesi che l’hanno ratificato, tra i quali non l’Italia, che l’ha
finora solamente firmato, che (sulla falsariga del rinvio pregiudiziale ex art. 267
TFUE) consente alle più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente di richiedere
alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) pareri consultivi su questioni
di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà
definiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli.
108
“In a situation where, as in the scenario outlined in the questions put by the Court of Cassation,
a child was born abroad through a gestational surrogacy arrangement and was conceived using
the gametes of the intended father and a third-party donor, and where the legal parent-child
relationship with the intended father has been recognised in domestic law: 1. the child’s right to
respect for private life within the meaning of Article 8 of the Convention requires that domestic
law provide a possibility of recognition of a legal parent-child relationship with the intended
mother, designated in the birth certificate legally established abroad as the “legal mother”; 2. the
child’s right to respect for private life within the meaning of Article 8 of the Convention does not
require such recognition to take the form of entry in the register of births, marriages and deaths
of the details of the birth certificate legally established abroad; another means, such as adoption
of the child by the intended mother, may be used provided that the procedure laid down by
domestic law ensures that it can be implemented promptly and effectively, in accordance with the
child’s best interests”: in argomento v. A.G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento
del rapporto con la madre intenzionale, in Nuova giur civ. comm., 2019, I, p. 757 ss.
130
The best interest of the child
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Interés superior del menor y maternidad
subrogada: estado de la cuestión en el derecho
español
José Ramón de Verda y Beamonte
Sumario: 1. Consideraciones preliminares. – 2. La posición del ordenamiento jurídico español: la nulidad del contrato y la atribución legal de
la maternidad a la gestante. – 3. La posición de la jurisprudencia ante las
gestaciones por substitución realizadas en países extranjeros, donde esta
práctica es legal. – 3.1. Imposibilidad de inscribir la filiación (interés superior del menor y mercantilización de la gestación y de la filiación). – 3.2.
Ajuste de la jurisprudencia interna a la emanada del Tribunal Europeo de
Derechos Humanos. – 3.3. La posición contraria a la Ley de la Dirección
General de los Registros y del Notariado: admisión de la inscripción, cuando se acompañe una resolución judicial extranjera en la que se determine
la filiación del nacido. – 4. La reacción: el Informe del Comité de Bioética de
España sobre los aspectos éticos y jurídicos de la maternidad subrogada.
1. Consideraciones preliminares
El principio de interés superior del menor fue consagrado en el ordenamiento jurídico español por la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero.
No se puede dudar de la importancia que dicho principio asume en la
actual realidad social y jurídica en todos los Derechos, nacionales e internacionales. Sin embargo, al ser el interés superior de menor un concepto jurídico indeterminado, va siempre acompañado de una cierta
indefinición, que plantea al intérprete el problema de cómo aplicarlo.
La Ley Orgánica 8/2015, de 22 de julio, de modificación del sistema
de protección a la infancia y a la adolescencia, traduce la preocupación
del legislador por este problema, conteniendo un interesante desarrollo
del mencionado principio, en una triple vertiente: sustantiva, interpretativa y procesal, que se plasma en la modificación del art. 2 de la Ley
Orgánica 1/1996.
132
The best interest of the child
En la Exposición de Motivos de la Ley Orgánica 8/2015 se explica la
reforma, observando que el interés superior del menor “Por una parte,
es un derecho sustantivo en el sentido de que el menor tiene derecho a
que, cuando se adopte una medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y, en el caso de que haya otros intereses en
presencia, se hayan ponderado a la hora de llegar a una solución. Por
otra, es un principio general de carácter interpretativo, de manera que si
una disposición jurídica puede ser interpretada en más de una forma se
debe optar por la interpretación que mejor responda a los intereses del
menor. Pero, además, en último lugar, este principio es una norma de
procedimiento. En estas tres dimensiones, el interés superior del menor
tiene una misma finalidad: asegurar el respeto completo y efectivo de
todos los derechos del menor, así como su desarrollo integral”.
Concretamente, la redacción actual del art. 2.1 de la Ley Orgánica
1/1996 es la siguiente: “Todo menor tiene derecho a que su interés superior
sea valorado y considerado como primordial en todas las acciones y decisiones
que le conciernan, tanto en el ámbito público como privado. En la aplicación
de la presente ley y demás normas que le afecten, así como en las medidas concernientes a los menores que adopten las instituciones, públicas o privadas,
los Tribunales, o los órganos legislativos primará el interés superior de los
mismos sobre cualquier otro interés legítimo que pudiera concurrir”.
No obstante, lo que sigue siendo dudoso es si el principio del interés superior del menor puede ser invocado para excluir la aplicación
de una norma legal expresa, en particular, si la misma se considera
expresión del orden público. Este es, precisamente, el caso, que examinaremos en este trabajo, del art. 10 de la Ley 14/2006, de 26 de mayo,
sobre técnicas de reproducción asistida.
2. La posición del ordenamiento jurídico español: la
nulidad del contrato y la atribución legal de la maternidad
a la gestante
El art. 10.1 de dicha Ley1 prevé que “Será nulo de pleno derecho el contrato por el que se convenga la gestación, con o sin precio, a cargo de una mujer
que renuncia a la filiación materna a favor del contratante o de un tercero”2.
1
El precepto es reproducido literalmente por el art. 223-2, nº 2º, PPC.
2
A mi parecer la nulidad lo es por ilicitud de la causa, por lo que, por aplicación del
art. 1306 CC, ninguna de las partes del contrato de gestación por sustitución tendrá
Interés superior del menor y maternidad subrogada
133
Por consiguiente, es nulo el contrato que se celebra, cuando una
pareja es fértil, pero la mujer no puede o no quiere llevar a cabo el
proceso de gestación, razón por la cual se acuerda realizar una fecundación in vitro con gametos de la propia pareja e implantar el embrión
obtenido en el útero de otra mujer. Es igualmente nulo el contrato que
se celebra cuando la mujer de una pareja es estéril, por lo que se acuerda inseminar artificialmente a otra mujer o fecundar in vitro un óvulo
de ésta con gametos del varón, para, posteriormente, implantar en su
útero el embrión resultante: en este caso, la mujer que acepta asumir el
proceso de gestación será madre gestante y madre biológica.
El contrato de gestación por sustitución se opone al principio de
indisponibilidad del cuerpo humano, ya que recae sobre las facultades
reproductivas y de gestación de la madre, haciendo objeto del comercio una función de la mujer, tan elevada, como es la maternidad, la cual
no puede ser objeto de trafico jurídico. Se opone también al principio
de indisponibilidad del estado civil, ya que trata de modificar las normas que determinan la constitución de la relación jurídica paterno-filial y la atribución de la condición jurídica de madre y de hijo3.
acción para reclamar la restitución de las prestaciones ejecutadas, de modo que los
comitentes no podrían pedir la devolución de las cantidades que hubieran pagado
a la que se había comprometido a ser madre portadora. En contra, sin embargo, F.
Pantaleón Prieto, Contra la Ley sobre Técnicas de Reproducción Asistida, en Jueces para
la democracia, nº 5, 1988, p. 27 y 28, quien considera que la nulidad procede de la
ilicitud del objeto.
3
Un sector de la doctrina científica actual sigue defendiendo la nulidad del contrato
de gestación con apoyo en dichos argumentos y en el principio constitucional de
dignidad de la persona humana, consagrado en el art. 10.1 CE, haciendo especial
hincapié en el riesgo de vulnerabilidad de las madres portadoras, que pueden
verse abocadas a acudir a esta práctica para hacer frente a situaciones de pobreza o
marginación social. Cfr., así, Á Aparisi Miralles, Maternidad subrogada y dignidad de
la mujer, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª, pp. 163-175; V. Bellver Capella,
¿Nuevas tecnologías? Viejas explotaciones. El caso de la maternidad subrogada internacional,
en SCIO. Revista de Filosofía, nº 11, noviembre de 2015, p. 19-52; Id., Tomarse en
serio la maternidad subrogada altruista, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª, pp.
229-243; E. Corral García, El derecho a la reproducción humana. ¿Debe permitirse la
maternidad subrogada?, en Revista de Derecho y Genoma Humano, 38/2013, p. 69; P.M.
Estellés Peralta, Gestación por sustitución: Desafíos jurídicos y éticos, en Actualidad
Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 330-357; J. López Guzmán y A. Aparisi Miralles,
Aproximación a la problemática ética y jurídica de la maternidad subrogada, en Cuadernos
de Bioética, XXIII, 2012/2ª, p. 253-267; J. M. Serrano Ruíz-Calderón, Manipulación
del lenguaje, maternidad subrogada y altruismo, en Ibidem, XXVIII, 2017/2ª, p. 219-228; o
A. Valero Heredia, La maternidad subrogada: un asunto de derechos fundamentales, en
Teoría y realidad constitucional (UNED), nº 49, 2019, p. 421-440.
Otro sector de la doctrina se muestra favorable a la admisión de la validez del
contrato, invocando el principio constitucional de libre desarrollo de la personalidad
134
The best interest of the child
Ciertamente, es evidente la conexión entre procreación y el libre
desarrollo de la personalidad, consagrado en el art. 10.1 CE, entendido
éste, como un principio constitucional, que significa la autonomía de la
persona para elegir, libre y responsablemente, entre las diversas opciones vitales, la que sea más acorde con las propias preferencias. En este
caso, la opción vital es concebir, o no, un hijo, decisión personalísima,
en la que el Estado no puede inmiscuirse, ni imponiéndola, ni prohibiéndola, debiendo respetar lo que resulte del ejercicio de la libertad
de cada ciudadano. La libertad de procreación significa el reconocimiento a la persona de un ámbito de decisión (concebir, o no un hijo)
sustraído a la injerencia estatal, pero de esta libertad no se desprende
un derecho a exigir a los poderes públicos que éstos hagan efectiva la
pretensión de tener hijos. Concretamente, no existe un derecho a exigir
al Estado que permita el acceso a las técnicas de reproducción asistida
a cualquier persona, en cualquier circunstancia, y, de cualquier modo.
Es, por ello, legítimo que se limite el acceso a dichas técnicas con el fin
de proteger intereses distintos a los de sus potenciales usuarios, como
son la dignidad, tanto de las madres portadoras, como de los hijos concebidos mediante gestación por sustitución4.
e incluso un pretendido derecho a la reproducción, además de la conveniencia de
frenar el llamado turismo reproductivo, aunque procediendo siempre con cautelas,
para asegurar que el consentimiento de las madres portadoras sea libre y evitar un
posible tráfico internacional de niños. Vid. en este sentido L. Álvarez de Toledo
Quintana, El futuro de la maternidad subrogada en España: entre el fraude de Ley y el
correctivo del orden público internacional, en Cuadernos de Derecho Transaccional (octubre
2014), vol. 6, nº 2, p. 39; C. J. Ávila Hernández, La maternidad subrogada en el Derecho
comparado, en Cadernos de Dereito Actual, nº 6 (2017), p. 313-344; M.P. García Aburuza,
A vueltas con los efectos civiles de la maternidad subrogada, en Revista Aranzadi Doctrinal,
nº 8/2015 (BIB 2015\4006); N. Igareda González, La inmutabilidad del principio “mater
semper certa est” y los debates actuales sobre la gestación por substitución en España, en
Universitas. Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 21, enero 2015, p. 6-7; B. Román
Maestre, Gestación por sustitución: cuestiones de legitimidad, en Folia Humanística, nº
8, febrero-marzo 2018, p. 24-41; C. M. Romeo Casabona, Las múltiples caras de la
maternidad subrogada: ¿aceptamos el caos jurídico actual o buscamos una solución?, en
Ibidem, p. 1-23; C. Sánchez Hernández, Gestación por sustitución: una realidad y dos
soluciones en la experiencia jurídica española, en InDret 4/2018; A. J. Vela Sánchez, J.,
Propuesta de regulación del convenio de gestación por sustitución o de maternidad subrogada
en España, en Diario La Ley, nº 7621, 3 mayo 2013; Idem, Crimen en el bar. Regulemos ya
en España el convenio de gestación por sustitución, Ibidem, nº 9056, 6 octubre 2017; o A.
Vila-Coro Vázquez, Hacia una regulación de la gestación por sustitución como técnica de
reproducción asistida, en P. Benavente Moreda - E. Farnós Amorós (coord.), Treinta
años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global
y actual, Madrid, 2015, p. 283 ss.
4
Concuerdo, pues, con F. Pantaleón Prieto, Técnicas de reproducción asistida y
Constitución, en Revista del Centro de Estudios Constitucionales, nº 15, 1993, mayo-
Interés superior del menor y maternidad subrogada
135
La nulidad del contrato de gestación por sustitución hace que, a efectos
legales, haya que considerar siempre como madre a la gestante, y no, a
la biológica (en el caso de que ésta sea distinta de aquélla)5. El art. 10.2 de
la Ley 14/2006, dice, así, que “La filiación de los hijos nacidos por gestación de
sustitución será determinada por el parto”6. Sin embargo, el art. 10 de la Ley
14/2006, añade que “Queda a salvo la posible acción de reclamación de paternidad respecto del padre biológico, conforme a las reglas generales”. Cabría, pues,
que el padre biológico ejercitara la acción de reclamación de paternidad y
agosto, p. 130-131, cuando afirma que “no existe un derecho fundamental de todos
a procrear, también por medio de técnicas de reproducción asistida, que vincule
al legislador ordinario”; y ello, sin perjuicio de que no comparta sus posteriores
consideraciones, realizadas en la p. 133, a propósito de la maternidad subrogada.
De cualquier modo, me parece que la respuesta legal ha de estar basada en un juicio
de valores, y no en razonamientos de carácter económico, como son los que, en
parte, esgrime en uno de sus numerosos y originales trabajos A.J. Vela Sánchez,
La gestación por encargo desde el análisis económico del Derecho, en Diario La Ley, nº
8055, 4 abril 2013, en donde se refiere al considerable ahorro de costes que para los
españoles supondría el no tener que viajar al extranjero para realizar la gestación por
sustitución y a los ingresos que para la economía nacional supondría la práctica en
España de la maternidad subrogada.
5
No obstante, el Pleno de la Sala Social de Tribunal Supremo, en dos novedosas y
polémicas Sentencias, 25 octubre 2016, nº 881/2016, y 16 noviembre 2016, nº 953/2016
(seguidas de otras posteriores), ha entendido que el nacimiento de un hijo mediante
maternidad subrogada (realizada en el extranjero) puede dar lugar a baja laboral y a
las correspondientes prestaciones por maternidad, considerando que existe analogía
entre la maternidad subrogada y la adopción o el acogimiento. Especialmente
curioso es el caso resuelto por la primera de las sentencias: un varón español acudió
a la maternidad subrogada en la India, utilizándose en la reproducción asistida
su material genético. La madre gestante alumbró dos niñas y aceptó que el varón
español asumiera, en exclusiva, “todas las funciones y obligaciones que se derivan
de la patria potestad”. Las menores fueron inscritas en el Registro Consular como
hijas del padre biológico, siendo trasladadas a España por aquél. La Seguridad Social
española denegó las prestaciones “por maternidad” solicitadas por el padre biológico
de las menores, argumentando que la legislación española considera nulo el contrato
de maternidad por sustitución. El Tribunal Supremo, sin embargo, entiende fundada
la pretensión del solicitante, afirmando que las prestaciones por maternidad también
cubren supuestos de adopción o acogimiento, que la madre puede transferir
al padre una parte de ellas y que, en ciertos casos, cuando la madre biológica no
puede disfrutarlas (muerte, ausencia de protección) se transfieren al padre. Sobre
el argumento vid. E. Talens Visconti, La prestación de maternidad en los supuestos de
gestación subrogada, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 438-453.
6
Esta es la consecuencia natural de la nulidad de contrato con causa ilícita, que
pretende alterar los modos legales de determinación de la filiación, sin que me
parezcan convincentes los argumentos en contrario esgrimidos por parte de Mª
Núñez Bolaños - I. M. Nicasio Jaramillo - E. Pizarro Moreno, El interés del menor
y los supuestos de discriminación en la maternidad subrogada, entre la realidad jurídica
y la ficción, en Derecho Privado y Constitución, nº 29, 2015, p. 259-260, en favor de la
disociación entre la prohibición de gestación por sustitución y la determinación de
la filiación por el parto.
136
The best interest of the child
que posteriormente, previo consentimiento de la madre gestante, el hijo
fuera adoptado por la mujer de aquél, sin necesidad de mediar la declaración de idoneidad prevista en el art. 176 CC7.
3. La posición de la jurisprudencia ante las gestaciones
por substitución realizadas en países extranjeros, donde
esta práctica es legal
En la práctica, sucede que parejas estériles (o formadas por
miembros del mismo sexo) acuden a países donde está permitida
la gestación por sustitución, donde conciertan un contrato de útero
de alquiler; y, una vez que nace el niño, lo inscriben en el Registro
Consular, como si fuera hijo suyo8. Se trata de una práctica que se
opone a lo establecido en el art. 10.1 de la Ley 14/2006, precepto
que tiene un claro carácter imperativo y determina la formación del
orden público español9.
7
Esta posibilidad es sugerida por la STS (Pleno), 6 febrero 2014, en Tol 4100882, y
por el ATS, 2 febrero 2015, rec. nº 245/2012, en interés del menor concebido por
gestación por sustitución en California a iniciativa de un matrimonio de varones
españoles.
8
Véase un interesante panorama de Derecho Comparado en E. Roca Trías, “Dura lex sed
lex”. O de cómo integrar el interés del menor y la prohibición de la maternidad subrogada, en P.
Benavente Moreda - E. Farnós Amorós , (coord.), Treinta años de reproducción asistida en
España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Madrid, 2015, pp. 317 y
ss.; como también en C. J. Ávila Hernández, La maternidad, cit., p. 313-344.
9
No hace mucho se ha aprobado en Portugal una reforma legal que ha permitido
la maternidad subrogada, si bien con requisitos bastante rigurosos. El art. 1 de la
Ley 25/2016, de 22 de agosto, regula, así, el acceso a la gestación por sustitución en
ciertos supuestos, para lo cual ha reformado diversos preceptos de la Ley 32/2006,
de 26 de julio, de procreación médica asistida, concretamente, el art. 8 de la misma.
El precepto define la gestación por sustitución como cualquier situación en que la
mujer se obligue a llevar a cabo un embarazo por cuenta ajena y a entregar el niño
después del parto, renunciando a los derechos y deberes propios de la maternidad
(1º). Sólo la permite, a título excepcional y con carácter gratuito, en los casos de
ausencia de útero o de lesión o enfermedad del mismo que impida de manera
absoluta y definitiva el embarazo de la mujer o en situaciones clínicas que lo
justifiquen (2º), exigiendo, además, que se realice con, al menos, el gameto de uno
de los beneficiarios (3º). Por lo tanto, la maternidad por sustitución se regula como
una medida de carácter terapéutico, es decir, como una técnica extraordinaria que
tiene como finalidad remediar la imposibilidad de procrear de una mujer (lo que,
por definición, excluye que puedan acceder a ella una pareja de varones) y que ha
tener siempre carácter gratuito. Se prohíbe, así, que los beneficiarios paguen a la
gestante cualquier tipo de compensación económica como contraprestación por
la gestación del niño, aunque se permite el pago de gastos médicos (incluidos los
de transporte) debidamente acreditados (5º); y, para garantizar la libertad de la
gestante, se prohíbe que pueda celebrarse el contrato cuando entre las partes exista
Interés superior del menor y maternidad subrogada
137
una relación de dependencia económica, en particular, de naturaleza laboral o de
prestación de servicios (6º). Cumplidos estos requisitos, el niño que nazca será hijo
de los respectivos beneficiarios (7º). En cambio, todos los negocios de gestación por
sustitución que sean onerosos o que, siendo gratuitos, no se ajusten a los requisitos
legales serán nulos (12º), previéndose, además, sanciones penales para quienes los
celebren (nuevo art. 34 Ley 32/2006, de 26 de julio, tras la reforma de 2016).
Se trata, pues, de una regulación, que solamente admite la maternidad subrogada
gratuita y con requisitos bastante rigurosos, pero, como siempre que se regula la
gestación por sustitución, surge el problema de determinar la filiación de los hijos
nacidos fuera de los casos legalmente admitidos. Sobre la cuestión vid. en general,
A.G. Dias Pereira, Gestação de substituição e acesso de todas as mulheres à procriação
medicamente assistida em Portugal: as leis de 2016 e as profundas transformações no direito
da filiação, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018, p. 32-47.
A este respecto, se pronunció el Consejo Nacional de Procreación Médica Asistida
de Portugal en una polémica Declaración Interpretativa de Ley 25/2016, según la
cual el legislador quiere y quiso que, en todos los casos, incluso cuando los contratos
de gestación sean nulos, los niños que nazcan como consecuencia del recurso a la
gestión por sustitución sean hijos de los respectivos beneficiarios.
Esta Declaración interpretativa fue literalmente seguida por el art. 3.5 del Proyecto
de Decreto destinado a establecer el Reglamento de la Ley, lo que mereció fuertes
críticas por parte de un significativo sector de la doctrina, motivando un valoración
negativa por parte del Consejo Nacional Portugués de Ética para las Ciencias
de la Vida, que en un contundente Informe de enero de 2017 afirmó que no era
comprensible que una norma reglamentaria atribuyera a un contrato nulo efectos
idénticos a los de un contrato válido; argumentó que no era aceptable, desde un
punto de vista ético, que alguien pudiera obtener, por medio de un contrato de
gestación contrario a la Ley, los mismos efectos que alcanzaría con la celebración de
un contrato que se ajustase a las prescripciones legales; y concluyó observando que
tal solución no disuadiría de realizar prácticas ilegales y proporcionaría ocasiones
de explotación de las mujeres gestantes (contradiciéndose, así, el carácter gratuito
que, según la Ley, debe tener la maternidad subrogada).
A este respecto, se ha pronunciado el Consejo Nacional de Procreación Médica
Asistida de Portugal en una polémica Declaración Interpretativa de Ley 25/2016,
según la cual el legislador quiere y quiso que, en todos los casos, incluso cuando
los contratos de gestación sean nulos, los niños que nazcan como consecuencia del
recurso a la gestión por sustitución sean hijos de los respectivos beneficiarios. Esta
Declaración interpretativa es literalmente seguida por el art. 3.5 del Proyecto de
Decreto destinado a establecer el Reglamente de la Ley, que se encuentra en fase de
tramitación, pero que ha merecido una contundente valoración negativa por parte
del Consejo Nacional de Ética para las Ciencias de la Vida, que en un Informe de
enero de 2017 afirma que no es comprensible que una norma reglamentaria atribuya
a un contrato nulo efectos idénticos a los de un contrato válido; dice, así, que no
es aceptable, desde un punto de vista ético, que alguien pueda obtener, por medio
de un contrato de gestación contrario a la Ley, los mismos efectos que alcanzaría
con la celebración de un contrato que se ajustara a las prescripciones legales; y
concluye observando que tal solución no disuadiría de realizar prácticas ilegales y
proporcionaría ocasiones de explotación de las mujeres gestantes.
Sin embargo, felizmente, el Legislador luso no ha acogido la solución seguida por el
art. 3.5 del Proyecto, de la que no hay rastro en el Decreto Reglamentario 6/2017, de
31 de julio.
Recientemente la Sentencia del Tribunal Constitucional Portugués, 24 abril 2018,
nº 225, causa n. 95/2017, en Data Juris, 381503, ha declarado inconstitucionales
138
The best interest of the child
3.1. Imposibilidad de inscribir la filiación (interés superior
del menor y mercantilización de la gestación y de la filiación)
El Tribunal Supremo, en una célebre sentencia10, ha confirmado la
cancelación de la inscripción de la filiación, que había sido realizada
en el Registro Civil Consular de los Ángeles, con apoyo en una certificación registral californiana, en favor de dos varones, que habían acudido a la gestación por sustitución. Ha considerado que tal inscripción
iba contra el orden público español, pues en “nuestro ordenamiento
jurídico y en el de la mayoría de los países con ordenamientos basados
en similares principios y valores, no se acepta que la generalización de
la adopción, incluso internacional, y los avances en las técnicas de reproducción humana asistida vulneren la dignidad de la mujer gestante
y del niño, mercantilizando la gestación y la filiación, ‘cosificando’ a la
mujer gestante y al niño, permitiendo a determinados intermediarios
realizar negocio con ellos, posibilitando la explotación del estado de
necesidad en que se encuentran mujeres jóvenes en situación de pobreza y creando una especie de ‘ciudadanía censitaria’ en la que solo
quienes disponen de elevados recursos económicos pueden establecer
relaciones paterno-filiales vedadas a la mayoría de la población”.
diversos aspectos de la regulación lusa de la maternidad subrogada. Así, entre otras
disposiciones, el 8, 8º de la Ley 32/2006, en relación con el artículo 14, 5º de la misma,
en la medida en que no consiente a la gestante subrogada revocar el consentimiento
inicialmente prestado, cosa que debiera poder hacer hasta la completa ejecución
del contrato, es decir, hasta el momento en que debiera entregar a los comitentes
el hijo nacido de ella, comportando dicha disposición una violación del derecho
al desarrollo de la personalidad, interpretado de conformidad con el principio de
la dignidad humana y del derecho a formar una familia. También ha declarado
inconstitucional el art. 15, 1º de la Ley 32/2006, en relación con el nº 4 del mismo
precepto, en la medida en que prevé una obligación de silencio absoluto en relación
a la identidad de los donantes de gametos y de embriones (en la fecundación
heteróloga), además de respecto a la gestante subrogada (en caso de subrogación de
maternidad), pues tal disposición implica un restricción innecesaria de los derechos
a la identidad personal y al desarrollo de la personalidad de los sujetos nacidos
como consecuencia de las técnicas de reproducción asistida.
10
La STS (Pleno), 6 febrero 2014, en Tol 4100882. Puede también verse el fallo
en Revista Boliviana de Derecho, nº 18, 2014, pp. 400-419, con nota de F. J. Jiménez
Muñoz, Denegación de la inscripción de la filiación determinada por la celebración de un
contrato de gestación por sustitución. Vid. al respecto las opiniones contrastantes de T.
Vázquez Muiña, No se puede inscribir en el Registro Civil español la filiación surgida en el
extranjero mediante gestación por sustitución. Comentario a la STS de 6 de febrero de 2014,
en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018, pp. 80-96; y A. J. Vela Sánchez, Los
hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución no pueden ser inscritos en el Registro
Civil español (A propósito de la Sentencia del Tribunal Supremo de 6 de febrero de 2014, en
Diario La Ley, nº 8279, 26 marzo 2014.
Interés superior del menor y maternidad subrogada
139
En mi opinión, no puede considerarse la posición de la legislación
española per se sea contraria al interés superior del menor, pues no está
dicho que, en principio, lo mejor para éste sea que se le reconozca la
filiación, siempre respecto de los comitentes, en vez de respecto de la
madre gestante, sin examinar las circunstancias del caso concreto, lo
que, además, supondría posibilitar que los jueces crearan una regla general de atribución de la filiación, contraria a la claramente establecida
por el legislador, en una aplicación discutible de un concepto jurídico
indeterminado, como es el interés del menor, respecto del cual no existe unanimidad.
La mencionada sentencia del Tribunal Supremo realiza interesantes consideraciones a este respecto. Dice, así, que “La cláusula general
de la consideración primordial del interés superior del menor contenida en la legislación no permite al juez alcanzar cualquier resultado en
la aplicación de la misma. La concreción de dicho interés del menor no
debe hacerse conforme a sus personales puntos de vista, sino tomando en consideración los valores asumidos por la sociedad como propios, contenidos tanto en las reglas legales como en los principios que
inspiran la legislación nacional y las convenciones internacionales”; y
continúa: “La aplicación del principio de la consideración primordial
del interés superior del menor ha de hacerse para interpretar y aplicar
la ley y colmar sus lagunas, pero no para contrariar lo expresamente
previsto en la misma. No hacerlo así podría llevar a la desvinculación
del juez respecto del sistema de fuentes, que es contraria al principio
de sujeción al imperio de la ley que establece el art. 117.1 de la Constitución. Hay cambios en el ordenamiento jurídico que, de ser procedentes, debe realizar el parlamento como depositario de la soberanía
nacional, con un adecuado debate social y legislativo, sin que el juez
pueda ni deba suplirlo”.
Observa, además, que, si bien, a tenor del art. 3 de la Convención
sobre los Derechos del Niño, el interés superior del menor tiene “una
consideración primordial, a la que han de atender los tribunales y demás instituciones públicas y privadas en todas las medidas concernientes a los niños”, ello no significa que no haya que realizar una ponderación con otros bienes jurídicos, como “el respeto a la dignidad e
integridad moral de la mujer gestante, evitar la explotación del estado
de necesidad en que pueden encontrarse mujeres jóvenes en situación
de pobreza, o impedir la mercantilización de la gestación y de la filiación”, afirmando que “la mercantilización que supone que la filiación
140
The best interest of the child
de un menor resulte determinada, a favor de quien realiza el encargo,
por la celebración de un contrato para su gestación, atenta contra la
dignidad del menor al convertirlo en objeto del tráfico mercantil”11.
Por otro lado, hay que insistir en que, conforme al art. 10.2 de la
Ley 14/2006, cabe que, siendo uno de los comitentes el padre biológico
reclame la paternidad y, posteriormente su cónyuge (cualquiera que
sea su sexo) lo adopte, sin necesidad de la declaración administrativa
de idoneidad (art. 176.2º.2. CC), como también que pueda constituirse
un acogimiento en favor de los comitentes, si existe una situación de
desamparo por no ocuparse la madre gestante de su hijo.
3.2. Ajuste de la jurisprudencia interna a la emanada
del Tribunal Europeo de Derechos Humanos
Con posterioridad a la sentencia comentada, el Tribunal Supremo
ha dictado un auto12, desestimando un incidente de nulidad de actuaciones, y en que ha considerado que la solución por él consagrada no
es contraria a la jurisprudencia del Tribunal Europeos de Derechos
Humanos13, que ha condenado a Francia, por no permitir la inscripción
11
Son evidentes los puntos de conexión entre los argumentos usados por el Tribunal
Supremo y la Corte de Casación italiana, en su célebre sentencia de las Secciones
Unidas, 8 mayo 2019, nº 12193, la cual ha afirmado que el reconocimiento de la
eficacia del fallo judicial extranjero en el que se determina la relación de filiación entre
un menor nacido en el extranjero mediante el recurso a la maternidad subrogada y
el progenitor de intención italiano se opone a la prohibición de subrogación de la
maternidad previsto en la Ley nº 40 de 2004 (art. 12, 6), que constituye un principio
de orden público, en cuanto tutela valores fundamentales, como la dignidad humana
de la gestante y la institución de la adopción. Añade que el juez no puede sustituir,
con su propia valoración, la ponderación directamente realizada por el legislador,
sin que pueda considerarse carente de razonabilidad la prevalencia concedida a la
tutela de los mencionados valores en relación con el interés del menor. Se refiere,
además, a la posibilidad de que pueda determinarse la filiación acudiendo a otros
instrumentos jurídicos como la adopción. Vid. al respecto el riguroso y extenso
análisis del fallo realizado por M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezione Unite.
Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, en Familia, Il diritto della famiglia
e delle successioni in Europa, 3, mayo-junio 2019, p. 369-385.
12
ATS, 2 febrero 2015, rec. nº. 245/2012. Vid. a este respecto la opinión contraria de A.
J. Vela Sánchez, Erre que erre: el Tribunal Supremo niega la inscripción de la filiación de
los hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución. A propósito del Auto del Tribunal
Supremo de 2 de febrero de 2015, en Diario La Ley, nº 8600, 8 septiembre 2015.
13
Sobre la materia vid. C. Sánchez Hernández, La reproducción médica asistida en la
jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos: especial consideración desde la
perspectiva de la seguridad jurídica, en Revista de Derecho Privado, nº 4, julio-agosto 2018,
p. 39-92.
Interés superior del menor y maternidad subrogada
141
en el Registro civil francés de hijos nacidos en Estados Unidos mediante
gestación por sustitución con gametos del varón integrante de la pareja
heterosexual comitente14. Observa el Tribunal Supremo que la condena al país galo se fundamenta en “la absoluta imposibilidad de que el
ordenamiento jurídico francés reconozca cualquier vínculo de filiación
entre los comitentes y el niño, no solamente por la imposibilidad de
transcribir el acta de nacimiento norteamericana, sino también por la
imposibilidad de que se reconozca la filiación biológica paterna (lo que
el Tribunal de Estrasburgo considera injustificable), la filiación derivada de la posesión de estado, o la filiación por adopción por parte de los
comitentes”, “lo que supone una situación de incertidumbre jurídica
incompatible con las exigencias del art. 8 del Convenio” de Roma [que
consagra el derecho al respeto de la vida familiar, del que forma parte
el derecho a la identidad].
El Tribunal de Estrasburgo – añade – “no afirma que la negativa
a transcribir al Registro Civil francés las actas de nacimiento de los
niños nacidos en el extranjero por gestación por subrogación infrinja
el derecho al respeto de la vida privada de esos menores. Lo que afirma es que a esos niños hay que reconocerles un estatus definido, una
identidad cierta en el país en el que normalmente van a vivir […]. En
el caso de España, ese estatus puede proceder del reconocimiento o
establecimiento de la filiación biológica con respecto a quienes hayan
proporcionado sus propios gametos para la fecundación, puede proceder de la adopción, y, en determinados casos, puede proceder de
la posesión de estado civil, que son los criterios de determinación de
la filiación que nuestro ordenamiento jurídico vigente ha considerado
idóneos para proteger el interés del menor”15.
14
Vid. SSTEDH 26 junio 2014, caso Mennesson c. Francia, rec. nº 65192/11, y caso
Labassee, rec. nº 65941/11. La doctrina establecida por estas sentencias ha sido
posteriormente confirmada por la STEDH 21 julio 2016, caso Foulon y Bouvet c.
Francia, rec. nº 9063/14 y 10410/14, que condena a Francia por impedir sus tribunales
inscribir en el Registro Civil del país las declaraciones de reconocimiento formuladas
por los padres biológicos, que habían acudido a la India para poder concebir hijos,
eludiendo la prohibición de la utilización de la maternidad subrogada establecida
en el art. 47 del Código Civil galo.
15
En cualquier caso, hay que tener en cuenta el reciente cambio jurisprudencial sobre
la materia protagonizado por el Tribunal de Estrasburgo, al resolver de manera
definitiva el caso Paradiso y Campanelli c. Italia. Dicho caso tiene su origen en el
nacimiento de un hijo en Rusia mediante un contrato de útero de alquiler celebrado
entre la pareja comitente (los demandantes) y la sociedad Rosjurconsulting.
Una vez nacido el niño, la madre gestante dio su consentimiento para que aquél
fuera inscrito a nombre de los demandantes, como, efectivamente, tuvo lugar
142
The best interest of the child
3.3. La posición contraria a la Ley de la Dirección
General de los Registros y del Notariado: admisión
de la inscripción, cuando se acompañe una resolución
judicial extranjera en la que se determine la filiación
del nacido
No obstante lo dicho, la Instrucción de la DGRN de 5 de octubre de
201016 mantiene una discutible posición sobre la materia17.
en el Registro Civil de Moscú. Los problemas surgieron cuando los “padres”
pretendieron la inscripción del certificado ruso de nacimiento de su “hijo” en el
Registro Civil italiano. Las autoridades administrativas y judiciales se negaron a
practicar la inscripción solicitada, argumentando que el certificado era falso, pues
no había vínculo de filiación alguno entre los demandantes, ya que el niño había
sido concebido mediante gestación subrogada, la cual (al igual que la reproducción
artificial heteróloga) es prohibida por el Derecho Italiano. Como consecuencia de
ello, el niño fue puesto a cargo de los servicios sociales, considerado en estado de
abandono y confiado en acogimiento, siendo declarado idóneo para la adopción.
En Sentencia 27 enero 2015 la Sección 2ª del TEDH condenó a Italia por considerar
que las actuaciones descritas atentaban contra el art. 8 del Convenio de Roma.
Sin embargo, tal fallo ha sido revocado por la “Gran Sala” en reciente Sentencia
24 enero 2017, rec. nº 25358/12, que ha entendido que no existió vulneración del
derecho al respeto a la vida privada y familiar, con los siguientes argumentos: 1º. Ha
considerado que no hubo violación del derecho al respecto a la “vida familiar”, por
entender que, en rigor, no puede entenderse que en el supuesto enjuiciado existiese
una verdadera “vida familiar”, teniendo en cuenta, tanto la ausencia de un vínculo
biológico entre el niño y los demandantes, como la corta duración de las relaciones
entre ellos: la convivencia con el hijo en Italia había sido de 6 meses, si bien la Señora
Campanelli había además convivido con el niño dos meses más en Rusia. 2º. Ha
considerado también que, si bien, las medidas denunciadas inciden sobre el derecho
a la vida privada de los demandantes, no obstante, esta incidencia no constituye una
injerencia ilegítima en dicho derecho, obedeciendo a una finalidad legítima, cual
es el deseo de las autoridades italianas de reafirmar la exclusiva competencia del
Estado para reconocer la existencia de relaciones paterno-filiales, exclusivamente,
en el caso de relación biológica o de adopción legal, con el objetivo de proteger
a los niños. Afirma, además, que los Tribunales italianos han realizado una justa
ponderación entre los diferentes intereses en juego, que entra dentro del margen
de apreciación de cada Estado, al constatar que la separación del niño de los
demandantes no provoca a aquél daños graves o irreparables.
16
Sobre la aplicación práctica de la Instrucción por parte de la DGRN, vid. J. Mª Díaz
Fraile, La gestación por sustitución ante el Registro Civil Español. Evolución de la doctrina
de la DGRN y de la jurisprudencia española y europea, en Revista de Derecho civil, vol. VI,
nº 1, enero-marzo 2019, p. 96-110.
17
La Instrucción de 5 de octubre de 2010 sigue en vigor, en toda su extensión. La
DGRN dictó la Instrucción de 14 de febrero de 2019, sobre actualización del
régimen registral de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución,
que pretendía solucionar el problema que surge cuando en el país extranjero en
el que se realiza la gestación subrogada no queda determinada por sentencia
judicial la filiación del hijo respecto de los comitentes. Admitía, así (siempre que
en la certificación registral extranjera o en la declaración y certificación médica
Interés superior del menor y maternidad subrogada
143
a) En su directriz segunda, afirma que: “En ningún caso se admitirá como título apto para la inscripción del nacimiento y filiación del
nacido, una certificación registral extranjera o la simple declaración,
acompañada de certificación médica relativa al nacimiento del menor
en la que no conste la identidad de la madre gestante”.
Por lo tanto, se abandona la posición mantenida por la RDGRN
18 febrero 2009, que, en el supuesto anteriormente mencionado (los
dos varones que habían viajado a California para poder acceder a la
gestación por sustitución), había admitido la posibilidad de inscribir
la filiación de los hijos nacidos mediante gestación por sustitución a
través de un mero certificado registral de nacimiento (expedido por
las autoridades californianas), lo que, por lo tanto, ya no será posible.
b) Por el contrario, sí que admite la inscripción en los Registros civiles
consulares de los hijos nacidos mediante gestación por sustitución, cuando, al menos, uno de los solicitantes sea español y se presente ante el encargado del Registro una resolución judicial, dictada en el país de origen.
En su directriz primera dice, así, que: “La inscripción de nacimiento
de un menor, nacido en el extranjero como consecuencia de técnicas de
gestación por sustitución, sólo podrá realizarse presentando, junto a la
solicitud de inscripción, la resolución judicial dictada por Tribunal competente en la que se determine la filiación del nacido” (párrafo primero)18.
del nacimiento del menor constara la identidad de la gestante), la determinación
de la filiación paterna mediante el reconocimiento legal por parte del padre
español comitente, acompañada de prueba biológica de su paternidad (ADN), y
que, posteriormente, la madre comitente adoptara al menor (siempre que hubiera
existido renuncia de la madre gestante, después del nacimiento). No obstante, la
Instrucción, ni siquiera fue publicada en el BOE, siendo dejada sin efecto, cuatro
días después, por la posterior Instrucción DGRN de 18 de febrero de 2019. Vid. sobre
la cuestión Mª B. Andreu Martínez, Una nueva vuelta de tuerca en la inscripción de
los hijos nacidos mediante gestación subrogada en el extranjero: la Instrucción de la DGRN
de 18 de febrero de 2019, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 10 bis, junio 2019, p.
64-85; G. Muñoz Rodrigo, La filiación y la gestación por sustitución: a propósito de las
Instrucciones de la DGRN de 14 y 18 de febrero de 2019, Ibidem, nº 10 bis, junio 2019, p.
722-735; A. J. Vela Sánchez, Análisis estupefacto de la Instrucción de la DGRN de 18
de febrero de 2019, sobre actualización del régimen registral de la filiación de los nacidos
mediante gestación por sustitución, en Diario La Ley, nº 9453, 10 julio 2019.
18
La razón de este requisito se explica de la siguiente manera: “La exigencia de resolución
judicial en el país de origen tiene la finalidad de controlar el cumplimiento de los
requisitos de perfección y contenido del contrato respecto del marco legal del país
donde se ha formalizado, así como la protección de los intereses del menor y de la
madre gestante. En especial, permite constatar la plena capacidad jurídica y de obrar de
la mujer gestante, la eficacia legal del consentimiento prestado por no haber incurrido
en error sobre las consecuencias y alcance del mismo, ni haber sido sometida a engaño,
violencia o coacción o la eventual previsión y/o posterior respeto a la facultad de
144
The best interest of the child
Por consiguiente, la atribución de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución debe basarse en una previa resolución
judicial, que (salvo que resulte de aplicación un Convenio Internacional) habrá de ser objeto de exequátur, conforme al procedimiento establecido en los arts. 52 y ss. de la Ley 29/2015, de 30 de julio, de cooperación jurídica internacional en materia civil)19.
A mi parecer, la solución propuesta por la Instrucción no es correcta20, porque, en definitiva, está creando una regla general que presta
revocación del consentimiento o cualesquiera otros requisitos previstos en la normativa
legal del país de origen. Igualmente, permite verificar que no existe simulación en el
contrato de gestación por sustitución que encubra el tráfico internacional de menores”.
19
Así lo exige, como regla general, la directriz primera de la Instrucción, según la
cual: “Para proceder a la inscripción de nacimiento deberá presentarse ante el
Registro Civil español, la solicitud de la inscripción y el auto judicial que ponga fin
al mencionado procedimiento de exequátur” (párrafo segundo).
Sin embargo, la misma directriz, en su párrafo tercero, establece que no será necesario
acudir al procedimiento de exequátur, cuando la resolución judicial extranjera
“tuviera su origen en un procedimiento análogo a uno español de jurisdicción
voluntaria”, disponiendo que, en tal caso, “el encargado del Registro Civil controlará
incidentalmente, como requisito previo a su inscripción, si tal resolución judicial
puede ser reconocida en España”.
En este mero control incidental – continúa la Instrucción – el encargado “deberá
constatar: a) La regularidad y autenticidad formal de la resolución judicial extranjera y
de cualesquiera otros documentos que se hubieran presentado. b) Que el Tribunal de
origen hubiera basado su competencia judicial internacional en criterios equivalentes a
los contemplados en la legislación española. c) Que se hubiesen garantizado los derechos
procesales de las partes, en particular, de la madre gestante. d) Que no se ha producido
una vulneración del interés superior del menor y de los derechos de la madre gestante.
En especial, deberá verificar que el consentimiento de esta última se ha obtenido de
forma libre y voluntaria, sin incurrir en error, dolo o violencia y que tiene capacidad
natural suficiente. e) Que la resolución judicial es firme y que los consentimientos
prestados son irrevocables, o bien, si estuvieran sujetos a un plazo de revocabilidad
conforme a la legislación extranjera aplicable, que éste hubiera transcurrido, sin que
quien tenga reconocida facultad de revocación, la hubiera ejercitado”.
20
La doctrina de la Dirección General de los Registros y del Notariado ha sido objeto de
críticas generalizadas por parte de los civilistas; y no sólo de los que están claramente
en contra de la admisión de la validez del contrato de maternidad subrogada, como
es el caso de E. Corral García, El derecho a la reproducción humana, cit., p. 48-49, sino
también de los que están en favor de admitir su validez legal, negando que el recurso
al principio del interés superior del menor puede llevar a soluciones contrarias al
orden público español y propiciar un claro fraude de ley. Vid. así A. J. Vela Sánchez,
El interés superior del menor como fundamento de la incorporación de la filiación derivada
del convenio de gestación por encargo, en Diario La Ley, nº 8162, 3 octubre 2013. A favor,
en cambio, se muestra un sector de la doctrina iusinternacionalista, de la que, por
ejemplo, son exponentes A. L. Calvo Caravaca - J. Carrascosa González, Gestación
por sustitución y Derecho Internacional Privado: consideraciones en torno a la Resolución de
la Dirección General de los Registros y del Notariado de 18 de febrero de 2009, en Cuadernos
de Derecho Transaccional (octubre 2009), vol. 1, nº 2, p. 319.
Interés superior del menor y maternidad subrogada
145
cobertura administrativa a un “turismo reproductivo”, el cual trata de
eludir la aplicación de un precepto legal (el art. 10.1 de la Ley Orgánica
14/2006), que, claramente, establece la nulidad del contrato de gestación por sustitución, norma ésta, que creo que debe ser considerada de
orden público; y ello, en la medida en que responde al principio, común
en los países de la Europa continental, de que no pueden ser objeto de
tráfico jurídico las facultades reproductivas y de gestación de la mujer.
Podría replicarse que en la actualidad la idea de “orden público atenuado” permite reconocer ciertos efectos jurídicos en España a instituciones desconocidas en nuestro Derecho. Esta idea ha posibilitado,
por ejemplo, que, existiendo varias mujeres unidas a un único varón, el
matrimonio pueda ser tenido en cuenta en orden a la percepción de una
pensión de viudedad; o que un acogimiento constituido judicialmente en un país islámico pueda dar lugar a un reagrupamiento familiar
(siendo equiparado a una tutela dativa). Sin embargo, en estos casos, no
se admite la recepción sustantiva de la institución misma, es decir, no
se permite la inscripción de un matrimonio en el que los cónyuges sean
más de dos personas, como tampoco la inscripción como adopción de
un acogimiento de carácter islámico (que en el país de origen no genera
una relación de filiación). Creo que en el supuesto que nos ocupa, sucede algo semejante: no es que la Instrucción pretenda atribuir ciertos
efectos jurídicos a una institución prohibida por el Derecho español,
sino que está proponiendo la recepción sustantiva de la misma, lo que
no parece admisible21.
4. La reacción: el Informe del Comité de Bioética
de España sobre los aspectos éticos y jurídicos
de la maternidad subrogada.
Recientemente el Comité de Bioética de España ha publicado un
Informe sobre los aspectos éticos y jurídicos de la maternidad subrogada, con fecha de 19 de mayo de 2017, que ha tenido gran repercusión mediática y del que no puedo dejar de hacer una breve
referencia22.
21
La situación creada por la Instrucción de la DGRN de 5 de octubre de 2010,
en total oposición a la jurisprudencia del TS es calificada, con razón, por M.D.
Cervilla Garzón, Gestación subrogada y dignidad de la mujer, en Actualidad Jurídica
Iberoamericana, nº 9, 2019, p. 35, como “esquizofrénica”.
22
Al mencionado Informe se refiere extensamente S. Zubero Quintanilla, Efectos
146
The best interest of the child
El Informe se muestra, con toda claridad, en favor de mantener la
nulidad del contrato de gestación por sustitución establecida en el art.
10.1 de la Ley 14/2006, por entender que dicho contrato es contrario
a la dignidad de la mujer y al interés superior del niño. Dice, así, que
atenta “contra la dignidad de la mujer porque permite que su cuerpo
se convierta durante nueve meses en mero instrumento para satisfacer los deseos de otros. Así sucede en todo caso en la maternidad subrogada comercial, pero también (para la mayoría de los miembros de
esta comisión) en la altruista. En ambas modalidades el parto supone
la ruptura del vínculo humano más fuerte que pueda existir, como es
el que une a una madre con su hijo, porque está basado tanto en la
voluntad como en el cuerpo. También atenta contra el interés superior
del niño porque rompe su vínculo materno tras el parto y le expone a
un riesgo frecuente y grave de cosificación”.
Pero, además, llama la atención al Estado sobre la necesidad de intervenir para garantizar “la nulidad de los contratos de gestación subrogada independientemente del lugar en que se celebren”. Denuncia
que “Aprovechando las leyes permisivas de algunos países, ciudadanos
españoles celebran este tipo de contratos en el extranjero y, a continuación, logran inscribir la filiación de los niños obtenidos por esta vía en
el Registro Civil de España” y constata que “Este tipo de contratos e
inscripciones contradicen el parecer del Tribunal Supremo, que se manifestó sobre este asunto en 2014 y 2015, declarando su nulidad y los
demás efectos que ésta comporta”. Ante ello recomienda que España
promueva en la Comunidad Internacional medidas tendentes a lograr
una prohibición universal de la maternidad subrogada y acometa una
reforma legal orientada a conseguir “que la nulidad de esos contratos
sea también aplicable a aquellos celebrados en el extranjero, refiriéndose concretamente a “la posibilidad de sancionar a las agencias que se
dedicaran a esta actividad”.
jurídicos de los contratos de maternidad subrogada internacional en España, en Actualidad
Jurídica Iberoamericana, nº 8 bis, 2018, p. 237-241.
Interés superior del menor y maternidad subrogada
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parte ii
L’interesse del minore e i new media
Il minore di fronte alla malattia e alla morte,
ai tempi di internet
Luisa Avitabile
1. La discussione sulla condizione dell’infanzia in Europa, comparativamente con altre aree del mondo, può essere affrontata e discussa soltanto tenendo conto di quel che appartiene al momento storico attuale:
la rivoluzione digitale1.
Questo fenomeno comporta, non solo per i minori, l’uso di strumenti
informatici che permettono di navigare in una dimensione metareale,
complessa, come quella della rete, e di avere così un differente approccio alle situazioni di sofferenza, come la malattia e la morte, rispetto ad
alcuni anni fa2. Ne deriva che l’infanzia si trova in una dimensione complessa a rischio di iperconnessione, dove internet, nel tentativo di gestire le esistenze dei teenagers, non può più essere considerato solo uno
strumento, perché adotta algoritmi in grado di influenzare la visione del
mondo, il rapporto con l’alterità e dunque la percezione delle condizioni
di sofferenza e dolore3.
Si afferma un diverso modo di considerare e trattare i fenomeni
della malattia, della sofferenza e della morte. È possibile individuare
due versanti: malattia, sofferenza e morte del minore oppure consapevolezza della malattia, della sofferenza e della morte altrui che – come
si può evincere da episodi riportati sempre più sovente dalla cronaca
1
B. Romano, Algoritmi al potere, Torino, 2018, p. 89 ss.
2
G. Capellani, Crescere nell’era digitale: l’uso delle nuove tecnologie nell’infanzia, nell’età
scolare e adulta, quale futuro?, Milano, 2018; P. Cellini, La rivoluzione digitale, Roma,
2018; A. Davidson, Soli nella rete? Internet più sicuro per i bambini, Saronno, 2002; R.
Laurita, Minori in rete: come proteggerli dai pericoli del web, Segrate, 2004; G. Riva, La
solitudine dei nativi digitali, Roma, 2018. In particolare N. Bostrom, Superintelligenza,
Torino, 2018, p. 389.
3
M. Mezza, Algoritmi di libertà, Roma 2018, p. 63.
154
The best interest of the child
– sono vissuti non raramente con senso di sfida piuttosto che con consapevolezza4.
Le nuove tecnologie hanno implementato numerose piattaforme
online, finalizzate certamente alla libera espressione delle idee, ma incapaci di impedire la diffusione di sentimenti di odio e di messaggi dai
contenuti negativi che potrebbero influenzare le condotte dei minori
e il loro approccio alla malattia, al dolore e alla morte. I dati elaborati ed analizzati da esperti del settore mostrano che gli effetti della
digitalizzazione sul benessere dell’infanzia non sono universalmente
riconosciuti, tanto da diventare nel tempo oggetto di un crescente, preoccupato e costante dibattito5.
Internet e l’intrattenimento digitale contribuiscono allo sviluppo
della creatività dei minori, ampliando l’accesso a una molteplicità di
contenuti stimolanti, allo stesso tempo diventano però oggetto di numerose investigazioni circa la dipendenza digitale, nota anche come
“dipendenza da schermo”6.
Elementi problematici sono rappresentati, tra l’altro, dalla scarsa
consapevolezza del reale: la morte sullo schermo non è equiparabile a
quella reale, dove la sofferenza non è una ferita che si rimargina con un
clic né il morto si rialza alla fine del game.
Il timore è che l’attrazione dello schermo possa prendere il sopravvento sulle necessità primarie e sulle esigenze della vita reale.
Correttivi per le condotte dei minori sono presenti in alcuni Paesi,
dove i medici considerano la videodipendenza un vero e proprio disturbo clinico, tale da attivare centri di riabilitazione, dove è possibile
seguire una terapia di isolamento dal mondo virtuale7.
Certo è che la dipendenza dalle strumentazioni informatiche e da
un mondo dove l’esistenza è strutturata secondo colori, immagini e
luci investe i bambini fin dalla nascita8. La facilità di accesso ai dispositivi elettronici, e l’abilità di apprendere il loro utilizzo in modo rapido
ed intuitivo9, porta i bambini ad essere attirati dai tablet e dai cellulari.
Trascorrono, anche con l’aiuto degli adulti, sempre più tempo davanti
4
Cfr. E. Corrente Sutera, Le parole per dirlo: gli adolescenti e la morte, Molfetta, 2006.
5
Rapporto Unicef 2017, p. 2-3.
6
Cfr. P.G. Coslin, Adolescenti da brivido, Roma, 2018.
7
U. Mariani - R. Schiaralli, Nuovi adolescenti, nuovi disagi, Milano, 2011.
8
M. Castells, Comunicazione e potere, Milano, 2017, p. 241 ss.
9
S. Cosimi - A. Rossetti, Nasci, cresci, posta: i social network sono pieni di bambini: chi li
protegge?, Roma, 2017; S. Marino, Adolescenti e dipendenze da internet, Bologna, 2018.
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet
155
ad uno schermo, invece di relazionarsi fisicamente in un ambiente reale con coetanei, genitori, insegnanti e persone che possono intervenire
nel loro processo educativo10.
Gli esiti negativi derivano dall’abuso dell’implementazione delle
immagini utilizzate dai minori durante la navigazione in internet, che
suggestionano la percezione dell’ambiente e quindi anche del dolore,
della malattia e della morte. Chi è il minore? È innanzitutto un soggetto
di diritto che esercita, con l’aiuto degli adulti, la capacità di autodeterminarsi, attraverso il desiderio di essere riconosciuto sin dalla nascita,
originato dalla prima inevitabile mancanza radicale: la separazione dal
corpo della madre. Questa tipologia di mancanza è successiva rispetto
a quella primaria, vale a dire l’assenza della corporeità del padre. Si
può affermare che il concetto di mancanza acquista una duplice veste:
nel bambino è la separazione dal corpo della madre, nella madre il non
avere la corporeità paterna11.
Proprio da questa seconda mancanza emerge la finitezza dell’essere
umano che nomina la provenienza – il non-essere – e, allo stesso tempo, segnala che ogni individuo non è l’inizio di sé stesso: in altre parole, la mancanza radicale indica l’essere umano come altro-da-se-stesso.
Tra coloro che hanno approfondito la condizione dell’infanzia,
una posizione significativa è quella di Jacques Lacan che, interpretando l’opera di Freud, afferma come la mancanza si manifesti al
momento della nascita come fine del legame tra madre e bambino.
Con la nascita del bambino compare la figura di un terzo, nominato
padre, che si interpone tra la madre e il bambino. Il vissuto del bambino, in questo modo, non si concentra più sulla madre ma è deviato
verso il terzo, sostituto dell’impulso a colmare il vuoto originario causato dalla nascita, primo momento di separazione e quindi di nonidentificazione con la madre.
La regola e la deviazione, rappresentate e poste dal padre, costituiscono la realtà del linguaggio ed avviano quello che Lacan definisce il
passaggio dall’immaginario al simbolico, ossia la transizione dall’identità alla differenza, dall’immagine unica alla pluralità di immagini, dalla captazione della propria imago all’accesso al symbolon, inteso come
rinvio creativo.
10
F. Tonioni, Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Milano,
2012.
11
J. Lacan, Seminari, Parma, 1979, p. 73 ss.
156
The best interest of the child
La rottura del rapporto di identificazione con la madre è presente
ed è supportata nel bambino dall’impegno a liberarsi dall’immaginario, inteso come dimensione latrice del rischio di identificazione con la
madre12.
Mediante la regola posta dal padre, dice Lacan, si presenta la legge che “è al servizio del desiderio”, da intendere non più come soddisfazione biologica ma logos, progressivamente consapevole e non
identificabile con l’impulso. Dunque, desiderio e linguaggio hanno la
medesima struttura perché il desiderio è nel e per il linguaggio, effetto
iniziale della deviazione del bambino dalla madre e istituzione di un
limite come emancipazione dal bios.
La differenza tra immaginario e simbolico consiste proprio nell’emancipazione dalla datità, dalla fissità dell’immagine dove manca il
“terzo”; le relazioni sono sempre costituite da due termini per cui l’uno può identificarsi nell’altro, confondendosi. Il bambino vive le relazioni in una sorta di riflesso speculare13, la sua breve esperienza lo
porta a guardare all’alterità in modo indifferenziato.
Per effetto dell’indifferenza, in quanto negazione della differenza
nel riferirsi a sé stesso, all’altro ed al mondo, il bambino – ma la considerazione vale per ogni essere umano che non accede al simbolico – finisce per rimanere imprigionato nell’identificazione con l’alterità14 che
non consente la costituzione dell’io-soggetto-esistente responsabile. In
questo modo, l’essere umano si nientifica nella fissità delle immagini:
la sua, quella dell’altro e quella del mondo, il che gli impedisce la formazione di una specifica identità che scade, invece, in forme esclusivamente fissative, privandolo di sperimentare la libertà condivisa nelle
relazioni interpersonali. Come se rimanesse imprigionato nell’immagine prima, senza quella possibilità di relazionarsi in modo responsabile ed empatico, e di avvicinarsi al dolore, alla malattia, alla morte in
modo differenziato e non con indifferenza.
2. La presenza fisica dell’alterità è significativa perché pone il bambino di fronte all’impossibilità di negare che esiste un’oggettività. La
realtà è rappresentata dalla presenza dell’alterità, ma non è solo un’interpretazione soggettiva, non è una forma di interpretazionismo che
12
Id., Scritti, I, Torino, 1974, p. 87 ss.
13
Ivi, p. 91 ss.
14
Ivi, p. 107.
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet
157
riduce l’essere umano al livello dell’immediatezza. Altrimenti, la realtà
integrale dell’essere umano finirebbe per essere eletta a sensazione, a
Erlebnis, e il rapporto tra le Erlebnisse è vissuto come una sorta di gioco. L’interpretazionismo libera l’essere umano dalla responsabilità e
dall’impegno di riferirsi al vero. Se il vero è la realtà puntuale di uno
stadio coscienziale, se è solo una occasionale Erlebnis, non assume il
significato di un problema e, di conseguenza, il soggetto è irresponsabile nella costruzione del rapporto con la verità, con il mondo e con
la realtà.
In questa direzione, si può assumere come riferimento alcune
espressioni di Nietzsche laddove afferma che l’essere umano, nel momento in cui si libera dalla verità oggettiva, diventa innocente come un
bambino; la verità si trasforma allora in “qualcosa da creare”15, in una
dimensione di gratuita innocenza, un gioco, una realtà priva di conflitti e di complessità, dove ogni spiegazione è fungibile con qualsiasi
altra, in una innocente e deresponsabilizzata equivalenza.
D’altra parte, bisogna considerare che ogni essere umano si presenta, sin dalla sua infanzia, come non-fungibile: una identità originale che incontra l’alterità ponendo degli interrogativi. Questo status viene indicato da Lacan come “dimensione soggettiva”, presente
nell’infanzia, con il succedersi di domande che pongono questioni
dove il bambino avverte che la realtà viene nominata attraverso la
parola16, vale a dire da quel logos non riducibile alla serializzazione
logorroica17.
Nell’ambito della relazione di riconoscimento, particolare attenzione va dedicata all’interrogativo promosso dal bambino. I suoi numerosi “perché” rivolti all’adulto eccedono la funzione cognitiva, riferita alla fattualità delle cose, marcando così la qualità della relazione
posta nell’alternativa tra il riconoscimento e l’esclusione. Le risposte
dell’adulto servono a ipotizzare una progettualità di senso e a renderlo
consapevole, attraverso l’esercizio del logos, anche delle situazioni di
sofferenza e di morte, propria e di quella altrui.
Il “perché” del bambino rappresenta l’ipotesi di un dialogo, dove i
soggetti si riprendono ogni volta nella relazione con gli altri, mediata
dal logos, senza identificarsi mai totalmente con l’immagine di alter.
15
Vd. B. Romano, La liberazione politica, Roma, 1983, p. 94 ss.
16
J. Lacan, Scritti, I, cit., p. 235 ss.
17
Cfr. B. Romano, Il diritto strutturato come il discorso, Roma, 1994.
158
The best interest of the child
3. La questione dell’immaginario motiva l’analisi della realtà come si
presenta attualmente. Il minore viene immerso in un mondo popolato da icone, fotografie, stilizzazioni, emoticon, ecc. dove i rapporti rischiano di essere condizionati dalla mancata esperienza diretta e reale
con l’altro che attiva un movimento di empatia, difficile da reperire
nel mondo virtuale, dove alter si riduce a un’imago nel profilo di un
nickname18.
Così come la nascita della metropoli, in quanto processo di innovazione nella transizione dalla campagna verso le città19 ha presentato
problemi significativi, lo stesso può dirsi per il passaggio dalla metropoli a internet: una trasformazione che incide profondamente sulle
condotte umane, sulla personalità e sugli approcci a situazioni-limite
come la malattia, il dolore e la morte.
Emerge un nuovo fenomeno all’attenzione dello studioso: la digitalizzazione, con la conseguente economia dell’informazione, invade
il fondamento dell’economia monetaria, condensando la connessione
retale e raggiungendo fasce di età in una fase delicata e sensibile come
quella evolutiva.
Va rilevato che la rapida proliferazione delle nuove tecnologie è
diventata inarrestabile e, coinvolgendo le sfere della vita moderna,
dall’economia al diritto, alla società, alla cultura, influenza in modo
rilevante la dimensione dell’infanzia nei suoi vari gradi di sviluppo,
fino a rischiare, proprio in virtù dell’uso che se ne fa, un processo identificativo con l’immagine propalata virtualmente. Compare una nuova
Weltanschauung delle relazioni interpersonali e delle scelte orientate
dalla varietà proposta dalla rete20. Attraverso una produzione costante
di immagini, la malattia, il dolore, la morte e la sofferenza vengono
esperiti dal minore in una forma mediata, vissuti come momenti contingenti che possono essere cancellati con un clic.
Non va peraltro trascurata la circostanza che, dai signori della rete,
la stessa infanzia è osservata esclusivamente come un insieme di data21,
18
Vd. M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Rivista del diritto dei
media, 2, 2019, p. 6.
19
Cfr. G. Simmel, La moda, Milano, 2015, passim.
20
A. M. Caresta, Generazione hikikomori: isolarsi dal mondo, fra web e manga, Roma, 2018;
M. R. Parsi - M. Campanella, Generazione H, Milano, 2017.
21
Si è lontani dall’ipotesi del fanciullo descritta, solo per fare un esempio, da Filomusi
Guelfi nell’Enciclopedia giuridica, dove il minore è collocato in una cornice di tutela
costruita sulla base di “vincoli famigliari”. F. Guelfi, Enciclopedia giuridica, voce
Tutela, § 73, Matera, 2013, p. 183. Vd. anche C.M. Bianca, La famiglia, Milano, 2005.
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet
159
adatti funzionalmente a incrementare il profitto dell’economia informazionale: soggetti consumatori distribuiti su molteplici fasce di età,
inclusi i minori nei diversi stadi evolutivi, che vengono indotti a scegliere nella varietà proposta dal web.
Si viene progressivamente modificando l’idea della temporalità,
della presenza fisica, della finitudine dell’essere umano, del concetto
di dolore, di malattia e di morte. Ognuno rischia di identificarsi narcisisticamente con sé stesso in un profluvio iconografico del sé, trasformandosi da altro-da-sé in altro-in-sé.
4. Dal momento in cui un bambino nasce, è immesso in un circuito
costituito da flussi di comunicazioni, immagini e connessioni digitali
– dalla sanità alle fotografie pubblicate online, alle storie su Instagram,
ai post su Facebook – che rischiano di condurlo, nel peggiore dei casi,
a condizioni di isolamento ed autoreferenzialità identificatoria, con la
conseguenza, laddove non opportunamente orientato, di un disagio
nell’intraprendere relazioni interpersonali che non transitino dalla dimensione virtuale dell’immagine. Il bambino rischia di imitare l’identificazione con la madre –immagine prima –, trasferendola nel mondo
della rete che riproduce all’infinito il rapporto duale primario.
Lo scambio virtuale sostituisce il dialogo, diventa dimensione duale e si presenta come chiuso alla dimensione dialogica triale, dove il
terzo è colui che, frapponendosi tra lo schermo e il bambino, istituisce
la regola di diversione e creazione.
Considerati i vantaggi offerti dalla rete, è opportuno osservare
come la polimorfia del mondo virtuale subisca una trasformazione
continua con l’ingresso dei nativi digitali22, offrendo loro l’opportunità di socializzare online, in una dimensione edulcorata e piena di
attrattive.
In un’architettura così concepita, vanno differenziate le situazioni
dove la connessione virtuale svolge una funzione positiva soprattutto
per bambini che vivono in località remote o che, a causa della povertà,
dell’esclusione sociale e delle emergenze economiche sono costretti, insieme alle famiglie, a fuggire dai Paesi d’origine.
Non tutti i minori possono godere o usufruire di un accesso ai servizi informatici che non sia intermittente o di scarsa qualità, questo
22
Terminologia coniata per nominare la generazione di bambini nata e cresciuta con
computer, smartphone, tablet, ADSL, Internet mobile, touchscreen e app.
160
The best interest of the child
non significa che non vi sia un’influenza del mondo virtuale sulla vita
reale dei soggetti minori anche nei paesi “emergenti”.
Nel caso di bambini disagiati, che certamente hanno una diversa
percezione della morte e delle sofferenze apportate dalla malattia, l’aggravio della diseguaglianza sociale diventa causa di malessere. La prima sofferenza percepita è quella che si presenta come discriminazione
e disparità di trattamento, che aggrava ulteriormente lo stato emozionale dei minori in condizioni di diversità, a questo si aggiunge l’impossibilità di accedere ad un mondo come quello digitale che accelera
le conoscenze utili anche alla vita reale.
Nel mondo digitalizzato, le nuove tecnologie e l’interattività presentano rischi significativi per la sicurezza, la privacy e il benessere dei
minori23, ingigantendo minacce e pericoli che offline sono affrontati in
modo diverso24, soprattutto perché i bambini si attivano, attraverso interrogativi e dialogicità reale, a rappresentare se stessi senza confinarsi
in un’immagine/profilo.
La presenza relazionale rischia di essere mediata solo da strumenti
tecnologici piuttosto che dall’alterità. Il bambino, una volta abituato,
soprattutto nella fase della pre-adolescenza, cerca di essere comunque
e ovunque connesso25. Nella inconsapevolezza che la tecnologia, rappresentata prevalentemente dai social, non può sostituire totalmente
l’interazione reale, soprattutto in soggetti minori che dovrebbero essere sottratti all’invadenza di computer, tablet e smartphone26, che rende
evanescente e rarefatta l’empatia con chi soffre o è malato.
23
Vd. in part. M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine
della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Il diritto di famiglia
e delle persone, 1, 2015, p. 186-203.
24
M. Spitzer, Demenza digitale. Come le nuove tecnologie ci rendono stupidi, Milano, 2019.
25
Le questioni legate alla iperconnessione sono oggetto di studio da parte di alcuni
pediatri statunitensi che raccomandano di non esporre i bambini, prima dei 2 anni,
ai supporti elettronici, perché, in questa fase, il cervello si sviluppa rapidamente
e apprende in modo più incisivo. Nell’interazione con lo schermo proliferano i
processi imitativi dai contenuti inadatti, soprattutto nelle rappresentazioni della
morte, del dolore e della violenza. Solo la relazione interpersonale rende pienamente
consapevoli del significato delle condizioni di sofferenza. In molti casi ai minori è
prescritto di trascorrere non più di una o due ore al giorno davanti a televisione,
pc e tablet, con l’impegno di seguire soltanto programmi dai contenuti qualitativi.
In questo modo, si insegna loro ad utilizzare il tempo in modo creativo attraverso
relazioni interpersonali nel mondo reale, dove sono presenti persone che soffrono,
che sono malate e che muoiono.
26
S. Orto, Nomofobia, Patti, 2017; F. Tonioni, Nativi digitali e dipendenze da internet, in
Famiglia e nuovi media, Milano, 2013. Nomofobia significa paura di rimanere fuori
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet
161
Proprio con l’emergere delle nuove tecnologie, in particolare con le
accattivanti comunicazioni provenienti dalla rete, dove cresce l’illusione di avere a disposizione il mondo con un clic, l’attenzione sulla crescita del minore e sulla dimensione dei cosiddetti soggetti deboli è diventata progressivamente più rigorosa. Fatte salve le novità, l’evoluzione,
il benessere e l’innovazione apportate dallo sviluppo del web, e considerate le funzionalità ed opportunità, è chiaro che ci si trova davanti ad
una sorta di giano bifronte: sommariamente si può affermare che, da
una parte, il significante principale della rete è costituito dal benessere,
dall’altra il pericolo fa da contraltare e da supporto impegnativo.
Il fenomeno non è reversibile: non si può tornare indietro, né vivere
con la testa rivolta ad un gioioso e idilliaco stato di natura che rimane
solo nelle fantasie del mito27. Per i minori, internet è diventato gradualmente un diritto28.
Sono sempre più numerosi i casi di adolescenti e pre-adolescenti
che, attraverso un profilo sui social, diffondono in modo inappropriato
le proprie foto e quelle di altri.
dalla connessione con la rete mobile; è definita anche sindrome da disconnessione,
il termine è formato dall’abbreviazione del termine no-mobile e da fobia. Questo
tipo di dipendenza presenta forti analogie con la tossicodipendenza. I soggetti più
a rischio sono gli adolescenti. Nel caso della nomofobia, esattamente come accade
con droghe e alcol, si ha sempre bisogno di aumentare il dosaggio quindi si mette
in atto una vasta gamma di comportamenti come stare più tempo al telefono,
aspettare la risposta dell’altro (magari sollecitandolo), vedere che cosa accade agli
amici nei diversi social network, commentare e condividere, non spegnere mai il
dispositivo neanche nelle ore notturne, svegliarsi di notte e controllarlo, portarsi
lo smartphone in luoghi non appropriati (es. biblioteche, sale studio, luoghi di
meditazione, chiese ecc.).
27
È inutile tentare di disconoscere il benessere apportato dalle nuove tecnologie. Vi
sono numerosi esempi positivi: il ragazzo affetto da paralisi cerebrale che, solo
interagendo online, riesce a mettersi alla pari con i suoi coetanei e a rendere visibili,
quindi, le sue abilità piuttosto che la disabilità; la ragazza sfuggita, insieme alla sua
famiglia, alle violenze della Repubblica Araba Siriana che, nel campo profughi di
Za’atari, riesce ad innestare un processo di apprendimento attraverso l’uso di un
tablet. Per non citare quei blogger – anche di minori – che usano Internet come mezzo
per denunciare problemi, violenze, criticità, inadempienze, mancanze, sino alla
richiesta del rispetto per l’ambiente nelle sue componenti essenziali (aria, acqua,
territorio, etc.).
28
Non sono da sottovalutare le informazioni personali sui minori utilizzate impropriamente
dagli esperti di marketing e condivise online. Così come non sono da considerare con
superficialità sia le assuefazioni e le patologie relative all’utilizzo dei videogiochi che gli
episodi di violenza come il cyberbullismo. Cfr. A. Battaglia, Cyberbullismo: il nuovo
male oscuro, Gorle, 2016; I. Caprioglio, Cyberbullismo: la complicata vita sociale dei nostri
figli iperconnessi, Torino, 2017.
162
The best interest of the child
È a carico delle istituzioni l’impegno ad approfondire le situazioni che
rischiano di portare alla pedopornografia, attraverso l’uso di immagini
con tecniche che si sottraggono ad un controllo definito e circoscritto29.
5. Tra i compiti del diritto prevale quello di impegnarsi a promuovere
l’accesso controllato a internet all’intera infanzia, allo scopo di concretizzare, attraverso le pari opportunità di apprendere, il principio di
uguaglianza contribuendo a rompere il circolo vizioso della povertà
intergenerazionale; a cercare di esplorare il lato nascosto – non visibile – di internet e della tecnologia digitale, dal cyberbullismo alla
pedopornografia online e alle transazioni del dark web30, che permettono di nascondere il traffico di minorenni e di altre attività illegali che
danneggiano non solo i minori; ad approfondire alcuni dei dibattiti
riguardo alle conseguenze meno evidenti nell’uso della navigazione
online – dalla dipendenza digitale al possibile impatto della tecnologia
digitale sullo sviluppo cerebrale e cognitivo.
Oltre a ciò, si rende necessaria – a livello giuridico, politico, pedagogico e sociale – una serie di raccomandazioni pratiche in grado
di aiutare a istituire normative più efficaci e pratiche commerciali più
responsabili, a beneficio dei minorenni.
Alcuni centri, dove sono presenti studiosi della psicologia dell’infanzia, lavorano per sottrarre il bambino al dominio e alla dipendenza
da internet.
I minori non hanno un’adeguata conoscenza dei rischi che corrono
online, e nonostante un crescente utilizzo di internet, molti non hanno
competenze informatiche né capacità critica per valutare la sicurezza
e la credibilità dei contenuti e delle relazioni che vivono in rete, il che
riflette la necessità di maggiori occasioni di alfabetizzazione digitale
allo scopo di consentire ai bambini di autotutelarsi.
Le lacune che emergono rischiano di incancrenirsi e di produrre
ritardi nei processi decisionali: i quadri normativi che regolano la protezione, le opportunità, la governance e la responsabilità digitale non
29
La tecnologia digitale può arrecare danno all’infanzia direttamente e/o indirettamente:
l’incitamento alla violenza e l’induzione a compiere atti sono solo alcune tra le
condotte perpetrate anche dagli adulti. Ad esempio, in Myanmar, nel 2017, la
persecuzione dei Rohingya, con la conseguente uccisione e mutilazione di numerosi
bambini, è stata propiziata da una campagna sui social. Vd. C. Sotis, Diritto penale
della rete e prospettiva europea: il caso della pedopornografia virtuale, Milano, 2011.
30
M. Pizzuti, Criptocrazia non autorizzata: dark web, bitcoin, fake news, profiling illegale
e le nuove frontiere della schiavitù digitale, Vicenza, 2019.
Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet
163
riescono a essere al passo con un mondo dromocratico e sottovalutano
le conseguenze che le tecnologie digitali hanno sui bambini. Mancano,
non i princìpi e le linee guida per la creazione di politiche digitali, ma
un coordinamento coerente e un impegno concreto per affrontare le
sfide comuni ponendo gli interessi dei bambini in primo piano.
Il continuo flusso di immagini, video, notizie, videogiochi, social
coinvolgenti modificano, anche con forme significative di alterazione,
le modalità con le quali i minori, soprattutto i bambini, trascorrono il
tempo libero31, empatizzano con gli altri e avvertono la sofferenza.
Dovere di una comunità improntata alla pedagogia giuridica è insegnare l’alfabetizzazione digitale per formare bambini consapevoli,
impegnati e sicuri online, per renderli coscienti del significato della sofferenza, della malattia e della morte.
Una maggiore collaborazione tra giuristi, politici e tecnologi potrebbe portare allo sviluppo di piattaforme e percorsi formativi dalla
scuola primaria fino a quella superiore, cercando di promuovere le librerie online, le biblioteche pubbliche e i processi dialogici creativi. Un
altro fattore rilevante è la formazione digitale degli insegnanti, affinché
siano in grado di insegnare ai bambini a riconoscere i pericoli online.
Inoltre, la cittadinanza digitale dovrebbe diventare una componente
essenziale dell’alfabetizzazione digitale32.
In sintesi, infanzia malattia e morte attualmente non hanno una
colorazione abituale, ma sono determinati dal diverso approccio agli
strumenti informatici. Al giurista rimane il compito di far convergere
l’attenzione, dal punto di vista istituzionale, su ipotesi normative che,
rispettando il minore come soggetto di diritto relazionale, lo sottragga
ai processi mercatori della rete33.
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decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Il diritto di
famiglia e delle persone, 1, 2015, p. 186-203
31
M. Faccioli, I minori nella rete, Vicalvi, 2015.
32
G. De Luca, Su internet con mamma e papà, Bologna, 2001.
33
Vd. N. Bostrom, Superintelligenza, cit., p. 385-386.
164
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Bianca M., La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Rivista del diritto
dei media, 2, 2019, p. 6
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Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova
disciplina sul cyberbullismo
Alberto Maria Benedetti*
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il quadro costituzionale di riferimento.
– 3. Il fenomeno del cyberbullismo. – 4. Le misure di tutela immediata
previste dalla l. n. 71/2017. – 5. Profili di responsabilità civile. – 6. Considerazioni finali.
1. Introduzione
Intendo offrire alcuni spunti di riflessione sui profili civilistici della
l. n. 71/2017, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Segnatamente, premesse talune considerazioni di carattere generale sull’impianto delineato dall’intervento legislativo, mi soffermerò: (i) sulle
innovazioni della legge in ordine all’apparato “rimediale” funzionale a tutelare la dignità, l’immagine e l’onore del minore leso nonché al ruolo assegnato ai vari soggetti coinvolti in un programma
di sensibilizzazione e responsabilizzazione, nell’ambito di una legge
che intende focalizzarsi sul momento educativo, relegando in una
posizione marginale il momento sanzionatorio-repressivo; (ii) sulle
ricadute che tale disciplina è destinata ad avere su alcuni temi “tradizionali”, quali, ad esempio, la responsabilità dei genitori, degli insegnanti e degli istituti scolastici nonché il rapporto intercorrente tra
genitori e figli con particolare attenzione all’obbligo di educazione
gravante sui primi.
Minori “buoni” e minori “cattivi”; vittime, i primi; carnefici, i secondi.
*
Professore ordinario di diritto privato, Università di Genova.
166
The best interest of the child
2. Il quadro costituzionale di riferimento
Per comprendere lo spirito della legge, conviene muovere da un
brevissimo cenno alle disposizioni costituzionali di riferimento. È una
legge “contro” un fenomeno negativamente connotato, e questo dato,
di natura certamente politica ma con inevitabili ricadute assiologiche,
deve essere tenuto in adeguata considerazione.
Anzitutto, viene in evidenza quanto disposto dell’art. 2 Cost., a
mente del quale “[l]a Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità […]”. La tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (tanto nella
sua individualità, quanto nell’ambito delle diverse formazioni sociali),
dunque, è elevata dalla nostra Carta fondamentale a principio fondamentale e caposaldo dell’ordinamento giuridico: il dato è oramai totalmente acquisito e non necessita più di particolari dimostrazioni.
Orbene, può agevolmente comprendersi come il fenomeno del
cyberbullismo possa seriamente pregiudicare tali diritti, in ragione
dell’impatto, potenzialmente devastante, che le varie manifestazioni
di detto fenomeno possono avere sulla crescita del minore coinvolto.
In secondo luogo, assume rilievo il principio di eguaglianza (formale e sostanziale) di cui all’art. 3 Cost., che, dopo aver affermato il principio secondo il quale “[t]utti i cittadini hanno pari dignità sociale […]”,
assegna alla Repubblica il compito, tra gli altri, di “rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”. Anche
in tal caso, è facile comprendere come la l. n. 71/2017, muovendo verso
l’obiettivo di rimozione del grave fenomeno sociale del cyberbullismo,
intenda proprio evitare le lesioni alla dignità del danneggiato che tale
fenomeno è in grado di arrecare, a causa del senso di vergogna e di
isolamento che nella maggior parte dei casi si ingenera nella psiche del
minore; in fondo, il cyberbullismo ostacola lo sviluppo del minore, minandone, in taluni casi, la dignità, la serenità, l’educazione.
Anche l’art. 30 Cost. interseca con il cyberbullismo, nella misura in cui
il fenomeno derivi da un deficit educativo del minore autore dell’illecito.
3. Il fenomeno del cyberbullismo
Così delineato il quadro costituzionale di riferimento, occorre adesso porre l’attenzione sul complesso fenomeno del cyberbullismo, il
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 167
quale presenta un duplice grado di difficoltà, in considerazione, da un
lato, della varietà delle manifestazioni concrete che esso può assumere
nella realtà e, dall’altro lato, delle specificità dello stesso, specie se raffrontato al bullismo tradizionale.
Con riferimento al primo aspetto, le difficoltà sono percepibili sin
dalla definizione fornita dall’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017, ai sensi del quale “per “cyberbullismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità,
alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati
personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti
della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di
isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un
attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
La disposizione sopra riportata, in realtà, più che una definizione,
offre un (eterogeneo) elenco di condotte suscettibili di integrare episodi di cyberbullismo. Si tratta di una “definizione” che, seppur coerente
con lo stesso titolo della legge, che, parlando di “fenomeno del cyberbullismo” sembra alludere proprio alla difficoltà di imbrigliare in una
definizione giuridica le variegate concrete manifestazioni del fenomeno che la realtà è in grado di offrire, presenta talune criticità, legate
anzitutto alla cennata eterogeneità delle condotte ivi enumerate; una
eterogeneità che pare “mitigata solo da un criterio teleologico implicito e cioè dalla finalità oppressiva e vessatoria che costituisce il minimo
comune denominatore di ogni atteggiamento del bullo”1.
In secondo luogo, il secondo comma dell’art. 2 accomuna sotto
un’unica definizione condotte già contemplate da altrettante fattispecie penali (si pensi, ad esempio, alle molestie) e condotte atipiche, descritte in modo atecnico (si pensi alle “pressioni”), il che, per un verso,
non giova ad un loro inquadramento e, per altro verso, rendono evidente come i comportamenti descritti non possono ritenersi in grado
di esaurire le concrete manifestazioni che il fenomeno può assumere,
tradendo così le difficoltà di tipizzazione incontrate dal legislatore nella predisposizione della disciplina2.
1
R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione
ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), in Le Nuove leggi
civili commentate, 2, 2018, p. 355.
2
Cfr. P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione
ed esigenze di repressione, in La Giustizia Penale, 1, 2019, p. 55, ad avviso della quale “tale
168
The best interest of the child
Infine, si tratta di una definizione che sembra non tenere in debita
considerazione gli apporti provenienti dagli studi sociologici e criminologici condotti sul tema, i quali hanno rilevato come le fattispecie integranti il fenomeno in esame siano contrassegnate dalla compresenza
di tre requisiti fondamentali, quali: un’intenzionale aggressione (fisica
o verbale); la reiterazione nel corso del tempo delle condotte vessatorie; uno squilibrio nei rapporti di forza, anche fisica, o di potere, tra il
cyberbullo e la sua vittima3.
In generale, nella sua configurazione legislativa, l’illecito in cui si
concreta il fenomeno di cyberbullismo è caratterizzato da tre elementi
fondamentali:
I. si tratta di un illecito soggettivamente qualificato dal punto di vista
del soggetto passivo, necessariamente individuato in un minore o
in un familiare del minore. Per quanto concerne il soggetto attivo,
la legge non richiede anche per esso il requisito della minore età,
sebbene nella maggior parte dei casi anche il soggetto attivo sia un
minore (spesso coetaneo della vittima);
II. si tratta, inoltre, di un illecito tipicamente doloso, anzi esclusivamente doloso, strumentalmente tipizzato;
III. infine, si tratta di un illecito realizzabile solo attraverso strumenti
telematici (ad esempio, mail, sms, social network);
Proprio quest’ultimo elemento offre lo spunto per analizzare il secondo aspetto problematico cui si accennava in apertura del presente
paragrafo, e relativo ai rapporti con il bullismo “classico”. A tal riguardo, significativa è la scelta di espungere dal testo definitivo della legge
la nozione, emersa nel corso dei lavori parlamentari, di bullismo “tradizionale”, che veniva definito come “l’aggressione o la molestia reiterate, da
parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più
vittime, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento
inconveniente avrebbe potuto essere superato con la previsione di una clausola di
chiusura che avrebbe consentito all’interprete di ricondurre nella sfera di operatività
anche condotte non codificate” e che “applicando il meccanismo della c.d. analogia
legislativa o analogia interna alla fattispecie penale, avrebbe limitato la discrezionalità
interpretativa del giudice nell’individuare i comportamenti che “in qualunque
altro modo” avrebbero potuto arrecare offesa al bene-interesse tutelato, essendo il
parametro di riferimento costituito dalle condotte già espressamente tipizzate”.
3
Cfr. R. Bocchini, M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione
ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), cit., p. 355. Cfr.
anche M. Nitti, Prevenzione e repressione del cyberbullismo: il via libera del Parlamento,
in giustiziacivile.com, 1, 2018, p. 16, la quale evidenzia la discrasia della definizione
fornita dalla l. n. 71/2017 anche rispetto a quanto emerso nel contesto europeo.
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 169
o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce
o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni per ragioni di lingua, etnia,
religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali o sociali della vittima”4.
Si tratta di una scelta non casuale, le cui spiegazioni devono rinvenirsi nella consapevolezza raggiunta dal legislatore circa la specificità
del fenomeno del cyberbullismo che, anche in ragione della sua sempre più ampia diffusione, ha sconsigliato la disciplina all’interno di un
unico testo normativo di fenomeni diversi, rispetto ai quali appare opportuno evitare confusioni5. Come rilevato in dottrina, “la distinzione
tra bullismo e cyberbullismo […] non può essere riassunta solo nella
differenza esistente tra un bullismo off line e bullismo on line”, in quanto “lo strumento telematico deve considerarsi […] di per sé in grado
di mutare drasticamente tanto le forme di manifestazione quanto la
pericolosità sociale del bullismo tradizionalmente inteso”6.
Invero, sono diversi i fattori che inducono a considerare il cyberbullismo come un fenomeno idoneo ad arrecare un maggior grado di
offesa alla vittima, oltre che di maggiore pericolosità sociale rispetto al
bullismo “tradizionale”. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo:
alla facilità di accesso alla rete, che consente al cyberbullo di perpetrare
la propria condotta in qualsiasi momento e da qualunque luogo; alla
(potenzialmente sconfinata) diffusione del contenuto illecito, che aumenta notevolmente la lesione del bene giuridico rappresentato dalla
dignità della vittima; all’anonimato che, benché soltanto illusorio, impedisce all’autore della condotta di percepire appieno il disvalore del
proprio comportamento; alla ridotta possibilità di intervento tanto dei
genitori quanto degli insegnanti.
4. Le misure di tutela immediata previste dalla l. n. 71/2017
Preliminarmente, occorre evidenziare come, ferma restando la salvezza della disciplina penale ove il fatto configuri un’ipotesi di reato,
4
Proposta approvata in data 20 settembre 2016 e successivamente trasmessa al Senato.
5
Cfr. F. De Salvatore, Bullismo e cyberbulling, dal reale al virtuale tra media e new media,
in Minori Giustizia, 4, 2012, p. 94.
6
In questi termini, Cfr R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei
minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017,
n. 71), cit., p. 341.
170
The best interest of the child
l’impianto edificato dal legislatore mostri una particolare predilezione
verso misure educative e preventive, relegando, invece, in posizione
marginale il momento sanzionatorio-repressivo. Ciò in linea con le finalità della legge, che l’art. 1, co. 1, individua nell’”obiettivo di contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni
a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione
nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di
responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche”.
In tale prospettiva, a fronte della complessità e della specificità del
fenomeno, la l. n. 71/2017 adotta un approccio che può definirsi duplice,
individuando: da un lato, misure volte ad apprestare una tutela immediata (in forma specifica) all’immagine del minore; dall’altro, iniziative
tese a prevenire il verificarsi di episodi illeciti ed a sensibilizzare i minori sul tema, mediante il coinvolgimento di una pluralità di soggetti.
Limitando l’analisi al primo aspetto, l’art. 2, co. 1, prevede che “ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2 […] può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del
sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il
blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet,
previa conservazione dei dati originali […]”7.
Si tratta, come è agevole constatare, di una nuova forma di rimedio
funzionale ad una rapida, efficace ed effettiva tutela della dignità del
minore che si concreta nella rimozione dei contenuti attraverso i quali
si concretano le condotte attraverso le quali si manifesta l’episodio di
cyberbullismo. Merita rilevare come la richiamata disposizione abbia
previsto per il minore ultraquattordicenne la possibilità di agire egli
stesso in via diretta.
7
Il secondo comma del medesimo articolo, al fine di assicurare effettività e
tempestività alla tutela “inibitoria” ivi disciplinata nonché di rafforzare il rimedio
di cui al primo comma, prevede che: “[q]ualora, entro le ventiquattro ore successive al
ricevimento dell’istanza di cui al comma 1, il soggetto responsabile non abbia comunicato di
avere assunto l’incarico di provvedere all’oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto,
ed entro quarantotto ore non vi abbia provveduto, o comunque nel caso in cui non sia
possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o del social media,
l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per
la protezione dei dati personali, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta,
provvede ai sensi degli articoli 143 e 144 del citato decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 171
Per i minori infraquattordicenni, invece, la legittimazione ad attivare la tutela sopra illustrata è attribuita ai genitori ovvero al soggetto
esercente la responsabilità genitoriale. Si tratta di una previsione che,
se da un lato, “limita” tale forma di tutela, nella misura in cui esclude per un considerevole numero di minori potenzialmente esposti ad
episodi di cyberbullismo la possibilità di agire in via diretta, dall’altro
lato, opportunamente prevede l’assistenza di un adulto nella salvaguardia degli interessi di quei minori che, in ragione della loro età, si
presumono non aventi ancora sufficiente capacità di discernimento8.
Tra le possibili criticità di un siffatto strumento, vi è quella del margine di discrezionalità che tale disposizione sembra attribuire al gestore
in ordine al carattere illecito della condotta posta in essere attraverso il
sito internet ovvero dei contenuti ivi resi pubblici, posto che non sempre è agevole individuare la linea di demarcazione, ad esempio, tra la
denigrazione e la (seppur aspra) critica lecita. Criticità tanto più percepibili se si pensa, da un lato, ai tempi estremamente ristretti entro i quali il gestore (o, comunque, il destinatario dell’istanza) deve compiere
una simile valutazione e, dall’altro lato, la genericità, sopra evidenziata,
della descrizione di talune fattispecie integranti l’illecito in esame9.
Sempre nella prospettiva di una pronta ed efficace tutela della vittima
dell’episodio illecito deve leggersi quanto disposo dall’art. 5, co. 1, l. n.
71/2017, ove si prevede che “[s]alvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente
i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti
e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Si tratta di una novità particolarmente importante in quanto va ad affiancarsi, senza sovrapporsi, alle
ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2048, co. 2, c.c., considerato che:
8
Sul punto, cfr. le osservazioni di P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge
n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, cit., 62.
9
Cfr. le considerazioni di R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela
dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio
2017, n. 71), cit., p. 367, laddove si rileva come l’art. 2 demandi “al gestore od al social
media l’apprezzamento, in tempi assai limitati, circa il realizzarsi o meno di condotte
assai complesse – quali quelle di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria,
denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita,
manipolazione, trattamento illecito di dati personali – in danno di minorenni, e la
valutazione del carattere illecito relativo alla diffusione di contenuti on line aventi
ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo
intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori
ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
172
The best interest of the child
I. ai fini della responsabilità ex art. 2048 c.c., riscontrabile in episodi
di bullismo “tradizionale”, i soggetti ivi contemplati rispondono
dell’illecito commesso dagli allievi limitatamente al periodo in cui
essi si trovano sotto la loro vigilanza10;
II. l’art. 5, co. 1, l. n. 71/2017, invece, prevede un obbligo di avviso che
si attiva laddove il dirigente scolastico venga a conoscenza di un
episodio di cyberbullismo e la relativa responsabilità è legata proprio alla violazione di un siffatto dovere di avviso, indipendentemente dall’effettivo potere di intervento degli insegnanti. Si tratta
di una responsabilità riconducibile allo schema di cui all’art. 2043
c.c., che può sorgere anche nei casi in cui la scuola non sia neppure
attrezzata per verificare se tra i minori che la frequentano si verifichino episodi illeciti.
5. Profili di responsabilità civile
Da un punto di vista metodologico e sistematico, è interessante osservare come la l. n. 71/2017, per un verso, faccia salve le ipotesi di
reato (nonostante non introduca nuove fattispecie criminose) e, per altro verso, non vada ad intaccare la tematica della responsabilità civile
e, dunque, del risarcimento del danno (soprattutto non patrimoniale).
Sotto tale ultimo profilo, si è in precedenza osservato, in chiusura
del par. 2, come il fenomeno del cyberbullismo si intersechi con l’obbligo di educazione dei figli gravanti sul genitore, costituzionalmente affermato dall’art. 30 della nostra Carta fondamentale. Un obbligo
educativo che al livello codicistico viene riaffermato all’art. 147 c.c. al
quale, specularmente, corrisponde un diritto dei figli minori, sancito
dall’art. 315-bis c.c.
Benché affermato costituzionalmente, un obbligo siffatto non trova
una definizione in alcuna parte dell’ordinamento positivo. La scelta di
non indicare, neppure genericamente, cosa debba intendersi per obbligo di educazione appare quanto mai saggia e opportuna, in considerazione dell’evoluzione dei suoi contenuti di pari passo con il mutare
10
È appena il caso di ricordare, infatti, che qualora si configuri la responsabilità
civile degli insegnanti, a norma dell’art. 2048 c.c., tale responsabilità si estende
all’amministrazione scolastica intesa come ente pubblico, posto che, ai sensi dell’art.
28 Cost., “[i] funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione
di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 173
del contesto sociale e culturale. In via del tutto atecnica, si tratta di
un obbligo che si concreta nella trasmissione, da parte del genitore,
di un insieme (per così dire, mobile) di regole, suggerimenti e modelli
nei confronti dei figli, in una fase di sviluppo in cui questi sono maggiormente in grado di apprenderli, assimilarli ed osservarli, così da
responsabilizzarli e prepararli ad una vita in un contesto sociale, che si
svolge, cioè all’interno di rapporti con altri individui.
Pur essendo discrezionale, l’attività di indirizzo dei figli, in cui si
concreta l’obbligo di educazione incombente sui genitori, non è per
questo priva di vincoli, incontrando, da un lato, il limite segnato dai
valori costituzionali e, dall’altro, quello del rispetto della “personalità” dei figli, “nel rispetto”, cioè, “delle loro capacità, inclinazioni naturali
e aspirazioni” (art. 147 c.c.), evitando, invece, di imporre il proprio modello esistenziale e di vita.
Orbene, ciò che preme evidenziare nella presente sede è la circostanza di come il fenomeno del cyberbullismo incrini la visione “edulcorata” del rapporto tra educatore ed educato consegnataci dall’impianto
costituzionale e codicistico. In particolare, gli episodi di cyberbullismo
rivelano come l’obbligo di educazione delineato dall’ordinamento
stenti a tenere il passo delle innovazioni tecnologiche che, se per un
verso, arricchiscono di nuove declinazioni l’obbligo in parola, per altro verso, consigliano di valutare con maggiore attenzione i casi in cui
un siffatto dovere debba ritenersi violato. Ciò in ragione del fatto che,
come sopra accennato, nonostante la l. n. 71/2017 non preveda espressamente che l’autore dell’illecito (a differenza della vittima) debba
essere un minore di età, l’esperienza ci dimostra come nella maggior
parte dei casi l’“aggressore” sia anch’esso minorenne.
In altri termini, si pone il problema di verificare in che misura possa
ritenersi responsabile il genitore per la mancata assimilazione da parte
del minore di quei modelli comportamentali in tema di utilizzo delle
tecnologie che possono agevolare la commissione degli illeciti di cui
all’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017.
Utili punti di riferimento sono offerti da quella giurisprudenza che
si è occupata, in generale, di responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.
nonché da quelle pronunce che si sono confrontate, più in particolare,
con episodi di bullismo “informatico”.
Sotto il primo profilo, in tema di prova liberatoria ai sensi dell’art. 2048,
co. 3, c.c., la Suprema Corte ha chiarito come “[i] genitori, per superare
la presunzione di colpa prevista dall’art. 2048 c.c., debbono fornire non
174
The best interest of the child
la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire
il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver
impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una
vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari,
all’età, al carattere e all’indole del minore. L’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento
della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità
dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità
e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei
doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c.”11. In altri termini,
il giudice dovrà valutare se, effettivamente, in base alle circostanze del
caso concreto, l’illecito commesso avrebbe potuto essere evitato qualora i
genitori avessero impartito al figlio una corretta educazione.
Sotto il secondo profilo, invece, nella giurisprudenza di merito è stato affermato come l’obbligo di educazione comporti, in capo ai genitori,
non soltanto il dovere di insegnare, e, dunque, trasmettere ai figli determinati valori e modelli comportamentali, ma altresì quello di verificarne
l’assimilazione; un dovere inteso come compito “di verifica e di controllo
sull’effettiva acquisizione dei valori impartiti attraverso l’educazione da
parte del minore”. Segnatamente, si è chiarito che “i genitori dei minori naturalmente capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all’art. 2048 c.c., devono positivamente dimostrare non solo
di avere adempiuto all’onere educativo indicato loro dall’art. 147 c.c. – che
consiste non solo nell’indicazione alla prole di regole, conoscenze o moduli
di comportamento, bensì pure nel fornire gli strumenti indispensabili alla
costruzione di relazioni umani effettivamente significative per la migliore
realizzazione della loro personalità – ma anche di avere poi effettivamente
e concretamente controllato che i figli abbiano assimilato l’educazione loro
impartita, con la conseguenza che la gravità e la reiterazione delle condotte
poste in essere possono essere poi indice del grado di attuazione di una di
tali opere di verifica. Ai fini dell’esonero dalla loro responsabilità, dunque,
i genitori devono in sostanza fornire la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto, il che, nel caso di illecito commesso attraverso social
network (nel caso di specie Facebook), si concretizza in una limitazione per
forza di cose quantitativa e qualitativa dell’accesso alla rete internet”12.
11
Corte Cass., sez. III civ., sent. n. 26200/2011.
12
Trib. Teramo, sent. 16 gennaio 2012.
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 175
In un’altra occasione, originata da una recente vicenda, si è altresì
affermato che “[q]ualora soggetti minorenni diffondano, utilizzando
mezzi telematici (WhatsApp, Facebook, etc.), fotografie contenenti
l’immagine nuda di una coetanea e siffatta diffusione avvenga senza il
consenso dell’interessata, devono ritenersi civilmente responsabili, ex
art. 2048, comma 1, c.c., i genitori degli autori della predetta diffusione, in quanto è ad essi ascrivibile la culpa in vigilando ed in educando.
La responsabilità parentale può essere esclusa, ai sensi del comma 3
dell’art. 2048 c.c., soltanto qualora i genitori dimostrino di non aver
potuto impedire il fatto, dovendosi con ciò intendere che gli stessi
abbiano integralmente adempiuto al dovere di educare la prole attraverso lo sviluppo nella stessa di una adeguata capacità critica e di
discernimento”13.
Molta responsabilità su genitori che, talvolta, non conoscono nemmeno il funzionamento dei nuovi strumenti di comunicazione; chi educherà l’educatore? Certamente, è onere dei genitori capire il mondo in
cui vivono i loro figli, informandosi e cercando di prevenire ogni possibile abuso, insegnando ai propri figli come l’uso di questi strumenti
non possa ledere gli altri, nemmeno per gioco. Un compito non facile,
la cui difficoltà aumenterà con i futuri sviluppi delle comunicazioni.
6. Considerazioni finali
Orbene, stante la necessità, affermata dalla giurisprudenza in modo
più o meno esplicito, di tarare l’accertamento circa l’assolvimento, da
parte dei genitori, dell’obbligo di educazione di cui all’art. 147 c.c. sulle
modalità concrete di svolgimento del fatto illecito, il passo successivo
consiste nel prendere coscienza della complessità che talvolta caratterizza quel “mondo virtuale” all’interno del quale si verificano gli episodi di cyberbullismo. In altri termini, le difficoltà sottese alla valutazione
dell’adempimento dell’obbligo educativo nel caso di specie sono acuite laddove il contesto sia quello del mondo degli strumenti telematici,
13
Trib. Sulmona, sent. 9 aprile 2018, che ha aggiunto che “[l]a circostanza che al
momento della commissione dell’illecito la fotografia in oggetto fosse già diffusa
all’interno della comunità di appartenenza del soggetto fotografato e che ciò fosse
dovuto, tra l’altro, alla condotta disinibita tenuta dal soggetto stesso, attenua la
responsabilità civile, ma non la esclude, configurandosi in capo alla persona ritratta,
ed ai genitori della stessa, un danno non patrimoniale consistente nella lesione di una
pluralità di interessi costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla riservatezza,
alla reputazione, all’onore, all’immagine, all’inviolabilità della corrispondenza”.
176
The best interest of the child
elemento essenziale al fine di poter ritenere integrati gli illeciti di cui
all’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017. Ciò in ragione del ritmo (elevato) con cui
certe tecnologie, così come le possibilità di abusarne, si evolvono, che
in determinati casi suggeriscono di evitare di pretendere, oltre un certo
limite, dal genitore un eccessivo grado di controllo e di ingerenza nella
quotidianità dei figli.
Al riguardo, deve guardarsi positivamente a quelle misure, previste dalla l. n. 71/2017, che mirano a mettere i giovani nelle condizioni
di conoscere non solo le opportunità ma anche le insidie celate da certi
strumenti tecnologici.
Sotto altro profilo, invece, la marginalità del momento sanzionatorio nel complessivo impianto delineato dalla nuova disciplina (che,
tuttavia, si ribadisce, fa salva la configurazione di eventuali fattispecie
penali), benché comprensibile (e condivisibile) alla luce delle finalità
dell’intervento legislativo (enunciate dall’art. 1, co. 1), porta con sé anche alcune criticità. Deve, infatti, evidenziarsi come la sanzione (specie
se di natura penale) contribuisce a far acquisire consapevolezza circa il
disvalore di una determinata condotta, fattore di notevole importanza
se si considera che spesso la commissione degli illeciti in cui si manifesta il fenomeno del cyberbullismo è agevolata dalla percezione del
fatto, da parte dell’autore della condotta, quale semplice “bravata”14.
Infine, un’ultima considerazione: con l’entrata in vigore del d.lgs.
n. 101/2018, è stata fissata a quattordici anni l’età minima per poter
prestare validamente il consenso al trattamento dei dati personali15. Si
14
Al riguardo, cfr. P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità
di prevenzione ed esigenze di repressione, cit., p. 63, ove si osserva che: “[l]a presa di
coscienza circa il disvalore della condotta tenuta a cui si ricollegano le conseguenze
penali e, più in generale, tutte le conseguenze negative che la realizzazione di un
illecito porta con sé, costituisce il passaggio logico necessario ed imprescindibile
perché ogni individuo sia messo nella condizione di esercitare i propri poteri di
autodeterminazione. In questo scenario, pertanto, la minaccia della sanzione non
costituisce un fatto negativo, traumatico o astrattamente pericoloso per lo sviluppo
della personalità ma, piuttosto, rappresenta un elemento positivo perché favorisce il
processo di responsabilizzazione e maturazione del minore, stimolandolo a valutare
con attenzione i comportamenti da adottare oltre che nel loro significato etico e
morale anche in vista delle conseguenze giuridiche che possono produrre”.
15
L’art. 8, par. 1, del regolamento UE n. 679/2016 (GDPR) stabilisce che “[q]ualora
si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta
di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali
del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età
inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale
consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli
Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 177
pone allora una questione di “compatibilità” tra una siffatta previsione
ed un “sistema” che impone ai genitori degli obblighi di controllo che,
talvolta, sembrano quasi presuppore l’assenza di una tale capacità del
minore (ultraquattordicenne). Un tema con il quale giurisprudenza,
legislatore e dottrina presto dovranno, verosimilmente, confrontarsi.
Bibliografia
Bocchini R. - Montanari M., Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71),
in Le Nuove leggi civili commentate, 2, 2018, p. 355
De Salvatore F., Bullismo e cyberbulling, dal reale al virtuale tra media e new
media, in Minori Giustizia, 4, 2012, p. 94
Persio P.T., Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, in La Giustizia Penale, 1, 2019, p. 55
Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non
inferiore ai 13 anni”.
Il diritto all’oblio del soggetto minore
nel Regolamento europeo sulla protezione
dei dati personali
Maria Romani Allegri
In queste poche pagine cercherò di delineare sinteticamente il tema del
cosiddetto “diritto all’oblio” in riferimento ai soggetti minori.
In realtà, l’espressione “diritto all’oblio” mi sembra assai imprecisa e non perfettamente corrispondente al contenuto del diritto sancito
dall’art. 17 del regolamento UE n. 2016/6791. Non a caso, tale espressione figura nel titolo dell’art. 17 soltanto fra parentesi, a completamento della dicitura “diritto alla cancellazione”. Quindi, l’art. 17 del
regolamento europeo – cui da ora in poi mi riferirò con la sigla GDPR2
– disciplina solo uno specifico aspetto del più generale diritto ad essere
dimenticati, ovvero il diritto di chiedere e ottenere la cancellazione dei
propri dati personali. In una più ampia accezione, invece, l’espressione
“diritto all’oblio” si riferisce al diritto individuale a non vedere continuamente riproposte dai mezzi di comunicazione notizie riferite alla
propria persona che, per via del trascorrere del tempo, hanno perso i
caratteri dell’interesse pubblico e dell’utilità sociale3.
1
Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile
2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei
dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva
95/46/CE.
2
General Data Protection Regulation.
3
Sul diritto all’oblio si vedano: M. C. D’Arienzo (2015), I nuovi scenari della tutela
della privacy nell’era della digitalizzazione alla luce delle recenti pronunce sul diritto
all’oblio, in Federalismi.it, n. 2, pp. 1-31; F. Di Ciommo (2014), Quello che il diritto non
dice. Internet e oblio, in Danno e responsabilità, n. 12, pp. 1101-1113; G. Finocchiaro
(2015), Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in G. Resta e V. ZenoZencovich (a cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma
TrE Press, pp. 29-42; T. E. Frosini (2014a), Google e il diritto all’oblio preso sul serio, in
Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 4-5, p. 563-567; T. E. Frosini (2014b),
Internet come ordinamento giuridico, in M. Nisticò e P. Passaglia (a cura di), Internet
180
The best interest of the child
A differenza del diritto alla riservatezza, il diritto all’oblio non è
rivolto a cancellare il passato, ma a proteggere il presente, in quanto ha
per oggetto avvenimenti che, nel momento del loro accadimento, non
rientravano nella sfera della privacy, ma erano caratterizzati dall’interesse pubblico alla loro conoscenza. Dunque, in questa prospettiva il
diritto all’oblio non è una mera espressione del diritto alla riservatezza,
ma ne costituisce piuttosto un riflesso, ponendosi a protezione della
sfera intima dell’individuo, i cui dati memorizzati in Internet richiedono specifici strumenti di protezione, fra cui la possibilità di ottenerne la
rimozione, una volta venuti meno i presupposti ed i requisiti di liceità
del loro trattamento. Il bene giuridico tutelato dal diritto in parola è
quello dell’identità personale, fondato sull’art. 2 Cost., che la Corte di
Cassazione già molto tempo fa4 ha definito come «formula sintetica
per contraddistinguere il soggetto da un punto di vista globale nella
molteplicità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni (morali, sociali, politiche, intellettuali, professionali, ecc.), cioè per esprimere
la concreta ed effettiva personalità individuale del soggetto quale si è
venuta solidificando od appariva destinata, in base a circostanze univoche, a solidificarsi nella vita di relazione»5.
e Costituzione, Torino, Giappichelli, pp. 57-69; M. Iaselli (2017a), Come esercitare il
diritto all’oblio in Internet, Roma, Dike; G. Marchetti (2013), Diritto di cronaca on-line e
tutela del diritto all’oblio, in Aa. Vv., Da Internet ai Social Network. Il diritto di ricevere e
comunicare informazioni e idee, Rimini, Maggioli, pp. 71-90; M. Mezzanotte (2009), Il
diritto all’oblio, Napoli, Esi; S. Pietropaoli (2017), La rete non dimentica. Una riflessione
sul diritto all’oblio, in Ars intrepretandi, n. 1, pp. 67-80; F. Pizzetti (2013) (a cura di), Il
caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli; G. Resta e V. Zeno-Zencovich (2015) (a
cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, TrE-Press; F.
Sassano (2015), Il diritto all’oblio tra Internet e mass media, Vicalvi (FR), Key; G. Scotti
(2015), Dall’habeas corpus all’habeas data: il diritto all’oblio e il diritto all’anonimato nella
loro dimensione costituzionale, in Diritto.it, pp. 1-28; A. Sirotti Gaudenzi (2017), Diritto
all’oblio: responsabilità e risarcimento del danno, Rimini, Maggioli; E. Stradella (2016),
Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale
e protezione dei dati, si impone anche nella Rete, quali anticorpi si possono sviluppare e,
infine, cui prodest?, in Rivista Aic, n. 4, pp. 1-29.
4
Sentenza 22 giugno 1985, n. 3769.
5
Sull’identità personale si vedano: S. Niger (2008), Il diritto all’identità personale, in
G. Finocchiaro (a cura di), Diritto all’anonimato: anonimato, nome e identità personale,
Padova, Cedam, pp. 113-129; G. Pino (2006), Il diritto all’identità personale ieri e
oggi. Informazione, mercato, dati personali, in R. Panetta (a cura di), Libera circolazione
e protezione dei dati personali, Milano, Giuffrè, pp. 257-321; E. C. Raffiotta (2010),
Appunti in materia di diritto all’identità personale, in www.forumcostituzionale.it; V.
Zeno-Zencovich (1993), Identità personale, in Digesto delle discipline privatistiche, vol.
IX, Torino, Utet, pp. 294-315.
Il diritto all’oblio del soggetto minore
181
Nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, il diritto all’oblio
ha fatto il suo ingresso ufficiale nel 2014, in seguito alla notissima e
molto commentata pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia
dell’Unione europea relativa al caso Google Spain, che ha imposto ai
motori di ricerca di procedere, a richiesta dell’interessato, alla deindicizzazione dei link collegati al suo nome contenenti informazioni
personali non più di attualità6. In assenza di parametri oggettivi che
possano guidare le valutazioni e le decisioni dei titolari del trattamento
dei dati – in questo caso i motori di ricerca, cioè soggetti privati che agiscono a scopo di lucro – il nodo critico risiede nell’oggettiva difficoltà
di stabilire fino a quando ricorrono le condizioni della permanenza
online di informazioni riferite al passato, ovvero fino a quando e in
base a quali presupposti queste ultime risultano avere ancora un apprezzabile interesse pubblico per la collettività.
Ben prima della sentenza Google Spain, però, la Corte di Cassazione
italiana aveva riconosciuto il diritto all’oblio come uno specifico profilo
del diritto alla riservatezza, cioè come diritto individuale a non vedere
continuamente riproposte dai mezzi di comunicazione notizie riferite
alla propria persona relative a fatti di cronaca che, essendo accaduti
molto tempo addietro, non erano più di interesse pubblico (tutela della c. d. “privacy storica”)7. Così inteso, il diritto all’oblio era posto in
stretta correlazione con la divulgazione di notizie da parte dei mezzi di
comunicazione e veniva a corrispondere all’esigenza di protezione della personalità individuale rispetto alla divulgazione di informazioni
(potenzialmente) lesive in ragione della loro perdita di attualità. In una
fase successiva la Suprema Corte, prestando maggiore attenzione alla
difficoltà – quando non impossibilità – di cancellare definitivamente
le informazioni immesse in Internet, ha posto l’accento non tanto sul
diritto ad ottenere la cancellazione di notizie ormai non più attuali,
quanto sul dovere del titolare del trattamento dei dati di aggiornare e
contestualizzare le informazioni, attraverso il collegamento della notizia originaria con altre notizie più recenti, dal cui insieme possa desumersi un quadro completo e attendibile della persona cui le notizie si
6
Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 13 maggio 2014, causa C-131/12,
Mario Costeja González c. Google Spain Sl, Google Inc., Agencia Española de Protección
de Datos.
7
Per prima Cass. Civ. III, n. 3679 del 1998; successivamente anche Cass. Civ. I, 25
giugno 2004, n. 11864.
182
The best interest of the child
riferiscono8. Anche in questo caso, il trattamento – e l’eventuale cancellazione o aggiornamento – dei dati personali è stato posto in stretta relazione con l’attività degli organi di informazione, in modo che da essi
emerga una rappresentazione corretta e aggiornata della personalità
individuale. Oggetto di tutela è diventato, quindi, non tanto il diritto
ad essere dimenticati, quanto il diritto ad essere correttamente rappresentati; per questo, l’espressione “diritto all’oblio” risulta impropria
in questo contesto. Peraltro, anche nel caso Google Spain – che ha fatto
coincidere il diritto all’oblio con l’interesse a che informazioni troppo
risalenti nel tempo e non più attuali non possano essere reperite online con eccessiva facilità, mediante il semplice collegamento al nome
dell’interessato – la richiesta di deindicizzazione rivolta al motore di
ricerca riguardava notizie provenienti da fonti giornalistiche e mirava
a realizzare non l’oblio in senso proprio, ma la rappresentazione corretta e attuale della personalità del richiedente .
Rispetto al quadro fin qui delineato, l’art. 17 del GDPR compie un
significativo passo in avanti, superando completamente il rapporto fra
il diritto impropriamente definito “all’oblio” e l’attività degli organi di
informazione (libertà di cronaca). Tale disposizione, infatti, presuppone che la cancellazione dei dati personali possa essere richiesta per ragioni anche del tutto indipendenti dall’esigenza di tutela della propria
reputazione o della corretta rappresentazione pubblica della personalità individuale. In sintesi, nel GDPR il cosiddetto “diritto all’oblio”
non è necessariamente collegato alla libertà di cronaca – cioè al diritto
della collettività di venire a conoscenza di fatti di interesse pubblico –
ma può riguardare dati di nessun interesse pubblico (che non lo hanno
mai avuto, nemmeno in passato), che non necessariamente sono stati
resi pubblici (si può infatti chiedere anche la cancellazione di dati non
pubblici, ma gestiti solo dal titolare del trattamento) e che, in molti
casi, sono stati originariamente immessi in Internet per decisione stessa dell’interessato.
Dunque, il GDPR consente a chiunque di chiedere che i propri
dati vengano cancellati o perché l’interessato non ha consentito all’originario trattamento, o perché i dati sono stati trattati in modo illecito o con modalità non conformi a quanto dichiarato nell’informativa
o semplicemente perché a un certo punto l’interessato sceglie, per
8
Cass. Civ. III, 5 aprile 2012, n. 5525; Id., 26 giugno 2013, n. 16111; Id., 24 giugno 2016,
n. 13161.
Il diritto all’oblio del soggetto minore
183
qualsiasi ragione, di revocare il proprio consenso9. In tutti questi casi,
secondo il primo paragrafo dell’art. 17 «l’interessato ha il diritto di
ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati
personali». Tuttavia, così l’originario rapporto fra diritto all’oblio e
libertà di cronaca viene recuperato nel par. 3, che elenca i casi in cui
il titolare del trattamento può opporsi alla cancellazione dei dati10:
nell’elenco figura anche «l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione».
L’obbligo di cancellazione dei dati da parte del titolare del trattamento è soggetto a “condizionalità tecnologiche”, nel senso che potrà essere
assolto in misura più o meno completa e radicale in ragione della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione (art. 17 par. 2). In particolare, la
principale difficoltà cui si riferisce il par. 2 dell’art. 17, nonché il considerando n. 54 premesso al regolamento, è quella della corretta gestione della
“catena dei trattamenti”, cioè del fatto che i dati possono essere trattati da
diversi titolari11. In tal caso, il titolare del trattamento che ha ricevuto la
9
Più precisamente, l’art. 17 del GDPR indica i seguenti motivi per i quali è possibile
ottenere la cancellazione dei dati personali: «a) i dati personali non sono più necessari
rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; b) l’interessato
revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6,
paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro
fondamento giuridico per il trattamento; c) l’interessato si oppone al trattamento ai
sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente
per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo
21, paragrafo 2; d) i dati personali sono stati trattati illecitamente; e) i dati personali
devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto
dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; f) i
dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società
dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1».
10
Il par. 3 dell’art. 17 indica i casi in cui il titolare del trattamento può opporti alla
richiesta di cancellazione dei dati. Ciò può avvenire: «a) per l’esercizio del diritto alla
libertà di espressione e di informazione; b) per l’adempimento di un obbligo giuridico
che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro
cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel
pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare
del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica
in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo
3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a
fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto
di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il
conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o e) per l’accertamento, l’esercizio
o la difesa di un diritto in sede giudiziaria».
11
Si veda F. Pizzetti (2018), La protezione dei dati personali e la sfida dell’Intelligenza
184
The best interest of the child
richiesta di cancellazione dei dati personali deve informare gli altri soggetti che stanno trattando i medesimi dati «della richiesta dell’interessato
di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali».
La ratio sottesa a questa norma è quella di evitare di gravare l’interessato
dell’onere di reperire i gestori di ogni singolo sito in cui l’informazione è
pubblicata e di chiedere a ciascuno di essi la cancellazione, poiché questa
attività spesso può essere più agevolmente svolta dal titolare del trattamento. Questo nuovo obbligo di informativa gravante sugli intermediari
digitali nel loro ruolo di titolari del trattamento, che risulta però sprovvisto di sanzioni in caso di inottemperanza, deve essere assolto mediante
l’adozione di «misure ragionevoli, anche tecniche» e «tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione». Si tratta quindi di un
obbligo ad intensità variabile, basato tanto sul principio di ragionevolezza, da valutare caso per caso, quanto sul livello di sviluppo tecnologico.
Fra le condizioni indicate dall’art. 17, per le quali è possibile chiedere e ottenere la cancellazione dei dati personali, figura alla lettera
f anche quella indicata dall’art. 8 del GDPR, cioè «l’offerta diretta di
servizi della società dell’informazione ai minori». Tuttavia, non pare
che le condizioni per le quali il soggetto minore possa chiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati personali siano diverse da quelle generalmente applicate agli adulti, mancando qualsiasi specifica
disposizione in merito. È pur vero che la speciale protezione di cui i
minori devono godere, in quanto non pienamente consapevoli delle
implicazioni relative al trattamento dei loro dati personali, soprattutto se realizzato per finalità commerciali (marketing o profilazione
dell’utente), è richiamata nel considerando n. 38 del regolamento12,
nonché nel considerando n. 58, riferito alla trasparenza e alla chiarezza
delle informazioni destinate ai minori13. Ma i considerando non sono
Artificiale, in Id. (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e
regolazione, Torino, Giappichelli, partic. pp. 26 ss.
12
Considerando n. 38: «I minori meritano una specifica protezione relativamente ai
loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle
conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in
relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in
particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o
di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi
ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso
del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel
quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore».
13
Considerando n. 38, ultima frase: «Dato che i minori meritano una protezione
specifica, quando il trattamento dati li riguarda, qualsiasi informazione e
Il diritto all’oblio del soggetto minore
185
disposizioni giuridicamente vincolanti e, in ogni caso, quanto richiamato non attiene specificamente al diritto all’oblio, ma al trattamento
dei dati in genere.
La questione, dunque, si sposta sull’età in cui è possibile chiedere
la cancellazione dei dati autonomamente, senza l’intervento dei genitori o, addirittura, in opposizione ad essi. Per la verità, il GDPR tace
su questo specifico punto. Tuttavia l’art. 8, che riguarda le condizioni
applicabili al consenso al trattamento dei dati personali prestato dai
minori, stabilisce al par. 1 che il trattamento dei dati è lecito se il
consenso è prestato da persona di età minima di 16 anni, che qualora
il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni il trattamento è lecito se il
consenso è prestato o autorizzato da chi esercita la responsabilità genitoriale e che, infine, gli Stati membri dell’Unione europea possono
stabilire diverse soglie di età a tali fini, purché non inferiori a 13 anni.
Per quanto riguarda l’Italia, il d. lgs. 10 agosto 2018, n. 101, con cui la
normativa nazionale è stata adeguata al GDPR, ha fissato a 14 anni
l’età in cui il soggetto minore può prestare autonomamente il consenso al trattamento dei propri dati personali, indipendentemente dal
genitore (art. 2 quinquies).
Si può dunque arguire – pur trattandosi di un’interpretazione
“estensiva” del dato normativo – che le medesime soglie di età individuate per la prestazione del consenso siano applicabili anche alla
revoca del consenso e all’esercizio del diritto “all’oblio” e che, pertanto, in Italia il minore almeno quattordicenne possa legittimamente chiedere al titolare del trattamento dei dati la cancellazione degli
stessi nei casi indicati (per gli adulti) dall’art. 17 del GDPR. Questa
interpretazione, peraltro, è congruente con quanto previsto dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, contenente disposizioni a tutela dei minori
per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo:
tale legge prevede infatti che i minori di almeno 14 anni che siano
vittime di cyberbullismo possano agire autonomamente (non tramite
i propri genitori) per inoltrare al titolare del trattamento dei dati (cioè
al gestore del sito Internet o social network provider o motore di ricerca)
un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei dati personali (con conservazione dei dati originali) e, se questo non provvede
entro 24 ore, per presentare un reclamo al Garante per la protezione
comunicazione dovrebbe utilizzare un linguaggio semplice e chiaro che un minore
possa capire facilmente».
186
The best interest of the child
dei dati personali. Ciò considerato, si può ragionevolmente supporre
che 14 anni siano un’età adeguata all’autonomo esercizio del diritto
di cui all’art. 17 del GDPR anche al di fuori dei casi di cyberbullismo.
In tema di diritto all’oblio e soggetti minori è opportuno esaminare
anche il considerando n. 65 del GDPR, che però si riferisce al caso in cui
una persona di qualsiasi età (quindi non necessariamente minorenne,
ma anche ormai maggiorenne) desideri rettificare i propri dati personali o opporsi al loro trattamento o chiederne la cancellazione anche
quando il consenso al trattamento di tali dati era stato prestato all’epoca in cui l’interessato non aveva ancora raggiunto la maggiore età
e non era quindi presumibilmente consapevole dei rischi connessi al
trattamento14. Dalle indicazioni contenute in questo considerando, utili
però solo a fini interpretativi, si può in qualche modo desumere che i
titolari del trattamento dovrebbero essere più disponibili ad accogliere
le richieste di cancellazione dei dati personali (anche di quelli trattati
legittimamente e col consenso dell’interessato) se il consenso era stato
prestato da persona all’epoca minore di età. Questa “regola interpretativa” di fatto sottolinea, da un lato, la vulnerabilità del minore e la
sua scarsa consapevolezza nel prestare il consenso al trattamento dei
dati e, dall’altro, l’inevitabile evoluzione della personalità del minore,
da cui deriva una sorta di “diritto al ripensamento” nei casi in cui, a
distanza di tempo, l’interessato si pente di scelte avventate compiute
durante la minore età.
Finora, la casistica giurisprudenziale non ha contemplato casi di
istanze di cancellazione di dati avanzate autonomamente da soggetti minori15 né, successivamente all’entrata in vigore del GDPR, alcun
14
Più precisamente, il considerando n. 65 recita: «Un interessato dovrebbe avere il diritto
di ottenere la rettifica dei dati personali che lo riguardano e il «diritto all’oblio» se la
conservazione di tali dati violi il presente regolamento o il diritto dell’Unione o degli
Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento. In particolare, l’interessato
dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a
trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per
le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia revocato il proprio
consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o
quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al presente
regolamento. Tale diritto è in particolare rilevante se l’interessato ha prestato il
proprio consenso quando era minore, e quindi non pienamente consapevole dei
rischi derivanti dal trattamento, e vuole successivamente eliminare tale tipo di dati
personali, in particolare da internet. L’interessato dovrebbe poter esercitare tale
diritto indipendentemente dal fatto che non sia più un minore. […]».
15
Si vedano l’ordinanza del tribunale di Mantova del 19 settembre 2017 (il padre ha
agito in giudizio contro la madre per indurla a rimuovere da un social network le
Il diritto all’oblio del soggetto minore
187
provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali ha
riguardato la cancellazione di dati di minori16. Sebbene, dunque, mi
sembra che il GDPR sia piuttosto lacunoso e impreciso circa il diritto
alla cancellazione dei dati esercitabile da soggetti minori, è probabilmente troppo presto per trarre conclusioni definitive.
foto del figlio minore) e l’ordinanza del tribunale di Roma del 23 dicembre 2017 (il
tutore legale di un soggetto minore ha agito in giudizio nei confronti della madre del
ragazzo affinché rimuovesse dai social network le foto di quest’ultimo).
16
Antecedentemente all’entrata in vigore del GDPR (25 maggio 2018) il Garante
per la protezione dei dati personali si è talvolta occupato di questioni relative alla
cancellazione di dati personali di soggetti minori, ma sempre sulla base di richieste
avanzate dai genitori. Fra i casi più recenti si vedano i provvedimenti n. 240 del 18
maggio 2017, n. 559 del 22 dicembre 2016 e n. 552 della stessa data.
La questione della consapevolezza digitale
nei minori
Ida Cortoni
Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’inquadramento della consapevolezza
nel quadro europeo sulle competenze digitali. – 3. Focus sulla consapevolezza digitale. – 4. Alcune evidenze empiriche sul tema della consapevolezza. – 5. Verso la digital literacy. Note conclusive.
Il saggio propone una riflessione sul tema della consapevolezza digitale
all’interno del contesto normativo e socioculturale della tutela del minore, rispetto alla rapida e continua trasformazione dei media digitali
nella società contemporanea e all’intensificazione delle dinamiche di domesticazione delle pratiche socioculturali mediate dai devices tecnologici
(Silverstone, 2002). Nello specifico, la riflessione sulla consapevolezza
digitale in questo saggio propone una chiave interpretativa della tutela di
natura sociologica, focalizzata prevalentemente sull’informazione e sulla
educazione, ovvero sul potenziamento degli strumenti cognitivi e metacognitivi dell’individuo, soprattutto in età evolutiva, per salvaguardare
la propria integrità emotiva, psicologica e sociale quando si stabiliscono
relazioni e interazioni socioculturali attraverso il dispositivo mediale.
Partendo dalla definizione di consapevolezza digitale, all’interno
del framework teorico sulle competenze digitali, condiviso dall’Unione europea negli ultimi anni (DigComp 2015), si cercherà di riflettere sul grado di diffusione e radicamento di questa stessa competenza
nelle nuove generazioni, partendo dalla presentazione di una ricerca
dell’Osservatorio Mediamonitor Minori, per poi proporre raccomandazioni e suggerimenti educativi al fine di consentire e favorire un
processo di sviluppo di questo tipo di competenza nelle nuove generazioni, nonché sensibilizzare gli organi istituzionali ad attivare politiche
educative e informative più sistematiche per i cittadini.
190
The best interest of the child
1. Introduzione
Il tema della tutela è al centro del dibattito pubblico, politico e
scientifico ormai da diversi decenni in Italia come in altri Paesi nel
resto del mondo. L’obiettivo è riflettere e discutere sulle disposizioni politiche, sociali, culturali e normative da intraprendere al fine di
salvaguardare i diritti del minore di fronte ai rischi di una loro violazione da parte di providers dell’informazione o della comunicazione.
Questi ultimi infatti potrebbero anteporre obiettivi di natura commerciale e politica a quelli di carattere etico e culturale nei processi di
rappresentazione dell’informazione e di gestione dei dati all’interno
degli ambienti digitali.
Il punto di riferimento di questa riflessione è sempre la Carta di
Treviso, che nel 1995 pone la questione della tutela dei minori in termini di “salvaguardia della dignità e di uno sviluppo equilibrato dei
bambini e degli adolescenti anche in funzione di uno sviluppo della
conoscenza dei problemi minorili e per ampliare nell’opinione pubblica una cultura dell’infanzia” (Carta di Treviso, Vademecum, 1995). A
partire da questa prima definizione e dall’analisi di ulteriori normative
internazionali e nazionali sul tema1, sono stati di seguito sintetizzati
diversi orientamenti politico- sociali, inclusi nelle normative e legati
alla tutela del minore rispetto ai media:
1. Quelli di natura protezionistica, orientati sia sulla individuazione di
situazioni potenzialmente dannose per il benessere psicosociale
del bambino (ad esempio lo sfruttamento minorile, la violenza, la
pubblicazione di materiali nocivi per il bambino, l’abuso mentale
e l’illegalità attraverso i media), sia sul richiamo alla responsabilità etica delle imprese mediali attraverso azioni sanzionatorie
sulla divulgazione di contenuti ambigui rispetto alla questione
della tutela.
2. Quelli di natura informativa e promozionale, rivolti prevalentemente
all’opinione pubblica e alle principali agenzie di socializzazione,
come la famiglia e la scuola, ai fini di una sensibilizzazione su codici
1
Art. 31 della costituzione sulla protezione dell’infanzia e della gioventù in Italia, la
Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia 1898 (divenuta legge in Italia nel 1991), la
Carta di Treviso (1990, 2006), il Vademecun, Carta di Treviso (1995), la Convenzione
europea sulla tv transfrontaliera Strasburgo (1989), la Carta dei doveri del giornalista
(1993) e il Codice di autoregolamentazione TV e Minori del 29 novembre del 2002 in
Italia.
La questione della consapevolezza digitale nei minori
191
di condotta da adottare quando si interagisce con i diversi dispositivi
mediali, su una maggiore condivisione pubblica dei problemi connessi all’infanzia, nonché su una conoscenza diffusa e la consapevolezza della cultura dell’infanzia.
3. Quelli protesi a un orientamento educativo, rivolti prevalentemente
alle agencies (scuola e famiglia), in cui si lavora sul potenziamento
cognitivo, emotivo e sociale dei minori fin dalla più tenera età, in
termini di competenze trasversali digitali da implementare nelle
nuove generazioni, per favorire lo sviluppo dell’identità individuale e sociale, dell’autonomia e della responsabilità sociale e un equilibrio psicofisico, anche quando si usano le tecnologie mediali, attraverso il coinvolgimento attivo e partecipativo delle stesse agenzie
di socializzazione (I. Cortoni, 2011).
Il primo orientamento descritto sembra legato a una accezione di
tutela intesa come censura, proibizione di fruizione di contenuti nocivi al pubblico giovanile e di prescrizioni di norme comportamentali al sistema di emittenza mediale; gli altri due orientamenti invece
presentano un’accezione più propositiva, in quanto si focalizzano
sulla tutela del destinatario mediale promuovendo azioni di sensibilizzazione, sperimentazione, ricerca, investimento sulla qualità e
su servizi, sia informativi che formativi, direttamente all’interno di
contesti di socializzazione, attraverso il coinvolgimento dei cittadini
(P. Aroldi, 2003).
Queste nuove interpretazioni del concetto di tutela puntano a costruire un ambiente culturale ed una nuova sensibilità sulla cultura
della comunicazione per consentire ai cittadini, e soprattutto ai giovani, di muoversi nell’ecosistema mediale con spirito critico e autonomia
decisionale, sapendo selezionare e cogliere le opportunità offerte e riconoscere i rischi progressivamente emergenti. Tali definizioni includono un chiaro riferimento alla Media Literacy, intesa come “capacità di
accedere, di comprendere e valutare criticamente i diversi aspetti dei
media a cominciare dai loro contenuti, di creare comunicazione in una
varietà di contesti” (Comunicazione 833/2007), e alla Media Education,
ovvero all’insieme delle strategie di intervento in campo educativo per
fornire a adulti e giovani strumenti conoscitivi, abilità metacognitive
e competenze trasversali attraverso cui agire autonomamente e attivamente nel contesto sociale (mediato e non mediato) (C. Balzagette
- E. Bevort - J. Savino, 1992; D. Buckingham, 2003; M. Morcellini – I.
Cortoni, 2007).
192
The best interest of the child
2. L’inquadramento della consapevolezza nel quadro
europeo sulle competenze digitali
Quando si parla di consapevolezza digitale generalmente si fa riferimento a una dimensione specifica della competenza digitale, di carattere trasversale, che smuove competenze metacognitive in grado di
modificare progressivamente atteggiamenti e comportamenti dei soggetti rispetto all’uso dei media digitali.
Per costruire una definizione teorico-concettuale su questo tema
non è possibile prescindere dalla ricognizione delle molteplici definizioni sulla competenza digitale nell’ambito della letteratura scientifica
internazionale degli ultimi anni, al fine di ricostruire un unico, seppur
complesso, quadro di riferimento entro cui far confluire una adeguata
definizione di consapevolezza digitale.
La costruzione di questo primo quadro interpretativo è infatti funzionale per visualizzare una mappatura più articolata delle competenze entro cui rintracciare le dimensioni, gli indicatori di riferimento e i
livelli di manifestazione degli stessi nei comportamenti degli individui.
Partendo da una prima definizione generale, dunque, con il termine
competenza digitale si vuole intendere “un insieme di conoscenze, abilità e attitudini richieste quando si usano le tecnologie per svolgere compiti, risolvere problemi, comunicare, gestire l’informazione, collaborare,
creare e condividere contenuti e costruire conoscenza in modo efficace,
appropriato, creativo, autonomo, flessibile, etico e riflessivo per lavoro,
tempo libero, apprendimento, partecipazione, socializzazione consumo
e empowerment” (nostra traduzione, Commissione Europea, 2012, p. 4).
Così, nell’analizzare concettualmente e operativamente la competenza
digitale, non è possibile trascurare le due principali dimensioni che sono
alla base della sua strutturazione: quella nozionistica connessa alle conoscenze fondamentali nel campo della comunicazione da possedere per
sviluppare attitudini comportamentali autonome e responsabili, e quella
trasversale, che presuppone competenze più avanzate, o metacompetenze, al fine di usare le tecnologie in diversi contesti sociali e per diverse
motivazioni in modo critico e riflessivo, valutando le informazioni disponibili; usarle in modo sicuro e responsabile nel rispetto della privacy
e delle differenze culturali e per partecipare a comunità e a reti sociali
e professionali (I. Cortoni - V. Lo Presti in S. Kotilainen et al., 2015).
Nel corso del tempo, si sono alternati diversi percorsi di ricerca e
sperimentazioni per costruire modelli teorico concettuali su questo
La questione della consapevolezza digitale nei minori
193
tema, contribuendo alla diffusione di una terminologia e di una cultura
sul digitale, andando oltre la visione puramente determinista legata
alla valorizzazione delle caratteristiche tecniche dei devices mediali2.
Nell’ambito della Strategia Europa 2020, l’Agenda digitale Europea
negli ultimi anni ha tentato di avviare un processo di sistematizzazione delle conoscenze sul tema, delle ricerche internazionali e delle
sperimentazioni realizzate in questo ambito, in modo da fornire indicazioni precise sulla definizione della competenza digitale e, dunque,
di consapevolezza digitale, e sulle strategie di rilevazione e implementazione della stessa all’interno di diversi contesti formativi.
L’obiettivo principale di questo orientamento è stato garantire lo
sviluppo e il miglioramento delle competenze digitali di tutti i cittadini attraverso iniziative di formazione e sistemi di certificazione e di
riconoscimento dei risultati di apprendimento all’interno dei diversi
sistemi di istruzione.
Il quadro unico internazionale sulle competenze digitali e dei suoi
indicatori, individuato dall’unione europea e tradotto anche in Italia nel
Piano Nazionale Scuola Digitale, è il DIGCOMP 2.0 (Framework for Developing and Understanding Digital Competence in Europe), che ha come principale obiettivo quello di orientare le azioni governative, in termini di
policies educative, verso il raggiungimento di una cittadinanza digitale.
Il DIGCOMP 2.0 (2015) e le successive integrazioni (DIGCOMP 2.1,
2017, e DIGCOMP EDU, 2017) dovrebbero ispirare percorsi di digital
literacy o digital education nell’ambito dei sistemi di Istruzione obbligatori. In tal senso, nel 2015 il MIUR nell’ambito del Piano Nazionale
Scuola Digitale (PNSD), attivo dal 2007, ha incluso una serie di azioni di formazione e di intervento innovativo strategico nel campo pedagogico digitale, per l’implementazione delle competenze sia degli
insegnanti che degli studenti, partendo proprio dal modello europeo
precedentemente descritto (Cfr. TAB 1).
2
Si citano a riguardo i seguenti progetti internazionali sul tema delle competenze
digitali: il progetto di Tornero e Celot 2006; iSkills di ETS (Educational Testing
Service) 2007; Decta di Ofcom (2008); ICT Competency Framework for teachers
dell’Unesco (2008); “NCCA ICT framework: a structured approach to ICT in
curriculum and assessment” di NCCA (National Council for Curriculum and
Assessment) (2006); “IC3 Internet and Computer Core Certification di Certiport
Inc., US private company, (2003); DigEuLit dell’University of Glasgow (2005-2006).
Per quanto riguarda la letteratura nazionale e internazionale sul tema si ricordano i
contributi di J. Van Dijk, (2005); H. Jenkins (2006), P. Celot, J.M. Tornero (2008), D.
Felini - F. Ceretti - R. Giannatelli (2006), A. Calvani - A. Ranieri - M. Fini (2009);
D. Buckingham (2006); S. Bentivegna (2009); M. Gui (2009), P. Gilster (1997).
194
The best interest of the child
Tab. 1. Modello teorico concettuale sulle competenze digitali
DIGCOMP 2.0
Aree
PNSD
microcompetenze
Modello
di competenze
digitali
Dimensioni
Navigazione,
ricerca e decimazione
di dati, informazioni
e contenuti
Informazione
e data literacy
Valutazione di dati,
informazioni
e contenuti digitali
Critical Thinking
Competenza
critica
Citizenship
Competenza
di Cittadinanza
Gestione di dati,
informazioni
e contenuti digitali
Interazione con
competenze digitali
diverse
Condivisione
attraverso
le tecnologie digitali
Comunicazione
e collaborazione
Impegno
nella cittadinanza
attraverso
le tecnologie digitali
Collaborazione
attraverso
le tecnologie digitali
Netiquette
Gestione
dell’identità digitale
La questione della consapevolezza digitale nei minori
DIGCOMP 2.0
195
PNSD
Modello
di competenze
digitali
Creativity
Competenze
di produzione
creativa
Problem solving
Competenze
di consapevolezza
Sviluppo
di contenuti digitali
Creazione
di contenuti
digitali
Integrazione
e rielaborazione
di contenuti digitali
Diritti d’autore
e licenze
Programmazione
Protezione
dei dispositivi
Sicurezza
Protezione dei dati
personali e della
privacy
Protezione,
salute e benessere
La tutela
dell’ambiente
Risoluzione
di problemi tecnici
Identificazione di
bisogni e di risposte
tecnologiche
Problem solving
Utilizzo creativo
di tecnologie digitali
Individuazione
di carenze
nelle competenze
digitali
196
The best interest of the child
Secondo questa prima strutturazione, la competenza digitale include
diverse dimensioni trasversali quali:
1. quella connessa alle opportunità di utilizzo tecnologico e delle
differenze fra mondo reale e la sua rappresentazione mediale, che
chiameremo “competenza critica”;
2. la comprensione del potenziale tecnologico in termini di innovazione e creatività o “competenza di produzione creativa”;
3. opportunità di lavoro alla comprensione della validità e affidabilità delle informazioni disponibili e la consapevolezza di rispettare i
principi etici alla base dell’uso interattivo delle tecnologie (competenza sulla consapevolezza fruitiva);
4. inclusione sociale (o competenza di cittadinanza).
Questa prima strutturazione non include la dimensione dell’accesso mediale relativa all’insieme delle conoscenze comunicative di base,
che un individuo dovrebbe possedere preliminarmente, per agire autonomamente e responsabilmente nel contesto sociale.
3. Focus sulla consapevolezza digitale
Partendo dal framework teorico, precedentemente introdotto, del
DIGCOMP 2.0 e dal PNSD, la consapevolezza digitale rappresenta una
dimensione specifica della competenza digitale, di natura trasversale.
Dal punto di vista della letteratura scientifica, questo termine è spesso
associato per corrispondenza semantica a quello di culture di Tornero,
Celot, 2006 e rimanda a due principali aspetti: 1. il grado di consapevolezza culturale nell’uso dei media in termini di potenzialità e rischi
di alcune azioni svolte con il digitale (“awareness” or “define”); 2. La
capacità di contestualizzazione delle conoscenze e delle abilità digitali
acquisite in contesti specifici formativi, formali o informali, subordinando il loro utilizzo ad altri obiettivi socioculturali e per motivazioni
differenti nel contesto lavorativo come in quello del loisir (“manage”
o “problem solving”).
Il concetto di consapevolezza digitale non rappresenta un neologismo, in quanto è stato già problematizzato e descritto in molti progetti europei, ad esempio questo tipo di competenza rientra nell’area
“digital usage” del progetto DigEuLit3 dell’Università di Glasgow, è
3
Tale progetto sulle competenze digitali è stato proposto dall’University of Glasgow
(2005-2006).
La questione della consapevolezza digitale nei minori
197
argomentato nel progetto IC3 Internet and Computer Core Certification
nella dimensione “key application”4 ed è approfondito anche nell’area
“knowledge deepening” del modello proposto nell’ambito del progetto
MIL (Media and Information Literacy) dell’UNESCO (2008). (I. Cortoni - V, Lo Presti in S. Kotilainen et al., 2015). Nel DIGCOMP 2.0, tale
concetto è riconducibile a due principali dimensioni, strettamente correlate fra loro: quella della Security e quella del problem solving. All’interno di questo saggio, tuttavia, l’attenzione si focalizzerà soprattutto
sulla prima delle due aree introdotte, evidenziando quattro principali
aspetti definitori:
1. quello tecnologico orientato al device digitale, inteso come capacità
di difesa o protezione delle proprie tecnologie da attacchi hacker o
virus (protecting devices).
2. Quello orientato sulla protezione dei dati personali dell’utente, in
qualità di produttore di testi online, dal rischio di phishing, o del
copyright e della privacy contro ad esempio il presunto catfishing
(o furto dell’identità). Nello specifico, questo indicatore richiama
il tema più ampio della consapevolezza sulle dinamiche alla base
della gestione dell’informazione nell’ottica dell’economia dei dati
digitali. Con tale espressione infatti si vuole intendere il sistema di
appropriazione dei dati e dei metadati degli utenti da parte di providers per fini commerciali, o politici, a seguito della pubblicazione e condivisione di post/informazioni (D. Lupton, 2018). Questa
nuova economia digitale rappresenta certamente la controparte del
prosumerismo on line, per due principali ragioni: prima di tutto
perché i grandi imperi della rete (quali Google, Facebook, Apple,
Amazon) utilizzano sistematicamente i dati forniti spontaneamente
dai loro utenti, spesso appunto inconsapevoli, per promuovere iniziative commerciali personalizzate; in secondo luogo poiché le stesse aziende on line, si avvalgono spesso di banche dati (pubbliche e
private) per attività di commercializzazione mirate. La progressiva
consapevolezza delle potenzialità economiche, politiche, culturali e
sociali sottese ai dati depositati nelle varie piattaforme ha permesso
l’affermazione di un nuovo concetto di industria culturale legato
ai media digitali, per cui dalla dimensione etica che ispira la creazione dei contenuti spontanei in Rete da parte degli utenti si passa
4
Tale progetto sulle competenze digitali è stato proposto da Certiport Inc., US private
company (2003).
198
The best interest of the child
all’economia capitalista di chi sfrutta tale potenziale per profitto. A
questa prima riflessione va certamente aggiunto il rischio dell’appropriazione illecita di tali dati/metadati, che può contribuire a incrementare situazioni discriminatorie contro minoranze etniche o
comunque xenofobe, nonché fornire opportunità di aggressione ed
emarginazione di gruppi già svantaggiati (D. Lupton, 2018). Non
si tratta, dunque, solo di una questione puramente economica ma
anche sociale e culturale, nella misura in cui l’organizzazione dei
molteplici dati presenti e archiviati sul web può essere subordinata
a qualche intento ideologico o politico, legato alla diffusione di una
visione della realtà, con un forte rischio di manipolazione dell’informazione e di influenza comportamentale degli stessi utenti verso un orientamento sociale, politico ed economico.
3. Quello orientato al benessere del soggetto in qualità di fruitore di
contenuti on line, dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. Con
il concetto di benessere fisico si vuole intendere l’insieme di quelle patologie spesso conseguenti a un utilizzo eccessivo del device
(ad es. mal di testa, fastidio agli occhi, problemi legati alla postura
non corretta…). La questione del benessere fisico da sempre è stata oggetto di studio da parte delle associazioni pediatriche, spesso
allarmate dalle alterazioni corporee e neuronali determinate dalla
fruizione dei devices (in passato il focus di interesse era la TV, oggi
sono gli smart mobile o i digital devices portatili e connessi alla Rete).
Il benessere psicologico contrariamente si riferisce alle molteplici
alterazioni psicocognitive ed emotive, nonché di socializzazione,
che un soggetto può vivere nella relazione con i media, connesso
a diversi fenomeni quali il cyberbullismo, la media addiction, revenge porn, deep web, on line hating, stalking, etc. Le dimensioni del
cyberbullismo e della media addiction (internet addiction, social network addiction, gaming addiction, cybersex addiction, information overload…) negli ultimi anni sono state al centro di diverse indagini di
carattere sia nazionale e internazionale nella prospettiva sociologica come quella psicologica (per citarne solo alcune ricordiamo
Eu Kids on line, Global kids on line, il telefono azzurro, Generazioni
connesse di Save the Children, nonché Technology Addiction. Nuove
forme di dipendenza digitale, socializzazione e reti sociali (2017-2019) e
Cyberbullismo e media education nel Lazio (2018) svolte direttamente
dai ricercatori del Dipartimento di Comunicazione e ricerca Sociale della Sapienza di Roma). Questo aspetto della consapevolezza è
La questione della consapevolezza digitale nei minori
199
più direttamente riconoscibile quale fenomeno connesso alla questione giovanile, nella misura in cui i media, diventando agenti di
socializzazione bottom up ad opera dei più giovani, riflettono quelle
condizioni di fragilità e incertezza psicosociale ed emotiva, nonché
condizioni e relazioni sociali, già presenti nel tessuto sociale off line
degli individui, e spesso amplificate ed esasperate nella Rete, a causa delle caratteristiche implicite del device (M. Lancini, 2019).
Il benessere sociale, infine, può essere letto secondo una duplice veste:
a) come una più attiva partecipazione socio democratica ed etica degli
individui, la cui condivisione on line, tuttavia, è monetarizzata dalle industrie del mondo virtuale; b) il costante orientamento spaziale attraverso il continuo aggiornamento dei dati on line e la geolocalizzazione,
che consentono sicuramente il miglioramento del benessere soggettivo
e il senso di orientamento spaziale, seppur con il rischio della continua
sorveglianza digitale. Proprio la sorveglianza digitale rappresenta un
ulteriore macrotema legato alla consapevolezza digitale da esplorare;
secondo Debora Lupton (2018) essa può essere intesa non solo come
fattore di rischio, bensì come servizio a supporto del benessere sociale
almeno secondo tre particolari accezioni:
a)
la sicurezza, ovvero maggior controllo dell’illecito, inteso come
capacità di individuare e monitorare possibili situazioni illegali, o
potenzialmente pericolose, garantendo al cittadino maggiore sicurezza socioculturale.
b) La trasparenza attraverso il costante controllo dell’operato delle autorità pubbliche da parte del cittadino (subveglianza).
c) La partecipazione democratica (o sorveglianza sinoptica) per cui gli
stessi cittadini hanno l’opportunità di denunciare dal basso eventuali illeciti grazie agli strumenti digitali.
Questa forma di benessere, tuttavia, sembra ancora poco esplorata
soprattutto dal punto di vista della ricerca scientifica, nonostante la sua
recente rilevanza sociale.
d) Quello connesso all’impatto delle tecnologie nell’ambiente sociale,
ovvero la consapevolezza degli effetti ambientali legati ad esempio
al non corretto smaltimento dei devices tecnologici, all’inquinamento prodotto dalle onde radioattive della Rete, nonché alle questioni
dello sfruttamento della manodopera nelle industrie di produzione
degli hardware e lo sfruttamento intellettuale dei prodotti culturali
condivisi e depositati sul web.
200
The best interest of the child
4. Alcune evidenze empiriche sul tema della consapevolezza
Svolgendo una prima ricognizione sulle indagini di ricerca sociologiche, soprattutto di carattere nazionale, focalizzate sul tema delle
competenze, con particolare riferimento alla consapevolezza digitale, secondo la complessa accezione fornita dal framework europeo del
DIGCOMP 2.0, i risultati ottenuti sono poco incoraggianti. Allo stato
attuale sembrano mancare indagini focalizzate direttamente su questo
aspetto della competenza digitale e la maggior parte delle informazioni pervenute è spesso frutto di interpretazioni indirette da parte di ricercatori, o studiosi, a partire da dati di ricerca sulla fruizione mediale
dei cittadini o sugli effetti nocivi dei media (ad esempio le ricerche sul
cyberbullismo o sulla media addiction).
A riguardo, alcune domande di ricerca potrebbero essere le seguenti: quale è esattamente il grado di consapevolezza digitale diffuso sul
territorio nazionale del cittadino digitale, secondo l’accezione descritta
nel precedente paragrafo, con particolare riferimento ai giovani? Come
valutare il tipo e, soprattutto, il livello di consapevolezza attraverso il
comportamento fruitivo? Infine se volessimo estendere la riflessione
oltre l’ambito puramente sociologico e ampliarlo a quello psicopedagogico, chiamando in causa il riferimento alla digital literacy e alla digital education, quando dovrebbe iniziare a maturare la riflessione sulla
consapevolezza digitale nel minore all’interno di un percorso di socializzazione formale, tenendo conto dell’evoluzione del processo di
apprendimento in età evolutiva?
A partire dal 2016, l’Osservatorio Mediamonitor Minori della Sapienza di Roma ha avviato una riflessione sulle competenze digitali dei
minori partendo dagli interrogativi precedentemente introdotti. Nello
specifico è stata condotta un’indagine empirica, dal titolo “Digital Capabilities e capitale sociale” (2016-2018), su un campione di circa 1200
preadolescenti del comune di Roma con l’obiettivo di comprendere fino
a che punto l’esperienza diretta e informale con i devices consentisse nei
bambini lo sviluppo spontaneo di competenze digitali attraverso il semplice utilizzo mediale nel tempo libero e, soprattutto, quanto la mediazione delle relazioni intrafamiliari e degli approcci educativi adottati,
all’interno di una cornice socioculturale familiare, potesse influenzare
lo sviluppo delle competenze anche in termini di livello di radicamento
nelle abitudini comportamentali dei giovani. La ricerca ha certamente
rappresentato una prima indagine esplorativa che, senza alcuna pretesa
La questione della consapevolezza digitale nei minori
201
di esaustività e rappresentatività della popolazione dei preadolescenti
italiani, ha voluto comunque iniziare a tracciare un percorso, anche di
carattere metodologico, per indagare in modo più sistematico e scientifico la complessa questione delle competenze digitali dei giovani (I.
Cortoni – V. Lo Presti, 2018). Così, attraverso un questionario semistrutturato, sono stati posti diversi quesiti relativi ai comportamenti dei
soggetti rispetto alle cinque dimensioni della competenza del DIGCOMP
2.0 (analisi critica, produzione creativa, problem solving, sicurezza digitale e comunicazione e collaborazione), oltre alla considerazione della dimensione dell’accesso. Nel caso specifico della consapevolezza digitale,
è stata indagata la capacità dell’utente di gestire azioni on line e comportamenti sul web subordinando le potenzialità dei servizi della rete agli
obiettivi personali.
Fra i diversi risultati emersi nella ricerca, è stato interessante notare
come gli unici profili emergenti, quali fattori caratterizzanti i preadolescenti intervistati in termini di competenze digitali, fossero focalizzati prevalentemente sull’accesso mediale (35%) e sull’analisi critica di
natura estetica (65 %), ovvero focalizzata soprattutto sull’analisi tacita
delle interfacce mediali (dal punto di vista del linguaggio). Dalla ricerca, dunque, non è emersa alcuna indicazione sul tipo e sul grado di
diffusione spontanea della consapevolezza digitale nei preadolescenti,
come se questa non potesse in alcun modo maturare nel minore senza
una adeguata forma di mediazione culturale (soprattutto scolastica e
familiare). In altri termini, se è vero che i media contribuiscono alla diffusione di una socializzazione immediata fra i giovani (M. Morcellini, 1997), riducendo la mediazione culturale delle tradizionali agenzie
di socializzazione, è pur vero che nel caso dei media digitali, l’esperienza diretta con le tecnologie si focalizza soprattutto per lo sviluppo
di alcune conoscenze tacite mediali, spesso legate al linguaggio e ai devices; rimangono invece fuori dal background conoscitivo delle nuove
generazioni le conoscenze comunicative, di natura più complessa, che
chiamano in causa nozioni legate ai sistemi dell’industria culturale,
ai meccanismi di produzione ideologica e consumo dei testi mediali
da parte delle audiences, nonché conoscenze specifiche legate ai messaggi mediali, dal punto di vista sia sintattico che semantico. Analogo
discorso può essere fatto per la competenza critica. La conoscenza dei
linguaggi mediali e dei devices abilita i soggetti ad analizzare i testi
mediali ma solo dal punto di vista del linguaggio, trascurando altre dimensioni dell’analisi critica, altrettanto interessanti, quali ad esempio
202
The best interest of the child
quella ideologica dell’autore del testo, quella del contesto iscritto nel
testo e del contesto comunicativo entro cui è proiettato il testo mediale
analizzato, per non dimenticare l’analisi del contenuto veicolato nelle
sue diverse letture (denotativa e connotativa). Gli altri tipi di competenza digitale trasversale sembrano assenti nella generazione dei preadolescenti intervistati, tra cui quella della consapevolezza digitale.
Con tali affermazioni non si intende avvalorare l’ipotesi per cui
i giovani, e nel caso specifico della ricerca i preadolescenti, debbano possedere necessariamente tutte le conoscenze legate all’accesso
mediale fra i 12 e i 14 anni. In tal senso, diventa interessante e necessario riflettere su quando e come consentire un’alfabetizzazione digitale sulla consapevolezza mediale e altre competenze in coerenza
con lo sviluppo psicocognitivo del bambino e attraverso la mediazione delle agenzie di socializzazione, quali la scuola. In altri termini,
questo tema apre la strada a riflessioni di carattere interdisciplinare
sulla progettazione e la strutturazione del curriculum di digital literacy
durante l’età della socializzazione. Infatti, seppur la consapevolezza
digitale non sia spontaneamente diffusa fra i preadolescenti, non è
detto che non possa essere insegnata e condivisa formalmente con gli
stessi all’interno di un percorso di educazione civica alla cittadinanza
nell’era digitale in classe.
5. Verso la digital literacy. Note conclusive
La consapevolezza, come competenza trasversale, non si sviluppa
spontaneamente e automaticamente nell’individuo con l’aumentare
dell’età attraverso la semplice esperienza diretta con il mondo circostante, essa necessita di stimolazioni culturali e sociali esterne, di dinamiche relazionali e trasmissive di natura culturale e sociale in grado
di stimolare le capabilities interne di ciascun soggetto (M. Nussbaum,
2001) e trasformarle in comportamenti situati consapevoli (capabilities
combinate), utilizzando le risorse di base (capabilities fondamentali) sui
media e sulla comunicazione. In tal senso, la funzione del capitale sociale, con particolare riferimento a quello familiare e scolastico, diventa discriminante per lo sviluppo della consapevolezza digitale.
Dal punto di vista normativo, scientifico e di dibattito pubblico, non
solo di carattere nazionale, è ormai diffusa la convinzione che l’investimento sulla digital literacy in termini di implementazione di competenze digitali, soprattutto rispetto agli aspetti trasversali, rappresenti
La questione della consapevolezza digitale nei minori
203
la strada più adeguata da intraprendere per sviluppare autonomia e
responsabilità nei comportamenti digitali e sociali, che si avvalgono
della mediazione delle tecnologie, e nell’analisi critica dei testi mediali. Il bambino può essere tutelato, nonostante la diversità dei processi
di socializzazione che vive, se è adeguatamente informato e formato
in modo progressivo a gestire i sistemi comunicativi quotidianamente.
Tale formazione può essere svolta in modo formale all’interno delle istituzioni come la scuola, in modo informale attraverso il coinvolgimento
dei sistemi mediali o altri enti territoriali, in modo costante, ripetitivo,
innovativo, tenendo conto soprattutto dei rapidi cambiamenti che accompagnano la rivoluzione digitale.
Non si tratta solo di un adeguamento normativo, politico e educativo, il cambiamento culturale nella scuola Italiana che preveda l’inclusione della digital literacy fra i sui obiettivi e la digital education fra
i metodi didattici per una educazione progressiva e continua verso la
cittadinanza digitale fin dai primi anni di scuola primaria, introduce
una complessa e delicata questione sulle strategie di integrazione dei
media digitali e delle pratiche relazionali e didattiche connesse alle abitudini quotidiane della maggior parte degli insegnanti. Al di là della
dotazione infrastrutturale e tecnologica delle classi e della formazione
di base dei docenti, che rappresentano il passaggio preliminare per lavorare a scuola e per cui il governo Italiano negli ultimi anni ha attivato investimenti economici importanti per abilitare gli istituti scolastici
al digitale, il grosso lavoro da compiere è sulla pratica quotidiana degli
stessi insegnanti tutti i giorni, nell’integrazione dei metodi di insegnamento, nella sperimentazione di percorsi di apprendimento differenti
e adeguati alla diversità delle classi. Sembrerebbe proiettarsi un cambiamento di formae mentis dell’insegnante che naturalmente non può
avvenire in modo repentino in tempi brevi, questo richiede pratica,
sperimentazione e si deve avvalere della collaborazione di più attori:
i colleghi ma anche e soprattutto gli stessi studenti per quanto concerne la loro propensione all’uso spontaneo della tecnologia. Alla scuola
viene chiesto di assumersi il peso di una nuova responsabilità: quella
di accompagnare i giovani alla scoperta e all’utilizzo consapevole delle
tecnologie per favorire il passaggio dalla semplice conoscenza delle
procedure di funzionamento tecnologico a un utilizzo più autonomo,
responsabile, maturo e consapevole dei media (M. Lancini, 2019). Una
prevenzione efficacie all’uso dei media può avvalersi dunque di alcune
raccomandazioni socioculturali e educative:
204
The best interest of the child
1. Accompagnare il giovane e mediare culturalmente le esperienze vissute con i media, ascoltando le motivazioni alla base delle azioni, il carico emotivo celato dietro i comportamenti e lavorando sulle relazioni
interpersonali e sulla comunicazione e condivisione delle esperienze;
2. Valorizzare il gruppo dei pari, come ad esempio il gruppo classe,
quale soggetto collettivo in grado di incidere positivamente sui
pensieri, i giudizi, gli affetti etc. dei ragazzi e, quindi, capace di
orientare comportamenti o atteggiamenti in caso di potenziali pericoli con il digitale.
3. Lavorare a scuola sul pensiero critico, sulla condivisione e l’autoriflessione delle esperienze generazionali in Rete, sulle rappresentazioni mediali e sulla relazione personale dei ragazzi con i mezzi di
comunicazione.
4. Guidare il ragazzo nel comprendere comportamenti e vissuti tipici
del ciclo di vita che stanno vivendo.
La sfida contemporanea in termini di tutela del minore nella prospettiva educativa si gioca sulla diffusione di una cultura comunicativa
negli adulti, come nei giovani, caratterizzata da meno controllo e più
condivisione e curiosità, in cui l’attività di prevenzione sia giocata sulle
tre A di Tisseron (2013): autocontrollo, accompagnamento e alternanza.
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Responsabilità genitoriale e controllo Facebook
Alessandra Gatto
Sommario :1. Introduzione. – 1.1 I rischi connessi all’uso della rete
telematica. – 2. Nascita e sviluppo del “Fenomeno Facebook”. – 3. Il
caso affrontato dal Tribunale di Teramo. – 4. Responsabilità civile dei
genitori per il danno cagionato dai figli minori attraverso Facebook. –5.
Uso anomalo della rete telematica e apertura di un procedimento de
potestate. – 6. Twenge e la iGeneretion.
1. Introduzione
Gli sviluppi tecnologici hanno da un lato contribuito, senza dubbio, al
progresso sociale e scientifico, e dall’altro posto nuove problematiche
connesse ai pericoli scaturenti dall’uso delle stesse.
Deve anzitutto sottolinearsi come l’uso di Internet e dei social networks
consentano l’esercizio di un diritto di libertà, ossia del diritto di ricevere e
comunicare informazioni e idee. Il diritto all’informazione e alla comunicazione, riconducibile alla libertà di espressione ai sensi del primo comma
dell’art. 10 della Convenzione di Roma del 1950, costituisce un interesse
fondamentale della persona umana. La norma in discorso, infatti, al primo
comma riconosce a ciascun individuo il diritto alla libertà d’espressione,
che comprende la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle
Autorità Pubbliche e senza limiti di frontiera. Inoltre, viene riconosciuto
agli Stati il potere discrezionale di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
La libertà di espressione, al livello sovranazionale, è altresì tutelata
dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del
7 dicembre del 2000.
208
The best interest of the child
Nella Costituzione la libertà di comunicazione trova poi garanzia
e riconoscimento nell’art. 21 che sancisce il diritto di ogni persona di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto
e con ogni altro mezzo di diffusione; il diritto all’informazione, se pur
non espressamente menzionato nella Carta costituzionale, viene ricondotto alla norma sopra citata.
Della libertà di informazione e di comunicazione sono sicuramente
titolari i minori i quali, raggiunto un adeguato sviluppo psicofisico,
spesso si servono dei mezzi di comunicazione telematica per acquisire
notizie e per esprimere i propri pensieri e le proprie opinioni.
Trattandosi di mezzi di comunicazione il cui utilizzo può, in determinati casi, portare a conseguenze pregiudizievoli per i terzi e per gli
stessi minori, si pone la necessità di una adeguata educazione di questi
ultimi alla rete telematica.
L’educazione si pone in funzione strumentale alla tutela dei minori
al fine di prevenire che questi ultimi siano vittime dell’abuso di internet
da parte di terzi. L’educazione deve essere altresì finalizzata a evitare
che i minori cagionino danni a terzi mediante gli strumenti telematici.
I minori sono infatti soggetti deboli e, in quanto tali, necessitano di
apposita tutela, non avendo ancora raggiunto un’adeguata maturità ed
essendo ancora in corso il processo relativo alla loro formazione.
Inoltre l’art. 17 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo attribuisce agli Stati parti il dovere di riconoscere l’importanza
della funzione esercitata dai mass-media, in quanto mezzi idonei a garantire una sana crescita e una corretta formazione del minore stesso.
Ai fini dell’adempimento del suddetto dovere gli Stati sono tenuti
a vigilare affinché il minore possa accedere a informazioni e materiali
provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, nonché la sua salute
psicofisica.
1.1. I rischi connessi all’uso della rete telematica
I pericoli ai quali il minore è esposto nell’uso della rete telematica
rendono necessaria una tutela dello stesso, indipendentemente dalle
competenze digitali maturate.
Con riferimento ai rischi, per i minori, derivanti dall’uso dei social
networks è bene distinguere il content risk, contact risk e conduct risk.
Responsabilità genitoriale e controllo Facebook
209
Con riferimento al content risk (rischio di contenuto) l’attenzione
viene concentrata sulla generale esposizione del minore ai possibili
contenuti lesivi della rete telematica.
Il contact risk (rischio da contatto) vede la partecipazione del minore
a seguito dell’iniziativa dell’adulto: tale partecipazione non è sempre
volontaria.
Il conduct risk (condurre al rischio) ha ad oggetto invece i possibili
pregiudizi connessi all’uso di Internet da parte del minore in un contesto relazionale con i propri pari. Più specificamente è proprio nell’ambito del conduct risk che si pone la problematica relativa ai danni cagionati dal minore attraverso l’uso di internet.
Al conduct risk sono quindi riconducibili le conseguenze negative di
un uso distorto da parte del minore dei social networks, tra cui Facebook: in questi casi il minore può ben essere sia protagonista che vittima
dell’illecito.
È bene porre in evidenza il possibile inadempimento dei doveri
genitoriali nel caso di danno cagionato dal minore attraverso l’uso di
Facebook, con conseguente responsabilità civile dei genitori derivante,
in particolare, dall’inadempimento dell’obbligo di educazione e di vigilanza, di cui i genitori sono titolari nei confronti del minore ai sensi
dell’art. 315 bis c.c.
2. Nascita e sviluppo del “Fenomeno Facebook”
Occorre preliminarmente rilevare che l’accesso a Facebook – social
network fondato nel 2004 da uno studente dell’Università di Harvard,
Marc Zuckerberg – è consentito gratuitamente a chiunque dichiari di
aver compiuto i tredici anni di età.
Nonostante lo scopo iniziale di siffatta iniziativa fosse il mantenimento dei contatti tra studenti di università e di scuole superiori di
tutto il mondo, in pochi anni Facebook ha in realtà assunto i connotati
di una vera e propria rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti.
Questi ultimi vi partecipano attraverso la creazione di “profili” contenenti dati anagrafici, fotografie, liste di interessi personali e lo scambio di messaggi (privati o pubblici), con la possibilità altresì di aderire
gruppi virtuali o di c.d. “amici”.
Facebook consente agli utenti di ricevere e inviare messaggi, di scrivere sulla bacheca di altri utenti e di impostare l’accesso ai vari contenuti
210
The best interest of the child
del proprio profilo attraverso una serie di “livelli”, con la possibilità di
limitare la visualizzazione dei propri dati.
Agli utenti di Facebook è peraltro nota l’eventualità che altri possano
in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni
lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal
loro consenso.
I gestori del sito, proprietari della piattaforma sulla quale si innestano i contenuti dei singoli utenti, avvertono, all’atto dell’iscrizione a
Facebook, che ogni responsabilità civile e/o penale connessi agli stessi
contenuti si potrà fare risalire unicamente a chi li abbia digitati.
Pertanto risulta evidente che tutti coloro i quali decidano di diventare utenti di Facebook dovrebbero essere ben consci non solo delle
grandi potenzialità relazionali offerte dal sito, ma anche dei possibili
rischi e pericoli derivanti dall’utilizzazione dello stesso.
3. Il caso affrontato dal Tribunale di Teramo
Una importante pronuncia giurisprudenziale relativa alla responsabilità civile dei genitori per l’illecito commesso dai figli minori attraverso l’uso dei social networks è quella del Tribunale di Teramo (cfr.
Trib. Teramo, 16 gennaio 2012).
Nel caso deciso dal Tribunale, un minore aveva costituito su Facebook un gruppo virtuale il cui titolo già evocava un chiaro disprezzo nei confronti di un’altra minore. Nella descrizione di tale gruppo
emergeva infatti un forte spregio verso la vittima, espresso attraverso
terminologia volgare e offensiva.
Nel gruppo venivano altresì pubblicate frasi ingiuriose, di uguale
tenore, da parte dello stesso minore e di altri minori appartenenti al
medesimo gruppo.
Il Tribunale di Teramo in particolare ha ritenuto condivisibile la preoccupazione della minore istante e dei suoi genitori, per la diffusione
effettiva e potenziale che quelle offese poste in essere dall’altro coetaneo
della ragazza, dirette nei confronti della minore stessa, avevano avuto
e potevano ancora avere, stante la loro pubblicazione su quel sito web.
È stato altresì osservato che qualora siffatta “rissa verbale” tra minori si fosse consumata in un qualsiasi luogo aperto al pubblico, probabilmente quell’episodio sgradevole si sarebbe potuto risolvere con
un richiamo o al massimo con qualche richiesta di chiarimento rivolta
ai genitori dei minori che avevano pronunciato quelle frasi. Tuttavia,
Responsabilità genitoriale e controllo Facebook
211
essendosi verificato in quella che può essere definita una “piazza virtuale” che non conosce, come precedentemente osservato, limiti alla
potenziale diffusione ed esondazione delle offese ivi pubblicate, si comprende la rilevanza dei possibili risvolti pregiudizievoli per la vittima.
4. Responsabilità civile dei genitori per il danno
cagionato dai figli minori attraverso Facebook
È bene osservare che genitori dei minori, capaci di intendere e di
volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all’art. 2048 c.c.
sono tenuti a dimostrare di aver adempiuto al dovere educativo di cui
all’art. 315 bis c.c. e di aver controllato che i figli abbiano assimilato
l’educazione loro impartita.
I doveri educativi hanno a oggetto non solo l’indicazione delle regole, delle conoscenze e dei moduli di comportamento ma anche la
messa a disposizione, nei confronti della prole, di strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative
per la migliore realizzazione della loro personalità.
Inoltre, l’avvicinarsi per il minore del raggiungimento della maggiore età non comporta il venir meno della responsabilità genitoriale.
Si possono, infatti, verificare casi in cui il minore pur essendo prossimo
alla maggiore età presenti una personalità fragile e non abbia ancora
sviluppato un’attitudine a frenare i propri istinti.
Anche in questo caso è onere dei genitori provare di non aver potuto impedire il fatto mediante la dimostrazione di aver impartito una
educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari e di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età.
I principi giurisprudenziali dettati nella materia di riferimento devono rapportarsi con l’assoluta peculiarità dello strumento utilizzato
per la diffusione delle frasi ingiuriose: ai fini della prova liberatoria di
cui all’art. 2048 c.c. i genitori sono tenuti a dimostrare di avere impartito al loro figlio minore un’educazione consona alle proprie condizioni socio-economiche e di aver adempiuto a quell’attività di verifica e
controllo sulla effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore
(c.d. controllo a posteriori).
L’attività menzionata da parte dei genitori, nel caso affrontato dal
Tribunale di Teramo, è stata ritenuta non adempiuta, stante la presenza e la reiterazione del comportamento ingiurioso e diffamatorio, consumatosi sul web da parte del figlio.
212
The best interest of the child
Deve essere poi posta in luce l’importanza del dovere di vigilanza
dei genitori che è, inoltre, strettamente connesso all’estrema pericolosità di quel sistema e di quella potenziale esondazione incontrollabile
dei contenuti.
Il dovere di vigilanza dei genitori si sostanzia, secondo quanto
affermato dal Tribunale di Teramo, in una limitazione sia quantitativa che qualitativa di quell’accesso, al fine di evitare che quel potente
mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in
modo non adeguato da parte dei minori.
Senza dubbio devono essere condivise le osservazioni della pronuncia menzionata in relazione agli obblighi genitoriali che si concretizzano, nel caso di specie, in una limitazione di accesso al web.
Nel momento in cui i genitori, consapevoli delle potenzialità e dei
rischi di internet, acconsentono a un accesso del proprio figlio minore
alla rete, quella doverosa attività di verifica a posteriori dell’educazione
del proprio figlio «non potrà non fare i conti con l’estrema pericolosità
di quel navigare e della già evidenziata potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti e delle proprie idee ivi manifestate».
5. Uso anomalo della rete telematica e apertura
di un procedimento de potestate
Riguardo all’uso distorto della rete telematica e alla responsabilità
genitoriale, un caso è stato affrontato dal Tribunale per i Minorenni di
Caltanissetta (cfr. Trib. min. Caltanissetta, 10 luglio 2018), in un procedimento di Volontaria Giurisdizione, aperto a fronte del ricorso del
Pubblico Ministero Minorile, ai sensi dell’art. 333 e 336 c.c., stante la
pericolosità della condotta posta in essere da una minore con specifico
riferimento all’anomalo utilizzo dei mezzi di comunicazione telematica.
Dal predetto ricorso emergeva che la minore, quattordicenne al
momento del fatto, aveva inviato, attraverso il proprio telefono cellulare mediante l’utilizzo di WhatsApp – applicazione di messaggistica
istantanea per dispositivi mobili multipiattaforma che, attraverso la
connessione internet, consente lo scambio tra uno o più utenti di messaggi di testo e file multimediali – alcune immagini che la ritraevano
nell’intimità, al proprio fidanzato che a sua volta le aveva trasmesse ad
altre utenze telefoniche. La suddetta situazione aveva poi provocato
alla minore uno stato di ansia e angoscia.
Responsabilità genitoriale e controllo Facebook
213
Il Tribunale conferiva quindi incarico al Servizio Sociale per lo svolgimento di un’attività di monitoraggio e supporto della minore e al
Consultorio Familiare al fine di verificare le capacità educative e di
accudimento dei genitori.
Sotto tale profilo è stato osservato che l’anomalo utilizzo da parte
del minore dei mezzi offerti dalla moderna tecnologia tale da lederne
la dignità cagionando un serio pericolo per il sano sviluppo psicofisico
dello stesso, può essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori i quali sono tenuti non solo ad impartire
ai propri figli minori un’educazione consona alle proprie condizioni
socio-economiche, ma anche ad adempiere a quell’attività di verifica e
controllo sulla effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore.
6. Twenge e la iGeneretion
Dobbiamo senz’altro essere consapevoli che viviamo nell’era della
c.d. iGeneration, come affermato da Jean Twenge nel volume “Iperconnessi. Perché i ragazzi di oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici
e del tutto impreparati a diventare adulti”, pubblicato dalla Casa Editrice
Giulio Einaudi nel 2018.
Twenge pone in luce che i nati dal 1995 in poi sono cresciuti con il
cellulare in mano: le otto tendenze principali che definiscono la iGeneration sono da individuare nella
• immaturità, ovvero la tendenza a prolungare l’infanzia oltre le soglie dell’adolescenza;
• iperconnesione, ossia la scelta del cellulare come passatempo egemone a discapito di altre attività;
• incorporeità, da intendere quale declino delle interazioni sociali
personali;
• instabilità, quale forte aumento dei problemi di salute mentale;
• isolamento
• incertezza
• indefinitezza, da individuare nei nuovi modi di intendere le relazioni sentimentali;
• inclusività quale tendenza ad accettare le differenze.
L’Autore pone in evidenza che dopo il boom degli smartphone, ciò
che distingue gli iGeneration dalla fascia di età precedente è soprattutto
il modo di trascorrere il proprio tempo. In particolare è stato osservato
214
The best interest of the child
che gli adolescenti, quando comunicano di persona, senza strumenti
elettronici, hanno abilità sociali migliori, ad esempio quella di interpretare le emozioni sui volti altrui.
Appare quindi fondamentale trasmettere ai giovani, sin da piccoli,
i valori della civile convivenza e ciò non vuol dire vietare loro di star al
passo con i tempi, impedendogli l’utilizzo dei social network tra cui Facebook, ma educarli al rispetto di sé stessi e degli altri anche attraverso
l’uso dei mezzi di comunicazione telematica.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale
dei minori
Paola Marsocci
Sommario: 1. Discorsi d’odio e minori. Una premessa. – 2. Hate speech,
alla ricerca di una definizione giuridica univoca. – 3. La vita privata dei
minori, hate speech e media on line. – 4. Il nesso tra hate speech e fake news.
Cenni sul ruolo della professione giornalistica.
1. Discorsi d’odio e minori. Una premessa
Al tema dell’hate speech occorre accostarsi con particolare cautela, sia
per la difficoltà di trovare un’interpretazione univoca del fenomeno
che favorisca un inquadramento giuridico certo e condiviso (come, del
resto, già nel mondo off line), sia per la sua potenziale assimilazione ai
reati di opinione. Cautela ancora più giustificata, se ci si propone di
dettare i confini della nozione in riferimento ai minori.
In questo breve contributo saranno proposti alcuni spunti di riflessione, a partire da queste domande: quale è la definizione giuridica di
hate speech? In riferimento ai minori, quale è il nesso tra discorso d’odio, vita privata, identità personale e sicurezza? Esiste un nesso tra hate
speech e fake news? A conclusione, qualche osservazione sulla possibile
relazione tra cyberbullismo e hate speech, anche osservata sotto il profilo del potenziamento del ruolo di mediazione giornalistica.
Innanzitutto, anche se in modo molto sintetico, va detto che nella
prospettiva della scienza giuridica tutte le problematiche connesse al
tema del discorso d’odio possono essere sollevate anche in rifermento
ai minori.
Stiamo infatti parlando dell’esercizio della libertà di espressione,
che l’art. 21 della Costituzione italiana riconosce e garantisce a tutti,
indipendentemente dall’età, e in ogni forma, che sia scritta, parlata o
216
The best interest of the child
comunque utile ad esprimere la propria personalità (il nesso è con l’art.
2 Cost.). Tale libertà ha molteplici contenuti (informare, informarsi, essere informati1), può essere esercitata attraverso i diritti di cronaca, di
critica e di satira; può essere fatta valere entro i corrispondenti limiti,
esplicitati nella Carta (buon costume) o individuati dalla giurisprudenza e dal legislatore (dignità umana; onore, reputazione e immagine; riservatezza, segretezza); si avvale di strumenti idonei alla diffusione verso gli altri (destinatari non precisamente individuabili, come
invece accade quando si esercita la libertà garantita dall’art. 15 Cost.).
La Corte costituzionale ha da tempo ribadito “l’imperativo costituzionale che il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 sia qualificato e
caratterizzato (…) dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico,
del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori”2.
Tuttavia, è almeno opportuno individuare e studiare le specificità che il fenomeno del discorso d’odio presenta quando ad essere
coinvolti sono i non maggiorenni, distinzione – come è chiaro – squisitamente giuridica, frutto di una pur necessaria generalizzazione riguardo ad una “categoria” al suo interno molto differenziata. In gioco
evidentemente ci sono la questione della responsabilità delle condotte
e della presupposta consapevolezza, entro un quadro di riferimento
normativo che progressivamente ha introdotto e potenziato, in generale, le garanzie nei confronti dei minori.
A livello sovranazionale, ci si può riferire alla Convenzione ONU
sui Diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia nel 1991, con cui
si specifica che il minore ha diritto a misure speciali di protezione e di
assistenza e che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una
sua vita individuale nella società e, per altri versi, all’articolo 24 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (diventata giuridicamente vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, a
dicembre 2009), con cui si garantisce ai minori sia il diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, sia il diritto di poter
esprimere liberamente la propria opinione3.
1
La Corte costituzionale ha più volte ribadito che l’art. 21 colloca tale libertà tra i
valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità e determina la traduzione
diretta e immediata in diritti soggettivi dell’individuo di carattere assoluto, cfr. sentt.
n. 153 del 1987 e n. 112 del 1993.
2
Cfr. Corte cost., sent. n. 112 del 1993.
3
Su questo specifico aspetto, l’Unione Europea nella seconda metà degli anni ‘90 inizia a
prendere posizione con una serie di attività di tipo consultivo e non vincolante, quali la
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
217
In Italia, la legislazione a favore delle persone di minore età ha
comunque via via introdotto, non senza difficoltà e contraddizioni,
trattamenti diversificati per fasce di età distinte, tenuto conto che molte disposizioni costituzionali, riferendosi alla «persona», sono applicabili all’adulto come al minore (esercizio dei diritti civili, dei diritti
sociali e in parte anche di quelli politici4). In ambito penale, anche
alcune condotte propriamente criminali possono ovviamente esser
fatte valere; l’infraquattordicenne non è imputabile e, tra i 14 e i 18
anni di età, è riconosciuta l’imputabilità solo nei casi in cui sia provata la capacità di intendere e volere, mentre la capacità processuale è
considerata piena al compimento del quattordicesimo anno. In ambito
civile, esistono orientamenti ancor più diversificati, tant’è che al minore vengono, in alcuni casi, riconosciuti diritti e capacità autonome
di decisione, in altri, invece, gli viene preclusa la capacità di agire,
ovvero di compiere autonomamente atti giuridici.
Tornando al tema specifico, pur sempre in via preliminare, è utile
ricordare che la diffusione dell’odio e dei sentimenti contrari alla dignità umana è un fenomeno conosciuto e studiato che si ripresenta nel
tempo ed è particolarmente temibile, proprio perché tutti i termini del
ragionamento che riguarda le peculiari caratteristiche di mezzi di diffusione usati per tali discorsi valgono per gli adulti come per i minori5.
Oggi al centro dell’attenzione c’è il web, come dimostrano (anche)
i diversi provvedimenti che interessano appunto la tutela dei minori,
varati nel corso della XVII legislatura in tema di libertà di espressione6.
Tuttavia, nonostante tutto quello che sta accadendo dall’avvento della
risoluzione del Consiglio sulle informazione di contenuto illegale e nocivo su Internet (G. U.
n. C 70 del 06 marzo 1997), il Libro verde sulla protezione dei minori e della dignità umana
nei servizi audiovisivi e di Internet della Commissione (COM (96) 483), il Piano pluriennale
d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet (Decisione n. 276/1999, in G. U. n. L 033
del 06 febbraio 1999).
4
Un quadro generale, in M. Bellocci - P. Passaglia, La tutela dei «soggetti deboli» come
esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale, quaderno
disponibile nella sezione studi e ricerche del sito della Corte costituzionale, https://
www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU%20191_Tutela_soggetti_
deboli.pdf
5
F. Abbondante, Il ruolo dei social network nella lotta all’hate speech: un’analisi
comparata fra l’esperienza statunitense e quella europea, in G. Conti - M. Pietrangelo F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol.
XXVI, n. 1-2, 2017.
6
Cfr., M. Monti, La XVII legislatura e la libertà di espressione: un bilancio fra luci e ombre,
in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2018.
218
The best interest of the child
Rete internet e poi dei social network, in particolare, sia commentato ancora oggi come inusitato, in realtà i fenomeni prodotti dal loro uso – e
dunque anche gli istituti giuridici che ad essi si riconnettono – sono assolutamente noti e consueti; ad essere differenti sono invece gli effetti
potenziati di quelle pratiche e di riflesso le responsabilità giuridiche7.
Quando si dice che le tecnologie sono neutrali e che dunque occorre
valutare in concreto l’uso che se ne fa, si esprime un’opinione a mio
avviso contestabile o, quanto meno, occorre precisare che ciascuna di
esse con le proprie caratteristiche peculiari diviene il luogo specifico in
cui quelle condotte vengono seguite, condizionando ed essendo condizionate da quei parametri strutturali8. L’istigazione on line all’odio è
una forma di abuso dei diritti umani che ha conseguenze molto gravi,
perché automaticamente e “facilmente” amplificabili, nello spazio e
nel tempo, dalla tecnologia digitale. Inoltre, il tema può essere osservato da due prospettive: quella di chi agisce (allo scopo di analizzare
le forme specifiche che assume il fenomeno quando a praticarlo sono
minori) e quella di chi subisce (allo scopo di proporre le misure di contrasto e i rimedi che gli stessi minori possono sperimentare, dopo aver
conosciuto e compreso il fenomeno).
2. Hate speech, alla ricerca di una definizione giuridica
univoca
In riferimento all’ordinamento giuridico internazionale, a quello
dell’Unione europea e a quello di numerosi Stati, il concetto di hate
speech trova riscontro in specifici riferimenti normativi9; tuttavia, ad oggi,
è ancora problematico individuare una precisa ed univoca definizione
7
P. Marsocci, Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, n. 2/2011.
8
Condivisibilmente, osserva S. Quintarelli, Content moderation: i rimedi tecnici, in G.
Pitruzzella - O. Pollicino - S. Quintarelli, Parole e potere. Libertà d’espressione, hate
speech e fake news, Milano, 2017, p. 130, “Parlare di neutralità del motore di ricerca è un
ossimoro”.
9
Nel diritto internazionale, cfr. l’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite,
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottata nel 1966 (in vigore dal
1976); l’articolo 4 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma
di discriminazione razziale del 1965; gli articoli 10 e 17 della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo del 1950. Un altro importante strumento di diritto internazionale
elaborato dal Consiglio d’Europa è la Convenzione sulla criminalità informatica
(nota come Convenzione di Budapest, 2001), unico strumento internazionale
giuridicamente vincolante in questo campo.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
219
giuridica di hate speech, specialmente perché tali forme di espressione
sono spesso annoverate accanto ad altri comportamenti illeciti.
In generale, si può dire che si tratta della diffusione di opinioni che
possono costituire un incitamento, motivato da pregiudizio, alla violenza ovvero a crimini generati dall’odio, in contrasto con il rispetto
della dignità umana e della solidarietà (principi costituzionali fondamentali, in Italia). In base alle ricerche anche statistiche, il pregiudizio
si nutre di spinte ricorrenti – in Italia come all’estero – fondate su: appartenenza etnica che genera razzismo e xenofobia, differenze religiose, sessuali e di appartenenza di genere, discriminazioni nei confronti
delle persone disabili.
La definizione (compiutamente, una delle prime) del discorso di
incitamento all’odio proposta dal Consiglio d’Europa nel 1997 si riferisce a “tutte le forme di espressione”, non solo discorsi, ma anche immagini o video diffusi off e on line ed è comprensiva “di tutte le forme
di espressione miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio
fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa sotto forma di
nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti e delle persone di
origine immigrata”10.
La Decisione quadro dell’Unione europea sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (2008/913/GAI) del 28 novembre 2008 aveva poi
qualificato come reato: “l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio
nei confronti di un gruppo di persone o di un suo membro, definito in
riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica”. Una definizione più recente si trova nella
Raccomandazione di politica generale n. 15 della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI)
del 21 marzo 2016: il discorso d’odio viene definito come: “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il
fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di
motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza,
10
Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, n. 20 del 30 ottobre 1997.
220
The best interest of the child
l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale
e ogni altra caratteristica o situazione personale”11.
In Italia, il complesso di norme di maggiore organicità in materia di
discriminazione razziale è costituito dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654,
di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata
dalle Nazioni Unite a New York nel 1966 in cui l’articolo 3 punisce con
la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o
etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione
per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e con la reclusione da
sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o
commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Con il decreto legge 26 aprile 1993,
n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale,
etnica e religiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno
1993, n. 205 (cd. legge Mancino): l’art. 2 punisce con la reclusione fino
a tre anni (oltre che con una multa) chiunque, in pubbliche riunioni,
compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri
o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza
per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la stessa norma punisce come contravvenzione (arresto da tre mesi ad un anno) l’accesso
ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che
vi si recano con gli stessi emblemi o simboli. Il decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione
dello straniero: l’articolo 43 definisce puntualmente la condotta discriminatoria per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, individuando cinque categorie di comportamenti perseguibili, mentre l’articolo
11
Su questa base, presso la Camera dei Deputati è stata istituita una Commissione
sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (intitolata a Jo Cox) del 2017;
nel testo della Relazione finale (disponibile in https://www.camera.it/application/xmanager/
projects/leg17/attachments/shadow_primapagina/file_pdfs/000/007/099/Jo_Cox_Piramide_
odio.pdf) si legge che “Il discorso d’odio deve essere tenuto distinto dai crimini d’odio, che
sono definiti dall’OSCE come fatti penalmente rilevanti motivati da pregiudizi e intolleranza.
È evidente che quando il discorso d’odio è perseguibile penalmente esso rientra tra i crimini
d’odio. In ogni caso esiste un nesso tra i due fenomeni, così come tra discorso d’odio e
discriminazione. Infatti, da una parte, il discorso d’odio è una forma estrema di intolleranza
che se non contrastata può contribuire a creare un ambiente favorevole al verificarsi di crimini
d’odio; dall’altra, esso segnala, il più delle volte, il radicamento di vere e proprie forme di
discriminazione nei confronti dei soggetti colpiti. Per questo ragionare sui discorsi d’odio
porterà inevitabilmente a interrogarsi sia sull’interpretazione e la dimensione del diritto di
libertà di espressione, sia sulla declinazione del principio di uguaglianza”.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
221
44 introduce l’azione civile contro le discriminazioni, mentre i decreti
legislativi 31 luglio 2005, n. 177 (testo unico della radiotelevisione), e 6
settembre 2005, n. 206 (codice del consumo) che vietano le trasmissioni
che contengano incitamenti all’odio comunque motivato o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso,
religione o nazionalità, nonché le trasmissioni pubblicitarie e le televendite che comportino discriminazioni di razza, sesso o nazionalità.
Da ultimo va citato il decreto legislativo 1° marzo 2018 n. 21, che ha
introdotto gli artt. 604 bis e 604 ter c.p. L’art. 604 bis punisce qualsiasi condotta di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, nonché l’istigazione a commettere (o la diretta
commissione di) atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi. Si sancisce inoltre il divieto di organizzazioni, associazioni,
movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o
gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto
della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a
quattro anni. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la
propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo
che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte
sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia
della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e
dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto
della Corte penale internazionale. L’art. 604 ter prevede una circostanza aggravante generica, applicabile a tutti i reati commessi con le finalità di discriminazione etnica, razziale e religiosa indicate, ovvero per
agevolare le associazioni destinate al medesimo scopo. L’art. 604 ter
prevede una circostanza aggravante generica, applicabile a tutti i reati
commessi con le finalità di discriminazione etnica, razziale e religiosa
indicate, ovvero per agevolare le associazioni destinate al medesimo
scopo. Tale aggravante trova attuazione quando il reato base non sia
punibile con l’ergastolo.
Nonostante il complesso di norme esistente, restano di difficile soluzione i problemi che ne rendono complessa l’applicazione. Da un
lato è impegnativo per gli operatori del diritto riconoscere i pregiudizi
(bias cognitivi) che sono alla base del discorso d’odio, dall’altro sempre
più spesso questa azione viene contrastata dall’invocazione alla libertà
di espressione costituzionalmente tutelata.
222
The best interest of the child
Se però, molto più frequentemente si attacca una persona per
uno dei motivi appena elencati (perché appunto la si identifica come
espressione di una “categoria specifica” e, a motivo di ciò, del tutto
ingiustificatamente la si pregiudica o danneggia), chiunque altro e per
qualsiasi altro motivo può essere vittima di espressioni di odio. Tuttavia, se esageratamente generalizzata, tale definizione non aiuta a delimitare con certezza le tutele che l’ordinamento giuridico è chiamato a
predisporre, così come dove essere chiaro che ci si riferisce a “discorsi”
(nella accezione ampia sopra ricordata) e non genericamente a “pratiche”, ossia azioni violente o aggressive, che casomai devono ritenersi
conseguenza proprio della diffusione di parole, immagini, video ecc.
Si pensi ad esempio al caso più estremo, quello dei discorsi incitanti
all’odio legato all’espansione dei fenomeni eversivi: ad essere punita
è la condotta comunicativa, rivolta peraltro non solo a soggetti individuati, ma a una collettività astratta e distinta dagli individui che la
compongono.
Infine, resta assolutamente necessario che l’hate speech sia inquadrato giuridicamente nell’ambito dei limiti costituzionalmente ammissibili alla libertà di manifestazione del pensiero, giustificati in questo
particolare caso, dall’onore e dalla reputazione degli individui, nel rispetto ed in attuazione del principio di dignità della persona e, appunto, del libero sviluppo psichico e morale dei minori.
3. La vita privata dei minori, hate speech e media on line
Come accennato in premessa, le tecnologie digitali – risultando
mezzi (purtroppo) assolutamente adeguati a questi scopi – comportano, nel bene e nel male, estrema rapidità di diffusione, vastità e indistinzione di persone raggiunte o raggiungibili dal messaggio, possibile moltiplicazione incontrollata (viralità), possibile anonimizzazione.
Queste caratteristiche vanno valutate con estrema attenzione ai minori,
perché ciò che si fa e si dice nella “pubblicità” del cyberspazio ha un
enorme impatto sulla loro vita privata.
In questo senso si sono espresse anche la Corte europea dei diritti
dell’uomo12 con la propria giurisprudenza e il Comitato dei Ministri
12
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 ha stabilito che “Ogni persona
ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della
propria corrispondenza” (articolo 8). La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
dell’infanzia (approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
223
del Consiglio d’Europa. Quest’ultimo in particolare, a fronte dell’entità
del problema, ha realizzato, nell’ambito del proprio Piano d’azione sulla lotta contro l’estremismo violento e la radicalizzazione che conduce al terrorismo, una campagna giovanile di sensibilizzazione contro
l’istigazione all’odio on line, “Movimento contro il discorso dell’odio
(No Hate Speech Movement)”, condotta nel periodo 2012-201713. L’Italia,
condividendo le finalità del Consiglio d’Europa, aveva costituito nel
2013, presso il Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Tavolo Tecnico di
coordinamento delle iniziative tese alla sensibilizzazione dei giovani
in materia di lotta all’odio, all’intolleranza e alla violenza on line e ha
realizzato una campagna nazionale con lo scopo di coinvolgere i giovani su questa tematica.
Anche l’Autorità garante per le comunicazioni si è occupata molto
del tema; nel Libro Bianco “Media e Minori” predisposto nel 2018 si
legge:
“Nel corso della navigazione i minori possono imbattersi in contenuti
illeciti, inappropriati, violenti, pornografici e suscettibili di creare turbamento.
Fenomeno emergente ed in crescita esponenziale è rappresentato dalla
diffusione in Rete di contenuti generati dagli stessi utenti (UGC) che, se
da un lato può potenziare capacità creative e processi partecipativi volti alla costruzione di una conoscenza condivisa, dall’altro, può esporre
i minori a contenuti inadatti e potenzialmente lesivi del loro sviluppo.
Tra gli altri quelli che incitano all’odio e alla discriminazione e alla violenza contro alcuni gruppi sociali e individui”.
1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) ha stabilito che “1.
Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella
sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, né di affronti illegali al suo onore
e alla sua reputazione. 2. Ogni fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali
interferenze o affronti” (articolo 16).
13
Nel tempo estesa in 45 paesi in tutta Europa, ma anche in Messico, Marocco, Tunisia
e Quebec, si tratta di una prima significativa iniziativa internazionale con lo scopo
di contribuire a riconoscere il discorso dell’odio come abuso dei diritti umani. Si
veda anche la Hate speech - Recommendation No. R(97)20 (2015). Il progetto si pone,
tra l’altro, l’obiettivo di promuovere la partecipazione di giovani attivisti della
Rete e blogger a difesa dei diritti umani. Il Consiglio d’Europa utilizza strumenti
educativi quali i manuali, Bookmarks, sul tema cfr., in particolare, Bookmarks.
A manual for combating hate speech on line through human rights education, edito dal
Consiglio d’Europa nel 2018; Manual on Hate Speech, a cura di Anne Weber, edizioni
del Consiglio d’Europa, Strasburgo 2009 e il successivo del 2014.
224
The best interest of the child
L’attenzione delle istituzioni pubbliche nazionali e sovranazionali
emersa progressivamente è ora tesa a prospettare come estremamente
delicata ed urgente la questione specifica del nesso tra discorso d’odio,
vita privata, identità personale e sicurezza dei minori. Nella loro vita
(privata) i minori, come è banale osservare, usano massicciamente il
web con conseguenze che riguardano la costruzione in contesti collettivi della propria personalità14.
Ciò che viene preso di mira nei discorsi d’odio è appunto una o più
caratteristiche della identità di un soggetto; questi dati personali sono
tratti spesso dagli stessi messaggi privati che il minore invia e che altri
minori inoltrano a terzi (tramite i servizi di messaggistica presenti negli
smartphone), senza nessuna consapevolezza della violazione del principio della segretezza della comunicazione interpersonale (garantita
dall’art. 15 della Costituzione) oppure sono informazioni che il minore
“affida” alla Rete in spazi pubblici e accessibili a chiunque, senza consapevolezza del rispetto dei limiti all’esternazione del proprio pensiero.
L’attenzione verso il trattamento delle informazioni relative ai minori rappresenta, in questa direzione, una delle novità rilevanti contenute
nella nuova disciplina europea sul trattamento dei dati personali; nel
Regolamento (UE) 2016/679, convenzionalmente GDPR, è prevista l’indicazione dell’età minima richiesta per l’accesso ai servizi da parte dei
minori. La norma prevede che sia 16 anni, ma lascia agli Stati membri un
margine di autonomia legislativa nell’indicare un’età diversa, comunque non inferiore a 13 anni. Il recente decreto legislativo 10 agosto 2018,
n. 101 ha fissato in Italia la soglia a 14 anni, ma è facile prevedere che si
potrebbe in futuro arrivare ad abbassarla alla soglia statunitense dei 13
anni (l’unica realmente, quanto forse inopportunamente, “globale”)15.
Ottenere (almeno) la collaborazione degli operatori del web è però
l’altro obiettivo da perseguire. Su spinta della Commissione europea,
nell’ambito dell’Internet Forum, i social network e le più importanti piattaforme che veicolano contenuti avevano sottoscritto (31 maggio 2016)
un Codice di condotta, “Code of Conduct on illegal online hate speech”, con
il quale si impegnavano a combattere la diffusione di forme illegali di
14
G. Pedrazzi, Minori e social media: tutela dei dati personali, autoregolamentazione e
privacy, in Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017.
15
Sull’età del consenso digitale e il recepimento della nuova normativa europea, in senso
critico circa l’eccessivo abbassamento dell’età si è espressa la Autorità garante per l’infanzia
e l’adolescenza, nel Rapporto su “La tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione”,
2017, p. 43.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
225
incitamento all’odio on line, anche tramite pratiche di controllo e rimozione di speech attraverso l’uso di algoritmi16. Nonostante non siano
ad oggi giuridicamente responsabili come Internet Service Provider17,
l’enorme espansione delle espressioni d’odio ha spinto poi i giganti
del web (Facebook, Google, YouTube e Twitter) a inserire nei propri termini contrattuali regole volte a prevenire la diffusione di messaggi ripugnanti. Una scelta evidentemente determinata anche da ragioni di
protezione della propria immagine commerciale, nel tempo deteriorata dal sospetto di non fare abbastanza per contribuire a contenere
esplosione di violenza di matrice terroristica e non.
Sul fronte degli Stati membri Ue, si può poi menzionare la “Network
Enforcement Act” (NetzDG), conosciuta anche come “Facebook Law”, entrata in vigore in Germania ad ottobre 2017 che, come prevedibile, ha
attivato un ampio dibattito sul rinnovato concetto di censura alla libertà di espressione in Rete. I principali social network tedeschi potrebbero
dover pagare cospicue multe, nel caso non dovessero eliminare entro
24 ore contenuti ritenuti illegali, inclusi quelli legati appunto all’hate speech, alla diffamazione e all’incitamento alla violenza. Le aziende
che gestiscono le piattaforme dovranno nominare un responsabile che
gestisca i rapporti con il Governo tedesco che, dal canto suo, sta organizzando un apparato apposito con il compito di controllare e vigilare
sulle reti social. Il rischio è che i meccanismi automatici di filtraggio si
rivelino oltre che inefficaci, distorsivi per eccesso o per difetto: segnalando e eliminando il contenuto lecito, ignorando o mal interpretando
quello che dovrebbe essere rimosso. Né, del resto, i provider che si avvalgono di persone fisiche risultano più garantisti o affidabili18.
4. Il nesso tra hate speech e fake news. Cenni sul ruolo
della professione giornalistica
Non meno importante è porre attenzione ai contenuti veicolati dei
media, perché è dimostrato che è la disinformazione ad alimentare il
pregiudizio e questo a potenziare fenomeni di devianza giovanile.
16
Sul punto criticamente, M. Cuniberti, Il contrasto della disinformazione in rete tra logiche
di mercato e (vecchie e nuove velleità di controllo), in MediaLaw - Rivista di diritto dei
Media, n. 1/2017.
17
Cfr. diffusamente, M.R. Allegri, Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social
network e profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano, 2018.
18
Cfr. S. Quintarelli, op. cit.
226
The best interest of the child
A questo proposito è possibile citare l’Atto di indirizzo sul rispetto
della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento (delibera n. 424/16/CONS del 16 settembre 2016), con cui
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha richiamato i fornitori
di servizi al più rigoroso rispetto dei principi fondamentali del sistema
dei media audiovisivi e della radiofonia posti a garanzia degli utenti,
con specifico riguardo per i soggetti a rischio di discriminazione. Da
ultimo è intervenuta la delibera n. 403/18/CONS del 25 luglio 2018, per
l’”Avvio del procedimento per l’adozione di un regolamento in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech e all’istigazione all’odio”.
Nel già citato Libro Bianco “Media e Minori. 2.0”19, si mette in evidenza che: “La complessa e magmatica interazione tra programmi televisivi
e social network e i giochi di reciproco rispecchiamento tra vecchi e nuovi
media, accanto a preziose opportunità, in termini di accessibilità e fruibilità delle informazioni, possono generare pericolosi rischi connessi allo
sviluppo di polarizzazioni e semplificazioni che, talvolta, trovano nella
diversità il motivo di comportamenti violenti e discriminatori”. Nel testo si fanno l’esempio del “flaming”, caratterizzato dall’invio di messaggi
ostili e insultanti prettamente mirati a scatenare battaglie verbali on line,
e quello dell’“harassment”, che è invece configurabile laddove messaggi
offensivi e volgari vengano inviati ripetutamente nel tempo alla vittima
(comunemente l’individuo che invia messaggi provocatori di tale tipo,
con il mero scopo di fomentare conflitti e flame war, è definito troll).
A conclusione di questo contributo, sembra poi utile ricordare come il
tema del discorso d’odio mostri alcuni punti di contatto con il fenomeno
della diffusione virale di notizie false, le cosiddette fake news20, perché le
falsità fomentano l’incomprensione e questa l’intolleranza e questa, poi,
l’odio. Le pagine, il sonoro, le immagini e i video d’odio si nutrono dunque anche della diffusione di notizie prive di fondamento o comunque
distorte e falsificate. Certo è che entrambi i fenomeni implicano lesioni
della dignità umana e dei diritti fondamentali e favoriscono allarmanti
radicalizzazione delle opinioni, rafforzando stereotipi e pregiudizi.
19
AGCOM, 2018, 43.
20
Come, tra gli altri, rilevato da F. Pizzetti, Fake news e allarme sociale: responsabilità,
non censura, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017 e M. Bassini - G.E
Vigevani, Primi appunti su fake news e dintorni. Fake News: an Introduction to the
Italian Debate, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
227
L’uso delle tecnologie digitali ha offerto a tutti la possibilità di diffondere notizie e ciò, come è evidente, ha determinato la trasformazione del contesto comunicativo mediatico che non è più appannaggio
esclusivo dell’informazione professionalizzata.
Da queste brevi considerazioni, è chiaro come sia necessario
continuare ad indagare a fondo sul ruolo e sulle responsabilità del
giornalista, messo a dura prova – se non in competizione – dal fatto
che chiunque (minori inclusi), pur non incontrando gli stessi oneri e
obblighi, giuridici e deontologici, dei professionisti, può oggi compiutamente ed efficacemente esercitare il diritto di cronaca, proprio
per la peculiarità di un mezzo, il web, perfettamente idoneo a tale
scopo e molto più diffusamente accessibile. “Discorsi” d’odio veicolati attraverso la Rete possono diventare oggetto di notizia (cronaca)
e quindi entrare nel discorso pubblico, non foss’altro che per essere
stigmatizzati.
Inoltre, come anche la più recente giurisprudenza ha messo in rilievo, quando ad attivare questo circuito sono minori, molti commenti offensivi e denigratori non sono affatto anonimi, anzi molte volte
sono accompagnati da nome e cognome e foto. Gli aggressori non
hanno la consapevolezza della gravità (a volte anche penale) dei loro
comportamenti e si espongono a conseguenze gravi, considerato che
attraverso i profili dei social network è possibile venire a conoscenza
di una grande quantità di informazioni personali anche dei soggetti
con cui le giovani vittime entrano in relazione.
Infine, dunque, qualche spunto sulla relazione tra hate speech e
cyberbullismo.
Nel disporre che è pienamente considerabile atto che rientra in tale
categoria solo quello posto in essere da minorenne nei confronti di altro minorenne, la recente legge 29 maggio 2017, n. 711, disciplinando il
fenomeno a tutela dei minori, dispone che:
“Ai fini della presente legge, per “cyberbullismo” si intende qualunque
forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita,
manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on
line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del
minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare
un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un
attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
228
The best interest of the child
Il disposto ricomprende chiaramente non solo alcune condotte classificabili come delittuose (anche se indicate con una terminologia non
tecnica: è questo il caso del “furto d’identità”), ma anche tipologie di
azioni prive di rilevanza penale21. Ciò a riconferma del fatto che non
ogni condotta caratterizzabile come atto di cyberbullismo costituisce
necessariamente reato22, ma anche che la normativa vigente pone sullo
stesso piano tanti e (molto) differenziati comportamenti, tra gli altri
quelli che più si prestano ad essere inclusi nei discorsi d’odio, come
l’ingiuria, la denigrazione e la diffamazione se posti in essere allo scopo di discriminare.
Il cenno al raffronto tra i due fenomeni ci permette in conclusione
di porre l’accento sulla questione della responsabilità, accostando (pienamente consapevoli delle grandi differenze) quella dei giornalisti e
degli altri professionisti che operano nei media a quella dei genitori. I
ragazzi appaiono sempre più in grado di costruirsi in proprio (in autonomia) un “mondo” di notizie, che riescono a divulgare con un’ampiezza prima inconcepibile; così anche sembrano sempre meno in un rapporto subalterno rispetto ai genitori, autodeterminandosi nelle scelte
esistenziali, tra cui quelle attinenti all’esercizio dei diritti di personalità
del singolo, come il diritto all’immagine, alla reputazione e alla propria
identità, nonché alla riservatezza intorno alla propria persona23.
Se così stanno le cose, certo è che in riferimento a entrambi i “sistemi”, quello dell’informazione e quello degli adulti con ruolo di genitori,
non viene meno la responsabilità di vigilanza sempre più onerosa da
esercitare. Il primo comma dell’articolo 29 della Costituzione prescrive
che “è diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”, dunque non solo non è auspicabile, ma è in contrasto con l’ordinamento
una funzione genitoriale che non ricomprenda l’indicazione di regole,
conoscenze o moduli di comportamento anche riferiti all’uso dei media (digitali o no), così anche norme giuridiche e regole deontologiche
21
Cfr. R.M. Colangelo, La legge sul cyberbullismo. Considerazioni informatico-giuridiche
e comparatistiche, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e
diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017; M. Orofino
- F. G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018.
22
Si ricorda che proprio un caso del 2006 che ha riguardato minori è quello italiano più noto in
tema di diritti e Internet, si tratta di Vividown vs. Google arrivato fino in Corte di Cassazione
nel 2014.
23
M. Rospi, Social media, minori e cyberbullismo: lo status quo della legislazione nazionale ed
eurounitaria, in G. Conti - M. Pietrangelo -F. Romano (cur.), Social media e diritti.
Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, 2017, n. 1-2.
Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori
229
impongono ai professionisti dei media un’attenzione specifica sia ai
contenuti sia ai linguaggi destinati ai minori24; diviene quindi oggi indispensabile che entrambi potenzino la trasmissione di strumenti utili
alla costruzione di relazioni umane significative per la migliore realizzazione della personalità delle giovanissime generazioni25, primi tra
tutti gli strumenti della consapevolezza e della capacità critica.
Bibliografia
Abbondante F., Il ruolo dei social network nella lotta all’hate speech: un’analisi
comparata fra l’esperienza statunitense e quella europea, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media,
Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017
Allegri M.R., Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social network e
profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano, 2018
Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, La tutela dei minorenni nel
mondo della comunicazione, 2017, p. 43
Bassini M. - Vigevani G.E., Primi appunti su fake news e dintorni. Fake News:
an Introduction to the Italian Debate, in MediaLaw - Rivista di diritto dei
Media, n. 1/2017
Bellocci M. - Passaglia P., La tutela dei «soggetti deboli» come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale,
Colangelo R.M., La legge sul cyberbullismo. Considerazioni informatico-giuridiche
e comparatistiche, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social
media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2,
2017
Cuniberti M., Il contrasto della disinformazione in rete tra logiche di mercato e (vecchie
e nuove velleità di controllo), in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017
24
Si vedano le norme che prevedono obblighi specifici di riservatezza nell’esercizio
dell’attività giornalistica quali quelle che vietano di diffondere notizie che riportano
le generalità di minori coinvolti in procedimenti giudiziari, ex art. 13 c.p.p. “Ricostruzione
di atti” e art. 50 Codice della privacy così come modificato dal D. Lgs. 101/2018 “Notizie
o immagini relative a minori”. Si ricorda, inoltre che il Codice deontologico dei giornalisti
(Art. 7 “Tutela dei minori”), nell’affermare che “il diritto del minore alla riservatezza deve
essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca”, prevede
un generale principio di preminenza dell’interesse del minore. È comunque affidata al
giornalista la responsabilità di valutare quando, in presenza di motivi di rilevante interesse
pubblico e fermo restando i limiti di legge, la pubblicazione di notizie o immagini riguardanti
il minore sia davvero nell’interesse oggettivo dello stesso minore. Cfr. anche “La Carta di
Treviso”, ossia il protocollo firmato il 5 Ottobre 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione
nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro con l’intento di disciplinare i rapporti tra
informazione e infanzia.
25
Sul punto si segnalano le considerazioni contenute nella sentenza del Tribunale di Teramo
n. 18 del 16 gennaio 2012, relativa ad un caso di bullismo tramite Facebook.
230
The best interest of the child
Marsocci P., Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, n.
2/2011
Monti M., La XVII legislatura e la libertà di espressione: un bilancio fra luci e ombre,
in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2018
Orofino M. - Pizzetti F., Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018
Pedrazzi G., Minori e social media: tutela dei dati personali, autoregolamentazione e
privacy, in Informatica e diritto, Vol. XXVI, 2017, n. 1-2
Pizzetti F., Fake news e allarme sociale: responsabilità, non censura, in MediaLaw
- Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017
Quintarelli S., Content moderation: i rimedi tecnici, in Pitruzzella G. - Pollicino O. - Quintarelli S., Parole e potere. Libertà d’espressione, hate speech e
fake news, Milano, 2017
Rospi M., Social media, minori e cyberbullismo: lo status quo della legislazione
nazionale ed eurounitaria, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.),
Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n.
1-2, 2017
La tutela del minore nell’ambito del Codice
di autoregolamentazione
Donatella Pacelli – Camilla Rumi
Nel grande tema della tutela del minore, un posto di sicuro rilievo è
occupato dall’attenzione verso i contenuti audiovisivi che riecheggiano nell’ecosistema dei media, creando contesti e modalità di fruizione
differenti, nei quali l’età evolutiva sembra trovarsi particolarmente a
proprio agio.
La portata del tema e l’interesse guadagnato tanto nella letteratura scientifica quanto fra gli operatori del settore, lo qualifica come un
ambito di ricerca e di intervento, capace di creare un dialogo proficuo
fra diversi attori della società e promuovere cambiamenti culturali coerenti al clima dettato dall’era della convergenza mediale.
Si inserisce in questa convergenza di interessi l’azione del Comitato
Media e Minori (già Comitato Tv e Minori), guidata dall’impegno a migliorare la qualità delle trasmissioni dedicate ai soggetti in età evolutiva non solo attraverso il rispetto del Codice di autoregolamentazione1,
ma anche facendo tesoro della produzione di conoscenza rispetto alla
complessità del rapporto media e minori, a partire dal ruolo esercitato
dal piccolo schermo.
Come è noto, tale rapporto è stato interpretato soprattutto attraverso gli effetti – potenziali o effettivi – che il sistema mediale è in grado
di determinare su questo particolare target, anche a livello educativo.
Il solco tracciato dall’ormai ricca tradizione di studi di area nazionale
1
Sottoscritto nel 2002 come atto di natura privata, il Codice di autoregolamentazione
è stato recepito in via legislativa dalla legge di sistema 112/04, divenendo vincolante
per tutte le emittenti a prescindere dalla sottoscrizione dello stesso e dalla tipologia
di piattaforma utilizzata (analogica, satellitare, digitale terrestre, Iptv). Per
ulteriori approfondimenti si veda https://www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/
organismi/area-tutela-minori.
232
The best interest of the child
(D. Pacelli, 1993; F. Casetti, 1995; M. Morcellini, 1997, 2004, 2005;
A. Parola, 2009; P.C. Rivoltella, 2017; M. Marangi, 2018) e internazionale (L. Masterman, 1980; D. Morley, 1986; J. Lull, 1990; D. Buckingham, 1993, 1998, 2004; U. Carlsson, 2010; G. Mascheroni - K.
Olafsson, 2015) va a riconoscere l’esistenza di fasce di popolazione più
deboli di altre e, proprio per questo motivo, maggiormente bisognose
di una specifica tutela (M. Gavrila, 2010; B. Carotti, 2014; M. Cappello, 2009, 2015; Agcom 2018).
Tuttavia, la centralità assunta dal tema oggi si evince non solo da
come esso venga elevato a caso esemplificativo delle difficoltà incontrate dall’interpretazione degli effetti generati dai media, ma anche
delle possibilità che esso offre nel cogliere i cambiamenti in atto (M.
Morcellini, 2005). Questa doppia prospettiva comporta rovesciare
in positivo la sindrome apocalittica (U. Eco, 2003) per distanziarsi da
interpretazioni deformate e pregiudizi ideologici, secondo cui la totalità dei media esercita un fascino ed un potere di manipolazione a tal
punto incisivi da rendere inutili qualsiasi forma di difesa o di atteggiamento critico.
Il presente contributo intende inserirsi in questa prospettiva e concorrere al consolidamento di una fase di discussione pubblica sul rapporto media e minori che tenga conto dei profondi mutamenti introdotti dalla rivoluzione digitale nel panorama dell’audiovisivo globale
(P. Sigismondi, 2011) e della ridefinizione del ruolo delle agenzie di
socializzazione nel promuovere l’inserimento nella società. Due grandi processi che impongono una strategia dell’attenzione congiunta da
parte delle istituzioni e della società civile.
Le ragioni che spingono a riconsiderare la problematica sono quindi molteplici. Nei nuovi contesti comunicativi, il video funge da vero e
proprio motore del cambiamento e favorisce la diffusione di reti e servizi sempre più performanti, in grado di soddisfare le aspettative dei
diversi pubblici, attraverso la diffusione dei nuovi servizi a richiesta
(IT Media Consulting-Centro di Ricerca DREAM, 2016)2. Ad un’offerta
lineare, fortemente vincolata dai criteri spazio-temporali del palinsesto, viene a sommarsi un’offerta non lineare, disponibile su molteplici
piattaforme. Tale offerta, lontana dall’essere gestita progettualmente,
2
L’effetto dirompente determinato dall’incremento del traffico video sulla rete
rappresenta ormai un tema centrale per lo sviluppo non solo del mercato dell’online
entertainment (YouTube e Netflix su tutti), ma dell’intero sistema Internet.
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione
233
porta con sé nuove sfide per tutti i soggetti interessati a garantire il
corretto sviluppo sul piano fisico, morale e psicologico dei minori che
interagiscono con media mainstream e social media.
L’innovazione tecnologica impone, quindi, un ripensamento del
consueto concetto di socializzazione. A fronte di un indebolimento
delle tradizionali agenzie, le nuove generazioni hanno riversato gran
parte dei propri bisogni comunicativi sui media, riconosciuti come interlocutori paritetici. L’utilizzo di questi ultimi ha determinato, a sua
volta, la nascita di esigenze e problematiche relative ai processi di percezione e costruzione dell’identità e del legame sociale (P. Aroldi - G.
Mascheroni - N. Vittadini, 2016), la cui risoluzione richiede un nuovo patto di corresponsabilità educativa. Ciò in funzione di come qualsiasi
mezzo non sia soltanto una tecnologia applicata per la trasmissione di
contenuti simbolici o per la connessione di diversi utenti, ma appaia
diretto ad incarnare un insieme di relazioni sociali che interagiscono
con il portato tecnologico (D. McQuail, 2007).
Come gli studi di settore da tempo chiariscono (J. Bolter - R. Grusin, 2003), l’innovazione introdotta dalle tecnologie, pur non indebolendo il rapporto con i media tradizionali, ha concorso a modificare la
natura dei processi comunicativi e delle relazioni sociali. Da qui la nascita di percorsi complessi e multiformi di socializzazione che vedono
il progressivo rafforzamento della socializzazione immediata (I. Cortoni,
2012) e l’emergere di una autosocializzazione (M. Morcellini - S. Mulargia, 2012), processi legati all’uso sempre più frequente e precoce
dei differenti media da parte delle nuove generazioni. Le più recenti
ricerche sul tema (Agcom, 2018) ci informano infatti come, già nella
fascia tra i 6-8 anni, la fruizione del mezzo televisivo sia accompagnata, in ben il 70% dei casi, dall’accesso al tablet dei genitori, con scarso
controllo da parte di questi ultimi.
Le condizioni di precaria tutela in cui si realizzano tali processi richiedono quindi che attori diversi della società civile non dismettano
l’attenzione nei confronti dell’annosa questione media e minori, anche
e soprattutto nell’epoca della cultura convergente (H. Jenkins, 2007). Un
obiettivo strettamente connesso alla volontà di sviluppare misure di
garanzia più adatte a definire un approccio alla tutela concettualmente
coordinato e consono al contesto comunicativo digitale3.
3
Esemplificativa a questo proposito è la delibera n. 186/18/CONS recante il
Regolamento in materia di classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei
234
The best interest of the child
In questo scenario di grandi trasformazioni, contributi teorici, ricerche
empiriche ed interventi di carattere regolamentare ed autoregolamentare
convergono nel ritenere essenziale seguitare a monitorare il rapporto che
la televisione intrattiene con l’universo minorile. Ciò in considerazione sia
della vitalità con cui il mezzo continua a presentarsi nelle diverse forme
(E. Pulcini, 2006; M. Centorrino, 2007; L. Tomassini, 2011; M. Gianotti,
2012; IT Media Consulting-Centro di Ricerca DREAM, 2016; Censis-Ucsi,
2017)4, sia dell’incisività su valori, stili di vita, modelli di comportamento
potenzialmente adottabili dai minori. Una categoria estremamente vasta,
comprendente bambini e ragazzi, i quali, oltre a possedere caratteristiche
ed esigenze diverse da soddisfare, hanno ben poco a che vedere con i
soggetti presi in esame nei primi studi relativi agli effetti che la televisione poteva determinare sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza (W.
Veen - B. Vrakking, 2010; P. Ferri, 2011).
I minori di oggi rappresentano la prima vera generazione interattiva e multitasking, capace di effettuare operazioni diverse in maniera
simultanea su differenti piattaforme tecnologiche, di cui spesso conoscono le potenzialità meglio di genitori e insegnanti5. I nativi digitali
appaiono dotati di una competenza mediatica spesso raffinata e risultano aperti ad un’ampia gamma di stimoli e sollecitazioni, grazie
ad un modo di rapportarsi ai media che si distanzia profondamente
dai coetanei che li hanno preceduti. La multimedialità introdotta dagli
strumenti informatici ha infatti prodotto una domanda individuale di
comunicazione, di socialità e di interazione significativa che si è palesata anche nei confronti del mezzo televisivo6.
videogiochi, finalizzata ad assicurare il giusto equilibrio tra la tutela dei minori e la
libertà di manifestazione del pensiero e dell’espressione artistica nei nuovi contesti. Il
Regolamento è stato adottato nel rispetto del Testo unico dei servizi di media audiovisivi
e radiofonici, con particolare riferimento ai sistemi di classificazione maggiormente
diffusi, tra i quali il PEGI, Pan European Game Information (https://www.agcom.it).
4
Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Ucsi, se la tv tradizionale cede qualche
telespettatore, confermando comunque un seguito elevatissimo (il 92,2% di utenza
complessiva), la tv satellitare raggiunge quasi la metà degli italiani (il 43,5% nel
2017), così come appare in crescita la tv via internet, per cui web tv e smart tv
raggiungono il 26,8% di utenza (+ 2,4% in un anno), e la mobile tv, che in un anno ha
raddoppiato i suoi utilizzatori, passati dall’11,2% al 22,1%.
5
Diversi studi, anche a carattere internazionale, mostrano che gli adulti hanno
incrementato le proprie competenze rispetto ai nuovi strumenti tecnologici, ma
soltanto in parte colmato il gap digitale che in passato li separava dai propri figli (G.
Mascheroni - N. Olafsson, 2015).
6
Il Libro Bianco Media Minori 2.0 (2018) evidenzia a questo proposito come i ragazzi tra
i 13 e 17 anni fruiscano online i contenuti televisivi nel 27% dei casi. I punti di forza
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione
235
Il tempo trascorso dai minori davanti la televisione, facendo riferimento alle diverse modalità attraverso cui oggi il mezzo si presenta (tv digitale terrestre, satellitare, web tv, smart tv, mobile tv) resta un
dato di assoluta rilevanza. I più recenti dati Auditel relativi al consumo
televisivo di questo specifico target hanno fatto emergere che, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno investito il mondo dei
media, i minori sono ancora affezionati al mezzo televisivo, pur con
delle differenze di utilizzo da parte delle diverse fasce d’età (distinte
dalla società di rilevazione degli ascolti in 4-7, 8-14, 15-18 anni). La diffusione di nuovi device e dei prodotti offerti da Internet ha infatti solo
parzialmente scalfito il consumo della tv tradizionale, che mantiene un
ruolo centrale soprattutto nella vita dei più piccoli. Le motivazioni che
portano a preferire la visione tradizionale evidenziano la propensione
verso esperienze di consumo connotate da qualità relazionale (la condivisione con la famiglia) e tecnica (la migliore definizione delle immagini), rimandando ad un’idea di televisione ancora capace di svolgere
il ruolo di aggregatore intergenerazionale (Agcom, 2018).
A fare la differenza rispetto ai diversi stili di fruizione non sono soltanto le diverse fasce d’età, comprese nella categoria che va a comporre
l’universo minorile, ma anche la tipologia di contenuti fruiti, per cui alcuni generi (programmi e video musicali, eventi sportivi, telefilm, serial e
sitcom) sembrano prestarsi maggiormente alla visione online (Ibidem). Un
dato interessante da questo punto di vista è quello relativo ai cartoni animati che vengono fruiti indifferentemente e in maniera massiccia sulle
diverse piattaforme disponibili, confermando la tesi secondo cui la programmazione per bambini costituisce una vera e propria killer application
della tv del futuro, unitamente alla fiction e all’informazione (M. Gavrila, 2010). Negli ultimi anni la platea di quella che un tempo veniva chiamata la “tv dei ragazzi” è infatti cresciuta del 21%, attirando investimenti
pubblicitari per oltre 100 milioni l’anno, elevando il target dei minori a
principale influencer del mercato audiovisivo globale (Nielsen, 2016).
La natura di industria del mezzo televisivo, volta a trattare il minore più come un consumatore che un soggetto portatore di diritti
della rete vengono rintracciati nel più ampio ventaglio di opportunità concesse dalla
fruizione via Internet e nella relativa sensazione di maggiore autonomia/libertà
garantita da un consumo personalizzato, svincolato dai criteri spazio-temporali
ordinatori del palinsesto televisivo. I giovani utenti che praticano la visione online
sembrano inoltre apprezzare la possibilità di seguire i contenuti in lingua originale
e l’assenza di interruzioni pubblicitarie.
236
The best interest of the child
verso il quale orientare universi espressivi che possano garantire reali
opportunità di crescita culturale, continua a destare significative preoccupazioni da parte del mondo adulto7. Un dato che assume proporzioni ancor più rilevanti se si considera quanto la fruizione dei
contenuti televisivi da parte dei più giovani tenda a realizzarsi in una
dimensione solitaria, al di fuori della cosiddetta “fascia protetta”8.
La scarsa fiducia manifestata nei confronti di questa scelta di collocazione oraria, considerata di valenza più simbolica che reale e solo
parzialmente diretta a trasmettere contenuti ad hoc per i minori, si accompagna ad una modesta incisività del parental control. Lo strumento
di tutela che consente di attivare la funzione del televisore per bloccare
la visione di alcune trasmissioni mediante l’inserimento di un codice,
è infatti avvolta da un parere controverso. Inoltre, anche nella pratica,
l’utilizzo del parental control non sembra aver attecchito e modesto è il
numero di genitori che utilizza questo strumento per oscurare i contenuti considerati gravemente nocivi, sia nel caso della televisione in
chiaro che in quello della televisione on demand9.
Le sfide poste da uno scenario che evidenzia il ruolo svolto dai
contenuti audiovisivi nell’interazione sociale e nella trasmissione culturale chiamano certamente in causa l’istituzione familiare, ma anche
quella scolastica. Il sistema formativo non può, infatti, rimanere ancorato ai tradizionali sistemi di mediazione, esimersi dal confronto con
i linguaggi mediali e dal chiedersi come abilitare i minori ad interagire nei nuovi ambienti in maniera riflessiva e responsabile. La media
7
I dati Agcom (2018) evidenziano come i genitori abbiano rilevato, nel 43% dei casi,
l’esistenza di una tv pericolosa per minori per esperienza diretta o su segnalazione
degli stessi figli, riconducendo le preoccupazioni alla trasmissione di scene violente,
linguaggio scurrile, contenuti sessuali, incitamento alla violenza o a comportamenti
trasgressivi.
8
Secondo quanto emerge dalla ricerca “Media consapevoli, genitori responsabili, tutela
dei minori”, realizzata dal Censis per il Corecom Lazio (2015), il 70% dei bambini di
7 anni accede da solo alla tv e tale percentuale supera l’80% alle soglie dei 10 anni,
raggiungendo la massima concentrazione di ascolti in prima serata, laddove non
è garantita una programmazione attenta alle specifiche esigenze del pubblico più
giovane.
9
A livello nazionale, solo il 27% dei genitori dichiara di utilizzare questa funzione per
filtrare i contenuti televisivi (Agcom, 2018). E se alcuni di loro motivano il mancato
utilizzo con la propria supervisione (soprattutto rispetto al target 4-6 anni), altri
mostrano di non conoscere lo strumento, affermando che l’apparecchio posseduto
non consente loro l’applicazione, che risulta valido soltanto per le tv a pagamento
o di non sapere come attivarlo. È proprio a questo tipo di difficoltà che può essere
ricondotta la campagna di sensibilizzazione svolta da alcune emittenti sul corretto
utilizzo del parental control.
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione
237
education, al centro delle raccomandazioni europee e della letteratura
internazionale in qualità di media literacy, digital literacy, transliteracy
(A. Hovious, 2018), ha da tempo intrapreso un percorso orientato a
segnare il passaggio da una concezione pedagogica e scuola-centrica
ad una socio-culturale e politico-civile. L’educazione ai media diviene,
pertanto, compito di un sistema formativo allargato che comprende,
oltre alla scuola, la famiglia e diversi attori sociali, ed un progetto diffuso che attraversa, con modalità ed obiettivi specifici, le diverse fasi
evolutive del minore (D. Frau-Meigs, 2007).
La dimensione politico-civile risulta strutturale per la media education,
in considerazione di come la ricerca sia sempre trasformativa, implicando un coinvolgimento dei contesti, uno stile militante, il dialogo
con le diverse dimensioni del contesto. Essa infatti può rappresentare
un territorio di cambiamento solo nella misura in cui diventa un’azione concreta, mette in discussione la comunicazione mediale dal punto
di vista etico e dei valori e interviene per reinvestire sull’educazione
(M. Morcellini, 2004). In questa prospettiva, è la totalità delle istituzioni ad essere chiamata nel correggere il divario digitale e fornire
ai bambini e ai ragazzi esperienze sociali, intellettuali, culturali che
altrimenti andrebbero a incrementare – piuttosto che ridurre – le disuguaglianze nell’uso partecipativo delle tecnologie (H. Jenkins, 2007).
La media literacy può così costituire non solo una forma di sapere, ma
anche un espediente per favorire il processo di inclusione sociale del
soggetto, diffondendo la comprensione dei meccanismi di produzione
e fruizione, incoraggiando contesti di apprendimento stimolanti ed
opportunità di crescita personale10. Una media education come educazione alla cittadinanza nell’era della convergenza digitale, che possa essere intesa, come previsto dagli orientamenti europei, non solo
come una strategia di intervento, complementare o alternativa, ad una
politica regolamentare per la tutela del minore rispetto all’universo
mediale, ma come una delle competenze chiave da acquisire per il
pieno sviluppo della sua persona nella società della conoscenza (D.
Buckingham, 2013).
10
La fondamentale distinzione tra basic skills e soft skills, introdotta dalle raccomandazioni
europee, fa sì che la competenza digitale legata alle soft skills, significhi anche
imparare ad imparare, produzione creativa di contenuti, coinvolgimento sociale,
spirito di iniziativa e imprenditorialità, sviluppo di un pensiero critico (I. Cortoni V. Lo Presti - P. Cervelli, 2015, p. 46-57).
238
The best interest of the child
Da qui la convinzione, sottesa al presente contributo, che la tutela
dei diritti dei minori negli attuali contesti dell’audiovisivo debba essere garantita da più attori attraverso la costruzione di ambienti in cui i
bisogni di protezione ed empowerment dei soggetti in età evolutiva possano trovare adeguato soddisfacimento (Agcom, 2018). Tali presupposti implicano l’abbandono di visioni semplicistiche e lineari della tutela
e l’elaborazione di piani di intervento e strategie diversificate che sappiano affiancare alla logica sanzionatoria una prospettiva di più ampio
respiro per favorire un uso consapevole e responsabile dei media tra
le nuove generazioni.
È quanto tenta di fare il Comitato Media e Minori, sia con l’applicazione del Codice di autoregolamentazione, teso ad assicurare un livello di protezione ulteriore rispetto a quello già previsto sul piano
legislativo, sia attraverso strategie rivolte ai contesti di produzione e di
fruizione, al fine di incentivare tra le famiglie e il pubblico più giovane
un uso corretto del mezzo televisivo.
Questo compito è stato portato avanti sin dalla costituzione del Comitato, sotto la presidenza di Emilio Rossi, per garantire una programmazione rispettosa dell’infanzia e dell’adolescenza, un’offerta diretta
in maniera specifica al target giovanile e, più in generale, per concorrere ad una tutela del minore che, pur partendo dall’applicazione del
Codice, non si limitasse a tale modalità di azione e di intervento.
Facendo tesoro di quanto sedimentato attraverso l’esperienza e le
buone pratiche delle precedenti consiliature, il Comitato 2017-202011
si è insediato il 30 gennaio 2018 con l’esplicito intento di rafforzare l’obiettivo di rendersi parte attiva di un progetto culturale di educazione
ai media e di rispetto dell’altro, che affianchi la mission di monitoraggio
e di controllo. Le due aree di intervento individuate confluiscono verso
la finalità di sensibilizzare tutti gli stakeholders interessati alla promozione di un uso consapevole dei media, fondamentale nella complessità sociale, informativa e tecnologica dei tempi attuali.
Nel primo anno di attività è stata ribadita e condivisa la convinzione
di affrontare la sempre più articolata questione della tutela dei minori
con senso di responsabilità e trasparenza. Si è rivelato dunque fondamentale per il Comitato continuare ad avere quale focus l’attenzione
11
Il Comitato attualmente in carica è stato nominato con il decreto del 13 dicembre
2017 firmato dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, d’intesa
con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione
239
critica verso i contenuti, coltivando e valorizzando la consapevolezza
della capacità educativa dei media, al fine di rispondere all’esigenza
di un progetto formativo allargato. Obiettivo primario, infatti, è stato
quello di portare avanti una strategia di ricerca e di disseminazione sui
temi sensibili e sulle principali evoluzioni imposte dagli scenari tecnologici, sociali ed economici, come testimoniano le iniziative pubbliche
delle quali il Comitato è stato promotore o che hanno visto la partecipazione di alcuni membri dello stesso12.
Un altro principio alla base delle attività svolte è stata la convinzione che la comunicazione audiovisiva, a prescindere dalle piattaforme
attraverso le quali viene veicolata e fruita, ha una chiara incidenza a
medio-lungo termine sullo sviluppo, sui valori e sulle coscienze dei
futuri giovani e adulti, che dovranno garantire crescita e progettualità
alla società italiana e globale. Proprio per questo motivo, il Comitato
si è posto quale priorità la riflessione su quella che potrebbe essere
l’incidenza delle proprie attività sul miglioramento del clima comunicativo, soprattutto in relazione alle fasce più vulnerabili di fruitori,
come i minori.
Pertanto, oltre all’analisi e all’avvio delle istruttorie per le trasmissioni segnalate dagli utenti13, al fine di proteggere il pubblico dei minori
dai rischi di un’offerta indiscriminata e non adatta a loro, i rappresentanti delle tre componenti presenti nel Comitato (Istituzioni, Utenti ed
Emittenti) hanno lavorato sull’aggiornamento degli strumenti alla base
dello stesso funzionamento del Comitato. In particolare, si è cercato di
12
Tra queste iniziative è possibile menzionare: la tavola rotonda, in occasione del
Festival della Sociologia, “Una convivenza difficile: la solitudine dei minori nell’epoca
della convergenza mediale” (Università di Perugia, 2 ottobre 2018); il panel “Giovani,
Tecnologie, Innovazione” all’interno del Convegno “L’Italia che cambia. Le scienze sociali
e della comunicazione di fronte all’accelerazione del mutamento sociale” (Dipartimento
di Comunicazione e Ricerca Sociale - La Sapienza Università di Roma, 18 ottobre
2018); le giornate di riflessione “Giovani e problemi sociali. Le sfide culturali di una
realtà complessa” e “Etica della comunicazione e tutela dei minori” (Università Lumsa
- Istituto Luigi Sturzo, Roma, rispettivamente in data 23 ottobre 2018 e 7 novembre
2018); il Convegno “Linguaggi giovanili: hate speech e hate words. Rappresentazioni,
effetti, interventi” (Università Lumsa, Roma, 14 maggio 2019). Quest’ultimo evento,
patrocinato dal Comitato Media e Minori, è stato realizzato in collaborazione con
l’Istituto Iard - Network di ricerca sulla condizione e le politiche giovanili.
13
Come riportato nella relazione sul primo anno di attività, nel 2018 il Comitato ha
valutato 72 casi, disponendo archiviazioni in sede di istruttoria, raccomandazioni,
avvii di istruttoria, anche d’ufficio. Si precisa che gli avvii di istruttoria che si
sono conclusi con risoluzioni sono state inviati all’Agcom, come da regolamento
(https://www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/organismi/area-tutela-minori/
atti-del-comitato).
240
The best interest of the child
intervenire sul Codice di autoregolamentazione al fine di cogliere il
senso del mutamento e delle evoluzioni che hanno investito il mondo
dei media, sia nei contesti della produzione e dell’offerta sia in quelli
della fruizione dei contenuti14.
Nella consapevolezza che la tutela dei minori negli attuali contesti audiovisivi debba avvalersi dell’elaborazione di piani di intervento
multistakeholders, guardando alle trasformazioni intervenute dentro
e fuori lo schermo televisivo, il Comitato si è reso parte attiva di un
progetto culturale di educazione ai media e di rispetto dell’alterità instaurando un proficuo dialogo con diversi soggetti istituzionali. Da
qui la partecipazione al Tavolo tecnico di co-regolamentazione per
l’adozione di linee-guida in materia di classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi (delibera n. 74/19/CONS),
coordinato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni, e al Tavolo
Tecnico interistituzionale istituito a seguito dell’entrata in vigore della
legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il
contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, coordinato dal Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con il
Dipartimento per le Politiche della Famiglia.
In questa prospettiva, si colloca anche il contributo fornito al Ministero per lo Sviluppo Economico in tema di prevenzione e contrasto
dei fenomeni di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, tratta dei
minori ai fini dello sfruttamento sessuale e pedopornografia. Pur non
svolgendo attività dedicate in maniera specifica alla prevenzione e al
contrasto di tali fenomeni, il Comitato si fa parte attiva non solo nel
rimarcare la nocività di contenuti televisivi che sconfinano nella pedofilia e pedopornografia, ma nell’individuare scelte di programmazione
volte a tematizzare il problema e ad evidenziarne la drammaticità anche attraverso campagne di sensibilizzazione15. Le nuove esigenze di
tutela del minore richiedono infatti la promozione di attività mirate,
supportate da campagne sociali finalizzate a condividere il senso di
responsabilità che il tema richiede.
14
La proposta di revisione del Codice, risultato del lavoro di aggiornamento effettuato
dal Comitato Media e Minori, al fine di adeguare il testo in vigore alle modifiche
intervenute in ambito normativo e tecnologico, è attualmente in fase di valutazione,
secondo la procedura prevista all’art. 34, comma 6, d.lgs. n. 177/2005.
15
È questo il caso di Rai Gulp che ha prodotto, insieme alla società Stand by me, la serie
“Jams”, la prima serie tv in Europa diretta ai ragazzi sul tema delle molestie sessuali,
sostenuta dalla campagna #meglioparlarne.
La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione
241
In definitiva, l’orientamento che guida l’impegno di un organo
come il Comitato tende a recuperare l’importanza di correggere quei
difetti di conoscenza che sono alla base dei cattivi utilizzi dei media.
Al tempo stesso, l’impegno è diretto a contrastare quel rischio di assuefazione verso modelli di comportamento e stili di comunicazione
nocivi per i minori e per l’intera società. Basti pensare al fenomeno
dell’hate speech la cui pericolosità si annida tanto nella forma quanto
nel contenuto di una comunicazione aggressiva e inappropriata che,
ancor più sui minori, può generare l’emulazione. Se l’epoca della convergenza mediale ha spostato molte preoccupazioni verso il web, la
complicità tra le varie piattaforme e il radicamento culturale di stili
di comunicazione, toni e linguaggi aggressivi o non adeguati ai temi
trattati, invitano a non disperdere la riflessione sui media mainstream.
Al tempo stesso, occorre evitare il rischio di depotenziare quanto ancora la produzione televisiva è tenuta a fare per diffondere una cultura
comunicativa che sappia promuovere conoscenza, rispetto agli altri e
al mondo, tutelando la particolarità dei pubblici minorili.
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Il libro bianco Media e minori:
l’età del consenso digitale tra consapevolezza
e responsabilità
Giulio Votano
Come responsabile della linea di attività “tutela dei minori” dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, nonostante la mia formazione giuridica, a valle di un intervento più specificamente giuridico come quello del prof. Benedetti, sposterò l’asse dell’attenzione sull’incrocio fra il
versante giuridico e il fenomeno socio psicologico, proprio attraverso
l’illustrazione del Libro Bianco che dà il titolo al mio intervento.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che come denuncia
il nome è l’autorità di regolazione e di garanzia dell’attività di comunicazione, è chiamata, dalla sua legge istitutiva, anche a vigilare e a
garantire le norme a tutela dei minori nella comunicazione: in origine
la competenza volgeva alla comunicazione radio-televisiva, perché la
legge istitutiva è del ‘97. La legge istituisce un’autorità convergente,
cioè parte dal presupposto dell’indifferenza tecnologica delle piattaforme rispetto all’attività di comunicazione, ma nello specifico limita
in base alla formulazione della norma il campo di applicazione della
funzione di tutela del minore alla comunicazione radio-televisiva.
Con l’evoluzione tecnologica delle comunicazioni, tuttavia, questa limitazione sembra posta in discussione e l’Autorità si è interrogata già dal 2013 in che termini dovesse orientare questa attività di
protezione del minore ad ampio raggio, anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione, rispetto alle nuove declinazioni della
comunicazione. La panoplia normativa di cui dispone per svolgere le
sue funzioni di garante e regolatore, infatti, è un apparato che risente
fortemente della sua derivazione da un contesto comunicativo analogico, ossia di comunicazione unidirezionale, comunicazione sociale in
senso tradizionale, svolta attraverso mezzi radio-televisivi, per l’appunto, analogici.
246
The best interest of the child
Di fronte alla progressiva digitalizzazione, e alla conseguente
progressiva interattività della comunicazione, anche soltanto radiotelevisiva, ci si è posti il problema dell’insufficienza, se non inadeguatezza, degli strumenti di tutela tradizionali e l’Autorità ha elaborato,
mediante l’affidamento a un centro di ricerca sociale, già nel 2013 un
primo Libro Bianco sul rapporto tra media e minori1. Da questa prima
ricerca, nell’interlocuzione con minori – ed è opportuno sottolineare
come sia non corretto utilizzare il termine “minore”, perché in realtà
dovrebbe evidenziarsi la “maggiore” esigenza di tutela e protezione
dei soggetti in età evolutiva – delle due grandi fasce di età, i bambini,
intendendo come tali i soggetti fino a 12 anni, e gli adolescenti, di età
compresa tra i 13 e i 17 anni, sono emersi chiaramente, da un lato, uno
stato di forte avanzamento nell’utilizzo delle tecnologie di comunicazione, con una propensione notevole all’impiego delle nuove tecnologie comunicative, con la famosa espressione “nativi digitali”, e d’altro
lato l’inadeguatezza di un apparato di tutela basato esclusivamente
sul controllo e la censura di comportamenti violativi da parte dei soli
operatori di comunicazione radio-televisiva tradizionale.
Ad esito del primo libro bianco, l’Autorità ha inteso riesaminare il
tema del consumo mediatico dei soggetti in età evolutiva e il conseguente rapporto di essi con i media, e nel 2016 ha elaborato uno studio
centrato su una analisi diversificata del consumo, basata sull’evidenza
che se i bambini tendono ad essere più consumatori di comunicazione
audiovisiva tradizionale, gli adolescenti diventano fruitori, consumatori, e, vedremo, anche produttori, di comunicazione sui nuovi media.
Questo studio – che per tutti coloro che fossero interessati è disponibile sul sito istituzionale dell’Autorità www.agcom.it2 – si è articolato su una rassegna delle evidenze scientifiche tratte della letteratura
scientifica internazionale, una analisi del quadro normativo e delle sue
modificazioni, e una rappresentazione delle evoluzioni del contesto
1
Disponibile sul sito web di AGCOM all’indirizzo https://www.agcom.it/documentazione/
documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_ls3TZlzsK0hm&p_p_
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2
Disponibile sul sito web di AGCOM all’indirizzo https://www.agcom.it/documentazione/
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Il libro bianco Media e minori
247
comunicativo, e infine sulla somministrazione di due questionari, uno
ai genitori dei bambini dai 4 ai 12 anni, l’altro agli adolescenti dai 13
ai 17 anni.
L’analisi della letteratura scientifica internazionale ha individuato
tutta una serie di elementi critici, cioè il fatto che comunque gli adolescenti o i pre-adolescenti manifestano un comportamento caratterizzato da quello che si sintetizza nell’espressione “always on”, cioè una
tendenza ad essere permanentemente connessi. In altri termini la trasformazione e la digitalizzazione dei contenuti, la progressiva possibilità di interazione, hanno socializzato la comunicazione, non in senso
tradizionale di “comunicazione sociale”, ma in senso individuale, inducendo l’esigenza di essere ever connected, sempre connessi. Con la non
irrilevante conseguenza dello sviluppo di patologie che noi, inguaribili
anglofili, sintetizziamo nell’acronimo FOMO (Fear of Missing Out), che
designa quelle patologie legate al terrore di perdere qualche cosa, attraverso la perdita della connessione.
La letteratura scientifica, inoltre, identifica tutta una serie di emergenze come derivanti da questa evoluzione tecnologica, vale a dire la
diffusione di comportamenti, che poi il legislatore ha in qualche modo
e in alcuni casi provveduto a individuare e sanzionare: il cyberbullismo, con le sue declinazioni ulteriori tipo cyberstalking; i contenuti
lesivi e la lesività esponenziale dei contenuti generati dagli utenti,
users generated content che diventano fatalmente negative users generated content, e che, trovano un archetipo nell’hate speech, cioè in quella
comunicazione offensiva, violenta e discriminatoria; ancora, una serie
di pericoli legati all’attività sessuale, in quanto la socializzazione della
comunicazione ha prodotto una serie di comportamenti legati alla sfera sessuale, come il sexting, lo scambio di comunicazioni a contenuto
sessuale che resta virtuale e non si materializza, ossia una sorta di sessualizzazione della comunicazione online; il grooming, che è invece l’utilizzazione della comunicazione sociale per adescamento ed esercizio
di abusi offline. Senza spingersi fino alla pedopornografia, che è chiaramente identificata, individuata e sanzionata dal sistema penale interno
e internazionale, si danno molteplici graduazioni di comportamenti
pericolosi che, nondimeno, risultano di difficoltosa individuazione, e
di complessa repressione.
Le evidenze della letteratura scientifica mostrano la necessità di superare il sistema tradizionale di tutela, cioè il sistema censorio: lo schema repressivo non può funzionare di fronte a una comunicazione fluida
248
The best interest of the child
e tendenzialmente anarchica, qual è quella attraverso la rete. L’individuazione delle caratteristiche della comunicazione e dei conseguenti
comportamenti ha comportato, attraverso l’analisi del quadro normativo, l’evidenziazione della pochezza degli strumenti a disposizione, limitando ovviamente la portata dell’affermazione all’ambito amministrativo, perché gli strumenti civilistici e penalistici esulano dall’ambito di
inferenza e competenza dell’Autorità.
L’insufficienza degli strumenti a disposizione dell’autorità che dovrebbe regolare e governare il settore della comunicazione, le sollecitazioni a livello transnazionale ed europeo, lo studio dell’efficacia di
nuovi strumenti di protezione, che vadano oltre alle tutele in senso
tradizionale, vale a dire gli strumenti dell’autoregolamentazione e della coregolamentazione, riconducono ai suggerimenti dell’intervento
finale del professor Benedetti, educazione, sorveglianza, e quindi consenso digitale a quattordici anni; ma pongono insieme anche alcuni
interrogativi: chi bisogna educare? Il genitore, il figlio, gli educatori?
Di sicuro, le carenze del quadro normativo e degli strumenti attualmente a disposizione mostrano l’esigenza fondamentale di una
educazione all’uso dei media; e qui è utile qualche cenno all’esito
delle ricerche senza entrare nel merito e nel dettaglio dei dati che
sono disponibili sul sito, per chi volesse approfondire. Le ricerche
contenute nel Libro Bianco sull’uso e la fruizione della comunicazione sono due, una relativa ai bambini e l’altra agli adolescenti. Il
questionario, somministrato attraverso un sistema di web survey, cioè
di interlocuzione informatica, nel caso dei bambini è stato indirizzato
ai genitori, quello sugli adolescenti invece direttamente agli adolescenti stessi.
Cosa emerge da entrambe le ricerche? Anzitutto, si è sfumata la
distinzione fra nativi digitali, i bambini e gli adolescenti, e immigranti
digitali, gli adulti; gli adulti tendono ad essere più alfabetizzati, sono
addirittura utenti essi stessi dei mezzi e anche dei social network. Il
punto critico è che sia nell’analisi delle risposte che hanno fornito direttamente i genitori, sia nella percezione che ne hanno riportato gli
adolescenti, questi genitori risultano paradossalmente sprovveduti:
pongono delle regole, sicuramente più precettive per i bambini e più
dialettiche per gli adolescenti, ma gli stessi genitori sono i primi a
violare le norme che hanno stabilito. Per esemplificare: impongono di
non comunicare con gli sconosciuti, la trasposizione contemporanea
del “non accettare le caramelle dagli sconosciuti” delle vecchie generazio-
Il libro bianco Media e minori
249
ni; di non diffondere le proprie immagini o postare fotografie proprie
o della famiglia; e all’atto pratico, risulta che sono essi stessi i primi a
postare sui social le fotografie dei propri figli.
La controprova è nei dati raccolti: gli adolescenti rispondono: “posto
le mie immagini per informare e divertire i miei amici”, “sono consapevole
della visibilità del mio profilo Facebook”. Sono previsti successivi interventi sul tema, e sperando di non anticiparli o contraddirli, dalla ricerca
del Libro Bianco emerge che gli adolescenti sono consapevoli di cosa
significhi “profilo aperto”, di come graduare la privacy del proprio
profilo; e al contempo, il 50% degli adolescenti è estremamente infastidito dal fatto che i propri genitori postino le fotografie che li ritraggono, ritenendolo pericoloso per il 25% e inopportuno per l’altro 25%.
Altro dato fenomenico interessante è relativo al questionario per
i bambini: i genitori rispondenti sanno che i bambini sono soggetti di
età compresa tra i 4 e i 12 anni; per un complessivo 50%, i genitori
sono al corrente del fatto che il limite di iscrizione a Facebook è 13 anni,
oppure ritengono che il limite sia di 15 anni e contestualmente sono
consapevoli che i propri figli tra i 9 e i 12 anni, in particolare, sono
iscritti a Facebook con il proprio profilo, dando per scontato che il fatto
sia chiaramente contrario a una regola. Ci si riferisce a una policy di cui
si ignorano la verifica, l’applicazione e le conseguenze di applicazione,
e sulla cui validità ed efficacia possono esprimersi le più ampie riserve;
tuttavia, è un dato di fatto che la regola sia sistematicamente disattesa
e con la consapevolezza di questi genitori.
Genitori, appunto, che nel 64% dei casi del questionario dei bambini sono iscritti entrambi a Facebook, e tuttavia non sanno, ad esempio,
che cosa significhi avere il profilo aperto. Che hanno posto una serie
di prescrizioni, ma che si trovano molto più a loro agio nel prescrivere comportamenti di fruizione del mezzo televisivo, che del consumo
mediale dei bambini costituisce quota cospicua ma non esclusiva. Il
consumo televisivo dei bambini, infatti, va un po’ stabilizzandosi, in
calo rispetto a un incremento del consumo dei new media: con un riferimento approssimativo, il 90% dei bambini vede la televisione tutti i
giorni, ma gli stessi bambini, complessivamente dai 4 ai 12 anni, nel
65% dei casi si connettono a internet, e nella fascia 9-12 nel 46% fanno
navigazione solitaria. A fronte di tale tipologia di consumo, l’utilizzo
di strumenti di controllo ex post, come controllare la password o la cronologia, ha efficacia decisamente limitata rispetto all’impiego di app o
dei programmi di filtraggio dei contenuti.
250
The best interest of the child
Qualche ulteriore spunto sulle informazioni del Libro Bianco “Media
e minori”. Come già detto, il “mondo bambini” si è concentrato sul media
tradizionale con qualche incursione nell’ambito dei new media, mentre
per gli adolescenti – considerato che il 98,9% è munito di smartphone
fornito autonomamente fin dall’età di dodici anni, e il 97% fruisce di
una connessione internet – è risultato interessante esaminare il tipo di
approccio: a titolo di esempio, per quanto riguarda la ricerca di informazione gli adolescenti si informano sul media digitale per quasi la metà,
nel senso che l’informazione la cercano o la controllano attraverso media
esclusivamente digitali; soltanto il 20% fa fact checking sui media tradizionali, cioè cartacei o audiovisivi. Per quanto riguarda l’autopercezione
del consumo dei media, il 53% si rende conto di rientrare in una definizione di asocialità della rete, nel senso che ha consapevolezza di avere
dei comportamenti che denotano una socialità conseguente all’uso della
rete, come preferire di essere online piuttosto che uscire con gli amici,
nascondere ai genitori la durata del tempo di connessione, comunicare
meglio online piuttosto che vis à vis, non sapere cosa fare senza internet, e emozionarsi di più attraverso la rete rispetto all’emozione fisica.
E questo è un dato di evidenza sociopsicologica che però preoccupa,
perché evidentemente sollecita delle risposte, sia in termini sociali, sia
in termini giuridici.
Rispetto al comportamento di fruizione dei media digitali, la survey mostra quattro categorie di adolescenti: la maggioranza, il 53%,
con prevalenza del genere femminile, ha un tipo di approccio piuttosto
conservativo, nel senso che subisce un po’ passivamente la comunicazione, utilizza il mezzo sociale per comunicare con gli amici e aggregare eventualmente le notizie.
All’estremo opposto, si trova un 5% completamente fuori controllo,
nel senso che non ha guida da parte degli adulti ed è autodeterminato
e lasciato solo con lo smartphone; il residuo 42% circa si spartisce fra
due categorie: i prosumer e i web addicted dei contenuti. I primi sono prevalentemente di genere maschile e sono i più attivi, nel senso che sono
producer and consumer, cioè tendono a fare comunicazione attraverso il
social e sono non proprio potenziali hacker, ma estremamente consapevoli del mezzo, dei limiti, dei pericoli. Per esempio, sono i maschi che
sottovalutano il sexting, che viene percepito come pericoloso dal 59%
delle donne, delle ragazze e dal 43% dei ragazzi invece.
L’ultima categoria sono i web addicted dei contenuti, molto attivi, ma
solo sul piano della gestione dei contenuti, user generated content e mes-
Il libro bianco Media e minori
251
sa in linea e ricerca dei contenuti: sono quasi altrettanto consapevoli
delle potenzialità e dei rischi del mezzo ma meno, diciamo meno preoccupati, i più avvertiti sono il 20% dei prosumer.
E allora per concludere, il tema resta aperto: a fronte di questo panorama di consumo mediale, se è vero che il legislatore ha fissato in
14 anni la soglia di età per l’autodeterminazione digitale, a mio parere
non è così netta l’affermazione per cui ormai la responsabilità si sposta
esclusivamente sui ragazzi come utenti del social media system. Sussiste
ancora, comunque, una responsabilità sociale, e insieme la necessità di
individuare un sistema educativo, formativo, che coinvolga tutti, ossia
non sia limitato ai soli genitori o ai soli minori. Grazie.
parte iii
L’interesse del minore e il suo diritto
a crescere in famiglia
L’interesse del minore alla propria famiglia:
un interesse ancora in attesa di piena tutela
Cesare Massimo Bianca
Sommario: 1. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia. –
2. L’interesse essenziale del minore al legame affettivo con i suoi genitori e la sua talvolta disconosciuta prevalenza rispetto ad altri interessi.
– 3. L’allontanamento del minore motivato dalle condizioni di indigenza della famiglia quale violazione dal suo diritto fondamentale alla
famiglia. – 4. L’obbligo di intervento dello Stato in aiuto dei genitori
indigenti. – 5. Non azionabilità di fatto del diritto all’aiuto economico e
necessità di una normativa di attuazione che renda operativo l’obbligo
sancito a carico delle istituzioni pubbliche.
1. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia
L’interesse del minore alla propria famiglia è oggetto del diritto sancito
dalla legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, e solennemente riaffermato dalla legge di revisione del 24 aprile 2001, n. 150, rubricata Diritto
del minore ad una famiglia. Il diritto è stato poi incluso dal codice civile nello
statuto dei diritti del figlio (art. 315 bis2).
Non si dubita che il diritto di crescere in famiglia sia un diritto soggettivo assoluto, tutelato nella vita di relazione contro qualsiasi fatto
doloso o colposo che sottragga il minore al suo nucleo familiare.
Ma oltre che nei confronti della generalità dei consociati il diritto
di crescere nella propria famiglia è un diritto nei confronti dello Stato.
Nei confronti dello Stato il diritto del minore si distingue in diritto di
rispetto, cioè come diritto al rispetto del proprio rapporto familiare,
e come diritto di solidarietà, cioè come diritto a ricevere l’assistenza
necessaria per realizzare l’interesse a restare in famiglia.
256
The best interest of the child
Che il diritto del minore nei confronti dello Stato sia un diritto
soggettivo dev’essere riconosciuto con tutta fermezza. Si tratta, precisamente, di un diritto della personalità.
2. L’interesse essenziale del minore al legame affettivo
con i suoi genitori e la sua talvolta disconosciuta
prevalenza rispetto ad altri interessi
Nella sua nuova rubrica la legge sull’adozione designa il diritto di
cresecere in famiglia come diritto del minore ad una famiglia mentre
nel testo lo designa come diritto del minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia (art. 1). In dottrina è stato puntualizzato che
il minore ha diritto alla propria famiglia e subordinatamente, quando
questo diritto non può realizzarsi, ha il diritto ad una famiglia, cioè il
diritto ad un nuovo nucleo familiare, per ritrovare ciò che non ha potuto trovare nella propria famiglia1. Ma che cosa il minore deve ritrovare? Ossia, qual è l’interesse del minore alla propria famiglia?
Già dall’esperienza della realtà sociale si evince che l’interesse del
minore a crescere in famiglia è l’interesse al legame affettivo che lo
unisce ai suoi genitori. Non a caso la normativa dell’adozione prescrive
come necessario requisito degli adottanti e degli affidatari familiari la
capacità affettiva: questo requisito è prescritto perché ciò che il minore
deve ritrovare nel nuovo nucleo familiare è l’affetto dei suoi genitori.
S’intende allora come il diritto del minore di crescere in famiglia sia
un diritto della personalità, in quanto tutela un interesse essenziale
dell’essere umano nel tempo della sua formazione, e come il legame
con i genitori debba essere salvaguardato comunque fin che non s’imponga la tutela di un preminente interesse del minore, come l’interesse a non essere oggetto di violenza. Di ciò appare ben consapevole
la giurisprudenza della Cassazione, che ammette l’allontanamento del
minore dalla propria famiglia solo quale extrema ratio.
Talvolta tuttavia qualche giudice non ha inteso che il migliore interesse del minore è quello di vivere l’amore dei genitori e ha dato
prevalenza all’interesse del minore a non subire condizioni precarie e
carenti capacità di cura dei genitori. In un noto caso una bambina fu
1
M. Bianca, Il diritto alla famiglia, in La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione, Autorità
Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Roma 2019, p. 241.
L’interesse del minore alla propria famiglia
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tolta definitivamente ai suoi genitori giudicati inidonei per la loro età a
curare adeguatamente la figlia. In motivazione la sentenza dichiarò di
aver fatto leva su altre ragioni ma la Cassazione ebbe ad accertare che
la ragione preminente presa in considerazione era quella dell’anzianità
dei genitori2.
È poi noto il caso della condanna subito dall’Italia da parte della
CEDU per aver definitivamente tolto un figlio alla sua affezionata madre, colpevole di non essere in grado di prendersi piena cura di lui3.
Questo caso è particolarmente significativo in quanto i nostri giudici
nel decidere di levare il figlio alla madre avevano tenuto in conto anche la disagiata condizione economica di essa.
* La relazione illustrativa della proposta di legge sulla prevenzione degli allontanamenti dei minori dalle loro famiglie, presentata il 31 luglio
2019 dai deputati Ascari e altri, riporta i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza in
cui si rileva come sia stato osservato “che in un grande numero di casi
l’allontanamento coattivo del minore è determinato dalla situazione di
indigenza economica della famiglia”.
3. L’allontanamento del minore motivato dalle
condizioni di indigenza della famiglia quale violazione
dal suo diritto fondamentale alla famiglia
L’allontanamento del minore dalla propria famiglia è giustificato e
necessario solamente quando egli si trovi in una situazione di abbandono, quando cioè non riceve dai suoi genitori o dai parenti tenuti a provvedervi l’adeguata assistenza morale e materiale. La mancanza della sola
assistenza materiale non integra la situazione di abbandono e l’adozione
o l’affidamento familiare di un minore che abbia con i genitori un significativo rapporto affettivo costituiscono violazione del suo diritto di crescere nella propria famiglia e sono pertanto, oltre che illegittimi, illeciti.
L’assistenza materiale è certamente una condizione necessaria di
vita del minore ma la carenza di essa dovuta all’indigenza della famiglia non può essere rimediata togliendo il figlio ai suoi genitori.
2
Vedi Cass., 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro it. 2017, I, 317, con mia nota.
3
Sentenza del 21 gennaio 2014 (Zhou c. Italia), in Minori giustizia, 2014, p. 268, con n.
di F.P. Occhiogrosso.
258
The best interest of the child
Piuttosto, ai sensi della Costituzione, lo Stato deve intervenire, “anche
con misure economiche” affinché la famiglia sia agevolata nell’adempimento dei suoi compiti (art. 301). Il dovere di intervento dello Stato,
sanzionato dalla Costituzione, è stato ribadito e specificato dalla legge
sull’adozione, che ha proclamato il principio secondo il quale “le condizioni di indigenza dei genitori […] non possono essere di ostacolo all’esercizio
del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia
sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”. Nell’ambito delle proprie
competenze – prosegue la norma – sono lo Stato, le Regioni e gli enti
locali che devono disporre, nei limiti delle riserve finanziarie disponibili, idonei interventi a favore dei nuclei familiari a rischio “al fine di
prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito
della propria famiglia”4.
4. L’obbligo di intervento dello Stato in aiuto dei genitori
indigenti
In mancanza di una normativa di attuazione è tuttavia rimasto
aperto il problema della sorte dei minori quando le famiglie non sono
in grado di mantenerli. I tentativi di sminuire il problema o addirittura
di negarne l’esistenza sono smentiti dai dati dell’esperienza, che depongono invece per una larga incidenza dell’indigenza della famiglia
sui provvedimenti di affidamento familiare o di collocazione presso
strutture di accoglienza5.
Tenuti ad erogare alla famiglia l’aiuto economico occorrente per
evitare l’allontanamento del minore, sono gli enti locali: ma se essi non
provvedono i nostri giudici si astengono dall’adottare provvedimenti
di condanna.
4
Di tale disposizione deve darsi merito all’allora Ministro per la solidarietà sociale
Livia Turco.
5
La realtà di molte famiglie che non sono in grado di mantenere i propri figli, è
innegabile. Durante i lavori della Commissione nominata nel settembre 2006
dall’allora Ministro per le Politiche della famiglia, Rosy Bindi, un suo autorevole
membro. Piercarlo Pazè, ebbe ad osservare: difficoltà materiali negate in teoria sono
in concreto una delle cause dei ricoveri assistenziali così costosi per la collettività e
così dannosi per i bambini. E la situazione oggi è in crescendo per: a) la presenza
delle famiglie straniere, le più povere; b) l’aumento delle famiglie monogenitoriali
(mamme che, per poter lavorare, si fanno mettere il figlio in istituto); c) il costo degli
alloggi (molti ricoveri conseguono a situazioni abitative gravemente inadeguate)”
(dai verbali della Commissione).
L’interesse del minore alla propria famiglia
259
La mancata condanna degli enti locali è giustificata in dottrina in
base all’assunto che la famiglia non ha un diritto soggettivo all’aiuto
economico necessario per il mantenimento della prole6. In tal senso si
trae argomento dalla generica formulazione della menzionata norma
della legge sull’adozione, e dalla riserva, ivi contenuta, della disponibilità finanziaria. Per cui dovrebbe parlarsi di una disposizione meramente programmatica.
In contrario è stata rilevato che l’obbligo di aiuto alla famiglia non
è subordinato alla discrezionalità dell’Amministrazione, che può solo
addurre la mancata disponibilità finanziaria7.
Va poi osservato che l’interesse del minore, come si è visto, è un
interesse essenziale della persona e come tale oggetto di un diritto
fondamentale già ai sensi dell’art. 2 Cost. L’erogazione dell’aiuto alla
famiglia per prevenire l’abbandono del figlio non è quindi un atto meramente discrezionale ma attuazione di un diritto fondamentale del
minore. La tutela giurisdizionale di questo diritto può incontrare solo
il limite della indisponibilità finanziaria degli enti locali.
5. Non azionabilità di fatto del diritto all’aiuto
economico e necessità di una normativa di attuazione
che renda operativo l’obbligo sancito a carico delle
istituzioni pubbliche
Come si è rilevato, la giurisprudenza nega tuttavia l’azionabilità del
diritto all’aiuto economico. In mancanza di una disciplina di attuazione dell’art. 1 della legge sull’adozione l’obbligo ivi sancito a carico
6
G. Sciancalepore, Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino - P.
Stanzione (cur.), Le adozioni nella nuova disciplina. L. 28 marzo 2001, n. 149, Milano,
2001, p. 36, il quale nega che si possa parlare di un diritto soggettivo del minore alla
famiglia, considerate, tra l’altro, la “preoccupante ‘gestione’ del momento patologico
e rimediale”, e la complessità della situazione del minore che “abbisogna di essere
efficacemente raccordata al ruolo della potestà dei genitori”. Occorrerebbe piuttosto
un “mutamento di prospettiva […] che dismetta una logica descrittiva, unicamente
sensibile a profili strutturali, accedendo, così, ad una ricognizione dinamica, come
tale rispettosa degli interessi sottesi alla singola ipotesi di fatto”.
La configurabilità di posizioni di diritto soggettivo è messa in dubbio dalla A.
Gorgoni, in Adozione nazionale. L. 28 marzo 2001, n. 14 (‘Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario a, in Nuove leggi
civ., 2002, p. 775.
7
La Lombardia è l’unica Regione, per quanto mi consta, che ha emanato disposizioni
di attuazione della norma della legge sull’adozione relativa al diritto del minore di
crescere nella propria famiglia: cfr. la l. R. 14 dicembre 2004, n. 34.
260
The best interest of the child
dell’istituzioni pubbliche è destinato a rimanere un’enunciazione
astratta8. Al fine di rendere operativo tale obbligo occorre pertanto che la disciplina di attuazione venga emanata. Questa disciplina
dovrà in primo luogo prevedere la costituzione di un fondo, che,
meglio utilizzando le risorse disponibili, consenta agli enti locali di
intervenire specificamente nei casi segnalati dai tribunali per i minorenni (v. l’art. 79 bis. l. adoz.).
Bibliografia
Bianca M., Il diritto alla famiglia, in La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione,
Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Roma 2019, p. 241.
Finessi A., Il ‘diritto del minore ad una famiglia’: per una prima lettura della nuova
disciplina dell’affidamento e dell’adozione, in Studium iuris, 2001, p. 775
Gorgoni A., in Adozione nazionale. L. 28 marzo 2001, n. 14 (‘Modifiche alla legge 4
maggio 1983, n. 184), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), in Nuove leggi
civ., 2002, p. 775.
Sciancalepore G., Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino - P.
Stanzione (cur.), Le adozioni nella nuova disciplina. L. 28 marzo 2001, n. 149,
Milano, 2001, p. 36
8
Sulla temuta inoperatività della legge riguardo al diritto del minore alla propria
famiglia, in mancanza di norme di attuazione, vedi già A. Finessi, Il ‘diritto del
minore ad una famiglia’: per una prima lettura della nuova disciplina dell’affidamento e
dell’adozione, in Studium iuris, 2001, p. 775.
Una riflessione su “l’interesse del minore
e il suo diritto a crescere in famiglia”
Enrico Quadri
Sommario: 1. Interesse del minore e relazione familiare. – 2. Il problema
degli assetti relazionali preferibili in vista della realizzazione dell’interesse del minore. – 3. Impianto della disciplina dell’affidamento e
dell’adozione e prospettive di riforma. 4. I nuovi assetti relazionali e le
esigenze di intervento legislativo.
1. Interesse del minore e relazione familiare
Dalla lettura del programma del Convegno, risulta chiaro come l’obiettivo
che si è inteso perseguire sia quello di fare il punto, per così dire a tutto
tondo, sulla situazione del minore, quale emerge dall’attuale complessivo sistema ordinamentale, in una prospettiva, ad un tempo, nazionale e
sovranazionale. E ciò, evidentemente, non a scopo meramente ricognitivo, ma al fine di verificare la reale adeguatezza del sistema stesso – ovviamente sempre da cogliere nella sua concreta operatività – a governare
le tensioni che caratterizzano la nostra società e a soddisfarne le istanze
emergenti, anche con la prospettazione di eventuali possibili correttivi di
carattere normativo. In un simile contesto di enucleazione dei nodi problematici e delle criticità della materia, una posizione centrale è destinata
inevitabilmente ad assumere l’indagine avente ad oggetto la realizzazione
dell’interesse del minore in quella sua dimensione relazionale, il naturale
luogo di sviluppo della quale, pare quasi inutile sottolinearlo, è rappresentato dall’esperienza di vita familiare. Il titolo stesso della sessione cui
più immediatamente si riferiscono le presenti considerazioni sembra intenzionalmente evocare, al riguardo, l’ottica fatta dichiaratamente propria
dal legislatore in sede di incisiva riforma dell’affidamento e dell’adozione
nel 2001. Ottica sintetizzabile, appunto, in quel “diritto del minore ad una
262
The best interest of the child
famiglia”,, significativamente senz’altro assunto, allora, quale intitolazione della disciplina dell’intera materia in questione: diritto che trova solido fondamento nell’art. 30 della nostra Costituzione, pure – sembra qui il
caso di sottolinearlo – con esplicito riferimento alle situazioni patologiche
eventualmente coinvolgenti l’esistenza della famiglia.
La formula impiegata da chi ha organizzato il Convegno per individuare l’ambito tematico della sessione cui si è fatto dianzi cenno, che
si esprime in termini di diritto del minore a crescere in famiglia, vale
a delineare un programma di lavoro che pare, invero, collegare assai
strettamente la sessione medesima soprattutto a quella, pure prevista,
intitolata a l’interesse del minore e i nuovi modelli familiari.
In effetti, se il perseguimento dell’obiettivo della realizzazione del
diritto del minore a crescere in famiglia, impone di riflettere preliminarmente su quale sia la famiglia da reputare a ciò idonea, sembra
necessario, ancor prima, fissare quello che deve essere assunto quale
punto assolutamente fermo in materia. L’allusione, ovviamente, è alla
prospettiva della centralità dell’interesse del minore, che ha finito col
rappresentare, nello sfarfallamento se non, come talvolta si è detto,
nella disarticolazione e frantumazione dell’idea medesima di famiglia, l’unico concepibile centro di gravità, intorno al quale far ruotare
ogni tentativo di organizzare giuridicamente le dinamiche sociali in
materia familiare.
Non a caso, è ormai da tempo significativamente corrente parlare, anche da noi, di un diritto di famiglia divenuto puerocentrico, in
quell’ordine d’idee, cioè, che Jean Carbonnier chiaramente già indentificava quale linea di tendenza dell’ordinamento commentando gli
esiti delle riforme francesi degli anni 70, al contempo, peraltro, denunciando il pericolo di utilizzare il riferimento all’interesse del minore
nei termini di una sorta di formula magica: con questo anticipando
le non certo infondate perplessità che tendono a riproporsi riguardo
ad una nozione, come sottolineava sempre l’autore, indubbiamente
sfuggente, in quanto come, non si manca pure di recente diffusamente
di evidenziare, circonfusa da una certa aura di indeterminatezza, se
non, per dirla più crudamente, di confusa ambiguità di significati. Al
di là di ogni possibile dubbio, comunque, su di una portata minima
del senso da attribuire ad una simile angolazione sotto cui guardare
all’insieme delle relazioni familiari nella loro complessità pare consentito convenire. Qualsiasi ipotetico diritto degli adulti al figlio, tanto nel contesto della filiazione biologica, quanto nella sua eventuale
L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia
263
attuazione attraverso l’istituto dell’adozione o le potenzialità dischiuse
dalla procreazione medicalmente assistita, non dovrebbe poter essere
inteso se non quale strumento di opportuna realizzazione, appunto,
dell’interesse del minore coinvolto nelle loro decisioni, attraverso la
sollecitazione di comportamenti degli adulti stessi a ciò adeguatamente funzionali.
2. Il problema degli assetti relazionali preferibili in vista
della realizzazione dell’interesse del minore
Circa l’individuazione, poi, di quale sia la famiglia cui considerare
riferito il diritto del minore a crescervi, il nostro legislatore, in armonia, del resto, con le direttive prevalenti in proposito anche a livello
sovranazionale, non ha avuto dubbi ad indicare quale luogo elettivo di
realizzazione dell’interesse del minore la propria famiglia, quella, cioè,
di origine, eventualmente intesa anche in una dimensione allargata,
secondo la condivisibile prospettiva che tende ad allargare la sfera
soggettiva cui conferire rilevanza in materia familiare, quando si tratta
di assicurare una migliore tutela ad interessi fondamentali legati allo
sviluppo della personalità dei suoi membri e, in particolare, appunto,
dei minori.
Famiglia da promuovere, quindi, nella sua funzionalità e comunque da salvaguardare, nelle situazioni di difficoltà (e, forse, soprattutto in esse), nelle sue residue potenzialità formative. Di qui, quella
gradualità degli eventuali interventi a salvaguardia dell’interesse del
minore, la quale non può che costituire la prospettiva da privilegiare:
gradualità che, nell’imporre, in prima battuta, come doverosi adeguati interventi di sostegno e di aiuto nei riguardi, appunto, della famiglia di origine, ha finito, purtroppo, col dover fin qui fare i conti, pare
inutile nasconderlo trattandosi di questione anche troppo nota, con la
concordemente lamentata inadeguatezza dei mezzi economici concretamente disponibili a tal fine.
Peraltro, proprio in relazione all’attuazione di una tale ottica di gradualità degli interventi finalizzati alla migliore realizzazione dell’interesse del minore, non si può fare a meno di segnalare un aspetto
talvolta trascurato della materia. Nella declinazione dell’interesse del
minore, chi viene chiamato a delinearne i contenuti e gli strumenti realizzativi, sia esso il legislatore o il giudice, deve necessariamente (e
doverosamente) operare sulla base di una ponderata riflessione circa
264
The best interest of the child
gli apporti delle scienze relazionali. Ma proprio tali scienze non mancano, nel loro inevitabile rapportarsi con l’’incessante divenire delle
dinamiche sociali, di prospettare ricostruzioni nel tempo via via (anche
notevolmente) differenti del best interest del minore e delle relative più
opportune modalità realizzative.
Il senso di un simile assunto può essere esemplarmente verificato
con riferimento alle risposte da dare alla questione della opportunità
o meno della moltiplicazione dei riferimenti relazionali ed affettivi del
minore stesso, anche al di là, quindi, del soddisfacimento della, indiscutibilmente difficilmente contestabile, esigenza di bigenitorialità.
Bigenitorialità, peraltro, che non ha mancato di essere, a sua volta,
significativamente intesa secondo curvature marcatamente differenti,
in particolare con riguardo a problematiche per definizione delicate,
come quella concernente la regolamentazione delle relazioni personali ed economiche in vista di una migliore realizzazione dell’interesse
del minore coinvolto nella crisi familiare. E ciò, reiteratamente, pure in
tempi vicini, come dimostra la persistentemente manifestata fondata
o meno che voglia ritenersi insoddisfazione per la relativa disciplina
vigente (e la sua applicazione), con la conseguente, anche insistente,
invocazione, attraverso conseguenti iniziative legislative, di riforme
ancora assai recenti.
Anche se, in proposito, può ritenersi sussistente un generalizzato
consenso sul ruotare la questione, in estrema sintesi, intorno alla necessità di garantire quella continuità del rapporto parentale che, già sicuramente imposta dall’art. 301 della nostra Costituzione, risulta fortemente valorizzata tanto dall’art. 93 della Convenzione di New York sui
diritti del fanciullo del 1989 (ratificata con la l. 27 maggio 1991, n. 176),
quanto dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione
Europea. E che, allora, la direttiva di fondo da seguire in materia non
possa che consistere nel tentare di garantire ai figli, nonostante la rottura della compagine familiare, naturalmente nei limiti del possibile e
comunque sempre in conformità al loro concreto ed esclusivo interesse, l’effettivo sostegno personale, oltre che ovviamente economico, di
ambedue i genitori. La vera essenza del principio della bigenitorialità,
insomma, essendo da individuare nella promozione in una prospettiva di superamento dell’ottica della conflittualità e della contesa di una
comunità parentale che sopravviva al fallimento di quella coniugale (o
paraconiugale) tra i genitori.
L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia
265
3. Impianto della disciplina dell’affidamento
e dell’adozione e prospettive di riforma
Sembra chiaro, in effetti, come le diffuse istanze di revisione dell’attuale impianto normativo in materia di affidamento e adozione finiscano col ricollegarsi strettamente proprio al mutare degli atteggiamenti
sul punto dell’individuazione di quale sia l’articolazione degli assetti
relazionali da considerare preferibile per il minore. In una simile prospettiva, così, essendosi fatta specificamente avvertire una crescente
tendenza a privilegiare e, con sempre maggiore decisione, l’adozione
c.d. “mite” o “semplice”, rispetto a quella piena, per arrivare addirittura a concepire quest’ultima in termini di adozione aperta.
Questo, invero, secondo modelli che dall’ambiente nordamericano,
anche in dipendenza degli indirizzi via via emersi nella giurisprudenza
sovranazionale europea, sono di recente rifluiti pure nella legislazione
di paesi a noi vicini, come la Spagna nel contesto della riforma del 2015:
riforma che, pare qui il caso di sottolinearlo, ha ribaltato tradizionali
opinioni e conseguenti opzioni legislative in materia, perfino sdoganando e istituzionalizzando, come eventuale migliore via da battere nell’interesse concreto del minore, quella di un affidamento permanente. Del
resto, non si dimentichi come proprio l’idea originaria di una, per così
dire, naturale temporaneità dell’affidamento e del ruolo, di riflesso, da
riconoscere agli affidatari sia stata da noi già posta in forse, nel nome
della salvaguardia di una, reputata comunque da privilegiare, continuità affettiva, con la legge n. 173 del 19 ottobre 2015.
Una riflessione pare meritare, allora, anche un problema destinato
ad essere reso sicuramente più avvertito da una eventuale apertura
dell’attuale istituto dell’adozione in casi particolari ad una portata tale
da fare ad essa assumere il ruolo di vero e proprio modello generale
di adozione, da porre accanto a quella piena e destinato, in sostanza, a
riassorbire la c.d. adozione mite e le istanze poste a suo fondamento,
in una prospettiva più convenientemente definibile in termini di adozione semplice. Si tratta della delicata questione concernente la definizione dei rapporti dell’adottato con la famiglia di origine, anche al di
là del formale conferimento (e si veda l’attuale primo comma dell’art.
48 della l. 184/1983) all’adottante (o agli adottanti) della responsabilità
genitoriale (e del relativo esercizio).
L’attuale disciplina, in effetti, si presenta come del tutto muta sul
punto, sembrando, invece, di indubbia opportunità che il legislato-
266
The best interest of the child
re, eventualmente attraverso una puntuale delineazione dei poteri
da riconoscersi al giudice in proposito, fornisca adeguate indicazioni al riguardo, nonché, allo stesso tempo, in ordine ai rapporti tra
l’adottante (o gli adottanti) ed i genitori del sangue, circa gli atteggiamenti e le scelte concernenti la vita del minore (date le evidentemente ipotizzabili possibili situazioni di contrasto): ciò dal momento che
proprio la conservazione di una significativa relazione tra l’adottato
e la famiglia di origine finisce col rappresentare la dichiarata (ed
auspicata) sostanza di un tale modello di adozione.
In relazione ad una simile problematica, si ricordi come la conservazione di una qualche relazione personale con la famiglia di origine, nell’ottica di quella che viene indicata, secondo quanto dianzi
accennato, come adozione aperta (dichiaratamente riecheggiante la
c.d. open adoption dell’ambiente nordamericano), non manchi di essere, già allo stato, caldeggiata addirittura con riferimento all’adozione
piena, evidentemente con analoghe, forse ancora più accentuate, esigenze di regolamentazione. Significativa, in proposito, si presenta,
allora, la dianzi ricordata nuova disciplina spagnola dell’adozione: in
essa, nel prevederne un modello unitario (peraltro, comunque differenziato, in taluni casi, sotto il profilo della conservazione dei vincoli
giuridici con la famiglia di origine), si è appunto (esplicitamente e
con adeguata attenzione ai profili operativi) inteso, ai sensi dell’art.
1784 código civil, consentire, sempre se conforme all’interesse del minore, il mantenimento di qualche forma di relazione o contatto per
mezzo di visite o comunicazioni tra il minore, i membri della famiglia di origine e quella adottiva, venendosi così ad intrecciare, insomma, i relativi rapporti affettivi della famiglia di origine nei confronti
del minore con quelli della famiglia adottiva (in quanto previamente
dichiaratasi a ciò disponibile).
Questione, questa dei rapporti tra i soggetti destinati a risultare comunque cointeressati alla vita del minore, che il legislatore attualmente affronta invero alquanto sommariamente con riferimento all’affidamento nell’art. 5 della l. 184/1983, pure al riguardo, non a caso, essendo
stata avvertita l’esigenza di una più puntuale delineazione dei poteri
degli affidatari, anche, appunto, nei rapporti con la famiglia di origine:
questione, ovviamente, suscettibile di acquistare maggiore rilievo in
considerazione del carattere non temporaneo che l’affidamento tende
ad assumere nella realtà (se non, addirittura, attraverso la previsione
esplicita di una simile sua possibile modalità, come ora in Spagna).
L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia
267
4. I nuovi assetti relazionali e le esigenze di intervento
legislativo
Non a caso, allora, le più recenti riforme in materia degli ordinamenti
europei si sono impegnate nell’affrontare in una prospettiva assai diversa dal passato e nella complessità delle sue implicazioni in tema di esercizio, in genere, della responsabilità genitoriale le delicate problematiche poste dal fenomeno di quella c.d. ricomposizione familiare, la cui
constatata innegabile diffusione rappresenta l’inevitabile riflesso della
crescente fluidità degli assetti familiari nella nostra società.
Indubbiamente, il rinnovato interesse per le questioni legate alla
disciplina del fenomeno della ricomposizione familiare ha trovato terreno fertile nell’ottica di quelle situazioni come nell’ipotesi di coppie di
persone dello stesso sesso caratterizzate dall’impossibilità del funzionamento dei più efficienti strumenti di tutela dell’interesse del minore,
secondo il modello di una giuridicamente riconosciuta bigenitorialità.
Ma pare significativo come, anche dove la possibilità della instaurazione di una vera e propria co-genitorialità da parte della coppia di
persone dello stesso sesso è stata consentita, si sia avvertita l’esigenza
di regolamentare compiutamente, in via generale, la relazione di vita
tra il partner ed il figlio del soggetto con cui convive.
Ciò, in particolare, è avvenuto, in Francia, con la novellazione dell’art.
371-4 code civil, proprio nel contesto della legislazione (legge 2013-404 del
13 maggio 2013) che ha consentito, quale riflesso dell’apertura dell’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso, l’adozione del figlio (pure
adottivo) del congiunto, eventualmente (e sia pure in presenza di peculiari condizioni) anche nella forma dell’adozione piena. In tale disposizione, in effetti, in linea di principio, si affida senz’altro al giudice, ove ciò
corrisponda all’interesse del minore, la determinazione delle modalità
delle sue relazioni con un terzo, parente o meno, quando il terzo abbia risieduto in maniera stabile con lui e uno dei genitori ed abbia provveduto
alle sue necessità, instaurando con lui legami affettivi durevoli.
Né può trascurarsi come pure tutta la medesima animata discussione
circa il diritto dell’adottato ad essere, nel tempo, informato circa tale sua
condizione, fino alla prospettazione di un suo vero e proprio diritto alla conoscenza della identità dei genitori biologici, con i relativi noti recenti approdi giurisprudenziali e legislativi (de iure condito e de iure condendo), risulti palesemente condizionata dall’evoluzione degli atteggiamenti in ordine
alla definizione, sempre da tale punto di vista, del best interest del minore.
268
The best interest of the child
Non può certo dubitarsi, allora, come la progressiva, per così dire,
normalizzazione della moltiplicazione dei riferimenti relazionali ed
affettivi del minore finisca con l’imporre, ormai, di prendere in seria
considerazione la necessità di una regolamentazione ben più adeguata, anche per ovvie esigenze di organicità, di quella attualmente da
noi vigente diffusamente reputata troppo scarna al riguardo in ordine
alla definizione della posizione, pure (e, forse, soprattutto) nei relativi
rapporti reciproci, dei diversi soggetti di volta in volta concretamente
coinvolti nella vita del minore, in dipendenza delle accennate, già attuali ed eventualmente future, aperture dell’ordinamento.
Si tratta, peraltro, di un percorso tutt’altro che facile, anche se sicuramente utili possono essere considerati gli spunti deducibili dall’evoluzione, nella materia considerata, della quasi generalità degli ordinamenti a noi tradizionalmente più vicini (e spesso, di conseguenza,
presi a modello dal nostro legislatore nell’elaborazione della disciplina
delle relazioni familiari).
Come non certo casualmente avvenuto nel contesto delle diverse
sessioni di questo Convegno, sembra imporsi, inoltre, nel programma
del futuro lavoro, l’opportunità di vedere equilibratamente affiancarsi
a quella dei giuristi, e in termini tutt’altro che subordinati, la riflessione
degli esperti delle scienze relazionali. Contributo, il loro, che, evidentemente, pare dover essere tenuto in privilegiata considerazione, particolarmente alla luce della necessità che le problematiche concernenti
l’individuazione dell’interesse del minore, con le connesse esigenze
di armonico sviluppo della sua personalità, siano affrontate nella prospettiva di quei nuovi modelli familiari, di cui, del resto, pure il nostro
stesso legislatore, di recente, non ha mancato, anche se con i quasi unanimemente denunciati limiti imposti dalla necessità di operare difficili
mediazioni ideologiche e politiche, di cominciare a tener conto.
Il diritto del minore alla bigenitorialità
ed il ruolo del terzo genitore nella prospettiva
della famiglia ricomposta
Enrico Al Mureden
Sommario: 1. Il diritto alla bigenitorialità e la pluralità dei modelli
familiari. – 2. Diritto alla bigenitorialità e famiglia ricomposta. – 3.
La crescente rilevanza della “famiglia degli affetti”. – 4. “Genitorialità
sociale” e bigenitorialità tra molteplicità di declinazioni e nuove dimensioni dell’interesse del minore.
1. Il diritto alla bigenitorialità e la pluralità dei modelli
familiari
I presupposti che hanno determinato l’affermarsi del diritto alla bigenitorialità possono essere individuati nelle riforme che tra il 1970 e il 1975
determinarono il passaggio da un sistema caratterizzato dall’indissolubilità del matrimonio ad uno nel quale “la stabilità della famiglia”
è rimessa alle determinazioni di ciascun coniuge1. L’introduzione del
divorzio e della separazione per cause oggettive, infatti, consentirono
alla persona coniugata di porre fine al matrimonio in via unilaterale a
prescindere dalla sussistenza di violazioni di doveri coniugali. In tempi
più recenti la complessità e la durata che caratterizzavano l’iter necessario al fine di conseguire lo scioglimento del matrimonio sono state
ulteriormente ridimensionate dagli interventi di riforma che hanno
reso possibile conseguire la separazione ed il divorzio a prescindere
da un ineludibile intervento giudiziale (d.l. 12 settembre 2014, n. 132,
convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014, n. 162)2 ed hanno
1
P. Donati, La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989, p. 49.
2
C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della
famiglia, II, Milano, 2015, p. 14 ss.; F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, in
270
The best interest of the child
significativamente ridotto il periodo di separazione legale necessario al
fine di proporre istanza per il divorzio (l. 6 maggio, 2015, n. 55)3.
La sempre più accentuata fragilità del vincolo matrimoniale ha
contribuito all’espandersi di nuove tipologie di relazioni familiari “destrutturate” nelle quali la rottura del vincolo che cementava l’unione
dei coniugi coesiste con persistenti legami tra genitori e figli minori o
non autosufficienti. Proprio l’indissolubilità del legame tra genitore e
figlio minore o non autosufficiente costituisce l’essenza di quel principio della bigenitorialità divenuto un imprescindibile elemento di coesione del nucleo familiare in un contesto caratterizzato dall’instabilità
delle relazioni di coppia e dalla pluralità dei modelli familiari.
Indubbiamente le riforme che sotto questo profilo assumono la rilevanza più pregnante sono quelle che hanno condotto alla creazione
di una condizione unica del figlio. Un simile obiettivo, a cui fu dato un
decisivo impulso con la l. 8 febbraio 2006, n. 54, è stato definitivamente
conseguito con la l. 10 dicembre 2012, n. 219 e con il d. lg. n. 28 dicembre 2013, n. 1544. A seguito di questo epocale intervento riformatore
è stata resa unica la condizione dei figli attraverso il loro inserimento
nelle relazioni di parentela dei genitori a prescindere dal matrimonio
di questi ultimi (art. 74 c.c. e art. 258 c.c.)5 e si è affermata in termini generali la regola dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale
a prescindere dal tipo di unione che lega i genitori e dalla sua sorte
(artt. 316, comma 4, e 337-ter, comma 3, c.c.)6.
Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, VI, Milano, 2015, p.
867 ss.
3
C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., p. 26 ss.; L. Lenti, Convivenza di fatto, gli effetti: diritti
e doveri, in Fam. dir., 2016, p. 931.
4
Per un’esaustiva analisi della nuova disciplina introdotta M. Bianca (cur.), Filiazione.
Commento al decreto attuativo, Milano, 2014; M. Sesta - A. Arceri, La responsabilità
genitoriale e l’affidamento dei figli, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi
della famiglia, III, Milano, 2016.
5
M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, p. 4; R.
Campione, Sub art. 74 c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze,
Milano, 2016, p. 1516.
6
M. Sesta, voce Filiazione (diritto civile), in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, p. 454;
E. Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di
modelli familiari, in Fam. dir., 2014, p. 466; E. Al Mureden - M. Sesta, Sub Art. 315
c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 1636;
A. Morace-Pinelli, I provvedimenti riguardo ai figli. L’affidamento condiviso, in C.M.
Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 687 ss., in part. p. 718 ss.;
P. Sirena, Il diritto del figlio minore di crescere in famiglia, ivi, p. 119 ss.; A. Cianci, La
nozione di responsabilità genitoriale, ivi, p. 579 ss.; G. De Cristofaro, Dalla potestà alla
Il diritto del minore alla bigenitorialità
271
Le intervenute modifiche legislative, pertanto, hanno determinato
il venir meno della necessaria corrispondenza tra famiglia e matrimonio in quanto l’instaurazione di legami di parentela dipende oggi
esclusivamente dal fatto biologico della generazione7. Al tempo stesso
la riforma ha introdotto una necessaria corrispondenza tra la generazione dei figli e la formazione di una famiglia, incidendo profondamente su situazioni che nel sistema previgente non assumevano
rilievo giuridico8.
Nel contesto delineato un ulteriore e rilevante impulso al riconoscimento della variegata pluralità di modelli familiari è stato fornito dalla
legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra
persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) che, in linea
con i moniti provenienti dalla giurisprudenza della CEDU ed interna,
ha istituito le unioni tra persone dello stesso sesso e introdotto una disciplina organica delle convivenze sia tra persone di sesso diverso che
tra persone dello stesso sesso9.
responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove leggi
civ., 2014, p. 782 ss.
7
M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 7, il quale osserva che la
Riforma in materia di condizione unica dei figli ha radicalmente modificato “la
nozione di famiglia legale, che, ora, non appare più necessariamente fondata sul
matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente
prescindono da esso”. A questo proposito lo stesso A. condivide l’osservazione
– espressa da G. Dalla Torre, Famiglia senza identità?, in Iustitia, 2012, I, p. 129 –
secondo cui “sembra esservi una tendenza sempre più forte al superamento del
matrimonio come luogo costitutivo degli status”.
8
In questo M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 5, osserva che in
questo nuovo contesto anche in assenza di matrimonio tra genitori, il figlio si trovi
“inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna, tra loro non comunicanti”.
9
M. Sesta, Sub art. 1, comma, 1, in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle
convivenze, Milano, 2016, p. 169; Id., Unioni civili e convivenze: dall’unicità alla pluralità
di legami di coppia, in P. Rescigno - V. Cuffaro (cur.), Unioni civili e convivenze di
fatto: la legge, in Giur. it., 2016, p. 1792 ss.; M. Trimarchi, Unioni civili e convivenze,
in Fam. dir., 2016, p. 859; E. Quadri, «Unioni civili tra persone dello stesso sesso» e
«convivenze»: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016,
p. 893; Id., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina
delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ, 2016, p. 255; L. Balestra, Unioni
civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, p.
1780; G. Amadio, La crisi della convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1765; E.
Al Mureden, Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del “genitore
sociale”, in Nuova giur. civ. comm., II, 2016, p. 1699; E. Quadri, La tutela del minore
nelle unioni civili e nelle convivenze, in Nuova giur. civ. comm., II, 2017, p. 566; G. De
cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina
contenuta nei commi 1° - 34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19
gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ., 2017, p. 119 ss., in part. p. 124.
272
The best interest of the child
Nell’ambito dei modelli familiari che attualmente hanno trovato
pieno riconoscimento nell’ordinamento giuridico la parentela e l’affinità si costituiscono secondo modalità differenziate, dando vita ad un
quadro assai articolato e complesso10. Così, alla famiglia fondata sul
matrimonio, che si caratterizza per il sorgere di legami di parentela necessariamente basati sul ricorrere dei due presupposti rappresentati dal
matrimonio e dalla discendenza biologica e di legami di affinità scaturenti dal matrimonio, si affianca oggi un modello di famiglia fondata
sulla generazione biologica del figlio nella quale i legami di parentela
scaturiscono dalla sola “cogenitorialità”11 e non necessitano dell’elemento del matrimonio; una famiglia nella quale, al tempo stesso, proprio la
mancanza del matrimonio determina l’assenza di vincoli di affinità tra
i parenti dei partners. Infine, a seguito della riforma attuata dalla l. n.
76/2016, prendono corpo ulteriori modelli di famiglia fondati su un’unione giuridicamente rilevante della coppia (l’unione civile o la convivenza),
che tuttavia non genera affinità tra i parenti della coppia stessa.
Nel complesso quadro delineatosi reclama con intensità crescente
un riconoscimento anche la c.d. famiglia degli affetti, la cui essenza
può essere individuata in una rete di legami che, sebbene non cementati dal matrimonio di una coppia o dalla discendenza biologica, danno vita a relazioni che vengono percepite come significative, soprattutto se instauratesi tra un minore e il c.d. genitore sociale, ossia il partner
del genitore biologico di quest’ultimo12.
2. Diritto alla bigenitorialità e famiglia ricomposta
La rilevanza assunta dal principio della bigenitorialità impone
di osservarne la portata anche avendo riguardo ad uno scenario più
10
Come è stato perspicuamente osservato, è stato attuato in modo complementare
dalla riforma che ha introdotto la condizione unica dei figli (l. n. 219/2012 e dal d.
legisl. n. 154/2013) e da quella operata dalla l. n. 76/2016 con le quali si è realizzato un
ampliamento dei modelli familiari riconosciuti dal legislatore e, di conseguenza, una
profonda modificazione delle regole di attribuzione dell’affinità e della parentela
(M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di
un nuovo modello familiare, cit., p. 881).
11
M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 1; Id., voce Filiazione (diritto
civile), cit., p. 445 ss.
12
Sull’opportunità di ricostruire in termini organici le molteplici questioni scaturenti
dalla assunzione del ruolo di genitore sociale si veda M. Cinque, Quale statuto per il
“genitore sociale”?, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1475, la quale osserva che sul piano lessicale
risulterebbe maggiormente appropriato l’utilizzo del termine “genitori di fatto”.
Il diritto del minore alla bigenitorialità
273
complesso nel quale alla famiglia “destrutturata” possono sovrapporsi
nuovi nuclei familiari generati da una successiva unione dei genitori.
Il termine famiglia ricomposta evoca una pluralità di formazioni familiari la cui caratteristica comune può essere individuata nell’unione
tra persone che abbiano già formato un nucleo familiare precedente13.
È possibile, pertanto, includere in questa categoria non solo l’ipotesi
della famiglia ricomposta da vedovi e da persone reduci da un divorzio, ma anche quella dell’unione tra persone che abbiano già vissuto
un’esperienza familiare fondata sulla convivenza, o che, pur non avendo mai formato una coppia unita, abbiano generato un figlio con una
persona diversa dal nuovo partner o, ancora, ricorrendo come singoli
alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
In prima approssimazione si può affermare che proprio l’espandersi delle tipologie di relazione di coppia e più in generale familiari
alle quali il diritto riconosce forme di tutela differenziate costituisce il
presupposto affinché possa ampliarsi l’ambito entro il quale emergono
ed assumono rilevanza i problemi ascrivibili alla cosiddetta famiglia
ricomposta. In effetti la situazione nella quale si verifica una sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari diversi formati da soggetti che
provengano da una precedente esperienza familiare – che trovava un
riconoscimento estremamente limitato prima dell’introduzione dei
divorzio e della Riforma del ‘75 – si presenta con intensità crescente
soprattutto quale conseguenza dell’instabilità coniugale ed ha assunto
una dimensione sempre più significativa a seguito delle riforme che
hanno attribuito rilevanza a rapporti familiari la cui costituzione prescinde dal matrimonio.
Nel contesto delineato dal Codice civile nel 1942 l’eventualità di
una sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari formati da persone
reduci da precedenti unioni si limitava al secondo matrimonio dei vedovi. Al di fuori di quest’ipotesi, infatti, il principio dell’indissolubilità
del matrimonio impediva la coesistenza della famiglia coniugale con
altri consorzi familiari formati successivamente. In termini più generali, poi, le profonde discriminazioni che caratterizzavano la condizione
13
Sulla famiglia ricomposta o ricostituita P. Rescigno, Le famiglie ricomposte: nuove
prospettive giuridiche, in Familia, 2002, p. 1 ss.; G. Bilò, Famiglia ricostituita, in M. Sesta
(cur.), Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, p. 2394; Ead., I problemi della famiglia
ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, p. 831; D. Buzzelli,
La famiglia «composita». Un’indagine sistematica sulla famiglia ricomposta: i neo coniugi o
conviventi, i figli nati da precedenti relazioni e i loro rapporti, Napoli, 2012.
274
The best interest of the child
dei figli illegittimi rispetto a quelli legittimi rendeva particolarmente
limitata la possibilità di costituire legami familiari al di fuori del matrimonio14. Il figlio illegittimo, infatti, non conseguiva legami di parentela
con i parenti dei genitori; ancor più penalizzata era la condizione del
figlio, adulterino il quale non poteva – salvo casi del tutto particolari
– essere riconosciuto dal genitore già coniugato (art. 252 c.c.)15. Egli
poteva essere riconosciuto solamente dal genitore che non fosse unito in matrimonio e, stante il tenore dell’art. 252 c.c., non entrava nelle
reti di parentela di quest’ultimo e pertanto non conseguiva un legame
giuridicamente rilevante con i nonni, gli zii e i cugini “naturali”; la
potestà veniva esercitata in via esclusiva dall’unico genitore abilitato
al riconoscimento al quale competeva anche il potere di rappresentare
il minore ed amministrarne i beni, nonché l’usufrutto legale su di essi.
Nel contesto attuale, invece, l’unificazione della condizione del figlio (l. 10 dicembre 2012, n. 219 e d. lg. n. 28 dicembre 2013, n. 154)
ha reso possibile la coesistenza di più famiglie, tutte ugualmente “legittime”, le quali possono sovrapporsi nel tempo dando vita a trame
di rapporti ai quali l’ordinamento giuridico riconosce piena efficacia
ponendo all’interprete questioni caratterizzate da profili di assoluta
novità le quali necessitano di essere risolte prescindendo dai paradigmi tradizionali.
14
Sul modello di famiglia “istituzionale”, la cui valorizzazione postulava
necessariamente il sacrificio dei diritti dei figli nati fuori del matrimonio e una
disuguaglianza di diritti e di poteri all’interno della famiglia matrimoniale A. Cicu,
Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, ristampa con lettura di M. Sesta,
Bologna, 1978; P. Rescigno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir.
civ., 1998, I, p. 113 e in Matrimonio e famiglia: cinquant’anni del diritto italiano, Torino,
2000, p. 6; A. Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo istituzionale, Milano, 2013, p.
3 ss.; A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv.,
2008, p. 963.
15
Al riguardo l’art. 252 c.c., nella sua formulazione precedente la Riforma del ‘75,
limitava la possibilità di riconoscimento del figlio adulterino al solo genitore che
non era unito in matrimonio al tempo del concepimento. Per quanto concerneva
il genitore unito in matrimonio, invece, il riconoscimento del figlio adulterino
era possibile solo a seguito dello scioglimento del matrimonio per effetto della
morte dell’altro coniuge ed a condizione che non fossero presenti figli legittimi, o
legittimati, o loro discendenti legittimi. Nel caso in cui essi fossero stati presenti,
la possibilità di riconoscimento era condizionata all’emissione di un decreto da
parte del Presidente della Repubblica, che doveva essere preceduta da un parere del
Consiglio di Stato e che, in ogni caso, presupponeva che i figli legittimi o legittimati
avessero raggiunto la maggiore età e fossero stati sentiti (sul punto v. G. Azzariti,
voce Filiazione legittima e naturale, in Nss. D. I., VII, Torino 1961, p. 324; Id., voce
Adulterini e incestuosi (Figli), in Nss. D. I., I, Torino 1957, p. 309).
Il diritto del minore alla bigenitorialità
275
3. La crescente rilevanza della “famiglia degli affetti”
L’esigenza di attribuire rilievo a relazioni affettive che si instaurino
all’interno di un nucleo familiare tra un minore e il partner del genitore
biologico emerge sotto molteplici profili e si manifesta in modo sensibilmente differenziato a seconda che siano presenti entrambi i genitori
biologici o uno soltanto di essi. Nella prima ipotesi l’aspirazione del
genitore sociale a vedere riconosciuto il legame affettivo instaurato con
il figlio del partner incontra un limite laddove il principio della bigenitorialità sancisce la preminenza della coppia dei genitori biologici16.
Nelle ipotesi in cui sia presente un solo genitore biologico del minore,
invece, il problema della rilevanza giuridica dei rapporti instaurati tra
quest’ultimo e il genitore sociale può essere osservato “isolatamente”,
ossia senza l’interferenza determinata dalla presenza di una coppia di
genitori biologici. Una simile eventualità si concretizza nelle ipotesi in
cui la coppia sia formata da un genitore “single” che abbia fatto ricorso
a tecniche di procreazione medicalmente assistita o da un genitore che
abbia perso il partner con cui generò il figlio.
In queste fattispecie il problema di riconoscere una posizione giuridicamente rilevante al partner non legato da un rapporto biologico con
il figlio generato dall’altro ha assunto rilievo, anzitutto, nell’orientamento che ha fornito un’interpretazione dell’art. 44 l. n. 184/1983 funzionale a consentire la c.d. stepchild adoption17.
Sotto un diverso profilo la rilevanza assunta dal cosiddetto “genitore sociale” ha trovato un’ulteriore conferma in una decisione di legittimità di poco precedente nella quale è stato ammesso il diritto di
quest’ultimo a conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale
subito a causa della perdita del figlio del partner18.
16
In proposito Cass., 10 maggio 2011, n. 10265, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 1206,
con nota critica di M. Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la legge n.
54/2006: quale sorte dell’art. 317 bis c.c.?, con una soluzione non pienamente coerente
rispetto alla disciplina positiva all’epoca vigente, ha escluso la “stepchild adoption”
del marito della madre attribuendo preminente rilievo al diniego espresso da parte
del padre biologico del minore.
17
Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in Nuova giur. civ. comm, 2016, p. 1213, con nota di
G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner commento a prima lettura della
sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 2016; in Fam. dir., 2016, p. 1025, con nota di S.
Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption. In senso contrario
Trib. Min. Milano, 17 e 20 ottobre 2017, con nota critica di G. Ferrando, A Milano
l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 171 ss.
18
Cass., 21 aprile 2016, n. 8037, in Danno e Resp., 2017, p. 30, con nota di A. Garibotti, Il
276
The best interest of the child
In quest’ottica conviene sottolineare anche che la rilevanza dei legami
affettivi come elementi costitutivi di una relazione familiare tra il minore
e il partner del genitore biologico – che trova riscontro nei principi sanciti
dall’art 8 della CEDU, e ormai consolidatisi nell’ambito della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani – è stata riconosciuta nel
nostro ordinamento dalla l. 19 ottobre 2015, n. 173, recante Modifiche alla
legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e
delle bambine in affido familiare, con la quale il legislatore è intervenuto a
regolare la coesistenza delle figure dei genitori biologici e di coloro che
in virtù di periodi di affidamento temporaneo abbiano stretto rapporti
significativi con il minore19.
Sempre nella prospettiva indicata, appare estremamente rilevante
l’articolata problematica sollevata con riferimento alla garanzia della
continuità del rapporto tra il minore ed il c.d. genitore sociale in caso
di rottura dell’unione con il genitore biologico. A tale riguardo è stata
sollevata una questione di legittimità costituzionale ad opera di un’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo che aveva posto in
luce l’esigenza di operare una lettura dell’art. 337 ter c.c. orientata secondo il dettato della Costituzione e, soprattutto, secondo i principi
stabiliti dall’art. 8 della CEDU20, funzionale a garantire la continuità
della relazione affettiva tra il minore ed il partner del genitore anche
in caso di rottura del rapporto di coppia. La Corte costituzionale da
risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nell’ambito delle famiglie ricostituite
e nelle unioni civili e in Fam. dir., 2017, p. 329, con nota di L. La Battaglia, Il danno non
patrimoniale da perdita del figlio del “partner”: variazioni sul tema della famiglia di fatto.
Sul punto M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1480 – all’esito
di una perspicua analisi della giurisprudenza che riconosce il diritto del genitore
sociale al risarcimento del danno subito per la perdita del minore con il quale
aveva instaurato un significativo legame affettivo – osserva che detto risarcimento
può cumularsi con quello riconosciuto alla coppia dei genitori biologici dando così
vita ad una situazione complessa nella quale alla morte del minore consegue un
danno che interessa una pluralità di adulti a quest’ultimo legati da vincoli biologici
(genitori biologici) e di natura meramente affettiva (genitore sociale). La stessa A.
pone in evidenza un profilo di irragionevolezza laddove riscontra che non sussistono
decisioni nelle quali sia riconosciuto un diritto al risarcimento nell’ipotesi speculare
del danno derivante dalla interruzione del rapporto affettivo tra minore e genitore
sociale dovuto al decesso di quest’ultimo.
19
M. Dogliotti, Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili,
nell’interesse del minore, in Fam. dir., 2015, p. 1107 ss.; M. Cinque, La continuità affettiva
nella legge n. 184/1983 e la posizione dei “parenti sociali”, in Nuova giur. civ. comm., 2016,
p. 673.
20
App. Palermo, 30 agosto 2015, in Fam. dir., 2016, p. 40 ss., con nota di A. Ardizzone,
La convivenza omosessuale ed il ruolo del genitore sociale in caso di PMA.
Il diritto del minore alla bigenitorialità
277
una parte ha dichiarato la questione infondata, ma, dall’altra, ha sottolineato l’opportunità di riconoscere rilevanza al legame fondato su
una relazione affettiva tra minore e genitore sociale. In particolare è
stato chiarito che “l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio
minore a “conservare rapporti significativi” con persone diverse dai
genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337 ter cod. civ. deve
intendersi esclusivamente riferito “a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale” e, quindi, ad “un contesto propriamente
familiare”; cionondimeno l’esistenza di “un “vuoto di tutela” quanto
all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano
suoi parenti”, pur non potendo essere colmato adottando una lettura
dell’art. 337 ter c.c. funzionale ad includere “anche l’ex compagna della
genitrice biologica nell’area dei soggetti”, può trovare una forma di tutela laddove l’art. 333 c.c., attribuendo rilevo alla condotta del genitore
“comunque pregiudizievole al figlio”, consente al giudice di adottare
“provvedimenti convenienti”21.
La fondamentale rilevanza del diritto del minore alla conservazione
dei legami affettivi successivamente alla crisi del rapporto che lega i
genitori è stata ribadita anche con riferimento al cd. “nonno sociale”
ossia ad un soggetto che, seppure non legato al minore da un rapporto
di parentela in linea retta ascendente, “affianchi il nonno biologico del
minore” e – sia esso il coniuge o il convivente di fatto – si sia dimostrato “idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano
della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico”22.
21
In questo senso si esprime la motivazione di Corte cost., 20 ottobre 2016, n. 225, in
Fam. dir., 2017, p. 305, con nota di F. Tommaseo, La Corte Costituzionale sulla tutela
degli affetti extrafamiliari del fanciullo, precisando che detto intervento potrebbe
essere azionato su “ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art.
336 c.c.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto
in questione”. La fondamentale rilevanza assunta dall’esigenza di salvaguardare i
rapporti affettivi instaurati dal minore anche in assenza di un legame biologico con
l’adulto che abbia assunto il ruolo genitoriale è stata ulteriormente sottolineata in
una decisione di merito recente (Trib. Como 13 marzo 2019, in Dejure) che riferendosi
al rapporto tra una minore e colui che le indagini biologiche avevano escluso essere
il padre, ha posto in evidenza la primaria rilevanza dell’interesse del minore “alla
stabilità dei legami affettivi con le persone con cui hanno vissuto e alla costituzione
di uno stato giuridico corrispondente al rapporto di fatto consolidato nel tempo”.
Sul punto si veda anche M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1475.
22
Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, in DeJure.
278
The best interest of the child
Nell’ambito delle decisioni che hanno attribuito rilievo alla figura
del cosiddetto genitore sociale può essere osservata alla stregua di un
autentico momento di svolta la pronuncia di legittimità che si è spinta
sino a riconoscere l’efficacia in Italia di un atto di nascita formatosi
all’estero, nel quale risultavano indicate a pieno titolo come madri sia
colei che era biologicamente legata al figlio, sia colei che aveva volontariamente assunto il ruolo di genitore in quanto parte della coppia23.
Nel solco tracciato da questa decisione si sono posti successivamente
alcuni precedenti di merito che, analogamente, hanno riconosciuto un
legame di piena genitorialità tra un minore ed il suo genitore sociale,
ossia la persona che, d’intesa con il genitore biologico, abbia assunto
nei confronti del minore quelle responsabilità parentale che si sostanzia nell’assunzione dei compiti di cura ed accudimento nell’ambito di
un progetto condiviso24. Queste ultime decisioni, invero, portano ad
estreme conseguenze il riconoscimento della c.d. famiglia degli affetti
in quanto, fondando sulla sola relazione affettiva il riconoscimento di
un rapporto di genitorialità piena tra il minore e il genitore sociale, si
determina anche l’inserimento del nato nelle reti di parentela di una
persona che, seppure affettivamente legata al minore, non ha con esso
alcun vincolo biologico.
Conseguenze che, invero, hanno ricevuto un parziale avallo dalla
recente decisione delle Sezioni Unite che, da una parte, ha escluso la
possibilità di attribuire efficacia in Italia ai provvedimenti costitutivi
della genitorialità nelle ipotesi in cui sia stato fatto ricorso alla pratica
della maternità surrogata25, ma, dall’altra, ha pienamente confermato
la non contrarietà all’ordine pubblico dei provvedimenti stranieri con
i quali viene riconosciuta una doppia genitorialità in capo a soggetti
che abbiano intrapreso un progetto genitoriale comune ed assunto nei
confronti di un minore la veste di “genitore intenzionale”26.
23
Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, p. 181, con nota di G. Ferrando,
Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli “status filiationis”.
24
App. Trento, 23 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017, p. 935, con nota di G. Ferrando,
Riconoscimento dello status di figlio: ordine pubblico e interesse del minore; Trib. Napoli, 6
dicembre 2016, in Foro it., 2017, I, c. 309, con nota di G. Casaburi, In tema di adozione
in casi particolari.
25
Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Fam. dir., 2019, p. 653, con nota di M.
Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e di G.
Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile
la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento.
26
A tale riguardo appare significativo il passo della decisione delle SU nel quale viene
Il diritto del minore alla bigenitorialità
279
4. “Genitorialità sociale” e bigenitorialità
tra molteplicità di declinazioni e nuove dimensioni
dell’interesse del minore
Il crescente affermarsi della rilevanza assunta dalla cosiddetta famiglia
degli affetti e, in particolare, dalla figura del genitore sociale impone di
operare una netta distinzione tra due fattispecie che, pur condividendo un
rilevante elemento comune, si caratterizzano per la presenza di significative divergenze. Nella figura del genitore sociale, infatti, può essere racchiusa sia quella di colui che assume la veste di secondo genitore nell’ambito
di una struttura familiare nella quale è presente una sola figura genitoriale unita da un vincolo biologico con il minore, sia quella di colui che,
in una struttura familiare nella quale sono già presenti due genitori biologici, assuma un ruolo corrispondente a quello genitoriale in ragione di
una relazione affettiva instaurata con il minore figlio biologico del partner.
La relazione tra il minore e l’adulto a lui non legato da vincoli biologici
può essere osservata nella prima fattispecie alla stregua di una modalità
alternativa di attuazione del principio di bigenitorialità che – come la giurisprudenza ha in più occasioni ha avuto modo di chiarire – è concepito
ed inteso muovendo dal paradigma inespresso di una coppia di genitori
biologici. Nella seconda ipotesi, invece, la presenza di due genitori biologici impone di osservare il rapporto tra il minore ed il genitore sociale in
una prospettiva assai più complessa nella quale diritto alla bigenitorialità
e l’attribuzione di rilievo ai legami affettivi si pongono in una dialettica di
potenziale antagonismo.
In quest’ultimo caso, infatti, il diritto alla bigenitorialità dovrebbe trovare una attuazione piena nella trama di relazioni che intercorrono tra il
minore ed i suoi genitori biologici. La presenza di una terza figura che, in
virtù di un legame con uno dei genitori biologici, instauri una relazione
significativa con il minore può essere osservata come un elemento che si
aggiunge alle prerogative del genitore biologico creando una situazione
chiarito che il principio espresso nella decisione Cass., 30 settembre 2016, n. 19599,
cit., ed in altre ad essa successive con riferimento ad ipotesi nelle quali una coppia
di genitori dello stesso sesso era costituita da donne che non avevano fatto ricorso
alla tecnica della maternità surrogata non risultava “suscettibile di estensione al
caso” sottoposto alle Sezioni Unite nel quale il ricorso di una coppia di uomini
alla maternità surrogata costituiva elemento di per sé solo idoneo a configurare un
profilo di contrarietà all’ordine pubblico preclusivo dell’attribuzione di efficacia
nell’ordinamento italiano del provvedimento costitutivo della genitorialità.
280
The best interest of the child
assai complessa che potrebbe essere letta in prima approssimazione in
termini di sovrapposizione ed interferenza.
In definitiva, pertanto, la possibilità di attribuire rilievo a rapporti
di genitorialità fondati su un legame affettivo appare maggiormente
agevole nel primo genere di ipotesi in quanto le norme e gli orientamenti giurisprudenziali che si fondano sul paradigma della doppia
figura genitoriale eterosessuale unita da un vincolo biologico con il figlio comune necessitano solamente di un “adattamento” che consenta
di includere nella loro portata anche l’adulto che assuma nei confronti
del minore una veste corrispondente a quella del genitore pur in assenza di un legame biologico. Quest’ultimo elemento appare invero destinato a essere posto in secondo piano rispetto all’esigenza di garantire
al minore la presenza di una doppia figura genitoriale.
Considerazioni diverse devono essere formulate con riferimento
all’ipotesi in cui l’esigenza di attribuire rilievo alla relazione instauratasi tra un minore ed un adulto che abbia assunto nei suoi confronti la veste di genitore si inseriscono in una trama di rapporti della
quale il diritto alla bigenitorialità è pienamente assolto dalla coppia
di genitori biologici. L’esigenza di operare un “adattamento” del diritto vigente che consenta di attribuire rilievo a rapporti fondati su
relazioni meramente affettive non si risolverebbe in questo caso in
un allargamento del principio della bigenitorialità tale da consentire
l’inclusione di una seconda figura genitoriale in assenza di legami
biologici con il minore. Essa condurrebbe, in prima approssimazione, all’individuazione di regole funzionali ad istituire una gerarchia
tra ruoli genitoriali inevitabilmente destinati a sovrapporsi. In realtà
una diversa prospettiva di osservazione induce a ritenere che dalla
presenza di un terzo genitore nella trama di rapporti familiari che
convergono intorno al minore scaturisca una dimensione delle relazioni insolita e complessa rispetto alla quale l’interprete e il legislatore sono necessariamente chiamati ad elaborare soluzioni capaci di
attuare l’interesse del minore in un contesto che presenta elementi di
assoluta novità rispetto a quelli che hanno costituito i paradigmi in
funzione dei quali si è formato l’attuale diritto vivente.
La necessità di ampliare i confini entro cui è stata tradizionalmente
attuata la condivisione della responsabilità genitoriale è efficacemente testimoniata dalle soluzioni adottate nell’ordinamento francese in
cui sono contemplate forme di condivisione dei poteri tra genitore
biologico e genitore di fatto che consentono di plasmare l’esercizio
Il diritto del minore alla bigenitorialità
281
della responsabilità genitoriale secondo modalità conformi alla complessità che caratterizza l’attuale panorama delle relazioni familiari27.
L’opportunità di prevedere soluzioni analoghe nell’ordinamento
italiano – posta in luce da un disegno di legge risalente al 201428 – è
riaffiorata in un recente provvedimento di merito nel quale il Tribunale ha confermato la conformità all’interesse del minore di un accordo
intercorso tra genitori biologici e genitore sociale in virtù del quale è
stato riconosciuto a quest’ultimo il diritto a continuare a mantenere
rapporti significativi con il minore a suo tempo adottato mediante la
previsione contenuta nell’art. 44, lettera b, l. 184/1983, nonché il dovere
di contribuire parzialmente al suo mantenimento29.
In definitiva l’esigenza di osservare in una prospettiva sistematica
le molteplici questioni scaturenti dalla presenza di un genitore sociale nell’ambito delle relazioni che fanno capo al minore può apparire
ormai indifferibile. In quest’ottica l’interprete nel ricostruire un quadro normativo e giurisprudenziale particolarmente frastagliato appare
inevitabilmente chiamato ad elaborare soluzioni che riempiano di contenuto il principio generale dell’interesse del minore valorizzando la
complessità e la flessibilità che caratterizzano l’attuale panorama delle
relazioni familiari.
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27
Sul punto M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1500, sottolinea
la particolare idoneità della delégation classique e della delégation-partage del diritto
francese quali strumenti capaci di attribuire una rilevanza giuridica al ruolo assunto
dal genitore sociale.
28
In questo senso si veda il D.d.l. recante Modifiche al codice civile in materia di delega
dell’esercizio della responsabilità genitoriale presentato il 19 febbraio 2014 nel corso della
XVII Legislatura dai Senatori Manconi, Palermo e Lo Giudice, i cui contenuti sono
esaustivamente illustrati in M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1498.
29
Bugetti, L’affidamento del figlio adottato ai sensi dell’art 44 lett. b) l. n. 184/1983 a seguito
del divorzio, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1795.
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284
The best interest of the child
Sesta M., Unioni civili e convivenze: dall’unicità alla pluralità di legami di coppia, in
P. Rescigno - V. Cuffaro (cur.), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in
Giur. it., 2016, p. 1792 ss.
Sesta M., voce Filiazione (diritto civile), in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015,
p. 454
Sirena P., Il diritto del figlio minore di crescere in famiglia, in C.M. Bianca (cur.),
La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 119 ss.
Tommaseo F., La Corte Costituzionale sulla tutela degli affetti extrafamiliari del fanciullo, in Fam. dir., 2017, p. 305
Trimarchi M., Unioni civili e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 859
Veronesi S., La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, in Fam.
dir., 2016, p. 1025
L’adozione mite come diritto del minore:
tra opportunità e identità
Ettore Battelli
Sommario: 1. L’affidamento e l’adozione: i mobili confini del diritto del
minore ad una famiglia. – 2. Le situazioni di limbo: l’adozione mite. – 3.
Considerazioni e obiezioni nella prospettiva del best interest of the child.
– 4. Le prospettive.
1. L’affidamento e l’adozione: i mobili confini del diritto
del minore ad una famiglia
Può considerarsi un dato ormai definitivamente acquisito che la persona minore di età abbia bisogno di crescere in un ambiente e in un
clima familiare1, idoneo ad un adeguato sviluppo della sua personalità
individuale e sociale2.
Il minore non ha però soltanto il diritto ad una famiglia, ma anche
e soprattutto il diritto alla propria famiglia: l’attuale3 art. 315-bis, co.
1
Per tutti si richiamano le riflessioni di C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione
sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in commento a Cass., Sez.
Un. Civ., 30 giugno 2016, n. 13435, in Il Foro italiano, 2017, 10, pt. 1, p. 3171 ss.
2
Cfr. per tutti A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, Bologna, 2014, p. 229 ss., il
quale illustra anche gli effetti estremamente negativi che alcuni passati esperimenti
di istituzionalizzazione dei minori hanno provocato sulla crescita dei medesimi.
L’A. evidenzia come la coscienza comune si sia resa conto che “il migliore istituto
può appagare in grado elevato solo il bisogno di protezione fisica del minore, il suo
bisogno di cibo e di un ambiente salubre, il suo bisogno di apprendimento: ben poco
può esaudire il bisogno primario del ragazzo di essere aiutato nella costruzione della
sua personalità autonoma”.
3
Così come modificato a seguito della riforma della filiazione 2012-2013, che tra le
direttrici seguite, ha perseguito l’esigenza di porre al centro dell’ordinamento la
persona nella sua totalità, proprio nel suo essere persona, e ancor di più se minore
di età: in questo senso C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ.,
2013, 1, p. 1 ss.; M. Bianca, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ.
286
The best interest of the child
2, c.c.4 rinforza e consacra il principio già in precedenza desumibile
dall’art. 1, l. 184/1983 (così come modificato dalla l. 149/2001)5 e munito di un solido fondamento costituzionale (art. 30 Cost.)6 e sovranazionale (art. 8 CEDU)7.
Si verifica una grave e delicata situazione di crisi qualora il nucleo
familiare di origine del minore esista, ma sia concretamente inidoneo a
svolgere le proprie funzioni educative8: il diritto di crescere nella propria famiglia e il diritto ad essere accompagnato nel proprio percorso
formativo – normalmente complementari – entrano in contrasto fra di
loro e si rivela necessaria un’ardua operazione di bilanciamento, che è
stata realizzata attraverso gli istituti dell’affidamento e dell’adozione9.
Nell’ottica del legislatore, l’adozione assurge al ruolo di rimedio
estremo10, al quale ricorrere solo ed esclusivamente quando sia accertato
comm., 2013, p. 507 ss.; C.M. Bianca, Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia,
2012, p. 238 ss.
4
L’art. 315 bis, co. 2, c.c. rappresenta, secondo la migliore dottrina, uno statuto ontologico
della persona minore di età: v. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017,
p. 363.
5
Cfr. C.M. Bianca, Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149 - “Modifiche alla l. 4
maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”,
nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) - Commento alla l. 28 marzo 2001, n.
149 (Adozione nazionale). Titolo I - Diritto del minore alla propria famiglia. Art. 1 commi 1,
2 e 4, in Nuove leggi civili comm., 2002, 4-5, p. 909 ss.
6
Corte cost., 30 gennaio 2002, n. 1, in Giust. civ., 2002, I, p. 551 ss.
7
Di fondamentale importanza la pronuncia della Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c.
Italia, ric. 3373/ 11, in Minori giust., 2014, II, 268 ss., sulla quale si ritornerà infra.
8
Sia consentito richiamare E. Battelli, Conflittualità familiare e adozione, in Il minore nel
conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili,
Milano, 2016, p. 391 ss.
9
Sui quali v. M. Dogliotti, voce Adozione (in generale), in Enc. giur., Agg., Treccani, Roma,
2003; P. Morozzo della Rocca, voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II agg., Torino,
2003; C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Adozione nazionale. Commentario alla legge
28 marzo 2009, n. 149, in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 908 ss.; M.R. Marella, voce
Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I agg., Torino, 2000; M. Moretti, voce Affidamenti di
minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I agg., Torino, 2000; L. Rossi Carleo, voce Adozione dei
minori, in Enc. dir., I agg., Milano, 1997; M. Dogliotti, Affidamento e adozione, in Trattato
Cicu-Messineo, Milano, 1990; G. Cattaneo, voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
Torino, 1987; Id., voce Affidamento di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987; M.
Bessone - G. Ferrando, Adozione ordinaria, in Noviss. dig. it., App. I, Torino, 1980, p. 79 ss.;
A.C. Moro, L’adozione speciale, Milano, 1976; I. Baviera, L’adozione speciale, Milano, 1968.
10
Di particolare rilievo quanto osservato da M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia2,
Padova, 2007, p. 293: “Il legislatore del 2001, dopo oltre trent’anni di esperienza di
adozione legittimante, sembra fare un passo indietro e rendersi conto che l’adozione
rappresenta sì una soluzione per il fanciullo abbandonato, ma anche, in molti casi, una
sconfitta per la società che non è stata in grado di conservargli l’ambiente familiare in
cui era nato, causandogli comunque un trauma psichico non rimarginabile”.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
287
che la famiglia di origine non sia in grado, né per il presente né per il
futuro, di offrire al minore tutte le cure e l’affetto necessari per il suo sviluppo, per costruire un progetto di vita che lo renda un adulto autonomo e responsabile, attraverso strumenti rispettosi della sua personalità
“ unica ed irripetibile”: vale a dire quando si verifichi quella mancanza
di assistenza morale e materiale che concretizza lo stato di abbandono11.
Qualora le condizioni della famiglia di origine risultino precarie, sotto il profilo sia affettivo che economico12, e tuttavia il disagio non sia permanente, la risposta che l’ordinamento ha dato è invece quella dell’affidamento familiare13.
Deve precisarsi che l’istituto dell’affidamento è stato sempre inteso
come quello in grado di garantire al minore un’accoglienza, in famiglie
disponibili, o da parte di soggetti singoli, ovvero in comunità14, idonei a
consentire la continuità degli affetti, nonché per cercare di curare l’accertata temporanea carenza di strumenti adeguati, proprio da parte del nucleo familiare di origine, e di rispondere, o tentare di rispondere in modo
soddisfacente, alle esigenze morali, economiche, materiali, sociali, scolastiche15, nell’ottica di favorire il ritorno del minore nella famiglia di origine16.
11
In termini T. Montecchiari, Adozione “mite”: una forma diversa di adozione dei minori od
un affido senza termine?, in Dir. fam. pers., 2013, 4, p. 1581. Si veda anche Cass. civ., I, 21
settembre 2000, n, 12491, in Fam. dir., 2001, p. 45 ss., con nota di C.D. Fioravanti, Ancora
sui presupposti dello stato di abbandono nell’adozione dei minori: “L’adozione è prevista dal
legislatore come estremo rimedio ad una irreparabile situazione di abbandono del
minore, e non già come mezzo per ovviare a carenze genitoriali o per procurare al minore
condizioni di vita migliori di quelle che la famiglia di origine è in grado di offrirgli”.
12
C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo
all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, 1-2, p. 3 ss.
13
Ancora T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1582.
14
La scelta non è peraltro libera: la legge 149/2001 ha riformato la legge 184/1983 nel
senso di dare preferenza assoluta all’affidamento in una famiglia, preferibilmente
con figli minori, ovvero ad una persona singola, optando per l’inserimento in
comunità di tipo familiare solo quando la prima strada non sia percorribile. Ciò
nell’ottica di assicurare al minore l’instaurazione di rapporti personali e affettivi il
più possibile vicini a quelli che normalmente vengono a crearsi nel nucleo familiare
originario: A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 230.
15
Cfr. M. Moretti, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, IV, Torino, p.
3803 ss., per la quale il provvedimento di affidamento familiare “deve trovare
applicazione tutte le volte in cui possa ravvisarsi un cosiddetto semi-abbandono:
l’ambiente familiare, a causa di insufficienza di mezzi economici, mancanza di
strutture sanitarie o carenze relative ai rapporti interpersonali, non garantisce al
minore il mantenimento, educazione ed istruzione cui ha diritto, non apparendo
quindi in grado di assolvere compiutamente ai propri compiti educativi, con la
conseguenza che il minore stesso viene temporaneamente dato in affidamento”.
16
Non può d’altro canto sottacersi come vi sia un pregiudizio culturale verso l’istituto
288
The best interest of the child
Affinché siffatto istituto possa trovare applicazione è necessario –
per giurisprudenza costante – accertare l’insussistenza di una situazione di abbandono del minore, poiché sarebbe altrimenti doveroso
dichiarare l’adottabilità del minore medesimo17.
Lo scopo ultimo ed effettivo dell’affidamento è infatti – come poc’anzi accennato – il reinserimento del minore, nella propria famiglia, dopo
che quest’ultima abbia superato, risolto, ridimensionato, le proprie difficoltà, che hanno reso necessario l’allontanamento iniziale18.
dell’adozione (decisamente attenuato rispetto al passato, ma ancora latente). Appare
emblematico, in questo senso, un certo orientamento giurisprudenziale rammentato
da A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 268 s.: “In una sentenza della Corte
d’appello di Palermo si leggeva: “la famiglia adottiva è un surrogato di quella naturale
per cui nell’interesse del bambino e dell’ordine sociale è necessario assicurare
l’affetto e l’assistenza morale e materiale dei genitori naturali… nulla e nessuno
può integralmente sostituire i genitori nella vita affettiva dei figli e vi è un’esigenza
imprescindibile, che è di natura, del figlio di crescere psichicamente e spiritualmente
accanto a chi gli ha dato la vita” (7 febbraio 1970); il Tribunale ordinario di Firenze
(12 maggio 1972) ha sostenuto: “si deve avere comprensione per chi, privato dalla
natura maligna delle gioie della progenie, cerca nel rapporto artificiale dell’adozione
il solacium filiorum amissorum, ma per soddisfare questa esigenza non si deve fare
strame del vincolo di sangue e dei diritti che su tale vincolo, nelle società civili, sono
fondati e che nella specie consistono nel diritto del minore di avere una madre vera e
non posticcia”; la Corte d’appello di Palermo ha affermato: “è un controsenso pensare
che chi abbia fondato industrie o commerci in qualche caso sul piano internazionale
debba perdere il diritto alla continuità del cognome attraverso i discendenti perché
il minore è rimasto completamente abbandonato a se stesso a seguito della morte
dei genitori” (sent. del 26 giugno 1974); la Corte d’appello di Firenze (sez. min. del
28 luglio 1989) ha proclamato che: “il vincolo del sangue non è un concetto vuoto e
vanamente ripetuto e, le perniciose conseguenze della sua mortificazione, essendo
vincolo incompatibile, non tarderanno a manifestarsi””.
17
M. Moretti, voce Affidamenti di minori, cit., § 3: “Sorto per porre rimedio a situazioni
di inidoneità temporanea della famiglia, [l’affidamento familiare] si propone come
obiettivo primario quello di consentire al minore di ricevere le cure necessarie al suo
mantenimento, educazione ed istruzione senza peraltro che vengano meno i legami,
materiali e affettivi, con la propria famiglia di sangue: si tratta dunque di affidamenti
necessariamente temporanei e che non hanno quale scopo quello, ben differente, di
preludere all’adozione. Ne consegue che l’affidamento familiare deve essere disposto
tutte le volte in cui si ritiene che l’inidoneità della famiglia sia suscettibile di modifica
e, al contrario, che non può darsi luogo ad affidamento familiare ogniqualvolta tale
inidoneità paia definitiva, dovendosi in tal caso procedere con la dichiarazione di
adottabilità. Correttamente, dunque, si è affermato che la differenza tra adozione ed
affidamento familiare deve consistere nella prognosi della situazione, relativamente
alla possibilità che l’incapacità o l’impossibilità dei genitori di provvedere in modo
adeguato al minore cessi”.
18
Deve infatti mettersi in evidenza come la mancanza di assistenza materiale e
morale al minore dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio precluda
la possibilità di dichiarare lo stato di adottabilità (legittimando quindi soltanto
l’affidamento familiare nel periodo in cui permane la causa impeditiva): cfr. G.
Morani, Ancora sull’abbandono del minore quale principale presupposto della declaratoria
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
289
Di fondamentale importanza si rivela, allora, la prospettiva diretta a
privilegiare il più possibile la permanenza del minore nella famiglia di
origine attraverso incentivi economici ai nuclei familiari in difficoltà19.
Nei provvedimenti che si sono susseguiti (ancorché carenti sotto il
profilo dell’effettività), si è prestata particolare attenzione alle ragazze
madri e alle famiglie numerose20.
Nel condivisibile auspicio del legislatore, l’art. 315-bis, co. 2, c.c.,
accompagnato da una serie interventi sociali (prima ancora che normativi), dovrebbe contribuire allo sviluppo di una vera cultura minorile,
che, tuttora, si rivela deficitaria21.
2. Le situazioni di limbo: l’adozione mite
Rispetto a quanto sinora illustrato, è necessario dare atto dell’esistenza di un divario fra l’astratto testo normativo e la sua concreta attuazione nella prassi: l’affidamento familiare, che non dovrebbe
superare i ventiquattro mesi – fatta salva la possibilità di proroga da
parte dell’autorità giudiziaria, qualora l’interesse del minore lo esiga –
tende, invece, quasi fisiologicamente a protrarsi ben oltre tale limite22.
Secondo un’autorevole ricostruzione, le difficoltà pratico-applicative sono emerse a causa dell’inidoneità dell’impianto normativo a far
fronte a tutte le possibili situazioni di disagio familiare alle quali possono andare incontro le persone minori di età23.
di adottabilità: l’ultima pronuncia della Corte di cassazione ribadisce sul tema un indirizzo
ormai consolidato, in Giur. it., 2011, 2, p. 298 ss.
19
Da ultimo con la riforma della filiazione 2012-2013, il legislatore auspica che le
difficoltà economiche della famiglia non debbano più esser considerati causa dello
stato di abbandono; solo l’ingiustificato rifiuto delle misure di aiuto offerte dalle
pubbliche autorità potrebbe concretizzare la definitiva carenza dell’assistenza
materiale e morale dovuta al minore: cfr. G.E. Napoli, in C.M. Bianca (cur.), La
riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 1115 ss., spec. 1120 ss.
20
C. Ingenito, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano,
2014, p. 284 ss., spec. p. 290 ss.
21
Necessario il richiamo a L. Fadiga (cur.), Una nuova cultura dell’infanzia e
dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006.
22
A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 238, segnala che: “Da una ricerca
sull’affidamento familiare emerge che la durata media di un affidamento è di quattro
anni per l’affidamento eterofamiliare e di cinque anni per l’affidamento ai parenti: la
breve temporaneità dell’affido appare quindi più un auspicio del legislatore che una
realtà”.
23
F. Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009; Id. L’adozione
mite due anni dopo, in Minorigiust., 2005, 3, p. 149 ss.
290
The best interest of the child
In particolare, la legislazione tiene conto delle seguenti tre tipologie
di circostanze: “a) in caso di difficoltà modeste, soprattutto se la famiglia collabora, o comunque non si oppone, è previsto un sostegno
dei servizi sociali, i quali aiutando in vario modo sia la famiglia, sia il
bambino, fanno sì che il minore possa continuare a vivere nel proprio
nucleo familiare; b) in caso di difficoltà rilevanti, ma temporanee e
quindi considerate superabili in tempi sufficientemente brevi, il bambino può essere dato in affidamento familiare, o temporaneamente
collocato presso case famiglia o istituti, per un periodo della durata
massima di due anni; c) in caso di difficoltà gravi, in cui la famiglia pone in essere maltrattamenti rilevanti, o abbandona materialmente e moralmente il minore, e nel caso in cui la situazione risulta
essere irreversibile, il bambino viene dichiarato adottabile e dato in
adozione”24.
È stato, invece, trascurato il frequente caso in cui la famiglia non
sia in grado di rispondere alle esigenze educative del minore in modo
parziale ma definitivo: trattasi del c.d. “semi-abbandono permanente”25.
Il Tribunale per i Minorenni di Bari si è fatto carico del problema e
ha proceduto – previa presa d’atto del Consiglio Superiore della Magistratura26 – a una forma di sperimentazione dell’adozione mite27:
com’è stato emblematicamente sintetizzato, siffatta forma di adozione “può essere effettuata da una coppia o da persona singola e non
prevede alcun limite massimo di differenza di età tra adottanti e adottando. Si realizza con il consenso del minore, se ultraquattordicenne,
o dei genitori naturali, se esercitano la potestà su di lui, oppure del
tutore, se i genitori, come non di rado accade, sono stati dichiarati
24
In questi termini esaustivi si esprimeva la relazione alla proposta di legge n. 5724,
presentata alla Camera dei Deputati il 16 marzo 2005, a firma degli Onorevoli Bolognesi,
Finocchiaro e altri (consultabile tramite il seguente indirizzo web: http://leg14.camera.
it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0076061.pdf), poi decaduta per fine legislatura.
25
F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 155. V. anche S. Caffarena,
L’adozione “mite” e il “semiabbandono”: problemi e prospettive, in Fam. dir., 2009, 4, p. 398 ss.
26
Cfr. atto n. P 13713/2003 del 4 luglio 2003.
27
Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, Pres. Rel. F. Occhiogrosso, in Fam. dir., 2009, 4, p.
393 ss., ove viene anche esplicato che “il richiamo alla mitezza di tale modello di
adozione comporta che la normativa riguardante la sua applicazione debba essere
attuata, basandosi sulla comunicazione da parte dei servizi e dei giudici con le
persone, adulti e minori, avendo come caratteristica fondamentale l’ascolto e
puntando ad ottenere il consenso e la collaborazione delle persone coinvolte, minore
compreso, alle decisioni che si assumono”. Per l’impostazione ideologica e culturale
di fondo si veda G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
291
decaduti dalla potestà genitoriale. Essa non interrompe il rapporto di
filiazione (al contrario dell’adozione legittimante) tra minore e genitori di origine, ma ne aggiunge un secondo conseguente all’adozione.
La potestà spetta all’adottante. Di fatto i rapporti interpersonali con
la famiglia di origine sono rari e per lo più disciplinati dal tribunale
nel provvedimento di adozione, se ciò viene fatto oggetto di specifica
richiesta”28.
Le situazioni fattuali alle quali si è reputato doveroso offrire una risposta giuridica adeguata si verificano quando “la famiglia del minore
è più o meno insufficiente rispetto ai suoi bisogni, ma ha un ruolo attivo e positivo, che non è opportuno venga cancellato totalmente. Nello
stesso tempo, non vi è alcuna ragionevole possibilità di prevedere un
miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a
svolgere il suo compito educativo in modo sufficiente, magari con un
aiuto esterno curato dai servizi sociali”29.
Alla luce della lacuna normativa, si è ritenuto di poter ricorrere
ad un’interpretazione estensiva dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/198330,
giacché la “costatata impossibilità di affidamento preadottivo” potrebbe essere intesa non soltanto come “impossibilità materiale”, ma anche
come “impossibilità giuridica”: non sarebbe possibile procedere a dichiarare adottabile un minore tutte le volte in cui ciò implicherebbe la
recisione di taluni significativi legami personali e affettivi.
A livello pratico-operativo, è necessario pertanto – nell’impostazione volontaristica che, come accennato, caratterizza l’adozione mite –
che la famiglia affidataria firmi un modulo mediante il quale dichiara
la propria disponibilità a modificare il rapporto esistente con il minore
da affidamento familiare ad adozione particolare31.
Il giudice quindi è chiamato a compiere le seguenti valutazioni,
nell’ottica di individualizzare l’intervento destinato ad ogni singola
famiglia, che rappresenta indubbiamente una realtà a sé stante32.
28
F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 153.
29
Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, cit., p. 394.
30
In combinato disposto con i successivi artt. 45 e 46 i quali prevedono, rispettivamente,
la necessità del consenso del minore adottando (se almeno quattordicenne) e
l’assenso dei suoi genitori biologici: ciò a conferma della collaborazione che deve
necessariamente caratterizzare l’istituto. Sul tema si veda anche L. Pepino, La virtù
della mitezza e la nascita del diritto mite, in Minorigiust., 2015, 1, p. 15 ss.
31
V. Il foglio illustrativo dell’adozione mite e La circolare del Presidente del Tribunale per i
minorenni di Bari ai servizi territoriali, in Minorigiust., 2003, 1.
32
In questo la magistratura minorile non può non tener conto anche delle concrete
292
The best interest of the child
Innanzitutto, deve controllare se al termine del periodo di affidamento familiare siano mutate le condizioni che avevano reso necessario
l’allontanamento del minore dalla sua famiglia di origine, per procedere al suo reinserimento in caso di esito positivo: in tale ipotesi, infatti, si
ritiene che l’affido abbia raggiunto lo scopo previsto dalla legge.
Nell’eventualità opposta, il giudice deve verificare se sussista una
chiara intesa e collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti nella vicenda,
compreso il minore33, emettendo se del caso un provvedimento che
disponga l’adozione mite, la quale, come rilevato, non fa venire meno
il precedente legame familiare, ma ne costituisce uno nuovo e ulteriore34: ciò evita al minore lacerazioni e traumi irreversibili, dovuti alla
separazione tanto dalla famiglia affidataria con cui aveva instaurato
un solido rapporto, quanto dalla famiglia di origine che, non avendo
superato i propri problemi, non è pronta a riaccoglierlo. Si scongiura,
in altri termini, il fenomeno dei cc.dd. “bambini nel limbo”35.
Soltanto qualora non vi sia davvero altra possibilità, potrà procedersi
alla dichiarazione di adottabilità che rappresenta la prima fase del procedimento dell’adozione piena, la quale viene così davvero a rappresentare – com’è nelle intenzioni del legislatore – l’extrema ratio36, attesi gli
effetti radicali e dirompenti che essa comporta, facendo cessare, ai sensi
risorse che sono a disposizione nel singolo territorio, ed è anche per questo che si
parla di “particolarismo giuridico” collegato ad un diritto regionale della famiglia,
perché il contenuto dei percorsi di sostegno va modulato, così come si modificano le
opportunità di ridefinizione del tessuto sociale (in quest’ottica, per la verità, talvolta
anche un approccio regionale potrebbe non essere pienamente soddisfacente, attesa
la forte disomogeneità che caratterizza le diverse aree di alcune Regioni): cfr. T.
Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1586, nt. 12.
33
Avvalendosi dell’istituto, oggi disciplinato in via generale dall’art. 337-octies c.c.,
dell’ascolto, sul quale la bibliografia è molto ampia: si vedano L.A. Antonucci R. Cassibba - G. Castoro, La mitezza: saper parlare con un bambino, in Minorigiust.,
2015, 1, p. 166 ss.; F. Astiggiano, Ascolto del minore (infra)dodicenne pel procedimento
di adozione in appello, in Fam. dir., 2012, 3, p. 888 ss.; F. Tommaseo, Per una giustizia “a
misura del minore”: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in Fam. dir., 2012, 1, p. 37
ss.; F.R. Fantetti, La facoltà dell’ascolto del minore e la Convenzione di Strasburgo, in Fam.
pers. succ., 2010, 2, p. 353 ss.; G. Sergio, L’ascolto del minore e la giustizia, in Fam. dir.,
1999, 2, p. 590 ss.; G. Manera, Brevi osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del
minore nella procedura di adottabilità, in Dir. fam. pers., 1998, 3, p. 1383 ss.
34
M. Fiorini, Corsia preferenziale all’esigenza di garantire la continuità degli affetti, in Fam.
min., 2008, 9, p. 19 ss.
35
F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 169.
36
E. Battelli, L’adozione, in A. Macrillò (cur.), I diritti del minore e la tutela giurisdizionale,
Rimini, 2015, p. 249 ss.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
293
dell’art. 27, co. 3, l. 184/1983, “i rapporti dell’adottato verso la famiglia di
origine”37.
La prassi del Tribunale per i Minorenni di Bari si è, dunque, andata
consolidando negli anni, incontrando il favore di una parte degli interpreti, che in essa hanno visto un efficace tentativo di offrire un adeguato rimedio a tutte quelle situazioni – sempre più frequenti – di grave
disagio familiare non sfocianti in un abbandono del minore38.
3. Considerazioni e obiezioni nella prospettiva del best
interest of the child
Non può tuttavia sottacersi che la prassi dell’adozione mite abbia
suscitato anche una serie di serrate critiche39.
In particolare, innanzitutto, si contesta la prospettata interpretazione dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/1983, in quanto ritenuta “forzata”
e contraria allo spirito40 della legge, nonché foriera di un eccessivo
37
Attraverso la sentenza di adozione opera una fictio iuris, in forza della quale il diritto
considera il minore come se fosse stato generato dai genitori adottivi: cfr. C.M.
Bianca, Diritto civile, cit., p. 485. Deve a questo proposito segnalarsi come una parte
della giurisprudenza abbia optato per un’interpretazione restrittiva del richiamato
terzo comma dell’art. 27 l. 184/1983, a mente della quale dovrebbero cessare senz’altro
i rapporti giuridici tra famiglia di origine e adottato, ma non necessariamente quelli
interpersonali: nell’interesse del minore, previa la determinazione di particolari cautele
e la disponibilità e la collaborazione della famiglia adottiva, non sarebbe infatti preclusa
la conservazione di contatti con membri della precedente cerchia famigliare. Si parla
in tali casi di adozione aperta (che giuridicamente è e resta un’adozione legittimante,
distinguendosi in questo in modo netto dall’adozione mite, benché talvolta i due
sintagmi vengano confusi). Cfr. Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000, in Fam. dir., 2001,
1, p. 79 ss., con nota di A. Figone, Adozione legittimante e mantenimento di rapporti tra
minore e famiglia di origine; Trib. min. Roma, 16 gennaio 1999, in Dir. fam. pers., 2000, 1,
p. 144 ss.; App. Roma, 28 maggio 1998, ivi, 2001, 4, p. 1463 ss.; App. Torino, 3 febbraio
1994, ivi, 1995, 1, p. 152 ss.; Trib. min. Roma, 5 luglio 1988, ivi, 1990, 1, p. 105 ss. In
dottrina v. L. Lenti, Vicende storiche e modelli di legislazione in materia di adozione, in P.
Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, II. Filiazione2, Milano, 2012, p. 767 ss.
38
L. Laera, Chi ha paura dell’adozione mite?, in Minorigiust., 2007, 2, p. 151 ss.
39
F. Franco, Adozione mite: una “scorciatoia” giuridica o un istituto di nuovo conio?, in Il
Civilista, 2010, 6, p. 35 ss.; A. Scalisi, L’adozione mite: una prospettiva non necessaria, né
utile, in P. Cendon (cur.), www.personaedanno.it, 12 novembre 2008; F. Santanera,
Preoccupante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino, in Prosp. ass., 2008, n.
162; L. Fadiga, Adozione aperta sì o no?, ivi, 2008, n. 161; F. Santanera, L’adozione
mite: una iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della
magistratura, ivi, 2006, n. 154; Id., L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione, ivi,
2004, n. 147.
40
Affinché infatti possa verificarsi una “constatata impossibilità di affidamento
preadottivo” occorre che vi sia il presupposto per potersi procedere appunto
294
The best interest of the child
margine di discrezionalità giudiziaria, ritenendosi che, se già il confine fra abbandono e non abbandono si presenta nel concreto labile
(fatta salva l’ipotesi di scuola, o quantomeno residuale, del minore
orfano di entrambi i genitori e del tutto privo di parenti), il confine
fra abbandono, semi-abbandono e non abbandono diventerebbe oltre
misura sfuggente41.
In secondo luogo, l’adozione mite presenterebbe dei profili di criticità anche nei riguardi della famiglia di origine del minore, che si
vedrebbe espropriata del proprio ruolo (costituzionalmente garantito) ancorché non ricorrano le condizioni previste dalla legge per
la dichiarazione di adottabilità. Infatti, può essere pronunciata l’adozione particolare “anche quando non ricorrono le condizioni di cui
al comma 1 dell’articolo 7”42. Senza contare che, secondo l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa), essa potrebbe
dar luogo ad un pericoloso effetto collaterale: le famiglie in difficoltà
potrebbero essere particolarmente restie a chiedere la collaborazione
o l’aiuto di altre famiglie o dei servizi sociali, in quanto frenate dal
timore che l’affidamento potrebbe poi trasformarsi in adozione (sia
pure non legittimante), magari finendo per aggravare definitivamente e irrimediabilmente delle situazioni di disagio, alle quali sarebbe
all’affidamento preadottivo, vale a dire la dichiarazione di adattobilità del minore.
Ove invece il minore non sia stato dichiarato adottabile, il problema della possibilità
o meno dell’affidamento preadottivo neppure si pone: in questo senso, ad esempio,
G. Collura, L’adozione in casi particolari, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di
famiglia, cit., p. 951 ss. Inequivocabilmente, la Corte di Cassazione, nella sentenza
27 settembre 2013, n. 22292, così si esprime: “In tema di adozione in casi particolari,
il presupposto per l’adozione di cui all’art. 44, primo comma, lett. d), della legge 4
maggio 1983, n. 184, va individuato nella impossibilità di affidamento pre-adottivo,
nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti
all’adozione legittimante, e non a quella del contrasto con l’interesse del minore,
essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione”.
41
A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 311 ss.
42
M. Dogliotti, Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali della
riforma del 2001, finalmente operative, in Fam. dir., 2009, p. 428, ritiene che sia “un
pregiudizio da superare quello secondo cui nell’adozione in casi particolari non
c’è lo scioglimento totale dei legami con la famiglia di origine. Dal punto di vista
sostanziale, infatti l’adozione in casi particolari ha effetti notevolissimi rispetto
ad essa: si aggiunge il cognome dell’adottante, la potestà dei genitori è esercitata
dagli adottanti, è vero, non si sciolgono i legami, ma il genitore d’origine rimane
estromesso, non ha possibilità di controllo: persino se cessa la potestà dell’adottante,
non automaticamente rivive la potestà del genitore d’origine, ma è necessario un
provvedimento del tribunale per i minorenni. Quindi gli effetti dell’adozione
cosiddetta, “mite”, se sono più limitati rispetto a quelli dell’adozione legittimante,
sono comunque estremamente, “forti” e “gravi””.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
295
stato invece possibile trovare una soluzione se si fosse intervenuti
con la giusta solerzia43.
In terzo luogo, l’adozione mite, si rivelerebbe frustrante nei confronti delle famiglie che aspirano ad adottare pienamente, perché
la sua espansione renderebbe gradualmente recessiva l’applicazione
dell’adozione legittimante44. Le famiglie affidatarie, dal canto loro,
sarebbero poste in una situazione di forte incertezza circa il proprio
ruolo, le proprie aspettative e la propria capacità educativa, non essendo in principio chiaro se il loro destino sia quello di ospitare il
minore per un periodo di tempo (più o meno) limitato, ovvero di
assurgere a punto di riferimento nel percorso formativo del minore
medesimo45.
Si porrebbe, inoltre, anche un problema di effettiva garanzia del
diritto di difesa, posto che il procedimento di adozione in presenza
di genitori o parenti che abbiano mantenuto rapporti significativi con
il minore permette a tutti i soggetti coinvolti di essere previamente
sentiti, sotto pena di nullità dell’intera procedura46. Nel caso dell’adozione mite essi finiscono invece per essere in qualche misura indotti a
prestare il loro assenso o ad astenersi, perché spinti dalla convinzione
che quella sia la migliore soluzione per il minore ovvero perché convinti di evitare un “male peggiore”, quale potrebbe essere l’adozione
legittimante47.
43
Ne dà atto T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1591, spec. nt. 23.
44
Ancora T. Montecchiari, loc. ult. cit. A tale critica potrebbe obiettarsi che nell’attuale
contesto normativo e interpretativo l’interesse delle aspiranti famiglie adottive non è
tutelabile in sé e per sé, ma solo in via strumentale alla soddisfazione del best interest of
the child. Sul punto, si osserva che “il nostro ordinamento conosce il diritto del figlio di
crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo
con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura e prima ancora - il suo diritto ad avere una famiglia e, dunque, ad essere adottato,
ove si trovi in stato d’abbandono. Non esiste, invece, un diritto dell’individuo ad
avere figli e, più segnatamente, un diritto ad adottare, che - anche nella sua teorica
postulazione - svilisce la posizione e la dignità del figlio, riducendo la sua persona
ad oggetto di un diritto altrui. Ciò significa che l’interesse giuridicamente rilevante
ad adottare, certamente configurabile, “può essere soddisfatto solo se e in quanto sia
adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato”” (così A. Morace
Pinelli, Per una riforma dell’adozione, in Fam. dir., 2016, 7, p. 722 s.)
45
L. Francioli, Adozione: realtà e prospettive, intervento alla Tavola rotonda del 23
novembre 2005.
46
Cass. civ., I, 10 ottobre 2000, in Arch. civ., 2000, p. 1339 ss.; Cass. civ., I, 18 marzo 1997,
n. 2404, in Giur. it., 1998, p. 445 ss.
47
F.F. Franco, Adozione mite, cit., p. 39.
296
The best interest of the child
Infine, si evidenzia come non appaia affatto evidente che l’adozione
mite garantisca pienamente l’interesse superiore del minore48: da un lato,
la presenza di una duplice famiglia potrebbe generare problemi circa l’identità del minore che, a fronte di una pluralità di figure genitoriali, potrebbe non recepirne totalmente alcuna49; dall’altro, si configurerebbe il
rischio di un doppio binario di modelli educativi, posto che questa specie
di adozione postula la conservazione di un rapporto vivo, valido e intenso non solo sul piano meramente giuridico50, con la famiglia di origine51.
4. Le prospettive
Deve comunque prendersi atto che l’adozione mite e il suo presupposto del “semi-abbandono” sono attualmente delle figure non conosciute
48
Significativo quanto affermato da E. Giacobbe, Adozione e affidamento familiare: ius
conditum, “vivens”, condendum, in Dir. fam. pers., 2016, 1, p. 254: “Detta adozione
[…] non rappresenta affatto il best interest of the child, ma viene concepita come il
“meglio che niente””. Da ultimo v. S. Sonelli, L’interesse superiore del minore. Ulteriori
“tessere” per la ricostruzione di una nozione poliedrica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 4,
p. 1373 ss.; M. Velletti, Interesse del minore e genitorialità, in Libro dell’anno del diritto
2018, Roma, Treccani, 2018, p. 3 ss.; G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del
minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss.; L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del
minore, in Riv. dir. civ., 2016, 1, p. 86 ss.; E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei
best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016.
49
Per tutti, sotto una molteplicità di profili, sul tema, di recente, si veda M.G. Stanzione,
Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015.
50
Si pensi al mantenimento del cognome del minore a seguito dell’adozione mite. Se
chiaramente nel caso dell’adozione legittimante è necessaria la sostituzione del
cognome, quale naturale effetto della soppressione del precedente legame familiare,
nell’adozione mite il minore può mantenere il proprio cognome, anteponendolo o
aggiungendolo a quello dell’adottante: ciò in applicazione di un principio generale
di cui all’art. 33 d.P.R. 396/2000 (che ha recepito quanto affermato da Corte Cost.,
23 luglio 1996, n. 297, in Fam. dir., 1996, 1, p. 412). Deve peraltro segnalarsi come
una delle obiezioni mosse all’adozione mite (da F. Santanera, L’adozione mite: come
svalorizzare la vera adozione, cit.), ovverosia che la possibilità di avere il doppio cognome
sarebbe stato un “segno di riconoscimento” dello status di figlio adottivo (possibilità
invece scongiurata in caso di adozione piena), sia oggi venuta meno a seguito della
nota sentenza della Corte Costituzionale che consente di trasmettere ai figli anche il
cognome materno, tale per cui il doppio cognome è ormai un’ipotesi ordinaria.
51
T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1592. V. anche L. Gennaro, Ancora
sull’adozione cd. mite, in Dir. fam. pers., 2010, 1, p. 502: “l’“adozione mite”, consentendo
il mantenimento del rapporto con la famiglia di origine, può essere causa di
ambiguità relazionali, che si rifletteranno sull’armonico sviluppo della personalità
dell’adottato, e di interferenze, da parte dei genitori biologici, che potranno turbare,
anche gravemente, la serenità della famiglia adottante, situazioni tutte previste ed
evitate dall’adozione legittimante attraverso l’elisione di ogni legame, il divieto di
fornire notizie, informazioni o certificazioni, estratti o copia dai quali possa risultare
il rapporto di adozione, nonché il segreto sull’identità dei genitori biologici, con le
limitazioni ed i contemperamenti di cui all’art. 28 l. n. 184/1983 - art. 24 l. n. 149/2001”.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
297
dalla legislazione vigente e che tutte le iniziative parlamentari volte a dar
loro una dignità normativa non sono giunte a destinazione52.
Gli istituti che gli operatori hanno a disposizione per fronteggiare
le diverse situazioni di disagio familiare restano pertanto l’affidamento
familiare, l’adozione in casi particolari (che ha un campo di applicazione ben circoscritto e residuale53) e l’adozione legittimante.
La realtà è tuttavia innegabilmente più complessa e più variegata
rispetto alla rappresentazione avutane dal legislatore: gli affidi senza
termine (o a termine ampiamente superiore di quello legalmente previsto) esistono e sono molto numerosi.
Non può dunque prescindersi dall’offrire una risposta anche a
quelle situazioni che non sono meno problematiche solo perché non
risultano contemplate dalle previsioni di legge54.
Vi è chi ritiene che, anche sulla base del fondamento sovranazionale,
dovrebbe procedersi ad una modifica legislativa che riconosca l’adozione mite55: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti recentemente
condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 8 della Convenzione, a seguito della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore senza aver preventivamente messo in atto alcuna misura volta a
favorire il mantenimento del legame fra il genitore e il minore stesso56.
In tale circostanza, la Corte di Strasburgo non ha mancato di far
presente che essa fosse “ben consapevole del fatto che il rifiuto da parte
dei tribunali di pronunciare un’adozione semplice risulta dall’assenza
52
C.M. Bianca, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Jus civile, 2018, 1, p. 5 ss.
53
A differenza di altri ordinamenti, come ad esempio quello francese, ove l’adoption
simple non è concepita come una deroga alla regola generale dell’adoption plénière,
ma ha un suo autonomo campo di applicazione: P. Malaurie - L. Aynès, Droit de
la famille6, LGDJ, Paris, 2018, p. 643 ss.; A. Bénabent, Droit de la famille4, LGDJ, Paris,
2018, p. 417 ss.
54
J. Long, I confini dell’affidamento familiare e dell’adozione, in Fam. dir., 2007, 6, p. 1432 ss.
55
A. Morace Pinelli, Per una riforma dell’adozione, cit., p. 728.
56
Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia, cit., p. 278, ove viene affermato “che la
necessità fondamentale di preservare per quanto possibile il legame tra la ricorrente
– che si trovava peraltro in situazione di vulnerabilità – e il figlio non sia stata
debitamente presa in considerazione. Le autorità non hanno messo in atto misure
volte a preservare il legame familiare tra la ricorrente e il figlio e di favorirne lo
sviluppo. Le autorità giudiziarie si sono limitate a prendere in considerazione alcune
difficoltà, che avrebbero potuto essere superate per mezzo di un’assistenza sociale
mirata. La ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di riallacciare dei legami con il
figlio: di fatto, i periti non hanno valutato le possibilità effettive di un miglioramento
delle capacità della ricorrente di occuparsi del figlio, tenuto conto anche del suo
stato di salute”.
298
The best interest of the child
nella legislazione italiana di disposizioni che permettano di procedere
a questo tipo di adozione”, ma che ciononostante “alcuni tribunali italiani avevano pronunciato, per mezzo di una interpretazione estensiva
dell’articolo 44 d), l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era
abbandono” (§ 60)57.
L’argomento potrebbe provare troppo: è vero che sussiste un obbligo convenzionale (vincolante ai sensi dell’art. 117, co. 1, Cost.) di
offrire un adeguato strumento di tutela a queste situazioni, ma da ciò
non può automaticamente dedursi che l’adozione mite sia l’unico strumento idoneo allo scopo58.
Vi è infatti chi propone una soluzione alternativa, data dal rafforzamento dell’istituto dell’affidamento, regolando anche l’ipotesi nella quale
esso sia – almeno potenzialmente – idoneo a protrarsi sino al raggiungimento della maggiore età dell’affidato, senza che vengano a sovrapporsi
più legami familiari, attribuendo magari un maggior potere agli affidatari rispetto a quello loro spettante nel caso di affido temporaneo59.
D’altra parte, la prassi dell’adozione mite si è sviluppata soltanto
nel distretto barese, mentre gli affidi che superano il termine stabilito
dalla legge sono diffusi – ancorché non omogeneamente – su tutto il
territorio nazionale60, anche perché la proroga di siffatto termine, sebbene di certo illecito ove avvenga sostanzialmente in automatico e senza un’attenta valutazione dell’interesse del minore, rappresenta una
forzatura molto meno evidente del sistema61.
57
Su questa pronuncia si veda A. Pasqualetto, L’adozione mite al vaglio della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo tra precedenti giurisprudenziali e prospettive de jure condendo, in
Nuova giur. civ. comm., 2015, 2, p. 155 ss.; F. Occhiogrosso, Con la sentenza Cedu Zhou
contro l’Italia l’adozione mite sbarca in Europa, in Minorigiust., 2014, 1, p. 268 ss.
58
Contra A. Pasqualetto, op. cit., p. 162, secondo la quale l’adozione mite sarebbe stata
“in un qualche modo imposta” dalla Corte di Strasburgo.
59
M. Dogliotti, Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali della
riforma del 2001, finalmente operative, cit., p. 428; Id., Adozione legittimante e adozione
mite, affidamento familiare e novità processuali, in Prosp. ass., 2009 n. 165. Si rammenti tra
l’altro come un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità
riconosca agli affidatari il diritto di opporsi alla dichiarazione di adottabilità del
minore: Cass. civ., I, 10 giugno 1996, n. 5351, in Fam. dir., 1996, 2, p. 584 ss.; Cass. civ.,
I, 20 novembre 1989, n. 4956, in Giust. civ. 1990, I, p. 678 ss.; Cass. civ., I, 10 gennaio
1979, n. 164, ivi, 1979, 3, I, p. 9 ss.
60
Cfr. il documento approvato dalla Commissione Parlamentare per l’infanzia nella
seduta del 27 ottobre 2004 a conclusione dell’indagine conoscitiva deliberata nella
seduta del 15 maggio 2003 su adozioni e affidamento, p. 16 (consultabile al seguente
link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/121350.pdf).
61
La Corte di Cassazione ammette pacificamente, del resto, la prorogabilità del termine
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
299
Potrebbe allora essere opportuno riconoscere anche dal punto di
vista normativo ciò che per necessità si è affermato nella prassi: anzi,
forse ciò si rivelerebbe ancor più conforme alla giurisprudenza sovranazionale, che impone di non elidere il vincolo parentale ove ciò non si
riveli assolutamente necessario62.
È vero, tuttavia, che l’adozione mite formalmente non lo elide, ma
è altrettanto vero – come si è già rilevato – che sostanzialmente la posizione del genitore biologico viene ad essere molto ridimensionata, se
non addirittura mortificata63.
Non ci si può allora esimere dalla predisposizione e dall’attuazione
del miglior rimedio possibile che garantisca la tutela dei diritti di tutti
i soggetti coinvolti in una vicenda di disagio familiare e sociale64: le
malaugurate carenze di risorse che impediscano ai Servizi di svolgere
pienamente le loro funzioni di supporto e di assistenza non devono
infatti riversarsi a carico di coloro che sono più in difficoltà65.
Bibliografia
Antonucci L.A. - Cassibba R. - Castoro-G., La mitezza: saper parlare con un
bambino, in Minorigiust., 2015, 1, p. 166 ss.
Astiggiano F., Ascolto del minore (infra)dodicenne pel procedimento di adozione in
appello, in Fam. dir., 2012, 3, p. 888 ss.
Battelli E., Conflittualità familiare e adozione, in Il minore nel conflitto genitoriale.
Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili, Milano,
2016, p. 391 ss.
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Baviera I., L’adozione speciale, Milano, 1968
Bénabent A., Droit de la famille4, Paris, 2018, p. 417 ss.
per tutto il tempo necessario a soddisfare nel miglior modo possibile l’interesse del
minore: Cass. civ., SS.UU., ord. 9 dicembre 2008, n. 22875, in Fam. pers. succ., 2009,
3, p. 702 ss., con nota di F. Tedioli, Affidamento temporaneo di minore e conflitto di
competenza.
62
G. Ferrando, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, in Fam. dir., 2010, 3, p. 1174 ss.
63
A. Proto Pisani, Sulla c.d. giustizia minorile “mite”, in Foro it., 2010, V, p. 303 ss.
64
Per approfondimenti M. Ruotolo, Sicurezza, dignità e lotta alla povertà. Dal diritto alla
sicurezza alla sicurezza dei diritti, Napoli, 2012.
65
La giurisprudenza più recente è oggetto di analisi da parte di C.M. Bianca, Quando
possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, nota a Cass. sez. I civ.
14 febbraio 2018, n. 3594; Cass. sez. I civ. 19 gennaio 2018, n. 1431, in Il Foro italiano,
2018, 3, pt. 1, p. 817 ss.
300
The best interest of the child
Bessone M. - Ferrando G., Adozione ordinaria, in Noviss. dig. it., App. I, Torino,
1980, p. 79 ss.
Bianca C.M. - Rossi Carleo L. (cur.), Adozione nazionale. Commentario alla legge
28 marzo 2009, n. 149, in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 908 ss.
Bianca C.M., Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149 - Modifiche alla l. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”,
nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) - Commento alla l. 28 marzo
2001, n. 149 (Adozione nazionale). Titolo I - Diritto del minore alla propria famiglia. Art. 1 commi 1, 2 e 4, in Nuove leggi civili comm., 2002, 4-5, p. 909 ss.
Bianca C.M., Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 363
Bianca C.M., La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1, p. 1 ss.
Bianca C.M., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo
all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, 1-2, p. 3 ss.
Bianca C.M., Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Jus civile, 2018,
1, p. 5 ss.
Bianca C.M., Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, nota a Cass. sez. I civ. 14 febbraio 2018, n. 3594 e 19 Gennaio 2018, n.
1431, in Foro it. 2018, 1827 e ss.
Bianca C.M., Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore
di crescere nella sua famiglia, in commento a Cass., Sez. Un. Civ., 30 giugno
2016, n. 13435, in Il Foro italiano, 2017, 10, pt. 1, p. 3171 ss.
Bianca C.M., Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia, 2012, p. 238 ss.
Bianca M., Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ. comm.,
2013, p. 507 ss.
Caffarena S., L’adozione “mite” e il “semiabbandono”: problemi e prospettive, in
Fam. dir., 2009, 4, p. 398 ss.
Cattaneo G., voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987
Cattaneo G., voce Affidamento di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987
Collura G., L’adozione in casi particolari, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di
famiglia, II. Filiazione2, Milano, 2012, p. 951 ss.
Corapi G., La tutela dell’interesse superiore del minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss.
Dogliotti M., Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali
della riforma del 2001, finalmente operative, in Fam. dir., 2009, p. 428
Dogliotti M., Adozione legittimante e adozione mite, affidamento familiare e novità
processuali, in Prosp. ass., 2009 n. 165.
Dogliotti M., Affidamento e adozione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1990
Dogliotti, voce Adozione (in generale), in Enc. giur., Agg., Treccani, Roma, 2003
Fadiga L. (cur.), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo
Carlo Moro, Milano, 2006.
Fadiga L., Adozione aperta sì o no?, in Prosp. ass., 2008, n. 161
Fantetti F.R., La facoltà dell’ascolto del minore e la Convenzione di Strasburgo, in
Fam. pers. succ., 2010, 2, p. 353 ss.
L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità
301
Ferrando G., I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, in Fam. dir., 2010, 3, p.
1174 ss.
Figone A., Adozione legittimante e mantenimento di rapporti tra minore e famiglia di
origine, in Fam. dir., 2001, 1, p. 79 ss.
Fioravanti C.D., Ancora sui presupposti dello stato di abbandono nell’adozione dei
minori, in Fam. dir., 2001, p. 45 ss.
Fiorini M., Corsia preferenziale all’esigenza di garantire la continuità degli affetti, in
Fam. min., 2008, 9, p. 19 ss.
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Condizioni di indigenza dei genitori e diritto
del minore di crescere nella propria famiglia
Clorinda Ciraolo
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il diritto del minore di crescere nella propria
famiglia. – 2. Gli aiuti alla famiglia indigente. – 3. Necessità di nuovi
interventi legislativi.
1. Premessa
Mirzia Bianca, che ringrazio sentitamente unitamente a tutti gli organizzatori del Convegno, mi ha affidato una relazione su un tema particolarmente caro al Maestro, Professor Cesare Massimo Bianca, da sempre giurista protagonista dell’evoluzione del diritto di famiglia e del
diritto civile minorile.
Non mi soffermo su tutto l’impareggiabile lavoro svolto dal Professor
Bianca, come Presidente della Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia1.
Devo, però, ricordare l’impegno con il quale Egli promuove l’emanazione di una normativa che attribuisca reale tutela all’interesse del
minore di crescere nella propria famiglia, nonostante le condizioni di
indigenza dei genitori: le fondamentali pagine del volume dedicato
alla famiglia2 e i suoi ben noti saggi pubblicati su riviste3 e volumi col1
V., Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti
la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica della relativa disciplina,
presieduta dal Prof. C.M. Bianca (“Commissione Bianca”), Relazione conclusiva, in
http://www.ilcaso.it/documenti/118.pdf.
2
C.M. Bianca, 2.1 La famiglia, Milano, 2017, p. 369 s.
3
C.M. Bianca, Abbandono del minore e diritto di crescere in famiglia: spunti in tema di
adozione speciale, in Giust. civ., 1980, p. 178 ss.; Id., Le condizioni di indigenza dei genitori
non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in
Giust. civ., 2001, parte II, p. 429 ss.; Id., La revisione normativa dell’adozione, in Familia,
304
The best interest of the child
lettanei4 rappresentano soltanto una parte del contributo dato al tema.
La constatazione che l’interesse del minore a crescere nella propria
famiglia non è assistito da idonei dispositivi satisfattivi stimola non
soltanto la riflessione del Prof. Bianca su possibili tecniche concretamente realizzative dell’interesse, ma anche la fattiva partecipazione
dello stesso alle indagini conoscitive sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido, con l’obiettivo
di ottenere l’introduzione nel sistema di norme a garanzia dell’effettività di un diritto da troppo tempo soltanto solennemente proclamato5.
2. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia
Nella legislazione nazionale l’interesse del minore di crescere nella
propria famiglia trova espresso riconoscimento e tutela – come noto – con
la legge n. 149 del 20016. L’articolo 1 di tale legge inserisce nelle norme in
materia di adozione e affido, una regola particolarmente significativa per
la tutela della vita familiare del minore. La disposizione non si limita a riconoscere al minore il diritto di crescere nella propria famiglia, ma precisa pure che le condizioni di indigenza dei genitori non possono condurre
alla negazione e cancellazione del diritto, rappresentando piuttosto un
2001, p. 525 ss.; Id., La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla riforma del diritto
di famiglia, in Dir. fam. per., 2006, p. 207, spec. p. 214-215; Id., Il diritto del minore di
crescere nella propria famiglia: un diritto ancora alla ricerca della propria identità e tutela,
in Minorigiustizia, 2008, p. 27 ss.; Id., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono
essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, p.
3 ss.; Id., Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere
nella sua famiglia, in Foro it., 2017, p. 3171 ss.; Id., Quando possiamo togliere legittimamente
un bambino alla sua famiglia?, in Foro it., 2018, p. 817 ss. Per altri riferimenti, v. nota 7.
4
Da ultimo, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Complessità e integrazioni
delle fonti nel diritto privato in trasformazione, Convegno in onore di Vincenzo Scalisi,
Messina 27-28 maggio 2016, Milano 2017, p. 155 ss.
5
V., Camera dei deputati, Indagine conoscitiva, XVII legislatura — II Commissione
— Seduta del 23 Maggio 2016, in http://www.camera.it/leg17/1102?id_
commissione=0&shadow_organo_parlamentare=0&sezione=commissioni&tipoDo
c=elencoResoconti&idLegislatura=17&tipoElenco=indaginiConoscitiveCronologico
&calendario=false&breve=c02_adozioni&scheda=true.
6
Il testo originario dell’art. 1, con il quale si apriva il titolo I, “Dell’affidamento dei
minori”, della l. n. 184 del 1983, si limitava ad affermare il diritto del minore “di
essere educato nell’ambito della propria famiglia”; la stessa disposizione, ora riformulata,
introduce, tra i “Principi generali” anche il “diritto di crescere” nella famiglia naturale,
diritto divenuto anche titolo della legge sull’adozione. Ad avviso di P. Morozzo
Della Rocca, Adozione, in Digesto disc. priv., agg. II, Torino, 2003, (per la pagina v.
nota 25) si tratta di principio “già fortemente scontato”, in sede giurisdizionale.
Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia
305
impedimento da rimuovere con «idonei» interventi di sostegno e di aiuto dello Stato, delle Regioni e degli enti locali7.
La finalità di siffatta tutela emerge ormai con chiarezza dall’art. 315
bis c.c. La norma evidenzia, invero, come il diritto dei figli di crescere
in famiglia (ormai protetto, su piano generale, dal medesimo art. 315
bis, comma 2, c.c.) è legato al diritto dei figli stessi di ricevere “assistenza morale” dai genitori (art. 315 bis, comma 1, c.c.) e di mantenere rapporti significativi con i parenti (art. 315 bis, comma 2, c.c., ult. inciso).
Il diritto del figlio di crescere in famiglia tende, così, a garantire il
concreto godimento delle cure amorevoli dei genitori8 e dell’affetto dei
parenti9.
7
Osserva, C.M. Bianca, Audizione, cit.: “Il diritto del minore a una famiglia vuol dire,
anzitutto, diritto del minore a non essere tolto dalla sua famiglia. Si tratta di un diritto
che va tenuto presente tutte le volte in cui si opta facilmente per la soluzione di
collocare il minore al di fuori della sua famiglia.” V., pure, C.M. Bianca, Le condizioni
di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla
propria famiglia, cit., p. 429 ss.; Id., La revisione normativa dell’adozione, cit., p. 525 ss.; Id.,
Sub art. 1 (commi 1°, 2° e 4°), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario, Titolo
I. Diritto del minore alla propria famiglia, in N.L.C.C., 2002, p. 909 ss.; M. Gorgoni, Sub
art. 1 (comma 3°), ibidem, p. 914 ss.; F. Giardina, Sub art. 1 (comma 5°), ibidem, p. 922
ss.; A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Commento alla
nuova disciplina (l. 28 marzo 2001, n. 149 e d.l. 24 aprile 2001, n. 150), Milano, 2001, p. 15
s.; G. Sciancalepore, Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino Stanzione,
Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149, Milano 2001, spec. p. 30
ss.; Id., Il diritto del minore alla propria famiglia (note a margine della l. 28 marzo 2001, n.
149), in R. Favale - B. Marucci, Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, Napoli,
p. 735 ss. In giurisprudenza, v., ex multis, Cass. 30 giugno 2016, n. 13435, punto 5.6,
in Foro it., 2016, I, p. 2319 ss., con nota di G. Casaburi, La revocabilità delle sentenze
(della Cassazione) di adottabilità dei minori tra giudici supremi interni e sovranazionali: le
«liaisons dangereuses», nonché in Famiglia e dir., 2017, p. 319 ss., con nota di A. Figone,
Accertamento dello stato di abbandono e revocazione di sentenze della Cassazione. La sentenza
afferma “il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile,
con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, sancito dalla
l. n. 184 del 1983, art. 1, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di
adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto
essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono - la
cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della
Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come “extrema ratio” a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale
inadeguatezza”. Sul punto, cfr., C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione sul
diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, cit.
8
V., C.M. Bianca, 2.1. La famiglia, cit., p. 367. Ivi, l’A. chiarisce che la riforma della
filiazione ha enunciato il diritto del figlio all’assistenza morale, intendendo “sancire
il diritto del figlio ad essere amato dai suoi genitori. Assistere moralmente il figlio
significa infatti averne cura amorevole”; P. Spaziani, Il diritto all’assistenza morale
(art. 315 bis, come inserito dall’art. 1, comma 8, l. n. 219/2012) in C.M. Bianca (cur.), La
riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 67 ss.
9
Considerata l’importanza dei sentimenti affettivi derivanti da vincoli di sangue
306
The best interest of the child
Una lettura unitaria delle disposizioni fin qui menzionate consente, pertanto, di ritenere che ai figli non possa essere sottratto l’amore
dei familiari in generale e dei genitori in particolare, neppure al benemerito fine di conseguire migliori condizioni di vita materiale. Tali
condizioni, quantomeno nella misura valutata necessaria per una vita
dignitosa, possono e devono raggiungersi con un sistema di aiuti che
impegna la solidarietà familiare ed extrafamiliare.
per un’armoniosa crescita del minore, la giurisprudenza, anche in assenza di una
specifica norma intesa a tutelare siffatti sentimenti, aveva escluso che si potesse
vietare ai nonni ogni rapporto con i nipoti, senza un plausibile motivo relativo
al preminente interesse dei nipoti stessi. V., Trib. Messina, decr. 19 marzo 2001,
in Dir. fam. pers, 2001, p. 1522 ss. e, con riferimento all’ipotesi di intervenuta
separazione tra i genitori, Cass., 25 settembre 1998, n. 9606. In dottrina, v., M.
Bianca, Il diritto del minore all’«amore» dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, p. 155 ss.
L’interesse del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti viene
poi espressamente tutelato dall’art. 155 c.c., come modificato dalla l. n. 54/2006, ma
in ipotesi di separazione dei genitori. V., App. Milano, 11 febbraio 2008, in Fam.
dir., 2008, p. 357, con nota adesiva di F. Panuccio Dattola, Rapporti significativi e
presenza affettiva dei nonni. Con la riforma della filiazione, l’interesse del minore a
mantenere rapporti significativi con i parenti e specialmente con i nonni è tutelato
non soltanto in ipotesi di separazione dei genitori (art. 337 bis c.c.) ma sul piano
generale (art. 315 bis). V., P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia,
in La riforma della filiazione, cit., p. 125 ss. Sulla speculare posizione dei nonni (art.
317 bis c.c.), v., P. Corder, Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis,
come modificato dall’art. 42 del d. lgs. n. 154 del 2013), in La riforma della filiazione,
cit., p. 95 ss. V. pure, Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, punto 4, (in Ilfamiliarista.
it, 12 novembre 2018, con nota di R. Russo). La sentenza riconosce il diritto di
instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni non solo ai
soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente,
“ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia
esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare
con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo
posa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico”. Il diritto degli ascendenti, tuttavia – v., Cass., 25 luglio 2018, n. 19779,
punto 2.2.1, in Ilfamiliarista.it, 9 ottobre 2018, con nota di S.A.R. Galluzzo – può
considerarsi “un diritto pieno esclusivamente nei confronti del terzi; costituisce,
invece, una posizione soggettiva recessiva di fronte al preminente interesse dei
nipoti minorenni, che è, in ogni caso, destinato a prevalere”. In dottrina, v., G.
Ballarani - P. Sirena, Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti
con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in M. Bianca (cur.), Filiazione,
Commento al decreto attuativo, Milano 2014, p. 151. Sulla tutela dei legami affettivi
tra fratelli e sorelle e sul diritto degli stessi di essere collocati presso il medesimo
genitore, in caso di separazione personale dei coniugi, v., Cass., 24 maggio 2018,
n. 12957, punto 8 (in Quotidiano giuridico, 30 maggio 2018, con nota di S. Guoli,
Separazione: fratelli e sorelle devono restare insieme, in Guida al diritto, 28 luglio 2018,
fasc. 32, p. 41 s., con nota di M. Finocchiaro, Deroga possibile solo se è dimostrato
un grave pregiudizio) e Cass., 17 maggio 2019, n. 13409, punti 6-7, in Dejure. Sulla
salvaguardia del vincolo tra fratelli, v., anche, C. eur. Pontes/Portogallo, ricorso n.
19554/09, 10 aprile 2012.
Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia
307
3. Gli aiuti alla famiglia indigente
La contribuzione di ciascuno dei componenti della famiglia, anche
dei figli maggiorenni e conviventi, al soddisfacimento dei bisogni degli altri familiari [tra i quali, naturalmente, rientrano fratelli e sorelle
minori, (art. 315 bis, comma 4)], il concorso degli ascendenti, quando
i genitori non hanno mezzi sufficienti, negli oneri di sostentamento
dei discendenti (art. 316 bis, comma 1)10 e perfino l’obbligo dei fratelli
e delle sorelle maggiorenni e non conviventi di prestare gli alimenti nella misura occorrente a coprire anche le spese per l’educazione e
l’istruzione del minore (artt. 433 e 439 c.c.), rappresentano altrettanti
strumenti per raggiungere un livello di vita materiale accettabile pur
se non ottimale11.
L’inesistenza o l’insufficienza di provvidenze familiari adeguate,
però, non sottrae, almeno in linea teorica, forza realizzativa all’interesse del minore di crescere nella propria famiglia; muta piuttosto il
comportamento dovuto dallo Stato e dalle altre istituzioni pubbliche:
al dovere negativo di non ingerenza nella vita familiare si aggiunge, in
tal caso, l’obbligo positivo di fornire ai genitori i mezzi per un idoneo
sostentamento dei figli12.
Così, dispongono la Costituzione, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il già citato art. 1 della l. n. 184/83 come modificato dalla l. n. 149/2001, e così dovrebbe essere a mente della legge
quadro n. 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Il diritto dei genitori di ricevere dalla società civile quanto occorre
perché sia assicurata la permanenza dei figli nella famiglia esige, peraltro,
10
V., Trib. Pescara, 13 aprile 2015, in Ilfamiliarista.it, 24 luglio 2015. La sentenza chiarisce
che l’insufficienza di mezzi deve essere accertata con riferimento ad entrambi i
genitori. L’obbligazione degli ascendenti è pertanto sussidiaria rispetto a quella
primaria dei genitori, e non opera quando uno di essi è inadempiente e l’altro sia
in grado di mantenerli. In tal senso, v., anche, Cass., 30 settembre 2010, n. 20509, in
Fam. dir., 2011, p. 467 ss., con il commento di E. Morganti, Il concorso degli ascendenti
negli oneri di mantenimento della prole. La sentenza interpreta l’art. 148 c.c.; il d. lgs.
154/2013 ha trasferito il contenuto della disposizione nel nuovo art. 316 bis c.c. senza
modificarne il testo, cosicché i principi già espressi con riferimento all’art. 148 c.c.
conservano integra la propria importanza.
11
V., C.M. Bianca, 2.1. La famiglia, cit., p. 544. L’A. sottolinea come “anche tra fratelli
e sorelle gli alimenti sono comunque dovuti nella misura che consenta una vita
dignitosa”.
12
Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia è, infatti, un diritto
fondamentale. V., C.M. Bianca, 2.1 La famiglia, cit., p. 369.
308
The best interest of the child
interventi delle istituzioni pubbliche concretamente adeguati, tali, dunque, da consentire il ripristino di un ambiente familiare idoneo. Non è
senza significato che l’art. 2 della l. n. 184/83 subordina l’affidamento familiare non al mancato conseguimento di un ambiente familiare idoneo
tout court, ma al mancato conseguimento di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno “disposti” e, dunque, realmente messi a disposizione dei genitori dalle istituzioni pubbliche.
Eppure, una tutela tanto vigorosa rischia di apparire vuota enunciazione normativa.
Una proposizione incidentale dell’art. 1 della l. n. 184/83 sembra
trasformare il comportamento dovuto dallo Stato, dalle Regioni e dagli
Enti locali in una condotta discrezionale da adottare “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”, e, pertanto, delle risorse finanziarie
previste, se previste, in bilancio.
Così, le risorse finanziarie mancano sempre o quasi sempre; le condizioni di indigenza non consentono ai genitori di provvedere adeguatamente alla crescita e all’educazione dei propri figli; e i figli vengono
allontanati dalla propria famiglia, in applicazione degli istituti previsti
dalla legge n. 184.
Ed è sempre in agguato anche il rischio di un provvedimento adottato in via d’urgenza dalla pubblica autorità, ai sensi dell’art. 403 c.c.,
motivato, magari, dalla circostanza che tale minore è allevato in «locali
insalubri», anche se l’espressione è tanto generica da poter essere riferita a tutte le abitazioni malandate in cui vivono, loro malgrado, le
famiglie povere13.
Questo stato dell’arte, non degno di una società civile, viene periodicamente stigmatizzato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. La
Corte non perde occasione per ribadire che le autorità devono adottare misure concrete per permettere al minore di vivere con i genitori,
specificando – da ultimo con la sentenza Barnea e Caldararu c. Italia14
13
Va, altresì, ricordato che l’art. 2 della legge 184 ammette, in caso di necessità
e urgenza, un affidamento disposto senza porre in essere gli interventi di cui
all’articolo 1, commi 2 e 3. Per quanto la necessità e l’urgenza dovrebbero ravvisarsi
soltanto quando siano accertati maltrattamenti, violenze o abusi sui minori e, cioè,
soltanto quando i genitori appaiono ictu oculi veramente indegni, non vi alcuna
certezza giuridica che la disposizione venga applicata soltanto in casi eccezionali.
14
C. eur., 22 giugno 2017, ricorso n. 37931/15, § 72, (trad. it., in https://www.giustizia.
it/giustizia/it/mg_1_20.wp). Nello stesso senso, C. eur., 18 dicembre 2008, ricorso
n. 39948/06, Saviny c. Ucraina, § 57, e 18 giugno 2013, ricorso n. 28775/12, R.M.S. c.
Spagna, § 86. Sulla necessità che le autorità assicurino una particolare protezione
Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia
309
– che è compito delle autorità pubbliche aiutare le persone in difficoltà,
consigliarle sui diversi tipi di sussidi sociali disponibili, informarle sulla possibilità di ottenere un alloggio sociale o altri mezzi per superare
le difficoltà.
Non si può, tuttavia, non osservare che la Corte, quando ravvisa
una violazione dell’art. 8 Cedu, condanna sì lo Stato, ma spesso quantifica il danno morale da risarcire ai familiari, con molta, forse troppa prudenza e oculatezza. L’esiguità di tali somme, a volte inferiori
a quelle liquidate, sempre a titolo di danno morale, per la violazione
dell’art. 1, prot. n. 1, in materia di proprietà15, per quanto giustificata
dalla necessità di evitare la trasformazione della sofferenza dei figli e
dei genitori in una ragione di profitto, ingenera il timore di una esecrabile assimilazione tra la sofferenza causata dalla illegittima perdita
del diritto di proprietà su un bene e quella provocata dalla illegittima
privazione del rapporto con i propri figli.
Una maggiorazione delle somme dovute a titolo di risarcimento
del danno morale per la violazione del diritto alla vita familiare potrebbe, oltretutto, sollecitare, almeno indirettamente, l’introduzione di
più soddisfacenti dispositivi di attuazione dell’interesse del minore di
crescere nella propria famiglia.
4. Necessità di nuovi interventi legislativi
L’interesse del minore di crescere nella propria famiglia richiede,
invero, interventi in una pluralità di direzioni.
È necessario anzitutto un regolamento di attuazione dell’art. 1 della
legge n. 184 che contenga, oltre a norme di dettaglio sulla natura e sulla
funzione delle misure di aiuto alla famiglia indigente, anche l’indicazione dei criteri e degli standard minimi di assistenza. È necessario,
altresì, prevedere – come suggerisce il Prof. Bianca16 – l’istituzione di
alle famiglie in difficoltà, v., C. eur., 13 gennaio 2009, ricorso n. 33932/06, Todorova
c. Italia, § 75; 19 febbraio 2013, ricorso n. 1285/03, B. c. Romania (n. 2), §§ 86 e 114;
21 gennaio 2014, ricorso n. n. 33773/11, Zhou c. Italia, § 58; 16 luglio 2015, ricorso n.
9056/14, Akinnibosun c. Italia, § 82; 16/02/2016, ricorso n. 72850/14, Soares de Melo
c. Portogallo, § 106.
15
Cfr., C. eur., 6 marzo 2007, ricorso n. 43662/98, Scordino c. Italia (violazione dell’art.
1, prot. n. 1), che riconosce 10.000 € per il danno morale subito da ciascuno dei
ricorrenti e C. eur., 22 giugno 2017, ricorso n. 37931/15, cit., (violazione dell’art. 8
Cedu) che riconosce complessivi 40.000 € per il danno morale subito da 6 ricorrenti.
16
C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo
310
The best interest of the child
un fondo nazionale di solidarietà che consenta agli enti locali di assolvere la funzione assistenziale in favore dei minori, un fondo nel quale
esistano risorse sufficienti a coprire i bisogni delle famiglie in difficoltà.
In questo modo si renderebbe ancor più significativa la disposizione
dell’art. 79 bis della legge n. 184 che impone ai giudici di segnalare ai
Comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono
interventi di sostegno per mantenere ed educare il minore nella famiglia. La disposizione, in presenza soprattutto di un fondo sociale adeguato, potrebbe stabilire un circuito virtuoso negli interventi pubblici.
La segnalazione dei giudici stimolerebbe l’intervento del Comune e il
Comune, sollecitato dall’autorità giudiziaria e non più scagionato dalla
mancanza di fondi, incorrerebbe finalmente in responsabilità in caso
di inadempimento totale o parziale dell’obbligo previsto dalla legge n.
184; l’autorità giudiziaria, a sua volta, non potrebbe né disporre affidamenti familiari, né tanto meno dichiarare l’adottabilità del minore, prima di aver accertato che l’aiuto, sebbene serio e adeguato, non ha raggiunto l’obiettivo di assicurare al minore un ambiente familiare idoneo.
È necessario, infine, emendare l’art. 403 c.c.
Nel corso della XVII legislatura era stata presentata una proposta di
legge intesa a modificare l’articolo 403 c.c. sull’Intervento della pubblica
autorità a favore dei minori”. La proposta non ha completato il proprio
iter ma – come sostenuto dalla Professoressa Mirzia Bianca e dal Professor Enrico Quadri nelle audizioni alla Commissione Giustizia della
Camera dei Deputati del 22 giugno 201717 – l’art. 403 c.c. deve essere
modificato al fine di ridimensionare la discrezionalità dell’autorità che
effettua l’intervento (da affidare preferibilmente agli organi di protezione dell’infanzia); di accentuare il carattere di eccezionalità del provvedimento; di imporre la valutazione, in via prioritaria, della possibilità di
una collocazione del minore presso parenti entro il quarto grado.
Ad oggi, tuttavia, nulla è concretamente mutato.
Inadeguati appaiono sia la l. n. 4 del 2019, sia il d. lgs. n. 147 del
2017 (come modificato dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con
modificazioni dalla succitata l. 28 marzo 2019, n. 26). I provvedimenti, adottati per contrastare gli effetti devastanti della disoccupazione
all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, cit., p. 7.
17
Indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge C. 4299 Agostinelli,
recante “Modifica dell’articolo 403 del codice civile, in materia di intervento della
pubblica autorità a favore dei minori” in http://www.camera.it/leg17/203?idCommi
ssione=02&calendario=false.
Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia
311
e, pertanto, a prescindere dalla presenza o meno nel nucleo familiare di figli minori, pur contenendo misure che potrebbero contribuire
a realizzare il preminente interesse del minore di crescere nella propria famiglia, – riconoscimento di un reddito di cittadinanza (art. 1
l. n. 4/2019); valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo
familiare (art. 5, d. lgs. n. 147/2017); predisposizione, all’occorrenza,
di un progetto personalizzato di misure di sostegno (art. 6, d. lgs. n.
147/2017); determinazione della quota del fondo povertà da destinare
a tale scopo (art. 7, d. lgs. n. 147/2017) – conferiscono ancora una volta
diritti azionabili «nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente» (art. 6, comma 13, d. lgs. n. 147/2017), sicché non garantiscono
l’effettivo godimento delle misure ideate per contrastare la povertà e
favorire la crescita del minore nella propria famiglia.
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Padova, 2015, p. 67 ss.
Il bambino in una famiglia a confini variabili
Paola Di Nicola
Sommario: 1. Introduzione. – 2. I tentativi di regolamentare i cambiamenti.
– 3. Le nuove (problematiche) proposte di regolamentazione. – 4. Le nuove
costellazioni familiari: convivere con le incertezze. – 5. Che fare?
1. Introduzione
La tutela dell’interesse del minore ha conosciuto in questo ultimi cinquanta anni una rivoluzione copernicana: si è passati dal diritto della
famiglia ad avere un figlio (e spesso un erede), al diritto del bambino ad
avere una famiglia. Il riferimento va alla legge del 1967 sulla cosiddetta
adozione speciale. Tale rivoluzione ha prodotto rilevanti cambiamenti
sociali che hanno comportato una ridefinizione ed ampliamento dello
spazio sociale al cui interno si muove, prende corpo e si definisce la relazione minore - adulti di riferimento. In tale spazio sociale è tramontato il concetto di patria potestà ed è entrato il concetto di responsabilità
genitoriale (P. Bosisio – P. Ronfani, 2015); la genitorialità biologica
ha lasciato spazio alla genitorialità sociale a partire dall’assunto che
genitori non si nasce ma si diventa; nelle pratiche educative si è passati
dal modello adultocentrico al modello puerocentrico (il riferimento va
al nuovo diritto di famiglia del 1975) (P. Di Nicola, 2017). In questa
prima fase della rivoluzione copernicana la famiglia di riferimento a
cui si pensava era la coppia coniugale con figli stabilmente costituita.
Lo spazio sociale dell’interazione bambini-adulti di riferimento,
ha cominciato, tuttavia, nel tempo, ad ampliarsi: sono cresciute le famiglie di fatto con figli, sono aumentate le famiglie ricomposte, sono
entrati nella scena altri genitori sociali e, più recentemente per effetto del crescente ricorso alla procreazione medicalmente assistita nella
314
The best interest of the child
versione eterologa e dell’utero in affitto si è assistito ad una moltiplicazione delle figure di adulti presenti sulla scena del parto (P. Di Nicola,
2017). Inoltre le tecniche di procreazione medicalmente assistita stanno segnando un ritorno alla filiazione biologica e stanno soppiantando
l’adozione (e questo in tutti i Paesi europei).
I cambiamenti della famiglia seguono alcune linee di sviluppo, che
vanno nella direzione di un depotenziamento funzionale della famiglia,
della sua de-istituzionalizzazione e privatizzazione, della radicalizzazione dei processi di individualizzazione delle biografie di vita, che penetrano dentro le strutture familiari. Affiorano ed acquisiscono uno spazio
sociale crescente famiglie sempre più piccole e sempre più complesse
nella loro configurazione sociale e relazionale (P. Di Nicola, 2017). In
tali dinamiche di cambiamento, il conflitto coniugale, che può essere
considerato causa ed effetto del nuovo clima familiare, rappresenta uno
dei volani più significativi dei mutamenti in atto (P. Di Nicola, 2017; V.
Iori, 2006; D. Sarchielli - R. Marinello, 2018; L. Todesco, 2009).
2. I tentativi di regolamentare i cambiamenti
Rispetto a queste tendenze forte è stato ed è lo sforzo di giuristi e
giurisprudenza a rispondere a queste nuove istanze di tutela dei minori:
sono stati semplificati e ridotti i tempi delle procedure per separazioni
e divorzi; i minori nati al di fuori del matrimonio sono stati totalmente
equiparati ai figli nati da coppie coniugate; si è introdotto l’affidamento
condiviso; è stato riformulato il diritto dei minori in caso di affidamento
e adozione (legge n. 184 del 1983 e successive modifiche), si è introdotto
anche il principio della tutela della “continuità affettiva”.
Ma spesso gli sforzi sono stati vani e ad impatto ridotto per la persistente conflittualità coniugale e perché non sempre si è riusciti a “stare”
dietro alle nuove configurazioni familiari. In altri termini non sempre si
è tenuto conto che i nuovi assetti familiari sono in continua evoluzione e
che non si può pensare alla tutela del minore avendo come riferimento
la coppia coniugale con figli. Qualsiasi discorso sul diritto del minore ad
una famiglia, deve tenere presente che attualmente i confini della famiglia sono variabili e noi spesso ci aspettiamo che i bambini siano in grado,
abbiano le risorse per adattarsi, gestire e sopravvivere a tale variabilità.
In particolare sono in atto processi di crescente variabilità intrafamiliare e inter-familiare per effetto del crescente conflitto coniugale
che coinvolge anche le cosiddette nuove famiglie (famiglie di fatto e
Il bambino in una famiglia a confini variabili
315
ricomposte) e in tempi più recenti le coppie sia etero che dello stesso
sesso, che abbiano fatto ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e alla maternità surrogata. Inoltre, il frequente ricorso
alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di coppie
omosessuali, pone all’ordine del giorno il problema – sul quale la magistratura è chiamata ad esprimersi – del riconoscimento della responsabilità genitoriale a coppie dello stesso sesso, aprendo il fronte alla
possibilità per un bambino di avere due padri o due madri, dei quali
solo uno/a è in realtà il genitore biologico (P. Bosisio - P. Ronfani,
2015; C. Cavina - D. Danna 2009; P. Di Nicola 2016; P. Iagulli 2013;
A. Lorenzetti, 2014; L. Trappolin - A. Tiano 2015)1.
3. Le nuove (problematiche) proposte di regolamentazione
Le difficoltà formali (del diritto e della giurisprudenza) a trovare
una regolamentazione per l’attribuzione delle responsabilità genitoriali all’interno di coppie in conflitto, siano esse omo o etero sessuali,
hanno dato adito a proposte “retrotopiche”: sanare le situazioni complesse alla luce di orientamenti, norme e valori antecedenti alla riforma
del diritto di famiglia del 1975. Su questa linea ‘retrograda’ si muove il
disegno di legge n. 735 del 2018 (Norme in materia di affido condiviso,
mantenimento diretto e garanzia della bigenitorialialità)2 . Tale Disegno di legge (DL da questo momento in poi), offre interessanti stimoli
per valutare come è “visto dagli adulti” l’interesse del minore e quale
tipo di famiglia di riferimento si pensa sia la migliore per i bambini.
1
Per una panoramica sulle nuove famiglie a livello internazionale si veda S. Golombok
2016.
2
Anche se il disegno di legge non è stato discusso, ad esso si fa riferimento perché, nella
sua formulazione, risente di quel ‘bisogno’ di ‘retrotopia’ (di cui parla Z. Bauman),
come reazione alle nuove dinamiche sociali, politiche e culturali, alle quali non si
riesce a dare una risposta. Di fronte alle nuove sfide della società complessa, alcuni
volgono le spalle all’indietro, alla ricerca di un tempo perduto – e spesso mitico – in cui
la società era ben integrata nelle sue parti e basso era il livello di dissenso nei confronti
delle sue norme, valori e modelli di comportamento. È un bisogno molto bene
interpretato da quanti - forze politiche di destra e movimenti reazionari - propongono
un salto di civiltà all’indietro. Tali spinte all’indietro sono attualmente molto forti (e
non solo in Italia), tanto è vero che il disegno di legge 735 è stato accantonato ma non
ritirato. In realtà con la caduta del Governo, il D.L. è stato successivamente ritirato..
Sul concetto di retrotopia si veda: Z. Bauman, Retrotopia, Bari-Roma, 2017.
316
The best interest of the child
Il DL parte dall’affermazione di Arturo Carlo Jemolo, secondo la
quale la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire, essendo un
organismo normalmente capace di equilibri e bilanciamenti che la norma giuridica deve sapere rispettare quanto più possibile.
Rispetto a queste affermazioni sono necessarie alcune precisazioni.
La famiglia è sempre stata oggetto di una normazione precisa e puntuale non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche e soprattutto
giuridico: equilibri e bilanciamenti non sono dati in natura, ma sono
l’esito di processi ampiamente normati; alcuni sostengono che nelle
famiglie tradizionali lo sbilanciamento e il dis-equilibrio fossero più
la norma che l’eccezione. Ma in quanto sanciti dalla legge erano considerati “normali e naturali”. Sbilanciamenti e dis-equilibri, tra i sessi
e le generazioni, che tutta la normativa sulla famiglia e sui minori a
partire dagli ‘70 del secolo scorso, ha tentato di superare.
Se la famiglia è un organismo, la sua esistenza “sociale” e la sua
rilevanza istituzionale dipendono dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti. Da questo punto di vista dobbiamo accettare che separazioni e divorzi non sono “eccezioni” che confermano la regola (del buon
funzionamento di una ‘felice’ famiglia unita), ma sono evenienze, nelle
biografie di vita individuali, altamente probabili.
Lo sforzo presente in questo DL di “regolare” in maniera precisa
e puntuale le relazioni tra coniugi in conflitto e tra genitori separati e
figli, prevedendo specifiche figure professionali (mediatori, avvocati,
coordinatori, giudici) ai quali compete il compito arduo di aiutare la
coppia a giungere ad accordi condivisi, dimostra quanto sia anacronistica l’affermazione di Jemolo.
Al di là dell’affermazione del diritto del bambino ad avere relazioni
con ambedue i genitori, il DL ignora totalmente i bisogni dei bambini.
Quali sono i bisogni del bambino, come affrontare le rotture biografiche?
Per crescere il bambino ha bisogno di:
-
sviluppare costanti relazioni di affidamento;
protezione fisica;
esperienze modellate sulle differenze individuali;
fidarsi degli adulti di riferimento;
esperienze appropriate al grado di sviluppo;
definire i limiti, elaborare una sua definizione di famiglia;
comunità stabili di supporto e di continuità culturale;
-
salvaguardare il futuro delle comunità di appartenenza.
Il bambino in una famiglia a confini variabili
317
Continuità, stabilità, fiducia sono termini ricorrenti in elenco,
termini che rinviano ad un tempo “soggettivamente” lungo per il
bambino, ma che si consuma nell’arco di pochissimi anni (l’infanzia): questo significa che non necessariamente tutte le famiglie “felici” sono in grado di soddisfare tali bisogni, che in caso di conflitto
nella coppia genitoriale spesso tale capacità viene messa fortemente
a rischio, che il conflitto spesso scoppia per il logoramento di relazioni di coppia che comunque coinvolgono un minore che è vissuto
in quella famiglia e ne ha respirato il clima affettivo e relazionale
ben prima dell’evento traumatico. Il conflitto familiare, indipendentemente dal tipo di famiglia in cui vive il figlio, rappresenta sempre
un trauma, nella biografia di vita del bambino, una frattura biografica, un lutto. La letteratura ha messo in evidenza che il fattore critico
non è dato dal fatto che i genitori litigano, ma da come litigano (S.
Golombok, 2016). Sembra strano questo riferimento alla “qualità del
conflitto”, ma si può litigare mettendo in campo le ragioni del contendere, le divergenze, le delusioni e le aspettative mancate ovvero
si può litigare mettendo in campo rancori, risentimenti, minacce,
violenze, recriminazioni, insulti. E tutto ciò è ampiamente percepito
e respirato dai bambini, anche se molto piccoli.
Inoltre, nel momento della separazione/divorzio comunque i figli
hanno sperimentato particolari modelli di attaccamento, di autorità e
di cura: posseggono un patrimonio, non importa se ricco o povero, di
esperienze cognitive ed affettive che influenzano il modo con il quale
si accingono a fronteggiare la separazione dei genitori.
Ma accettare questo dato di fatto, non significa, per genitori e figli,
fare finta che nulla sia successo e che il bambino ce la farà da solo a
fronteggiare la situazione. Genitori e figli devono sviluppare competenze atte far sì che si acquisisca la consapevolezza che indietro non
si torna e che il raggiungimento, auspicabile, di un nuovo equilibrio
significa sempre muoversi in uno spazio relazionale e affettivo nuovo
e diverso. E questo anche se la coppia alla fine si riappacifica.
Prepararsi come coppia e preparare il bambino alla nuova transizione biografica significa riconoscere che nella fase della rottura dei
legami familiari il bambino manifesta altri bisogni, sentimenti, emozioni (A. Dell’Antonio, 1993; V. Iori, 2006; C. Saraceno - M. Pradi,
1991; S. Vegetti Finzi, 2005). Bisogno di rassicurazione: che qualcuno
si occuperà di lui, che non perderà i compagni di scuola, gli amici, i
nonni e che in generale la ruotine quotidiana continua. Nostalgia per il
318
The best interest of the child
genitore che si è allontanato. Non ritenersi responsabile (essere causa)
delle liti tra i genitori. Rancore per il genitore che ritiene sia responsabile del conflitto coniugale. Capacità di crearsi una nuova immagine
di famiglia, al cui interno sono presenti altri soggetti, mentre altri rimangono sullo sfondo. Adattarsi a nuove routine.
Nell’elaborazione di una nuova immagine di famiglia, le cosiddette
“nuove costellazioni familiari” (insieme di adulti, che non necessariamente vivono sotto lo stesso tetto, ma che convergono sull’attività di
cura ed accudimento di bambini figli di separati/divorziati) entrano
nuovi attori che dovrebbero consentire al bambino di trovare una risposta ai nuovi bisogni e di crearsi una nuova routine.
Ma i confini delle nuove configurazioni familiari sono stabili, assicurano continuità, stabilità, fiducia? Se ci si pone nella prospettiva dei figli, soprattutto, se piccoli, ci si rende conto che nei nuovi
immaginari sociali di questi piccoli entrano nuovi soggetti: il nuovo
compagno della madre, la nuova “fidanzata” del padre, fratellastri,
figure di riferimento sociali con le quali non è necessariamente detto
che il minore possa/voglia stabilire una relazione affettiva. Può non
volerlo il bambino stesso, il suo genitore biologico ma anche lo stesso
genitore sociale. Alcuni legami si allentano: è frequente che si allentino i legami con i genitori e i fratelli o le sorelle del genitore biologico
che si è allontanato, con i cugini; altri legami si rinsaldano, per es. con
i nonni biologici del genitore con cui il minore vive; entrano nuove
figure: i nonni sociali, i fratellastri, con i quali si può convivere, ma
anche solo trascorrere le vacanze o i fine settimana. Sono figure che
possono avere una loro stabilità, ma che possono anche scomparire
ed apparire con un’alternanza che può essere fonte di crescente insicurezza e instabilità per i figli.
Parlare di interesse del minore, significa avere consapevolezza delle nuove configurazioni relazionali dal quale il bambino si aspetta continuità, rassicurazione e verso le quali matura fiducia. Possiamo dire
che il bambino, prima, durante e dopo la separazione dei genitori ha
bisogno di “house” (ambiente di fiducia) e non solo di “home” (casa,
appartamento, luogo in cui si mangia e si dorme). Il Disegno di legge
735 pone enfasi sulla “house”: in tale disegno i fattori di protezione del
minore sono:
• Poter stare 50% del tempo con la madre e 50% con il padre: sembra che
basti per garantire il diritto dei figli ad avere accesso ai genitori. Siamo
sicuri che un bambino piccolo acquisisca sicurezza non sapendo
Il bambino in una famiglia a confini variabili
319
o non ricordando in quale casa mangerà e, soprattutto, dormirà.
Duplichiamo camerette, lettini, ma anche giocattoli, peluche?;
• Individuazione chiara e precisa di chi paga cosa e quanto (rimborso
spese a piè di lista, paga chi in quel momento ha il minore in casa,
valutazione del costo dei figli in base ai parametri ISTAT);
• Formulazione di un piano genitoriale in ordine a: luoghi abitualmente
frequentati dai figli; scuola e percorso educativo; eventualità attività
extra-scolastiche sportive, culturali e formative; frequentazione parentali e amicali del minore; vacanze normalmente godute dal minore;
• Rispetto del piano genitoriale.
Il DL prevede che la coppia in conflitto prima della separazione
ufficiale acceda alla mediazione familiare (che al momento è un servizio prevalentemente privato, vale a dire a pagamento) e accetti la
presenza di una sorta di tutore con funzione di monitoraggio (controllo?) della sua capacità di attuare il piano genitoriale. Il DL di
legge segna un netto ritorno ad un modello adultocentrico, che mira
a tutelare gli interessi degli adulti e non del minore: si parla di casa,
affitti, usufrutto, spese; si parla tanto di beni materiali, poco di beni
relazionali, poco di “cura”. Il DL è centrato sulla tutela dei diritti
soprattutto dei padri (contro le madri accusate di manipolare i figli
e metterli contro il padre) e non si pone tante domande su come il
figlio possa vivere la netta divisione fisica e materiale del proprio
ambito di vita quotidiana.
5. Che fare?
Come dice J. Habermas non esiste produzione di senso per via amministrativa: la legge, le norme sono utili come cornice di riferimento,
ma un affidamento è veramente condiviso, la genitorialità diventa cogenitorialità solo se c’è “consenso” tra le parti: un sentire comune e
condiviso su quale sia la strada migliore per favorire la crescita di figli,
che comunque un trauma l’hanno avuto e non lo possono cancellare.
Crescita di figli che comunque vivono di fatto in un nuovo spazio sociale di relazioni, di dipendenza, di appartenenza.
A tale proposito la mediazione, nelle sue diverse forme, più che un
obbligo di legge, una condizione per potere accedere alla separazione,
dovrebbe diventare una strategia sempre più applicata a livello micro
per ricostruire relazioni dialogiche che sappiamo affrontare il conflitto, senza pretendere di sconfiggere, mettere nell’angolo il contendente.
320
The best interest of the child
Ricordando che il conflitto cambia inevitabilmente non è solo la relazione di coppia, ma anche la relazione genitore-figlio.
In Italia la mediazione, nelle sue diverse forme, è una tecnica ampiamente utilizzata e studiata. Sul tema la letteratura e molto ampia, a conferma del fatto che da tempo è emersa la consapevolezza che il conflitto
coniugale si gestisce non solo per via legale, ma perseguendo, prima di
fare istanza di separazione, la strada del dialogo, della comunicazione,
del confronto, per sviluppare nella coppia un sapere riflessivo che aiuti
a fronteggiare i costi che il conflitto coniugale infligge ai genitori e ai
figli (R. Ardone - S. Mazzoni, 1994; D. Bramanti, 2005; V. Cigoli - E.
Scabini, 2003; R. Giommi, 2002; I. Bernardini - F. Scaparro, 1994; S.
Castelli, 1996; M.G. Landuzzi, 2005; M. Malagoli Togliatti - G. Montinari, 1995; C. Marzotto – R. Telleschi, 1999; D. Mazzei, 2002).
L’esercizio delle bigenitorialità presuppone che ambedue i genitori
e soprattutto quello che “fatica” a mantenere una relazione stabile con
il figlio e non sempre per colpa dell’altro coniuge, ma per effetto di un
contesto culturale che ancora affida la responsabilità della “cura” in
mani femminili sviluppi quell’attitudine alla cura, quella capacità ad
assumere una sostanziale responsabilità genitoriale, che nessuna legge, tribunale, o accordo condiviso sulla carta potrà mai dare.
Storicamente l’attitudine alla cura è stata lasciata in mani femminili:
di questo le donne hanno tratto vantaggi (per es. essere considerate le
figure che meglio rispondono ai bisogni dei bambini); di questo affidamento preferenziale le donne hanno avuto svantaggi: il non riconoscimento dell’importanza sociale e non solo economica del lavoro di cura,
il sovraccarico funzionale, una maggiore debolezza nel mercato del
lavoro. Di questa delega alla donna del lavoro di cura, gli uomini hanno tratto dei vantaggi: alleggerimento funzionale, poter partecipare a
pieno titolo al mercato del lavoro, potersi permettere di “non pensare”’
ai figli perché tanto c’era qualcun altro che se ne occupava; gli uomini
tuttavia, ne hanno pagato anche dei costi: difficoltà e spesso impossibilità a mantenere una relazione significativa con i figli dopo una separazione, scarsa consapevolezza dei reali bisogni dei figli, estraniazione
rispetto alle pratiche della cura: la cultura della mediazione potrebbe
diventare terreno per lo sviluppo di una cultura della cura che coinvolga uomini e donne e diventare la base per una ricucitura dialogica dei
conflitti, che viene prima di qualsiasi decisione relativamente alla scelta
di dove, come vive il minore e quanto costa.
Il bambino in una famiglia a confini variabili
321
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La responsabilidad civil por omisión
de cuidado en Brasil
Nelson Rosenwald
Sommario: 1. La primera travesía: del abandono afectivo al acto ilícito
de omisión de cuidado. – 2. La segunda travesía: del acto ilícito a la
responsabilidad civil. – 2.1. Los presupuestos de la responsabilidad civil por la omisión del cuidado. - 2.1.1. La culpa. – 2.1.2. Daño injusto.
– 2.1.3. Nexo causal. - 3. Críticas a la responsabilidad civil por omisión
de cuidado parental. – 4. Conclusión.
1. La primera travesía: del abandono afectivo al acto
ilícito de omisión de cuidado
La responsabilidad civil derivada de la omisión de cuidado ha sido
prestigiada por la doctrina de derecho privado y por la jurisprudencia
brasileñas, sobre todo después de la decisión del Superior Tribunal de
Justicia en el REsp 1.159.242, de abril de 20121, que ofreció sólidas bases
jurídicas para el deslinde de colisiones de derechos fundamentales que
involucraran la libertad del genitor y la solidaridad familiar.
En resumen, la Ministra Relatora Nancy Andrighi subrayó que, en
los casos de responsabilidad civil por omisión de cuidado, no se discute el acto paterno de amar –que es una facultad–, sino la imposición
biológica y constitucional de cuidar, que es un deber jurídico, corolario de la libertad de las personas de generar o de adoptar hijos. Por lo
tanto, consideró el cuidado como un valor jurídico objetivo, en el que
la omisión del genitor en el deber de cuidar a su prole alcanza un bien
jurídicamente tutelado, en este caso el necesario deber de cuidado (deber de criar, educar y acompañar), que genera la posibilidad de que el
hijo pleitee una compensación por daños morales. Asimismo, agrega
que los padres asumen obligaciones jurídicas con respecto a su prole
324
The best interest of the child
que van más allá de lo básico para su mantenimiento (alimento, amparo y salud), pues el ser humano necesita otros elementos inmateriales,
igualmente necesarios para su formación adecuada, como educación,
ocio, normas de conducta, etc. El cuidado, vislumbrado en sus diversas
manifestaciones psicológicas, es un factor indispensable para la crianza
y la formación de un adulto que tenga integridad física y psicológica,
capaz de convivir en sociedad, ejerciendo plenamente su ciudadanía.
No quedan dudas de que el mérito de dicha decisión consiste en
ofrecer parámetros objetivos para la tensión entre los principios de la
libertad y la solidaridad, así la ilicitud de la conducta paterna deja de
apoyarse en un supuesto “deber de amar al hijo” y se convierte en
una objetiva omisión de deberes de cuidado ante el hijo, como se señala en los incisos I y II del art. 1.634 del Código Civil2, concretamente
consubstanciados en la violación de los deberes de crianza, educación,
compañía y guarda.
Se evidencia la equivocación en la adopción de la pionera expresión
abandono afectivo por remitir la discusión al pantano de la subjetividad – por el propio hecho de que el afecto es incoercible –, con la necesaria sustitución por la expresión omisión de cuidado, que evidencia la
intolerancia del sistema jurídico brasileño en cuanto a comportamientos demeritorios al deber de solidaridad de los padres ante los hijos.
Si aceptamos el abandono afectivo como un ilícito y como un hecho
generador de responsabilidad civil, paradójicamente – y siguiendo la
lógica inversa – tendremos que admitir que un eventual exceso afectivo
pueda ser fuente de una pretensión por reparación de daños de hijos
mimados por deseos y caprichos, que desconocen límites, y a quienes
nunca se les dijo un no. O bien la conducta tan en boga actualmente, de
padres que fiscalizan la vida de sus hijos con demasiado rigor, a punto
de que les sofocan su libertad, inculcándoles el miedo y suprimiendo
la natural percepción del riesgo, necesaria para la adquisición de la
confianza y el equilibrio emocional en la edad adulta. En definitiva,
pueden llegar a ser adultos indolentes, exigentes, inseguros, arrogantes, egoístas, sin defensas psíquicas y siempre pegados especialmente
2
Art. 1.634. Les compete a ambos padres, cualquiera que sea su situación conyugal, el pleno
ejercicio del poder familiar, que consiste en, en cuanto a los hijos: (Redacción dada por la
Ley nº 13.058, de 2014) I - dirigirles la crianza y la educación; (Redacción dada por la
Ley nº 13.058, de 2014), II - ejercer la guarda unilateral o compartida en los términos
del art. 1584; (Redacción dada por la Ley nº 13.058, de 2014).
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
325
a la madre como una referencia segura donde se pueden apoyar. Esta
es una clara forma de corrupción de las relaciones entre padres e hijos3.
Todo ello recomienda el distanciamiento de la concepción del abandono afectivo como una fuente de responsabilidad civil. Hay que hacer referencia al cuidado. Sin lugar a duda, el cuidado es una forma
de amor, pero no se trata del amor que vincula a una pareja por el
afecto ni tampoco del sentimiento que los padres nutren por sus hijos.
El cuidado es un amor construido con dispendio de tiempo y energía
– el amor proactivo de la posmodernidad –, forjado en un proceso duradero de providencias y sacrificios; es decir, actos materiales perfectamente sindicables y objetivamente mensurables por un espectador
privilegiado. En la privacidad de la relación filial el cumplimiento del
cuidado es el hecho jurídico que interesa al ordenamiento jurídico.
Asociar irresponsablemente el abandono afectivo a una mera negación
de afecto propiciaría una elevada inseguridad jurídica, a punto de que los
hijos tengan la aptitud de deducir pretensiones de responsabilidad civil
en contra de sus padres, aunque vivan todos en el mismo hogar, por el
hecho de que el genitor haya sido una persona poco cariñosa o amable,
por más que nunca haya negligenciado el deber inmaterial de cuidado.
Por eso compartimos nuestra preocupación por la precisión semántica. Dar a un modelo jurídico un nombre adecuado es fundamental para
otorgarle precisión, eficacia y coherencia con el sistema jurídico. En el
ámbito de la familia, enuncian Ana Carolina Brochado Teixeira y Renata
De Lima Rodrigues4, los miembros de la familia deben responsabilizarse
unos por otros cuando existe algún tipo de vulnerabilidad. Esta responsabilidad independe del afecto, pues se trata de deberes de conducta
objetivos, cuya fuente es la filiación, y cuando los deberes no se ejercen
de forma espontánea, el Estado interfiere e imputa tal responsabilidad
para que se le garantice a la persona vulnerable una vida digna.
3
El cronista João Pereira Coutinho hace alusión a los llamados “padres-helicóptero”:
“les dedican a sus hijos la misma atención obsesiva que un investigador les da a sus
ratones de laboratorio. Están constantemente sobrevolando por sobre la existencia
de los pequeños. La profusión de “padres-helicóptero” es una brutal amputación
de la infancia y la adolescencia. Más allá de corromper la relación entre padres e
hijos [...] es natural desearles lo mejor a los hijos, no es natural tener con los hijos la
misma relación que existe entre un entrenador y su atleta, como si la vida fuera una
minipuerto permanente” (Folha de S.Paulo, 29-6-2014).
4
A.C. Brochado Teixeira - R. de Lima Rodrigues, O direito das famílias entre a norma e
a realidade, São Paulo, 2012, p. 107.
326
The best interest of the child
Cabe aclarar que la omisión de cuidado es un acto ilícito que no solo
viola los deberes de cuidados que están definidos en el Código Civil,
sino que ofende directamente el derecho fundamental a la convivencia
familiar (art. 227, CF)5 en la medida en que la propia Carta Constitucional, en su art. 229, asume que “los padres tienen el deber de asistir, criar
y educar a sus hijos menores, y los hijos mayores tienen el deber de ayudar y amparar a sus padres en la vejez, la carencia o la enfermedad”.
El prestigio al deber de cuidado también forma parte de la Convención Internacional sobre los Derechos del Niño, ratificada por Brasil
por medio del Decreto n. 99.710/90, constando en su art. 3º que “los Estados Partes se comprometen a garantizar al niño la protección y los cuidados
necesarios para su bienestar”.
Es cierto que estos dispositivos tienen una fuerte connotación moral.
Sucede que, en el paradigma del Estado Democrático de derecho, aunque un principio se base en elementos sociológicos, después de que está
dictado, no se lo podrá corregir. Ahora bien, nadie niega que el Derecho sea un sistema compuesto de reglas y principios. En este contexto,
los principios son normas, y cuando se aplica el derecho, no podemos
olvidar los principios. Al contrario de lo que se comenta en la calle,
los principios no son valores, son deontológicos. Por ende, funcionan a
partir del binario lícito-ilícito. Si la Constitución dice que hay un deber
de asistir, criar y educar, se asume que la negación a estos deberes representa no solo una conducta reprobable, sino antijurídica. La omisión
de cuidado hiere la ética y el derecho.
De hecho, la tradición del derecho de familia era la de conceder a
los padres la privacidad de optar entre humanizar o cosificar a sus hijos, aunque la elección por la indiferencia pudiera impactar en la moral
de muchos de nosotros. Afortunadamente, el derecho ya no puede ser
escindido de la ética. Ya no se puede decir, como se hacía “antaño”, que
una conducta es inmoral, sino legal. En virtud de deberes de convivencia entre padres e hijos, no se puede tergiversar con cualquier moral
particular. Las cuestiones de principio se superponen a las cuestiones
de política. Sería empobrecedor convertir el deber constitucional y objetivo de cuidado en una figura de retórica o un mero enunciado per5
Art. 227 CF. “Es deber de la familia, de la sociedad y del Estado asegurar al niño, al adolescente
y al joven, con absoluta prioridad, el derecho a la vida, a la salud, a la alimentación, a la
educación, al ocio, a la profesionalización, a la cultura, a la dignidad, al respeto, a la libertad
y a la convivencia familiar y comunitaria, además de ponerlos a salvo de toda forma de
negligencia, discriminación, explotación, violencia, crueldad y opresión.”.
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
327
formativo que quede a disposición del intérprete. La normatividad de
los artículos 227 y 229 de la Constitución Federal solo no será fragilizada si, en un sesgo dworkiniano, nos tomamos estos principios en serio.
Por consiguiente, el dato cultural de la personalización de la familia
sometió al imperio de la ilicitud todo y cualquier comportamiento que
indicara que el procreador no ejerce el derecho status de padre socioafectivo por dejar de adoptar a su propio hijo. La ausencia del vínculo
de conyugalidad de los padres en nada afecta el vínculo de parentalidad. Si la pareja conyugal fracasó, el par parental quedará preservado.
Este deber constitucional de solidaridad justifica la cualificación de la
ilicitud del acto antijurídico por omisión del deber de cuidado6.
Por último, si comprendemos el imprescindible papel emancipatorio
de una familia estructurada en la formación de ciudadanos autónomos,
también nos tomaremos en serio la advertencia de Tocqueville7, para
quien la principal tarea de un gobierno virtuoso es permitir que las personas puedan vivir sin su ayuda. Para ello debe cultivarse el aprecio por
la libertad, cuyo principal sustento reside en el cuidado de la familia.
2. La segunda travesía: del acto ilícito a la responsabilidad
civil
La responsabilidad civil no se agota en la constatación del acto ilícito. La demarcación del hecho de la antijuridicidad de la conducta
omisiva del genitor que pospone el deber de cuidado es solo el primero entre los cuatro presupuestos de la responsabilidad civil. Se añade
a la ilicitud la culpa, el daño injusto y el nexo causal. Es en la conjugación de estos presupuestos que se sostiene la responsabilidad subjetiva
aplicable al derecho de familia.
2.1. Los presupuestos de la responsabilidad civil por la omisión
del cuidado
2.1.1 La culpa
Al abordar el ilícito culposo, conjugamos dos conceptos. Además
de la contradicción del comportamiento a la norma, debe probarse que
6
N. Rosenvald, As funções da responsabilidade civil., 3., 2018, São Paulo, p. 27.
7
A. De Tocqueville., Da democracia na América, São Paulo, 1998, p. 38.
328
The best interest of the child
hubo una violación deliberada del deber jurídico (dolo) o, como mínimo,
un incumplimiento de ese deber de cuidado por una negligencia del
agente (culpa stricto sensu).
La contradicción del comportamiento a la norma ya está caracterizada por los arts. 227 y 229 de la Constitución Federal. La omisión
de cuidado como conducta objetivamente antijurídica es un dato que
deriva de los hechos constitutivos de la pretensión del autor.
Conviene entonces avanzar en evaluar la culpa del agente. Actualmente, no existe un modelo general de comportamiento, sino diversos
standards que conducen a una fragmentación de la culpa cada vez más
nítida, según la sofisticación de cada sociedad. Al evaluar una pretensión de reparación de daños desde la óptica de la teoría subjetiva de la
responsabilidad civil, bajo cualquier enfoque hay que sopesar el grado
de cuidado adoptado por el agente con el que sea deseable para personas que se encuentren en parámetros específicos semejantes – ya sea
este un conductor de vehículos, un médico, un abogado o incluso un
padre –. Lo fundamental es identificar el actuar en el caso concreto con
el proceder esperado de una persona con una base intelectual y socioeconómica similar, practicante de la misma actividad en determinado
tiempo y lugar. Se considerarán los elementos externos e internos.
Específicamente en el espacio reservado a la negligencia paterna en
cuanto a los deberes de asistir, criar y educar, nos encontramos ante
un agravante: se trata de un ilícito cualificado por haberse alargado
durante años, a menudo sacrificando la juventud entera de un hijo. La
omisión no consiste en un acto aislado, sino en una actividad que se renueva cada día, pudiendo repercutir en la paulatina desestructuración
psíquica del hijo, durante su infancia y adolescencia. La desidia que se
equipara a un “ilícito continuado” indudablemente no se refiere a lo
que consideramos como una culpa ligera, sino a un comportamiento
antijurídico doloso o impregnado por la culpa grave del genitor.
En esta senda, para que el dolo se revele, es irrelevante la demostración de la conciencia del agente de que resulten perjuicios o se intencione provocarlos, por lo que basta el hecho de haber practicado el
comportamiento antijurídico con la conciencia de faltar a su deber de
cuidado. A la vez, la culpa grave se caracterizará por una conducta en
la que hay una imprudencia o impericia extraordinaria e inexcusable,
que consiste en la omisión de un grado mínimo y elemental de diligencia que todos los padres deben cumplir. Se equipara al dolo del ofensor
la culpa grave, groseramente irresponsable e indicativa de un abierto
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
329
menoscabo del agente ante las necesidades emocionales del hijo. En
suma, un desdén en cuanto al comportamiento social que debería seguir, pero que ignora.
A nuestro viso, la razón para que se instale la culpa grave en el
mismo nivel sancionador que el dolo es la naturaleza difusa de los
daños producidos por los ilícitos que la sanción pretende retribuir. En
ese punto debemos equiparar los comportamientos pautados por la
indiferencia y la superficialidad ante la formación de los hijos a las
conductas arrogantes de aquellos que se consideran inmunes al aparato jurídico-civil y desconsideran completamente la relevante función
de la autoridad parental.
En cuanto a la reiterada omisión de cuidado, señalados concretamente los actos caracterizadores de la negligencia a los deberes de
asistir, criar y educar a los hijos menores, no ocasionalmente podrá el
padre elidir la culpa en juicio, alegando la congénita y atávica imposibilidad de acercarse al hijo por el hecho de otrora también haber sido
víctima de omisión de cuidado por parte de sus padres, o incluso por
no haber soportado el dolor de haber sido abandonado por la esposa
o compañera, hechos que impusieron una barrera psicológica al contacto con el hijo.
En tesis, estas alegaciones son plausibles, aunque el ilícito esté configurado. La omisión de cuidado es un dato objetivo y se evidencia por
la simple contradicción del comportamiento del padre a la exigencia
normativa. No obstante, en los confines del derecho de familia, el dato
subjetivo de la culpa no se puede ignorar. Hay que averiguar cuál es
la estructura psíquica de aquel que descuidó los deberes convivenciales para que se evalúe si realmente se ha escapado conscientemente
al deber de cuidado o si ni siquiera tendía condiciones de ejercer la
autoridad parental por estar desprovisto del instrumental emocional
necesario para hacerlo.
Sin embargo, hay que contextualizar y demostrar correctamente las
referidas excusas paternas para que el juzgador posea elementos objetivos para excluir la culpa por la completa imposibilidad del padre de
atender al deber constitucional de convivencia.
Además, el autor del acto ilícito puede justificar su comportamiento por la imposibilidad física de mantener la necesaria cercanía con
su hijo o incluso por una dificultad económica que lo prive de participar en su formación. Sin embargo, la tecnología nos acerca bastante, e
incluso los contactos virtuales pueden propiciar lo mínimo necesario
330
The best interest of the child
que los niños y adolescentes demandan para su desarrollo psíquico. A
nuestro sentir, las vicisitudes que acompañan la vida del genitor no le
conceden un salvoconducto para ignorar la relevante función que es
inherente a la autoridad parental a punto de eximirlo de la obligación
de indemnizar. Ante un deber al que todos los padres están expuestos,
no podrá el magistrado sencillamente dejar de imponer una condena
sobre el que excusa un acto ilícito continuado por las vicisitudes de la
vida – a las que todos, de un modo u otro, estamos expuestos –; eso
sería sentimentalismo.
No obstante, las peculiaridades del caso en concreto pueden materializar la aplicación del párrafo único del art. 944 del Código Civil: “Si
hay una excesiva desproporción entre la gravedad de la culpa y el daño, podrá
el juez reducir, equitativamente, la indemnización”. La equidad aconseja
al magistrado a, ante la concreta medición de desproporción entre la
severidad de los daños psíquicos sufridos por el hijo y la culpa leve o
levísima del ofensor, mitigar el odio quantum compensatorio. Es una
valoración adecuada de la responsabilidad civil, a partir de la técnica
de la ponderación, apta para impedir que el autor del ilícito sea duramente alcanzado en su patrimonio cuando el daño derivó de una
falla de comportamiento que, en alguna medida, pueda justificarse por
circunstancias objetivas que difícilmente harían que el autor del ilícito,
u otra persona que estuviera en sus circunstancias, pudiera impedir el
resultado lesivo.
2.1.2. Daño injusto
Con respecto al daño injusto, restringimos nuestro abordaje al daño
moral derivado de la omisión de cuidado, o sea, el daño convivencial.
El daño moral es una lesión a un interés existencial concretamente
merecedor de tutela. Saber si un cierto interés es o no digno de protección por el ordenamiento jurídico es un dato que solo sumerge después de un análisis concreto y dinámico de los intereses contrapuestos
en cada conflicto particular que no resulte en aceptaciones generales
supuestamente válidas para todos los casos, pero que se limite a ponderar intereses a la luz de circunstancias peculiares.
Hay una desviación de perspectiva cada vez que un tribunal asume
que la configuración del daño moral requiere simplemente el evento
de ofensa a la dignidad de la persona humana, dispensándose la comprobación de dolor y sufrimiento, traduciéndose, pues, en consecuencia
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
331
in re ipsa, intrínseca a la propia conducta que injustamente alcance la
dignidad del ser humano. En otras palabras, la falta de necesidad de la
demostración del dolor, la herida o cualquier otra forma de lesión a la
susceptibilidad de la víctima no debe motivarse en el hecho de que el
daño moral se presume por una lesión a la dignidad, sin embargo, por
el hecho de que aquellos sentimientos no pasan de eventuales consecuencias de un daño moral, pues éste se traduce en la propia lesión a
un interés existencial concretamente merecedor de tutela.
Por lo tanto, el hecho de prescindir de la prueba del dolor o de la
pena (¡lo que es correcto!) no justifica que se prescinda de la prueba
en cuanto a la propia existencia del daño moral (¡eso sí es incorrecto!).
En realidad, la investigación debe centrarse efectivamente en la ofensa
concreta a un derecho de la personalidad o a un derecho fundamental
del ofendido. Esto significa que el daño moral solo se puede presumir
en el plano de las consecuencias sobre las variables subjetivas de la
víctima, pero nunca en lo que concierne a la propia demostración de su
existencia; por ende, para atribuirse un daño a la integridad psicofísica
del hijo, no basta la sencilla afirmación que la omisión del deber de cuidado le afectó el desarrollo de la personalidad o que hubo un rechazo
ante la figura paterna.
Lo fundamental será la prueba por intermedio de laudos psicológicos y estudios sociales que determinen no solo la existencia del daño
psíquico, sino también su extensión. Por el orden natural de las cosas,
la tendencia es que, en mayor o menor grado, el daño se concrete, pues
forma parte de la función paterna la introyección de la ley y de la interdicción, siendo fundamental para la constitución de la subjetividad
y la estructuración del deseo del hijo. Sin embargo, la presencia de una
sólida figura masculina como un abuelo o un padrastro puede suplir
la función originariamente atribuida al padre. Consideramos también
que la existencia de una figura materna fuerte y equilibrada también
será un factor idóneo para la neutralización de daños psíquicos al infante, malgrado evidenciado el ilícito culposo paterno.
Este examen objetivo del hecho, en la ponderación entre la conducta supuestamente lesiva y el interés supuestamente lesionado, es que
seleccionará el interés existencial concretamente merecedor de tutela y
evidenciará si, de hecho, se trata de daño injusto (y reparable).
En conclusión: no se dispensa el autor de la carga probatoria en
cuanto a los daños extrapatrimoniales. De este modo, ante una pretensión de reparación de daños no patrimoniales, no importa solo sopesar
332
The best interest of the child
en concreto la tutela del perjudicado con el ejercicio de una eventual
libertad contrapuesta, sino también legitimar caso a caso el derecho a
la reparación de los daños concretamente sufridos. Solo así se evitan
– en un campo extremadamente fluido y desnudo de enumeraciones
taxativa – pretensiones compensatorias injustas y no razonables, incapaces de posibilitar una verdadera conjugación entre la afirmación de
la dignidad con el deber de solidaridad.
2.1.3. Nexo causal
El último de los presupuestos de responsabilidad civil es el nexo
causal. Se trata de la “esfinge” de la responsabilidad civil. Los que no
pueden responder a su enigma, si bien no sufren un destino bien típico
de los cuentos e historicas mitológicas – o son muertos y devorados
por esos monstruos voraces –, desafortunadamente serán excluidos de
la posibilidad de proseguir en la trayectoria de esta materia para lo que
propone la complejidad de nuestros tiempos.
Actualmente, la causalidad ocupa un papel central en la teoría de
la responsabilidad civil. Antes de buscar a un culpable, localizamos a
un responsable. Podemos conceptualizar el nexo causal como la relación de causa y efecto entre el hecho (comportamiento) del agente y el
daño. Solo se le podrá imputar al agente la obligación de indemnizar si
el conjunto probatorio evidencia que necesariamente (o adecuadamente) la lesión patrimonial o extrapatrimonial se relaciona con su conducta o actividad. En la base de responsabilidad subjetiva, solo en un
segundo momento se investigará si esa conducta también corresponde
a un ilícito culposo.
En el ámbito de la responsabilidad civil, el nexo causal ejerce dos
funciones: la primera es la de otorgar la obligación de indemnizar a
aquel cuyo comportamiento fue la causa eficiente para la producción
del daño. La segunda, la de determinar la extensión de ese daño, a su
medida. Es decir, por la relación de la causalidad podremos determinar quién repara el daño y en qué valor.
En una demanda de reparación de daños por omisión de cuidado
no será la culpabilidad la que determinará la medida de la responsabilidad, sino la causalidad. Antes de precisar si la conducta antijurídica
paterna se calificó por la ligereza y manifiesta indiferencia por la figura
filial, se hace necesario averiguar el nexo causal entre la omisión parental y los daños sufridos por el hijo.
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
333
De nada sirve la efectiva verificación del ilícito culposo paterno,
así como del daño psíquico que afecta la salud del hijo, si no existe
la constatación clara de que el hecho omitido del agente fue la causa
necesaria del evento lesivo, sobre todo por no existir otra causa capaz
de justificar la lesión. Esta certeza se puede desvanecer si, a la par de la
desidia paterna, el contexto probatorio demuestra que hubo alienación
parental por parte del otro genitor8. El proceso de descualificación de
la persona o de la conducta del padre ante el hijo no solo perjudica
la relación afectiva paterno-filial, sino que puede, a mediano y largo
plazo, acarrear secuelas emocionales y comportamentales, a las que se
confiere la denominación de síndrome de la alienación parental.
En caso de que este proceso insidioso y continuado sea la causa
inmediata del daño acarreado al niño o adolescente, quedará excluida
la obligación de indemnizar por parte del padre al argumento de la
exclusión del nexo causal por el hecho exclusivo de tercero.
Además, en la trayectoria de la construcción de la subjetividad humana, otros factores pueden influir negativamente en el desarrollo psíquico de un joven, como el ambiente familiar y escolar. Ciertas vivencias negativas fatalmente competirán para potenciar el daño derivado
de la omisión de cuidado. Ilustrativamente, la triste conjunción de un
padre ausente con una madre igualmente distante o violenta, añadida
a un entorno sin referencias estabilizadoras, será el telón de fondo para
la formación de un ser humano disfuncional.
En una demanda de reparación de daños, no podrá el magistrado
ignorar el fenómeno de la causalidad concurrente, en virtud de la autoría plural. La consecuencia será un reparto de daños, con la condena del
genitor a un importe proporcional a su participación para la causación
8
Ley n. 12.318/10: Art. 2º “Se considera acto de alienación parental la interferencia en
la formación psicológica del niño o del adolescente promovida o inducida por uno de los
genitores, por los abuelos o por los que tengan al niño o adolescente bajo su autoridad, guarda
o vigilancia para que repudie o que cause perjuicio al establecimiento o al mantenimiento de
vínculos con éste. Párrafo único. Son formas ejemplificativas de alienación parental, además
de los actos así declarados por el juez o constatados por pericia, practicados directamente o
con ayuda de terceros: I - realizar campaña de descualificación de la conducta del genitor en
el ejercicio de la paternidad o la maternidad; II - dificultar el ejercicio de la autoridad parental;
III - dificultar el contacto del niño o adolescente con el genitor; IV - dificultar el ejercicio del
derecho regulado de convivencia familiar; V - omitir deliberadamente al genitor información
personal relevante sobre el niño o adolescente, inclusive escolar, médica y alteraciones de
dirección; VI - presentar falsa denuncia contra el genitor, contra familiares de éste o contra
abuelos, para obstaculizar o dificultar su convivencia con el niño o adolescente; VII - cambiar
el domicilio a lugar lejano, sin justificación, con el fin de dificultar la convivencia del niño o
adolescente con el otro genitor, con familiares de éste o con abuelos”.
334
The best interest of the child
del resultado lesivo. En este sentido y con una redacción pasible de
críticas, dispone el art. 945 del Código Civil: “Si la víctima ha concurrido
culposamente para el evento perjudicial, su indemnización se fijará teniendo en
cuenta la gravedad de su culpa en relación con la del autor del daño”.
3. Críticas a la responsabilidad civil por omisión
de cuidado parental
Constatados los cuatro presupuestos acumulativos de la responsabilidad civil, surge la condena por el daño extrapatrimonial. El genitor
que descuidó el derecho fundamental a la convivencia será condenado
por los daños existenciales necesariamente derivados del ilícito.
Inevitablemente, despuntan críticas a este desenlace.
En primer lugar, se puede hablar de una “subasta”. En lugar de que
el sistema jurídico inhiba el hecho jurídico de paternidad irresponsable, termina por tolerarla, siempre que sus consecuencias lesivas sean
monetizadas. La condena pecuniaria funciona como una moneda de
cambio para el cuidado descuidado. Con ello, se potencian las críticas
a la subversión axiológica del derecho de familia, en la medida en que
la patrimonialización de las demandas va en la dirección contraria del
objetivo constitucional de refuerzo de la solidaridad familiar y protección integral de los vulnerables.
Indudablemente, la buena doctrina9 podría argumentar que la
transformación del daño injusto en dinero tendría el don de proporcionar al autor de la demanda la percepción de auxilio psicológico para
tratar las secuelas oriundas de la falta de visita, del descuido, de la no
orientación ética, moral e intelectual, etc.
El argumento es válido, pues no hay como negar que, entre sus
efectos, la compensación económica produce una especie de mitigación de daños, a través de experiencias y sensaciones favorables que el
dinero pueda propiciar a la víctima, sobre todo cuando se trata de un
acceso a un acompañamiento psicológico. Sin embargo, el objetivo primordial de las normas de los arts. 227 y 229 de la Constitución Federal
no es el de conceder reintegración patrimonial por daños pasados, sino
el de estimular conductas virtuosas que promuevan la dignidad del
miembro de la familia en el estadio de desarrollo de su subjetividad.
9
En ese sentido, V. Silva Galdino Cardin, Dano moral no direito de familia, São Paulo,
2012, p. 161.
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
335
Si lo que el sistema tiene a ofrecer es una satisfacción pecuniaria capaz
de propiciar tratamientos y medicamentos, desafortunadamente reconocemos que el proceso no actuó como instrumento de concreción de
derechos fundamentales.
Otra crítica consiste en prever el desenlace de la acción de responsabilidad civil como una “tumba”, en la cual la sentencia sepultará
definitivamente las posibilidades de reconciliación entre agente y víctima. En el anecdotario popular se dice que, a diferencia de un “padre
de santo”, el juez no dispone de poderes para traer a la persona amada
de vuelta, ni en 48 horas ni mucho menos para siempre. El hecho es
que con el tránsito en juzgado de la sentencia condenatoria se cierra el
litigio, pero el conflicto prosigue. Por lo tanto, por mejor que sea la conducta y la resolución de un conflicto, no hay cómo evitar el deterioro
de los vínculos que constituyen las relaciones de quienes se sometieron a la controversia. Un conflicto intersubjetivo y complejo llega a su
final, representando aquello que la sociedad estimula: a ver el mundo
bajo la óptica de lo correcto y lo incorrecto, del vencedor y del vencido.
Por último, las condenas que alcanzan valores elevados no tienen un
carácter preventivo general ni especial. Una pequeña parte de los sentenciados poseen condiciones económicas para hacer frente al pago de
reparaciones que alcanzan cifras superiores a los R$ 200.000,00 (aproximadamente US$ 50.00,00). Se trata de una sanción financiera incapaz
de disuadir a la gran mayoría de los genitores en el sentido de motivar
una cultura de responsabilidad ante sus hijos, por el simple hecho de
que no se desalentarán comportamientos hostiles al deber objetivo de
cuidado por medio de decisiones aisladas que fijen montos reparatorios
“impagables” para la mayor parte de la población brasileña.
Estas breves consideraciones subrayan la insuficiencia de la responsabilidad civil y de su inherente mecanismo de la condena pecuniaria
como medida capaz de reforzar la observancia del derecho fundamental a la convivencia y de represión a conductas que nieguen a niños y
adolescentes la sana construcción de su personalidad.
Además, consideramos completamente ineficaz la posibilidad de
que se decrete la pérdida del poder familiar por el genitor que “deje
al hijo en abandono”, tal como lo preconiza el art. 1.638, II, del Código
Civil. La destitución de la autoridad parental será benéfica en aquellos
casos en los que la presencia del genitor sea contraria a los intereses del
menor y represente un riesgo a su incolumidad material o a su integridad psicofísica. Sin embargo, ante una reiterada omisión del deber
336
The best interest of the child
inmaterial de cuidado – que no se haya conjugado con la práctica de
otro ilícito –, lo que se demanda del padre es justamente lo contrario:
es decir, la actitud legislativa razonable será aquella que lo remita a
ejercer la autoridad parental en su plenitud.
Según el diccionario Aurelio, mediación es “la interferencia destinada a provocar un acuerdo”. Un instituto orientado a maximizar la
eficiencia jurisdiccional, por lo tanto, propone una solución a las partes
en litigio, sin, no obstante, imponer, como ocurre en los procedimientos de arbitraje. Es decir, se trata de un sistema alternativo no excluyente de resolución de conflictos, en el que un tercero neutral orienta
a las partes en el proceso de toma de decisiones con respecto a su desacuerdo. Las decisiones nacen del diálogo y se centran en el futuro,
donde se enfatizan las necesidades reales de los participantes. En vez
de desplazar el problema y echarle la culpa al otro, surge la autorresponsabilización.
Este espacio dialéctico es especialmente importante en un área sensible como el derecho de familia, cuyo perfil es el de albergar conflictos
continuados que comúnmente subsisten después del fin de la demanda, por lo que merecen un tratamiento cuidadoso e interdisciplinario.
Antes de que el conflicto se instale en juicio y cuando la omisión de
cuidado comienza a manifestarse, existe la oportunidad de la mediación extrajudicial y pre-procesal10 para vaciar la litigiosidad por la vía
de la cooperación – sin la presencia institucionalizada del Estado –,
permitiendo que cada sujeto se responsabilice y participe en un proceso de transformación de una familia desestructurada en un ambiente
fisiológico de solidaridad.
Ante el fenómeno de la judicialización de la vida – que señala una
inversión de prioridades en las órdenes normativas haciendo que el Derecho, que debería ser la última ratio, se haya convertido en la primera
10
Como bien lo advierten Delton Meirelles y Giselle Marques, la mediación y
la conciliación son institutos peculiares que tienen finalidades diversas y una
reglamentación específica: “Por regla general, la conciliación se realiza en juicio –
por el propio juez o por un conciliador entrenado –, con el proceso en curso, siempre
buscando un acuerdo entre las partes, negándose el conflicto sin la preocupación
de comprender su origen. Por otro lado, la mediación debería realizarse fuera de
los Tribunales, antes del proceso judicial, y busca la deconstrucción y superación
de la contienda, siendo el acuerdo una simple consecuencia del diálogo leal y de
la comprensión de las partes involucradas en la relación conflictiva. La mediación,
bajo el enfoque del enfoque del conflicto en sí –y no solo una solución para ello–, se
muestra mucho más amplia que la conciliación” (A mediação no projeto do novo
Código de Processo Civil, in o Novo CPC, Juspodivm, Salvador, 2015, p. 295).
La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil
337
–, en la resolución de conflictos parentales estamos ante un dilema: o
se hace un rescate ético y las desavenencias se revuelven de manera
alternativa o la cultura de la litigiosidad basada en la coacción y el encubrimiento del otro terminará con las posibilidades de una jurisdicción
eficaz, haciendo que el sistema jurídico se convierta en algo meramente
simbólico. En vez de transformar el conflicto emocional en conflicto judicial y este en la inadecuada solución de la condenación pecuniaria, se
busca la mediación para restaurar una convivencia armoniosa.
4. Conclusión
Por más que respetemos el recurso al derecho de daños en el contexto de las familias, no nos olvidamos de que actúa subsidiariamente a través de las normas especiales fijadas en cada rama del derecho privado.
Es decir, la eficacia reparadora de un hecho jurídico dañino repercutirá
de manera específica en los diversos cuadrantes del ordenamiento.
En un mundo ideal, el derecho de familia bastaría, incluso para sancionar la inobservancia de sus normas. Los ilícitos practicados en el
interior del núcleo familiar repercutían en lo que respecta a alimentos,
guarda, visitas, reparto de bienes e incluso en el derecho al nombre.
Pero no se pensaba en una apelación a normas externas, excepto con
respecto a los ilícitos con eficacia penal (v.g., lesiones corporales practicadas por el cónyuge), que demandaban una reacción más enérgica
del sistema.
La obsesión por sancionar al autor del hecho ilícito a través de
las eficacias propias del derecho de familia podría explicarse por
una ideología de inmunización de la familia como una institución
orientada a su preservación, independientemente de la suerte de sus
miembros. Si el desiderato del ordenamiento era estabilizar un modelo centrado en la conyugalidad indisoluble, de forma jerarquizada y
patrimonializada, los comportamientos antijurídicos practicados contra los vulnerables – es decir, mujeres e incapaces – se administraban
por las reglas integrantes del propio derecho de familia, formuladas a
propósito con desprecio de los principios de la igualdad material y de
la solidaridad. La necesidad de mantener en movimiento esa fabulosa unidad productiva y reproductiva no podría entablarse por meras
“contingencias de la vida”, que se manejarían mejor por la discrecionalidad del marido – jefe de la sociedad conyugal y por el padre –,
titular de la patria potestad.
338
The best interest of the child
Esta armazón fue implosionada por la Constitución Federal de
1988. A lo largo de los últimos 27 años se ha discutido mucho sobre
la paulatina reconstrucción del derecho de las familias, como un modelo plural, de amplio reconocimiento a la autonomía existencial y la
valorización del afecto de sus integrantes. Sin embargo, en cuanto a
los ilícitos practicados en la conyugalidad y en la parentalidad, la doctrina familiarista abdicó de la tarea del debate doctrinal, simplemente
delegando las consecuencias dañinas de la vida familiar a las reglas
generales de la responsabilidad civil.
El renovado derecho de las familias ofreció un rol de modelos jurídicos y posibilidades amplias de realización afectiva y existencial de
la persona en el interior de una pluralidad de entidades, pero en contrapartida se descuidó en concebir técnicas de control social hábiles
en dar cuenta de todo orden de nuevos ilícitos que irrumpen en este
complejo escenario de nuevas demandas sociales. La única salida para
tutelar a estas víctimas fue tomar como préstamo el reglamento de la
responsabilidad civil e introducir la compensación intrafamiliar de daños. Este es el panorama actual del derecho de familia brasileño.
Bibliografia
Brochado Teixeira A.C. - De Lima Rodrigues R., O direito das famílias entre a
norma e a realidade, São Paulo, 2012, p. 107
De Tocqueville A., Da democracia na América, São Paulo, 1998, p. 38
Rosenvald N., As funções da responsabilidade civil., 3. Ed., 2018, São Paulo, p. 27
Silva Galdino Cardin V., Dano moral no direito de família, São Pualo, 2012, p. 161
parte iv
L’interesse personale e patrimoniale del minore
e la sua partecipazione all’attività negoziale
Il minore e la relazione di cura
Alessandra Bellelli
Sommario: 1. Rifiuto di cure, Dat e il limite della maggiore età. – 2.
Decisioni in materia sanitaria riguardanti il minore. I conflitti tra genitori
e medici. – 3. La valorizzazione dell’autodeterminazione del minore.
La sessione che ho l’onore di presiedere concerne una materia di vasto
respiro “L’interesse personale e patrimoniale del minore e la sua partecipazione all’attività negoziale”; tuttavia, dai titoli delle singole relazioni si evince che la maggior parte di esse ruota intorno ai problemi dei trattamenti
sanitari e del fine vita con riguardo al perseguimento del migliore interesse del minore “The Best Interest of the Child”, secondo la felice denominazione di questo Convegno. Proprio con riferimento a questi temi,
vorrei, quindi, anticipare qualche mia riflessione di carattere generale,
che analizzi la problematica per grandi linee, e, pertanto, le mie osservazioni saranno senza dubbio carenti sul piano dell’approfondimento,
in una materia che è complessa, non puntualmente disciplinata e che
presenta profili di estrema delicatezza data la minore età dei soggetti e
la rilevanza degli interessi coinvolti.
1. Rifiuto di cure, DAT e il limite della maggiore età
Prendo le mosse dalla recente legge 22 dicembre 2017, n. 219, che ha
inteso regolare non solo le disposizioni anticipate di trattamento, colmando, in seguito ad un lungo iter legislativo, la lacuna sul testamento
biologico che era assente nel nostro ordinamento a differenza di altri
ordinamenti europei, ma che ha disciplinato anche, più in generale,
la relazione di cura tra medico e paziente, la quale trova fondamento
sul consenso informato. Il principio di autodeterminazione in materia
342
The best interest of the child
sanitaria, inserito in un rapporto di collaborazione attiva e reciproca
tra medico e paziente (cosiddetta alleanza terapeutica), costituisce il
fulcro dell’intera normativa e traduce sul piano del diritto il riconoscimento del pluralismo etico e la garanzia della libertà decisionale di
ciascuno con riguardo ai propri interessi squisitamente personali. Il
potere di autodeterminarsi trova espressione sia nel consenso (o rifiuto) informato attuale al trattamento medico, sia nel consenso (o rifiuto) informato manifestato anticipatamente (DAT) per il tempo in cui il
soggetto non sia più in grado di esprimerlo validamente a causa di una
sopravvenuta incapacità di intendere e di volere.
All’art. 1 della legge, si afferma, nel comma 1, che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero
e informato della persona interessata” e, nel comma 2, che “è promossa e
valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul
consenso informato”. Queste disposizioni normative prescindono dall’età del paziente, del quale, se minore, come meglio si vedrà in seguito,
deve essere valorizzata la capacità di comprensione e di decisione, nel
rispetto dei suoi diritti fondamentali alla vita, alla salute, alla dignità e
all’autodeterminazione (art. 3, comma 1).
Altre norme, invece, richiedono espressamente la maggiore età del
paziente. Mi riferisco alla norma che prevede il diritto di rifiutare le
cure o di revocare il consenso prestato, per il quale è richiesta la capacità di agire (art. 1, comma 5); ugualmente, per le disposizioni anticipate di trattamento, si statuisce che possano provenire solo da persona
maggiorenne e capace di intendere e di volere (art. 4, comma 1).
In questi casi il limite formale della capacità di agire, che, con riguardo all’esercizio di diritti fondamentali del minore, è stato superato
dall’evoluzione dottrinale, giurisprudenziale ed anche legislativa1, viene
1
Cfr. di recente, F. Giardina, “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir.
civ., 2016, p. 1611 ss., secondo la quale l’incapacità legale, avendo una vocazione
patrimoniale, è uno strumento non idoneo a garantire i diritti del minore nella sfera
delle relazioni personali e in questo ambito, dove le esigenze della persona sono
prevalenti la capacità di agire, è superata “da un’effettiva condizione di discernimento,
che la legge definisce capacità, attribuendo al termine un significato del tutto nuovo”.
Per l’evoluzione dottrinale volta al riconoscimento di un autonomo esercizio dei diritti
fondamentali da parte del minore che abbia raggiunto la capacità di discernimento e
per la prevalenza delle sue scelte personalissime allorché si prospetti una situazione
conflittuale con i genitori, v., in particolare, P. Stanzione, Capacità e minore età nella
problematica della persona umana, Camerino, 1975; Id., Diritti fondamentali dei minori e
potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 447 ss.; F. Giardina, La condizione giuridica
del minore, Napoli, 1984; M. Giorgianni, In tema di capacità del minore di età, in Rass.
dir. civ., 1987, p. 103 ss.
Il minore e la relazione di cura
343
riaffermato per agganciare la piena maturità richiesta per decisioni particolarmente gravi al dato certo e incontrovertibile del compimento dei
diciotto anni.
Dunque, con riguardo ai principali problemi che il legislatore intendeva risolvere, ovvero quelli legati alle volontà espresse anticipatamente dal paziente, in particolare in relazione al loro valore vincolante
per i medici, ora pienamente riconosciuto dalla legge (art. 4, comma 5)2,
nonché quelli concernenti il rifiuto o la rinuncia alle cure, le soluzioni
normative non possono trovare applicazione se si tratta di minori, e
per essi non si rinvengono nella legge indicazioni univoche e chiare.
Più ampi spazi sono concessi ora all’autodeterminazione: la legge, all’art. 1, comma 5, a differenza di quanto previsto in precedenti
progetti legislativi3, considera espressamente quali trattamenti medici,
come tali suscettibili di rifiuto o interruzione su richiesta del paziente,
la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale4. Altro sostegno vitale
è la ventilazione artificiale, che, sebbene non specificamente menzionata dalla norma, costituisce anch’essa un trattamento medico per il
quale è quindi possibile esprimere il rifiuto o la rinuncia.
Il dissenso può essere manifestato non solo attualmente, ma anche
in via anticipata per il tempo futuro in cui la persona dovesse trovarsi
in una situazione di incapacità di autodeterminarsi: attraverso le DAT,
il soggetto, nella pienezza delle sue capacità mentali, decide “ora per
allora” in materia di trattamenti sanitari sul proprio corpo.
2
Ai sensi di legge, “il medico è tenuto al rispetto delle DAT”, potendo disattenderle
solo se superate dal progresso scientifico in medicina o non corrispondenti alla
situazione clinica attuale del paziente o palesemente incongrue (art. 4, comma 5). È
questo un importante risultato raggiunto dalla legge, che si discosta dall’impostazione
dei precedenti progetti legislativi secondo i quali le decisioni di fine vita espresse
anticipatamente dal paziente venivano soltanto prese in considerazione dal medico
che non era ad esse vincolato. In senso critico contro tale impostazione cfr. A.
Bellelli, Decisioni di fine vita e disposizioni anticipate di trattamento, in Nuova giur. civ.
comm., 2011, II, p. 85 ss.
3
V., in particolare, il progetto di legge n. 2350 del 2009, che sembrava vicino al
traguardo legislativo, essendo stato approvato in un testo unificato dal Senato il 26
marzo 2009. In questo disegno di legge (art. 3, comma 5) si escludeva la possibilità
per il soggetto di decidere, nelle dichiarazioni di fine vita, con riguardo alla
nutrizione e alla idratazione artificiale, in quanto questi atti venivano qualificati non
come trattamenti medici, sottoposti al consenso-dissenso dell’interessato, ma come
“forme di sostegno vitale” sottratte alla disponibilità del singolo.
4
Si precisa nella norma di cui all’art. 1, comma 5, che l’alimentazione e l’idratazione
artificiale sono considerati trattamenti sanitari “in quanto somministrazione, su
prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”.
344
The best interest of the child
Queste disposizioni normative, che vengono ad espandere l’autonomia del soggetto, si collocano in un solco tra due opposte concezioni: la
concezione della sacralità della vita, vista come bene assoluto da perseguire con ogni mezzo e che comporta la assoluta indisponibilità da
parte dell’interessato, e la concezione laica, che invece affida alla libertà
del soggetto le scelte esistenziali e le decisioni sul fine vita. Nelle ipotesi
delineate dalla legge, è il soggetto che decide, e decide autonomamente,
anche in contrasto con il parere dei medici. Il soggetto capace di agire può rifiutare un trattamento medico o interrompere un trattamento
già iniziato, anche a costo della vita, e per le motivazioni più varie. Il
medico, di fronte ad una volontà ferma e pienamente consapevole del
paziente, dopo aver prospettato le conseguenze della scelta e le possibili
alternative, non può fare altro che prendere atto del rifiuto o della rinuncia, anche se il trattamento sanitario è necessario per la sopravvivenza.
E proprio per questo non è responsabile né in sede civile, né in sede
penale, come espressamente si prevede all’art. 1, comma 6, della legge.
Se le disposizioni normative menzionate richiedono, come si è
detto, il raggiungimento della maggiore età o la capacità di agire del
soggetto interessato, non potranno essere applicate allorché si tratti di
minori. Pertanto, con riguardo ai minori, tutti i problemi etici, che sono
stati risolti in modo certo attraverso queste norme sul fondamento del
principio di autodeterminazione, risorgono e non trovano nella legge
dei riferimenti sicuri per una soluzione.
Ai minori e incapaci è dedicato un articolo della legge (art. 3), ma,
come si vedrà, anche al di fuori delle ipotesi di rifiuto di cure, le disposizioni normative in esso contenute, pur affermando i principi della valorizzazione dell’individualità del minore e del rispetto dei suoi diritti
fondamentali, non raggiungono pienamente l’obiettivo di garantirne
l’autodeterminazione, apparendo talvolta addirittura contraddittorie.
2. Decisioni in materia sanitaria riguardanti il minore.
I conflitti tra genitori e medici
Se si tratta di un minore, il processo decisionale sul trattamento sanitario da applicare coinvolge necessariamente una pluralità di
soggetti. Anzitutto il minore stesso, in relazione alla sua età e al suo
grado di maturità; in secondo luogo i rappresentanti legali, i genitori
che esercitano la responsabilità genitoriale o il tutore, che dovranno
prestare il consenso o il dissenso al trattamento medico; quindi, ma
Il minore e la relazione di cura
345
non ultimi, i medici, che, quando il paziente è un minore, a mio avviso,
partecipano con un ruolo di primo piano alla decisione in ragione delle
loro conoscenze scientifiche e competenze professionali.
Il medico è responsabile del best interest del minore e proprio stamattina il prof. Bianca, su questa stessa linea, ha detto espressamente che il
medico deve perseguire non solo la tutela della vita del minore, ma la
tutela della salute del minore. I medici, quindi, non potranno avallare
decisioni dei genitori che siano in contrasto con il migliore interesse del
minore inteso a tutto campo, ovvero decisioni riguardanti sia le cure
necessarie per la sopravvivenza del minore, sia, anche, le cure utili per
la sua salute. La norma di cui all’art. 3 prevede che il consenso viene
espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal
tutore ed ha “come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore”, ma la decisione sui trattamenti da applicare, se il minore è infante,
assolutamente privo di capacità di discernimento e non può esprimere,
quindi, una propria volontà, non può essere demandata solo ed esclusivamente ai genitori. A decidere dovranno essere sempre i rappresentanti legali insieme ai medici. Proprio perché il processo decisionale è
complesso, più sono gli attori, maggiore sarà la possibilità di conflitti.
È apparso sulle cronache, negli ultimi anni, il caso, di grande risonanza, riguardante il piccolo Charlie Gard, al quale hanno fatto seguito
altri casi inglesi di conflitti tra i medici e i genitori con riguardo alle cure
su minori in tenerissima età, poco più che neonati. Si trattava di bambini
gravemente malati, per i quali i medici avevano deciso di interrompere i
sostegni vitali, ritenendo che la prosecuzione delle cure avrebbe costituito solo un accanimento terapeutico; i genitori, invece, erano di contrario avviso, volevano che il proprio figlio continuasse con ogni mezzo a
vivere e che venissero applicati tutti i trattamenti esistenti, anche sperimentali, purché il figlio rimanesse in vita. I singoli casi sono stati decisi
dalla High Court inglese, la quale, dopo aver preso atto delle condizioni gravissime del minore e che la prosecuzione delle cure sarebbe stata
senza alcuna speranza, ha ritenuto che il miglior interesse del minore, in
ragione della qualità di vita e al fine di porre termine alle sofferenze, fosse quello di interrompere le terapie e di continuare con le cure palliative.
I conflitti tra genitori e medici sono presi in considerazione anche
nella legge n. 219/2017, ma in una prospettiva opposta. L’ipotesi prevista nella norma (art. 3, comma 5) è quella dei rappresentanti legali
del minore che rifiutano le cure, mentre i medici, invece, le ritengono
“appropriate e necessarie”.
346
The best interest of the child
Quando si tratta di un minore, i medici hanno un ruolo, a mio
avviso, primario, che deve prevalere anche sulla decisione dei genitori, se questo corrisponde al migliore interesse del minore stesso.
In caso di conflitto tra genitori e medici, secondo la legge (art. 3,
comma 5), si dovrà far ricorso al giudice tutelare.
È quello che prevede anche il codice deontologico medico5 all’articolo
37, comma 2, in cui si afferma che il medico, se c’è un’opposizione da parte del minore o da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale ad un
trattamento ritenuto necessario, segnala all’Autorità competente. Ma non
solo, il medico è obbligato comunque a praticare le cure indispensabili e
indifferibili nell’interesse del minore.
Di fronte a un problema di fine vita, però, quale significato assume
l’espressione cure appropriate e necessarie? Le cure necessarie sono
quelle volte a tenere in vita il minore o quelle che alleviano soltanto le sofferenze senza impedire il naturale decorso ed epilogo della
malattia? Questo tema, quanto mai arduo e drammatico da affrontare,
porta ad interrogarsi anche su chi deve decidere, in particolare quando
il minore non abbia capacità di discernimento o sia divenuto a causa
della malattia incapace di intendere e di volere, ovvero se a prendere
le decisioni debbano essere i medici sulla base delle loro conoscenze
scientifiche e della loro coscienza o i genitori che hanno la rappresentanza legale secondo il loro sentire oppure i giudici.
Nei casi di fine vita non è facile dire quale sia la soluzione da
intraprendere, ma certo è che la scelta deve sempre perseguire il miglior interesse del minore. Al fine di cercare di comprendere quali siano le cure migliori, l’espressione “cure appropriate e necessarie” va
letta alla luce della disposizione normativa di cui al secondo comma
dell’art. 3, la quale prevede che il consenso informato al trattamento
sanitario del minore, espresso o rifiutato dai rappresentanti legali,
deve avere “come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita
del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Ci si domanda allora
se la tutela della vita, della salute psicofisica è un valore assoluto, che
va perseguito sempre e comunque con riguardo a un minore, o se per
vita deve intendersi, come sembra, anche una qualità di vita dignitosa, dato che la frase termina “nel pieno rispetto della sua dignità”.
5
Cfr. il codice deontologico medico nella versione approvata il 18 maggio 2014 dal
Consiglio della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri.
Il minore e la relazione di cura
347
Come si evince dalle osservazioni svolte, mentre con riferimento
al soggetto capace di agire le soluzioni vengono date tutte nella legge,
perché è il soggetto a decidere autonomamente, anche contro l’opinione dei medici, non cosi è quando si tratta di un minore.
3. La valorizzazione dell’autodeterminazione del minore
La legge ha l’indubbio merito di tener conto, in relazione all’età e
al grado di maturità, della volontà del minore e di valorizzare la sua
capacità di comprensione e di decisione, anche attraverso un’adeguata
e calibrata informazione da effettuare con le dovute cautele, ma che
sia tale da mettere in grado il minore di esprimere consapevolmente le
proprie scelte (art. 3, comma 1). Conformemente, il rispetto dei diritti
del minore, richiamati nella norma stessa attraverso il rinvio all’art. 1,
comma 1, non è limitato ai diritti alla vita e alla salute, ma comprende
anche i diritti alla dignità e all’autodeterminazione.
Questa norma costituisce svolgimento ed esplicazione di quel processo di valorizzazione della persona e dell’identità del minore, secondo le proprie capacità, inclinazioni naturali, aspirazioni, che emerge
dalla riforma della filiazione, ma che non riguarda solo il rapporto
genitori-figli. I diritti del minore, proclamati nell’art. 315 bis, inserito nel
codice civile dalla legge di riforma della filiazione, si espandono, infatti,
anche al di fuori della relazione parentale e del contesto familiare. In
particolare, il diritto all’ascolto diviene un principio generale del nostro
ordinamento, in virtù del quale il minore di anni dodici, e anche di età
inferiore qualora sia capace di discernimento, deve essere ascoltato in
tutti i procedimenti e per tutte le questioni che lo riguardano.
Pertanto, il medico è tenuto non solo ad informare, ma anche ad
ascoltare il minore che abbia capacità di discernimento, il che implica
un rapporto diretto tra medico e paziente e l’instaurarsi della cosiddetta alleanza terapeutica direttamente con il minore interessato. Il minore, che raggiunga nella sua evoluzione una maturazione fisio-psichica
tale da poter effettuare autonomamente scelte personalissime, dovrà
esso stesso poter esercitare i suoi diritti fondamentali, e il suo progressivo sviluppo andrà anche a segnare i limiti della responsabilità genitoriale in materia di interessi di natura personale.
In questo senso suscita qualche perplessità la disposizione normativa
di cui al secondo comma dell’art. 3, che sembra in contraddizione con
quanto affermato nel primo comma, in quanto il consenso al trattamento
348
The best interest of the child
sanitario del minore viene sempre espresso dai genitori6 o dal tutore.
Saranno costoro a dover tener conto della volontà della persona minore,
in relazione alla sua età e al suo grado di maturità.
Il rapporto diretto tra medico e paziente minore, anche quando si
tratta di un minore che abbia raggiunto piena capacità di discernimento, sembra, così, dissolversi nel momento più rilevante, ovvero quello
della manifestazione del consenso, richiedendo la legge la interposizione necessaria del rappresentante legale7.
Sembra questo un punto debole della legge, ma che, in nome dell’autodeterminazione e dell’identità del minore, può essere superato in via
interpretativa, sulla base, anche, di tutta la giurisprudenza e della dottrina che già da tempo hanno valorizzato la figura dei cosiddetti grandi minori, affermandone l’autonomia decisionale in materia di interessi
di natura personale e, quindi, pure in ambito medico. Anche norme di
legge hanno riconosciuto una piena autonomia con riguardo a specifici
trattamenti sanitari: alla minore che voglia interrompere la gravidanza
o che intenda assumere contraccettivi, oppure ai minori che desiderano
iniziare un percorso di disintossicazione dagli stupefacenti. Tutto questo
depone per una seria considerazione, da parte dei medici, della volontà
del minore capace di discernimento in ogni fase della relazione di cura,
sebbene tale volontà sia contrastante con quella dei genitori, ma sempre
con l’obiettivo di perseguire il best interest del minore stesso e con il limite
di evitare il grave pregiudizio.
Concludo citando un libro, di I. McEwan, La ballata di Adam Henry. Si
trattava di un minore quasi maggiorenne, poco più di 17 anni, affetto da
leucemia, ma che rifiutava i trattamenti sanitari vitali, in particolare le
trasfusioni di sangue, a causa del suo credo religioso, essendo testimone
di Geova. La giudice, chiamata a decidere sul caso, con grande sensibilità
e dopo un tormentato conflitto interiore, riesce, come si legge proprio nel
libro, “a proteggere il giovane dalla sua stessa religione” e a convincerlo a
sottoporsi ai trattamenti medici, evitando, così, il grave pregiudizio.
6
L’eventuale divergenza di decisioni tra un genitore e l’altro sul trattamento medico
da consentire o da rifiutare andrà risolta applicando le norme in materia di
responsabilità genitoriale (art. 316, commi 2 e 3, c.c.).
7
V. Per interessanti considerazioni critiche, P. ZATTI, Cura, salute, vita, morte: diritto
dei principi o disciplina legislativa?, in BioLaw - Riv. Biodir. , 2017, p. 188
Il minore e la relazione di cura
349
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ZATTI, P., Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in
Biolaw Journal, Riv. Biodir. , 2017, p. 188
Autonomía negocial de última voluntad
y capacidad de la persona
Vincenzo Barba1
Sumario: 1. Introducción. - 2. Actos entre vivos, actos de última voluntad
y actos por causa de muerte. - 3. Testamento y sucesión. - 4. Actos de
última voluntad diferentes del testamento. - 4.1. Capacidad para cumplir
los actos de última voluntad diferentes del testamento.
1. Introducción
En la literatura italiana es muy firme la idea, aunque no siempre expresada de manera inequívoca, de que el testamento es el único negocio
mortis causa válido2.
Como prueba de esta afirmación, a menudo implícita, se dice que
cualquier acuerdo de sucesión contenido en un contrato o en un negocio unilateral entre vivos es nulo, precisamente debido a la prohibición de los pactos sucesorios3; con el corolario de que la mencionada
prohibición, junto con las normas sobre el testamento y su contenido4,
1
Prof. Vincenzo Barba, Catedrático de Derecho civil de la Universidad de Roma “La
Sapienza”. Correo electrónico: vincenzo.barba@uniroma1.it. Este trabajo es una parte
de un ensayo más largo publicado en la revista “Derecho privado y Consituciòn”.
2
S. Delle Monache, 2005, p. 55 ss.; C.M. Bianca, 2015, p. 251 ss.; V. Cuffaro, 1994, p.
727 ss.; M.C. Tatarano, 2003, p. 37.
3
En Italia, vid. la norma establecida en el art. 458 c.c.; en España, vid. el art. 1271
c.c.; en Cuba, vid. la norma en el art. 467 c.c. En el curso de los trabajos hay algunas
limitadas referencias a la doctrina española, que se hacen con el único propósito de
destacar que, en muchos aspectos, a pesar de la presencia de diferentes disciplinas,
la doctrina y la jurisprudencia se han enfrentado a problemas bastante similares.
En este sentido, se debe considerar cualquier cita a la doctrina española que se
encuentre en el resto del texto, sabiendo que estas citas son inadecuadas para dar
una imagen completa de la doctrina española.
4
En Italia, vid. las normas establecidas en el art. 587 c.c. sobre la noción de testamento
352
The best interest of the child
confiarían exclusivamente al último la regulación de los intereses post
mortem de la persona. Se especifica, además, que el testamento es un
negocio típicamente patrimonial y que la regulación de los intereses no
patrimoniales constituye el contenido atípico del testamento.
El complejo de estas declaraciones no solo ofrece una representación del fenómeno de la sucesión que me parece que no encaja perfectamente con el ordenamiento jurídico italiano, sino que, sobre todo,
ha constituido, desde mi punto de vista, un fuerte límite a la autonomía privada post mortem, empujando al intérprete a creer que el único
remedio para ofrecer una reconstrucción contemporánea del derecho
hereditario fuera refugiarse en el mundo del contrato.
Intentaré cuestionar esta idea básica, en la convicción de que la autonomía privada post mortem tiene y merece un espacio mucho más
amplio de lo que parece a primera vista y que, a partir de este reconocimiento, derivan consecuencias significativas.
Para cuestionar la idea de que el testamento es el único negocio
mortis causa válido, en primer lugar, es necesario verificar el alcance
de la categoría de los actos5 por causa de muerte y si esta categoría
realmente se opone a la de los actos entre vivos y, finalmente, cuál es
su relación con los actos de última voluntad6.
En segundo lugar, es necesario meditar sobre la función que ha tomado el testamento en el sistema jurídico actual, también para comprender el significado de la prohibición de los pactos sucesorios y cuál
es el límite efectivo de la autonomía privada.
Por último, es necesario verificar si pueden darse en el ordenamiento jurídico italiano actos de última voluntad diferentes del testamento
y, en el caso de respuesta afirmativa, cuál es su disciplina, advirtiendo,
y el art. 588 c.c., sobre la institución de heredero y la ordenación de legado. En
España, vid. las normas establecidas en el art. 667 c.c. sobre la noción de testamento
y el art. 668 c.c., sobre la diferencia entre el heredero y el legado. En Cuba, vid. las
normas establecidas en art. 476 c.c. sobre la noción de testamento y el art. 468 c.c.,
sobre institución de heredero y ordenación de legado.
5
A continuación, el término “acto” se utiliza en el sentido técnico de un acto jurídico
en sentido amplio, es decir, como categoría que abarca tanto los actos jurídicos en
sentido estricto como los negocios jurídicos. En el caso de que se pretenda hacer
referencia específica a una de las dos categorías, incluida en la de “actos jurídicos en
sentido amplio”, me referiré expresamente a “actos jurídicos en sentido estricto” o a
negocios jurídicos o, simplemente negocios.
6
Ver, recientemente, para el desarrollo de esta idea, V. Barba, 2018, p. 3 ss., al que se
hace referencia para un cuadro completo de las citas de la doctrina italiana. En este
artículo las citas de la doctrina italiana se reducen a las esenciales.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
353
desde el principio, que cuando los intereses regulados son de naturaleza existencial, es demasiado obvio que la capacidad requerida para
la validez de estos actos requiere un replanteamiento general, también
en consideración de la Convención de las Naciones Unidas sobre los
derechos de las personas con discapacidad7.
2. Actos entre vivos, actos de última voluntad y actos por
causa de muerte
A la categoría de los actos inter vivos, se suele, generalmente, oponer la categoría de los actos mortis causa, en la convicción de que un
acto jurídico puede reducirse a uno u otro, con claridad y precisión.
Partiendo de este supuesto, es fácil afirmar que el contrato de donación es un acto entre vivos y que el testamento es un acto por causa
de muerte. Se dice, de hecho, que el testamento no solo es un acto por
causa de muerte, sino el único acto por causa de muerte admitido por
el ordenamiento jurídico italiano8.
Sin embargo, esta clasificación se vuelve muy incierta cuando se
trata de hipótesis consideradas fronterizas, como, por ejemplo, el contrato de sucesión o la división del caudal hereditario9. En tales casos,
es difícil establecer, inequívocamente, si se trata de un acto entre vivos
o de un acto por causa de muerte.
Para superar esta dificultad, debemos socavar la idea de que la
categoría de actos entre vivos debe establecerse en contraposición
con la categoría de los actos por causa de muerte. Es necesario tomar
conciencia, aprovechando la enseñanza de Giampiccolo10, de que la
categoría de actos inter vivos no se puede establecer en contra de la
categoría de actos mortis causa, sino en contra de la de actos de última
voluntad.
7
Cabe considerar que Italia, aunque haya ratificado esta Convención, aún no ha
procedido a adaptar las normas del derecho civil, de modo que la norma del art. 12
de la Convención se encuentra sustancialmente sin una implementación adecuada.
8
Véase la nota n. 2.
9
La hipótesis concierne, sobre todo, a la ley española, en la cual el contador-partidor
puede hacer una división de su patrimonio no solo por acto de última voluntad
(art. 735 c.c. it.; art. 1056 c.c. es.), sino también por acto inter vivos (art. 1056 c.c. es.).
Al igual que en la ley española, también en la ley cubana, la división de la herencia
puede realizarse mediante acto entre vivos (art. 534 c.c. cu). No es así en el derecho
italiano.
10
G. Giampiccolo, 1954, p. 37 s.
354
The best interest of the child
El par de categorías opuestas, tales que un acto sin duda pertenece
a una u otra, es: actos entre vivos - actos de última voluntad.
Por un lado, los actos entre vivos, es decir, esa clase de actos jurídicos identificados por su idoneidad para producir, desde su celebración, una relación jurídica, incluso si es un efecto preliminar (como
en caso de negocio sometido al dies mortis, o a condición de premoriencia)11; por otro lado, los actos de última voluntad, que son actos
jurídicos unilaterales y unipersonales, destinados a producir efectos
solo después de la muerte de su autor12, sin que, antes de ese tiempo,
produzcan ningún efecto13, incluso si son conocidos o están dirigidos a
los mismos destinatarios.
De esto derivan consecuencias extraordinariamente significativas
de disciplina.
Los actos entre vivos, unilaterales o bilaterales, precisamente por
su idoneidad inmediata para producir un efecto jurídico, incluso si
es un efecto preliminar, son capaces de generar una confianza legalmente relevante para el beneficiario del acto o efecto14. La confianza
es máxima en el caso de un contrato, en el cual las partes están en el
mismo plano y en posición opuesta, mientras que es mínima, pero aún
relevante, en el caso de un negocio unilateral no recepticio, en el cual
la contraparte es destinataria de un efecto, incluso si el acto es eficaz
independientemente del conocimiento que el destinatario haya tenido.
La interpretación de los actos entre vivos debe tener en cuenta, aunque
11
De hecho, es el único criterio capaz de identificar las características de esta figura,
ya que la expresión “entre vivos” no puede, por supuesto, identificar estos actos en
virtud de su cumplimiento por parte de los seres vivos.
12
M.V. De Giorgi, 2017, p. 418 s.
13
Podría objetarse que el testamento, como acto de última voluntad, producirá un
efecto, al menos hacia su autor, ya que expresa un cierto conjunto de intereses que,
en ausencia de revocación, pretende, después de la muerte de su autor, regular la
sucesión de la persona. El hecho de que debería ser revocado sugeriría que produce,
en cualquier caso, un cierto efecto. La circunstancia que debe revocarse y que, en
ausencia de revocación, está destinada a regular la sucesión, no es una afirmación
necesaria ni suficiente para decir que tal acto produce un efecto en el sentido técnico,
es decir, una relación jurídica. La revocación, por lo tanto, no es un acto que carece
de un efecto que ha producido algún efecto, sino un acto que impide la producción
de un efecto que el acto aún no ha producido. Desde este punto de vista, parece
necesario hablar sobre el acto de última voluntad, no de revocación, sino de retiro.
14
Ver las interesantes consideraciones de C. Caccavale, 2014, p. 17, 40, 49, 18 ss., quien
señala la insuficiencia del instrumento testamentario cuando se hace la atribución
con el fin de lograr un resultado, incluso si el mismo no debe interpretarse en
términos de consideración, por una promesa de recompensa.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
355
con diferentes grados, según sean contratos o negocios unilaterales y,
en este segundo caso, según sean recepticio o no, la voluntad de otra
parte o la intención del destinatario del acto o del efecto.
Por otro lado, están los actos de última voluntad, que son fisiológicamente incapaces de generar cualquier tipo de confianza en el
destinatario del acto o efecto, incluso si este último puede tener conocimiento de ello. Debido a esto, tales actos son siempre libremente
revocables15 y deben interpretarse teniendo en cuenta exclusivamente
la determinación volitiva de su autor, dejando al margen las voliciones
y determinaciones de otras partes16. Esto se explica porque, al carecer
de una disciplina orgánica en la interpretación, fue necesario proceder
a su difícil reconstrucción17, partiendo de las reglas sobre la interpretación del contrato.
El razonamiento desde esta perspectiva, que quiere contraponer
a la categoría de actos entre vivos, la de actos de última voluntad,
llega a la conclusión de que la categoría de los actos mortis causa
permanece independiente de la primera y la segunda. Su rasgo característico consiste en considerar la muerte del disponente, no solo
como un mero acontecimiento al que solo se informan los motivos
de acción o los efectos del acto, sino como un acontecimiento capaz
de caracterizar el acto desde un punto de vista objetivo-funcional.
Mientras que las categorías de actos entre vivos y los actos de la
última voluntad encuentran su perfil de calificación en el momento de la eficacia, la de los actos por causa de muerte encuentra su
rasgo característico en el perfil causal. Por lo tanto, la categoría de
actos mortis causa se define por su capacidad de regular relaciones
o situaciones jurídicas que, al fallecer el disponente, se constituyen
de manera original o se derivan de una calificación autónoma. De
modo que los dos índices reveladores de la naturaleza mortis causa
del acto serían: a) que tiene por objeto el quod superest, o un solo bien
15
Recientemente, sobre la revocación del acto de última voluntad, G. D’Amico, 2017,
p. 69 ss.
16
G. Giampiccolo, 1954, 114.
17
P. Rescigno, 1952, p. 3 ss. También puede ser útil mencionar algunas obras de la
doctrina española que, aunque se refieren al derecho español, han abordado un
problema similar y han sido consideradas por la doctrina italiana: J.B. Jordano
Barea, 1958, p. 3 ss.; J.B. Jordano Barea, 1999, p. 3 ss.; J.B. Jordano Barea, 1991, p.
1697 ss.; D. Espin Canovas, 1991, p. 1680 ss.; A. Cañizares Laso, 2011a, p. 288 ss.; A.
Cañizares Laso, 2011b, p. 307 ss.; J.M. Miquel González, 2002, p. 153 ss.
356
The best interest of the child
en la medida en que sea superest18; b) y que tiene como beneficiario19
un sujeto considerado a condición de que sobreviva al disponente20.
En esta perspectiva, la categoría de actos por causa de muerte no
puede ser opuesta a la de los actos entre vivos, ya que no hay duda
de que podemos asumir, independientemente de su validez, negocios
que, al mismo tiempo, son a causa de muerte y entre vivos. En este
sentido, es suficiente pensar en el contrato sucesorio (especialmente el
que determina una institución de heredero), que es, por supuesto, un
acto entre vivos, debido a su idoneidad para producir efectos desde
su perfección, generando una expectativa legítima sobre lo que se ha
pactado; pero es, también, un acto a causa de muerte, porque regula
una relación jurídica que encuentra su causa en la muerte de una de
sus partes.
Dada la dicotomía entre los actos inter vivos y los actos de última
voluntad, se deduce que la categoría de los actos mortis causa puede
intersectar ambos, sin perjuicio de la reconstrucción teórica, precisamente porque cada una de estas categorías puede capturar ciertos
perfiles estructurales, o algunos perfiles funcionales. Y dado que el
ordenamiento jurídico italiano conoce actos que se pueden realizar
bien inter vivos, bien por acto de última voluntad – como, es decir, por
ejemplo, para la constitución de una fundación (art. 14 c.c. it.; similar
el art. 7 Ley 30/94 es.), el nombramiento de un administrador especial
para la administración de bienes donados o dejados con testamento
(art 356 c.c. it.), el reconocimiento del hijo extramatrimonial (art. 254
c.c. it.; similar el 223 c.c. es.), el establecimiento de una servidumbre
(art. 1058 c.c. it.), el establecimiento de una anualidad (art. 1872 c.c.
it.) – es necesario verificar el alcance de la autonomía testamentaria y,
mas generalmente, el alcance de la autonomía con respecto a los acto
de última voluntad.
18
G. Giampiccolo, 1954, p. 41, “considerazione dell’oggetto dell’attribuzione come
entità commisurata in tutti i suoi elementi (esistenza, consistenza, modo di essere) al
tempo della morte dell’attribuente”.
19
G. Giampiccolo, 1954, p. 42, “considerazione della persona del beneficiario come
esistente in quello stesso momento [quello della morte dell’attribuente]”.
20
Una aceptación completa de la teoría de Giampiccolo (1954) se puede leer en la
decisión de Cass., 16 de junio de 1966, n. 1547, en Foro it., 1966, I, c. 1513 ss. y en
Giust. civ., 1967, I, p. 1353 ss., sobre la calificación de una donación con una cláusula
si praemoriar, en virtud de la cual, Tizia, un miembro fallido de una sociedad de facto
que había tenido con su esposo había procedido a la división y la asignación a sus
cuatro hijos de sus bienes, estableciendo que “las asignaciones y particiones tendrán
efecto después de su muerte”.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
357
3. Testamento y sucesión
La idea de que el testamento debe considerarse un negocio con contenido exclusivamente patrimonial no es tanto el resultado de la interpretación de una u otra disposición jurídica que define la figura, sino la
consecuencia de la idea de que la sucesión mortis causa es un fenómeno
típica y exclusivamente patrimonial. Moviéndose en este entorno cultural es fácil comprender por qué, históricamente, se ha dicho que el
contenido típico o propio del testamento es el patrimonial (consistente,
principalmente, en la institución de heredero u ordenación de legado),
mientras que la regulación de los intereses no patrimoniales constituye
el contenido atípico del testamento o, alternativamente, un contenido
no testamentario que se limita a ser contenido en un acto que tiene solo
la forma testamentaria21.
Este enfoque cultural, que ciertamente era típico de los sistemas
jurídicos legalistas de matriz principalmente productivista, está inevitablemente destinado a ser superado en los sistemas jurídicos contemporáneos, que colocan en la cima de sus valores la persona y la
dignidad humana22.
Aunque es incuestionable que, incluso hoy en día, la planificación
de situaciones jurídicas patrimoniales post mortem constituye un perfil
importante y decisivo de las sucesiones y que una gran parte de los
institutos del derecho hereditario sirve para la atribución de riqueza a
herederos y legatarios, debe tenerse en cuenta que el fenómeno jurídico
21
El problema me parece que se ha abordado de forma similar en España, especialmente
si consideramos la fuerte interrelación, también en términos de citas entre italianos y
españoles. Por todos, J.B. Jordano Barea, 1991, p. 1679, según el cual aceptar la idea
de que las disposiciones son testamentarias en un sentido sustancial, “implicaría
seguir una concepción ecléctica del testamento, cifrada en combinar o conciliar las
dos concepciones del mismo en sentido sustancial, amplio y estricto, tal como hace
Cicu. Pero las disposiciones de carácter no patrimonial que la ley consiente sean
contenidas en un testamento, son eficaces cuando figuran en un acto que tiene la
forma del testamento (testamento en sentido formal), aunque falten disposiciones
de carácter patrimonial (arg. ex arto 741 CC, tras la reforma de 1981, y STS 12-XI-64,
entre otras)”.
22
Es innegable que el valor normativo de nuestro ordenamiento jurídico es la persona
humana y su dignidad. Para todos; P. Perlingieri, 2006, p. 566 ss. y 597 s.; P.
Perlingieri, 1975, p. 826 ss.; P. Grossi, 2003, p. 48. La situación en España no parece
diferente, si consideramos la obra de L. Prieto Sanchís, 2017, p. 3 ss., que ha sido
traducida a Italia y que ha tenido una importante difusión en la doctrina italiana.
Además, la homogeneidad de los temas y problemas que constituyen la base de
la reflexión de Sanchìs nos permite considerar sus reflexiones, especialmente las
metodológicas, perfectamente coherentes también con el derecho italiano.
358
The best interest of the child
de la sucesión mortis causa ya no puede limitarse a realizar una modificación subjetiva de las relaciones jurídicas y, encima, económico-patrimoniales23.
Tal planteamiento no solo es incapaz de captar el sentido moderno
de la sucesión, no solo es inadecuado para responder a las necesidades
de la persona24, sino que, sobre todo, traza una idea de sucesión mortis
causa contraria al actual sistema jurídico italiano25.
El proceso de revisión del concepto de sucesión está, inevitablemente, relacionado con el significativo cambio del sistema de fuentes
jurídicas, con la consiguiente modificación de los valores de nuestro
ordenamiento jurídico, el fenómeno bien conocido de la “des-patrimonialización”26 del derecho civil y la centralidad ganada por las situaciones jurídicas existenciales.
Nos enfrentamos a una revolución cultural27 en la que seguir estudiando el derecho civil con nostálgicos esquemas formalistas o con la
23
Según L. Prieto Sanchís, 2017, p. 35, el verdadero desafío del neoconstitucionalismo
al antiguo estado legislativo de la ley reside “no tanto en que exista una constitución
que vertebre la organización política, ni siquiera en la presencia de un Tribunal
Constitucional que controle la regularidad formal del ejercicio de los poderes
públicos, sino más bien en el amplísimo abanico de principios sustantivos y de
derechos a disposición de la jurisdicción ordinaria para ser utilizados en cualquier
clase de proceso, y no ya solo en el recurso abstracto de inconstitucionalidad”.
24
P. Perlingieri, 1972, p. 25, “l’esigenza del rispetto della persona umana e del suo
libero sviluppo incidono sulla nozione di ordine pubblico, sui limiti e la funzione
dell’autonomia privata e sull’interpretazione degli atti che ne sono manifestazione,
sull’individuazione dei confini dell’illecito e del suo fondamento, sulle configurazioni
non soltanto dei rapporti familiari ma anche delle situazioni soggettive patrimoniali,
sulla concezione e sulla tutela del rapporto di lavoro, sul giudizio di meritevolezza
dell’associazionismo e dei suoi possibili scopi, indice, insomma, su tutto l’assetto del
vivere in “comunità””. N. Lipari, 2004, p. 3 ss.; S. Rodotà, 2007, p. 3 ss.
25
P. Grossi, 2003, p. 29; P. Grossi, 2010, p. 408.
26
P. Perlingieri, 1983, p. 2, señala que, con la expresión, no muy elegante, “despatrimonializzazione” del derecho civil pretendemos referirnos a una tendencia
normativo-cultural en la conciencia de que no se propone la expulsión ni la
reducción cuantitativa del contenido patrimonial del sistema jurídico, ya que “il
momento economico, quale aspetto della realtà sociale organizzata, è ineliminabile”.
C. Donisi, 1980, p. 644 ss.; A. De Cupis, 1982, p. 482 ss.
27
Para una representación efectiva de las consecuencias de un neconstitucionalismo
metodológico, L. Prieto Sanchís, 2017, p. 55, quien, de manera compartible,
explica la relación entre la ley y la moral, para evitar la superposición del neoconstitucionalismo con el derecho natural en estos términos: “la moral social
que encarna el Derecho debe mantenerse separada de la moral crítica, a veces
simplemente porque se sitúa en sus antípodas y, en el mejor de los casos, porque
los procedimientos de creación y aplicación del Derecho de ningún modo están en
condiciones reales de reproducir el genuino dialogo moral, supuesto que la moral se
funde en un diálogo”.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
359
ilusión de poder hacer una interpretación no-evaluativa, no solo es una
opción inapropiada, sino, sobre todo, una lectura contraria al mismo
sistema jurídico contemporáneo y, por tanto, ilegal e ilegítima. El advenimiento de constituciones largas y rígidas, el reconocimiento de los derechos inviolables de la persona28 y los principios de solidaridad y personalismo imponen un cambio radical en la teoría de la interpretación29.
No hay un sector del derecho en el que el alcance de estos principios
no haya sido perjudicial; más bien, hay juristas que aún se niegan a tomar
conciencia de que el sistema actual de fuentes es complejo y abierto; que
la Constitución no tiene valor programático sino preceptivo30; que toda
regla debe encontrar un fundamento en un principio31; que la jerarquía
axiológica prevalece sobre la jerarquía formal32; que la persona está en
el centro del sistema jurídico33; que la teoría hermenéutica debe cambiar
28
Considérese la lectura lúcida y persuasiva ofrecida por L. Prieto Sanchís, 2017, p. 24,
según el cual el estado constitucional de derecho, predominantemente en la versión
que se desarrolla en Europa después de la Segunda Guerra Mundial, constituye
la base común para el llamado neoconstitucionalismo, que tiende a convertirse en
una respuesta global en una nueva cultura jurídico-política, presente en todas las
discusiones. Las novedades que aporta este modelo cultural se resumen, según
el Autor, en cuatro puntos fundamentales: el reconocimiento de la indiscutible
fuerza normativa de la Constitución; la rematerialización constitucional, es decir, la
incorporación al texto normativo no solo de normas formales, capaces de establecer
quién manda y qué se manda, sino también normas sustanciales que pretenden
trazar límites y restricciones a los poderes, a fin de establecer también lo que puede
ser mandato y lo que debe ser mandado; la garantía judicial y la aplicación directa
de la Constitución, asumiendo que el texto constitucional va más allá de los confines
del mundo político y de la relación entre poderes, para invadir la articulación de
todo el sistema, de modo que los derechos fundamentales tengan la vocación para
regular todos los aspectos de la vida social, incluidas las relaciones entre individuos;
la rigidez constitucional.
29
G. Pino, 2010, p. 84 ss., advierte, en forma aguda, que las consideraciones morales
afectan la determinación de la validez material de las normas jurídicas.
30
G. Pino, 2010, p. 118 ss.
31
G. Pino, 2016, p. 73 ss.
32
Sobre el concepto de jerarquías normativas, R. Guastini, 1998, p. 121 ss.; G. Pino,
2016, p. 169 ss.; G. Pino, 2010, p. 40-50. Para todos, en la demostración de que, según
el principio de legalidad, debe prevalecer el criterio axiológico, P. Perlingieri, 2010,
p. 27.
33
L. Prieto Sanchís, 2017, p. 33, señala que a los ajustes filosóficos reducibles a los
neocostituaionalismos, se plantea una objeción democrática, cuyo núcleo se resume
de esta manera: “pretende encadenar al Ulises legislador al palo de una constitución
rematerializada que tiene respuesta para (casi) todo y que, por si fuera poco, deja
en manos de los jueces la última palabra sobre las cuestiones controvertidas”.
Esta es, como se sabe, la disputa sobre la previsibilidad de la ley. Debe agregarse
que la certeza del derecho no es un hecho predeterminado, sino un resultado
de la interpretación y que lo que realmente es decisivo y significativo, al menos
360
The best interest of the child
radicalmente34. El fenómeno de la llamada decodificación35 no puede entenderse o, lo que es peor, no puede resolverse en el mero reconocimiento de la pérdida de la centralidad de los códigos y en el establecimiento
de una pluralidad de microsistemas autónomos e independientes, sino,
exactamente al contrario, debe inducir al intérprete responsable a tomar
conciencia de que los códigos ya no pueden ser expresión de los principios fundamental del sistema jurídico y que la unidad del último, aunque dividida en una vasta pluralidad de fuentes, encuentra su momento
de síntesis y unidad exactamente en esos principios.
Este cambio en la estructura cultural de los sistemas jurídicos europeos contemporáneos se refleja en todo el derecho36 y, por lo tanto,
también en el derecho de sucesión mortis causa, imponiendo una superación de aquellas lecturas exclusivamente patrimonialistas, hasta
ahora, ofrecidas.
El concepto de sucesión por causa de muerte no solo conquista y
atrae situaciones existenciales, sino que estas últimas también cobran
mayor importancia que las patrimoniales. De modo que ya no sería
plausible pensar que la sucesión mortis causa solo describe la sucesión
en las situaciones económico-patrimoniales. En esta perspectiva, no se
trata de comprender que la expresión “suceder” no pretende considerar solo los eventos de modificación subjetiva de las relaciones jurídicas, sino también los eventos de modificación objetiva, de constitución
y de extinción37 (de modo que la expresión “sucesión” no puede tener
valor técnico, sino solo descriptivo38), sino de entender que esta palabra expresa un fenómeno mucho más grande y complejo.
Debemos ser conscientes de que los eventos involucrados en el sistema hereditario no solo conciernen a las relaciones jurídicas patrimosegún mi perspectiva, no es la repetición o la repetitividad de una decisión, sino la
controlabilidad de esta.
34
P. Grossi, 2003, p. 46. Sobre la abrogación del art. 12 de las disposiciones sobre la ley
en general (esta es la ley italiana sobre la interpretación de la ley) y su insuficiencia
para expresar una hermenéutica consistente con el sistema actual de fuentes, para
todos, por muchos años, P. Perlingieri, 1975, p. 826 ss.; P. Perlingieri, 1985b, p. 990.
35
Sobre la decodificación Irti, 1979, p. 3 ss.
36
Sobre la interconexión entre derecho y cultura, A. Falzea, 1996, p. 396 ss.; P. Grossi,
2003, p. 36; S. Rodotà, 1967, p. 83 ss.
37
Sobre los eventos de las relaciones jurídicas, por todos, M. Allara, 1950, p. 3 ss.
38
Sobre la complejidad de los eventos de las relaciones jurídicas relacionados con la
sucesión hereditaria, ver G. Stolfi, 1949, p. 535 ss. Mas recientemente, V. Barba,
2011, p. 347 ss.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
361
niales, sino también y, sobre todo, a las existenciales39 y que se imponen importantes adaptaciones a la luz de la dimensión cada vez mayor
asumida por Internet, las redes sociales y los bienes digitales40. Y es
precisamente este motivo el que ha impuesto un replanteamiento de
las categorías tradicionales, mostrando que incluso las disposiciones
testamentarias de contenido patrimonial no pueden resolverse, exclusivamente, en la institución de heredero u ordenación de legado41.
4. Actos de última voluntad diferentes del testamento
Afirmar que se puedan dar otros actos de última voluntad, diferentes del testamento, es una conclusión que se puede obtener, antes de
una lectura sistemática de nuestro ordenamiento jurídico, del examen
de numerosas disposiciones de la ley, en las que esta figura ha sido
clara y inequívocamente regulada.
Estas son disposiciones legales que atribuyen a la persona el poder
de regular ciertos intereses post mortem sin la necesidad de un testamento; disposiciones en las que queda claro que el ordenamiento jurídico italiano conoce desde hace mucho tiempo actos de última voluntad diferentes del testamento.
En el Código Civil hay amplia evidencia de actos de última voluntad diferentes del testamento, es decir, de actos unilaterales destinados
no solo a regular un interés post mortem, sino también a producir sus
efectos después de la muerte de su autor, sin la posibilidad de que se
pueda producir ningún efecto, incluso solo preliminar, antes de ese
momento. Basta con mencionar: la elección del tutor de un hijo, por la
fecha posterior a la muerte del padre, que puede realizarse mediante
escritura o escritura pública (artt. 348, párrafos 1, y 408, párrafos 1, c.c.
it.); la “disposición escrita” con la que una persona puede ser excluida
del oficio tutelar (art. 350, párrafo 1, número 2, c.c. it.); la revocación
expresa del testamento y la revocación de la revocación del testamento
(artt. 680, 681 c.c. it.), que también puede hacerse mediante escritura
39
V. Barba, 2015, p. 172 ss.; G. Perlingieri, 2016, p. 511. En un sentido parcialmente
diferente, E. Bilotti, 2016, p. 351 ss.
40
Sobre el patrimonio digital, F. Mastroberardino, 2019, p. 169 ss.
41
En este sentido, a modo de mero ejemplo, consideremos la hipótesis de la disposición
testamentaria de novación, o de renuncia al crédito o la disposición testamentaria de
excepción de compensación. Para más aclaraciones y detalles, consulte a V. Barba,
2018, p. 238 ss., 260 ss., 269 ss.
362
The best interest of the child
pública; la dispensa de la colación (art. 737 c.c. it.), que también puede
estar contenida en el contrato de donación o en un acto separado y
posterior con respecto a la liberalidad dispensanda42; la rehabilitación
del indigno (art. 466, párrafo 1, c.c. it.), que puede hacerse mediante
escritura pública; la designación del beneficiario del contrato de seguro a favor de tercero (art. 1920 c.c. it.), que puede hacerse mediante una
declaración por escrito comunicada al asegurador43.
Otras figuras, más problemáticas, pero, en mi opinión, capaces de
testificar que el sistema jurídico le da a la persona el poder de regular
ciertos aspectos de su sucesión, incluso con actos distintos del testamento, son la confesión extrajudicial (art. 2735, párrafo 1, c.c. it.), el pacto sobre la indivisibilidad de la obligación (art. 1295 c.c. it.) 44 y, sobre
42
Asì V. Barba, 2016, p. 1 ss. El efecto de la dispensación de la colación es, antes de la
apertura de la sucesión del causante, subjetiva y objetivamente incierto, no pudiendo
establecerse antes de ese momento e incluso antes de que se agote el mismo
procedimiento de sucesión, si la dispensación puede ser, concretamente, capaz de
producir algún efecto. Por lo tanto, es un acto que tiene una función sucesoria obvia,
es decir, un acto que contribuye a la planificación de la sucesión de la persona.
43
Ver el análisis realizado por N. Alvarez Lata, 2002, p. 116 s., “entre estas declaraciones
anómalas, previstas por la ley, se pueden citar las que siguen: el reconocimiento de
hijo extramatrimonial (art. 120 CC); la designación de tutor para el hijo (art. 223 CC);
disposiciones acerca de entierros y funerales del testador (arg. ex art. 902.1 CC); la
designación de las personas que hayan de ejercitar ciertas acciones relativas a la
protección del honor, intimidad y propia imagen de la persona fallecida (art. 4 LO
1/82) y a la divulgación, paternidad e integridad de la obra del autor fallecido (art.
15 LPI); el consentimiento para la fecundación post mortem (art. 9.2 L 35/88); y la
constitución de una fundación (art. 7 Ley 30/94). Asimismo, y dentro del contenido
estrictamente atípico, esto es, dentro del no previsto por la ley, se suele aludir al
reconocimiento de deuda en testamento como uno de los ejemplos paradigmáticos;
disposición de carácter confesorio del testador cuya admisibilidad jurídica no se
cuestiona, sin perjuicio de que provoque algunos problemas relativos a su eficacia
y validez, sobre todo en relación con la revocación del testamento en la que dicho
reconocimiento se lleva a cabo”.
44
Según este pacto, el prestatario está obligado a reembolsar la suma prestada, por sí
mismo y por sus causahabientes, excluyendo la aplicación de la disciplina general,
que establece la parcialidad de las obligaciones de los co-herederos y la sustitución,
debido a la apertura de la sucesión, de una obligación no solidaria. Sobre el tema,
se dice que esta disposición, contenida en el acuerdo de préstamo, es una cláusula
suya y no se duda de su naturaleza contractual. Sin embargo, si consideramos la
función real de este acto, que es la de prevenir la aplicación de la regla contenida
en el art. 752 c.c. it; si consideramos que, de esta manera, el deudor dicta una
regulación sobre la responsabilidad por deudas hereditarias; si consideramos que
esta disposición no puede producir, antes de la muerte del deudor, ningún efecto,
ni siquiera preliminar; entonces la misma calificación en términos de acto entre
vivos no convence en absoluto. Parece, más bien, un acto de última voluntad. Esta
calificación preocupa mucho al acreedor y, en particular, a los bancos, porque de
este modo, el deudor podría, en cualquier momento, revocar unilateralmente esta
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
363
todo, las escrituras de designación, revocación y nueva designación del
beneficiario de un contrato en favor de tercero, cuya prestación debe
realizarse después de la muerte del promitente (art. 1412 c.c. it.).
De manera no diferente, algunas hipótesis están, expresamente, reguladas por la ley de derechos de autor, que, después de haber establecido los herederos a los que competen la decisión sobre el derecho a
publicar trabajos inéditos del difunto (art. 24, párrafo 1, Ley 22 de abril
de 1941, n. 633 it., art. 15, Ley PI es.), la decisión sobre el destino de las
cartas, memorias familiares y recuerdos (art. 93, párrafo 4, Ley 22 de
abril de 1941, n. 633 it.) y sobre el retrato de la persona (art. 96, párrafo
2, Ley 22 de abril de 1941, n. 633 it.), establece que, en cualquier caso,
la voluntad del difunto debe ser respetada, cuando resulte de “escrito”, sin especificar nada más. Se aclara, por lo tanto, que esta decisión
puede ser tomada por el causante con un simple acto escrito, por tanto,
con un acto que no tiene la forma testamentaria, o la forma del acto
público. Es necesario y suficiente un escrito cualquiera.
Aún se considera la ley 30 de marzo de 2001, n. 130, que establece
los principios regulatorios de la cremación y dispersión de las cenizas.
Esta ley si, por un lado, establece que la elección sobre la cremación
pertenece a la persona y que esta elección se puede hacer en el testamento, por otro lado, establece que la cremación no se puede realizar
si hay una declaración autógrafa del difunto contraria a la disposición
testamentaria y que la decisión sobre la cremación pertenece a la familia del fallecido solo en ausencia de la disposición testamentaria,
o de cualquier otra expresión de voluntad del difunto. Por lo tanto,
se confirma que cualquier decisión relacionada con la cremación del
propio cuerpo puede ser tomada por el difunto con un acto de última
voluntad diferente del testamento, para lo cual no parece necesario
un requisito formal, siendo suficiente a este propósito, “cualquier expresión de voluntad” del difunto, cualquiera que sea su forma. Por lo
tanto, parece que este interés puede ser regulado por una declaración
escrita y una oral también. Esta disciplina, sin embargo, asume una
importancia particular, ya que permite sacar consecuencias similares
decisión. A pesar de esto, esa solución me parece plausible, en el entendimiento de
que debe distinguirse entre el compromiso asumido por el prestatario con el banco,
cuya validez sería confirmada por la ley en cuestión, y el acto por el cual el causante
regula su sucesión. Por lo tanto, el prestatario podría revocar su decisión; pero si
hubiera hecho tal compromiso directamente con el banco, podría estar expuesto,
cuando se considere válido este compromiso, a una responsabilidad.
364
The best interest of the child
para otras decisiones parecidas. Es plausible afirmar que cualquier decisión sobre el destino de sus restos mortales y sobre su propio funeral,
que son menos incisivos que los de la cremación, puede ser manifestada por el difunto con “cualquier expresión de voluntad” y, por lo tanto, también por un acto de última voluntad diferente del testamento
y no sujeto, ni siquiera, a requisitos de forma particulares. De hecho,
sería extravagante que la decisión sobre la cremación pueda tomarse
en cualquier forma y que la decisión sobre el destino de sus restos
mortales y sobre su propio funeral requiera, bajo pena de nulidad, la
forma testamentaria.
En todas las hipótesis mencionadas, es precisamente la ley la que
aclara que ciertos intereses post mortem de la persona pueden ser regulados por un acto diferente del testamento, es decir, por un acto de
última voluntad. Debemos advertir, de inmediato, que no estamos tratando con dos categorías que se superponen exactamente, y que entre
una y otra existe una brecha importante, al menos a nivel formal. El
acto de última voluntad no está sujeto, de hecho, a las formas y formalidades prescritas para el testamento, con la aclaración de que incluso
si un requisito de forma fuera prescrito expresamente (cuando la ley
establece claramente que el acto debe hacerse por escrito), o implícitamente (cuando la forma escrita es necesaria, incluso en ausencia de
una regla prescriptiva, en relación con la función del acto), seguirían
siendo requisitos formales menos estrictos que los previstos por el testamento (sea ológrafo, o abierto, o cerrado).
Así, un texto impreso (no manuscrito), firmado por su autor, si bien
sería un testamento ológrafo inválido y, por lo tanto, un acto por el
cual el sujeto no podría, válidamente, instituir heredero o nombrar legatario, podría ser un válido acto de última voluntad, cuando contuviera prescripciones sobre el derecho a publicar las obras inéditas del
fallecido, o el destino de las cartas y las memorias de familia, y también
cuando se retire la estipulación a favor de tercero que se debe ejecutar
tras la muerte del contratante, o la designación del beneficiario del seguro a favor de tercero, o incluso decisiones sobre su propio funeral,
entierro o cremación.
Las figuras jurídicas mencionadas anteriormente son dignas de ser
testigos del hecho de que nuestro ordenamiento jurídico, ha permitido
desde hace algún tiempo, renovando esta opción incluso más recientemente, la planificación de ciertos intereses post mortem de la persona
no solo por el testamento, sino también por el acto de última voluntad.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
365
Esto requiere que nos demos cuenta de que en nuestro sistema jurídico el testamento no es el único acto de última voluntad por causa
de muerte, válido y efectivo, ya que tenemos muchos actos de última
voluntad diferentes del testamento, adecuados para regular ciertos aspectos sucesores de la persona45.
Una vez que se ha adquirido esta conciencia, es necesario determinar la relación entre uno y otro, para verificar si a los actos de última voluntad debe asignarse únicamente la función de regular solo los
intereses que la ley explícitamente admite, o si tienen que ganar un
espacio mayor y, en este último caso, identificar el principio que permite establecer qué intereses pueden ser regulados por actos de última
voluntad diferentes del testamento y cuáles no.
La relación entre el testamento y los actos de última voluntad diferentes del testamento no creo que pueda llevarse a cabo limitándose a
considerar que ambos se utilizan para regular la sucesión de la persona,
o limitándose a considerar que los requisitos formales establecidos para
uno son mucho más estrictos que aquellos prescritos para los otros.
La mera función de sucesión si es capaz de determinar los perfiles
de una disciplina sustancial (por ejemplo, la revocabilidad)46 no es, por
sí misma considerada, capaz de regular los límites de aplicación entre
uno y otro; por otro lado, la disciplina sobre la forma y las formalidades prescritas para el testamento, sola o, más precisamente, desconectada de la función del acto y de la relación jurídica regulada, no puede
explicar por qué el acto de la última voluntad está sujeto a requisitos
de forma menos opresivos47.
45
La categoría de actos de última voluntad diferentes del testamento está claramente
afirmada por J.B. Jordano Barea, 1991, p. 1679. Aunque el A. considera que el
testamento es un acto de contenido exclusivamente patrimonial (cuya función es
la institución de heredero y los legados), no excluye que podamos realizar actos
de última voluntad diferentes del testamento, para la regulación de otros intereses.
“Así concebido el testamento se nos aparece come el prototipo o arquetipo de los
actos de última voluntad. Las restantes declaraciones o disposiciones anómalas,
patrimoniales o no, que puedan figurar en forma testamentaria (el llamado contenido
atípico del testamento), no son testamento en sentido técnico, sino otros actos de
última voluntad , siempre que: a) se trate de negocios o actos jurídicos unilaterales
de posible efecto post mortem; b) no hallen encuadramiento en las figuras típica de la
institución de heredero o del legado; y c) no constituían disposiciones accesorias o
complementarias de las mismas”.
46
Sin embargo, también permite identificar la disciplina aplicable a los actos entre
vivos que regulan algunos perfiles sucesorios.
47
Consideremos el trabajo de A. Vaquer Aloy, 2018, p. 157 ss., que considera las
366
The best interest of the child
Creo que el espacio reservado para el acto de última voluntad diferente del testamento no puede limitarse a la planificación de los intereses post mortem de la persona explícitamente permitidos por ley.
En esta dirección, no solo se desarrollan las consideraciones con
respecto a los entierros y el funeral, que son paradigmáticos, sino, sobre todo, una consideración más general que, teniendo en cuenta los
principios y valores normativos vigentes, demuestra que nuestro ordenamiento jurídico pretende extender las prerrogativas sucesorias de
la persona. Y recientemente, solo piénsese en el tema, muy discutido,
de la fecundación post mortem, que tiene una regulación específica en
algunos países48, mientras que en Italia la cuestión se ha resuelto, caso
por caso, sobre la base de principios, llegando a la conclusión razonable de que el varón tiene la posibilidad de decidir sobre el uso de su
material reproductivo para el momento posterior a su muerte49.
Desde un punto de vista diferente, el hecho de que es admitido
no solo por la literatura, sino también por nuestra jurisprudencia, que
ciertos intereses post mortem de la persona, especialmente de naturaleza existencial, pueden ser regulados por el contrato y el acto unilateral,
demuestra que no es siempre necesario el testamento. Por otro lado,
la misma elaboración del mandato post mortem, de los cuales, incluso
antes de la codificación actual y hasta hoy, la validez ha sido admitida
cuando no impone una atribución de bienes (el mandato post mortem
ad exequendum50) confirma este supuesto.
formalidades requeridas para el testamento como una especie de limitación a la
libertad de testar. El tema encuentra desarrollos similares en derecho italiano.
48
Ver. la Ley 14/2006 de 26 de mayo sobre técnicas de reproducción humana asistida;
especialmente el art. 9. Sobre las cuestiones de la disposición sobre el consentimiento
para la fecundación post mortem, ver N. Alvarez Lata, 2002, p. 124 ss. y L.B. Pérez
Gallardo, 2007, p. 605 ss.
49
Recientemente, la sentencia del Tribunal Supremo italiano, Cass., 15 de majo 2019,
n. 13000, en Leggi d’Italia. Esta sentencia ha afirmado este principio de derecho: “El
artículo 8 de la Ley Núm. 40 de 2004, que tiene el estatus legal de nacido después de
la aplicación de técnicas de procreación médicamente asistidas, también se refiere a
la hipótesis de la fecundación homóloga post mortem ocurrida a través del uso de la
semilla crio-preservada de la persona que, después de haber dado el consentimiento
para acceder a técnicas de procreación médicamente asistidas, de conformidad con
el artículo 6 de la misma ley, y sin aparece su posterior revocación, luego murió
antes de que se formara el embrión, habiendo autorizado también, para después de
su muerte, a su esposa o cohabitante, incluso cuando el nacimiento se produce más
de trescientos días después de la muerte del padre” .
50
A. Amatucci, 1964, p. 290 ss.; -313; G. Bonilini, 2000, p. 1102; V. Putortì, 2014, p. 790
ss.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
367
Además, es cierto que las hipótesis cada vez más numerosas en las
que el legislador, expresamente, admite que ciertos intereses post mortem de la persona pueden ser regulados por un acto de última voluntad,
diferente del testamento, no solo excluyen cualquier evaluación o juicio
de excepcionalidad de estas figuras normativas, sino también imponen
regular de manera similar todos los casos similares, sabiendo que la
aplicación analógica no es más que una forma de aplicar los principios,
ya que esa no es otro que la aplicación del mismo principio a dos casos.
Las hipótesis normativas analizadas están destinadas a una aplicación más extensa de lo que la mera letra de la ley podría, aparentemente, permitir. Este resultado es necesario tanto si, siguiendo el enfoque
tradicional, queremos hablar de analogía legis como medio para integrar el sistema jurídico51, como si, más de acuerdo con el ordenamiento
jurídico, consideramos que cada aplicación normativa es, en sí misma,
analógica52.
El discurso, en otras palabras, parece tener que ser volcado, ya que
no se trata de identificar los intereses que el ordenamiento jurídico permite que se planifiquen mediante el acto de última voluntad, diferente
del testamento53, sino de verificar los intereses post mortem que deben
ser, por necesidad, regulados por testamento.
Según esta perspectiva, la norma contemplada en el art. 588 c.c. it.
(art. 668 c.c. es.), no sirve, justa y exclusivamente, para identificar el criterio discrecional entre disposiciones universales y particulares, sino,
sobre todo, también en conexión profunda con el art. 587 c.c. it. (art.
667 c.c. es.), para identificar un contenido que la ley tiene, exclusivamente, reservado para el testamento, en sus formas tanto ordinarias,
como especiales.
La función nodal de la norma contemplada en el art. 588 c.c. it.,
que debe interpretarse en conexión profunda no solo con la que define
51
Para todos, R. Bobbio, 1938, p. 87 ss., que resuelve la similitud en la identidad de los
casos, según el esquema A es B; S es similar a A; S es B.
52
Asì, G. Perlingieri, 2015, p. 27 ss.
53
El problema fue claramente percibido, aunque propuso una solución completamente
diferente, por G. Giampiccolo, 1954, p. 71, que escribe: “se un problema c’è, esso è
semmai proprio un problema di autonomia del concetto dell’atto di ultima volontà,
tanto sul piano dogmatico che sul piano delle norme positive, anzitutto rispetto alla
nozione di testamento. Non si disconosce ovviamente il peso che nella ricostruzione
può esercitare il tipo testamentario, come quello che è oggetto di piú particolare
disciplina di diritto positivo; ma ciò non conduce ad affermare l’identità delle due
figure o a compiere me una affrettata assimilazione di sostanza”.
368
The best interest of the child
el testamento (art. 587 c.c.), sino también con la que prohíbe los pactos sucesorios (art. 458 c.c. it.), es precisamente la identificación de un
contenido “típico” del testamento, o, mejor dicho, del aquel contenido que, por diversas razones, nuestro ordenamiento jurídico establece
que debe seguir confiando solo en el testamento, sin posibilidad que
sea regulado por otros actos jurídicos.
El legislador establece que los actos de disposición de la delación
deben llevarse a cabo, exclusivamente, con el testamento, quedando
excluida la posibilidad de su enajenación tanto con el acto entre vivos
(ex art. 458 c.c. it.) como con el acto de última voluntad diferente del
testamento (ex artt. 587, 588 c.c. it.).
En otras palabras, se da no solo la existencia del principio que
prohíbe la disposición de la delación por acto entre vivos54, sino también el principio que prohíbe la disposición de la delación por acto
de última voluntad diferente del testamento. Más precisamente, del
principio que reconoce en el testamento el único válido acto para disponer de la delación. Esto significa que cualquier interés post mortem
que no implique una disposición de la delación puede ser regulado
bien por un acto de última voluntad diferente del testamento bien
por contrato.
4.1. Capacidad para cumplir los actos de última voluntad diferentes del testamento
Es indiscutible que el testamento es válido solo si el testador es mayor de edad55 y si se halla en su cabal juicio (capacidad natural) cuando
otorga el testamento.
También indiscutible, que esta regla, contenida en el art. 591 c.c.
it., ha sido sometida a un escrutinio crítico severo, especialmente en la
parte en la que excluye la capacidad para testar al menor y a la persona
sujeta a tutela56, sin permitir ni abrir la posibilidad de evaluar si, en el
54
V. Barba, 2015, p. 171 ss.
55
En Italia, la mayor edad es establecida al cumplimento del decimoctavo año. El
menor de edad no puede hacer testamento, ni siquiera testamento público.
56
La regla en cuestión (art. 591 c.c. it.) no excluye la capacidad para testar a la persona
sujeta a tutela. De lo contrario la norma contemplada en el art. 663 c.c. es., declara
que están incapacitados para testar: los menores de catorce años y aquellos que
“habitual o accidentalmente no se hallare en su cabal juicio”. Cabe recordar que la norma
contenida en el art. 688, párrafo 1, c.c. es., establece que el testamento ológrafo solo
podrá otorgarse por mayores de edad.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
369
caso concreto, uno u otro fueron capaces de entender y querer en el
momento de otorgar el testamento.
Privar al menor y a la persona sujeta a tutela de la capacidad para
testar significa, de hecho, privar a ambos del poder de regular sus intereses post mortem. Les impide, queriendo permanecer en la función
que, históricamente, ha sido asignada al testamento, disponer de sus
bienes para después de su muerte, con la consecuencia de que no tienen el poder de establecer herederos, ni legados, con el resultado que
su planificación hereditaria está, necesariamente, destinada a estar regulada por la ley (sucesión legítima), sin la posibilidad de desviarse de
ese esquema.
Es inútil recordar las razones detrás de esta elección normativa y
su congruencia con los principios y valores normativos vigentes en el
momento en que se estableció esta regla.
Es, de hecho, una norma que se remonta a 1942 y, por lo tanto,
coherente con el sistema, inspirado, exclusivamente, por una justicia
retributiva, que colocaba en el centro del derecho civil la empresa, la
producción y las relaciones patrimoniales, que consideraba el testamento un acto que tenìa solo la función atributivo-patrimonial, que
consideraba al menor de edad incapaz de regular sus intereses patrimoniales, que consideraba la tutela la única protección del sujeto afectado por un deterioro de las capacidades intelectuales57.
La limitación de la testamenti factio activa establecida por la persona
sujeta a tutela se puede decir hoy, sustancialmente, sobrepasada. No
porque esta ley haya dejado de ser válida en nuestro sistema jurídico,
ni por las aceptables interpretaciones reprensibles que también han
sido propuestas por la mejor doctrina58, sino por una superación concreta de la tutela.
La aprobación en Italia de la disciplina sobre “la administración
de apoyo” 59, una medida de protección de la persona que sufre una
57
P. Perlingieri, P., 1985°, p. 46 ss. “rispecchiano un clima culturale particolarmente
attento al contenuto patrimoniale della tutela in senso ampio e non insensibile a
considerare i malati di mente individui “disumani”, fare per la sanità della stirpe,
entità inutili al sistema produttivo ed alla grandezza della Nazione”.
58
G.P., Lisella, 1984, p. 83 ss.
59
Esta disciplina se introdujo en Italia con la ley del 9 de enero de 2004, n. 6, que
modificó las disposiciones de los artículos 404-413 c.c. it. En doctrina, G. Bonilini
et al. 2008, p. 3 ss.; F. Anelli, 2005, p. 163 ss. El aspecto más interesante de esta
disciplina es que, por primera vez en Italia, esta medida de protección permite el
cuidado no solo de los intereses patrimoniales (como fue para la tutela y la curatela),
370
The best interest of the child
enfermedad o un impedimento físico o mental que no le permite satisfacer sus propios intereses, tiene la aspiración de cubrir los espacios
antes ocupados por la tutela y la curatela, haciendo las dos últimas
medidas de protección residuales y básicamente no utilizadas.
Hubiera sido deseable contar con una intervención legislativa más
radical, que hubiera abrogado la tutela y la curatela, puesto que se volvieron, debido a la importancia adquirida por la situación existencial,
inadecuadas para proteger el complejo de los intereses jurídicamente
relevantes de la persona afectada por una enfermedad mental o por un
impedimento físico o mental. En ausencia de una tal elección legislativa, se ha encomendado a la responsabilidad y sensibilidad de los intérpretes la tarea de recurrir predominantemente a la “administración
de apoyo”, limitando, hasta eliminar, en la práctica, el uso de las dos
medidas de protección anteriores.
La drástica reducción en el uso de la tutela y el recurso cada vez más
masivo a la “administración de apoyo” ha permitido superar, casi por
completo, el problema de la testamenti factio activa de la persona afectada por una enfermedad mental o por un impedimento físico o psicológico. Excepto en los casos en que el juez, debido a las circunstancias
del caso específico, ha privado al beneficiario de la “administración de
apoyo” de la capacidad para testar, él conserva esta capacidad60, con la
consecuencia de que su testamento es válido. Para anular el testamento, debe demostrarse, por parte de quienes estén interesados, que el
sino también los intereses no patrimoniales. El administrador de apoyo no solo
debe administrar el patrimonio de la persona, sino también atender sus necesidades
personales. A pesar de que esta medida de protección de la persona marca un
importante paso adelante, ciertamente no podemos decir que Italia haya cumplido
la regla del art. 12 de la Convención de las Naciones Unidas sobre los derechos de
las personas con discapacidad. El tema es muy relevante y llama la atención del
legislador italiano, aunque la reciente ley delegada (la propuesta de ley n. 1151 de
marzo de 2019), que contiene algunas pautas para una reforma del código civil, no
ha proporcionado nada al respecto.
60
De acuerdo con el art. 411, último párrafo, c.c.it., el juez, en la sentencia con la que
designa a la “administración de apoyo”, tiene el poder, teniendo en cuenta la real
condición del sujeto admitido en beneficio de la medida y su interés, para disponer
que ciertos efectos o limitaciones previstas por las reglas para la persona sujeta a
tutela o curatela se extienden al beneficiario de la medida. Por lo tanto, entre otros,
el juez podría decidir extender a la persona sujeta a “administración de apoyo”
la norma establecida en el artículo. 591, párrafo 2, n. 2, c.c. it., que establece una
incapacidad para testar de la persona sujeta a tutela. Debe, entonces, concluirse que
la persona sujeta a “administración de apoyo” tiene plena capacidad para testar, si
el juez tutelar, de conformidad con el art. 411 c.c. it, no ha expresamente previsto la
extensión de la regla establecida en el art. 591, párrafo 2, n. 2, c.c. it.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
371
beneficiario de la “administración de apoyo” fue incapaz de comprender o querer cuando hizo testamento. En otras palabras, el solo hecho
de estar sujeto a la “administración de apoyo” no priva al sujeto de la
testamenti factio activa, con la consecuencia de que su testamento, en
términos de capacidad, solo puede anularse cuando se prueba que la
persona no se hallara en su cabal juicio (art. 591, párrafo 1, n. 3 c.c. it.).
Queda, sustancialmente, el problema del menor de edad61.
Creo que la regla debe ser reescrita en su totalidad, también con
el fin de implementar la Convención de Nueva York sobre personas
con discapacidad, de modo que se vea privada de la testamenti factio
activa solo la persona que no se halle en su cabal juicio en la fecha
del otorgamiento del testamento. Hasta entonces creo que es necesaria
una interpretación parcialmente derogatoria de aquella regla, que me
parece, por supuesto, plausible para sostenerse.
Al reflexionar, de hecho, sobre la importancia del testamento, como
un acto de expresión de libertad de la persona y de afirmación de su
propia dignidad62, cabe considerar irrazonable la norma que somete el
testamento del menor o de la persona sujeta a tutela, al mismo tratamiento reservado para cualquier contrato o, más precisamente, para
cualquier negocio jurídico con contenido exclusivamente patrimonial.
Los intereses que pueden justificar la anulación del contrato celebrado
por la persona menor de edad o sujeta a tutela no son los mismos que los
subyacentes al testamento. El tratamiento igualitario de los dos casos no
cumple con el principio de igual dignidad y libre desarrollo de la persona63, sin mencionar el hecho de que, en nuestra contemporaneidad, por
61
Para una reconstrucción importante y muy interesante del tema, aunque con
referencia al derecho español, el importante articulo de F. Oliva Blázquez, 2014, p.
28 ss., del que es posible desprender ideas críticas innovadoras. Sobre la posibilidad
de reconocer la capacidad de un menor para contratar, v. M. Cinque, 2007, p. 19, 106
ss., 116 ss., quien propone aplicar al menor la norma contenida en el art. 409 c.c. it.,
con la consecuencia de reconocer al menor la capacidad para contratar cada vez que
los contratos están destinados a satisfacer sus necesidades diarias.
62
T.F. Torres García - M.P. García Rubio, 2014, p. 41 ss.
63
P. Perlingieri, 1985a, p. 332, “in ordinamento giuridico come quello italiano in
cui all’apice della gerarchia dei valori della persona umana alla quale garantito il
pieno sviluppo nel rispetto della pari dignità di ciascuno il principio di eguaglianza
senza distinzioni dovute a “condizioni personali”, (art. 2, 3, comma 1, cost.);
in un ordinamento in cui è impegno della Repubblica rimuovere gli ostacoli che
impediscono l’effettiva partecipazione di tutti alla vita del paese (art. 3, comma
2, cost.) anche mediante l’esplicito riconoscimento ai “minorati” del diritto
all’educazione (art. 38, comma 3, e 32 cost.), la tutela del minore in senso ampio, in
particolare della sua dignità di uomo di cittadino, rappresenta un compito primario
372
The best interest of the child
innumerables razones socioeconómicas y numerosas solicitudes culturales, los jóvenes adquieren, en promedio, una capacidad de discernimiento
en un tiempo ciertamente anterior a lo que sucedió hace cincuenta años.
A esto se debe agregar que hay signos importantes de la disciplina
italiana más reciente, que apuntan a dar mayor importancia a las decisiones de los menores. Basta con pensar en la reciente reforma de la
filiación de 2012 y 2013, que no solo ha reducido la edad en que el menor debe ser escuchado en todos los procedimientos que le conciernen
desde los 16 a los 12 años (ver art. 315-bis, párrafo 2, 336-bis, 155-sexies,
párrafo 1, 250, párrafo 4, 252, párrafo 5, 262, párrafo 4, 316, párrafo 3,
336, párrafo 2, 337-octies, párrafo 2, 348, párrafo 3, c.c. it.), sino también
ha introducido sustancialmente el principio, de conformidad con la
regla contenida en el art. 24 de la Carta de los Derechos Fundamentales de la Unión Europea y la Convención sobre los Derechos del Niño,
que requiere que el juez escuche al menor de menos de doce años, que
tiene capacidad de discernimiento, en todos los procedimientos relacionados con su status y estado existencial64.
Todo esto requiere una reconsideración muy crítica de la regla literalmente clara que excluye la capacidad del menor para testar. Es de
esperar que el legislador intervenga pronto, porque en ausencia de tal
intervención es difícil afirmar la validez del testamento del menor.
Otra y diferente cuestión es, sin embargo, la que afecta la capacidad
para celebrar los actos de última voluntad diferentes del testamento.
Una vez afirmada la existencia de la categoría de actos de última
voluntad diferentes del testamento, surge el problema de establecer el
requisito de capacidad para su validez.
De acuerdo con una técnica de subsunción, se podría decir que tales
actos se rigen por la norma mencionada en el art. 591 c.c. it., o por la
disciplina general del contrato (art. 1425 c.c. it.). En un caso, como en
el otro, el resultado no sería muy diferente, ya que tanto los actos de
última voluntad del menor, como los de la persona sujeta a tutela no
serían válidos. La diferencia afectaría solo a los actos de última voluntad de la persona sujeta a curatela, que deberían considerarse válidos
e storico. Questi valori costituzionali sui quali è possibile ricostruire il sistema della
tutela del minore in senso psico-fisico rappresentano non soltanto valori politici,
simbolici paradigmatici, ma anche parametri normativi idonei a valutare le condotte
e ad interpretare adeguatamente gli istituti di protezione e di tutela disciplinati dal
codice civile del 1942”.
64
Cabe considerar, C. Cost., 11 marzo 2011, n. 83, en Fam. dir., 2011, p. 545.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
373
aplicando la disciplina del art. 591 c.c. it., mientras inválidos, aplicando las reglas comunes que rigen los contratos.
Sin embargo, estos resultados no pueden satisfacer y merecen, también sobre la base de los argumentos que permiten una interpretación
parcialmente derogatoria de la norma recogida en el art. 591 c.c. it., ser
totalmente repensados.
Suponer que el acto de última voluntad realizado por el menor
debe considerarse inválido independientemente de una evaluación del
caso concreto y del interés regulado, es una solución que no se puede
compartir, también porque termina evaluando el hecho, centrándose
en el tema abstracto, mientras que la realidad conoce al hombre, con
sus peculiaridades, sus necesidades, sus intereses y su edad65.
En primer lugar, es necesario distinguir entre los actos de última
voluntad que regulan una situación existencial y los actos de última
voluntad que regulan una situación patrimonial (que obviamente no
afecta a la delación, ya que, de lo contrario, el acto debería tomar la
forma del testamento) 66.
Con respecto a los actos de última voluntad, diferentes del testamento, con contenido patrimonial, se puede decir que existe una afinidad sustancial con el testamento o, más precisamente, con la idea de
testamento que tuvo el legislador en 1942. Por lo que podría parecer
justificable, en algunos aspectos, la idea de que quería aplicar a estos
actos de última voluntad la norma sobre la capacidad para testar. En la
conciencia, sin embargo, que esta misma norma, recogida en el art. 591
c.c. it., merece una relectura, hasta el punto de que debe considerarse
no solo plausible, sino también indispensable, una interpretación parcialmente derogatoria.
65
P. Stanzione, 1975, p. 299, “tutte le manifestazioni dell’essere e dell’agire
umano devono confluire a comporre l’unitaria figura dell’uomo, che si esprime
giuridicamente nel valore della personalità”.
66
P. Stanzione, 1975, p. 302, especifica a este respecto que “impedire al minore di
compiere l’attività che è manifestazione dei fondamentali attributi della persona
significa non solamente negargli la capacità giuridica, quanto provarlo della
stessa soggettività”. El autor, de una manera muy compartible, sugiere, también
después de una comparación con otros ordenamientos jurídicos y, especialmente, el
alemán y el austriaco, que los actos reguladores de situaciones existenciales deben
considerarse válidos si existe la sola capacidad de discernimiento, y que la limitación
de capacidad según la edad debe quedar solo para los actos y contractos reguladores
de situaciones patrimoniales.
374
The best interest of the child
De lo contrario, el mismo discurso no puede hacerse en relación con
los actos de última voluntad que regulan los intereses existenciales67.
La necesidad de respetar la personalidad humana y su libre desarrollo,
que constituye el valor fundamental de nuestro ordenamiento jurídico
y está a en la base de una serie abierta de situaciones jurídicas subjetivas, afecta a toda la estructura de la vida en común y condiciona los
límites, la función y la interpretación de la autonomía privada68.
Suponer, entonces, que el acto de última voluntad diferente del testamento realizado por el menor es siempre inválido, independientemente de una evaluación de la concreta capacidad de discernimiento
del sujeto y de un análisis del interés específicamente regulado, significa hipostasiar una regla incapaz de superar el control de compatibilidad, adecuación y congruencia.
Dado que la personalidad humana es un valor fundamental, no es
razonable aislar el aspecto de la titularidad de las situaciones existenciales del de su cumplimento, especialmente cuando se discute de la
realización de los intereses post mortem. De hecho, se volvería completamente paradójico, precisamente en la perspectiva que reconoce a la
personalidad humana como el valor fundamental del sistema jurídico,
que el menor con plena capacidad de discernimiento tiene el derecho
de profesar libremente su fe religiosa y expresar libremente sus propios pensamientos, pero no el poder de decidir el destino de sus restos
mortales tras su muerte, el ritual de su propio funeral o la entrega de
sus propios órganos. Esas son todas aquellas decisiones post mortem
que, por supuesto, explican esas mismas libertades y, en su defecto,
el reconocimiento en sí mismo de esas libertades no solo no puede
considerarse implementado, sino que incluso debe considerarse comprometido. De lo contrario, sería paradójico que el menor con plena
capacidad de discernimiento tenga el derecho de expresar libremente
su propio pensamiento, pero no el poder de decidir sobre la publicación de sus obras.
67
En el derecho español donde el menor puede otorgar al testamento, el problema surge
en términos que son parcialmente diferentes de aquellos en los que se encuentra en
el sistema jurídico italiano. N. Alvarez Lata, 2002, p. 114. Cabe considerar que la
lectura propuesta en el texto también podría ser útil en el derecho español. Según
esta interpretación, seria válido el acto de última voluntad que regula los intereses
no patrimoniales, realizado por el menor, aunque sin la forma del testamento
publico.
68
P. Perlingieri, 2006, p. 720, 724 ss.
Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona
375
La regla debería tener un contenido exactamente opuesto: el acto
de última voluntad realizado por el menor que tiene la capacidad de
discernimiento es válido, excepto que se demuestre que él era incapaz de entender o querer cuando realizó el acto. En otras palabras,
la validez del acto de última voluntad, diferente del testamento, no
debe reclamar la capacidad de obrar sino la capacidad natural (pues,
que el sujeto se hallara en su cabal juicio), con la consecuencia de que
el menor que tuviese una capacidad adecuada para el discernimiento
podría hacer un válido acto de última voluntad.
Si es verdad que la relación jurídica es, estructuralmente, una relación entre dos situaciones jurídicas subjetivas y que su fundamento es
el interés protegido por el orden jurídico, entonces no se puede dudar
de que la regulación de los intereses depende precisamente de su función. Los intereses que constituyen el fundamento de las situaciones
existenciales son los que deben guiar la identificación del reglamento,
es decir, la elección de la disciplina aplicable al caso concreto.
Si razonamos de otra manera, terminamos privando al menor, que
tiene plena capacidad de juicio, de la posibilidad de otorgar, después
de su muerte, una regulación de sus situaciones existenciales de acuerdo con sus convicciones y su voluntad. En esta perspectiva, por lo tanto,
deben ser criticados e imponen, sobre la base de los argumentos presentados, una interpretación derogatoria tanto la ley en materia de dispersión de cenizas, como la de trasplante de órganos, en la parte en que
aparecen, expresamente, excluir la validez del acto de última voluntad
realizado por el menor (ver art. 3, párrafo 1, letra a), no. 4, Ley it. 30 de
marzo de 2001, n. 130; art. 4, párrafo 3, Ley it. 1 de abril de 1999, n. 91).
Las decisiones sobre el propio retrato, la correspondencia, la publicación de obras, los procedimientos de entierro, la cremación, los funerales, el account digital (Facebook69, Twitter, correo electrónico, etc.),
69
Recientemente, Facebook ha identificado nuevas reglas que serán válidas por un
tiempo después de la muerte, especificando cómo el titular de la cuenta las puede
completar. El usuario, en cualquier momento, puede elegir el destino de su cuenta,
para el momento posterior a su muerte, estableciendo si ésta y todos sus contenidos se
eliminarán de forma permanente, o si se debe hacer en memoria, de modo que permita
que los “amigos” recojan y compartan los recuerdos de la persona fallecida. El usuario
tiene también la posibilidad de nombrar al “contacto de legado”. Lo cual, “es la persona
que eliges para que administre tu cuenta si esta se convierte en conmemorativa”. No
hay duda de que el nombramiento de un contacto de legado, así como la decisión de
eliminar la cuenta o hacerla conmemorativa, deben considerarse verdaderos actos de
última voluntad, en virtud de los cuales el titular elige, para después de su muerte, el
destino de su cuenta digital. Con el entendimiento de que el patrimonio digital existente
376
The best interest of the child
afectan a las convicciones privadas de la persona y constituyen explicaciones de libertades fundamentales, de modo que sería inimaginable
pensar que nuestro derecho haya atribuido al menor la titularidad exclusiva de ellos, excluyendo el poder de la actuación y, en particular, el
de la actuación post mortem.
Un derecho que se ponga al servicio del hombre y, sobre todo, que
quiera garantizar e implementar el respeto por la personalidad humana y su libre desarrollo requiere una consideración renovada del menor, que sepa privilegiar las opciones de vida que él puede expresar,
reconociéndole el poder de realizar válidamente todos los negocios jurídicos no patrimoniales o, más bien, existenciales, ya sean actos entre
vivos o actos de última voluntad.
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en Facebook requiere una reflexión cuidadosa, ya que es un instrumento que identifica
a la persona y con respecto al cual el horizonte de los problemas que plantea no parece
abordarse adecuadamente de acuerdo con la lógica del modelo propietario, sino de
acuerdo con una lógica y perspectiva típicamente personalista. El nombramiento o la
elección del contacto de legado, así como la opción de eliminar la cuenta, se pueden
revocar o modificar en cualquier momento, garantizando así la reconsideración (rectius:
la revocación de la disposición) hasta el último momento de la vida. Tal acto tiene todas
las características de los actos de última voluntad. Señalo que esta solución no me parece
que se ajuste a las disposiciones de la reciente ley de Cataluña 10/2017.
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Le DAT del minore e il conflitto di interessi
dei genitori
Marco Bellinvia
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le disposizioni anticipate di trattamento ed il minore. – 3. Il consenso ai trattamenti sanitari. – 4. Il consenso informato e la volontà del minore.
1. Introduzione
Il legislatore ha recentemente introdotto la legge 14 dicembre 2017, n.
219 (pubblicata in G.U. il 16 gennaio 2018), rubricata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.
L’approvazione di una disciplina legislativa sul tema del consenso
ai trattamenti sanitari (soprattutto cd. salva-vita) e sulla possibilità di
una sua predeterminazione “ora per allora”, tramite apposita dichiarazione formale, è stata oggetto di un iter parlamentare senza subbio
lungo e travagliato, considerando le implicazioni morali e sociali sottese a detta materia.
Il prodotto di questo iter è una legge sulla cui bontà i primi commentatori sono già divisi. Taluni hanno valutato con favore la nuova disciplina che colma un gap del nostro ordinamento rispetto ai principali
Paesi europei e soprattutto offre una risposta, sia pure perfettibile, ad
un’esigenza di tutela avvertita nel contesto sociale. Altri, invece, hanno
contestato la frettolosa approvazione di una legge, resa immodificabile
con lo strumento della fiducia parlamentare ed il cui contenuto normativo pone e porrà diversi problemi ermeneutici e applicativi.
Lungi dal voler in questa sede esprimere giudizi sulla qualità o utilità della nuova legge, cercherò di elaborare qualche considerazione sul
ruolo del minore e sul rilievo della sua volontà nella delicata materia
del consenso ai trattamenti sanitari, per come di recente disciplinata,
382
The best interest of the child
con uno sguardo al tema del conflitto di interessi tra i soggetti deputati
alla cura ed alla tutela del minore (in primis, i genitori ed il medico).
Vogliate perdonarmi se in queste rapide valutazioni trasparirà
quell’approccio teorico-pratico che connota la mia quotidiana attività
professionale.
Come già attentamente osservato in dottrina1, la nuova disciplina
ruota intorno a tre cardini: il consenso informato ai trattamenti sanitari
(artt. 1-3); le disposizioni anticipate di trattamento (art. 4); la pianificazione condivisa delle cure (art. 5).
Nella prospettiva del minore sembra tuttavia possibile considerare
unitariamente il primo ed il terzo punto, in quanto il tema della formazione e manifestazione della sua volontà si pone negli stessi termini. Per deformazione professionale muoverò l’analisi dal secondo (le
DAT), in quanto di più diretto interesse notarile.
2. Le disposizioni anticipate di trattamento ed il minore
L’art. 4 della L. 219/2017 stabilisce che “Ogni persona maggiorenne e
capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche
sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie
volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti
sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e
con le strutture sanitarie”.
La DAT è dunque la manifestazione di volontà di una persona con
la quale, in previsione di un’incapacità di intendere e di volere futura
ed eventuale, la stessa individua i trattamenti sanitari a cui intende
o non intende essere sottoposta, ovvero attribuisce ad un terzo (cd.
fiduciario2) il compito di prendere le decisioni terapeutiche in sua vece.
Sotto il profilo formale, il citato art. 4 prevede al comma 6 che le
DAT possono essere redatte 1) per atto pubblico o per scrittura privata
autenticata; 2) per scrittura privata consegnata personalmente dal di1
C. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento: l’ultrattività del
volere e il ruolo del notaio, in Notariato, 2018, 1, p. 16.
2
Sul ruolo del fiduciario quale titolare di un ufficio di diritto privato v. C. Romano,
Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 22; A. Arfani, Disposizioni
anticipate di trattamento e ruolo del fiduciario, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 819 ss.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
383
sponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del
disponente medesimo, ovvero presso le strutture sanitarie ma solo ove
la regione adotti modalità telematiche di gestione della cartella clinica o
il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale; 3) attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con
disabilità di comunicare, nel solo caso in cui le condizioni fisiche del
paziente non consentano il ricorso alle forme in precedenza indicate.
Sia consentito sottolineare le utilità che l’attività professionale del
notaio apporta nel momento in cui egli sia chiamato a ricevere o autenticare le DAT. La forma pubblica o autentica garantisce la certezza
della data del documento, nonché la provenienza della dichiarazione
dal suo autore, elementi entrambi fondamentali rispetto ad un atto di
estrema delicatezza ed importanza quale quello in esame. Nel contempo, il notaio verifica la capacità di agire del dichiarante (anch’essa
elemento essenziale delle DAT per la loro stessa funzione), assicura
l’adeguata ponderazione delle scelte e, non da ultimo, verifica l’acquisizione da parte del dichiarante di quelle “adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte”, individuate dal legislatore
quale presupposto delle DAT3.
L’intervento del notaio, dunque, rafforza, sotto il profilo formaledocumentale, tramite la sua funzione di certificazione4, il valore delle
DAT in cui sia consacrata la volontà della persona quale espressione
del principio di autodeterminazione, garantendo la certezza della riferibilità di quella volontà ad un soggetto capace di intendere e di volere,
l’adeguata informazione preventiva, l’accurata conservazione del documento e la possibilità di rilasciarne copie autentiche5.
3
Cfr. C. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 19, per il
quale sarebbe possibile il richiamo o l’allegazione alle DAT di documenti medici; R.
Bono, Prime note sulla nuova legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate
di trattamento, in www.federnotizie.it. Osserva A. Torroni, Il consenso informato e le
disposizioni anticipate di trattamento: un rapporto essenziale ma difficile. Commento alla
legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Riv. Not., 2018, 2, p. 433 ss., che, al di fuori del notaio,
non è prevista alcuna garanzia sull’assunzione di adeguate informazioni mediche da
parte del disponente, a differenza del precedente disegno di legge in materia (cd. d.l.
Calabrò) e a differenza di quanto previsto dalle legislazioni di altri Stati europei (es.
Austria), in cui si prevede la sottoscrizione delle DAT da parte del medico.
4
M. Laffranchi, Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), autonomia professionale e
convinzioni etiche, in www.federnotizie.it.
5
Può osservarsi che già nel parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 18 dicembre
2003 si sottolineava per le dichiarazioni anticipate l’essenzialità della certezza sulla
384
The best interest of the child
Sotto il profilo pubblicitario, il legislatore non ha previsto un registro unico nazionale in cui le DAT siano inserite, consultabile dal medico (ovunque presente sul territorio nazionale). È questo senza dubbio
uno dei principali punti critici della disciplina. L’assenza di adeguata
pubblicità e quindi la difficoltà di accesso tempestivo da parte del medico potrebbe, difatti, finire per vanificare la funzione stesse delle DAT.
L’art. 4 prevede al comma 7 la possibilità di creazione di una banca
dati regionale, a certe condizioni, che tuttavia non consente di soddisfare la suddetta esigenza di pubblicità tempestiva, almeno laddove il
soggetto sia in cura in una regione diversa da quella di residenza.
Chiaramente la soluzione preferibile sarebbe la creazione di un registro nazionale. In mancanza, può essere utile sottolineare che il Consiglio Nazionale del Notariato ha da tempo iniziato a creare e gestire
telematicamente appositi registri sussidiari, senza costi per la collettività, con il fine proprio di sopperire alla mancanza di registri nazionali
(come ad es. per gli atti di designazione di amministratore di sostegno,
in cui l’esigenza pubblicitaria è per certi versi simile a quella delle DAT).
Ad oggi mi risulta in fase di studio la creazione di un apposito registro sussidiario anche per le DAT, che potrebbe pertanto sopperire al
deficit del legislatore o ad eventuali difficoltà tecniche o finanziarie di
costituzione di un registro nazionale.
Sotto il profilo della capacità del disponente, la disposizione in
commento prevede che le DAT possano essere redatte da una persona
maggiorenne e capace di intendere e di volere.
È quindi espressamente esclusa la possibilità per il minore di accedere a tale strumento6.
“identità, sulla capacità di chi le sottoscrive, sulla loro autenticità documentale,
sulla data di sottoscrizione”, auspicandosi la predisposizione di “una procedura
di deposito e/o registrazione presso un’istituzione pubblica delle dichiarazioni
anticipate”.
6
Cfr. AA.VV., Questioni in tema di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e attività
notarile, in www.federnotizie.it: “Ci si potrebbe, infine, domandare se le DAT
perfezionate da persona minorenne o incapace siano da considerarsi radicalmente
nulle, quindi assolutamente inefficaci, oppure se siano solo annullabili secondo le
regole generali di cui agli artt. 322, 377, 412 e 428 codice civile, quindi pienamente
efficaci fino alla eventuale pronuncia di annullamento. Sembra preferibile ritenere
che, dalla espressa richiesta contenuta nella nuova Legge che il disponente sia
maggiorenne e capace di intendere e volere, richiesta che non sarebbe necessaria
se si fossero ritenute applicabili le norme generali che disciplinano gli atti conclusi
dagli incapaci, derivi la necessità di dover considerare affette da nullità assoluta ed
insanabile le DAT concluse dal minorenne o dall’incapace di intendere e volere”.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
385
Si tratta di una scelta che, ad avviso di chi scrive, appare ragionevole e non in contrasto con i recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali volti a valorizzare i diritti del minore (in primis, il diritto all’ascolto) e
la sua autonomia in funzione del raggiunto grado di maturità.
Tali approdi hanno senza dubbio la loro eco anche nella normativa
in commento nella parte relativa al consenso del minore ai trattamenti
sanitari, ma nulla avevano a che vedere con la fissazione di un limite
relativo alla capacità (di agire) richiesta per la redazione di un atto di
estrema delicatezza giuridica e sostanziale.
Tale limite, in quanto presupposto di validità, non poteva che essere determinato in maniera univoca e oggettiva e ciò mal si conciliava
con un eccezionale riconoscimento di capacità al minore, in quanto,
come si vedrà, la valorizzazione della volontà del medesimo, nei vari
ambiti in cui viene in rilievo (compreso quello del consenso ai trattamenti sanitari) non è assoluta, ma graduata in concreto in funzione del
grado di maturità raggiunto dal minore stesso.
Né appare decisivo il richiamo ad altri istituti in cui è riconosciuta
la capacità negoziale del minore, come nel caso del riconoscimento del
figlio (art. 250 c.c.), in quanto ispirata da ragioni specifiche, in questo
caso centrate sulla tutela dell’interesse del figlio riconosciuto (come dimostra la possibilità di un’autorizzazione giudiziale al riconoscimento da parte del genitore infraquattordicenne, proprio avuto riguardo
all’interesse del figlio).
La scelta del legislatore in questo ambito appare quindi coerente e,
peraltro, conforme alla soluzione adottata dai legislatori dei principali
Paesi europei (Spagna7, Francia8, Germania9, Regno Unito10).
3. Il consenso ai trattamenti sanitari
Escluso, dunque, che in base alla disciplina attualmente vigente il
minore possa esprimere la sua volontà “ora per allora” sulle scelte terapeutiche tramite la redazione delle DAT, occorre soffermarsi sull’altro elemento cardine della legge 219/2017, ossia il consenso informato
ai trattamenti sanitari al fine di verificare se e quale spazio possa essere
riconosciuto alla volontà della persona minore di età.
7
Ley de autonomia del paciente, art. 11.
8
Code de la santé publique, art. L. 1111-11.
9
BGB, paragrafo 1901a.
10
Mental Capacity Act 2007, art. 24.
386
The best interest of the child
L’espressione di un consenso consapevole e informato è, nell’impianto della legge che qui si commenta, l’elemento centrale del rapporto tra medico e paziente. È il “tessuto” stesso di tale relazione11, espressione di un mutamento di approccio evolutosi dal paternalismo medico
all’alleanza terapeutica fino all’esaltazione dell’autonomia decisionale12
del paziente, cui spetta, nel rispetto dell’autonomia professionale del
medico, l’ultima parola sui trattamenti cui essere o meno sottoposto.
L’art. 1 della legge 219 prevede che “nessun trattamento sanitario può
essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Al secondo comma si aggiunge che la relazione di cura e fiducia
tra paziente e medico “si basa” sul consenso informato del paziente
“nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza,
l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Appare quindi manifesta, già dai primi due commi dell’art. 1, la
centralità del consenso informato e la volontà del legislatore di valorizzarlo in quanto espressione del principio di libera autodeterminazione
della persona13, riconosciuto e tutelato quale diritto fondamentale dalla nostra Costituzione (artt. 2, 13 e 32) e da fonti sovranazionali (art. 5
della Convenzione di Oviedo; art. 3 della Carta di Nizza).
Il principio del consenso rappresenta quindi, come sostenuto dalla
Corte Costituzionale14, la sintesi tra il diritto alla salute ed il diritto alla
libertà personale.
11
L’espressione è di P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e
DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, p. 248, secondo il quale “il consenso è uno
stato, non un atto: come tante volte si è detto, un processo che precipita, in taluni
momenti, in una concentrazione che è l’atto di consenso – o di rifiuto”.
12
Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica e il mandato di
cura, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 794.
13
Osserva R. Calvo, La nuova legge sul consenso informato e sul c.d. biotestamento,
in Studium iuris, 2018, 6, p. 690, che “la scelta fatta con piena coscienza diventa
un’espressione concreta del diritto alla libertà individuale, giacché ogni persona
è titolare del diritto indisponibile a decidere se sottoporsi o non sottoporsi agli
interventi medici sul corpo umano e alle molteplici tipologie di terapie”. Cfr. anche
G. Ferrando, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi,
problemi e linee di tendenza, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 43 ss.; A. Ricci, La disciplina
del consenso informato all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il
D.M. 28 dicembre 2016, n. 265: novità e vecchi problemi, in Nuove leggi civili commentate,
2018, 1, p. 48.
14
Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438, in Giornale dir. amm., 2009, p. 297: “La
circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32
della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali
della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
387
Perché possa esplicare tale delicata funzione occorre, tuttavia, che
il consenso (o il rifiuto) sia preceduto da una adeguata informazione
del paziente, senza la quale la scelta da questo compiuta non potrebbe
ritenersi veramente libera.
A tale riguardo può essere utile rammentare che già il codice di
deontologia medica del 2014 ha riconosciuto grande rilievo all’informazione del paziente, stabilendo all’art. 33 che “Il medico garantisce alla
persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi,
sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il
paziente dovrà osservare nel processo di cura”.
È interessante notare che tale esigenza di adeguata informazione sia
valorizzata anche nel caso del paziente minore. Il comma 4 del citato art.
33 prevede infatti che “Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”.
Il legislatore del 2017, dunque, dopo aver affermato che il consenso
fonda la relazione medico-paziente, si è occupato del profilo informativo, aggiungendo nel comma 3 che “Ogni persona ha il diritto di conoscere
le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai
rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto
del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai
medesimi”.
4. Il consenso informato e la volontà del minore
Chiarita la rilevanza del principio del consenso informato nell’ambito della relazione di cura, occorre chiedersi come questo possa esplicarsi nei confronti dei soggetti minori di età.
che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere
le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso
terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative;
informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire
la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà
personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende
da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale
in materia di tutela della salute”.
388
The best interest of the child
I problemi che si pongono riguardano il soggetto deputato ad esprimere il consenso e l’esistenza di eventuali limiti alla sua discrezionalità
laddove si tratti di una persona diversa dal diretto interessato (ossia il
minore).
Come è noto, con riferimento ai rapporti patrimoniali15 l’ordinamento affida il potere di rappresentanza legale del minore ai genitori
esercenti la responsabilità genitoriale (o al tutore). Occorre pertanto
verificare se identica soluzione sia applicabile alla materia del consenso ai trattamenti sanitari16.
La complessità della questione appare chiara considerando che,
nell’ambito in esame, vengono in rilievo, come si è visto, diritti fondamentali della persona. Nel contempo, la categoria dei minori non è
unitaria, ma composita, ricomprendendo anche soggetti che possono
aver acquisito un grado di maturità sufficiente ad esprimere un consenso su aspetti così rilevanti della vita (cd. grandi minori)17.
Basti pensare che, in taluni ambiti, il legislatore riconosce uno spazio di autonomia al minore (tendenzialmente ultrasedicenne), consentendogli di compiere atti rilevanti quali il matrimonio (art. 250 c.c.),
l’esercizio dei diritti di autore (art. 108, L. 633/1941), l’interruzione volontaria di gravidanza (art. 12, comma 2, L. 194/1978), il consenso alla
pubblicazione delle generalità e dell’immagine laddove sia testimone
in un procedimento penale, persona offesa o danneggiata dal reato
(art. 114, comma 6, c.p.p.), la donazione di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale (art. 3, L. 219/2005); la richiesta di essere
sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma
15
Cfr. L. Mengoni, Osservazioni generali, in P. Cendon (cur.), Un altro diritto per il malato
di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli, 1988, p. 360, secondo il
quale l’impianto codicistico in materia di protezione dell’incapace sia il risultato di
una composizione degli interessi, prevalentemente patrimoniali.
16
P. Stanzione, Persona minore di età e salute, diritto all’autodeterminazione, responsabilità
genitoriale, in www.comparazionedirittocivile.it, p. 5 ss. Secondo F. Naddeo,
Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. dell’informazione e
dell’informatica, 2018, 1, p. 27 ss., con riferimento al consenso del minore al trattamento
dei dati personali, se “tale manifestazione di volontà è espressione del potere di
autodeterminazione del singolo nelle scelte che concernono attributi indisponibili
della persona, la sua disciplina non può essere apoditticamente mutuata da norme
nate per regolamentare atti ed interessi di natura eminentemente patrimoniale, ma
deve seguire la disciplina degli atti e dei diritti di natura personalissima”.
17
Cfr. L. D’Avack, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di
trattamento: una analisi della recente legge approvata in senato, in Dir. fam. pers., 2018, 1,
p. 179 ss.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
389
terapeutico e socio-riabilitativo nel caso di uso di sostanze stupefacenti
o psicotrope (art. 120, comma 2, D.P.R. 309/1990).
Per contro, in altri contesti, alcuni dei quali si avvicinano per affinità di materia a quello che ci interessa, il legislatore ha confermato
la regola generale che vuole attribuito ai genitori il potere decisionale
nell’interesse del minore.
Si pensi alla donazione degli organi, la cui decisione compete ai
genitori ed è preclusa in caso di contrasto tra i medesimi (art. 4, L.
91/1999); alla donazione di sangue, di emocomponenti e di cellule staminali, possibile col consenso dei genitori (art. 3, L. 219/2005); alla sperimentazione clinica, anch’essa consentita previo consenso informato
dei genitori (art. 4, d.lgs. 211/2003); alla interruzione di gravidanza,
che normalmente richiede il consenso dei genitori (art. 12, L. 194/1978).
Anche le legge 219/2017 affida ai genitori il compito di esprimere il
consenso ai trattamenti sanitari che interessino il minore18. L’art. 3, comma 2, stabilisce infatti che “Il consenso informato al trattamento sanitario
del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o
dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla
18
Può notarsi che una soluzione parzialmente diversa è stata accolta dal legislatore
comunitario con riferimento al trattamento dei dati personali. L’art. 8 del GDPR
prevede infatti che “Qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto
riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento
di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia
un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale
consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri
possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni”.
Prima della recente legge osservava P. Stanzione, Persona minore di età e salute, cit.,
p. 15, che “L’accertata maturità di giudizio della prole restringe, in altri termini, le
aree di eterodeterminazione e restituisce al suo titolare il diritto di partecipare alle
scelte esistenziali che lo riguardano ovvero di assumerle personalmente. Il punto di
equilibrio tra le prerogative del minore dotato di discernimento e quelle dei genitori
deve essere, allora, fissato attraverso il richiamo alle regole ed ai principi generali. Il
sillogismo che relega la minore età in una condizione di completa incapacità e che,
prima facie, legittima l’agire del medico solo sulla base del consenso manifestato in
nome e per conto del figlio dai legali rappresentanti (artt. 2 e 320 c.c.) deve cioè essere
superato per effetto di una rilettura costituzionalmente orientata del sistema, cui si
combini la considerazione del preciso dettato di norme e convenzioni internazionali
e deontologiche che impongono di giudicare l’opinione del minore “come fattore
sempre più determinante” (art. 6, comma 2, Convenzione di Oviedo) o che gravano
il medico, compatibilmente con l’età e con la maturità del soggetto, del dovere di
“dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà” (art.
38, comma 2, cod. deont. med.). La capacità naturale necessaria per esprimere un
valido consenso non è, infatti, “necessariamente la maggiore età, che corrisponde
appunto alla capacità legale, bensì una maturità sufficiente a comprendere la natura
e le conseguenze del trattamento sanitario”.
390
The best interest of the child
sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute
psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Nel contempo, il legislatore chiarisce che il potere decisionale19 non
è assoluto, ma condizionato e finalizzato ad uno scopo.
Quanto a quest’ultimo il citato comma 2 chiarisce che la scelta dei
genitori deve mirare alla tutela della salute psicofisica e della vita del
minore nel pieno rispetto della sua dignità.
Quanto ai condizionamenti, sulla scia dei recenti provvedimenti
legislativi che valorizzano l’autonomia del minore, tutelando il diritto all’ascolto (in primis, la riforma della filiazione del 201220), anche la
disciplina in commento attribuisce rilievo alla volontà del minore21, tenuto conto del suo grado di maturità, imponendo che di essa i genitori
tengano conto nell’esercitare il potere sostitutivo loro affidato.
Il comma 1 del citato art. 3 prevede, infatti, che “La persona minore
di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1.
Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo
consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua
volontà”. Il comma 2 puntualizza poi che la decisione dei genitori (o del
tutore) deve tener conto22 della volontà del minore in relazione alla sua
età e al suo grado di maturità.
Il legislatore del 2017 si preoccupa, dunque, di garantire l’informazione del minore, adeguata al suo status, al fine della espressione
della sua volontà, la quale deve essere tenuta in considerazione se non
orientare23 (laddove, in concreto, il minore abbia la capacità di valutare
19
Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit., p. 799, che
definisce i genitori o il tutore come “decisori sostitutivi”.
20
Cfr. l’art. 315-bis, comma 3, c.c., il quale prevede che “Il figlio minore che abbia compiuto
gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere
ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
21
Cfr. Cass. 5 marzo 2014, n. 5237, in Dir. fam. pers., 2014, p. 1346, la quale evidenzia
“la sempre maggiore rilevanza attribuita dalla normativa nazionale, comunitaria ed
internazionale alla volontà del minore”.
22
Secondo F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27
ss. l’espressione “tenendo conto” sarebbe un passo indietro del legislatore rispetto
alla riforma della filiazione che con riferimento alle capacità, inclinazioni naturali e
aspirazioni dei figli, ad essa ha sostituito la formula più pregnante “nel rispetto”.
23
Secondo F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27 ss.,
“un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della disposizione
induce a sostenere che i genitori non possano disattendere la volontà del minore,
ogniqualvolta egli abbia sufficiente capacità di discernimento e la sua decisione
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
391
con serietà la propria situazione medica) la scelta dei genitori nell’assentire o rifiutare un trattamento sanitario.
Tale soluzione appare coerente con i principi già espressi, a livello
sovranazionale, dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, il
cui art. 12 prevede che “le opinioni del fanciullo vengano prese in considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”, nonché
dalla Convenzione di Oviedo, che prevede, all’art. 6, che “il parere del
minore è considerato elemento determinante in funzione dell’età e del suo livello di maturità” e, all’art. 24, che i minori “possono esprimere liberamente
la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li
riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”.
Anche il codice deontologico medico, come si è visto, si pone sulla
stessa lunghezza d’onda, prevedendo il comma 4 del citato art. 33 che
“Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale” e il successivo art.
35 che “Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal
minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano”.
Sotto il profilo del contenuto, i genitori sono chiamati ad esprimere,
in nome e per conto del minore, il consenso o il rifiuto al trattamento
sanitario indicato dal medico. Vale ovviamente anche per essi la regola
generale che esclude la possibilità di richiedere cure contrarie alle best
practices. L’art. 1 della legge in commento prevede, infatti, che non sia
possibile esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali.
Uno degli aspetti certamente più delicati attiene alla possibilità di
rifiuto del trattamento (soprattutto nei casi in cui si tratti di trattamenti
salva-vita). Trattandosi di una scelta che va a incidere in maniera diretta su diritti fondamentali del minore (in primis, il diritto alla vita),
è forte qui l’esigenza che si tenga massimamente in considerazione la
volontà di quest’ultimo, ove sia capace di esprimerla.
Diversamente, la scelta dovrebbe comunque essere orientata alla
tutela della vita e della salute del bambino, coerentemente con lo scopo previsto dal legislatore all’art. 3 sopra indicato, potendo rifiutarsi
solo trattamenti che in concreto si presentino di dubbio beneficio24. Il
appaia conforme al suo interesse, come del resto il combinato disposto degli artt. 1 e
3, comma 1, della stessa l. n. 219/2017 appare confermare”.
24
D. Carusi, La legge “sul biotestamento”: una luce e molte ombre, in Corr. Giur., 2018, 3,
392
The best interest of the child
criterio ispiratore dovrebbe essere, quindi, il best interest del paziente
minore di età25.
Potrebbe inoltre discutersi se la decisione dei genitori nell’ambito
in esame, e soprattutto in caso di rifiuto di cure, sia o meno soggetta al
controllo del giudice.
Con riferimento ai rapporti patrimoniali, l’art. 320 c.c. richiede l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento in nome e per conto del minore di atti di straordinaria amministrazione.
Potrebbe quindi pensarsi che, a fortiori, in un contesto in cui si tratta
di esercitare un diritto fondamentale della persona e in cui siano in
gioco valori di primaria rilevanza come la vita o la salute, la valutazione compiuta dai genitori debba essere sottoposta al vaglio del giudice.
Tale pensiero in effetti ha ispirato, sia pure con riferimento al beneficiario di amministrazione di sostegno, il Tribunale di Pavia26 nel
sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi
4 e 5, della legge 219/2017 per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost.,
nonché per irragionevolezza, laddove consentono all’amministratore
di sostegno di rifiutare le cure per il beneficiario, senza autorizzazione
del giudice tutelare.
A tale prospettazione si è efficacemente obiettato27 che la ricostruzione della volontà dell’incapace non può che competere al suo rappresentante legale, come chiarito dalla nota pronuncia della Corte di Cassazione sul caso Englaro28. Spetta a quest’ultimo ricercare e attuare la volontà,
presunta o effettiva, dell’incapace, soprattutto in materia di fine vita.
Una ricostruzione giudiziale di tale volontà è ammissibile unicamente in caso di contrasto (ad es. tra il rappresentante ed il medico o
p. 295, il quale osserva che l’opposizione dei genitori a cure oggettivamente indicate
può esporli alla perdita della responsabilità genitoriale. In giurisprudenza risultano
casi di decadenza dalla potestà (oggi responsabilità) per il rifiuto di vaccinazioni o di
emotrasfusioni. V. in particolare Cass., 26 giugno 2006, n. 14747, in Giust. civ. Mass.,
2006, 6; Cass., 13 agosto 1999, n. 8633, in Giust. civ. Mass., 1999, 1806.
25
Può essere utile, al riguardo, il richiamo all’art. 6 della Convenzione di Oviedo
laddove prevede che “un intervento non può essere effettuato su una persona che
non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio dello stesso”.
26
Trib. Pavia, ord. 24 marzo 2018, in Il familiarista, 9 maggio 2018.
27
R. Masoni, Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l’intervento del GT: il Tribunale di
Pavia solleva questione di legittimità, in Il familiarista, 9 maggio 2018. Critica anche la
posizione di P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit.,
p. 799.
28
Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748, in Nuova giur. civ., 2008, I, p. 83; in Giust. civ., 2008, I,
1725; in Dir. famiglia, 2008, p. 77.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
393
tra il primo e i familiari dell’incapace), in quanto solo in questa ipotesi
specifica può cogliersi l’utilità dell’intervento del giudice, chiamato a
dirimere un conflitto tra più soggetti al fine di individuare la effettiva
(o più verosimile) volontà dell’incapace.
In assenza di conflitti, invece, nulla potrebbe aggiungere il giudice,
il quale non avrebbe elementi per sindacare la valutazione del rappresentante legale, quale persona tendenzialmente molto vicina all’incapace (al di fuori di un generico criterio di ragionevolezza).
Quanto detto vale a maggior ragione per il minore di età soggetto
alla responsabilità dei genitori, che meglio di tutti possono verificare la
volontà del figlio e adottare scelte nel suo migliore interesse. In assenza di contrasti, dunque, deve escludersi un intervento autorizzativo
del giudice.
Detta conclusione trova anche una conferma normativa nell’art. 357
c.c., il quale affida ai genitori, senza intervento del giudice, la “cura
della persona” del figlio minore, espressione ampia in cui può ricomprendersi anche il consenso ai trattamenti sanitari.
Diversamente, l’intervento del giudice è possibile, rectius necessario, nel caso in cui insorgano dei contrasti tra i soggetti coinvolti nella
relazione di cura chiamati a perseguire l’interesse del minore.
La nuova legge si occupa, in verità, solo del caso di contrasto tra
rappresentanti legali e medico. Ma prima ancora di ciò, può accadere
che vi sia un conflitto tra i genitori. In tale ipotesi, la soluzione appare essere quella ordinaria prevista dall’art. 316 c.c., che consente il
ricorso al giudice, senza formalità, in caso di contrasto su questioni di
particolare importanza29. Può essere utile sottolineare, così ricollegandosi a quanto detto sopra sulla necessità di tener conto della volontà
del minore sui trattamenti sanitari, che lo stesso art. 316 c.c. impone
al giudice di disporre l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento. Anche il
29
In tal senso si esprime anche Trib. Mantova, 13 aprile 201, in www.ilcaso.it. Cfr.
anche P. Stanzione, Persona minore di età e salute, cit., p. 10: “La delicatezza degli
interessi coinvolti, peraltro, se giustifica l’assenza di soluzioni precostituite, induce,
al tempo stesso, a dubitare della possibilità per il giudice di avvalersi in presenza di
un rifiuto alle cure, dei tradizionali strumenti previsti per le situazioni di carattere
patrimoniale, quali, ad esempio, la nomina di un curatore speciale (v. art. 321 c.c.).
La lettura combinata della disposizione con il precedente art. 320 c.c. suggerisce,
infatti, di prediligere le più duttili maglie dell’art. 333 c.c., che, rimettendo ogni
valutazione al prudente apprezzamento del giudice, consente di individuare il
“rimedio” maggiormente aderente alle peculiarità del caso concreto”.
394
The best interest of the child
giudice, dunque, come ordinariamente i genitori, dovrà considerare
la volontà del minore.
In caso di separazione o divorzio, la norma di riferimento è invece l’art. 337-ter c.c., il quale nel riconoscere ad entrambi i genitori la
responsabilità genitoriale, prevede esplicitamente che le decisioni di
maggiore interesse per i figli relative, tra l’altro, alla salute siano assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli. Anche in questo caso, poi, in caso
di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
L’art. 3, comma 5, della legge 219/2017 si occupa, invece, del contrasto che può insorgere tra genitori e medico, stabilendo che laddove “il
rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico
ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa
al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico
o del rappresentante legale della struttura sanitaria”.
Già il codice di deontologia medica aveva previsto all’art. 37, ultimo comma, che “Il medico segnala all’Autorità competente l’opposizione
da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà
genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e, in relazione alle condizioni
cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili
e indifferibili”.
Il legislatore ha quindi disposto l’intervento del giudice per risolvere un conflitto tra medico e genitori nel caso forse più delicato (il rifiuto
di cure), in cui massimamente sono coinvolti i diritti del minore alla
vita ed alla salute, al fine di verificare che la scelta compiuta dai genitori sia effettivamente orientata dallo scopo della “tutela della salute
psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Può osservarsi, al riguardo, che tale intervento giudiziale è previsto
non in tutti casi di rifiuto di un trattamento, ma solo ove tale rifiuto
determini un conflitto con il medico, il quale, contrariamente ai genitori, ritenga il medesimo trattamento “appropriato e necessario”, ossia
proporzionato allo stato della persona e indispensabile alla sua cura30.
30
Cfr. P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, cit., p.
250: “Al requisito di appropriatezza delle cure (oltre che di necessità) si fa riferimento
per il caso di disaccordo tra medico e rappresentante dell’incapace (art. 3, comma
5°). Dunque le cure devono essere appropriate e perciò proporzionate. Il che significa
che devono essere “a misura” della persona e non solo della catalogazione clinica
della sua patologia. La valutazione di sofferenza, svantaggi e rischi deve includere
la prospettiva del singolo paziente”.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
395
Al di fuori di questo caso, dunque, non appare possibile per il medico
il ricorso al giudice31.
Sotto il profilo procedurale, si tratterà di un procedimento di volontaria giurisdizione che si svolge con rito camerale ai sensi degli art.
737 ss. c.p.c. (non essendo previsto il rito ordinario davanti al giudice
tutelare), senza intervento obbligatorio del pubblico ministero e che si
conclude con decreto motivato32.
La competenza del giudice, nel silenzio della legge, dovrebbe ricavarsi in base al principio generale della volontaria giurisdizione per il
quale si fa riferimento, in mancanza di diverse indicazioni, al luogo di
domicilio del soggetto interessato33.
Dovendosi risolvere un conflitto dovrà darsi spazio al contraddittorio, per quanto semplificato34, e sarà possibile per il giudice una istruttoria della causa, anche ricorrendo ad ausiliari ed informatori tecnici35
(art. 738, comma 3, c.p.c.).
31
Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit., p. 799: “È
solo nel caso di rifiuto, da parte del decisore sostitutivo, di un trattamento reputato,
invece, appropriato e necessario dal medico, che il quinto comma dell’art. 3 prevede
che la decisione sia rimessa al giudice tutelare, e non in tutti i casi di rifiuto di
trattamento, e in particolare di rifiuto di trattamento salvavita, riguardo ai quali
pur in assenza di espresse disposizioni anticipate di trattamento, non si profilino
tra il rappresentante/amministratore di sostegno da una parte e i curanti dall’altra
divergenti valutazioni relative al miglior interesse del paziente. Una mancata
previsione, quella relativa all’intervento del giudice tutelare anche in questi casi, che,
a parere di chi scrive, non si espone a censura di incostituzionalità, non confliggendo
con l’intento di tutelare, per quanto possibile, la volontà anche dei soggetti incapaci,
e rispondendo, per contro, alla logica, che impronta la legge, di mantenere, in via di
regola, le decisioni all’interno della relazione di cura”.
32
In tal senso v. R. Masoni, Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l’intervento del GT, cit.
33
Cfr. Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit.
34
Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., ammette la possibilità di un “ricorso congiunto sottoscritto dal medico e dal soggetto in conflitto - nel quale dovranno essere riportate
le ragioni di ciascuna parte, salva restando la possibilità per il Giudice Tutelare di
sentire gli interessati ovvero di disporre ulteriori approfondimenti istruttori”.
35
Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., il quale aggiunge che “ove ricorra una situazione
di emergenza ovvero anche di urgenza (la cui sussistenza è opportuno risulti
dalla cartella clinica), costituisce preciso dovere del sanitario quello di intervenire,
senza previamente acquisire la autorizzazione da parte del Giudice Tutelare. […]
In proposito va osservato che l’emergenza ricorre quando l’intervento sanitario è
indifferibile mentre per urgenza deve intendersi la situazione di pericolo attuale e cioè imminente, non essendo tale un pericolo eventuale o futuro - di un danno
grave alla persona, nozione che non è pertanto limitata al pericolo di vita atteso che
vi rientra anche quello di gravi menomazioni alla salute (come ad es. perdita di un
arto o di un organo) nonché di grave pregiudizio circa la possibilità di effettuare
utilmente in un momento successivo un accertamento sanitario indispensabile per la
cura della persona; occorre precisare che l’attualità della situazione di urgenza deve
396
The best interest of the child
Non può non sottolinearsi, per concludere, la complessità della valutazione rimessa al giudice in un ambito così delicato, considerando
sia la “lontananza” di questo dalla persona del minore nell’ottica della
ricostruzione della sua volontà, sia la mancanza di competenza tecnica per valutare i requisiti sopra indicati di appropriatezza e necessità
delle cure, cui il giudice potrà sopperire evidentemente con una consulenza tecnica (con il relativo allungamento dei tempi), finendo forse
per spostare la valutazione su un medico diverso da quello che ha in
cura il minore.
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essere valutata ex ante e cioè al momento del ricovero o comunque dell’intervento
sanitario sicché, ove ricorra tale ipotesi e la corretta pratica medica lo preveda,
andranno immediatamente assicurate alla persona le cure necessarie”.
Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori
397
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Responsabilità genitoriale e vaccinazioni
obbligatorie
Alberto Giulio Cianci
Sommario: 1. Il D.L. 73/2017 (L. 119/2017) e la nuova regolamentazione
delle vaccinazioni obbligatorie. – 2. La normativa previgente e i modelli di
vaccinazione obbligatoria: caratteristiche. Il principio di condizionalità tra
vaccinazioni obbligatorie ed inclusione nella comunità scolastica e nelle
altre collettività infantili e giovanili. Ragioni. La normativa regolamentare
(D.p.r. 1518/1967). Le sanzioni. La rilevanza dell’inottemperanza ai fini
del controllo giudiziale sulla potestà genitoriale. – 3. Il nuovo regime delle
vaccinazioni obbligatorie, e l’affermazione del principio di non condizionalità (D.p.r. 355/1999). La posizione della giurisprudenza sull’osservanza degli obblighi. – 4. I principi generali della nuova normativa. – 5. La
responsabilità genitoriale e il dovere di cooperazione all’obbligo di legge.
Profili del controllo giudiziale. La possibilità di intervento nel caso di contrasto tra i genitori. – 6. Le competenze delle autorità scolastiche. La reintroduzione del principio di condizionalità per le sole scuole dell’infanzia.
– 7. La posizione dei terzi: l’inadempimento degli obblighi e le possibili
conseguenze a carico dei genitori per il contagio dei terzi in conseguenza
della malattia dei figli. – 8. La conformità della legge alle previsioni in
tema di libertà personale (art. 13 Cost.). – 9. Rilievi conclusivi.
1. Il D.L. 73/2017 (L. 119/2017) e la nuova
regolamentazione delle vaccinazioni obbligatorie
Il D.L. 7 giugno 2017, n. 73, convertito dalla L. 31 luglio 2017, n. 119
è intervenuto sulla disciplina delle vaccinazioni obbligatorie, con una
nuova regolamentazione organica della materia. Le nuove norme hanno previsto l’obbligatorietà di dieci vaccinazioni (anti-poliomielitica;
anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti-Haemophilus
400
The best interest of the child
influenzae tipo B; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella)
(art. 11, 1-bis), estendendo così la copertura assicurata dalla normativa
previgente.
L’ambito di applicazione soggettiva dell’obbligo è molto ampio, comprendente tutti i minori infrasedicenni – si assume, residenti in Italia,
dato il carattere necessario di un legame stabile con il territorio italiano,
presupposto del carattere necessario della vaccinazione – e tutti i minori
non accompagnati che si trovino sul territorio nazionale (art. 11, 1-bis).
La finalità della nuova normativa consiste quindi nell’estensione
della copertura vaccinale, in modo da assicurare, nel tempo, l’immunità da gravi malattie di ampie fasce della popolazione, soggette all’obbligo vaccinale in base all’età, e destinate a restare immuni in seguito
all’adempimento dell’obbligo.
2. La normativa previgente e i modelli di vaccinazione
obbligatoria: caratteristiche. Il principio di condizionalità
tra vaccinazioni obbligatorie ed inclusione nella
comunità scolastica e nelle altre collettività infantili
e giovanili. Ragioni. La normativa regolamentare (D.p.r.
1518/1967). Le sanzioni. La rilevanza dell’inottemperanza
ai fini del controllo giudiziale sulla potestà genitoriale.
La legge apporta delle modifiche rilevanti al preesistente tessuto
normativo, rappresentato da una serie di provvedimenti specifici sulle
singole vaccinazioni obbligatorie1: anti-difterica (L. 6 giugno 1939, n.
891), originariamente prevista per i minori da due a dieci anni (art. 11),
di regola da eseguirsi nel secondo anno di età (art. 12); in via di disposizione transitoria, essa era obbligatoria per tutti gli studenti delle scuole
(art. 4), in via stabile condizione di accesso alle scuole primarie ed alle
“altre collettività infantili” (art. 3); anti-tetanica (L. 5 marzo 1963, n. 292),
inizialmente obbligatoria per specifiche tipologie di lavoratori esposti
(“a partire dalle nuove leve di lavoro”) e sportivi, al momento di affiliazione alle federazioni C.O.N.I. (art. 1) e facoltativa per minori e madri
gestanti (art. 2), successivamente resa obbligatoria per tutti i minori
nel secondo anno di vita (L. 20 marzo 1968, n. 419, art. 1; art. 1, lettera
c), L. 292/1963) e posta come condizione di accesso alle scuole primarie e secondarie ed alle altre comunità infantili e giovanili (art. 1 L.
1
Cfr. sul tema S. Panunzio, Vaccinazioni, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 1.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
401
419/1968; art. 3-bis L. 292/1963; anti-poliomielitica (L. 4 febbraio 1966,
n. 51), obbligatoria all’origine per i bambini entro il primo anno di età
(art. 1), anch’essa condizione di accesso alla scuola dell’obbligo (art. 42)
ed alle varie comunità per minori (convitti, colonie climatiche) (art. 43);
queste tre vaccinazioni sono state oggetto di un successivo intervento
normativo di raccordo (L. 27 aprile 1981, n. 166), teso ad armonizzare i
termini delle tre vaccinazioni; anti-epatite B (L. 27 maggio 1991, n. 165),
prevista nel primo anno di vita (art. 1), necessaria per l’iscrizione alla
scuola dell’obbligo e per l’ammissione all’esame di licenza media (art.
23), nonché per la frequentazione di comunità infantili (art. 24).
Ulteriore modello di vaccinazione obbligatoria era quello della vaccinazione anti-vaiolosa (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 266), da effettuarsi entro i primi sei mesi di vita, successivamente entro i primi due
anni, in raccordo con la vaccinazione antidifterica (L. 891/1939, art. 13);
a causa dell’efficacia del vaccino per il contrasto alla malattia, essa è
stata prima sospesa per quattro anni (L. 7 giugno 1977, n. 323; D.L. 19
giugno 1979, n. 210; L. 8 agosto 1979, n. 210) successivamente abrogata
(D.L. 26 giugno 1981, n. 334; L. 6 agosto 1981, n. 457), salvi la possibilità
di reintroduzione con specifico D.M. Sanità per esigenze di tutela della salute pubblica o persone esposte al rischio di contagio (art. 2 D.L.
334/1981; L. 457/1981) ed il dovere di mantenimento di scorte (art. 3
D.L. 334/1981; L. 457/1981).
Dall’esame di questo articolato complesso normativo è possibile trarre
alcuni principi di massima. I modelli considerati avevano tutti come ambito di applicazione soggettiva i minori – salvo l’anti-tetanica prima della
L. 419/1968 – e prevedevano, in numerose ipotesi, la vaccinazione quale
condizione di accesso alla scuola e, negli stessi casi, alle comunità infantili: anti-difterica (L. 891/1939, art. 3) anti-tetanica (art. 3-bis L. 292/1963);
anti-poliomielitica (L. 51/1966, art. 4); anti-epatite B (L. 165/1991, art. 2).
Istruzione e momenti di socialità dei minori erano assoggettati al
medesimo regime che imponeva le vaccinazioni come condizione di
accesso. Come può evincersi dall’esame dei vari testi normativi, la
scuola veniva posta sul medesimo piano delle altre “collettività infantili”, termine ricorrente2 nei vari modelli presi in considerazione. Tale
equiparazione consente di affermare che il rapporto di condizionalità
2
Ad es., art. 3 L. 891/1939 (vaccinazione anti-difterica); art. 3-bis L. 292/1963 (antitetanica), con un riferimento anche alle “collettività […] giovanili di qualsiasi specie”;
art. 4 L. 51/1966 (anti-poliomielitica).
402
The best interest of the child
tra vaccinazione e fruizione del servizio scolastico non era specificamente motivato da una funzione di controllo correlata all’obbligo scolastico – basata sulla verifica dell’adempimento all’obbligo vaccinale in
occasione della presentazione dei documenti necessari all’iscrizione3
– ma dall’inserimento del minore in una comunità sociale, al pari delle
altre, nelle quali avrebbero potuto esservi occasioni di trasmissione nel
gruppo (ad es., per la difterite e la poliomielite) o di contrarre l’infezione nelle normali attività sportive o ludiche (per il tetano). La soluzione
del legislatore, nel porre sullo stesso piano scuola e altre comunità,
escludeva una specifica rilevanza dell’istituzione scolastica ai fini della
verifica dell’adempimento dell’obbligo, assegnando invece la prevalenza all’elemento comune della socialità come occasione di contagio o
per contrarre la malattia. La condizionalità, pertanto, assolveva ad una
diretta finalità di prevenzione. Il rilievo presenta una sua specifica attualità per l’esame comparativo della normativa vigente e sarà oggetto,
più oltre (v. par. 9), di considerazioni conclusive.
Il principio di condizionalità tra adempimento degli obblighi vaccinali ed accesso alla scuola ed alle altre comunità infantili e giovanili,
nel contesto normativo antecedente al D.L. 73/2017, può agevolmente
individuarsi a livello di interpretazione letterale dei testi legislativi.
Non sembra poter destare alcun dubbio la formulazione che imponeva l’acquisizione della documentazione relativa all’adempimento
dell’obbligo “tra i documenti prescritti per la prima ammissione alle scuole
primarie” e “alle altre collettività infantili di qualsiasi specie” (anti-difterica:
art. 3 L. 891/1939); “tra i documenti prescritti per l’ammissione alle scuole
primarie e secondarie” e “alle altre collettività infantili e giovanili di qualsiasi specie” (anti-tetanica: art. 3-bis L. 292/1963; art. 15 L. 419/1968); tra i
“documenti prescritti per la prima ammissione alla scuola d’obbligo” e “per
l’ammissione dei bambini nei convitti, nelle colonie climatiche da chiunque
organizzate, negli asili nido, nei brefotrofi e in qualunque altra collettività infantile” (anti-poliomielitica: art. 4 L. 51/1966); analogo significato deve
attribuirsi all’espressione secondo cui “la certificazione dell’avvenuta vaccinazione è presentata all’atto della prima iscrizione alla scuola dell’obbligo”
3
Una funzione esclusiva di controllo sull’adempimento dell’obbligo può invece
ravvisarsi nella soluzione che prevedeva l’acquisizione della documentazione
relativa alla vaccinazione anti-epatite B per l’iscrizione all’esame di licenza media
(art. 23 L. 165/1991). L’adempimento, posto a conclusione del ciclo scolastico, non
poteva considerarsi come necessario per l’inserimento del minore nella comunità
scolastica, mentre il rilevante interesse ad iscriversi per poter sostenere l’esame
avrebbe senz’altro concorso ad assicurare l’osservanza dell’obbligo.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
403
e “per l’ammissione a comunità infantili permanenti o transitorie, aperte o
chiuse, compresa la scuola materna” (anti-epatite B: art. 2 L. 165/1991).
Se il documento comprovante la vaccinazione era indicato tra quelli
“prescritti” per l’iscrizione a scuola, o il dovere giuridico si evinceva
dall’uso comune dell’indicativo presente nei testi normativi – “la certificazione […] è presentata”, è evidente che l’iscrizione e la frequenza
scolastica non potessero avvenire in mancanza della produzione del
documento, senza che fosse necessaria un’ulteriore specificazione tesa
a ribadire il principio di condizionalità. Se il documento era necessario
per l’iscrizione a scuola, il minore non poteva essere iscritto in mancanza del documento, e non poteva quindi frequentare le lezioni, come
qualunque altro soggetto non iscritto a scuola. È peraltro significativo
notare che la L. 165/1991, nel consentire l’autocertificazione (art. 22; art.
18 L. 7 agosto 1990, n. 241), imponeva come suo requisito contenutistico “l’indicazione della unità sanitaria locale o del presidio del Servizio
sanitario nazionale che ha effettuato la vaccinazione”, per rendere possibile
un’agevole verifica della sua veridicità, a conferma dell’essenziale importanza dell’adempimento.
Il principio di condizionalità era peraltro coerente con l’interpretazione teleologica: la disposizione, finalizzata ad una prevenzione
diretta, tendeva ad escludere l’ingresso del minore nella comunità scolastica ed in tutte le altre collettività per evitare la trasmissione della
malattia nel gruppo ed evitare la contrazione dell’infezione nelle attività ivi svolte. Pertanto, la mancata vaccinazione doveva necessariamente costituire un elemento ostativo all’ammissione nel gruppo.
In coerenza con il principio di condizionalità, sancito da fonte legislativa (art. 3 L. 891/1939; art. 3-bis L. 292/1963; art. 4 L. 51/1966; art.
2 L. 165/1991), la normativa regolamentare prevedeva che “I direttori
delle scuole e i capi degli istituti di istruzione pubblica o privata non possono
ammettere alla scuola o agli esami gli alunni che non comprovino, con la presentazione di certificato rilasciato ai sensi di legge, di essere stati sottoposti
alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie” (D.p.r. 22 dicembre 1967,
n. 1518, art. 471), stabilendo inoltre la necessità di indicazione dei dati
cronologici delle vaccinazioni (art. 472) e la conservazione dei certificati
di vaccinazione nel fascicolo personale degli studenti, con obbligo di
controllo del medico scolastico (art. 473).
La normativa regolamentare generalizzava così il principio di
condizionalità previsto in via legislativa per la frequenza scolastica,
estendendolo così, tra i presupposti, alla vaccinazione anti-vaiolosa
404
The best interest of the child
dove non era espressamente previsto; e, tra le attività condizionate
all’adempimento dell’obbligo vaccinale, agli esami scolastici4, introducendo così in via generale una funzione di controllo, da espletarsi
in tale occasione, non ravvisabile a livello di fonti legislative, con i
relativi problemi di compatibilità costituzionale: vertendosi in materia coperta da riserva di legge (artt. 322, 13 Cost.), la fonte secondaria
introduceva in via generale modalità di controllo, assistite dal meccanismo di condizionalità, non previste dalla normativa primaria –
che legava invece la condizionalità alla sola frequenza scolastica, in
ragione dell’inserimento nella comunità – e quindi non conformi alla
riserva di legge.
Il dovere di cooperazione del genitore all’adempimento dell’obbligo era oggetto di due previsioni specifiche; nella vaccinazione
anti-poliomielitica veniva espressamente stabilita la responsabilità
dell’esercente l’allora patria potestà, con la previsione di un’ammenda
in caso di inottemperanza (art. 3 L. 51/1966); anche nel regime della
vaccinazione anti-epatite B veniva sancita la responsabilità del genitore per l’effettuazione della vaccinazione (art. 71 L. 165/1991), con il
relativo obbligo assistito da una sanzione amministrativa (art. 72 L.
165/1991). La giurisprudenza evidenziava come il dovere gravasse su
entrambi i genitori, ciascuno di essi destinatario in via autonoma delle
relative sanzioni5.
Al riguardo, può senz’altro evidenziarsi che pur in mancanza di
questi due elementi – la previsione specifica di un dovere del genitore
o di una sanzione a suo carico in caso di inadempimento – la stessa
configurazione della patria potestà, potestà genitoriale e responsabilità genitoriale (artt. 147, 315-bis c.c.) come dovere di provvedere alle
esigenze di vita del figlio comprendeva sicuramente l’attivarsi per assolvere gli obblighi vaccinali, trattandosi di una forma elementare di
protezione della sua salute.
3. Il nuovo regime delle vaccinazioni obbligatorie,
e l’affermazione del principio di non condizionalità
4
Si richiama che la condizionalità rispetto agli esami era prevista, in via legislativa,
soltanto per la vaccinazione anti-epatite B (art. 23 L. 165/1991) e solo per l’esame di
licenza media (v. nota 3).
5
Cass. 1° giugno 2010, n. 13346, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 64, con nota di
L. Klesta Dosi; in Ragiusan, 2010, n. 317-318, p. 169; analogamente, Cass. 30 giugno
2006, n. 15088.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
405
(D.p.r. 355/1999). La posizione della giurisprudenza
sull’osservanza degli obblighi
Un generale superamento del principio di condizionalità è stato sancito dal D.p.r. 26 gennaio 1999, n. 355, che ha sostituito l’art. 47 D.p.r.
1518/1967, prevedendo, assieme all’obbligo di verifica “all’atto dell’ammissione alla scuola o agli esami” (art. 471), la sola conseguenza della comunicazione all’ASL e al Ministero della Sanità della mancata presentazione della certificazione, con l’affermazione dell’opposto principio
di non condizionalità: “La mancata certificazione non comporta il rifiuto di
ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami” (art. 472).
Sul superamento in via regolamentare del principio di condizionalità, in tutte le ipotesi nelle quali esso era previsto da una fonte legislativa, valgono rilievi analoghi formulati in precedenza sull’estensione
dell’obbligo da parte del D.p.r. 1518/1967, non conforme alla riserva di
legge (art. 322, 13 Cost.), nel senso del contrasto tra fonte legislativa e
regolamentare, con la conseguente illegittimità di quest’ultima.
La normativa regolamentare in esame, infatti, risultava in evidente
contrasto con obblighi di fonte legislativa6; la tesi favorevole ad “una
interpretazione coordinata, condotta in chiava evolutiva, della normativa vigente in materia di vaccinazioni obbligatorie”, tesa ad “affermare che la mancata presentazione del certificato attestante la effettuazione di vaccinazioni
previste dalla legge non rappresenta più un requisito assolutamente ostativo
all’iscrizione della scuola dell’obbligo”7 non sembra affatto in linea con il
contenuto estremamente dettagliato delle norme legislative che prevedevano il principio di condizionalità (art. 3 L. 891/1939; art. 3-bis L.
292/1963; art. 4 L. 51/1966; art. 2 L. 165/1991). Esso non poteva essere né
esteso (D.p.r. 1518/1967), né eliminato (D.p.r. 355/1999), in conformità
con la riserva di legge (art. 322, 13 Cost.) e con il criterio gerarchico di
primazia della fonte legislativa.
Nonostante tali rilievi, la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno portato al superamento del principio di condizionalità, con
la conseguente affermazione della possibilità di inclusione del minore
nell’ambito della comunità scolastica indipendentemente dall’adempimento degli obblighi vaccinali, in evidente contrasto con gli obiettivi di
6
Come esattamente rilevato da C. Conti, sez. contr., 1° giugno 1999, n. 37, in Cons.
Stato, 1999, II, 1541.
7
C. Conti, sez. riun., 4 ottobre 1999, n. 33/e, in Riv. Corte Conti, 1999, n. 5, 1.
406
The best interest of the child
tutela sottesi alle norme legislative che stabilivano la condizionalità. Il
carattere cogente delle norme risultava così fortemente indebolito sul
piano dell’effettività8.
A fronte dell’eliminazione del principale presidio teso ad assicurare
l’effettività delle vaccinazioni, non più necessarie per l’iscrizione del
minore a scuola, il meccanismo previsto dalla nuova normativa (art.
472 D.p.r. 1518/1967; D.p.r. 355/1999), nel senso dell’obbligo di segnalazione del fatto alle autorità sanitarie, attribuiva una rinnovata centralità all’intervento di queste ultime ed alla possibile controversia in sede
giurisdizionale per l’osservanza degli obblighi vaccinali.
La giurisprudenza aveva in precedenza assunto una posizione
nettamente favorevole all’intervento dello Stato a fronte dell’inottemperanza dei genitori, affermando la possibilità di ricorrere a rimedi
estremi quali la decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 c.c.)9, già
disposta a condizione del persistente inadempimento, con fissazione di
un termine brevissimo per provvedere alla vaccinazione ed evitare gli
effetti sanzionatori; stabilendo la legittimità, in base alla normativa amministrativa, dell’ordine di presentazione del minore per l’effettuazione
delle vaccinazioni emesso dal sindaco10, con l’esclusione dell’applicabilità della sanzione penale in caso di inadempienza ai sensi dell’art. 650
c.p.11. Il rimedio generale veniva individuato nella sospensione della
potestà genitoriale (art. 333 c.c.) e nei provvedimenti a tutela del minore (art. 336 c.c.)12, con l’intervento del Tribunale per i minorenni teso
anche ad assicurare – prima del D.p.r. 355/1999 – il diritto all’istruzione
in ragione del principio di condizionalità13, dato per presupposto: se
8
Su un tentativo di reintroduzione del meccanismo di condizionalità mediante
una delibera comunale in tema di accesso alle scuole dell’infanzia, v. TAR FriuliVenezia Giulia 16 gennaio 2017, n. 20, in Resp. civ. prev., 2017, p. 1318, con nota di G.
Citarella.
9
Trib. min. Brescia 13 gennaio 1984, in Giur. it., 1985, I, 2, p. 96, con nota di Dogliotti.
10
TAR Friuli-Venezia Giulia 12 aprile 1989, n. 141, in Foro amm., 1989, p. 2146.
11
Cass. pen. 12 dicembre 1990, in Mass. Cass. pen., 1991, n. 3, 50 (m.).
12
C. App. min. Perugia 21 giugno 1997; C. App. min. Perugia 5 marzo 1998, in Rass.
giur. umbra, 1998, p. 665; C. App. min. Perugia 13 dicembre 1996, in Rass. giur. umbra,
1997, p. 17; Trib. min. Perugia 20 giugno 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, p. 630, con
nota di E. Bagianti; C. App. Torino 12 ottobre 1993, in Dir. fam., 1994, p. 623; Trib.
min. Venezia 18 ottobre 1993, in Gius., 1994, n. 17, p. 91, con nota di V. Fellah; C.
App. Torino 3 ottobre 1992, in Dir. fam., 1993, p. 571, con nota di M. Dogliotti.
13
In tal senso, v. C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit.: “Nel caso di specie […] i genitori
pregiudicano altresì il diritto del minore all’istruzione, poiché il non essere stato
vaccinato preclude al bambino l’accesso alla scuola elementare”.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
407
le vaccinazioni non venivano effettuate, non poteva esservi frequenza
scolastica, ad ulteriore pregiudizio della posizione del minore.
Nel merito, la giurisprudenza successiva al D.p.r. 355/1999 confermava, almeno secondo una tendenza evolutiva, la possibilità di intervento del Tribunale per i minorenni mediante la sospensione della
potestà genitoriale e i provvedimenti a tutela del minore (artt. 333, 336
c.c.)14. A fronte dell’obbligatorietà della vaccinazione, legislativamente
prevista15, la massima ricorrente escludeva la legittimità che il genitore
contravvenisse a tale obbligo “per propria diversa convinzione o per ignoranza (da intendersi nel senso di omissione di ogni diligenza volta ad acquisire
le necessarie informazioni)”, dovendo allegare le “specifiche ragioni che, nel
caso singolo, rendono la vaccinazione sconsigliata o pericolosa”, fornendo
la prova “di sussistenza, quantomeno fondatamente putativa, di specifiche
controindicazioni”16.
In riferimento a tale regola di giudizio, si è ravvisata la necessità di
una prova specifica della “particolare condizione sanitaria” della persona,
tale da sconsigliare la vaccinazione17, mediante un previo accertamento sanitario18, senza l’obbligatorietà generale di indagini preventive19;
è stata specificamente esclusa la rilevanza dell’esistenza, in famiglia, di
casi di sclerosi multipla ed allergie20. La Corte Costituzionale ha confermato la compatibilità di queste soluzioni con il diritto alla salute
(art. 32 Cost.), con particolare riferimento all’esclusione della necessità
di indagini preventive21.
In questo contesto, la ritenuta temporaneità dei provvedimenti del
Tribunale per i minorenni (artt. 333, 336 c.c.)22 e la conseguente esclusione del ricorso per cassazione come mezzo di impugnazione23 non
14
C. App. Bari 6 febbraio 2002; C. App. Bari 12 febbraio 2003, in Familia, 2003, p. 548,
con nota di A. De Simone.
15
Sull’importanza della previsione legislativa, tale da equiparare, sul piano
sistematico, le vaccinazioni obbligatorie all’intervento salvavita, cfr. C. App. Venezia
16 settembre 2004, in Giur. mer., 2005, P. 361.
16
Cass. 18 luglio 2003, n. 11226, in Riv. it. med. leg., 2003, p. 1157, con note di F. Buzzi e
B. Magliona.
17
C. App. min. Perugia 5 marzo 1998, cit.
18
C. App. min. Perugia 13 dicembre 1996, cit.
19
C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit.
20
C. App. Bari 12 febbraio 2003, cit.
21
C. Cost. 23 giugno 1994, n. 258, in Foro it., 1995, I, C. 1451; in Giur. cost., 1994, p. 2097.
22
C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit.
23
Cass. 15 luglio 2003, n. 11022, in Foro it., 2004, I, c. 2485; Cass. S.U. 15 ottobre 1999,
408
The best interest of the child
risultano affatto conformi alla tutela della libertà personale (artt. 13,
1117 Cost.), bene sul quale incidono gli obblighi vaccinali in ragione della loro afferenza alla sfera dell’integrità del corpo, prima ed essenziale
dimensione tutelata dalla norma costituzionale, che impone, in caso di
contenzioso, il controllo di legittimità24.
4. I principi generali della nuova normativa
Il D.L. 73/2017 si colloca a conclusione del percorso, così descritto
nella sua parte iniziale, in una fase storica nella quale sono emerse tre
criticità: l’emersione di movimenti contrari alla vaccinazione, che hanno
comportato un decremento delle coperture, particolarmente in alcune
regioni25; gli effetti del D.p.r. 355/1999 sul principio di condizionalità,
tali da limitare fortemente la garanzia di effettività delle vaccinazioni
obbligatorie, privando l’autorità amministrativa di un meccanismo di
controllo automatico – strumentale rispetto alla finalità di prevenzione diretta – che vietava, in mancanza dell’adempimento dell’obbligo,
l’accesso del minore alla comunità scolastica; la posizione assunta da
alcuni Tribunali per i minorenni che escludevano – ravvisando il difetto di giurisdizione – la possibilità di adottare provvedimenti ablativi,
limitativi o specifici sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336
c.c.)26 in caso di inadempimento agli obblighi vaccinali.
Quest’ultima tendenza giurisprudenziale – in contrapposizione
ai precedenti27 citati in precedenza (v. par. 3) – escludeva la possibilità di un controllo giurisdizionale sull’esercizio della responsabilità
genitoriale, sulla base del fatto che, in forza della predeterminazione
legislativa dell’obbligo di vaccinazione, non sussistevano margini di
n. 729, in Giur. it., 2000, p. 1150; Cass. 4 marzo 1996, n. 1653; Cass. 15 luglio 1995, n.
7744; Cass. 8 febbraio 1994, n. 1265, in Dir. fam., 1994, p. 871.
24
Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 1117 Cost. su tutti i provvedimenti
in tema di responsabilità genitoriale, v. A. Cianci, Diritto privato e libertà costituzionali,
I, Libertà personale, Napoli, 2016, 80 ss., 93 s., 97 ss.
25
Per i dati del Ministero della Salute, v. http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/
p6_2_8_3_1.jsp?lingua=italiano&id=20.
26
Sui provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale, con riferimento al precedente
istituto della responsabilità genitoriale, v. C. Cossu, Potestà dei genitori, in Dig. disc.
priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 125 ss.; A. Bucciante, Potestà dei genitori, in Enc.
dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 791 ss.; A.C. Pelosi, La patria potestà, Milano, 1965, p. 301
ss.; E. Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, p. 43 s.
27
V. ad es. C. App. Bari 6 febbraio 2002; C. App. Bari 12 febbraio 2003, cit.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
409
discrezionalità dei genitori per esercitare la responsabilità genitoriale
in senso ostativo, restando in capo all’autorità amministrativa l’adozione dei provvedimenti necessari per assicurare l’adempimento degli
obblighi vaccinali28.
In particolare, le due tendenze ultimamente indicate risultavano
particolarmente dannose nella prospettiva di assicurare l’effettività di
tali obblighi. Infatti, al forte depotenziamento dell’azione dell’autorità
amministrativa, derivante dal venir meno del principio di condizionalità, si accompagnava il self-restraint dell’autorità giudiziaria preposta
al controllo, ispirato da discutibili assiomi, quali l’assunto che “se il
Tribunale per i minorenni accetta di ingerirsi nella questione, viene ad esercitare una supplenza la cui rischiosità, sul piano igienistico e ordinamentale,
è palese”29: di evidente inconsistenza, dato che non è certo il Tribunale
stesso a stabilire la sussistenza o meno della propria giurisdizione, potendo liberamente accettare o non accettare di pronunciarsi sulle questioni devolute alla sua cognizione.
Il concorso di questi fattori – un’autorità amministrativa resa debole
dal D.p.r. 355/1999 e un’autorità giudiziaria che, in determinati casi,
abdica illegittimamente ed inspiegabilmente al suo ruolo nel controllo
giudiziale sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.) – ha
condotto a dati statistici ritenuti insoddisfacenti per la protezione dei
minori, proprio per la possibilità di contagio ed infezione nell’ambito
scolastico e nelle altre collettività infantili a causa dell’aumento della percentuale dei non vaccinati; possibilità che sarebbe stata evitata,
qualora il principio di condizionalità, legislativamente sancito (art. 3
L. 891/1939; art. 3-bis L. 292/1963; art. 4 L. 51/1966; art. 2 L. 165/1991),
fosse stato operante anche nella prassi, senza l’adozione di una normativa regolamentare in contrasto con la legge (D.p.r. 355/1999), ed
adeguatamente tutelato da una giurisprudenza che non avesse preteso
di rendersi sovrana della proprie competenze.
In presenza di un quadro simile, l’intervento del legislatore, con il
D.L. 73/2017, non poteva che prefiggersi tre obiettivi essenziali: la creazione di un sistema efficiente per assicurare l’osservanza del precetto,
in via amministrativa e giurisdizionale; la possibilità di agevole accertamento di eventuali controindicazioni in casi specifici; l’adozione
28
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, in Dir. fam., 1994, 1292; in Gius., 1994, n. 17, p. 85,
con nota di V. Fellah; Trib. min. Messina 28 marzo 2000, in Dir. fam., 2000, p. 1176.
29
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
410
The best interest of the child
delle garanzie giurisdizionali dovute alla libertà personale, in ragione
dell’afferenza degli obblighi vaccinali alla sfera del corpo della persona
(art. 13 Cost.).
La normativa in esame (D.L. 73/2017; L. 119/2017) ha individuato, oltre alle quattro vaccinazioni già precedentemente obbligatorie
(anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B), altre
sei vaccinazioni (anti-pertosse; anti-Haemophilus influenzae tipo B;
anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella) (art. 11, 1-bis).
L’originario testo del D.L. 73/2017, prima della conversione in legge,
prevedeva anche l’obbligatorietà di ulteriori due vaccinazioni (antimeningococcica B e C), successivamente indicate tra quelle oggetto di
offerta “attiva e gratuita” (art. 11-quater) unitamente all’anti-pneumococcica e all’anti-rotavirus.
La legge prevede la possibilità di eliminazione dell’obbligatorietà
di alcune vaccinazioni con D.M. Salute, da adottarsi eventualmente a
scadenze triennali; qualora ciò non dovesse avvenire, è comunque obbligatoria la presentazione alle Camere di una relazione “recante le motivazioni della mancata presentazione”, corredata dai dati epidemiologici
e di copertura vaccinale (art. 11-ter). Tale soluzione è stata adottata in
sede di legge di conversione, al fine di rendere maggiormente duttile
l’intero sistema. Si noti come la fonte regolamentare non può operare
estendendo le vaccinazioni obbligatorie, ma è solo autorizzata dalla
legge stessa a ridurne l’ambito: l’obbligatorietà, infatti, deve essere
sempre prevista dalla fonte legislativa, in ragione della riserva di legge
caratteristica della materia (art. 322, 13 Cost.).
La legge prevede, in via di stretta interpretazione, quale deroga ad
un regime generale di obbligatorietà (art. 14 prel.), le due ipotesi nelle
quali essa non opera: la previa immunizzazione a seguito di malattia, oggetto di comunicazione da parte del medico curante o di analisi
sierologica (art. 12), con la conseguente possibilità di ricorso a vaccini
in formulazione monocomponente o parzialmente combinata (art. 12,
2bis); il “caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal
pediatra di libera scelta” (art. 13), che consente il differimento o l’omissione della vaccinazione.
Questa disposizione presenta un’assoluta centralità nel sistema, delineando un criterio legislativo di valutazione dell’eccezione. Occorre
che vi sia un pericolo per la salute, derivante da condizioni cliniche
soggette a due requisiti: l’essere “specifiche” – ossia riferibili a singoli
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
411
elementi caratteristici della persona interessata – e “documentate”, oggetto quindi di un previo accertamento medico. La legge prevede inoltre che sia un medico – di libera scelta – a dover fornire l’attestazione
della loro sussistenza, illustrando nella relativa certificazione i due
predetti requisiti.
Sono previste dalla legge varie iniziative di comunicazione e informazione sulle vaccinazioni (art. 21), anche con specifico riferimento
all’ambito scolastico (art. 22). Vengono istituite un’anagrafe nazionale
dei vaccini (art. 4-bis), preposta al monitoraggio dell’attuazione degli
obblighi previsti dalla legge e un’unità di crisi permanente, che realizza il coordinamento tra le amministrazioni interessate (art. 4-ter).
Vengono introdotte delle norme in tema di indennizzo da vaccinazione obbligatoria (L. 25 febbraio 1992, n. 210), che individuano nelle
“lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente
dell’integrità psico-fisica” l’evento da cui scaturisce la prestazione indennitaria (art. 5-quater), escludendo così ogni stato di malattia temporaneo successivo alla vaccinazione e privo di esiti permanenti; prevedono il litisconsorzio necessario dell’Agenzia Italiana del Farmaco
(art. 5-bis) in tutti i giudizi introdotti dopo il 1 giugno 2018; destinano
personale amministrativo nell’ambito del Ministero della Salute alla
definizione stragiudiziale delle relative controversie (art. 5-ter).
5. La responsabilità genitoriale e il dovere di cooperazione
all’obbligo di legge. Profili del controllo giudiziale.
La possibilità di intervento nel caso di contrasto
tra i genitori
La legge ha delineato il rapporto tra vaccinazioni obbligatorie e responsabilità genitoriale secondo un meccanismo (art. 14) che affida il
controllo all’autorità amministrativa (ASL) e si articola in due fasi, necessariamente consequenziali: la convocazione dei genitori esercenti la
responsabilità genitoriale per un colloquio informativo e di sollecito, e
l’irrogazione di una sanzione amministrativa – di entità oggettivamente modesta rispetto al bene protetto, consistente nella tutela della salute di un minore (da euro 100,00 ad euro 500,00) – in caso di persistente
inadempienza, oltre il termine fissato dalla ASL.
Il D.L. 73/2017 prevedeva inizialmente l’obbligo per la ASL di “segnalare l’inadempimento dell’obbligo vaccinale alla Procura della Repubblica presso
il Tribunale per i Minorenni per gli eventuali adempimenti di competenza”
412
The best interest of the child
(art. 15, nel testo in vigore all’emanazione del D.L. 73/2017); tale previsione è stata quindi soppressa dalla L. 119/2017.
L’esclusione dell’obbligo di segnalazione costituisce una soluzione fortemente criticabile, che rileva l’inidoneità della nuova normativa
ad assicurare il primo dei suoi obiettivi essenziali, la creazione di un
sistema integrato, teso a garantire l’osservanza degli obblighi vaccinali anche mediante il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria secondo
procedure delineate dalla legge.
Nella giurisprudenza minorile in precedenza criticata, si rilevava
che “identificare […] il Tribunale per i minorenni quale strumento attuativo dei trattamenti sanitari obbligatori sui bambini incapaci di intendere e di
volere spalancava il vuoto nelle previsioni riservate ai minori in età di ragione e agli adulti cui somministrare trattamenti obbligatori diversi da quello
psichiatrico. E ciò a prezzo dello svilimento di un Tribunale ridotto a braccio
esecutivo dell’Amministrazione sanitaria, in una dinamica delegittimante fra
due autorità separate, giudiziaria e amministrativa, fatte dipendere circolarmente l’una dall’altra senza costrutto. Perché il giudice minorile non può che
fare capo, al fine attuativo, a quei Servizi comunali cui l’art. 23 d.P.R. 616/77
attribuisce “gli interventi in favore dei minorenni soggetti a provvedimenti
delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza amministrativa e civile”. Ossia agli stessi Servizi a disposizione del sindaco, che si vedono
così restituire la patata bollente”30.
Questo ragionamento deve essere rigettato nel modo più netto, ed
avrebbe anzi richiesto un intervento legislativo, teso a regolamentare
nel dettaglio le modalità di intervento della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, organo preposto al controllo
giudiziale sull’esercizio della responsabilità genitoriale in caso del
persistente inadempimento all’obbligo vaccinale. A prescindere dalle
modalità di attuazione dell’obbligo stesso, e della possibilità di ricorrere – secondo modalità necessariamente predeterminate dalla legge e
soggette a riserva di giurisdizione (art. 13 Cost.) a forme di coazione
fisica – il comportamento del genitore che rifiuti l’adempimento di un
obbligo, previsto dalla legge a tutela dell’integrità psicofisica del figlio
costituisce un fatto di per sé rilevante e meritevole di rigorosa valutazione dell’autorità giudiziaria, nel sistema dei provvedimenti sulla
responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.).
30
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
413
Affermare, infatti, che “il comportamento omissivo o rifiutante dei genitori in ordine alla vaccinazione obbligatoria non può […] comportare di per sé
pronuncia sulla potestà. Lo potrebbe, invece, come elemento sintomatico congiunto con altri elementi rivelatori di inidoneità genitoriali”31 significa trascurare alcuni dati che dovrebbero invece risultare di immediata evidenza agli occhi del giudice minorile: dalla mancata effettuazione della
vaccinazione obbligatoria risulta immediata l’esposizione del minore al
pericolo di una malattia, evento che non può non rilevare come “grave pregiudizio del figlio” (art. 330 c.c.); da ciò, potrebbe derivare anche
la morte; la condotta inadempiente del genitore viene posta in essere
nell’esercizio della responsabilità genitoriale, e quindi in violazione del
diritto alla salute del minore, a presidio del quale la legge ha previsto le
vaccinazioni obbligatorie (art. 11, 1-bis D.L. 73/2017; L. 119/2017). Sul fatto
poi, che la mancata vaccinazione in sé – fatto potenzialmente idoneo ad
incidere sul diritto alla vita del figlio (art. 2, 32 Cost.) – non potrebbe rilevare ai fini dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale, è appena
il caso di evidenziare che essi sono stati sovente assunti, persino ai fini
della decadenza dalla stessa (art. 330 c.c.), in situazioni di ben minor pregiudizio per il minore, addirittura relativi ad una non meglio precisata
“complessiva incapacità non emendabile di comprendere quali siano i bisogni
emotivo-affettivi e pratici” del minore, quando, nella stessa vicenda, l’unico episodio di abbandono era stato escluso dal giudicato penale32. Mettere a rischio la vita del minore non vaccinandolo, in presenza di un obbligo di legge, viene considerato irrilevante ai fini del controllo giudiziario
sulla responsabilità genitoriale; nello stesso sistema, la dichiarazione di
stato di adottabilità (L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8) è ritenuta possibile e
persino non revocabile anche qualora il fatto che vi abbia dato luogo sia
stato negativamente accertato da una sentenza penale passata in giudicato, sulla base di impalpabili valutazioni soggettivistiche.
Un grave limite della legge in commento consiste, dunque, nell’aver
escluso l’istituto dell’obbligo di segnalazione alla Procura della Repubblica davanti al Tribunale per i Minorenni, che avrebbe consentito – se
31
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
32
Cass. 14 febbraio 2018, n. 3594; sulla stessa vicenda, v. Cass. 8 novembre 2013, n.
25213, in Foro it., 2014, I, p. 59, con nota di G. Casaburi; in Fam. dir., 2015, p. 816, con
nota di D. Morello Di Giovanni; Cass. 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro it., 2016, I, c.
2319, con note di G. Casaburi e di C.M. Bianca, ivi, 2017, I, p. 3171; nella rassegna a
cura di A. Batà e A. Spirito, in Fam. dir., 2016, p., 1082, e, per esteso, ivi, 2017, p. 319,
con nota di A. Figone; C. App. Torino 11 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, c. 1184, con
nota di G. Casaburi.
414
The best interest of the child
legislativamente previsto – un immediato raccordo tra procedimento
amministrativo ed intervento dell’autorità giudiziaria in caso di inadempienza. L’esclusione di quest’obbligo sembra difficilmente comprensibile. Da una parte, la previsione dell’obbligo avrebbe messo in
grado l’organo requirente di conoscere l’inadempimento, e di compiere
al riguardo le proprie valutazioni, secondo un canone che lo stesso ufficio avrebbe potuto adottare, tra la sua irrilevanza ai fini dell’adozione di
provvedimenti sulla responsabilità genitoriale in mancanza di ulteriori
elementi33 – secondo l’indirizzo in precedenza criticato – oppure partendo dal principio – del resto coerente con il carattere primario del bene
della salute (art. 32 Cost.). – per cui l’inosservanza dell’obbligo espone
il minore stesso ad un potenziale grave pregiudizio per la sua salute.
A fronte di questa possibilità, non sembra affatto condivisibile la scelta del legislatore, che priva l’organo preposto al controllo sull’esercizio
della responsabilità genitoriale – la Procura della Repubblica davanti
al Tribunale per i Minorenni – di un efficace strumento di conoscenza.
Peraltro, sembra che l’autorità amministrativa, venuta a conoscenza di
un elemento potenzialmente pregiudizievole per la salute del minore,
debba comunque procedervi in base al dovere giuridico di impedire
l’evento potenzialmente lesivo (art. 402 c.p.). Dal momento che l’autorità
amministrativa, nell’esercizio delle proprie funzioni, viene a conoscenza di un’omissione del genitore esercente la responsabilità genitoriale
che possa comportare grave danno alla salute del minore o persino la
morte, in base ai dati statistici sulla malattia per cui la vaccinazione non
è stata realizzata, sembra necessario che, oltre all’attività di convocazione dei genitori ed all’attivazione del procedimento sanzionatorio,
espressamente previste dalla legge (art. 14 D.L. 73/2017; L. 119/2017), si
realizzi comunque una segnalazione diretta ad impedire l’evento lesivo che rientra nella diretta responsabilità dell’autorità sanitaria (art. 402
c.p.). Alla responsabilità penale si accompagnano le varie conseguenze
risarcitorie civilistiche a favore del minore eventualmente danneggiato.
Questa soluzione sembra, peraltro, imposta da un singolare paradosso della normativa in commento. Esso consiste nel fatto che i rimedi
previsti dalla legge in caso di inadempienza – convocazione dei genitori ed irrogazione delle sanzioni – non sono affatto in grado di tutelare,
salvo che come blando deterrente, la salute del minore; egli, anche in seguito al loro diligente esperimento, resta pienamente esposto al rischio
33
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
415
derivante dalla mancata vaccinazione. Ne consegue che, esperendo gli
stessi, il funzionario preposto alla funzione di controllo non può affatto
escludere il pericolo di grave pregiudizio alla salute del minore che ha
il dovere di evitare, quale autorità sanitaria preposta alla verifica (artt.
590, 589, 402 c.p.). Sembra dunque conseguente la necessità di un dovere di comunicazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
per i Minorenni per le opportune valutazioni, in quanto solo questo
intervento, in quanto esplicato, potrebbe evitare l’evento pregiudizievole per la persona del minore, dando luogo ad una successiva fase
giurisdizionale, a seguito dell’adozione delle prescritte sanzioni amministrative.
Sotto questo profilo, sembra di poter agevolmente concludere che
la legge, oltre a prevedere un raccordo tra funzione amministrativa ed
intervento dell’autorità giudiziaria, avrebbe dovuto delineare, in conformità con i principi costituzionali in tema di libertà personale (art. 13
Cost.), “casi” e “modi” di limitazione dell’esercizio della responsabilità
genitoriale e di intervento sulla persona del minore per poter realizzare la vaccinazione in mancanza della cooperazione dei genitori. Senza
questa disciplina di dettaglio, l’attuale quadro legislativo si limita a
misure del tutto inefficaci rispetto al fine di assicurare l’osservanza degli obblighi vaccinali; l’intervento del giudice minorile, ove dovesse
realizzarsi pur in mancanza dell’obbligo di segnalazione dell’autorità
amministrativa, risulterebbe privo della disciplina legislativa di dettaglio, costituzionalmente necessaria per poter incidere sulla libertà personale del minore (art. 13 Cost.), e non potrà dunque esplicarsi.
In quest’ottica, il necessario ricorso allo strumento legislativo non
potrà essere superato mediante provvedimenti atipici in tema di controllo giudiziale della responsabilità genitoriale (artt. 333, 336 c.c.), in
quanto la genericità di tali previsioni non sarebbe compatibile con l’essenzialità del bene protetto, rappresentato dal corpo e dall’autodeterminazione fisica della persona, su cui i provvedimenti del giudice sarebbero destinati ad incidere: non sono, infatti, previsti “casi” e “modi” in
cui l’intervento dell’autorità giudiziaria possa esplicarsi (art. 13 Cost.),
ed in conseguenza ogni soluzione tesa ad effettuare la vaccinazione mediante lo strumento dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale
(artt. 333, 336 c.c.) non potrà ritenersi costituzionalmente legittima.
In mancanza di ciò, l’intervento sostitutivo dello Stato a tutela del
minore in caso di negligente esercizio della responsabilità genitoriale
– nella dottrina anglosassone, principio del parens patriae – non potrà
416
The best interest of the child
realizzarsi mediante un intervento che assicuri al figlio l’effettuazione
della vaccinazione. Gli unici rimedi possibili, per questa specifica finalità, saranno quelli indicati dalla legge, consistenti nella convocazione
dei genitori e nell’irrogazione di sanzioni amministrative; il vigente
quadro legislativo non prevede ulteriori conseguenze.
Al riguardo, si segnala che il carattere necessario di un intervento
legislativo di dettaglio sarebbe risultato ancor più necessario alla luce
della tendenza giurisprudenziale, già criticata in precedenza, favorevole ad escludere la rilevanza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale ai fini del controllo sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333,
336 c.c.): l’ipotesi di disporre, in tali casi, l’affidamento a soggetti diversi dai genitori “per lo stretto tempo occorrente alle vaccinazioni e previ
accertamenti strettamente finalizzati ad esse” è stata esclusa, in quanto
ciò “non sarebbe neppure un affidamento: sarebbe un mero atto esecutivo
dell’obbligo di legge”34.
Come già visto, questa posizione è il frutto di un evidente errore
concettuale: l’inadempimento arreca al minore un grave pregiudizio,
che rappresenta il fatto rilevante per i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale ed impone, di conseguenza, l’intervento del giudice
minorile. Circa gli obblighi di legge, è anche agevole osservare che essi
sussistono nell’intero campo di operatività dell’intervento del giudice
minorile, correlato alla violazione di un diritto del figlio (art. 315-bis
c.c.), che rappresenta a sua volta un dovere del genitore.
Non soltanto, in siffatta ipotesi, vi è la piena sussistenza della giurisdizione, ma il controllo giurisdizionale è anzi imposto dalla disciplina
costituzionale in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), che affida
all’autorità giudiziaria funzioni e poteri che l’autorità amministrativa
non può invece esercitare, in forza della riserva di giurisdizione che
connota la materia in esame.
Risulta dunque impossibile risolvere la questione sul piano amministrativo, e proprio per questa ragione la norma in tema di segnalazione obbligatoria, originariamente prevista dal D.L. 73/2017, quindi
espunta per effetto della L. 119/2017, risultava quanto mai opportuna, anche se avrebbe dovuto essere accompagnata da una dettagliata
previsione delle modalità di intervento del giudice minorile in caso di
persistente inadempienza all’obbligo vaccinale.
34
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
417
La posizione del genitore resta potenzialmente soggetta al controllo
sull’esercizio della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.),
anche se i relativi provvedimenti non potranno, in forza della riserva di legge in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), prevedere forme di limitazione della responsabilità che tendano alla vaccinazione
coattiva, per la mancanza di “casi” e “modi” previsti dalla legge che
renderebbero illegittima questa specifica tipologia di intervento. Sarà
invece possibile la valutazione della rilevanza dell’inadempimento ai
fini dei provvedimenti di decadenza e limitazione della responsabilità
genitoriale (artt. 330, 333 c.c.), in considerazione del pregiudizio e del
pericolo derivanti dall’inadempimento.
Va evidenziato, al riguardo, che la libertà personale è bene protetto
in capo al minore35, e che la responsabilità genitoriale non comprende
affatto un diritto del genitore di opporsi all’obbligo vaccinale; trattandosi di un potere funzionalizzato nell’interesse del minore, la responsabilità genitoriale deve essere esercitata in conformità della legge, che
impone la vaccinazione obbligatoria, a prescindere dalle convinzioni
soggettive del genitore, del tutto irrilevanti in quanto incidano sulla
sfera giuridica di una persona diversa, titolare di una sfera autonoma
di tutela della salute (art. 32 Cost.), che non può essere compromessa
in ragione delle opinioni e delle scelte di vita del genitore.
Sotto questo profilo, il genitore non può essere ritenuto “custode”
esclusivo del corpo del minore; l’intervento dello Stato in funzione sostitutiva per l’effettuazione della vaccinazione – secondo la dottrina del
parens patriae – sarebbe senz’altro compatibile con la tutela costituzionale della libertà personale (art. 13 Cost.), data la preminente necessità di
tutela della vita e della salute (art. 32 Cost.); tuttavia, il vigente quadro
legislativo non lo consente, per le ragioni già esaminate in precedenza.
Resta tuttavia ferma la possibilità di valutare negativamente la condotta
del genitore ai fini dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale
(artt. 330, 333 c.c.), ed al riguardo la tesi che nega autonoma rilevanza
alla mancata vaccinazione36 deve rigettarsi nei termini più netti. È l’espressione più evidente di una deviazione del sistema dai suoi principi
fondamentali: si interviene sulla responsabilità genitoriale in presenza
35
La sussistenza di una sfera protetta di libertà personale del minore si evince dalla
giurisprudenza penale che lo qualifica come soggetto passivo del delitto di sequestro
di persona, anche in tenera età: v. Cass. pen. 6 dicembre 2011, in Riv. pen., 2012, p.
281; Cass. pen. 4 novembre 2010, in Foro it., 2011, II, c. 566, con nota di G. Leineri.
36
Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit.
418
The best interest of the child
di un potenziale pregiudizio psicologico al minore37, e non qualora l’omissione del genitore possa comportare l’insorgenza di gravi malattie e
potenzialmente la morte (art. 32 Cost.).
Qualora la malattia o la morte insorgano in conseguenza della mancata vaccinazione, altre conseguenze a carico del genitore consistono
nelle sanzioni penali per lesioni colpose ed omicidio colposo (artt. 590,
589 c.p.). In questo caso, è evidente che il genitore, stante il suo dovere
di cooperazione legislativamente previsto (art. 11, 1-bis, 4 D.L. 73/2017;
L. 119/2017), risponde in ragione dell’obbligo di impedire l’evento (402
c.p.). Anche in questo caso, dalla responsabilità penale derivano varie
conseguenze risarcitorie civilistiche a favore del minore eventualmente danneggiato.
In caso di contrasto tra i genitori, la giurisprudenza ravvisa l’esperibilità di due rimedi: il procedimento previsto dall’art. 709-ter c.p.c.38,
nel presupposto che il comportamento del genitore rappresenti una
violazione del regime di affidamento, in ragione del dovere giuridico
di attuare le vaccinazioni, sancito dalla fonte legislativa che integra,
evidentemente, il contenuto del complesso di doveri connesso alla responsabilità genitoriale; il procedimento ex 333 c.c.39, nell’evidente necessità di adozione di provvedimenti sull’esercizio della responsabilità
genitoriale stessa, consistenti nell’ordine di effettuare la vaccinazione e
nelle conseguenze in caso di inadempimento.
6. Le competenze delle autorità scolastiche.
La reintroduzione del principio di condizionalità
per le sole scuole dell’infanzia
Uno specifico settore della nuova disciplina attiene alle competenze degli istituti scolastici ed all’inserimento del minore nella comunità
scolastica in relazione all’adempimento degli obblighi vaccinali (artt. 3
ss., D.L. 73/2017; L. 119/2017).
È previsto, infatti, l’obbligo dei dirigenti scolastici e dei responsabili delle scuole per l’infanzia di richiedere “idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie […], ovvero l’esonero,
37
Cass. 14 febbraio 2018, n. 3594; Cass. 8 novembre 2013, n. 25213, cit.; Cass. 30 giugno
2016, n. 13435, cit.; C. App. Torino 11 marzo 2017, cit.
38
Trib. Milano 9 gennaio 2018, in www.ilfamiliarista.it.
39
C. App. Napoli 30 agosto 2017, in www.ilfamiliarista.it, con nota di L. Dell’Osta.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
419
l’omissione o il differimento delle stesse […], o la presentazione della formale
richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale territorialmente competente”. Il termine per la produzione di tale documentazione viene indicato
nello stesso termine di scadenza per l’iscrizione; per la sola effettuazione delle vaccinazioni, non per esoneri, omissioni, differimenti o richieste, può essere assolto mediante un’autocertificazione; la successiva
documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” – che non
può, dunque, consistere in un’autocertificazione, stante il tenore letterale della norma – deve essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno, a
conclusione del ciclo vaccinale (art. 31).
La normativa reintroduce il principio di condizionalità tra vaccinazioni ed iscrizione solo per la scuola dell’infanzia, con una formulazione che non lascia adito a dubbio alcuno: “Per i servizi educativi per
l’infanzia e per le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie,
la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito
di accesso”; mentre, anche qui senza dar luogo a dubbi interpretativi,
“Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale
regionale, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola, al centro ovvero agli esami” (art. 33).
La Corte Costituzionale40 ha ritenuto infondata una questione di
legittimità costituzionale, promossa dalla Regione Veneto circa il principio di condizionalità (in riferimento all’art. 117 Cost.), sulla base del
fatto che le disposizioni legislative, afferenti alla categoria delle “norme generali sull’istruzione”, “mirano a garantire che la frequenza scolastica
avvenga in condizioni sicure per la salute di ciascun alunno, o addirittura
(per quanto riguarda i servizi educativi per l’infanzia) non avvenga affatto in
assenza della prescritta documentazione. Pertanto, queste norme vengono a
definire caratteristiche basilari dell’assetto ordinamentale e organizzativo del
sistema scolastico”.
Anche tutti gli operatori scolastici sono stati chiamati a fornire, entro il 6 novembre 2017, un’autocertificazione relativa alla propria situazione vaccinale (art. 33-bis).
Tra le norme transitorie, il termine per la presentazione della documentazione all’atto dell’iscrizione è stato fissato al 10 settembre 201741
per la scuola dell’infanzia ed al 31 ottobre 2017 per le altre istituzioni
40
C. Cost. 18 gennaio 2018, n. 5.
41
Termine che, essendo a scadenza in giorno festivo, è prorogato di diritto all’11
settembre 2017.
420
The best interest of the child
scolastiche, resa possibile – solo per tale regime provvisorio – anche
nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; in tal caso,
il termine per la documentazione relativa all’effettuazione delle vaccinazioni per l’anno scolastico 2017-2018 è stato fissato al 10 marzo 2018
(art. 51). La facoltà di avvalersi dell’autocertificazione è stata estesa
all’anno scolastico 2018-2019 e l’ultimo termine è stato prorogato al 10
marzo 2019 da un successivo intervento normativo42.
Sembra evidente che, sia in caso di omessa presentazione della documentazione entro i rispettivi termini prescritti, nella scuola dell’infanzia, dove opera il principio di condizionalità, venendo meno il
“requisito di accesso”, la frequenza scolastica non possa iniziare o proseguire, ove in precedenza iniziata, ferma restando la possibilità di ripresa in seguito alla produzione attestante l’adempimento dell’obbligo43.
Alcune mozioni presentate a livello di enti locali, tra i quali il Comune
di Roma, tese ad evitare la sospensione dalla frequenza scolastica oltre
il termine del 10 marzo 201844 sono semplici atti di indirizzo politico,
privi di qualsiasi valore giuridico in presenza di una disciplina legislativa dettagliata, cui tutte le pubbliche amministrazioni devono necessariamente attenersi. Sembra corretta la prassi del Ministero della Salute consistente nel considerare assolto l’obbligo mediante un’idonea
documentazione della ASL che attesti la fissazione delle vaccinazioni a
data successiva alla scadenza di tale termine45, consentendo la frequenza fino all’effettuazione delle stesse, data l’incolpevole impossibilità di
assolvimento dell’obbligo.
La Circolare congiunta del Ministero della Salute e del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 5 luglio 201846, ha stabilito che “per il solo anno scolastico ed il calendario annuale 2018/2019, in ipotesi di prima iscrizione alle istituzioni scolastiche, formative ed educative, nel
caso in cui i tutori non presentino entro il 10 luglio 2018 la documentazione
comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni ai sensi del penultimo periodo
42
D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (art. 63-quater); L. 21 settembre 2018, n. 108.
43
Circolare Ministero della Salute-Direzione Generale della prevenzione sanitaria,
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca-Dipartimento per il Sistema
educativo di istruzione e di formazione 1° settembre 2017, Prot. Ministero della
Salute 26382/DGPRE, al sito www.trovanorme.salute.gov.it.
44
V. la Mozione ex art. 109 Regolamento del Consiglio Comunale di Roma approvata in
data 30 gennaio 2018, al sito http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato619747.pdf.
45
Nota Ministro della Salute 3 febbraio 2018, Prot. 8221/BL/SPM/P, al sito www.
trovanorme.salute.gov.it.
46
Al sito http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato4306713.pdf.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
421
del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 73 del 2017”, “i dirigenti scolastici […] potranno ammettere i minorenni alla frequenza sulla base delle dichiarazioni sostitutive presentate entro il termine di scadenza per l’iscrizione,
fatte salve le verifiche […] sulla veridicità delle predette dichiarazioni”.
Si tratta di un regolamento in evidente contrasto con la legge, che
non consente affatto l’autocertificazione – con il riferimento alla documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L.
73/2017) – soggetto quindi, secondo i principi generali, a disapplicazione da parte del giudice ordinario, annullamento da parte del giudice
amministrativo, che non deve essere osservato dalla pubblica amministrazione, stante la prevalenza della fonte legislativa sul piano gerarchico. In presenza di un’evidentissima illegittimità di una circolare
che pretende di derogare ad un obbligo previsto da una fonte primaria
(art. 31 D.L. 73/2017) – in materia soggetta, peraltro, ad una riserva di
legge rinforzata (art. 13 Cost.), nella quale la fonte legislativa deve contenere tutti gli aspetti, anche di dettaglio, della regolamentazione del
fenomeno: essa non può dunque essere in alcun modo derogata da un
atto dell’autorità governativa, nemmeno regolamentare, che può costituire solo un’indicazione della mera prassi amministrativa.
Tale soluzione è stata quindi adottata da una posteriore fonte legislativa (D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (art. 63-quater); L. 21 settembre 2018, n.
108), rilievo che nulla toglie all’evidente illegittimità dell’azione amministrativa realizzata fino a tale nuovo testo.
A prescindere da questo profilo, lo strumento stesso dell’autocertificazione risulta strutturalmente inadatto a sostituirsi alla documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L.
73/2017), da fornire nel termine del 10 luglio di ogni anno. La soluzione
adottata in via transitoria già dal D.L. 73/2017 (art. 51) e quindi prorogata (art. art. 63-quater D.L. 91/2018) non sembra affatto compatibile con
il carattere essenziale del bene protetto: se la vaccinazione è stata già
effettuata, i genitori esercenti la potestà saranno senz’altro in possesso
della relativa documentazione e, quindi, possono certamente produrla
anziché procedere ad un’autocertificazione.
L’obiettivo della norma è infatti quello di verificare l’effettivo adempimento dell’obbligo, per evidenti finalità di controllo sottese alla tutela della salute (art. 32 Cost.), e questa finalità non è affatto assicurata,
stante la possibilità che, pur in presenza di conseguenze penali, venga
resa una falsa autocertificazione. Per ricorrere ad un esempio, così come
di certo non sarebbe immaginabile sostituire il controllo aeroportuale
422
The best interest of the child
sul possesso di armi mediante metal detector con un’autocertificazione,
allo stesso modo, data la pericolosità anche per la salute altrui della diffusione di malattie soggette ad una previsione imposta da un obbligo
di legge, non può affatto ritenersi sufficiente l’autocertificazione per il
perseguimento di tali finalità.
Del resto, il principio generale secondo cui “i certificati medici, sanitari […]” “non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse
disposizioni della normativa di settore” (art. 49 D.p.r. 28 dicembre 2000,
n. 445) è un’importante indicazione nel senso dell’eccezionalità della soluzione adottata in via transitoria e della sua incoerenza rispetto
all’essenzialità dell’obiettivo della norma.
Sotto un altro profilo, a fronte della necessità di una rapida implementazione dell’anagrafe vaccinale (art. 4-bis D.L. 73/2017; L. 119/2017),
che consente una verifica in tempo reale da parte delle scuole sulla
banca dati a ciò preposta, la stessa consegna della documentazione
“comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L. 73/2017) potrebbe risultare inutile, trattandosi di un dato che la pubblica amministrazione può e deve accertare direttamente.
I tentativi di alcune leggi regionali di intervenire sulla materia (v.
ad es. L.R. Toscana 14 settembre 2018, n. 51) presentano un limite intrinseco di grande rilievo, non potendo questa fonte normativa incidere su alcun profilo oggetto della riserva di legge rinforzata di cui all’art.
13 Cost.
7. La posizione dei terzi: l’inadempimento
degli obblighi e le possibili conseguenze a carico
dei genitori per il contagio dei terzi in conseguenza
della malattia dei figli
Ulteriore profilo di interesse attiene alla posizione dei terzi che
possano ricevere un pregiudizio dall’inadempimento degli obblighi
vaccinali.
Infatti, nove delle dieci malattie soggette a prevenzione obbligatoria mediante gli obblighi vaccinali – tutte tranne il tetano – sono suscettibili di essere trasmesse da persona a persona in ragione delle occasioni di interazione nelle scuole e nelle comunità infantili, o con il
contatto con fluidi corporei o attraverso il sangue, secondo eventi che
possono verificarsi in molti modi nell’ambito, ad esempio, del gioco o
dell’attività sportiva.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
423
Al riguardo, l’inadempimento degli obblighi vaccinali da parte dei
genitori di un minore può comportare le medesime conseguenze, anche di ordine penale, per l’obbligo giuridico di impedire l’evento (art.
402 c.p.) del contagio dei terzi, che non si verificherebbe se, a seguito
dell’acquisita immunizzazione, il minore non possa sviluppare la malattia e trasmetterla ai terzi.
In particolare, questo fenomeno può comportare gravi conseguenze nelle ipotesi di soggetti immunodepressi o che, per altre ragioni,
non possono sottoporsi alle vaccinazioni obbligatorie; in altri minori,
che pur in mancanza di tali controindicazioni, non siano stati vaccinati per un analogo inadempimento dei loro genitori; o anche negli
stessi minori vaccinati, nelle ipotesi, statisticamente rilevabili seppur
residuali, di mancata efficacia vaccinale.
In presenza di questa articolata casistica, ai fini di una valutazione
sul piano del nesso di causalità (artt. 40 s. c.p.), va rilevato che l’inadempimento all’obbligo vaccinale, pur in presenza di un concorso di cause –
per gli altri minori, la controindicazione, l’analogo inadempimento posto
in essere dai loro genitori o la mancata efficacia del vaccino loro somministrato – rileva comunque sul piano causale, in quanto tali tre ipotesi
non risultano da sole sufficienti alla determinazione dell’evento (art. 412
c.p.). Su base statistica, infatti, la mancata vaccinazione ha aumentato in
modo evidente la possibilità di sviluppo della malattia nel minore, creando quindi un’occasione di contagio che sarebbe stata evitata qualora
l’obbligo fosse stato rispettato. In presenza di tali elementi, le conseguenze non sembrano differenti dall’ipotesi in cui le lesioni o la morte, in conseguenza del mancato rispetto dell’obbligo vaccinale, colpiscano il figlio
dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale (artt. 590, 589, 402 c.p.)
8. La conformità della legge alle previsioni in tema
di libertà personale (art. 13 Cost.)
La Corte Costituzionale47, nel pronunciarsi sulla legittimità della
normativa in commento, ha confermato integralmente la stessa, dichiarando inammissibili o infondate varie questioni sollevate dalla
Regione Veneto, accertando la cessazione della materia del contendere
per alcuni profili relativi alla precedente versione del D.L. 73/2017, modificate dalla L. 119/2017.
47
C. Cost. 18 gennaio 2018, n. 5.
424
The best interest of the child
In termini generali, la sussistenza della competenza legislativa dello
Stato (art. 1173 Cost.), in riferimento ai “principi fondamentali in materia
di “tutela della salute”” è stata ravvisata in base al fatto che “La profilassi
per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale. Secondo
i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da
perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine
di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di
salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo”.
La legittimità costituzionale (art. 32 Cost.) delle vaccinazioni obbligatorie, con specifico riferimento al rapporto tra genitore esercente
la responsabilità genitoriale e figlio minore, è stata positivamente accertata in base al principio per cui “i valori costituzionali coinvolti nella
problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà
di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la
tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche
l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere
dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt.
30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore”.
Quanto alla valutazione complessiva in termini di ragionevolezza, si è affermato che, in relazione ad “una inversione di tendenza – dalla
raccomandazione all’obbligo di vaccinazione”, “la scelta del legislatore statale non può essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione
individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti”;
conseguentemente, è stato ritenuto che l’assetto legislativo, in base al
quale “il vincolo giuridico si è fatto più stringente”, è costituzionalmente
legittimo, in ragione della non rilevante differenza, sotto il profilo
medico, della distinzione tra vaccinazione obbligatoria e raccomandata, e della presenza di istituti – quali la convocazione dei genitori
– idonei “alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole”, solo in mancanza delle quali potranno operare le sanzioni
previste.
Di conseguenza, viene ritenuta legittima la scelta del legislatore,
che “ha ritenuto di dover rafforzare la cogenza degli strumenti della profilassi vaccinale, configurando un intervento non irragionevole allo stato attuale
delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche”.
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
425
La pronuncia risulta ampiamente condivisibile nell’affermare la legittimità costituzionale della normativa in commento, sulla base del
preminente rilievo della tutela della salute della collettività (art. 32
Cost.). Non sono ravvisabili specifici rilievi circa la disciplina in tema
di libertà personale (art. 13 Cost.), in quanto essi non erano presenti nel
ricorso della Regione Veneto.
Non sembra invece corretto il richiamo alla “libera autodeterminazione individuale”, in ragione della diversità tra la persona dei genitori e
quella del figlio, in relazione all’assolvimento degli obblighi vaccinali.
Infatti, come precedentemente evidenziato, la scelta dei genitori di non
adempiere a tale obbligo non può affatto rilevare ai fini della propria
autodeterminazione soggettiva – uno dei valori tipicamente tutelati,
sul piano privatistico, dalla disciplina sulla libertà personale (art. 13
Cost.)48 – in quanto la responsabilità genitoriale non viene esercitata
nel proprio interesse ed in base alle proprie convinzioni soggettive, ma
nell’esclusivo interesse del figlio. Non rileva, dunque, l’autodeterminazione, perché nell’esercizio della responsabilità non si determinano
le proprie scelte di vita, ma si agisce sulla sfera giuridica di un altro
soggetto, a sua volta portatore di un’autodeterminazione soggettiva.
Da questa distinzione derivano significative conseguenze anche sul
piano processuale. Nell’ambito di una possibile controversia sull’esercizio della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.), sarebbe
evidente la necessità di nomina di un curatore speciale, atteso l’evidente conflitto di interessi tra il genitore ed il figlio minore49. Sul piano
sostanziale, non sono ravvisabili i presupposti per l’obiezione di coscienza del genitore, ancora in ragione dell’incidenza del suo comportamento sulla sfera giuridica di un altro soggetto, portatore di autonomi interessi e soggettività.
9. Rilievi conclusivi
In via conclusiva, può pervenirsi ai seguenti rilievi, in ordine all’efficacia del complesso normativo nell’originaria configurazione del
D.L. 73/2017, delle modifiche apportate dalla L. 119/2017 in sede di
48
A. Cianci, Diritto privato e libertà costituzionali, I, Libertà personale, cit., p. 70 ss.
49
C. Cost. 30 gennaio 2002, n. 1, in Foro it., 2002, I, c. 3302, con note di A. Proto Pisani
e G. Sergio, ivi, 2003, I, c. 423; in Giur. it., 2002, p. 1812; in Giust. civ., 2002, I, p. 551,
con note di A. Cianci e G. Tota, p. 1467 ss.
426
The best interest of the child
conversione, e del successivo intervento, pur relativo ad un aspetto
minore, del D.L. 91/2018 (L. 108/2018).
Gli obiettivi della normativa, in ragione dei principali problemi
ad essa sottesi, consistevano nella creazione di un sistema idoneo ad
assicurare l’osservanza della previsione in tema di vaccinazioni obbligatorie; la possibilità di valutare in modo agevole eventuali controindicazioni; il rispetto delle garanzie dovute alla libertà personale (art.
13 Cost.).
Il primo profilo è stato realizzato secondo un modello – già previsto nell’originaria configurazione del D.L. 73/2017 – con il meccanismo
di condizionalità correlato alla frequenza della sola scuola dell’infanzia. La legge di conversione (L. 119/2017) ha quindi fortemente limitato l’importo delle sanzioni amministrative (art. 14 D.L. 73/2017; L.
119/2017) ed esclusa la previsione espressa di un obbligo di segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni competente per territorio (art. 15 D.L. 73/2017, nel testo originario,
prima delle modifiche apportate con la L. 119/2017).
L’azione congiunta di questi due elementi di depotenziamento non
rende ottimale gli assetti del sistema per l’effettiva osservanza degli
obblighi vaccinali, in ragione della possibilità di frequenza scolastica
– salvo che nel ciclo dell’infanzia – e di limitare a sanzioni amministrative le conseguenze dell’inadempimento.
La tesi favorevole ad assicurare un’osservanza spontanea dell’obbligo, mediante istituti quali la convocazione presso la ASL (art. 14 D.L.
73/2017) non sembra in linea con l’essenzialità del bene protetto, non
suscettibile di essere rimesso ad una soluzione dialogica tra istituzioni e famiglia: del resto, è sufficiente pensare alle conseguenze penali
dell’inadempimento in caso di morte o lesione del minore (artt. 590,
589 c.p.), ed alle caratteristiche della disciplina penalistica in tema di
causalità per la mancata previsione dell’evento (art. 402 c.p.) per affermare la necessità di sanzioni più rigide anche al solo fine di prevenire
tali eventi e le relative conseguenze.
Sembra invece che il principio di condizionalità avrebbe dovuto
costituire l’elemento essenziale del sistema, in ragione della sua diretta finalità di prevenzione del contagio per larga parte delle malattie
oggetto di prevenzione obbligatoria, anche nei confronti di altri minori che non possono, per controindicazioni specifiche, sottoporsi alle
vaccinazioni obbligatorie. Tali funzioni rendono poco comprensibile
la scelta del legislatore di limitare la condizionalità alla sola scuola
Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie
427
dell’infanzia, dal momento che identiche finalità di profilassi sono ravvisabili anche nelle ulteriori fasi dell’istruzione.
Sul secondo punto, non sembra che la normativa abbia fornito uno
strumento utile per l’accertamento di eventuali controindicazioni, in
una forma idonea ad assicurare una verifica celere da parte dell’autorità amministrativa. Infatti, oltre alla generica convocazione presso la
ASL (art. 14 D.L. 73/2017), non è stato previsto – in via dettagliata, in
coerenza con le norme costituzionali di riferimento (artt. 13, 32 Cost.)
– un meccanismo teso all’accertamento in sede medica delle ipotesi di
controindicazione o esclusione. Peraltro, risulterebbe opportuno assicurare, in sede di anagrafe vaccinale, la pubblicità di eventuali pregresse malattie immunizzanti, sullo stesso piano dei dati relativi alle
eseguite vaccinazioni.
Il terzo profilo è stato realizzato, in ragione della specificità della
normativa adottata, idonea alla dettagliata previsione di “casi e modi”
di intervento sul corpo della persona oggetto dell’obbligo vaccinale. La
particolarità del coinvolgimento di terzi – i genitori – e del loro dovere
di cooperazione nell’esercizio di un potere affidato dalla legge nell’esclusivo interesse del minore rafforza l’impossibilità che essi possano
opporsi per convinzioni personali, morali o religiose all’atto medico
previsto dalla legge in termini di obbligatorietà, in quanto destinato ad
incidere sulla posizione di un altro soggetto. Non vi può essere scelta
di autodeterminazione soggettiva o atto di esercizio di libertà morale
(art. 13 Cost.) nello schema del potere da esercitare nell’interesse altrui,
in adempimento di un obbligo legale che realizza l’interesse del minore mediante l’opzione legislativa dell’obbligo vaccinale.
Sul punto, occorre ribadire che l’interesse del minore non può rappresentare, in una materia coperta da riserva di legge (art. 13 Cost.),
un canone che consenta soluzioni interpretative difformi dal dato legislativo, come se fosse, ricorrendo alla metafora del giurista inglese, un
“loose cannon destroying all else around it”50. Esso è una tecnica di decisione, che non può di certo sostituire la predeterminazione legislativa di
“casi e modi” dell’obbligatorietà delle vaccinazioni, previste proprio a
tutela di tale interesse dalle soluzioni individuate dal legislatore.
Sull’eliminazione della norma relativa all’obbligo di segnalazione
alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni (art.
15, nel testo in vigore all’emanazione del D.L. 73/2017), disposta dalla
50
Lord Nicholls, in Re L (minors) (Police investigation: Privilege) [1997] AC 16, 33 B.
428
The best interest of the child
legge di conversione (L. 119/2017), è stato già osservato in precedenza
(par. 5) che tale espressa previsione non esclude la sussistenza dell’obbligo in base ai principi generali del diritto penale sull’obbligo giuridico di impedire l’evento pregiudizievole per la salute del minore (art.
402 c.p.), in ragione delle finalità specifiche dell’intervento dell’autorità
amministrativa.
Il D.L. 91/2018 (L. 108/2018) è invece intervenuto sulla proroga dei
termini del regime transitorio, nel senso di rendere possibile l’autocertificazione fino al prossimo anno scolastico e differendo il termine per
la consegna della documentazione comprovante l’avvenuta vaccinazione al 10 marzo 2019.
Questa soluzione deve del pari ritenersi inopportuna, attesa la dubbia compatibilità dell’autocertificazione con le finalità di profilassi, già
segnalata in precedenza (v. par. 6) anche in ragione del principio generale che la esclude, salvo specifiche disposizioni di legge, in materia
sanitaria (art. 49 D.p.r. 445/2000). Del resto, il regime transitorio, basato
sull’autocertificazione, è destinato a perdere utilità pratica con l’implementazione dell’anagrafe vaccinale, che consente un controllo rapido
ed efficiente da parte dell’autorità amministrativa.
Bibliografia
Bucciante A., Potestà dei genitori, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 791 ss.
Cianci A., Diritto privato e libertà costituzionali, I, Libertà personale, Napoli, 2016
Cossu C., Potestà dei genitori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 125 ss.
Lord Nicholls, in Re L (minors) (Police investigation: Privilege) [1997] AC 16, 33 B.
Panunzio S., Vaccinazioni, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 1.
Pelosi A.C., La patria potestà, Milano, 1965, 301 ss.
Roppo E., Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, p. 43 s.
La nuova legge italiana sul testamento
biologico e il ruolo del minore
Attilio Gorassini
Sommario: 1. Delimitazione dello spazio di discussione: la pseudo
autodeterminazione del minore. – 2. I territori di rilevanza giuridica in
cui si alloca il c.d. consenso informato nella pratica medica. – 3. Minore
e consenso medico: deviazione di sistema. – 4. Esperimento mentale di
pro-vocazione.
1. Delimitazione dello spazio di discussione: la pseudo
autodeterminazione del minore
Prima di iniziare a discutere vorrei fare alcune precisazioni per essere
certo di parlare della stessa cosa, non solo usare gli stessi termini, e
posizionarmi così in questa discussione nel giusto spazio del problema
da discutere.
Il tema generale del convegno è “The Best Interest of the Child”.
Il significato dell’espressione è peculiare nell’ordinamento inglese;
per noi si declina con un sintagma diverso, “interesse del minore”,
sintagma utilizzato nelle diverse realtà fenomeniche evidenziate peraltro nei vari workshops del Convegno e che hanno lo scopo, se ho ben
intuito il disegno complessivo, di sciogliere la formula (riempendola
di contenuto semantico) nella tavola rotonda finale.
Questo intervento si colloca nel terzo workshop, dedicato all’interesse del minore negli atti negoziali; si tratta dell’interesse personale
e patrimoniale; più precisamente io debbo parlare della dimensione
dell’interesse personale, anzi di un particolare interesse personale
del minore messo in evidenza nei fatti di vita collegati con malattia
e possibilità di morte, di cui peraltro si è già occupato in altra prospettiva altro relatore evidenziando come molto spesso questi fatti
430
The best interest of the child
e tipologie di fatti vengano percepiti in modo diverso dai minori
adolescenti1.
Malattia e morte che, passando per la fenomenologia del testamento
biologico, approdano alla evidenziazione di quale possa essere il miglior interesse del bambino/ragazzo minore in condizione terminale.
Il mio intervento, si colloca nello spazio della disciplina di cui alla
legge 22 dicembre 2017 n. 219.
Della struttura della disciplina, con la peculiare scansione procedurale della possibile dimensione negoziale per accordi intercorsi, si
occuperà come giusto e consono il notaio in un’altra relazione.
Io mi limiterò a mettere in evidenza il ruolo assegnato al soggetto
minore in questa realtà per come manifestato dalla legge.
Centrato l’argomento, osservo che due sono le tematiche di cui si
occupa la legge osservata in questa direzione: le “disposizioni anticipate di trattamento” e il “consenso informato”.
Rispetto al minore l’art. 3 della legge 219 si occupa del consenso
informato; l’art. 4, invece, esclude per il minore la possibilità delle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT).
Non mi occuperò di questo ultimo profilo (giustezza o legittimità
dell’esclusione): se ne occuperà credo sempre il giurista notaio, dopo
di me.
Stringendo ancora il campo di osservazione, rilevo solo che a proposito del consenso informato del minore, non viene mai in gioco formalmente (come formula di legge) né l’interesse del minore, né tantomeno the Best Interest. Le formule linguistiche sono diverse: si ritrovano
espressioni complesse, come quella al comma 2° ove si legge un “tenendo conto della volontà della persona minore in relazione alla sua età e al
suo grado di maturità” da declinare per mezzo della formula magica di scopo
della “tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto
della sua dignità”.
L’evocazione dell’interesse del minore la si fa, cioè, collegandosi con
la declamazione del diritto del minore contenuto nel comma 1° dell’art.
3 in cui si evidenzia: a) il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione; b) il diritto a ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue
1
Ma ormai anche persone maggiorenni vivono la morte come un evento oggetto di
spettacolarizzazione da posizionare in internet: basta vedere l’articolo di D. Sisto, La
morte si fa social in un recente numero della rivista Mind (n. 165 del 29 agosto 2018)
per capire di cosa si stia parlando.
La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore
431
capacità per essere messo nelle condizioni di esprimere la sua volontà
(comma 1° cpv.).
Entrambi i diritti sembrano però definiti nel contenuto e nelle modalità di esatta esecuzione, non dal minore come soggetto titolare di
diritto ma, per il profilo a), tendenzialmente considerando soggetto legittimato chi ha la responsabilità genitoriale o la tutela, e per il profilo
b) dando mandato al medico.
Ho detto tendenzialmente per il profilo a) perché in questo profilo il
medico può interferire rispetto al genitore responsabile o al tutore, perché in definitiva è il medico che definisce e può definire le vere capacità
del minore di comprendere e decidere, e dunque dare accesso o meno
alla figura del genitore o tutore.
E se c’è un contrasto tra tutore o esercente la responsabilità e medico
– come nel caso espressamente previsto nel comma 5° dell’art. 3, per il
rifiuto alle cure ritenute appropriate e necessarie – spetta al GT decidere
sia il contenuto sia l’esecuzione, sostituendo così ogni altro soggetto.
In questa sequenza di descrizione di fatti previsti nel documento
normativo si possono evidenziare tutti i paradossi celati dalla semantica delle parole viste nella semiotica complessiva dell’interpretazione
possibile del testo di legge.
2. I territori di rilevanza giuridica in cui si alloca il c.d.
consenso informato nella pratica medica
Il problema evidenziato (eccedendo un po’ in paradosso) riguarda
l’intera legge, come ho cercato di renderlo palese in altro scritto2 e ciò
mi esime da un esame approfondito della fenomenologia complessiva
(rinviando, per chi interessato, ad esso anche per la bibliografia essenziale), e limitandomi in questa sede a riportare i risultati di sintesi
rilevanti per la discussione nella particolare prospettiva assunta.
Sotto il profilo della rilevanza giuridica, il consenso informato dei
trattamenti sanitari, ormai da tempo si posiziona nello spazio sovrapposto di territori autonomi (di rilevanza giuridica) che hanno esteso i
loro confini partendo da lontano, sovrapponendosi e pretendendo sovranità assoluta sul nuovo territorio occupato, peraltro appartenente
ad altri fenomeni ancora.
2
A. Gorassini,Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento nella dimensione
della vulnerabilità esistenziale, in Annali Sisdic, 2/2018, p. 23 ss.
432
The best interest of the child
Esiste un livello a) generale di rilevanza della problematica: quello
della prestazione sanitaria nel mondo giuridico post-moderno, collegato con il fenomeno della responsabilità medica.
Esiste un livello b) di specifica rilevanza: la tutela del diritto fondamentale alla salute della persona, dove proprio questa presenza, la
persona, lo trasforma in rilevanza di consenso alla prestazione e soprattutto in con-senso informato, cioè modo in cui la persona interessata ne percepisca il senso; la persona, cioè, deve essere informata con
senso per poter scegliere liberamente in autonomos.
Esiste poi il livello c) di rilevanza, ulteriore ma in realtà di genesi,
quello della vita e della morte, quello dei cosiddetti fatti giuridici necessari, ove la rilevanza giuridica è assioma o non può esistere.
Tutti e ciascuno di questi tre livelli di rilevanza giuridica hanno il proprio Grundwert di riferimento che dovrebbe condizionare la direzione
dell’attuazione spontanea o coattiva degli effetti giuridici, anche in adattamento alla peculiarità dei fatti: nel primo, livello a), è la relazione assiologica fondante il binomio libertà/responsabilità; nel secondo, livello b),
è il valore assoluto della Persona con i suoi necessari spazi di autonomia
identitaria; nel terzo, livello c), c’è la dignità della Persona umana, il mistero del suo valore come valore vivente e da cui derivano tutti valori
vissuti dall’uomo (anche oltre la vita propria dei singoli), sul piano oggettivo dell’etica sociale non egoitaria, con valore assiomatico alla Gődel,
dell’impossibilità per il diritto di una sua giustificazione fuori dai fatti.
Nella legge il piano del livello b) – che a noi interessa – si evidenzia
in declamazione nel 1° comma dell’art. 1 ma anche e soprattutto nel
contenuto dell’art. 3 sul consenso della persona minore di età o incapace (già richiamato), attraverso il suo cercare di creare le condizioni
necessarie per esercitare in modo consono alle capacità possedute il
diritto assoluto alla salute, quanto più possibile in autonomos anche da
parte del soggetto incapace, “nel rispetto della sua dignità” (si legge
alla fine del comma 2°), ma chiaramente si intende della sua egoità,
altrimenti si sarebbe detto della dignità umana (non della sua dignità)3.
Nella realtà complessiva di realtà giuridica considerata, occorre
evidenziare però, che non in tutti e tre i piani profilati si coglie nella
fisiologia dei fenomeni debolezza e vulnerabilità esistenziale della Persona, tale da richiedere specifici strumenti di tutela.
3
Ma ormai molto spesso si confonde la dignità umana con la egoità assoluta e
solipsista.
La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore
433
Paradossalmente, sia pure con diverso contenuto, l’esigenza di specifica tutela si trova nel primo e nel terzo livello di rilevanza giuridica;
non si trova quasi per niente nel secondo, ove è il soggetto a decidere
come essere persona nell’esercizio del suo diritto assoluto alla salute,
con pochi limiti – tutti tipizzati in legge (come ribadisce la seconda parte dell’art. 1 comma 1° della L. 219/2017: “nessun trattamento sanitario
può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della
persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”) – e
dove la principale tutela dell’ordinamento è quella di garantire “cure
gratuite agli indigenti” (come dice l’articolo 32 della Costituzione). In
questa dimensione la tutela ordinamentale coerente dovrebbe essere la
garanzia della libertà, con una particolarmente attenta giustificazione
dei limiti, null’altro.
Ma esistono fattispecie tipologiche particolari, tra cui quelle che
coinvolgono minori. Per il minore, ed è questa la peculiarità, la debolezza e l’esigenza di tutela si manifestano pure su questo piano.
3. Minore e consenso medico: deviazione di sistema
Quanto osservato sembra evidenziare il fulcro del vero problema
giuridico rispetto alla salute come diritto della persona, nella dialettica
mai sopita tra titolarità ed esercizio del diritto assoluto: non vi è vera
titolarità senza reale esercizio; persa in fatto la capacità di autodeterminazione, il diritto assoluto personale implode per carenza di potenza
di autonomos definente il concetto stesso di salute non meramente biologica del soggetto/persona, secondo le definizioni correnti dell’OMS.
L’unico modo per uscire dall’impasse è stato allora prevedere giuridicamente una pianificazione ex ante, allora per ora, in cui si consuma
la autodeterminazione come diritto assoluto del titolare attraverso un
suo esercizio per mezzo di un atto destinato ad operare condizionato (sottoposto ad una condizione sospensiva di efficacia) nel caso di
futura incapacità di esercizio e che tocca il suo minimo (di possibile
soluzione sistemica) nella possibilità di scelta (come diritto) di un fiduciario, come (comunque) manifestazione di esercizio alternativo collegato con la titolarità del diritto, che non fa implodere il diritto assoluto
(come non lo fa implodere il mancato cosciente esercizio dello stesso
come scelta).
Attraverso le DAT la assunta dignità si coniuga con la egoità della
vergogna dell’essere malato e la debolezza dell’essere di-sperato (senza
434
The best interest of the child
speranza) si consuma nella paura della sofferenza. Ma al minore, per
assioma, questa scelta è negata perché potrebbe diventare speculare
alla vergogna di nascere e vivere malato, divenendo fonte dell’apoptosi
dell’umano imperfetto e del sorgere di un nuovo valore da considerare
come “bene comune” (nascere sani e perfetti) da garantire, con la soppressione e la selezione degli embrioni considerati imperfetti, per cui in
principio il confine con l’eutanasia sparisce!!
E questa situazione rende superato o poco proponibile la ricerca di
un bilanciamento tra dignità ed egoità, in cui anzi si manifesta tutto
il limite intrinseco della tecnica assiologica 4, ove non c’è scelta reale
della persona ma solo scommessa sulla migliore soluzione nella morte rispetto alla vita (ma le scommesse, tendenzialmente, non sono né
possono essere garantite dal diritto negli ordinamenti giuridici postmoderni come diritti assoluti, rischiandosi altrimenti l’intero sistema
ordinamentale che sarebbe esso stesso scommessa).
Ma proprio il tentativo di bilanciamento del non bilanciabile apre
la strada al manifestarsi di una costante assiologica nascosta propria
del mondo giuridico post-moderno, destinata ad emergere ai confini
dell’assiologia etica con fattezze nuove, quelle del denaro e della valutazione economica dei fatti: il costo delle cure (da garantire agli indigenti secondo la Costituzione, si ricordi) e la confinazione necessaria
di ciò che la egoità non può chiedere e che non le può essere ufficialmente concesso, anche se il soggetto avesse la disponibilità economica
(ribadita con pudore di parole nel comma 6° secondo inciso dell’art. 1
della L. 219). Non si può permettere che una vita “troppo costosa” per
necessità di cure sia considerata degna di essere vissuta senza alcuna
possibilità di bilanciamento…. Emblematici i casi di Charlie Gard e di
Isaiah, i due bimbi disabili inglesi per i quali la spina è stata staccata
per ordine del giudice.
E così, sia pure in entanglement di paradigma di struttura normativa, siamo pervenuti alla evidenziazione del cortocircuito assiologico
della fattispecie descritta e al paradosso inevitabile contenuto nel range
del possibile adattamento dell’effetto al fatto5.
4
Evidenziato bene in sintesi da M.V. Ballestrero - R. Guastini, Dialogando su principi
e regole, in Materiali per una cultura giuridica, 2017, p. 127 ss.
5
Secondo la metodica della teoria generale di Pugliatti e di Falzea, tipica della scuola
giuridica messinese: sull’adattamento come principio di convenienza dell’effetto
al fatto v. soprattutto A. Falzea, Efficacia giuridica, in A. Falzea, Ricerche di teoria
generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Milano, 1997.
La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore
435
Qui il discorso diventa complicato, specialistico e condizionato dai
miei studi e dalle mie convinzioni sulla natura del fenomeno giuridico,
per cui mi astengo dal continuare, proponendovi solo un esperimento
mentale che prescinde dall’analisi della tecnica utilizzata per la ricerca
scientifica nel diritto ma che potrebbe essere esplicativo e esemplificativo del problema reale nascosto.
4. Esperimento mentale di pro-vocazione
Nel prefigurare questo esperimento, considerando la massima
ampiezza dei fenomeni in cui è coinvolto il concetto di salute della
persona che può assumersi come minore incapace, abbiamo diverse
posizioni rilevanti da tenere presenti come protagoniste della scena
giuridica dei fatti:
A) il non nato, per il quale decide la madre e dopo un certo tempo,
forse, anche il medico
B) il nato, ma privo ancora di capacità di comprensione, per il quale
decidono i genitori ma tendenzialmente anche il medico (come evidenziato in fatto proprio con il caso Alfie)
C) il minore piccolo ma con una qualche capacità di comprensione
D) il minore grande ormai vicino alla capacità per legge d’età
In C e D giocano delle variabili sulle scelte legate alla persona perché si può applicare l’art. 316 c.c. e sceglie comunque uno dei genitori
se c’è la famiglia; ovvero l’art. 337 ter e sceglie il giudice ordinario; ma
se si arriva al consenso medico e c’è contrasto tra genitori e il medico,
sceglie sempre il giudice tutelare per cui qui il giudice tutelare diventa
quasi un nume tutelare.
Il limite di variabile è rappresentato dal grande minore maturo, di
cui bisogna tener conto della volontà in ragione della sua capacità, e
rispetto al quale nume tutelare diventa in fatto uno dei medici, uno di
quelli che definisce ed è legittimato a definire la esistenza e portata
della maturità e capacità del soggetto minore; ma la variabile perde di
rilevanza se il grande minore non è comunque in grado di esprimersi
perché la malattia glielo impedisce e anche se in precedenza ha manifestato la sua volontà, perché per legge le DAT non valgono. E vale
quanto previsto per il minore non grande.
Se guardiamo il fenomeno nella sua interezza e recuperiamo in
sintesi i piani A e B, la costante di presenza soggettiva (nella fenome-
436
The best interest of the child
nologia giuridica) che possiamo rintracciare è quella del medico, che
assume una posizione centrale per ruolo sociale, badate forse anche
rispetto al non nato: se infatti il medico ritiene che per le sue condizioni il feto non debba proseguire la sua crescita, la gravidanza deve
essere interrotta perché è il miglior interesse del nascituro (Charlie
Gard docet); ovvero anche il contrario, che l’interruzione della gravidanza pur richiesta dalla madre sia contraria alla salute della donna
(e/o del nascituro?) e dunque non può essere effettuata per buone
pratiche clinico-assistenziali come sembra ora permettere il comma
6° dell’art. 1 della legge. È sempre la sua opinione di medico che alla
fine prevale.
Ma pur lasciando fuori il piano A (che coinvolge tutta la problematica del valore del non nato e orienta verso altri orizzonti assiologici la
discussione giuridica), nella rimanente fenomenologia pur continuandosi a parlare di consenso informato e di dichiarazioni anticipate del
paziente, in realtà tutto sembra gravitare comunque intorno alle decisioni del medico o dei medici coinvolti, soprattutto quando da loro
stessi dipende la determinazione finale sulla capacità di discernimento
del paziente minore.
E ciò è per necessità dei fatti di vita: la patologia rappresenta il fatto
primordiale di tutti i fatti giuridicamente rilevanti “per conseguenza”; e
la patologia è definita dalla medicina e dal medico e rappresenta onticamente il centro gravitazionale di tutta la fenomenologia rilevante.
Il resto delle presenze soggettive in orbite di rilevanza di fatti di
vita sono come elettroni che gravitano intorno a questo nucleo e le loro
orbite (o livelli energetici di rilevanza determinante) non possono sempre essere in un continuo spostamento fuzzy rispetto ai fatti contingenti
delle fattispecie concrete, ma devono essere orbite predefinite o spariscono in lampi di luce lontani dal nucleo del fenomeno …
Si badi non può essere un generico bilanciamento o una generica proporzionalità perché senza il nucleo non può esserci attuazione
spontanea dell’effetto e sparirebbe dunque anche l’orizzonte della normatività morale dei soggetti.
Ma anche e soprattutto nel continuo fuzzy, i fatti diventano rilevanti
solo se rilevati e fatti rilevare da uno dei protagonisti sulla scena, ma
questo di certo per assioma di legge non è il minore che non può rivolgersi direttamente al giudice o chiamare il telefono azzurro…
Sembra che, come nella realtà quantistica, la rilevanza giuridica dei
fatti esista solo se c’è un osservatore esterno che la rileva: e qualcuno
La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore
437
dei miei colleghi, sia pure in chiave diversa, lo ha già rilevato disquisendo sulla possibile incostituzionalità sollevata dal Tribunale di Pavia
con ord. 24.3.2018 rispetto a questa legge6.
Ma perché ci sia una garanzia reale anche sul piano dell’eguaglianza tra soggetti minori, l’osservatore esterno dovrebbe essere un soggetto pubblico particolarmente competente, un garante dell’infanzia
malata con poteri superiori a quelli di un semplice pm o GT… ma…
sarebbe l’apoptosi del tutto: serve un medico educatore di Stato che
abbia il potere della decisione finale tra volontà del minore e necessità
di sanità pubblica dell’intervento programmato.
E badate nei fatti spesso è proprio così, come è stato evidente nelle
vicende relative alle vaccinazioni dei minori7 e in generale in tutte le
vicende che hanno fatto parlare giustamente di trasformismo della
Corte Cedu8, in quelle fattispecie in cui l’autodeterminazione sparisce
e l’identità diventa dignità sociale per ragioni di Stato (il velo islamico a scuola rispetto all’integrazione sociale come interesse prioritario
docet…).
Ed ecco il plausibile risultato dell’esperimento mentale condotto:
The Best interest of the child o è egoitario o è sociale. Tertium non datur (né
per delega né per assioma di legge).
Ciò che si assume stia in mezzo credo sia solo altamente arbitrario
senza una prefigurazione di quanti normativi che identifichino esattamente orbite predefinite di possibili gravitazioni di interessi assiologicamente giustificabili che impediscano l’implosione in un enorme
buco nero di post-valori incontrollabili.
Bibliografia
Ballestrero M.V. - Guastini R., Dialogando su principi e regole, in Materiali per
una cultura giuridica, 2017, p. 127 ss.
Falzea A., Efficacia giuridica, in A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e
di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Milano, 1997
Gorassini A., Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento nella
dimensione della vulnerabilità esistenziale, in Annali SISdIC, 2/2018, p. 23 ss.
6
M.A. Piccinni, Decidere per il paziente: rappresentanza e cura della persona dopo la L. n.
219/2017, in NGCC, 2018, n. 7/8.
7
Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5
8
L. Lenti, L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo: espansione o trasformismo, in NGCC, 2016, II, p. 148 ss.
438
The best interest of the child
Lenti L., L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo: espansione o trasformismo, in NGCC, 2016, II, p. 148 ss.
Piccinni M.A., Decidere per il paziente: rappresentanza e cura della persona dopo la
L. n. 219/2017, in NGCC, 2018, n. 7/8, p. 1118 ss.
Sisto D., La morte si fa social, in Mind, n. 165, 29 agosto 2018
Persona minore di età e libertà
di autodeterminazione
Claudia Irti
Sommario: 1. Profili “normativi” dell’autodeterminazione della
persona minore di età nei più recenti interventi legislativi. – 1.1.
L’“autodeterminazione informativa” della persona minore di età. –
1.2. L’ “autodeterminazione terapeutica” in relazione alla persona minore di età. – 2. La persona minore di età nel processo evolutivo: dal
discernimento all’autodeterminazione
1. Profili “normativi” dell’autodeterminazione
della persona minore di età nei più recenti interventi
legislativi
Due recenti interventi normativi – destinati a disciplinare settori molto
diversi, che involgono e coinvolgono scelte auto-determinative rilevanti e solitamente ricondotte nell’area delle “situazioni esistenziali”1
– hanno preso in considerazione la persona minore di età stabilendo,
tuttavia, regole non omogenee rispetto alla riconosciuta capacità di autodeterminarsi. Ci riferiamo, da un lato, al nuovo Regolamento europeo sulla privacy (Reg. UE 2016/679) entrato in vigore il 25 maggio del
2018 e, dall’altro, alla l. n. 219 del 2017, c.d. legge sul “fine vita”.
1.1. L’”autodeterminazione informativa” della persona minore
di età
L’art. 8 del Regolamento europeo sulla Privacy (Reg. 2016/679) prevede
che i minori di età che abbiano compiuto anni sedici possano validamente
prestare il loro consenso al trattamento dei dati personali avendo riguardo
all’ipotesi dell’“offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori”,
440
The best interest of the child
mentre per il minore infra sedicenne il consenso sarà valido solo se prestato o autorizzato dai genitori o comunque dal titolare della responsabilità
genitoriale. Si tratta di un limite di età che lo stesso regolamento stabilisce possa scendere fino alla soglia di anni tredici, qualora gli Stati membri
decidano di derogarvi con una specifica disposizione di legge, come è in
effetti avvenuto in Italia con il decreto n. 101, del 10 agosto 2018 di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento europeo in materia
di protezione dei dati personali2, che ha fissato il limite di età a quattordici
anni3. Per il caso in cui il limite non operi, perché il minore è infra sedicenne
(o da noi infra quattordicenne), la norma dispone che il consenso possa
essere prestato solo dall’avente responsabilità genitoriale.
Per meglio comprendere quali siano i risvolti sistematici di tali previsioni normative è opportuno soffermarsi ad analizzare la situazione
giuridica soggettiva sottesa alla tutela della disciplina in materia di diritto alla privacy, ormai da tempo evoluto dalla versione originale del
“right to be let alone”4 – riconoscimento e inviolabilità della sfera personale5 – all’autonoma veste di “diritto di mantenere il controllo sulle
proprie informazioni” e determinare, per questa via, le “modalità di
costruzione della propria sfera privata”6. Come asserito dall’art. 8 della
2
Entrato in vigore il 19 settembre 2018.
3
L’art. 2, comma II, dell’aggiornato Codice della Privacy rubricato “Consenso del minore
in relazione ai servizi della società dell’informazione” è così formulato “1. In attuazione
dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento, il minore che ha compiuto i quattordici anni può
esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di
servizi della società dell’informazione. Con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali
del minore di età inferiore a quattordici anni, fondato sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del
Regolamento, è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale. 2.
In relazione all’offerta diretta ai minori dei servizi di cui al comma 1, il titolare del trattamento
redige con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente
accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da
quest’ultimo, le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi”.
4
S. Warren - L. Brandeis, The right to privacy, 1890, 4 Harvard Law Review, p. 193.
5
Al suo primo apparire il diritto alla privacy è declinato al “negativo”, quale libertà
(negativa) di non subire interferenze nella propria vita privata; nel panorama
giuridico italiano i primi autori che si sono occupati dell’argomento lo hanno
qualificato quale “diritto alla illesa intimità privata”, “diritto ad essere lasciati soli”,
“diritto al rispetto della vita privata”, “diritto alla riservatezza” etc. (cfr. per una
ricostruzione sistematica T. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano,
1978); in giurisprudenza riconosce per la prima volta un tale diritto la Cassazione
nella sentenza del 27 maggio 1975, n. 2129, in Mass. Giur. it., 1975, 594.
6
S. Rodotà, Privacy e costruzione della sfera privata, in Tecnologie e diritti, Bologna, 1995,
p. 101 ss.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
441
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea7, e confermato da
tutta la disciplina di settore8, il diritto alla protezione dei dati personali
può certamente ascriversi al novero dei diritti della personalità, meritevole di ricevere tutela ex art. 2 della Carta Costituzionale9.
L’atto mediante il quale il soggetto autorizza il trattamento dei propri
dati personali, il consenso informato10, è di conseguenza un atto mediante il quale il soggetto manifesta il potere di autodeterminarsi rispetto alla
divulgazione e all’utilizzo da parte di terzi d’informazioni che riguardano la sua sfera più personale e che non a caso il garante alla privacy ha
qualificato quale “diritto all’autodeterminazione informativa”11.
Se questo è il corretto inquadramento sistematico della situazione
giuridica oggetto di tutela, ben si comprende come le recenti previsioni
normative introdotte a livello comunitario12, e recepite a livello statale,
7
Art. 8 CEDU, “Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo
riguardano”.
8
Il primo considerando del nuovo Regolamento UE 2016/679 (GDPR) afferma “La
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un
diritto fondamentale”; l’art. 1 comma 2 dello stesso riconosce tra le finalità del regolamento
quella di proteggere “i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il
diritto alla protezione dei dati personali”. Tra i primi commenti analitici al regolamento
G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati
personali, Bologna, 2017. Attenzione specifica alla tutela dei dati personali del minore la
rivolgono G. Spoto, Disciplina del consenso e tutela del minore, in S. Sica - V. D’Antonio
- G.M. Riccio, La nuova disciplina della privacy, Milano-Padova, 2016, p. 112 ss.; V.
Montaluri, La protezione dei dati personali e il minore, in V. Cuffaro - R. d’Orazio - V.
Ricciuto (cur.), I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2019, p. 275 ss.
9
Il precetto costituzionale “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”; ampio
è stato il dibattito in dottrina circa l’opportunità di distinguere i diritti inviolabili
dell’uomo – che trovano espresso riconoscimento nella Carta costituzionale –
dal (più ampio) catalogo dei diritti fondamentali quali i diritti della personalità,
categoria nella quale si tende a far rientrare diritti e libertà molto eterogenei. Ritiene
necessario mantenere distinte le due categorie P. Rescigno, voce Personalità (diritti
della), in Enc. gir. Treccani, vol. XXVI, p. 1 ss., a p. 3.
10
G. Marini, Il Consenso dell’avente diritto, in Noviss. dig. ital, Appendice, II, Torino, 1981, p.
402 ss.
11
Pronuncia del 28 maggio 1997, in Foro it., 1997, III, c. 317.
12
La direttiva 95/46/CE, meglio nota come Direttiva madre in materia di dati personali,
non conteneva alcun riferimento alla persona minore di età (né ad altri soggetti privi
della capacità di agire). La previsione di specifiche regole dirette a disciplinare le
modalità di espressione del consenso informato da parte di tali soggetti era rinviata
alla regolamentazione statuale, situazione che aveva comportato l’assunzione di
una eterogeneità di soluzioni nei diversi Stati nazionali, destinate nel loro insieme
a non garantire adeguata tutela proprio a quei soggetti più bisogni, in ragione della
continua espansione di una società digitalizzata sempre meno geo-localizzata.
Un primo tentativo di armonizzazione è stato tentato dal Working Party ex art. 29,
composto da un rappresentante per ciascuna Autorità nazionale di protezione dei
442
The best interest of the child
tornino a sollevare l’attenzione degli studiosi13 circa la natura giuridica
da attribuirsi al “consenso informato”, anche e soprattutto al fine di
stabilire la ratio seguita dal legislatore nel fissare i requisiti di capacità
minimi per l’espletamento del relativo atto, e il potere di rappresentanza comunque attribuito ai titolari della responsabilità genitoriale in
assenza della età minima prevista per prestare il consenso.
In passato il silenzio della normativa sul punto aveva condotto
la dottrina a dibattere14 circa l’inquadramento dell’atto di manifestazione del consenso al trattamento dei dati personali tra gli atti c.d.
“personalissimi”15 – attinenti l’esercizio di diritti fondamentali della
persona che come tali devono essere prestati direttamente dalla persona minore di età (non delegabili), in relazione alla propria capacità
di intendere e di volere – ovvero tra gli atti di natura negoziale con finalità dispositiva16, che dunque richiederebbero l’applicazione dell’art.
2, comma I del c.c., a norma del quale “con la maggiore età si acquista
la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilità un’età
diversa” e, rispetto ai quali, è ammesso l’esercizio per rappresentanza.
Il più recente intervento normativo – nello stabilire che il consenso
al trattamento dei dati personali che riguarda l’offerta diretta di servizi
della società dell’informazione alle persone minori di età possa essere
prestato da colui che abbia compiuto sedici anni di età (quattordici in
Italia), e che, ove il minore abbia un’età inferiore, il trattamento dei dati
è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale – farebbe ritenere
dati, che in più interventi successivi ha cercato di individuare delle linee guida
comuni in materia. In argomento, anche per specifici rinvii bibliografici, M. Orofino,
Minori e diritto alla protezione dei dati personali, in M. Orofino - F.G. Pizzetti (cur.),
Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018, p. 1 ss.
13
Sorte all’indomani dell’approvazione del Codice della Privacy.
14
Il dibattito sull’astratta riconducibilità del consenso alla categoria dell’atto o del
negozio giuridico è stato molto ampio; per un’esaustiva ricostruzione, con ampi
riferimenti bibliografici, si veda F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali
del minore, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2018, p. 27 ss.
15
Tra i primi S. Patti, Commento all’art. 23, in C.M. Bianca - F.D. Busnelli (cur.), La
protezione dei dati personali. Commento al D. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice della
Privacy”), Padova, 2007, p. 543 ss., il quale definisce il consenso al trattamento dei dati
personali come un elemento della fattispecie legale cui la legge attribuisce “l’effetto
di far venire meno il carattere dell’antigiuridicità che altrimenti presenterebbe
l’attività relativa ai dati personali”.
16
Anche in questo caso tra i primi V. Zeno-Zencovich, Una lettura comparatistica della
L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, in V. Cuffaro - V. Ricciuto - V. ZenoZencovich (cur.), Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, p. 168 ss.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
443
che il legislatore abbia introdotto una “eccezione” alla regola generale
statuita dall’art. 2, comma I c.c., fissando per il compimento di alcuni
atti un’età diversa dai diciotto anni, una sorta di “maggiore età digitale” per il consenso al trattamento dei dati17.
Tale previsione ha, tuttavia, una portata limitata, rimanendo circoscritta dal punto di vista oggettivo alle sole ipotesi di offerta diretta di servizi
della società dell’informazione, ossia quei soli servizi che specificamente consentono l’accesso alle informazioni (banche dati, newsletter, ecc.) o comunicazioni (servizi di posta elettronica, FB e gli altri social network)18, rispetto ai
quali il legislatore ha ritenuto di venire incontro alle esigenze dei gestori,
tenuto conto dell’utilizzo assai diffuso di tali servizi da parte di persone
minori di età che sono soliti rilasciare il consenso senza che ci sia alcun
intervento autorizzativo di chi esercita la responsabilità genitoriale.
Come è stato correttamente rilevato19, la ratio sembra quella di allargare il più possibile le ipotesi di liceità del trattamento dei dati, piuttosto che quella di tutela dei minori20. Da altro punto di vista, tuttavia,
non si può dimenticare che l’accesso alle piattaforme d’informazione e
17
Lo stesso regolamento si preoccupa di precisare che la norma riguarda soltanto la
legittimità del consenso al trattamento di dati personali, ma non incide sulla validità
del contratto sottostante, il cui regime giuridico rimane disciplinato dalla legislazione
nazionale o da quella del foro competente a decidere eventuali controversie relative
al servizio.
18
Per servizi della società dell’informazione si intendono – secondo l’art. 1, par. 1, lett.
b) della dir. UE 2015/1535, richiamato dall’art. 4, n. 25) del GDPR – i servizi prestati
“normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta
individuale di un destinatario di servizi”. La precisazione che essi devono essere
offerti direttamente ai minori vale, inoltre, a escludere dall’ambito di applicazione
della disposizione tutti i servizi che il fornitore dichiari di offrire solo a utenti
maggiori di diciotto anni, a meno che il contenuto del sito o il “market plain” non
dimostrino che in realtà il target del servizio sia un minorenne.
19
F. Bravo, Il consenso e le altre condizioni di liceità, in G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo
regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017, p.
167 ss.
20
Da non trascurare il problema dell’accertamento, da parte del titolare del trattamento,
dell’esistenza dei requisiti di validità dello stesso, sia per quanto riguarda il caso in cui
sia il minore sedicenne (o quattordicenne) ad aver rilasciato il consenso, sia nel caso
che sia stato rilasciato dall’esercente la responsabilità genitoriale. Rispetto al primo
caso la normativa non offre indicazioni, mentre rispetto al secondo il par. 2 dell’art. 8
pone espressamente in capo al titolare del trattamento l’obbligo di adoperarsi “in ogni
modo ragionevole per verificare in tali casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare
della responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle tecnologie disponibili”
senza tuttavia che sia data alcuna indicazione circa le modalità pratiche per acquisire
il consenso dei genitori o per accertare l’identità di questi ultimi.
444
The best interest of the child
comunicazione rappresenta oggi un diritto per i minori21, che utilizzano
questi strumenti come forme di socializzazione, di rappresentazione
e finanche di realizzazione della loro identità personale; ne consegue
che il condurre i gestori dei servizi on line a escludere le persone minori di età dall’utilizzo di tali strumenti in ragione di una previsione normativa “restrittiva” avrebbe finito per infliggere “un evidente vulnus ai
diritti fondamentali di questi ultimi”22.
La prestazione del consenso al trattamento dei dati personali non
deve, peraltro, essere confusa con la prestazione del consenso ai fini
della conclusione del contratto per la prestazione del servizio. Tale
affermazione è pienamente in linea con la previsione di cui al par. 3
dell’art. 8 del Regolamento UE, a norma del quale le disposizioni contenute al paragrafo 1 non pregiudicano “le disposizioni generali del
diritto dei contratti degli Stati membri, quali le norme sulla validità, la
formazione o l’efficacia di un contratto rispetto a un minore”23.
Pertanto, laddove il consenso al trattamento dei dati personali sia inserito all’interno di un contratto – come ad esempio nel caso in cui, per accedere a un servizio fornito online, sia richiesto il consenso al trattamento dei
21
Il diritto delle persone minori di età di usufruire dei servizi messi a loro disposizione
dagli strumenti telematici è confermata dal considerando 38 del Regolamento che
specifica come “il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non deve essere
necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente ai minori”,
ossia quei servizi di tutela dei minori quali quelli previsti in materia di cyberbullismo
o in genere di sostegno all’infanzia. Sul tema, in generale, G. Boccia Alieri, Privacy
dei minori sui social, con il GDPR: così tuteliamo i loro interessi, in www.agendadigitale.
it, 26 aprile 2018, a parere del quale abbassare l’età di accesso a questi servizi a 13 anni,
come l’art. 8 del GDPR consente di fare agli Stati, è il modo migliore per tutelare il best
interest dei minori, così come la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
richiede: “quello che oggi, infatti, viene richiesto è un atteggiamento più radicale
che ha a che fare con una serie di diritti degli adolescenti da rispettare a sostenere
all’insegna del best interest of the child. Tra i più rilevanti, accanto al diritto a informarsi
ed intrattenersi, diritti che più direttamente – in linea con la Convenzione sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza – hanno a che fare con la cittadinanza di domani:
il diritto a trovare una propria voce nella dimensione digitale, il diritto a costruire
connessioni con gli altri, il diritto a contribuire all’opinione pubblica attraverso la
libertà di espressione, di potere fornire pareri, di commentare”.
22
F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 35.
23
Per E. Lucchini Guastalla, “la precisazione è certamente opportuna alfine di tenere
separati i due piani – che certo si intersecano, ma senza interferenze di carattere
sostanziale – del rapporto tra le parti contrattuali, che si instaura con l’accordo negoziale
e si muove lungo le linee del relativo regolamento, e del rapporto tra interessato e
titolare del trattamento, che si instaura con il consenso del primo e si muove lungo le
linee di una disciplina di fonte prevalentemente legale e di carattere essenzialmente
imperativo”, che si esprime in questi termini in Il nuovo regolamento europeo sul
trattamento dei dati personali: i principi ispiratori, in Contr. Impr., 2018, p. 106 ss., a p. 117.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
445
dati personali per finalità promozionali –, la disciplina sui requisiti del
consenso deve “interagire” con quella, stabilita dalla legge nazionale applicabile, che concerne i presupposti di validità ed efficacia del contratto.
Se, dunque, il minore ha compiuto l’età per prestare il consenso digitale
ma non quella per concludere il relativo contratto, l’invalidità di quest’ultimo comporta, nonostante liceità del trattamento, che esso debba cessare
qualora venga vittoriosamente esperita l’azione di annullamento del contratto stesso”24.
La questione – apparentemente ovvia – è resa assai complessa dalla
circostanza fattuale che vuole una serie di servizi offerti sul web – servizi
di posta elettronica, utilizzo di social network, etc. – basati sullo “scambio”
tra la fruibilità di tali servizi e i dati personali forniti dagli utenti: sebbene
il servizio venga apparentemente offerto come “gratuito”25 (nel senso che
non è prevista la prestazione di un corrispettivo in denaro per il relativo utilizzo) l’utente aderendo al servizio acconsente a che i suoi dati
personali (sia quelli inseriti al momento dell’accesso sia quelli raccolti in
ragione dell’utilizzo che l’utente fa del servizio) siano utilizzati dal gestore per scopi estranei alla fornitura del servizio stesso, scopi tipicamente
commerciali, generalmente ceduti a soggetti terzi a fini pubblicitari.
Il consenso al trattamento dei dati personali diviene, di fatto, “merce
di scambio”26 per la fornitura del servizio27, senza che sia davvero possibile nella prassi distinguere tra l’atto di adesione all’offerta del servizio
24
F. Naddeo, op. loc. cit., p. 36.
25
S. Rodotà, Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzionali, in A.
Galasso - S. Mazzarese (cur.), Il principio di gratuita, Milano 2008, p. 104 ss.; la dottrina
ha ripetutamente sottolineato che il prestatore del servizio ha in realtà un interesse
economico a offrire il servizio “gratuitamente”, se ne è parlato come di “contratti
gratuiti interessati”, cfr. F. Astone, Il rapporto tra gestore e utente: questioni generali,
in Aida, 2011, p. 114 ss.; R. Caterina, Cyberspazio, social network e teoria generale del
contratto, ivi, 2011, p. 96 ss.
26
S. Simitis, Il consenso giuridico e politico della tutela della privacy, in Riv. crit. dir. priv.,
1997, p. 575 ss.; C. Camardi, Mercato delle informazioni e privacy, riflessioni generali
sulla L. n. 665/1996, in Eur. dir. priv., 1998, p. 1061. Attribuisce natura contrattuale
allo scambio tra il gestore del sito del social network e l’utente C. Perlingeri, in
Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 88, nella stessa direzione A. De
Franceschi, La circolazione dei dati personali tra privacy e contratto, Napoli, 2017, p.
85 ss.; tale ultimo autore afferma: “i dati personali rivestono un valore economico
sempre maggiore e il consumatore/utilizzatore è in misura crescente abituato a
‘pagare’ mediante in consenso al trattamento die propri dati personali piuttosto
che per mezzo di denaro”; si veda anche V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati
personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 689 ss.
27
Sebbene il Garante escluda espressamente che il consenso al trattamento possa
essere posto quale condizione per poter accedere a un bene o un servizio.
446
The best interest of the child
(ad es. iscrizione al social network)28 e la prestazione del consenso al trattamento del dato.
Il dibattito che si è animato attorno alla legittimità di tali nuove,
diffuse, forme di scambio sembra aver (positivamente) superato la
questione del se gli attributi immateriali della persona possano formare o meno oggetto di commercializzazione29, ma solo di recente si
è arrivati a teorizzare che il consenso dell’interessato al trattamento
possa essere a tutti gli effetti considerato come “consenso negoziale, manifestazione di volontà in ordine alla circolazione dei dati”, con il che
la prestazione del consenso al trattamento dei dati personali finirebbe
con il coincidere con la prestazione del consenso ai fini della conclusione del contratto per la prestazione del servizio, dovendo diversamente
non potersi comprendere “perché un minore debba prestare il proprio
consenso al trattamento dei dati personali, se non per ottenere in cambio un servizio o un’utilità”. La disposizione di cui al par. 3 dell’art.
8 del Regolamento UE, è conseguentemente “considerata alla stregua
di una disciplina delle specificità del negozio avente ad oggetto i dati
personali stipulato dal minore, ponendo per esso una capacità di agire
speciale comune a tutti gli Stati membri ma diversa da quella operante,
a livello di regola generale, nei vari ordinamenti” 30.
Una ricostruzione del fenomeno in chiave squisitamente negoziale
lascia aperti numerosi problemi, soprattutto di “coordinamento” con
quell’insieme di disposizioni della disciplina di settore31 che continuano
– a nostro modo di vedere correttamente – a considerare il dato personale quale attributo della identità personale del soggetto che ne è titolare32,
28
In argomento, diffusamente, C. Perlingieri, Profili civilistici dei social networks, cit.
passim; S. Thobani, Il consenso al trattamento dei dati come condizione per la fornitura dei
servizi on line, in C. Perlingieri - L. Ruggeri (cur.), Atti del convegno Internet e diritto
civile, (Camerino, 26-27 settembre 2014), Napoli, 2015; Id. Diritti della personalità e
contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali,
Milano, 2018, passim.
29
Per tutti G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, passim.
30
V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali, cit., p. 722 -724.
31
Alcuni dei quali sono accuratamente affrontati da S. Thobani Diritti della personalità
e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, cit.,
passim.
32
In quest’ottica va letto l’intervento con il quale il Garante europeo per la protezione
dei dati personali (Opinion 4/2017 on the Proposal for a Directive on certain aspects
concerning contracts for supply of digital content, 14 marzo 2017) ha contestato la
qualifica dei dati personali come “controprestazione”, qualifica contenuta al § 1
dell’art. 3 della prima Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa
a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale, 9.12.2015, COM(2015)
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
447
come tale bisognoso di essere tutelato con strumenti più pervasivi di
quelli di matrice contrattuale33.
Il problema ci appare non tanto quello di “sdoganare” l’idea che i
dati personali abbiano un valore economico in quanto merce di scambio34 – elemento che potremmo dire acquisito in ragione dell’ampia
diffusione di business model che offrono servizi in cambio del consenso
634, che prevede la sua applicabilità ai “contratti in cui il fornitore fornisce contenuto
digitale al consumatore, o si impegna a farlo, e in cambio del quale il consumatore
corrisponde un prezzo oppure fornisce attivamente una controprestazione non
pecuniaria sotto forma di dati personali o di qualsiasi altro dato”; anche a seguito delle
osservazioni del Garante il 22 gennaio 2019 il testo originario è stato modificato e
il testo definitivo della nuovissima Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 20 maggio 2019, al paragrafo 1 dell’art. 3, rubricato “Ambito
di applicazione”, stabilisce: “La presente direttiva si applica a qualsiasi contratto in
cui l’operatore economico fornisce, o si impegna a fornire contenuto digitale o un servizio
digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si impegna a corrispondere
un prezzo. 2. La presente direttiva si applica altresì quando il professionista fornisce o si
impegna a fornire contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore
fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati
personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista per fornire
il contenuto digitale o il servizio digitale a norma della presente direttiva o per adempiere
l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto l’operatore economico e quest’ultimo
non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti”. Al successivo paragrafo 8 si
legge altresì: “Il diritto dell’Unione in materia di dati personali si applica a qualsiasi dato
personale trattato in relazione ai contratti di cui al paragrafo 1. In particolare, la presente
direttiva fa salvo il regolamento (UE) 2016/679 e la direttiva 2002/58/CE. In caso di conflitto
tra le disposizioni della presente direttiva e del diritto dell’Unione in materia di protezione
dei dati personali, prevale quest’ultimo”. Di tenore analogo i considerando 37, 38, 39, 69.
33
Sui limiti della regolamentazione contrattuale del flusso dei dati personali O.
Ben-Shahar - L. Strahilevitz, Contracting Over Privacy: Introduction, in Journal of
Legal Studies, Vol. 43, No. S2, 2016; si vedano anche le riflessioni di F. Piraino, Il
regolamento generale sulla protezione dei dati personali e i diritti dell’interessato, in Nuov.
leg. civ. comm., 2, 2017, p. 369 ss., spec. p. 409.
34
Si rinvia alle acute e precorritrici osservazioni di C. Camardi, Mercato delle
informazioni e privacy, riflessioni generali sulla L. n. 665/1996, cit., p. 1057. Sebbene
nella citata Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20
maggio 2019, il legislatore europeo – avendo accolto le sollecitazioni del Garante
europeo per la protezione dei dati personali (la citata Opinion 4/2017 on the Proposal
for a Directive on certain aspects concerning contracts for supply of digital content, 14
marzo 2017) – senta la necessità di precisare al considerando 24 che “…la protezione
dei dati personali è un diritto fondamentale e che tali dati non possono dunque essere
considerati merce…”, non si può ragionevolmente negare il “valore economico” oggi
riconosciuto ai dati personali e sotteso all’ampia diffusione di modelli commerciali
che si fondano sullo scambio tra dati personali e servizi digitali, riconoscimento che
tuttavia non può e non deve sminuire il “valore non economico” dei dati personali;
si vedano in proposito le lucide riflessioni di G. Resta circa le situazioni soggettive
astrattamente ricomprese nella categoria dei diritti della personalità – categoria cui
può oggi si ritengono ascritti anche l’insieme dei dati che contribuisco a definire
l’identità personale –qualificati quali “diritti a contenuto misto e natura complessa,
combinandosi al loro interno facoltà di natura personale e patrimoniale (queste
448
The best interest of the child
al trattamento dei dati35 – ma “ricordare” ai loro titolari, soprattutto se
minorenni, che i dati personali sono e restano “patrimonio identitario”
della persona36, di cui si deve evitare l’indiscriminata e incontrollata
circolazione e utilizzazione da parte di terzi37.
Chi sia invitato a rilasciare il consenso, specie se persona minore
di età, dovrebbe avere la consapevolezza di stare compiendo un atto
mediante il quale autorizza38 il gestore a raccogliere i suoi dati (tanto
quelli rilasciati all’atto di iscrizione alla piattaforma, quanto quelli che
egli vada successivamente a fornire mediante l’utilizzazione del servizio, quali condivisione di foto, video etc.), essendo stato di ciò “debitamente informato” e avendovi “liberamente”39 acconsentito.
Nella prospettiva del regolamento il consenso è libero “solo se si
presenta come manifestazione dell’autodeterminazione informativa,
e dunque al riparo da qualsiasi pressione”40; il relativo rilascio non
deve, dunque, delinearsi quale condizione per la fruizione del servizio da parte dell’utente, a meno che “il trattamento dei dati risult(i)
ultime prive di autonoma attitudine traslativa)”, così in Dignità, persone, mercati,
Torino, 2014, p. 73 e ss.
35
G. Resta - V. Zeno-Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi di rete, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss.; ancora V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei
dati personali, cit., p. 707.
36
Per L. Floridi (La quarta rivoluzione, cit. p. 135) “la nostra sfera informazionale e
la nostra identità personale (hanno) il medesimo contenuto, ovvero (sono) due lati
della stessa medaglia”; se consideriamo “ogni persona come costituita dalle proprie
informazioni” ogni violazione della privacy informazionale è “come una forma di
aggressione rivolta alla propria identità personale”.
37
Il “vendere se stessi” attraverso l’oggettivazione delle informazioni in dati personali
può determinare conseguenze negative non solo sul singolo, ma anche sulla
collettività, soprattutto quando questi dati ove processati possano comportare
“profilazioni di massa” anche destinate all’assunzione di comportamenti
discriminatori; cfr. A. Montelero, Il costo della privacy tra valore della persona e ragioni
d’impresa, Milano, 2007, p. 318 ss.; R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella
profilazione dei dati, in Dir. inf., 2013, p. 587 ss.
38
Sulla natura autorizzativa del consenso si veda in particolare F. Bravo, Il consenso e
le altre condizioni di liceità, cit., p. 142 e ss.; più di recente in Lo scambio di dati personali
nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e
contratto, in Contr. impr., 1, 2019, p. 34 ss.
39
Il consenso è definito dall’art. 4. par. 1, n. 11 del GDPR come “qualsiasi manifestazione
di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso
manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile”.
40
Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento del 28 maggio 1997,
Istituti di credito Criteri generali in materia di informativa e richiesta del consenso
dell’interessato, in Corr. giur., 1997, VIII, p. 915-917, con commento di V. ZenoZencovich, Il Consenso informato e la autodeterminazione informativa nella prima
decisione del garante.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
449
strettamente connesso e funzionale all’attività svolta da chi richiede il
consenso” 41 nel qual caso “potrebbe considerarsi legittimo il rifiuto di
concludere il contratto in caso di mancata prestazione del consenso”42.
In tutti gli altri casi, al momento dell’adesione al servizio, l’utente (anche quattordicenne) dovrebbe essere messo in grado di distinguere
chiaramente tra l’atto di adesione all’utilizzazione del servizio (ad es.
iscrizione ad una newsletter) e la prestazione del consenso al trattamento del dato per fini diversi (ad es. invio di messaggi promozionali), senza che il rifiuto del secondo comprometta l’utilizzazione del
primo, anche nelle ipotesi in cui l’utente decida in un secondo momento di revocare il consenso43.
Si dubita, altresì, che il consenso possa dirsi effettivamente libero
se le modalità con le quali viene richiesto integrano gli estremi di una
sollecitazione aggressiva, urgente o ingannevole ovvero se, in ragione
della tecnologia adottata e le procedure richieste, la scelta di prestare il
consenso si manifesti molto più agevole rispetto a quella di negarlo44.
41
Così S. Patti, Il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir.
civ., 1999, p. 461 ss. Avendo fatto tesoro delle indicazioni della più attenta dottrina
il GDPR dedica ora una specifica disposizione a tale tema, l’art. 7, par. 4 ove si
afferma che “nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato si tiene nella massima
considerazione l’eventualità, tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la
prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di
dati personali non necessario all’esecuzione del contratto”.
42
Si veda a tal proposito quanto affermato di recente dai giudici della Cassazione:
“Nulla, impedisce al gestore del sito – beninteso, si ripete, in un caso come quello
in questione, concernente un servizio né infungibile, né irrinunciabile –, di negare il
servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali, mentre ciò che
gli è interdetto è utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare
informazioni pubblicitarie a colui che non abbia effettivamente manifestato la
volontà di riceverli. Insomma, l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali,
ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno e in nessun
modo coartato”, così Cass., sez. I, 2 luglio 2018, n. 17278, par. 2.5 delle motivazioni,
massimata in Corriere giur., 2018, 11, p. 1459. Si vedano in merito le osservazioni di F.
Bravo, Lo scambio di dati personali nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso
dell’interessato tra autorizzazione e contratto, cit., p. 34 ss.
43
Si tratta di una delle novità più rilevanti del GDPR (art. 7, par. 3), il diritto
dell’interessato di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento senza che
occorra esplicitare motivi giustificativi o sottostare ad altre condizioni; la revoca
deve poter essere rilasciata “con la stessa facilità” con cui il consenso è accordato.
Sul tema della revoca al consenso prima della recente modifica G. Resta, Revoca del
consenso ed interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei dati personali, in Riv.
crit. dir. priv., 2000, p. 299 ss.; S. Mazzamuto, Il principio del consenso e il problema della
revoca, in R. Panetta (cur.), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano,
1996, p. 994 ss.
44
S. Thobani, Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al
450
The best interest of the child
Pur assumendo che i gestori dei servizi della società dell’informazione
adottino procedure in grado di attuare tali garanzie, resta il problema
di come accertare che l’utente, specie se quattordicenne, sia effettivamente informato delle modalità di raccolta e di utilizzazione dei dati
che egli va ad autorizzare rilasciando il consenso esplicito e sia – in
ultima istanza – consapevole del valore, non solo economico45, dei suoi
dati personali.
Il sistema di tutela fondato sul consenso informato è ispirato, sotto il profilo teorico, dal principio di autodeterminazione che, tuttavia,
perché possa operare come strumento atto a gestire e garantire la salvaguardia di interessi di assoluta rilevanza, necessita della compresenza di alcuni presupposti indispensabili, quali la piena consapevolezza
del soggetto agente rispetto alle conseguenze che discendono dalle sue
scelte e condizioni “oggettive” che consentano una effettiva possibilità
di scelta (vere alternative possibili).
La nuova normativa sembra porsi l’obiettivo di meglio garantire
entrambi i presupposti: il primo avendo rafforzato il principio di trasparenza che si estrinseca in specifici doveri di informazione gravanti
sul titolare del trattamento (gli articoli 12, 13 e 14 del GDPR individuano il contenuto minimo di tali obblighi) tenuto a rilasciare per iscritto
(o con altri mezzi anche elettronici) informazioni concise, trasparenti,
intellegibili e facilmente accessibili, trasmesse con un linguaggio chiaro e semplice, idoneo a essere compreso da chiunque, in particolare
ove destinate a una persona minore di età46, al fine di “rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo”; il secondo avendo introdotto una serie previsioni specifiche che dovrebbero garantire una
effettiva possibilità di scelta all’utente – ci riferiamo alla previsioni di
cui ai paragrafi tre e quattro dell’art. 7 del GDPR47 – ma che dal punto
trattamento in massa dei dati personali, cit., p. 168-169.
45
Sul valore economico dei dati personali cfr. V. Caridi, La tutela dei dati personali in
internet: la questione dei Logs e dei Cookies alla luce delle dinamiche economiche dei dati
personali, in Dir. inf., 2001, p. 763 ss.; lo studioso Luciano Floridi nel volume La quarta
rivoluzione (Milano, 1917, p. 113) ricorda come nel 2013 per “il Financial Times, le
informazioni relative al profilo della maggior parte delle persone (un aggregato
di età, genere, storia lavorativa, malattie, attitudini al credito, reddito, tendenze di
acquisto, indirizzi e così via) siano state vendute per meno di un dollaro a persona”;
quando l’autore ha provato a svolgere la simulazione online offerta dal giornale ha
ottenuto come risultato “che i professionisti del marketing pagherebbero all’incirca
0,3723 dollari per i (suoi) dati … più o meno un terzo di una canzone su iTunes”.
46
Si veda anche il considerando 58 del Regolamento.
47
Art. 7.3: “L’interessato ha il diritto di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento. La revoca
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
451
di vista dell’attuazione concreta lasciano ampio spazio di manovra ai
gestori dei servizi48, non sempre così solerti nell’adottare procedure in
grado di attuare tali garanzie.
A prescindere dalla doverosa implementazione di queste tutele,
non si può negare che la società dell’informazione, e la nostra dipendenza da essa, abbiano in larga parte mutato la considerazione che i
cittadini hanno della propria privacy, soprattutto le nuove generazioni
per le quali, come recenti studi hanno rilevato, la privacy non è reputata
(o definita) sempre come un “bene” e il rivelare informazioni personali
non è necessariamente rischioso o problematico49.
Condivisibile ci appare, dunque, il dubbio di chi si chiede se il modello di tutela fondato sul consenso sia davvero il più efficiente, soprattutto quando si tratta di autorizzare “decisioni basate su inferenze
derivate dall’incrocio di migliaia di dati raccolti da svariate fonti”50,
che possono comportare rischi significativi per i diritti e le libertà delle
persone fisiche51.
del consenso non pregiudica la liceità del trattamento basata sul consenso prima della revoca.
Prima di esprimere il proprio consenso, l’interessato è informato di ciò. Il consenso è revocato con
la stessa facilità con cui è accordato”; art. 7.4 “Nel valutare se il consenso sia stato liberamente
prestato, si tiene nella massima considerazione l’eventualità, tra le altre, che l’esecuzione di un
contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso
al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto.”.
48
Si è già rilevato, da parte della dottrina, come il comma IV, dell’art. 7 non introduca in
verità un divieto, bensì fissi un semplice parametro di valutazione, così G. Resta - Z.
Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi di rete, cit., p. 15-16; parametro
di valutazione che la Cassazione ha tuttavia dimostrato di voler interpretare in
modo estensivo, cfr. Cass., 2 luglio 2018, n. 17278, cit.
49
A.E. Marwick - D. Murgia Diaz - J. Palfrey, Youth, Privacy and Reputation, in Literature
Review of Berkman Center and Harvard Law School, 29 marzo 2010, reperibile on line.
50
F. Di Porto, Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR 101/2018, in www.
agendadigitale.it., per la quale “è difficile immaginare che l’interessato, per giunta
minore, comprenda che la sua profilazione derivi non solo da dati che egli ha fornito
direttamente, ma anche da quelli derivati o desunti da altri dati”. Più in genarle,
tra coloro che si dichiarano scettici circa un sistema di tutela basato sul consenso S.
Rodotà, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati
personali, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 72 ss.; Id. Protezione dei dati e circolazione delle
informazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 600 ss.; S. Patti, Commento all’art. 23, cit.,
p. 555-556; G. Finocchiaro, Il quadro d’insieme sul Regolamento europeo, in Il nuovo
regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, cit. p. 3.; si vedano
anche i più recenti studi che analizzano i limiti cognitivi degli utenti con riguardo
alle scelte in materia di privacy, fra gli altri L. Gatt - R. Montanari - I. Caggiano,
Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico comportamentale. Spunti di
una riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Pol. Dir., 2017, p. 363 ss.
51
Alcuni rischi sono concretamente segnalati da A.E. Marwick - D. Murgia Diaz
- J. Palfrey, Youth, Privacy and Reputation, cit.,:“The more comprehensive the data
452
The best interest of the child
L’attenzione si concentra sullo strumento della c.d. “profilazione”52
– l’analisi di informazioni complesse ottenute dall’aggregazione automatica di dati raccolti all’interno della rete – una “modalità di raccolta
dei dati” particolarmente “subdola”, in quanto generalmente attuata
senza che l’interessato ne abbia piena consapevolezza53. L’art. 22, par. 1
del Regolamento riconosce il diritto degli utenti a “non essere sottoposti
a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa
la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida
in modo analogo significativamente sulla sua persona”; ma, il successivo
par. 2, legittima le decisioni automatizzate e le profilazioni nel caso
in cui esse siano necessarie ai fine della concludere un contratto (lett.
a), siano autorizzate da una norma nazionale o europea (lett. b) o si
basino sul consenso espresso (lett. c). Nonostante il considerando 38 del
Regolamento54 affermi che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli
aggregation, the more attention such aggregation deserves because of potential privacy risks.
Although data brokers have the ability to gather personal information without the Fourth
Amendment restrictions placed on the government, they work closely and share information
with the government and with virtually anyone who pays for it, including medical, financial
and insurance industries. Problematically, the information in these digital dossiers might
be used to discriminate against individuals. Imagine “if health-insurance premiums were
calculated based on data from online food orders, or if an online merchant’s pricing system
discriminated among customers based on their income or spending patterns”. Digital dossiers
present other problems: unauthorized access to this cache of personal information may result
in cases of identity theft, stalking, harassment, and other invasions of privacy); si veda
anche R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, cit., passim;
peraltro l’autrice rileva l’utilità, ma anche i limiti, della “autoregolamentazione”
attuata dai gestori dei servizi on line (piattaforme e imprese) mediante l’adozione
di specifici codici di condotta; strumento al quale anche il recente GDPR sembra
delegare il compito di attuare policy idonee a rendere consapevoli gli utenti delle
effettive conseguenze delle loro scelte, specie se minori di età, senza introdurre
specifici limiti o divieti alla tecnica della profilazione.
52
Definita all’art. 4, n 4) del GDPR come “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di
dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti
personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti
riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze
personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta
persona fisica”.
53
R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, cit., p. 591, la quale
ben sottolinea i vari rischi legati al trattamento automatizzato dei dati, persino il
rischio di una “profilazione di massa”.
54
Sulla rilevanza dei considerando e sull’irrinunciabile ruolo esegetico dell’interprete
nella lettura e applicazione della nuova disciplina in materia di trattamento dei dati
personali cfr. V. Cuffaro, Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali, in Contratto
e impresa, 3, 2018, p. 1098 ss.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
453
dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché
dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”, che “tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali
dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di
utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di
servizi forniti direttamente a un minore”, e il considerando 71 dichiari che
le decisioni e profilazioni “non dovrebbero applicarsi ai minori”, la citata
norma (l’art. 22 GPDR) non distingue tra soggetti adulti e soggetti minori, finendo per legittimare (liceizzare) le decisioni automatizzate e le
profilazioni “autorizzate” mediante il rilascio del “consenso espresso”
anche da parte del quattordicenne55.
Emerge con tutta chiarezza l’esigenza che si addivenga a formalizzare modelli alternativi (o aggiuntivi) di tutela56 che consentano un
passaggio “dal riconoscimento dell’autodeterminazione informativa a
un’effettiva ridistribuzione del potere in rete”57; modelli non esclusivamente di natura autoregolamentare o giuridica, ma anche tecnologica58.
L’indefinita molteplicità di modalità di “trattamento” dei dati in
grado di “invadere”, o comunque “incidere” a vari livelli sulla sfera
personale di ciascun cittadino, restano sconosciute, estranee alla dimensione della consapevolezza dei più, a prescindere dal raggiungimento o meno del compimento della maggiore età; un gap di conoscenza scientifica e tecnologica, quella che divide i titolari del trattamento
dall’utente, che può essere “compensato” solo addossando ai “detentori del sapere” l’onere di apprestare strumenti idonei a identificare e
correggere anche le meno palesi violazioni della privacy59.
55
Diffusamente sul tema F. Di Porto, Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR
101/2018, cit., passim.
56
“Si cercano altri modelli, rafforzando la sicurezza e la responsabilizzazione di chi
tratta i dati, e di questi si vede una prima realizzazione con l’introduzione del
principio della accountability, di cui nei prossimi anni verificheremo l’applicazione
concreta”, così G. Finocchiaro, Il quadro d’insieme sul Regolamento europeo, cit. p. 3.
57
“La tutela non è più solo individualistica, ma coinvolge una specifica responsabilità
pubblica. Siamo così di fronte anche a una ridistribuzione di poteri sociali e
giuridici”, così S. Rodotà, Il mondo nella rete, quali i diritti e quali i vincoli, Roma -Bari,
2014, p. 32 ss., a p. 72.
58
Come opportunamente suggerisce L. Floridi, La quarta rivoluzione, cit., p. 131.
59
Per ora il legislatore comunitario sembra essersi affidato al principio dell’accountability,
quel principio che non solo esige che il titolare del trattamento garantisca il rispetto
delle disposizioni normative in materia di trattamento dei dati, ma richiede anche
la concreta dimostrazione dell’adozione di adeguate misure legali, organizzative e
tecniche a garanzia della tutela delle posizioni individuali da parte dei titolari del
trattamento; in argomento A. Montelero, Il nuovo approccio alla valutazione del rischio
454
The best interest of the child
Vista l’opzione normativa adottata dal nostro legislatore, indispensabile permane, medio tempore, per la tutela delle persone minori
di età, lo svolgimento di un corretto ruolo parentale, attento e consapevole. Un ruolo che si permea di doveri di protezione e di controllo60, fintanto che al genitore (o altro titolare della responsabilità genitoriale) è attribuito dalla legge il potere di rappresentanza in merito
al rilascio del consenso per il trattamento dei dati personali (minore
infra-quattordicenne), ma che muta allorquando la persona minore
di età è chiamata a prestare in autonomia il consenso61, dovendo da
tal momento il genitore rispettare le scelte compiute dall’adolescente
con il quale – si auspica – egli riesca a istaurare una rapporto di tipo
relazionale, di confronto, basato su di un reciproco scambio di informazioni.
Avere fissato la soglia per il rilascio del consenso informato al compimento dei quattordici anni di età dovrebbe comportare che non siano solo i genitori a creare un discrimine sulla consapevolezza dei figli
ma che l’intera società62 – mercato incluso – si attivi per garantire un
ambiente digitale “sicuro” in termini di contenuti, di policy, di uso dei
dati personali, e altro, affinché ai giovani di questa età sia acconsentito “realizzare la propria personalità” on line senza correre eccessivi
rischi63.
1.2. L’ “autodeterminazione terapeutica” in relazione alla persona
minore di età
Di tenore diverso, almeno dal punto di vista del dato letterale, sono
le norme che si occupano di definire gli spazi di autodeterminazione
nella sicurezza dei dati, in Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei
dati personali, cit. p. 287 ss. spec. p. 306 ss.
60
Doveri che si estrinsecano anche nell’assunzione d’informazioni circa i reali rischi
che le persone minori di età corrono in ragione della divulgazione dei loro dati
personali.
61
Non appena compiuto il quattordicesimo anno di età l’adolescente potrà revocare il
consenso eventualmente prestato dal genitore o altro suo rappresentante.
62
“Il recupero di un più equilibrato dosaggio tra intimità e diffusione delle informazioni
personali non può più essere rimesso esclusivamente alle scelte individuali di vita,
ma deve essere impostato come un problema istituzionale” così F. Piraino, Il
regolamento generale sulla protezione dei dati personali e i diritti dell’interessato, cit., p. 409
ss.
63
G. Boccia Alieri, Privacy dei minori sui social, con il GDPR: così tuteliamo i loro interessi,
in www.agendadigitale.it, cit.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
455
del minore in seno al recente intervento normativo in materia di consenso informato al trattamento sanitario64.
Il comma quinto dell’art. 1 della legge del 22 dicembre 2017 n. 219
attribuisce a “ogni persona capace di agire” il diritto di rifiutare qualsiasi
trattamento diagnostico o sanitario proposto dal medico, nonché il
diritto di revocare il consenso in precedenza prestato. Il successivo
art. 3, dopo aver declamato (al primo comma) che la persona minore
di età (o incapace) “ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di
comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’art. 1, comma I”
e “deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo
consono alla sua capacità per essere messa in condizioni di esprimere la sua
volontà” aggiunge (al II comma) che “il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità
genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore,
in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la
tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della
sua dignità”65.
Il potere di rappresentanza nella espressione del consenso è, dunque, attribuita al titolare della responsabilità genitoriale per tutti i minori di diciotto anni, a prescindere dallo stadio evolutivo e dalla reale
capacità di discernimento del singolo. Una scelta molto “conservativa”,
64
L’argomento delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) non è reso oggetto
di trattazione nel presente lavoro, posto che l’art. 4 della Legge n. 219 del 2017 non
si applica ai minori di età, che pertanto non possono redigere né in proprio, né per
mezzo di un rappresentante disposizioni sul fine vita.
65
Tra i primi commenti alla normativa che si soffermano sulla citata disposizione, si
segnalano, senza pretesa di esaustività, R. Clarizia, Autodeterminazione e dignità della
persona: una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, in Dir. fam. pers., 2017,
p. 952 ss.; P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in
Nuova giur. civile comm., 2018, p. 247 ss.; M. Bianca, La legge 22 dicembre 2017 n. 219.
Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime
note di commento, in Familia, 2018, p. 109 ss.; M. Foglia, Consenso e cura. La solidarietà
nel rapporto terapeutico, Torino, 2018; G. Ferrando, Rapporto di cura e disposizioni
anticipate nella recente legge, in Riv. crit. dir. priv., 2018, p. 47 ss.; M. Azzalini, Legge
n. 219/207: la relazione medico-paziente irrompe nell’ordinamento positivo tra norme di
principio, ambiguità lessicali, esigenze di tutela della persona, incertezze applicative, in
Resp. civ. prev., 2018, p. 8 ss.; G. Baldini, Prime riflessioni a margine della legge n. 219/17,
in Riv. di BioDiritto, n. 2, 2018, p. 97 ss.; R. Senigaglia, Consenso libero e informato
del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, 4, p. 1318 ss.; G. Giaimo,
Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario, in Europa
e dir. priv., 2018, p. 1261 ss.; C. Di Costanzo, La tutela del diritto alla salute del minore.
Riflessioni a margine della legge n. 219/2017, in Riv. di BioDiritto, n. 1, 2019, p. 299 ss.;
M.N. Bugetti, La disciplina del consenso informato nella legge 219/2017, in Riv. dir. civ.,
1, 2019, p. 106 ss.
456
The best interest of the child
solo in parte temperata dalla previsione con cui s’invita il rappresentante legale (o il tutore) a “tener conto”66 della volontà del rappresentato “in relazione alla sua età, e al suo grado di maturità”, nonché in
ragione dello scopo perseguito dall’esercizio del potere dispositivo, la
tutela della salute psicofisica e della vita di un soggetto diverso da colui
che tale potere è chiamato dalla legge a esercitare.
Scontenta la specifica opzione normativa accolta dal nostro legislatore67 che, nell’addivenire a disciplinare una materia così “problematica”
dopo lunghe attese68, ci consegna un testo legislativo che per il resto appare tendenzialmente conforme a quel “telaio di principi” già da tempo
elaborato dalla giurisprudenza sulla relazione di cura69, sapientemente
ordito sulla base delle preziose indicazioni della Carta Costituzionale70,
della Carta di Nizza71 e di altri imprescindibili documenti nazionali72 e
66
“La valorizzazione della capacità di scelta in materia di corpo e salute del minore
o del maggiorenne incapace degrada alla formula ‘tenendo conto della volontà’”
così, efficacemente, P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina
legislativa?, in Riv. di BioDiritto, 1, 2017, p. 185 a p. 188.
67
Nel contesto europeo i legislatori hanno, perlopiù, abbassato il limite di età dei 18
anni ai fini del rilascio del consenso al trattamento medico sanitario: in Inghilterra e
Spagna hanno optato per una presunzione relativa di capacità del sedicenne, senza
che sia preclusa la possibilità di attribuite tale capacità anche al di sotto di detta
soglia, ove sia possibile accertare il “sufficiente discernimento” della persona minore
di età; in Francia e in Germania è invece superato il criterio della indicazione di
età minima, essendo rimessa al personale medico ogni valutazione circa la concreta
capacità di intendere e di volere del paziente in merito; in argomento S. Cacace,
Autodeterminazione in salute, Torino, 2017 p. 243 ss.; si veda anche S. Negri (cur.),
Self-Determination, Dignity and End-of-life care, Regulating Advance Directives in
International and Comparative Perspective, 2011, passim.
68
P. Zatti, La via (crucis) verso un diritto della relazione di cura, Riv. crit. dir. priv., 2017,
1, p. 3 ss. a p. 5 osserva come la nuova disciplina “non nasce in un nuovo vuoto
normativo, ma solo in un vuoto legislativo; e non è affatto la stessa cosa. I lunghi
anni di attesa sono stati di elaborazione graduale e sofferta di un diritto vigente della
relazione di cura: è il diritto dei principi che ha la sua fonte nella Costituzione, nella
Carta dei diritti UE, nelle convenzioni internazionali”.
69
In alcuni casi facendo ricorso anche a fonti del tutto prive di efficacia e di incidenza
formale nell’ordinamento italiano (vedi Cass., 16 ottobre 2007, meglio noto come
“caso Englaro”), così C. Camardi, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel
diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1140.
70
Gli artt. 2, 13 e 32 della Carta Costituzionale, citati all’art. 1 della legge.
71
Gli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea.
72
L’art. 37 del Codice di deontologia medica del 2014, ma anche l’art. 4 del d.lg. 24
giugno 2003, n. 211 – attuativo della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione
della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di
medicinali per uso clinico e l’art. 3, l. 21 ottobre 2005, n. 219, contenente la nuova
disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
457
sovrannazionali73 che raccolgono regole giuridiche, bioetiche, scientifiche e deontologiche, indispensabili all’interprete per compiere ponderate scelte operazionali in materia.
Partendo dall’ineludibile presupposto che il consenso (o rifiuto) informato alle cure mediche è l’atto di autonomia mediante il quale l’individuo esercita il diritto, non solo al governo del corpo, ma in senso
più completo al dominio del sé, alla propria libertà morale e fisica, e
dunque, in ultima istanza, allo svolgimento della propria personalità e
all’affermazione della propria identità74, resta da comprendere come si
concilia la dicotomia tra titolarità e esercizio di tali fondamentali diritti
per le persone minori di età, ove, come nel caso che ci riguarda, il legislatore abbia deciso di demandare all’istituto della capacità di agire – e
dunque della rappresentanza legale – la soluzione del problema.
L’opzione normativa accolta, presa nella sua assolutezza formale,
sembra relegare gli spazi di autodeterminazione della persona minore
di età alle dinamiche relazionali familiari, a quel “tener conto” della
volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado
di maturità75, che i titolari della responsabilità genitoriale, nell’espletamento del diritto-dovere di realizzare l’interesse del figlio, avranno
l’onere di valorizzare andando a manifestare l’atto di volontà altrui, tanto più se si tratta di una persona che possa essere giudicata capace di
intendere e di volere.
La singola disposizione non può, tuttavia, essere letta avulsa dal
contesto valoriale espresso dall’intero intervento normativo76 che, nel
73
La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina firmata a Oviedo il 4 aprile
1997, che all’art. 6 stabilisce “quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di
dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo
rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere
di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione
della sua età e del suo grado di maturità”.
74
G. Marini, Il Consenso, in S. Rodotà - M. Tallacchini (cur.), Ambito e Fonti del
biodiritto, in S. Rodotà - P. Zatti (cur.) Trattato di biodiritto, Milano, 2010, p. 361 ss.;
R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p.
1318 ss. a p. 1327.
75
Sulla questione inerente l’opportunità di individuare per via legislativa delle “fasce
di età” all’interno della categoria dei “minorenni” si veda G. Ballarani, La capacità
autodeterminativa del c.d. grande minore, in L. Palazzani (cur.), L’interesse del minore tra
bioetica e biodiritto, Roma, 2010.
76
Sul “contesto valoriale ordinamentale” si concentra R. Senigaglia (op. loc. cit.,
passim) allo scopo di interpretare e sistematizzare lo spazio di autonomia decisionale
riservato al minore dalla legge in commento, altrimenti “delineato in termini
confusi”.
458
The best interest of the child
porsi come scopo la tutela della vita, della salute, della dignità e della
autodeterminazione della “persona” (maggiore o minore di età che sia)
(art. 1), individua nel consenso (rifiuto) informato non il mero atto di
volontà formale e burocratico77, ma il risultato di un “processo” 78 i cui
protagonisti – paziente minore di età, genitori e personale medico –
sono chiamati a interagire e relazionarsi (di “relazione di cura” parla il
dettato normativo)79 nell’ambito di un rapporto di fiducia che si fonda,
in primo luogo, sullo scambio di informazioni e comunicazioni rilevanti ai fini delle scelte da compiere80.
Nel prendere atto che la capacità di decisione autonoma nelle scelte
esistenziali non è l’effetto di una fattispecie astratta81, ma si realizza in
una condizione personale frutto della interazione di elementi soggettivi e oggettivi, proprio nella distanza tra capacità formale e capacità
effettiva deve trovare il dovuto spazio l’intervento del personale sanitario preposto alla cura del paziente. Il medico82 non è solo tenuto
a trasferire al paziente minore di età, nel rispetto delle sue capacità di
comprensione e del suo reale ed effettivo desiderio di essere informato83, le necessarie conoscenze attinenti il suo stato di salute e lo specifico trattamento sanitario, ma sarà colui che dopo aver “suggerito”84 il
77
V. Calderai, voce Consenso informato, in Enc. dir., annali VIII, p. 225 a p. 244.
78
P. Zatti, Maschere del diritto, volti della vita, Milano, 2009, p. 124.
79
Si sofferma sul ruolo che svolgono “gli attori del contesto di prossimità” G. Di Rosa,
La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la
relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, in Responsabilità medica, 1, 2019, p. 49 ss.
80
“Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata
in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai
benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché
riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento
sanitario e dell’accertamento diagnostico e della rinuncia ai medesimi”, art. 1 comma III,
legge sul fine vita.
81
V. Calderai, op. loc. cit., p. 244.
82
In argomento M.A. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, Padova,
2007, p. 278 ss.
83
Fondamentale è il riconoscimento normativo del diritto del paziente di rifiutare di
ricevere le informazioni, in tutto o in parte (art. 1, comma III).
84
Abbandonato il “paternalismo professionale” che per lungo tempo ha caratterizzato
la relazione medico paziente (cfr. M. Graziadei, Autodeterminazione e consenso all’atto
medico, in I diritti in medicina, in S. Rodotà - P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto, in
L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011,
p. 191 ss.) per ricondurre alla volontà dell’interessato, mediante la manifestazione
dell’atto di consenso (rifiuto) al trattamento medico, il dominio del proprio corpo e
della propria integrità psicofisica, non può significare relegare il ruolo del medico a
mero “esecutore obbligato di prestazioni”, rimanendo comunque il sanitario il “polo
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
459
trattamento ritenuto più adeguato in ragione delle conoscenze scientifiche85, della esperienza professionale, nonché della condizione psicofisica del paziente, dovrà confrontarsi con il minore e i suoi genitori
e monitorare che l’atto formale di scelta sia effettivamente il frutto di
quel processo decisionale condiviso che mira a soddisfare il suo primario interesse86.
Ancora una volta, dunque, non si tratta tanto di riconoscere alla
persona minore la libertà di “decidere” in merito alla sua sfera privata,
ma di metterla nelle condizioni – soggettive e oggettive – di partecipare alla formazione di un “consenso consapevole” che, nel caso delle decisioni inerenti i trattamenti medici, necessariamente implicano
l’intervento di soggetti terzi qualificati, il personale sanitario, che in
ragione delle proprie conoscenze scientifiche e capacità professionali
sia in grado di offrire al paziente un quadro chiaro delle sue opzioni di
scelta e delle conseguenze che esse possano comportare.
Il riferimento all’essenzialità dell’aspetto comunicativo nella relazione tra medico e paziente non presenta un’esclusiva caratterizzazione duale ma coinvolge tutti i soggetti cui il dettato normativo rinvia
(art. 1, comma 2°, l. n. 219/2017) e nel caso di soggetto minore di età,
necessariamente, i titolari della responsabilità genitoriale; un’opzione
normativa, quella che sottolinea la natura plurale della menzionata relazione comunicativa, strettamente funzionale alla formazione di un
consenso “nutrito di consapevolezza”87.
di riferimento” del paziente nella relazione di cura; cfr. in proposito le osservazioni
di A. Nicolussi, Testamento biologico e problemi del fine-vita: verso un bilanciamento di
valori o un nuovo dogma della volontà?, in Eur. e dir. priv., 2013, p. 468 ss.
85
Si condivide l’opinione di chi sostiene che sempre più “la libertà di autodeterminarsi
… è una variabile dipendente dal progresso scientifico”, A. Gusmai, Il diritto
all’autodeterminazione: una libertà “perimetrata” dal sapere scientifico?, cit., p. 1; si
vedano anche le osservazioni di F. Azzarri, Diritti della persona e interventi delle corti:
dalla fonte costituzionale alle regole civilistiche, in E. Navarretta (cur.) Effettività e
drittwirkung nelle discipline di settore, Torino, 2017, p. 3 ss. a p. 8 e p. 18.
86
Anche se la legge stabilisce il ricorso al giudice tutelare nella sola ipotesi di contrasto
tra il medico e i rappresentati del minore in caso di rifiuto da parte di questi ultimi
delle cure proposte, si ipotizza che se il titolare della responsabilità genitoriale
non dovesse tener conto della volontà del minore dotato di un sufficiente grado
di discernimento (ossia nei casi in cui si prospetta una situazione di conflitto tra
genitori e figlio minorenne) il medico possa “richiedere, l’intervento dell’autorità
giudiziaria, eventualmente per il tramite della segnalazione alla Procura della
Repubblica presso il tribunale per i minorenni” così R. Senigaglia, Consenso libero e
informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p. 1349.
87
Parafrasando S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2015, p. 279.
460
The best interest of the child
Il ragionamento appena svolto non può prescindere dall’essere
condotto sino all’estrema conseguenza di valutare se, una volta messa
nelle condizioni di comprendere il proprio stato di salute e i possibili
interventi terapeutici, alla persona minore di età dotata di un sufficiente grado di discernimento sia riconosciuto il diritto di rifiutare le
cure proposte, potendo per questa via arrivare a compromettere, anche
irrimediabilmente, il proprio stato di salute, posto che il rifiuto può
comportare anche la rinuncia a trattamenti necessari alla sopravvivenza (quali la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale)88.
Il nostro impianto normativo si trincera dietro lo schermo formale
della richiesta capacità di agire, finendo con l’attribuire al legale rappresentante la gravosa scelta quando si tratti di manifestare un rifiuto
al trattamento, sebbene ci sia chi ritiene che la lettera della legge – avendo “selezionato” quali unici criteri vincolanti che devono guidare scelte
assunte nell’interesse del minore “la tutela della salute psicofisica e della
vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità” 89, quasi che il best
interest dell’incapace non possa includere altri valori90 – escluda la possibilità che i legali rappresentanti possano opporre un rifiuto ai trattamenti necessari alla sopravvivenza della persona minore di età91, anche
nell’ipotesi in cui i titolari della responsabilità genitoriale intendano,
88
A norma del comma 5, art. 1 della Legge 219/2017 “Ogni persona capace di agire ha
il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi
accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o
singoli atti del trattamento stesso. (…) Ai fine della presente legge, sono considerati trattamenti
sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su
prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.”
89
Corsivi nostri.
90
Così P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, cit.,
p. 189, il quale aggiunge “l’arbitrarietà della scelta è evidente, perché nelle gravi
decisioni terapeutiche non sono in gioco solo i due valori indicati: vi è l’habeas corpus
anzitutto (integrità), vi è l’autodeterminazione che non è prerogativa esclusiva dei
maggiorenni capaci di agire”.
91
M. Bianca, La legge 22 dicembre 2017 n. 219. Norme in materia di consenso informato e
di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento, cit., p. 111. Si segnala
che in merito è stata già sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3,
commi 4° e 5°, della legge nella parte in cui prevedono che il rappresentante legale
della persona interdetta oppure inabilitata, in assenza delle disposizioni anticipate
di trattamento di cui all’art. 4, della stessa legge, o il rappresentante legale del minore
possano rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al
mantenimento in vita dell’amministrato (ordinanza del Trib. Pavia, 24.3.2018, in
www.ilcaso.it). In argomento G. Di Rosa, La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario,
in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del
2017, cit., p. 50.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
461
ciò facendo, manifestare “formalmente” la volontà del rifiuto delle cure
espressa dal minore dotato di sufficiente grado di discernimento.
A noi sembra, tuttavia, che il comma quinto dell’art. 3 della legge
nello stabilire che “nel caso in cui … il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano
appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare”, finisca
– in verità – con l’attribuire al medico il potere di valutare se il rifiuto
del trattamento sia o meno contrario all’interesse del minore, dal momento che solo nell’ipotesi in cui il parere del medico non coincida
con quello espresso dai legali rappresentanti potrà essere coinvolto il
giudice tutelare il quale, prima di decidere, sarà tenuto ad ascoltare il
minore dotato di un certo grado di discernimento92, valorizzando la
volontà adesiva o dissenziente del minorenne rispetto al programma
terapeutico suggerito dal medico93.
Interessante, in merito, rilevare come anche in quegli ordinamenti
dove il legislatore ha ritenuto di svincolare il rilascio del consenso informato dal raggiungimento della maggiore età94, il “rifiuto” delle cure
continui ad essere una prerogativa del solo maggiorenne “senza che il
differente trattamento riservato all’assenso e al rifiuto sia, peraltro, in
alcun modo giustificato”95. Scelta che, a ben vedere, riduce il “consenso” della persona minore di età a mero riconoscimento della sua capacità di poter direttamente interagire con il medico ed essere informato
del suo stato di salute, senza che tuttavia allo stesso sia attribuito alcun
92
Nel rispetto dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo,
che riconosce ad ogni persona minore di età il diritto di essere ascoltato in ogni
procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite
un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di
procedura della legislazione nazionale.
93
Nello scritto di G.C. Turri, Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in
Quest. Giust., 2000, p. 3 ss. (reperibile on line), l’autore esamina alcune sentenze di
merito della magistratura minorile chiamata ad occuparsi del conflitto tra i medici,
che ritenevano doversi attuare determinati programmi terapeutici, e i genitori, che
si rifiutavano di sottoporre i figli alla cure prescritte, ove i giudici al fine di decidere
fanno espresso riferimento alla volontà espressa dai minori (anche di 9 e 10 anni)
che, nei casi esaminati, si pone in linea con quella manifestata dai genitori. Nei
casi esaminati i giudici hanno ritenuto di valorizzare la volontà dei minori ai fini
della decisione, quale manifestazione di un principio di “autodeterminazione” che
l’autore definisce “debole”, distinguendola da quella che s’identifica con il diritto
di manifestare formalmente il consenso (dissenso) informato all’atto medico, che in
assenza di una norma giuridica che lo preveda espressamente è da escludersi.
94
Si veda sopra nota 63.
95
S. Cacace, Autodeterminazione in salute, cit., p. 243 e ss.
462
The best interest of the child
formale potere di dissentire dal piano terapeutico, nel senso di rinunciare al trattamento sanitario consigliato, scelta per la quale si torna a
richiedere – formalmente – il compimento della maggiore età96.
L’osservazione ci porta a rivalutare, in definitiva, l’opzione normativa prescelta dal nostro legislatore che, nel riconoscere espressamente
alla persona minore di età il diritto a “ricevere informazioni sulle scelte
relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” – rendendolo
soggetto attivo della relazione di cura – tiene fermo il criterio generale della raggiunta capacità di agire come soglia per la manifestazione
tanto del consenso quanto del rifiuto al trattamento medico – formalmente rilasciato o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale
– senza cadere nella contraddizione di attribuire al minore di età una
capacità “speciale” in materia, che tuttavia si esaurisce nella sola possibilità riconosciuta al soggetto di aderire “al programma terapeutico”
che viene lui consigliato, ma non nel rifiutarlo, nonostante sia del tutto
evidente che il rifiuto non è altro che l’atto di contenuto negativo in cui
si formalizza l’esito del percorso di autodeterminazione del soggetto97,
uguale e contrario al consenso.
Il corretto espletamento del processo decisionale che coinvolge
paziente, genitori e personale medico nell’ambito della “relazione di
cura”98 è e resta il presupposto indefettibile dell’esercizio del diritto
all’autodeterminazione terapeutica da parte della persona minore di
età, a prescindere dalla veste “burocratica” in cui esso troverà espressione nel rispetto di quel “formalismo protezionistico” cui si fa appello
non tanto a tutela del “soggetto debole”, quanto a tutela del personale
96
In dottrina sono molti coloro che sostengono che il livello di consapevolezza
necessario per il rifiuto, in ragione della possibile compromissione degli interessi
fondamentali della persona che una tale opzione potrebbe comportare, implica la
necessaria piena capacità del disponente, si veda L. Lenti, Il consenso informato ai
trattamenti sanitari per i minorenni, in S. Rodotà - P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto,
in L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011, p.
453; T. Pasquino, Autodeterminazione e dignità della morte, Milano, 2009, p. 98; G.
Giaimo, Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario,
cit., p. 1235.
97
R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p.
1339.
98
F.D. Busnelli, Premessa agli Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura?
Dopo la legge 2019 del /2017, cit., p. 3 e ss. magistralmente definisce la relazione di
cura come “una linea, lungo la quale si svolge, e si evolve, la volontà del paziente,
assunta non come punto di partenza, ma come punto di arrivo”.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
463
medico e della struttura sanitaria, preoccupati di mettere il loro agire
al riparo da eventuali responsabilità civili e penali99.
2. La persona minore di età nel processo evolutivo:
dal discernimento all’autodeterminazione
Il breve excursus che ci ha visto indagare ampiezza e limiti della
riconosciuta capacità di autodeterminazione della persona minore di
età in seno a due recenti interventi normativi, rappresenta l’occasione
per riflettere sulla condizione del minore di età nel nostro sistema ordinamentale, a distanza ormai di diversi anni dall’avviamento di quel
processo di promozione della persona umana100 – nella pluralità delle
condizioni fenomenologiche in cui essa si sviluppa e in relazione alle
quali è possibile riconoscere la sua unità e unicità101 – che prende le
mosse a far data dalla promulgazione della Carta Costituzionale102.
Per quanto concerne la persona umana minore di età103 tale processo ha significato, in un primo momento, il passaggio dalla condizione
di soggezione – propria del paradigma della potestà – alla condizione di protezione104, cui fa da contraltare l’assunzione di responsabilità
99
S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., pp. 277-278; M. Graziadei, Dal consenso alla
consensualità nelle relazioni di cura, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione
di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, cit. p. 37 ss. il quale pragmaticamente rileva “il
consenso è manifestazione dell’autonomia della persona, ma è anche il mezzo per
traslare sul quest’ultima il rischio inevitabile connesso al trattamento. Mi riferisco
all’eventuale evento avverso che si può materializzare pur in presenza di trattamento
eseguito secondo la lex artis. Nessun paziente ha forse davvero ben chiaro che, tanta
più informazione riceve, tanto è più probabile che l’evento avverso rimanga a suo
carico, qualora si verifichi”.
100
A. De Cupis, La persona umana nel diritto privato, in Foro it., 1956, IV, c. 77 ss.; S.
Rodotà, Dal soggetto alla persona, Napoli, 2007, p. 24-25; P. Zatti, Persona giuridica e
soggettività., Padova, 1975, p. 178 ss.
101
R. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, 1990, p. 66 ss.; F. Viola, I diritti e le età della vita, in
Lavoro sociale, vol. 13, 2013; V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018 p. 8.
102
P. Perlingeri, La persona e i suoi diritti. Problemi di diritto civile, Milano, 2005.
103
Come si è avuto modo di vedere la recente Legge n. 219, del 22 dicembre 2017, recante
Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, all’art. 3,
rubricato Minori e incapaci, compie una specifica scelta linguistica riferendosi alla
“persona minore di età”, una scelta mediante la quale si prende (finalmente) atto
della situazione giuridica soggettiva del minore quale “persona”.
104
Ricostruisce in modo chiaro questo passaggio E. La Rosa, La disciplina della
responsabilità genitoriale, sub art. 316, in G. Di Rosa (cur.), Della famiglia, vol. II, in
E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, Milano, 2018, p. 625 ss.; Id., Tutela
dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori,
Milano, 2005, passim.
464
The best interest of the child
dell’adulto (in primis, ma non solo, il genitore) quale soggetto investito,
in virtù della legge o di altro atto che gli riconosce una tale condizione,
di un complesso di diritti e doveri riguardanti la persona e i beni del
minore105.
Un passaggio che ha portato con sé la valorizzazione della situazione giuridica attiva della persona minore e dei suoi interessi che, in virtù della relazione intersoggettiva che attribuisce all’adulto un ruolo di
responsabilità, devono trovare soddisfacimento, innanzi tutto, in funzione dei comportamenti posti in essere dal soggetto responsabile106.
Si è imposto con forza il richiamo all’“interesse del minore” quale
principio guida107 nella individuazione e promozione dei diritti riconosciuti alla persona minore di età la cui tutela, tuttavia, continua a essere “radicata nella logica del soggetto debole da proteggere in quanto
incapace”108.
Il fulcro di questa concezione è da ricercare nella perentoria assertività dell’art. 2 c.c., norma che, tuttavia, – come da tempo messo in luce
dalla più attenta dottrina109 – non è atta a regolamentare per intero la
capacità di agire della persona minore di età e sembra, piuttosto, limitata agli atti patrimoniali110.
Se, invero, ci si muove a indagare nell’ambito dei diritti di natura
personale111, si riscontra l’attribuzione all’infra diciottenne – da parte
105
L’espressione «responsabilità genitoriale» la troviamo nella Dichiarazione di
N.Y. sui diritti del fanciullo del 1959; utilizzata e definita in ambito europeo
nel Regolamento del 27 novembre 2003, n. 2201 relativo alla competenza, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e appunto
in materia di responsabilità genitoriale è definita all’art. 2 come l’insieme dei «diritti
e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione
giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di
un minore». La nota formula ha avuto pieno riconoscimento all’interno del nostro
sistema ordinamentale in ragione della attuta riforma in materia di filiazione, cfr.
C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015.
106
M. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, cit., p. 89 ss.
107
Tra i molti scritti in argomento si vedano V. Scalisi, Il superiore interesse del minore.
Ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405; nonché L. Lenti, Note critiche
in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86.
108
E. La Rosa, La disciplina della responsabilità genitoriale, cit., p. 627; cfr. anche G.
Palmeri, Diritti senza poteri, la condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 61.
109
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., 1982, p. 54 ss.
110
In argomento M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, Padova,
2007.
111
G. Anzani, Capacità di agire e interessi della personalità, in Nuov. giur. civ. comm., 2009,
p. 509 ss.; sui diritti della personalità in genere A. De Cupis, Diritti della personalità,
II, in A. Cicu - F. Messineo (dir.), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1959,
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
465
di tutti i formanti del diritto, pur anche quello legislativo112 – di una
crescente capacità di autodeterminazione, in rapporto al crescere della naturale capacità di intendere e di volere113. Considerazioni che si
possono trarre indagando, altresì, nell’ambito dell’illecito extracontrattuale ove il principio cardine della imputabilità, anche del soggetto
minore di età, è – per l’appunto – la capacità di intendere e di volere114,
e la responsabilità di altri soggetti, quali genitori e insegnanti, è per ciò
stesso concorrente e non sostitutiva115.
Emerge con chiarezza la stretta correlazione esistente tra l’esercizio
del diritto di autodeterminarsi e la concreta capacità di intendere e di
volere del suo titolare, intesa quale la capacità del soggetto agente di
essere consapevole del valore delle sue scelte e delle conseguenze che
da esse discendono, a prescindere dalla piena attribuzione allo stesso
della capacità di agire116, nel rispetto di quel principio ormai acquisito
p. 86 ss.; P. Rescigno, voce Personalità (diritti della), cit., p. 1 ss.; V. Zeno-Zencovich,
voce Personalità (diritti della), Dig. disc. priv., sez. civ., 1995, vol. XIII, p. 340 ss.
112
Si fa riferimento a una serie di previsioni di leggi speciali quali: quella
sull’interruzione volontaria della gravidanza della minorenne (art. 12, l. 22 maggio
1978, n. 194); sull’accesso ai mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente
scelte in ordine alla procreazione responsabile (art. 2, ultimo comma, l. n. 194 del
1978); relativa alla richiesta del minore tossicodipendente di essere sottoposto ad
accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo
(art. 120, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309); alla scelta dello studente minorenne di scuola
secondaria di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica
(art. 1, comma 1, l. 18 giugno 1986, n. 281).
113
A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro - A.
Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 321 ss.
114
In argomento C. Rusconi, Minore età e responsabilità dei genitori e degli insegnanti, in
Jus civile, 3, 2014, p. 105 ss., il quale rileva come “il sistema incorre in una singolare
discrasia circa la capacità di assumere obbligazioni: preclusa in radice dall’art. 2
c.c., quando deriva da contratti (salvi gli atti della vita quotidiana) e presidiata dal
rimedio dell’annullamento nell’interesse dell’incapace, è invece piena se deriva da
accadimenti dannosi sol che il minore sia capace di discernimento, anzi, potendo
il minore essere esposto più frequentemente e con maggior aggravio economico
alle obbligazioni da fatto illecito rispetto a quelle di origine contrattuale”. Cfr. S.
Patti, Famiglia responsabilità civile, Milano, 1984, p. 232 ss.; P. Marozzo della Rocca,
Responsabilità civile e minore di età, Napoli, 1994.
115
L’obbligo di risarcimento del danno posto a carico dei genitori ha chiaramente la
funzione di attribuire una garanzia patrimoniale effettiva al terzo danneggiato, cfr.
S. Patti, Famiglia responsabilità civile, cit., p. 258; F. Giardina, La condizione giuridica
del minore, Napoli, 1984, p. 136-137. Cfr. in giurisprudenza su un recente caso di
divulgazione di immagini di un soggetto minorenne da parte di suoi coetanei
Tribunale di Sulmona, 9.04.2018, in Nuov. giur. civ. comm, 2018, 11, p. 1618 ss. con
nota di A. Thiene, Ragazzi perduti on line: illeciti dei minori e responsabilità dei genitori.
116
In verità neanche l’ambito patrimoniale rimane del tutto estraneo a questa logica:
l’art. 1389 c.c. riconosce valido il contratto concluso da un rappresentante che abbia la
466
The best interest of the child
che vuole attribuita “la piena capacità di ogni soggetto di esercitare i
propri diritti personali appena abbia acquisito una sufficiente maturità
di giudizio”117.
Il presupposto della “indissociabilità” tra la titolarità dei diritti e
delle libertà fondamentali e il relativo esercizio non esclude che, fin
tanto che la persona minore di età non abbia acquisito piena capacità
di intendere e di volere, coloro che se ne assumono la responsabilità
– in primis i genitori – siano chiamati a porre in essere comportamenti
“protettivi”118, finalizzati a salvaguardare i diritti fondamentali dei loro
“protetti”. Quegli stessi diritti che, con l’avanzare del processo evolutivo, la persona minore di età capace di intendere e di volere sarà chiamata a esercitare in autonomia119, mutando in via relazionale il ruolo
del soggetto investito della responsabilità genitoriale da una posizione
di protezione a una posizione di confronto120.
I doveri di protezione discendenti dalla responsabilità genitoriale
ci appaiono oggi, in certa misura, ampliati, avendo i genitori il preciso dovere di salvaguardare diritti fondamentali delle persone minori
di età non ancora perfettamente capaci di intendere e di volere, quali
il diritto all’immagine e alla riservatezza (accolti nel concetto moderno di privacy)121, dai maggiori rischi di “lesione” cui gli stessi risultano esposti per la incontrollata diffusione di dati personali, spesso
dati sensibili, in ragione dell’utilizzo delle moderne tecnologie di
comunicazione e socializzazione122. Potendo comportare il mancato
capacità di intendere e di volere (sempre che sia legalmente capace il rappresentato);
l’azione di annullamento di un contratto concluso da persona minore di età, non
solo non è azionabile se l’agente ha con raggiri occultato la sua vera età – il che
presuppone una certa capacità di intendere e volere del soggetto medesimo – ma
deve altresì essere sottoposta al vaglio del giudice tutelare che ne deve valutare in
via preventiva la “necessità o utilità evidente”. Si veda poi la possibilità del minore
emancipato di esercitare l’attività di impresa ex art. 397 c.c.
117
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 69 ss.
118
Ibidem; si veda anche E. La Rosa, La disciplina della responsabilità genitoriale, cit., p. 780 ss.
119
P. Stanzione, Capacità e minore di età nella problematica della persona umana, Napoli,
1975, p. 360 ss.; F. Ruscello, Potestà genitoriale e capacità dei figli minori: dalla soggezione
all’autonomia, in Vita notarile, 2000, p. 57 ss.
120
P. Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in L’autonomia dei minori tra famiglia
e società, cit., p. 189 ss.
121
C. Camardi, Relazione di filiazione e privacy, brevi note sull’autodeterminazione del
minore, in Jus Civile, 6, 2018, p. 831 ss.; A. Thiene, Riservatezza e autodeterminazione del
minore nelle scelte esistenziali, in Fam. dir., 2017, p. 172 ss.
122
G. Ramaccioni, La protezione dei dati personali e il danno non patrimoniale, Napoli, 2017,
passim.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
467
adempimento di questi doveri, tanto in via omissiva quanto, e soprattutto, in via commissiva, finanche l’assunzione di provvedimenti
limitativi della responsabilità genitoriale123.
Da altro punto di vista il genitore ha un dovere di controllo sull’accesso alle nuove tecnologie da parte del minore non dotato di sufficiente grado di discernimento, in ragione del fatto che un utilizzo prematuro e incontrollato alle stesse rischia di esporli a informazioni e
sollecitazioni emotive non proporzionate alle loro capacità cognitive,
potendo ciò incidere molto negativamente su una personalità in formazione124.
Tali doveri di protezione mutano con l’evolversi del processo evolutivo che coinvolge le persone minori di età, cessando di manifestarsi in
attività unilaterali di tutela e controllo per assumere sempre più, con il
passare del tempo, la connotazione di attività di natura relazionale125, in
cui la funzione di “protezione” si estrinseca, prevalentemente, mediante
il trasferimento alla persona minore di età capace di intendere e di volere
di indicazioni comportamentali in linea con un modello valoriale socialmente condiviso126, sufficienti a farle compiere scelte autodeterminative
123
M. Nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza
e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale, in Fam. Dir., 4, 2018, p. 392 ss.;
F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27 ss.
124
Lo strumento digitale può essere utilizzato come veicolo pedagogico, ma allo
stesso tempo può essere un veicolo di disinformazione (attraverso la diffusione di
fake news e informazioni scorrette o approssimative) sino anche a tramutarsi in uno
strumento di diffusione di odio, razzismo, bullismo e quant’altro. La recente legge
n. 71 del 2017 ha inteso introdurre specifici strumenti di contrasto al fenomeno del
c.d. “cyberbullismo”, definito come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia,
ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione
illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata
per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più
componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di
isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o
la loro messa in ridicolo”. La legge introduce una serie di strategie integrate di contrasto
e di prevenzione che coinvolgo una pluralità di soggetti, oltre lo stesso minore
ultraquattordicenne e i di lui genitori, quali le istituzioni scolastiche di ogni ordine
e grado sollecitate dall’azione combinata del Ministero dell’istruzione e dello stesso
Garante. Cfr. R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori ed il
contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove leggi civili commentate, 2018, p. 340;
M. Orofino - F.G. Pizzetti (cur.), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018,
125
R. Senigaglia, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli,
2013.
126
Tema di estremo interesse, che tuttavia esula dall’economia della presente
trattazione, è quello che sollecita una riflessione su quelli che dovrebbero essere i
contenuti concreti del progetto educativo perseguito dai titolari della responsabilità
genitoriale: ci si chiede, in particolare, se la previsione normativa che impone
468
The best interest of the child
consapevoli. Del resto, se l’accesso al mondo digitale costituisce oggi uno
strumento di rappresentazione – se non anche in una certa misura di
realizzazione – della identità personale di ciascun individuo127 il negare
alla persona minore di età adolescente l’utilizzo delle nuove tecnologie
digitali può concretamente rappresentare una violazione dei suoi diritti.
La tutela dell’interesse del minore in questa fase della crescita non
si ferma alla dinamica negativa della protezione, intesa come difesa
da tutto ciò che possa pregiudicare la sfera psico-fisica del protetto,
ma deve necessariamente essere declinata in positivo, finalizzata a garantire all’adolescente il diritto all’accesso e al godimento di beni che
favoriscano il suo benessere psico-fisico, nonché a garantire lui la possibilità di esprimere le sue opinioni, a ricevere informazioni sulle questioni che più strettamente lo riguardano (come il suo stato di salute) e
a essere coinvolto nelle decisioni che intimamente coinvolgono la sua
persona.
Ciò premesso non si può prescindere dal considerare che il proces128
so che conduce il singolo individuo – maggiore o minore di età – a
“autodeterminarsi” è, nella realtà fenomenologica in cui esso si estrinseca, quanto mai complesso129 e non si riduce al “mero solipsismo della concreta possibilità di determinarsi”130, ma si manifesta sempre più
nei termini di una variabile dipendente dalla compresenza di alcuni
ai genitori di assistere moralmente i figli “nel rispetto delle loro capacità, delle
aspirazione e delle inclinazioni naturali” non possa rischiare di svuotare di
contenuti la funzione educativa riducendola al “rispetto meramente permissivo e
formale di inclinazioni e aspirazioni, qualunque esse siano”. Il rischio che si paventa
è che “in ragione del pluralismo delle visioni di vita” il diritto finisca con l’astenersi
dall’indicare qualunque valore direttivo privando il progetto educativo di contenuti
concreti, si veda F. Viola, Nell’interesse del minore tra sfide vecchie e nuove, Relazione al
Convegno internazionale “prendiamoci cura di me. Servizi, scuole, famiglie per la tutela dei
minori, tenutosi a Rimini, 9-10 novembre 2018.
127
Già l’articolo 17 della Convenzione di N.Y. del 1989 sui Diritti del fanciullo
espressamente riconosce “l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano
affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti
nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere
sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale”.
128
È necessario “guardare alle decisioni non come ad atti, ma come a processi, in cui
domina l’interazione tra i protagonisti e il contesto”, P. Zatti, Maschere del diritto,
volti della vita, Milano, 2009, p. 124.
129
“L’autodeterminazione si presenta come espressione ed esito di dinamiche
complesse” così S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., p. 274.
130
A. Gusmai, Il diritto all’autodeterminazione: una libertà “perimetrata” dal sapere
scientifico?, in www.dirittifondamentali.it, 3 marzo 2019; anche V. Calderai, voce
Consenso informato, cit., p. 227.
Persona minore di età e libertà di autodeterminazione
469
presupposti indispensabili, quali la piena consapevolezza del soggetto agente rispetto alle conseguenze che discendono dalle sue scelte e
condizioni “oggettive” che consentano un’effettiva possibilità di scelta.
Non si tratta, dunque, solo di riconoscere alla persona minore la libertà
di “decidere” in merito alla sua sfera privata, ma di metterla nelle condizioni – soggettive e oggettive – di assumere decisioni consapevoli131.
In una società ormai caratterizzata da un progresso tecnico-scientifico che il più delle volte ci coglie impreparati dinanzi alla necessità
di comprendere e gestire fenomeni destinati a modificare la realtà che
ci circonda e ci coinvolge, potendo interferire con la percezione del
sé oltre che il rapporto con gli altri132, viene, peraltro, da chiedersi chi
siano i detentori delle informazioni in grado di “fare la differenza”,
dove vada ricercata la “fonte della conoscenza” in grado di condurre
alla consapevolezza e, per quel che qui rileva, quale sforzo possa oggi
legittimamente richiedersi al “buon padre di famiglia”, così come “alla
buona madre”, nell’espletamento di quella responsabilità genitoriale
che li vede schierati in prima linea nella frontiera che conduce la persona minore di età dal discernimento all’autodeterminazione.
Nel condividere l’idea che sia compito irrinunciabile delle istituzioni “mettere ciascuno nella possibilità di disporre delle informazioni
necessarie per un adeguato governo di sé”, creare le “condizioni di
una comprensione pubblica della scienza” 133 che possano condurre il
singolo all’assunzione di scelte consapevoli, indispensabile resta individuare strumenti atti a garantire, in relazione alla peculiarità delle scelte da effettuare, strumenti differenziati che tengano conto del
“contesto”, del tempo e della qualità delle decisione, e identificare, ove
possibile, quei soggetti che possono svolgere ruoli collaborativi utili a
finalizzare il processo di autodeterminazione.
La scelta del legislatore di privilegiare soluzioni differenziate, qualificando la persona minore di età come soggetto più o meno “capace” in relazione alle circostanze della sua vita concreta nella famiglia, nella scuola,
131
“La regola giuridica non può risolvere il problema di che cosa significhi essere
pienamente liberi nel momento delle scelte. Ma certamente può anzi deve, costruire
l’insieme delle condizioni necessarie perché il processo di decisione si svolga in
modo tale da assicurare alla persona consapevolezza di ogni sua scelta, controllo di
ogni fase del processo di decisione, chiarezza nell’approdo finale”, S. Rodotà, op. loc.
cit., p. 276; G. Marini, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della
personalità, in Riv. dir. civ., 2006, p. 359 ss., p. 382-383.
132
L. Floridi, La quarta rivoluzione, cit., passim.
133
S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit. p. 279 ss.
470
The best interest of the child
nella società, si palesa – in definitiva – quale conseguenza inevitabile della
intrinseca poliedricità delle relazioni che oggi, più di ieri, coinvolgono in
via diretta soggetti in fase evolutiva sicché appare anacronistico, se non
anche sconveniente, riferirsi alla persona del minore in modo “unitario”.
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Il migliore interesse del bambino in condizione
terminale: i rischi della sottovalutazione
degli aspetti psicologici durante
l’ospedalizzazione
Giovanna Leone
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Spitz e Bowlby: due rivoluzioni teoriche
nella comprensione dei bisogni primari del bambino. –3. La deprivazione delle cure materne e la minaccia ai legami di attaccamento: l’ospedalizzazione vista con gli occhi del bambino. – 4. Un messaggio dal fronte:
le riflessioni degli operatori della oncologia pediatrica. – 5. Il peggior
interesse del bambino: l’esplodere del conflitto tra adulti nelle situazioni
di malattia terminale.
1. Introduzione
Nel ringraziare per l’invito a contribuire a un volume così importante,
vorrei offrire il mio punto di vista di psicologa sociale su un tema che,
sia pure di rilevanza cruciale, mi sembra attualmente ancora non completamente esplorato in tutta la sua complessità: cioè l’attenzione ai
bisogni psicologici del bambino in condizione terminale. Questi bisogni sono parte integrante dell’ampia definizione degli interessi del
bambino malato, proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO), che sottolinea come fondamentali non solo il controllo del dolore e dell’insorgenza di nuovi sintomi, ma anche la consapevolezza
dei problemi psicologici, sociali e spirituali che il bambino deve affrontare quando si trova in una condizione terminale (WHO, 1998).
Malgrado questo alto riconoscimento, tuttavia, il tema dei bisogni
psicologici del bambino in condizione terminale va affrontato nella
sua concretezza. Da una parte, sembra indispensabile tenere conto
delle importanti conoscenze teoriche che la psicologia dello sviluppo
ha ormai raggiunto nella comprensione dell’esperienza di malattia del
bambino; dall’altra parte, molto si può apprendere dalla riflessione di
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The best interest of the child
coloro che, lavorando da decenni con i bambini malati e con le loro
famiglie, sono divenuti osservatori privilegiati della sensibilità dimostrata ai bisogni psicologici dei bambini nelle corso delle cure che vengono loro effettivamente prestate – sensibilità che, se non tradotta in
pratiche operative concrete, rischia di rimanere nell’algido e irrilevante
ambito delle sterili evocazioni di principio.
Lo scopo di questo mio breve intervento è rendere conto per sommi
capi della complessità di questo tema, per sua natura campo elettivo di
ricerca-azione della psicologia, proponendo alcuni spunti di riflessione
del modo in cui il principio basilare di difesa del miglior interesse del
bambino si incarna in questo tipo specifico di esperienza di vita. Per
raggiungere per quanto mi è possibile questo scopo, ricorderò in primo
luogo alcuni avanzamenti teorici classici, che hanno segnato un punto
di svolta nello studio della psicologia del bambino ospedalizzato. Questi studi hanno modificato definitivamente la consapevolezza dei principali bisogni del bambino di cui è indispensabile tener conto, quando
si organizza e si realizza una prassi di cura rivolta a bambini che si
trovano in situazioni cliniche critiche. In secondo luogo, mi riferirò ad
alcune recenti pubblicazioni basate sulle esperienze degli operatori, che
hanno deciso di comunicare le loro riflessioni su quell’apprendimento nato dall’esperienza che è proprio solo di chi si confronta su questi
temi dalla “prima linea” della clinica giornaliera (M.M. Stevens et al.,
2010). Alla luce di questa brevissima rassegna di questi aspetti della più
vasta letteratura psicologica esistente su questi temi, cercherò infine di
considerare i gravi problemi giuridici ed etici emersi in alcuni recenti
episodi di cronaca, rileggendoli alla luce delle raccomandazioni di azione desumibili dalle teorie classiche e dalla riflessione degli operatori.
A mio avviso questi episodi evidenziano quanto ancora ci sia da fare
per tradurre gli imperativi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
in prassi consolidate di protezione psicologica del bambino che si confronta con l’esperienza della sofferenza e della morte.
2. Spitz e Bowlby: due rivoluzioni teoriche
nella comprensione dei bisogni primari del bambino
Per sintetizzare quanto di fondamentale è stato affermato dalla ricerca psicologica nel campo del rapporto tra bambino e cure ospedaliere, appare indispensabile richiamare in primo luogo – sia pure per
sommi capi – il contributo classico dei lavori di Spitz e di Bowlby.
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
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L’impatto dirompente delle pionieristiche osservazioni che Spitz
condusse negli USA sui bambini ospedalizzati, immediatamente dopo
la fine della Seconda Guerra Mondiale, è ben noto. L’innovatività di
tali studi non può essere disgiunta dalle circostanze eccezionali che
caratterizzarono la vita dell’Autore. Spitz era un medico ungherese che
aveva studiato con Freud. Per strutturare il suo rapporto con questo
giovane ed eccezionale collega, il fondatore della psicoanalisi scelse
di adottare per la prima volta la formula della cosiddetta “analisi didattica”, che in seguito riservò ai suoi collaboratori più promettenti (J.
Palombo - B.J. Koch – H.K. Bendicsen, 2009). Dopo aver trascorso una
prima parte della sua formazione e della sua carriera clinica a fianco
di Freud, a somiglianza del suo mentore anche Spitz dovette abbandonare Vienna a causa delle persecuzioni razziali. Dopo un periodo
di attività in Francia nel 1938, con il dilagare della minaccia nazista in
Europa, Spitz si trasferì negli USA. In questo nuovo contesto lavorativo, fu per decenni analista supervisore e membro di Facoltà del New
York Psychoanalytic Institute, diventando un punto di riferimento sul
tema dei danni causati nel bambino dalla deprivazione precoce di cure
materne. A partire dalla sua lunga e accurata osservazione dei bambini
separati dalla madre perché ospedalizzati, Spitz (1945) era infatti giunto ad individuare con precisione i gravissimi danni originati da questa
separazione, non solo a livello dello sviluppo psicologico del bambino, ma anche relativamente al suo stato biologico complessivo. Spitz
comprese in tal modo come la deprivazione di cure materne in ospedale
giungesse a causare ritardi accentuati nella crescita e nello sviluppo e,
in casi estremi, anche la morte del bambino.
Gli studi di Spitz fornirono la prima, drammatica evidenza empirica del grado in cui lo sviluppo psicologico e la salute fisica del bambino dipendano dall’esperienza sensoriale insostituibile provata giornalmente nelle tenere interazioni con i genitori, e nelle vivaci interazioni
sociali assicurate dal contesto familiare. Questa evidenza scientifica
incontrovertibile fece nascere negli operatori e decisori da cui dipendeva la gestione concreta degli ospedali la consapevolezza di dover
cambiare in profondità l’organizzazione ospedaliera, per consentire al
bambino di continuare per quanto possibile a sperimentare le cure materne e genitoriali anche durante il ricovero.
Approfondendo e ampliando gli studi pionieristici sui rischi legati alla
deprivazione precoce delle cure materne, a partire dagli anni ‘50 Bowlby
ideò e perfezionò nel tempo la sua fondamentale teoria dell’attaccamento,
480
The best interest of the child
forse uno dei più maestosi edifici teorici di comprensione del modo in
cui le primissime relazioni tra neonato e figure di accudimento (in primo luogo, ma non esclusivamente, la madre) strutturino tutte le relazioni
sociali successive. Infatti, attraverso il modo ripetuto in cui, fin dalle sue
prime interazioni con il neonato, la madre risponde ai richiami (vagiti,
pianti, proteste) emessi dal figlio in difficoltà, si strutturano gradualmente
nel tempo i Modelli Operativi Interni (MOI) che guideranno da allora in
poi, nel corso di tutta la sua vita, ogni nuovo individuo a prevedere cosa
potrà aspettarsi dalle relazioni intime e, più in generale, in tutte quelle
situazioni in cui ha bisogno di essere aiutato. I MOI sono altamente stabili
perché, essendo acquisiti in età precocissima, non sono stati sottoposti a
quel controllo consapevole che può emergere solo nelle fasi successive
dello sviluppo mentale, con l’acquisizione del linguaggio e della capacità
di riflessione critica cosciente sulle proprie esperienze. Il carattere in larga parte irriflesso di tale influenza precoce è tanto più importante, se si
considera quanto i MOI costruiscano non solo la rappresentazione delle
relazioni con gli altri e del mondo sociale più in generale, ma anche l’immagine che la persona sviluppa di sé. A seconda delle primissime esperienze relazionali con la madre, infatti, ognuno apprende a vedersi come
persona degna di attenzione e di cura, oppure come persona che si trova
a confrontarsi con un ambiente incerto e imprevedibile, o infine come un
individuo isolato che deve far conto solo su di sé e sulle proprie forze.
Grazie alla loro precocità, centralità e difficoltà di autocritica cosciente,
infine, i MOI si trasmettono frequentemente alla generazione seguente,
così che ognuno tenderà a ripetere gli stili di attaccamento che ha vissuto
nell’infanzia nel rapporto con i propri figli.
Per arrivare a questa teorizzazione complessa, il lavoro di Bowlby,
ispirandosi alle opzioni metodologiche dell’etologia, prese le mosse
dall’osservazione diretta dei comportamenti di esplorazione che i bambini compiono spontaneamente, in presenza della madre, negli ambienti in cui si svolge la loro vita (la casa, gli spazi giochi, la scuola). Bowlby
si accorse in tal modo che alcuni bambini esplorano attivamente l’ambiente, ritornando dalla madre solo in caso di bisogno, ad esempio se
si spaventano o si fanno male. Altri, invece, si allontanano con difficoltà dalla madre, e cercano frequenti rassicurazioni anche quando non
devono affrontare particolari difficoltà ambientali. Infine, altri bambini
sembrano del tutto indifferenti alla presenza materna, e non vi ricorrono in caso di bisogno, affrontando da soli l’ambiente senza chiedere mai
l’aiuto della madre.
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
481
Da queste prime osservazioni, e tenendo conto dello stato di completa inettitudine alla nascita del neonato umano, Bowlby avanzò l’ipotesi che la madre, e le altre figure che si prendono stabilmente cura
del bambino, siano evolutivamente portate a rispondere immediatamente ai richiami emessi in modo innato dal bambino. Questa continua interazione tra adulto e neonato struttura nel tempo una relazione
specifica tra il bambino e chi si occupa di lui (in genere prevalentemente, sia pure non esclusivamente, la madre), che l’Autore definì relazione
di attaccamento.
Contributi successivi (M.D.S. Ainsworth et al, 1978; M.D.S.
Ainsworth - B.A. Witting, 1969) chiarirono meglio come la figura di
attaccamento possa costruire la sua relazione con il bambino attraverso
diversi stili di attaccamento. Se la madre è sensibile al richiamo di aiuto
del bambino e risponde tempestivamente, ciò consolida un attaccamento sicuro. Il bambino saprà di poter essere sempre aiutato se richiede vicinanza e supporto dalla madre e dalle altre figure che possono svolgere un ruolo di attaccamento (il padre, i nonni, i fratelli maggiori…). Ciò
lo porterà a esplorare con intraprendenza e coraggio l’ambiente in cui
vive, sapendo di poter contare su una base sicura cui tornare in caso
di bisogno. Tuttavia, un genitore che abbia vissuto nell’infanzia una
relazione di attaccamento insicuro ansioso con le proprie figure di riferimento tenderà ad avvicinarsi al bambino non solo a seguito dei suoi
richiami, ma anche per una propria rassicurazione, cioè in assenza di
bisogno del neonato; questa interazione, che all’inizio serve per placare l’ansia materna, in seguito diviene anche il modello relazionale del
bambino, che richiede continue rassicurazioni e vicinanza pur in assenza di bisogno, diminuendo il raggio di un’esplorazione spontanea che
lo allontanerebbe dalle figure di accudimento. Infine, il genitore di un
neonato può essere stato allevato in una situazione in cui le sue figure
di accudimento hanno ignorato i suoi segnali spontanei, timorosi di seguirne e incrementarne i “capricci”. Questo stile di educazione, diffuso
spesso tramite consigli dati in buona fede ai neo-genitori, rallenta la
tendenza spontanea degli adulti ad accorrere prontamente al segnale
del bambino, incitandoli a fornire assistenza al piccolo solo quando
appare adeguato farlo (ad esempio, nutrendolo secondo orari prefissati e non su richiesta). In questo caso, l’adulto orienta il suo piccolo
verso una seconda forma di attaccamento insicuro, definita evitante, in
cui il bambino impara ad aspettare l’iniziativa dell’adulto, evitando di
chiedere attivamente aiuto. Spesso il comportamento evitante è lodato
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The best interest of the child
dagli adulti, in quanto il bambino è apparentemente indipendente in
tutte le situazioni; ma si tratta di un’indipendenza forzata, che rende
molto difficile per il bambino esprimere in caso di bisogno una richiesta spontanea di vicinanza e conforto, riducendo così la sua capacità di
resistenza nelle situazioni difficili e rischiose. Come si vede, gli adulti
tendono dunque a ripetere inconsapevolmente con i figlio le esperienze di relazione avute con i propri genitori, appunto tramite i Modelli
Operativi Interni di strutturazione relazionale acquisiti nell’infanzia.
Tuttavia, questa tendenza a ripetere uno stile di attaccamento ansioso o evitante può essere corretta dal tipo di relazione instaurato con
il partner – ma solo se il partner ha ricevuto un attaccamento sicuro
nell’infanzia e replica questa sua esperienza anche nelle sue relazioni
intime adulte.
3. La deprivazione delle cure materne e la minaccia
ai legami di attaccamento: l’ospedalizzazione vista
con gli occhi del bambino
Ho richiamato per sommi capi le teorie classiche di Spitz e Bowlby
perché spiegano molto bene i rischi psicologici cui è esposto un bambino ospedalizzato; rischi che si moltiplicano quando la situazione è
molto seria e richiede cure prolungate e dolorose, che il bambino vede
con sconcerto come inspiegabilmente “autorizzate” dai suoi genitori. Se sottovalutata dalla struttura ospedaliera, la deprivazione della
vicinanza continua e affettuosa dei familiari, il ridursi degli spazi di
tenerezza e d’intimità garantiti da quella convivenza familiare quotidiana che l’ospedalizzazione interrompe, possono portare il bambino
nello stato di “depressione anaclitica” ben descritto per la prima volta
da Spitz (1945). D’altro canto, l’allontanamento dalla base sicura delle
sue figure di attaccamento proprio nei momenti più critici e dolorosi
dei trattamenti ospedalieri provoca nel bambino disorientamento, ansia, rabbia e tristezza, minacciandone anche l’immagine interiore di
bambino degno di cura e attenzione, e portandolo a dubitare della sua
amabilità. La convinzione di essere amabile, infatti, nel corso dell’infanzia va continuamente riconfermata dalla vicinanza giornalmente
esperita con la propria figura di attaccamento. Al contrario, questa
convinzione di essere prezioso e degno di attenzione e protezione può
smentirsi dolorosamente se, agli occhi del bambino, il genitore sembra
essere diventato inspiegabilmente insensibile e non accorre più in sua
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
483
difesa, quando il bambino manifesta con il suo pianto e il suo richiamo
il bisogno di essere sottratto a situazioni che lo sovrastano in modo
minaccioso e doloroso.
Con la sua noiosa routine giornaliera, tanto diversa dalla vita quotidiana precedente fatta di vivaci relazioni con i familiari, a scuola, e
di rapporti con gli amici, l’ospedale spinge ogni bambino in uno stato
di deprivazione di cure materne, che va attentamente contrastato consentendo quanto più possibile l’interazione prolungata e costante del
bambino con i propri cari, a partire in primo luogo dai genitori. Ma,
quando la malattia minaccia la sopravvivenza del piccolo, le imposizioni del trattamento ospedaliero hanno il sopravvento su questa fragile ricostruzione di quotidianità, e il bambino rischia di vivere la sua
sofferenza all’interno di quella che per lui è la più grande e definitiva
catastrofe, cioè la separazione dalle figure di attaccamento. A partire
dalla consapevolezza dei risultati di queste grandi ricerche classiche
che abbiamo ricordato per sommi capi, gli operatori che lavorano con
i bambini affetti da malattie che ne minacciano la sopravvivenza riflettono da decenni su come sia possibile organizzare praticamente il
proprio lavoro, in modo da contenere al massimo questi gravi rischi
psicologici per il bambino, che minano alla base le possibilità stesse
di resistenza e di reazione vitale del loro piccolo paziente. Passeremo
ora brevemente in rassegna la riflessione dei clinici rispetto a queste
situazioni difficili, soffermandoci sul caso forse più informativo, relativo alla cura dei bambini in condizioni terminali; un momento in cui,
deposta ogni illusione di invincibilità medica, operatori e familiari si
trovano di fronte al compito più difficile di tutti – accompagnare nel
modo più sensibile, competente e affettuoso possibile il bambino a loro
affidato verso la fine della sua vita.
4. Un messaggio dal fronte: le riflessioni degli operatori
della oncologia pediatrica
Nel 2010, un gruppo di operatori di lunga esperienza del reparto di
oncologia pediatrica dell’Ospedale di Westmead a Sydney, in Australia,
ha deciso di condensare nel capitolo di un libro dedicato al modo in cui
i bambini incontrano la morte la propria lunga esperienza di intervento
clinico (M.M. Stevens - R.J. Sytmeister - M.T. Proctor - P. Bolster,
2010). Presenterò con qualche dettaglio il loro scritto, perché a mio avviso è un interessante esempio di come i problemi teorici evidenziati nelle
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The best interest of the child
teorie classiche, relative alle conseguenze per i bambini di esperienze di
separazione traumatica dalle figure di attaccamento, si colleghino alla
rielaborazione concreta di operatori posti giornalmente di fronte a questo tipo di problemi. Nel loro reparto, questi clinici avevano incontrato
in decenni di esperienza più di 3600 pazienti. Di questi, circa 2600 erano sopravvissuti; ma 997 erano deceduti, a volte dopo pochi giorni dal
ricovero, a volte dopo un periodo di cura che si era prolungato anche
per anni. Nella sintesi della loro esperienza, gli operatori propongono
in primo luogo di distinguere le situazioni estreme in cui si trovano i
loro piccoli pazienti in due grandi categorie: le malattie che minacciano
la vita e le malattie che limitano la vita. Le prime sono malattie “potenzialmente curabili, ma che possono rivelarsi fatali se i trattamenti
falliscono o se si verificano complicazioni fatali durante il trattamento”.
Le seconde sono “gravi malattie infantili di natura progressiva e infine
minacciosa per la vita, per cui non sono ancora disponibili al momento
cure adeguate e per cui il team dei curanti non si aspetta che il paziente possa sopravvivere oltre la prima età adulta” (M.M. Stevens - R.J.
Sytmeister - M.T. Proctor - P. Bolster, 2010, p. 147-148). In sintesi,
la differenza sta nel fatto che nelle malattie di minaccia della vita (lifethreathning) esiste una possibilità di cura, che appare invece irrealistica
nelle malattie che mettono un limite alla vita (life-limiting) (S. Liben D. Papadatou - J. Wolfe, 2008, p. 852). Malgrado questa fondamentale
differenza, l’aspetto che accomuna queste due categorie di diagnosi è
il bisogno di sostenere il bambino nel suo far fronte alla possibilità di
poter morire.
Questo comune obiettivo, tuttavia, assume connotazioni diverse
se lo si guarda dal punto di vista del bambino, della sua famiglia o
dei suoi curanti. E ogni prassi operativa concreta nasce dunque dalla
continua negoziazione tra questi tre diversi punti di vista. Sebbene
con molti punti di sovrapposizione reciproci, infatti, le preoccupazioni (concerns) di questi tre protagonisti possono essere anche molto
diverse ed entrare talvolta in frizione tra loro. Per considerare più in
profondità le differenze tra le diverse prospettive del bambino, dei
suoi familiari e dei suoi curanti dobbiamo analizzare la complessità
delle dimensioni che modellano queste prospettive. Noteremo allora che la diversa percezione dei rischi creati dalla malattia può essere riferita a tre diversi livelli di cause: legate ad aspetti strettamente
personali, o a posizionamenti sociali, o infine al più ampio dibattito
culturale che investe la rappresentazione del fine vita. Commentando
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
485
tale complessità in un loro contributo di discussione sul tema, esperti
in cure palliative pediatriche hanno elencato cause riferibili a “fattori
personali come personalità, valori (che comprendono valori spirituali,
religiosi, e culturali), abilità cognitiva, benessere, storia personale, ed
esperienza; fattori socio-demografici, che comprendono l’età, il livello di educazione, e lo status economico; fattori contestuali che vanno
dall’influenza dei pari alla disponibilità di risorse, o eventi salienti al
momento, quali la forte attenzione dei media alla controversia sul fine
vita” (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008, p. 853).
È evidente tuttavia che questa tripartizione in cause personali, socio-demografiche e contestuali riguarda la prospettiva degli adulti. Al
contrario, lo spazio di esperienza vitale del bambino, come abbiamo
già in parte discusso in precedenza, è ancora totalmente centrato sulle
relazioni con le figure di attaccamento e sull’esperienza della tenerezza genitoriale, e la rilettura della propria situazione può essere perciò
profondamente diversa da quella degli adulti che lo circondano. Ogni
sforzo fatto per agire nel migliore interesse del bambino dovrebbe tenere in conto in primo luogo di questa originalità del punto di vista
del piccolo paziente; tuttavia, sono ancora relativamente poche le ricerche che si sono incaricate di studiarne la specificità. Certamente, questa
scarsa esplorazione empirica può essere compresa alla luce della giusta
preoccupazione di non sovraccaricare ulteriormente la già difficile situazione che il bambino si trova a vivere (S.A. Sartain - C.L. Clarke
- R. Heyman, 2000). Tuttavia, esistono alcuni studiosi che hanno deciso
di approfondire il punto di vista del bambino, arrivando a risultati sorprendenti. Queste ricerche sono basate su metodi di ricerca tipici dello
studio di queste fasi precoci dell’evoluzione personale, quali l’uso di
giochi, vignette e narrazioni, e usano forme di interrogazione diretta
solo quando queste possono essere adattate al livello di comprensione
e all’età del bambino. I loro risultati ben complementano quelli, basati ovviamente solo sull’osservazione diretta, dei bambini malati in fasi
precocissime e pre-linguistiche, in cui si può usare solo l’osservazione
del comportamento del bambino, costruendo le proprie griglie di osservazione a partire dalle previsioni teoriche classiche di Spitz e Bowlby.
I dati di tipo verbale raccolti dallo studio della prospettiva da cui il
bambino considera la sua situazione di malattia hanno mostrato che,
quando vengono interrogati in modo adatto alla loro età, a partire dai
10 anni tutti i bambini sono non solo in grado, ma anche desiderosi di
parlare della loro esperienza e delle decisioni che riguardano la possibile
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The best interest of the child
fine della loro vita (P.S. Hinds et al., 2005). Poiché si accetta ormai nella
letteratura psicologica l’evidenza dell’esistenza di una consapevolezza
della morte sia nei bambini malati che in quelli sani, non è più oggetto
di controversia il fatto che anche il bambino sia un soggetto da tenere
presente nelle pratiche attuali di consenso informato (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008).
Inoltre, studi condotti con tecniche semiproiettive (giochi, invenzione di favole, commento di vignette) con bambini di età inferiore a
10 anni gravemente ammalati hanno dimostrato che l’esperienza personale è molto più importante della capacità cognitiva acquistata per il
semplice avanzare dell’età nell’elaborare una riflessione sulla propria
malattia. “Così, un bambino di 3 o 4 anni può comprendere ben di più
della sua prognosi di un bambino intelligentissimo di 9. I bambini in
condizione terminale non solo comprendono di stare per morire ben
prima dell’imminenza della morte; mantengono anche segreta questa
loro conoscenza, per evitare di causare ulteriore dolore nei loro genitori e per ridurre il rischio di essere abbandonati da chi amano e da chi
ha cura di loro a causa dell’ansia causata da questa loro rivelazione.
Invece, i bambini, così come i loro genitori e chi si occupa delle cure,
elaborano un minuzioso rituale di mutuo inganno, nel quale ognuno
dei partecipanti ritiene che il paziente stia morendo, ma agisce come se
il paziente debba sopravvivere” (M.M. Stevens - R.J. Sytmeister - M.T.
Proctor - P. Bolster, 2010, p. 155).
Se lo studio dei bambini che sono padroni del linguaggio, condotti
con tecniche adeguate alla loro età, ha portato a concludere sulla presenza di una consapevolezza precoce dei piccoli in situazioni cliniche
estreme, molto invece deve essere ancora capito delle fasi precedenti, in
cui i bambini si trovano ancora in stadi pre-linguistici. È quindi molto
raro che, nella definizione di ciò che può essere considerato l’interesse
migliore di bambini di questa età in situazione terminale, venga tenuta
presente non solo la reazione dei genitori e della famiglia, ma anche la
reazione psicologica dei bambini stessi, sia pure riferita a situazioni in
cui il bambino è ancora incapace di verbalizzare e simbolizzare le proprie esperienze. Eppure, quanto abbiamo appreso dagli studi sulle fasi
più precoci dello sviluppo grazie all’apporto classico di Spitz e Bowlby
e ai ricchissimi contributi di ricerca empirica che questi contributi pionieristici hanno ispirato, ci invita a riflettere su quali siano i rischi psicologici di fronte a una presa di decisione clinica che, se dibatte molto
su tutti gli aspetti che riguardano il corpo del bambino, molto spesso
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
487
trascura la sua gravissima sofferenza psicologica. Questa mancata comprensione degli adulti espone il bambino a una sofferenza ulteriore,
che il piccolo non sarà in grado di esprimere verbalmente e di rappresentarsi simbolicamente, ma che tuttavia proverà sicuramente, se sarà
allontanato da quelle figure da cui dipende filogeneticamente ogni suo
benessere psico-fisico. Anche il bambino che non sa ancora parlare e
rappresentarsi mentalmente la sua angoscia, non può infatti non reagire alla carenza di cure materne e genitoriali, e al distacco dalle figure
di attaccamento. La difficoltà di decidere in situazioni che già si configurano come e veri e propri dilemmi etici può essere dunque acuita in
modo molto grave da questa sottovalutazione di una soggettività che,
non potendo ancora comunicare compiutamente con padronanza linguistica il suo vissuto, rischia spesso di essere semplicemente ignorata.
Abbiamo assistito in passato alla sottovalutazione sistematica degli
adulti delle conseguenze della deprivazione della tenerezza materna,
considerata irrilevante negli ospedali e negli orfanotrofi “scientifici”
studiati nel dopoguerra da Spitz. Abbiamo dovuto lottare teoricamente contro la confusione tra una generica dipendenza infantile da qualsiasi adulto in grado di nutrirlo e curarlo accettabilmente e il bisogno
psicologico di base del bambino di mantenere l’attaccamento con almeno un’altra persona con cui possa essere stabilmente legato – confusione che gli studi inaugurati da Bowlby hanno definitivamente risolto.
Analogamente, per i bisogni psicologici del bambino piccolissimo, che
non è ancora in grado di parlare e che si trova in situazione di malattia
terminale, dobbiamo riconoscere di essere in presenza di un campo di
indagine poco esplorato e sottovalutato. Se molto resta ancora da comprendere, le conoscenze sistematizzate da Spitz e Bowlby forniscono
certamente una fondamentale traccia da cui partire, anche grazie alle
tecnologie attuali che consentono di eseguire osservazioni molto più
dettagliate di quelle possibili all’epoca di questi studi classici (si pensi
solo, per citare alcuni esempi, alla possibilità attuale di tracciare il contatto oculare, o di riconoscere i micro-movimenti facciali che indicano
le principali emozioni).
Tuttavia, anche se ancora moltissima ricerca deve essere condotta
per cercare di accompagnare un bambino nelle primissime fasi di sviluppo nell’esperienza del fine vita, alcune considerazioni possono certamente essere avanzate già da ora, per descrivere ciò che non bisogna
fare per aggravare questi momenti già così dolorosi con un’ulteriore
minaccia ai bisogni psicologici di base del bambino.
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The best interest of the child
5. Il peggior interesse del bambino:
l’esplodere del conflitto tra adulti nelle situazioni
di malattia terminale
Esistono purtroppo diversi casi recenti di cronaca che ci mostrano
come il momento straziante del congedo precoce di un bambino dalla
vita possa essere complicato da quella che è di sicuro una situazione
nel peggiore interesse del bambino in condizioni di malattia terminale. Mi riferisco al conflitto che può esplodere tra gli adulti che si occupano di lui con diverse funzioni: funzioni di cura genitoriale e di
attaccamento, e funzioni cliniche. Questo conflitto può arrivare fino
al punto da richiedere l’arbitrato di un giudice; mentre la malattia che
minaccia la vita del bambino continua inesorabilmente il suo corso. È
nella memoria di tutti il caso del piccolo Charlie Gard. Anche se i suoi
genitori chiedevano di poterlo accogliere a casa per i suoi ultimi giorni,
dopo che i fondi raccolti dalla generosità popolare per tentare una cura
sperimentale in America si erano rivelati inutili a causa del protrarsi
della disputa con l’ospedale di Londra in cui era ricoverato, la giustizia
inglese si è schierata con la volontà dei medici e ha ordinato la sospensione delle cure, perché il piccolo Charlie non poteva certamente guarire dalla sua malattia. Molto è stato discusso su questo scivolamento
semantico tra inguaribilità e incurabilità, aspramente contestato da chi
si occupa di cure palliative e di assistenza ai bambini chi vivono in
una condizione terminale (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008).
L’impossibilità della Corte inglese di trovare una composizione accettabile tra tutti gli adulti coinvolti nella controversia, che è stata risolta
con una decisione netta che ricorda la spada che Salomone usò come
minaccia per concludere la disputa tra due donne che si dichiaravano
entrambe madri di un bambino conteso, getta un’ombra inquietante
sull’incapacità degli adulti di armonizzare senza violenza le proprie
diverse prospettive nella gestione delle fasi terminali della vita di un
bambino. Senza entrare nello specifico di una situazione così drammatica, che richiederebbe un lungo esame critico, l’esempio di questo caso
recente dimostra che gli psicologi hanno ancora molto lavoro da fare
per sottolineare che l’interesse di base del bambino non è solo evitare
al massimo la sofferenza fisica, ma anche mantenere fino alla fine il
legame e la convivenza con le figure di attaccamento, il cui equilibrio
interiore va per quanto possibile preservato, perché da esso dipende
quello del figlio. Solo ampliando e approfondendo le nostre ricerche
Il migliore interesse del bambino in condizione terminale
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sull’ambiente relazionale di base necessario al bambino in condizioni
terminali, a partire dalle primissime fasi di sviluppo in cui il bambino
non può ancora esprimere verbalmente né concettualizzare compiutamente i suoi vissuti, potremo dire come psicologi di aver contribuito a
dare sostanza alla massima che dovrebbe muovere tutti gli adulti che
si prendono cura di queste situazioni: Maxima debetur puero reverentia.
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The best interest of the child tra persona e contratto
Roberto Senigaglia
Sommario: 1. Il superamento del dogma della capacità d’agire. – 2.
Diritto all’ascolto e attività patrimoniale del minore di età. – 3. Capacità
di discernimento, autodeterminazione e autonomia del minorenne. –
4. Segue. Dagli atti della vita quotidiana agli atti della vita corrente.
– 5. Responsabilità genitoriale e interessi patrimoniali del figlio. – 6.
Consenso al trattamento dei dati personali e consenso contrattuale.
1. Il superamento del dogma della capacità d’agire
Gli itinerari teorici sull’interesse del minore di età sovente si imbattono
nella questione della capacità di agire, del momento dell’esercizio dei
diritti solennemente riconosciuti al soggetto, e dunque dello spazio di
autodeterminazione al medesimo accordato dall’ordinamento.
Si tratta di questioni fondamentali che la scienza giuridica domestica
ha affrontato, in modo approfondito, già a partire dalla seconda metà
del secolo scorso con importanti contributi1 volti a mettere in dubbio la
tenuta del dogma della totale incapacità di agire del minore di età2, della
sua inidoneità a esercitare i propri diritti con la conseguente esclusione
dall’attività giuridica.
1
Il riferimento è principalmente a P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica
della persona umana, con la prefazione di R. Pane, rist. dell’edizione del 1975, Napoli,
2018, passim; F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, in Dir. fam., 1982, p. 61; F.
Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, passim; G. Palmeri, Diritti
senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 15 ss.
2
Il quadro storico e ideologico in cui tale concezione prende forma è ben tratteggiato
da F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 5 ss., spec. p. 49 ss. V. inoltre
F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, IX ed., Milano, 1957, p. 236.
492
The best interest of the child
Il superamento del dogma, tuttavia, è riuscito soltanto in parte e
principalmente facendo leva su un altro assioma dogmatico: quello
della distinzione tra atti patrimoniali e atti non patrimoniali3.
Questa la sintesi del ragionamento è: atteso che la capacità di agire è
un istituto di diritto patrimoniale, sì come la rappresentanza associata
allo stato di incapacità4, il criterio per definire l’idoneità del minorenne
ad esercitare i propri diritti personali (non patrimoniali) va rintracciato in
un altro ambito problematico, diverso da quello della capacità di agire5.
Sull’onda del personalismo costituzionale e nella prospettiva metodologica dell’interpretazione costituzionalmente orientata, presi a referenti normativi principalmente gli artt. 2 e 3 Cost., si è così giunti a
riconoscere in capo al minorenne munito della capacità di discernimento,
ovvero della maturità che consente di distinguere ciò che è conforme
da ciò che è contrario al proprio interesse, il potere di autodeterminarsi
in ordine ai propri interessi di natura personale. Considerato, infatti, che
rispetto ai diritti posti a tutela di tali interessi intimamente legati alla
persona – che trovano la loro sintesi assiologica nell’identità personale –
titolarità ed esercizio sono per definizione inseparabili – poiché l’uno si
svolge nell’esplicazione della personalità del soggetto cui fa capo l’altra
– nel momento in cui nell’individuo prende forma la sua identità l’esercizio dei diritti personali non può che spettare direttamente a lui soltanto.
Di qui la lettura delle singole previsioni normative, contenute nel
e fuori dal codice civile6, le quali riconoscono al minorenne margini
di autonomia decisionale (come nell’ipotesi di matrimonio, riconoscimento del figlio, consenso al riconoscimento del genitore, interruzione
volontaria della gravidanza, accesso ai mezzi necessari per conseguire
le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile,
richiesta del tossicodipendente di essere sottoposto ad accertamenti
3
Si veda, in proposito, S. Thobani, Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più
tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018, p. 54 ss.
4
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 61.
5
P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la
prefazione di R. Pane, cit., p. 67 ss.
6
Una rassegna di queste ipotesi in P. Vercellone, Gli aspetti personali della potestà dei
genitori, in G. Collura - L. Lenti - M. Mantovani (cur.), Filiazione, in P. Zatti (dir.)
Tratt. dir. fam., vol. II, II ed., Milano, 2012, p. 1245 ss.; M. Piccinni, I minori di età, in
C.M. Mazzoni - M. Piccinni, La persona fisica, in G. Iudica - P. Zatti (cur.), Tratt. dir.
priv., Milano, 2016, p. 404 ss.; A.C. Moro, in M. Dossetti - C. Moretti - M. Moretti
- P. Morozzo della Rocca - S. Vittorini Giuliano (cur.), Manuale di diritto minorile,
VI ed. Bologna, 2019, p. 380 ss.
The best interest of the child tra persona e contratto
493
diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo, scelta dello studente di scuola secondaria di secondo grado di
avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica,
ecc.), non più in termini di eccezioni alla regola generale dell’incapacità
totale d’agire, bensì come espressioni specifiche del principio generale
espresso dall’art. 2 Cost. 7. Il quale si riferisce all’uomo in quanto tale,
senza distinzioni di età, riconoscendogli i diritti inviolabili “sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; l’articolo seguente, poi, indica, quale compito della Repubblica, quello di
“rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana” (art. 3, comma 2, Cost.). Svolgimento della personalità e sviluppo della persona umana implicano il dinamismo relazionale,
che si attua nella realizzazione, senza interruzioni, degli interessi individuali, identitari.
In definitiva, al soggetto minore di età che sia passato dalla fase di
etero-edificazione (specie ad opera dei genitori) dell’identità personale
alla fase di auto-affermazione della stessa, e dunque alla maturazione
della capacità di discernimento, deve essere ragionevolmente riconosciuto il potere di attuare i propri diritti personali, quelli cioè posti a
tutela dell’essere identitario. Sì che, anche nelle ipotesi in cui la legge
prevede che la volontà debba essere espressa (recte manifestata) dal genitore, come nel caso del consenso/rifiuto ai trattamenti sanitari (art. 3,
legge n. 219/2017), il ruolo genitoriale è quello di trasmettere, in senso
formale, la volontà liberamente esternata nella relativa scelta dal figlio
capace di discernimento. In breve, il ruolo del genitore non coincide
tanto con quello tecnicamente assegnato al rappresentante, in funzione
cioè sostitutiva, bensì si inscrive nel senso della cura, della partecipazione al best interest sì come individuato dal figlio, di assistenza in funzione
di controllo della libertà decisionale8.
7
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 61. V. inoltre F. Giardina,
I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 1977, p. 1390; L. Tafaro, L’età per l’attività, Napoli, 2018, p. 241 ss.; E.
La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei
diritti dei minori, Milano, 2005, p. 20 ss.; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti
della capacità, Padova, 2007, p. 23 ss.; A. Nicolussi, voce Autonomia privata e diritti
della persona, in Enc. dir., Annali 2007, Milano, 2011, p. 149 ss.; G. Capilli, La capacità
negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, Torino, 2012, p. 27 ss.
8
Ci sia consentito rinviare in proposito al nostro “Consenso libero e informato” del
minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, p. 1318 ss.
494
The best interest of the child
A fronte di tale approdo ermeneutico, riguardante il profilo dell’esercizio dei diritti personali, più critico e comunque meno diffuso è
l’approccio al margine di autonomia contrattuale del minore di età, più
in generale alla sfera degli interessi patrimoniali facenti capo al medesimo, la cui attinenza all’ambito applicativo della capacità di agire ha
condotto, in prevalenza, a limitare quello spazio di autonomia agli atti
della vita quotidiana o agli atti giuridici in senso stretto. Per il resto, il
minorenne è ritenuto incapace di contrarre, proprio perché incapace di
agire; tant’è che il contratto da lui eventualmente concluso è da considerarsi affetto da “invalidità”, sub specie di annullabilità.
Ebbene, al cospetto del sistema assiologico che attualmente ordina
il diritto minorile, tale assunto esige di essere sottoposto a una critica
ricostruttiva: è proprio nel dialogo ermeneutico tra principi, regole e
realtà sociale9 che è dato cogliere in capo al soggetto minorenne munito della capacità di discernimento l’idoneità a realizzare i propri interessi patrimoniali e quindi a concludere contratti.
2. Diritto all’ascolto e attività patrimoniale del minore di età
La conclusione appena abbozzata richiede argomenti a supporto
nonché la definizione dei limiti, per lo più procedurali, dell’ambito
operativo della capacità contrattuale, resi necessari dalla situazione (sia
pure residuale) di vulnerabilità in cui il soggetto minorenne comunque
versa e dalle esigenze di tutela della sicurezza dei traffici giuridici.
Ora, la inter-comunicazione della rete delle fonti multilivello10, le
quali considerano il minore di età nella sua dimensione relazionale e
istituiscono principi che reclamano l’adeguamento delle relative regole11, proietta l’immagine di un soggetto la realizzazione dei cui diritti soggettivi è presidiata da una trama valoriale che ordina il sistema
9
Su tale approccio metodologico si rinvia, in particolare, a L. Mengoni, Il “diritto
vivente” come categoria ermeneutica, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996,
p. 149 ss.; V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio “personalista” in
Italia e nell’Unione europea, in Riv. dir. civ., 2010, p. 146 ss.
10
Il riferimento è principalmente ai principi espressi dalla Costituzione, dalla Carta dei
diritti fondamentali UE, dalla Convenzione EDU, ma anche dalle fonti internazionali
più strettamente dedicate al minorenne, vale a dire alla Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con l. 27 maggio
1991, n. 176) e alla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del
25 gennaio 1996 (ratificata dall’Italia con l. 20 marzo 2003, n. 77).
11
In proposito v. F. Giardina, “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ.,
2016, p. 1611 ss.; C. Camardi, Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo,
The best interest of the child tra persona e contratto
495
delle relazioni con soggetti minori di età e le cui coordinate sono: a)
la considerazione preminente dell’interesse superiore del fanciullo in
tutte le decisioni che lo riguardano; b) il diritto del minorenne, munito
della capacità di discernimento, di esprimere liberamente la propria
opinione sulle questioni che lo interessano; c) la necessaria considerazione dell’opinione così espressa, tenendo conto dell’età e del grado di
maturità dell’interessato; d) il diritto del minore di essere ascoltato in
tutte le questioni che lo riguardano.
Un impianto fondativo, questo, che oltre a veicolare l’attività ermeneutica in funzione della realizzazione del superiore interesse del minore, esige un mutamento di prospettiva nella ricostruzione del tipo
di problema di cui ci stiamo occupando: non più quella dell’adulto ma
quella, appunto, del best interest of the child12. Da questo punto di vista,
l’art. 2 c.c. si presta di più a una lettura “in positivo”, che veda nel
compimento del diciottesimo anno di età non tanto il passaggio fulmineo da uno stato di incapacità a uno di capacità bensì il momento in
cui il soggetto acquisisce la pienezza del potere di autodeterminarsi, di
“compiere tutti gli atti”, senza tuttavia escludere che prima di questo
istante, strettamente anagrafico, egli possa porre in essere autonomamente atti di esercizio dei propri diritti13.
La prospettiva del superiore interesse del minore è stata pervasivamente assunta anche dal legislatore della riforma del diritto della filiazione, il quale ha inserito nel codice civile una norma che esprime la direttiva di ogni percorso valutativo concernente il rapporto genitori-figli,
strutturato non più all’insegna del binomio potere-soggezione bensì di
quello cura-partecipazione14; si tratta dell’art. 315 bis c.c., il cui inserimento
Torino, 2017, p. 184 ss.; E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività
e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, p. 168 ss.
12
Cfr. E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999,
p. 80 ss.; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per
uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 5 ss.; M. Bianca, L’uguaglianza dello stato
giuridico dei figli nella recente legge n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, II, p. 205 ss.;
L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss.; E.
Lamarque, Prima di bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva
costituzionale, Milano, 2016, passim, spec. p. 64 ss.; G. Recinto, Il superiore interesse del
minore tra prospettive interne “adultocentriche” e scelte apparentemente “minorecentriche”
della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., I, 2017, p. 3669 ss.; V. Scalisi, Il
superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss.
13
Cfr. A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 24.
14
F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 64, già alla luce dei significati
introdotti dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, è giunta a ritenere essersi
496
The best interest of the child
nell’impianto del codice e nel titolo dedicato alla responsabilità genitoriale assume un valore simbolico e politico di portata sistematica e sistemica,
nonostante recepisca significati già affermati in altri luoghi normativi. Ed
è specialmente il riconoscimento al figlio minorenne che abbia compiuto
i dodici anni di età o anche di età inferiore purché sia capace di discernimento del diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure
che lo riguardano, che attiva i meccanismi di resilienza di cui è munito
il sistema al fine di superare gli steccati dogmatici eretti all’insegna della
capacità di agire, tra cui l’incapacità a contrarre del minore di età.
Il diritto di ascolto, in quanto generato dalla capacità di discernimento dell’interessato, si traduce nel diritto del minorenne di far valere il proprio interesse nei percorsi valutativi che lo riguardano15. È
un diritto il cui ambito operativo si estende a “tutte le questioni”, senza
alcuna distinzione basata sul carattere patrimoniale o personale delle
stesse; d’altronde, la stessa collocazione della norma nel Titolo dedicato alla responsabilità genitoriale e ai diritti e doveri del figlio, non può
giustificare una distinzione sì fatta16.
Ebbene, il riconoscimento del diritto all’ascolto fa sì che nel minore
di età munito della capacità di discernimento si scorga l’interprete autentico del proprio best interest; sì che nel momento in cui tale soggetto
esprime il proprio interesse nell’indirizzarsi a scelte personali o patrimoniali, queste scelte non possono che essere recepite.
La questione sull’autodeterminazione e autonomia del minorenne
ha senso dunque porsi con riguardo ai c.d. “grandi minori”, a quei soggetti cioè che sono muniti della capacità di discernimento17; la quale, nel
attuata una modificazione della condizione giuridica del minore nella famiglia:
“Non più soggezione ma protezione che, col maturare del soggetto, tende a divenire
partecipazione alla vita del nucleo familiare”. Si veda, inoltre, P. Ronfani, Dal
bambino protetto al bambino partecipante. Alcune riflessioni sull’attuazione dei “nuovi”
diritti dei minori, in Soc. dir., 2001, p. 77 ss.
15
Sul diritto all’ascolto si rinvia a P. Ronfani, op. cit., p. 79 ss.; E. La Rosa, Tutela dei
minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit.,
p. 40 ss.; C.M. Bianca, Il diritto del minore all’ascolto, in Leggi civ. comm., 2013, p. 546
ss.; P. Virgadamo, L’ascolto del minore in famiglia e nelle procedure che lo riguardano, in
Dir. fam., 2014, p. 1656 ss.; G. Ballarani, Il diritto all’ascolto, in C.M. Bianca (cur.), La
riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 129 ss.; I. Bitonti, Perenne attualità dell’istituto
dell’ascolto del minore, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 1069 ss.; R. Pesce, L’ascolto del minore
tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Fam. dir., 2015, p. 252 ss.
16
Si veda F. Ruscello, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Familia,
2002, p. 933 ss.
17
Cfr. F. Ruscello, Minori di età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a
The best interest of the child tra persona e contratto
497
nostro ordinamento si presume conseguita al dodicesimo anno di età,
potendo però essere dimostrata sussistere in un periodo antecedente.
Per di più, rispetto alla realizzazione degli interessi patrimoniali,
il diritto reclama un cambiamento, a fronte di una fenomenologia che
conosce soggetti infradiciottenni attori del mercato, specialmente nel
ruolo di consumatori18; e in ragione di ciò, in quanto sistema dinamico,
attiva i suoi congegni autocorrettivi.
Nella pratica avviene, infatti, che i soggetti della fascia di età
coperta dalla presunzione di capacità di discernimento acquistano
beni e servizi, sia on line sia off line, costituendo un vero e proprio
mercato del consumo minorile; e per l’acquisto utilizzano risorse
pecuniarie messe a loro disposizione e mezzi di pagamento a loro
intestati, come ad esempio carte prepagate19. Strumenti, questi,
che comunque garantiscono il controllo (nella specie preventivo)
del genitore20; il quale stipula il contratto di conto corrente al quale è collegato il mezzo di pagamento oppure il contratto relativo
al collocamento di un libretto di risparmio o al rilascio della carta
pre-pagata, decidendo anche la disponibilità massima giornaliera,
settimanale e mensile o anche l’ambito geografico (attraverso la geolocalizzazione) entro il quale consentire l’utilizzo dello strumento
(di pagamento e/o di prelievo) elettronico21. Verso l’esterno però il
mezzo di pagamento, intestato al minorenne, consente a quest’ultimo di concludere direttamente contratti con i terzi.
A questo dato di fatto, se ne aggiunge un altro più di taglio antropologico: pur essendo in media aumentata la disponibilità di risorse di
cui godono gli adolescenti di oggi rispetto a quelli di ieri, è evidente
“supernorme”, in Fam. dir., 2011, p. 404 ss.; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori.
Analisi comparata e prospettive di riforma, cit., p. 43 ss.
18
Così D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di
consumare, in Riv. dir. impr., 2011, p. 76. V. anche E. Andreola, Il regime degli acquisti
on line del minore quale consumatore “debole”, in Familia, 2017, p. 687.
19
Si veda M. Cinque, Il minore e la contrattazione telematica tra esigenze del mercato e
necessità di apposite tutele, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 24 ss.; A A.C. Moro, in
M. Dossetti - C. Moretti - M. Moretti - P. Morozzo della Rocca - S. Vittorini
Giuliano (cur.), Manuale di diritto minorile, VI ed. Bologna, 2019, p. 367.
20
Cfr. P. Longo, L’attività negoziale del minore nei rapporti con le banche, in Contratti, 1999,
p. 716.
21
A tutto questo si aggiunge che in molti settori dell’e-commerce per portare a
compimento un’operazione è richiesto di utilizzare il proprio account Facebook, in
alternativa alla registrazione, e di effettuare il pagamento utilizzando anche una
carta prepagata o altro strumento di pagamento.
498
The best interest of the child
che tali risorse (anche finanziarie) mutano da soggetto a soggetto in
base alle condizioni sociali, familiari, culturali ed economiche e con
esse mutano anche le aspirazioni individuali e i relativi interessi.
Va aggiunto, inoltre, che, per la realizzazione dei propri interessi
(anche) patrimoniali, il minorenne capace di discernimento, come ogni
altro soggetto, può pure disporre di risorse non pecuniarie, cedendo
un proprio bene materiale, ma anche disponendo, come meglio diremo, di un proprio “bene” personale.
Ebbene, tale scenario non si presta, evidentemente, a essere governato con criteri rigidi, che segnino il confine tra ciò che è consentito e
ciò che non lo è.
Peraltro, la fenomenologia richiamata riguarda un’attività (patrimoniale) che senz’altro eccede gli atti della vita quotidiana, il cui compimento, come accennato, è generalmente riconosciuto dalla scienza giuridica
a tali soggetti, anche in forza della estensione analogica della previsione
dell’art. 409 c.c. 22; il quale riconosce al beneficiario (dell’amministrazione
di sostegno) il potere di “compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”, vale a dire quegli atti (normalmente esemplificati nell’acquisto di un libro, di un gelato, di una bibita, ecc.
23
) che, se negati al soggetto incapace, si finirebbe col far degenerare gli
strumenti di protezione in strumenti di emarginazione sociale.
22
In proposito, si veda E. Calò, L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, in
Corr. giur., 2002, p. 780; S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministrazione
di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, p. 46; M.
Dossetti, Effetti dell’amministrazione di sostegno, in M. Dossetti - M. Moretti C. Moretti, L’amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e
dell’inabilitazione, Assago, 2004, p. 78. Considera invece “azzardata” l’estensione
analogica D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità
di consumare, cit., p. 86. L’A. ritiene tuttavia affascinante un’interpretazione
evolutiva delle norme sull’incapacità che muovendo dal senso della disciplina
dell’amministrazione di sostegno “qualifichi l’incapacità non come uno stato
giuridico del soggetto da cui deriva inesorabilmente la preclusione dell’agire, bensì
una condizione da valutare in riferimento a singoli atti”.
23
Si veda M. Cinque, Il minorenne contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p.
99, la quale segnala che la visione tradizionale pare ancorata al parametro della
“minutezza”, al fatto che l’atto sia di modesta entità. V. anche F. Ferrara, Diritto
delle persone e di famiglia, Napoli, 1941, p. 50; P. Stanzione, Capacità e minore età nella
problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 292 ss.; R. Pescara,
I provvedimenti di interdizione e inabilitazione e le tecniche protettive dei maggiorenni
incapaci, in P. Rescigno (dir.), Tratt. dir. priv., 3, Persone e famiglia, IV, Torino, 1982, p.
764; P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Comm.
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 52 ss.; P. Stanzione, I contratti del minore, in
Eur. dir. priv., 2014, p. 1237 ss.; A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, cit., p. 366.
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499
L’attività patrimoniale del minorenne munito di capacità di discernimento si spinge oltre questi atti; anzi, si tratta proprio della fascia di
età in cui, nella dinamica evolutiva dell’autonomia, il soggetto passa
dalla dimensione routinaria degli atti della vita quotidiana – quelli ripetitivi, che scandiscono la vita di tutti i giorni – agli atti di maggiore
rilevanza economica.
Ora, è evidente che dinanzi alla tipizzazione sociale di tale attività24, penetrata a pieno titolo nel mercato, una soluzione normativa che
contempla una sorta di miracolo della maggiore età – che apre le porte
del mercato a un soggetto reputato, irragionevolmente, qualche istante
prima del tutto incapace di accedervi25 – appare indubbiamente avulsa
dalla realtà, alla quale peraltro il diritto non può non rendere conto
cogliendo gli stimoli innescati dai suoi mutamenti26.
Da tutto ciò discende che anche la tenuta della visione unitaria
della categoria dell’incapacità legale viene meno, poiché la situazione del minore di età va distinta dalle altre figure: nel primo caso, si è
in presenza di una situazione dinamica, in divenire27, di un soggetto
in cammino verso la piena capacità, connotato da diverse cromature
della maturità razionale (oltre che fisica) mano a mano destinate a
sfumare28; negli altri casi, invece, la situazione è statica e può mutare
generalmente per effetto di un provvedimento giudiziario di segno
contrario29.
24
Cfr. D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di
consumare, cit., p. 77-78.
25
Si veda D. Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, in Dir. succ. fam., 2015, p. 700.
26
P. Grossi, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. 27 ss.; C. Camardi, Certezza e incertezza
nel diritto privato contemporaneo, cit., p. 43 ss.
27
Cfr. G. Ballarani, La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e
principi), in P. Perlingieri - S. Giova (cur.), Comunioni di vita e familiari tra libertà,
sussidiarietà e inderogabilità, Napoli, 2019, p. 324.
28
Già nel diritto romano, in relazione all’età, si distingueva tra soggetti impuberes e
puberes (con Giustiniano l’inizio della pubertà è fissato per le donne in dodici anni,
per gli uomini in quattordici anni). Nell’ambito dell’età impuberes, si distingueva
l’età dell’infantia nel Digesto giustinianeo il limite dell’infantia è fissato nel
compimento del settimo anno di età); così A. Burdese, voce Età (dir. rom.), in Enc.
dir., XVI, Milano, 1967, p. 79. V. anche F. Viola, I diritti e le età della vita, in Lavoro
sociale, 13, 2013, p. 7 ss.
29
G. Arena, voce Incapacità (diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 909 ss.
500
The best interest of the child
3. Capacità di discernimento, autodeterminazione
e autonomia del minorenne
Nell’ambito patrimoniale la questione dell’autonomia da riconoscere al soggetto minore di età, privo della capacità di agire, riguarda principalmente gli atti di natura negoziale, posto che per quelli
non negoziali la scienza giuridica teorica e pratica ha già da tempo
chiarito che rileva tutt’al più la capacità naturale anziché quella legale30, sempre a condizione che l’atto non sia pregiudizievole per
il minorenne31. Peraltro, dovendo tutelare il superiore interesse del
minore, quello della vantaggiosità non può che assurgere a criterio
generale della definizione dello spazio di autodeterminazione e di
autonomia da accordare al minore di età.
Ebbene, ammessa generalmente l’idoneità al compimento diretto
dei c.d. atti della vita quotidiana e degli atti non negoziali vantaggiosi
per l’interessato, il profilo di interesse riguarda il riconoscimento, in
capo all’infradiciottenne, della capacità contrattuale per ciò che va oltre
la “quotidianità”.
In proposito, infatti, diversamente dalle conclusioni a cui è giunta
la scienza giuridica con riguardo alle previsioni tipiche di esercizio dei
diritti personali, relativamente alle norme che riconoscono al minore di
età autonomia patrimoniale – in materia di contratto di lavoro, emancipazione, esercizio e tutela del diritto d’autore, tutte accomunate dal
riferimento a un soggetto minorenne, in età coperta dalla presunzione
di idoneità a discernere32 – si continua a intenderle come eccezioni alla
regola generale della incapacità contrattuale. La quale, pertanto, tende a
essere ancora legata alla categoria della capacità di agire, accompagnata
dal regime rimediale delineato dagli artt. 1425 e 1426 c.c.: il contratto
30
Cfr. V.M. Trimarchi, Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940, p. 102 ss.; F.
Santoro Passarelli, voce Atto giuridico, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 204 ss.,
il quale segnala che per alcuni atti in senso stretto è richiesta la capacità di agire,
segnatamente “per quegli atti in senso stretto dai quali deriva o può derivare
indirettamente una disposizione” (op. cit., 212); P. Stanzione, Capacità e minore
età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p.
152-153; C.M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica i soggetti, II ed., Milano,
2002, p. 233 ss.
31
Così, Cass., 13 ottobre 2017, n. 24077, in Foro it., 2018, p. 601, con nota di S. Stefanelli,
Verso la capacità di agire del minore: il caso degli atti giuridici in senso stretto.
32
Particolarmente esplicita, in questi termini, è la l. n. 977/1967 sulla tutela del lavoro
dei bambini e degli adolescenti, così come modificata dal d. lgs. 4 agosto 1999, n. 345.
Si veda anche il d. lgs. 1° dicembre 2009, n. 179.
The best interest of the child tra persona e contratto
501
concluso dal soggetto incapace di contrattare, perché incapace di agire,
è annullabile, fatta salva l’ipotesi in cui il minore abbia occultato con
raggiri la sua minore età33.
Aspetto senz’altro significativo nell’ordine dei nostri ragionamenti
è che si tratta comunque di un rimedio, quello dell’annullabilità, che
non attiene alla zona normativa dell’atto bensì dell’effetto34 e che quindi dà luogo a un atto provvisoriamente efficace e destinato a divenirlo definitivamente a seguito dell’esecuzione o della prescrizione della
relativa azione (ferma restando la sopravvivenza dell’eccezione ex art.
1442, comma 4)35.
Ebbene, muovendo dalla cornice assiologica, dianzi tracciata, che ordina il diritto minorile – sintetizzabile nel binomio valoriale a) tutela prevalente del best interest of the child, b) diritto di ascolto del minore munito
della capacità di discernimento in tutte le questioni che lo riguardano
– l’approccio ermeneutico alla previsione dell’art. 2 c.c., secondo la quale
“con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i
quali non sia stabilita un’età diversa”, senza che quest’ultimo rinvio sia
associato a un principio di tassatività, porta a ricostruire, nel dialogo tra
regole e principi, l’intenzione del legislatore nel senso di riconoscere nel
minorenne capace di discernimento l’idoneità a partecipare (nei termini
che andremo a spiegare) al compimento degli atti. Il riferimento, peraltro, pare essere proprio agli atti patrimoniali se è vero che la categoria
della capacità è tipicamente riferita a tale ambito problematico36.
33
Cfr. M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 9 ss.; F.
Giardina, L’art. 1426 c.c. tra annullabilità del contratto a tutela del minore e validità del
contratto come “rimedio” a favore dell’altro contraente, in E. del Prato (cur.), Studi in
onore di Antonino Cataudella, t. II, Napoli, 2013, p. 1073 ss. Sul carattere eccezionale
e di stretta applicazione della previsione di cui all’art. 1426 c.c., si veda Cass., 4
luglio 2012, n. 11191, in Dir. fam. pers., 2014, 39, con nota di A. Venchiarutti, Raggiri
dell’inabilitato per occultare la propria incapacità: il contratto non sarà annullabile?
34
A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17 e 21.
35
Cfr. M. Prosperetti, Contributo alla teoria dell’annullabilità, Milano, 1973, p. 74 e ss.;
U. Majello, La patologia del contratto annullabile, in Riv. dir.civ., 2003, p. 339 e ss. L.
Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 231 ss.
36
Così A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17; P. Stanzione, Capacità e minore
età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 154
il quale esprime la convinzione che “la previsione della capacità di agire si deve
rinvenire nel contesto della regolamentazione legislativa afferente a ciascun gruppo
di atti e, qualora disciplina positiva non vi sia, si deve dedurre dalla natura del
singolo atto”. Su questa possibilità v. anche L. Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 229
ss. Una diversa convinzione è espressa da M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e
limiti della capacità, cit., p. 54-57.
502
The best interest of the child
Ora, l’impatto del binomio valoriale suddetto nel nostro ordinamento va inteso non soltanto alla luce della rete di fonti interne, sovranazionali e internazionali più volte evocate, ma anche delle soluzioni
adottate da altri ordinamenti, specie da quelli della nostra stessa tradizione giuridica37. Le aperture espresse da questi ultimi all’autonomia contrattuale del minore fungono da efficace supporto, in chiave
comparatistica, alla definizione dei criteri e dei limiti che presiedono la
capacità contrattuale del minorenne nel contesto normativo interno38.
Peraltro, in quest’ottica ricostruttiva, guardando alle fonti internazionali, è forte l’impulso partente dalla Convenzione di Strasburgo
sull’esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996, ove, nel delineare l’oggetto dell’intervento normativo, sancisce che esso è volto a
“promuovere nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere
loro diritti azionali e facilitarne l’esercizio”.
L’idea, in sintesi, è che proprio per effetto del carattere “insaziabile” 39 del diritto all’ascolto (inscindibilmente legato alla capacità di
discernimento), quale diritto fondamentale, si genera la capacità del
“minore grande” di autodeterminarsi in ordine ai propri interessi, anche di carattere patrimoniale. Difatti, se è vero che la capacità di agire,
da un lato, e il rimedio dell’annullabilità dall’altro, sono posti a protezione della libertà individuale dell’interessato nonché della tutela del
patrimonio suo e della sua famiglia40, con riguardo al soggetto minorenne, ma prossimo alla maggiore età, la soluzione di accordargli codesta libertà al compimento del diciottesimo anno41 stride con la realtà
razionale dell’interessato, ormai valorizzata dal diritto nella forma della
capacità di discernimento e in termini di partecipazione diretta alle
37
Si rinvia ad A. Gambaro, La tradizione giuridica occidentale, in A. Gambaro - R. Sacco,
Sistemi giuridici comparati, IV ed., in R. Sacco (dir.) Tratt. dir. comp., Torino, 2018, p.
31 ss.
38
In quest’ottica si sono posti pure G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto
comparato, in I Contratti, 2004, p. 520 ss.; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e
limiti della capacità, cit., p. 140 ss.; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori. Analisi
comparata e prospettive di riforma, cit., passim; E. Andreola, Gli acquisti online del minore
tra invalidità dell’atto e responsabilità dei genitori, in Contratto e impresa, 2018, p. 961 ss.
39
Si veda, in proposito, V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018, p. 48. V.
anche E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno
statuto dei diritti dei minori, cit., p. 205 ss.; A. Pintore, Diritti insaziabili, in L. Ferrajoli,
Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Roma-Bari, 2008, p. 179
ss.; L. Antonini (cur.), Il traffico dei diritti insaziabili, Catania, 2008, p. 86 ss.
40
A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17.
41
Si veda C. Ruperto, voce Età (dir. priv.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 86.
The best interest of the child tra persona e contratto
503
scelte. Una realtà che, come dicevamo, conosce cromature differenti
nelle varie stagioni della minore età; sì che, proprio con riguardo a tale
soggetto, pare più corretta non una soluzione generale e astratta, ma
una che guardi agli assetti del singolo atto e alle condizioni reali in cui
versa la persona42.
4. Segue. Dagli atti della vita quotidiana agli atti
della vita corrente
Un tentativo di superare la netta distinzione tra atti personali e atti
patrimoniali è stato operato dalla dottrina nel momento in cui ha riconosciuto la capacità contrattuale del minore di età con riguardo agli
atti funzionali alla realizzazione di interessi di carattere personale. È
senz’altro ragionevole, in effetti, ritenere che se si accorda al minorenne munito della capacità di discernimento l’esercizio diretto dei suoi
diritti personali, allo stesso debba essere pure riconosciuto il potere di
compiere gli atti patrimoniali necessari alla realizzazione degli interessi protetti da quei diritti, pena la loro negazione (ne è un esempio il
contratto di associazione)43.
Ma nel senso dell’art. 2 e 3 Cost. e della cornice assiologica dello
statuto giuridico del “minore grande” si immettono pure quei contratti che costituiscono uno strumento di esplicazione della personalità,
quelli cioè che si inseriscono in un orizzonte funzionale identitario e la
cui individuazione, perciò, cambia in ragione dell’età e delle condizioni familiari, sociali, culturali ed economiche dell’interessato.
Non si tratta degli atti della vita quotidiana44, quelli cioè routinari
che scandiscono la vita di tutti i giorni e neppure, stando alle tradizionali classificazioni basate sulla portata dell’impatto patrimoniale, degli
atti di ordinaria amministrazione, così come rigidamente individuati
anche dalla giurisprudenza45.
42
Cfr. L. Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 222 ss.
43
In questo senso F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 68; P. Stanzione,
Scelte esistenziali e autonomia del minore, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1151; M. Giorgianni,
In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, I, p. 107; G. Palmeri, Diritti
senza poteri. La condizione giuridica dei minori, cit., p. 80; E. La Rosa, Tutela dei minori e
contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 65.
44
M. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, p. 297 ss. riferisce la categoria
agli atti di scarso valore patrimoniale, che appartengono alla vita di relazione che
ciascuno conduce tutti i giorni.
45
Cfr, ex multis, Cass., 15 maggio 2003, n. 7546, in banca dati De jure. Si veda, inoltre, D.
504
The best interest of the child
L’inidoneità di queste categorie a garantire l’effettività46 del best
interest del minorenne sta nel fatto che esse guardano alla tipologia
di atto e non alle condizioni della persona; la tutela prevalente del superiore interesse del minore esige, viceversa, di assumere il punto di
vista del soggetto che pone in essere l’atto e non tanto e soltanto quella
della natura e della portata economica dell’atto che è stato compiuto.
Una categoria più appropriata, perché flessibile e porosa, è piuttosto quella di conio francese degli “atti della vita corrente”, capace
di legare l’atto alla persona, agli interessi propri di un soggetto di
quella fascia di età selezionati tenendo conto delle condizioni personali. Si tratta evidentemente di un concetto indeterminato, di un
“concetto valvola”, presidiato da coordinate organizzate all’insegna
di una cifra identitaria e che opera un inevitabile rinvio alla prassi47.
Ebbene, assumendo il lume della “tavola dei valori” costituzionali48,
la negazione al soggetto infradiciottenne munito della capacità di discernimento dell’autonomia contrattuale rispetto a questi atti contrasterebbe
evidentemente con gli artt. 2 e 3 Cost., atteso che si tradurrebbe in un
ostacolo allo svolgimento e allo sviluppo della personalità individuale49:
trattandosi di atti a connotazione identitaria, è chiaro che il loro compimento è ontologicamente legato all’affermazione della personalità.
Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, cit., 725, la quale ritiene “che il minore
possa generalmente essere considerato capace di porre in essere atti di ordinaria
amministrazione, salvo che i genitori, nell’esercizio della loro funzione genitoriale e
sulla base della valutazione che essi meglio di chiunque altro sono in grado di fare
circa la capacità di discernimento del proprio figlio, intervengano espressamente
avocando a sé il compimento degli atti o impedendone l’esecuzione”.
46
Sul profilo problematico dell’effettività si rinvia a E. Navarretta, Costituzione, Europa
e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, cit., passim.
47
Si veda J. Carbonnier, Droit civil. Les personnes. Personnalité, incapacités, personnes
morales, XVII éd., Paris, 1990, p. 143 ss. La regola ora contenuta nell’art. 388-1-1 era
già espressa dall’art. 389-3, poi abrogato dall’Ord. 2015-1288 del 15 ottobre 2015. Il
riferimento agli atti consentiti dagli usi era inteso, soprattutto dalla giurisprudenza,
come autorizzazione al compimento di quegli atti non economicamente importanti,
che possono essere necessari, utili, e che sono frequenti come il contratto di trasporto
pubblico, l’acquisto di generi alimentari o di materiale scolastico, ma pure atti
economicamente più importanti finalizzati però a soddisfare bisogni personali
(spese informatiche, sportive, ecc.). Cfr. anche F. Terré - C. Goldie-Genicon - D.
Fenouillet, Droit civile. La famille, IX éd., Dalloz, Paris, 2018, p. 941.
48
A. Baldassare, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 1991, p. 639 ss.
49
Cfr. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la
prefazione di R. Pane, cit., p. 316-318; F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti
patrimoniali, in Riv. dir. civ., 2000, p. 282, il quale sottolinea che la Carta Costituzionale
ha reciso il nesso tra capacità e personalità; G. Mattucci, Lo statuto costituzionale del
minore di età, Padova, 2015, p. 3 ss.
The best interest of the child tra persona e contratto
505
In conclusione, il carattere definitivo degli effetti ha ragione di essere riconosciuto ai contratti posti in essere dal minorenne capace di
discernimento, con mezzi messi a sua disposizione e concernente beni
o servizi offerti dal mercato usualmente frequentato da soggetti che
versano nelle medesime condizioni personali.
Si tratta di quanto disposto espressamente dal Code civil, il quale riconosce l’autonomia del soggetto minore di età rispetto agli atti a carattere personale e ai c.d. atti sicuri (les actes dépourvus de danger), che
comprendono gli atti conservativi, di amministrazione non pregiudizievoli e gli atti consentiti dagli usi, tra cui, appunto, gli atti della vita
corrente. Segnatamente, l’art. 1148 Cod. civ., modificato dall’Ordonnance
2016-131 del 10 febbraio 2016, sancisce che tutte le persone incapaci di
contrarre possono comunque compiere direttamente “les acts courants”,
autorizzati dalla legge o dagli usi, purché siano conclusi a “conditions
normales”, non risultino cioè pregiudizievoli per l’incapace; in questi
stessi termini si pone l’art. 1149 – nel testo pure novellato dall’Ordonnance 2016-131 – il quale dispone che “les actes courants” compiuti da
un soggetto minorenne possono essere annullati per semplice lesione.
Ma pure nel diritto tedesco è fatto salvo il contratto concluso dal
minore con risorse messe a sua disposizione dal rappresentante legale
o, con l’approvazione di questi, da un terzo, per quello specifico scopo o
per un utilizzo libero (§ 110 BGB). È la cosiddetta regola della “paghetta”, che comunque fa salvo, in origine, il consenso del rappresentante legale50. Mentre nel diritto inglese sono considerati validi i contratti
del minore aventi a oggetto beni definiti necessaries, da individuare in
base alle condizioni di vita del soggetto nel momento in cui conclude
il contratto51, all’esito cioè di una valutazione da operarsi in concreto e
non secondo le rigidità proprie della logica formale, della generalità e
dell’astrattezza52. In sostanza, la categoria si riferisce a quegli atti aventi
50
Cfr. G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, cit., p. 525; G. Capilli,
La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, cit., p. 67 ss.
51
Si veda la Section 3 del Sale of Goods Act 1979, dedicata alla Capacity to buy and sell. Si
rinvia a G.H. Treitel, The law of contract, VIII ed., London, 1991, p. 482 ss., il quale
osserva che la tendenza della giurisprudenza è di ampliare le categorie di beni
che possono definirsi necessaries. V. anche A. Venchiarutti, L’attività contrattuale
dell’incapace nel diritto inglese. I “contracts for necessaries” e i “beneficial contracts
of service”, in P. Cendon (cur.), Scritti in onore di R. Sacco. La comparazione giuridica
alle soglie del 3° millennio, I, Milano, 1994, p. 1143 ss.; G. Alpa, I contratti del minore.
Appunti di diritto comparato, cit., p. 521.
52
Cfr. A. Venchiarutti, op. cit., p. 1145 ss., il quale precisa che, stando alla
giurisprudenza britannica, “le caratteristiche proprie del bene vengono comparate,
506
The best interest of the child
ad oggetto beni o servizi funzionali a mantenere e sviluppare il singolare
stato di vita dell’interessato, che muta quindi da minore a minore; sì
che uno stesso bene (anche di valore economico non trascurabile) può
risultare necessary per un certo soggetto mentre per un altro no53.
5. Responsabilità genitoriale e interessi patrimoniali
del figlio
L’architettura valoriale e concettuale che struttura il diritto minorile contemporaneo si imprime pure sui significati delle procedure che
scandiscono l’esercizio della responsabilità genitoriale rispetto agli interessi patrimoniali del figlio minorenne.
Il nostro codice, anche se non articola una definizione della responsabilità genitoriale, inserendo la relativa disciplina nel senso della tutela prevalente del best interest of the child, fa cogliere un significato
consistente nell’insieme dei diritti e dei doveri riconosciuti al genitore,
il cui fine è la realizzazione dell’interesse del figlio minorenne54.
Questo profilo funzionale, che indica nel best interest la prospettiva
da assumere nelle decisioni genitoriali riguardanti il figlio, ha delle
importanti ricadute sul rapporto di filiazione, specialmente sul ruolo
dei genitori; il quale muta mano a mano che il figlio cresce, che prende
forma la sua identità personale: fino a questo momento, infatti, l’esercente la responsabilità genitoriale è chiamato a interpretare l’interesse
del figlio, sostituendolo nell’attività giuridica, in breve sceglie il genitore per il (nell’interesse del) figlio; emersa la sua identità personale e
maturata la capacità di discernimento, ovvero di saper selezionare ciò
che è conforme al proprio interesse e determinarsi di conseguenza, decide il figlio con l’assistenza del genitore o – nei casi previsti dalla legge
per gli atti personali e per gli atti patrimoniali che eccedono la vita corrente – agisce il genitore con l’ascolto del figlio minorenne. In sostanza,
in quest’ultima fase dell’età evolutiva minorile, la “rappresentanza”
da un lato, con il livello di vita del contraente incapace e, dall’altro, con la situazione
quale si presenta al momento in cui figura concluso il contratto”; M. Cinque, Il
minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 142 ss.
53
G.H. Treitel, The law of contract, cit., p. 481. A logiche analoghe è ispirata, ad
esempio, la soluzione del diritto scozzese dettata dagli artt. 1-3 dell’Age of legal
capacity (Scotland) Act 1991 nonché, con riguardo alle fonti persuasive, dall’art. 150,
comma 1, del Code européen des contrats, avant-projet.
54
È questo il significato che l’art. 371-1 Code civil, modificato dalla Loi n. 2013-404 del 17
marzo 2013, attribuisce all’autorité parentale.
The best interest of the child tra persona e contratto
507
dei genitori si traduce sempre – come ben definisce, ancora una volta,
il legislatore francese – nell’associare il figlio alle decisioni che lo riguardano, in ragione (appunto) della sua età e maturità55.
In ultima istanza, la capacità di discernimento fonda l’idoneità del
soggetto di determinarsi, senza ingerenze esterne, in ordine ai propri
interessi giuridicamente tutelati, sia di carattere personale sia di carattere patrimoniale. Sì che anche quando si tratta di atti che eccedono la
vita corrente, la cui stabilità effettuale richiede che siano posti in essere
“rappresentante legale”, costui non riveste il ruolo di rappresentante
in senso tecnico, ovvero di sostituto del rappresentato, bensì deve farsi portatore (recte “curatore”) della volontà liberamente manifestata da
quest’ultimo, ritenuto ormai capace di identificare e realizzare i propri
interessi. Si assiste, in definitiva, al passaggio dalla logica autoritaria a
quella partecipativa, dalla rappresentanza all’assistenza/cura, in cui il
rapporto di filiazione si svolge all’insegna di un principio di “democrazia parentale” 56.
Da tutto ciò discende un mutamento del paradigma di riferimento
della capacità contrattuale: specie con riguardo al minore di età, l’elevata densità assiologica del diritto di ascolto del minorenne munito
della capacità di discernimento, che si traduce nel potere di far valere
il proprio interesse nei processi decisionali che lo riguardano, indipendentemente dal carattere patrimoniale o non patrimoniale dei “beni”
implicati, fa assurgere la capacità di discernimento a referente categoriale
per l’affermazione della capacità contrattuale del minorenne57.
Il mutamento di paradigma può dunque sintetizzarsi nel passaggio
dalla capacità di agire alla capacità di discernimento.
55
Così si esprime l’art. 371-1, comma 3, Code civil, anche se la dottrina francese ritiene
che la norma, in base alla sua collocazione topografica, riguardi soltanto le questioni
di carattere personale e non quelle di carattere patrimoniale; si veda, in proposito, F.
Terré - C. Goldie-Genicon - D. Fenouillet, Droit civile. La famille, cit., p. 950.
56
Cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, cit., p.
408, il quale osserva che “solo la reale partecipazione dello stesso minore alla
individuazione dei propri interessi oltre che all’attuazione dei correlativi diritti può
garantire il pieno e integrale soddisfacimento degli uni e degli altri, perché non vi è
migliore tutore dei propri interessi e diritti all’infuori dello stesso soggetto portatore
dei medesimi”. V. anche L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv.
dir. civ., 2016, 111.
57
Cfr. A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro
- A. Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 319
ss.; R. Caterina, Ai confini dell’autonomia, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 459 ss.
508
The best interest of the child
Conclusione, questa, a cui si è giunti agendo direttamente sul sistema, attivando i suoi congegni autocorrettivi, senza mettere in atto tentativi teorici di edificazione dell’autonomia contrattuale del minorenne
tutt’altro che idonei allo scopo; il riferimento è alla nota teoria che ravvisa nel minorenne che stipula un contratto di scarsa importanza economica il ruolo di rappresentante dei genitori, con la conseguenza di far
ricadere gli effetti dell’atto sui genitori e non sulla sua sfera giuridica58.
Ora, stando ai significati recepiti dal nostro ordinamento, specie
nell’art. 315 bis c.c., al dodicenne o anche al soggetto di età inferiore
purché munito della capacità di discernimento deve riconoscersi il
potere di concludere direttamente contratti della vita corrente, che riguardano cioè beni o servizi offerti nel mercato del consumo minorile,
parametrati alle sue condizioni di vita e acquistati con mezzi messi a
sua disposizione59.
Ma il radicamento della capacità contrattuale nella capacità di discernimento conduce pure a ridefinire il senso e il significato dei meccanismi sostituivi e autorizzativi di cui all’art. 320 c.c. nonché del sistema dei rimedi di cui agli artt. 322, 1425 e 1441 c.c.
Da un lato, infatti, se la ratio della regola dell’incapacità di agire/
incapacità contrattuale del minorenne nonché del rimedio dell’annullabilità è sempre stata ravvisata nella necessità di tutelare la sua libertà decisionale – sulla base della precomprensione che si tratti di
un soggetto che, per la sua età, non è in grado di svolgere valutazioni
razionali in conformità al proprio interesse – e il patrimonio suo e della
sua famiglia60, questa finalità non ha ragione di essere perseguita nei
riguardi di un minorenne capace di discernimento, di valutare e decidere conformemente al proprio interesse, che acquista beni o servizi
con mezzi messi a sua disposizione.
58
In proposito v. G. Palmeri, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, cit.,
p. 76; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, III ed., Milano, 2019, 0, p. 93 ss.; G.
Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, cit., p. 517 ss.; M. Cinque, Il
minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 107 ss.; D. Di Sabato, Il contratto
del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 83; E. Andreola, Il
regime degli acquisti on line del minore quale consumatore “debole”, cit., p. 693.
59
Si veda D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di
consumare, cit., p. 84.
60
Così F.D. Busnelli, Il diritto delle persone, in I cinquant’anni del codice civile. Atti del
convegno di Milano, 4-6 giugno 1992, I, Milano, 1993, p. 30.
The best interest of the child tra persona e contratto
509
D’altro canto, se il criterio limite61 della rappresentanza dell’esercente
la responsabilità genitoriale è costituito dalla “necessità o utilità evidente”
(art. 320 c.c.)62 dell’atto per il figlio, vale a dire dalla manifesta funzionalità al suo interesse63, l’infradiciottenne capace di discernimento che contrae per soddisfare (quello che egli ritiene liberamente essere) il proprio
interesse non arreca alcun pregiudizio a sé e al suo patrimonio, anzi si
procura un vantaggio quale “miglior giudice dei propri interessi”64, con
la conseguente stabilità dei relativi effetti.
Tant’è che anche volendo immaginare, rispetto a un contratto sì
fatto, un possibile giudizio di annullamento promosso dai genitori, la
loro carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. emergerebbe chiaramente all’esito del necessario ascolto del figlio interessato da parte
del giudice dell’annullamento; il quale dovrebbe peraltro accertare,
anzitutto, che i genitori abbiano assunto la decisione di far caducare
gli effetti dell’atto con il figlio, dopo averlo ascoltato. Allo stesso modo,
a sostegno del fatto che la rappresentanza si atteggia ora (sempre con
riguardo al c.d. “minore grande”) come assistenza/cura, anche per il
compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (art. 320,
comma 3, c.c.) l’ascolto del minore – sempre dovuto in base alla previsione di cui all’art. 315 bis (“in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardano”) e volto a confermare se l’atto è conforme alla “necessità
o utilità evidente” del figlio – sarebbe in grado di paralizzare l’autorizzazione del giudice al compimento dell’atto o anche all’esercizio dell’azione per il suo annullamento. Anche in tal caso, comunque, l’ascolto
dovrà essere reiterato nel giudizio di annullamento con possibili esiti
valorizzanti la volontà del minorenne65.
61
Superato il quale possono anche essere attivati i rimedi di cui agli artt. 330-337 c.c.
In particolare, la decadenza dalla responsabilità genitoriale può essere pronunciata
anche quando il “grave pregiudizio del figlio” è di carattere patrimoniale. Si
è osservato, in proposito, che si tratta “di una norma di chiusura, valida sia per
i profili personali sia per i profili patrimoniali dell’esercizio” della responsabilità
genitoriale; così F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 54, la quale
precisa ulteriormente che in caso di cattiva amministrazione opera l’art. 334, mentre
l’art. 333 per non sovrapporsi all’ambito operativo del primo, pare doversi limitare
ai profili personali della responsabilità genitoriale.
62
Cfr. F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, cit., p. 292.
63
Si veda, in proposito, Cass., 29 maggio 2014, n. 12117, in Foro it., 2014, I, 2498, con nota
di C. Bona, L’annullamento parziale del contratto e l’”eterointegrazione del contraente”.
64
R. Caterina, Ai confini della autonomia, cit., p. 466.
65
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 67; F. Giardina, La
condizione giuridica del minore, cit., p. 97.
510
The best interest of the child
Insomma, il giudice sia in sede di autorizzazione all’esercizio
dell’azione ex art. 320, comma 3, c.c. sia in sede di giudizio di annullamento, sussistendone i presupposti di cui all’art. 315 bis, deve esperire l’ascolto66; a meno che non motivi che esso è contrario all’interesse
del minore o manifestamente superfluo (art. 336-bis); e se all’esito
dovesse emergere che è interesse del minore mantenere in vita l’atto,
perché a lui non pregiudizievole, “necessario o utile”, il giudice dovrebbe (a seconda del tipo di procedimento) non autorizzare l’azione
o dichiarare, anche d’ufficio, la carenza di interesse ad agire67.
Dal principio dell’ascolto in uno con la categoria della capacità di
discernimento discende, pertanto, l’affermazione dell’autonomia decisionale dell’interessato anche in ordine ai suoi interessi patrimoniali, nel senso che le relative scelte devono essere espressione della sua
volontà, pur se attuate per mezzo di procedure differenti, in ragione
dell’importanza economica dell’atto parametrata al margine di vulnerabilità che comunque residua anche in capo al “minore grande”68. In
questo senso si diceva che mentre per gli atti eccedenti la vita corrente
è il genitore a porli in essere con l’ascolto del minore (e nei casi previsti
dalla legge con l’autorizzazione – avente funzione di controllo – del
giudice) 69; per quelli che rientrano nella vita corrente è il minore a porli
in essere con l’assistenza (la cura) del genitore, non in senso formale ma
sostanziale, avente funzione di controllo della libertà del figlio.
66
Alla luce dei principi da ultimo affermatisi, prende pieno vigore quanto acutamente
affermato in dottrina negli anni ‘80 del secolo scorso, ritenendo “non azzardato
ipotizzare che il giudice debba valutare l’opportunità dell’iniziativa del genitore
alla luce non solo di un generico interesse del minore, ma anche, quando ciò sia
possibile, delle intenzioni di quest’ultimo”, così F. Giardina, La condizione giuridica
del minore, cit., p. 97.
67
F. Giardina, op. cit., p. 102, giunge così a constatare “una sorta di non impugnabilità
ex post, da parte dei genitori, dei contratti conclusi dal minore, in mancanza di
ragioni di “necessità o utilità evidente” per il figlio, o anche – si potrebbe aggiungere
– in assenza della dimostrazione, da parte dei genitori, di un interesse del minore
all’annullamento dell’atto”.
68
Si veda R. Caterina, Ai confini dell’autonomia, cit., p. 467, il quale riferisce che almeno
per i “minori grandi” sembra “crescere l’opinione della tendenziale vincolatività
delle volontà espresse (salvo che specifiche circostanze mettano in discussione la
capacità di discernimento del minore, per una sua generale immaturità o per le
pressioni psicologiche a cui è sottoposto)”.
69
Cfr. F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, cit., p. 306. L’A. ritiene
più corretto operare la distinzione in funzione della personalità del minore, nel
senso di considerare di ordinaria amministrazione quegli atti che non incidono su di
essa, mentre di straordinaria amministrazione quelli che incidono (ivi, 303).
The best interest of the child tra persona e contratto
511
In ogni caso, rispetto al figlio minorenne con capacità di discernimento
il ruolo genitoriale non consiste in quello tecnicamente proprio della rappresentanza bensì nell’assistenza, nell’associarsi all’interesse del figlio così
come dallo stesso affermato70. Un’assistenza/associazione che soltanto per
taluni atti assume carattere formale, di controllo preventivo, per quelli cioè
che devono essere posti dal genitore con l’ascolto del figlio; invece, per gli
atti della vita corrente, il ruolo assistenziale dei genitori perde ogni connotato formale per sostanziarsi in un controllo a posteriori dell’attività del
figlio al fine di tutelare la sua libertà.
Ora, un possibile rilievo critico al riconoscimento al minorenne della capacità contrattuale rispetto agli atti della vita corrente potrebbe
riguardare, come è spesso avvenuto, la tutela dell’affidamento di chi
contrae con il minore. Pare, tuttavia, che si tratti di un falso problema.
Anzitutto perché la questione della stabilità degli effetti del contratto
concluso nell’interesse del minore, e dunque la certezza delle situazioni giuridiche acquisite, si presenta anche quando l’atto sia stato compiuto dai genitori e siano state seguite tutte le procedure, anche autorizzative, previste dal codice. Chi contrae con i genitori, regolarmente
autorizzati, ad esempio per acquistare un immobile di proprietà del
figlio, potrebbe comunque vedersi annullare il contratto per “abuso
della rappresentanza”, anche su ricorso del minore una volta raggiunta la maggiore età71.
Peraltro, rispetto agli atti della vita corrente del minore pare difficile non ritenere giustificato, e dunque tutelato, l’affidamento del terzo
contraente alla stabilità degli effetti. Atteso, infatti, che si tratta di atti
usualmente conclusi da soggetti minorenni capaci di discernimento, in
mercati dagli stessi frequentati, a condizioni standard, con mezzi messi a
loro disposizione (spesso con mezzi di pagamento a loro intestati) 72, nella piena consapevolezza e approvazione non soltanto sociale, ma anche
giuridica (basti pensare ai riferimenti del codice del consumo a informa70
Su tale concetto si rinvia al nostro, Consenso libero e informato” del minorenne tra
capacità e identità, cit., p. 1329.
71
F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 69, osserva che tale
conclusione “può, indubbiamente, nuocere alla certezza dei traffici e indebolire
la tutela dei terzi contraenti. Ma è l’unica conclusione che consenta di non tradire
l’opzione di fondo imposta all’interprete dai principi costituzionali, nel senso
dell’attribuzione di un’assoluta priorità alla protezione dell’interesse del minore”.
72
Si veda, in proposito, F. Giardina, L’art. 1426 c.c. tra annullabilità del contratto a tutela
del minore e validità del contratto come “rimedio” a favore dell’altro contraente, cit., p. 1073
ss.
512
The best interest of the child
zioni rivolte ai minori, come nella previsione dell’art. 31, che attestano la
raffigurazione legislativa del minorenne come potenziale contraente73),
l’affidamento riposto sulla loro validità ha ragione di essere tutelato, se
non altro sulla base della prassi radicata74.
6. Consenso al trattamento dei dati personali e consenso
contrattuale
La capacità contrattuale del minore di età capace di discernimento rispetto agli atti della vita corrente pare oggi trovare una conferma
formale nella disciplina sulla protezione dei dati personali (Reg. UE n.
2016/679) coordinata con quella dei contratti di fornitura di contenuti
o di servizi digitali, di cui alla Dir. UE n. 2019/770/UE.
Ebbene, a fronte di quanto sancito dall’art. 8, par. 1, del Regolamento privacy, che riconosce al minorenne che abbia compiuto (almeno)
sedici anni il potere di esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della
società dell’informazione75, consentendo agli Stati membri di fissare
un’età diversa, ma non inferiore ai tredici anni76; a fronte di ciò, dicevamo, la questione ermeneutica che si pone concerne il significato
da attribuire al par. 3, il quale dispone che la regola sul consenso del
sedicenne non pregiudica “le disposizioni generali del diritto dei contratti
degli Stati membri, quali le norme sulla validità, la formazione o l’efficacia di
un contratto rispetto a un minore”.
Alla luce di quanto abbiamo cercato sin qui di ricostruire in termini
di capacità a contrarre nell’orizzonte di senso della capacità di discernimento, giungendo all’articolazione della regola generale che riconosce
73
Cfr. D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di
consumare, cit., p. 77.
74
È stato inoltre giustamente osservato che “se il genitore affida al minore una certa
somma di denaro o gli mette a disposizione una carta di credito o una postazione
internet cui è collegata una carta di credito accreditata per i pagamenti, egli si assume
il rischio del compimento di atti che rientrino nel valore delle risorse affidate”; così
D. Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, cit., p. 714.
75
L’articolo continua disponendo che “ove il minore abbia un’età inferiore ai sedici anni,
tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o
autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”. In proposito v. C. Perlingieri,
La tutela dei minori di età nei social networks, in Rass. dir. civ., 2016, p. 1332 ss.
Il legislatore italiano con il d. lgs. n. 101/2018 ha, quindi, inserito nel codice della
privacy (d.lgs. n. 196/2003) l’art. 2 quinquies, che fissa il limite di età anzidetto in
quattordici anni.
76
The best interest of the child tra persona e contratto
513
nel minorenne munito di quest’ultima capacità (presuntivamente il
dodicenne) il potere di autodeterminarsi, in pienezza, in ordine ai propri interessi personali (salvo i casi previsti dalla legge) o patrimoniali
della vita corrente, la predetta clausola di salvaguardia conduce razionalmente a qualificare in termini di regola speciale la previsione sulla
capacità del minorenne (almeno) sedicenne di prestare il consenso al
trattamento dei dati personali77.
In effetti il Regolamento, nel disciplinare il consenso del minorenne,
deroga alla regola generale costruita muovendo dal referente normativo
della capacità di discernimento, nel senso che si discosta dal criterio
presuntivo, soggettivo e flessibile preposto a individuare tale forma di
capacità, per affidarsi invece a un criterio rigido, legato all’età. Segnatamente, per gli atti di “disposizione” dei dati personali nell’offerta diretta
di servizi della società dell’informazione, il legislatore euronitario fissa
un’età (almeno sedici anni), raggiunta la quale è generalmente ritenuto
che l’interessato abbia conseguito quella maturità razionale (ma anche
valoriale) necessaria per determinarsi a scegliere in quel particolare ambiente. Un regime speciale, dunque, dettato dal carattere particolarmente
insidioso della rete in uno col margine di vulnerabilità che ancora residua
nell’infradiciottenne che abbia conseguito la capacità di discernimento.
Ora, l’idea che il riconoscimento al minorenne della capacità di
esprimere il consenso al trattamento dei dati personali non possa implicare anche il riconoscimento, in capo allo stesso, della capacità contrattuale di “disporre” di quei dati, pare difficilmente difendibile.
Il processo di commodification che ha interessato i dati personali,
come altri diritti della persona78, nella quasi totalità dei casi inserisce
funzionalmente il consenso al trattamento dei dati in una logica di
scambio con altri beni o servizi79. Tant’è che il riferimento all’”offerta
diretta di servizi della società dell’informazione” è a “quei servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e
a richiesta individuale di un destinatario di servizi”80, come, ad esempio, quelli di cui gode l’utente che ha dato il consenso al trattamento
dei propri dati personali all’atto dell’iscrizione a un social network.
77
Cfr. V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella
ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 723.
78
Su tale profilo problematico si rinvia a G. Resta, Autonomia privata e diritti della
personalità, Napoli, 2005, passim.
79
Cfr. C. Perlingieri, Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 13 ss.
80
Così art. 1, par. 1, lett. b, Dir. UE 2015/1535, richiamato dall’art. 4, n. 25, Reg. 2016/679.
514
The best interest of the child
In queste situazioni, dimensione personale (il diritto al bene) e dimensione patrimoniale (il diritto sul bene)81 si intersecano, sì che l’una diviene
funzionale all’altra. Si assiste, con riguardo allo specifico ambito problematico, a una circolarità funzionale tra il profilo personale e quello patrimoniale del bene, in cui l’uno si lega all’altro per effetto dell’utilità che
assume l’informazione personale (il dato), rendendola “bene di scambio”
che l’interessato/consumatore può fornire o impegnarsi a fornire all’operatore economico in cambio di un contenuto o servizio digitale, come
testualmente previsto dall’art. 3, par. 1, Dir. UE n. 2019/770/UE82.
Che poi in questi casi consenso al trattamento e consenso contrattuale debbano dare luogo a due atti distinti tra loro collegati83 o a un
81
Sul rapporto tra i due profili, si rinvia a P. Perlingieri, L’informazione come bene
giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 332.
82
Si tratta della direttiva relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di
contenuto digitale e di servizi digitali. L’art. 3, par. 1 della Proposta del 9 dicembre
2015 COM (2015)634, disponeva che la direttiva si applica “ai contratti in cui
il fornitore fornisce contenuto digitale al consumatore, o si impegna a farlo, e in
cambio del quale il consumatore corrisponde un prezzo oppure fornisce attivamente
una controprestazione non pecuniaria sotto forma di dati personali o di qualsiasi
altro dato”. E nel Considerando 13 specificava che “nell’economia digitale, gli
operatori del mercato tendono spesso e sempre più a considerare le informazioni
sulle persone fisiche beni di valore comparabile al denaro. I contenuti digitali sono
spesso forniti non a fronte di un corrispettivo in denaro ma di una controprestazione
non pecuniaria, vale a dire consentendo l’accesso a dati personali o altri dati.
Tali specifici modelli commerciali si applicano in diverse forme in una parte
considerevole del mercato. Introdurre una differenziazione a seconda della natura
della controprestazione significherebbe discriminare alcuni modelli commerciali
e incoraggerebbe in modo ingiustificato le imprese ad orientarsi verso l’offerta di
contenuti digitali contro la messa a disposizione di dati. Vanno garantite condizioni
di parità eque. Inoltre, è possibile che una cattiva prestazione del contenuto digitale
fornito in cambio di una controprestazione non pecuniaria abbia ripercussioni sugli
interessi economici dei consumatori. L’applicabilità delle disposizioni della presente
direttiva non dovrebbe pertanto dipendere dal pagamento o meno di un prezzo
per il contenuto digitale in questione”. Apertamente contrario alla qualificazione
in termini di “corrispettivo non pecuniario” si è dimostrato il Garante europeo
per la protezione dei dati personali, il quale nell’Opinion 4/2017 on the Proposal for
a Directive on certain aspects concerning contracts or the supply of digital content del 14
marzo 2017 raccomandava di evitare l’indicazione dei dati personali come possibile
controprestazione poiché “personal information is related to a fundamental right and
cannot be considered as a commodity”. Su tale profilo problematico si rinvia a V.
Ricciuto, Nuove prospettive del diritto privato dell’economia, in E. Picozza - V. Ricciuto,
Diritto dell’economia, II ed., Torino, 2017, p. 357 ss.; G. Resta, Dignità, persone, mercati,
Torino, 2014, passim; G. Resta - V. Zeno Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione
dei servizi in rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss.
83
Così F. Bravo, Lo “scambio di dati personali” nei contratti di fornitura di servizi digitali
e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contratto e impresa, 2019,
p. 39; il quale afferma che “il consenso in materia di protezione dei dati personali
e il (consenso dato per la conclusione del) contratto la cui esecuzione comporti la
The best interest of the child tra persona e contratto
515
unico atto84, è questione che comunque non tocca l’evidente l’unicità
dell’operazione economica85 nella quale si compie lo “scambio di dati
personali” che “l’ordinamento non vieta”86.
È proprio dalla constatazione, prima ancora che dalla ricostruzione,
di questa prospettiva funzionale che la negazione al minorenne (almeno) sedicenne della possibilità di “disporre” dei propri dati personali
per l’acquisto di contenuti o servizi digitali – sia pure con tutti i limiti
discendenti dalla disciplina del tipo di “bene” implicato, intimamente
legato alla persona – si tradurrebbe in un impedimento al soggetto di
realizzare la propria personalità, e quindi nella privazione di effettività
dello stesso diritto personale alla protezione dei dati, la cui patrimonializzazione implica la “scambiabilità” nel mercato.
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trattamento, non sovrapponibili, in quanto volte a soddisfare esigenze diverse, di
autodeterminazione informativa affidata alle scelte dell’interessato, la prima, e di
realizzazione degli interessi congiuntamente stabiliti dal titolare e dall’interessato
nell’ambito delle dinamiche contrattuali, la seconda”.
84
Si veda V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella
ricostruzione del fenomeno, cit., p. 728.
85
Si rinvia a E. Gabrielli, voce Contratto e operazione economica, in Dig. disc. priv., sez.
civ., Aggiornamento ******, Torino, 2011, p. 243 ss.
86
Cass., 2 luglio 2018, n. 17278, in Dir. giust., 2018, 2 luglio, la quale precisa che nulla
impedisce al gestore del sito, in caso di fornitura di un servizio né infungibile né
irrinunciabile, “di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi
promozionali, mentre ciò che gli è interdetto è utilizzare i dati personali per
somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia
effettivamente manifestato la volontà di riceverli. Insomma, l’ordinamento non
vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un
consenso pieno ed in nessun modo coartato”.
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parte v
L’interesse del minore
all’accertamento dello stato filiale
L’incidenza dell’interesse del minore
nella costituzione e rimozione dello stato filiale
Tommaso Auletta
Sommario: 1. L’interesse del minore: considerazioni generali. – 2.
Criteri di individuazione dei genitori quale strumento di attuazione
dell’interesse del minore. – 3. segue: le problematiche del riconoscimento. – 4. segue: Genitorialità sociale ed interesse del minore. – 5.
Bigenitorialità ed eterosessualità. – 6. L’interesse del minore a vivere
nella propria famiglia ed a coltivare rapporti con i congiunti. – 7. La
rilevanza dell’interesse del minore nel quadro delle azioni volte a costituire lo status. – 8. segue: … ed in quelle volte a rimuoverlo.
1. L’interesse del minore: considerazioni generali.
Secondo gli orientamenti di pensiero più recenti la tutela dell’interesse
del minore rappresenta un valore indiscusso e di fondamentale rilevanza.
Detta tutela costituisce un criterio che deve guidare le scelte del legislatore
nella formulazione delle norme e l’interprete nella risoluzione delle controversie. La centralità della posizione assunta peraltro dal figlio (anche se
non minorenne) nell’ambito del moderno diritto di famiglia è ormai generalmente ed incondizionatamente riconosciuta, in particolar modo, dalla
normativa interna, dopo la Riforma del diritto della filiazione introdotta
dalla legge 219/2012 e dal decreto attuativo 154/2013 per un verso e dalla
legge del 76/2016 sulle unioni civili e le convivenze, per altro verso.
Mentre infatti i modelli familiari sono divenuti ormai plurali (passando cioè dall’unità alla molteplicità) il fenomeno inverso si è verificato riguardo alla filiazione, mediante l’introduzione dello stato unico di figlio
(dalla molteplicità all’unità). Sul figlio si è in particolar modo concentrata
l’attenzione dell’ordinamento, accentuando l’ambito dei suoi diritti e al
conseguente perseguimento degli interessi di cui costituiscono l’obiettivo.
524
The best interest of the child
Pur tuttavia, a giudizio di molti, trattasi di un principio dal significato oscuro o comunque particolarmente controverso riguardo al significato, anche per la diversità delle espressioni che vi fanno richiamo, e ancor più per la difficoltà di individuare criteri oggettivi volti ad
assicurarne l’attuazione senza doversi cioè affidare all’arbitrio dell’interprete; di non semplice collocazione nelle gerarchia dei valori e nel
rapporto con interessi di cui altri soggetti possono di volta in volta
rendersi portatori.
Particolarmente felice mi sembra dunque l’intuizione di Mirzia
Bianca di dedicare un convegno molto articolato negli aspetti considerati, volto ad affrontare problematiche di così vasta complessità. Da
parte mia cercherò di apportare un modesto e circoscritto contributo
esaminando la ricostruzione del significato e la conseguente applicazione che la giurisprudenza interna ha fatto dell’interesse del minore
riguardo a tre profili che mi sembrano per varie ragioni particolarmente significativi: la ricostruzione dei criteri di individuazione della genitorialità, i criteri di costituzione dello status e le implicazioni che ne
derivano, gli interessi tutelati nel contesto delle azioni volte a costituire
o ad eliminare lo status medesimo.
Prima di passare all’esame dei punti enunciati vorrei partire tuttavia da alcune brevi considerazioni introduttive.
La necessità di riservare al minore particolare tutela costituisce un
principio che è stato proclamato da importanti documenti internazionali a partire dagli inizi del secolo scorso: dalla Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo del 1924 e da quella ONU del 1959. Più
precisamente in uno dei considerando del preambolo di quest’ultima
si sottolinea che “il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale ha bisogno di una particolare protezione, compresa una particolare protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita”. Il richiamo più specifico all’interesse del minore quale criterio di risoluzione
normativa e giurisprudenziale dei conflitti comincia a trovare spazio,
invece, in documenti di data posteriore di cui si dirà tra breve.
Ma frequenti specifici riferimenti all’interesse in oggetto si rinvengono anche in numerosi documenti di data posteriore: la Convenzione
di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, (e, per alcuni profili specifici,
anche il regolamento CE 2201/2003) i quali hanno indubbiamente influenzato l’evoluzione successiva della normativa interna. Ma un ruolo
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
525
di non minore importante bisogna riconoscere anche alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo del 1950, quantunque in questi documenti non si rinvengano richiami espliciti all’interesse del minore.
Secondo la traduzione italiana del testo, la Convenzione di Strasburgo indica come obiettivo generale la promozione dell’interesse superiore del fanciullo (art. 1) e come dovere del giudice assumere la decisione alla luce del medesimo superiore interesse (art. 6). Similmente la
Convenzione di New York stabilisce all’art. 3 che “in tutte le decisioni
relative ai fanciulli (…) l’interesse superiore del fanciullo deve essere
una considerazione preminente” e l’art. 21 richiede agli Stati di garantire
che, ai fini dell’adozione, “l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia”. Analoga formula si ritrova nell’art.
24 della Carta fondamentale dell’Unione europea con riferimento agli
atti compiuti da autorità pubbliche o private relativi ai bambini. E nel
preambolo della Convenzione di Strasburgo del 2003 sulle relazioni
personali, la versione inglese parla di best interests of the children, quella
francese di intérêt supérieur des enfants e quella italiana (non ufficiale) di
interesse considerato prioritario.
Dal tenore letterale di queste ultime sembrerebbe emergere una
precisa indicazione rivolta al legislatore degli Stati membri dell’Unione o firmatari delle Convenzioni menzionate di riconoscere comunque
preminenza, nella formulazione delle norme, all’interesse del minore
e alla giurisprudenza di adottare il medesimo criterio nella risoluzione
delle controversie che lo riguardano, onde in presenza di un conflitto
di interessi quello di cui si rende portatore il minore dovrebbe avere
tendenzialmente il sopravvento.
In realtà, come la dottrina non ha mancato di rimarcare, una conclusione siffatta portata alle estreme conseguenze rischierebbe di
distorcere l’esatto significato delle norme, a causa di una discutibile
traduzione dei testi in lingua originaria. Esempio particolarmente significativo al riguardo è costituito dalla Convenzione di New York i
cui artt. 3 e 21 stabiliscono, nella versione inglese, che the best interests of
the child shall be a primary consideration mentre nella versione in lingua
francese si dice che l’intéret supérior de l’enfant doit être una considération
primordiale (art. 3), oppure (art. 21) est la considération primordiale. Ben
diversi appaiono allora i significati dalle due versioni. Mentre secondo
quella inglese il legislatore o il giudice devono optare per la soluzione che meglio persegue l’interesse del minore fra quelli di cui egli è
526
The best interest of the child
portatore, nella versione francese l’interesse (al singolare) del minore
dovrebbe considerarsi sempre superiore, con prevalenza rispetto agli
altri in conflitto e ricevere dunque preminente considerazione. Proprio
quest’ultima è la versione che è stata recepita nella traduzione in lingua italiana ma che, se intesa alla lettera, rischierebbe di stravolgere
l’equilibrio dei valori, riconoscendo sempre e comunque prevalenza
all’interesse del minore sugli altri in conflitto. Tale versione è stata ripresa anche dal nostro legislatore nella formulazione di alcune norme
ed applicata, con pari rigidità, da alcuni arresti giurisprudenziali (su
questi ultimi si ritornerà peraltro nei §§ successivi).
Riguardo alla legislazione nazionale, secondo una corrente di pensiero1, detto interesse è già immanente nella Costituzione repubblicana, anche se non espressamente enunciato. Si richiama in particolare il
complessivo impianto degli artt. 29, 30, 31 nonché l’art. 2 sulla protezione della persona all’interno delle formazioni sociali “ove si svolge
la sua personalità”, proprio perché il minore è da considerare soggetto
debole quale persona in via di formazione2. Tale ricostruzione appare
fondamentale al fine di individuare nell’interesse del minore un valore
di rilevanza costituzionale e, per le ragioni che si diranno, preminente
– secondo alcuni – rispetto ad altri valori presi in considerazione dalla
Carta con cui dovesse entrare eventualmente in conflitto.
Ma anche a opinare diversamente, è certo che nella Costituzione
trova conferma l’assunto (peraltro non controverso nel contesto degli
ordinamenti di civil law e proclamato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo) secondo il quale il minore è da considerarsi
persona al pari degli adulti, titolare dei medesimi diritti, ed a questo
riguardo nessuna rilevanza assume il fatto che egli non sia in grado di
esercitarli. Particolarmente significativa è l’elencazione di alcuni di essi
contenuta nell’art. 30, 1° comma Cost. ed il riferimento alla protezione
della maternità, dell’infanzia e della gioventù (art. 31, 2° comma)3.
Nella legislazione ordinaria il principio suddetto trova spazio, a
partire dal 1967, con l’introduzione dell’adozione speciale (l. 5 giugno
n. 431) per proseguire poi con la Riforma del diritto di famiglia del
1
E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva
costituzionale, Milano, 2016, 37.
2
Cfr. in proposito C. Cost., 10 febbraio 1981, n. 11 nella quale si afferma che, alla
luce del combinato disposto degli artt. 2 e 30 cost. costituisce valore primario la
promozione della personalità del soggetto umano in formazione.
3
Ma essi vengono menzionati anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo (art. 25).
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
527
1975 (l. n. 151). Ma un’indicazione significativa della sua rilevanza può
rinvenirsi anche all’interno della legge n. 898/1970 sul divorzio riguardo al profilo dell’affidamento (art. 5). L’intero impianto della legge
sull’adozione speciale si fonda sulla tutela del preminente ed esclusivo interesse del minore (di otto anni) di contare sul sostegno di una
famiglia, quando viene a trovarsi in situazione di abbandono. Detta
normativa introduce, come è noto, un totale mutamento di prospettiva
rispetto all’originario modello codicistico, nel cui contesto l’adozione
riguardava essenzialmente i maggiorenni ed era volto a soddisfare soprattutto l’interesse degli adottanti ad attribuire in eredità il loro patrimonio ed a perpetuarne il nome4. Specifici riferimenti alla rilevanza
dell’interesse del minore si rinvenivano in alcune norme introdotte nel
codice dall’art. 4 della legge del 1967: l’art. 314/6 secondo il quale il tribunale, ricevuta informazione dello stato di abbandono, adotta temporaneamente i provvedimenti più opportuni nell’interesse del minore;
alla luce del medesimo interesse il giudice può, pronunziato lo stato di
adottabilità, formulare prescrizioni ulteriori oltre alla sospensione della potestà (art. 314/16), disporre la sospensione del procedimento (art.
314/10) o la revoca dello stato di adottabilità (art. 314/18), individuare
la coppia nei confronti della quale predisporre l’affidamento preadottivo (art. 314/20)5, prorogare la durata di detto affidamento (art. 314/24).
Proprio nel contesto di detta materia è formulato il primo richiamo
da parte della giurisprudenza alla tutela del preminente interesse del
minore: esso si rinviene nella sentenza n. 11/1981 della Corte Costituzionale la quale dichiara illegittima la norma (art. 314/17) che faceva
venir meno lo stato di adottabilità nel caso di una pronunzia di adozione ordinaria del minore, per contrarietà all’art. 30, 1° e 2° comma Cost.
La l. n. 151/1975 non richiama mai esplicitamente l’interesse in esame
ma numerosi sono i riferimenti a quelli riguardanti il figlio, concernenti
situazioni in cui può venire a trovarsi esclusivamente il minore di età.
Significativo al riguardo è l’art. 147 cc. secondo il quale i coniugi (ma
la regola si applica in realtà più generalmente ai genitori) “sono tenuti
ad adempiere i loro doveri verso la prole tenendo conto delle capacità,
4
A volte gli adottanti erano anche mossi dall’intento di assicurarsi l’assistenza da
parte dell’adottato nel periodo della vecchiaia.
5
Trattasi dell’unica norma della legge nella quale l’interesse viene considerato
preminente, al fine di sottolineare che nessuna comparazione può essere operata
rispetto all’interesse di cui si rendono portatrici le coppie disponibili all’adozione
(bisogno di genitorialità e di assistenza).
528
The best interest of the child
dell’inclinazione morale e delle aspirazioni dei figli”. In particolare il dovere di educazione ed istruzione, secondo l’opinione più diffusa almeno sino alla Riforma della filiazione, si riferisce solo ai minori, essendo
collegati con l’esercizio della potestà, che si estingue, secondo il dettato
dell’art. 316 cc. nella versione previgente, con il raggiungimento della
maggiore età. Nel caso di contrasto fra i genitori si stabilisce inoltre che
il giudice “suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse
del figlio”. Tali regole appaiono già a quell’epoca significative dell’evoluzione della potestà da una concezione “adulto-centrica” propria del
codice del 1942 ad “ufficio” volto a tutelare in maniera preminente, se
non esclusiva, gli interessi dei minori. Ed infine, l’art. 6 nella versione
originaria della l. n. 898/1970 già disponeva che “l’affidamento e i provvedimenti riguardanti i figli avranno come esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale degli stessi”.
Ben più numerosi sono i richiami introdotti nelle norme di epoca
posteriore: di superiore o preminente interesse del minore parlano, ad
esempio, gli artt. 32, 35, 57 l. adoz del 1983; mentre l’art. 337 sexies cc.
considera tale interesse quale criterio prioritario ai fini dell’assegnazione della casa familiare. Esso assume rilevanza esclusiva secondo gli
artt. 317 bis e 337 ter cc. nonché secondo gli artt. 11, comma 1, 25 comma
5, 33 comma, 4 l. adoz. Individuano invece nella contrarietà all’interesse del minore un ostacolo ad una certa determinazione giudiziale, gli
artt. 158, 252, 337 octies cc. Ancor più numerose sono le norme il cui
impianto è volto a perseguire l’interesse suddetto.
Il quadro che emerge consente dunque di affermare che l’interesse del
minore costituisce, alla luce della normativa sovranazionale ed interna,
principio fondamentale che deve essere preso in debita considerazione
dal legislatore nella formulazione delle norme che lo riguardano e dall’interprete nella ricostruzione del loro significato non solo in quanto la persona interessata costituisce un soggetto debole (e dunque meritevole di
particolare protezione al pari degli altri6) ma anche in via di formazione,
di un progetto umano in itinere il cui adeguato sviluppo incide non solo
sulla promozione della persona ma anche sull’assetto futuro della società.
Ciò premesso, più delicato diviene però il discorso volto a stabilirne
il rapporto quando esso entri in conflitto con altri interessi ugualmente
tutelati dall’ordinamento: se debba sempre prevalere o essere oggetto
6
In generale con riferimento alle problematiche riguardanti le persone deboli cfr. P.
Cendon, I diritti dei più fragili, Milano, 2018.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
529
di contemperamento con i medesimi e persino di totale sacrificio, a seconda delle circostanze. Quest’ultima è la soluzione che si rivela più
soddisfacente, in conformità ai principi dell’ordinamento per le ragioni che si diranno. Il riferimento all’interesse “superiore” deve dunque
essere correttamente inteso come richiamo alla sua particolare importanza ed all’esigenza che il legislatore e l’interprete gli riservino attenta
considerazione, ma non come interesse che debba comunque prevalere
e giustificare la violazione della legge.
Se così non fosse ci troveremmo al cospetto dell’unico caso in cui
un interesse viene privilegiato non in virtù del suo valore, della sua
rilevanza, bensì del soggetto che se ne rende portatore. Un interesse
che, diverrebbe “tiranno”, assumendo un ruolo che, a detta di recenti
decisioni della Corte costituzionale7, non trova alcun plausibile fondamento. L’esigenza di contemperare l’interesse del minore con altri con i
quali possa entrare in conflitto è stata anche chiaramente messa in luce
dalla Cassazione la quale, nel ricostruire il senso dei richiami al best
interests of child così puntualizza: «ciò non significa tuttavia che la tutela
del predetto interesse non possa costituire oggetto di contemperamento
con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione può ben incidere sull’individuazione
delle modalità più opportune da adottare per la sua realizzazione»8.
Sulla base di tali considerazioni spetta al legislatore il compito di indicare i criteri di bilanciamento degli interessi in conflitto ed al giudice
individuare il modo di perseguirne il soddisfacente risultato9.
7
V. in proposito C. cost., 9 maggio 2013, n. 85 nella quale si precisa che «tutti i diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione
reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza
assoluta sugli altri (…) Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di
uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche
costituzionalmente riconosciute e protette». Analogamente, C. cost., 12 aprile 2017,
n. 76, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 1172, con nota di L. Marzialetti, afferma che
«l’elevato rango dell’interesse del minore a fruire in modo continuativo dell’affetto e
delle cure materne, tuttavia, non lo sottrae in assoluto ad un possibile bilanciamento
con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono quelli di difesa
sociale, sottesi alla necessaria esecuzione della pena».
8
Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, in Familia, 2019, 345, con commento di M. Bianca; in
Giustiziacivile. com, 2019, con nota di U. Salanitro; in Famiglia e dir., 2019, 653, con note
di M. Dogliotti e G. Ferrando; in Corr. giur., 2019, 1198, con note di D. Giunchedi e M.
Winkler. Ed in precedenza, Cass., 11 novembre, 2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm.,
2015, I, 235, con nota di C. Benanti, (riportata nella rivista con la data 26 settembre 2014),
con riferimento all’operatività del divieto di surrogazione maternità, quantunque in
possibile contrasto con l’interesse del minore al riconoscimento della genitorialità sociale.
9
Emblematico al riguardo è il bilanciamento operato da C. cost., 10 giugno 2014, n.
530
The best interest of the child
È quel che accade infatti in innumerevoli ipotesi riguardo alle disposizioni normative: si pensi ad esempio, all’impianto della legge sull’aborto, nella quale l’interesse alla vita ed alla salute della madre, tutelati
costituzionalmente, sono considerati prevalenti rispetto all’interesse
alla vita del feto (anch’esso di rilevanza costituzionale); ed ancora con
riferimento all’interesse del presunto padre (e della madre) di esercitare (tempestivamente) l’azione di disconoscimento (per rimuovere
una paternità non conforme alla derivazione genetica) sacrificando,
rispettivamente, l’interesse del minore alla conservazione del rapporto
o alla bigenitorialità nel caso di fecondazione eterologa praticata senza
il consenso del marito o del convivente (essendo comunque esclusa la
genitorialità del donatore); all’interesse del coniuge di non accogliere
nella propria casa il figlio dell’altro generato al di fuori del matrimonio
sacrificandone l’eventuale interesse di cui quest’ultimo si renda portatore; all’interesse della madre all’anonimato in contrapposizione a
quello del figlio di conoscere le proprie origini. Se così non fosse le
regole menzionate non potrebbero altrimenti trovare applicazione o
non dovrebbero operare ogni volta in cui si pongano in contrasto con
l’interesse del minore.
Pur ricondotti alla prospettiva indicata, i richiami a quest’ultimo
hanno suscitato critiche e perplessità riguardo alla difficoltà di stabilire i criteri per giungere alla sua individuazione senza lasciare spazio
all’arbitrio dell’interprete. Problema che in certa misura si pone in tutte
le ipotesi in cui il legislatore ricorre a clausole generali, ma forse in
questo caso detta clausola è dotata di particolare “impalpabilità” per
mancanza di attendibili criteri di riferimento a cui l’interprete possa
ispirarsi. Ed in particolare non manca di destare forte preoccupazione
il rischio che il giudice invochi detto interesse per sovvertire il bilanciamento dei valori su cui si fonda il nostro ordinamento, per far prevalere il proprio convincimento e la propria sensibilità.
Proprio per la sua accentuata indeterminatezza vi è chi ha parlato,
del best interests of the child, in modo non lusinghiero, di una scatola
vuota che può essere riempita di qualsiasi contenuto10, di un’icona
162, in Corr. giur., 2014, 1062, con nota di G. Ferrando, nel rimuovere il divieto
di fecondazione eterologa fra gli interessi delle coppia impossibilitata a procreare
naturalmente e quelli del figlio.
10
P. Ronfani, L’interesse del minore nella cultura giuridica e nella pratica, in Cittadinanza
dei bambini e costruzione sociale dell’infanzia, a cura di C. Maggioni e C. Baraldi, Urbino,
1997, 254.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
531
linguistica, cioè di una clausola a cui non è dato ascrivere un contenuto perché la sua funzione è di non averne uno11, dell’araba fenice12,
di formula magica13, di un abito buono per tutte le stagioni e per tutte
le occasioni14, di clausola generale a contenuto vago e indeterminato15
utilizzato dalla giurisprudenza per esimersi dall’argomentare rigorosamente la soluzione prescelta o, ancor peggio, per sovvertire i valori
privilegiati dall’ordinamento. Infatti il principio in questione riveste
nel nostro ordinamento e negli altri di matrice comune (civil law) un
ruolo ben diverso da quello originario proprio degli ordinamenti di
common law. In questi ultimi esso tendeva ad individuare i doveri
morali a carico degli adulti verso i minori in mancanza del riconoscimento di diritti in capo ai medesimi in quanto soggetti non in grado
di esercitarli. Nel nostro ordinamento, ove il riconoscimento di diritti del minore non è stato mai posto in discussione (analogamente
a quanto stabilito dalla maggioranza dei documenti internazionali
innanzi ricordati), il principio enunciato nella legislazione serve ad
individuare la soluzione generale ed astratta volta ad assicurare la
miglior tutela ai minori che vengano a trovarsi nella situazione descritta dalla norma e che il giudice è chiamato ad applicare al caso
concreto. In tal senso opera sovente la giurisprudenza quando si
muove all’interno dei confini tracciati dalla norma, pur con l’ampia
discrezionalità innanzi rilevata, per la difficoltà di individuare fra gli
interessi di cui è portatore il minore quale debba prevalere al fine di
garantirgli maggiore benessere, e quando è chiamata ad assicurare
un bilanciamento tra gli interessi in conflitto di cui altri soggetti si
rendano portatori. La scelta rimessa al minore od il ricorso all’ascolto
costituiscono gli strumenti appropriati per l’individuazione di tale
interesse almeno quando egli sia in grado di compiere una cosciente
valutazione priva di condizionamenti.
11
P. Zatti, Le icone linguistiche: discrezionalità interpretative e garanzia procedimentale, in
Nuova giur. civ. comm., 2004, suppl. (Atti del convegno Giustizia minore?. La tutela
giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti), 4 s.
12
L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 86.
13
F.D. Busnelli, Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle
fonti, in Riv. dir. civ., 2016, 1463.
14
E. Lamarque, op. cit., 64.
15
R. Senigaglia, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli,
2013, 167 ss.
532
The best interest of the child
A detto interesse ha fatto anche richiamo la Corte costituzionale
nella ricostruzione del significato delle norme ordinarie onde assicurarne conformità al dettato della Carta. È quanto accaduto in passato,
ad esempio riguardo all’età massima richiesta dalla legge riguardo agli
adottanti, che la giurisprudenza ha inteso superare ove la negazione
dell’adozione nei confronti di una certa coppia non rispondesse all’interesse di “quel” minore in situazione di abbandono16.
Ma detto interesse viene anche a volte richiamato dai giudici di
legittimità e di merito al fine di sovvertire i principi posti dal legislatore a tutela generale dei minori, per privilegiare altra soluzione più
rispondente al concreto interesse di “quel” minore, cioè la soluzione
che assicura il suo maggiore benessere: è quanto accaduto di recente,
ad esempio, col superamento del principio di eterosessualità dei genitori, per tutelare un presunto diritto alla genitorialità della coppia
omosessuale (v. § 5) che ha indotto gli aspiranti genitori a ricorrere
a pratiche vietate dal nostro ordinamento, nella convinzione che poi
la situazione sarebbe stata sanata dalla giurisprudenza per tutelare il
bambino ormai venuto alla luce. In effetti tale considerazione è risultata vincente, in quanto, almeno a mio parere, non è stata riservata la
giusta considerazione all’interesse generale dei bambini di avere dei
genitori di sesso diverso.
All’operato della giurisprudenza in alcuni settori significativi della
materia sarà appunto dedicato il discorso che segue per individuare le
soluzioni adottate in nome dell’interesse del minore onde valutarne la
condivisibilità.
16
C. cost., 1 aprile 1992, n. 148, in Foro it., 1992, I, 1628 che ha consentito il superamento
dell’età richiesta per adottare onde favorire l’adozione di più fratelli quando la
separazione degli stessi avrebbe cagionato loro un grave pregiudizio. C. cost.,
24 luglio 1996, n. 303, in Giust. civ., 1996, I, 2175 la quale ha ritenuto possibile il
superamento dell’età prescritta riguardo ad uno solo degli adottanti purché «sussista
quella differenza di età che può solitamente intercorrere tra genitori e figli». C. cost.,
9 luglio 1999, n. 283, ivi, 1999, I, 2587 quando l’età è superata anche da entrambi,
nel caso di adozione ai sensi della lett. b) dell’art. 44; C. cost., 9 ottobre 1998, n. 349,
in Foro it., 1999, I, 1754 con riferimento, nella medesima ipotesi, alla mancanza del
limite minimo di differenza di età di 18 anni.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
533
2. Criteri di individuazione dei genitori quale strumento
di attuazione dell’interesse del minore.
Come attestato anche dal significato etimologico del termine, è
principio non controverso ampiamente desumibile dalle norme17 e
consolidato in tutti gli ordinamenti, che nel caso di fecondazione naturale, genitore (dal punto di vista sostanziale) è colui che dà la vita mediante il proprio contributo genetico18 (ciò non significa naturalmente
che l’ordinamento in alcune circostanze non possa optare per criteri
diversi). Riguardo alla individuazione della madre si dà rilevanza al
parto ed infatti, sotto il profilo probatorio, l’art. 269, 3° comma cc. richiede che sia dimostrata l’identità fra colui che pretende essere figlio
e il bambino partorito dalla donna19.
Risponde generalmente all’interesse e dunque al diritto del minore
avere la possibilità di crescere nella propria famiglia genetica per gli
aspetti normalmente positivi costituiti dalla maturazione nel contesto
delle proprie “radici”, anche se non costituisce, come afferma costantemente la giurisprudenza20, una famiglia ottimale se posta a confronto con altre. Soluzione che tutela nel contempo il diritto dei genitori
di esercitare le proprie funzioni, entrambi costituzionalmente tutelati
anche se non in maniera assoluta21, essendo consentito al legislatore
porre limiti alla ricerca della verità biologica e dunque considerare genitori anche coloro da cui il bambino non derivi geneticamente.
In molteplici decisioni la Cassazione22 ha sottolineato in particolare,
con riferimento al padre, che nessuna rilevanza al riguardo assume la
17
Ciò è testimoniato ad esempio dagli artt. 244, 2° comma e 263 cc. secondo i quali,
rispettivamente, le azioni di disconoscimento e impugnazione del riconoscimento
possono esercitarsi ove nel periodo del concepimento il presunto padre risulti
impotente e quindi impossibilitato a generare.
18
V. in proposito ad es., Cass., 18 novembre 1992, n. 12350, in Nuova giur. civ. comm.,
1993, I, 933, con nota di M. Maggiolo: «la paternità è attribuita come conseguenza
giuridica del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo l’elemento biologico».
19
V. ad es., Trib. Messina, 20 marzo 2017, in Banca dati Pluris.
20
Affermazione ricorrente in materia di adozione al fine di escludere lo stato di
abbandono del minore il quale riceva un’assistenza non ottimale ma pur sempre
accettabile da parte dei propri genitori biologici. V. ad es., Cass., 8 febbraio 1989, n.
793, in Dir. fam., 1989, 519; Cass., 20 novembre 1989, n. 4956, in Giur. it., 1990, I, 1,
933; Cass., 11 novembre 1996, n. 9861, in Famiglia e dir., 1997, 250; Cass., 22 novembre
2013, n. 26204.
21
V. ad es., Cass., 24 marzo 2000, n. 3529, in Dir. fam., 2001, 128, con nota di A. Di Sapio
ed ivi ulteriori citazioni.
22
Cass., 18 novembre 1992, n. 12350; Cass., 25 settembre 2013, n. 21882, in Famiglia e
534
The best interest of the child
volontà di procreare e dunque il profilo dell’assunzione di “responsabilità”, in quanto le genitorialità trova fondamento nel fatto obbiettivo
del compimento di atti idonei a rendere possibile la procreazione; irrilevante è anche la volontà dell’atto sessuale o la consapevolezza che esso
sia volto a rendere possibile la generazione, onde non riveste alcuna incidenza l’erronea convinzione da parte dell’uomo circa l’infertilità della
donna al momento dell’atto o che essa faccia uso di anticoncezionali
(fatta salva tutt’al più la possibilità di agire nei suoi confronti nel caso in
cui l’erroneo convincimento dipenda da dolo23) perché, a propria volta,
egli è in condizione di utilizzare gli accorgimenti atti ad impedire il
concepimento24. Analogo principio vale anche riguardo alla donna la
quale, sia rimasta incinta accidentalmente o sia stata costretta all’atto
sessuale ma abbia deciso di non interrompere la gravidanza.
In questo caso è l’interesse del figlio alla genitorialità ad assume
prevalenza rispetto a quello del genitore che intendesse sottrarsi ai
propri compiti.
L’irrilevanza della volontà nell’attribuzione del ruolo genitoriale
sembra incontrare però una importante eccezione nella facoltà concessa alla donna dall’art. 30 DPR n. 396/2000 di manifestare, al momento
del parto, volontà di non essere nominata, al fine di renderne estremamente problematico l’accertamento o addirittura al fine di sottrarsi
alle proprie responsabilità (come si dirà tra breve). Facoltà che sembrerebbe contrastare con l’interesse innanzi menzionato del minore ancor
più ove si tenga conto che tale scelta rende difficile anche al padre di
assumere il proprio ruolo – ove intendesse farlo – perché potrebbe non
essere a conoscenza della gravidanza, celatagli dalla donna, e comunque, non avendo diritto di accedere al certificato di assistenza al parto
ed alla cartella clinica, non essere in grado di individuare il proprio
figlio in vista del riconoscimento, onde il minore verrebbe a trovarsi in
situazione di abbandono25. È da osservare che la scelta dell’anonimato si verifica nella pratica quasi esclusivamente nel caso di nascita al
dir., 2014, 10, con nota di F. Farolfi; Cass., 15 marzo 2002, n. 3793; Cass., 13 dicembre
2018, n. 32308.
23
Ma anche questa possibilità è stata esclusa da Cass., 5 maggio 2017, n. 10906.
24
Analogamente si è pronunziata in Francia Cass., 12 luglio 2007, in Droit fam., 2007, 9,
26 con nota di S. Rouxel.
25
Non è detto infatti che la decisione della donna sia conseguenza del rifiuto del
padre di assumere il proprio ruolo ma anche, soprattutto in tempi più remoti, del
disonore derivante da un concepimento in assenza di matrimonio o, ancor più, da
un concepimento con persona diversa dal marito.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
535
di fuori del matrimonio pur non essendo tale facoltà circoscritta dalla
norma a tale ipotesi, ma spetta anche alla donna coniugata il cui figlio
sia stato concepito col marito26. Essa è stata esercitata ad esempio dalla
donna in un caso in cui alla nascita era stata riscontrata una grave malformazione del neonato27.
Il riconoscimento del diritto della madre all’anonimato non sembrerebbe porsi in contrasto con l’interesse del minore ad acquisire lo stato
ove si tenga conto che altrimenti il bambino rischierebbe la vita in quanto la donna potrebbe essere indotta ad optare per l’aborto o per l’infanticidio ove intendesse celare la maternità anche al fine, ad esempio, di
tutelare la propria onorabilità. In tale prospettiva la Cassazione innanzi
ricordata28 ha ritenuto infondato, proprio per la diversa posizione in cui
vengono a trovarsi il padre e la madre, il problema di costituzionalità
circa la diversità di trattamento riservata loro dalle legge riguardo alla
incidenza della volontà nell’attribuzione del ruolo genitoriale.
La questione inerente alla rilevanza della volontà incide in realtà sulla attribuzione della titolarità formale del rapporto genitoriale,
cioè in sede di formazione dell’atto di nascita in quanto il padre biologico non può impedire che venga indicato il suo nome se coniugato
con la madre, mentre tale possibilità è riconosciuta a quest’ultima
mediante esercizio del diritto all’anonimato. Se invece il figlio è generato fuori del matrimonio il mancato riconoscimento potrebbe non
bastare al padre per sottrarsi alle proprie responsabilità, in quanto è
dato al figlio comunque reclamare giudizialmente lo stato a cui ha
diritto, mentre altrettanto non varrebbe per la donna che ha scelto
l’anonimato. In realtà, certamente vera la prima affermazione, uguale
26
È in tal senso l’opinione maggioritaria. V. per tutti, M. Sesta, Manuale di diritto di
famiglia9, Milano8, 2021, 372; G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Milano6, 2014,
315; C. Ciraolo, Contestazione e reclamo dello stato di figlio, in Filiazione. Commento al
decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, 72. Ma in senso contrario M.N.
Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 cc. nei confronti della madre che abbia
partorito nell’anonimato, in Famiglia e dir., 2016, 487, in quanto non sussisterebbe la
preminente esigenza di evitare la formazione di un atto di nascita contrario a verità.
27
Più precisamente trattavasi di bambina il cui fratello gemello era morto precocemente
a seguito di aborto spontaneo, nata, dopo solo 25 settimane di gestazione, in
condizioni fisiche assai precarie e con notevoli probabilità, in caso di sopravvivenza,
d’essere gravemente minorata (cieca) o, comunque, priva di autonomia e d’ogni
capacità di relazione: Trib. Parma, 17 ottobre 1998, in Nuova giur civ. comm., 1999, I,
46, con nota di G. Bonilini. La donna peraltro quasi immediatamente si era pentita
della propria scelta ed intendeva, con l’azione in giudizio, assumere la maternità (ed
analogamente il padre che inizialmente aveva condiviso la scelta della moglie).
28
V. nota 22.
536
The best interest of the child
certezza non sussiste riguardo alla correttezza della seconda. In giurisprudenza infatti (e limitando le considerazioni a quest’ultima, dati
gli obiettivi del presente contributo) la soluzione non è pacifica. In un
arresto della Suprema Corte29 ed in un altro del Tribunale di Parma30
si afferma infatti che il figlio è legittimato ad agire verso ciascuno dei
genitori (ivi compresa la madre che ha scelto l’anonimato) per reclamare lo stato, dovendo peraltro fornirne la prova; in senso opposto
però si è espressa altra decisione di merito sostenendo che se si consentisse l’azione al figlio si frustrerebbe la finalità del diritto (quello
all’anonimato) che la legge intende tutelare anche nell’interesse del
minore31. Quest’ultima affermazione non convince in quanto il diritto
all’anonimato garantisce l’interesse alla segretezza della donna rendendo la prova della maternità ben più complessa in assenza della
possibilità di accedere al suo nome indicato nel certificato di assistenza al parto, in quanto secretato. Se nonostante ciò il figlio è in
possesso di prove volte a dimostrare la maternità della partoriente
non sussiste previsione che ne impedisca l’utilizzo. Non ne fa menzione infatti l’art. 269 cc. il quale dispone perentoriamente, e senza
eccezioni, che anche la maternità (oltre che la paternità) può essere
dichiarata nei casi in cui il riconoscimento è ammesso32.
Il criterio genetico consente di raggiungere altri due obiettivi: la tutela dell’interesse del figlio alla bigenitorialità ed alla eterosessualità
dei genitori.
29
Cass., 23 aprile 2010, n. 9727, in Dir. fam., 2011, 24.
30
17 ottobre 1998, cit., con riferimento all’azione di reclamo dello stato di figlio nato nel
matrimonio il quale ha riconosciuto la legittimazione ad agire del curatore speciale
nell’interesse del minore.
31
«Se la decisione della donna non fosse assistita dalla garanzia della sua perdurante
validità per l’intero corso della vita, e se non fosse escluso il rischio per la stessa, in
un imprecisato futuro e su richiesta di un figlio mai conosciuto e già adulto, di essere
disvelata o di essere soggetta agli obblighi genitoriali ai quali aveva inteso sottrarsi
manifestando la facoltà, espressamente riconosciuta dalla legge, di rimanere
anonima»: Trib. Milano, 14 ottobre 2015, in Famiglia e dir., 2016, 476, con nota di
M.N.Bugetti.
32
V. in tal senso ad es., in dottrina, C.M. Bianca, Diritto civile. 2.1., La famiglia6, Milano,
2017, 427 il quale precisa che «l’accertamento dello stato di figlio può ritenersi
proponibile solo se il figlio sia venuto a conoscenza della identità della madre»;
M.N. Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 cc. nei confronti della madre
che abbia partorito nell’anonimato, cit., 481 ss. Diversamente, nel senso che occorre la
rinunzia della donna all’anonimato, C. Ciraolo, op. cit., 72.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
537
Esso trova applicazione anche in caso di fecondazione artificiale
omologa in quanto i gameti provengono dalla coppia che vi fa ricorso.
Dal criterio genetico l’ordinamento si distacca eccezionalmente in
due ipotesi: trattasi della adozione legittimante e della fecondazione
artificiale eterologa. Nel primo caso infatti, ai sensi dell’art. 27 l. adoz.,
si stabilisce che “l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti” (dovendo questi ultimi essere uniti in matrimonio). Trattasi di ipotesi singolare in cui l’interesse a crescere nella propria famiglia genetica risulta in concreto irrealizzabile a causa
della sua mancanza o della assoluta inidoneità. Aspetto certamente
drammatico per il minore, che ha indotto il legislatore a muoversi con
estrema cautela nel determinare i requisiti dei possibili aspiranti all’adozione, riservandola solo a coppia coniugata la quale risulti in concreto la più idonea, rispetto ad altre che hanno presentato domanda,
dal punto di vista morale e materiale a provvedere alla cura di “quel”
minore, richiedendo anche che l’unione sia adeguatamente consolidata nel tempo. Uguale affidabilità non assicura invece, secondo il legislatore, la coppia convivente, considerata per principio più instabile,
valutazione che suscita perplessità in una realtà ormai profondamente mutata in cui è tutt’altro che scontato che la coppia coniugata sia
da considerare in astratto comunque più solida rispetto a quella non
fondata sul matrimonio. Trattasi di un pregiudizio che andrebbe superato mediante una riforma normativa in quanto le motivazioni che
inducono la coppia a non contrarre matrimonio sono così varie da
non poterne dedurre un’indole incline al disimpegno e più fragile, sol
perché la legge (n. 76/2016) ne rende più facile la dissoluzione rispetto
a quella unita in matrimonio.
I medesimi effetti (acquisto del ruolo proprio dei genitori genetici)
non è in grado di assicurare la c.d. adozione particolare in quanto l’adottato diviene figlio sì, ma adottivo, con effetti più limitati rispetto a
quelli propri della adozione legittimante33. L’art. 44 l. adoz. la prevede
in ipotesi tassative in alternativa a quest’ultima, consentendo al giudice di stabilire se risulti in concreto più rispondente all’interesse del
minore. L’adozione particolare infatti non interrompe i rapporti con la
famiglia di origine e può essere pronunziata anche se gli adottanti non
33
Ad es., i genitori adottivi non hanno l’usufrutto legale sui suoi beni e non partecipano
alla sua successione; è dubbio se si instaurino rapporti di parentela fra l’adottato ed
i parenti dell’adottante, non si interrompono i rapporti con la famiglia di origine e
pertanto l’adottato ne conserva il cognome.
538
The best interest of the child
hanno i requisiti per l’adozione legittimante ma appaiono più indicati
all’accudimento di “quel” minore o non è opportuno porli in competizione con altre coppie aspiranti all’adozione in quanto si rischierebbe
di interrompere un rapporto felicemente sperimentato34.
E proprio al fine di ampliare la duttilità della soluzione, parte della
giurisprudenza ha ormai adottato un’interpretazione estensiva dell’art.
44 l. adoz., ricorrendovi quando il minore si trova in stato di semiabbandono onde non si ritiene rispondente al suo interesse recidere
radicalmente i rapporti con la famiglia d’origine mentre al contempo
sussiste un rapporto consolidato con altro soggetto in grado di assicurarle il supporto di cui ha bisogno (c.d. adozione mite)35; quando non
appare opportuno interrompere i rapporti con la famiglia d’origine in
quanto influiscono positivamente sul minore36 o al fine di consentire al
convivente eterosessuale del genitore genetico di dare veste giuridica
al rapporto che lo lega al minore e da questi vissuto positivamente37
ma anche nel caso di convivenza o matrimonio celebrato all’estero fra
persone del medesimo sesso il quale non venga riconosciuto in Italia38.
A detto risultato si perviene ampliando, in via interpretativa, il dettato della lett. d), in virtù della quale è consentito il ricorso all’adozione
particolare quando vi sia stata la constatata impossibilità di affidamento
34
V. in proposito Trib. min. Milano, 7 febbraio 2007, in Famiglia e minori, 2007, 8, 84
il quale non ha considerato ostativa all’adozione la separazione intervenuta fra i
richiedenti proprio per la solidità del rapporto instaurato col minore.
35
App. Bologna, 4 gennaio 1984 e App. Bologna, 27 febbraio 1985, in Dir. fam., 1985,
545; Trib. Roma, 18 marzo 1985, ivi, 1985, 620; App. Bologna, 15 aprile 1989, in
Giur. merito, 1991, 93; Trib. min. Perugia, 22 luglio 1997, in Dir. fam., 1998, 1479;
Trib. Roma, 20 luglio 2001 e Trib. Roma, 8 gennaio 2003, in Giur. merito 2003, 1122;
Trib. min. Salerno, 19 luglio 2002, in Famiglia e dir., 2003, 606; Trib. min. Bologna, 7
febbraio 2003, ivi, 2003, 605; Trib. min. Roma, 8 febbraio 2003, in Giur. merito, 2003,
1122; Cass., 12 gennaio 2010, n. 260; Trib. min. Brescia, 21 dicembre 2010, in Famiglia
e minori, 2011, 4, 61; Cass., 16 aprile 2018, n. 9370, in Foro it., 2018, I, 1536. Per gli
opportuni ragguagli al riguardo v. in dottrina, F.P. Occhiogrosso, Manifesto per una
giustizia minorile mite, Milano, 2009.
36
Cfr. Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, in Famiglia e dir., 2009, 393; Trib. Genova, 14
ottobre 1995, ivi, 1996, 349; App. Genova, 1 dicembre 1995, in Dir. fam., 1996, 147.
37
Trib. Bologna, 29 maggio 1988, in Dir. fam., 1989, 139; Trib. Trieste, 3 aprile 1987, ivi,
1988, 1392. Ma in senso contrario si è espressa Cass., 27 settembre 2013, n. 22292,
in Guida al dir., 2013, 46, 34 in base alla considerazione che il legislatore privilegia
l’adozione piena rispetto a quella non legittimante sul presupposto che realizza
meglio l’interesse del minore.
38
V. citaz. alle note 99, 100, 146. Diversa è la posizione assunta da Trib. Bologna, 10
novembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 387, con nota di D. Ferrari, la quale
ha sollevato questione di legittimità costituzionale del divieto di adozione da parte del
coniuge del medesimo sesso acquisita sulla base di un matrimonio celebrato all’estero.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
539
preadottivo, intendendola anche come impossibilità di diritto e non solo
di fatto (come sembrerebbe invece suggerire il riferimento all’affidamento preadottivo quale provvedimento legato all’esistenza dello stato di
abbandono39) rendendo sostanzialmente inutile, in maniera inaccettabile
il dettato della lett. b)40. A tutela dell’interesse del minore alcuni giudici
hanno prospettato anche la possibilità di un modello di “adozione aperta” con la quale si consente alla famiglia di origine, nonostante l’opzione
per l’adozione legittimante, di mantenere i rapporti con il proprio figlio
in deroga al principio posto dall’art. 27, 3° comma l. adoz.41. Le suddette
soluzioni pur lodevoli negli intenti, sollevano a mio parere non pochi
dubbi. Nel primo caso perché non sussiste “un’impossibilità” bensì una
situazione che sconsiglierebbe il ricorso all’adozione legittimante42. Nel
secondo caso perché si finisce con lo svuotare di contenuto il riferimento
alla lett. b) della medesima norma che consente l’adozione da parte del
coniuge del genitore genetico, la quale rientrerebbe comunque nel dettato della lett. d) come inteso dalla giurisprudenza. Nell’ultima ipotesi
poi risulta ancor più evidente il contrasto con il dettato normativo, in
quanto il legislatore ritiene pericoloso per il buon andamento dell’adozione legittimante il permanere dei rapporti con la famiglia di origine,
fermo restando che al raggiungimento della maggiore età il figlio potrà
liberamente decidere di riallacciare i rapporti con essa.
39
A. Aragno, L’utilizzo dell’art. 44 lett. d) nei casi di omogenitorialità: le ragioni del no, in
Minorigiustizia, 2017, 146 ss., la quale pone in luce altresì l’anomalia di una norma
che regolamenterebbe un’ipotesi di “impossibilità giuridica”. Inoltre l’A. ritiene che
l’interesse del minore può realizzarsi solo in presenza delle circostanze previste dalla
norma puntualmente enumerate e che l’interprete non può forzare facendo perdere
alla regola giuridica “il suo originario ed intrinseco rigore”. G. Miotto, Adozione del
convivente e diritto positivo: un matrimonio impossibile, in Familia, 2017, 251 ss.
40
V. in proposito le puntuali e condivisibili critiche avanzate da G. Miotto, op. loc. cit.
41
V. ad es., App. Roma, 28 maggio 1998, in Dir. fam., 2005, 653; Trib. min. Roma, 16
gennaio 1999, ivi, 2000, 144; Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000, in Famiglia e dir.,
2001, 79; Trib. min. Emilia Romagna, 28 novembre 2002, in Minorigiustizia, 2003, 1,
274; Trib. min. Milano, 15 novembre 2004, in Famiglia e dir, 2005, 653. Trib. min.
Torino, 12 marzo 2008, in Minorigiustizia, 2008, 4, 333. In dottrina, cfr. M. Casonato,
Adozione e mantenimento dei legami: una revisione della letteratura psicologica sull’adozione
aperta, ivi, 2014, 4, 41.
42
In senso contrario all’interpretazione estensiva della lett. d) si pronunzia infatti una
corrente giurisprudenziale. V. ad es., Trib. min. Potenza, 15 giugno 1984, in Dir. fam.,
1984, 1039; Trib. Roma, 22 dicembre 1992, in Giur. merito, 1993, 924; App. Torino, 9
giugno 1993, in Dir. fam., 1994, 165; Trib. min. Ancona, 15 gennaio 1998, in Giust. civ.,
1998, I, 1711. In dottrina v. tra gli altri, F. Tommaseo, Sul riconoscimento dell’adozione
piena avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale, in Famiglia e dir.,
2016, 275 ss. ; M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, Milano, 2002, 808 ss.
540
The best interest of the child
Trattasi in realtà di ipotesi emblematiche in cui il giudice richiama
“l’interesse del minore” in contrapposizione agli “interessi dei minori”
così come delineati dal legislatore il quale, a torto o a ragione, non ha ritenuto di rimettergli tale discrezionalità. Una revisione di detta scelta non
appare irragionevole perché in effetti in entrambe le ipotesi gli interessi
dei minori potrebbero essere ben tutelati lasciando maggiore discrezionalità al giudice, ma la maniera più appropriata di pervenire a questo
risultato sarebbe, a mio avviso, quella di una revisione normativa.
Come accennato, l’altra ipotesi in cui la genitorialità può essere attribuita col ricorso al criterio volitivo è costituita dalla fecondazione artificiale eterologa. Soluzione – come è noto – già prevista nell’impianto originario della l. n. 40/2004 la quale, nel vietare tale pratica (art. 4, comma
3), disponeva che, in caso di violazione del divieto, genitori dovevano
considerarsi a tutti gli effetti coloro che erano ricorsi alla donazione dei
gameti (uno o entrambi) ai quali era altresì precluso impugnare l’automatica costituzione dello status (mediante azione di disconoscimento
della paternità o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità) negando qualsiasi obbligo o diritto da parte del donatore (art. 9)
ed escludendo inoltre il diritto della donna all’anonimato43.
Da questo punto di vista la Corte costituzionale44, nel dichiarare
illegittime le norme che ponevano il divieto, non ha introdotto alcuna
novità ma ha reso lecito quanto in precedenza vietato, consentendo la
pratica in Italia. La soluzione normativa tutelava l’interesse del minore, ormai venuto alla luce, alla bigenitorialità su base volontaria, negando alcun ruolo al donatore, quantunque artefice del concepimento.
Non era chiaro però se detto interesse fosse considerato comunque
prevalente rispetto ad altro, di cui può rendersi portatore il minore e
da lui considerato prevalente: quello di rifiutare una genitorialità non
fondata sulla derivazione genetica, rimanendo il dubbio, nel silenzio
normativo, se egli potesse agire per la rimozione dello stato, prevedibilmente nel caso in cui i richiedenti non si rivelassero adeguati (tenuto
anche conto che l’azione può essere ormai proposta dal figlio senza
43
Prima dell’introduzione della legge n. 40 la giurisprudenza si era mostrata incerta
sulla soluzione da adottare. Per l’ammissibilità della rimozione dello stato si erano
pronunziati, ad esempio, Trib. Cremona, 17 febbraio 1994, in Giust. civ., 1994, I, 1687
e App. Brescia, 14 giugno 1995, in Dir. fam. 1996, 116. In senso contrario, C. cost.,
26 settembre 1998, n. 347, in Foro it., 1998, I, 3042 e Cass., 16 marzo 1999, n. 2315, in
Famiglia e dir., 1999, 233.
44
Cass. 10 giugno 2014, n. 262, in Corr. giur., 2014, 1062 con nota di G. Ferrando.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
541
limiti tempo)45. La rilevanza di tale interesse non trova spazio nella
motivazione della Corte la quale ha dichiarato l’incostituzionalità del
divieto. Essa infatti prende quasi esclusivamente in considerazione
l’interesse alla genitorialità della coppia sterile, censurando il divieto
di ricorso alla fecondazione eterologa in quanto esso comporta un irragionevole bilanciamento di interessi. In particolare riguardo al figlio
non viene menzionato l’interesse alla genitorialità genetica ma solo
quello alla conoscenza delle proprie origini, già adeguatamente tutelato dal dettato dell’art. 28 l. adoz. e l’interesse alla bigenitorialità. Si
potrebbe ritenere allora che l’interesse menzionato (peraltro del tutto
teorico) non trovi alcuna considerazione, avendo il legislatore sancito
la prevalenza dell’interesse della coppia di divenire genitori mediante opzione a favore del criterio volontaristico ed abbandono di quello
genetico in quanto ritenuto più idoneo alla tutela del minore. L’azione
volta a rimuovere lo stato sarebbe da negare al figlio perché, si è detto,
egli «non può disconoscere genitori che sono tali per legge, come lo
sono i genitori adottivi46».
Sia la legge n. 40/2004, nel vietare il ricorso alla maternità surrogata nel contesto delle pratiche di PMA, sia la Corte Costituzionale
nel confermarne la illegittimità, risolvono il problema dell’attribuzione
della maternità quando vi è dissociazione fra madre genetica e madre
biologica (la gestante) a favore di quest’ultima, in conformità al dettato dell’art. 269, 3° comma, non modificato dalla recente Riforma del
2012 sulla filiazione. Infatti la legge n. 40 non prevede che, nel caso
di violazione del divieto, la maternità venga attribuita alla donna da
cui proviene l’ovulo ove sia ricorsa a maternità surrogata, non solo
per il particolare disvalore insito in tale pratica47. Infatti tale opzione a
favore della gestante è confermata anche quando detto disvalore non
si profila, in quanto la dissociazione tra maternità genetica e biologica dipenda da accidentale scambio di embrioni, onde può affermarsi
che il principio della prevalenza della gestante sulla madre genetica è
45
Per la legittimazione del figlio ad esperire le relative azioni si è espressa Cass., 11
luglio 2012, n. 11644, in Foro it., 2012, I, 3348.
46
M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della
decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir. fam., 2015, 191.
47
Nel processo di gestazione il contributo fornito dalla gestante viene dunque
considerato da una corrente dottrinaria, prevalente rispetto a quello fornito dalla
madre genetica, quando si pone un conflitto fra le due donne: per tutti v. C.M.
Bianca, op. cit., 445.
542
The best interest of the child
applicabile sia nella fecondazione naturale che in quella artificiale48.
Anche perché la soluzione non dovrebbe mutare ove la pratica fosse
stata compiuta all’estero e successivamente venga avanzata richiesta di
riconoscimento in Italia del provvedimento straniero (v. § 5).
Resta tuttavia il dubbio, ove la madre biologica non intendesse assumere il proprio ruolo, optando dopo la nascita per l’anonimato49, se sia
possibile riconoscerlo alla madre genetica. Una indicazione puntuale al
riguardo manca nelle norme; la soluzione positiva potrebbe però probabilmente trovare fondamento nell’interesse del minore alla bigenitorialità, in un contesto in cui alla donna deve ricondursi la genitorialità
genetica che, quantomeno, attenua il disvalore della sua scelta50.
Ritornando alla ipotesi iniziale, è ampiamente noto il caso, singolare
e sofferto, verificatosi di recente in Italia dello scambio accidentale di embrioni avvenuto da parte della struttura sanitaria nella quale due coppie
si erano sottoposte a pratiche di PMA. In detta circostanza peraltro non
era configurabile il ricorso a maternità surrogata per l’evidente differenza
della fattispecie51, bensì la dissociazione tra madre genetica e madre gestante; la giurisprudenza ha risolto il problema della individuazione della madre dando prevalenza a quest’ultima. Tale soluzione è stata ritenuta
maggiormente conforme all’interesse del minore, valorizzando il ruolo
della madre biologica52 e richiamando l’esigenza di non mutare la sta48
M. Bianca, op. cit., 203.
49
In quanto il diritto alla maternità deve considerarsi indisponibile, onde risulterebbe
nulla una rinuncia preventiva alla nascita.
50
V. in tal senso C.M. Bianca, op. cit., 446 il quale osserva inoltre che la soluzione è
da applicare anche nel caso in cui successivamente la madre biologica abbandoni il
minore, così evitando il ricorso all’adozione.
51
“Maternità surrogata e fecondazione eterologa per errore” definisce la situazione
venutasi a creare, Trib. Roma, 8 agosto 2014, in Famiglia e dir., 2014, 929, con nota
di M.N. Bugetti, Scambio di embrioni ed attribuzione della genitorialità. Nella decisione
si mettono bene in luce le differenze fra la fattispecie in oggetto e le pratiche di
fecondazione eterologa e surrogazione di maternità. E per tali aspetti v. altresì M.
Bianca, op. cit., 186 ss.
52
Si afferma infatti nella decisione del Trib. Roma, 8 agosto 2014, cit., che «la letteratura
scientifica è unanime nell’indicare come sia proprio nell’utero che si crea il legame
simbiotico tra il nascituro e la madre. D’altro canto è solo la madre uterina che può
provvedere all’allattamento al seno del bambino. Non può, pertanto, non ritenersi
sussistente un interesse dei minori al mantenimento di tale legame, soprattutto alla
luce del fatto che i bambini sono già nati e nei loro primi giorni di vita deve ritenersi
abbiano già instaurato un significativo rapporto affettivo con entrambi i genitori e
sono già inseriti in una famiglia». Le argomentazioni del tribunale sono condivise da
M.N. Bugetti, cit. alla nota precedente. L’orientamento volto a valorizzare il ruolo
della madre uterina è ribadito da Trib. Roma, 10 maggio 2016, ivi, 2016, 677, con nota
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
543
bilità dei rapporti già instaurati con la coppia composta da quest’ultima
e dal marito (quantunque entrambi non fossero autori del concepimento). Si sottolinea peraltro che il criterio della genitorialità genetica (verità
biologica) è sì costituzionalmente tutelato ma non in maniera assoluta,
essendo consentito al legislatore porvi dei limiti, onde non sussistono i
presupposti per considerare incostituzionale la norma (art. 243 bis) che
esclude la legittimazione all’azione da parte dei genitori biologici.
Difficilmente praticabile sarebbe apparsa anche una soluzione volta
a configurare una plurigenitorialità da riconoscersi in capo ai componenti di entrambe le coppie53, per il rischio di insorgenza di situazioni
conflittuali, pregiudizievoli per il minore54; principio della plurigenitorialità che non è comunque senz’altro da considerare contrario agli interessi del minore, ove tali rischi non sussistano, in seguito al contemporaneo riconoscimento di una genitorialità genetica e di una sociale
fra di loro non sovrapponibili (v. § 4).
Quelle esaminate sin qui sono le soluzioni adottate in base alle regole vigenti nel nostro ordinamento, le quali potrebbero tuttavia subire variazioni ove la nascita sia avvenuta in Paese straniero il quale
segua criteri differenti da quelli vigenti in Italia nell’attribuzione della
genitorialità, purché compatibili con i principi di ordine pubblico (dei
riflessi dei provvedimenti assunti in Stati stranieri nell’ambito dell’ordinamento interno ci si occuperà al § 5).
di M.N. Bugetti. Infatti il tribunale afferma che «per la determinazione dello stato
di filiazione, la gestazione resta un fattore decisivo, anche al di là della provenienza
dei gameti». Analogamente è a dirsi per la rilevanza del rispetto della continuità
del rapporto già instaurato tra la coppia ed il figlio, quale soluzione che tutela nel
modo migliore i suoi interessi. La lettura delle norme che regolano la filiazione
consente di apprezzare «la tensione del legislatore verso la stabilità della relazione
umana e familiare costituita attraverso la gestazione, il parto e l’inserimento dei nati
in un preciso nucleo familiare, che merita di essere particolarmente apprezzata e
valorizzata quale criterio ermeneutico, proprio in quanto nitidamente espressa nello
specifico contesto della legge sulla PMA». Soluzione a favore della madre biologica
condivisa da M. Bianca, op. cit., 199, in base alla considerazione «che è solo nella
madre uterina che il patrimonio genetico si trasforma in frutto del concepimento
attraverso l’impianto».
53
Si pensi ad es., alla regola in materia di adozione legittimante in base alla quale
vengono recisi i legami con la famiglia di origine ed al mancato riconoscimento del
ruolo genitoriale in capo al donatore o alla donatrice di gameti nella fecondazione
eterologa.
54
V. in proposito le considerazioni di M.N. Bugetti, Fecondazione accidentalmente
eterologa e tutela dell’interesse del minore, in Famiglia e dir., 2016, 680 ss. e di M. Bianca,
op. cit., 186 ss., la quale rileva che anche il bambino nato da PMA ha diritto ad una
famiglia “normale” costituita solo da due genitori giuridicamente riconosciuti.
544
The best interest of the child
Altro risvolto su cui concentrare l’attenzione è quello legato alla formalizzazione del rapporto (c.d. genitorialità formale). Come è noto,
infatti, occorre a tal fine procedere alla formazione dell’atto di nascita,
le cui risultanze dovrebbero essere conformi, in linea di principio, ai
criteri sostanziali innanzi menzionati. Alle azioni di stato è demandato
il compito di ristabilire la verità ove dovessero emergere divergenze.
La recente Riforma della filiazione del 2012/2013 ha confermato la
diversificazione dei criteri riguardanti la formalizzazione dello stato di
figlio nato nel matrimonio e di figlio nato al di fuori di esso onde, sotto
tale aspetto, si è discostata dall’obbiettivo fondamentale di realizzare
la piena unificazione di detto stato. Riguardo al primo è stato dunque
confermato il consolidato criterio di attribuzione automatica della genitorialità in capo alla partoriente coniugata ed al marito, peraltro il
più idoneo a soddisfare l’interesse del minore a vedersi riconosciuto
in maniera semplice lo stato a cui ha diritto, essendo normale, in tale
situazione, che autori del concepimento siano entrambi i coniugi (principio del favor matrimonii).
Esso risulta tuttavia attenuato non solo dal ricordato diritto all’anonimato della madre ma anche per il fatto che si permette alla donna di
rendere una dichiarazione di nascita nella quale venga precisato che il
marito non è il padre del bambino, e il conseguente riconoscimento del
figlio in quanto nato al di fuori del matrimonio. Detta possibilità è generalmente ammessa infatti dalla giurisprudenza55 senza che l’ufficiale
di stato civile possa rifiutarsi di accogliere la dichiarazione della donna, quantunque si ponga in apparente contrasto con la presunzione di
paternità, così assicurando pari diritti all’uomo e alla donna nel procedere al riconoscimento di un figlio adulterino56. Si consente peraltro
in tal modo anche al padre naturale di procedere, contestualmente alla
donna, al riconoscimento del proprio figlio, con acquisizione del relativo status (possibilità altrimenti preclusa dalla formazione di un atto di
55
V. ex multis, Trib. Milano, 25 gennaio 2012, in Banca dati Pluris; Trib. min. Cagliari, 2
ottobre 2009, in Famiglia e minori, 2010, 2, 86; Cass., 5 aprile 1996, n. 3194, in Foro it.,
1997, I, 2996; Cass., 10 ottobre 1992, n. 11073, in Dir. fam., 1993, 468; Cass., 2 aprile
1987, n. 3184, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 702; Trib. Milano, 12 dicembre 1984,
in Foro it., 1986, I, 2918; Trib. Trapani, 1 marzo 1982, in Giur. merito, 1984, 587; App.
Genova, 16 ottobre 1982, in Vita not., 1983, 639; Trib. Genova, 1 giugno 1982, in Giur.
it., 1983, I, 2, 372; Pret. Genova, 11 gennaio 1978, in Dir. fam., 1978, I, 1231.
56
È ricorrente infatti in giurisprudenza l’affermazione che la presunzione non opera in
mancanza della formazione dell’atto di nascita: v. ad es., Trib. Salerno, 4 agosto 2008,
in Banca dati Pluris.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
545
nascita all’interno del matrimonio il quale non potrebbe essere rimosso
per sua iniziativa) o anche, a certe condizioni, in un momento successivo (secondo riconoscimento: v. § 3).
Ma tale soluzione potrebbe sacrificare l’interesse del marito ove la
dichiarazione non fosse rispondente a verità, costringendolo ad agire
per impugnare il falso riconoscimento prima, e reclamare lo stato che
gli spetta poi, precludendogli la possibilità di esercitare immediatamente il ruolo paterno nonostante essa si ponga in contrasto col favor veritatis. La soluzione adottata – che dunque penalizza il marito
– potrebbe giustificarsi verosimilmente proprio in relazione all’improbabilità di una falsa attestazione della madre e all’interesse del figlio
all’acquisizione dello stato a cui ha diritto senza dover esperire l’azione
di disconoscimento, ove fosse precluso alla madre rendere tale dichiarazione. Possibilità di esperire l’azione peraltro ormai riconosciutagli
dalla legge senza limiti di tempo ove fosse stato comunque formato
un atto di nascita all’interno del matrimonio non conforme a verità. Di
converso una falsa dichiarazione della donna non solo comporterebbe
sanzioni penali a suo carico ma non dovrebbe generalmente precludere al marito di far emergere la verità in giudizio (ma facendo ricadere
su di lui il conseguente onere anche sotto il profilo probatorio). È da
sottolineare peraltro che, in virtù della prevalenza dell’interesse del
minore alla stabilità dello stato, l’interesse del marito potrebbe risultare irrimediabilmente sacrificato ove egli avesse scoperto tardivamente
(oltre 5 anni dalla nascita) che la donna non aveva commesso adulterio.
Di converso occorre considerare che egli è generalmente in condizione
di assumere più rapidamente l’iniziativa nella formazione dell’atto di
nascita rispetto alla madre onde la sua inerzia deriva per lo più dalla
consapevolezza dell’adulterio della moglie.
Non sembra rispondere invece all’interesse del figlio di ricevere
cura dai genitori biologici il criterio privilegiato dalla legge nel caso di
nascita al di fuori del matrimonio, in base al quale si esige che ciascuno di essi proceda al suo riconoscimento, ponendoli in tal modo sullo
stesso piano, quantunque generalmente non sussistano incertezze riguardo alla identità della madre. Pertanto la formazione dell’atto di
nascita recante il nome della donna può formarsi solo sulla base della sua dichiarazione resa innanzi all’ufficiale di stato civile o espressa
comunque in atto pubblico. La Riforma della filiazione non ha inteso
dunque privilegiare – come avvenuto in altri ordinamenti – il criterio,
più favorevole al minore, di attribuzione automatica della maternità
546
The best interest of the child
nei confronti della partoriente57 ed altresì, con riferimento alla paternità, introdurre la relativa presunzione nel caso di generazione nel
contesto di una stabile convivenza, onde anche per il padre opera il
principio secondo il quale per la costituzione dello stato occorre il riconoscimento. In sua mancanza il figlio sarà dunque costretto ad agire
mediante l’azione di dichiarazione della paternità o della maternità per
ottenere l’attribuzione dello stato a cui ha diritto.
3 segue: le problematiche del riconoscimento.
Due sono pertanto le strade mediante le quali il figlio può conseguire lo stato a cui ha diritto quando è nato al di fuori del matrimonio:
il riconoscimento da parte del genitore o il ricorso all’azione giudiziale volta ad ottenerlo coattivamente Trattasi di percorsi alternativi che
contemperano diversamente gli interessi in gioco. Il riconoscimento
infatti, quale atto spontaneo del genitore, sta ad attestare formalmente
l’essere autore della generazione e il suo interesse all’assunzione ed al
presumibile esercizio fattivo del proprio ruolo, a cui ha diritto sulla
base dell’art. 30 Cost. Questa è la ragione per la quale il figlio non può
in linea di principio opporsi o frapporvi ostacoli (fatte salve le eccezioni di cui si dirà), anche al cospetto di un genitore, per avventura, carente di qualità positive. L’azione giudiziale spetta invece unicamente al
figlio e per lo più presuppone la contrarietà o il disinteresse del genitore ad assumere il proprio ruolo onde spetta al titolare dell’azione (o a
chi ne cura gli interessi) valutare l’opportunità di acquisire lo status in
circostanze siffatte o quando il genitore risulti inadeguato58.
Riguardo al riconoscimento, occorre innanzitutto porre in luce
come un’efficace tutela dell’interesse del minore dipenda in larga parte dalla sua tempestività, per l’ovvia considerazione che fin dalla nascita il bambino è bisognoso di cure. Anzi l’ordinamento consente ai
genitori di procedervi fin dal concepimento (art. 254, 1° comma), soluzione di fondamentale rilevanza, in quanto rende loro possibile fin
57
Soluzione che secondo G. Bonilini, op. cit., 318, si giustifica per il fatto che detta
automaticità potrebbe tradursi anche in un pregiudizio per il figlio piuttosto che in
un vantaggio.
58
Occorre tenere conto infatti che al genitore a cui è precluso il riconoscimento (ad
es., per opposizione del figlio che ha compiuto quattordici anni o del genitore che vi
ha provveduto per primo e sempre che ricorrano fondate ragioni) non è consentito
l’esercizio dell’azione giudiziale volta a conseguire lo status.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
547
dallo sbocciare della vita l’esercizio della relativa responsabilità – ed
al figlio di acquisire i conseguenti diritti – senza dover attenderne la
nascita e scongiurando l’eventuale pregiudizio che potrebbe derivare
a quest’ultimo dal fatto che il genitore sia morto prima di aver potuto
procedere al riconoscimento. L’art. 44 DPR n. 396/2000 pone però un
limite nei confronti del padre, in quanto stabilisce che il riconoscimento può essere fatto solo contestualmente a quello della gestante o dopo
quest’ultima. Il fondamento del limite suddetto viene individuato nel
dettato dell’art. 258 cc. in base al quale “il riconoscimento di uno solo
dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore”,
mentre invece la menzione della madre si renderebbe necessaria per
l’identificazione del nascituro che il padre intendesse riconoscere, in
assenza di analoga decisione da parte della donna. Questa soluzione si
pone però non solo in evidente contrasto con i diritti del padre stesso
in quanto il conseguimento dello stato dipenderebbe dalla discrezionalità della madre (la quale tra l’altro potrebbe provvedere al riconoscimento a sua insaputa, relegandolo – come si vedrà tra breve – nella
scomoda posizione di genitore che riconosce per secondo) ma anche
con gli interessi del nascituro, anch’essi costituzionalmente tutelati, i
quali verrebbero sacrificati senza una reale giustificazione, in contrasto col principio del best interest of child. In realtà la dichiarazione del
padre non comporta necessariamente la menzione del nome della madre nell’atto di nascita onde la regola posta dall’art. 258 cc. rimarrebbe comunque salvaguardata. Ove si opinasse altrimenti, sorgerebbe il
problema di costituzionalità dell’art. 44 del DPR menzionato per violazione del principio di uguaglianza a causa dell’ingiustificata discriminazione a cui il padre verrebbe sottoposto59.
Ferma restando l’esigenza di rapidità del riconoscimento, la legge
non pone tuttavia un limite temporale per il suo intervento onde i genitori potrebbero provvedervi anche a distanza di tempo60. Ma occorre
tenere presente che la giurisprudenza considera per lo più in stato di
abbandono il bambino che non sia stato riconosciuto da nessuno dei
due genitori, onde il riconoscimento non potrebbe avvenire se è stata
59
V. in tal senso, C.M. Bianca, op. cit., 404. Non individua nell’indicazione della donna
un ostacolo al riconoscimento anche G. Bonilini, op. cit., 324.
60
C. cost., 16 giugno 1988, n. 686, in Giust. civ., 1988, I, 3134 ha giudicato inammissibile
la questione di costituzionalità dell’art. 250 cc. che non demanda al rappresentante
legale del minore il controllo sulla convenienza del primo riconoscimento, trattandosi
di soluzione rimessa alla competenza del legislatore.
548
The best interest of the child
nel frattempo pronunziata l’adozione. La procedura è però rinviata, anche d’ufficio, fino al raggiungimento da parte del genitore del sedicesimo anno di età, purché sussistano le condizioni per un adeguato accudimento del figlio, e, su richiesta del primo, può essere sospesa per altri
due mesi (art. 11, comma 3, l. adoz). La rilevanza dell’interesse del figlio
minore ad ottenere quanto prima il riconoscimento è attestata anche
dalla modifica introdotta al 5° comma dell’art. 250 cc. il quale consente
ormai al genitore infrasedicenne di procedere al riconoscimento, previa
autorizzazione del giudice, concessa propria sulla base di tale interesse e, si aggiunge, di ulteriori circostanze nell’ambito delle quali rientra
certamente la valutazione della maturità e consapevolezza del genitore
circa le conseguenze dell’atto che si accinge a compiere. In assenza di
detta autorizzazione l’atto deve considerarsi annullabile (e non nullo o
addirittura inesistente), soluzione che tutela in maniera più appropriata
rispetto alle altre gli interessi in gioco (del genitore e del figlio)61.
La mancanza di un termine per procedere al primo riconoscimento si giustifica con una scelta del legislatore di considerare comunque
favorevole al minore l’acquisizione di almeno un genitore che possa
provvedere alle sue esigenze ed il mutamento della situazione in atto
non si considera foriera di pregiudizi per il minore; in questa prospettiva non si fa menzione di un’eventuale ascolto del minore che abbia
compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se in grado di esprimere
la propria opinione, quantunque tale iniziativa coinvolga i suoi interessi (dunque non trova applicazione la regola generale posta dall’art.
315 bis, 3° comma cc.). Diversamente è a dirsi ove il minore abbia compiuto quattordici anni in quanto è previsto che egli manifesti previamente il proprio assenso62 (art. 250, 2° comma cc.) onde in tal caso solo
a lui spetta valutare la conformità al suo interesse dell’iniziativa assunta dal genitore anche a causa dei conseguenti oneri che il figlio assume
verso quest’ultimo.
L’interesse del minore assume inoltre un ruolo centrale nel caso di
riconoscimento da parte del genitore il quale si sia reso responsabile
di incesto. Come è noto la l. n. 219/2012 (Riforma della filiazione) ha
61
C. M. Bianca, op. cit., 437 s.; S. Troiano, Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento
del figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Milano, 2015, 229 s.;
G.F. Basini, Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da G. Bonilini, Milano, 2016, 3571 s.
62
Non si parla di consenso in quanto il riconoscimento resta un atto unilaterale del
genitore.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
549
rimosso il divieto di riconoscimento nei confronti del genitore (o dei
genitori) incestuoso(i) in mala fede (art. 251 cc.), mentre sotto la previgente versione della norma il riconoscimento era consentito solo se
questi fosse(ro) stato(i) in buona fede (al quale doveva ritenersi equiparato il genitore che aveva subito violenza). In entrambe le discipline
il riconoscimento è subordinato ad una valutazione del giudice circa
la convenienza del riconoscimento per il minore, al fine di evitargli un
pregiudizio. Occorre tenere conto infatti che il discredito derivante dallo svelamento delle origini potrebbe comportare svantaggi di gran lunga superiori agli effetti favorevoli derivanti dall’acquisizione dello status. Non è agevole comprendere quali siano esattamente le valutazioni
compiute dalla giurisprudenza nella ricostruzione di tale interesse per
la comprensibile esiguità delle pronunzie in materia. Pur tuttavia occorre ricordare almeno una recente decisione con la quale il giudice ha
autorizzato il successivo riconoscimento da parte della madre che aveva generato una figlia, in seguito alla violenza subita dal proprio padre
(e da esso già riconosciuta), in quanto era l’unica che in concreto provvedeva all’accudimento della bambina, col conseguente suo interesse
a poterla acquisire come genitore anche dal punto di vista giuridico63.
Il pregiudizio derivante dal disvelamento dell’incesto generalmente non sussiste ove il riconoscimento provenga da un solo genitore in
quanto è solo con l’individuazione del secondo che emerge l’incestuosità del concepimento. Ciò nonostante anche in tale ipotesi l’art. 42,
2° comma DPR n. 396/2000 impone al richiedente di presentare l’autorizzazione giudiziale al riconoscimento in quanto egli è tenuto, più
in generale, ad attestare innanzi all’ufficiale di stato civile che nulla
osta al riconoscimento. Ove egli tacesse la generazione incestuosa si
renderebbe responsabile del reato di falsa attestazione (art. 495 c.p.).
La necessità dell’autorizzazione giudiziale anche nel caso del primo
riconoscimento si giustifica per il fatto che proprio a causa della grave
irregolarità della generazione si rende necessaria una valutazione del
giudice circa l’idoneità del genitore ad acquisire il relativo status.
Al di fuori di tale ipotesi, rilevanza fondamentale in vista del perseguimento dell’interesse del minore viene attribuita dall’art. 250 cc. nel
caso in cui il riconoscimento non intervenga contestualmente da parte
dei due genitori in quanto è richiesta una verifica riguardo alla convenienza del secondo riconoscimento. La valutazione viene rimessa al
63
Trib. min. Caltanissetta, 20 dicembre 2013, in Guida al dir., 2014, 8, 66.
550
The best interest of the child
figlio stesso che abbia compiuto quattordici anni, altrimenti occorre il
consenso del genitore che ha riconosciuto per primo, fermo restando
che, secondo la norma, esso non può venire rifiutato se risponde a detto
valore64. La ricostruzione del suddetto interesse costituisce problematica particolarmente controversa alla luce della copiosa giurisprudenza
in materia, la quale ne ha elaborato nel tempo i criteri di valutazione i
quali non sempre appaiono soddisfacenti.
Poiché l’acquisto dello status costituisce un diritto per entrambi i
soggetti coinvolti nella vicenda (genitore che aspira al riconoscimento
e figlio) compito precipuo del giudice (oggi il tribunale ordinario) è
quello di individuare il punto di equilibrio degli interessi in gioco65; la
norma infatti non ne stabilisce una gerarchia ma si limita a precisare
la necessità del consenso del genitore che abbia già operato il riconoscimento, il quale deve però decidere alla luce dell’esclusivo interesse
del minore66 onde il proprio interesse non assume rilevanza nel contesto di tale vicenda. Pertanto il giudice non potrebbe respingere la
richiesta perché il primo genitore è in cattivi rapporti con l’altro o intende difendere la propria serenità (ragione che non di rado è proprio
alla base della sua opposizione). Solo due sono dunque gli ordini di
interessi che devono essere presi in considerazione dal giudice: quelli
di cui è portatore l’istante e gli interessi del minore.
Il diritto alla genitorialità, garantito dall’art. 30 Cost. è la premessa da
cui muovono quasi tutte le decisioni nell’affrontare il problema67, pre64
Spetta dunque al primo genitore tutelare gli interessi del figlio in giudizio.
Quest’ultimo è considerato parte in senso sostanziale: ad es., Cass., 27 marzo 2017,
n. 7762; Trib. Vicenza, 17 settembre 2017, in Banca dati Pluris.; Cass., 7 ottobre 2014,
n. 21101, in Famiglia e dir., 2015, 324, con nota di F. Tommaseo; App. Napoli, 17 aprile
2013, in Corr. merito, 2013, 595; Cass., 21 ottobre 2009, n. 22238.
65
V. Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763, cit.
66
Discusso in giurisprudenza è se tale potere dipenda dalla titolarità della
responsabilità genitoriale o dallo status già acquisito e dunque spettante anche in
caso di decadenza dalla medesima. A favore di quest’ultimo fondamento, Cass., 30
luglio 2014, n. 17277, in Foro it., 2015, I, 2134; a favore del primo, Trib. Perugia, 24
agosto 1989, in Dir. fam., 1990, 1242.
67
Frequente a tal proposito è il richiamo al diritto soggettivo del genitore,
costituzionalmente garantito, di acquisire lo status. V. ex multis, Cass., 28 febbraio
2018, n. 4763; Cass., 27 marzo 2017, n. 7762, cit.; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, in
Famiglia, pers. e succ., 2008, 777, con nota di P. Di Stefano; Cass., 11 gennaio 2006,
n. 395; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, in Giur. it., 2005, 1614; Cass., 8 agosto 2003,
n. 11949; Cass., 10 maggio 2001, n. 6470, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 294, con
nota di B. Lena; Cass., 28 dicembre 1994, n. 11263, in Giur. it., 1995, I, 1, 1472; Cass.,
6 giugno 1990, n. 6093, in Giust. civ., 1990, I, 2286. La giurisprudenza non ritiene
necessaria una verifica sulla veridicità del riconoscimento se non in via incidentale al
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
551
cisando che il relativo sacrificio può trovare giustificazione solo in presenza di ragioni volte a tutelare interessi del figlio di pari rilevanza68, la
cui lesione viene individuata essenzialmente nella compromissione del
suo sviluppo psico-fisico. Ricorrente è infatti, nel corpo delle decisioni,
l’affermazione secondo la quale la richiesta deve essere respinta solo in
presenza di «motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la
forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che
giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità69». L’interesse
del genitore sembra dunque, a stretto rigore, prendere il sopravvento
su quello del figlio, il quale rileverebbe solo se totalmente sacrificato. Si
aggiunge non di rado che «il mancato riscontro di un interesse ulteriore
del minore non costituisce ostacolo all’esercizio del diritto del genitore
richiedente70». La soluzione sembrerebbe costituire in realtà, nella visione della giurisprudenza, criterio di contemperamento e definizione degli interessi in gioco71 (senza profilare una prevalenza dell’interesse del
genitore che intende riconoscere) sulla base della constatazione che per
lo più è anche interesse del figlio l’acquisizione del secondo genitore72
fine di verificare la legittimazione all’azione: v. ad es., Cass., 7 ottobre 2014, n. 21101,
cit.; Cass., 23 febbraio 1999, n. 1958; Cass., 23 febbraio 1991, n. 1958; Cass., 13 marzo
1987, n. 2654, in Giur. it., 1988, I, 1, 1025.
68
Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.
69
Espressione questa riscontrabile ripetutamente nelle decisioni. Cfr., Cass., 10 maggio
2001, n. 6470, cit.; Cass., 22 ottobre 2002, n. 14894; Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, in
Famiglia e dir., 2003, 445, con nota di A. Figone; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.;
Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit.; Cass., 16 novembre 2005, n. 23074, in Giust.
civ., 2006, I, 1212; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.; Cass., 3 febbraio 2011, n. 2645;
Trib. Taranto, 7 maggio 2014, in Banca dati Pluris. Il grave pregiudizio del minore per
compromissione dello sviluppo psico-fisico è richiamato anche da Cass., 11 febbraio
2005, n. 2878; Cass., 29 aprile 2004, n. 8209; Cass., 16 giugno 1990, n. 6093. Parlano,
analogamente, di “motivi seri e specifici”, Cass., 5 febbraio 1985, n. 790; Cass., 26
novembre 1998, n. 12018.
70
Trib. Taranto, 7 maggio 2014, cit.; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.; Cass., 16 marzo
1999, n. 2338, in Giust. civ., 1999, I, 1601.
71
Ricorrente infatti è l’affermazione che l’interesse del genitore richiedente non si pone
in contrapposizione con quello del minore: v. per tutte Cass., 3 aprile 2003, n. 5115,
cit.; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit.
72
Cass., 16 dicembre 1982, n. 6660, in Giust. civ., 1982, I, 626; Cass., 5 febbraio 1985,
n. 790; Cass., 27 maggio 2008, n. 13830, in Foro it., 2008, I, 2457. Ma nel senso che il
giudice non possa limitarsi a valutare in via presuntiva l’interesse del minore a fare
affidamento su entrambi i genitori, Cass., 24 gennaio 1991, n. 687. Ne consegue che
la nomina di un curatore speciale a tutela del minore si renda necessaria solo ove
possa configurarsi un conflitto di interessi fra il primo genitore ed il figlio: v. ad
es., Trib. Vicenza, 17 settembre 2017, cit.; Cass., 7 ottobre 2014, n. 21101, cit.; App.
Napoli, 17 aprile 2013, cit. In questa prospettiva C. cost., 11 marzo 2011, n. 83, in Riv.
552
The best interest of the child
(interesse alla bigenitorialità) per gli apporti educativi ed economici che
può garantirgli e in quanto la conseguente acquisizione contribuisce alla
fedele rappresentazione della sua identità73, senza che debba andarsi
alla ricerca del perseguimento di ulteriori interessi74. Valore della bigenitorialità indubbiamente privilegiato e posto in particolare risalto dalla
normativa più recente nelle enunciazioni riguardanti i diritti dei figli anche nel caso di crisi dei genitori75. Nelle enunciazioni della giurisprudenza non si intende necessariamente configurare in senso tecnico una presunzione76 ma fare riferimento ad un astratto principio desumibile dal
contesto delle norme, e conforme anche ad esperienza, in virtù del quale
generalmente poter contare su entrambi i genitori costituisce interesse
del minore, la cui sussistenza non si nega debba poi essere verificata in
concreto77. Principio che trova verosimilmente conferma nella recente
opzione compiuta dal legislatore nel contesto della disciplina sull’unificazione dello stato filiale mediante modifica della procedura prevista
nel caso di opposizione da parte del genitore, ai sensi del 4° comma
dell’art. 250 cc. Alla luce della precedente disciplina il giudice era infatti chiamato comunque a pronunziarsi sul relativo fondamento, previo
ascolto del minore, in contraddittorio con l’opponente e con l’intervento
del pubblico ministero. Attualmente invece detto giudizio potrebbe non
avere luogo ove il genitore convenuto non proponga opposizione (entro
trenta giorni) alla richiesta formulata dall’altro genitore ed a lui notificata, onde, secondo l’opinione prevalente, il giudice dovrebbe senz’altro
accoglierla senza compiere ulteriori accertamenti (ivi compresa la conformità all’interesse del minore). Mentre a detta valutazione dovrebbe
procedere, previo ascolto del minore, solo nel caso di opposizione78.
dir. proc., 2012, 802, con nota di A. D’Alessio, ha ritenuto infondata la questione di
legittimità dell’art. 250 cc. in relazione agli artt. 2, 3, 24, 30, 31, 111 Cost. proprio per
le garanzie offerte dalla possibilità di questa nomina.
73
Cass., 5 giugno 2009, n. 12984.
74
Trib. min. Palermo, 13 marzo 2012, in Banca dati Pluris; Cass., 3 novembre 2004, n.
21088, cit.; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.
75
Quantunque in questo caso esso non verrebbe invocato con riferimento alla
regolamentazione di un rapporto già costituito ma al conseguimento dello status che
il richiedente intende conseguire.
76
Così sembrerebbero invece ritenere Cass., 30 luglio 2014, n. 17277, cit.; Cass., 27
maggio 2008, n. 13830, cit.; Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, in Dir. fam., 2001, 536, con
nota di A. Galoppini; Cass., 11 marzo 1998, n. 2669, in Famiglia e dir., 1998, 388.
77
V. da ultimo, Cass., 27 marzo 2017, n. 7762, cit.
78
S. Troiano, op. cit., 204 ss.; G. F. Basini, op. cit., 3583.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
553
La soluzione peraltro non appare tutto sommato contraddittoria in
quanto muove dall’idea che il genitore che ha provveduto al riconoscimento sia in grado di valutare nel miglior modo l’interesse del minore
onde così come potrebbe senz’altro assecondare inizialmente la richiesta, alla stesso modo, convintosi della infondatezza dell’opposizione
manifestata al di fuori del giudizio, desistere dal riproporla.
Nel caso in cui, invece, confermi la sua opposizione, tenuto fermo il principio astratto di probabile convenienza del secondo riconoscimento, il giudice dovrà verificarne in concreto l’esistenza “in
positivo”poiché il criterio astratto potrebbe rilevarsi fallace, in considerazione delle circostanze. Questo diviene allora il nodo cruciale
del problema: individuare, almeno in via di prima approssimazione, i
criteri in base ai quali il giudice dovrebbe orientare il proprio convincimento. Primo fra tutti quanto potrà emergere dall’ascolto del minore,
ove sussistano le condizioni previste dalla legge per ricorrervi79.
Sulla rilevanza delle sue risultanze non sussistono ormai significative riserve da parte della dottrina e della giurisprudenza onde –
tenuto conto dei limiti del presente contributo – sembra sufficiente
rammentare che anche in questo caso l’immotivata omessa audizione
costituisce un vizio del procedimento e che il giudice, nel discostarsi
dalle richieste del minore, dovrà adeguatamente motivare, ed altresì valutare se esse non siano frutto di condizionamento da parte di
uno dei genitori. Tale rischio sussiste in maniera più accentuata nel
caso in esame in quanto il genitore che ha riconosciuto per primo e che
normalmente vive col minore potrebbe con maggiore facilità condizionarne la volontà, per ragioni in realtà sottilmente incentrate su propri
interessi (più o meno commendevoli) che poco hanno a che vedere con
quelli del minore80. La giurisprudenza tende a valorizzare le scelte del
minore ritenendo che, in caso di espressione della volontà contraria
al riconoscimento, l’interesse in tal modo manifestato debba tendenzialmente prevalere su quello del genitore che intende procedere al
secondo riconoscimento81.
79
Cfr. Cass., 13 aprile 2012, n. 5584, in Famiglia e dir., 2012, 653, con nota di V. Carbone.
80
Trattasi di profilo preso in considerazione dalla giurisprudenza con riferimento ai
possibili condizionamenti che un genitore può esercitare sul figlio, al momento in
cui egli deve essere sentito dal giudice nel contesto della crisi, al fine di stabilire
tipologia e modalità dell’affidamento. V. in proposito Cass., 8 agosto 2016, n. 6919, in
Foro it., 2016, I, 1655.
81
V. Trib. min. Reggio Emilia, Bologna, 23 aprile 2005, in Banca dati Pluris; Cass., 27
554
The best interest of the child
Altro elemento rilevante può essere costituito dalla tempestività o
meno, rispetto alla nascita, della richiesta di riconoscimento e le ragioni
di un eventuale ritardo (quali, ad es., la mancata conoscenza della nascita stessa o i dubbi sull’essere l’autore del concepimento, la giovane
età del richiedente al momento della nascita del figlio82 e le pressioni in
negativo esercitate dai suoi familiari, il suo stato di salute83, gli impedimenti frapposti dall’altro genitore84). Non vi è dubbio che in mancanza
di siffatte giustificazioni un ripensamento tardivo ingenera sospetto,
anche se non può escludersene in linea di principio l’apprezzabilità. È
più facile inoltre che un ripensamento tardivo rischi di incidere in negativo su una situazione familiare ormai consolidata di cui non si può
non tenere conto, ivi compreso il fatto che il minore viva ormai nella
nuova famiglia che il genitore ha costituito85.
Ancora occorre considerare l’indole del richiedente, alla luce della
vita pregressa86, tenuto conto anche dei comportamenti avuti nei confronti del minore e dei rapporti eventualmente intrattenuti col medesimo87; riscontri che tuttavia potrebbero non essere sempre decisivi ove
marzo 2017, n. 7762 cit., la quale ha cassato con rinvio una decisione di merito che,
accogliendo la richiesta di riconoscimento, non ha preso in adeguata considerazione
la volontà contraria espressa dalla minore, quantunque ne avesse accertato
l’adeguata maturità.
82
Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.
83
Quale ad es., il ricovero a causa di tossicodipendenza, che non aveva consentito al
genitore di procedere al riconoscimento tempestivo: Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.
84
Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.
85
Numerosa è la giurisprudenza che ha dovuto decidere nel contesto di situazioni
siffatte. V. in proposito Cass., 13 novembre 1986, n. 6649, in Giur. it., 1987, I, 1,
1837, con nota di F.M. Cirillo, sentenza che va segnalata per l’accuratezza delle
argomentazioni volte a ritenere in concreto prevalente l’interesse del minore
alla stabilità familiare ormai raggiunta all’interno della nuova famiglia del
genitore rispetto all’interesse dell’istante ad ottenere l’autorizzazione al secondo
riconoscimento. Nello stesso senso App. Genova, 21 aprile 1980, in Giur. merito, 1982,
888; Trib. min. Genova, 25 gennaio 1979, in Foro it., 1980, I, 819. Diversamente, Trib.
min. Palermo, 13 marzo 2012, cit.
86
Peraltro Cass., 22 febbraio 2000, n. 1990 non ritiene sufficiente per negare il
riconoscimento «una condotta morale del genitore non esente da censure» (nel
medesimo senso Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763, cit.). Analogamente è a dirsi per
la pendenza di un procedimento penale (Cass., 3 febbraio 2011, n. 2645 ). Indubbie
perplessità solleva la decisione adottata da Cass., 14 febbraio 2019, n. 4526, in Foro
it., 2019, I, 1171 la quale non ha individuato ostacolo al riconoscimento da parte del
genitore gravato da numerose condanne per reati quantunque non violenti.
87
Ad es., il comportamento aggressivo e violento. V. in proposito Cass., 28 febbraio
2018, n. 4763, cit. A tal fine è certamente inappropriato limitarsi a verificare che il
genitore non abbia tenuto una condotta tale da giustificare una dichiarazione di
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
555
la situazione preesistente abbia subito una svolta negli anni successivi, sia in senso positivo sia in negativo88. Ben più significativo appare allora un giudizio prognostico sugli influssi che il genitore istante
possa esercitare in futuro sul minore, sull’affetto che sarà in grado di
dimostrargli89 e, più in generale, sulle motivazioni che lo inducono al
riconoscimento, sulla incondizionata piena accettazione degli effetti
che ne deriveranno90, sulla capacità91 e sulla mancanza di riserve sul
fattivo esercizio del proprio ruolo92. Di per sé non decisiva è invece la
condizione economica ed abitativa del richiedente e l’esercizio di attività lavorativa93 a meno che detta precarietà dipenda in realtà da una
sostanziale inaffidabilità del richiedente.
Certamente irrilevanti sono poi tutti gli aspetti, caratterizzanti la persona del richiedente che costituiscono espressione dell’esercizio di suoi
diritti come ad es., la religione94 o le idee politiche professate, l’essersi
decadenza dalla responsabilità parentale, come affermato in qualche decisione
riguardante l’individuazione dell’interesse del minore al fine di richiedere (mediante
iniziativa di chi tutela i suoi interessi) la costituzione giudiziale del rapporto di
filiazione: v. in proposito Cass., 19 aprile 2010, n. 9300; Cass., 11 settembre 2012, n.
15158, in Famiglia e dir., 2013, 306, la quale precisa altresì che potrebbe operare in
negativo «l’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore
e per la sua collocazione sociale»; analogamente Cass., 11 dicembre 2013, n. 27729;
App. Roma, 27 maggio 2009, in Banca dati Pluris. Non pochi dubbi solleva anche
l’affermazione di Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit., secondo la quale l’avere
preteso l’aborto e non essersi occupato della minore non risulti decisivo al fine di
escludere il suo interesse al riconoscimento.
88
In questa prospettiva Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit., ha autorizzato il riconoscimento
da parte del genitore che si era sottoposto con profitto alla cura, uscendo dallo stato di
tossicodipendenza.
89
La mancanza di affectio è stata ritenuta invece insufficiente da Cass., 19 aprile 2010, n.
9300, cit. e Cass., 11 settembre 2012, n. 15158, cit., per escludere l’interesse del minore
ad ottenere l’accertamento giudiziale dello status.
90
A tal proposito certamente negativa è la valutazione da farsi riguardo ad un padre che
manifesti riserve sull’acquisto da parte del figlio del suo cognome: v. in proposito App.
Palermo, 4 settembre 1981, in Dir. fam., 1982, 801, nonché nei confronti dello straniero
mosso dall’esigenza di porre le premesse per ottenere il permesso di soggiorno,
quantunque diversamente abbia ritenuto Cass., 14 febbraio 2019, n. 4526, cit.
91
Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763.
92
Contra, con riferimento all’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale della
paternità, Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, cit.
93
Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, cit., ha ritenuto non decisivo il fatto che il richiedente
risiedeva in località lontana rispetto a quella del minore, era sprovvisto di stabile
attività lavorativa, di autonoma abitazione e la propria condizione non presentava
margini di miglioramento.
94
Per un caso al riguardo v. Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, cit.
556
The best interest of the child
formato una nuova famiglia95, ecc. aspetti che potrebbero incidere, tutt’al
più (ma non sempre), sulla tipologia dell’affidamento o sulle modalità
del suo esercizio.
4 segue: Genitorialità sociale ed interesse del minore.
Per genitore sociale o terzo genitore si intende comunemente la
persona legata affettivamente e convivente con uno dei genitori che
lo “affianca” nell’adempimento dei doveri verso i suoi figli. Trattasi
dunque di persona che non è genitore né sotto il profilo genetico né
sotto quello giuridico. Sono invece genitori in senso giuridico, come
si è detto, sia gli adottanti con adozione legittimante (pur non essendolo sotto il profilo genetico) sia coloro che risultano tali dall’atto
di nascita anche se non hanno generato il bambino in quanto non
sono state esercitate le relative azioni volte a rimuovere lo stato non
rispondente a verità.
Il genitore sociale può esercitare una funzione particolarmente rilevante nella crescita e dunque nell’interesse del minore, la cui posizione è alquanto incerta alla luce della legislazione vigente; anche la
giurisprudenza si trova in difficoltà nell’individuazione delle regole
che la disciplinano. Detta genitorialità può nascere sulla base di due
diverse situazioni: a) l’esistenza di una famiglia monogenitoriale
evolutasi in bigenitoriale in seguito al matrimonio o alla convivenza
con il genitore sociale96; b) la formazione di una nuova famiglia (c.d.
rinnovata o ricomposta) sulle ceneri di una precedente, dissoltasi
per la morte di uno dei membri della coppia originaria, per separazione o divorzio; situazioni dalle quali può nascere un complesso intreccio di rapporti di non semplice ricostruzione e regolamentazione. Date le finalità del presente contributo ci si limiterà ad esaminare
le problematiche legate alla ricostruzione del rapporto tra genitore
sociale e i figli dell’altro. A tal fine occorre distinguere innanzitutto
le situazioni in cui il rapporto sorge sulla base di fattispecie disci-
95
Ma di diverso avviso si è mostrata Cass., 14 maggio 1991, n. 5386 la quale ha cassato
con rinvio la decisione del giudice d’appello che, nell’accogliere la richiesta di
riconoscimento, non aveva adeguatamente valutato l’interesse del minore alla luce
del fatto che il richiedente si era formato una nuova famiglia.
96
V. ad es., App. Salerno, 25 febbraio 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 177 con
riferimento alla nascita da madre surrogata anonima ed adozione da parte della
moglie del padre naturale.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
557
plinata dalla legge da quello di mero fatto, in cui l’adulto si trova ad
esercitare funzioni genitoriali in quanto componente della famiglia
del proprio coniuge o del convivente.
Le uniche norme di riferimento riguardanti la prima ipotesi si rinvengono nell’ambito della disciplina della c.d. adozione particolare,
nel contesto della quale – come è noto – il genitore adottivo non viene equiparato a quello genetico, pur assumendo un ruolo non secondario nella cura del minore, in quanto l’art. 48 l. adoz. gli riconosce
l’esercizio della responsabilità genitoriale e l’obbligo di concorrere al
suo mantenimento, mentre il minore acquista nei suoi confronti anche
diritti successori (al pari dei figli genetici)97. Norma fondamentale è
l’art. 44 lett. b) il quale contempla espressamente la possibilità per il coniuge del genitore di adottare i figli, anche adottivi, dell’altro. Occorre
prendere in considerazione tuttavia anche la lett. d) della medesima
norma che, secondo interpretazione estensiva ormai diffusa, avallata
dalla Cassazione, ritiene possibile l’adozione da parte del convivente
del genitore98 (anche del medesimo sesso99: v. § 5) salvo a vedere se
97
Certamente inappropriata sarebbe la soluzione accolta in altri ordinamenti di far
conseguire la genitorialità sociale mediante adozione legittimante in quanto si
interromperebbero i rapporti con la famiglia di origine.
98
Trib. min. Milano, 28 marzo 2007, in Famiglia e minori, 2007, 83; App. Firenze, 26
settembre 2012, in Banca dati Pluris. Contra, Trib. min. Milano, 17 ottobre 2016 e Trib.
min. Milano, 20 ottobre 2016, in Famiglia e dir., 2017, 994, con nota di E. Bilotti e in
Familia, 2017, 245, con nota di G. Miotto; Trib. Milano, 30 giugno 2016, in Nuova giur.
civ. comm., 2017, I, 188.
99
Tale riferimento è stato sfruttato negli ultimi anni da una copiosa giurisprudenza
proprio per avallare la soluzione volta a riconoscere veste giuridica ai rapporti
instaurati fra il coniuge o il convivente omosessuale del genitore mediante il
riconoscimento di situazioni maturate all’estero non ricomprese sotto la lett. b)
dell’art. 44 in quanto il nostro ordinamento non riconosce effetti giuridici interni
al matrimonio omosessuale e dunque non considera coniuge il genitore che voglia
procedere all’adozione dei figli dell’altro, ma unito civilmente: cfr. ex multis, App.
Napoli, 4 luglio 2018, in www.art29.it ; Trib. min. Bologna, 4 gennaio 2018, ivi; Trib.
min. Bologna, 31 agosto 2017, in Foro it., 2018, I, 1536; Trib. min. Bologna, 6 luglio
2017, in Corr. giur. 2018, 1396, con nota di C. Giorgi; Trib. min. Venezia, 15 giugno
2017, in Banca dati De Jure; App. Torino, 22 aprile 2017, ivi, 2061; App. Milano, 22
aprile 2017, in Foro it., 2017, I, 2061; App. Milano, 9 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017,
798; con nota di C. Ciraolo; Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, ivi, 2016, 1203, con nota
di P. Morozzo della Rocca; App. Torino, 27 maggio 2016, ivi, 1910; Trib. min. Roma,
30 dicembre 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 969, con nota di M. Farina; Trib.
min. Roma, 23 dicembre 2015, in Famiglia e dir., 2016, 584; Trib. min. Roma, 29 ottobre
2015, in Banca dati Pluris; Trib. min. Roma, 22 ottobre 2015 e App. Milano, 10 dicembre
2015, in Foro it., 2016, I, 338; Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, in Nuova giur. civ. comm.,
2015, I, 109, con nota di J. Long e in Famiglia e dir., 2014, con nota di M.G. Ruo. In
senso contrario, Trib. min. Piemonte e V. d’Aosta, 11 settembre 2015, in Nuova giur.
558
The best interest of the child
gli effetti che ne scaturiscono siano i medesimi rispetto a quelli previsti dalla fattispecie contemplata dalla lett. b). Importanti norme di
riferimento sono costituite inoltre dagli artt. 45 e 46 l. adoz. le quali
stabiliscono, rispettivamente, che per procedere all’adozione occorre il
consenso dell’adottante e dell’adottando che ha compiuto quattordici
anni, mentre in caso di età inferiore egli deve essere sentito, purché in
grado di esprimere una propria valutazione (o altrimenti deve essere
sentito il suo rappresentante legale). Richiesto è altresì l’assenso del
coniuge dell’adottando e dell’altro genitore i quali risultano indispensabili, rispettivamente, ove il coniuge sia convivente o il genitore eserciti la responsabilità genitoriale; nelle altre ipotesi il giudice può autorizzare l’adozione se il rifiuto dell’assenso è ingiustificato o contrario
all’interesse dell’adottando.
Sulla base del disposto enunciato svariati sono i profili che meritano di essere posti in luce: 1) la genitorialità sociale riconosciuta giuridicamente si configura quale genitorialità adottiva diversa da quella
legittimante che potrà essere acquisita previa valutazione di idoneità
dell’adottante e dell’esistenza dell’interesse dell’adottato; 2) detto genitore non è equiparato a quello di sangue, onde nell’ambito della coppia
sussisterà una situazione di squilibrio riguardo alla posizione loro riconosciuta100; 3) la genitorialità sociale può essere acquisita a prescinciv. comm., 2016, I, 205; Trib. min. Milano, 17 ottobre 2016, ivi, 2017, I, 177. V. anche
Trib. min. Palermo, 30 luglio 2017, in Foro it., 2018, I, 1537 il quale, pur ritenendo
possibile l’adozione, l’ha esclusa perché non rispondente all’interesse del minore,
per altro sull’erroneo presupposto che il genitore naturale verrebbe privato della
responsabilità genitoriale. A sua volta la l. n. 76/2016, all’art. 1, comma 20 si limita ad
affermare che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle
norme vigenti”. Poiché l’art. 44 non menziona la possibilità di adozione del figlio
del convivente, precipua rilevanza finisce con l’assumere il termine “consentito”
il quale sembra rimandare proprio agli arresti della giurisprudenza. Data allora
l’interpretazione estensiva della lett. d) ecco avallata la soluzione del riconoscimento
della genitorialità sociale da parte del convivente del medesimo sesso del genitore.
100
Pur tuttavia è da ricordare anche la posizione assunta da una parte della
giurisprudenza che ha ritenuto potersi riconoscere e dunque trascrivere un
provvedimento straniero di adozione legittimante nei confronti del partner del
medesimo sesso del genitore in quanto gli effetti che ne conseguono sono più
favorevoli al minore: Cass., 31 maggio 2018, n. 14007; App. Bologna, 8 maggio 2018,
in www.art29.it; App. Milano, 16 ottobre 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 725, con
nota di C. Benanti, in Corr. giur., 2016, 1211, con nota di P. Morozzo della Rocca,
in Famiglia e dir., 2016, 271, con nota di F. Tommaseo. In altro contesto anche Trib.
min. Genova, 8 settembre 2017, in Famiglia e dir., 2018, 149, con nota di E. Pesce, ha
ritenuto potersi riconoscere un provvedimento straniero di adozione legittimante
a favore di persona singola in quanto assicura continuità dello status e risponde
all’interesse del minore.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
559
dere dalle forme e dalle modalità dell’affidamento previste nell’ambito
dei rapporti fra i genitori genetici101; 3) non si interrompono i rapporti
con l’altro genitore genetico; 4) la posizione di genitore sociale è riservata al coniuge del genitore genetico o, secondo la giurisprudenza, anche al convivente; 5) essa non può conseguirsi se mancano i consensi o
gli assensi innanzi menzionati (di particolare rilievo è quello dell’altro
genitore esercente la responsabilità genitoriale). Quest’ultimo requisito non è dunque richiesto se manca l’altro genitore (ipotesi a) o ipotesi
b) prima parte, innanzi formulate). Semplificate risultano anche le soluzioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale (v. oltre).
Il mancato assenso del genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale, o che non la eserciti in concreto102, può essere ovviato dall’autorizzazione giudiziale ove l’acquisto della genitorialità sociale da parte
del coniuge del genitore (ma secondo la giurisprudenza – come si è
detto – anche del convivente) risponda all’interesse del minore inserito
nella nuova famiglia.
Di converso, problemi non si pongono ormai neppure nei casi in
cui l’altro genitore esercente la responsabilità genitoriale si opponga
all’adozione in quanto, in base al chiaro dettato dell’art. 46, 2° comma l. adoz., l’interesse di quest’ultimo prevale su quello del minore
alla formalizzazione del rapporto. Approdo a cui la giurisprudenza
è finalmente pervenuta in base ad una chiara pronunzia della Cassazione103, successiva all’introduzione dell’affidamento condiviso, ma
precedente all’avvento della Riforma del 2012/13 (che ha espressamente abrogato l’art. 217 bis), nella quale si afferma che «l’esercizio della
potestà da parte di entrambi i genitori ricorre tanto nell’affidamento
condiviso, quanto in quello esclusivo»104 (quantunque l’infelice formulazione dell’art. 337 quater, 3° comma cc., riferendosi all’affidatario nel
101
D. Buzzelli, , La famiglia “composita”, Napoli, 2012, 172; 180.
102
Cass., 21 settembre 2015, n. 18576, in Giur. it., 2016, 319; Cass., 16 luglio 2018, n.
18827, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 5, con nota di J. Long.
103
10 maggio 2011, n. 10265, in Corr. giur., 2012, 91, con nota critica di G. Ferrando.
104
Occorre sottolineare infatti che anche dopo l’approvazione della l. n. 54/2006, in
qualche pronunzia si continuava ad avallare l’interpretazione precedente (peraltro
ugualmente ingiustificata anche alla luce della precedente disciplina) secondo la
quale solo il genitore affidatario doveva considerarsi esercente la (allora) potestà: il
riferimento è ad App. Roma, 21 aprile 2010, in Banca dati Pluris; ma anche a Trib. Pisa,
20 ottobre 2009, in Fam. pers. succ., 2011, 502, con nota di S. Dimasi; Trib. Genova, 28
ottobre 2010, ivi, secondo il quale il genitore non affidatario doveva considerarsi
sollevato dall’obbligo di mantenimento del figlio in seguito all’adozione particolare
da parte del coniuge dell’altro genitore.
560
The best interest of the child
caso di affidamento monogenitoriale continui ad indicarlo come esercente esclusivo della responsabilità genitoriale105). In passato infatti la
costante giurisprudenza106 aveva sostenuto che il mancato assenso del
genitore non affidatario fosse superabile in quanto non doveva considerarsi esercente la potestà, onde elemento prevalente doveva considerarsi l’interesse del minore. La soluzione si fondava su una controversa
distinzione fra titolarità ed esercizio della potestà formulata da una
parte della dottrina con riferimento ai genitori non conviventi107, a mio
parere erronea in quanto già in passato al non affidatario erano riconosciuti poteri nell’assunzione delle decisioni di maggiore rilevanza per
il minore mentre gli venivano precluse solo le decisioni su questioni di
minore importanza; peraltro appariva del tutto ingiustificato sacrificare i diritti riconosciutigli dall’art. 30 Cost. in mancanza di ragioni così
gravi da comportare la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Pertanto occorre ribadire chiaramente che anche nel caso di affidamento
monogenitoriale l’opposizione del non affidatario non rende possibile
l’acquisto da parte del coniuge (o del convivente) del genitore del ruolo di genitore sociale con i conseguenti diritti, doveri e poteri derivanti
105
Nel senso del testo v. D. Buzzelli, op. cit., 156.
106
Cass., 28 ottobre 1992, n. 11604, in Giur. it., 1993, I, 1, 2150, in base al rilievo che «solo
la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze
del minore rendono rilevante il dissenso»; Cass., 5 ottobre 1996, n. 7137, in Dir. fam.,
1997, 558; App. Torino, 3 dicembre 1994, ivi, 1996, 992; Trib. min. Perugia, 10 ottobre
1995, in Riv. giur. umbra, 1996, 28; Trib. min. Sassari, 14 novembre 2002 e App.
Genova, 9 luglio 2003, in Famiglia e dir., 2003, 453, con nota di E. Ravot. Contra, Trib.
min. Roma, 30 ottobre 1991, in Giur. merito, 1991,736. Problematica appariva inoltre
l’individuazione dei criteri per stabilire la ragionevolezza o meno del rifiuto e per
ricostruire l’interesse del minore. Cfr. al riguardo Trib. min. Sassari, 14 novembre
2002, in Famiglia e dir., 2003, 452, con nota di E. Ravot.
107
Ad es., C. Grassetti, Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi, in
Comm. al dir. it. della famiglia, a cura di Cian-Oppo-Trabucchi, Padova, 1992, II, 698
ss.; P. Zatti-M. Mantovani, La separazione personale, Padova, 1983, 244; A.C. Pelosi,
Potestà dei genitori sui figli, in Noviss. Dig. It. App., Torino, 1984, 1126; G. Villa, Potestà
dei genitori e rapporti con i figli, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini e G.
Cattaneo, III, Torino, 1997, 277 ss. Ma in senso contrario, M. Giorgianni, Della potestà
dei genitori, in Comm. al dir. it. della famiglia, cit., IV, 335 ss.; L. Mengoni, Affidamento del
minore nei casi di separazione e divorzio, in Jus, 1983, 248 s.; C.M. Bianca, Diritto civile,
II, Milano3, 2001, 209 ss.; A. Finocchiaro-M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano,
1984, I, 561 ss; F. Ruscello, La potestà dei genitori, in Il codice civile commentario, diretto
da Schlesinger, Milano, 1996, 214 ss.; F. Finocchiaro, Matrimonio, in Comm. del cod.
civ. Scialoja e Branca (artt. 84-158), Bologna-Roma, 1993, 397 ss.: M. Sesta, La filiazione,
in Il diritto di famiglia, III, del Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Torino,
1999, IV, 3, 235 ss.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
561
dall’adozione108. Soluzione che trova piena giustificazione nel fatto che
quest’ultimo acquista e concorre nell’esercizio della responsabilità genitoriale e quindi nell’assunzione delle decisioni relative al minore.
Anche la mancanza dell’assenso del coniuge convivente dell’adottando preclude l’adozione, ma trattasi di situazione marginale essendo
limitata all’ipotesi di matrimonio celebrato dal sedicenne previa autorizzazione giudiziale. Analoga preclusione è prevista nel caso in cui
manchi l’assenso del genitore coniuge (o convivente) dell’adottante, situazione confinata, ma per altra ragione, ad ipotesi alquanto circoscritte essendo normale che l’iniziativa dell’aspirante genitore sociale sia
stata preventivamente concordata dalla coppia. Residuano pur sempre
i casi in cui nel tempo intercorrente fra la prestazione dell’assenso e la
conclusione della procedura sia sopravvenuta la crisi della coppia109 o
la morte del genitore110.
108
Ma in senso contrario G. Ferrando, L’adozione in casi particolari del figlio naturale del
coniuge, in Corr. giur., 2012, 93 ss., la quale, con riferimento ad una fattispecie in cui
era ancora in vigore l’art. 317 bis, pur ammettendo che anche il genitore naturale con
cui il figlio non convive era da considerarsi esercente la potestà, riteneva possibile
superarne l’opposizione all’adozione in quanto detto esercizio non era paritario
e comunque alla luce del prevalente interesse del minore. Argomentazioni che
in astratto potrebbero ancora essere riproposte nel caso di affidamento esclusivo.
Entrambe le ragioni non mi sembrano però decisive: come si è detto al § 1, dare sempre
e comunque prevalenza all’interesse del minore a prescindere dalla ponderazione
con gli interessi in conflitto comporta una distorsione circa il significato da attribuire
a tale valore (da intendersi solo come significativa rilevanza). Neppure mi sembra
che detta sistematica prevalenza possa fondarsi sulla funzione della responsabilità
genitoriale (come affermato dall’A. Diritti e interesse del minore tra principi e clausole
generali, in Politica del diritto, 1998, 167 ss.).
109
Trib. L’Aquila, 10 febbraio 1995, in Dir. fam., 1995, 1501 ha negato l’adozione nel
caso di separazione di fatto dei coniugi. A conclusione diversa è pervenuta, in altra
circostanza, Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651, in Famiglia e dir., 2012, 727, con nota
di D. Morello Di Giovanni, e in Dir. fam. succ., 2012, con nota di M. Gorini, la
quale, pur ritenendo in astratto ammissibile l’adozione in caso di separazione della
coppia, ha accolto il ricorso presentato in appello dal genitore genetico volto ad
evitare l’adozione a causa della conflittualità in atto fra i coniugi, soluzione che,
a parere della Corte, era quella che meglio tutelava l’interesse del minore. Detto
ricorso andava verosimilmente inteso come revoca dell’assenso, la cui ammissibilità
non è peraltro pacifica in dottrina. Per alcune indicazioni in proposito si rinvia a L.
Olivero, L’adozione del figlio del coniuge tra crisi coniugale ed interesse del minore, in
Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 282 ss. La revoca del consenso da parte dell’adottante
o dell’adottando è ammessa dall’art. 47, 1° comma l. adoz. fino all’emanazione della
sentenza.
110
C. cost., 20 luglio 2007, n. 315, ha ritenuto infatti infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 44 lett. b) secondo il quale i requisiti richiesti devono
necessariamente essere presenti al momento di presentazione della domanda.
In dottrina, escludono l’adozione da parte del coniuge del genitore defunto M.
Dogliotti, Affidamento e adozione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1990, 315; D.
562
The best interest of the child
Infine ostacolo, non superabile, all’adozione è senz’altro costituito
dal mancato consenso da parte dell’adottando che ha compiuto quattordici anni; ma anche l’opposizione manifestata in sede di ascolto
ove egli abbia una età inferiore e sia in grado di esprimere la propria
opinione costituisce ragione non agevolmente superabile proprio per
la ragione, in precedenza rilevata, in virtù della quale uno dei criteri
fondamentali per ricostruire l’interesse del minore è costituito, pur con
le dovute cautele, dall’espressione della sua volontà.
La ricostruzione di detto interesse assume un ruolo determinante
non solo al fine dell’accoglimento o meno della domanda di adozione111 ma anche della scelta del coniuge o convivente del genitore a cui
attribuire il ruolo di genitore sociale. Trattasi di un problema nuovo, il
quale non trova riscontro in giurisprudenza, che si pone a partire dal
2006 in seguito all’introduzione dell’affidamento condiviso. In passato
infatti aspirante genitore sociale poteva essere solo il coniuge del genitore affidatario per le ragioni esposte in precedenza. L’inserimento
del minore nella famiglia dell’affidatario era infatti l’ineludibile presupposto in base al quale poteva profilarsi l’esigenza di consolidare
il rapporto con il figlio del genitore, in vista del perseguimento del
migliore interesse del minore, mentre il diritto di visita riservato al non
affidatario non solo depotenziava il suo ruolo ma ancor meno consentiva di conferire rilevanza all’apporto fornito dal suo coniuge.
Oggi non è più così, almeno nelle ipotesi di affidamento condiviso,
in quanto è dovere del giudice e dei genitori assicurare, nell’interesse
del minore, una significativa frequentazione con entrambi (e di riflesso con i rispettivi coniugi o conviventi) che potrebbe, a seconda delle
circostanze, essere predisposta in maniera (pressoché) paritaria. Ma
anche nel caso in cui si ricorra, come di sovente, all’individuazione di
un genitore collocatario, non è detto che il suo coniuge o convivente
risulti la figura di riferimento più significativa per il minore. Il giudice
pertanto potrebbe trovarsi al cospetto di due domande di adozione ai
sensi della lett. b) (o secondo la giurisprudenza anche ai sensi della lett.
d) dell’art. 44. In tali ipotesi si rende necessaria una scelta nell’esclusivo
Buzzelli, op. cit., 174 ss. In senso favorevole G. Cattaneo, voce Adozione, in Digesto
civ., I, Torino, 1987, 117.
111
As es., molto rilevanti sono le motivazioni che inducono il coniuge o il convivente
del genitore a presentare la domanda. Significativa al riguardo è la decisione del
Trib. min. Torino, 6 ottobre 1988, in Dir. fam., 1988, 1731 che ha respinto la domanda
in quanto mossa dal prevalente intento di emarginare l’altro genitore naturale.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
563
interesse del minore, volta ad individuare la figura più significativa a
cui conferire il ruolo di genitore sociale mediante l’adozione; non ad
entrambi, in quanto, secondo il combinato disposto degli artt. 294 cc. e
55 l. adoz. “nessuno può essere adottato da più di una persona”.
Ove una problematica del genere dovesse presentarsi nella pratica,
è probabile che il giudice opti per il coniuge (o convivente) del collocatario essendo questo il rapporto più diffuso nei tempi di frequentazione ma non necessariamente, potendo non risultare l’apporto più
significativo riguardo alla formazione del minore in confronto a quello
instaurato col coniuge (o convivente) del non collocatario112.
Un secondo profilo che merita di essere preso in considerazione riguardo alle caratteristiche dell’aspirante genitore sociale è quello relativo al convivente, in virtù dell’interpretazione giurisprudenziale più
volte menzionata.
Come è noto, con l’avvento della legge n. 76/2016 la convivenza
rilevante giuridicamente deve avere i connotati ivi previsti; pertanto
a questi ritengo debba farsi riferimento per ammettere il convivente
all’adozione ai sensi della lett. d).
Altro profilo che merita di essere posto in luce è quello relativo
agli effetti che scaturiscono dall’assunzione della genitorialità sociale
giuridicamente riconosciuta. In base al presupposto secondo il quale
l’adottante acquisisce la responsabilità genitoriale, come in precedenza
accennato, l’art. 48 stabilisce, a dire il vero in maniera non del tutto
limpida, che essa – ed il relativo esercizio – spettano anche al coniuge
del genitore; nulla si dice riguardo al convivente proprio perché l’estensione della possibilità di adottare ai sensi della lett. d) deriva da interpretazione giurisprudenziale. Condivisa tale premessa, la soluzione
positiva appare obbligata in virtù della ratio caratterizzante l’istituto
(accrescere la coesione familiare riconoscendo un ruolo giuridico anche al terzo genitore).
La norma nulla stabilisce con riferimento all’altro genitore genetico non decaduto dalla responsabilità. Deve ritenersi che la nuova
situazione derivante dall’adozione non comporti il venir meno delle
sue prerogative (in quanto non può trovare certamente giustificazione
112
Maggiori dubbi si pongono riguardo al coniuge del genitore non affidatario, al quale
spetta solo il c.d. diritto di visita. Per la soluzione contraria v. M. Dogliotti, Adozione
di maggiorenni e minori, in Comm. Schlesinger, Milano, 2002, 806. In senso favorevole L.
Ruggeri, in AA.VV., Commentario alla l. 28 marzo 2001, n. 149, a cura di C.M. Bianca-L.
Rossi Carleo, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 1032 ss.
564
The best interest of the child
nell’esigenza di consolidare l’unità della nuova famiglia)113, verrebbe
altrimenti leso il diritto del minore a fruire dell’apporto di entrambi
i genitori; soluzione da privilegiare anche quando fosse stato disposto l’affidamento esclusivo a favore del genitore componente la coppia rinnovata114. Il genitore sociale, a sua volta potrà collaborare con i
genitori naturali anche assumendo le decisioni della vita quotidiana e
concorrendo nelle scelte più rilevanti per la vita del figlio. Infatti che
la responsabilità genitoriale sia attribuita alla coppia rinnovata, come
indicato dall’art. 48 l. adoz., non significa anche che essa le spetti in
maniera esclusiva.
Pur tuttavia, in virtù della ratio della norma, il ruolo del genitore
sociale non può considerarsi, a mio parere, del tutto paritario rispetto
a quello riservato ai genitori genetici. Sulla base del dettato dell’art.
30 Cost., solo a questi ultimi viene riservato l’esercizio dei compiti
educativi fondamentali, onde solo a loro spettano le scelte di indirizzo generale della vita del minore caratterizzanti il c.d. “piano genitoriale”. I poteri conferiti al genitore sociale sono invece più limitati, in
quanto devono esercitarsi all’interno di detto quadro di riferimento.
Fermo restando che, in caso di disaccordo riguardante le decisioni di
maggiore rilevanza, spetterà al giudice determinare quella più rispondente all’interesse del minore115. Il ruolo del genitore sociale è dunque
di supporto, ma non per questo di minore rilevanza, rispetto a quello
riservato dalla legge ai genitori genetici, ai quali spetta l’esercizio della
responsabilità genitoriale alla luce delle regole previste dagli artt. 337
ter e quater cc. Non è escluso pertanto che egli possa configurarsi in
concreto per il minore come figura di riferimento più solida rispetto al
genitore naturale di ugual sesso.
Ripartiti sono anche gli oneri economici in quanto il genitore sociale è tenuto a concorrere al mantenimento del minore insieme ai
genitori naturali, secondo il criterio di proporzionalità alle rispettive
condizioni economiche116 non sussistendo fondata ragione per sollevare ciascun genitore naturale dai suoi doveri, a prescindere dalla ti113
In dottrina esistono tuttavia differenze di opinione. Esclude la decadenza D.
Buzzelli, op. cit., 181. Per ulteriori indicazioni al riguardo v. L. Olivero, op. loc. cit.
114
L’art. 337 quater cc. stabilisce infatti che anche quando il giudice opta per l’affidamento
esclusivo deve fare salvi, per quanto possibile, i diritti del minore alla bigenitorialità.
Condivide la lettura proposta nel testo, D. Buzzelli, op. cit., 181 ss.
115
Per analoghe ragioni il piano genitoriale non può essere stabilito dal giudice.
116
Ma a differenza di questi non è titolare dell’usufrutto legale.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
565
pologia e dalle modalità dell’affidamento117. È da respingere pertanto
l’interpretazione giurisprudenziale risalente nel tempo118, ma ribadita
in epoca non lontana119, secondo la quale il dovere di mantenimento
grava principalmente sulla coppia che si è giovata dell’istituto dell’adozione mentre l’altro genitore genetico è chiamato a contribuire solo
nel caso in cui essa non risulti in grado di provvedervi.
Rimane da stabilire quale sia la posizione del genitore sociale nelle ipotesi in cui manchino le condizioni per formalizzarla mediante
l’adozione particolare (ad es., mancanza dei consensi o degli assensi
richiesti, rigetto della domanda perché la soluzione non si considera
rispondente all’interesse del minore, ecc.) o il coniuge del genitore non
avanzi domanda. In tali ipotesi, dunque, la posizione del genitore sociale si fonda sul mero fatto, egli non acquista la responsabilità genitoriale e non sorge a suo carico il dovere di mantenimento del minore, ad
eccezione del caso in cui l’obbligazione venga contemplata nel contesto degli accordi volti a disciplinare il rapporto di coppia120.
Sotto il profilo dei rapporti personali (istruzione, educazione, assistenza del minore) il genitore sociale è legittimato ad esercitare i compiti che gli vengono affidati dal genitore naturale alla stregua di quanto
consentito nei confronti di qualsiasi congiunto o anche estraneo il quale
venga delegato all’esercizio di determinate funzioni, in osservanza delle direttive ricevute (ad es., custodirlo durante la sua assenza, andarlo a
prendere o ad accompagnare a scuola o in altri luoghi, portarlo in gita,
ecc.). Non si tratta di una delega in senso proprio all’esercizio della responsabilità genitoriale non essendo tale possibilità prevista dal nostro
ordinamento121, bensì di un fattivo interessamento per i figli del genitore, riconducibile al dovere di collaborazione previsto per la coppia
117
Condivide questa soluzione D. Buzzelli, op. cit., 186 ss.
118
Cass., 30 gennaio 1998, n. 978, in Giust. civ., 1998, I, 1955; App. Perugia, 25 maggio
1992, in Dir. fam., 1994, 154, il quale precisa che in capo al genitore non affidatario
permane solo l’obbligo alimentare.
119
Trib. Genova, 28 ottobre 2010, cit.
120
Condivide questa impostazione D. Buzzelli, op. cit., 243.
121
Delega che, a certe condizioni, è prevista invece dall’ordinamento francese sulla base
del dettato dell’art. 277 cc. il quale stabilisce che “Le père et la mère, ensemble ou
séparément, peuvent, lorsque les circonstances l’exigent, saisir le juge en vue de voir
déléguer tout ou partie de l’exercice de leur autorité parentale à un tiers, membre
de la famille, proche digne de confiance, établissement agréé pour le recueil des
enfants ou service départemental de l’aide sociale à l’enfance”. Cfr. sul tema M.G.
Stanzione, Filiazione e “genitorialità”. Il problema del terzo genitore, Torino, 2010, 111 s.
566
The best interest of the child
sposata alla luce degli accordi intervenuti in sede di determinazione
dell’indirizzo di vita ex art. 144. Il genitore sociale non ha dunque il
potere di assumere alcuna decisione. Riguardo alla coppia convivente,
pur non configurandosi un dovere siffatto, non ne è certamente precluso lo spontaneo adempimento da parte della coppia, il quale assume
rilevanza in quanto, alla luce della l. n. 76/2016, contribuisce a determinare il configurarsi della fattispecie. Esso può venire puntualizzato nei
contenuti nel contesto di un accordo volto a disciplinare la convivenza,
il quale deve considerarsi ammesso dall’ordinamento122.
Solo in parte coincidenti sono le soluzioni a cui perviene altra opinione secondo la quale in capo al genitore sociale sorgerebbe un obbligo di
protezione e di mantenimento del minore in virtù del contatto sociale
instaurato col medesimo, sulla base di un consenso «da ricavarsi implicitamente dalla decisione di stabilire un’unione familiare con un soggetto che ha seco figli minori conviventi123». Trattasi in realtà di soluzione
decisamente da respingere in quanto comporta ingiustificati limiti alla
libertà matrimoniale o di convivere perché non sarebbe possibile sottrarsi a tali obblighi, onde il convivente non avrebbe altra scelta che non
costituire o interrompere la relazione col genitore. Perplessità si profilerebbe anche nell’ipotesi in cui si intendesse configurare l’esistenza
di una presunzione di consenso all’assunzione dei doveri genitoriali in
quanto priva di adeguato fondamento124 e che porrebbe, tra le altre cose,
problemi sul modo in cui debba formularsi l’eventuale dissenso.
Lo strumento dell’accordo consente anche di porre a carico del
genitore sociale, in concorso con i genitori genetici, l’obbligazione di
mantenimento. In mancanza del medesimo a me sembra che possa
122
A tale conclusione perviene C.M. Bianca, op. cit., 348 ss. differenziando il “patto di
convivenza” quale contratto atipico, già previsto prima della l. 76/2016, mediante
il quale le parti si obbligano ad assistersi moralmente e materialmente, dal tipico
“contratto di convivenza”, volto a disciplinare solo i rapporti economici. A mio
parere tuttavia la limitazione ai soli rapporti patrimoniali del contenuto del contratto
di convivenza non è del tutto convincente (basti pensare al riferimento alla fissazione
della residenza che può costituire il contenuto (anche esclusivo) del medesimo)
la quale troverebbe più che altro riscontro nel termine (contratto) utilizzato dal
legislatore. Elemento non decisivo ove si consideri il rigore tutt’altro che impeccabile
con cui le disposizioni contenute nella legge 76/2016 sono state formulate.
123
P. Laghi, «Genitorialità di fatto» ed obblighi di assistenza materiale della prole unilaterale
nelle famiglie «ricomposte», in Dir. successioni e fam., 2017, 815 ss.
124
Nello stesso senso D. Buzzelli, op. cit., 242 il quale rileva che «l’accordo sulla
convivenza non implica necessariamente anche quello concernente la collaborazione
nella cura e nell’educazione del minore».
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
567
configurarsi a suo carico solo un’obbligazione naturale. A conclusione
diverse perviene la tesi innanzi menzionata secondo la quale a carico
del genitore sociale sorgerebbe sempre l’obbligo di concorrere al mantenimento del figlio del coniuge o del convivente per aver accettato di
dare vita alla famiglia ricomposta125.
La crisi della coppia ricomposta, non dovrebbe incidere, in linea
di principio, sull’affidamento dei figli dell’altro coniuge o convivente,
il quale rimane disciplinato dalle regole adottate per regolare la crisi
della prima unione126. Tuttavia, nel caso in cui i genitori genetici non
fossero ritenuti idonei all’affidamento e il giudice dovesse disporlo
pertanto a favore di un terzo, l’idoneità del genitore sociale andrebbe presa in adeguata considerazione a detto fine127. Diverso potrebbe
essere il discorso ove mancasse l’altro genitore genetico. In tal caso
occorre stabilire se gli artt. 337 ter e quater cc. siano applicabili anche
nel caso di famiglia ricomposta, onde nei confronti del genitore sociale
potrebbe essere predisposto anche l’affidamento esclusivo o se invece
le norme possano applicarsi solo nel caso di crisi dei genitori naturali.
Le norme richiamate non pongono limiti al riguardo; a favore della
soluzione positiva128 nei confronti del genitore sociale giuridicamente
riconosciuto mediante l’adozione, può deporre il fatto che questi esercita la responsabilità genitoriale al pari di quello genetico e che la medesima non viene meno in seguito alla crisi della famiglia rinnovata (e
parimenti non costituisce neanche causa di estinzione dell’adozione).
Analogamente è a dirsi per l’obbligazione di mantenimento. Ma tutto
sommato più convincente è la soluzione contraria, perché in assenza
di una specifica disposizione normativa occorre tenere conto delle ragioni del riconoscimento della genitorialità sociale (cementare l’unità
familiare), ragione che viene meno con la crisi della famiglia e dunque
non sembrerebbe giustificare l’affidamento condiviso129.
Si è ritenuto comunque possibile fondare un diritto (affievolito) del
genitore sociale a mantenere rapporti col minore mediante interpretazione estensiva dell’art. 337 ter, 1° comma, riconducendo nel novero
125
P. Laghi, op. cit., 834 ss. In senso critico D. Buzzelli, op. cit., 251, il quale ritiene
discutibile «l’ipotizzata riconducibilità dell’obbligo di mantenimento del figlio
dell’altro coniuge ai doveri coniugali derivanti dal nuovo matrimonio».
126
Nello stesso senso D. Buzzelli, op. cit., 233.
127
Nello stesso senso, D. Buzzelli, op. cit., 296 ss.
128
Sostenuta da L. Olivero, op. cit., 282 s.
129
In tal senso Trib. min. Milano, 2 novembre 2007, in www.art29.it.
568
The best interest of the child
dei parenti anche gli affini (in quanto il coniuge del genitore diviene
affine dei suoi figli130). La soluzione solleva dubbi, in quanto rischia
di ampliare arbitrariamente l’ambito dei soggetti il cui ruolo è considerato dal legislatore normalmente meritevole di particolare considerazione131. Essa inoltre non sarebbe applicabile alla coppia convivente
dal cui rapporto non scaturisce affinità col figlio del convivente. Tale
interesse può eventualmente trovare soddisfacimento nel contesto
più generale secondo il quale il giudice è legittimato ad adottare ogni
“provvedimento relativo alla prole” anche al fine di consentire al genitore sociale l’esercizio della responsabilità parentale.
Rimane ferma in ogni caso la possibilità per il giudice di predisporre, anche in un momento successivo alla crisi della coppia, la frequentazione del minore col genitore sociale mediante il ricorso al dettato
dell’art. 333 cc. in base al quale, ove il genitore naturale si opponga al
compimento di un atto rispondente all’interesse del minore, esso può
venire autorizzato dal giudice132.
In una singolare pronuncia il Tribunale di Palermo ha individuato
invece il fondamento della medesima soluzione nell’estensione dell’art.
337 ter cc. quale strumento più appropriato per la tutela dell’interesse del minore, onde assicurare un rapporto equilibrato tra il genitore
genetico e quello sociale in una fattispecie in cui non esisteva peraltro
altro genitore biologico133, facendo riferimento all’interpretazione della
Corte EDU volta a garantire tutela alla vita familiare ex art. 8 CEDU.
Stranamente, il giudice ha invocato l’art. 337 ter non al fine di disporre
l’affidamento condiviso nei confronti di entrambi genitori (e dunque
risolvendo in senso positivo l’interrogativo innanzi proposto) ma di
fondare solo un diritto “di mantenere un rapporto stabile e significativo” con il genitore sociale, adottando una soluzione non coerente con
la premessa (applicazione della norma a prescindere dal fondamento
130
D. Buzzelli, op. cit., 253 ss.
131
Ed infatti l’art. 337 ter cc. prevede solo la possibilità che il giudice assuma
provvedimenti al fine di assicurare il diritto del minore a mantenere in vita i rapporti
con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
132
V. in tal senso, C. cost., 20 ottobre 2016, n. 225, in Famiglia e dir., 2017, 205, con nota
di F. Tommaseo; Trib. min. Milano, 2 novembre 2007, in Banca dati Pluris.
133
Trib. Palermo, 6 aprile 2015, in Famiglia e dir., 2016, 40, con nota di A. Ardizzone
ed in Corr. giur., 2015, 1549, con nota di S. Veronesi. Nel caso di specie si trattava
della richiesta della madre sociale di mantenere rapporti con i minori, figli della
convivente, con i quali fin dalla nascita aveva costituito un solido rapporto
provvedendo alla loro cura ed assistenza.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
569
del rapporto genitoriale); nel riformare la decisione di primo grado la
Corte di appello ha sollevato questione di costituzionalità della norma perché non consentirebbe di tutelare l’interesse del minore a mantenere i rapporti col genitore sociale134. La Corte costituzionale135 ha
dichiarato la questione infondata in quanto sussiste già a tal fine uno
strumento appropriato (l’art. 333 cc. innanzi menzionato), soluzione
condivisibile in quanto si può discutere circa le modalità del provvedimento da adottare per salvaguardare detto rapporto, ma non certamente della sua esistenza.
Riguardo al dovere di mantenimento del figlio da parte del genitore sociale esso non è configurabile se non è stato inserito nell’ambito
dell’accordo volto a disciplinare i rapporti tra i coniugi od i conviventi.
Può configurarsi peraltro un’obbligazione naturale in tal senso.
È infine da precisare che, ove il genitore intendesse formare una
terza famiglia, il rapporto col coniuge o il convivente del genitore non
potrà essere formalizzato mediante l’adozione in quanto anche in questa ipotesi si profila l’ostacolo costituito dall’art. 294 cc. (divieto di adozione da parte di più soggetti).
5. Bigenitorialità ed eterosessualità.
I criteri di determinazione della genitorialità previsti dal nostro ordinamento ed in precedenza esaminati (§§ 2 e 3) garantiscono in linea
di principio il soddisfacimento dell’interesse del minore alla bigenitorialità ma assicurano anche il raggiungimento di un altro risultato: la
eterosessualità dei genitori. Tale valore risulta assicurato ovviamente in
tutte le ipotesi in cui il criterio di riferimento è quello biologico o nel
caso in cui il favor veritatis ceda nei confronti del favor legitimitatis o di
stabilità del rapporto; ed altresì nelle ipotesi di adozione legittimante e
di procreazione assistita eterologa, alla luce della disciplina vigente. L’adozione legittimante presuppone infatti, come è noto, che gli adottanti
siano coniugati (ed il matrimonio è riservato a coppie eterosessuali) e la
134
App. Palermo, 30 agosto 2015, in Famiglia e dir., 2016, 44, con nota di A. Ardizzone
ed in Corr. giur., 2015, 1555, con nota di S. Veronesi a causa della sua rigida
formulazione. Essa si porrebbe pertanto in contrasto con gli artt. 2, 3, 30, 31, 117 cost.
e con l’art. 8 CEDU per violazione dell’interesse del minore a mantenere un rapporto
solidamente instaurato con il genitore sociale (nella specie del medesimo sesso). È
da sottolineare comunque che il problema si sarebbe posto nei medesimi termini
anche se si fosse trattato di coppia di sesso diverso.
135
20 ottobre 2016, n. 225, cit.
570
The best interest of the child
legge n. 40/2004 ammette alla pratica solo coppie formate da persone di
sesso diverso. Ugualmente è a dirsi riguardo all’adozione particolare, ai
sensi della lett. b) dell’art. 44 l. adoz. e dell’interpretazione estensiva privilegiata dalla giurisprudenza a favore del convivente di sesso diverso
ai sensi della lett. d) della medesima norma.
L’impianto normativo così delineato appare del tutto coerente e
configura un principio generale caratterizzante la filiazione il quale
garantisce al minore l’apporto di cura ed assistenza da parte di due
genitori dotati di peculiarità diverse le quali si ripercuotono verosimilmente nel relativo esercizio (come si dirà tra breve). Tale principio
non sembra incontrare eccezioni a livello normativo perché non può
considerarsi tale, a rigore, il caso di figli nati da genitori di sesso diverso uno dei quali lo abbia mutato in un secondo tempo, in quanto
può ritenersi che assuma rilevanza solo il contesto originario nel quale
il progetto di filiazione è maturato (peraltro è dato incontestabile che
mentre il vincolo matrimoniale – in quanto dissolubile – può venire
meno, il rapporto di filiazione è invece indissolubile).
L’eterosessualità dei genitori potrebbe mancare invece applicando in
via interpretativa la lettera d) dell’art. 44 l. adoz. alle coppie conviventi
del medesimo sesso o agli uniti civilmente (art. 1, comma 20 l. n. 76/2016)
riguardo ad adozioni pronunziate in Italia o all’estero, nonché in tutte
le ipotesi in cui venga eventualmente riconosciuta efficacia agli atti di
nascita redatti in Paesi stranieri nei quali viene attribuita la genitorialità
alla coppia del medesimo sesso, a prescindere dalla derivazione genetica o biologica, conseguente a pratiche di procreazione medicalmente
assistita di tipo eterologo a cui si sono sottoposte o mediante ricorso a
maternità surrogata ivi consentite136. Analogamente è a dirsi ove la coppia del medesimo sesso sia ammessa all’estero all’adozione legittimante.
Come si vedrà tra breve la giurisprudenza tende a dare efficacia a
detti provvedimenti, ma diversità di posizioni si registrano nei casi in cui
la coppia del medesimo sesso abbia fatto ricorso o meno alla maternità
surrogata, anche se la ragione di intrascrivibilità del provvedimento non
risiede in tal caso in un eventuale interesse del minore ad essere allevato
da genitori di sesso diverso, bensì al fine di salvaguardare i diritti fon136
Il principio generale di eterosessualità dei genitori non rende possibile invece
formare ex novo un atto di nascita in Italia con l’indicazione come padre e madre di
due genitori del medesimo sesso (ipotesi evidentemente diversa dal riconoscimento
di un atto di nascita siffatto formato all’estero): Trib. Agrigento, 15 maggio 2019, in
Foro it., 2019, I, 3346.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
571
damentali della gestante. Il mancato riconoscimento della sua maternità
si porrebbe infatti in contrasto con la tutela della dignità della donna, la
quale verrebbe privata del proprio status e con le regole che disciplinano l’adozione. L’interesse della partoriente prevarrebbe in questo caso,
a parere della giurisprudenza (trattasi di una recente pronunzia della
Cassazione137), sull’eventuale interesse del minore alla conservazione di
uno status che consente di mantenere in vita il rapporto instaurato con
i genitori i quali sono ricorsi a tale pratica. Proprio per questa ragione
nelle maggior parte delle decisioni in cui la coppia del medesimo sesso
non abbia fatto ricorso a maternità surrogata, il provvedimento straniero si ritiene trascrivibile in Italia, senza affrontare, con le cautele e gli approfondimenti necessari, il problema della sua rispondenza in concreto
all’interesse del minore a crescere all’interno di una famiglia formata da
genitori di sesso diverso, alla luce delle peculiarità che contraddistinguono l’uomo e la donna nell’esercizio di detta funzione.
Tuttavia, la mancanza di pregiudizi per il minore nel fare parte di una
famiglia omogenitoriale non costituisce approdo così scontato secondo
gli esperti in materia, onde quantomeno discutibile risulta affrontare il
problema solo nella prospettiva del diritto alla non discriminazione della
coppia del medesimo sesso (presupponendone l’idoneità all’esercizio del
ruolo genitoriale) rispetto a quella di sesso diverso, come accade in quasi
tutte le decisioni, sulle quali hanno verosimilmente esercitato influenza
alcune decisioni della Corte EDU volte a stigmatizzare eventuali discriminazioni nei confronti di coppie omosessuali138; esse infatti non prendono
per lo più in adeguata considerazione l’interesse concreto del minore ad
una bigenitorialità eterosessuale e, di conseguenza non affrontano il problema di individuare i criteri per stabilire la prevalenza degli eventuali
interessi in conflitto. A volte, in maniera alquanto sommaria, ci si limita infatti ad escludere l’ipotizzato interesse mediante affermazioni in cui
si sostiene che «le acquisizioni delle scienze di settore, principalmente la
neuropsichiatria infantile e la psicologia dell’età evolutiva, hanno evidenziato che la qualità dell’attaccamento dei figli e del loro sviluppo cognitivo
e relazionale non dipende dalla compresenza di genitori di sesso diverso
ma dalla pregnanza della relazione affettivo – genitoriale»139.
137
Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit.
138
Cfr., ad esempio, Corte Edu, 19 febbraio 2013 ric. 19010/07, X c. Austria, in Giur. it.,
2013, 1764 e Corte Edu, 22 gennaio 2008, E.B. c. Francia, in Nuova giur. civ. comm.,
2008, I, 667.
139
Trib. Palermo, 6 aprile 2015, cit. il quale inappropriatamente richiama un passaggio
572
The best interest of the child
Privo di competenza nell’individuare la soluzione da privilegiare
mi limito ad osservare che dalla letteratura non emerge una posizione
così netta che consenta di concludere per l’inesistenza del problema.
Certamente vero è che secondo una corrente di pensiero, probabilmente maggioritaria – alla quale evidentemente la giurisprudenza fa riferimento – il sesso dei genitori risulta irrilevante al fine di assicurare il
benessere dei figli. Riprendendo sinteticamente qualche passaggio di
alcuni contributi, si osserva infatti che «non si evidenzia alcun elemento per sostenere che i genitori omosessuali a causa del loro orientamento sessuale possano essere genitori meno adeguati»; e che dunque non
ha senso differenziare «genitori, omo o etero familiari ma buoni o cattivi genitori»140. Detta corrente di pensiero constata infatti che le pratiche
educative sono simili, anche se – ad esempio – nelle coppie costituite
da due madri una certa differenziazione rispetto alla coppia eterosessuale si riscontra nella maggiore flessibilità nei ruoli e nei modelli relazionali, viene tendenzialmente riconosciuta maggiore libertà ai figli,
si ricorre raramente alle punizioni, il modello della genitorialità è più
democratico in quanto caratterizzato dal dialogo e dalla negoziazione
con i figli, la responsabilità di cura viene più equamente suddivisa141.
Ma incontra consensi anche la corrente di pensiero contraria che non
considera indifferente l’eterosessualità dei genitori, la quale mette in luce
innanzitutto il radicamento nella cultura umana che il rapporto di filiadi una decisione di Cass., 11 gennaio 2013, n. 601 in cui si afferma che in assenza
di certezze scientifiche o dati di esperienza costituisce un mero pregiudizio
l’asserzione che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di
vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, poiché in tal modo si
dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto
familiare per la crescita e lo sviluppo dei figli. Ma l’affermazione della Corte non
appare significativa in quanto resa al fine di risolvere il problema riguardante la
migliore soluzione da adottare riguardo alle modalità di affidamento di un minore
i cui genitori sono comunque di sesso diverso. Pertanto l’affidamento al genitore
convivente con partner del medesimo sesso non lo priverebbe della figura dell’altro
genitore di sesso diverso e costituisce la soluzione che nel caso concreto realizzava
in maniera migliore l’interesse del minore. Maggiore cautela occorrerebbe osservare
ove si pretendesse di accettare la soluzione proposta come regola di attribuzione
della genitorialità poiché spetterebbe a chi la sostiene dimostrare che l’omosessualità
dei genitori è priva di alcuna incidenza sulla crescita del minore (non il contrario
essendo l’eterosessualità la regola derivante dalla natura).
140
F. Vitrano, Coppie omosessuali e genitorialità: quali gli interessi preminenti delle persone
di minore età?, in Minorigiustizia, 2017, 130 ss.
141
Cfr. R. Bosisio-P. Ronfani, Omogenitorialità. Relazioni familiari, pratiche della
responsabilità genitoriale e aspettative di regolazione, in Minorigiustizia, 2014, 22 ss.; F.
Vitrano, op. loc. cit.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
573
zione è espressione della bipolarità maschile e femminile, sviluppatasi
costantemente secondo questo modello142. Si afferma inoltre che nelle
coppie formate da due genitori del medesimo sesso è non raramente riscontrabile il disagio del minore per la mancanza di una delle figure di
riferimento con le caratteristiche dell’appartenenza, rispettivamente, al
sesso maschile e femminile nel quale identificarsi. Inoltre una percentuale rilevante di minori si rende conto di vivere una situazione familiare
diversa dalle altre rispetto ai propri coetanei ed in alcuni casi lamenta di
aver subito dileggio, patito discriminazioni e violenza dai propri compagni per essere figlio di genitori omosessuali143. Nelle coppie caratterizzate
dalla doppia maternità si evidenziano difficoltà nella crescita dei minori
che rischiano di rimanere eternamente adolescenti in quanto il padre è
l’unica figura in grado di opporsi alla dipendenza dalla madre ed anche
guida nella crescita, modello a cui ispirarsi per il futuro (i maschi) o da
ricercare da grandi nello sposo o nel compagno (le femmine).
Pur da questi brevi cenni sembra dunque emergere la complessità
di un problema che necessiterebbe di un approccio che si discosti dalla
prospettiva adultocentrica e che non si limiti, nel considerare l’interesse
del minore, a fare leva esclusivamente sul valore costituito dalla salvaguardia dei rapporti già instaurati ma si faccia carico anche di valutare
le difficoltà che il minore potrebbe incontrare in futuro in vista di una
serena crescita anche alla luce della “diversità” della sua famiglia rispetto alla maggior parte delle altre144 e del suo inserimento nel contesto
sociale. Occorrerebbe altresì tenere in maggiore considerazione che, nonostante tutto, nella visione del legislatore la genitorialità eterosessuale
è ancor oggi la soluzione considerata più favorevole al perseguimento
dell’interesse generale dei minori (se così non fosse occorrerebbe modificare l’impianto normativo che sin qui non ha subito mutamenti) 145.
142
G. Sergio, Adozione gay e diritto del fanciullo di preservare la propria identità, in Minorigiustizia,
2017, 109 ss.
143
R. Rosnati-E. Canzi-E. Scabrini, Adozione e omogenitorialità: uno sguardo critico alla
ricerche, in Minorigiustizia, 2017, 123 ss.
144
Valutazione che occorre fare con particolare attenzione soprattutto quando bisogna
procedere all’adozione. Vero è dunque che, come afferma F. Tommaseo, Sul riconoscimento
dell’adozione piena avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale, in Famiglia
e dir., 2016, 281, l’omosessualità non comporta sempre e comunque un pregiudizio per
gli interesse del minore ma detto esame richiede particolare prudenza, senza per questo
far aleggiare intenti di discriminazione verso la coppia in quanto in questo caso è in
gioco l’interesse del minore e non quello degli adulti.
145
Per alcune critiche rivolte ad un approccio siffatto del problema si rinvia a M.G. Ruo,
A proposito di omogenitorialità adottiva e interesse del minore, in Famiglia e dir., 2015, 580
574
The best interest of the child
Quest’ultima interpretazione è autorevolmente avvalorata dalla recente pronuncia della Corte costituzionale (23 ottobre 2019 n. 221)146
la quale, chiamata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale degli
artt. 5 e 12 commi 2 , 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 che ammettono alla pratica di PMA solo coppie del medesimo sesso, ritiene
la questione infondata. Nel contesto di un convincente ragionamento
si fanno alcune affermazioni importanti, a mio avviso, anche al di là
della questione portata al giudizio della Corte. Premesso, afferma la
Corte, che «la legge prevede, una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla PMA, alla cui radice si colloca il trasparente intento
di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia
caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre … di certo,
non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la
preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche
procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. In questa prospettiva, l’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile
– rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere
e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per
sè arbitraria o irrazionale».
L’interesse del minore alla doppia figura genitoriale di sesso diverso emerge prepotentemente sul piano giuridico.
Tali affermazioni non portano però a sconfessare la linea giurisprudenziale che consente la genitorialità adottiva delle coppie del medesimo sesso sulla base della considerazione concernente la diversità delle
due situazioni (creazione di un figlio mediante PMA e adozione da
parte della coppia del medesimo sesso) perché nel secondo caso si dovrebbe incidere su una situazione ormai consolidata, ma pur sempre
sulla base della violazione di una regola di primaria importanza posta
a tutela di tutti i minori, presenti e futuri.
La Corte aggiunge comunque, al fine di sgombrare il campo da
ogni dubbio, che «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della
sua conformità a Costituzione».
ss.; I. Barone, La legge n. 40 del 2004 al vaglio della Corte costituzionale per l’accesso alla
PMA da parte di una coppia formata da due donne, in Famiglia e dir., 2018, 1097 ss.
146
In Corr. giur. 2019, 1460 con nota di G. Recinto.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
575
Finalmente viene messo in rilievo, con l’autorevolezza che deriva
dalle parole della Corte, l’interesse del minore di crescere nella propria
famiglia ma formata da genitori di sesso diverso quale interesse da
prendere in seria considerazione perché costituisce «la migliore condizione di partenza», dice la Corte, e a mio avviso sin qui trascurato; esso
deve prevalere su quello degli adulti ad una generazione che forza la
natura, in quanto la coppia omosessuale non è infertile per caso, come
a volte quella eterosessuale, ma è infertile in ogni caso.
Tenendo conto delle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza
ordinaria, l’esistenza di una doppia figura genitoriale del medesimo
sesso (e dunque l’esigenza di affrontare il problema rilevato) si può
configurare in circostanze diverse. Si è già accennato alle numerose
decisioni nelle quali si è ammessa l’adozione da parte del convivente
del medesimo sesso del genitore, ai sensi della lett. d) dell’art. 44 l.
adoz. Nella maggior parte dei casi si configura una doppia maternità
(genetica una, sociale l’altra)147, ma non mancano esempi in cui viene riconosciuta detta possibilità al convivente (o al coniuge sposato
all’estero) di sesso maschile del padre genetico148. Come in precedenza
sottolineato, in seguito all’adozione particolare, al genitore naturale ne
viene affiancato uno sociale (il c.d. genitore d’intenzione). Ammessa
in Italia dalla giurisprudenza, non sussistono per tale ragione neanche
difficoltà alla trascrizione di un provvedimento che sia stato adottato
all’estero e produttivo di effetti analoghi. Ostacoli non vengono posti
neppure quando detto provvedimento produce gli effetti dell’adozione legittimante (quantunque non ammessa in Italia) con conseguente
equiparazione di entrambi i genitori (genetico ed adottivo)149.
Altra ipotesi assai ricorrente è quella di doppia maternità – una
biologica ed una genetica – resa possibile in quei Paesi in cui la procreazione assistita è consentita anche a coppie del medesimo sesso, con
ricorso a seme di donatore. Il riconoscimento (trascrivibilità) dell’atto
di nascita di un bambino con doppia maternità, per lo più avversato dall’autorità amministrativa, non ha trovato ostacolo da parte della
147
V. citaz. a nota 99.
148
Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit., la quale, nel negare la paternità al marito del
padre genetico sulla base di un matrimonio contratto all’estero, ha ritenuto possibile
però, in astratto, formalizzare il rapporto mediante adozione particolare ai sensi
della lett. d) dell’art. 44 l. adoz.
149
V. citaz. a nota 100.
576
The best interest of the child
prevalente giurisprudenza sia di merito150 sia di legittimità151. L’atto di
nascita è trascrivibile in Italia in quanto il progetto di genitorialità maturato all’interno di una relazione di coppia (fondata sul matrimonio o
su una stabile convivenza) si ritiene non solo conforme all’interesse del
minore ma anche non contrastare con l’ordine pubblico.
In particolare, la Cassazione152 ha ritenuto che, quantunque la pratica sia vietata nel nostro Paese, ciò non comporti di per sé ostacolo
al riconoscimento di un atto formato all’estero, nel rispetto delle norme di quel Paese, in quanto non si profila contrasto con il c.d. ordine
pubblico internazionale. Esso si sostanzia nel «complesso dei principi
fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato
periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati ad un livello
sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria», il quale risulta violato solo se l’atto in questione «contrasti con le esigenze di tutela dei
diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale,
dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Si
tratta, in particolare, della tutela dell’interesse superiore del minore,
anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una
famiglia, valori questi già presenti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3,
31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che
concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale». In una decisione più recente si precisa che nell’operare detta
ricostruzione occorre anche tenere conto del modo in cui i principi costituzionali e sovranazionali «sono incarnati nella disciplina ordinaria
dei singoli istituti»153.
Nel caso di specie si tratta della disciplina interna sulla PMA che
risulta violata (art. 5) per il fatto che fruitrice della pratica è la coppia
del medesimo sesso. Pur tuttavia si ritiene che detta violazione, essendo presidiata solo da una sanzione di carattere amministrativo, rive150
App. Torino, 4 dicembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 441, con nota di L.
Franco; App. Perugia, 9 febbraio 2018, in www.articolo 29.it.; App. Perugia, 7 agosto
2018, ivi ; App. Perugia, 22 agosto 2018, ivi.
151
Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, ex multis, in Corr. giur., 2017, 181, con nota di G.
Ferrando.
152
Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit.
153
Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
577
sta minore rilievo rispetto a quella riguardante il divieto di maternità
surrogata (il quale comporta irrogazione di una sanzione penale)154 e
dunque non si pone in contrasto con l’ordine pubblico, a differenza di
quest’ultima.
La soluzione peraltro salvaguarderebbe l’interesse del minore alla
bigenitorialità la quale, a buona ragione, può essere riconosciuta ad
entrambe le donne, da considerate madri allo stesso titolo, avendo
ciascuna apportato il proprio contributo (rispettivamente, biologico e
genetico) alla generazione. Grande assente è però il padre in quanto
il donatore del seme non riveste giuridicamente alcun ruolo; egli non
acquista infatti alcun diritto né assume alcun dovere verso il minore.
Assenza che non si registra nella pratica di fecondazione eterologa da
parte di coppia di sesso diverso (la sola ammessa dal nostro ordinamento) in quanto il ruolo paterno è assunto dal genitore che ha accettato di divenire tale, pur non essendolo sotto il profilo genetico. L’interesse del minore ad avere una madre ed un padre è dunque assicurato,
nella fecondazione eterologa da parte di due donne no.
Ciò puntualizzato, a mio parere è verosimile che la diversità sessuale dei genitori incarni un principio fondamentale in materia di filiazione, costituzionalmente tutelato (quantunque non espressamente
enunciato ma implicito nel fatto che nella realtà esistente all’epoca di
approvazione della Carta la generazione era necessariamente frutto di
un rapporto fra l’uomo e la donna) e dunque che esso vada ricondotto
ai principi di ordine pubblico la cui lesione giustificherebbe l’intrascrivibilità dell’atto sulla base della ricostruzione compiuta di recente dalla citata decisione 221/2019 della Corte costituzionale, problema su cui
essa non ha tuttavia inteso pronunziarsi verosimilmente perché non
oggetto del giudizio di rimessione. In questa prospettiva la maternità
naturale andrebbe attribuita alla gestante quale soggetto che ha apportato il contributo considerato dall’ordinamento più rilevante nella generazione (v. art. 269, 3° comma), mentre la madre genetica andrebbe
considerata come madre sociale, sul presupposto che la prima presti il
consenso all’adozione. Soluzione questa che appare più corretta, fermo
restando che il minore è privato comunque della figura paterna onde
l’ammissibilità di detta pratica presenta ugualmente le rilevate criticità.
La medesima soluzione può applicarsi al caso in cui l’atto di nascita
straniero equipari la madre sociale a quella biologica e gestante ad un
154
Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit. e Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit.
578
The best interest of the child
tempo. Quantunque quest’ultimo caso si differenzi dal precedente per
la mancanza da parte di una delle donne del contributo sotto il profilo
della generazione si ritiene che detta mancanza possa essere supplita
dall’assunzione di responsabilità all’interno di un comune progetto di filiazione e dall’effettivo instaurarsi di un rapporto stabile con il minore155.
Infine un comune progetto di maternità da parte di due donne – con
criticità anche maggiori di quelle sin qui registrate – si può realizzare,
all’estero, nell’ipotesi in cui una delle due fornisca il proprio contributo
genetico (l’ovulo) ricorrendo però ad una gestante ed alla donazione di
seme maschile, nonché nel caso in cui le due donne non forniscano alcun contributo sotto il profilo della generazione ed intendano divenire
madri sulla base di una comune decisione. In tali ipotesi, come si vedrà
tra breve, il ricorso a maternità surrogata, che accomuna le due fattispecie, può costituire comunque un ostacolo alla trascrizione dell’atto
di nascita straniero che riconoscesse loro la maternità.
Ormai numerosi sono anche i casi in cui un progetto comune di genitorialità matura all’interno di una coppia composta da due uomini.
Il figlio avrebbe pertanto due padri ma sarebbe privo di una madre.
Tale progetto, per potersi realizzare, richiede necessariamente, come è
ovvio, il ricorso ad una gestante, alla quale può eventualmente appartenere o meno anche l’ovulo ed, in caso contrario, anche il ricorso ad
una donatrice (è il caso più frequente che si riscontra nelle decisioni in
materia). Per lo più la fecondazione avviene mediante il seme proveniente da uno dei due uomini. Ma potrebbe darsi anche il caso in cui
la coppia sia ricorsa ad un donatore. Sul presupposto della rilevanza
dell’interesse del minore alla bigenitorialità ed alla salvaguardia dell’identità personale nonché all’interesse della coppia alla procreazione
in un contesto familiare (si tratta infatti di aspiranti padri coniugati
all’estero o conviventi) una ormai diffusa giurisprudenza di merito ha
ritenuto trascrivibile l’atto di nascita formato all’estero, non ravvisandovi alcun contrasto con l’ordine pubblico (internazionale) in quanto
tale pratica riceve ormai ampio riconoscimento all’estero e trova fon-
155
Trib. Bologna, 6 luglio 2018, in Foro it., 2018, I, 2883; Trib. Pistoia, 5 luglio 2018, www.
art29.it.;; Cass., 15 giugno 2017, n. 14878, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1718, con
nota di G. Palmeri; Trib. Torino, 11 giugno 2018, in www.art29.it.; Trib. Napoli, 11
novembre 2016, ivi. Ma in senso contrario Trib. Venezia, 3 aprile 2019, in Foro it.,
2019, I, 1994 ritenendo che si finisce col disattendere in tal modo il dettato dell’art. 20
l. 76/2016 e nel contempo ha sollevato questione di costituzionalità della norma.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
579
damento anche nei Trattati e nelle Convenzioni europee156. Anche in
queste decisioni assente è un serio esame riguardo all’interesse del
minore ad avere due genitori di sesso diverso, dando per scontato che
salvaguardare la situazione di una doppia paternità comunque esistente in concreto, realizza l’interesse del minore. D’altra parte adottare soluzioni diverse con riferimento alla coppia formata da due padri
rispetto a quella formata da due madri (impedendo il primo progetto
e ammettendo il secondo) appare difficilmente condivisibile almeno
se si guarda all’interesse del minore ad essere curato ed assistito da
genitori di sesso diverso.
Ad una conclusione difforme può pervenirsi invece ove si riconosca
rilevanza al percorso seguito per il raggiungimento dell’obbiettivo. È
il ragionamento sviluppato dalla Corte di Cassazione mediante due
decisioni dall’esito opposto: la prima, quelle delle due madri innanzi
ricordata, in cui si è ritenuto trascrivibile l’atto straniero riguardante la
doppia maternità non ravvisandovi contrasti con l’ordine pubblico157
ed intrascrivibile invece l’atto col quale viene riconosciuta la doppia
paternità per la configurabilità di detto contrasto158. La ragione risiede
essenzialmente nel fatto che nella seconda ipotesi la coppia ha fatto
ricorso alla surrogazione di maternità, che mancava nella prima, per
l’intrinseco disvalore della pratica la quale comporta uno sfruttamento
della gestante e la lesione della sua dignità derivante dalla rinuncia al
156
Trib. Livorno, 12 dicembre 2018 e Trib. Milano, 24 ottobre 2018, in Famiglia e dir.,
2019, 494, con nota di I. Barone; Trib. Pisa, 23 luglio 2018, App. Venezia, 16 luglio
2018, Trib. Roma, 11 maggio 2018, App. Venezia, 28 giugno 2018, tutte in www.
articolo29.it.; Trib. min. Firenze, 8 marzo 2017 e App. Trento, 23 febbraio 2017, in
Corr. giur., 2017, 935, con nota di G. Ferrando e in Familia, 2018, 163, con nota di S.
Sandulli; App. Milano, 28 giugno 2016, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 657, con
nota di G. Cardaci. Mentre Cass., 22 febbraio 2018, n. 4382, in Famiglia e dir., 2018,
837, con nota di M. Dogliotti, ha rimesso la decisione alle Sezioni unite cit. alla nota
158. In senso contrario,Trib. Roma, 27 luglio 2018, in Famiglia e dir., 2019, 496, con
nota di I. Barone. Trib. Pisa, 15 marzo 2018, in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, 1569
con nota di A.G. Grasso, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità della regola, desumibile da un insieme di norme, che non consente
di formare in Italia un atto di nascita di cittadino straniero, avente genitori del
medesimo sesso.
157
Cass., 30 settembre 2016 n. 19599, cit.
158
Cass. S.U. 8 maggio 2019, n. 12193, cit. Da tale ricostruzione si discosta in parte Trib.
Roma, 27 luglio 2018, cit., il quale afferma che «l’ordine pubblico internazionale …
è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti
stranieri, a protezione della sua coerenza interna; dunque non può ridursi ai soli
valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e
valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili».
580
The best interest of the child
diritto all’acquisizione dello status materno159. Situazione non ricorrente nella prima ipotesi in quanto la gestante non rinunziava alla propria
maternità ma acconsentiva a condividerla con la madre genetica, accettando di far sviluppare al proprio interno un embrione non proprio
sotto il profilo genetico.
Come in precedenza accennato, nella seconda decisione la Corte
precisa ulteriormente il contenuto dell’ordine pubblico internazionale
al quale intende ispirarsi, sottolineando che la compatibilità dell’atto
da trascrivere «dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi
fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati dalla giurisprudenza nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del
modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei
singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi
nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei
valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico».
Esso risulta violato dal ricorso alla maternità surrogata «in quanto (il
divieto è) posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana
della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale
il giudice non può sostituire la propria valutazione». Nella caso di specie, mentre si riconosce la paternità del genitore genetico, si esclude
quella del c.d. genitore di intenzione fermo restando che, a parere della
Corte, detto rapporto può essere recuperato «mediante il ricorso ad
altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista
dalla l. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)».
I limiti del presente contributo non consentono di analizzare la fondatezza delle argomentazioni sviluppate dalla Corte160; purtroppo essa
non ha dato risposta ad un profilo di illegittimità sollevato dal p.m.
159
Disvalore suffragato anche da una pronunzia della Corte costituzionale (18 dicembre
2017, n. 272, in Corr. giur., 2018, 446, con nota di G. Ferrando; in Giur. It., 2018, 1830
nota di E. Falletti; in Nuova giur. civ., 2018, I, 547 con nota di A. Gorgoni; in Familia,
2018, 59, con nota di S. Sandulli; nonché il commento di V. Sciarrino in Nuove leggi
civ. comm., 2019, 510 ss.) nella quale si afferma che al fine di consentire l’impugnazione
del riconoscimento occorre anche tenere conto del fatto che quest’ultimo, compiuto
dalla donna, riguardava un bambino concepito mediante ricorso alla surrogazione
di maternità.
160
Si rinvia in proposito alle accurate riflessioni di M. Bianca, La tanto attesa decisione
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
581
avendone considerata inammissibile l’impugnazione, nel quale si osservava che «la nozione di genitori da quest’ultima emergente (cioè
la Costituzione) non può infatti considerarsi gender neutral, trovando
specificazione nei concetti di paternità e maternità risultanti dall’art.
30, u.c., e 31 e nell’istituto del matrimonio previsto dall’art. 29, che
postula l’unione tra persone di sesso diverso»; si aggiungeva che «la
bigenitorialità fondata sulla diversità di genere costituisce inoltre il
presupposto dell’intera disciplina civilistica dei rapporti di famiglia
e delle successioni, nonché di quella della procreazione medicalmente
assistita, consentita soltanto a coppie di sesso diverso». La rilevanza
della diversità sessuale dei genitori emerge invece dalle considerazioni
sviluppate da una decisione del Tribunale di Roma del 27 luglio 2018161
nel corso della quale si sottolinea condivisibilmente che «le norme del
nostro sistema giuridico in materia di filiazione trovano fondamento
nella “bigenitorialità” fondata sulla diversità di genere» in mancanza
della quale «si creerebbe artificiosamente e per via giurisprudenziale
una nuova forma di genitorialità e di filiazione, che non rientra in nessuna delle ipotesi disciplinate dalla legge». Infatti «non esistono altri
tipi di filiazione. Non esiste in rerum natura la possibilità di una filiazione biologica tra persone dello stesso sesso. Non esiste, per espresso
divieto di legge, la possibilità di accedere alla filiazione adottiva o medicalmente assistita, e, quindi, un rapporto di filiazione senza legame
biologico, tra persone dello stesso sesso»162.
Appaiono evidenti i limitati effetti della decisione della Cassazione
volta a sancire l’intrascrivibilità dell’atto di nascita riguardo al riconoscimento della paternità da parte del genitore che non ha apportato
alcun contributo in una realtà in cui la partoriente è in concreto impossibilitata ed esercitare il ruolo che le compete.
Occorre prendere atto comunque in prospettiva futura che, alla luce
della presente pronunzia della Corte Suprema, non potranno ricevere
riconoscimento da parte del nostro ordinamento i provvedimenti stranieri mediante i quali si attribuisce la genitorialità naturale alla coppia
(omosessuale od eterosessuale) la quale sia ricorsa alla surrogazione di
delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore, in Familia, 2019,
369 ss.
161
Cit. alla nota 156.
162
Per analoghe considerazioni v. Trib. Pisa, 15 marzo 2018, cit.
582
The best interest of the child
maternità, fatta eccezione per il padre genetico163. Principio quest’ultimo già affermato in una precedente decisione riguardante le vicende
relative a due persone di sesso diverso le quali erano ricorse ad una
madre surrogata per generare il proprio figlio. Situazione questa che
trova fondamento solo nella riprovazione verso la maternità surrogata e nella tutela dell’interesse del minore a vedersi riconosciuta come
madre la gestante e non la c.d. madre sociale (mentre non ricorreva
violazione dell’interesse alla bigenitorialità eterosessuale)164.
Dal complesso intreccio delle questioni emerge l’esigenza di un intervento normativo volto a dare risposta a tutte le questioni alle quali
si è accennato.
6. L’interesse del minore a vivere nella propria famiglia ed a
coltivare rapporti con i congiunti.
La difficoltà generale di adottare una equilibrata lettura riguardante l’interesse del minore con quelli in conflitto viene in parte stemperata con riferimento al tema relativo al diritto del minore a vivere in
famiglia, nella propria famiglia e ad intrattenere rapporti con i propri
parenti il quale è certamente da considerare un diritto fondamentale
del minore ove riferito alla propria famiglia d’origine.
Mentre il diritto a crescere nell’ambito di quest’ultima è da considerarsi prioritario, quello a crescere in una famiglia, diversa dalla
prima, costituisce soluzione di ripiego pur sempre da tutelare ove
quella genetica risulti inidonea e dunque soluzione da adottare solo
qualora si riveli realmente indispensabile (di qui le cautele da applicare nella ricostruzione dello stato di abbandono). In tal senso
depongono numerosi documenti internazionali: La Dichiarazione
di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo prevede tale diritto al
principio 6, nel quale si stabilisce che “il fanciullo, per lo sviluppo
armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione.
Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità
dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d’affetto e di sicurezza materiale
e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve
essere separato dalla madre”. Ma, si aggiunge, “la società e i poteri pubblici hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o
163
Ma non, verosimilmente, nel caso in cui la madre genetica sia ricorsa ad una gestante.
164
Cass., 26 settembre 2014, n. 24001, cit.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
583
di quelli che non hanno sufficienti mezzi di sussistenza. È desiderabile che
alle famiglie numerose siano concessi sussidi statali o altre provvidenze
per il mantenimento dei figli”.
La Convenzione delle Nazioni Unite non contiene un riferimento
espresso riguardo al diritto ad una famiglia ed a crescere nella propria famiglia ma esso è desumibile da numerose norme: artt. 3, 7,
8, 9, 10, 18, 27 (diritto alla propria famiglia) e poi 20, 21 (diritto alla
famiglia). Diritto invece enunciato dall’art. 8 della CEDU e dall’art. 7
della Carta di Nizza.
Tali principi trovano puntuale ed ampia applicazione nelle norme
interne. Particolarmente significativi sono l’art. 30 Cost., l’art. 147 cc.
oltre agli artt. 315 bis cc., e alle norme successive riguardanti la responsabilità genitoriale, l’art. 1 l. adoz. e le norme che ne disciplinano lo
stato di abbandono.
L’interesse del minore si sostanzia in un diritto a cui è correlativo un
dovere dei genitori: l’interesse del primo prevale indiscutibilmente sull’interesse dei secondi. Sono lontani infatti i tempi in cui era consentito al padre allontanare il figlio dalla famiglia a causa della sua cattiva condotta.
Vivere in famiglia rappresenta tuttavia anche un dovere del figlio
fino al raggiungimento della maggiore età come stabilito dall’art. 318
cc. che gli vieta di abbandonare la casa familiare. Ma è da ritenere che
il suo diritto a vivere in famiglia venga meno col raggiungimento della
maggiore età165.
Diritto che non si limita alla mera collocazione, ma che si configura
anche alla luce dei doveri dei genitori di cura che sono analiticamente espressi nel primo comma dell’art. 315 bis (assistenza, educazione,
istruzione). Di qui il dovere dei medesimi di esercitare effettivamente ed efficacemente il proprio ruolo, (il diritto alla bigenitorialità) che
trova conferma nelle norme che disciplinano la crisi della famiglia in
relazione appunto ai rapporti fra genitori e figli.
È opportuno altresì osservare che a tutela del diritto del minore
a crescere nella propria famiglia d’origine sono previste alcune norme volte a favorire il ricongiungimento fra i genitori e il minore: l’art.
10 della Convenzione Onu, l’art. 4 della Convenzione sulle Relazioni
personali riguardanti i minori (Strasburgo 15 maggio 2003) il quale
stabilisce che “un minore ed i suoi genitori devono avere il diritto di
165
Cfr. in tal senso P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in La
riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Milano, 2015, 122 s.
584
The best interest of the child
ottenere e mantenere regolari relazioni personali tra loro. Tali relazioni
personali possono essere limitate o impedite solo nel caso ciò si renda
necessario per il bene del minore”.
Nell’assicurare applicazione a tali principi il decreto legislativo
sulla immigrazione (286/1998) prevede che questi, se convivente col
genitore (o con i genitori) straniero regolarmente soggiornante, ha diritto di essere iscritto nel suo permesso di soggiorno fino a 14 anni. Ed
inoltre, da tale età fino a 18 anni, a ricevere permesso di soggiorno per
motivi familiari. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e, tenuto conto dell’età e delle condizioni
di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo
determinato, anche in deroga alla normativa sull’immigrazione. Controversa in giurisprudenza è l’individuazione della gravità dei motivi
(ad es., lo sradicamento da un contesto di rapporti costituiti in Italia in
cui è sempre vissuto per inserirsi in una nuova realtà all’interno dello
stato di origine del genitore ivi espulso)166. Ad una posizione della Cassazione167 in cui prevale un’interpretazione ingiustamente restrittiva,
sul presupposto che l’art. 31 non tutela l’unità della famiglia che può
realizzarsi col rimpatrio anche del minore ma solo la sua salute psicofisica168, si contrappone una lettura più aperta e condivisibile da parte
di altra pronuncia della Corte169 e della prevalente giurisprudenza di
merito170. A sua volta il genitore straniero può chiedere il ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del decreto al fine di prestare
assistenza al proprio figlio minore di età o al figlio del proprio coniuge
nonché al figlio adottivo o a lui affidato.
166
Soluzioni contrastanti sono state assunte da App. Bari sez. min., 31 dicembre 2001 e
Trib. min. Bari, 6 agosto 2001, in Familia, 2002, 549 con nota di G. Tucci.
167
La quale esige la presenza di situazioni del tutto eccezionali: v. per tutte Cass., 10
marzo 2010, n. 5856, in Famiglia e dir., 2010, 794.
168
Cass., 17 settembre 2001, n. 11624.
169
La quale fonda l’autorizzazione anche soltanto sulla tenera età del minore: v. per
tutte Cass., 19 gennaio 2010, n. 823, in Famiglia e dir., 2010, 793.
170
Cfr. in proposito, App. Roma, 19 aprile 2004, in Fam. e dir., 2004, 492, con nota di A.
Liuzzi ed ivi ulteriori citazioni.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
585
In particolare richiamando l’esigenza di protezione del minore la
giurisprudenza di legittimità171 e di merito172 hanno ritenuto equiparabile all’affidamento la kafalah, istituto di diritto islamico173 in virtù della
quale un minore abbandonato può essere accolto da un kafil (persona
singola o coniugata) che si impegna a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un figlio proprio, fino alla maggiore età, senza però
che l’affidato (makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia
che lo accoglie. L’applicazione della norma che disciplina l’istituto del
ricongiungimento familiare in virtù della quale è consentito l’ingresso
in Italia del minore viene giustificata al fine di realizzare «l’equo bilanciamento di tali superiori interessi, alla luce anche della scala di valori
presupposta dal Costituente» ed «in funzione della tutela del rapporto
instaurato nel segno di una tendenziale prevalenza del valore di protezione del minore, anche in relazione al minore straniero, rispetto a
quelli di difesa del territorio e contenimento dell’immigrazione174».
Inoltre, l’interesse del minore assume fondamentale rilevanza nella
configurazione del diritto, di cui è titolare, di mantenere rapporti significativi con i parenti di ciascuno dei genitori. L’art. 5 della Convenzione
di Strasburgo del 2003 stabilisce al riguardo che, “fatto salvo il bene
del minore, può venir instaurata una relazione tra il bambino e altre
persone che non siano i suoi genitori aventi legami familiari con il minore. I Paesi contraenti sono liberi di estendere il provvedimento ad
171
Cfr. ex pluribus, Cass., 20 marzo 2008, n. 7472, in Famiglia e dir., 2008, 765, con nota di
R. Gelli; Cass., 2 luglio 2008, n. 18174, in Fam., pers. e succ., 2008, 891; Cass., 17 luglio
2008, n. 19734, ivi, 2009, 481, con nota di E. De Feis; Cass., 2 febbraio 2015, n. 1843, in
Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 707, con nota di M. Di Masi. Contra, Cass., 1 marzo 2010,
n. 4868, ivi, 2010, I, 831; Cass., 23 settembre 2011, n. 19450, in Corr. giur., 2012, 197.
172
Ad es., Trib. Biella, 7 marzo 2000, in Dir. immigraz. e cittad., 2000, 3, 121; Trib. Milano,
12 marzo 2000, ivi, 2, 127; Trib. Firenze, 9 novembre 2006, ivi, 2007, 1, 169; Trib.
Torino, 26 giugno 2009, ivi, 2009, 2, 216; Trib. min. Reggio Calabria, 10 ottobre 2006,
in Famiglia e minori, 2006, 2, 86; Trib. Firenze, 9 novembre 2006, ivi, 2007, 1, 169; Trib.
Biella, 26 aprile 2007, in Dir. fam., 2007, 1810, con nota di J. Long; App. Torino, 18
luglio 2007, ivi, 2008, 143; App. Torino, 28 giugno 2007, in Dir. immigraz. e cittad.,
2008, 3, 142; App. Torino, 30 maggio 2007, ivi, 1, 181; App. Firenze, 2 febbraio 2007,
ivi, 2007, 4, 139.
173
Dalle molteplici discipline a seconda del Paese straniero che l’adotta, le quali possono
presentare criticità in quanto è consentito che la kafalah si costituisca anche in base ad
un mero atto di autonomia privata al di fuori di un controllo del giudice o di altra
autorità chiamata a verificare le ragioni poste a fondamento dell’accordo: Cass., 2
febbraio 2015, n. 1843, cit. Mentre per la riconoscibilità solo della kafalah predisposta
da pubblica autorità si è pronunziata Cass. S.U., 16 settembre 2013, n. 21108, in Foro
it., 2013, I, 2766.
174
Cass., 20 marzo 2008, n. 7472, cit.
586
The best interest of the child
altre persone oltre a quelle citate nel comma 1, ed in presenza di tale
estensione, i Paesi possono liberamente decidere quale tipo di relazione”. L’art. 8 della Convenzione ONU parla di un diritto del fanciullo
di preservare “le sue relazioni familiari” e di vita familiare – come si
è detto – parlano sia la Convenzione sui diritto dell’uomo (art.8) sia la
Carta di Nizza (art. 7).
Diritto del minore, che trova riscontro nella normativa interna ed
emerge ancor più chiaramente rispetto al passato dalla Riforma del
2012/2013, la quale ha introdotto l’art. 317 bis che contempla anche un
diritto, limitato ai soli ascendenti (non si menzionano infatti in questo
caso tutti gli altri parenti), di mantenere detti rapporti, riconoscendo
loro legittimazione ad agire in giudizio per ottenere che vengano adottati i provvedimenti più idonei a tal fine in vista del perseguimento
dell’esclusivo interesse del minore. Due le novità principali introdotte
dalla Riforma suddetta: 1) l’esplicita previsione da parte della legge
della rilevanza dell’interesse di tutti i parenti di mantenere rapporti
significativi col minore a prescindere dall’esistenza di una crisi della
famiglia; 2) la configurazione di un diritto in capo agli ascendenti, tutelato nella misura in cui coincida con l’interesse del minore, il quale
assume pertanto prevalente rilevanza rispetto al primo.
La norma menzionata completa il quadro delineato dal legislatore
a partire dal 2006 (legge n. 54) con l’introduzione dell’art. 155 (oggi
riversato nell’art. 337 ter) nel quale si contemplava il diritto del minore di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di
ciascun ramo genitoriale nel caso di crisi della coppia, a prescindere
dal tipo e dalle modalità dell’affidamento disposte dal giudice, senza
peraltro prevedere analogo diritto nel contesto della famiglia unita che
dunque poteva considerarsi solo implicitamente presupposto.
Prima del 2006, in assenza di specifiche previsioni, la tutela di detto
interesse era stata riconosciuta da larga parte della giurisprudenza175,
configurando un abuso nell’esercizio della (allora) potestà da parte dei
175
Cfr. Cass., 25 settembre 1998, n. 9606, in Famiglia e dir., 1999, 17; Trib. Taranto, 19
aprile 1999, in Dir. fam., 1999, 373; Trib. Torino, 11 maggio 1988, in Giur. it., 1989, I,
2, 234; Trib. Roma, 7 febbraio 1987, in Dir. fam., 1987, 739; Trib. Roma, 8 settembre
1986, ivi, 1987, 247; Pret. Roma, 11 febbraio 1982, in Nuovo dir., 1982, 393; Cass., 24
febbraio 1981, n. 1115, in Foro it., 1982, I, 1144. Trib. Messina, 19 marzo 2001, in Dir.
fam., 2001, 1523, individuava in capo ai nonni un interesse legittimo. Invece per la
configurabilità di un diritto in loro favore si pronunciavano, Trib. L’Aquila, 4 luglio
1995, in Nuovo dir., 1996, 45; Trib. Catania, 7 dicembre 1990, in Dir. fam., 1991, 652;
Trib. Napoli, 18 giugno 1990, in Giur. merito, 1991, 15.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
587
genitori i quali avessero posto, senza validi motivi, ostacoli al minore,
nella frequentazione degli altri parenti, partendo dal presupposto che
il loro apporto può costituire per lui fonte di arricchimento spirituale.
Nei contenuti esso richiamava in certo qual modo il c.d. diritto di visita
allora spettante al genitore non affidatario.
Oggi il quadro normativo di riferimento è sensibilmente mutato
sotto diversi aspetti. Innanzitutto l’art. 315 bis, 2° comma cc., nel configurare il diritto del minore a mantenere rapporti significativi con i parenti, considera detta relazione normalmente vantaggiosa, salva prova
contraria. La norma tende dunque a valorizzare la funzione educativa ed assistenziale spesso esercitata nella realtà da alcuni componenti
della c.d. famiglia “allargata” (si pensi in particolare ai nonni ed agli
zii) a completamento e supplenza dei compiti esercitati dai genitori
loro riconosciuti dalla legge. Non si tratta certamente di un ritorno al
vecchio modello della famiglia patriarcale ma della valorizzazione delle potenzialità insite nella famiglia allargata, per lo più in collaborazione con i genitori (ma a volte anche supplendo alle loro mancanze e
persino in certi casi, come si dirà, contro la loro volontà).
Il termine “mantenere” deve essere considerato come sinonimo di
“intrattenere” in quanto l’interesse del minore potrebbe sussistere anche riguardo alla costituzione di rapporti con i congiunti subito dopo
la nascita176 o in momenti successivi (si pensi al caso di un parente
residente all’estero che solo dopo un considerevole lasso di tempo è
in grado di instaurare rapporti significativi col minore ove i genitori
intendessero impedirglielo).
Nei contenuti, poi, il riferimento a rapporti significativi (anche se
non necessariamente continuativi come per i genitori177) introduce un
parziale mutamento di prospettiva, volto ad ampliare il ruolo ricoperto
dai parenti178 – pur nel quadro generale di formazione del minore predisposto dai genitori – riconoscendo loro anche compiti educativi e di
176
Ove la crisi fosse intervenuta nel corso del periodo di gestazione del minore: v. al
riguardo G.F. Basini, I provvedimeni relativi alla prole, in Trattato di diritto di famiglia,
diretto da G. Bonilini, cit., 2016, 3129 e nota 114, il quale sottolinea l’improprietà del
testo normativo.
177
Per sottolineature sulla diversità della formula normativa utilizzata in questo caso
rispetto a quella relativa ai rapporti fra genitori e figli, v. A. Arceri, L’affidamento
condiviso, Milano, 2007, 118 s.
178
Cfr. in tal senso le considerazioni di P. Corder, Rapporti dei minorenni con gli ascendenti
(art. 317 bis c.c. come modificato dall’art. 42 del d. lgs. N. 154 del 2013), in La riforma della
filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 103 ss.
588
The best interest of the child
assistenza; pertanto il diritto del minore ai rapporti parentali potrebbe
essere violato anche se i genitori non ne impedissero la frequentazione (che comunque si differenzia dal precedente diritto di visita179) ma
ostacolassero senza ragione i congiunti nella cura del minore. La norma
attribuisce al giudice un compito particolarmente delicato nella ricostruzione in concreto dell’interesse del minore e nell’accertamento della
violazione del suo diritto da parte dei genitori; egli è chiamato infatti a
stabilire se i medesimi abbiano posto ostacoli ingiustificati alla relazione in oggetto, sterilizzando la funzione riconosciuta dalla legge ai parenti in vista di una collaborazione volta ad arricchire il minore. Infatti,
in un quadro in cui i fondamentali compiti educativi e di indirizzo sono
riconosciuti in via principale ai genitori è pur vero che all’interno di
tale contesto il contributo dei parenti può essere particolarmente utile
nel fornire quell’apporto che i genitori stessi non sono in grado di assicurare. Si pensi ad esempio al sostegno nell’istruzione ove i genitori ne
risultino carenti, nella cura della salute e nel materiale accudimento nel
caso in cui i genitori fossero ancora molto giovani ed inesperti.
Come ritenuto prima della Riforma sulla filiazione dall’opinione
prevalente, le norme non riconoscono ai parenti un diritto a mantenere od instaurare una relazione siffatta con il minore, quantunque essa
corrisponda al suo interesse, fatta eccezione per gli ascendenti ai quali
è riconosciuto oggi dall’art. 317 bis un ruolo privilegiato rispetto agli
altri congiunti. In passato tutti questi soggetti erano posti sul medesimo piano in quanto considerati portatori di interessi giuridicamente
rilevanti180 ma solo in via indiretta, cioè a condizione che coincidessero
179
In quanto non si giustificherebbe una rigida predeterminazione dei tempi di
frequentazione: v. P. Corder, op. cit., 108 ss.
180
V. in tal senso G.F. Basini, La nonna, Cappuccetto Rosso e le visite: del c.d. ‘diritto di
visita’ degli avi, in Fam. pers. e succ., 2006, 433 ss..; Id., Violazione del c.d. ‘diritto di
visita dei nonni’ ed ingiustizia del danno, in Resp. civ. e prev., 2006, 614 ss.; C. Padalino,
L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 35; B. De Filippis, Affidamento condiviso
dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 89; L. Napolitano, L’affidamento dei
figli nei giudizi di separazione divorzio, Torino, 2006, 108; M.A. Lupoi, Aspetti processuali
della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, 1072; F.
Danovi, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam., 2007, 1914; A.
Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 118 ss.; S. Mezzanotte, Il rapporto nonni-nipoti:
una relazione affettiva giuridicamente rilevante, in Giur. merito, 2008, 1918 ss.; Cass., 21
aprile 2015, n. 8100, in Famiglia e dir., 2016, 153, con nota di A. Arceri (in riferimento
a fattispecie rientrante sotto l’art. 155 prev.); Trib. Reggio Emilia, 17 maggio 2007, in
Fam. pers. succ., 2008, 227 ss., con nota di F. Tedioli; App. Perugia, 27 settembre 2007,
in Giur. merito, 2008, 1913 ss., con nota di S. Mezzanotte; Trib. min. Bari, 16 luglio
2008, in Dir. e giustizia, 2008. Per la configurabilità del diritto di visita si pronunziava
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
589
con gli interessi del minore. Tale considerazione aveva indotto a risolvere in senso negativo il problema se la violazione dei medesimi, per
opera dei genitori (o di uno di essi) avrebbe potuto legittimare pretese
risarcitorie (per avere arrecato un danno per lo più non patrimoniale)
da parte di questi181 in seguito al pregiudizio subito per la privazione del rapporto affettivo col minore. Ai congiunti era però consentito
invocare tutela nel quadro delle regole volte ad ovviare all’esercizio
abusivo della potestà (oggi responsabilità genitoriale) ove se ne riscontrassero i presupposti.
Diversa è invece, come si è detto, la posizione oggi riservata agli ascendenti ai quali viene riconosciuto un diritto, sia pur affievolito182, per la cui
tutela gli interessati possono agire innanzi al tribunale minorile183. È da
sottolineare che una recente interpretazione della Cassazione184 ha privilegiato un’interpretazione estensiva della norma – sulla base del dettato
dell’art. 8 della CEDU il quale assicura tutela alla vita familiare – volta a
ricomprendere fra gli ascendenti anche il coniuge in seconde nozze o il
convivente dell’ascendente. Con richiami al diritto effettivo si è prospettata anche l’ipotesi in dottrina di estendere la medesima tutela ai fratelli
M. Bianca Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in
L’affidamento condiviso, a cura di Patti-Rossi Carleo, Giuffrè, Milano, 2006, cit., 163
ss. Si limitava ad auspicare l’accoglimento dell’interpretazione che configurava un
diritto di visita dei congiunti, S. Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers.
succ., 2006, 301. Sull’argomento v. anche P.M. Putti, Il diritto di visita degli avi: un
sistema di relazioni affettive che cambia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 897 ss.
181
G.F. Basini, Violazione del c.d. ‘diritto di visita dei nonni’ ed ingiustizia del danno, cit., 614 ss.;
F. Tedioli, Il diritto di visita dei parenti: interesse legittimo o diritto soggettivo condizionato,
ma pur sempre non azionabile da parte dei nonni, in Fam. pers. succ., 2008, 227 ss.
182
Si parla di un diritto recessivo nei confronti dell’interesse del minore, pieno solo nei
confronti dei terzi: Cass., 25 luglio 2018, n. 1979 e 1980, in Corr. giur., 2018, 1591, con
nota di F. Danovi. Riguardo a tale diritto v. le considerazioni di P. Corder, op. cit.,
105 ss., secondo il quale si configurerebbe un correlativo obbligo degli ascendenti
che mi lascia perplesso al di là dell’intervento relativo al mantenimento del minore
nei limiti configurati dall’art. 316 bis cc.
183
Soluzione sulla cui funzionalità può esprimersi qualche dubbio in quanto non
è previsto che l’azione venga esercitata innanzi al giudice ordinario quando è in
corso un procedimento relativo alla crisi familiare. Si profila pertanto il rischio che le
soluzioni adottate in materia da ciascun giudice, riguardo alla propria competenza,
possono risultare contrastanti. Cfr. in proposito i rilievi avanzati da P. Corder, op.
cit., 109 ss. ma di diverso avviso è A. Morace Pinelli, Provvedimenti concernenti i
figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione, a
cura di C.M. Bianca, cit., 714 ss., secondo il quale la competenza si sposterebbe in
capo al giudice ordinario nei tempi in cui è in corso un giudizio riguardante la crisi
familiare.
184
Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, cit.
590
The best interest of the child
e alle sorelle del minore, quali congiunti i cui rapporti sono considerati
dall’ordinamento particolarmente rilevanti al fine del perseguimento dei
suoi interessi185. Oggi pertanto sembra caduta ogni incertezza circa il diritto degli ascendenti (ma la regola andrebbe applicata anche ai soggetti
ad essi assimilati) di ottenere il risarcimento del danno conseguente ove la
violazione provenga dai genitori o da terzi estranei al nucleo familiare186.
La disciplina della materia viene completata, come accennato,
dall’art. 337 ter cc. il quale contempla il diritto innanzi considerato anche nel caso di crisi della famiglia, quale prosecuzione di quello originario. Anche in questo caso si fa riferimento all’interesse del minore
a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale. Alla luce del termine utilizzato dall’art. 315
bis cc. assume un diverso significato anche il dettato della norma menzionata (già riscontrabile nell’art. 155 prev.) perché questo, in assenza
di un riferimento alla famiglia unita, avrebbe potuto intendersi come
diritto alla conservazione di rapporti significativi già esistenti, con conseguente irrilevanza della mera intenzione di costituirli ex novo187 nel
caso di crisi della famiglia.
Anche nel contesto della crisi la posizione degli ascendenti e degli
altri parenti viene diversificata sulla base di quanto già indicato nel caso
di violazione del diritto del minore nella famiglia unita. Infatti mentre
gli ascendenti possono contare sull’azione diretta prevista dall’art. 317
bis cc., quando l’interesse in gioco è quello di altri congiunti in capo ai
quali la legge non prevede uno specifico diritto, la sua protezione si colloca nell’ambito dei provvedimenti che il giudice può assumere – anche
d’ufficio – oltre che su richiesta di uno dei genitori, nel contesto del
provvedimento volto a regolamentare la crisi, nonché all’interno dei
provvedimenti relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale188.
Riguardo agli ascendenti, l’esistenza di apposita azione rafforza la
posizione assunta in passato dalla giurisprudenza la quale escludeva
la legittimazione degli ascendenti ad un intervento autonomo all’in185
P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, cit., 125 ss.
186
V. in proposito G.F. Basini, Ascendenti, diritto di mantenere rapporti significativi con i
figli minorenni, e risarcimento del danno. Il così detto, «diritto di visita» degli avi dopo il
d.lgs. 154 del 2013, in Studi in onore di Iudica, Milano, 2014, 139 ss.; Id., I diritti e i doveri
dei genitori e dei figli, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini, cit., 4064,
nota 116.
187
F. Danovi, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, cit., 1915; A. Arceri,
L’affidamento condiviso, cit., 120 s.
188
Per un caso al riguardo v. Cass., 5 marzo 2014, n. 5097, in Foro it., 2014, I, 1067.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
591
terno del giudizio di separazione sul presupposto che parti del procedimento relativo alla crisi sono solo i genitori189, ma consente anche di
escludere la legittimazione ad un intervento adesivo sul quale erano
emerse opinioni contrastanti190.
Alla luce della posizione assunta dalla Cassazione più recente, rivedendo un precedente indirizzo contrario, anche i provvedimenti riguardanti la frequentazione del minore con i congiunti, pur essendo
assunti rebus sic stantibus, sono suscettibili di ricorso in sede di legittimità in quanto immodificabili se non si verificano mutamenti nella
situazione di fatto191.
7. La rilevanza dell’interesse del minore nel quadro
delle azioni volte a costituire lo status.
In mancanza dello stato a cui ha diritto il soggetto interessato può
agire per ottenerne l’accertamento. Come è noto la Riforma della filiazione del 2012/2013 ha mantenuto a detto fine azioni differenziate per
i figli nati nel matrimonio e per quelli nati al di fuori di esso: nel primo
caso il reclamo dello stato (art. 239 cc.), nel secondo la dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità (art. 269 cc.).
Lo stato di figlio nato nel matrimonio può mancare per diverse ragioni enunciate dalla legge con elencazione non tassativa; più esattamente
quando: vi sia stata supposizione di parto o sostituzione di neonato, il
figlio è stato iscritto nell’atto di nascita come nato da genitori ignoti, o
da madre che si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata, vi sia
stato un riconoscimento in contrasto con la presunzione di paternità,
ivi compresa l’ipotesi in cui la madre abbia dichiarato di avere concepito il figlio con persona diversa dal marito, il figlio sia stato iscritto in
189
A. Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 123 s.; Trib. Reggio Emilia, 17 maggio 2007, cit.
190
In senso favorevole alla legittimazione, Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Famiglia e dir.,
2006, 291; App. Perugia, 27 settembre 2007, cit.; F. Tedioli, op. cit., 233; A. Figone,
Profili processuali, in AA.VV., Affidamento condiviso e diritti dei minori, a cura di M.
Dogliotti, Torino, 2008, 228. Contra, Cass., 27 dicembre 2011, n. 28902, in Foro it.,
2012, I, 779; Cass., 16 ottobre 2009, n. 22081, in Giust. civ., 2010, I, 2817, con nota di C.
Ingenito; C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, cit., 35; A. Arceri, L’affidamento
condiviso, cit., 123; Trib. min. Potenza, 23 aprile 2008, in Famiglia e minori, 2008, 9,
84 ha ammesso la costituzione in giudizio dei nonni. In senso contrario a quanto
sostenuto nel testo, v. C. Lazzaro, in Commentario del codice civile, diretto da E.
Gabrielli, Della famiglia, a cura di G. Di Rosa, Milano2, II, 2018, 712.
191
Cfr. Cass., 29 gennaio 2016, n. 1743 e n. 1746; Cass., 21 novembre 2016, n. 23633;
Cass., 25 luglio 2018, n. 19779, cit.; Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, cit.
592
The best interest of the child
contrasto con altra presunzione di paternità (in seguito alla violazione
del divieto di nuove nozze previsto dall’art. 89 o nel caso di bigamia),
l’iscrizione sia avvenuta erroneamente come figlio dei propri genitori
non uniti in matrimonio mentre essi lo sono; il figlio, quantunque nato
dopo trecento giorni dalla separazione, divorzio, nullità del matrimonio è stato concepito durante il matrimonio per una più lunga durata
della gravidanza nonché nell’ipotesi in cui sia stato concepito dai coniugi durante il periodo della separazione.
Peraltro quando l’interessato intende agire in presenza di uno stato già esistente verso altri genitori deve ottenerne preventivamente la
rimozione, ai sensi dell’art. 239, 4° comma, cc. prima di reclamare con
successo quello rispondente a verità (fornendone la prova)192.
L’azione spetta al figlio maggiorenne o ad un curatore, la cui nomina può essere richiesta dal figlio che abbia compiuto quattordici anni
nell’ipotesi in cui – secondo il suo esclusivo giudizio – sia interessato a
conseguire lo status verso i genitori genetici; per il minore di età inferiore la richiesta può provenire dal pubblico ministero193. In tal caso è
demandata al curatore speciale la valutazione dell’interesse del minore
al perseguimento dello stato, che dovrà considerarsi esistente, in linea
di principio, in vista della tutela del diritto all’identità personale. Tutt’al
più esso potrebbe fare difetto se l’interessato risulti figlio di ignoti, pur
essendo nato da genitori coniugati o di madre che non intenda essere
nominata. Potrebbe ritenersi infatti che il ricorso all’adozione si palesi
in concreto soluzione preferibile piuttosto che conseguire lo stato verso
genitori che dimostrino disinteresse nei suoi confronti. È da rilevare
peraltro che la giurisprudenza, nel caso di dichiarazione giudiziale di
paternità e maternità del secondo genitore (e dunque in presenza di
riconoscimento da parte dell’altro) ritiene – come si dirà tra breve – che
ben difficilmente possa ricorrere l’interesse del minore a non acquisire
192
V. in tal senso da ultimo riguardo al rapporto tra disconoscimento e dichiarazione
giudiziale della paternità, Cass., 3 luglio 2018, n. 17392, in Giur. it., 2019, 836, con
nota di A. Ronco. Ingiustificatamente in senso contrario M. Dossetti, La presunzione
di paternità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3411 ss. la
quale non sembra prendere nella dovuta considerazione il dettato degli artt. 239,
4° comma e 253 cc. Resta ferma la possibilità di riunione delle due questioni in un
unico giudizio ma ciò non toglie che la decisione sulla rimozione dello stato esistente
debba precedere quella di costituzione di un nuovo stato.
193
Mentre secondo E. Bilotti, Commento all’art. 249, in Commentario del codice civile,
diretto da E. Gabrielli, II, cit., 160, il rinvio operato dall’art. 248, 5° comma cc. a quanto
disposto dall’art. 245, comma 2° cc. non troverebbe applicazione per legittimare la
richiesta da parte del genitore (o di entrambi).
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
593
il relativo stato nei suoi confronti. Se tale posizione viene assunta quando il minore può contare già su un genitore può facilmente dedursi che,
ove una siffatta ipotesi dovesse presentarsi in futuro (non risultano infatti precedenti in merito), la soluzione adottata avrebbe esito scontato.
Ove nell’ipotesi prospettata non si fosse dato corso all’adozione, il figlio, raggiunti i quattordici anni, potrebbe compiere una diversa valutazione e richiedere al giudice la nomina di un curatore speciale per reclamare lo stato a cui ha diritto essendo l’azione non soggetta a prescrizione.
La tutela dell’interesse del figlio è potenziata dal fatto che può essere da lui esercitata, o da chi lo rappresenta, senza limiti di tempo,
mentre dopo la sua morte dai suoi discendenti, ma entro due anni194.
Il figlio nato al di fuori del matrimonio – come accennato – può
reclamare lo stato che gli spetta mediante l’azione di dichiarazione
giudiziale di maternità o paternità, previa eventuale rimozione di uno
stato non rispondente al vero, mediante impugnazione del falso riconoscimento195. Se trattasi di un minore, l’azione, ai sensi dell’art. 237
cc. può essere promossa, nel suo interesse, dal genitore che esercita
la responsabilità genitoriale196, ma occorre il consenso dell’interessato
ove questi abbia compiuto quattordici anni, vi compresa l’ipotesi in cui
si ponga il problema di proseguire l’azione già iniziata in quanto egli
abbia raggiunto l’età prevista in corso di giudizio197. Esclusivamente a
lui è rimessa dunque la valutazione circa la convenienza dell’esercizio
e del conseguente acquisto dello stato verso il secondo genitore.
194
Controversa, nel silenzio normativo, è la legittimazione dei genitori. La soluzione
positiva appare più convincente (ancor più, secondo C. Ciraolo, op. cit., 75 s., alla
luce della Riforma della filiazione) ma si prospetta allora il problema dei tempi
dell’azione, i quali per il figlio non hanno limiti ma che, in funzione del suo interesse
alla stabilità dello stato, dovrebbero porsi per i genitori, in analogia con quanto
previsto per l’azione di disconoscimento e di impugnazione del riconoscimento. V.
in proposito G. Chiappetta, L’azione di reclamo dello stato di figlio, in La riforma della
filiazione, a cura di C. M. Bianca, cit., 493; C. Garlatti, La prescrizione delle azioni di
stato, ivi, cit., 429. Per ulteriori citaz. favorevoli e contrarie si rinvia a E. Bilotti, op.
cit., 156, nota 4, il quale, pur considerando più soddisfacente la soluzione positiva,
ritiene che non possa introdursi in via interpretativa bensì mediante un giudizio di
costituzionalità o un nuovo intervento legislativo.
195
Diversamente, R. Rosetti, Azione di reclamo dello stato di figli, in Modifiche al codice
civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014, 32 ritiene possa agirsi
direttamente mediante dichiarazione giudiziale.
196
Cass., 13 dicembre 2018, n. 32309.
197
Cass., 28 giugno 1994, n. 6217, in Foro it., 1996, I, 251.
594
The best interest of the child
Nei confronti del minore di età inferiore la valutazione è invece rimessa al genitore che ha già provveduto al riconoscimento198 (o del
tutore). Egli ha il potere di agire nell’interesse del medesimo con una
duplice conseguenza: non è titolare dell’azione ma rappresenta il figlio
nell’esercizio; solo l’interesse di quest’ultimo assume rilevanza al fine
della pronunzia del giudice.
Come già attestato in precedenza dalla Corte costituzionale199, l’interesse del figlio non sussiste per il solo fatto che l’accertamento risponde
alla verità biologica ma occorre altresì verificare se risulti vantaggioso
anche alla luce di altre possibili ragioni. Tale accertamento deve precedere quello relativo alla fondatezza nel merito, all’interno di un procedimento che, in virtù di una successiva pronunzia della Corte Costituzionale200, risulta semplificato perché ridotto ad un’unica fase, a differenza
di quanto previsto in precedenza (essendo contemplata, anteriormente
al 1990, una prima fase volta ad accertare prima facie la verosimiglianza
cioè la non manifesta infondatezza dell’azione, ed una seconda destinata
a verificarne la sussistenza sulla base delle prove addotte)201.
Come si è detto esaminando i profili connessi al secondo riconoscimento (v. § 3) problemi analoghi si pongono circa l’individuazione
dei criteri volti a stabilire la sussistenza dell’interesse del minore al
conseguimento dello stato verso il secondo genitore. Peraltro nel caso
di azione giudiziale ci si trova normalmente al cospetto di un genitore
che non intendere assumere il proprio ruolo, con conseguenti maggiori riserve circa il concretizzarsi dell’interesse del minore.
Anche in virtù delle menzionate pronunzie della Corte Costituzionale, la giurisprudenza ha in parte attenuato la posizione assunta in
precedenza in cui veniva prospettata la sussistenza di una presunzione assoluta circa l’interesse del minore all’acquisto dello stato verso il
198
Generalmente vi si riconnette la legittimazione ad agire, in qualità di sostituto
processuale : v. per tutti, A. Gorgoni, Commento all’art. 273, in Commentario del codice
civile, diretto da E. Gabrielli, II, cit., 315 ss. Egli, a differenza del tutore, non necessita
di alcuna autorizzazione giudiziale onde il legislatore si rimette esclusivamente alla
sua valutazione.
199
C. Cost., 20 luglio 1990, n. 341.
200
C. Cost., 10 febbraio 2006, n. 50, in Famiglia e dir., 2006, 237, con nota di M. Sesta.
201
Avendo ritenuto inutile la prima fase volta ad impedire pretese temerarie, in
un contesto di segretezza venuto meno, in seguito alla posizione assunta dalla
Cassazione che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio, facendo così venir meno
la segretezza delle indagini.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
595
secondo genitore202, configurando invece una presunzione relativa203,
la quale, si afferma, è «destinata a cadere di fronte ad una condotta
assai pregiudizievole, tale da dar luogo alla decadenza della potestà
parentale, ovvero in presenza di fondati e gravi rischi per gli equilibri
affettivi e psicologici dei minori, senza che l’eventuale pregiudizio del
minore o il giudizio sul mancato accertamento dello stesso possano costituire l’usbergo per poter realizzare quel rifiuto di paternità messo in
pericolo dal proposto giudizio di dichiarazione giudiziale della paternità naturale204»; interesse la cui esistenza è da sottoporre comunque a
verifica innanzitutto mediante l’ascolto del minore ed inoltre sulla base
di ulteriori elementi concreti, non solo apparenti o presunti205 quali, ad
esempio, il benefico ampliamento della sfera affettiva sociale ed economica del minore. Esso è però da escludere, si ribadisce ancora una volta, sulla base «dell’accertata condotta del presunto padre gravemente
pregiudizievole al figlio e tale da motivare la decadenza dalla potestà
sullo stesso ovvero dalla provata esistenza di gravi e fondati rischi per
gli equilibri affettivi e patologici del minore, per la sua educazione e
per il suo inserimento nel contesto lavorativo e sociale»206 i quali devono risultare «da fatti emergenti dalla pregressa condotta di vita del
preteso padre». In mancanza dei medesimi, «l’interesse del minore va
ritenuto di regola sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che
possano in concreto instaurarsi con il presunto genitore e dalla dispo202
Cass., 21 marzo 1990, n. 2350.
203
Cass., 14 maggio 1991, n. 5386.
204
Cass., 23 febbraio 1996, n. 1444 e Cass., 24 settembre 1996, n. 8413.
205
Cass., 25 maggio 1993, n. 5865; Cass., 28 giugno 1994, n. 6216; Cass., 9 giugno
1995, n. 6550. In quest’ultima sentenza si afferma ad esempio che la sussistenza
dell’interesse del minore può ricondursi a molteplici ragioni: alle condizioni
economiche del genitore (tali da consentirgli di provvedere adeguatamente ai
bisogni di vita e di educazione del figlio); «alla più favorevole considerazione,
nell’ambiente sociale, per colui che risulti figlio naturale di un genitore moralmente
stimato rispetto a chi sia destinato a rimanere vita natural durante ... figlio di padre
ignoto; all’argomentata esclusione della possibilità che il convenuto, per spirito
di irragionevole ritorsione nei confronti del figlio “incolpevole” ponga in essere
“comportamenti riprovevoli” o sotto qualsiasi aspetto pregiudizievoli per il minore.
Alla luce di tali elementi appare tutt’altro che apodittico o “assurdo” il giudizio
prognostico ovviamente fondato su criteri logico-probabilistici, e non di certezza
assoluta – circa un positivo evolversi dei rapporti, anche affettivi, tra padre e figlio,
favorito dal passare del tempo e dallo stemperarsi delle tensioni ora esistenti, nella
ragionevole previsione che un uomo di onore, quale è certamente (il convenuto)
sappia adeguatamente osservare i doveri ed esercitare i diritti derivanti dalla paternità,
superando le reazioni connesse all’attuale possibile perdita dell’equilibrio familiare».
206
Cass., 23 febbraio 1996, n. 1444, e Cass., 24 settembre 1996, n. 8413, cit.
596
The best interest of the child
nibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al miglioramento
obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne
derivano per il preteso padre», anche qualora egli non fosse disponibile ad assumere i doveri morali inerenti all’esercizio della responsabilità
genitoriale207.
Soluzione, a dire il vero che, espressa in questi termini, non appare
per nulla convincente in quanto appare soprattutto influenzata dall’intento di assicurare al minore il rispetto dei doveri di ordine economico da parte del secondo genitore, i quali però non possono assumere
una prevalenza tale da indurre a trascurare i rischi connessi al conseguimento dello stato ed in particolare all’acquisto dell’esercizio della
responsabilità genitoriale in capo al secondo genitore eventualmente
inadeguato. Se dunque può condividersi l’idea che un modesto interesse o l’assoluto disinteresse al conseguimento dello stato, dimostrato
fino a quel momento dal convenuto col mancato riconoscimento, non
può avere decisiva rilevanza in sede di accertamento giudiziale, pur
tuttavia non deve essere sottovalutata la pericolosità circa la creazione
dello stato verso un genitore il quale si dimostri decisamente ostile
verosimilmente anche per il futuro. Sentimento che potrebbe – di conseguenza – creare rilevanti problemi nell’esercizio della responsabilità
genitoriale, col fondato rischio di conflitti destinati ad incidere sulla
serenità del minore e che dovrebbero risolversi col frequente ricorso
al giudice. Inconvenienti che non verrebbero di certo del tutto superati
ricorrendo all’affidamento esclusivo a favore del primo genitore e che
richiederebbero una pronunzia di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Non può trascurarsi tuttavia che la giurisprudenza è molto
cauta ove si tratta di adottare una misura siffatta, circoscritta a situazioni estremamente gravi.
Un’appropriata soluzione per risolvere il problema appare quella
di privilegiare un’interpretazione estensiva dell’art. 279 cc., volta a garantire al figlio il sostegno economico al fine di conseguire il mantenimento, l’istruzione e l’educazione, oltre ai diritti successori, in ipotesi
in cui non ricorra una impossibilità all’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale, e pur tuttavia detta pronunzia non risulti conforme all’interesse del minore ad acquisire il relativo stato. È vero che in
207
V. Cass., 11 dicembre 2012, n. 15158, cit.; Cass., 21 giugno 2018, n. 16356 e le altre
decisioni cit alla nota 87. Nella medesima direzione sembra muoversi in dottrina A.
Gorgoni, op. cit., 319 s.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
597
tal modo quest’ultimo finisce col sottrarsi ai doveri nei confronti del
genitore, ma comporta di converso a suo carico la perdita dei pieni
diritti successori208.
Dall’inapplicabilità della norma muove invece chi critica la giurisprudenza per il fatto che l’aver tenuto il genitore comportamenti che
potrebbero cagionare la decadenza dalla responsabilità parentale non
giustificherebbe la mancata insorgenza dei doveri patrimoniali posti a
suo carico e dei diritti successori a favore del figlio209.
Raggiunta la maggiore età il figlio può decidere autonomamente di
esercitare l’azione volta all’acquisto dello stato.
Occorre infine ricordare che l’interesse del minore all’esercizio
dell’azione in esame assume rilevanza nell’ipotesi di filiazione incestuosa; infatti, come in precedenza ricordato, così come il giudice potrebbe negare il riconoscimento del figlio da parte del genitore che si è
reso colpevole di incesto, ove il conseguimento dello stato non risponda all’interesse del medesimo, allo stesso modo potrebbe impedire che
il medesimo effetto venga raggiunto per via giudiziale (art. 278)210.
8. segue: … ed in quelle volte a rimuoverlo.
L’interesse del minore incide in maniera significativa anche sulle
azioni volte a rimuovere lo stato risultante formalmente, quantunque
uno specifico riferimento in proposito non sia riscontrabile nelle norme.
Infatti la Riforma della filiazione ha inciso innanzitutto significativamente sui tempi per l’esercizio delle diverse azioni, uniformando la
disciplina riguardo al figlio (anche se non necessariamente minore di
età211): a differenza di altri legittimati egli può agire per la rimozione
208
Per ulteriori considerazioni in proposito ci si permette di rinviare alle considerazioni
esposte nel nostro La filiazione derivante da incesto, in La riforma della filiazione, a cura
di C.M. Bianca, cit., 252 ss. ed alle indicazioni bibliografiche ivi contenute. Ancor
più di recente analoga soluzione è prospettata da M. Mantovani, Azioni di stato
e interesse del minore, in Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme:
rapporti di coppia e ruolo genitoriale, relazione al Convegno tenutosi a Catania dal 27 al
29 settembre 2018, Pisa, 2019, 373 ss.
209
G.F. Basini, La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3624 s.
210
Anche in questo caso egli può ottenere però, previa autorizzazione del giudice,
quanto necessario per il suo mantenimento, istruzione, educazione nei confronti del
genitore incestuoso nonché (limitati) diritti successori.
211
Onde, osserva G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento della paternità, in La
riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 397, nessuno spazio è riservato
598
The best interest of the child
dello stato non rispondente a verità senza limiti di tempo onde tutelare
il suo interesse all’identità personale212. Come è noto infatti in precedenza doveva esercitare l’azione di disconoscimento entro un anno dal
raggiungimento della maggiore età pena la decadenza dalla medesima
onde l’interesse alla stabilità dello status (legitimitatis) prevaleva, per
scelta normativa, su quello alla verità. Più in generale solo al figlio (o a
chi ne tutela gli interessi) viene attribuito il potere di decidere in merito
alla prevalenza dei due interessi.
Infatti, in linea di principio gli altri legittimati devono agire, entro
specifici limiti temporali di decadenza, trascorsi i quali il loro interesse
alla rimozione dello stato non riceve più tutela proprio a vantaggio
dell’interesse del figlio alla sua stabilità213.
Occorre tenere presente infatti che il disconoscimento della paternità, volto a superare la relativa presunzione nel caso di nascita da donna
coniugata, non è ammesso per la madre oltre sei mesi dalla nascita del
figlio o entro un anno dalla conoscenza dell’impotenza del marito. Per
quest’ultimo entro un anno, il quale decorre dagli stessi momenti oppure dal giorno in cui ha avuto certezza dell’adulterio della moglie214
(e non anche del fatto di non essere autore del concepimento215). Se
poi egli era lontano il termine decorre dal suo ritorno nel luogo della
all’accertamento della situazione di vulnerabilità del medesimo. Per tale ragione non
si può condividere l’affermazione di C. Garlatti, op. cit., 421 s., secondo la quale
la norma si pone dalla parte del minore, pur essendo innegabile che l’interesse del
figlio (di qualunque età) alla stabilità dei rapporti assume il sopravvento. Per la
medesima ragione non può sostenersi che la prescrittibilità per gli altri legittimati si
fondi sulla tutela dell’interesse del minore, pur concorrendo a realizzarlo.
212
In senso critico verso questa scelta si esprime G. Chiappetta, op. ult. loc. cit., in quanto
egli può sottrarsi a proprio piacimento ai relativi obblighi derivanti dalla filiazione,
in contrasto con il dovere di solidarietà familiare; argomentazioni richiamate anche
nel commento agli artt. 263, 264 e 267 cc., in L’impugnazione del riconoscimento per
difetto di veridicità, sempre in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 507.
213
Peraltro la giurisprudenza ha affermato più volte la legittimità costituzionale
dell’introduzione di un termine per l’esercizio dell’azione, sulla base di quanto
stabilito dall’art. 30, 4° comma Cost. V., ad es., Cass., 19 settembre 2006, n. 20254.
214
La giurisprudenza non ritiene infatti sufficiente un mero sospetto: v. da ultimo
Cass., 6 marzo 2019, n. 6517, in Foro it., 2019, I, 1171, nonché Cass., 30 maggio 2013,
n. 13638. Dubbio è poi se l’azione possa essere esercitata nel caso in cui la donna
abbia subito violenza. A nostro avviso appare preferibile la soluzione negativa. Ma
in senso contrario v. G. Bonilini, op. cit., 306.
215
Sottolinea infatti Cass., 10 aprile 2012, n. 5653 che esigere tale certezza rischierebbe di
allungare eccessivamente i tempi dell’azione, col conseguente sacrificio dell’interesse
del figlio alla stabilità dello stato. Esigenza peraltro ormai ridimensionata
dall’introduzione del termine “tombale” del quinquennio. Fonte di incertezze
potrebbe invece rivelarsi l’assolvimento dell’onere della prova.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
599
nascita o di residenza della famiglia o, se non ne ha avuto notizia in
tali giorni, dalla conoscenza della nascita. La Riforma della filiazione
ha poi introdotto un termine “tombale” – di cui è stato posto in dubbio da alcuni la legittimità costituzionale o almeno l’opportunità216 – di
cinque anni entro il quale l’azione deve comunque essere iniziata dai
legittimati diversi dal figlio, scaduto il quale l’azione non può più comunque essere esercitata anche se i medesimi non erano in possesso
degli elementi richiesti (si pensi al caso ad es., in cui il marito ha conoscenza dell’adulterio o della propria impotenza dopo tale termine), né
si applicherebbe la sospensione del termine previsto dall’art. 245 cc.217.
È evidente che in tal caso l’interesse del figlio alla stabilità dello stato
viene considerato normativamente prevalente rispetto al contrapposto
interesse degli altri legittimati alla sua rimozione.
Unica eccezione sembra costituita dalle ipotesi disciplinate dal 3°
comma dell’art. 244 cc. (lontananza del marito dal luogo di nascita) il
quale prevede il decorso del termine di un anno per l’esercizio dell’azione dal suo ritorno o dal momento successivo in cui abbia avuto notizia
della nascita, in quanto il 4° comma che introduce il termine “tombale”
fa riferimento solo alle ipotesi previste dal 2° comma e non anche a
quelle contenute nel 3° comma218. Sussiste pertanto una “falla” nel sistema giustificata dal fatto che altrimenti al marito sarebbe negata ogni
possibilità di agire219. Essa costituirebbe dunque l’unica eccezione in
216
Serrata è la critica mossa al riguardo da M. Sesta, op. ult. cit., , 365 ss. il quale osserva
che già in passato la Corte costituzionale si era espressa per l’illegittimità di un
termine decadenziale che possa operare in caso di mancanza degli elementi volti
a rendere consapevole il marito di una generazione a lui estranea, con conseguente
violazione del diritto all’identità personale. Ingiustificatamente sacrificato sarebbe
anche l’interesse della madre se la decadenza potesse operare nonostante ella avesse
ignorato l’impotenza del marito. Si ritiene pertanto molto incerta la “resistenza” in
futuro della norma ad un giudizio di costituzionalità. La soluzione normativa viene
anche giudicata inopportuna perché l’impossibilità di agire potrebbe provocare
risentimento nel marito, con conseguente crisi della famiglia, che andrebbe a
discapito anche del figlio per la possibile difficoltà dei genitori di gestire l’affidamento
condiviso. In senso critico v. altresì G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento della
paternità, cit., 391 ss.; M. Dossetti, L’azione di disconoscimento della paternità, in Trattato
di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3502 ss.
217
In quanto la sua scadenza comporta l’improponibilità dell’azione: R. Rosetti, in
Modifica della disciplina del disconoscimento e limiti all’imprescrittibilità dell’azione di
disconoscimento della paternità, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M.
Bianca, cit., 55.
218
M. Dossetti, op. cit., 3506; C. Garlatti, op. cit., 424.
219
R. Rosetti, op. cit., 52.
600
The best interest of the child
cui, trascorso un ampio lasso di tempo l’interesse del figlio alla stabilità
dello stato dovrebbe cedere rispetto all’interesse contrario del padre.
Analoga disciplina è prevista per la rimozione dello stato di figlio
nato al di fuori del matrimonio anche in questo caso frutto delle modifiche introdotte dalla Riforma della filiazione all’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ivi compresa l’ipotesi di supposizione di parto o sostituzione di neonato rispetto a genitori
non coniugati220. Ferma l’imprescrittibilità dell’azione per il figlio, legittimato all’impugnazione è chiunque vi abbia interesse, ivi compreso naturalmente l’autore del riconoscimento. Quest’ultimo deve agire
entro un anno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita
o dalla conoscenza della sua impotenza. Le medesime regole si applicano nel caso di riconoscimento da parte della madre221, mentre per gli
altri legittimati il termine è di cinque anni a partire dall’annotazione
suddetta. Il decorso resta sospeso nei casi di incapacità del soggetto
legittimato all’azione, ai sensi dell’art. 245 cc. Anche in questo caso è
comunque previsto per tutti i legittimati, escluso il figlio, un termine
“tombale” di cinque anni dall’annotazione del riconoscimento trascorso il quale lo stato non può più essere posto (da loro) in discussione
onde l’interesse del figlio alla sua stabilità assume il sopravvento222.
È controverso, nel silenzio normativo, se l’autore del riconoscimento sia legittimato ad agire anche nel caso in cui, al momento della dichiarazione, sia consapevole della sua falsità. La Cassazione223 è orientata in senso favorevole, in contrasto con alcune decisioni delle corti
220
Diversamente M. Sesta, op. ult. cit., 370 ritiene che esigenze di omogeneità di
trattamento giustifichino l’applicazione della relativa disciplina prevista per i
genitori coniugati, onde l’azione di tutti i legittimati non sarebbe sottoposta a
decadenza. Si amplierebbe di conseguenza l’ambito delle ipotesi in cui l’eventuale
interesse del figlio alla stabilità del rapporto verrebbe sacrificata, in contrasto con le
scelte operate nel contesto della Riforma della filiazione.
221
M. Dossetti, op. cit., 3602, nota 189 critica tale soluzione con riferimento al decorso del
tempo dalla conoscenza dell’impotenza del partner da parte della donna, in quanto
tale notizia non può incidere sulla veridicità del proprio riconoscimento. Occorre
però tenere conto che sulla sua decisione potrebbe incidere il fatto di avere generato
o meno il figlio, con una determinata persona (ad es., con il proprio convivente).
222
S. Albano, Omogeneità sostanziale dell’azione di disconoscimento della paternità e
dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Filiazione. Commento
al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, cit., 68. In senso critico verso tale scelta si
esprime G. Chiappetta, L’impugnazione per difetto di veridicità, cit., 507 ss.
223
Cass., 21 febbraio 2019, n. 5242, in Foro it., 2019, I, 1610; Cass., 24 novembre 2015, n.
23974, in Famiglia e dir., 2017, 251.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
601
di merito224. Anche in dottrina si registrano opinioni diverse. Alcuni
autori optano per la soluzione negativa225 con diverse argomentazioni:
ora richiamando il principio di buona fede226, ora quello di apparenza
del diritto in virtù del quale «chi crea l’apparenza di una condizione
di diritto o di fatto è assoggettato alle conseguenze di tale condizione nei confronti di chi vi abbia fatto ragionevole affidamento»227 e si
è anche invocato il controverso istituto dell’abuso del diritto228. Argomentazioni che altri autori non considerano soddisfacenti229. Peraltro
la giurisprudenza ammette la tutela risarcitoria ove un danno, anche
non patrimoniale si sia verificato per tale ragione230. L’esclusione dall’azione assumerebbe veste sanzionatoria e peraltro non sarebbe corretto
rimettere all’arbitrio dell’autore del riconoscimento la caduta degli effetti ove non si rivelino per lui favorevoli. La rilevanza del problema
è tuttavia ormai ridimensionata dalla brevità dei tempi concessi per
esercitare l’azione ed in particolare dal termine “tombale” comunque
operante. Non è detto peraltro che le finalità del riconoscimento siano
necessariamente deplorevoli essendo possibile ad es., che il convivente
vi proceda per salvaguardare la stabilità della famiglia di fatto, decisione che potrebbe risultare conforme all’interesse del minore231.
L’interesse del figlio alla stabilità dello stato non viene invece tutelato
nelle ipotesi in cui è ammessa la sua contestazione ove nato nel matrimonio. L’azione infatti è imprescrittibile per tutti i legittimati individuati
dalla legge nelle persone che risultano genitori nonché, più genericamente, in coloro che siano portatori di un interesse meritevole di tutela.
224
Ad es., Trib. Firenze, 30 luglio 2015, in Foro it., 2015, I,3113; Trib. Napoli, 11 aprile
2013, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Roma, 17 ottobre 2012, in Foro it., 2012, I, 3350 e
in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 149, con nota di M.G. Stanzione; Trib. Civitavecchia,
23 febbraio 2009, in Giur. it., 2009, 2205, con nota di E. Carbone.
225
V. ad es., C. Garlatti, op. cit., 426 s.
226
F.D. Busnelli, La disciplina dei vizi del volere nella confessione e nel riconoscimento dei
figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, 1262 ss.
227
C.M. Bianca, op. cit., 434 s.
228
P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 239.
229
V. in proposito ad es., G. Bonilini, op. cit., 329; A. Scalera, Commento all’art. 263,
in Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli, cit., 255 ss. a cui si rinvia per
ulteriori citazioni.
230
Trib. Trieste, 5 giugno 2018, in Banca dati Pluris; Cass., 31 luglio 2015, n. 16222, in
Famiglia e dir., 2016, 238, con nota di A.Thiene. L’azione potrà essere allora proposta
dal curatore.
231
Il quale peraltro non è rilevante ove ad agire siano altri legittimati diversi dal figlio
stesso: v. oltre nel testo.
602
The best interest of the child
L’azione, come è noto, ha carattere residuale rispetto a quella di disconoscimento e può essere esercitata nel caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato nonché nell’ipotesi di nascita dopo trecento giorni
dall’annullamento, scioglimento del matrimonio o separazione ove, in
assenza della presunzione di paternità, il nato sia stato iscritto come figlio del marito232. L’art. 240 cc., nel fare rinvio all’art. 239, 2° comma cc.,
contempla anche l’ipotesi di iscrizione nell’atto di nascita come figlio di
ignoti233. Riguardo alla scelta compiuta dalla Riforma della filiazione,
la dottrina non ha mancato di rilevare l’inopportunità di mantenerla in
vita invece di unificare sotto un’unica azione tutte le ipotesi in cui si
pone in discussione lo stato di figlio nato nel matrimonio. Ancor meglio,
l’unificazione dello stato avrebbe giustificato la previsione di una azione
unica per tutte le situazioni volte a rimuoverlo, a prescindere dal fatto
che il figlio sia nato o meno nel contesto del matrimonio.
Criticità presenta anche il fatto che i termini di impugnazione non
siano stati unificati per tutti gli altri legittimati diversi dal figlio, prevedendone l’imprescrittibilità solo per quest’ultimo (regola dalla quale si
discosta – come si è detto – l’azione di contestazione dello stato).
Una specifica disciplina volta a tutelare gli interessi del minore è
invece prevista riguardo alla legittimazione ad agire per la rimozione
dello stato. In questa prospettiva la Corte costituzionale234 ha ritenuto
infondata la questione di costituzionalità dell’art. 263 – sollevata riguardo all’impugnazione del riconoscimento – ritenendo che, a prescindere da una specifica previsione, il giudice debba prendere in considerazione l’interesse del minore alla rimozione dello stato e quindi
che il medesimo non sia mai privo di rilevanza. A dire il vero un’affermazione così netta, come è stato puntualmente rilevato in dottrina235,
232
Cass., 21 febbraio 2018, n. 4194.
233
In realtà in questa ipotesi l’iscrizione non origina alcuno stato che debba essere
rimosso, ma eventualmente da reclamare mediante le relative azioni.
234
18 dicembre 2017, n. 272, cit. La questione era stata sollevata da App. Milano, 25
luglio 2016, in Foro it., 2016, I, 3258.
235
U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova
giur. civ. comm., 2018, I, 552 ss. il quale osserva che quando ad agire siano soggetti
diversi dal figlio «l’assoluta prevalenza dell’interesse del minore sarebbe sovversivo,
rispetto al sistema positivo, porsi un problema di bilanciamento, perché la tutela
dell’interesse del minore sacrificherebbe integralmente l’interesse contrapposto,
patrimoniale o morale. Il sacrificio dell’interesse contrapposto sarebbe certamente
in contrasto con la disciplina vigente». Per ulteriori critiche V. Sciarrino, Mater
semper certa o mater semper incerta? La maternità è fluida ma l’art. 263 non si tocca, in
Nuove leggi civ. comm., 2019, I, 510 ss.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
603
rischierebbe di portare ad effetti non condivisibili se applicata anche
nel caso in cui l’azione spetti a soggetti diversi dal figlio, portatori di
propri interessi considerati meritevoli di tutela, che potrebbero contrastare con quello di quest’ultimo alla conservazione dello stato236. Se
così non fosse prenderebbe corpo quell’interesse “tiranno”, di cui si è
parlato in precedenza, in quanto l’interesse del figlio avrebbe comunque il sopravvento anche su altri costituzionalmente tutelati. Verosimilmente detta affermazione va dunque ricondotta alla sola ipotesi in
cui l’azione dovrebbe essere esercitata dal curatore speciale che tutela
gli interessi di quest’ultimo.
Se il minore ha compiuto quattordici anni l’esercizio dell’azione
spetta ad un curatore speciale nominato dal giudice previa richiesta
dell’interessato (artt. 244, 4° comma; 248, 5° comma; 264 cc.)237. Spetta
dunque solo a quest’ultimo valutare238 l’interesse a mantenere lo stato
di cui è titolare o ottenerne la rimozione non rispondente a verità (sempre che ve ne siano i presupposti239), eventualmente al fine di reclamare poi quello a cui ha diritto nei confronti dei genitori genetici. Al curatore che accetti l’incarico non spetta dunque alcuna discrezionalità.
Ove il minore sia di età inferiore la richiesta di nomina è affidata al
pubblico ministero o all’altro genitore, con la precisazione che trattasi
di colui che ha già riconosciuto il figlio nel caso di impugnazione del
riconoscimento. Controverso è chi debba intendersi per “altro genitore” nelle ipotesi riguardanti il figlio nato nel matrimonio. Nel caso
di disconoscimento, secondo la dottrina prevalente, trattasi solo della madre quale genitore il cui stato non viene posto in discussione240
ma secondo altri il genitore nei confronti del quale fossero scaduti i
236
Ma il fondato dubbio è giustificato da un ulteriore passaggio della decisione nella
quale si afferma: «Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui
all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non
debba valutare se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello
del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo».
237
Il maggiorenne può invece esercitare autonomamente l’azione.
238
Mette in luce la necessità che il figlio sia pienamente libero nella scelta e consapevole
degli effetti che essa comporta, R. Senigaglia, Commento all’art. 244, in Commentario
del codice civile, diretto da E. Gabrielli, cit., 125.
239
Il giudice potrebbe dunque negare tale nomina ove, in base ad un accertamento
sommario, la domanda risultasse palesemente infondata: M. Dossetti, op. cit., 3491;
R. Senigaglia, op. ult. cit., 124 s.
240
In tal senso R. Senigaglia, op. ult. cit., 126; G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento
della paternità, cit., 400 s.; R. Rosetti, op. cit., 53 s.; M. Sesta, Manuale di diritto di
famiglia, cit., 363.
604
The best interest of the child
termini per esercitare l’azione241. Quest’ultima soluzione presuppone
una visione distorta della vicenda in quanto il genitore è legittimato ad
agire nel proprio interesse mentre l’iniziativa di nomina del curatore
viene presa al fine di perseguire l’interesse del figlio, onde la decadenza dall’azione volta a rimuovere lo stato nel proprio interesse non
comporta anche che il medesimo si configuri in capo al figlio e dunque
una sorta di rimessione in termini. Vero è invece che se per altro genitore si intenda solo la madre il presunto padre verrebbe comunque privato della possibilità di chiedere l’intervento del giudice in vista della
valutazione dell’interesse del minore, con possibile pregiudizio per il
medesimo. Ma in questa prospettiva la dizione più corretta avrebbe in
realtà dovuto fare riferimento a “ciascuno dei genitori”. D’altra parte a favore di questa seconda interpretazione depone anche il rinvio
all’art. 244, comma 6 cc. nel caso di contestazione dello stato in quanto
l’azione è volta a rimuoverlo nei confronti di entrambi i genitori. Non
sarebbe dunque possibile individuare nell’altro genitore colui nei cui
confronti lo stato non viene meno. Anche in questo caso pertanto la legittimazione riconosciuta a ciascuno dei genitori potrebbe giustificarsi
in vista della maggior tutela dell’interesse del figlio242.
La domanda presentata dal p.m.243 o dal genitore è sottoposta alla
valutazione del giudice circa la rispondenza all’interesse del minore
dell’eventuale rimozione dello stato244. Il curatore tuttavia potrebbe
convincersi del contrario e rifiutare l’incarico o, qualora la nomina
fosse già avvenuta, addurre ragioni che ne giustifichino la revoca o,
ancora, dimettersi ove nel corso dell’azione fosse emerso un interesse
contrario. La giurisprudenza prevalente ritiene inoltre che il provvedimento di nomina non abbia carattere definitivo245 e dunque possa esse241
M. Dossetti, op. cit., 3482 s.; nello stesso senso M. Mantovani, Commentario breve al
codice civile Cian-Trabucchi, a cura di G. Cian, Padova12, 2016, 349.
242
In senso contrario M. Dossetti, L’azione di contestazione dello stato di figlio, in Trattato
di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3539, la quale ritiene non pertinente
il richiamo all’altro genitore in quanto già titolare in proprio dell’azione onde la
domanda di nomina del curatore speciale spetterebbe solo al p.m. In realtà anche in
questo caso non si tiene nel dovuto conto la differenza che intercorre tra l’esercizio
dell’azione nel proprio interesse rispetto a quella volta a tutelare gli interessi del figlio.
243
La cui richiesta potrebbe anche essere sollecitata da chi non è legittimato ad agire
“in proprio”, come nel caso del genitore naturale riguardo al disconoscimento di
paternità.
244
C. cost., 27 novembre 1991, n. 429.
245
V. ad es., Cass., 19 settembre 2003, n. 13892; Cass., 25 novembre 1998, n. 11947.
Contra, Cass., 6 aprile 1995, n. 4035.
Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
605
re riconsiderato anche durante lo svolgimento del giudizio di merito246
(ivi compreso lo svolgimento dell’appello) alla luce dell’interesse del
minore247. La richiesta potrebbe provenire dal minore ove nel frattempo abbia compiuto quattordici anni.
Riguardo all’individuazione di detto interesse, il giudice dovrà valutare in concreto se esso viene conseguito privilegiando il c.d. favor
veritatis ove il genitore titolare dello status non sia anche il genitore
genetico e dunque il diritto all’identità personale nonché la possibilità di costituire un costruttivo rapporto con il padre biologico oppure,
all’opposto, l’interesse alla stabilità dei rapporti interpersonali ed affettivi eventualmente già costituiti in maniera positiva con il presunto genitore248. Anche in questo caso l’ascolto del minore in grado di
246
V. al riguardo le perentorie affermazioni di Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767: «Vale
bene, a questo punto, sgombrare il campo dalla suggestione che il giudice investito
della domanda proposta dal curatore speciale sia esonerato dalla valutazione della
rispondenza o meno degli effetti del disconoscimento all’interesse del minore, perché
già effettuata in relazione all’istanza del pubblico ministero in relazione alla nomina
del curatore speciale stesso. (…). Appare di intuitiva evidenza come il giudizio
circa la valutazione dell’interesse del minore, ove si consideri anche la rilevanza
del principio del contraddittorio e la delicatezza della materia, non possa non
conseguire all’esito di un giudizio di cognizione piena, e non possa essere affidato
alle valutazioni, all’esito di “sommarie informazioni”, inerenti all’opportunità o
meno di procedere alla nomina del curatore speciale, vale a dire al promovimento
dell’azione di disconoscimento in nome e per conto del minore». Detta decisione
si discosta dall’indirizzo contrario sostenuto, ad es., da Cass., 5 gennaio 1994, n.
71, in Famiglia e dir., 1994, 293, con nota di F. Tommaseo e, più di recente, da Cass.,
15 febbraio 2017, n. 4020, secondo il quale la valutazione dell’interesse del minore
nel corso del giudizio di merito «rappresenterebbe un’inutile duplicazione di una
indagine già compiuta e sottoposta al vaglio del giudice ai fini della nomina del
curatore».
247
Cass., 3 aprile 2017, n. 8617, in Corr. giur., 2018, 619, con nota di D.M. Locatello,
onde la nomina è un provvedimento privo di definitività.
248
V. al riguardo l’eloquente passaggio contenuto in C. Cost., 18 dicembre 2017, n.
272, cit., in cui si afferma che «pur dovendosi riconoscere un accentuato favore
dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, (…)
l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non
impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza
di tale accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti. In tutti i casi di possibile
divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra
esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente
dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione
delle disposizioni da applicare al caso in esame». Ed ancora, Cass., 6 marzo 2019,
n. 6517, cit., la quale, nel ribadire che il favor veritatis non assurge a valore tutelato
costituzionalmente (v. in tal senso numerose pronunce fra le quali Cass., 10 aprile
2012, n. 5653), afferma «l’assenza di ogni automatismo nel cogliere l’interesse del
minore rispetto al principio di verità biologica della filiazione» e «la necessità di un
attento bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo, peraltro imposta non
606
The best interest of the child
esprimere la propria opinione potrà fornire elementi particolarmente
significativi in tal senso. Peraltro, come si è detto, il figlio, raggiunta la
maggiore età potrà comunque agire per la rimozione dello stato senza
limiti di tempo, soluzione che testimonia comunque la rilevanza che il
legislatore riserva al suo diritto all’identità personale.
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Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale
607
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L’interesse del minore e i nuovi modelli
familiari
Massimo Paradiso
Un cordialissimo e grato ringraziamento a Mirzia Bianca per l’organizzazione di questo mega-convegno: un appuntamento di studio e
di riflessione che, per la ricchezza dei contenuti e la vastità degli orizzonti evocati, ben coglie quello che deve ritenersi il dato più significativo della inesausta opera di Riforme che ha investito il diritto di
famiglia nell’arco dell’ultimo cinquantennio: la centralità dell’interesse
del minore. La sessione di studi che ci è stata affidata è focalizzata sulla
configurazione che tale interesse assume, o può assumere, in relazione al “modello familiare” nel quale il minore è collocato: è dunque di
particolare attualità, atteso che le due Riforme più recenti in ordine
di tempo hanno riguardato per un verso lo status di figlio e per l’altro
i nuovi rapporti di coppia, le nuove modalità dello “stare insieme”,
come anche si dice. D’altra parte, il tema riveste un rilievo assolutamente centrale nelle odierne dinamiche familiari: a parte il ricordato
intervento legislativo su unione civile e convivenze di fatto, tutte le
novità normative succedutesi dopo la Riforma generale del 1975 hanno riguardato il rapporto di filiazione quanto all’oggetto e, quanto al
“contenuto”, hanno sancito la progressiva consacrazione dell’interesse
dei figli, che si accredita ormai quale punto di riferimento, quale autentico fulcro del diritto di famiglia.
Credo allora opportuno richiamare brevemente il senso complessivo delle ultime Riforme e il quadro d’insieme che ne emerge. Il dato
più significativo concerne l’antitesi tra l’unicità dello stato di figlio e la
pluralità dei modelli familiari: antitesi, che comporta un radicale ribaltamento dell’assetto complessivo consegnatoci dalla tradizione: questa
conosceva un’unica forma di convivenza socialmente e giuridicamente
accettata, quella fondata sul matrimonio, e una pluralità di status di figli:
612
The best interest of the child
addirittura otto (legittimi e illegittimi, naturali e legittimati, affiliati e
adottivi, adulterini e incestuosi). Oggi, lo stato di figlio è unico e, per
contro, sono ormai numerosi – quasi una decina! – i modelli normativi o
sociali dei rapporti di coppia: matrimonio, unione civile, convivenza registrata, convivenza “contrattualizzata”, convivenza tra persone dello stesso
sesso, oltre a famiglia monogenitoriale e a famiglia ricomposta che sono
ormai una significativa realtà sociale, per tacere poi delle convivenze
“di mero fatto” (e cioè non risultanti all’anagrafe) e delle famiglie poligamiche (queste però, allo stato, soltanto tollerate).
Ma dalla disciplina oggi vigente emerge poi un ulteriore ribaltamento nell’assetto tradizionale della materia a proposito del ruolo
dell’autonomia privata: l’ampio rilievo che la volontà dei singoli rivestiva
in ordine alla costituzione del rapporto di filiazione si ritira da tale
campo e refluisce in un ambito dal quale era finora radicalmente escluso: la costituzione e il contenuto delle relazioni di coppia e, inoltre, le
condizioni e le modalità per la loro cessazione che oggi restano largamente affidate all’autonomia delle parti.
2. Il rapporto di filiazione, per contro, è ormai caratterizzato da una
nutrita serie di disposizioni inderogabili che assumono come principale o esclusivo punto di riferimento l’interesse dei figli. Di ciò è indice esemplare già la riconfigurazione della potestà, oggi denominata
“responsabilità genitoriale”: con ciò mettendosi in evidenza che tratto
specifico e caratterizzante di essa è l’assunzione di responsabilità verso
la prole e che, ai poteri direttivi che comunque l’accompagnano – indispensabili per una efficace tutela dei minori –, residua soltanto una
funzione servente.
In breve, almeno quando vi sia, la prole diviene perno della comunità
familiare e l’interesse dei figli è la nuova formulazione con cui si ripresenta
oggi il vecchio “interesse superiore della famiglia”: cacciato dalla porta del
matrimonio, rientra dal portone riservato ai figli, tanto da essere ormai
qualificato come “valore apicale e principio organizzatore” di tutto il
diritto di famiglia. E si tratta di qualificazione, che ricorre ormai anche
testualmente in molti documenti legislativi – insieme a quella di “preminente”, “prioritario” o “esclusivo”. Tra i tanti documenti normativi che
impiegano l’espressione basterà richiamare la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 3), la Convenzione europea di Strasburgo
sull’esercizio dei diritti dei minori (artt. 1, c. 2, e 6 lett. a), la Carta dei
diritti fondamentali dell’UE (art. 24, c. 2), la Convenzione di Oviedo sui
L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari
613
diritti umani e la biomedicina, oltre a una serie pressoché sterminata di
disposizioni di legge ordinaria che a detta formula fanno esplicito riferimento quando si tratti di questioni o della assunzione di decisioni che
riguardino interessi dei minori.
È altrettanto noto come non sono mancate critiche a tale principio,
accusato di essere “nozione ambigua e confusa” – una sorta di araba
fenice della quale nessuno può dire di sapere ove e che cosa sia – “formula magica” e “passe-partout per ogni ideologismo”, “principio polivalente e polimorfo” suscettibile di più interpretazioni fino a costituire
soltanto una “scatola vuota” che può significare tutto e il contrario di
tutto. Critiche, che certo evidenziano la difficoltà di conferire contenuto concreto alla formula, ma forse ingenerose nel loro semplicismo:
omettono infatti di considerare che qui non si tratta di una indeterminatezza “subita” – quell’inevitabile tasso di vaghezza, di indeterminazione proprio di tutti i principi – quanto piuttosto di una genericità o
flessibilità specificamente voluta al fine di meglio adeguare la disciplina alle specifiche peculiarità dei singoli casi.
3. Sul punto d’altra parte occorrerebbe ampliare il discorso alla considerazione di quelle che sono le nuove configurazioni assunte dalla
giuridicità, che si vuole trascorra ormai dall’atto al rapporto e abbandoni il giuspositivismo con i suoi tratti di rigidità, di statalismo, di
formale predeterminazione delle fattispecie aprendosi alla pluralità
degli ordinamenti: si determina così l’ingresso nel mondo del diritto
di interessi, istanze, esigenze non filtrati da una previa formalizzazione giuridica bensì mutuati direttamente dalla realtà dei rapporti in un
sistema complessivo che diviene flessibile e aperto.
Si tratta di processo in atto da tempo – ma particolarmente incisivo
nell’ambito del diritto di famiglia – e che si ritiene riceva nuova linfa
dall’introduzione del principio di sussidiarietà che, come ben è stato
detto, costituisce manifestazione della transizione in atto “da un diritto
prodotto in forma gerarchica a un diritto scritto e riscritto da soggetti
diversi: legislatore, giudice, autorità indipendenti, dottrina, privati”,
col conseguente corollario del declino della certezza del diritto e della
“sistematicità precostituita” del nostro ordinamento.
In quest’ambito, in particolare, va segnalato il ruolo ormai determinante assunto dalla giurisprudenza, che non si limita più a individuare
la norma applicabile in base alle scelte operate dal legislatore ma concorre a produrre il diritto applicabile. Non è più il legislatore cioè a
614
The best interest of the child
fissare una volta per tutte gli interessi rilevanti e il loro bilanciamento: a
lui, al più, spetterà di stabilire quali siano gli interessi in gioco; al giudice invece il bilanciamento tra di essi e l’individuazione del rimedio più
adeguato al caso concreto.
Ed è proprio questo – per limitarci alla questione qui rilevante – il
punto centrale della questione e lo snodo attorno al quale si saldano
insieme preminente interesse del bambino e nuova concezione della
giuridicità: quale sia questo interesse si vuole che non sia stabilito a
priori, sulla base del vecchio schema della fattispecie astratta, bensì deciso solo “a posteriori”, caso per caso, con un giudizio (e un criterio di
decisione) che non tollera nessun tipo di predeterminazione se non la
stella polare dell’“esclusivo interesse del minore”.
4. Impostato in termini così radicali, tuttavia, emerge la fragilità di
un approccio che, rinunziando a un qualsiasi criterio di orientamento,
finisce col determinare la radicale inutilità di ogni discorso giuridico,
di ogni interpretazione. Come instaurare un discorso giuridico senza
condivisi punti di riferimento? E come e su che cosa svolgere l’attività
di interpretazione se il diritto emerge solo dal fatto specifico che reclama (chissà perché) tutela: e dico “chissà perché” per la ragione che,
mancando anche elementari parametri di riferimento, non si vede alla
luce di quali principi valutare positivamente quel “fatto” che, in ipotesi, reclama tutela. È un fatto che determinate etnie rifiutano i modelli
di vita da noi consueti – dall’istruzione al lavoro, dalla solidarietà al
rispetto della proprietà altrui. Quale sarà dunque in tal caso il “miglior
interesse del minore”: quello che agevola la sua integrazione nella comunità ristretta in cui concretamente vivrà o quello imposto da una
cultura “esterna”? Ma altresì, vanno diffondendosi idee e modelli di
vita peculiari che accomunano gruppi sociali o singoli individui, ad es.
nel rifiuto di vaccinazioni o nell’adozione di diete “vegane” o “fruttariane”: convinzioni di cui saranno naturalmente partecipi i minori così
educati dalle famiglie. Quale sarà, in tal caso, la regola “emergente dal
caso concreto” che dovremo applicare?
Né, a conferire concretezza, possono bastare i riferimenti allo scopo di assicurare al minore il “pieno e integrale sviluppo della persona
umana” o il “miglior tipo di esistenza realmente possibile”, o ancora
“la sua crescita armonica ed equilibrata, libera e indipendente sebbene
fondamentalmente relazionale” come pure si propone. Chi mai potrebbe non volere tutto questo? Il difficile è invece individuare gli strumenti
L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari
615
concreti per realizzare tali scopi. Non è allora la certezza del diritto,
quella che viene meno; il rischio è piuttosto che sbiadisca il diritto tout
court, come regola oggettiva sottratta al soggettivismo, e all’arbitrio, di
chi è chiamato ad applicarla.
Dimostrazione ne sia il fatto che ormai molti scritti “dottrinali” si
limitano a riportare le tante sentenze o provvedimenti giudiziali registrando senza battere ciglio i più diversi e contraddittori provvedimenti. Così, talora si dà prevalenza «alla reale discendenza genetica del minore anziché al mantenimento della relazione familiare con l’asserito
genitore non biologico» (Corte Edu 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia,
ric. N. 3955/12), talaltra si dà prevalenza a questa a scapito della prima
(Corte Edu 5 novembre 2002, Yousef c. Olanda, ric. 33711/96; Corte
Edu 22 marzo 2012, Abrens c. Germania, ric. 45071/09). In alcuni casi si
sottrae il figlio alla famiglia (ad es., Corte Edu 13 ottobre 2015, S.H. c.
Italia, ric. 52557/14), in altri si deroga tranquillamente all’applicazione
di sanzioni penali (Corte cost., n. 76/2017, n. 239/2014, n. 90/2017) e si
disapplica il principio di bigenitorialità ove uno dei genitori sia rifiutato dal minore, ovvero non vi sia garanzia di una educazione aliena da
modelli valoriali criminosi, fino a determinare l’affidamento esclusivo
del minore (Corte Edu 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, ric. 76823/12;
Cass. 11 gennaio 2013 n. 601);
E ancora, talvolta viene negato il ricongiungimento familiare che
pur spetterebbe a norma di legge (CGUE 6 dicembre 2012, cause riunite
C-356/11 e C-357/11), talaltra il ricongiungimento viene ammesso pur
quando lo vieterebbero i precedenti penali di uno dei genitori (CGUE
13 settembre 2016, causa C-165/14, Cass. 16 settembre 2013 n. 21108),
fino a vietare l’esecuzione di provvedimenti d’espulsione del genitore
che sia immigrato irregolare (Cass. 25 ottobre 2010 n. 21799, 22 settembre 2016 n. 18627). D’altra parte, è stato testualmente teorizzato che
l’interesse del minore può e deve svolgere una “funzione correttiva
del principio di legalità... fino a determinare, se necessario, la disapplicazione” di talune norme o principi del diritto minorile e del diritto di
famiglia e fino a consentire di “oltrepassare il principio di legalità... in
nome di una giuridicità non legale che trae diretto fondamento e legittimità dall’interesse del minore”: così, legami familiari intrecciati in via
di fatto possono precludere l’esecuzione di provvedimenti di adozione
legittimamente emessi (Corte Edu 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c.
Italia, ric. 16318/07; 13 gennaio 2009, Todorova c. Italia, ric. 33932/06),
tanto da legittimare la sottrazione internazionale di minori, quando sia
616
The best interest of the child
il minore stesso a opporsi al ritorno (Cass. 5 marzo 2014 n. 5237), e la
disapplicazione delle norme sulla decadenza dalla potestà quando sia
accertata l’idoneità del genitore a tutelare l’interesse della prole (Cass.
23 febbraio 2012 n. 31). E taccio qui delle tante sentenze che hanno
legittimato operazioni di compravendita di bambini camuffate da maternità surrogata e dei provvedimenti che hanno dato via libera alla cd.
stepchild adoption.
Sembra chiaro allora che in tal modo si legittima tutto e il suo contrario. E le sentenze saranno magari “giuste”, o almeno opportune o
utili, chissà. Certo si è che è forte lo spaesamento che esse creano e
l’istituzionale incertezza in cui in tal modo sono costretti a vivere i cittadini. Ancora una volta, non è la certezza del diritto, quella che viene
meno; è piuttosto il diritto tout court.
5. È questa l’unica strada? Non credo. E ne abbiamo conferma dalla
poderosa iniziativa di studio promossa da Mirzia Bianca, la cui ricchissima articolazione in diversi giorni e in concorrenti sessioni di lavoro, conferma che “il miglior interesse del bambino” può e deve essere
studiato, analizzato e riempito di contenuto concreto evitando un approccio esclusivamente casistico che lo abbandonerebbe al regno del
fortuito quando non del capriccio dell’interprete. Agli illustri relatori
di oggi, dunque, il compito di contribuire ad analizzarlo. Per parte mia
mi permetterei di suggerire che proprio il principio di sussidiarietà
richiamato all’inizio, e ormai consacrato in Costituzione, può fornire
utili spunti di riflessione e di orientamento.
Com’è noto, per sussidiarietà s’intende un principio organizzativo dei pubblici poteri e dell’azione sociale in base al quale l’organo o
ente che si trova più in basso, più prossimo al cittadino e alla realtà
dei problemi locali, è senz’altro legittimato a provvedere senza essere
intralciato dalle autorità sovraordinate: queste ultime perciò hanno
anzitutto il dovere di astenersi dall’interferire nell’azione dell’organo inferiore, ma altresì l’obbligo di intervenire nei settori (o nei
casi) in cui le minori si dimostrino inadeguate al compito. In breve,
le autorità centrali e in genere quelle gerarchicamente sovraordinate
mantengono una competenza soltanto residuale. “Non è lecito infatti
sottrarre ai privati per affidarlo alla comunità ciò che essi possono
compiere con le proprie iniziative e con la propria industria; così, è
un’ingiustizia, un grave danno e un turbamento del giusto ordine
attribuire a una società maggiore e più elevata quello che possono
L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari
617
compiere e produrre le comunità minori e inferiori. Infatti, qualsiasi
opera sociale, in forza della sua natura, deve aiutare i membri del corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli” (così Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, 1931).
Oggi, il principio si inserisce nella dialettica tra libertà e autorità, facendosi interprete dell’esigenza di partecipazione e, più in generale, di
rispetto dell’autonoma capacità organizzativa e di autoregolazione dei
privati, singoli e associati; ed è superfluo aggiungere che si tratta di un
principio che da sempre trova la sua massima estrinsecazione nell’ambito dei rapporti familiari, imponendo il rispetto dei modi d’essere di
ciascuna compagine, dei suoi peculiari moduli organizzativi, della sua
capacità di autodisciplinarsi. Oggi, del tramonto delle concezioni pubblicistiche nel diritto di famiglia è testimone esemplare la scomparsa,
in pedissequa sequenza, di potestà maritale, potestà paterna, potestà dei genitori. Le autorità private così – e secondo il pioneristico insegnamento
del Maestro di tanti di noi, C. Massimo Bianca – se non sono totalmente
scomparse si sono almeno ridefinite: perdono ogni carattere impositivo
per trasformarsi in uffici o funzioni al servizio degli altri componenti e
delle “esigenze preminenti della famiglia”, per dirla con l’art. 144 c.c.
Non v’è dunque una autorità da esercitare, magari quale espressione
o portato dell’autonomia del gruppo, come ci ha abituato a pensare lo
statalismo formale. V’è piuttosto una responsabilità da assumere nella libertà, nella libera e consapevole scelta di impegnarsi in rapporti familiari.
Può dirsi allora che la dialettica autonomia-autorità, propria del
principio di sussidiarietà orizzontale, assume una specifica curvatura in famiglia, articolandosi nei termini del binomio, non alternativo ma concorrente, libertà-responsabilità. In altre parole, il principio
di sussidiarietà chiamando i gruppi ad autodisciplinarsi – e dunque
conferendo da un lato il potere, dall’altro il dovere – non può che trovare a sé consentanei, come intrinsecamente costitutivi, due principi
o regole d’azione tra loro complementari e interdipendenti: la libertà
e la responsabilità. Resta così fissata l’idea che spetta alle comunità
familiari la competenza ad autodisciplinarsi: una competenza che non
può essere ad esse sottratta in alcun modo, spettando alle istanze superiori l’intervento correttivo o il sussidio specifico se, e solo se, essi
si rivelino necessari.
C’è allora un punto cruciale sul quale vorrei richiamare l’attenzione
nel chiudere questa ormai lunga introduzione. L’interesse del minore
che giustifica interventi invasivi dell’autonomia delle singole famiglie
618
The best interest of the child
(affidamenti, adozioni, allontanamenti dalla casa familiare, “provvedimenti convenienti”, decadenze dalla responsabilità genitoriale, etc.)
non può consistere in un benessere, in una educazione, in una istruzione semplicemente “migliori” di quelli goduti nella propria famiglia.
L’ormai sancito diritto a una famiglia, e il parallelo diritto a vivere in
famiglia, depongono univocamente nel senso che il «miglior interesse
del minore» consiste in linea di principio nel crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 legge adoz.).
Pertanto, ove si tratti di provvedimenti che incidono sul diritto dei
genitori di allevare i figli in prima persona o comunque sulla loro convivenza in seno alla famiglia, requisito indefettibile dev’essere l’esigenza
di porre fine e/o rimediare a significativi pregiudizi per il minore o,
almeno, l’esigenza di scongiurare il rischio che si ripetano detti eventi.
Ma altresì, determinati provvedimenti – penso in particolare alla decadenza dalla responsabilità genitoriale – comprimendo un diritto costituzionalmente garantito, potranno assumersi solo in caso di condotta
dolosa o gravemente colposa del genitore: non può trascurarsi invero
che l’art. 330 c.c. subordina detti provvedimento alle ipotesi di violazione
dei doveri o abuso dei poteri con grave pregiudizio per il figlio; anche perché,
in caso di violazioni non imputabili, non è detto non possano bastare gli
altri “provvedimenti convenienti” di cui è parola nell’art. 333 c.c.
Profili della filiazione nelle famiglie
poligamiche
Davide Achille
Sommario: 1. Monogamia e poligamia tra valori ordinamentali e realtà
sociale. – 2. Matrimonio poligamico, ricongiungimento familiare e tutela della genitorialità. – 3. I rapporti poligamici di fatto. – 3.1. (Segue).
Patologia del rapporto poligamico e filiazione. – 3.2. (Segue). Responsabilità genitoriale, regime personale e obblighi di protezione. – 4. Il
superiore interesse del minore quale imprescindibile regola di tutela
per le formazioni familiari.
1. Monogamia e poligamia tra valori ordinamentali
e realtà sociale
È ormai un dato ampiamente acquisito che i rapporti familiari, al di là
delle specifiche regole giuridiche vigenti in un determinato ordinamento,
siano conformati dalla realtà sociale1, tanto da meritare piena condivisione la formula secondo la quale “la famiglia, lungi dall’essere estranea al
diritto, finisce per essere paradigma della giuridicità”2. Tale rilievo comporta, per quanto in questa sede interessa, che modelli familiari differenti
1
I rapporti tra realtà sociale e diritto di famiglia in generale sono evidenziati con
particolare attenzione da D. Kennedy, Three Globalizations of Law and Legal Thought:
1850-2000, in D. Trubek – A. Santos (cur.), The New Law and Economic Development.
A Critical Appraisal, Cambridge, 2006, p. 19 ss.; nonché, più di recente, nella nostra
letteratura, da M.R. Marella – G. Marini, Di cosa parliamo quanto parliamo di famiglia,
Bari, 2014, p. 19 ss.
2
Così N. Lipari, I rapporti familiari tra autonomia e autorità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018,
p. 937, il quale afferma che “il diritto prende atto della sua inadeguatezza nell’àmbito
dei rapporti familiari e riconosce uno spazio sempre più ampio all’autonomia della
persona, al rispetto dei sentimenti, all’autenticità dei modi in cui la vita privata e
familiare si viene svolgendo secondo modalità sempre nuove” (p. 931).
620
The best interest of the child
rispetto a quelli tipizzati sono destinati a rapportarsi con il diritto positivo
vigente in un determinato ordinamento, il che pone un duplice ordine di
problemi, vale a dire, da un lato e in via principale, quello di accertare la
compatibilità rispetto alla disciplina dimestica dei modelli familiari alieni3 e, dall’altro lato e in via subordinata, quello della individuazione della
disciplina in concreto applicabile ai modelli familiari atipici.
Si tratta di profili che per quanto comuni a tutti gli ambiti giuridici,
nel contesto che ci occupa, vale a dire quello della vita familiare, assumono peculiare rilevanza rispetto ad altri settori dell’ordinamento,
non fosse altro che con riguardo ai rapporti familiari trova applicazione un principio generalissimo, espressione di un diritto fondamentale della persona ed in quanto tale inderogabile, vale a dire quello al
rispetto della vita familiare e personale, come sancito dall’art. 8 Cedu
nonché, più di recente, dall’art. 7 della Carta di Nizza. Un principio,
questo, ricco di implicazioni sostanziali, che in ultima e generale istanza conduce ad accordare una certa approvazione per i modelli familiari atipici, specie nella parte in cui, secondo l’interpretazione che
ne ha tradizionalmente fatto la Corte di Strasburgo, mira a tutelare
l’individuo da arbitrarie ingerenze del pubblico potere, giustificabili
unicamente a fronte di esigenze di carattere generale, in cui assume
rilevanza una nozione di vita familiare ampia4, tale da ricomprendervi
qualsiasi legame affettivo personale dotato di specifiche caratteristiche
relazionali quali la coabitazione o i rapporti frequenti5.
3
L’espressione riprende con ogni evidenza la formula autorevolmente coniata in
dottrina con riguardo al fenomeno contrattuale (G. De Nova, Il contratto alieno2,
Torino, 2010, passim), volendo con ciò indicare la fattispecie, nello specifico negoziale,
plasmata in base ad una normativa tendenzialmente differente rispetto a quella in
cui è destinata a trovare applicazione.
4
Rileva V.A. De Gaetano, La giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul diritto al
rispetto della vita familiare, in P. Perlingieri – G. Chiappetta (cur.), Questioni di diritto
della famiglia e dei minori, Napoli, 2017, p. 70, che “cominciando dalla metà degli anni
ottanta, la CEDU ha dato un’interpretazione sempre più ampia – alcuni direbbero
liberale – della nozione di vita familiare”.
5
Vd. Corte EDU, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X, Y e Z c. Regno Unito, dove si è fatto
rientrare nella nozione di vita familiare il rapporto tra transessuale, compagna e figlio
di quest’ultima concepito con tecniche di fecondazione artificiale; Corte EDU, 13
luglio 2000, ric. n. 39221/98 e 41963/98, Scozzarini e Giunta c. Italia, ove si è ricompreso
nella nozione in questione il rapporto nonni-nipoti; Corte EDU, 24 giugno 2010, ric.
n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria, laddove la Corte, mutando la pregressa opinione
secondo cui le unioni omossessuali sarebbero da ricondurre alla tutela della vita
privata, ha ritenuto di includere queste nella nozione di vita familiare.
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
621
Tale ultimo profilo impone di ricordare che nel nostro ordinamento
il rapporto familiare è tradizionalmente improntato alla monogamia6,
scelta questa ribadita dal legislatore nazionale anche con la legge sulle
unioni civili e le convivenze, dove si prevede che i vari modelli sono
incompatibili con la mancanza di stato libero, potendosi quindi ben
dire che l’unicità e l’esclusività del rapporto coniugale costituisce l’elemento aggregante tutti i modelli legislativamente tipizzati7.
Ciò posto, seppure la monogamia costituisce, secondo quanto si è
detto, il dato che caratterizza sul piano formale tutti i modelli familiari tipici, occorre parimenti precisare che, come opportunamente
rilevato in dottrina, il dato in parola non è in grado di supportare l’idea che i rapporti familiari non caratterizzati dalla monogamia siano
assolutamente irrilevanti8, rilievo questo che impone di confrontarsi
con quel fenomeno non troppo frequente ma neppure ipotetico costituito della poligamia9. Si tratta di un fenomeno a cui da tempo è stata
rivolta l’attenzione dei giuristi10, rinvenendosi un non trascurabile
6
Come opportunamente rilevano M.R. Marella – G. Marini, Di cosa parliamo quando
parliamo di famiglia, cit., p. 114, “ad essere punita è la bigamia sincronica, non quella
diacronica, non essendo più il matrimonio monogamico indissolubile ed essendo
quindi possibile contrarre nuove nozze dopo il divorzio”.
7
Il disvalore nei confronti di rapporti familiari non caratterizzati dalla bigamia si
evince anche dalle applicazioni giurisprudenziali, vd. App. Roma 28 novembre 2017,
n. 7487, inedita, secondo la quale la bigamia, sussistendo il nesso causale con la crisi
del matrimonio, è circostanza di tale gravita da fondare, di per sé sola, l’addebito
della separazione.
8
Il dato è evidenziato da G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, in
Dir. succ. fam., 2019, p. 821 ss. e spec. p. 825, il quale si afferma che “in caso di
pluralità di atti matrimoniali, quello formalizzato per secondo non è inesistente, ma
invalido. Ciò vuol dire che il matrimonio con la seconda moglie o con il secondo
marito, sia pur nullo, conserva comunque rilevanza giuridica e non è del tutto
improduttivo di effetti, sia per le conseguenze che produce sul piano penale, sia per
la tutela accordata alla eventuale prole (ormai equiparata nello status alla filiazione
legittima), sia per la potenziale produzione di effetti successori in forza delle regole
sul matrimonio putativo”.
9
Riferendosi alla poligamia si allude a differenti ed eterogenei fenomeni, come la
poliginia vale a dire la relazione poligamica che si instaura tra un individuo di sesso
maschile e due o più individui di sesso femminile) e la poliandria ossia la che si
instaura tra un individuo di sesso femminile e due o più individui, della stessa
specie, di sesso maschile).
10
Uno dei primi contributi sul tema è quello di G. Cassoni, Considerazioni sugli istituti
della poligamia e del ripudio nell’ordinamento italiano, in Riv. not., 1987, p. 233 ss. In
prospettiva generale, sulla poligamia con riguardo alle implicazioni giuridiche
collegate per lo più al fenomeno migratorio, vd. V. Petralia, La dimensione culturale
e religiosa dei modelli familiari. Il caso dei matrimoni poligamici, in Dir. fam. pers., 2016,
p. 607 ss.
622
The best interest of the child
numero di contributi che si sono occupati dell’argomento11, leggendo i
quali, tuttavia, si riscontra un prevalente per non dire esclusivo interesse nei confronti di quelli che sono i profili problematici che riguardano i partner del rapporto familiare poligamico, con riferimento ai
quali si è soliti disquisire dell’insanabile o meno contrasto con l’ordine pubblico che i modelli familiari in questione presentano rispetto
al nostro ordinamento.
In particolare, anche per effetto del crescente fenomeno migratorio
ed in ragione del fatto che in altri ordinamenti, sull’influsso di differenti culture e religioni, i rapporti matrimoniali poligamici sono ammessi,
l’attenzione si è concentrata essenzialmente sulla possibilità di estendere determinate prerogative che sono riconosciute alla famiglia monogamica anche ai rapporti familiari poligamici, con riguardo ai quali,
come accennato, il limite generalmente opposto è stato quello della
loro contrarietà all’ordine pubblico12. In questo senso, interrogandosi
sulla possibilità di attribuire i diritti successori a due o più coniugi, oppure la pensione di reversibilità a due o più coniugi, l’eccezione che si
è tradizionalmente posta tanto nel nostro ordinamento quanto in altri
ordinamenti è stata appunto quella della contrarietà all’ordine pubblico, affermando che un riconoscimento di determinati diritti avrebbe
comportato inevitabilmente un riconoscimento ancorché indiretto dei
rapporti familiari poligamici, da ciò derivando la necessità di negare
la possibilità di estendere a questi ultimi i diritti attribuiti ai partner dei
rapporti monogamici13.
Tuttavia, a fronte di tale tradizionale impostazione del problema,
non si possono non rilevare più recenti aperture in favore dell’estensione anche ai rapporti poligamici di determinate prerogative riconosciute
ai partner del rapporto familiare monogamico. In tal senso, ad esempio,
si è espresso di recente il Tribunale Supremo di Madrid, il quale ha
11
Tra questi, a livello monografico, si segnala, soprattutto per la ricostruzione storica,
il lavoro di M. Rizzuti, Il problema dei rapporti familiari poligamici. Precedenti storici e
attualità della questione, Napoli, 2016, passim.
12
Questo profilo, con riguardo alla poligamia, è di recente ampiamente approfondito
da G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, cit., p. 839 ss.
13
Parzialmente diversa è la prospettiva recentemente offerta da quella parte della
dottrina che tramite una analisi della ratio delle tutele e delle prerogative già
riconosciute ai conviventi, oltre che ai coniugi, giunge a ipotizzare una loro
estensione anche ai rapporti poligamici (in questo senso A. Vercellone, Più di due.
Verso uno statuto giuridico della ‘famiglia poliamore’, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 607
ss. e spec. p. 613 ss., il quale in questo modo giunge a delineare “lo statuto giuridico
delle famiglie poliamorose nel nostro ordinamento”).
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
623
riconosciuto che pure a fronte della dubbia compatibilità con l’ordine
pubblico dei rapporti poligamici si deve affermare il diritto a ricevere la
pensione di reversibilità anche al secondo coniuge, con ciò estendendo
a tale formazione familiare quanto previsto con riguardo ai rapporti
matrimoniali monogamici14. Si tratta di una soluzione che a bene vedere
trova un peculiare precedente nella giurisprudenza europea, la quale
ha confermato la decisione della competente autorità amministrativa di
assegnare a due coniugi in concorso e in parti uguali tra loro la pensione
di reversibilità percepita da un funzionario del Parlamento europeo15.
La decisione, pur peculiare nella fattispecie che vi risulta sottesa, come
anche nella motivazione, presenta un indubbio interesse laddove afferma che “la circostanza che […] un’istituzione dell’Unione riconosca a
due persone la qualità di coniuge superstite di un’unica ex funzionaria
deceduta, ai fini della concessione di un vantaggio economico, non rappresenta affatto accettazione fosse anche implicita, a livello dell’Unione, della poligami” (§ 87).
Non dissimile è l’impostazione che più recente16 è emersa nella nostra giurisprudenza, la quale, con specifico riguardo alla tutela risarcitoria per morte del congiunto, ha affermato che “neppure […] assume
rilevanza il fatto che la poligamia costituisca istituto contrario a norme
imperative dell’ordinamento interno, come desumibile dalla natura di
fatto penalmente illecito della bigamia, dal momento che il rapporto
di coniugio non rappresenta l’oggetto della richiesta di tutela giurisdizionale ma […] costituisce il presupposto di tale insorgenza del diritto
14
Tribunal Supremo, 24 gennaio 2018, n. 84, consultabile all’indirizzo www.poterjudicial.
es. In precedenza, una vicenda analoga è stata portata all’attenzione della Corte
costituzionale belga nell’arrêt n. 96/2009 del 4 juin 2009, consultabile all’indirizzo
const-court.be.
15
Si tratta di Tribunale Funzione Pubblica UE, Sed. Plenaria, 1° luglio 2010, F-47/05, W.
Mandt c. Parlamento europeo, ECLI:EU:F:2010:72.
16
Con riguardo ai profili successori viene spesso richiamato un precedente di
legittimità il quale ha affermato che la “circostanza che la legge islamica consente
la poligamia e prevede l’istituto del ripudio non impedisce, sotto il profilo dei limiti
dell’ordine pubblico e del buon costume di cui al previgente art. 31 disposizioni sulla
legge in generale, che la cittadina somala, che abbia contratto matrimonio in Somalia
secondo le forme previste dalla lex loci, faccia valere dinnanzi al giudice italiano i
diritti successori derivanti dal matrimonio medesimo” (Cass. 2 marzo 1999, n. 1739,
in Foro it., 1991, I, c. 1458 ss. e in Giust. civ., 1999, I, p. 2695 ss). Dovendosi tuttavia
rilevare che nel caso di specie si trattava di un matrimonio poligamico potenziale,
in quanto ammesso dalla normativa straniera, ma non anche effettivo, visto che
in concreto i coniugi non avevano contratto matrimonio con più persone (questo
profilo è opportunamente evidenziato da M. Grondona, Il matrimonio poligamico, in
G. Ferrando (dir.), Il nuovo diritto di famiglia, I, Bologna, 2007, p. 501 s.).
624
The best interest of the child
al ristoro per il caso di perdita del rapporto parentale”17, con ciò manifestando evidenti aperture in favore di un riconoscimento, senz’altro
parziale, di alcuni effetti al matrimonio poligamico18.
In altri e più generali termini, la tendenza più recente ha indubbiamente manifestato una certa apertura nei confronti dei rapporti poligamici, diversificando a tal fine il riconoscimento diretto del fenomeno,
che continua ad essere escluso, rispetto a quello indiretto, vale a dire
quello avente ad oggetto prerogative e diritti già riconosciuti agli altri
rapporti familiari di tipo monogamico ed applicati estensivamente ai
rapporti poligamici in via interpretativa. Tuttavia è agevole rilevare
che tale ultima impostazione, pur perseguendo l’apprezzabile intento
di individuare una soluzione al problema dei diritti e delle tutele nelle
formazioni familiari poligamiche, risulta difficilmente condivisibile,
basandosi sull’erroneo convincimento che il riconoscimento indiretto
non comporti un riconoscimento del rapporto familiare poligamico,
impostazione questa che a ben vedere costituisce una finzione che non
consente di togliere concretezza al dato sostanziale, vale a dire che il
riconoscimento indiretto presuppone necessariamente un riconoscimento19, senza che possa assumere rilevanza il dato formale o nominalistico in luogo di quello sostanziale20.
17
App. Brescia 3 febbraio 2017, n. 182, in DeJure.
18
In questo senso sembrano da accogliere i rilievi di G. Perlingieri, In tema di
rapporti familiari poligamici, cit., p. 833, secondo il quale “l’applicazione di una
norma in tema di matrimonio a una famiglia non fondata sul matrimonio (e
semmai anche poligamica) non dipende dalla sussunzione nel tipo negoziale, ma
dall’analisi della ratio della singola norma al fine di valutare se la determinata
disposizione […] sia comunque adeguata a soddisfare interessi i concreto
meritevoli di tutela perseguiti dalle parti del rapporto e, nella specie, dai membri
del nucleo familiare, sia pure poligamico”.
19
Sembra muoversi in questo senso, pur con una certa cautela, M. Grondona, Il matrimonio
poligamico, cit., p. 511, il quale, con formula suggestiva e ricca di implicazioni, parla di
“disponibilità recettiva, che altro non è se non la risultante di quella competizione
valoriale pregiuridica a partire dalla quale il diritto prende corpo”.
20
In senso contrario si è tuttavia espressa la dottrina internazionalprivatistica,
laddove, con riguardo al riconoscimento della filiazione derivante dal matrimonio
poligamico, ma con impostazione che sembra generalizzabile, ha affermato che
il giudice, nell’accertare l’esistenza del rapporto poligamico e nel valutare la
legittimità della filiazione, “pur applicando le norme straniere, non fa suo l’istituto
della poligamia, ma ne tiene conto per farne derivare effetti che, presi in sé e per è,
sono perfettamente ammissibili. La questione non è di avvallare un istituto che è
profondamente contrario ai nostri principi, ma di non deludere le giuste aspettative
di soggetti che nel paese d’origine hanno la qualifica di figli legittimi” (così G. Badiali,
Ordine pubblico e diritto straniero, Milano, 1963, p. 210; nello stesso senso, peraltro,
sembra muoversi Cass. 2 marzo 1999, n. 1739, cit., la quale, ai fini che ci occupano,
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
625
2. Matrimonio poligamico, ricongiungimento familiare
e tutela della genitorialità
Si è dinnanzi detto che il fenomeno dei rapporti poligamici non è
stato certamente ignorato dalla dottrina, pur dovendosi riconoscere
una attenzione privilegiata nei confronti dei profili riguardanti i partner
del rapporto. Diversamente, pressoché inesplorato è invece il tema per
quanto riguarda il profilo della posizione dei figli e dei minori all’interno
della famiglia poligamica, dovendosi rilevare che in tal caso il fenomeno
in questione assume connotati totalmente differenti, facendo emergere
criticità peculiari che per certi versi risultano agevolate nelle soluzioni
facendo opportuno riferimento, come si avrà modo di dire, alla fondamentale tutela della genitorialità e al superiore interesse del minore.
Al riguardo, seguendo un approccio diffuso negli studi che si sono
occupati dei rapporti poligamici, è opportuno distinguere il caso in
cui si tratti di valutare e individuare la normativa applicabile a quei
rapporti che sono disciplinati da norme di altri ordinamenti che ammettono o comunque disciplinano, anche tramite una tolleranza passiva21, la poligamia (il c.d. matrimonio poligamico), dal caso in cui
invece i rapporti presi in considerazione siano sottratti ad una normativa permissiva ma siano fattualmente costituiti (la c.d. poligamia
ha ritenuto di dover “distinguere la regolamentazione del rapporto giuridico
controverso dalla rilevazione dei suoi presupposti, la regolamentazione della
questione principale da quella pregiudiziale o preliminare”). Tale impostazione, per
quanto suggestiva, induce una certa insoddisfazione laddove non chiarisce come
sia possibile riconoscere specifiche prerogative giuridiche al fine di non deludere
determinate aspettative, secondo la formula cui si è detto, senza riconoscere nella
sostanza il presupposto per il riconoscimento di quella determinata prerogativa,
vale a dire, nel caso di specie, il rapporto poligamico.
21
In particolare in quegli ordinamenti retti contemporaneamente anche da precetti
religiosi, i quali vanificano il tentativo di limitare la poligamia ad opera della
legislazione ordinaria, pur potendosi rilevare che “quanto all’Islam deve evidenziarsi
[…] il forte ridimensionamento del diritto alla poligamia realizzato con lo sforzo
esegetico teso a liberare i versetti coranici dalle incrostazioni dovute a precedenti
sforzi interpretativi, prevalentemente di epoca medioevale e non più rispondenti
alle mutate condizioni della stessa società islamica” (così N. Colaianni, Poligamia e
principi del “diritto europeo”, in Quad. di dir. e pol. eccl., 2002, p. 228). In questo senso
è significativo quanto recentemente dichiarato dal Grande Imam di al Azhar, Sheikh
Ahmed al-Tayeb, il quale, nel ritenere che il fenomeno in esame sia “spesso una
ingiustizia per le donne e i figli”, ha chiarito che tale pratica è il risultato di “una
mancanza di comprensione del Corano e della tradizione del Profeta” (notizia del
7 marzo 2019, consultabile all’indirizzo https://www.iodonna.it/attualita/costume-esocieta/2019/03/07/la-poligamia-rivista-dallimam-su-twitter-e-dalla-giudice-puo-esserecausa-di-ingiustizie-verso-donne-e-bambini/).
626
The best interest of the child
di fatto), analizzando le due fattispecie chiaramente nella prospettiva
del rapporto di filiazione che può senz’altro afferire alla relazione familiare poligamica.
Con riferimento al primo dei suddetti profili, il problema che si è
tradizionalmente posto con riguardo al matrimonio poligamico è stato
come noto quello del ricongiungimento familiare, generalmente negato ricorrendo anche in questo caso alla contrarietà all’ordine pubblico
che verrebbe a concretizzarsi per effetto del richiesto ricongiungimento familiare. In altri termini, a fronte della richiesta di ricongiungimento familiare presentata in favore di un altro coniuge, si è di regola rigettata tale istanza opponendo la contrarietà all’ordine pubblico della
formazione familiare poligamica.
A ben vedere, proprio il problema del ricongiungimento familiare
dei rapporti poligamici è caratterizzato da peculiarità non secondarie
in presenza di figli, come si evince anche dalle questioni affrontate in
altri ordinamenti.
Emblematico in questo senso è un caso inglese, nel quale, facendo
applicazione della relativa normativa nazionale, che in verità risulta è decisamente meno permissiva di quella italiana, si è negato ad un minore
proveniente dal Nepal il diritto al trasferimento nel Regno Unito, paese
in cui si era stabilito il padre assieme alla seconda moglie e alla di lei figlia
in forza dei diritti attribuiti ai cittadini nepalesi arruolati nella Brigata
Ghurka22. Per quanto in questa sede interessa, la decisione è stata assunta
ritenendo legittima e non contrastante con l’art. 8 della Cedu la normativa nazionale che impedisce il ricongiungimento familiare al figlio nel
caso in cui nel paese di origine sia presente un familiare che si prenda
cura di lui, in ciò affermando che non è sufficiente a giungere ad opposta
conclusione l’assunto che risponderebbe al superiore interesse del minore proseguire gli studi nel Regno Unito piuttosto che in al Nepal.
Il caso, per quanto peculiare e legato alla legislazione sull’immigrazione vigente nel Regno Unito, consente di interrogarsi anche sulla normativa vigente nel nostro ordinamento, posto che la nostra legislazione, proprio in tema di ricongiungimento familiare, preclude – ai sensi
dell’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione – il ricongiungimento familiare agli ulteriori coniugi del soggetto che legalmente risiede nel
22
Si tratta della decisione dell’Upper Tribunal – Immigration and Asylum Chamber,
S.G. (child of polygamous marriage) Nepal [2012] UKUT 00265(IAC), pubblicata il
27 luglio 2012, consultabile all’indirizzo https://tribunalsdecisions.service.gov.uk/
utiac/37472.
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
627
nostro territorio. La previsione, adottata in forza della Direttiva 2003/86/
CE del 22 settembre 2003, che espressamente attribuisce agli Stati membri la facoltà di impedire o meno il ricongiungimento familiare per tutti
i componenti del matrimonio poligamico23, presenta evidenti criticità
proprio nel caso in cui sia presente un figlio e, ancor più, un figlio minore24, come dimostra una recente decisione della nostra giurisprudenza
di legittimità, la quale ha negato il ricongiungimento familiare richiesto
non dal coniuge ma dal figlio nato all’interno di un rapporto familiare poligamico sul presupposto che ammettendo il ricongiungimento
familiare si sarebbe per l’effetto costituito un rapporto poligamico nel
nostro territorio. In particolare, in tale occasione la giurisprudenza ha
affermato che l’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione, “stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di
ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda,
e al contrario mirando a evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di
una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche
costituzionale”25.
In altri termini, la decisione da ultimo riferita comporta che, indipendentemente dal soggetto che presenta la richiesta di ricongiungimento familiare, nel caso in cui nel territorio nazionale sia già presente
il coniuge con un altro coniuge, il secondo o l’ulteriore coniuge non
23
Nel Considerando n. 10 si legge infatti che “Dipende dagli Stati membri decidere
se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente,
figli maggiorenni non coniugati, partners non coniugati o la cui relazione sia
registrata, nonché, in caso di matrimoni poligami, i figli minori di un altro coniuge.
L’autorizzazione al ricongiungimento familiare concessa da uno Stato membro
a tali persone non pregiudica la facoltà per gli Stati membri che non riconoscono
l’esistenza di legami familiari nei casi contemplati dalla presente disposizione,
di non concedere a dette persone il trattamento riservato ai familiari per quanto
attiene al diritto di risiedere in un altro Stato membro, quale definito dalla pertinente
legislazione comunitaria”.
24
Prima dell’introduzione dell’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione ad opera
dell’art. 1, co. 2, lett. s), della l. 15 luglio 2009, n. 94, si registravano contrapposte
posizioni dottrinali, da un lato contrarie al ricongiungimento delle famiglie
poligamiche (M. Galoppini, Ricongiungimento familiare e poligamia, in Dir. fam. pers.,
2000, p. 739 ss.), dall’altro favorevoli al ricongiungimento (C. Campiglio, Il diritto
di famiglia islamico nella prassi italiana, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 43 ss.; P.
Morozzo Della Rocca, Alterità nazionali e diritto alla differenza, in Riv. crit. dir. priv.,
1992, p. 77; G. Badiali, Ordine pubblico (dir. int. priv. proc.), in Enc. giur. Treccani, XXII,
Roma, 1990, p. 5).
25
Il riferimento è a Cass. (ord.) 28 febbraio 2013, n. 4984, Foro it., 2013, I, c. 2519 ss.
628
The best interest of the child
può ricongiungersi, potendo però ottenere il ricongiungimento il figlio,
il quale quindi si ricongiungerebbe unicamente con uno dei genitori.
Così impostati i termini della questione, sembra lecito domandarsi se questa interpretazione sia compatibile con il superiore interesse
del figlio e del minore in generale laddove finisce per negare il diritto alla bigenitorialità, atteso che il risultato pratico cui si perviene
è quello di negare al figlio di avere rapporti effettivi con entrambi i
genitori e ciò, si badi bene, in ragione di una condizione riguardante
unicamente i genitori, destinata a ripercuotersi in negativo sulla sfera
personale del figlio.
In siffatta prospettiva, la normativa nazionale, come anche quella
europea, sembra ingenerare più di qualche interrogativo laddove la
privazione del diritto al ricongiungimento familiare, già di per sé di
dubbia compatibilità con i principi fondanti il nostro sistema costituzionale, risulta lesiva dei diritti fondamentali della persona nel momento in cui vi siano dei figli nati all’interno del rapporto familiare
poligamico, posto che come si è detto consentire ai figlio il ricongiungimento familiare ma impedirlo al genitore nel caso in cui il coniuge
risieda già nel territorio nazionale con un altro coniuge integra una
inammissibile lesione del diritto alla bigenitorialità26.
Né a diversa conclusione può giungersi richiamando la normativa europea, in particolare in ragione dell’opinabile rilievo secondo cui
il legislatore europeo “ha codificato una soluzione di netta chiusura
nei confronti del matrimonio poligamico”27, dovendosi di contro considerare che l’apparente assolutezza dell’art. 4, par. 4, della Direttiva
2003/86/CE è mitigato dal Considerando n. 10 il quale induce a ritenere
che il legislatore europeo non ha affatto imposto agli Stati membri di
escludere il ricongiungimento familiare con riguardo ai rapporti poligamici ma si è limitato ad attribuire una mera possibilità di escludere
tale ricongiungimento familiare, con ciò ammettendo, di conseguenza,
anche la soluzione permissiva, in linea con la legislazione nazionale di
alcuni Stati occidentali che in base alla propria legge di diritto internazionale privato riconoscono i matrimonio poligamici28.
26
Questa impostazione sembra essere quella già seguita dalla giurisprudenza
prima della l. 15 luglio 2009, n. 94 che ha introdotto l’art. 29, co. 1-ter, Testo unico
sull’immigrazione (vd. App. Torino, 18 aprile 2001, in Dir. fam. pers., 2001, p. 1492;
Trib. Bologna, 12 marzo 2003, in Dir. imm. citt., 2003, p. 140).
27
Così M. Rizzuti, Il problema dei rapporti familiari poligamici, cit., p. 149.
28
Il riferimento è in particolare alla legislazione svizzera, la quale all’art. 45 della
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
629
Peraltro, a ben vedere, l’apertura verso il ricongiungimento familiare in parola risulta conforme ai principi più di recente affermati dalla
Corte EDU, laddove se è senz’altro vero che in passato quest’ultima ha
manifestato una certa diffidenza verso i modelli familiari atipici29, più
di recente sembra potersi registrare, come detto, una maggiore apertura riconoscendo una tutela a tali modelli, che vengono ricondotti alla
nozione di vita familiare30.
In tale contesto, non sembra pertanto da escludere che, pure a fronte
della richiamata legislazione europea in tema di ricongiungimento familiare, gli Stati membri31, tra cui il nostro paese, che vietano incondizionatamente il ricongiungimento familiare ai membri di un rapporto familiare poligamico, siano giudicati responsabili dinnanzi alla Corte EDU,
non essendo nel caso di specie così evidenti quelle esigenze di carattere
generale che sole giustificano una ingerenza e una limitazione del rispetto della vita familiare come tutelato dall’art. 8 CEDU, oltre che dall’art.
7 della Carta di Nizza. Ne deriva che è del tutto inaccettabile, al di là di
ogni fondamento semantico o linguistico da cui si vogliono prendere le
mosse, l’affermazione per cui “la contrarietà degli effetti del ricongiungimento al principio monogamico, dotato di forza assiologicamente fondamentale, giustifica la negazione dell’autorizzazione, anche se ciò implica
il sacrificio di diritti fondamentali”32, dovendosi piuttosto ribadire che
i diritti fondamentali in quanto tali non possono essere compromessi,
specie quanto si tratta diritti riconosciuti in capo a soggetti terzi, come
avviene con riguardo ai figli nati all’interno di matrimoni poligamici nel
cui interesse viene chiesto il ricongiungimento familiare.
legge federale di diritto internazionale privato del 18 dicembre 1987 prevede che “Il
matrimonio celebrato validamente all’estero è riconosciuto in Svizzera”.
29
Proprio con riferimento ai rapporti poligamici, vd. Corte EDU, 13 dicembre 1979,
ric. n. 7114/75, Stanley c. Royaume-Uni; Corte EDU, 10 luglio 1980, ric. n. 8186/78,
Draper c. Royaume-Uni; Corte EDU, 18 dicembre 1986, ric. n. 9697/82, Johnston ed
altri c. Irlanda; Corte EDU, 6 gennaio 1992, ric. n. 14501/89, A. e A. c. Paesi Bassi.
30
Corte EDU, 24 giugno 2010, ric. n. 30141/2004, cit.
31
È al riguardo noto che – secondo la Corte EDU – l’Unione Europea, non avendo
ratificato la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, non può essere parte nel
giudizio dinnanzi alla Corte di Strasburgo, rispondendo per le relative violazioni gli
Stati membri dell’Unione (vd. Corte EDU, 9 dicembre 2018, ric. 73274/01, Connolly
c. Stati membri dell’Unione europea). Sul punto, sia consentito il rinvio a D. Achille,
Primato del diritto europeo e tutela dei diritti fondamentali nel sistema ordinamentale
integrato, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1894 ss.
32
Così R. Senigaglia, Il significato del diritto al ricongiungimento familiare nel rapporto tra
ordinamenti di diversa “tradizione”: i casi della poligamia e della kafala di diritto islamico,
in Eur. e dir. priv., 2014, p. 564.
630
The best interest of the child
In questo senso è quindi da rifiutare ogni possibilità di negare il
ricongiungimento familiare in ragione del principio monogamico, il
quale quand’anche venisse enfatizzato quale principio di ordine pubblico non sarebbe in ogni caso in grado di sacrificare i diritti fondamentali – come tutelati primariamente anche dalle fonti sovranazionali cui
si è dinnanzi fatto riferimento – al rispetto dell’unita familiare e della
vita privata e familiare, contrastando se del caso, ed in ciò anticipando
quanto sarà detto nel prosieguo, anche con la necessaria tutela del superiore interesse del minore.
3. I rapporti poligamici di fatto
La prospettiva finora ultimo considerata, vale a dire quella del ricongiungimento familiare dei componenti del matrimonio poligamico contratto all’estero, non esaurisce come accennato il tema dei modelli familiari monogamici, dovendosi rilevare che non secondarie implicazioni si
connettono a quelli che possono essere chiamati rapporti poligamici di
fatto, vale a dire quei rapporti poligamici che, al di là di una loro formalizzazione, si realizzano nella realtà sociale.
In tale contesto, prescindendo anche qui da quelle che possono essere valutazione prettamente soggettive e personali riguardanti il rapporto poligamico in generale, si deve riconoscere che il fenomeno in
esame è tutt’altro che ipotetico, posto che secondo le statistiche in Italia
ci sarebbero tra le quindicimila e le ventimila famiglie poligamiche.
Tra queste una parte non afferisce al fenomeno del matrimonio poligamico contratto all’estero, ma nasce dal fatto, come testimoniato da una
lettera inviata ad un noto quotidiano nazionale dal titolo emblematico,
“Io, lei, l’altro (e nostro figlio): la mia famiglia poliamorosa”, null’altro che
la testimonianza di due coniugi, dalla cui unione era nato un figlio, che
ad un certo punto della loro vita matrimoniale hanno deciso di diventare una famiglia poliamorosa, laddove il terzo componente dell’unione, che viveva stabilmente nella casa familiare, veniva visto dal figlio
della coppia come uno zio33.
A fronte di tale dato sono troppo note per essere diffusamente ricordate le pagine della nostra migliore dottrina civilistica sulla rilevanza del fatto nel diritto di famiglia34, essendo sufficiente in questa sede
33
Corriere della sera, 27 aprile 2018.
34
Il riferimento è alla riflessione della dottrina sul rapporto fatto-effetto giuridico
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
631
evocare la vicenda della convivenza, la quale dimostra che, pur a fronte dalla regolamentazione di cui all’art. 1, co 36 ss., l. 20 maggio 2016,
n. 76, la fattispecie può senz’altro essere costituita in forza di un fatto
cui il diritto attribuisce giuridicità dovendone definire la disciplina applicabile e dovendo fornire risposta agli interrogativi che di volta in
volta si presentano all’interprete. Un fatto, si badi bene, che nel caso di
specie, analogamente a quanto già chiarito con riguardo alla famiglia
di fatto in generale35, deve essere caratterizzato da una serietà ed una
vocazione affettiva assimilabile a quella che si instaura tra i familiari,
elemento questo che esclude qualsivoglia rilevanza per le convivenze
volubili o strumentali36.
3.1. (Segue). Patologia del rapporto poligamico e filiazione
In questo contesto, una specifica rilevanza, dovuta alle criticità che
vi risultano sottese, assume il momento patologico del rapporto familiare poligamico, posto che la rottura del rapporto, una volta venuta
meno la comunione familiare, consente l’emersione di contrapposizioni e contrasti cui l’ordinamento è tenuto a fornire una risposta. A tale
riguardo, per quanto in questa sede interessa, si prenda il caso di un
rapporto poligamico costituito, ad esempio, tra un uomo e due donne (c.d. poliginìa), una delle due unita in matrimonio con il partner di
sesso maschile, il quale ha un figlio con l’altra donna facente parte del
rapporto. In un caso del genere si può ad esempio porre un problema
quale paradigma dell’efficacia (si allude, in particolare, ad A. Falzea, Fatto giuridico,
in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 941 ss.; nonché, con specifico riferimento al diritto
di famiglia, Id., Problemi attuali della famiglia di fatto, in Aa. Vv., Una legislazione per
la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 135 ss. Sul tema, sono parimenti fondamentali le
riflessioni di P. Rescigno, La comunità familiare come formazione sociale, già in Rapporti
personali nella famiglia, Roma, 1980, p. 348 ss. e successivamente in Matrimonio
e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 361 ss.; P. Perlingieri,
La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e l’equiparazione alla famiglia
legittima, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto?, cit., p. 144 ss., in particolare
laddove si ha cura di precisare che personalismo, solidarismo e associazionismo si
impongono anche ai membri della famiglia di fatto).
35
Tale profilo è opportunamente evidenziato da P. Rescigno, Le formazioni sociali
intermedie, in Id., Persona e comunità, III, Padova, 1999, p. 16; nonché, più di recente, da
A. Zoppini, Tentativo d’inventario per il “nuovo” diritto di famiglia: il contratto di convivenza,
in E. Moscati – A. Zoppini (cur.), I contratti di convivenza, Torino, 2002, p. 1 ss.
36
Così, con riferimento alle famiglie poligamiche, A. Vercellone, Più di due, cit., p.
630 s., che richiama la giurisprudenza della Corte EDU la quale parla di “intima
comunione di vita”.
632
The best interest of the child
di assegnazione della casa familiare, in relazione al quale, facendo applicazione delle regole codicistiche, dovrebbe senz’altro affermarsi che
l’interesse del figlio consente l’assegnazione al genitore presso cui il
figlio viene collocato37.
In quest’ultimo senso è risolutivo il rilievo che al figlio il cui genitore sia parte di un rapporto familiare poligamico, per effetto del principio di unicità dello stato di figlio, come oggi consacrato dall’art. 315
cod. civ., sarà integralmente applicabile lo statuto dei diritti del figlio38,
con riconoscimento di tutti i diritti spettanti ai figli in generali, senza
distinzioni di sorta. Ne deriva che anche nel caso di rapporti familiari
poligamici, il semplice fatto di essere figlio impone il riconoscimento
dei relativi diritti essendo venuta meno la distinzione, o meglio discriminazione, tra differenti rapporti di filiazione39, con la conseguenza
37
In tal senso è quantomeno l’interpretazione giurisprudenziale consolidata (vd. Cass.
21 gennaio 2011, n. 1491, inedita ma consultabile in CED-Cassazione (rv. 616350),
la quale afferma che “In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione
di cui all’art. 155, quarto comma, cod. civ. (nella formulazione previgente), che
attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che
non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, ha carattere
eccezionale ed è dettata nell’esclusivo interesse della prole; pertanto, detta norma non
è applicabile al coniuge, ancorché avente diritto al mantenimento, in assenza di figli
affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi, potendo, in tal caso, il
giudice procedere all’assegnazione della casa coniugale unicamente nell’ipotesi di
comproprietà dell’immobile”; Cass. 22 novembre 2010, n. 23591, in Corr. giur., 2011,
p. 1100, secondo la quale “In tema di separazione, l’assegnazione della casa familiare
postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non
ancora autosufficienti; in assenza di tale condizione non può essere disposta a
favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l’eccessivo costo di
gestione ne renda opportuna la vendita, se i figli sono affidati all’altro coniuge in
quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in
cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico”), pur
dovendosi segnala che la dottrina non esclude, in virtù della formulazione letterale
della norma, che possa “rilevare anche l’interesse del coniuge” (C.M. Bianca, Diritto
civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 208).
38
Si tratta di quelle disposizioni normative inserite negli artt. 315 ss. cod. civ. che
costituiscono l’insieme dei diritti della personalità riconosciuti al figlio per il solo
fatto della nascita (sul punto, per tutti, C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 363). Prima
della riforma della filiazione del 2012-2013, interessanti spunti si rinvengono in R.
Carrano, Lo stato giuridico del figlio e il nuovo statuto dei diritti del figlio, in Giust. civ.,
2011, II, p. 183 ss.
39
La vicenda, in quanto nota, consente di limitare i riferimenti alla dottrina che con
forza ha da tempo e per prima ha evidenziato l’illegittimità di ogni distinzione tra i
figli, in particolare tra figli legittimi e naturali (C.M. Bianca, La filiazione in generale, in
La riforma del diritto di famiglia (Atti del I Convegno di Venezia), Padova, 1967, p. 183, ove
si legge che “Una delle più pressanti esigenze morali che reclamano un mutamento
della disciplina e della concezione dei diritti familiari è quella della equiparazione
dello stato di figlio naturale allo stato di figlio legittimo”; successivamente Id., I parenti
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
633
che anche il figlio nato dalla relazione poligamica, o meglio il genitore
del figlio nato da una relazione poliamorosa, ha diritto di chiedere l’assegnazione della casa coniugale, nell’interesse del figlio stesso, ai sensi
dell’art. 337-sexies cod. civ. In altri termini, se come noto l’assegnazione
della casa familiare al genitore costituisce prerogativa a tutela dell’interesse del figlio a non subire pregiudizi di tipo esistenziale per effetto
della crisi familiare, si dovrà ammettere che anche nei rapporti familiari poligamici, indipendentemente dall’assetto proprietario, troveranno
applicazione le generiche norme in tema di assegnazione della casa
familiare.
Mantenendo l’esempio preso da ultimo, si può rilevare che il problema è inevitabilmente destinato a complicarsi, ed è di difficile soluzione, nel caso in cui sia presente un altro figlio, nato questa volta dalla
relazione coniugale. In un caso del genere, è evidente che il soddisfacimento dell’interesse di un figlio a permanere nella casa familiare può
comportare il necessario sacrificio del concorrente ed analogo interesse
dell’altro figlio a permanere nella stessa casa familiare. In questo caso,
l’assegnazione della casa coniugale nell’interesse di un figlio finisce necessariamente per sacrificare l’interesse dell’altro figlio, laddove è inevitabile che assegnando la casa familiare ad un genitore nell’interesse
del relativo figlio si finirebbe per compromettere l’interesse dell’altro
figlio a continuare a vivere nel medesimo ambiente domestico.
È questo un caso di sicura emersione, con ciò anticipando quanto sarà detto nel prosieguo, dell’imprescindibile rilevanza che assume
il superiore interesse del minore quale regola che consente al giudice
la migliore decisione del caso concreto40, costituendo quella regola di
giudizio elastica che permette di offrire la soluzione più efficiente e
in ogni caso preferibile che, nel caso di specie, potrebbe ad esempio
suggerire e supportare la scelta di collocare i figli presso il genitore
comune, con ciò evitando anche la separazione tra i fratelli.
naturali non sono parenti? La parola torna alla Corte Costituzionale, in Giust. civ., 2000, I,
p. 2743 ss.; Id., I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la
discriminazione continua, ivi, 2001, I, p. 591 ss.), tanto da essere creatrice della Riforma
della filiazione del 2012-2013, non a caso denominata “Riforma Bianca”.
40
Non sembra superfluo ricordare che con riguardo alla perdita del diritto al
godimento della casa familiare per effetto del nuovo matrimonio contratto da
coniuge assegnatario, si è escluso ogni automatismo ritenendo “che l’assegnazione
della casa coniugale non venga meno di diritto […] ma che la decadenza della stessa
sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore” (Corte Cost.,
30 luglio 2008, n. 308, in Foro it., 2008, I, c. 3031 ss.).
634
The best interest of the child
3.2. (Segue). Responsabilità genitoriale, regime personale
e obblighi di protezione
Pur senza guardare alla fase patologica del rapporto familiare ma
restando alla fase fisiologica del rapporto, si pongono peculiarità non
secondarie nel caso in cui siano presenti minori, posto che in quest’ultima ipotesi emergono tratti comuni a tutti i rapporti familiari, i quali
indipendentemente dalla conformazione strutturale, e quindi anche
nella famiglia poligamica, sono disciplinati da regole generali che ne
costituiscono lo statuto giuridico minimo.
In tale contesto, volgendo lo sguardo ai rapporti personali, intesi
quale insieme degli obblighi a contenuto non direttamente patrimoniale che derivano dal rapporto familiare, in particolare, per quanto
in questa sede interessa, nei confronti del figlio, non sembra seriamente dubitabile che anche nella famiglia poligamica l’esercizio della
responsabilità genitoriale sia destinato a rimanere, salvo il caso della
decadenza, in capo ai genitori, quali titolari dell’ufficio privato di cura
personale e patrimoniale del minore41.
Se quindi l’esercizio della responsabilità genitoriale non può che
competere ai genitori, non potendosi pretendere di estendere la titolarità della responsabilità genitoriale anche oltre al rapporto genitoriale,
ci si può chiedere se in capo al soggetto che fa parte del rapporto poligamico sorgano, per effetto dell’essere parte di un nucleo familiare e,
se si vuole, per effetto della coabitazione, degli obblighi nei confronti
del minore figlio degli altri componenti del nucleo familiare.
La risposta a tale interrogativo non può che giungere all’esito di una
attenta e scrupolosa indagine volta ad individuare gli obblighi relazionali all’interno della comunità familiare e la loro fonte. Al riguardo, una
recente analisi ha evidenziato che, nei rapporti familiari, dal principio
di buona fede, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo non sia
espressamente enunciato dalla normativa di diritto di famiglia, originano obblighi di lealtà e, per quanto in questa sede interessa, di salvaguardia che risultano “radicati nelle relazioni familiari”42. Su tale base,
si può a nostro avviso affermare che nei rapporti familiari, stante la
forte componente fiduciaria, l’affidamento reciprocamente generato tra
41
Si tratta sostanzialmente della nozione di responsabilità genitoriale offerta da C.M.
Bianca, La famiglia, cit., p. 377.
42
In questo senso M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in P. Sirena – A.
Zoppini (cur.), I poteri privati e il diritto della regolazione, Roma, 2018, p. 168.
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
635
i componenti della famiglia fa sorgere specifici obblighi che trovano costante applicazione in tutti i modelli familiari, siano essi tipici o atipici.
Proprio in virtù di tale rilievo si deve riconoscere, in linea con la ricostruzione già offerta in dottrina con riguardo ad altro contesto43, che tra
i componenti del rapporto familiare si costituisce, per effetto di quello
che è il contatto sociale qualificato che si crea tra le parti della comunità
familiare, un affidamento qualificato, dal quale originano specifici obblighi di protezione44. In virtù di tale rilievo, non potendosi paragonare il
non genitore che sia stabilmente parte del nucleo familiare ad un terzo
estraneo al rapporto familiare, si deve ammettere che, proprio in virtù
del contatto sociale qualificato cui si è fatto riferimento, giudicato dalla
coscienza sociale indubbiamente rilevante, sorgono in capo ai membri
della famiglia degli obblighi di cura e di provvedere alle esigenze morali e materiali del minore stesso che, è opportuno precisarlo, non si cumulano con quelli dei genitori, ma svolgono una funzione suppletiva e
sussidiaria, che consente di tutelare il minore nel momento del bisogno.
Quanto da ultimo detto consente quindi di affermare che nel momento in cui si decide di far parte volontariamente di una comunità familiare
instaurando uno stabile legame con un soggetto debole del rapporto,
creando quindi un contatto sociale qualificato con il minore, originano a
carico dei soggetti che fanno parte del rapporto familiare degli obblighi
di cura e salvaguardia che si concretizzano nel dovere di intervenire in
favore del minore, non potendosi legittimare comportamenti che diano
luogo ad un disinteresse o una mancanza di cura nei confronti di tale
soggetto, posto che anche in tale contesto deve essere perseguito il superiore interesse del minore.
43
Il riferimento è a C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 244, secondo il quale, in merito alle
famiglie ricomposte, ed in particolare circa il rapporto che si instaura tra minore e
nuovo coniuge o compagno del genitore nell’ambito del nucleo familiare ricostruito
per effetto della convivenza, si genera l’obbligo di prendersi cura del minore e
provvedere alle sue esigenze morali e materiali.
44
Tale impostazione non contraddice il convincimento che il semplice contatto sociale
non consenta di configurare una generica responsabilità contrattuale per violazione
dei doveri di protezione anche in mancanza di un rapporto obbligatorio, posto
che tale soluzione si giustifica a nostro parere unicamente nel contesto familiare,
laddove l’intensità del rapporto che si costituisce anche tramite la coabitazione è tale
da assumere connotati peculiari che giustificano la configurazione dei menzionati
obblighi di protezione il cui inadempimento viene tutelato mediante il risarcimento del
danno secondo le corrispondenti regole. Al di fuori di tale specifico contesto è nostra
opinione che non sia possibile configurare una analoga responsabilità per effetto del
mero contatto sociale, posto che quest’ultimo elemento non è consente, da solo, di
individuare il presupposto proprio del rapporto obbligatorio costituito dalla necessità.
636
The best interest of the child
Siffatta impostazione, in uno con la responsabilità che consegue
alla violazione degli obblighi di protezione cui si è fatto riferimento,
implica che questi ultimi, da un lato, escono dalla sfera del dover essere approdando all’essere del rapporto familiare e, dall’altro lato, si
emancipano dal qualunquismo dell’illecito aquiliano45. In particolare,
la natura qualificata del rapporto che costituisce la fonte degli obblighi
di protezione connota di quella doverosità propria del rapporto obbligatorio gli obblighi in questione, facendo afferire la relativa violazione
alla responsabilità per inadempimento.
4. Il superiore interesse del minore quale imprescindibile
regola di tutela per le formazioni familiari
Quanto si è sin qui detto, pur essendo tutt’altro che esaustivo rispetto alla reale portata del fenomeno in esame, lascia emergere che
l’eterogeneità delle fattispecie e delle problematiche che possono in
concreto porsi di fronte ai rapporti familiari poligamici non consentono di avvallare soluzioni che acriticamente, innalzando la scure
dell’ordine pubblico, peraltro declinato in molteplici varianti di dubbia consistenza giuridica46, si limitano a etichettare i rapporti poligamici come contrari ai principi fondanti l’ordine giuridico nazionale.
45
Questi profili sono opportunamente e chiaramente evidenziati in termini generali da
A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008,
p. 936 ss., il quale afferma che “la responsabilità aquiliana sposta l’accento dagli
obblighi, e quindi dalla relazione, ai beni tutelati, mettendo in ombra lo stesso vincolo
familiare” (p. 942), ritenendo che “la responsabilità aquiliana, quale responsabilità
tra distinti e non tra parti di un rapporto, e quale reazione al danno anziché alla
violazione di un rapporto, si rivela in ambito familiare spuria e tendenzialmente
equivoca” (p. 959).
46
Si allude alla opinabile distinzione tra ordine pubblico internazionale e ordine
pubblico interno, per non considerare altre varianti, come l’ordine pubblico
attenuato, laddove è nostra convinzione che l’ordine pubblico sia uno, similmente
all’ordine giuridico, laddove l’eterogeneità è unicamente delle fonti che concorrono
a formarlo, il che non consente in ogni caso di superare il suo carattere unitario
che si fonda sulla prospettiva dell’unicità del sistema ordinamentale integrato.
Sul tema, particolarmente interessante, anche per la prospettiva privatistica che
viene privilegiata, è l’analisi di G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e
internazionale tra caso e concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019, spec. p. 15-90,
laddove si rileva che “quanto si discorre di ordine pubblico nel diritto internazionale
privato si fa solitamente riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale
come concetto squisitamente interno, il quale si comprende dei princìpi fondamentali
dell’ordinamento di volta in volta rilevanti (alla luce delle circostanze storiche e del
caso concreto), la cui applicazione è considerata dall’ordinamento essenziale in ogni
rapporto giuridico al punto da far cedere la volontà di apertura dell’ordinamento
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
637
Di contro, è imprescindibile una valutazione in concreto degli interessi coinvolti nella vicenda familiare di volta in volta presa in considerazione, e ciò al fine di accertare se i suddetti principi di ordine pubblico
debbano cedere il passo di fronte ai diritti fondamentali che risultano
sottesi alla concreta dinamica familiare.
In quest’ultimo senso, con specifico riguardo ai rapporti poligamici, la opportuna valorizzazione della tutela del figlio e, ancor più, del
minore impone un atteggiamento remissivo, non potendosi ammettere
una prevalenza di altri valori e principi a discapito dei diritti fondamentali di quest’ultimo soggetto47.
Proprio in questa prospettiva, il superiore interesse del minore assume un ruolo dirimente, operando, da un lato, quale clausola generale che consente la migliore decisione del caso concreto48 e, dall’altro
stesso al riconoscimento degli effetti di leggi e atti stranieri (nonché la comunemente
avvertita necessità di favorire gli scambi internazionali)” (p. 82).
47
In contrasto con quanto si è detto sembra porsi la recente giurisprudenza di legittimità
in tema di riconoscimento degli atti di nascita formati all’estero utilizzando tecniche
di maternità surrogata (Cass., Sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, c.
1951 ss., in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 741 ss., con nota di U. Salanitro, Ordine
pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Fam. e dir.,
2019, p. 653 ss. con nota di M. Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e
assolvono le due madri e di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni
Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento ed
in Familia, 2019, p. 369 ss., con nota di M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni
Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore), laddove, sostenendo
opportunamente una (ri)valutazione del ruolo da attribuire ai valori domestici nella
individuazione dell’ordine pubblico, si è affermato inopportunamente che la tutela
del superiore interesse del minore può “costituire oggetto di contemperamento
con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento,
la cui considerazione può ben incidere sull’individuazione delle modalità più
opportune da adottare per la sua realizzazione” (§ 13.3). Si tratta di una conclusione
non condivisibile (così anche G. Ferrando, I bambini prima di tutto. Gestazione per
altri, limiti alla discrezionalità del legislatore, ordine pubblico, in Nuova giur. civ. comm.,
2019, p. 819 s.), che peraltro si pone in contrasto con l’advisory opinion della Corte
di Strasburgo (Corte EDU, Grande camera, 10 aprile 2019, ric. P16-2018-001, in
Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 764 ss., con commento di A.G. Grasso, Maternità
surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale), laddove afferma che
“In sum, given the requirements of the child’s best interests and the reduced margin of
appreciation, the Court is of the opinion that […] the right to respect for private life, within
the meaning of Article 8 of the Convention, of a child born abroad through a gestational
surrogacy arrangement requires that domestic law provide a possibility of recognition of a
legal parent-child relationship with the intended mother, designated in the birth certificate
legally established abroad as the “legal mother”“ (§ 46).
48
È ormai un dato acquisito che il superiore interesse del minore, dapprima, intesto
come criterio interpretativo, si è più di recente evoluto assumendo al contempo
anche il ruolo di principio generale del sistema di tutela del minore idoneo a
638
The best interest of the child
alto, costituendo esso stesso un principio di ordine pubblico49. Viene
in tal modo definitivamente sconfessato l’assunto per cui il superiore interesse del minore sarebbe una nozione inafferrabile da vedere
criticamente50, dovendosi piuttosto ribadire la centralità di tale concetto51, in grado di offrire l’unica soluzione del caso concreto che sia
giuridicamente accettabile secondo giustizia, attribuendo effettività
alle imprescindibili istanze di tutela dei diritti fondamentali in ambito familiare52.
Proprio in contesti come quello in esame, e più in generale in quelle
forme estreme di rapporti familiari che la realtà sociale presenta all’attenzione dell’interprete, emerge la rilevanza del principio del superiore interesse del minore, dovendosi emarginare e combattere con forza
quelle opinioni secondo le quali si tratterebbe di una formula vuota,
priva di significato e finanche pericolosa per la decisone del caso concreto. Quest’ultima è una impostazione irreale e dannosa, sconfessata
dalla necessità di fornire una soluzione a interrogativi concreti, come
quello del ricongiungimento familiare, della effettiva attuazione del
costituire un autonomo parametro in base al quale fondare le decisioni assunte con
riguardo al minore.
49
Erronea si rivela pertanto l’impostazione secondo cui “il preminente interesse
del minore […] vale dunque ad integrare lo stesso concetto di ordine pubblico”
come anche l’affermazione per cui “il principio del superiore interesse del minore
opera necessariamente come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine
pubblico” (entrambe gli assunti si trovano in Cass. 31 maggio 2018, n. 14007, in Foro
it., 2018, I, c. 2717 ss.), atteso che sotto questo punto di vista il superiore interesse
del minore, lungi dal costituire in Giano bifronte, che nel contempo integra e limita
l’ordine pubblico, è esso stesso, come detto, principio di ordine pubblico.
50
In questo senso, di recente, L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv.
dir. civ., 2016, p. 86 ss.
51
Tra i contributi dedicati al superiore interesse del minore in una prospettiva di
sistema, cfr. G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam.
pers., 1995, p. 1604 ss.; G. Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole
generali, in Pol. dir., 1998, p. 167 ss.; E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della
legge civile, in Fam. e dir., 1999, p. 80 ss. Più di recente, un quadro per lo più ricognitivo
è offerto da G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss.
52
Sembra quindi da approvare quella impostazione che evidenzia l’impossibilità
di intendere il superiore interesse del minore come concetto astratto, dovendosi
piuttosto fare riferimento ad una valutazione caso per caso, che esalti le peculiarità del
caso concreto (in questo senso v. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica
della persona umana, Napoli, 1975, p. 346; nonché Id., Interesse del minore e “statuto” dei
suoi diritti, in Studi in memoria di Gino Gorla, II, Milano, 1994, p. 1767, dove si afferma
che “l’apprezzamento dell’interesse del minore dev’essere lasciato alla valutazione
casistica delle circostanze presenti nell’ipotesi concreta, sì da individuare di volta in
volta l’effettiva tensione di sviluppo”).
Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche
639
diritto alla bigenitorialità e, ancora della tutela dei bisogni del minore
stesso, a fronte dei quali solo tramite un precetto elastico come quello
del superiore interesse del minore sembra possibile dare una risposta
efficiente alle istanze di tutela di quel soggetto debole che è il minore.
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The same-sex parented family option.
An outlook of the Italian case law
Gianni Ballarani
Summary – 1. Introduction – 2. The superiority of the child’s interest
– 3. The superiority of the child’s interest in comparison with constitutional principles: the dignity-solidarity binomial – 4. The superiority of the child’s interest in the normative framework: the relationship
between parents and children from the child-centric perspective of the
Italian Family Law – 5. The judicial paths toward same-sex parenting,
between rules and principles – 6. The same-sex parenting option in the
regulatory context: what rights are denied to the child? – 7. Problematic issues concerning the misalignment between the legislative and
judicial approach – 8. A more systemic problem: antithetical results,
recursive balancing, and the risk of “positivization” of the precedent
in a civil law context – 9. The particular system problem: contra legem
actions, ex post evaluation of the child’s interest, and legitimation of
expectations – 10. Conclusion.
1. Introduction
Nowadays the complex context of dynamics of affections and the issue
of same-sex parenting allow for an investigation of the relationship between the adult freedom of self-determination in the family sphere and
the (best) interest of the children, whose emerging personalities are affected and influenced, in their developmental dynamics, by the choices
of the adults. These include the adults who are, or are assumed to be,
or want to be, their parents; as well as those who are legislators, legal
scholars, and judges. This topic represents an important challenge for
644
The best interest of the child
the “argumentation by principles” 1 and for the subsidiary role of the
regulatory institutions2 (the legislator and courts), with regards to the
freedom of self-determination of adults and the position of the child.
1
It is important to recall the path that has led to affirmation of the Drittwirkung of
constitutional principles: it began with the reflections of those who first promoted
a constitutionally-oriented reading of civil law as necessary, stimulating a radical
renewal of traditional dogmatic tools and calling for a legislative technique founded
on constitutional principles, through which society’s needs can penetrate into the
legal order: S. Rodotà, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir.
comm., 1967, p. 83 ff. P. Barcellona, Gli istituti fondamentali del diritto privato, Napoli,
1970, passim; Id., L’uso alternativo del diritto, I, Scienza giuridica e analisi marxista,
II, Ortodossia giuridica e pratica politica, Roma-bari, 1973, passim; N. Lipari, Diritto
privato. Una ricerca per l’insegnamento?2, Roma-Bari, 1974, p. XVI; P. Perlingieri,
Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1983, passim). In this context, a
fundamental role is played by the interpreter – the judge – who, as the guarantor of a
new balance between legal regulation and reconstruction of reality, and through the
persuasiveness of the argumentation, restores the connection with the social reality
from which s/he draws value criteria, only apparently summarized in the elasticity
of constitutional formulas, verifying the compliance of the rule with hierarchically
superior principles: supranational, international and constitutional ones: N.
Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 5 ff.; E.
Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando
la complessità giuridica, Torino, 2017, passim; P. Femia (Ed.), Drittwirkung: principi
costituzionali e rapporti tra privati, Napoli, 2018, passim; P. Perlingieri, Il diritto come
discorso? Dialogo con Aurelio Gentili, in Rass. dir. civ., 2014, p. 781; Id., I principi giuridici
tra pregiudizi, diffidenza e conservatorismo, in Annali Sisdic 1/2017, Napoli 2017, p. 1
ff. In this line of work, Constitutional and European principles are the new criteria
to be taken as a reference point for decisions leveraging on the direct applicability
(Drittwirkung) of the values that they express in the application processes of law (N.
Lipari, Costituzione e diritto civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 1260).
2
The subsidiary function of the legal system, reflected in the principle of horizontal
subsidiarity, aims to contain the intervention of the State within the limits of the
efficiency of the action of private people. It expresses “the vicarious function of
law with respect to the determinations of private people”: E. Del Prato, Principio
di sussidiarietà sociale e diritto privato, in Giust. civ., 2014, p. 381 ff. The principle of
subsidiarity can be understood, both as a principle of legitimacy for the interpreter to
protect concrete situations not directly envisaged in specific regulatory provisions,
but marked by interests worthy of protection, as well as a criterion of legitimization
for the legislator to define the limits within which the action of private persons can be
allowed. Although the natural soil giving rise the principle of subsidiarity was that
of a patrimonial relationship (based on the Ordoliberal doctrine elaborated by the
Friborg School: among many, L. Di Nella, La Scuola di Friburgo, o dell’ordoliberalismo,
in N. Irti (Ed.), Diritto ed Economia, Padova, 1999, p. 171 ff.), the model is now
extending itself into the family context. However, it should be noted that this can
hardly be applied in the context of relationships between adults and children, due
to the legal duty of child protection: R. Giampetraglia, Il principio di sussidiarietà
nel diritto di famiglia, in M. Nuzzo (Ed.), Il principio di sussidiarietà nel diritto privato,
I, Torino, 2014 p. 329 ff.) G. Ballarani, La mediazione familiare alla luce dei valori della
costituzione italiana e delle norme del diritto europeo, in Giust. civ., 2012, p. 495 ff.
The same-sex parented family option
645
The essay attempts to offer a critical look at the recent Italian case
law on same-sex parenting.
First, it investigates the formula of the best interests of the child,
as it has been interpreted in the Italian legal system. This section will
begin to address the constitutional foundation of the (allegedly) superiority of the child’s interest.
After identifying this foundation for the personality-solidarity binomial, the essay moves on to examine the superiority of the child’s
interest in the normative framework.
In this context, the analysis deals with how case law on same-sex
parenting is applying the child’s interests standard. Here, it will focus on whether courts have tended to keep the child’s interest as a
primary and preventive criterion, acting to limit the wishes of adults
and their choices within a very narrow perimeter of rules, in harmony
with current regulatory provisions, or whether, on the contrary, courts
have adopted an adult-centric trajectory with regard to the freedom
of self-determination of adults, consequently applying the child’s best
interests in a secondary and remedial way.
Finally, the essay focuses on whether the rights of children have
been sacrificed in same-sex parenting rulings.
The first aspect to be analysed is the legal meaning of the formula
“the best interests of the child” (to a healthy and harmonious psychophysical development) in the way in which the Italian legal system has
interpreted it 3.
Considering that this formula plays a fundamental role both from
the regulatory perspective, and from the judicial one, it is necessary
to investigate its scope and the concrete meaning under which it
must be accepted in the legal context. The purpose of this analysis is
3
On the legal concept of the best interests of the child, see among many, P. Stanzione,
Minori (condizione giuridica dei), in Enc. dir., Annali IV, Milano, 2011, 725 ff.; G.
Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Pol. dir., 1998, p.
169 ff.; F. Ruscello, La potestà dei genitori. Rapporti personali (artt. 315-319), in Il codice
civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1996, 78 ff.; E. Quadri, L’interesse
del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, 80 ff.; M. Dogliotti, La potestà
dei genitori e l’autonomia del minore, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, VI, t. 2,
Milano, 2007, 93 ff.; P. Perlingieri, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile,
in Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli, 1979, 95 ff.; G. Ballarani,
La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e princìpi), in P.
Perlingieri, S. Giova (Eds.), Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà
e inderogabilità (Atti del 13° Convegno nazionale della SISDIC – Napoli 3-5 maggio
2018), Napoli, 2019, p. 317 ff.; Id., Diritti dei figli e della famiglia: antinomia o
integrazione?, in Studi Giacobbe, II, Milano, 2010, p. 473 ff.
646
The best interest of the child
to avoid the risk of degrading the expression to a mere style clause4
that can be easily used to justify contradictory situations and can be
interpreted in a subjective and discretionary way. The analysis leads
into a consideration of the function that the legal system as a whole
(legislator and courts) is called to perform (as a mediator) between
the need to guarantee proper protection of children and the need to
respect the spaces of self-determination of adults who are partners in
an affective relationship.
In this perspective, the starting point is represented by the art. 3, paragraph 1, of the UN Convention on the Rights of the Child (UNCRC)5: “In
all actions concerning children, whether by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative
bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration”.
The best interests of the child formula is the basic element underlying the entire legal framework concerning children in the Italian,
European and international legal systems. It is a general and flexible
clause that commits the legal system and every institution to the protection of children, in general, and to the protection of a specific child
in particular6. The concept of the superior interest of the child is, in
4
The principle of the best interests of the child has been strongly criticized in legal
scholarship, due to its excessive vagueness, which allows for the risk of conflicting
readings based on subjective discretion: Cf. Y. Benhamou, The New York Convention,
le droit international et le juge français, in 2, La Semaine Juridique Edition Générale, 11
Janvier 1995, 321. It has induced scholars to define it as a “fairy-tale” concept (P.
Ronfani, L’interesse del minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Soc. dir., 1997, 1,
p. 55, where the Author takes up the famous expression of J. Carbonier, Note sous
cour d’appel de Paris, 30 avril 1959, D. 1960, pp. 673 ff., spéc. p. 675.), or magic potion
(I. Thery, New droits de l’enfant, the potion magique ?, in 2, Esprit , 1994.), or having an
empty tautology (M. Dogliotti, Cos’è l’interesse del minore, in Dir. fam. pers., 1992,
1093), or again as a sort of discretionary passepartout (G. Dosi, Dall’interesse ai diritti
del minore, in Dir. fam. pers., 1995, 1604.); see also, among many, J. Eekelaar, Interests
of child and child’s wishes: The Role of Dynamic Self-Determinism, in P. Alston (eds),
The best interests of the child, Oxford, 1994, p. 57; I. Gaber, J. Aldridge, In the Best
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Children’s rights seriously, in The International Journal of Children’s Rights, 2007, p. 5 ss
.; T. Buck, International Child Law, London, 2014, passim.
5
The Convention on the Rights of the Child, adopted by the General Assembly of the
United Nations on November 20, 1989 with resolution 44/25, was then ratified in
Italy with Law n. 176 of 27 May 1991.
6
G. Ballarani, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336 bis c.c.: il
legislatore riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, in Dir. fam. pers., 2014, II,
p. 841 ff.; A. Nicolussi, La filiazione nella cultura giuridica europea, in Id. (Ed.), Diritto
civile della famiglia, Milano, 2012, 341 ff.
The same-sex parented family option
647
fact, aimed at considering the specificity of the childwood as a broad
temporal space, characterized by a presumptively continuous evolutionary path, in which the personality and identity of a person grow7.
This is why the formula is projected towards the healthy and harmonious psychophysical development of the child8.
2. The superiority of the child’s interest
The Italian legal system has accepted the formula of the “best interests of the child” in terms of the “superior” (or sometimes “prominent”) interest of the child. It has done so using comparative and relational words, which invoke the comparison with the interests of other
people with their respective legal positions. This, however requires the
identification of a constitutional justification in order to assess its acceptability and consequences.
If the superiority of the child’s interest applies in relation to the interests of other subjects, the axis of reflection shifts towards balancing operations9 because the horizontal geometry10 of the constitutional “table
of values” 11 does not allow for the abstract primacy of one value over
another12. Indeed, balancing criteria must be applied every time that,
7
C. Ruperto, voce Età (diritto privato), in Enc. dir., XVI, Milano, 1977, vol. XVI, p. 85 ff.
8
P. Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 22; Id.,
Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti3,
t. I, Napoli, 2006, p. 717 ff.; P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della
persona umana, Napoli, 1975, p. 127 ff.; V. Scalisi, Il valore della persona umana e i nuovi
diritti della personalità, Milano, 1990, p. 43; G. Ballarani, La capacità autodeterminativa
del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, 2008, p. 5 ff.
9
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10
R. De Stefano, Assiologia, cit., p. 377 ff.; V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto, cit., p. 1 ff.
11
A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 1991, p. 639 ff.
12
A. Baldassarre, Op. cit., p. 657 ff.
648
The best interest of the child
between values, interests and principles (that are equal to each other13)
“a simple coordination without sacrifice or subordination of one to the
other is not possible ” 14.
3. The superiority of the child’s interest in comparison
with constitutional principles: the dignity-solidarity
binomial
Since, as stated above, it is necessary to analyse the assumed superiority of the child’s interest in light of constitutional principles, the
analysis must be oriented primarily under the “open-scheme case”15 of
Article 2 of the Italian Constitution16, according to which the personalist principle is linked to that of solidarity.
The main element that allows the superiority of the child’s interest
to be affirmed derives from the constitutional provision that includes
children in the concept of human person (Article 2) – the primary value in the constitutional framework17 – but with their own, unique specificity (Articles 30, 31 and 37 of the Constitution).
The anthropocentric vision on which the architecture of the constitutional principles rests18 is revealed by the connection between
the personalist principle and that of solidarity, set in Article 2 of the
Constitution. Individual and community interests, like an inseparable hendiadys, merge together to form the indissoluble binomial
13
R. De Stefano, Assiologia (Schema di una teoria generale del valore e dei valori), Reggio
Calabria, 1982, passim, now published in Id., Scritti sul diritto e sulla scienza giuridica,
Milano, 1990, p. 353 ff.; Id., Il problema del diritto non naturale, Milano, 1955, passim;
V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto (Rileggendo Rodolfo De Stefano), in Riv. dir. civ.,
2010, I, p. 1 ff.
14
G. Oppo, L’esperienza privatistica, in Atti del Convegno Linceo I principi generali del
diritto (Roma, 27-29 maggio 1991), Roma, 1992, p. 220.
15
N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1265.
16
C.M. Bianca, Diritto civile, I, cit., Milano, 2002, 136 ff.; S. Cotta, voce Soggetto di
diritto, cit., 1225 ff.; G. Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, cit., p. 185.
17
P. Perlingieri, La personalità umana, cit., p. 22; V. Scalisi, Complessità e sistema delle
fonti di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2009, I, p. 147 ff.; C.M. Bianca, Diritto civile, I,
La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 136 ff.; S. Cotta, voce Soggetto di diritto,
in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 1225 ff.; G. Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, in
Opere di Giuseppe Capograssi, V, Milano, 1959, p. 185.
18
V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio «personalista» in Italia e nell’Unione
Europea, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 145 ff.; Id., Il diritto naturale e l’eterno problema del diritto
giusto, in Eur. dir. priv., 2010, p. 448 ff.; L. Mengoni, Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 5 ff.;
L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2002, p. 35).
The same-sex parented family option
649
dignity-solidarity19, which forms the axiological foundation of the constitutional system20 and represents the principal inspiration and criterion for every other constitutional principle21.
This reveals the anti-individualistic tenor of the constitutional system,
which prevents the human person from being considered an “entity”
detached from the social system itself, as if it were an absolute monad22.
Therefore, in a system that aims to govern interpersonal relations through
the link between personhood and solidarity, the superiority of the child’s
interests is rooted in the State’s primary function, such as protecting the
weak23. The State has to assure that the physical and mental integrity of
people will be protected (Article 32 of the Constitution), especially in the
moments of greatest weakness and fragility in human life, such as childhood, the period of maximum development of the personality.
4. The superiority of the child’s interest in the normative
framework: the relationship between parents and
children from the child-centric perspective of the Italian
Family Law
As the family law framework has adapted to constitutional requirements24, the link between the superiority of the child’s interest and the
19
F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali e nuovi principi: sussidierietà, autodeterminazione,
ragionevolezza, in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 18.
20
P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, II, cit., p. 433 ff.
21
F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali, cit., p. 9 ff.; R. Nicolò, voce Codice civile, in
Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 248; G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella
metamorfosi della famiglia, Napoli, 2018, p. 79 ff.
22
F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali, cit., p. 18; S. Cotta, Il diritto naturale e
l’universalizzazione del diritto, in Iustitia, 1991, p. 1; G. Ballarani, Il matrimonio
concordatario nella metamorfosi della famiglia, cit., p. 79 ff.
23
D. Poletti, Soggetti deboli, in Enc. dir., Ann. VII, Milano, 2014, p. 962 ff.
24
The constitutionally oriented reading of the civil law has led to the gradual move
beyond the concept of parental authority, establishing the conditions for a radical
inversion of the trend in analyzing the legal position of the parents vis-à-vis that of
the child: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, I, cit., p. 114 ff.; Id.,
Depatrimonializzazione e diritto civile, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1 ff.; C.M. Bianca, Diritto
civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 329 ff.; G. Giacobbe, Le nuove frontiere della
giurisprudenza, Milano, 2001, pp. 461 ff., 581 ff., 629 ff.; G. Ballarani, Sub art. 155 c.c.,
in S. Patti, L. Rossi Carleo (Ed.), Provvedimenti riguardo ai figli, art. 155 – 155-sexies, in
Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2010, p. 28 ff.; Cf., among many, Cass. 17 April
2008, n. 10094; Cass. 11 January 1978 n. 83; Cass. 2 June 1983 n. 3776, in Dir. fam. pers.,
1984, I, p. 39 ff.; Corte cost. 27 March 1992, n. 132, in Quad. dir. pol. eccl., 1993, 3, p. 685 ff.
650
The best interest of the child
personalist and solidarity principles has stimulated a redetermination
of the normative paradigms that apply to the relationship between
adults and minor-age people (especially parents and children), with
child-centricity dominating (an outcome neatly summarized in the “favor minoris” formula). These principles, codified into legislations, were
then given concrete application in case law.
This child-centred, constitutional-based approach to the relationship between adults and children has made it possible for a plurality
of new concepts to emerge, in both the regulatory and judicial fields,
which aim to supplement the available tools for governing situations
involving a child, as well as to orient the action of the interpreter in the
solidarity-based and altruistic perspective of constitutional principles:
- the right of the child to grow up in his or her family, pursuant Article 1 of the adoption law (Law no. 184/1983)25;
- the right of an adopted child to know his or her origins, as a direct
corollary of the inviolable right to personal identity, established by
the adoption reform (Law no. 149/2001);
- the concept of “affective continuity” as derived from the reform of
the Italian family custody law in relation to adoption26 (Law no.
173/2015);
- the child’s right to have (the affectionate and educational contribution of) two parents (“bi-parenting”) in the context of the crisis
of couple relationships27, established by Law no. 54/2006 and confirmed most recently by Legislative Decree no. 154/2013;
- the affirmation, in the same above regulatory context described
above, of the child’s right to be heard during legal proceedings28;
and, finally, the definitive affirmation, under the reform of the children’s Law no. 219/201229, of the child having homogeneous sta25
G. Ballarani, L’adozione che verrà, in L’adozione che verrà (Atti del Convegno Nazionale
del CIAI, Università di Milano Bicocca, 14 novembre 2016), Milano, 2016, p. 11 ff.
26
M. Dogliotti, Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili,
nell’interesse del minore, in Fam. dir., 2015, p. 1107 ff.
27
G. Ballarani, Sub art. 155 c.c., cit., p. 28 ff.; A. Morace Pinelli, I provvedimenti
riguardo ai figli. L’affidamento condiviso, in C.M. Bianca (Ed.), La riforma della filiazione,
Padova, 2015, p. 687 ff.
28
G. Ballarani, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto, cit., p. 841 ff.
29
Ex pluribus C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1
ff.; E. Giacobbe, Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni
sulla Riforma “Bianca”, in Dir. fam. pers., 2014, p. 817 ff.; G. Ferrando, La legge sulla
filiazione. Profili sostanziali, in www.juscivile.it, 2013, 2, p. 132 ff.; M. Bianca (Ed.),
The same-sex parented family option
651
tus30(whether born to married couples or not), and a related remodulation of the traditional concept of parental authority in the new
terms of parental responsibility31, as provided by the new statute
on children’s rights32. This reform, in keeping with a move toward
harmonization with European legal standards33, included affirmation of the concept of “social parenting”, which extends liability to
anyone (including both individuals and organizations) who takes
care of the child.
The flexibility of all these concepts allows for divergent interpretations, depending on the perspective (child-centric or adult-centric)
that is chosen, consequently leading to opposite results in the case law.
From the child-centric perspective, the child’s interest is always
taken as a primary criterion, aimed at preventing the production of a
vulnus. On the contrary, from an adult-centric perspective, the child’s
interest can be taken as a secondary criterion, applied to a vulnus
which, however, has already been produced.
Although initially lawmakers and courts converged in applying a
child-centric perspective, more recently an intrinsically adult-centric
approach seems to be emerging as dominant in the matter of same-sex
parenting. Courts, making recourse to the plurality of the new con-
Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, passim; M. Sesta, L’unicità dello
stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 231 ff.
30
G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, cit., pp.
4 ff. and 38 ff.; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, t. II, cit., Napoli,
2006, pp. 735 ff. and 944 ff.; C.M. Bianca, Diritto civile, I, cit., pp. 157 ff., 233 ff., 236 ff..
31
C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, cit., p. 3; G. Ballarani, P. Sirena,
Il diritto dei figli di crescere in famiglia, cit., p. 534 ff.; G. Recinto, Genitori e figli tra
tendenze interne “adultocentriche” e spinte “minorecentriche” della Corte EDU, in F.
Dell’Anna Misurale, F.G. Viterbo (Ed.), Nuove sfide del diritto di famiglia. Il ruolo
dell’interprete (Atti del Convegno di Lecce del 7-8 aprile 2017), Napoli, 2018, p. 75 ff.,
spec. p. 86; Id., Le genitorialità, 2016, p. 11 ff.
32
M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in
Fam. dir., 2013, p. 231 ff.; G. Ballarani, P. Sirena, Il diritto dei figli di crescere in
famiglia, in Nuove leggi civ. comm., 2010, p. 534 ff.; G. Giacobbe, G. Frezza, Ipotesi
di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato dir. fam., diretto da P.
Zatti, I, Famiglia e matrimonio, G. Ferrando, M. Fortino and F. Ruscello (Ed.), t. 2,
Separazione e divorzio, Milano, 2002, p. 1325.
33
European Council, Reg. November 27, 2003 no. 2201/2003; G. Ballarani, Diritti
dei figli e della famiglia: antinomia o integrazione?, cit., p. 473 ff.; J. Long, L’impatto del
Regolamento CE 2201/2003 sul diritto di famiglia italiano: tra diritto internazionale privato
e diritto sostanziale, in Fam., 2007, p. 1127 ff.; Cass., 20 dicembre 2006 n. 27188, in Fam.
dir., 2007, p. 697 ff.
652
The best interest of the child
cepts referred to above, disregard the preventive criteria34, invoking
constitutional and European principles in order to adapt the legal system to social changes, offering the results that they believe to be embraceable by society35.
The individual self-determination of adults in the context of affective relationships have claimed and obtained ever greater recognitions in the European legal context, effecting a true Copernican
revolution the effects of which extend from the family law system to
that of children’s rights, opening the way for an implicit adult-centric
view of the relationship between adults and children in the field of
reproductive and parenting choices.
The Italian legal system’s acceptance of the legitimation of homosexual loving relationships36 has led to the propagation of the related
effects in the context of reproductive freedom (made concrete, beyond
any ontological impediment, with the help of reproductive techniques). The now achievable desire to be parents and the related desire
to be considered a parental couple are starting to be intend in the social
context as an actual existential right, with resulting reflections on the
pre-existing life, on the one hand, and on the nascent life, on the other.
Taking the perspective of presumed unquestionability of the reproductive self-determination, legal scholarship and case law have been making
the following deductions, through the propensity to argue by principles
in the case law according to the Drittwirkung of constitutional values:
34
F. Di Giovanni, Il «diritto dei giuristi» e la complessità della realtà, in Rass. dir. civ., 2014,
fasc. 3, p. 981 ff.; G. Doria, Pluralismo e verità della legge, in Giust. civ., 2014, fasc. 2, p.
394 ff.; P. Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un ripensamento metodologico, in
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 32 (2003), Milano, 2004, p.
26; V. Scalisi, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005,
spec. p. 57; G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli,
2015, pp. 16 ff. e 86 ff.; N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., pp. 21 s. 28 s.;
Id., Costituzione e diritto civile, cit., p. 1272; P. Perlingieri, La «grande dicotomia» diritto
positivo-diritto naturale, in P. Sirena (Ed.), Oltre il «positivismo giuridico» in onore di Angelo
Falzea, Napoli, 2011, p. 87 ff., spec. p. 89; Id., Complessità e unitarietà dell’ordinamento
giuridico vigente, in Scirtti in onore di V. Buonocore, I, Milano, 2005, p. 635; A. Falzea,
Complessità giuridica, in Enc. dir., Agg. I, Milano, 2007, p. 201 ff.; P. Grossi, L’identità del
giurista oggi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 1089 ff., spec. p. 1095;
35
N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 24 f.
36
Ex multis, G. Ballarani, La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze
di fatto. Una prima lettura critica, in Dir. succ. fam., 2016, p. 623 ff..; Id., Verso la piena
autonomia privata in ambito familiare?, in Dir. succ. fam., 2019, p. 27 ff.; G. Perlingieri,
Interferenze fra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori
normativi, in Rass. dir. civ., 2018, p. 101 ff.; Id., Discriminazione di coppie eterosessuali?,
in Dir. succ. fam., 2019, p. 1 ff.
The same-sex parented family option
653
the child’s right to grow up in a family37, derived from the child’s
right to grow up in his or her own family38;
- the adult’s right to have children, derived from the child’s right to
have a family39; and,
- the couple’s right to be considered parents, derived from the adult’s
right to have children.
The fundamental principles invoked to support these positions,
presumed to derive from them, are principles that were initially part
of the child-centric perspective, under which they were assumed to
place limits upon the free determination of adults, such as:
- parental responsibility40;
- the related concept of “social parenting”;
- the “affective continuity”41; and,
- a child’s right to have two parents (“bi-parenting”).
Thus, the results achieved by the case law through the argumentation by principles allow to verify if the original legal order aimed at
the superiority and pre-eminence of the child’s interest has given way
to an adult-centric path.
-
5. The judicial paths toward same-sex parenting,
between rules and principles
Here, a preliminary look at the main case law in the field of samesex parenting is necessary in order to identify the most critical issues.
The first case concerns a couple of women. After one of them
gave birth to a child through in vitro fertilization (IVF), her partner
asked (with the other’s consent) to be recognized as a parent under
the “adoption in particular cases” provision (Article 44, paragraph 1,
letter d) of Law no. 184/1983), which governs adoptions in cases where
pre-adoptive custody is not possible.
Although the impossibility of pre-adoptive custody had been consistently understood as the “factual impossibility”42 to implement cus37
Art. 315 bis c.c.
38
Art. 1, Law no. 184/1983.
39
Art. 1, comma 4, Law no. 184 del 1983; Corte cost., 6 July 1994, n. 281.
40
European Conuncil, Reg. November 27, 2003 n. 2201/2003.
41
Law no. 173/2015.
42
In the traditional reconstruction, in fact, the formula refers to the factual impossibility,
654
The best interest of the child
tody, the court43 allowed the request by interpreting it broadly as a
“legal impossibility”. More specifically, the court connected the lack or
impossibility of a declaration of adoptability to the non-existence of a
prior state of abandonment. In its decision, the court then relied on the
need to guarantee the child’s right to “affective continuity”.
The theory put forward by the court was then confirmed by the
Italian Supreme Court of Cassaction (S.C.)44, which held that Article
44, paragraph 1, letter d) can be applied in cases where the pre-condition of a child’s abandonment does not exist (Article 7, paragraph 1,
Law no. 184/1983). It was the view of the S.C. that the need to consolidate the emotional relation between the child and the parent’s partner
should be emphasized.
This interpretation of the legislative provision has been subjeted
to various criticisms, first of all based on the exceptional nature of the
provision regarding adoption in particular cases, which prevents its
analogical interpretation (Article 14 of the Preliminary Provisions of
the Civil Code45), as well as the risk of indiscriminately opening the
way for distorted or abusive uses of the law, in accordance with what
the S.C. has established in its decision46.
referring to those hypotheses in which, besides the abandonment situation, there are
de facto obstacles (particular character elements of the child, age of the child, disabled
child) that prevent pre-adoption custody and full adoption. In this perspective,
unfailing conditions remain the state of abandonment and the declaration of
adoptability: T. Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014, p. 399; M. Dogliotti,
Adozione di maggiorenni e minori, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 2002, p. 807 ff.;
L. Rossi Carleo, L’affidamento e le adozioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno,
Torino, 1997, p. 397 ff.; P. Vercellone, La filiazione legittima, naturale, adottiva e la
procreazione artificiale, in Tratt. dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, 1987, p. 194. Cf. G.
Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, Napoli, 2018, p. 17 ff.
43
Trib. min. Roma, 30 July 2014 n. 299, among many in Rass. dir. civ., 2015, p. 679 ff. In
the same sense, cf. Trib. min. Roma, 22 October 2015, among many in Foro it., 2016,
p. 339 ff.; Trib. min. Roma 23 December 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 969,.
44
Cass. 22 June 2016, n. 12962, among many in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1218 ff.,
with annotation by G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento
a prima lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016. In this case law,
the S.C. recall two precedents of ECHR: 27 April 2010, ric. 16318/2007, Moretti and
Benedetti vs. Italia, in www.hudoc.echr.coe.int, and 19 February 2013, ric. 19010/2007, X
and others vs. Austria, in Giur. it., 2013, 1764 ff.; in Nuova giur. civ. comm., I, 2013, 519 ff.
45
Cass. 2 February 2015, n. 1792. Upon the exceptional nature of a rule, see, among
many, P. Perlingeri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 102;
46
Cf. Cass. 27 September 2013, n. 22292, in Guida dir., 2013, fasc. 46, p. 34 ff.; Cass. 2
February 2015, n. 1792, cit.; Trib. Min. Piemonte e Valle d’Aosta, 11 September 2015,
nn. 258 e 259, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 205 ff.; Trib. Min. Milano 17 October
2016, n. 261; Trib. Min. Milano 20 October 2016, n. 268, in Nuova giur. civ. comm., 2017,
The same-sex parented family option
655
The second case involved a couple of men who made use of surrogacy in a country where it was lawful. After obtaining a birth certificate from that country which indicated the two men as parents of the
child, they requested registration of the birth in Italy, and the Public
Official refused to produce it.
This case differs from the erlier one, due to the prohibition (with
criminal repercussions) of surrogacy and similar practices in Italy, established by Article 12, paragraph 6 of Law no. 40/2004.
In this regard, the court47 stated that, despite of the prohibition of
surrogacy under Law no. 40/2004, the best interest of the child in the
continuity of his or her status must prevail over the international public order, in accordance with the definition recently handed down by
the S.C. 48. As some scholars have pointed out, “according to a correct
balance of values, there can be no axiological prevalence of the punitive logic towards the parents, over the logic of protecting the child, as
the child itself is a person worthy of special protection”49.
This interpretation is only acceptable if we carry out an analysis
under an exclusively adult-centric perspective. After all, the “logic
of the child’s protection as a person worthy of special protection” is
precisely the same logic which underlies the criminal prohibition of
surrogacy (Article 12, paragraph 6 of Law 40/2004) and which justifies
the punishment established by this article. Furthermore, adhering to
the proposed reconstruction also means legitimizing behaviour that is
contrary to the law, transforming the decision to violate the prohibition into an act triggering a reward procedure.
If it is true that the consequences of the illegal actions of adults
should be managed in a way as not to prejudice the child50, when a
reproductive procedure (in addiction to disposing, monetizing and objectifying on the mother’s body) ends with the act of transferring the
child (like transferring a good), and the practice is subject to criminal
p. 171; Trib. min. Potenza, 15 May 1984, in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 1039 ff.; Trib.
Roma 22 December 1992, in Giur. merito, 1993, p. 924 ff.; App. Torino, 9 June 1993, in
Dir. fam. pers., 1994, I, p. 165 ff.; Trib. min. Ancona, 15 January 1998, in Giust. civ., 1998,
I, p. 1711 ff.; G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 21 ff.
47
App. Trento 23 February 2017, in Foro it., 2017, p. 1034.
48
Cass. 30 September 2016 n. 19599, among many in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 372 ff.
49
G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 72; A. Valongo,
Nuove genitorialità nel diritto delle tecnologie riproduttive, Napoli, 2017, p. 91 ff.
50
P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, II, cit., p. 780.
656
The best interest of the child
sanctions in Italy51 and condemned by the European Union52, a failure
to recognize that the dignity of the human being (the dignity of the
woman and that of the child) has been violated appears excessive53.
The case was recently examined by the United Divisions of the
S.C.54, which established that granting legal effect to the foreign jurisdictional measure establishing the relationship between a child born
abroad by surrogacy and the intended parent (who has, it bears underscoring, no genetic connection with the child) is impermissible, due to
the prohibition of the surrogacy provided by Article 12, paragraph 6
of Law no. 40/2004. This Article is the expression of the public order
principle that safeguards adoption and the fundamental values of the
human dignity of pregnant women. The protection of these values,
not unreasonably considered to prevail over the interests of the child,
in the context of a balancing carried out directly by the legislator –
and which courts cannot replace with their own evaluation – does not
mean that the intented parent cannot be recognized through other legal instruments, such as adoption in particular cases, provided by Article 44, paragraph 1, letter d) of Law no. 184/1983.
The third case concerned a child born abroad to two women
through IVF, one of whom donated the egg and the other carried the
pregnancy. The women requested that Italy register the foreign birth
certificate, which listed them both as mothers55 (under Article 28, paragraph 2, letter b) of Decree of the President of the Republic no. 396
ot 3 November 2000). This case, again, differs from the previous one
because of the genetic link between the women and the newborn.
51
Cass. 11 November 2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 235 ff.
52
Cf. ECHR, Grand Chambre, 24 gennaio 2017, n. 25358/12 Paradiso and Campanelli
vs. Italia, cit.: G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p.
74. On this, see the Report of the European Parliament of 17 December 2015 n. 115:
“The Union expressly condemns the practice of surrogacy of maternity”, as well as
the rejection of the “De Sutter” Report of the Children’s Rights related to surrogacy
on 11 October 2016 by the Council of Europe (Doc. 14140 of 26 September 2016 ),
condemning the practice as detrimental to human dignity.
53
It doesn’t seem to be possible to argue otherwise, including in reference to what
the Constitutional Court has laid down (Corte cost. 10 June 2014, n. 162, in Corr.
giur., 2014, p. 1062 ff.) in order to consider the rules of Law no. 40/2004 with its nonconstitutionally bound content.
54
Cass., United Divisions, 8 May 2019, n. 12193, in www.italgiure.giustiza.it.
55
Cf. Trib. Torino 21 October 2013 and App. Torino 29 October 2014, in Nuova giur. civ.
comm., 2015, p. 441; then cf. Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.; in the same sense,
in reference to public order, Cass. 15 June 2017, n. 14878, in Foro it., 2017, p. 2280.
The same-sex parented family option
657
The matter concerns the concept of public order again, and the distinction between internal56 and international57 public order, in cases
involving parental relationships based on rules that do not exist under
the Italian legal system.
According to the S.C, courts have to evaluate the international public order on the bases of fundamental constitutional principles and,
“where compatible, [of] those [...] inferable from the Treaties and from
the Charter of Fundamental Rights of the European Union, as well as
from the European Convention of Human Rights” 58. So, “a contrast
with the public order cannot be recognized merely for the fact that the
foreign law is different from one or more provisions of the national
law, because the standard of reference is not constituted by [...] rules
by which the ordinary legislator exercises (or has exercised) its discretion in a determined area, but exclusively from the fundamental
principles which are binding on the ordinary legislator”59.
In this regard, the United Divisions of the S.C., in the more recent
ruling mentioned above60, has specified that, when it comes to recognition of the effectiveness of a provision from a foreign jurisdiction,
the compatibility with the public order (required by Articles 64 et seq.
of Law no. 218/1995), must be assessed, not only in light of the fundamental principles of the Constitution and those enshrined in International and Supranational Sources, but also in light of how they have
been adopted by the lawmaker in specific areas, as well as in the interpretations provided by the Constitutional and Supreme Courts. The
work of synthesis and reconstruction of these Courts, indeed, gives
shape to that “living law” (as a sort of Italian law of precedent) which
cannot be ignored in the reconstruction of the notion of public order.
All these standards as a whole express, infact, the set of values forming
the foundation of the system at a given historical moment.
56
Which refers to mandatory internal rules as a limit on private autonomy: Cass. 15
June 2017, n. 14878, in Foro it., 2017, p. 2280, and Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.
57
Cf. G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status
filiationis, in Corr. Giur., 2017, p. 190, and V. Barba, L’ordine pubblico internazionale, in
Rass. dir. civ., 2018, p. 403 ff.
58
Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.
59
Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.
60
Cass., United Divisions, 8 May 2019, n. 12193, cit.
658
The best interest of the child
Thus, in the case of a genetic link with the child, as established by
the Supreme Court with the aforementioned judgment61, the failure to
register the foreign birth certificate in Italy would entail non-recognition of the parental relationship in Italy, resulting in prejudice to the
child, both in terms of the right to personal identity, as well as in terms
of heredity, and inflicting upon the child a “lame legal position (...)
bestowed by the decision of those who have followed a reproductive
procedure that is not allowed in Italy” 62.
In this context, the Supreme Court also invokes the child’s right
to have two parents (“bi-parenting”), the right to “affective continuity”, the right to the continuity of the child’s status (with an argument
related to Articles 13, paragraph 3, and Article 33, paragraphs 1 and
2 of Law no. 218/1995) and the right to personal identity. It failed to
consider how this reproductive choice is, however, exactly contrary to
the personal identity of the child himself.
Likewise, the Supreme Court held that Article 269 of the Civil
Code, according to which a child’s mother is the person who gives
birth to that child, is no longer a fundamental principle of the Italian
legal system, now that the genetic motherhood can be separated from
biological motherhood. It further held that the heterosexual paradigm
of parenthood is, likewise, not based on a fundamental principle63.
Some further reflection on the relationship between favor veritatis,
favor minoris, and favor affectionis is necessary. A recent ruling by the
Constitutional Court64 on the constitutionality of Article 263 of the
Civil Code, insofar as it failed to provide that challenging a person’s
recognition of a child on falsehood grounds is only permissible when
it is in line with the interest of the child, with reference to Articles 2, 3,
61
Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.
62
Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.; G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del
minore, cit., p. 193; M. Porcelli, Il rapporto tra favor veritatis e favor affectionis nelle
relazioni familiari, in F. Dell’Anna Misurale, F.G. Viterbo (Ed.), Nuove sfide del diritto
di famiglia, cit., p. 139 ff.; G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità,
cit., p. 67 ff.
63
Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit., p. 53, states that “It is not possible to support
the existence of a fundamental constitutional principle – in the sense of public order
and, therefore, unalterable by the ordinary legislator – that could prevent registration
of the birth certificate in Italy (omissis) by reason of an alleged ontological foreclosure
[my italics] for same sex couples (linked by a stable emotional relationship) to
welcome, nurture and even generate children”.
64
Corte cost. 18 December 2017, n. 272, in Dir. quest. pubb., 2018, 2, p. 191 ff.; see, also,
Corte cost. 15 November 2019, n. 237, in www.cortecostituzionale.it.
The same-sex parented family option
659
30, 31, 117 of the Constitution and article 8 of the ECHR, is illustrative.
The Court held that it was unconstitutional for the search for truth in
the parent-child relationship to prevail automatically over the interest
of the child. After all, the necessary balancing entailed a comparative
judgment between the interests underlying the verification of the truth
of the status, and the potential consequences of this verification for the
legal position of the child.
The case concerned a married, heterosexual couple who resorts to
a surrogacy practice abroad, by an hypothesis of so-called “total surrogacy of maternity”, in which the expectant mother has no biological
connection with the child, while both clients are genetically linked to
him or her. The Constitutional Court65 initially gave precedence to favor veritatis, considering it essential for the identity of the child, and
removed the status that did not correspond to the biological truth.
Later, however, it took a different approach, taking into consideration the child’s interest in relation to parenting, in accordance with the
positions of the European Court of Human Rights66. Under the latter
view, the personal identity of the child must be connected to his or her
growth, and so, if the criterion of biological truth is not an absolute
guarantee of protection of identity67, the false status filiationis must prevail over favor veritatis, as it is less harmful to the interest of child. The
Constitutional Court adopted this approach, noting that a comparative
evaluation of the truth against the concrete interest of the child was
necessary, and gave priority to the genetic link of the child with the
presumptive parents given the total surrogacy, notwithstanding the
«high degree of negative value that our legal system reconnects to the
surrogacy, prohibited by a specific penal provision»68.
65
Corte cost., 22 April 1997, n. 112, in Giur. cost., 1997, p. 1073 ff.
66
ECHR, Grand Chambre, 24 January 2017, n. 25358/12 Paradiso and Campanelli vs.
Italia, cit.; ECHR, 26 June 2014, n. 65192/11, Mennesson vs. Francia, in Foro it., 2014,
p. 561 ff.; ECHR, 26 June 2014, n. 65941/11, Labassee vs. Francia, in Resp. civ. e prev.,
2014, p. 2041 ff. The same Court, adhering to the European position contrary to
surrogacy and the indiscriminate exercise of the right to become parents, considers
the removal of the child from the family nucleus already constituted only against a
non-genuine relationship (short-term cohabitation) legitimated either in the absence
of formalized constraints, or to avoid a concrete risk of injury to the physical or
moral integrity of the child (instability of the relationship): ECHR, Grande Chambre,
24 January 2017, ric. n. 25358/12, par. 148.
67
Cf. Cass., 31 July 2015, n. 16222, in Dir. fam. pers., 2016, p. 119 ff.
68
Corte cost. 18 December 2017, n. 272, in www.cortecostituizionale.it.
660
The best interest of the child
On the basis of these considerations, the Constitutional Court rejected the question challenging the constitutionality of Article 263 of the
Civil Code, and held that the truth principle must be reconciled with
the principle of the concrete interest of the child; so that, given the superiority of the child’s interest, a pre-established bond of affection must
be preserved. According to the Court, the case was similar to adoption
in particular cases regulated by Article 44, lett. b) of Law no. 184/1983,
by reason of the marriage between the father of the child and the woman (in this case, only a genetic mother) and in accordance with the approach followed by the Supreme Court69, according to which Article 44
is “a system rule, which allows the adoption as often as it is necessary
to safeguard the affective and educational continuity of the relationship
between the adopter and the child”70.
6. The same-sex parenting option in the regulatory
context: what rights are denied to the child?
With reference to court rulings, it seems evident that the problem
does not arise from the individualistic (i.e. non-solidaristic) desires
of adults who resort to reproductive techniques prohibited in our
legal system, but rather from the tenor of the answer provided by
the interpreter in relation to the effects that these rulings produce on
the interest (or, more properly, on the rights) of the child and on the
desires of the adults. The question is resolved, in fact, in the answer
provided by the interpreter: accepting requests for parental recognition from people “forced” to resort to reproductive practices abroad
that are prohibited in Italy means granting ex post legitimisation of
an unlawful action in a regulatory context that is markedly contrary.
However, in order to correctly classify the problem, two phases need
to be distinguished in the comparison between the interest of the child
and the free reproductive determination of adults: the first is linked to the
pre-reproductive choice as a couple’s elaboration; the second is linked to
the effects of a court’s acceptance of this choice in relation to the child.
The first phase, in which there is a desire for a future life, seems to
fall into a (apparent) normative grey area, in which a sort of “pre-reproductive responsibility” cannot be identified due to the absence of
69
Cass., 22 June 2016, n. 12962, cit.
70
Cf. L. Cucinotta, La difficile ricerca dell’identità, cit., p. 191 ff.
The same-sex parented family option
661
the individual bearing potentially opposing interests. In the Italian
constitutional system, the protection of the person starts with conception71, and so, before conception has occurred, it seems, prima facie, that
there are no obstacles to any particular reproductive determination.
Thus, to see whether the Italian legal system prevents some choices of
adult parenting projects, if we consider Article 1, paragraph 20 of Law
no. 76/201672, and Article 573 and 12, paragraph 674 of Law no. 40/2004,
a statutory pattern is revealed: one that (at the moment) prevents any
same-sex parenting option, deeming it contrary to the interest of the
child and aiming at preventing injury to born child.
With reference to the second phase, during which attention shifts to
the born child, the couple’s request to be considered a parental couple is
highlighted. Such requests, made by couples in the interest of the child,
need to be considered in light of the provisions indicated above, in order
to verify whether the legal system’s traditional child-centric approach
is being maintained unaltered by the courts vis-à-vis the reproductive
self-determination of adults, or whether it is, rather, being sacrificed on
the altar of the adult’s utilitarianism75. This creates a need to evaluate the
71
See, among many, Corte cost. 18 February 1975 n. 27, in Foro it., 1975, I, c. 515 ff.;
Corte cost. 10 February 1997 n. 35, ex pluribus in Giur. cost., 1997, I, p. 281 ff. Cf. G.
Ballarani, Nascituro (soggettività del), in Enc. bioetica, IX, Napoli, 2015, p. 136 ff.
72
Paragraph 20 of the Article 1, Law no. 76/2016 excludes access to legitimizing
adoption (Law no. 184/1983) to same-sex couples: cf. G. Ballarani, La legge sulle
unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto, cit., p. 638.
73
In establishing the requirements for access the IVF, the law establishes that “Without
prejudice to the provisions of Article 4, paragraph 1, couples of adults of different
sex, married or cohabiting, potentially of legal age, may have access to medically
assisted reproduction techniques if fertile and both living”.
74
This article establishes that “Anyone, in any form, who realizes, organizes or
advertises the marketing of gametes or embryos or maternity surrogacy is punished
with imprisonment from three months to two years and with a fine from 600,000
to one million euros”. Cf. E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione umana al dominio
volontaristico sul corso della vita, in Dir. fam. pers., 2016, p. 590 ff.
75
In this sense, cf. G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della
famiglia, cit., p. 79 ff.; Id., La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra
norme e princìpi), cit, p. 317 ff. Recently similar considerations was followed by the
Constitutional Court 23 October 2019, no. 221 (available on www.cortecostituzionale.
it) which rejected the question of constitutional legitimacy of some provisions of
Law no. 40 of 2004 which limit access to PMA procedures to different-sex couples
(including, especially, Articles 4, 5 and 12), stating that those limitations does not
represent a sort of discrimination on the basis of sexual orientation. According to
the Court, this Law is based on two fundamental ideas. The first is expressed by
Article 1 which, in addition to providing that the law must “assures the rights of
all the subjects involved, including the conceived”, stipulates that “recourse to PMA
662
The best interest of the child
validity of the reasoning adopted by courts in effecting their balancing
operations, as well as the conformity of the judgments to the concrete,
existential interest of the child, who is endowed with the same dignity
and the same personal rights of those who desire to be parents.
Since balancing always leads to a loss, it is necessary to identify
which existential rights of the child are being sacrificed:
- the right to the certainty of maternity established by Article 269,
paragraph 3 of the Italian Civil Code and the right to search for paternity, established by Article 30, paragraph 4 of the Constitution.
Although it is possible to renounce one’s parenthood or claim to
be a parent, it is not possible to prevent the child from searching
for the missing or effective parent (Articles 269 and 279 of the Civil
Code), and maternal anonymity may also yield under certain conditions76;
is permitted for purposes of favouring a solution to reproductive problems stemming from
human sterility or infertility” (paragraph 1) and provided that “there are no other
treatment options that can effectively eliminate the cause of the sterility or infertility”
(paragraph 2)”. “The second concept concerns the structure of the family unit that
stems from the techniques in question. Indeed, the law stipulates a series of subjective
limitations on access to PMA, rooted in the transparent intent to ensure that the
family unit in question follows the family model characterized by the presence of
a mother and father (Article 4, paragraph 3, which, in order to ensure the existence
of a biological link between the would-be parents and their offspring, stipulates a
ban (which was, originally, absolute) on accessing heterologous PMA methods (that
is, techniques that use one or more gametes from an “external” donor); Article 5 of
Law no. 40 of 2004 establishes, in particular, that only “couples of persons over the age
of eighteen, of opposite sex, who are married or cohabiting, of potentially fertile age, [and
who are] both living” may have access to PMA.)” In the interpretation offered by the
Court, those limitations does not represent a sort of discrimination on the basis of
sexual orientation: “In general terms, legislative concern for guaranteeing respect
for the conditions considered best for the development of the child’s personality
certainly may not be considered irrational or unjustified. In light of this, the idea
underlying the provisions under review, that a family ad instar naturae (with two
parents, of different sexes, who are both living and of potentially childbearing age)
represents, as a matter of principle, the most suitable “place” to welcome and raise
the newborn, cannot be considered, in turn, to be arbitrary or irrational per se. And
this has nothing to do with the capacities of a single woman, a homosexual couple,
or a heterosexual couple advanced in age to effectively perform parental functions,
if need be. By, in particular, requiring sexual diversity of the members of the couple,
in order to have access to PMA – a condition that is, moreover, clearly an underlying
assumption of the constitutional provisions on the family – the legislator also took
stock of the level of acceptance of the phenomenon of so-called “omogenitorialità”
[same-sex parenting] within the societal community, and concluded that, at the time
the law was passed, there was no sufficient consensus on the matter”.
76
ECHR, Godelli vs. Italia, 25 September 2012, ric. 33783/09, in www.hudoc.echr.coe.int;
Corte cost. 18 November 2013 n. 278, in Fam. dir., 2014, 11 ff.; Cass. 21 July 2016 n.
The same-sex parented family option
-
-
-
663
consequently, the child’s right to know his or her origins as an essential trait of his or her personal identity77, guaranteed by Article
28 of Law n. 184/198378;
the child’s right to grow up in his or her own family, established
by Article 1 of Law n. 184/1983, and the resulting conclusion that
adoption is an extreme measure to resort to only after having ascertained that a child has been definitively abandoned79; and,
the right to have two parents (“bi-parenting”), guaranteed by Article 337-ter of the Civil Code, in terms of the opposite genders of
the parents80.
7. Problematic issues concerning the misalignment
between the legislative and judicial approach
To evaluate the conformity of the same-sex parenting option with the
child’s interest, as well as the validity of the arguments used in the case
law, investigating the balancing operation is of major importance. In order to establish the prevalence of one interest over another, this operation
is done by resorting to interpretative criteria based on axiological principles81, interpreted according to the changeable indicia of the historical
and social context.
15024 and Cass. 9 November 2016 n. 22838; Cass. S.U., 25 January 2017 n. 1946, www.
italgiureweb.it.
77
M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in P. Sirena, A. Zoppini (Ed.), I
poteri privati e il diritto della regolazione, I poteri privati e il diritto della regolazione. A
quarant’anni da ‘Le autorità private’ di C. M. Bianca. Atti del Convegno Roma Tre (27
October 2017) – Bocconi (9 November 2017), Roma, 2018, p. 159 ff.
78
Corte cost. 18 November 2013 n. 278; Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272; Cass. 21
luglio 2016 n. 15024; Cass. 9 novembre 2016 n. 22838; Cass., United Divisions, 25
gennaio 2017 n. 1946; Cf. G. Ballarani, Modifiche all’articolo 28 della legge 4 maggio
1983, n. 184 e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio
non riconosciuto alla nascita (ddl n. 1978), in Dir. fam. pers., 2017, p. 965 ff.
79
Corte cost. 6 July 1994, n. 281; G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella
metamorfosi della famiglia, cit., p. 100 ff.
80
As a parameter expressed by the law states on the shared custody of children in
case of crisis of parental cohabitation, the right of the child to “bi-parenting”
reflects implicitly the need for the child to have two parental referents of different
sex because of the different contribution to the growth of a child in relation to his
healthy and harmonious mental and psycal development (Art. 30, 31 and 37 Cost.):
G. Ballarani, Sub art. 155 c.c., cit., p. 28 ff.
81
V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto, cit., p. 6; Id., Ermeneutica dei diritti fondamentali, cit.,
p. 147 s.; P. Perlingieri, La «grande dicotomia» diritto positivo-diritto naturale, cit., p. 92 s.
664
The best interest of the child
However, to evaluate instances of recognition of same-sex parenting,
balancing operations may have opposite results depending on whether
an adult-centric or child-centric criterion is given precedence, although
the same interpretative criteria based on the same axiological principles
is used. This shows that the contrast between the legislative prohibition
of same-sex parenting and the judicial tendency to allow it is explained
by the contrast between the traditional child-centric orientation of the
legislator and the adult-centric perspective of some judges who, in balancing operations, detach from or disregard the statutory provisions.
8. A more systemic problem: antithetical results,
recursive balancing, and the risk of “positivization”
of the precedent in a civil law context
The statutory framework described above reveals a clear misalignment between the legislative and judicial tendencies in this area.
In the framework of the Drittwirkung of constitutional and European
principles, this misalignment is justified by the fact that the written
law is only one of the standards82 that courts must evaluate, consider,
and analyse in terms of reasonableness83 to provide a “socially acceptable”84 ruling.
However, in these cases, in which the rulings justify openly unlawful actions by considering them compliant with the interest of the
child, the hermeneutical investigation appears fragile, especially in
light of the fact that the opposite conclusion could easily be reached on
the basis of the selfsame principles85.
82
N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1264 s.
83
The principle of reasonableness is understood as “a criterion of argumentation
inherent in the «very idea of law», which operates (...) regardless of an express
reference by the legislator” and also “in the absence of a specific provision that
contemplates for the case itself or that solves it”: G. Perlingieri, Profili applicativi
della ragionevolezza nel diritto civile, cit., p. 15 and 96.
84
N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1271; Id., Il diritto civile dalle fonti ai
principi, cit., p. 24; contra, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza, cit., p.
22; for a different perspective, cf. P. Perlingieri, ius positum o ius in fieri: una falsa
alternativa, in Rass. dir. civ., 2019, p. 1039 ss.
85
This demonstrates how the relationship between rule and principle, even if
alternative, is not exclusive (nor dichotomous), being able to converge in the
solution of the concrete case, guaranteeing the coherence of the system considered
as a whole, as well as legal certainty: P. Perlingieri, Il diritto come discorso?, cit., p.
The same-sex parented family option
665
In general, the cases in this area all reach nearly identical conclusions, despite the fact that balancing operations often naturally give
rise to different outcomes. Although these cases can be read as the
guarantee of a new legal certainty, they highlight the risk of “positivization” of judicial precedent, and of the interpretative procedure with
which it is reached86, replacing the rigidity of the law with the rigidity
of interpretative argumentation by principles and turning precedent
into a new, judicial source of law87, even in a civil law context.
9. The particular system problem: contra legem
actions, ex post evaluation of the child’s interest,
and legitimation of expectations
After having analysed the results of the case law from the perspective of the relationship between the self-determination of adults
and the child’s best interest, it is necessary to take into account the
compact statutory system which, from a child-centric perspective,
currently prohibits any technique to prospectively achieve a samesex parenting option.
With the birth of the child, however, according to the current legislative provisions, the prejudice to the child has already been produced. This reveals how, in the case law, the interest of the child
is considered through an intrinsically secondary perspective, with a
decidedly remedial nature. The courts evaluate this interest exclusively ex post, after the conduct has taken place. In this regard, it is
necessary to consider how:
777 f.; A. Gentili, Il diritto come discorso, cit., p. 374; N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti
ai principi, cit., p. 28 f.
86
The risk is far from uncertain if we consider, on the one hand, the binding force
of the precedent expressed by the United Divisions of the Court of Cassation for
Simple Divisions (Legislative Decree no. 40 of 2 February 2006, and Article 374 of
Code of Civil Procedure) and, on the other hand, the exclusionary force on the right
of action of the art. 366 of Code of Civil Procedure: in legal scholarship it is not
lacking to observe, in fact, how “the precedent adopted by the Constitutional Court
or by the Supreme Court of Cassation, in their respective functions of centralized
control of constitutional legitimacy and nomofilachia, have a persuasive value, due
to the authority of the Courts and (...) a preclusive value for the purposes of the
exercise of the right of action”: P. Perlingieri, I principi giuridici, cit., p. 23. Not by
chance, “living law assumes the outcome of precedents as a presupposition of its
analysis”: N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 29.
87
N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 3 and 28 f.
666
-
The best interest of the child
on a legislative basis, the conduct of adults is prohibited because it
is detrimental to the child;
- the case law moves from the need to resolve a conflict between divergent interests initially assumed to be equal (those of the adults
and that of the child) and reaches the point of affirming the definitive prevalence of one person’s interest (the adult’s) over that of
another (the child’s); and,
- any outcome of the judgment (whether granting victory to one party or to the other), and of the balancing operation (giving precedence to the adult’s interest or to the child’s) fails to resolve the
injury effected ab initio by the conduct of the adults to the detriment
of the child (under current Italian law).
Although the need to adopt a ruling according to justice must be
oriented towards the concrete protection of the superior interest of a
specific child in a given situation, the need to provide an answer (even
a coherent and reasonable one) highlights a problem: in these cases, it
seems that the preventive protection of the child’s interest (guaranteed
by specific regulatory prohibitions applicable to adults), is not taken into
primary consideration. In these cases, the child’s interest is invoked in a
secondary way as a specific remedy for unlawful behaviour by adults.
Therefore, if the cause is forbidden (because the legislator wants to
prevent it from having any effect) but the judge legitimises the effect,
the cause itself is also, implicitly, legitimised, generating expectations
which are deemed legitimate, in the hope of being able to legalise them
ex post through the work of the judge.
In this way, attention is shifted from the conduct of the adults to the
need to protect the interest of the child, at the same time downgrading
that interest to the level of a mere tool, which may be used to legalise
the conduct itself.
In the context of same-sex parenting, making the self-determination of adults prevail over the interest of the child, the latter returns
to a state of subjection, passively and irreversibly suffering the choice
of adults and being injured in some of his or her existential rights,
which are inviolable by definition. This injury takes place with the endorsement, not of the legal system as a whole, but of part of it: that
part which is entrusted with the function of guaranteeing protection
in concrete cases and which, regardless of being detached from the
regulatory context and operating by principles, proceeds by implicitly
adhering to an adult-centric reading of fundamental principles.
The same-sex parented family option
667
Thus, the misalignment described is not between the law as rule
and the principle as instrument, but rather between the ordering function of the law and the servant function of the interpreter which, in
these cases, seems to swap the end with the means. The initial end was,
is, and must remain the need to protect and guarantee the assumed
superiority of the child’s interest in a healthy and harmonious mental
and physical development; and the means to ensure its effectiveness
were, are, and must remain the entire legal system, made up of rules
based on principles, and of the axiological interpretation of the one
through the other.
10. Conclusion
In light of these considerations, it is finally necessary to observe
that, when the story ends with the choice to deprive a child of a parental figure (replacing them surreptitiously with the partner of the
parent) and of the contribution (mental and emotional) of a parent of
the opposite sex, the object of verification cannot be the parenting ability or the suitability of a given adult or couple, but rather the conduct
of the adults in relation to the interest of a specific child. This requires
considering how, when court’s acquiesce to the requests of the adults,
an injury to the child, beyond that predetermined by the choice of the
adults, is produced in terms of the denial rights. The child is, in fact,
in all such cases, deprived of the possibility of having two parental
references of opposite sex (a mother and a father).
Moreover, it is clear that refusal by a court may appear, in the concrete, to be contrary to the specific interest of that child; but the injury
to the child is not determined by the court with its decision, but rather
by the prior, unlawful conduct of the adults.
The arduous task that falls to judges is not that of being kind, but
that of being just in applying the law, and to distribute justice also
through judgments that, paradoxically, today tend to go against the
child, who is deprived of existential rights and of fundamental contributions to his or her healthy and harmonious development.
Moreover, when debating the legitimisation of an adult or adult
couple’s choice to irreversibly deprive a child, ab initio, of a parenting
figure of one of the two sexes (a mother or a father), deeming the “figure” superfluous, or irrelevant, or in any case replaceable indifferently
with a father-mother (parent 1) or with a mother-father (parent 2), and
668
The best interest of the child
presuming that this corresponds to the child’s interest, a final thought
emerges: would it be licit to acknowledge (beyond the political correctness, but within the bounds common sense) that the achieved results,
even though rationally reasoned, appear substantially unfair? Have
we not perhaps exceeded that invisible boundary line beyond which
the right, however well reasoned, and founded, and placed, becomes
unreasonable88?
Abstract
The essay offers a critical look at the recent Italian case law on
same-sex parenting, investigating the relationship between the adult
freedom of self-determination in the family sphere and the best interests of the child. After investigating the legal meaning of this formula
as it is understood under the Italian legal system, the essay examines
whether the original legislative framework aimed at the superiority of
the child’s interest has given way, in the case law, to an adult-centric
path. Moreover, this topic represents an important challenge for the
“argumentation by principles” and for the subsidiary role of the legal
institutions (Legislator and Courts), with regards to the freedom of
self-determination of adults and the position of the child.
88
Moreover, the task of a system of regulation (both on the normative and on the
interpretative front) must remain, at the same time, serving the value of the human
person in a solidarity manner and ordering the conduct of people, marking a
boundary between the lawful and the illicit, between the allowed and the interdict,
even over what science and technology can allow: cf. G. BALLARANI, Nascituro, cit.,
p. 136 ff.; so that a recovery of convergence between lawmakers and judges would
be necessary, as long as the normative datum is so connoted, without prejudice to
the due solicitation by the interpreter to the legislator.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
Mirzia Bianca
Sommario: 1. Premesse. – 2. La conferma del divieto della surrogazione
di maternità quale strumento lesivo della dignità umana della donna
e dell’istituto dell’adozione. – 3. L’eliminazione dell’automatismo della
genitorialità e del giudizio in ordine al Best interest of the child. – 4. Il
Best interest del nato da surrogazione di maternità e l’ordine pubblico.
Riflessioni de jure condendo. – 5. La decisione della Corte Costituzionale
n. 221 del 2019.
1. Premesse
La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite che qui si commenta affronta l’annoso problema della contrarietà all’ordine pubblico della
trascrizione di un provvedimento straniero che attribuisce la qualità di
genitore di due gemelli nati all’estero da surrogazione di maternità ad
un soggetto privo di alcun legame biologico con i bambini (c.d. genitore di intenzione)1. Prima delle premesse, può essere utile per il lettore
indicare sinteticamente i principali punti di diritto sostanziale della
decisione che si commenta. Essi sono i seguenti: 1) Per ordine pubblico
si intende “l’insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato
periodo storico”, da intendersi come “il complesso delle norme della nostra
Costituzione e dei principi consacrati nelle fonti nazionali e internazionali,
nel modo in cui gli stessi principi sono incarnati nella disciplina ordinaria
dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria”, nell’opera di costruzione del c.d. diritto
vivente; 2) il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra
un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata
670
The best interest of the child
ed il genitore di intenzione si pone in contrasto con l’ordine pubblico
“ in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della
gestante e l’istituto dell’adozione”; 3) La tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un
bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, “non esclude peraltro di
conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti
giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44 lett. d) della
legge n. 184 del 1983.
Nella decisione che si commenta, la trascrizione del provvedimento
straniero viene ritenuta contraria all’ordine pubblico, in quanto lesiva
della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione e tali
valori vengono posti in posizione sovraordinata rispetto all’interesse
del minore2. Nonostante questa affermazione di principio, ci si preoccupa dell’interesse del minore a mantenere un rapporto con il genitore
di intenzione e si indica lo strumento dell’adozione in casi particolari3.
Come chiarirò più chiaramente nelle pagine successive, non sono convinta che l’ordine pubblico che qui si afferma si ponga in competizione
e quindi in contrasto con il best interest del minore nato da surrogazione di maternità, anche perché ritengo che il superiore interesse del
minore, sebbene concetto indeterminato4, sia esso stesso principio di
ordine pubblico5. La via indicata dell’adozione in casi particolari si presenta come tentativo di recuperare un interesse (del minore) di cui si è
declamata la subordinazione rispetto al principio di ordine pubblico.
Diverso problema è se l’adozione in casi particolari, nell’applicazione
2
Significativo al riguardo un passaggio della decisione in commento: “La tutela di tali
valori [dignità umana della gestante e istituto dell’adozione], non irragionevolmente
ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato
direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria
valutazione, non esclude peraltro di conferire rilievo al rapporto genitoriale,
mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari”.
3
V. al riguardo M. Acierno – S. Celentano, La genitorialità e la gestazione per altri.
L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla rivista telematica Questione giustizia
in cui si rileva che così le Sezioni unite si pongono in linea con l’orientamento della
Corte volto a tutelare la genitorialità omoaffettiva.
4
Lo considera concetto pericolosamente indeterminato G. Casaburi, Le azioni di stato alla
prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, Nota a Corte cost. n. 272
del 2017, in Foro it. 2018, I, c. 21.
5
V. § il § 4 del testo.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
671
italiana della c.d. Stepchild Adoption, sia lo strumento più idoneo e in
generale quali potrebbero essere gli strumenti alternativi6.
I piani di lettura di questa decisione sono tanti: il contenuto dell’ordine pubblico7, tema che interessa ed avrà corollari significativi per
altri istituti del diritto civile tradizionale; il rapporto tra ordine pubblico e interesse del nato da surrogazione di maternità; il tema della
rilevanza della genitorialità di intenzione. Di questi ho deciso di non
trattare il primo e di concentrarmi con varie riflessioni sugli altri. Il
commento a questa decisione ha rappresentato sicuramente l’occasione per affrontare il significato oscuro del superiore interesse del minore8 con riferimento allo strumento della surrogazione di maternità e
per fare riflessioni generali de jure condendo sui modi di instaurazione
della genitorialità oggi, con un particolare focus sulla genitorialità di
intenzione. A questi temi sono dedicate le pagine che seguono. Tra i risultati da salutare con favore vi è sicuramente la conferma della riprovazione sociale della surrogazione di maternità e il rilievo della dignità
umana9. Altro importante risultato è l’aver sottratto il procedimento
di instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del
miglior interesse del minore ad ogni automatismo e ad ogni presunzione, riportando quest’ultimo nel corretto binario della valutazione di
concretezza10. Altro risultato di metodo e di impostazione assiologica
è non aver considerato solo ed esclusivamente il profilo della violazione dell’ordine pubblico ma aver considerato e valutato la possibile
realizzazione dell’interesse del minore. Tale interesse, se pure ritenuto
recessivo rispetto all’ordine pubblico, non è stato dimenticato. Quanto
questo gioco di equilibri sia stato raggiunto emergerà in queste pagine.
Sicuramente nel mettersi in gioco la nostra Corte di Cassazione ha affrontato una delicata tematica che contiene in sé un ossimoro di fondo:
la contrapposizione tra un giudizio di riprovazione verso un’attività
che si pone in contrasto con i valori dell’ordinamento e la necessaria
assunzione di responsabilità dell’ordinamento verso la soluzione della
6
Si rinvia al riguardo alle riflessioni contenute nel § 4 del testo.
7
Su questo profilo rinvio alla nota di G. Casaburi, cit.
8
Al best interest of the child è stato dedicato il Convegno internazionale e
interdisciplinare che si è tenuto all’Università di Roma La Sapienza nei giorni 2022 settembre 2018, i cui atti sono pubblicati in questo volume. Una sintesi di quelle
giornate è ben illustrata nella rivista Giudicedonna n. 1/2019.
9
V. il § 2 del testo.
10
V. il § 3 del testo.
672
The best interest of the child
tutela del prodotto di questa attività illecita. Tale prodotto è un essere
umano in carne ed ossa e come tale non è equiparabile al mondo delle
cose11. In una relazione inedita ad un Convegno tenutosi qualche anno
fa all’Università degli Studi di Roma Tre dedicato a questa delicata
problematica12, avevo rilevato la tensione tra questi piani di analisi del
problema, pur evidenziando la necessità di separare il giudizio sulla
illiceità del contratto di maternità surrogata dalla valutazione sul migliore interesse del minore. Avvertivo allora la necessità di non considerare esaustiva la questione della contrarietà all’ordine pubblico e
della repressione della maternità surrogata come si legge invece oggi
in alcuni progetti di riforma13, abbandonando la questione principale
che è da ritenersi la tutela del prodotto del contratto14. Al tempo stesso
avvertivo la necessità di non farsi suggestionare dalla bella formula
11
Nel diritto romano che conosceva la schiavitù, sebbene la questione fosse stata
vivacemente dibattuta, era prevalsa la tesi che negava la qualifica di frutto del
parto della schiava e Gaio ne dà una spiegazione fondata sulla dignità umana che
impediva l’equiparazione ai frutti delle cose: D. 22.1.28: absurdum enim videbatur
hominem in fructu esse, cum omnes frutus rerum natura hominum gratia comparaverit
(assurdo sembrava intendere l’uomo come frutto quando tutti i frutti delle cose
sono stati considerati tali in funzione della natura dell’uomo). Non può che rinviarsi
alle parole suggestive del compianto Maestro Giorgio Oppo, Diritto di famiglia e
procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 335: “Fecondazione e procreazione
possono essere attuate in violazione di altri divieti posti dalla l. n. 40… La violazione
di regole per cosi dire procedimentali non può mettere in forse lo stato del nato,
stato che per quanto possibile, dovrebbe adeguarsi al suo interesse di uomo, protetto
nella sua individualità”; sulla tutela del nascituro da procreazione assistita ID.,
Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Vario diritto. Scritti giuridici VII, Padova,
2005, p. 45 ss., in cui l’argomentazione viene condotta attraverso l’individuazione di
7 quesiti e della risposta ad essi.
12
Si tratta della Relazione al Convegno: “Vita umana e mercato: la dignità del nascere”,
tenutosi l’8 settembre 2016 presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il Convegno
si inseriva nel ciclo di Seminari del XIII Simposio internazionale dei docenti
universitari dedicato al tema: Diritti, Giustizia, Misericordia. Il video della relazione è
stato pubblicato nella rivista telematica www.DIMT.it il 15 settembre 2016.
13
Vedi il disegno di legge Pillon sul turismo riproduttivo n. 1024 presentato il 25
gennaio 2019, Disposizioni contro il turismo riproduttivo. In tale disegno di legge, pur
condividendo la ragione di fondo, ovvero l’esigenza di vietare l’abuso del turismo
riproduttivo, trovo incredibile che non vi sia nemmeno una disposizione dedicata ai
casi in cui il soggetto è già nato!
14
Deve al riguardo sottolinearsi che un ordinamento che si preoccupasse unicamente
di sanzionare il fenomeno della maternità surrogata senza al contempo preoccuparsi
di risolvere il problema del soggetto nato contribuirebbe a creare bambini in stato
di abbandono tradendo il diritto del soggetto minore di età, riconosciuto a livello
internazionale, ad avere una famiglia. Si rinvia al riguardo al mio contributo: Il diritto
alla famiglia, pubblicato nel volume dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza
dedicata ai 30 anni della Convenzione di New York sull’infanzia e l’adolescenza.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
673
del Best interest of the child per legittimare ex post le scelte degli adulti,
a prescindere da una valutazione in concreto di quello che è realmente
l’interesse del soggetto nato a seguito di maternità surrogata. Sicuramente è allora da salutare con favore la scelta delle Sezioni unite di non
limitarsi a trattare la questione della violazione del principio di ordine
pubblico e di affrontare il tema della sorte del soggetto nato. Questa
scelta pone il nostro ordinamento in piena coerenza con gli altri Paesi
del contesto europeo e con i principi della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo che da tempo evidenzia il problema, pur
sottolineando la discrezionalità degli Stati membri nella scelta degli
strumenti idonei a realizzare questo obiettivo15. Tale discrezionalità è
stata di recente ribadita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel
primo parere consultivo dato in materia (si trattava della medesima
questione affrontata dalle Sezioni Unite) in applicazione del 16° Protocollo della Convenzione e sollecitato dalla Corte di Cassazione francese16, parere in cui, pur ritenendosi contrario al diritto alla vita privata
(art. 8) del nato da surrogazione di maternità il mancato riconoscimento del genitore di intenzione, si è affermato, proprio in ragione della
delicatezza della materia e della diversità di discipline, che gli Stati
non sono vincolati a scegliere la via della trascrizione della nascita,
pur essendo vincolati a dare una soluzione rapida ed efficiente al problema. La differenza è che, mentre la Corte europea afferma la lesione
dell’interesse del minore, la Corte italiana, pur suggerendo il rimedio
dell’adozione in casi particolari, sembra aver negato, almeno in linea
di principio, la lesione del superiore interesse del minore al riconoscimento del genitore di intenzione17. Rimane da capire in generale quale
15
Tale discrezionalità emerge nell’orientamento costante della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo dedicata a questa tematica.
16
V. Avis consultatif relatif à la reconaissance en droit interne d’un lien de filiation entre un enfant
né d’une gestation pour autrui pratiquée à l’étranger et la mère d’intention du 10 avri 2019; si
rinvia all’attenta analisi di H. Fulchiron, Premier avis consultatif de la Cour européenne des
droits de l’homme: un dialogue exemplaire?, in Recueil Dalloz, 23 Mai 2019, n° 19.
17
V. al riguardo un passaggio significativo della decisione che si commenta, in cui,
diversamente dalla Corte europea che afferma la lesione del diritto alla vita privata,
cosi si esprime “Le predette violazioni non sono pertanto configurabili nel caso in cui,
come nella specie, non sia in discussione il rapporto di filiazione con il genitore
biologico, ma solo quello con il genitore d’intenzione, il cui mancato riconoscimento
non preclude al minore l’inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale
né l’accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente
riconosciuto nei confronti dell’altro genitore”. In generale la discontinuità rispetto
al parere della Corte europea dei diritti dell’uomo, M. Acierno – S.Celentano, La
674
The best interest of the child
è il superiore interesse del minore nato da maternità surrogata, se esso
sia sempre quello ad avere i genitori intenzionali18 e se comunque l’ordine pubblico sia da ritenere contrastante con il superiore interesse del
minore, come se fossero due principi contrapposti.
2. La conferma del divieto della surrogazione
di maternità quale strumento lesivo della dignità umana
della donna e dell’istituto dell’adozione
Come si è detto, uno dei punti di grande positività di questa decisione è la conferma del disvalore della tecnica della surrogazione di maternità, considerata lesiva del principio di dignità umana della gestante.
La Corte al riguardo non fa alcuna distinzione tra surrogazione a titolo
oneroso e surrogazione a titolo gratuito. La riprovazione di questa tecnica è un risultato che emerge a livello di principi interni e internazionali
e risulta confermata dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale19,
in conformità con quella nozione complessa di ordine pubblico che la
decisione richiama quale presupposto. La Corte di Cassazione in un’importante decisione a sezioni semplici del 201420 aveva già manifestato la
contrarietà all’ordine pubblico e la lesione della dignità umana di questa pratica e la Corte Costituzionale ha confermato la riprovazione di
questa tecnica confermandone il divieto21. La stessa Corte Costituzionale
in una decisione riguardante il problema della legittimità costituzionale
dell’art. 263 del codice civile, ha confermato la riprovazione di questa
tecnica e la lesione della dignità umana della donna gestante22. Nella decisione che si commenta la contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione
genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla
rivista telematica Questione giustizia, cit.
18
V. il § 4 del testo.
19
V. al riguardo l’importante contributo di M. Acierno, Le nuove genitorialità. Fonti
e orientamenti giurisprudenziali, pubblicato sul n. 1/2017 della rivista Giudicedonna,
contributo ricco di riferimenti di diritto interno e di diritto comparato.
20
V. Cass. 11 novembre 2014, n. 24001.
21
V. Corte cost. n. 162 del 2014.
22
V. Corte Cost. 18 dicembre 2017, n. 272 del 2017. Tale decisione è stata annotata in
Foro it. 2018, I, c. 21 da G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità
non va (quasi mai) sopravvalutata, cit. v. anche i contributi di U. Salanitro, Azioni di
stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. comm., 2018, p. 552, S.
Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto
di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 e ss.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
675
della nascita di bambini nati all’estero viene ricondotta alla lesione della
dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione. La Corte non fa
invece alcun riferimento alla dignità del nascituro23, riferimento che
avrebbe determinato qualche corollario nel bilanciamento tra il principio di ordine pubblico e l’interesse del minore24. Il duplice riferimento
alla contrarietà all’ordine pubblico per lesione della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione non è nuovo ma riproduce le
argomentazioni che già la citata Corte di Cassazione a sezioni semplici
nel 2014 aveva sostenuto a proposito di una questione analoga25. In
particolare in quella decisione si era rilevato che la lesione dell’adozione veniva a concretizzarsi in fattispecie come questa, nel rilievo che il
riconoscimento di una genitorialità non fondata su alcun dato biologico o
genetico, trovava fondamento non già “nell’istituto dell’adozione, realizzata con le procedure proprie del procedimento giurisdizionale, ma
sul semplice accordo delle parti”. Allora come oggi si affronta il tema
della genitorialità disgiunta dal legame biologico per negare rilevanza all’atto di autonomia privata e al suo eventuale riconoscimento,
individuando nel solo strumento dell’adozione la forza di creare una
genitorialità disgiunta da qualsiasi legame biologico. In quelle riflessioni
e in quelle attuali emerge un tema di assoluta importanza, ovvero la
necessità di evitare che il figlio nato da maternità surrogata e privo di
legami biologici con uno dei genitori sia trattato in maniera diversa rispetto al bambino sottoposto ad un procedimento di adozione. Inoltre
la mancanza del legame biologico pone in termini generali il rischio
dell’abuso di questa pratica26. E l’abuso di questa pratica, tralasciando
atteggiamenti sanzionatori nei confronti di chi abbia alterato lo stato,
incide inevitabilmente sul superiore interesse del minore alla veridicità e alla certezza del proprio stato di filiazione27. L’automaticità della
23
Il riferimento alla lesione della dignità del nascituro emerge complessivamente
nell’ordinamento spagnolo sia dalla giurisprudenza (Tribunal supremo, 6 fev. 2014)
sia nel Parere del Comitato di Bioetica del 2017. Per questi riferimenti preziosi, v. J.
Ramon de Verda y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado
de la cuestion en el derecho espanol, Relazione al Convegno “The best interest of the
child” in questo volume.
24
V. oltre nel testo.
25
V. la decisione citata alla nota 21 del testo.
26
Tali rischi sono evidenziati nel parere consultivo della Corte europea dei diritti
dell’uomo, citato alla nota 15 del testo. Nel parere al punto 41 si fa esplicito
riferimento alla decisione della Grande Chambre Paradiso Campanelli.
27
Per queste importanti riflessioni si rinvia alla relazione di G. Palmieri al Convegno
676
The best interest of the child
trascrizione del provvedimento straniero, ove accolta, avrebbe creato
uno statuto speciale del figlio nato da surrogazione di maternità28, sottraendo la procedura ad ogni indagine in ordine alla valutazione del
reale e concreto interesse del minore. Senza contare che, come dirò a
breve, l’automatismo della trascrizione di un provvedimento straniero
di nascita da surrogazione di maternità tralascia il problema principale
che in passato aveva interessato e animato il dibattito dei civilisti in
ordine alla disarticolazione del titolo di maternità e del conflitto tra
madre uterina e madre genetica29, problema che viene da tempo abbandonato e accantonato, quasi come si desse per scontato che la madre gestante sia esclusa dal rapporto di genitorialità.
Quanto alla lesione della dignità umana della gestante, si tratta di
principio la cui affermazione riveste un importante valore assiologico,
anche se manca tuttavia nella decisione che si commenta una specificazione del perché sia stato lesa la dignità umana della gestante. Solo
la risposta a tale quesito avrebbe reso più agile la distinzione tra la
procedura di surrogazione di maternità e la fecondazione eterologa
che, affermata in linea di principio, risulta tuttavia dai contorni incerti
e piuttosto fumosi. Ma proprio la ricerca sulla ragione della lesività fa
emergere l’elemento caratterizzante la surrogazione di maternità che è,
per l’appunto, la gestazione (per altri), a prescindere dalle diverse tipotenutosi in Cassazione il giorno 13 Giugno 2018 “Genitori dello stesso sesso: interesse
del minore e ordine pubblico nel riconoscimento di atti di nascita formati all’estero” e citato
alla nota 1 del testo.
28
La necessità di evitare discriminazioni tra i figli è stata rilevata dalla dottrina non
solo con riferimento alle famiglie in cui il figli nasce ma anche alle tecniche che
vengono utilizzate per farli venire al mondo, v. già C.M. Bianca, Stato delle persone,
in Procreazione artificiale e interventi sulla genetica umana, Atti del Convegno di Verona,
2, 3, 4 e 25 ottobre, Padova, 1987, p. 104 ss., ora pubblicato in Realtà sociale ed effettività
della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, Milano, 2002, p. 680, il quale, oltre a rilevare il
problema dell’emarginazione del figlio nato da fecondazione artificiale, avvertiva
della necessità di ricondurre queste tematiche alla centralità del codice civile.
29
V. al riguardo le riflessioni di Alberto Trabucchi, Cesare Massimo Bianca, Nicola
Coviello, tutti volti a dare la prevalenza alla madre uterina. Indicazioni preziose su
questo dibattito si trovano in C.M. Bianca, Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche
e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam., 1987, p. 955 e pubblicato ora in Realtà sociale
ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, cit., p. 693 ss. Posizione autorevole e
fuori dal coro quella del Maestro Giorgio Oppo, il quale riteneva prevalente la madre
genetica committente: G. Oppo, Diritto di famiglia e procreazione assistita, cit., p. 334:
“La partoriente dovrà “restituire il nato” a coloro che le hanno affidato l’embrione
mentre nessun rapporto familiare di costituisce tra questi soggetti e la surrogata”.
ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 50 ss. Sulla prevalenza della
madre genetica, v. P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000,
II, p. 193 ss.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
677
logie di maternità surrogata che rinviano alla utilizzazione di materiale genetico della gestante o di terzi30. Tale dato consente di marcare una
sicura distinzione con il diverso strumento della fecondazione eterologa,
dove l’attributo si riferisce evidentemente alla estraneità del materiale
genetico e quindi al solo dato dell’utilizzazione del materiale genetico
di altri e non già alla gestazione. La distinzione tra le due figure ha
consentito alla Corte Costituzionale31 di provvedere contestualmente
e nella medesima decisione alla rimozione del divieto di fecondazione
eterologa e al mantenimento del divieto di maternità surrogata, operazione che presuppone, evidentemente, una distinzione assiologica e
tecnica tra i due strumenti. Questa distinzione ci ha consentito in passato di rilevare le diverse problematiche giuridiche sottese alle due figure. Mentre la fecondazione eterologa riguarda il problema degli atti
di disposizione del proprio corpo, la surrogazione di maternità attiene
al diverso problema della disposizione degli status32. La principale ragione di lesione della dignità umana della donna gestante va quindi
individuata nella commercializzazione o strumentalizzazione della
maternità e nella considerazione della sua persona quale macchina per
fare figli, riproponendo una forma moderna di schiavitù. Questo dato
di lesione della dignità umana è stato evidenziato dal Comitato di Bioetica33, dalla dottrina34 e stigmatizzato in letteratura nel bel libro “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood35, racconto fantastico sulle donne
ridotte in schiavitù e costrette a fare figli. La commercializzazione della
maternità e quindi la rinuncia alla maternità è la causa principale della
lesione della dignità umana della gestante e deve essere affermata a
prescindere dalla natura onerosa o gratuita del contratto36 (questione
30
Correttamente e con la sua consueta lucidità G. Luccioli, La maternità surrogata, in
Giudicedonna n. 1/2017, la quale rileva che “è soltanto con riferimento alla gravidanza
ed al parto, e non alla provenienza del materiale genetico, che è ravvisabile un fatto
di maternità surrogata”.
31
Corte cost. n. 162 del 2014.
32
V. la già citata relazione inedita citata alla nota 13 del testo.
33
V. Parere del Comitato di Bioetica del 18 marzo 2016, anche se si tratta di parere
riguardante la surrogazione di maternità a titolo oneroso.
34
Ci si riferisce al bel saggio di A. Ruggeri – C. Salazar, “Non è lecito separarmi da ciò
che è mio”: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in
Consulta Online, n. 1/2017, p. 143. Riflessioni interessanti nel saggio di E. Lamarque,
Navigare a vista: il giurista italiano e la maternità surrogata, pubblicato sulla rivista
Giudicedonna n. 1/2017.
35
Apparso nella sua prima edizione nel 1985.
36
Alcuni Paesi, come di recente il Portogallo, hanno invece legalizzato solo forme di
678
The best interest of the child
che correttamente non viene affrontata dalla Corte) e dal consenso della gestante al contratto di maternità surrogata, stante l’indisponibilità del principio di dignità umana, che si pone prima e al di sopra di
ogni diritto fondamentale. La questione potrebbe avere diversa soluzione ove si ritenesse che la surrogazione di maternità, piuttosto che
essere uno strumento di sfruttamento dell’utero di una donna, fosse
concepito come un progetto condiviso37. Secondo questa impostazione,
la surrogazione della maternità non sarebbe di per sé lesiva della dignità umana della donna, ma sarebbe anzi a tutela della sua dignità,
intesa nella diversa accezione di libertà di autodeterminazione38. Non
condivido questa nozione liquida di dignità, in quanto ritengo che la
dignità, quale diritto dei diritti sia irrinunciabile, indipendentemente
dalla volontà e da un progetto che potrebbe astrattamente avere anche
un contenuto solidale39.
Il profilo di commercialità che, come si è detto, specifica e legittima la
contrarietà di questa pratica e la lesività della dignità della donna gesurrogazione di maternità connotate dalla gratuità. V. al riguardo la decisione del
Tribunale meritevolezza della surrogazione solidale, v. anche in dottrina V. Scalisi,
Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1097 ss.; ID., Il
superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, ivi, 2018, p. 405 ss.
37
Si è parlato di “patto di gravidanza”. V. il disegno di legge Disposizioni in materia di
regolamentazione della surrogazione di maternità presentato da un gruppo di studiosi e
reperibile sul sito della rivista www.art.29.it.: M. Gattuso – A. Schillaci, Un sasso
nello stagno: uno schema di legge di articolo 29 per la regolamentazione della surrogazione di
maternità. All’art. 2 della relazione si legge: “Finalità della presente legge è garantire il diritto
ad una procreazione responsabile per le coppie italiane sterili o infertili, assicurando tuttavia,
al contempo, il pieno esercizio del diritto della donna alla autodeterminazione, in condizioni di
libertà e di spontaneità della scelta. Vietare ad una donna di autodeterminarsi in relazione alla
propria capacità di procreare… appare in fin dei conti pregiudizievole della stessa dignità della
donna”. In questo progetto colpisce un diritto di ripensamento della donna gestante che
può ripensare sulla sua scelta di rinuncia alla maternità. Colpisce altresì il diritto di visita
che viene accordato alla madre gestante in caso di rinuncia alla maternità e quindi di
rispetto del patto di gravidanza. Si tratta di strumenti che inevitabilmente ledono il
diritto del nato non solo ad una identità ma alla serenità familiare.
38
Sembra accogliere questa accezione la decisione del Tribunale costituzionale
portoghese n. 225/2018 a proposito del problema di costituzionalità della legge
portoghese sulla surrogazione di maternità. Sul tema, v. C. Cersosimo, La
legalizzazione della surrogazione di maternità in Portogallo, articolo pubblicato sulla
rivista Familia, 19 novembre 2018. In questo parere viene citata la dottrina italiana e
la posizione autorevole di V. Scalisi.
39
V. al riguardo la mia relazione inedita citata alla nota 13 del testo. La nostra
giurisprudenza di merito, in un’unica decisione ha affermato la meritevolezza di
una surrogazione di maternità di carattere solidale, v. T. Roma, 17 febbraio 2000.
Sulla illiceità ma non sulla immoralità di questo accordo, v. in dottrina C.M. Bianca,
Diritto civile 2.1., La famiglia6, Milano, 2017, p. 446.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
679
stante, non attiene tanto alla prestazione ma allo status di madre e tale
profilo riguarda anche il nascituro40. Nella decisione che si commenta,
come si è detto, non è tuttavia fatto alcun riferimento alla dignità del
nascituro, diversamente da quanto espresso dal Comitato di bioetica41. Tale profilo è tuttavia essenziale per spostare l’asse del problema
sull’interesse del minore e per fare valutazioni concrete e complessive sul suo migliore interesse che, altrimenti, rimane formula bella ma
vuota. La dignità del nascituro appare lesa, non solo in quanto egli è
trattato al pari di una res, ma anche perché la progettazione della sua
nascita lo espone al rischio di incertezza in ordine alla sua identità filiale. La lesione della dignità del nascituro deve essere affermata indipendentemente dal problema (peraltro già risolto) del riconoscimento
della sua soggettività e del suo essere persona. La dignità, in quanto
Kern, ovvero nucleo di tutti i diritti fondamentali, prescinde anche dal
riconoscimento della soggettività e della capacità giuridica, secondo le
riflessioni teoriche e filosofiche più avanzate42. Quindi la dignità spetterebbe al nascituro e all’embrione, indipendentemente dalla opinione
che si voglia accogliere in ordine alla sua soggettività.
Queste riflessioni contribuiscono ad integrare il giudizio sul migliore interesse del minore nato da surrogazione di maternità.
Se si accoglie l’idea che la surrogazione di maternità determina
al contempo la lesione della dignità della madre e del nascituro, ci si
avvede che ordine pubblico e interesse superiore del minore, almeno
inteso in questa specifica accezione, non risultano in contrasto, non
potendosi affermare che l’uno sia prevalente rispetto all’altro.
Sempre con riferimento al superiore interesse del minore, da intendersi anche come interesse alla certezza del suo status filiale vorrei
accennare ad altra questione.
Le Sezioni Unite in questa decisione, come enunciato nelle premesse,
accolgono una nozione di ordine pubblico diversa da quella contenuta
nella decisione del 2016 sul caso delle due madri43 e scelgono la nozione
40
V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., p. 445: “Del concepito non si può infatti
disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il
futuro stato familiare del nascituro”. Su questo aspetto v. la relazione di J. Ramon
de Verda y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la
cuestion en el derecho espanol, cit.
41
V. il già citato parere del Comitato di Bioetica.
42
Per queste riflessioni, si rinvia alla mia relazione inedita sulla dignità citata alla nota
13 del testo.
43
Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, pubblicata in Foro it., 2016, I, c. 3329 con nota di
680
The best interest of the child
di ordine pubblico contenuta nella decisione a S.U sui danni punitivi44,
anche se con un’argomentazione talvolta ambigua che sembra voler celare il contrasto ed evidenziare linee di continuità. Al di là del linguaggio utilizzato, è infatti evidente che, diversamente dalla soluzione data
nel 2016 (nel caso delle due mamme), in cui l’ordine pubblico rinviava
al complesso di principi “desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in questa
decisione si mette l’accento sul “modo [in cui gli stessi principi] “sono
incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dall’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria”.
Tuttavia, forse anche allo scopo di non smentire del tutto quanto
deciso dalla prima sezione45, pur discostandosi dal contenuto dell’ordine pubblico enunciato in quella decisione, si riproduce la medesima
distinzione tra fecondazione eterologa che si verificherebbe in quella
ipotesi (caso di due donne l’una che dona il suo ovulo all’altra che porta
avanti la gravidanza all’altra) e il la surrogazione di maternità che caratterizzerebbe la presente questione della doppia genitorialità maschile.
In particolare si afferma in motivazione che “le due fattispecie hanno in
comune il fatto che il concepimento e la nascita del minore hanno avuto
luogo in attuazione di un progetto genitoriale maturato nell’ambito di
una coppia omosessuale, con l’apporto genetico di uno solo dei partner, differenziandosi invece per il numero di terzi estranei (due anziché
uno) che hanno cooperato al predetto scopo, e soprattutto per il contributo fornito da uno di essi, che risulta però determinante ai fini della
disciplina applicabile”. Ora come allora mi sembra che appaia dubbia
la distinzione in quella fattispecie della nozione di fecondazione eterologa e di surrogazione di maternità, distinzione che certamente non
può fondarsi sul numero di soggetti altri (uno o due) che partecipano al
progetto di nascita. Potrebbe infatti ritenersi che si abbia surrogazione
di maternità anche in quella ipotesi, se pure di tipo solidale e affettivo,
in quanto una delle due donne rinuncia alla gestazione e alla maternità.
Si potrebbe ritenere invece che nel caso dei due papà si ha surrogazione
G. Casaburi, ivi, c. 3349. Per un costante sviluppo di quell’orientamento v. Cass. 16
giugno 2017, n. 14987 annotata da G. Casaburi, in Foro it., 2017, I, c. 2280.
44
Cass. S.U. 16601/2017.
45
Paventava il rischio di una grave delegittimazione della sezione semplice G.
Casaburi, nella nota all’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite 22 febbraio 2018,
n. 4382, in Foro it., 2018, I, c. 791.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
681
di maternità solo in quanto si tratta di un soggetto estraneo alla coppia?
L’insieme di questi quesiti fanno emergere la debolezza di questa distinzione ma soprattutto il paradosso che essa disvela sotto il profilo
ordinamentale. Ma al di là di queste riflessioni, occorre affermare che
per il nostro diritto vigente delle due donne l’unica che può considerarsi madre è colei che ha portato avanti la gravidanza, dato che la legge 40
dà l’accesso alla fecondazione assistita, sia essa omologa che eterologa,
alle sole coppie di sesso diverso affette da sterilità. Qui mancherebbero
entrambi i presupposti per poter inquadrare la fattispecie nell’ambito
della fecondazione: la diversità di sesso della coppia che accede e la
mancanza di sterilità, elemento che legittima il ricorso a tale pratica.
Il riconoscimento della doppia genitorialità femminile, oltre a non
essere fondato sul sistema vigente, porterebbe inoltre a creare una discriminazione all’interno delle coppie omoaffettive in quanto per quelle maschili vi sarebbe sempre una violazione del divieto di surrogazione di maternità e un genitore di intenzione, fattispecie da ritenersi
eccezionale per le coppie omoaffettive femminili.
Il paradosso, di per sé fondato su natura, sarebbe irrilevante se non
si considerasse il diverso trattamento che si riserva al nato. Nel caso di
due donne (con donazione dell’ovulo da parte dell’una e gravidanza
da parte dell’altra), il bambino avrebbe automaticamente sempre due
genitori, mentre nel caso di due uomini ne avrebbe sempre e sicuramente solo uno, che è quello biologico ed eventualmente altro attraverso l’adozione non piena! Sembra in definitiva che il problema della
dignità del nato da intendersi anche quale diritto alla certezza del proprio status filiale e alla bigenitorialità, sarebbe soddisfatto in maniera
diversa a seconda del genere della coppia omoaffettiva.
Questi rilievi contribuiscono ad aggrovigliare la matassa dei criteri
di instaurazione della filiazione, rendendo evidente il ruolo prevalente
che, almeno in questa decisione, si attribuisce al dato biologico, nonostante il rimedio dell’adozione in casi particolari. Risulta invece decisamente ridimensionato il ruolo della genitorialità di intenzione che
assume pertanto una posizione recessiva46.
3. L’eliminazione dell’automatismo della genitorialità
e del giudizio in ordine al Best interest of the child
46
Si rinvia al § 4 del testo.
682
The best interest of the child
Altro sicuro merito di questa decisione è quello di aver evitato un
automatismo in ordine alla genitorialità e in ordine alla valutazione
del migliore interesse del minore.
Quanto all’automatismo relativo alla genitorialità, è chiaro che la
trascrizione immediata di un provvedimento straniero di un bambino nato da surrogazione di maternità che indica come genitore colei
o colui che è privo di qualsiasi legame biologico con il nato, oltre alla
già rilevata questione di ordine pubblico, determinerebbe un automatismo nella instaurazione della genitorialità senza legame biologico
difficilmente giustificabile47, anche volendo ammettere che il nostro
ordinamento ha progressivamente attenuato la primazia del favor sanguinis48. Ritorna quindi operativo il modello tradizionale dell’adozione
che è stato quello prescelto per giustificare la genitorialità con legame
biologico assente, in presenza di precisi presupposti e di adeguati controlli da parte del giudice. Al più potrebbe concedersi che il genitore
di intenzione, proprio per la volontà che ha espresso di partecipare al
progetto di nascita del bambino possa assumere una posizione privilegiata rispetto ad altri soggetti che concorrono all’affidamento familiare, in quanto soggetto estraneo ma che ha concorso intenzionalmente
al progetto di nascita49. Ma si tratta di questioni che andrebbero valutate con attenzione de jure condendo in una riforma dell’adozione e
dell’affidamento, senza abdicare ad una valutazione complessiva che
dovrebbe tendenzialmente portare al contemperamento tra tutela del
nato da surrogazione di maternità ed esigenza di disincentivare il ricorso a questa tecnica.
L’eliminazione dell’automatismo in ordine alla genitorialità consente inoltre di eliminarne un altro ovvero quello in ordine alla realizzazione del Best interest of the child. Come accennavo in apertura,
rispetto al dibattito degli anni ‘80 che ha interessato animatamente i
civilisti, si è completamente dimenticato che il primo interesse del minore sarebbe, in un mondo ideale degli adulti, quello di non interrompere il rapporto con la donna che lo ha portato in grembo per nove
47
V. C.M. Bianca, op ult cit., p. 447, il quale a proposito del problema della trascrizione
del certificato di nascita del soggetto nato da surrogazione di maternità così si
esprime: “Se manca il nesso biologico è difficile giustificare l’accertamento del
rapporto di filiazione adducendo l’interesse del minore”.
48
V. il § 4 del testo.
49
Si rinvia alle riflessioni de jure condendo contenute nel § 4 del testo.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
683
mesi, contribuendo in maniera fattiva alla sua nascita50. Ma di questo
problema e della necessaria prevalenza della madre uterina ci siamo
completamente dimenticati e in queste decisioni viene omesso ogni riferimento, dando per scontato che chi partorisce dietro contratto, sia
tenuta a restituire il prodotto del parto, non avendo nessun rapporto
con il nato. Si dimentica tuttavia l’unica regola certa in tema di genitorialità che è quella stabilita dall’art. 269, terzo comma, regola che
stabilisce che è madre colei che partorisce. Credo che si tratti di regola
di grande civiltà che non è stata toccata nel corso delle varie riforme
(problema di per sé non dirimente e risolvibile con una legge che ne
sancisca l’abrogazione) in quanto traduce in regola giuridica un legame di fatto tra il nato e colei che lo partorisce. Si tratta di quelle poche
norme del sistema che, pur essendo il retaggio del modello tradizionale della filiazione biologica, mantengono vigore in quanto riguardano
un fatto di natura che difficilmente potrebbe cambiare, a meno che non
si arrivi un giorno a fare figli attraverso un robot. Il fatto che la madre
gestante sia da considerare la madre, al di là del contratto che ha stipulato, determina corollari tecnici significativi, ove si accolga la soluzione
dell’adozione, sia piena che particolare, in quanto sarebbe comunque
necessario un suo consenso all’adozione o una rinuncia alla sua maternità, anche esprimibile nella forma del parto anonimo. Tutte queste
questioni non solo non sono state mai affrontate ma sono state superate dall’automatismo del riconoscimento del provvedimento straniero,
dando per scontato che il superiore interesse del minore sia sempre e
indipendentemente da una valutazione in concreto, quello ad avere,
oltre al genitore biologico, il partner dello stesso, anche in assenza di
alcun legame biologico. La rimozione di questo automatismo riapre il
dibattito e mette tutte le questioni nuovamente sul piatto. In motivazione il tema della possibile prevalenza della madre uterina non risulta
tuttavia neanche sfiorato.
Altro punto in cui si rileva una contraddizione nella motivazione
della decisione è che, pur negandosi in via di principio un interesse
50
C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, cit., p. 445: “… è la gestazione che crea l’essenziale
e concreto rapporto materno in cui si realizza l’accoglimento dell’essere umano.
La forzata sottrazione del minore alla madre uterina appare quindi inammissibile
in ragione del preminente interesse del minore a mantenere il rapporto materno
già naturalmente costituito e vissuto”. L’A. Si era espresso in questi termini già nel
contributo Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir.
Fam., 1987, p. 955 e pubblicato ora in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti
giuridici, I, t. 2, cit., p. 709.
684
The best interest of the child
del minore a veder riconosciuto il rapporto di filiazione con il genitore
di intenzione, a differenza della Corte europea che nel citato parere
consultivo evoca la lesione del diritto alla vita privata, si indica genericamente la via della adozione in casi particolari. Quella sarebbe stata
l’occasione per argomentare sulla necessità di valutare in concreto tale
interesse e di concedere lo strumento dell’adozione in casi particolari
solo e quando (e mi si voglia scusare per la ripetizione) in concreto sia
dato riscontrare un rapporto di affettività tra il genitore di intenzione e
il nato, come affermato dalla Corte Europea nel citato parere consultivo51. Quanto alla indicazione dello strumento giurisprudenziale della
cd. Stepchild Adoption, ritengo che, benché modello ormai operante nel
diritto effettivo delle corti di merito e di legittimità52, esso sia il frutto
di una geniale ma sicura forzatura del dettato della legge. L’interpretazione della costatata impossibilità di affidamento, attraverso il suo
eloquente aggettivo, rinvia inevitabilmente ad una impossibilità di
fatto e non all’escamotage della impossibilità di diritto53. La questione
della valutazione in concreto del legame affettivo tra genitore di intenzione andrebbe più opportunamente collocata in una riforma della
legge delle adozioni che si faccia carico di estendere l’ipotesi indicata
alla lett. b) dell’art. 44 della legge sulle adozioni, ovvero l’adozione del
figlio del coniuge, ipotesi normativa che, già in seno al dibattito in ordine alla introduzione della legge sulle unioni civili e le convivenze
di fatto si era proposto di estendere al convivente e all’unito civile.
Si tratta infatti di adeguare il sistema delle adozioni al mutato assetto
familiare. Si potrebbe anche pensare ad un affidamento familiare che
sarebbe spurio in quanto non connotato dall’impossibilità della famiglia di origine. Esso potrebbe tuttavia essere uno strumento utile per
evitare l’abbandono materiale e morale del bambino e per avere un
adeguato periodo di tempo per controllare effettivamente la capacità
affettiva del genitore di intenzione. Ove invece si accolga la bontà del
ricorso all’art. 44 lett. d) della legge sulle adozioni, come indicato dalla
Corte, e quindi al modello giurisprudenziale della Stepchild Adoption,
51
V. il Parere citato alla nota 17 del testo: “Ce que requiert l’intérêt supérieur de l’enfant
– qui s’apprécie avant tout in concreto plutôt qu’in abstracto – c’est que ce lien, légalement
établi à l’étranger, puisse être reconnu au plus tard lorsqu’il s’est concrétisé. Il appartient
en principe non pas à la Cour mais en premier lieu aux autorités nationales d’évaluer, à la
lumière des circonstances particulières de l’espèce, si et quand ce lien s’est concrétisé”.
52
V. al riguardo C. 22 giugno 2016, n. 12692.
53
V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., p. 504.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
685
andrebbe comunque richiesto un consenso di colei che per il nostro
diritto positivo è la madre, ovvero la donna gestante, ovvero una formale rinuncia alla maternità anche attraverso lo strumento del parto
anonimo. D’altra parte e con riferimento all’ ipotesi dell’adozione in
casi particolari del figlio del coniuge (art. 44, lett. b), la giurisprudenza
richiede sempre il consenso del genitore54.
4. Il Best interest del nato da surrogazione di maternità
e l’ordine pubblico. Riflessioni de jure condendo
Esaurite queste questioni posso dedicarmi al tema che ritengo principale, ovvero il rapporto tra ordine pubblico e interesse del minore. Il
tema farà emergere riflessioni di carattere più generale sulla complessità dei modelli di instaurazione della filiazione e sulla necessità di un
intervento del legislatore. Quanto al primo tema, la Corte ha affermato
in maniera generica la prevalenza dell’ordine pubblico sull’interesse
del minore. Non so se di prevalenza può parlarsi dato che entrambi, il
valore della dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione
da un lato e l’interesse del minore dall’altro appartengono al complesso dei valori interni e condivisi a livello internazionale e quindi sono
diverse accezioni del medesimo concetto di ordine pubblico. Occorre
poi intendersi su che cosa debba intendersi per interesse del minore
del nato da surrogazione di maternità. Come si è cercato di evidenziare in queste pagine, la fascia degli interessi del minore non sono
riducibili alla sola questione del riconoscimento della genitorialità di
intenzione, ma ricomprendono una serie di interessi tutti essenziali e
tutti richiedenti una adeguata selezione, operazione che è demandata,
come correttamente indica la stessa Corte, al legislatore. Nel caso di fecondazione eterologa, la legge ha deciso chi è il padre e chi è la madre,
operando scelte bene precise. La legge n. 40 stabilisce che colui che ha
dato il consenso alla fecondazione eterologa non può disconoscere il
nato e la madre che ha dato il consenso non può esercitare il diritto di
anonimato. Ha anche stabilito che il donatore o la donatrice non sono
genitori. Tuttavia queste regole certe non impediscono che il problema
della dignità del nato alla certezza delle sue figure genitoriali sia leso,
anche in situazioni non perfettamente coincidenti con la fattispecie della surrogazione della maternità. Basta evocare al riguardo il problema
54
V. Cass. 16 luglio 2018, n. 18827.
686
The best interest of the child
della procreazione medicalmente assistita post mortem55 o il problema
dello scambio degli embrioni che si è posto tragicamente nella vicenda
dell’ Ospedale romano Sandro Pertini56. Si tratta di vicende che scoprono il vaso di Pandora e denunciano la necessità di una riforma che
possa dare regole certe per queste vicende della vita umana un tempo
non immaginabili né prevedibili57. Per il nato da maternità surrogata
il problema risulta più complesso ed urgente in quanto contaminato
da altre questioni, tra le quali la necessità di scoraggiare l’uso di una
tecnica barbarica e spesso strumento di sfruttamento della povertà.
Deve al riguardo ritenersi che, nonostante l’autorevole intervento delle sezioni unite, il problema della certezza sulle figure genitoriali non
possa ritenersi risolto. Tra i vari quesiti che affollano l’interprete e che
chiedono una pronta soluzione, vi è quello della necessaria selezione che occorre fare tra i vari criteri che concorrono a individuare il
rapporto di genitorialità (verità, sangue, affettività e cura)58. In passato
un grande Maestro, Giorgio Oppo ne aveva formulati due che si attagliano perfettamente alla questione qui trattata: “Quale legame può
intercorrere, anche nel rispetto dell’interesse del nascituro, tra coloro
che concorrono alla fecondazione? Qual è il ruolo della responsabilità
di chi, a uno o altro titolo, interviene nel processo della procreazione?
Quale in particolare il rapporto tra responsabilità per il concepimento
o per la fecondazione e vita futura?”59
55
V. le numerose decisioni pubblicate in Foro it. In particolare Corte di appello Ancona,
12 marzo 2018; Trib. Bologna 25 agosto 2018; Trib. Messina, 28 settembre 2017 con
nota di G. Casaburi, in Foro it. 2019. Dello stesso autore e nella stessa rivista 2019 v.
la nota a Trib. Roma, 8 maggio 2019 e Cass. 15 maggio 2019, n. 13000.
56
V. Trib. Roma, 20 agosto 2014 con mia nota di commento Il diritto del minore ad avere
due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo
scambio di embrioni, in Dir. fam., 2015, p. 186. In quel commento avevo cercato di
ipotizzare delle soluzioni de jure condendo, come la prevalenza della madre genetica
in caso di rinuncia della madre uterina; Trib. Roma 10 maggio 2016, in Foro it., 2016,
I, c. 2925, con nota di G. Casaburi.
57
Per queste riflessioni si rinvia alle sempre acute osservazioni di G. Casaburi, Le
nuove forme di genitorialità: alla ricerca di fondamenta normative differenziate, Nota a Trib.
Pisa, 15 marzo 2018 e Trib. Milano, 18 aprile 2017, in Foro it 2018, I, c. 1810.
58
Sulla maternità surrogata si rinvia allo scritto di M. Acierno, Le nuove genitorialità.
Fonti e orientamenti giurisprudenziali, cit.; sulla complessità dei vari modelli di
genitorialità, v. G. Casaburi, “Grande è la confusione sotto il cielo”: genitorialità affettiva,
biologica, genetica, sociale; incertezze e fluidità della giurisprudenza, Nota a Cass. 29
novembre 2016, n. 24292, in Foro it., 2017, I, c. 167.
59
Cosi testualmente G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 47, quesiti
VI e VII.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
687
È solo il legislatore che può stabilire quale criterio sia da ritenere
prevalente. Dalla decisione che qui si commenta sembra che, nonostante tante riflessioni importanti sulla genitorialità sociale, testimoniate sia dalla giurisprudenza che dal legislatore, la prevalenza sia
attribuita al dato biologico, inteso in senso unitario sia come sangue
e come dato genetico. Per questo motivo si afferma la legittimità del
riconoscimento delle due madri nel caso deciso nel 2016 mentre la si
nega qui per il genitore di intenzione. Emerge tuttavia in tutta la sua
portata l’esigenza di stabilire il rilievo che l’ordinamento deve e vuole
assegnare alla genitorialità di intenzione. In questa riflessione occorre
considerare che la genitorialità di intenzione non sempre coincide con
quella sociale, in quanto nella prima, a differenza della seconda, l’elemento caratterizzante non è appunto la socialità del rapporto affettivo,
ma la volontà e quindi l’intenzione di diventare genitori, partecipando
a vario titolo al procedimento di nascita, pur in mancanza del dato
biologico. Le due nozioni possono talvolta sovrapporsi quando si attribuisce rilevanza al genitore di intenzione solo quando è diventato sociale in quanto ha instaurato un consolidato legame affettivo con il nato.
Nella fecondazione eterologa l’intenzione del padre biologico è ritenuta tale da superare il dato dell’assenza del legame biologico perché è
la legge a dirlo. Il tema rimane scoperto per il nato da surrogazione di
maternità, tema che richiede una necessaria gradazione degli interessi
in gioco. In questa sede possono essere date solo alcune suggestioni.
Al riguardo mi sembra che il primo interesse che andrebbe privilegiato è l’interesse del minore a mantenere il rapporto con la madre che
lo ha partorito. Solo ove la madre gestante rinunciasse alla maternità
riemergerebbe il diritto del minore ad una famiglia. In primo luogo,
come affermato dalla Corte, questo diritto potrebbe essere soddisfatto
attraverso il riconoscimento del genitore biologico, ove esistente. Ritorna poi il problema della rilevanza del genitore di intenzione, partner
del genitore biologico. Non si tratta di risolvere il problema del diritto
del minore ad una famiglia, in quanto in questo caso il bambino ha
già una figura genitoriale di riferimento, ma di dare voce al legame
affettivo che lega il genitore di intenzione al nato. La genitorialità di
intenzione assume in questo caso rilevanza solo in quanto affiancata
dalla genitorialità biologica dell’altro partner e dal legame di affettività
del genitore intenzionale con il bambino, legame di cui deve accertarsi
la concretezza del vissuto. In buona sostanza il genitore di intenzione
acquista rilevanza solo in quanto è diventato anche genitore sociale.
688
The best interest of the child
Si tratta della fattispecie oggetto della decisione che si commenta e
dell’orientamento che emerge dalla lettura del recente parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo60. E se mancasse il legame
biologico per entrambi i soggetti, pur essendo presente la sicura intenzione di diventare genitori? Si tratta del caso deciso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017 (caso Paradiso
Campanelli)61. Devo subito rilevare che in casi di questo tipo, oltre ai
possibili rischi di abuso, siamo completamente al di fuori della fattispecie della surrogazione di maternità, la cui parola surrogazione indica
la gestazione di una donna per altri, e quindi o per la figura maschile
che fornisce il materiale genetico o per la figura femminile che fornisce
il proprio materiale genetico. In caso di mancanza assoluta di legame
biologico si tratta di una mera ipotesi di “programmazione di nascita”.
Correttamente la Grande Camera della Corte europea ha escluso ogni
rapporto di genitorialità, giudizio corroborato anche dalla assenza di
un consolidato rapporto affettivo tra i genitori di intenzione e il nato.
Rimane da chiedersi se, in luogo di mettere il bambino in stato di abbandono, l’ordinamento se la senta di attribuire una qualche rilevanza
a chi, sia pure illecitamente, ha contribuito a programmare la nascita di
un essere umano. Ritorna qui il quesito posto tanti anni fa da Giorgio
Oppo. A quel quesito ne aggiungerei altro: chi deve pagare il prezzo di
questa operazione? Sicuramente occorrerebbe evitare il più possibile
pregiudizi al minore e quindi il collocamento per anni in istituti, in attesa di una famiglia. Solo avendo come faro questo interesse, l’ordinamento potrebbe valutare la scelta di ammettere i genitori di intenzione
all’affidamento familiare. Tale strumento, che non richiede particolari
requisiti soggettivi potrebbe assolvere ai requisiti di celerità ed efficienza
indicati dalla Corte europea nel citato parere consultivo, senza condurre all’automaticità dell’attribuzione della genitorialità. L’affidamento
60
Importante al riguardo un passaggio di quel parere: “l’intérêt supérieur de l’enfant
comprend aussi l’identification en droit des personnes qui ont la responsabilité de l’élever, de
satisfaire à ses besoins et d’assurer son bien-être, ainsi que la possibilité de vivre et d’évoluer
dans un milieu stable, la Cour considère toutefois que l’impossibilité générale et absolue
d’obtenir la reconnaissance du lien entre un enfant né d’une gestation pour autrui pratiquée
à l’étranger et la mère d’intention n’est pas conciliable avec l’intérêt supérieur de l’enfant, qui
exige pour le moins un examen de chaque situation au regard des circonstances particulières
qui la caractérise.”.
61
Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera decisione del 24 maggio 2017,
in Nuova. g. civ., 2017, I, p. 501 ss.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
689
consentirebbe, attraverso il decorso del periodo biennale, di controllare l’idoneità affettiva dei soggetti e la loro capacità genitoriale.
Qualunque sia la scelta del legislatore, un buon legislatore dovrebbe evitare in ogni caso di dare voce al diritto degli adulti e ad un inesistente diritto alla filiazione62, ma al diritto del nato ad essere trattato
come tutti gli altri nati, indipendentemente dalle vicende che hanno
causato la sua nascita. Si tratterebbe così di dar voce ad una nuova
prospettiva del principio di uguaglianza che tenga conto dell’uguale
diritto dell’individuo ad avere e a sapere chi sono i suoi genitori. Con
specifico riferimento alla surrogazione di maternità occorrerebbe trovare una composizione non facile tra l’esigenza di disincentivarne la
pratica e l’individuazione di soluzioni adeguate per risolvere il problema del diritto del nato.
Nella ricerca di questa difficile opera di composizione degli interessi in gioco, è chiaro che un legislatore attento dovrebbe considerare il
problema a tutto tondo e non limitarsi a prevedere la sanzione per la
pratica di surrogazione della maternità, ma preoccuparsi di individuare
degli strumenti che possano disincentivare il riscorso a tale strumento.
Tale problema è sicuramente da affrontare perché la sanzione penale è
stata di fatto depenalizzata e non rappresenta più un disincentivo. Forse
l’idea di prevedere un reato universale o un’illiceità del contratto a carattere universale63, al di là della connotazione negativa in senso repressivo,
potrebbe essere un tentativo per fermare il turismo riproduttivo. Non
credo che la previsione di una rilevante sanzione pecuniaria potrebbe
essere un vero disincentivo, tenendo in considerazione che coloro che
ricorrono a questa pratica di solito sono persone molto benestanti.
Occorre piuttosto volgere lo sguardo al di là di questa specifica tematica e rendersi conto che uno dei problemi più urgenti da risolvere è
quello di dare una famiglia a tutti i minori in stato di abbandono, problema che non può ritenersi subordinato rispetto a quello del minore
nato da surrogazione di maternità.
Sono arrivati i tempi per una tanto auspicata riforma delle adozioni
che possa porsi nel futuro quale sicura alternativa alla maternità surrogata e che non lasci più alcun alibi a chi vuole un figlio.
62
Si rinvia al riguardo a A. Morace Pinelli, Verso una riforma delle adozioni, in Fam e dir
2016, p. 719 ss.
63
Suggerimento dato dal Comitato di bioetica spagnolo nel citato parere del 2017.
690
The best interest of the child
Occorrerebbe potenziare tale procedimento rendendolo più snello ed efficiente. Sarebbe altresì necessario aprire l’adozione alle coppie conviventi, siano esse omosessuali che eterosessuali, nonché alle
persone singole. Questa riforma delle adozioni 64, oltre a risolvere il
problema dei minori senza famiglia, potrebbe temperare e arginare il
fenomeno della surrogazione di maternità, evitando che il desiderio
di filiazione possa tradursi in un dato di illiceità per il sistema e di
incertezza per il nato. L’adozione, per la sua innegabile natura solidarisitica65, consentirebbe di essere genitori e di compiere un grande dono:
dare ad un minore la famiglia che non ha66.
5. La decisione della Corte Costituzionale n. 221 del 2019
Il tema della ricerca del best interest of the child ha ricevuto una compiuta e direi completa definizione a seguito della recente pronuncia
della Corte costituzionale n. 221 di ottobre scorso (2019). Con tale pronuncia che riguarda il problema della illegittimità della legge n. 40
laddove prevede l’accesso alla procreazione medicalmente assistita
delle coppie dello stesso sesso, la fumosa problematica della individuazione del best interest of the child ha ricevuto la c.d. quadratura del
cerchio. La Corte, nel ritenere non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5 e 12 della legge n. 40, nella parte in cui
escludono l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie dello stesso sesso, ha enunciato in termini generali una distinzione
fondamentale tra il migliore interesse del minore in astratto e in concreto, distinzione che appariva alquanto fumosa nelle recenti questioni
che sono state portate all’attenzione della giurisprudenza. Dovendosi
occupare della questione della legittimità costituzionale della legge
n. 40, nelle disposizioni che ne regolano l’accesso, la Corte ha avuto
64
V. al riguardo la proposta di legge Rosato n. 630, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.
184 e delega al Governo per la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento e l’adozione
di minori, presentata il 15 maggio 2018. Tale proposta è il risultato di un’importante
indagine conoscitiva della Commissione Giustizia della Camera, condotta nella
precedente legislatura sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in
materia di adozione ed affido. Il documento conclusivo è del 7 marzo 2017.
65
Mi ero espressa in questi termini nel corso dell’Audizione alla Commissione
Giustizia della Camera del 16 maggio 2016 relativa all’indagine conoscitiva sulla
riforma della legge sull’adozione citata alla nota precedente del testo.
66
Commovente è l’esperienza di Luca Trapanese raccontata nel libro L. Trapanese – L.
Mercadante, Nata per te, Torino, 2018.
Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
691
modo di porre una netta distinzione tra la situazione riguardante la
creazione di un essere umano che ancora non esiste e quella riguardante
un minore già nato. La contrapposizione netta tra le due situazioni ha
consentito alla Corte di affermare per la prima volta la distinzione tra
due diversi piani di indagine, individuando una distinta valutazione
del migliore interesse del minore.
Quanto al primo piano di indagine, la Corte, confermando il divieto
della maternità surrogata, afferma che fondamento unico ed esclusivo
per poter accedere alla procreazione medicalmente assistita è uno stato
di infertilità accertato. Tale stato permette alla Corte di escludere quella
che correttamente viene denominata come “infertilità fisiologica” della
coppia omosessuale. Il fondamento normativo della ratio della legge n.
40 porta ad escludere che il mancato accesso delle coppie omosessuali
alla procreazione medicalmente assistita possa essere ritenuta espressione di una discriminazione. Questo primo piano di indagine consente di negare in termini generali l’esistenza di un diritto a procreare, che
non può essere facilmente confuso con il desiderio di diventare genitori.
Qui emerge l’individuazione del Best interest of the child in astratto e
tale interesse che, riguarda la scelta in ordine alla procreazione di un
minore (chiaramente ancora non nato) è quello di avere una famiglia
composta da una mamma e da un papà. Il riferimento alla eterosessualità quale modello di famiglia ideale non è tuttavia affermata come premessa di tipo ideologico ma è il risultato di una riflessione sistematica67
e di un ragionamento che pone al centro di ogni questione il minore e
il suo migliore interesse, abbandonando la prospettiva adultocentrica
che, riconoscendo un presunto diritto a diventare genitori sposta l’asse
dell’attenzione sull’interesse degli adulti.
Questo primo piano di indagine viene nettamente distinto dal secondo, che attiene alla valutazione del migliore interesse del minore
già nato. Qui la Corte riconosce la validità di strumenti come l’adozione legittimante che possono risolvere il problema della conservazione delle relazioni affettive del minore con il genitore sociale, relazioni
che vengono considerate meritevoli, se pure sempre bisognose di una
valutazione in concreto. Si afferma significativamente “che vi è una
differenza essenziale tra l’adozione e la PMA. L’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una
67
Si rinvia al riguardo allo scritto di S. Sandulli, L’eterogenitorialità nel sistema del diritto
dei minori, in questo volume.
692
The best interest of the child
coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è
privo… L’interesse de minore a mantenere relazioni affettive già di
fatto instaurate e consolidate va valutato in concreto. La PMA di contro
serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza… il bambino deve ancora nascere: non è perciò irragionevole che il legislatore si preoccupi di
garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono in astratto, come
le migliori condizioni “di partenza”.
Mi sembra che questa pronuncia della Corte Costituzionale rivesta
un’importanza istituzionale molto importante che pone le basi per una
migliore comprensione del Best interest of the child. Si tratta di valutazione che pone due diversi livelli di indagine. Quella in astratto spetta
al legislatore, quella in concreto ai giudici. Si tratta di distinzione necessaria e utile. L’abbandono di prospettive adultocentriche volte al
riconoscimento di un presunto diritto alla genitorialità ci restituisce
il senso di una dimensione più umana della procreazione sottratta al
mito dell’autodeterminazione e all’esasperato gioco della presunta violazione del principio di non discriminazione. Con ragionevolezza si
punta nuovamente il faro sul minore e sui suoi diritti, spazzando via
tutto quanto è fuori da questo cono di luce.
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Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti
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Due non è uguale a uno più uno.
Bigenitorialità e rapporti omoparentali*
Emanuela Giacobbe
Sommario: 1. Posizione del tema: 1+1. – 2. Bigenitorialità è eterogenitorialità. – 2.1 – Le coppie omosessuali non sono bigenitoriali. – 3. Inidoneità dei genitori e omogenitorialità adottiva. – 4. Una conseguenza poco
consequenziale. – 5. Il diritto non discrimini. Ma la natura differenzia.
1. Posizione del tema: 1+1 – È affermazione sufficientemente consolidata, in linea tendenziale, ed altrettanto condivisibile, che un minore abbia diritto – sin dove possibile – ad avere entrambe le figure genitoriali1,
le quali si identificano, o dovrebbero identificarsi, nella mamma e nel
papà. Nella sua evidenza, tuttavia, tale affermazione merita di essere
rettificata: il minore non tanto ha diritto ad avere una mamma ed un
papà, quanto piuttosto il minore ha una mamma ed un papà, che poi
possono anche essere viventi o defunti, noti o ignoti, buoni o cattivi, ma
pur sempre la sua mamma ed il suo papà, nella misura in cui un uomo
ed una donna, o quanto meno un gamete maschile (detto negli animali
spermatozoo) e femminile (detto negli animali ovocita o cellula uovo)2
sono indispensabili al fine di generare una nuova vita.
Si è detto che l’argomento naturalistico è rozzo3, ma, piaccia o non
piaccia, il diritto qualifica i fatti, non li crea4.
1
Cfr. M. Dogliotti, F. Astiggiano, Le adozioni, Milano, 2014, 42, ancorché la
affermazione verrà significativamente ridimensionata in M. Dogliotti, Davanti alle
sezioni unite della cassazione i “due padri” e l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione
assai discutibile, in www.articolo29.it
2
Dal greco γαμέτης gametes “marito” / γαμετή gameté “moglie”
3
G. Mastrangelo, L’affidamento, anche eterofamiliare, di minori ad omosessuali. Spunti per
una riflessione a più voci, in Fam e dir., 2014, 351 s.,
4
R. G. Pothier, Trattato del contratto di matrimonio, III, Milano, 1813, 282 ss., ove si
696
The best interest of the child
Padre viene dal greco π α ω, che significa nutro, ed individua colui
che “si occupa” del bambino e che – in taluni casi presumibilmente –
dovrebbe o potrebbe averlo generato.
Madre, invece, è colei che genera e nutre, ed infatti colei che nutre
senza generare è la nutrice/balia5. Madre si identifica, nel vocabolario
scientifico, con l’instrumento dentro cui si forma checchessia, da mater, cioè cagione, da cui matrice.
È scientificamente inesatto, oltre che probabilmente inappropriato,
utilizzare “arguzie bibliche” al fine di confutare tale assunto e nobilitare una genitorialità non generativa6: senza andare a quelle esemplificazioni che potrebbero rasentare il blasfemo, basti osservare che
Rachele non era la madre dei figli che Giacobbe concepì con Bila, la
quale era una schiava (Genesi 30,3); Rachele sarà la mamma di Giuseppe, da lei partorito. Esattamente nei medesimi termini in cui Sarah
non è la mamma del figlio che Abramo ha avuto con Agar, ancora una
evidenziava la legge non poter cangiare la natura, né il destino degli uomini. Con
ciò non si vuole affermare che il diritto abbia la mera funzione di “registrare”
i fatti, poiché, partendo dai fatti, il diritto sceglie qualificazioni e regole, secondo
l’itinerario indicato da M. Costantino, L’identità del bambino e del concepito, voglie
individuali di anonimato e di rifiuto, in Riv. dir. civ., 2008, I, 747. Non crediamo di
poter concordare con V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come
diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, 405 ss., secondo cui anche i fatti sono portatori di una
prescrittività normativa, al fine di superare confliggenti prescrizioni normative non
più al passo con i tempi, invocando una nuova giuridicità non legale, salente dai fatti
della vita, senza neppure i tratti genetici dello ius di formazione consuetudinaria. I
fatti non creano norme, e la consuetudine, che più che un fatto è un comportamento,
non può comunque essere né contraria né abrogante la legge. I fatti, certamente,
possono denotare che la norma non è più aderente al nuovo contesto sociale, ma,
in tal caso, spetterà al legislatore modificarla o alla Corte Costituzionale dichiararla
incostituzionale.
5
Osserva L. D’avack, Il diritto alle proprie origini tra segreto, anonimato e verità nella PMA
con donatori/trici di gameti, in Dir. fam., 2012, 815 ss. come l’idea di nascere da qualcuno
non può essere assorbita, fittiziamente, nella idea di essere educati da qualcuno.
6
Cfr., per l’utilizzazione M. C. De Tommasi, Riconoscibilità dei c.d. “parental order”
relativi ad un contratto di maternità surrogata concluso all’estero prima dell’entrata in
vigore della legge n. 40/2004, in Fam e dir., 2010, 251 in una nota di commento ad App.
Bari, 13 febbraio 2009, onde approvarne la affermazione che nella determinazione
dello “status filiationis”, e quindi nell’attribuzione della maternità legale sul figlio
partorito a seguito di un procedimento di surrogazione di maternità, il c.d. “favor
veritatis” è recessivo rispetto al c.d. “favor filiationis, con la conseguenza che sono
riconoscibili nell’ordinamento dello Stato italiano i provvedimenti di attribuzione
della maternità legale alla madre “committente”, emessi dall’autorità giudiziaria del
Regno Unito (c.d. parental orders), a seguito del compimento di un procedimento
di surrogazione di maternità. Spiace osservare, sia consentito, che un Maestro del
diritto – v. V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ.,
2017, I, 1097 – faccia propria e riproponga analoga “facezia”.
Due non è uguale a uno più uno
697
volta una schiava, tant’è che quando Sarah partorirà Isacco, questo sì
suo figlio, farà scacciare Agar ed il di lei figlio Ismaele (Genesi 16,2),
con buona pace, potremmo dire oggi, di volontà, autodeterminazione,
responsabilità genitoriale e del c.d. best interest of the child7.
Mater, dunque, semper certa est, pater numquam, ed è per questo che
il comma 4 art. 30 Cost. dispone che la legge detta le norme ed i limiti
per la ricerca della paternità, e non già della maternità8.
La maternità è infatti dimostrata, ex comma 3 art. 269 cod. civ., provando la identità di colui che pretende essere figlio e di colui che fu
partorito dalla donna che si assume essere madre, individuandosi, con
tale previsione, l’oggetto della prova, prova che, ai sensi del comma 2
art. 269 cod. civ., può essere data con ogni mezzo. Norma sulla prova
è allora il comma 2 del citato art. 269, in virtù del quale la menzionata
identità può essere dimostrata con ogni mezzo9 e non già il comma 3,
il quale individua il fatto da provare – identità del nato con chi fu partorito – attraverso il quale si determina chi è la madre di chi si dichiara
essere figlio10.
7
Critica a detto argomento si è già mossa in E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione
umana al dominio volontaristico sul corso della vita, in Dir. fam., 2016, 590
8
Si vedano, sul punto, le puntuali osservazioni di M. N. Bugetti, Sull’esperibilità delle
azioni ex artt. 269 e 279 c. c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in
Fam. e dir., 2016, 476.
9
V. Trib. Parma 17 ottobre 1998, Dir. fam., 1999, 221; Cass. 26 febbraio1983, n. 1465,
secondo la quale in materia di dichiarazione giudiziale di maternità naturale, la
dimostrazione diretta dell’identità di colui che pretende di essere il figlio e colui che
fu partorito dalla donna che si assume essere la madre, dà la certezza assoluta del
rapporto di filiazione, ma non costituisce l’unica prova ammissibile al predetto fine,
potendo, in mancanza di quella dimostrazione, la prova della filiazione essere data
con ogni altro mezzo, anche presuntivo, ed in particolare attraverso altra sentenza
civile o penale da cui la maternità indirettamente risulti, salva restando la prova
contraria da parte del controinteressato.
10
Nel senso di cui nel testo Cass. 11 novembre 2014 n. 24001, Nuova giur. civ.
commentata, 2015, I, 241 con nota di C. Benanti, La maternità è della donna che ha
partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente
adottabilità del minore, e in Corr. giur. 2015, 471 con nota di A. Renda, La surrogazione
di maternità tra principi costituzionali e interesse del minore, e in Vita not., 2015, 674
con nota di A. Mendola, L’interesse del minore tra ordine pubblico e divieto di maternità
surrogata; Trib. Forli’, 25 ottobre 2011, Dir. fam. 2013, 532; A. La Torre, Maternità
“surrogata” e gravidanza “di urgenza”, in Giust. civ., 2000, II, 267. In senso contrario
Cass. 30 settembre 2016 n. 19599, in Corr. giur. 2017, 190, con nota di G. Ferrando,
Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, e in Vita not.
2017, 131 con nota di s. di gesù, La tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia
omogenitoriale, e in Dir. fam. 2017, 298, con nota di P. Di Marzio, Figlio di due madri?
e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 362 con nota di G. Palmieri, Le ragioni della
trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex., e
698
The best interest of the child
Significativa, in tal senso, è la circostanza che non esiste una azione
di disconoscimento della maternità11, il reclamo e la contestazione dello stato di figlio essendo previsti solo in caso di sostituzione di neonato
o supposizione di parto, ex artt. 239 ss. cod. civ12. Se così non fosse,
anche in ambito giuridico, sarebbe rimasta irrisolta, ed irrisolvibile, la
triste vicenda dello scambio di provette13.
Solo 1 (uomo) + 1 (donna) possono generare un figlio, ed è per questo che ogni bambino deve avere una mamma ed un papà14.
Vero è che, tra le righe della motivazione, in un pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione15 si legge che non vi è una preclusione
in Giur. it. 2017 2075 con nota di c. fossà, Filiazione. Il paradigma del best interest of the
child come roccaforte delle famiglie arcobaleno; Cass. 15 giugno 2017 n. 14878, Fam. e dir.
2018, 5 con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico, e in Nuova giur. civ.
commentata, 2017, I, 1708 con nota di G. Palmieri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai
fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di coppia same sex,
e in Guida al dir., 2017, 28, 54 con nota di M. Finocchiaro, Quel “vizio” ricorrente di
anticipare le scelte devolute al legislatore.
11
Notazione già evidenziata in E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione umana al dominio
volontaristico sul corso della vita, cit., 590 ss. Per la differente scelta compiuta da taluni
Paesi stranieri, cfr. A. Diurni, Storia e attualità della filiazione in Europa, in Dir. fam.,
2007, 1397 ss.
12
Talune considerazioni già in M. Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole
etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, 488 ss.. Impostazione differente,
ma che merita attenzione, è quella di A. Renda, La surrogazione di maternità ed il diritto
della famiglia al bivio, in Europa e dir. priv., 2015, 415 ss.
13
Come più volte evidenziato da Trib. Roma 2 ottobre 2015, Foro it. 2016, 2926
con osserv. di G. Casaburi; caso su cui, come è noto, già era intervenuto, con
medesima soluzione, Trib. Roma 8 agosto 2014, Dir. fam., 2015, 186 con nota di M.
Bianca, Il diritto del nato ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione
del Tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, le puntuali osservazioni
della quale, strettamente ancorate al dato positivo, scongiurando considerazioni
di stampo “emotivo”, difficilmente possono essere messe in forse; e Trib. Roma
22 aprile 2015,
14
Un solo padre ed una sola madre (ignota) hanno anche i bambini nel caso sottoposto
alla attenzione di App. Milano 28 dicembre 2016, Foro it., 2017, I, 722, che si potrebbe
identificare con il più classico “due al prezzo di uno”: si era fatto ricorso alla pratica
della maternità surrogata, in California; i due bambini, gemelli dizigoti, erano nati a
mezzo della fecondazione di due distinti ovuli di una terza donatrice, ciascuno con
il seme di uno dei due ricorrenti, con impianto degli embrioni così ottenuti nell’utero
di un’unica donna che li ha poi partoriti; la corte d’appello ha ritenuto non contrari
all’ordine pubblico e conformi al vero, sicché il giudice può disporne la trascrizione,
gli atti di nascita stranieri dei due bambini, indicati come gemelli (twin) in quanto
nati nella stessa data e dalla stessa donna, che non li ha riconosciuti, mentre, per
ciascuno di essi, è indicato come genitore (parent), senza connotazione di genere, un
diverso cittadino italiano di sesso maschile.
15
Cfr. Cass. 30 settembre 2016 n. 19599, Giust. civ.com 1/2017 con nota di c. Cersosimo,
L’omogenitorialità e il c.d. superiore interesse del minore, e in Corr. giur., 2017, 190 con
Due non è uguale a uno più uno
699
ontologica per le coppie omosessuali di generare figli, affermazione,
quanto meno “incauta”, tuttavia, che costringerà al correttivo, doveroso
ma anch’esso singolare, che non esiste divieto per le coppie omosessuali
di generare un figlio16.
2. Bigenitorialità ed eterogenitorialità – 1 + 1 (una mamma ed un papà),
dunque, è ciò che concreta il diritto del bambino alla doppia figura genitoriale.
Sono i due genitori, anche se non uniti in matrimonio, che hanno
il dovere, prima che diritto, di istruire, educare e mantenere i figli ex
art. 30 comma 1 Cost., e questi due genitori sono la madre ed il padre.
La genitorialità è una dimensione di ruoli, e di ruoli differenti, i
quali, ai sensi del comma 2 art. 29 Cost., sono ordinati sulla eguaglianza morale e giuridica proprio perché differenti17.
Tutto il sistema normativo individua e presuppone, come situazione fisiologicamente ottimale e giuridicamente naturale, la bigenitorialità eterosessuale quale luogo ottimale di sviluppo per il bambino.
L’art. 31 comma 2 Cost. protegge la maternità, l’infanzia la gioventù, alla quale protezione si ricollega l’art. 37 Cost. che, anche in ambito
lavorativo, e ferma restando la uguaglianza tra uomo e donna, vuole
tutelata la essenziale funzione familiare della donna.
La essenziale funzione familiare della donna, le concede un trattamento appositamente di favore nel contesto del diritto penale18.
nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli
status filiationis, e in Vita not., 2017, 131 con nota di S. Di Gesu, La tutela dei rapporti di
filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale, e in Dir. fam., 2017, 298 con nota di P.
Di Marzio, Figlio di due madri?, e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 362 con nota
di G. Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a
favore di una coppia same sex.
16
Così Trib. Bologna 3 luglio 2018, il cui pdf è reperibile su www.articolo29.it;
osservazione acuta (?) che in A. Dami, Diritto all’identità genetica del nascituro e diritto
alla genitorialità in tema di surrogazione della maternità. Quale interesse preminente del
minore?, in Giust. civ.com, 9/2017, diviene assenza, a livello costituzionale, di un
divieto per gli omosessuali di generare figli.
17
Cfr. F. D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione
delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, I, 1447 ss. relativamente al nesso tra l’art. 29 con gli
artt. 30 e 31 Cost.
18
Cfr. art.146 cod. pen. ai sensi del quale l’esecuzione di una pena, che non sia
pecuniaria, è differita: 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta; 2)
se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni
uno; si precisa, però, al comma 2, che il differimento non opera o, se concesso, è
revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla
responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il
700
The best interest of the child
Tutto l’impianto del nostro codice civile, passato indenne, sotto
questo profilo, dalle varie riforme, è fondato sul presupposto che i due
genitori siano un padre ed una madre19.
figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione
di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi; ai sensi del successivo
art. 147 l’esecuzione di una pena può essere differita se una pena restrittiva
della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di
età inferiore a tre anni, ma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia
dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo
330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri
che alla madre. Ai sensi dell’art. 578 cod. pen. la madre che cagiona la morte del
proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando
il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al
parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni, pena più mite rispetto
a quanto stabilito dall’art. 575 cod. pen. ai sensi dell’art. 21 bis L. 26 luglio 1975,
n. 354, aggiunto dall’articolo 5 della legge 8 marzo 2001, n. 40, le condannate
e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei
figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall’articolo 21.
La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni,
anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo
di affidare la prole ad altri che al padre.
19
Ex art. 231 cod. civ. l’uomo in tanto può essere presunto padre, in quanto è il
marito della donna che ha partorito, presunzione avverso la quale la madre ed
il di lei marito possono agire con il disconoscimento della paternità ex art. 243
bis cod. civ., per esperire la quale azione, l’art. 244 cod. civ., assegna un termine
più breve alla madre, rispetto al padre, osservazione, quest’ultima, tratta dalla
relazione della dott.ssa S. Sandulli, L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei
minori, svolta nel medesimo convegno dal quale le presenti riflessioni sono state
originate. Ancora il padre e la madre, unitamente al figlio, sono litisconsorti, ex
art. 247 cod. civ., nell’azione di disconoscimento. Ex art. 250 cod. civ. il figlio
nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto dalla madre e dal padre.
Tendenzialmente il figlio, ex art. 262 cod. civ., assume il cognome del padre,
regola, con tutte le controversie che ne sono conseguite, che non può avere senso
ove, accanto ad un padre, non ci sia anche una madre. Come è noto, C. Cost.
21 dicembre 2016, n. 286, Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 818 con nota di C.
Favilli, Il cognome tra parità dei genitori e identità dei figli, e in Le nuove leggi civ.
comm, 2017, 626 con nota di C. Fioravanti, Sul cognome della prole: nel perdurante
silenzio del legislatore parlano le corti, e in Foro it., 2017, I, 6 con nota di G. Casaburi,
la Corte Costituzionale apre al cognome materno, ma restano molte questioni irrisolte,
e in Corr. giur. 2017, 167 con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i
figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo, e in Fam.
e dir., 2017, 218 con nota di E. Al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità
dei genitori e identità personale del figlio., ha dichiarato in via consequenziale, ai
sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 262 cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune
accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome
materno, in una vicenda dalla quale, ci sembra, ben traspaia la tensione uomo
– donna all’interno della famiglia. Ex comma 1 art. 269 cod. civ. la paternità e la
maternità possono essere giudizialmente dichiarate. Ancora il padre o la madre
rientrano tra i soggetti che, preferibilmente, ex art. 408 cod. civ., possono essere
scelti dal giudice quale amministratore di sostegno. Al padre ed alla madre i
Due non è uguale a uno più uno
701
Anche la legislazione ordinaria, relativamente alla regolamentazione dei numerosi profili inerenti alla relazione genitoriale, fa costante
riferimento al padre ed alla madre20.
figli succedono in parti uguali ex art. 566 cod. civ., così come sempre il padre e
la madre succedono al figlio morto senza lasciare prole, fratelli o sorelle ex art.
568 cod. civ.. padre e madre vengono considerate persone interposte ai fini di
cui all’art. 599 cod. civ.. Sempre padre e madre amministrano i beni ereditari
del figlio concepito secondo il disposto del comma 2 art. 643 cod. civ.. Padre e
madre rispondono del danno cagionato dal figlio ex art. 2048 cod. civ.. Al padre
ed alla madre si riferiscono, dunque, le restanti, e numerose, norme del codice
ove si parta di entrambi i genitori.
20
Solo per fare taluni esempi, v. la legge 11 dicembre 2016, n. 232 Bilancio di previsione
dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019, il
cui art. 1 comma 353, dispone che a decorrere dal 1º gennaio 2017 è riconosciuto un
premio alla nascita o all’adozione di minore dell’importo di 800 euro. Il premio, che
non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo
unico delle imposte sui redditi, di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, è corrisposto
dall’INPS in unica soluzione, su domanda della futura madre, al compimento del
settimo mese di gravidanza o all’atto dell’adozione; secondo il successivo comma
354, l’applicazione delle disposizioni concernenti il congedo obbligatorio per il
padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio,
introdotte in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015 dall’articolo 4, comma
24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92, nonché, per l’anno 2016, dall’articolo
1, comma 205, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è prorogata anche per gli anni
2017 e 2018. La durata del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente
è aumentata a due giorni per l’anno 2017 e a quattro giorni per l’anno 2018, che
possono essere goduti anche in via non continuativa; al medesimo congedo si
applica la disciplina di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
22 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 13 febbraio 2013. Per
l’anno 2018 il padre lavoratore dipendente può astenersi per un periodo ulteriore di
un giorno previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo
di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. Il d.m. salute 2 novembre 2015
Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti,
all’art 9 dispone che per la donazione di sangue di cordone ombelicale la madre e il
padre, prima di fornire i loro dati personali, sottoscrivono il consenso al trattamento
dei dati, previa informativa ai sensi dell’art. 13 del d.lgs 196 del 2003; la madre
e il padre, presa visione del materiale informativo prestano il loro consenso alla
donazione di cui al comma 1, mirato alla rinuncia alla conservazione del sangue
cordonale ad esclusivo beneficio del neonato in qualsiasi momento della sua vita;
sempre la madre e il padre esprimono il loro consenso informato all’uso delle unità
di sangue cordonale, non idonee per il trapianto, per studi e ricerche. L. 29 settembre
2015 n.162 Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla
riduzione dei casi di apolidia, fatta a New York il 30 agosto 1961 sulla base del cui art. 1
ogni Stato Contraente è tenuto a concedere la cittadinanza a una persona nata nel
proprio territorio che sarebbe altrimenti apolide; in particolare, un figlio nato nel
matrimonio nel territorio dello Stato Contraente, la cui madre ha la cittadinanza di
detto Stato, dovrà acquisire tale cittadinanza alla nascita nel caso in cui sia altrimenti
apolide. Il d.p.r.52/2009 di recepimento del provvedimento di concertazione per le
Forze armate predispone la tutela delle lavoratrici madri all’art. 17, ai sensi del
quale è possibile concedere esonero, per la madre o, alternativamente, per il padre,
dal servizio notturno sino al compimento del terzo anno di età del figlio; esonero,
702
The best interest of the child
In linea tendenziale, dunque, il bambino ha una madre ed un padre,
o, ancora meglio, ha quella madre e quel padre, e, nella fisiologia del
rapporto genitoriale, questa duplicità di figure genitoriali corrisponde
a ciò che, oggi, si definisce the best interest of the child.
Il diritto del bambino ad avere quella madre e quel padre, non ha
nulla a che vedere con – asseriti – pregiudizi omofobi, invocare i quali
serve, unicamente, a sviare l’attenzione dall’interesse del bambino a
quello degli adulti21. È certamente vero che l’abilità di essere genitori
non è legata all’orientamento sessuale22, ma di genitori deve trattarsi.
Nessun dubbio, allora, in merito alla “bontà” di quegli orientamenti
giurisprudenziali che in sede di affidamento della prole, nei giudizi
di separazione dei coniugi, non hanno considerato rilevante, come in
effetti non lo era, la relazione omosessuale che un genitore, aspirante affidatario, intratteneva con persona del suo stesso sesso23, ma ciò
a domanda, sino al compimento del terzo anno di età del figlio, per la madre dal
servizio notturno o da turni continuativi articolati sulle 24 ore, o per le situazioni
monoparentali da turni continuativi articolati sulle 24 ore; possibilità per le
lavoratrici madri e per i lavoratori padri vincitori di concorso interno, con figli fino
al dodicesimo anno di età, di frequentare il corso di formazione presso la scuola
più vicina al luogo di residenza, tra quelle in cui il corso stesso si svolge; divieto
di impiegare la madre o il padre che fruiscono dei riposi giornalieri, in servizi
continuativi articolati sulle 24 ore. D.lgs 206/2007 di attuazione della direttiva 2005/36/
CE all’art. 48 prevede tra le funzioni dell’ostetrica quella di assistere la partoriente,
sorvegliare il puerperio e dare alla madre tutti i consigli utili affinchè possa allevare
il neonato nel modo migliore. L. 23 dicembre 1992, n. 523 Ratifica ed esecuzione della
convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di
asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, fatta a Dublino il 15
giugno 1990, all’art. 4 comma 2 considera membro della famiglia esclusivamente il
coniuge del richiedente l’asilo, i figli di età inferiore ai 18 anni, non sposati, oppure
il padre o la madre se il richiedente l’asilo è egli stesso minore di età inferiore ai 18
anni non sposato. D’altro canto è la cittadinanza del padre e della madre che ex art.
4 l. 91/1992 determina la cittadinanza italiana del figlio, ma gli esempi, si potrebbero
protrarre quasi all’infinito.
21
Cfr. G. Berti De Marinis, Maternità surrogata e tutela dell’interesse superiore del minore:
una lettura critica alla luce di un recente intervento della Corte EDU, in Actualidad juridica
iberoamericana, 2015, 3, 307; R. Carrano, M. Ponzani, L’adozione del minore da parte
del convivente omosessuale tra interesse del minore e riconoscimento giuridico delle famiglie
omogenitoriali, in Dir. fam., 2014, 1550 ss.
22
Così C. Cersosimo, L’omogenitorialità e il c.d. superiore interesse del minore, in Giust. civ.
com, 1/2017
23
Cfr Trib. Napoli, 28 giugno 2006, 2007, 1677 con nota di G. Manera Se un’elevata
conflittualità trai genitori (uno dei quali tacciato di omosessualità) escluda l’applicazione in concreto
dell’affidamento condiviso, e in Giur. merito 2007, 1581 con nota di G. Fava, La (presunta)
omosessualità del genitore non è di ostacolo all’affido esclusivo del figlio; Trib. Bologna, 15 luglio
2008, Dir. fam. 2009, 251, ivi 689 con nota di D. Bianchini, Omosessualità ed affidamento
condiviso: nulla quaestio se non vi è contrasto con l’interesse del minore; Tribunale Nicosia, 14
Due non è uguale a uno più uno
703
non può significare avere diritto ad essere genitore – men che meno
di un figlio non proprio – sol perché si è omosessuale.
Il c.d. favor veritatis, il perseguimento del quale è stato invocato, nel
corso degli anni, al fine di superare il c.d. favor legittimitatis24 ed affermare il diritto all’identità del bambino, continua a rappresentare l’essenza
stessa dell’interesse del minore, quale inviolabile diritto alla sua identità personale25, ancorché ciò non significhi rinnegare l’esigenza di un bi-
dicembre 2010, Giur. merito 2013, 5, 1049 con nota di R. Russo L’affidamento condiviso dei
figli minori; Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, Giur. it.2013, 1036 con nota di M. M. Wonkler,
La cassazione e le famiglie ricomposte: il caso del genitore convivente con persona dello stesso sesso,
e B. Paparo, Omosessuali e affidamento dei figli, e in Nuova giur. civ. commentata, 2013, I, 432
con nota di C. Murgo, Affidamento del figlio naturale e convivenza omosessuale dell’affidatario:
l’interesse del minore come criterio esclusivo, e in Fam. e dir., 2013, 570 con nota di F. Ruscello,
Quando il pregiudizio ... è una valutazione del pregiudizio! A proposito dell’affidamento della prole
alla madre omosessuale, e in Corr. giur., 2013, 436 con nota di V. Carbone, Separazione e
affidamento del minore alla madre convivente con la compagna.
24
Cfr. C. Cost. 1 aprile 1982, n. 64, Foro it. 1982, I, 2127 ove ancora si sosteneva che
pur avendo la riforma del diritto di famiglia ha spostato l’accento dal “favor
legitimitatis” al “favor veritatis, il legislatore ha posto un limite al “favor veritatis”
giustificato dai pericoli ed inconvenienti dello svolgimento dei rapporti familiari
protrattisi per lungo tempo, ricercando il punto di equilibrio fra il “favor legitimatis”
ed il “favor veritatis”, contro il quale, in sede di censura di costituzionalità, non
può essere valorizzato in assoluto il secondo, la cui misura di prevalenza è stata
concretamente circoscritta dal legislatore medesimo. Detta impostazione verrà
superata, di lì a poco, da C. Cost. 6 maggio 1985 n. 134, Giust. civ. 1985, I, 2142 con
nota di A. Finocchiaro, Adelante, pedro, con juicio, ovvero: l’evoluzione della coscienza
collettiva e l’incostituzionalità dell’art. 244 cod. civ., e in Foro it., 1985, I, 2532 con nota
di a. Amatucci, Disconoscimento per adulterio: effetti della sentenza additiva della
corte costituzionale, e in Giur. it. 1985, I, 1, 1153 con nota di A. De Cupis, Adulterio e
decorrenza dell’azione di disconoscimento della paternità; e da C. Cost. 14 maggio 1999 n.
170, Corr. giur., 1999, 1097 con nota di V. Carbone Anche la madre può disconoscere il
figlio da quando sa che il padre non è il marito che considerò contrastare con gli art. 3 e
24 comma 1 cost. l’art. 244 comma 2 cod. civ., nella parte in cui non prevedeva che il
termine dell’anno per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità
nell’ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata dall’art. 235 n. 2 stesso
codice, decorresse per il marito dal giorno in cui fosse venuto a conoscenza della
propria impotenza di generare, consentendo così un’irrazionale decadenza contro
il “favor veritatis” anche quando durante il termine fosse mancata la conoscenza di
quel tipo di impotenza.
25
Cfr. Corte Costituzionale, 22 aprile 1997, n. 112, Dir. fam. 1997, 842 con nota di F.
Cosentino, Impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c. e tutela del figlio minore, e in
Giur. Cost. 1997, 1073 con nota di D. Vincenzi Amato L’interesse del minore è sempre
interesse alla veridicità del suo status filiationis?. Lungo questa medesima impostazione
si muove Cass. 28 marzo 2017, n. 7965, che ha considerato la disciplina dell’art. 235
c.c. applicabile anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto
conto che il quadro normativo, a seguito della L. 19 febbraio 2004, n. 40, come
interpretabile alla luce del favor veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi di
disconoscimento che si aggiunge a quelle previste dalla disciplina codicistica.
704
The best interest of the child
lanciamento degli interessi in gioco, tenuto conto, altresì, della necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status26.
I termini decadenziali, introdotti dalla riforma della filiazione per
l’esperimento delle azioni di stato da parte dei genitori, ma non per il
figlio, manifestano la chiara volontà del legislatore di realizzare tale
bilanciamento.
2.1. Le coppie omosessuali non sono bigenitoriali – La bigenitorialità
è concetto che non può essere adattato alle coppie omosessuali. La “genitorialità” nelle coppie same sex implica sempre e necessariamente la
presenza di un terzo soggetto: a due donne deve aggiungersi un uomo,
a due uomini deve aggiungersi – quanto meno – una donna.
26
Cfr. Cass. 3 aprile 2017, n. 8617, Fam. e dir. 2017, 848 con nota di M. N. Bugetti, “Favor
veritatis, favor stabilitatis, favor minoris”: disorientamenti applicativi, e in Corr. giur. 2018,
619 con nota di D. M. Locatello, Favor minoris e azione di disconoscimento della
paternità: lo strumento dell’ascolto, secondo cui in tema di azione di disconoscimento
della paternità l’accertamento della verità biologica non costituisce un valore di
assoluta rilevanza costituzionale, in quanto il giudice è comunque chiamato ad una
valutazione comparativa, in concreto e all’attualità, degli interessi in gioco, soprattutto
di quello del minore, in primo luogo alla conservazione dello status acquisito. Si tratta
del convincimento che ha indotto C. Cost., 18 dicembre 2017, n. 272, Nuova giur. civ.
commentata, 2018, I, 540, con nota di A. Gorgoni, Art. 263 c.c.: tra verità e conservazione
dello status filiationis, ivi, 552 con nota di U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris
tra interessi pubblici e privati, e in Corr. giur., 2018, 446 con nota di G. Ferrando,
Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, e in Foro it., 2018,
I, 5 con nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non
va (quasi mai) sopravvalutata, a dichiarare non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione
del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo
quando sia rispondente all’interesse dello stesso. Il giudice chiamato a pronunciarsi
sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternità
surrogata, osserva la Consulta, è sempre tenuto ad effettuare una valutazione
comparativa tra interesse alla verità e interesse del minore. Nel medesimo senso si
era, sostanzialmente, espressa anche C. Cost. 12 gennaio 2012, n. 7, che ha considerato
manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263
cod. civ., nella parte in cui non sottopone ad un termine annuale di decadenza il diritto
del genitore di esperire l’azione di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale
per difetto di veridicità. Il potere di stabilire la natura, la durata e la modulazione del
termine per la proposizione dell’impugnazione spetta al legislatore, afferma la Corte,
al quale solo è consentito di operare, anche in ragione dell’evolversi della coscienza
collettiva, il necessario bilanciamento del rapporto tra tutela della appartenenza
familiare e tutela della identità individuale, che nella presente realtà sociale è orientato
verso la tendenziale corrispondenza tra certezza formale e verità naturale. La
crescente considerazione del favor veritatis, infatti, non si pone in conflitto con il favor
minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente
essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di
garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di
un rapporto di filiazione veridico.
Due non è uguale a uno più uno
705
Anche nelle coppie eterosessuali, ovviamente, può esserci un, per
così dire, “terzo incomodo”, ma in un momento dato si ha ugualmente
una madre, semper certa, ed un padre, numquam, cioè, in ipotesi, non
genitore. Per le coppie eterosessuali, in sostanza, vi è sempre la presenza di madre e padre, ancorché, chi crede di essere o vuole essere padre,
potrebbe non essere l’autore del concepimento.
Proprio per la possibilità che colui che risulta padre non sia – volente o nolente – l’autore dell’atto generativo, per essere stato, tale “atto”,
posto in essere da un altro soggetto, è stata predisposta a regola di cui
all’art. 253 cod. civ., per la quale in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova,
salvaguardando il principio – o pregiudizio che dir si voglia – che i
genitori devono essere sempre e solo uno più uno27.
Tale principio, o pregiudizio che dir si voglia, non viene affatto
messo in forse dalla fecondazione eterologa, la quale, in effetti, nell’impianto originario della L. 40/2004, era vietata, con una certa coerenza
rispetto al sistema occorre riconoscere, divieto che, comunque, oggi
certamente non sussiste più, essendo stato dichiarato incostituzionale28.
La fecondazione eterologa, però, non cambia i numeri: sempre 1 padre
(numquam genitore in tal caso) + 1 madre semper certa. Ai sensi dell’art.
5 legge 40/2004, infatti, possono accedere alle tecniche di procreazione
27
Fuori dal matrimonio il problema non si pone, mancando la “coppia” alla quale
rapportare la intromissione del terzo, fermo restando che anche in tal caso chi ha
dichiarato di essere padre potrebbe non esserlo, da cui la operatività, anche in tal
caso, del principio di cui all’art. 253 cod. civ.
28
Cfr. C. Cost. 10 giugno 2014, n. 162, Dir pen. e proc.2014, 825 con nota di A. Vallini,
Sistema e metodo di un biodiritto costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione
“eterologa, e in Dir. fam., 2014, 973 con nota di L. D’Avack, Cade il divieto all’eterologa,
ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, ivi 1289 con nota di C.
Cicero, E. Peluffo, L’incredibile vita di Timothy Green e il giudice legislatore alla ricerca
dei confini tra etica e diritto, ovverosia, quando diventare genitori non sembra (apparire) più
un dono divino, e in Foro it., 2014, I, 2343 con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa)
per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in
Corr. giur., 2014, 1062 con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente
al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, e
in Giur. it., 2014, 2827 con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione
eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili, e in Riv.
it. dir. proc. pen, 2014, 1473 con nota di L. Risicato, La Corte costituzionale supera le
esitazioni della CEDU: cade il divieto irragionevole di fecondazione eterologa, e in Europa e
dir. priv., 2014, 1117 con nota di C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso)
della Corte costituzionale, e in Fam. e dir., 2014, 753 con nota di V. Carbone, Sterilità
della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Giur. Cost., 2014, 2563 con nota di
C. Tripodina, Il “diritto al figlio” tramite fecondazione eterologa. La Corte costituzionale
decide di decidere.
706
The best interest of the child
medicalmente assistita – oggi anche eterologa – solo coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile,
entrambi viventi.
L’uomo, ex art. 9 comma 1 L. 40, non può disconoscere la paternità
ex art. 243 bis cod. civ., né impugnare il riconoscimento ex art. 263 cod.
civ., ove abbia prestato il consenso alla fecondazione eterologa29 e dunque è padre anche senza essere genitore, ma pur sempre il padre, del
bambino partorito dalla sua consorte/compagna. Lo stesso, del resto,
può avvenire anche nel caso di marito o compagno di “donna fedigrafa”, ove non vengano osservati i termini di cui agli artt. 244 e 263 cod.
civ. Del resto, la stessa ragionevolezza del consentire l’impugnazione
del riconoscimento a chi, consapevolmente, lo abbia posto in essere
conoscendo la non veridicità del medesimo, è stata posta in dubbio,
per quel principio generale di buona fede che dovrebbe operare anche
all’interno delle relazioni familiari 30.
29
Cass. 18 dicembre 2017, n. 30294 la quale giustifica il divieto sulla base della
considerazione che la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale
non costituisce valore di rilevanza costituzionale. L’attribuzione dell’azione di
disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione
eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso
rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità
a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota. Ove, tuttavia, l’uomo non abbia
prestato il suo consenso, l’azione di disconoscimento, come pure l’impugnazione del
riconoscimento, resta ammissibile, cfr. Cass. 28 marzo 2017, n. 7965, cit.
30
Cfr. M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in Nuova giur. civ. commentata, 2018,
II, 910 ss.. In tal senso si è espresso Trib. Firenze 30 luglio 2015, Foro it., 2015, I, 3113
con nota di G. Casaburi, L’impugnativa per difetto di veridicità: una sentenza “ancien
régime” della Cassazione, che ha considerato inammissibile, anche se proposta da terzi
interessati, l’azione di impugnazione per difetto di veridicità di un riconoscimento
effettuato da chi era consapevole di riconoscere come proprio un figlio altrui;
conforme Trib. Napoli, 11 aprile 2013, Foro it. 2014, I, 2040; Trib. Roma 17 ottobre
2012, Dir. fam., 2013, 705 con nota di E. Restivo, Sul riconoscimento non veridico di un
figlio naturale, ivi 973 con nota di A. Prinzi, Sulla legittimazione all’impugnazione del
riconoscimento del figlio consapevolmente falso e sulla interpretazione assiologica e sistematica
dell’art. 263 c.c., e in Foro pad., 2013, 309 con nota di V. Santarsiere, Impugnazione del
riconoscimento di figlio per diritto di veridicità. Domanda rigettata; Trib. Civitavecchia 19
dicembre 2008, Giur. merito 2010, 1250 con nota di M. Di Nardo, Venire contra factum
proprium: applicabilità del principio in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto
di veridicità. Contra, Cass. 14 febbraio 2017 n. 3834, Foro it., 2017, 832 con nota di G.
Casaburi, Filiazione, impugnazione per difetto di veridicità, azione non promossa dal figlio,
decadenza quinquennale, giudizi pendenti inapplicabilità; Cass. 24 maggio 1991 n. 5886,
Giust. civ., 1992, I, 775. Una “via di mezzo” è intrapresa da Cass. 31 luglio 2015 n.
16222, Resp. civ. prev., 2016, 193 con nota di L. Gaudino, Riconoscimento del figlio “per
compiacenza” impugnazione ex art. 263 c.c. e risarcimento del danno, e in Fam. e dir., 2016,
238 con nota di A. THIENE, Figli, finzioni e responsabilità civile, la quale, premesso
che il diritto all’identità personale e sociale costituisce un diritto della persona
Due non è uguale a uno più uno
707
Tale preclusione, però, non significa affatto che si possa essere figli
di chi non è il nostro genitore, come è dimostrato dalla circostanza che
le azioni di stato tutte, ivi compreso il disconoscimento di paternità e
l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sono per
il figlio imprescrittibili, e dunque sempre esperibili, anche nelle ipotesi
ricadenti nel citato art. 9 L. 40/2004.
La madre, poi, resta colei che ha partorito, anche nell’ipotesi di fecondazione eterologa ex latere matris, escludendo, il citato art. 9, solo la
sua facoltà di non essere nominata.
I genitori, dunque, restano 1 (la madre) + 1, (il padre), quest’ultimo
certamente … numquam.
Nelle coppie same sex, per contro, le figure genitoriali solo fittiziamente sono 2, in realtà sono 1 – 1 + 1, il cui risultato, matematicamente
parlando, in tutta evidenza non può essere uguale a 1 + 1.
La omogenitorialità, allora, per definizione lede il migliore interesse del minore, di qualsivoglia minore, perché ab origine lo priva o della
mamma o del papà, ledendo il suo diritto fondamentale alla doppia
figura genitoriale31 .
Il bambino “” nato “” in una famiglia omoparentale, allora, avrà sempre il diritto di far dichiarare la genitorialità mancante ex art. 269 cod.
civ. e, in subordine, ex art. 279 cod. civ., non ostandovi neanche la dichiarazione della madre di non voler essere nominata, di cui al comma
costituzionalmente garantito, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente
orientata degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., ha considerato la sua lesione, per effetto
di un riconoscimento della paternità consapevolmente falso e, come tale, in seguito
disconosciuto, implicare il risarcimento del danno non patrimoniale così arrecato, a
prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o meno reato.
31
Trattandosi di minori, sia consentito un esempio tratto dalla infanzia. Nella versione di
Peter pan, animata da Walt Disney, sull’isola che non c’è vivono inconsapevoli e felici i
bimbi sperduti. Arriva Wendy, che Peter pan vorrebbe facesse loro da mamma, ed allora
i bimbi sperduti chiedono: cosa è una mamma? Sentita la risposta abbandoneranno
l’isola che non c’è per tornare sulla terra alla ricerca della loro mamma.
708
The best interest of the child
1 art. 30 dpr 396/2000, richiamato dal comma 7 art. 28 l. 184/198332, ma
non dall’art. 274 cod. civ. sulle condizioni di ammissibilità dell’azione33
Il bambino “” nato “” in una famiglia omoparentale avrà comunque sempre diritto di conoscere le proprie origini, e dunque il genitore
mancante, ex art. 7 della Convenzione di New York 20 novembre1989,
ai sensi del quale il fanciullo è registrato immediatamente al momento
della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una
cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed
a essere allevato da essi; diritto ribadito dall’art. 30 della Convenzione
dell’Aja sulla protezione dei minori, del 19 ottobre 1996, ai sensi del
quale le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano
con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in
particolare quelle relative all’identità della madre e del padre, assicurando l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge
dello Stato34.
32
Dichiarato, peraltro, incostituzionale da C. Cost. 22 novembre 2013, n. 278, Fam. e
dir., 2014, 15 con nota di V. Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e
adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno, e in Dir. fam., 2014, 27 con
nota di G. Lisella, Volontà della madre biologica di non essere nominata nella dichiarazione
di nascita e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, e in Corr. giur. 2014, 473 con
nota di T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per
ripensare alla disciplina della materia, e in Foro it., 2014, I, 8 con nota di G. Casaburi, Il
parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini, e in Nuova
giur. civ. commentata, 2014, I, 285 con nota di v. marcenò, Quando da un dispositivo
d’incostituzionalità possono derivare incertezze, ivi, 289 con nota di J. Long, Adozione e
segreti: costituzionalmente illeggittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto.
33
Ampie ed ineccepibili argomentazioni, sul punto, in M. N. Bugetti, Sull’esperibilità
delle azioni ex artt. 269 e 279 c. c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato,
cit., 476 ss., ove si ricorda, oltre tutto, come l’art. 30 comma 4 Cost. ponga una riserva
di legge per i limiti alla ricerca della genitorialità, riserva non soddisfatta dal d.p.r.
396/2000. Lo studio viene elaborato in nota a Trib. Milano, 14 ottobre 2016 che, per
contro, ha considerato inammissibile la dichiarazione giudiziale di maternità nei
confronti di una donna che ha dichiarato di non voler essere nominata
34
Sul diritto del minore a conoscere le proprie origine, dovrebbe essere superflua
qualsivoglia citazione. Ciò nondimeno, onde fugare sospetti di indicazioni
“ideologiche”, si rinvia a C. EDU 25 settembre 2012 n. 33783/09, Giust. civ., 2013, I,
1608 con nota di C. Ingenito, Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto
della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo, e in Minori e giust., 2013, 340 con nota di A. Margaria, Parto anonimo
e accesso alle origini, e in Fam. e dir., 2013, 537 con nota di G. Currò, Diritto della madre
all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di
contemperamento, e in Quad. Cost. 2012, 908 con nota di E. Vigato, Godelli c. Italia: il
diritto a conoscere le proprie origini. Da tale intervento è poi “originata” C. cost., 22
novembre 2013, n. 278, cit.. Da qui Cass. 21 luglio 2016, n. 15024, Nuova giur. civ.
commentata, 2016, I, 1484 con nota di G. Autorino Stanzione, Il diritto del figlio di
Due non è uguale a uno più uno
709
Solo garantendo, o quanto meno non impedendo a priori, la presenza della mamma e del papà si realizza l’interesse superiore del minore, di ogni minore.
3. Inidoneità dei genitori e omogenitorialità adottiva – La mamma e
il papà del bambino, naturalmente e purtroppo, possono, però, essere inidonei, perché cattivi, defunti, malati ecc.35. Proprio per questo il
conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti, e in Corr. giur. 2017, 29 con nota di
V. Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici
di merito e la Cassazione a confronto, e in Fam. e dir., 2017, 24 con nota di E. Andreola,
Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima; Cass.7 giugno
2017, n. 14162; Cass. S.U, 25 gennaio 2017, n. 1946, Foro it., 2017, I, 492 con nota di
N. Lipari, Giudice legislatore, ivi, 494 con nota di G. Amoroso, Pronunce additive di
incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, e in Fam. e dir. 2017, 740 con nota
di P. Di Marzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini, e in Corr. giur.,
2017, 618 con nota di M. N. BugettI, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e
diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, secondo cui
in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte cost. n. 278 del 2013,
ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale
attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di
conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare
la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di
una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte
dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte suddetta, idonee
ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della
donna; Cass. 20 marzo 2018, n. 6963, Foro it., 2018, I, 1141 con nota di G. Casaburi,
Privilegia ne inroganto. La Cassazione/legislatore riconosce e insieme limita il diritto alle
origini nei confronti delle sorelle e dei fratelli biologici; Cass. 7 febbraio 2018, n. 3004. Già
prima dell’intervento della Consulta Trib. Min. Perugia, 4 dicembre 2001, Rass. Giur.
Umbra, 2002, 417 nota di C. Neri, R. Prelati Salute e riservatezza: due diritti a confronto,
aveva avuto modi di osservare che la tutela del diritto alla salute, in quanto diritto
fondamentale costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost., ha prevalenza sul diritto
alla privacy di cui alla L. n. 675 del 1996, con la conseguenza che il soggetto interessato
ha diritto a conoscere le proprie origini (nel caso di specie, in applicazione di detto
principio, il giudice aveva autorizzato il ricorrente a prendere visione del fascicolo
relativo alla omologazione dell’affiliazione, nonché della copia integrale dell’atto di
nascita, e la direzione sanitaria e/o il responsabile amministrativo dell’ospedale civile
a fornire al ricorrente stesso le informazioni relative, sia ai dati genetici e/o sanitari
risultanti dalle cartelle cliniche del bambino e della puerpera che lo ha dato alla luce,
sia all’identità personale della puerpera madre naturale del neonato).
35
Ad onor del vero lo potrebbero essere anche due mamme e due papà, così come
la “seconda” mamma o il “secondo” papà, onde non si comprende bene per quale
ragione a morire debba sempre essere il genitore biologico e mai quello c.d. sociale; v.,
ad es., le argomentazioni di F. Bilotta, Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare,
in Dir. fam. 2011, 1375; L. Carota, La tutela del rapporto con il genitore sociale nelle coppie
dello stesso sesso e l’orientamento della corte costituzionale sulle modalità di conservazione
del rapporto una volta cessata la convivenza, in Nuova giur. civ. commentata, 2018, I, 270;
G. Ferrando, A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur.
civ. commentata, 2017, I, 171; punta molto sul decesso del genitore biologico al fine di
710
The best interest of the child
comma 2 art. 30 Cost. statuisce che nei casi di incapacità dei genitori la
legge provvede a che siano assolti i loro compiti36
La legge, vale a dire la 184/1983, vi provvede dando al minore un’altra mamma ed un altro papà, e non una mamma e papà purchessia,
ma mamma e papà sposati – anche se il costituente sa benissimo che i
figli si fanno anche fuori dal matrimonio – non separati, di età superiore di 18 ed entro i 45 anni rispetto all’adottato, due genitori, cioè, che
corrispondano a quel modello ideale in cui, fisiologicamente, ciascun
minore dovrebbe nascere e crescere.
C’è, però, nella legge sull’adozione, il “famigerato” art. 44, che non
a caso si chiama adozione in casi particolari, il che la dovrebbe dire lunga,
quanto meno, sulla legittimità di farne un principio generale, stante
l’art. 14 disp. prel. cod. civ.37
La controversia, ormai neanche troppo controversa38, riguardante
l’interpretazione della lett. d) art. 44, relativa della impossibilità di
dimostrare la ragionevolezza della adottabilità del figlio di costui da parte del partner
dello stesso sesso, V. BARBA, Unione civile e adozione, in Fam. e dir., 2017, 381 ss.
36
Si può, in proposito osservare, che la legge provvede a che siano assolti i compiti dei
genitori, in caso di incapacità dei genitori medesimi, e non in caso di incapacità a
diventare genitori.
37
Si vedano, sul punto, le osservazioni di P. Morozzo Della Rocca, Le adozioni in
casi particolari ed il caso della step child adoption. Forse sfiorata dal dubbio, parla di
interpretazione “estensiva” App. Milano, 9 febbraio 2017, Fam. e dir. 2017, 998 con nota
di E. Bilotti, L’adozione del figlio del convivente. A Milano prosegue il confronto tra i giudici
di merito, ove si afferma che l’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lett.
d), L. n. 184 del 1983, costituisce istituto suscettibile di interpretazione estensiva al fine
di evitare discriminazioni a danno delle coppie formate da persone dello stesso sesso.
38
La giurisprudenza che oggi potremmo definire maggioritaria, se non proprio unanime,
afferma che l’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 183 del 1994 integri una clausola di
chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui sia necessario
salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed
adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere
riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con
l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento
preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della
tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità
“di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo e non di impossibilità “di fatto”;
cfr., tra le più recenti, Cass. 16 aprile 2018, n. 9373; Trib. Min. Venezia, 15 giugno 2017,
n. 90; Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, Foro it. 2016, I, 2342 con nota di G. Casaburi,
L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra, e in Corr. giur., 2016,
1203 con nota di P. Morozzo Della Rocca, Le adozioni in casi particolari ed il caso
della stepchild adoption e L. Attademo, La “stepchild adoption” omoparentale nel dettato
dell’art. 44, comma 1, lett. D), L. n. 184/1983 e nella L. n. 218/1995, e in Fam. e dir. 2016,
1034 con nota di S. Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption,
e in Nuova giur. civ. commentata, 2016, I, 1213 con nota di G. Ferrando, Il problema
dell’adozione del figlio del partner, e in Giur. it. 2016 2573 con nota di A. Spadafora,
Due non è uguale a uno più uno
711
affidamento preadottivo, cioè se si tratti di una impossibilità di fatto
oppure di impossibilità di diritto, è pretestuosa: l’art. 44, interamente considerato, è contenuto nella L. 184/1983, il cui art. 1, premesso
al comma 1 che il minore ha diritto di crescere ed essere educato
nell’ambito della propria famiglia, statuisce, al comma 4, che quando
la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione
del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge, tra cui,
sembrerebbe, anche l’art. 44. Il comma 1 art. 44, dispone, a sua volta,
che i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le
condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 739, il quale comma 1 art. 7
prevede che l’adozione sia consentita a favore dei minori dichiarati
in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti. Quella che può
mancare, dunque, è la dichiarazione di adottabilità, non lo stato di abbandono, e può mancare, come prevede espressamente l’art. 11 della
medesima legge, proprio perché è stata presentata una istanza ai sensi
dell’art. 4440, a dimostrazione che si può essere dichiarati adottabili
solo se abbandonati, ma si può essere abbandonati senza che si venga
dichiarati adottabili.
Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, ivi 2580
con nota di I. Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore
interesse del minore; App. Torino, 27 maggio 2016, Foro it. 2016, I, 1910 con nota di G.
Casaburi L’”Unbirthday” secondo il legislatore italiano: la “non” disciplina delle adozioni
omogenitoriali nella l. 20 maggio 2016 n. 76; App. Roma, 23 dicembre 2015, Foro it. 2016,
2, 699. Isolate voci contrarie, negli ultimi tempi, sono quelle di Cass. 27 settembre
2013 n. 22292, secondo la quale il presupposto per l’adozione di cui all’art. 44, primo
comma, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, va individuato nella impossibilità di
affidamento pre-adottivo, nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento
(o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, essendo le fattispecie previste dalla
norma tassative e di stretta interpretazione; Trib. Min. Torino 11 settembre 2015, f.t.
2016, 1911, con nota di G. Casaburi, cit., il quale ha rilevato che la fattispecie di cui
all’art. 44 lett. d) presuppone esclusivamente l’impossibilità di fatto, non anche di
diritto, di affidamento preadottivo, quindi lo stato di abbandono del minore; Trib.
Min. Milano, 20 ottobre 2016 n. 268 che ha escluso che il convivente more uxorio non
possa ottenere “in casi particolari”, prevista dall’art. 44 l. n. 184 del 1983, del figlio della
compagna, né con riferimento alla lettera b) (relativa al caso in cui il minore sia figlio
dell’altro coniuge), mancando il rapporto di coniugio, né con riguardo alla lettera
d) (che concerne la constatata impossibilità di affidamento preadottivo), allorché il
minore non sia privo dell’assistenza morale e materiale da parte dei genitori.
39
E non già i presupposti stessi dell’adozione, di cui all’art. 1 della medesima legge.
40
Onde evitare ripetizioni, rinviamo a E. Giacobbe, Adozione e affidamento familiare: ius
conditum, “vivens”, condendum, in Dir. fam., 2016, 237 anche per ulteriori riferimenti
di dottrina e giurisprudenza
712
The best interest of the child
Non si dimentichi che la adozione è ammissibile solo quando i genitori si sono mostrati particolarmente indegni41, e dunque rappresenta e deve rappresentare, la extrema ratio.
La sensazione è che attraverso la lett. d) art. 44 L. 184/1983 si voglia
affermare il diritto delle coppie omosessuali di adottare quei figli che –
ontologicamente – i medesimi, come coppia, non possono avere, e non
già tutelare il minore per il caso di decesso del proprio genitore. Ed invero, data la morte del genitore del bambino, ben può soccorrere la lett.
a) del medesimo art. 44, la quale consente di addivenire alla adozione
in casi particolari a persone (ex comma 3 art. 44 anche non coniugate)
unite al minore da preesistente rapporto stabile e duraturo, rapporto
stabile e duraturo intercorso, si badi, con il minore medesimo, senza
che abbia nessuna rilevanza il rapporto – eventualmente anche affettivo – che l’aspirante adottante abbia avuto con il genitore defunto del
41
È la raccomandazione di C. EDU 21 gennaio 2014, n. 33773, Foro it. 2014, I, 173 con nota
di G. Casaburi, La Corte europea dei diritti dell’uomo “impone” l’introduzione dell’adozione
“mite”, secondo cui l’adozione di un minore, recidendo ogni legame con la famiglia
d’origine, costituisce misura eccezionale, gli Stati membri della convenzione europea
dei diritti dell’uomo hanno l’obbligo di assicurare che le proprie autorità giudiziarie e
amministrative adottino preventivamente tutte le misure, positive e negative, anche di
carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento tra genitori biologici e figli e a
tutelare il superiore interesse di questi ultimi, evitando per quanto possibile l’adozione.
Dovrebbe, allora, far riflettere App. Torino 11 marzo 2017, con la quale si è inteso (forse)
porre termine – malamente – alla tristissima vicenda dei c.d. genitori/nonni. La corte
d’appello di torino, a fronte della dichiarazione di adottabilità della figlia nata (non si
sa bene come) da due genitori un po’ attempati, dichiarazione passata in giudicato a
seguito di sentenza poi revocata da Cass. 30 giugno 2016, n. 13435 per errore di fatto
in quanto, nel confermare la declaratoria dello stato di adottabilità assunta dal giudice
di merito, si era fondata su di una specifica circostanza supposta esistente, la cui verità
era stata, invece, limitatamente all’evento, positivamente esclusa, giudica la valutazione
fatta dalla Cassazione errata, confermando, nonostante la revoca, l’adottabilità a suo
tempo dichiarata e la adozione di conseguenza disposta, sull’assunto – che potremmo
chiamare pregiudizio gerontofobo – dell’essere l’età anagrafica dei genitori fatto
oggettivo (al momento della nascita della bambina la mamma aveva 57 anni e il padre
69) che li renderebbe inidonei allo svolgimento delle mansioni loro proprie. Certamente
si potrebbe anche osservare che si sia trattato di genitori “grandicelli”, ma che dire,
allora di Charlie Chaplin ha fatto figli fino a 73 anni ?, in ambito nostrano, per rimanere
nell’ambito di ipotesi che, per essere apparse sui giornali, non violano la privacy degli
interessati, Briatore e Montenzemolo, sono diventati ancora papà rispettivamente a 59
e 63 anni; Michele Placido ha avuto il quarto figlio a 60; 54 anni aveva Gianna Nannini,
quando, in perfetta “solitudine”, ha generato il proprio figlio; l’icona nostrana Monica
Bellucci a 46 anni ha avuto la secondogenita, Carmen Russo, è diventata mamma per
la prima volta all’età di 53 anni ed il suo compagno, il coreografo Enzo Paolo Turchi,
ne aveva 63. Nessuno ha mai – e per fortuna – pensato di togliere i figli a tutti questi
genitori “attempatelli”.
Due non è uguale a uno più uno
713
minore, a riprova che gli interessi coinvolti sono quelli del bambino e
non già degli adulti, omo o etero-sessuali che dir si voglia.
Quale che voglia essere l’interpretazione da darsi all’art. 44 lett. d)
l. 184/1983, non dovrebbe, proseguento su questa direzione, essere trascurata la circostanza che, ai sensi del il comma 20 art. 1 l.76/2016, al
solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello
stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti,
ovunque ricorrono nelle leggi, ecc., si applicano anche ad ognuna delle
parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Le disposizioni
che si riferiscono ai coniugi, si applicano alle parti dell’unione civile, al
fine di assicurare l’effettività dei loro (cioè delle parti dell’unioni civili)
diritti42, laddove se si parla di adozione i diritti sono – o dovrebbero
essere – solo quelli del bambino.
Il medesimo comma 20 chiarisce, però, o forse di conseguenza, che
la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme
del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge43,
nonchè alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, tra cui
si colloca anche l’art. 4444.
42
Si veda, sul punto, M. Bianca, Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova
disciplina delle unioni civili nel sistema, in Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.
M. Bianca, Torino, 2017, 266 secondo la quale il riferimento al rinvio automatico di
leggi speciali, ecc., se evidenzia la esigenza di evitare la diversità tra uniti civilmente
e coniugi, limita la portata precettiva di tale principio alle sole leggi che siano volte
ad assicurare l’effettività della tutela. Esclude che l’inciso abbia un reale valore
normativo V. Barba, Unione civile e adozione, cit., 381.
43
Cosa di cui Trib. Bologna 3.7.2018, il cui pdf è rinvenibile su articolo29.it, non si
dà gran peso perché, a suo dire, si tratta di norme vecchie di settanta anni. Per una
diversa visione L. Bozzi, La legge 76 del 2016: istituzione delle unioni civili e disciplina
delle convivenze di fatto. Prime brevissime riflessioni, in www.dpce.it, Diritto pubblico
comparato ed Europeo, 2016, 8 ss.
44
Secondo App. Napoli 4 luglio 2018, www.studiolegale.leggiditalia.it, ciò non esclude,
però, l’interpretazione analogica. In via di “mera ipotesi interpretativa” del comma
20 art. 1 L. 76/2016, insinua la possibilità di una interpretazione analogica L. Pascucci
La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto
definitivo della materia, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2017, 219; si allinea, con minore
titubanza, a questa impostazione, nella sostanza, con argomentazioni molto ben
elaborate, ma non per questo condivisibili, V. Barba, Unione civile e adozione, cit., 381,
secondo cui il comma 20 non pone una norma negativa di applicazione delle norme
del codice civile e della legge sull’adozione, facendo “solo” divieto di applicare il
meccanismo descritto nella sua prima parte, meccanismo definito normo-genetico.
A detta dell’Autore, comunque, l’analogia legis non potrebbe essere astrattamente
essere inibita, in quanto non sarebbe possibile né negare l’esistenza di una lacuna, né
714
The best interest of the child
Il comma 20 art. 1 L. 76/2016 contiene, però, l’ultimo inciso: “resta fermo
quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
Tale inciso è obiettivamente poco felice45, eppure, come con la consueta onestà intellettuale è stato osservato46, per stabilirne la portata si
può “scegliere” solo tra due alternative possibili.
Se per norme vigenti intendiamo quelle di diritto positivo, occorre
avere il coraggio di riconoscere che esse non prevedono e, soprattutto,
non consentono alcunché47
affermare l’esistenza di una deliberata scelta del legislatore volta ad evitare una tale
applicazione, dovendosi definitivamente superare il disposto dell’art. 12 disp. prel.
cod. civ. in quanto inadeguato. Il primo argomento, tuttavia, è del tutto sganciato
dall’evidenza dell’iter che ha condotto alla approvazione della legge, mentre il
secondo, ragionevole o meno che sia, urta con la constatazione che l’art. 12 cit.
non risulta essere stato abrogato. Reputa, per contro G. De Cristofaro, Le “unioni
civili” fra coppie del medesimo sesso. note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in
Nuove Leggi Civ. Comm., 2017, , 101 che “delle disposizioni del codice civile diverse da
quelle espressamente richiamate e dichiarate applicabili alle unioni civili dall’art. 1 l.
n. 76/16, nessuna trova applicazione (a rigore, nemmeno in via analogica) all’istituto
delle unioni civili; altrettanto deve dirsi di tutte le disposizioni della l. 4 maggio 1983,
n. 184, in materia di adozione. Lo si desume inequivocabilmente dalla statuizione
contenuta nella seconda proposizione del comma 20° dell’art. 1, che esclude
esplicitamente l’applicabilità, al codice civile e alla l. adozione, del precetto dettato
dalla prima proposizione del medesimo comma, che sancisce l’applicabilità alle parti
delle unioni civili di tutte le disposizioni contenute in provvedimenti normativi
vigenti (diversi dal c.c. e dalla l. n. 184/83) che contengano le parole “coniuge/i” o
termini equivalenti”; che, in virtù del comma 20 l.76/2016, si sia esclusa la possibilità
di applicare all’unione civile non solo l’adozione legittimante, ma anche quella ex art.
44 è riconosciuto da M. Trimarchi, unioni civili e convivenze, in Fam. e dir., 2016, 859 ss.;
nel medesimo senso M. N. Bugetti, Il cognome comune delle persone unite civilmente, in
Fam. e dir., 2016, 911 ss.; M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della
persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. e dir. 2016, 881.
45
Previsione dai contenuti non poco ambigui, viene definita da L. Balestra, Unioni
civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it. 2016, 1771
ss.; di vero e proprio ambiguo trionfo delle riserve mentali delle forze politiche parla
E. Quadri, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina
delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?, in Giust. civ.com, 1 aprile 2016.
46
Cfr. M. Bianca, Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova disciplina delle
unioni civili nel sistema, cit., 272
47
Ancora M. Bianca, op. loc. cit. Tale dato, secondo App. Napoli 4.7.2018, www.studiolegale.
leggiditalia.it, non deve destare troppi problemi, in quanto, per il superiore interesse del
minore, le norme vigenti – anche penali – possono essere disapplicate, con buona pace
degli artt. 54 e 101 Cost. Sul punto ci si limita a replicare – con una sintesi della cui
pochezza ci scusiamo con l’Autore – riportando un breve brano tratto da C. Castronovo,
Diritto privato e realtà sociale. Sui rapporti tra legge e giurisdizione a proposito di giustizia, in
Europa e Diritto Privato 1 settembre 2017, 3, 764; “L’aderenza alla dimensione positiva del
diritto non è frutto di una concezione più o meno condizionata dallo spirito del tempo,
ma una necessità imposta dall’aporia fondamentale (4) che sta da sempre di fronte al
giurista: « la questione sul “giusto”, alla quale il giurista positivo deve rispondere è…
Due non è uguale a uno più uno
715
Se per norme vigenti intendiamo il diritto vivente, la situazione è
più complessa, perché, come è noto l’art. 44 lett. d) viene tranquillamente – inutile, a questo punto, chiedersi se a torto o a ragione – applicato al compagno/compagna same sex del genitore48.
“quale tra le possibili soluzioni del caso da decidere, compatibili con la lettera della
legge e con la logica complessiva dell’ordinamento, si approssima maggiormente
alla giustizia” » . Ove è chiaro che tra la lettera della legge, pur ermeneuticamente
elaborata, e la giustizia è la prima a risultare meno incerta, in quanto comunque in
grado di esibire un dato al quale ancorare la decisione. Questo décalage non è superato
neppure dall’idea contemporanea di un riguadagnato legame tra diritto e morale: ove
si ritenga che quest’ultima sia annidata nei valori costituzionali, l’adeguamento ad
essa passa attraverso l’interpretazione della legge in senso conforme alla Costituzione,
interpretazione che tuttavia conferma l’applicazione della legge; ove invece la si ritenga
limite trascendentale del diritto, ugualmente non autorizza la disapplicazione della
regola positiva fino a che questa non sia espunta dall’ordinamento mediante il giudizio
di legittimità costituzionale, anche nel caso del superamento di « una soglia estrema di
ingiustizia, quando da una legge sia violato un diritto dell’uomo in modo evidente e
intollerabile da ogni punto di vista etico-razionale » . Se l’ordinamento ha previsto tale
rimedio, di esso ci si dovrà avvalere”.
48
Tralasciando C. EDU grande chambre, 19/02/2013, n. 19010, Europa e Dir. Priv. 2014,
1, 271 con nota di R. ROSSI Second-parent adoption e omogenitorialità, che – quantunque
discutibile – riguardava una disparità di trattamento tra coppie non coniugate di
sesso diverso e coppie dello stesso sesso, e Trib. Min. Bologna, 31 ottobre 2013, Foro
it. 2014, 1, 59 con nota di G. Casaburi, Dai diversi modelli di adozione di minore nella
giurisprudenza alla novellazione legislativa della nozione di stato di abbandono, che esclude
l’adozione ma ammette l’affido, alla quale si allinea Trib. Min. Palermo, 9 dicembre
2013, Fam. e dir. 2014, 351 con nota di G. Mastrangelo, L’affidamento anche etero familiare
di minori ad omosessuali. Spunti per una riflessione a più voci, si veda Tribunale Roma,
30 luglio 2014, Dir. fam. 2014, 176 con nota di N. Cipriani, La prima sentenza italiana
a favore dell’adozione nelle famiglie omogenitoriali, ivi, 1550 con nota di R. Carrano, M.
Ponzani, L’adozione del minore da parte del convivente omosessuale tra interesse del minore
e riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali; Trib. Min. Roma, 22 ottobre 2015,
n. 291Giur. Cost., 2016, II, 1169 con nota di S. Niccolai, Diritto delle persone omosessuali
alla genitorialità a spese della relazione materna? Trib. Min. Roma, 23 dicembre 2015, Dir.
fam.2016, 806 con nota di S. Menichetti, Una sentenza che allinea l’Italia a Strasburgo;
App. Torino, 27 maggio 2016, Foro It., 2016, I, 1910; Cass. 22 giugno 2016, n. 12962,
cit.; App. Milano, 9 febbraio 2017, Foro it. 2017, I, 2061; Trib. Min. Bologna, 6 luglio
2017, Foro it. 2017, I, 2852; Trib. Min. Bologna, 4 gennaio 2018, Ilfamiliarista.it 5 gennaio
2018, che l’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 applica alle
coppie omosessuali proprio in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1
comma 20 l. n. 76/2016. Ormai isolate voci contrarie quelle di Trib. Min. Torino, 11
settembre 2015, Foro it. 2016, I, 1911 secondo cui non può essere disposta l’adozione
in casi particolari di un minore da parte della compagna dello stesso sesso della
madre biologica, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b) o lett. d), l. n. 184 del 1983
in quanto la prima fattispecie è riservata esclusivamente al coniuge del genitore del
minore, cui non è equiparabile, in via interpretativa, il partner omosessuale, mentre
la seconda presuppone esclusivamente l’impossibilità di fatto, non anche di diritto,
di affidamento preadottivo, quindi lo stato di abbandono del minore, nella specie
insussistente; conforme Trib. Min. Milano, 17 ottobre 2016, n. 261, Foro it. 2017, 1,
309. Inutile ricordare che, se possono adottare in Italia, a maggior ragione si può
riconoscere il provvedimento di adozione formato all’estero.
716
The best interest of the child
4. Una conseguenza poco consequenziale – Se il compagno same sex
più adottare il figlio dell’altro, perché non riconoscerlo genitore (del
figlio dell’altro) ab origine?
La domanda, così come se la è posta il diritto vivente, vuole essere
retorica.
Ed invero, visto che comunque anche nella adozione in casi particolare si deve passare al vaglio – che l’art. 57 l. adoz. vuole incisivo – del
Tribunale, le coppie omosessuali – ma per onestà occorre evidenziare
che anche le coppie eterosessuali ricorrono ad analogo espediente – il
figlio lo fanno, o se lo fanno fare, all’estero, ivi formano, in qualche
modo, l’atto di nascita che indica entrambi i componenti la coppia
come genitori, e poi ne chiedono la trascrizione in Italia.
Soluzione più rispondente all’interesse del minore, si è detto49, in
quanto la adozione ex art. 44 l. 184/1983 è, comunque, richiesta ad
istanza di parte50.
Qui si disvela un universo parallelo ove chi più ne ha più ne mette.
Vuoi ex artt. 64, 65, 66 l. 218/1995, vuoi ex art. 18 d.p.r. 396/2000,
infatti, tutto ciò che proviene dall’estero (atti, sentenze leggi ecc.) deve
passare al vaglio della non contrarietà all’ordine pubblico.
La diatriba tra ordine pubblico interno ed internazionale è nota e
nel dubbio la relativa definizione è stata rimessa alle SS.UU.51
49
Cfr. App. Bologna 3.7.2018 cit.
50
Inutile rilevare che ex artt. 250 e 254 cod. civ. anche il riconoscimento del figlio
sarebbe atto volontario
51
Cfr. Cass. 22 febbraio 2018, n. 4382 che ha disposto la rimessione all’esame del
primo presidente della Corte di cassazione, perché valuti l’eventuale assegnazione
alle sezioni unite, le questioni di massima di particolare importanza attinenti: a) la
legittimazione del sindaco, quale ufficiale di stato civile, e del ministro dell’interno
ad essere parti del procedimento ex art. 67 l. n. 218/95, per conseguire l’accertamento
del riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giudiziario straniero; b) la
legittimazione del pubblico ministero, almeno quando si verta in tema di ordine
pubblico, a ricorrere in Cassazione avverso il relativo provvedimento (nella specie, la
statuizione impugnata ha riconosciuto l’efficacia in Italia, escludendone il contrasto
con l’ordine pubblico, quale delineato da Cass. 19599/16, del provvedimento
giudiziario straniero che ha disposto la rettifica dell’atto di nascita di due bambini,
nati da una pratica di maternità surrogata, i quali hanno acquisito così lo status di
figli di due uomini, quello già indicato come padre e quello di cui il provvedimento
aveva accertato la genitorialità); c) la sussistenza, al riguardo, della giurisdizione
ordinaria; d) in ogni caso la conformità della richiamata statuizione con l’ordine
pubblico, anche atteso che la nozione di questo, fatta propria da Cass. 19599/16,
non appare in linea con quella espressa da Cass. sez. un., 16601/17. Pe runa nota
di commento M. Dogliotti, Davanti alle sezioni della Cassazione di “due padri” e
l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione assai discutibile, in www.articolo29.it. Il
Due non è uguale a uno più uno
717
Ma se si può disapplicare il diritto positivo, perché attendere quello
vivente?
Sulla base di questa “ovvia” constatazione, un giudice di merito52
assume essere certo che la genitorialità omosessuale corrisponde all’interesse del minore, ergo non contrasta con l’ordine pubblico, quale che
sia, ergo non serve attendere le SS.UU.53
Nessuno, in questo acceso dibattito, ha osservato che con l. 18.6.2015
n. 101 è stata ratificata la Conv. Aja 19.10.1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori,
la quale, confermato che il superiore interesse del minore è fondamentale, all’art. 23, in tema di riconoscimento delle misure adottate in uno
stato contraente, espressamente dispone che “il riconoscimento può
essere negato quando sia manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato richiesto”.
5. Il diritto non discrimini. Ma la natura differenzia – A questo punto,
comunque, il diritto vivente, per non discriminare, volente o nolente,
si trova a dover differenziare le coppie di donne e le coppie di uomini,
che, in natura, ancora una volta volenti o nolenti, uguali non sono.
pronunciamento delle sezioni unite, con tutta probabilità, giungerà prima della
pubblicazione delle presenti osservazioni.
52
Così App. Perugia 22 agosto 2018, il cui pdf è reperibile su www.articolo29.it
53
Il risultato di un diritto vivente autoreferenziato, che rinnega la funzione nomofilattica
demandata alle sezioni unite, per vero, è in parte imputabile alla medesima Corte
di cassazione – Il riferimento è a Cass. 22 giugno 2016 n. 12962, cit. – la quale, già
richiesta dal PG, in identica questione, di andare alle SSUU ha risposto picche in
quanto anche le sezioni semplici fanno nomofilachia. D’altro canto, vi è una più che
nutrita schiera di pronunciamenti giurisprudenziali che il contrasto con l’ordine
pubblico del riconoscimento, vuoi dei provvedimenti di adozione, vuoi degli atti di
nascita, formati all’estero e sorreggenti la omogenitorialità, esclude; a campione, e
senza nessuna pretesa di completezza, cfr. Trib. Perugia, 26 marzo 2018, de Jure; Trib.
Livorno, 12 dicembre 2017, Foro it. 2018, I, 1039; Cass. 15 giugno 2017, n. 14878, Fam. e
dir. 2018, 5 con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico, e in Nuova giur.
civ. commentata, 2017, I, 1708 con nota di G. Palmeri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai
fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same
sex, e in Guida al dir. 2017, 28, 54 con nota di M. Finocchiaro, Quel “vizio” ricorrente
di anticipare le scelte devolute al legislatore; Trib. Min. Firenze, 8 marzo 2017, De jure;
App. Trento, 23 febbraio 2017, Dir. fam. 2017, 364; App. Milano, 28 dicembre 2016,
n. 3390, Guida al dir., 2017, 13, 62; Trib. Napoli, 6 dicembre 2016, Foro it. 2017, 1, 309;
App. Napoli, 5 aprile 2016, Ilfamiliarista.it 2016; App. Milano, 1 dicembre 2015, n.
2543, Guida al dir. 2016, 3, 22; App. Torino, 4 dicembre 2014, Dir. fam. 2015, 129.
718
The best interest of the child
Per le coppie di donne il gioco, si potrebbe dire, è facile: una delle
due partorisce, e quindi è mamma, l’altra, nei casi presentatisi all’attenzione dei nostri giudici, talvolta “dona” l’ovulo talvolta no.
Se vi è donazione dell’ovulo da parte di una delle componenti la
coppia, e successivo impianto nell’utero dell’altra, il riconoscimento
della bimaternità sembrerebbe non rinvenire ostacoli di sorta. Ci sarebbe, ad onor del vero, l’art. 9 u.c. L.40/2004, secondo cui in caso di
applicazione di tecniche di tipo eterologo il donatore di gameti non
acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può
far valere nei suoi confronti alcun diritto nè essere titolare di obblighi,
ma l’ostacolo è stato, dal diritto vivente, superato con la asserzione che
la richiamata previsione opera solo per il donatore esterno rispetto al
progetto familiare54.
In tal caso, si è detto non si può negare l’importanza del legame
genetico, perché il minore ha diritto di accertare la propria discendenza genetica, componente essenziale della sua identità personale alla
luce del favor veritatis più volte invocato dalla Consulta55. L’attribuzione della genitorialità, nell’evenienza prospettata, non desta, peraltro,
remore di carattere etico/morale, perché, si premura di sottolineare il
diritto vivente56, si è in presenza di una sorta di pma eterologa, ben
distante dalla maternità surrogata .
In tutto ciò non si dà peso all’art. 5 l. 40/2004, vuoi perché si osserva
non essere richiamato dall’art. 8 della medesima legge57, vuoi perché lo
si considera abrogato dal c. 20 art. 1 L. 76/201658, vuoi perché si reputa
evidente che quando l’art. 5 dice “di sesso diverso”, intenda dire “anche dello stesso sesso”59.
A questo punto, se si ritiene doversi riconoscere l’atto di nascita formato all’estero, tanto vale consentirne la formazione direttamente in Italia.
La Corte di cassazione60, per vero, lo aveva escluso, ma secondo
un giudice di merito61 non le si deve dare soverchio rilievo, in quanto
54
In tal senso App. Perugia 22 agosto 2018, cit.
55
Cfr. Cass. 30.9.2016 n. 19599, cit.
56
Ancora Cass. 19599/2016, ma il distinguo è consueto.
57
Un certo peso glielo riconosce, per contro, Trib. Pordenone 2 luglio 2018, De jure, che
solleva questione di legittimità costituzionale del citato art. 5.
58
In tal senso App. Napoli 4 luglio 2018.
59
In tal senso Trib. Pistoia 5 luglio 2018
60
Cass. 19599/2016, che pure aveva fatto trascrivere l’atto spagnolo
61
Trib. Bologna 3.7.2018
Due non è uguale a uno più uno
719
accenno privo di sufficiente motivazione, con la conseguente affermazione che l’atto di nascita si possa formare direttamente Italia62.
In sintesi, usando le parole tratte dal diritto vivente63, per il solo fatto di essere amato da due donne, il figlio deve essere riconosciuto dalle
due mamme che lo hanno voluto, secondo un concetto già espresso da
dalla Suprema Corte64.
Se non proprio fonte di un – improbabile – diritto affettuoso, l’affetto
diviene, ove protratto nel tempo (già ma quanto tempo? 65), fonte di status.
62
Trib. Pisa 20.12.2017, Ilfamiliarista.it 27 marzo 2018 con nota di G. Cardaci, Formazione
in Italia di un atto di nascita recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso, in effetti,
su questo punto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 24
e 44 d.p.r. 396/2000 e 250 e 449 ss. cod. civ., riconoscendo che, per il diritto italiano, è
escluso che i genitori possano avere lo stesso sesso: l’art. 30 Cost, si osserva, tutela la
filiazione, ma questo non comporta che vada attribuito lo status di figlio di chi non
è genitore. Tale il rilievo viene convenientemente superato con la osservazione che,
ormai, anche i sindaci italiani provvedono direttamente alla formazione dell’atto
indicante come genitori ora due mamme ora due papà, onde non serve neanche
attendere il pronunciamento della Consulta.
63
Trib. Pistoia 5 luglio 2018
64
Cass. 19599/2016, cit., rel. Lamorgese, lo stesso rel. di Cass. 26 marzo 2015, n. 6131
relativa alla impugnazione posta in essere dalla madre avverso la dichiarazione
di adottabilità della propria figlia, emessa nonostante il riscontrato suo sincero
attaccamento affettivo alla figlia medesima, che non poteva supplire alla capacità
genitoriale mancante; in un’intervista relativa all’indicato pronunciamento il
relatore ebbe a dichiarare: “per essere genitore non basta voler bene ad un figlio”.
65
“Un’ ora solati vorrei, io che non so scordarti mai, per dirti ancor nei baci miei, che
cosa sei per me” cantava nel 1938 Fedora Mingarelli, e da allora il brano è stato
riproposto dai migliori artisti italiani, ma per quanto i fenomeni musicali e dell’arte
in genere siano strettamente legati alle dinamiche sociali che caratterizzano i contesti
in cui essi si esprimono, ancora non sono fonte del diritto, neanche vivente. Un’ora
sola per esprimere il proprio affetto non basta a creare una comunità di affetti, ed
allora sorge l’arduo dilemma di individuare il tempo necessario affinché l’affetto possa
essere considerato fondativo dell’acquisizione dello status. Nel – tristemente – famoso
caso Paradiso-Campanello c. Italia, una delle argomentazioni di C. EDU grande
Camera del 24 gennaio 2017 n. 25358, Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 495 con nota
di L. Lenti, Ancora sul caso Paradiso e Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera,
è stata quella per cui 8 (o sei) mesi sono un lasso tempo insufficiente per costituire
una vita familiare; App. Perugia 22 agosto 2018 stabilisce che siano i primi due anni
di vita a porre le basi per un attaccamento sicuro; nel caso posto all’attenzione di
App. Napoli 4 luglio 2018, di anni ne erano passati sei, durante i quali la aspirante
mamma adottiva compagna della madre biologica, unitamente a quest’ultima, aveva
acquistato una casa in comproprietà tramite mutuo cointestato, circostanze, codeste,
che, agli occhi del giudice, confermano che il bambino era stato voluto da entrambe le
madri; ancora sei anni erano trascorsi nel caso di cui ad App. Trento 23 febbraio 2017,
Dir. fam., 2017, 364; ad un, piuttosto vago, “molti anni”, fa riferimento Trib. Roma
30 dicembre 2015, www.studiolegale.leggiditalia.it.. Da non trascurare che, quanto meno
nelle ipotesi in cui si richiede la formazione dell’atto direttamente in Italia, ma non
solo, si tratta quasi sempre di un neonato. Evidentemente si potrebbe andare avanti
all’infinito, ma quale che voglia essere il tempo della affettività, questa non può essere
720
The best interest of the child
Due donne, due mamme …. E se si tratta di due uomini?
Nell’ipotesi della maternità rivendicata da due donne, quanto meno
nel caso di “mescolanza” tra genetica e biologia, la giurisprudenza ha
avuto, come osservato, gioco, parzialmente, facile, ancorando la riconosciuta bimaternità al diritto del minore a conoscere le proprie origini.
Ma quando si tratta di due uomini il discorso necessariamente cambia:
qui genetica e biologia non aiutano perché, di necessità, con almeno
uno dei due uomini il legame biologico è certo che non esista, mentre è,
altrettanto necessariamente, presente una maternità surrogata.
Anche il rinvio all’ordine pubblico internazionale, in tal caso, non
aiuta, poiché, quanto meno il consesso “internazionale” a noi più vicino aborre, è il caso di dire, la maternità surrogata: dalla Risoluzione
del Parlamento Europeo “sulla relazione annuale sui diritti umani e
la democrazia nel monto nel 2014 e sulla politica dell’Unione europea
in materia” del 17.12.2015 n. 115, che “espressamente condanna la pratica
della surrogazione di maternità”, al Consiglio d’Europa 11.10 2016, che ha
bocciato il c.d. rapporto De Sutter che della maternità surrogata voleva
una regolamentazione, con implicito riconoscimento66, la pratica è, in
linea generale, decisamente malvista.
La stessa Corte Edu, dai casi Menneson, Labasse c. Francia del 2014,
D. e altri c. Belgio del 2014, Paradiso Campanelli, sia del 2015 che del
assunta alla stessa stregua di un possesso che, con il trascorrere del tempo, fa maturare
l’usucapione. Jaycee Dugart, fu rapita da piccola e rimase per 18 anni segregata dal
suo aguzzino; Natascha Maria Kampusch di anni di segregazione ne ha fatti 8; 15 anni
in una caverna ha passato una piccola indonesiana con il proprio rapitore e purtroppo,
pare che gli esempi potrebbero aumentare; possiamo considerare i rapitori genitori
solo perché hanno perpetrato la loro barbarie per tanto tempo? Fuor di paradosso, in
questi terrificanti fatti di cronaca, della più nera, i rapitori abusavano delle bambine,
il relativo comportamento, nel nostro ordinamento, concretando, unitamente,
purtroppo, ad altre ipotesi di reato, gli estremi del reato di riduzione o mantenimento
in schiavitù o in servitù, ex art. 600 cod. pen.. Gli estremi di tale reato, invece, non
sono ritenuti, dai nostri giudici, integrati nel caso di compravendita di essere umano
al fine del suo inserimento come figlio nel nucleo familiare degli acquirenti, poiché il
delitto di cui all’art. 600 cod. pen. implica la reificazione della vittima, mentre nel caso
in questione la condotta è finalizzata ad inserire la vittima in una famiglia uti filius; cfr.
Cass. pen. 22 luglio 2015 n. 34460 Diritto & Giustizia 2015, 30, 52 con nota di C. Bossi,
‘Acquistare’ un figlio; Cass. pen.14 luglio 2015 n. 1797; Cass. pen.14 luglio 2015 n. 1795;
Cass. pen.6 giugno 2008 n. 32986, Cass.pen., 2009, 3872; Cass. pen. 10 settembre 2004
n. 39044, Cass. pen. 2007, 160 con nota di A. Rossetti, Riduzione in schiavitù e nuovo art.
600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibili, e in Giur. it. 2005, 1708D.
Martinelli, Cessione di neonato “uti filius”. I bimbi compravenduti avranno acquistato lo
status di figli grazie al favor filiationis che impone la continuità degli affetti?
66
Bocciatura, tuttavia, che secondo V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”,
cit., 1097 ss. ha segnato una battuta d’arresto per la salvaguardia dei diritti dei bambini.
Due non è uguale a uno più uno
721
2017, non ha mai considerato la donna committente, non biologicamente legata al figlio da altri partorito, come mamma67.
Perché, allora, lo dovrebbe essere il padre committente, altrettanto
non biologicamente legato con il figlio?
Per superare l’imbarazzo si invoca un non meglio specificato favor
minoris, da cui conseguirebbe il diritto alla continuità degli status68,
senza contare che, per invocare la continuità dello status, uno status
bisogna pur averlo acquisito.
Trapela, allora, di sfuggita69 che in caso di bipaternità non c’è contrasto con l’ordine pubblico (internazionale) perché la trascrizione
dell’atto di nascita indicante due padri garantisce il diritto delle persone di autodeterminarsi, disvelando quelli che sono i reali interessi
sottesi che si vogliono tutelare. Quelli degli adulti omosessuali70.
In tal modo, occorre francamente riconoscere, non si realizza, neanche nel concreto, l’interesse del minore, che del contratto di maternità
surrogata (contratto traslativo) è nulla più che l’oggetto. In ogni caso,
sempre e comunque, il minore è oggetto per appagare i desideri di
genitorialità degli adulti71.
In una delle sue ultime interviste Rita Levi Montalcini invocò il diritto di indignarsi. È giunto il momento di esercitare questo diritto.
67
68
Cfr. Corte EDU 26 giugno (26 settembre) 2014 n. 65192/11, Nuova giur. civ. commentata
2014, I, 1122 con nota di C. Campiglio, Il diritto all’identità personale del figlio nato
all’estero da madre surrogata (ovvero la lenta agonia del limite dell’ordine pubblico), e in
Quaderni Cost. 2014, 953, con nota di M. M. Giungi, Mennesson c. Francia e Labasse c.
Francia: le molteplici sfumature della surrogazione di maternità, e in Foro it. 2014, I, 561 con
nota di G. Casaburi, La Corte europea apre (con riserve) alla maternità surrogata; Corte
EDU 26 giugno 2014, n. 65941, Resp. civ. prev., 2014, 2041; C. EDU 8 luglio 2014, n.
29176; Corte EDU 27 gennaio 2015 n. 25358/12, Foro it., 2015, IV, 117 con nota di G.
Casaburi, La Corte europea dei diritti dell’uomo e il divieto italiano (e non solo) di maternità
surrogata: un’occasione mancata, e in Nuova giur. civ. commentata 2015, I, 828 con nota di
A. Schuster, Gestazione per altri e Conv. Eur. Dir. uomo: l’interesse del minore non deve mai
essere un mezzo, ma sempre e solo il fine del diritto; C. EDU 24 gennaio 2017 n. 25358, cit.
Così Trib. Torino 24 febbraio 2017, senza citare una sola norma; secondo App.
Venezia 28 giugno 2018 non serve la verità del rapporto di filiazione, perché il divieto
dell’art. 12 l. 40/2004 non è di ordine pubblico, ma scelta discrezionale del legislatore,
ma si è visto che la conformità della gestazione per altri all’ordine pubblico ancorché
internazionale è più che discutibile
69
L’osservazione “scappa” a Trib. Roma 11 maggio 2018
70
Più che bastevole il rinvio a F. D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema
della difficile integrazione delle fonti, cit., 1447 ss. il quale denuncia come si sia
trasformato il desiderio in diritto.
71
E dire che Cenerentola per far avverare i desideri chiamava la fata smemorina
722
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Maternità surrogata e tutela del minore:
quale il best interest of the child?
Emanuele Lucchini Guastalla
Il tema della maternità surrogata ha generato problemi derivanti
soprattutto dalle differenze tra la legislazione italiana e quelle, più permissive, vigenti in altri Paesi1.
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, infatti, il divieto di maternità surrogata non è stato intaccato dalle varie pronunce della giurisprudenza costituzionale2 che hanno modificato l’impianto originario
della legge 40/20043.
1
Prendendo in considerazione i Paesi europei, si può notare che la maternità surrogata
è consentita in un numero limitato di Stati (Albania, Georgia, Grecia, Portogallo,
Regno Unito, Russia ed Ucraina) e ognuna delle discipline nazionali presenta
peculiarità in relazione ai soggetti ammessi all’utilizzo di tale tecnica procreativa e
in ordine alla gratuità od onerosità della stessa.
2
Si fa riferimento, innanzitutto, a Corte cost., 10.6.2014, n. 162, in Nuova giur.
civ. comm., 2014, I, p. 802, con nota di G. Ferrando. Con tale pronuncia, la Corte
costituzionale ha posto fine al divieto di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo originariamente previsto dall’art. 4, comma 3°, l. 40/2004, dichiarando
incostituzionale la disposizione citata, così come la norma sanzionatoria (di carattere
complementare) di cui all’art. 12, comma 1°, l. 40/2004, per contrasto con gli artt.
2, 3, 31 e 32 Cost.; per alcuni commenti alla sentenza, v.: V. Carbone, Sterilità della
coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia, in Fam. e dir., 2014, p. 753; C. Castronovo,
Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. e dir. priv.,
2014, p. 1105; L. D’Avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta
un percorso tutto da regolamentare, in Dir. fam. e pers., 2014, p. 1005; G. Ferrando,
La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale: l’illegittimità del
divieto di fecondazione “eterologa”, in Corr. giur., 2014, p. 1068. Un’altra pronuncia da
ricordare è Corte Cost., 5.6.2015, n. 96, in www.cortecostituzionale.it, che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale della l. 40/2004 nella parte in cui vietava l’accesso alla
fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto alle coppie con gravi patologie
genetiche trasmissibili al nascituro (art. 1, commi 1° e 2°, e art. 4, comma 1°, l.
40/2004). Ancora, vanno citate Corte Cost., 18.12.2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, p. 21,
sulla quale ci si soffermerà infra nel testo, e Corte Cost., 23.10.2019, n. 221, in www.
cortecostituzionale.it, alla quale si farà riferimento nella nota conclusiva.
3
Come è noto, l’art. 12, comma 6°, della legge in questione continua a sanzionare con
730
The best interest of the child
Sia nel caso di “surrogazione omologa” – ovvero qualora la “madre gestazionale” ospiti un embrione formato da gameti provenienti
dai genitori che commissionano la surrogazione – sia nell’ipotesi di
“surrogazione eterologa” – che si verifica qualora si faccia ricorso alla
donazione di ovociti in combinazione con la gravidanza nell’interesse
della “committente”4 – possiamo individuare una molteplicità di figure in potenziale contrapposizione: il “genitore genetico”, il “genitore
sociale”, la “madre gestazionale” e il figlio generato a seguito delle
predette tecniche5.
la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di
Euro “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione
di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. È da ritenersi che, in mancanza di
una definizione legislativa della surrogazione di maternità, nel divieto ricadano “sia
l’ipotesi in cui una donna metta a disposizione l’utero per ricevere un oocita fecondato altrui,
sia l’ipotesi in cui metta a disposizione, oltre all’utero, anche un proprio oocita, in entrambi
i casi impegnandosi a cedere il bambino subito dopo il parto”: così G. Losappio, Commento
alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione assistita, in C. Palazzo
– C.E. Paliero (cur.), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007,
sub art. 12, p. 2062, ripreso da E. Dolcini, La procreazione medicalmente assistita: profili
penalistici, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni – S. Rodotà – P. Zatti, Il
governo del corpo, II, nel Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà – P. Zatti, Milano,
2011, p. 1551.
4
Ad esempio: si feconda l’ovocita della “madre surrogata” con il seme dell’uomo
della coppia committente; oppure, è una donna diversa dalla “madre sociale” e dalla
“madre gestazionale” a fornire l’ovocita, che viene fecondato con il seme dell’uomo
della coppia committente; ancora, è possibile che l’ovocita sia estraneo alle due
donne e il seme maschile provenga da un soggetto estraneo alla coppia committente.
5
Per la distinzione tra maternità surrogata omologa ed eterologa, v. G. Casaburi,
Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, in Foro it., 2014, I, p. 3414.
In dottrina si riscontra, però, l’impiego di termini differenti per indicare le varie
fattispecie. Ad esempio, vi è chi parla di “surrogazione totale” per indicare la donna
che porta a termine la gravidanza dopo avere ricevuto l’ovulo fecondato di un’altra
donna (tale ovulo può appartenere alla madre committente o ad una donatrice),
distinguendola dalla “surrogazione parziale”, in cui la madre sostituta è anche madre
genetica, in quanto si incarica di fornire l’ovulo e di condurre la gravidanza (così I.
Corti, La maternità per sostituzione, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni
– S. Rodotà – P. Zatti, Il governo del corpo, II, cit., p. 1480). Altra dottrina ritiene
che, per questioni di chiarezza, occorrerebbe qualificare come maternità surrogata
“quella tecnica in base alla quale una donna si impegna su commissione (con o
senza corrispettivo) a portare a termine una gravidanza e a consegnare il figlio dopo
il parto ai “committenti” (in questa ipotesi la donna incaricata “presta”, per così
dire, sia il materiale genetico che la funzione di gestazione)”; diversamente, sarebbe
una “locazione d’utero” “quella fattispecie in cui la donna in questione si limita a
portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico impiegato è dei soggetti
“committenti”“ (G. Cassano, Maternità “surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordi
di solidarietà, in Fam. e dir., 2000, p. 151 ss., il quale riprende G. Baldini, Tecnologie
riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, p. 96).
Maternità surrogata e tutela del minore
731
La giurisprudenza italiana ha dovuto affrontare, negli ultimi anni6,
le questioni attinenti al riconoscimento del rapporto di filiazione tra
bambini nati da maternità surrogata e coppie che hanno utilizzato tale
tecnica al di fuori del nostro Paese.
Negli Stati (soprattutto europei, ma non solo) ove la maternità
surrogata è consentita, accade normalmente che – dopo la nascita del
bambino e in conformità alla legislazione del luogo in cui avviene il
parto – il certificato di nascita viene formato con l’attribuzione dello
status di padre e madre del neonato ai genitori committenti.
Una volta formato il certificato di nascita, i “genitori sociali” richiedono all’autorità consolare straniera di trasmetterlo al proprio comune
di residenza, solitamente non specificando di avere fatto ricorso alla
maternità surrogata all’estero, per ottenerne la trascrizione nei registri
dello stato civile.
Non sempre, tuttavia, l’omessa menzione della maternità surrogata
passa inosservata: in tali casi, si generano contrasti tra autorità italiane
e coppia committente che giungono all’esame delle corti.
Limitando l’esame alle sentenze più recenti e di maggiore rilievo,
occorre ricordare la pronuncia Cass. 24001/2014, che ha qualificato il
divieto di maternità surrogata come principio di ordine pubblico, anche internazionale7.
6
La prima pronuncia in tema di maternità surrogata è Trib. Monza, 27.10.1989, in
Nuova giur. civ. comm., 1990, I, p. 355, con nota di G. Liaci, che ha affermato la nullità
del contratto con cui una donna consente, verso compenso, a ricevere il seme di
un uomo e a portare a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di madre.
Bisogna però dare atto che il ricorso a forme di surrogazione di maternità – pur senza
l’intervento medico e l’utilizzo delle moderne tecniche (che, come si è già osservato,
hanno generato una diversificazione tra varie tipologie di surrogazione, a seconda
della provenienza dei gameti impiegati nella tecnica procreativa) – è antichissimo:
per una ricognizione storica, v. E. Cantarella, Il paradosso romano: la donna tra
diritto e cultura, in M.T. Guerra Medici (cur.), Orientamenti civilistici e canonistici sulla
condizione della donna, Napoli, 1996, p. 14 s.; si veda, inoltre, il richiamo all’episodio
biblico di Abramo (che fu convinto da Sara ad avere un figlio dalla schiava Agar) nel
contributo di A. Vallini, La schiava di Abramo, il giudizio di Salomone e una clinica di
Kiev: contorni sociali, penali e geografici della gestazione per altri, in Dir. pen. e proc., 2017,
p. 896 ss.
7
Cass., 11.11.2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 235, con nota di C.
Benanti, in Foro it., 2014, I, p. 3414, con nota di G. Casaburi e in Corr. giur., 2015,
p. 471, con nota di A. Renda. In proposito, è nota la distinzione tra ordine pubblico
“interno” e “internazionale”, quest’ultimo inteso “come complesso dei principi
fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo
storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni
ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati
a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria” (Cass., ord. 16.5.2016,
732
The best interest of the child
Nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte, una coppia eterosessuale italiana aveva fatto ricorso alla maternità surrogata in Ucraina.
L’atto di nascita, formato all’estero, indicava quali genitori i componenti della coppia, ma il bambino non era figlio biologico né dell’uomo
né della donna italiana.
Ciò costituiva, tra l’altro, una violazione anche della legge ucraina, la quale richiede, per la stipula di una convenzione di maternità
surrogata, che almeno metà del materiale genetico provenga dai committenti: pertanto, uno di loro deve necessariamente essere genitore
biologico.
Nell’occasione, la Cassazione ha precisato che l’ordine pubblico internazionale è da intendersi quale “limite che l’ordinamento nazionale
pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna”: pertanto, esso non può essere ridotto “ai soli
valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche
principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò)
irrinunciabili”.
Partendo da questa osservazione, la Suprema Corte ha richiamato i
principi espressi dall’art. 269, comma 3°, c.c., per il quale è madre colei
che partorisce, nonché dall’art. 12, comma 6°, legge 40/2004, che, come
si è ricordato, sancisce il divieto di maternità surrogata.
Secondo la Corte, tale divieto è da considerarsi di ordine pubblico
– anche tenuto conto della previsione di una rilevante sanzione penale
– in quanto è posto a presidio della dignità umana della gestante.
n. 9978, in Foro it., 2016, I, p. 1973). Sul punto v. pure Cass., 15.6.2017, n. 14878,
in banca dati Italgiure (per la quale, “quanto alla nozione di ordine pubblico, si
distingue correntemente tra ordine pubblico internazionale e interno, costituendo
il primo un limite all’applicazione del diritto straniero” e il secondo “un limite
all’autonomia privata, indicato dalle norme imperative di diritto interno”).
Recentemente, le Sezioni Unite della Cassazione, proprio in relazione al divieto
di maternità surrogata, hanno evidenziato che “la compatibilità con l’ordine
pubblico” (richiesta dagli artt. 64 ss. l. 218/1995 per il riconoscimento dell’efficacia
del provvedimento giurisdizionale straniero), deve essere “valutata alla stregua non
solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle
fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono
incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione
fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e
ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella
ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti
dell’ordinamento in un determinato momento storico” (così Cass., Sez. Un., 8.5.2019,
n. 12193, in Foro it., 2019, p. 2003, che verrà ripresa infra, nella nota conclusiva).
Maternità surrogata e tutela del minore
733
Inoltre, la surrogazione di maternità si pone in conflitto con la scelta
legislativa di consentire “la realizzazione di progetti di genitorialità
priva di legami biologici con il nato” solo all’istituto dell’adozione, governato da regole poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo
dei minori, e non dal mero accordo delle parti.
L’interesse del minore deve essere considerato preminente “in tutte
le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative
o degli organi legislativi” ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di New
York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con legge 27
maggio 1991, n. 1768.
Secondo la Cassazione, il superiore interesse del bambino viene
tutelato dal legislatore italiano proprio attribuendo la maternità alla
donna che partorisce e affidando la realizzazione di una genitorialità
disgiunta dal legame biologico all’istituto dell’adozione, dotato delle
garanzie proprie del procedimento giurisdizionale.
Un’interpretazione relativa al limite dell’ordine pubblico si rinviene, poi, nella sentenza Cass. 19599/2016, la quale – occorre subito precisare – non concerneva un’ipotesi di maternità surrogata9.
Il caso riguardava la trascrizione dell’atto di nascita spagnolo dal
quale, conformemente alla lex loci, risultava la nascita di un figlio da
due donne: una (spagnola) che l’aveva partorito e l’altra (italiana) che
aveva donato l’ovulo.
Nella pronuncia del 2016, la Cassazione ha sottolineato come il proprio precedente del 2014 riguardasse una fattispecie differente per “almeno due ragioni”: infatti, nel caso deciso nel 2014, “non esisteva alcun legame biologico tra i coniugi, aspiranti genitori, e il nato”; inoltre,
“l’atto di nascita era invalido secondo la stessa legge del paese (Ucraina) nel quale esso era stato formato”, poiché “falsamente attestava che
il nato era figlio di quei coniugi”.
La Suprema Corte è giunta, quindi, ad affermare che il limite
dell’ordine pubblico non può impedire il riconoscimento dell’efficacia
8
Oltre che sulla Convenzione, citata dalla Suprema Corte, il principio della superiorità
dell’interesse del bambino poggia, a livello internazionale, anche sull’art. 23 del reg.
CE n. 2201/2003 e sull’art. 24 della Carta dir. UE, nonché, a livello di diritto interno,
sugli artt. 316, 317-bis, 330, 336-bis, 337-ter, 337-quater, 337-sexies, c.c.
9
Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 372 ss., con nota
di G. Palmeri, in Foro it., 2016, I, p. 3329, con nota di G. Casaburi e in Giur. it., 2017,
p. 2082, con nota di C. Fossà.
734
The best interest of the child
in Italia di un atto di stato civile straniero quando questo sia semplicemente espressione di una disciplina normativa contrastante con disposizioni anche imperative o inderogabili di diritto interno.
Il limite opera, invece, solo quando il diritto straniero di riferimento sia incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo,
che, con una certa facilità, si desumono dalla Costituzione, dai Trattati
costitutivi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, nonché dalla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Pertanto, non collide con l’ordine pubblico la circostanza che venga
utilizzata, nel caso concreto, una tecnica riproduttiva non contemplata
nella legge 40/2004.
Nemmeno osta al riconoscimento dell’atto straniero il principio ricavabile dall’art. 269, comma 3º, c.c., secondo cui è madre solo colei
che ha partorito, trattandosi di norma in tema di prova della filiazione.
Infine, irrilevante è il fatto che la coppia sia composta da persone
dello stesso sesso, unite da stabile legame affettivo: occorre, infatti, tutelare l’interesse superiore del minore, che si sostanzia anche nel suo
diritto alla continuità dello status di filiazione nei confronti di due donne, validamente acquisito all’estero.
I principi espressi in questa decisione della Cassazione hanno, così,
sostanzialmente avallato l’orientamento assunto da quella parte della
giurisprudenza di merito che tendeva ad ammettere in Italia la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero in base a normative disciplinanti tecniche procreative non consentite dall’ordinamento italiano10.
Non ha stupito, quindi, il contenuto dell’ordinanza della Corte
d’appello di Trento del febbraio 2017, la quale ha consentito la trascri10
V., ad es.: App. Bari, 13.2.2009, in Fam. e dir., 2010, p. 257 ss.; Trib. Forlì, 25.10.2011,
in Dir. fam. e pers., 2013, p. 532; Trib. Napoli, 1.7.2011, in Giur. merito, 2011, p. 2695:
Trib. Milano, 12.6.2015, in ilfamiliarista.it. Successivamente alla pronuncia della
Cassazione, la giurisprudenza di merito ha affermato che non sono contrari all’ordine
pubblico e sono conformi al vero – e pertanto il giudice può disporne la trascrizione
– gli atti di nascita stranieri di due bambini, indicati come gemelli (twins) in quanto
nati nella stessa data e dalla stessa donna, che non li ha riconosciuti, mentre, per
ciascuno di essi, è indicato come genitore (parent), senza connotazione di genere, un
diverso cittadino italiano di sesso maschile (App. Milano, decr. 28.12.2016, in Foro it.,
2017, I, p. 722; nella specie, una coppia omosessuale aveva fatto ricorso, in California,
alla pratica della maternità surrogata; i due bambini, gemelli dizigoti, erano nati a
mezzo della fecondazione di due distinti ovuli di una terza donatrice, ciascuno con
il seme di uno dei due ricorrenti, con impianto degli embrioni così ottenuti nell’utero
della donna che li ha poi partoriti; per un commento, v. G. Cardaci, La trascrizione
dell’atto di nascita straniero formato a seguito di gestazione per altri, in Nuova giur. civ.
comm., 2017, I, p. 657 ss.).
Maternità surrogata e tutela del minore
735
zione di un provvedimento straniero che emendava gli atti di nascita
di due minori al fine di indicare due uomini quali genitori11.
La coppia omosessuale in questione, infatti, aveva fatto ricorso alla
maternità surrogata all’estero12; il legame genetico con i figli era sussistente solo per uno dei committenti13, ma entrambi erano riusciti ad
ottenere giudizialmente, in conformità alla lex loci, il riconoscimento
dello status di genitori.
A testimonianza del rilievo primario che deve essere riconosciuto
alla posizione dei bambini, la Corte d’Appello, pur ammettendo che “il
principio del best interest dei minori a vedere riconosciuto lo status di
figli non ha valenza assoluta”, ha affermato che esso può “cedere unicamente di fronte ad altri interessi e valori di rilevanza costituzionale
primaria e vincolanti per il legislatore ordinario”.
Nel caso di specie, il mancato riconoscimento dello status filiationis
nei confronti del padre non biologico avrebbe determinato “un evidente pregiudizio per i minori”, poiché essi non avrebbero visto riconosciuti in Italia i loro diritti nei confronti di tale soggetto.
Essi, poi, sarebbero stati pregiudicati “anche sotto il profilo della
perdita dell’identità familiare legittimamente acquisita”.
La circostanza che l’Italia non consenta il ricorso alla maternità surrogata non è stata, quindi, ritenuta sufficiente per negare effetti, nel
11
App. Trento, 23.2.2017, in Foro it., 2017, I, 1034. Si veda, però, l’esito della vicenda
giudiziaria, sfociata nella pronuncia delle Sezioni Unite del 2019, che verrà ricordata
nella nota conclusiva, alla quale pertanto si rimanda.
12
Più specificamente, i ricorrenti avevano contratto matrimonio in Canada; come è
noto, l’art. 1, comma 28°, lett. b), l. 76/2016 ha delegato il Governo ad adottare un
decreto legislativo per la modifica e il riordino delle norme in materia di diritto
internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione
civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate
da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione
civile o altro istituto analogo. L’art. 1, comma 1°, d.lgs. 7/2017 ha inserito l’art. 32bis nella l. 218/1995, che così dispone: “Il matrimonio contratto all’estero da cittadini
italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla
legge italiana”. In tempi recenti, la Suprema Corte ha stabilito che il matrimonio
omosessuale tra persone dello stesso sesso contratto all’estero tra un cittadino
italiano ed uno straniero, ai sensi dell’art. 32-bis l. 218/1995, può essere trascritto nel
nostro ordinamento come unione civile, essendo trascrivibile come matrimonio solo
quello contratto all’estero da due cittadini stranieri (così Cass., 14.5.2018, n. 11696, in
banca dati Italgiure).
13
Tale legame genetico era stato riconosciuto da un provvedimento emesso dalla
Superior Court of Justice dell’Ontario (Canada). La tecnica procreativa utilizzata
nel caso di specie era stata quella della surrogazione di maternità eterologa, con
una prima donna donatrice di ovociti ed una seconda che aveva assunto il ruolo di
“madre gestazionale”.
736
The best interest of the child
nostro ordinamento, al provvedimento straniero che, in applicazione
della legge ivi vigente, ha riconosciuto un rapporto di filiazione tra il
padre non biologico ed i due minori nati facendo ricorso alla maternità
surrogata.
La decisione si fonda sul rilievo che la disciplina positiva della procreazione medicalmente assistita debba essere considerata non come
espressione di principi fondamentali immodificabili, ma piuttosto
come il punto di equilibrio raggiunto a livello legislativo nella tutela dei differenti interessi fondamentali che vengono in considerazione
nella materia14.
Da segnalare anche la sentenza della Corte Costituzionale
18.12.2017, n. 27215.
La vicenda riguarda un caso di surrogazione di maternità, attraverso ovodonazione, realizzata all’estero.
Il certificato di nascita del bambino, riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, era stato regolarmente trascritto
in Italia.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni
aveva avviato delle indagini nel corso delle quali era emerso il ricorso
alla gestazione per altri e aveva quindi avviato il procedimento per la
dichiarazione dello stato di adottabilità, conclusosi con una dichiara14
Si è fatto notare che “tra le varie argomentazioni spese in favore della trascrizione
degli atti di nascita [...] ve ne è una che appare dirimente: quella relativa alla necessità
[...] di promuovere il best interest of the child”: quando il diniego alla trascrizione
rischia di pregiudicare gli interessi e i diritti del minore (o dei minori), “la clausola
dell’ordine pubblico, di per sé aperta a molteplici interpretazioni, non può non
venire “illuminata” [...] dal principio del best interest of the child” (G. Cardaci, op.
loc. cit.). Si deve poi registrare un’altra importante pronuncia del 2017 (successiva
all’ordinanza della Corte d’Appello di Trento), con la quale la Cassazione,
richiamando il proprio precedente del 2016, ha ribadito che non è contraria all’ordine
pubblico internazionale la trascrizione richiesta da due cittadine italiane, residenti
e coniugate all’estero, affinché l’atto di nascita del minore (figlio di una delle due, a
seguito di fecondazione assistita) rechi l’indicazione di entrambe come genitori, pur
non avendo una di loro alcun rapporto biologico con lui (cfr.: Cass., 15.6.2017, n.
14878, in banca dati Leggi d’Italia).
15
() Corte cost., 18.12.2017, n. 272, in Foro it., 2018, 1, p. 21 ss.; per alcuni commenti a
tale pronuncia, v.: G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non
va (quasi mai) sopravvalutata, in Foro it., 2018, 1, p. 21 ss.; O. Clarizia, Impugnazione
del riconoscimento per difetto di veridicità: interesse del minore alla conservazione dello
stato di figlio in seguito a violazione del divieto di maternità surrogata, in Foro nap.,
2018, 1, p. 244 ss.; S. Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del
riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 ss.; U. Salanitro, “Favor
minoris”, impugnazione del riconoscimento e maternità surrogata. Per un’interpretazione
costituzionalmente orientata, in www.giustiziacivile.com, 2018, 2, p. 9 ss.
Maternità surrogata e tutela del minore
737
zione di non luogo a provvedere, avendo il test genetico confermato
la paternità biologica di colui che aveva effettuato il riconoscimento.
Su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale per i minorenni di
Milano aveva autorizzato poi l’impugnazione del riconoscimento del
figlio naturale e nominato un curatore speciale del minore.
La decisione che ha dichiarato che il minore non è figlio della donna
che lo aveva riconosciuto si è fondata sulla disposizione di cui all’art.
269, terzo comma, c.c. e sulla contrarietà all’ordine pubblico della legge straniera che prevedeva il contratto di surrogazione.
Nel giudizio d’appello, la Corte solleva questione di legittimità costituzionale: il dubbio di costituzionalità attiene, in particolare, all’art.
263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia
ritenuta rispondente all’interesse del minore.
La Corte Costituzionale dichiara la questione infondata, ma sottolinea come la tutela dell’interesse del minore rappresenti principio immanente in tutto il sistema normativo sia nazionale che internazionale
e rimette, quindi, al giudice di merito pieno potere decisionale rispetto
al caso specifico.
In questo quadro giurisprudenziale16 non si può fare a meno di ricordare, seppur in modo sintetico, gli interventi da parte della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di rapporto tra maternità surrogata e art. 8 della Convenzione.
Nelle sentenze gemelle Mennesson c. Francia (CEDU, 26.6.2014, ric.
65192/11) e Labassée c. Francia (CEDU, 26.6.2014, ric. 65941/11)17, la Corte ha ritenuto contrario all’art. 8 il rifiuto da parte delle autorità nazionali francesi di riconoscere valore legale alla relazione tra un padre e il
figlio biologico nato all’estero facendo ricorso alla maternità surrogata.
16
Quadro giurisprudenziale che si è ora arricchito anche della pronuncia delle Sezioni
Unite del 2019, richiamata nella nota conclusiva, alla quale si rinvia.
17
Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 1122, con nota di
C. Campiglio. Trattasi di pronunce in cui la Corte si è pronunciata all’unanimità e
che sono state considerate decisioni “senza precedenti” e “di grandissimo rilievo”,
in quanto la Corte eur. dir. uomo ha mostrato un’apertura alla maternità surrogata
“con riferimento all’ordinamento francese, ma evidentemente con riflessi su quelli
degli altri paesi che pure vietano tale tecnica procreativa, compresa l’Italia” (G.
Casaburi, Nota a Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, in Foro it., 2014, IV, p. 561, il quale
rinvia anche a Id., Osservazioni a Trib. Milano 8.4.2014 e 15.10.2013, in Foro it., 2014, II,
p. 389 e Id., Nota a Cass. 11 novembre 2014, n. 24001, ivi, I, p. 3408).
738
The best interest of the child
I casi concreti riguardavano maternità surrogate commissionate
negli Stati Uniti da coppie eterosessuali francesi e in cui i padri erano
anche genitori biologici dei figli.
In particolare, la Corte non ha considerato violato da parte dello
Stato francese il diritto della coppia al rispetto della vita familiare, bensì il diritto del minore nato da maternità surrogata al rispetto della
propria vita privata.
Infatti, il rispetto per la vita privata include il primario interesse a
definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio
status di figlio o di figlia di una coppia di genitori.
La vicenda che ha avuto maggiore rilievo mediatico nel nostro Paese è, però, quella dei coniugi Paradiso e Campanelli.
Costoro si erano rivolti ad una clinica specializzata russa per ricorrere alla tecnica della maternità surrogata.
Una volta rientrati nel nostro Paese con il minore, a seguito di segnalazione alle autorità italiane, veniva accertata l’assenza di un legame genetico tra i genitori committenti ed il bambino.
Pertanto, le autorità riconoscevano lo stato di abbandono del minore, non avendo questi alcun legame biologico o giuridico (secondo
la legge italiana) con i coniugi: il minore veniva dichiarato in stato di
adottabilità e affidato prima ad una casa famiglia e, infine, ad una nuova coppia.
A seguito del ricorso da parte dei signori Paradiso e Campanelli, la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronunciava dapprima con la
sentenza 27.1.2015, ritenendo violato l’art. 8 della Convenzione18.
La Corte riconosceva, infatti, l’esistenza di una famiglia de facto tra
la coppia e il bambino, di modo che la sua sottrazione ai coniugi ricorrenti e l’affido si presentavano come un’illegittima interferenza dello
Stato italiano nella vita privata e familiare.
La questione veniva, successivamente, affrontata dalla Grande
Chambre, la quale, con sentenza del 24.1.2017, a maggioranza di undici
componenti contro sei, ha ribaltato il giudizio di primo grado, affermando la legittimità delle misure adottate dalle autorità italiane19.
18
Corte eur. dir. uomo, 27.1.2015, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 828, con nota di
A. Schuster.
19
Corte eur. dir. uomo, 24.1.2017, in Foro it., 2017, IV, p. 105, con nota di G. Casaburi.
Per un’approfondita analisi della sentenza v. anche L. Lenti, Ancora sul caso Paradiso
& Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera, in Nuova giur. civ. comm., 2017,
I, p. 495.
Maternità surrogata e tutela del minore
739
La Corte ha ribadito l’orientamento per cui, in materie delicate quali la maternità surrogata, i singoli Stati godono di ampia discrezionalità e il giudizio, ai fini della valutazione del rispetto dell’art. 8 della
Convenzione, non può che riguardare il caso concreto.
Nella motivazione fornita dalla Grande Chambre assume un ruolo
preminente l’interesse generale alla difesa dell’ordine ed alla protezione dei minori, mentre l’interesse dei ricorrenti alla realizzazione del
proprio progetto genitoriale si configura come necessariamente subordinato.
La Corte prende atto che lasciare il bambino con i ricorrenti avrebbe
condotto alla legalizzazione di una situazione creatasi a seguito della
violazione di importanti regole dell’ordinamento italiano.
La breve durata della coabitazione del minore con i coniugi aveva,
del resto, impedito la costituzione di una vera e propria vita familiare
e la precarietà di tale condizione era stata causata proprio dal comportamento dei ricorrenti, che avevano violato le leggi del proprio Paese.
Per tali ragioni, le autorità italiane, considerando l’illegalità della
condotta dei ricorrenti e l’urgenza di giungere a soluzioni adeguate
per il minore, hanno adottato misure pertinenti e proporzionate all’obiettivo perseguito.
Dall’esame della normativa e della giurisprudenza in tema di maternità surrogata si rileva un contrasto inevitabile tra il divieto presente nel nostro paese e l’utilizzo, nella prassi, di tale tecnica procreativa
all’estero da parte di committenti italiani.
Tuttavia, al di là delle affermazioni di principio che si leggono nelle
pronunce, pare che, nell’adozione delle decisioni concrete, abbia spesso avuto un rilievo non trascurabile il fatto che vi fosse o meno un
“contributo biologico” da parte di almeno uno dei committenti20.
Sia nella vicenda di cui si è occupata Cass. 19599/2016, sia in quella
oggetto dell’ordinanza App. Trento 23.2.2017, uno dei “genitori sociali” era anche il “genitore biologico”, mentre nel caso deciso da Cass.
24001/2014 mancava tale legame biologico21.
20
() Si riferisce a “un contributo biologico minimo”, “un legame biologico minimo” e “un
substrato biologico minimo” M. Di Masi, Maternità surrogata: dal contratto allo “status”,
in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 615 ss., spec. p. 627 ss., il quale critica tale impostazione
giurisprudenziale ritenendo che “la distinzione sin qui tracciata, fondata sulla
presenza o meno di contributo biologico minimo, pare però non conformarsi
al supremo interesse del minore quale espressione del diritto alla vita privata e
familiare ex art. 8 CEDU”.
21
Sul ruolo del legame genetico con almeno uno dei genitori v. già S.L. Tiller,
740
The best interest of the child
Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le sentenze Mennesson c. Francia (CEDU, 26.6.2014) e
Labassée c. Francia (CEDU, 26.6.2014) riguardavano casi in cui era presente un legame genetico tra uno dei committenti e il figlio.
Diversamente, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia (CEDU, Grande
Chambre, 27.1.2017), si era impiegata una surrogazione di maternità di
tipo eterologo, nella quale entrambi i gameti provenivano da soggetti
esterni alla coppia.
Quando è presente il legame genetico, l’interesse del minore conduce ad una tutela ampia delle relazioni instaurate, a seguito della maternità surrogata, con la coppia committente. Il collegamento biologico
con uno dei genitori committenti favorisce, di fatto, il riconoscimento
giuridico anche del rapporto tra figlio e “genitore sociale” che non sia
anche “genitore biologico”.
Quando, invece, manca ogni legame genetico con i committenti, il
superiore interesse del minore alla conservazione della relazione familiare instaurata con soggetti a lui geneticamente estranei viene valutato
sulla base dei caratteri di tale relazione, primo fra tutti la durata della
stessa.
Ne è testimonianza la citata sentenza della Grande Chambre, la quale, pur considerando inopportuna la fissazione di una durata minima,
ha ritenuto non idonea a creare legami stabili la convivenza di soli sei
mesi del minore con i coniugi committenti.
L’affermazione della priorità dell’interesse del minore22 nelle decisioni che lo riguardano lascia, però, sempre sullo sfondo il problema
– difficilmente risolvibile qualora si faccia ricorso a tecniche di maternità surrogata – della tutela del bambino con riguardo al rapporto tra
lo stesso e la madre gestante23, con la quale si genera un legame fisico
Note, Litigation, Legislation and Limelight: Obstacles to Commercial Surrogate Mother
Arrangements, in 72 Iowa Law Review, 1987, p. 415.
22
Non è mancato chi abbia messo in guardia sull’utilizzo della clausola generale di
tutela dei best interests of the child, la quale, “di per sé confusa e ambigua” rivelerebbe
“un profilo sconcertante: quello di servire da immagine pietosa e irresistibile, e al
tempo stesso da complemento inesorabile e vincente, di uno dei più inquietanti
nuovi “dogmi”: il c.d. diritto alla genitorialità, che si esprime in una libera
“autodeterminazione procreativa”“ (F.D. Busnelli, I diritto della famiglia di fronte al
problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1447 ss.; anche M.
Di Masi, op. cit., p. 634, riconosce “l’ambivalenza del best interest of the child, che si
mostra [...] strumento quanto mai complesso e volubile”).
23
Proprio la figura della madre gestante viene valorizzata nella recente Cass., Sez. Un.,
8.5.2019, n. 12193, cit. (per la quale v. soprattutto la nota seguente), la quale afferma
Maternità surrogata e tutela del minore
741
nelle prime fasi della vita, ma che, una volta terminata la gravidanza,
appare sacrificato nel contemperamento complessivo degli interessi di
cui sono portatori gli adulti.
Adulti che forse dimenticano che i figli dovrebbero essere considerati un dono e non un diritto24.
che, nel divieto di surrogazione di maternità sancito dalla l. 40/2004 “vengono […]
in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto
dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in
conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela
di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti,
l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami
biologici con il nato”. Inoltre, si noti che viene confermato dalla Cassazione quanto
già evidenziato supra nel testo, ovvero che, tendenzialmente, qualora manchi il
predetto legame biologico, un progetto di genitorialità trova maggiori ostacoli ad
essere riconosciuto da parte dell’ordinamento italiano, giacché occorre tutelare il
minore e non dare prevalenza alle aspirazioni dei “genitori sociali”.
24
A questo proposito, emblematica è la sentenza Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193,
cit. (pronunciata a seguito dell’ordinanza di rimessione Cass., 22.2.2018, n. 4382, in
Foro it., I, 2018, p. 782, con nota di G. Casaburi; per un commento sull’ordinanza,
v. M. Dogliotti, I “due padri” e l’ordine pubblico… Tra sezioni semplici e Sezioni
Unite, in Fam. e dir., 2018, p. 843 ss.), in relazione alla vicenda di cui si era occupata
App. Trento, 23.2.2017, cit. La Suprema Corte ha osservato innanzitutto che “la
compatibilità con l’ordine pubblico […] dev’essere valutata alla stregua non solo
dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti
internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati
nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane
dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria”. Sulla base di tali premesse, le
Sezioni Unite si sono mosse in controtendenza rispetto al filone giurisprudenziale
più permissivo, statuendo che “il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento
giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un
minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore
d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della
surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del
2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di
valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione;
la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del
minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al
quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la
possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri
strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma
primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983” (per un commento, v. G. Recinto, La
decisione delle Sezioni unite in materia di c.d. maternità surrogata: non tutto può e deve essere
“filiazione”, in Dir. succ. e fam., 2019). Proprio con riferimento al tema dell’adozione,
è da registrarsi l’ordinanza Cass., 11.11.2019, n. 29071, in banca dati Italgiure, con
cui la Prima Sezione civile ha rimesso al Primo Presidente della Cassazione, per
l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la risoluzione della questione di
massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374, comma 2°, c.p.c., ovvero:
“se sia contrario all’ordine pubblico e quindi non trascrivibile nei registri dello stato
civile italiano il provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera, che abbia disposto
l’adozione di un minore in favore di una coppia dello stesso sesso, ove nessuno
742
The best interest of the child
Bibliografia
Baldini G., Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, p. 96
Busnelli F.D., I diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione
delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1447 ss.
degli adottanti risulti legato da vincoli genitoriali biologici con l’adottato”. Con
ordinanza del giugno 2017 la Corte d’Appello di Milano aveva accolto la richiesta
di una coppia omosessuale volta alla trascrizione dell’Order of Adoption pronunciato
dalla Surrogate’s Court dello Stato di New York, Contea di New York, ritenendo che
“l’adozione di un minore da parte di partner dello stesso sesso, pronunciata in altro
stato, non fosse contraria all’ordine pubblico internazionale”, considerato l’interesse
superiore del minore. Va notato che il caso che ha originato l’ordinanza di rimessione
è differente da quello di cui la Suprema Corte si era occupata nella pronuncia Cass.,
ord. 31.5.2019, n. 14007, in banca dati Italgiure. Infatti, il precedente del maggio 2019
riguardava due donne omossessuali francesi coniugate all’estero, residenti in Italia, le
quali avevano richiesto al giudice italiano il riconoscimento di una sentenza francese
che aveva disposto a favore di ciascuna l’adozione del figlio biologico dell’altra,
mentre la vicenda attualmente oggetto di giudizio concerne due soggetti adottanti
che non risultano legati da vincoli genitoriali biologici con l’adottato. Si ripresenta,
quindi, l’eventualità di differenti soluzioni, in ragione della sussistenza o meno di un
collegamento biologico con uno dei “genitori sociali”. Infine, va pure ricordato che,
anche se non concerne direttamente il divieto di surrogazione di maternità ma altre
disposizioni della l. 40/2004, la recente pronuncia Corte Cost., 23.10.2019, n. 221,
in www.cortecostituzionale.it, si pone nella medesima prospettiva di quella delle
Sezioni Unite sopra citata (Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193, cit.); infatti, i Giudici
lasciano intendere piuttosto chiaramente che la posizione del minore non può
essere sacrificata per soddisfare gli interessi degli adulti. La sentenza della Corte
Costituzionale ha dichiarato – in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 32, 11 e 117, comma 1°,
Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, all’art. 2 del Patto internazionale
sui diritti civili e politici e agli artt. 5, 6, 22, 23 e 25 della Convenzione delle Nazioni
Unite sui diritti delle persone con disabilità – la non fondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della l. 40/2004 nella parte in cui escludono
l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) per le coppie
formate da due donne e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a
coppie composte da soggetti dello stesso sesso, poiché l’infertilità “fisiologica” della
coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo
assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive.
In particolare, osserva il Giudice delle Leggi, che una tale conclusione “non è inficiata
dai più recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell’adozione di
minori da parte di coppie omosessuali e del riconoscimento in Italia di atti formati
all’estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori dello stesso
sesso”: ciò perché vi è “una differenza essenziale tra l’adozione e la PMA. L’adozione
presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una
coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo. […] La
PMA, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia
(o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve
ancora nascere: non è, perciò, irragionevole – come si è detto – che il legislatore
si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli
apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le
migliori condizioni “di partenza””.
Maternità surrogata e tutela del minore
743
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La determinación de la filiación derivada
de las técnicas de reproducción asistida:
problemas y perspectivas
José Ramón de Verda y Beamonte
Sumario: 1. Consideraciones preliminares. – 2. Usuaria casada con un
varón: necesidad de consentimiento del marido e imposibilidad de impugnación de la presunción de paternidad. – 3. Usuaria casada con
otra mujer. – 3.1. Posibilidad de que la cónyuge pueda consentir ante
el Registro Civil la inscripción a su favor del hijo concebido artificialmente. – 3.2. Sobre si para efectuar la inscripción es necesaria la prueba
de haberse realizado la reproducción asistida: posición de la Dirección
General de los Registros y del Notariado y crítica de la misma. – 3.3.
El riesgo de fomentar la reproducción asistida al margen de la Ley: las
inseminaciones artificiales domésticas. – 3.4. Valor jurídico del consentimiento previo de la mujer de la usuaria a la práctica de la reproducción asistida. – 4. Usuaria conviviente de hecho con un varón. – 4.1. El
consentimiento voluntario del varón a la reproducción asistida como
escrito indubitado a efectos registrales. – 4.2. Consentimiento previo
voluntario y acción de reclamación de la paternidad. – 5. Usuaria conviviente de hecho con otra mujer: consentimiento previo a la práctica
de la reproducción asistida y posesión de estado.
1. Consideraciones preliminares
La filiación plantea cuestiones específicas, cuando es fruto del uso de
las técnicas de reproducción asistida, materia ésta, que actualmente
está contemplada por la Ley 14/2006, de 26 de mayo, la cual deroga la
anterior Ley 35/1988, de 22 de noviembre, que había sido parcialmente
modificada por la Ley 45/2003, de 21 de noviembre.
Ante todo, hay que observar que, como prevé el art. 7.1 de la Ley
14/2006, “La filiación de los nacidos con las técnicas de reproducción asistida
746
The best interest of the child
se regulará por las leyes civiles, a salvo de las especificaciones establecidas en
los tres siguientes artículos” (en materia de determinación legal de la filiación, fecundación póstuma o gestación por sustitución), precisando
el precepto que, “En ningún caso, la inscripción en el Registro Civil reflejará datos de los que se pueda inferir el carácter de la generación”.
Por lo demás, hay que recordar que en materia de filiación es comúnmente aceptada por la doctrina la distinción entre título constitutivo y título de determinación: el título constitutivo se refiere al hecho
previo que crea la filiación, que, desde el punto de vista del Código
civil, es la generación (en la filiación por naturaleza) o la adopción (en
la filiación adoptiva); el título de determinación es, en cambio, el modo
legal de constatarla, que, en el caso de la filiación por naturaleza, presupuesto el hecho de la generación, ha de ser uno de los contenidos en
los arts. 113 y ss. CC, que tienen siempre carácter declarativo, pues se
basan en la idea de que la verdad legal que de ellos resulta coincide
con la verdad bilógica (que opera como realidad previa) determinada
por la generación1.
Es parecer mayoritario de la doctrina (que comparto) que, ni la Ley
35/1988 (primero), ni la Ley 14/2006 (después), pretendieron crear un
nuevo título constitutivo basado en la voluntad de procrear, sino que
se limitaron a regular ciertas peculiaridades para el caso de que la generación tuviera lugar mediante el uso de las técnicas de reproducción
asistida, presuponiendo siempre que estábamos ante una filiación por
naturaleza (aunque, sui generis)2; y tampoco se propusieron establecer
nuevos títulos de determinación distintos a los regulados en el Código
civil, al que claramente se remite el ya citado art. 7.1 de la Ley 14/2006,
cuyo tenor no deja lugar a dudas: “La filiación de los nacidos con las técnicas de reproducción asistida se regulará por las Leyes civiles, a salvo de las
especificaciones establecidas en los tres siguientes artículos”3.
1
Cfr. por todos R. Verdera Server, Determinación y acreditación de la filiación, Barcelona,
1993, p. 15 ss.
2
J.J. Iniesta Delgado, La filiación derivada de las formas de reproducción humana asistida,
en Tratado de Derecho de familia, dirs. M. Yzquierdo Tolsada – M. Cuena Casas, vol.
V, Las relaciones paterno-filiales (I), Cizur Menor, 2011, p. 747, observa, así, que la
Ley 14/2006, “no se plantea como un sistema alternativo al de la filiación natural o
adoptiva, sino como un sistema complementario de la misma”.
3
No creo que la Propuesta de Código Civil elaborada por la Asociación de Profesores
de Derecho Civil parta de una idea distinta. Es cierto que en ella se incluye en el
Código la regulación de la filiación derivada de las técnicas de reproducción
asistida, a las que se dedican los arts. 223-1 a 223-6. Sin embargo, es claro que no
se contempla un nuevo tipo de filiación basado en la voluntad de procrear: el nº
La determinación de la filiación artificial
747
Una vez hecha esta precisión, estudiaremos la cuestión de la determinación legal de la filiación en el caso de la reproducción asistida en
la que existen peculiaridades, para cuya explicación deben distinguirse
diferentes supuestos, en atención a la situación familiar de la usuaria.
2. Usuaria casada con un varón: necesidad
de consentimiento del marido e imposibilidad
de impugnación de la presunción de paternidad
Si está casada con un varón, cuando éste (tal y como exige el art. 6.3
de la Ley 14/2016) haya prestado “su consentimiento formal, previo y
expreso” a que aquélla sea fecundada con gametos propios o de tercero anónimo, ni él, ni su mujer, “podrán impugnar la filiación matrimonial
del hijo nacido como consecuencia de tal fecundación” (art. 8.1). Por lo tanto,
en el caso de fecundación heteróloga, no se podrá discutir la paternidad del marido, a pesar de existir una disociación entre la verdad legal
y la biológica4.
1º del art. 221-1 recoge, así, la clasificación actual, según la cual “La filiación puede
tener lugar por naturaleza o adopción”. A continuación, añade que “La filiación derivada
de técnicas de reproducción asistida se determina con arreglo a las disposiciones especiales
previstas en el Capítulo III de este Título”. Sin embargo, en ellas no se prevén títulos
de determinación de la filiación distintos a los regulados a propósito de la filiación
por naturaleza: no lo es el consentimiento del marido a que su mujer se someta a las
técnicas de reproducción asistida, que sigue jugando como una causa de exclusión
de la impugnación de una paternidad determinada en virtud de la presunción de
paternidad del marido (art. 223-4, nº 1º y 2º); ni tampoco el consentimiento del varón
no casado respecto a su conviviente more uxorio, que, en sí mismo no determina la
filiación paterna, por lo que, en defecto de reconocimiento, seguirá siendo necesario
acudir al expediente gubernativo, considerándose el consentimiento como un
escrito indubitado (art. 223-5, nº 2º). Por cuanto concierne a la determinación de la
maternidad de la mujer de la usuaria, sí que creo que el art. 223-3 regula un tipo de
filiación basado en la voluntad de aquélla de querer ser madre, pero esto es algo que,
a mi entender, ya hace el nº 3 del art. 7 de la Ley 14/2006, añadido por la Ley 3/2007,
de 15 de marzo, cuya redacción actual se debe a la Ley 19/2015, de 13 de julio.
4
El art. 235-8.1 del Libro II del CC de Cataluña dispone que “Los hijos nacidos a
consecuencia de la fecundación asistida de la mujer, practicada con el consentimiento expreso
del cónyuge formalizado en un documento extendido ante un centro autorizado o en un
documento público, son hijos matrimoniales del cónyuge que ha dado el consentimiento”.
Con anterioridad, los arts. 92.1 y 97.1 del Código de Familia de Cataluña de 1998
exigían que dicho consentimiento se prestara en documento público. Sin embargo, la
jurisprudencia flexibilizó este requisito formal, entendiendo que bastaba que fuera
dado en el documento firmado ante el centro autorizado. V. en este sentido STSJ,
Cataluña, 27 noviembre 2007, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2007, 8520,
como también AAP, 12 julio 2011, JUR, 2011, 373587.
748
The best interest of the child
Este precepto no crea un nuevo título constitutivo de la filiación
matrimonial distinto de la generación5, y tampoco establece un nuevo título de determinación de la misma, que sigue siendo la presunción de paternidad del art. 116 CC6: se limita a establecer una causa de exclusión de impugnación, basada en la voluntad de ambos
cónyuges de atribuir al hijo que nazca la filiación del marido, con
independencia de quien sea su padre biológico7. Por ello, la falta de
este consentimiento previo no impide la inscripción de la filiación
paterna en favor del marido, conforme al art. 44, 4, III, a) de la Ley
del Registro Civil de 2011 (acreditado el matrimonio de los progenitores y la procedencia de la presunción de paternidad del marido),
sino que lo que sucede es que se excluye la aplicación del art. 8.1 de
la Ley 14/2006, por lo que la filiación podrá ser impugnada, por no
corresponderse con la verdad biológica8.
3. Usuaria casada con otra mujer
Si la usuaria está casada con otra mujer, según se ha dicho, no se
exige que ésta consienta previamente que aquélla acuda a las técnicas
de reproducción asistida, lo que se explica porque en este supuesto no
juega el art. 116 CC, por lo que el hijo que nazca, en ningún caso, se
presumirá matrimonial.
5
Sin embargo, A. Sánchez Hernández, Ad art. 3 LTRHA. Condiciones personales de la
aplicación de las técnicas, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre Técnicas
de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J. Inhiesta
Delgado, Cizur Menor, 2007, p. 53, mantiene una posición contraria, al entender que
el consentimiento del marido a que su mujer se someta a las técnicas de reproducción
asistida “se erige aquí en fundamento de la paternidad”.
6
La situación es distinta en Cataluña, pues el art- 235-3 235-8.1 del Libro II del
CC expresamente considera un título de determinación de la paternidad “el
consentimiento a la fecundación asistida de la mujer”.
7
V. en este sentido J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., pp. 757-758; M. Navarro
Castro, Ad art. 44 LRC, Inscripción de nacimiento y filiación, en Comentarios a la Ley del
Registro Civil, dirs. J.A. Cobacho Gómez – A. Leciñena Ibarra, Cizur Menor, 2012,
p. 690-692; y R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, Filiación de los hijos nacidos
mediante técnicas de reproducción asistida, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo,
sobre Técnicas de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J.
Inhiesta Delgado, Cizur Menor, 2007, pp. 266-267, 272.
8
En el mismo sentido se orienta el art. 223-4, núms. 1º y 2º PCC.
La determinación de la filiación artificial
749
3.1. Posibilidad de que la cónyuge pueda consentir ante
el Registro Civil la inscripción a su favor del hijo concebido
artificialmente
No obstante, el art. 7.3 de la Ley 14/2006 (introducido por la Disposición Adicional Primera de la Ley 3/2007, de 5 de marzo) prevé que, si
no está separada legalmente o de hecho, pueda, “manifestar conforme a
lo dispuesto en la Ley del Registro Civil que consiente en que se determine a su
favor la filiación respecto al hijo nacido de su cónyuge”. La razón de ser de
la norma es clara: posibilitar que el hijo tenga dos progenitores.
La redacción actual del precepto se debe a la Disposición Adicional
Quinta de la Ley 19/2015, de 13 de julio, de medidas de reforma administrativa en el ámbito de la administración de Justicia y del Registro
Civil. Con anterioridad, el precepto decía que la mujer casada con la
usuaria, no separada, legalmente o de hecho, “podrá manifestar ante
el Encargado del Registro Civil del domicilio conyugal, que consiente
en que cuando nazca el hijo de su cónyuge, se determine a su favor la
filiación respecto del nacido”. Se planteaba, pues, el problema de la
usuaria sometida a las técnicas de reproducción asistida, incluso con el
consentimiento escrito de su mujer, sin que esta última hubiera tenido
la precaución de acudir al Registro Civil antes del nacimiento del hijo,
manifestando su voluntad de que el niño se inscribiera como matrimonial cuando naciera9. Con el fin de posibilitar dicha inscripción, la
jurisprudencia afirmó que no era necesario que la declaración previa
se hubiera hecho ante el Encargado del Registro, bastando con que se
hubiera prestado ante la clínica, lo que servía para acreditar “adecuadamente el voluntario consentimiento para la técnica de reproducción
asistida y la voluntad concorde de las partes de concebir un hijo”10.
9
La SAP, Islas Baleares, 5 diciembre 2012, in Tol 2724548, estimó, así la demanda de
impugnación de la filiación de la mujer de la usuaria, porque el consentimiento para
que el niño nacido fuera inscrito como hijo de ambas había sido prestado, después
del nacimiento del mismo (no antes), habiéndose celebrado el matrimonio pocos
días después del alumbramiento.
10
STS, 5 diciembre 2013, Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2013, 7566. La solución
propugnada por esta sentencia es la que ha sido acogida por el art. 223-3 PCC, cuyo
nº 2 se manifiesta en los siguientes términos: “El consentimiento debe prestarse antes
del nacimiento del hijo. Puede formalizarse en el documento de consentimiento
del tratamiento de fecundación asistida, ante el encargado del Registro Civil o en
documento público”.
750
The best interest of the child
Este problema ya no se plantea: ahora basta con que la mujer de la
usuaria consienta en el momento de practicarse la inscripción del nacimiento que quede determinada la filiación del hijo respecto de ella.
3.2. Sobre si para efectuar la inscripción es necesaria
la prueba de haberse realizado la reproducción asistida:
posición de la Dirección General de los Registros
y del Notariado y crítica de la misma
Sigue existiendo una controversia consistente en determinar si,
además de manifestar dicho consentimiento, deberá acreditarse que el
hijo que se desea inscribir ha sido concebido mediante las técnicas de
reproducción asistida.
No lo ha considerado necesario una reciente resolución de la Dirección General de los Registros y del Notariado11, con el argumento de
que del actual tenor del art. 7.3 de la Ley 14/2006 (coincidente con el del
art. 44 de la Ley del Registro Civil de 2011, redactado también por la
Ley 19/2015), “cabe colegir que la intención del legislador ha sido facilitar la
determinación de la filiación de los hijos nacidos en el marco de un matrimonio
formado por dos mujeres, independientemente de que hayan recurrido o no a
técnicas de reproducción asistida”12.
Esta posición no me convence: no existiendo una presunción de maternidad de la mujer de la usuaria semejante a la que el art. 166 CC establece respecto del marido, parece mucho más razonable exigir la prueba
de que la gestación del niño ha tenido lugar mediante dichas técnicas13.
Podría argumentarse que el art. 44 de la Ley del Registro Civil de
2011 permite que, aun faltando la presunción de paternidad del marido, se haga constar la filiación paterna con el consentimiento de ambos
cónyuges. Sin embargo, este precepto debe ponerse en relación con el
11
RDGRN 8 febrero 2017 (1ª). G. Muñoz Rodrigo, La reproducción asistida y la filiación.
Especial referencia al caso de las parejas de mujeres homosexuales, en Actualidad Jurídica
Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 392-396, analiza extensamente, desde una perspectiva
crítica, la mencionada Resolución.
12
Revoca, así, el AJPI Denia, 22 agosto 2017, en JUR, 2016, 228396, que había sostenido
la posición contraria.
13
V. en este sentido R. Verdera Server, La reforma de la filiación. Su nuevo régimen
jurídico, Valencia, 2016, p. 112, que argumenta esta posición en la ubicación del
art. 7.3 de la Ley 14/2006, el cual “permite presuponer que su ámbito de aplicación
está supeditado a esa circunstancia, pese a que su tenor literal tampoco matice la
cuestión”. V. también en el mismo sentido M. Navarro Castro, Ad art. 44, cit., p. 694.
La determinación de la filiación artificial
751
art. 118 CC, de modo que su concreta finalidad es permitir inscribir
la filiación matrimonial de los hijos nacidos, constante el matrimonio,
cuando falte la presunción de paternidad, “por causa de la separación
legal o de hecho de los cónyuges”. Estamos, pues, ante una declaración
de voluntad semejante al reconocimiento de una filiación matrimonial,
que, dado el carácter heterosexual del matrimonio, es plausible y que,
además, si resulta no ser cierta, podrá ser impugnada conforme a los
arts. 136 y 137 CC (el título constitutivo es la generación). Por el contrario, en el caso de dos mujeres casadas, desde un punto de vista biológico, la filiación que se pretende inscribir es claramente, inverosímil,
por lo que la única manera cabal de explicarla es acreditar la práctica
de la reproducción asistida. En realidad, no parece aventurado afirmar
que el consentimiento de la cónyuge de la usuaria es un título constitutivo de una filiación distinto de la generación, que no se basa en la
verdad biológica, sino en la voluntad de aquélla de querer asumir la
maternidad del hijo concebido por su cónyuge a través de las técnicas
de reproducción asistida; y, de ahí, que no sea susceptible de impugnación una vez establecida (ello, sin perjuicio de que pudiera impugnarse
el consentimiento para la inscripción, si éste no hubiera sido prestado
libremente, de la misma manera que cabe impugnar el reconocimiento
ex art. 141 CC)14.
14
E. Farnós Amorós, La filiación derivada de reproducción asistida: voluntad y biología,
en Anuario de Derecho Civil, 2015, fasc. 1º, p. 13, afirma que “el consentimiento es el
único elemento que ‘crea’ la filiación. Una vez otorgado, el mismo es vinculante,
a diferencia de lo que sucede con un sistema de presunciones, susceptible de
destrucción si se prueba la ausencia de base biológica”. J.J. Iniesta Delgado, La
filiación, cit., p. 801-802, observa que el art. 7.3 de la Ley 14/2016, “introduce una
importante alteración de los criterios fundantes de la relación de filiación que sitúan
la figura aquí recogida en un ‘terreno de nadie’ entre la filiación por naturaleza y la
adopción”; más adelante, añade: “aquí no hay más criterio que justifique la filiación
que el consentimiento prestado por la madre consorte y es totalmente diferente a
la filiación por naturaleza”. G. Muñoz Rodrigo, La reproducción, cit., p. 382, expone
también que el precepto “creó, al margen del régimen general del Código Civil, un
nuevo título de atribución de la filiación que no se sustenta en ninguno de los dos
tipos de filiación que recoge el Código Civil, ya que no es puramente por naturaleza,
ni tampoco por adopción. Más matizada es la opinión de M.S. Quicios Molina,
Determinación e impugnación de la filiación, Cizur Menor, 2014, p. 47, quien dice que
el art. 7.3 de la Ley 14/2006 ha establecido un “nuevo título de determinación legal
de la maternidad”, si bien añade que con dicho título “el legislador da entrada
en nuestro ordenamiento a una maternidad que no es en puridad, ni natural, ni
adoptiva, y por ello escapa de los dos tipos de filiación a los que se refiere el art. 108
CC”. Por lo tanto, en realidad, de lo que parece estar hablando es de un nuevo título
constitutivo de la filiación.
752
The best interest of the child
3.3. El riesgo de fomentar la reproducción asistida al margen
de la Ley: las inseminaciones artificiales domésticas
Además, hay que tener en cuenta que la solución que propugna
la Dirección General de los Registros y del Notariado fomentará, sin
duda, el uso de técnicas de reproducción asistida distintas de las previstas por la Ley; y, más concretamente, las auto-inseminaciones artificiales con gametos de varones anónimos comprados a distancia a bajo
precio en países extranjeros.
De hecho, una recentísima sentencia15 ha contemplado ya un supuesto de una inseminación artificial doméstica, precedida de un
documento en el que el varón donante de semen renunciaba a todo
“derecho de paternidad que pudiese tener sobre la menor que naciera
de dicha inseminación”. Nació una niña, que fue inscrita como hija
matrimonial de dos mujeres, casadas entre sí. Sin embargo, posteriormente, el donante se “arrepintió” de lo que había firmado y ejercitó
una demanda de reclamación de paternidad, que fue estimada en primera instancia, sin que prosperara el recurso de apelación interpuesto
por las demandadas, quienes pretendían que se aplicara analógicamente el art. 7.3 de la Ley 14/2006, con el fin de que no pudiera impugnarse la maternidad del cónyuge de la usuaria.
La Audiencia, con buen criterio, rechazó la aplicación analógica
del precepto, afirmando que, más que “ante un supuesto análogo al
previsto por la ley, ante lo que nos encontramos es una infracción o
soslayamiento de la propia norma”, que debe llevar a la declaración
de la paternidad extramatrimonial del actor, “con respeto a la verdad biológica, conforme al artículo 39-2 de la Constitución Española”.
También, muy certeramente, negó valor contractual al documento firmado por el donante, al no ser conforme al art. 1255 CC, considerándolo contrario “al interés y al orden público, pues la fijeza y seguridad
del estado civil es una exigencia de ese interés, así como la correspondencia con la verdad biológica dentro de los límites y requisitos
legales”. Consideró, en fin, que la decisión judicial que reconocía la
paternidad del demandante no era contraria al interés de la menor,
porque no implicaba ningún perjuicio para ella, “más allá de la reorganización del grupo familiar como consecuencia de la declaración
relativa a la filiación, que en sí mismo no aparece como negativa para
15
SAP Valencia 27 noviembre 2017, en JUR 2018, 56440.
La determinación de la filiación artificial
753
los intereses de la hija, máxime cuando se trata de una niña de muy
corta edad, abierta por lo tanto a la fijación y consolidación de nuevos
vínculos familiares”.
3.4. Valor jurídico del consentimiento previo de la mujer
de la usuaria a la práctica de la reproducción asistida
Cabe plantearse una última cuestión: ¿qué valor tendría (de haberse
dado) el consentimiento previo de la cónyuge de la usuaria a que la
misma se sometiera a una fecundación artificial? Pues creo que, a efectos de atribución de la filiación, ninguno, aunque dicho consentimiento
previo puede ser un indicio de que el posteriormente dado para la inscripción ha sido dado de manera libre.
Es interesante el supuesto resuelto por una sentencia16, que ha rechazado que el consentimiento de la usuaria para que el niño se inscribiera como hijo de su mujer estuviese viciado, al haber sido prestado
(según la demandante) por su debilidad de carácter y por el dominio
que sobre ella ejercía su cónyuge. Frente a ello, la Audiencia resalta
que las dos mujeres (todavía no casadas) habían consentido en la clínica que la otra fuera inseminada artificialmente; que, tras nacer un
niño de una de ellas, la otra había hecho reserva de semen del mismo
donante, para que el hijo que de ella pudiera nacer tuviera el mismo
padre; posteriormente, se habían casado e inscrito el niño nacido como
hijo de las dos. Deduce, así, “la existencia de una voluntad concorde
de ambas litigantes de formar una familia”, destacando también que la
demandante es licenciada en Educación Física y tenía 33 años cuando
se quedó embarazada, sufriendo entonces una decepción “pensando
que el trato recibido de la demandada no era adecuado, pero no se
aprecia vicio alguno invalidante del consentimiento”.
4. Usuaria conviviente de hecho con un varón
Si la usuaria no está casada, sino unida de hecho con un varón, no
necesita el consentimiento de éste para ser fecundada con los gametos
de un tercero o para que se le implante un embrión no creado a partir
de su material reproductor, sin perjuicio de que, no obstante, pueda
darlo con carácter voluntario.
16
SAP, Islas Baleares 31 marzo 2014, en Aranzadi Civil, 2014, 654.
754
The best interest of the child
4.1. El consentimiento voluntario del varón a la reproducción
asistida como escrito indubitado a efectos registrales
El art. 8.2 de la Ley 14/2006 considera que el documento en el que se
recoja dicho consentimiento, si es prestado con anterioridad a la utilización de las técnicas de reproducción asistida ante el centro en las que
se realicen, será considerado como un escrito indubitado a los efectos
de iniciar el expediente gubernativo del art. 44.7º, II de la Ley del Registro Civil de 2011, para la inscripción de la filiación no matrimonial
respecto del conviviente17.
En mi opinión, el consentimiento del varón conviviente no es un
título de determinación de la filiación no matrimonial (no parece que
formalmente pueda ser calificado como un reconocimiento de un hijo
que ni siquiera ha sido todavía concebido), como tampoco lo es el del
marido respecto de la filiación matrimonial, por lo que la inscripción
de la filiación paterna del conviviente sólo será posible en virtud de
expediente gubernativo o de reconocimiento18, así como en virtud del
nuevo modo de determinación previsto por el art. 120.1º CC, que tras
la reforma llevada a cabo por la disposición final 2ª de la Ley 19/2015,
de 13 de julio, se refiere a la “declaración conforme realizada por el
padre en el correspondiente formulario oficial a que se refiere la legislación del Registro Civil”.
A mi parecer, el consentimiento para la fecundación homóloga o
heteróloga de la usuaria (o para que le sea implantado un embrión de
un tercero) dado en las condiciones previstas en el art. 8.2 de la Ley
14/2006, impedirá la impugnación de la filiación determinada, que no
podrá ser atacada con el argumento de que no se corresponde con la
verdad biológica19. Es cierto que en este caso no existe una previsión
semejante a la establecida el art. 8.1 de la Ley respecto de la filiación
17
La STSJ Cataluña, 22 diciembre 2008, en Tol 1548432, entiende que basta con que
el consentimiento del varón a la fecundación de su compañera pueda deducirse
de actos inequívocos, aunque no se haya firmado el documento ante el centro
autorizado.
18
V. en este sentido J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 777-778; y R. Verdera
Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit., p. 290-291. Esta es también la posición asumida
por el art. 223-5, núms. 1º y 2º, PCC,
19
V. a este, respecto de un caso de fecundación heteróloga con gametos de donante
anónimo, SAP Zaragoza, 27 octubre 2015, en JUR, 2015, 259702; y, respecto de un
caso de implantación de un embrión de tercero, SAP Sevilla, 22 diciembre 2014, en
Aranzadi Civil, 2015, 272.
La determinación de la filiación artificial
755
matrimonial20, pero entiendo que se puede pensar en una aplicación
analógica del precepto, basándose en la buena fe y en la doctrina de
los actos propios21.
No creo que esta tesis sea incoherente con la posición actual de la
jurisprudencia, que, como es sabido, admite la impugnación de la paternidad en los casos de reconocimientos de complacencia, cuando la
filiación reconocida no se corresponda con la verdad biológica22, pues,
como ya he dicho, el consentimiento para la fecundación no es un
reconocimiento, el cual tiene lugar (en la forma establecida en el art.
120.2º CC) respecto de un hijo ya nacido (o al menos concebido), sino
una manifestación de voluntad del varón no casado (plasmado en un
documento privado firmado en la clínica), que implícitamente comporta un acto de responsabilidad, consistente en asumir como propio
el posible hijo que se conciba (aunque biológicamente no lo sea) en el
marco de una decisión compartida respecto a la consecución de un
proyecto familiar común23. En este caso, la usuaria no quiere acudir,
sin más, a las técnicas de reproducción asistida, sino que quiere hacer20
En cambio, el art. 223-1, nº 3, PCC sí contiene una norma general, que también es
aplicable al supuesto del consentimiento dado por varón no casado: “La filiación
determinada no puede ser impugnada por quienes han prestado su consentimiento formal,
previo y expreso a la fecundación asistida origen de dicha filiación”.
21
V. así, J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 790-791, quien atribuye al consentimiento
del varón conviviente el simple valor de renuncia previa a la acción de impugnación,
incidiendo en la idea de que no estamos ante un nuevo título de determinación de la
filiación paterna no matrimonial, como demuestra el hecho de que pueda impugnar
la filiación quien no renunció a impugnarla, refiriéndose, concretamente al hijo, a
cualquier perjudicado, si no hay posesión de estado y a los herederos forzosos que
vean afectada su participación en la herencia, si la hay (art. 140 CC).
22
V. en este sentido STS (Pleno), 15 julio 2016, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2016,
3196, y STS, 28 noviembre 2016, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2016, 5636.
23
Me parece que es en esto en lo que está pensando la norma, aunque, ciertamente, no lo
diga expresamente. Es cierto que, como observa J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit.,
p. 799, pueden existir, casos de “donante encubierto” o “donante identificado”, esto
es, de convivientes falsos, que simulan convivir more uxorio con la usuaria para que
ésta pueda ser fecundada con su semen, en vez de con el de un tercero desconocido,
eludiendo, así, la prohibición de selección de gametos establecida por el art. 6.4 de
la Ley 14/2016. En estos casos, podría teóricamente plantarse si el hecho de que la
convivencia fuera fingida sería un motivo para excluir la causa de impugnación de
la paternidad; y, digo que el problema es teórico, porque, en estos supuestos, el
varón que hubiera prestado el consentimiento sería el padre biológico del hijo, razón
por la cual se impondría su paternidad. Lo que en la práctica se han planteado son
supuestos en los que, ejercitada una acción de reclamación de paternidad por parte
del varón (padre biológico) o de la madre (en representación del hijo), la demandada
argumentaba que no había existido convivencia de hecho al tiempo de prestarse
el consentimiento para la fecundación homóloga, argumento que no ha impedido
756
The best interest of the child
lo para concebir un hijo que legalmente sea considerado como de su
conviviente: de ahí que, ni uno, ni otro, puedan impugnar la filiación
paterna, una vez establecida24.
4.2. Consentimiento previo voluntario y acción de reclamación
de la paternidad
Más dudoso es el alcance del inciso final del 8.2 de la Ley 14/2006,
que añade: “Quedará a salvo la acción de reclamación de paternidad”. La
interpretación de la norma es discutible, pero una cosa es clara: en el
caso de que la fecundación haya sido heteróloga, el donante no podrá
en ningún caso, ejercitar esta acción, pues ello iría en contra del carácter anónimo de la donación de gametos25.
En su momento, defendí que el precepto debía interpretarse en el
sentido de que el hijo (o la madre, representándolo) podía ejercitar la
acción, cuando el demandado no lo hubiese reconocido y se hubiese
opuesto a la inscripción en el expediente gubernativo, con el argumento de que su consentimiento previo a la fecundación de la usuaria con
gametos de un tercero constituía un acto de responsabilidad, que debía asimilarse al de la generación por vía natural; y, que, por la misma
razón, también el varón podía ejercitar la acción, cuando quien se hubiera opuesto a la inscripción hubiese sido la madre (sin cuya previa
aquiescencia aquél no hubiera podido consentir)26.
En contra de esta posición podría replicarse que, si el consentimiento para la práctica de la reproducción asistida no es un título de deter-
prosperar la acción. V. en este sentido SAP La Coruña, 15 febrero 2006, en JUR, 2006,
84103, y SAP Alicante, 23 diciembre 2014, en Aranzadi Civil, 2015, 275.
24
J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 791, afirma que sí podrá impugnar la filiación
el hijo, pues no puede negársele legitimación “con el solo argumento de que sus
progenitores renunciaron ejercitarla”.
25
V. en este sentido claramente, R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit., p.
302-303.
26
J.R. De Verda y Beamonte, Libertad de procreación y libertad de investigación (Algunas
reflexiones a propósito de las recientes leyes francesa e italiana sobre reproducción asistida),
en Diario La Ley, nº 6161, 4 enero 2005, p. 4. La SAP Alicante, 23 diciembre 2014,
en Aranzadi Civil, 2015, 275, estimó la acción de reclamación de paternidad no
matrimonial ejercitada por la madre de un hijo concebido con el semen del varón
con el que convivía. Parece que la estimación del fallo, se basa en la existencia del
previo consentimiento del varón a que su conviviente se sometiera a las técnicas
de reproducción asistida. Ahora bien, lo cierto es que el demandado era el padre
biológico del hijo, al tratarse de una fecundación homóloga.
La determinación de la filiación artificial
757
minación de la filiación, es difícil de explicar que, por sí mismo, pueda
fundamentar una acción de reclamación de paternidad27; por lo que
quizás fuese más seguro entender que la acción no puede basarse en
dicho consentimiento, sino que habría de fundamentarse, exclusivamente, en la verdad biológica, esto es, en el hecho de que el conviviente fuese el padre biológico del hijo, cosa que, claro está, sólo podría tener lugar en la fecundación homóloga28. Sin embargo, hay que tener en
cuenta que, en virtud del art. 767.3 LEC, puede declararse la filiación
que resulte, no sólo de un título de determinación de la misma, sino
también de “otros hechos de los que se infiera la filiación de modo análogo”,
hechos éstos, entre los que cabría, quizás, incluir el consentimiento del
art. 8.1 de la Ley 14/2016.
5. Usuaria conviviente de hecho con otra mujer:
consentimiento previo a la práctica de la reproducción
asistida y posesión de estado.
La Ley 14/2006 no contempla el supuesto de que la mujer que conviva de hecho con la usuaria hubiera consentido previamente que ésta
se sometiera a las técnicas de reproducción asistida29: no contiene una
previsión semejante a la recogida en el art. 8.2 respecto del conviviente
varón, lo que parece ser una opción consciente del legislador30.
No obstante, la jurisprudencia ha admitido que dicho consentimiento pueda ser considerado como un indicio de posesión de estado, en orden a la reclamación de la maternidad, ex art. 131 CC. Concretamente,
el Tribunal Supremo31 ha confirmado una sentencia que había admitido
la reclamación de filiación por posesión de estado presentada por la
27
Sostiene, sin embargo, esta posición R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit.,
pp. 302-303, con total claridad.
28
V. las reflexiones que sobre este punto realiza J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p.
797-799.
29
Tampoco lo hace la Propuesta de Código Civil de la Asociación de Profesores de
Derecho Civil.
30
Por supuesto, no es aplicable a este supuesto el art. 7.3 de la Ley 14/2006, que exige
que las mujeres estén casadas. V. así J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 805; y M.
Navarro Castro, Ad art. 44, cit., p. 695.
31
STS, 5 diciembre 2013, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2013, 7566. V. también
el fallo en Revista Boliviana de Derecho, n. 18, 2014, p. 400-419, con nota de J. Alventosa
del Río, Doble maternidad. Reclamación de filiación matrimonial por posesión de Estado.
Maternidad biológica y maternidad por ficción legal: concurrencia y simultaneidad.
758
The best interest of the child
excónyuge de la madre (contra la oposición de ésta), entendiendo que
el consentimiento prestado a la inseminación artificial por las entonces
convivientes (antes de casarse) era “de particular significación porque
constituye la voluntad libre y manifestada por ambas litigantes del deseo de ser progenitoras mediante consentimiento expreso, hasta el punto de que en casos como este dicho consentimiento debe ser apreciado
aunque la posesión de estado hubiera sido escasa o no suficientemente
acreditada como de ordinario se exige”. En cualquier caso, la sentencia
recurrida había afirmado que la posesión de estado se deducía también
de las actuaciones judiciales llevadas a cabo por la demandante para
mantener contacto con las menores (había pedido el establecimiento de
un régimen de vistas a su favor y había iniciado un procedimiento de
adopción). Había valorado también declaraciones testificales en las que
se afirmaba que durante un año la demandante había compartido su
vida con las menores “en calidad de madre, hasta que la ruptura de la
pareja produce también la ruptura de la relación con las niñas”.
Posteriormente, el Pleno del Tribunal Supremo32 ha confirmado
la posibilidad de que pueda prosperar la acción de reclamación de la
maternidad del hijo concebido con el consentimiento de la conviviente de la usuaria, basada en la posesión de estado. Dice, así, que “los
consentimientos prestados con ocasión del empleo de las técnicas de
reproducción asistida, claramente acreditados de los hechos obrantes
y que llevó a la madre biológica a poner como segundo nombre del
niño el primer apellido de su pareja, como antecedente o causa de la
filiación reclamada, integran y refuerzan la posesión de estado de la
mujer homosexual tanto en el plano de su función legitimadora del
ejercicio de la acción, como en su faceta de medio de prueba de la
filiación reclamada”. Más adelante, añade: “En efecto, en el presente
caso, probado el propósito común de ambas mujeres para recurrir
a la técnica de reproducción asistida, así como la existencia de una
posterior unidad familiar entre las dos convivientes y el hijo biológico de una de ellas, el consentimiento prestado en su momento, por la
conviviente que no es la madre biológica del menor, vino investido
por un claro interés moral o familiar plenamente legitimado en su aspiración de ser madre, cuya efectividad depende, precisamente, del
éxito de la acción entablada”.
32
STS (Pleno), 15 enero 2014, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2014, 1265.
La determinación de la filiación artificial
759
No comparto esta posición jurisprudencial que, a mi parecer,
desnaturaliza la figura de la posesión de estado, que es una situación de hecho, dada la cual es posible presumir que quien es tratado
como hijo realmente lo es; y, de ahí que el art. 113 CC le atribuya el
carácter de título de determinación subsidiario de una filiación que
se considera probable33. Por ello, por definición, no existe posesión
de estado (en el sentido del art. 113 CC), cuando, como sucede en
el caso de uniones del mismo sexo, la filiación que se reclama es
claramente contradicha por la verdad biológica, la cual permite establecer, con absoluta certeza, que quien pretende ser progenitor,
claramente, no lo es34.
Cabe hacer una reflexión final: como he dicho, la Ley 14/2006, al
menos, en su redacción originaria, parte de la idea de que la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida es una especie sui géneris de filiación por naturaleza, pero lo cierto es que esta
premisa (ya rota por el art. 7.3 de la misma) nos lleva a tener que
forzar continuamente las categorías construidas en torno a ella para
dar solución a problemas que sólo se plantean cuando la generación
tienen lugar de modo artificial. Me pregunto si no sería más práctico reconocer un nuevo tipo de filiación, distinta de la natural, cuyo
título constitutivo fuese la mera voluntad de procrear, expresada en
la forma legalmente prevista35.
33
V. a este respecto las certeras críticas de R. Verdera Server, La reforma, cit., p. 199.
34
Observa E. Farnós Amorós, La filiación, cit., p. 27, que “el TS convierte erróneamente
a la posesión de estado en título de atribución de la filiación”. M. S. Quicios Molina,
Determinación, cit., p. 62, se manifiesta igualmente en sentido crítico: “En un proceso
de reclamación de una determina filiación la posesión de estado de dicha filiación
funciona como indicio de la filiación natural reclamada, pero la posesión de estado
no es la última causa de pedir, pues la causa de pedir es la existencia de una filiación
natural que se quiere jurídica”.
35
Véanse a este respecto las interesantes reflexiones de R. Verdera Server, Ser padre,
en Derecho Privado y Constitución, nº 30, enero/diciembre 2016, p. 112-117, que le
llevan a afirmar “la necesidad de (re)construir el régimen de la filiación derivada
de las técnicas de reproducción asistida desde bases distintas al de la filiación por
naturaleza”. G. Muñoz Rodrigo, La reproducción, cit., p. 397, habla, por su parte,
de una “posible reforma podría fundarse en reconocer un nuevo tipo de filiación
basado en el uso de técnicas de reproducción asistida y, al mismo tiempo, crear un
nuevo título de determinación de la filiación que gire en torno al consentimiento
prestado en la clínica por el hombre o la mujer”.
760
The best interest of the child
Bibliografía
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diciembre 2016
Azioni di stato, interesse del minore
e ricerca della verità
Ugo Salanitro
Sommario: 1. La cornice tradizionale. – 2. I presupposti per una lettura
evolutiva. – 3. Le ragioni ostative alla lettura evolutiva. – 4. Una proposta di disarticolazione: gli interessi privati concordanti –5. (segue): gli
interessi privati contrapposti. – 6. Qualche breve considerazione sulla
rilevanza degli interessi pubblici.
1. La cornice tradizionale
Il tema che mi è stato assegnato dall’organizzatrice del convegno è
riferito a uno di quei settori del diritto di famiglia in cui i principi derivanti dal diritto internazionale, nella mediazione della giurisprudenza, tendono a sovvertire il sistema delle regole organizzato nel codice
civile, ponendosi in contrasto con le stesse direttrici emergenti dalle
recenti riforme della disciplina della filiazione.
Sono perciò particolarmente grato a Mirzia Bianca per la fiducia a
me concessa, ma al contempo sono consapevole che la mia relazione1,
nella misura in cui prova a disegnare un modello razionale e coerente
della materia, sia destinata a scontrarsi con un percorso giurisprudenziale altrimenti orientato, vocato ad affermare la preminenza del principio
dell’interesse del minore anche in ambiti che possono rivelarsi eccentrici.
Per comprendere la portata innovativa della rilettura giurisprudenziale, occorre illustrare la cornice nella quale si pone.
1
La quale riprende e sviluppa una prima riflessione pubblicata, con il titolo Azioni di
stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in N. giur. civ. comm., 2018, II, p. 552 ss.
762
The best interest of the child
L’interesse del minore ha tradizionalmente rivestito un ruolo rilevante nella materia delle azioni di stato sotto due diversi versanti2.
Per un verso, l’interesse del minore deve essere preso in esame
ogni qualvolta occorre decidere se proporre in suo nome una domanda giudiziale in materia di stato, e in particolare nelle procedure
regolate dagli artt. 244, ultimo comma, e dall’art. 264 c.c., nonché in
quella che trova fondamento nell’art. 273 in connessione con il principio che era contenuto nell’art. 274 c.c. prima della dichiarazione di
illegittimità costituzionale. Non potendo essere rimessa al minore,
la decisione di nominare un curatore che agisca nel suo interesse, richiede una valutazione, nelle sedi dedicate e secondo le procedure di
legge, da parte del pubblico ministero che propone l’istanza e dell’organo giudiziale che decide sul suo accoglimento. L’interesse del minore, in questo caso, non differisce dall’interesse di un qualsiasi incapace e assume rilevanza solo perché l’azione deve essere proposta
da un terzo, il curatore, che lo rappresenta in giudizio. Ciononostante
è proprio in quest’ambito che i principi affermati dalla Convenzione
di New York, come si vedrà più avanti, sono stati valorizzati dalla
giurisprudenza.
Per altro verso, l’interesse del minore costituisce il parametro per
la decisione in caso di contrasto tra interessi di terzi. È questo il ruolo
che tale interesse assume ogni qualvolta, nella filiazione fuori dal matrimonio, taluno intenda costituire il rapporto attraverso una dichiarazione di riconoscimento del figlio incestuoso, ai sensi dell’art. 250 c.c.,
ovvero voglia ostacolare il riconoscimento successivo dell’altro genitore, ai sensi dell’art. 251 c.c.: in entrambi i casi, l’interesse del terzo
si rivela meritevole di tutela soltanto nella misura in cui coincida con
l’interesse del minore, svolgendo una funzione ancillare e strumentale.
Discipline siffatte sono emersioni locali, originarie e risalenti, del modello operativo tipico espresso anche dalla Convenzione di New York,
nella misura in cui considera preminente l’interesse del minore nelle
decisioni sulle controversie tra privati.
2
Cfr., per talune osservazioni utili, anche se non sempre in linea con la posizione
che esprimo nel testo, E. Camilleri, Interesse del minore e disconoscimento di
paternità. Spunti critici per un riallineamento al sistema delle azioni di stato, in Familia,
2011, p. 619 ss.; rilievi sintetici ma incisivi, si trovano, da ultimo, in L. Lenti, La
costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus civile, 2019, I, p. 7 s., p.
20 s., p. 23 ss.
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
763
2. I presupposti per una lettura evolutiva
La sentenza della Corte costituzionale 18.12.2017 n. 2723 tende a sovrapporre queste due differenti concezioni di interesse del minore: traspone infatti l’interesse del minore quale modello di risoluzione delle
controversie nell’ambito di procedure in cui aveva sino quel momento
assunto rilevanza al fine esclusivo di decidere se promuovere il giudizio. L’interesse del minore si trasforma perciò da criterio per valutare
se proporre l’azione di stato, o resistere all’azione proposta da un terzo,
a criterio orientativo della decisione per risolvere, nell’uno o nell’altro
senso, il conflitto tra i contrapposti interessi pubblici e privati e il conseguente accoglimento, o rigetto, delle azioni di stato, in conformità
alla Convenzione di New York.
È quanto emerge da quel passaggio della sentenza, di cui è discussa
la natura di ratio decidendi o di obiter dictum, in cui i giudici costituzionali si chiedono se “l’interesse a far valere la verità (…) prevalga
sull’interesse del minore”.
La trasformazione di senso, nella rilevanza dell’interesse del minore, ha trovato fondamento nel superamento delle precedenti opinioni
giurisprudenziali riguardo due diversi profili.
In primo luogo, si è ormai affermata l’opinione secondo la quale l’interesse del minore non coincide con l’accertamento della verità biologica
e/o genetica. Trattasi di un’acquisizione ormai consolidata e abbastanza
risalente, derivante dalla consapevolezza che il minore potrebbe avere
interesse alla conservazione dello status, ancorché non veritiero4. È la
prospettiva da cui muove la stessa Corte costituzionale, la quale ove
fosse convinta della coincidenza tra la veritas e l’interesse del minore,
non avrebbe avuto bisogno di contrapporre a quest’ultimo l’interesse
pubblico alla deterrenza delle pratiche di maternità surrogata.
In secondo luogo, è divenuto prevalente negli ultimi anni un orientamento giurisprudenziale, ancora contrastato, secondo il quale la
competenza a decidere sulla sussistenza e sulla persistenza dell’interesse del minore ad agire spetta anche al giudice che deve decidere la
3
Pubblicata in Corr. giur., 2018, p. 446 ss., con nota di G. Ferrando, in N. giur. civ.
comm., 2018, p. 540 ss., con commento di A. Gorgoni, e in Familia, 2018, p. 59 ss., con
nota di S. Sandulli.
4
In tema di rapporto tra favor veritatis e interesse del minore cfr., tra i tanti, F. Giardina,
Interesse del minore: gli aspetti identitari, in N. giur. civ. comm., 2016, p. 159 ss.
764
The best interest of the child
controversia e non solo al giudice che ha nominato il curatore5. La tesi
non sembra conforme al modello del codice di rito, perché la valutazione originaria della sussistenza dell’interesse del minore all’azione è
riservata al giudice della volontaria giurisdizione ed è in quella sede
che deve essere eventualmente contestata; inoltre, una volta che l’azione è stata incardinata, l’eventuale carenza di interesse del minore
al mutamento dello status potrebbe trovare riscontro, piuttosto, in un
nuovo mandato al curatore per la rinunzia al diritto6. Si può avanzare
l’idea che il revirement giurisprudenziale trovi giustificazione in esigenze pratiche, non essendo sicuro che i soggetti interessati e il pubblico ministero si attivino nella sede della volontaria giurisdizione per
contestare la sussistenza e/o verificare la persistenza dell’interesse del
minore: risultando pertanto più efficace che l’interesse ad agire sia valutato nelle fasi conclusive del giudizio di merito, preliminarmente alla
decisione sul contenzioso.
3. Le ragioni ostative alla lettura evolutiva
In realtà, dietro l’apparente ricorso a un istituto tradizionale del
codice di rito, che consente la valutazione dell’interesse ad agire del
minore, la Corte costituzionale ha legittimato l’applicazione di un nuovo criterio di soluzione dei conflitti, che sembra trovare fondamento
nella conformità all’interpretazione dei parametri della Convenzione
di New York.
Nel ragionamento della Corte, la rilevanza dell’interesse del minore è data per presupposta, perché la preoccupazione dei nostri giudici era di evitare che il criterio potesse essere considerato ostativo a
una decisione caducatoria del rapporto filiale. Piuttosto, l’interesse del
minore non assume un ruolo assolutamente prevalente, poiché può
essere sacrificato nel bilanciamento con gli interessi pubblici, volti a
sanzionare il ricorso alla surrogazione di maternità.
5
In tal senso: Cass. 3.4.2017, n. 8617, in Foro it., 2017, I, 119 con nota di G. Casaburi, in
Fam e dir., 2017, p. 845 ss., con nota di M.N. Bugetti e in Corr. giur., 2018, p. 619 ss.,
con nota di D.M. Locatello; Cass. 22.12.2016, n. 26767, in Foro it., 2017, I, p. 119 ss.,
con nota di G. Casaburi e in N. giur. civ. comm., 2017, p. 851 ss., con commento di F.
Scia.
6
In tal senso M. Sesta, La filiazione, in Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, IV,
Torino, 2011, p. 196. In giurisprudenza da ultimo Cass. 15.2.2017, n. 4020, in Foro it.,
2017, I, p. 1237 ss., con nota di G. Casaburi; già Cass. 5.1.1994, n. 71, in Fam. e dir.,
1994, p. 293 ss., con nota di F. Tommaseo.
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
765
Ciononostante, vi sono fondate ragioni per ritenere che siffatta decisione, per l’autorevolezza della Corte e del Relatore, Giuliano Amato,
finisca per incidere sull’interpretazione giurisprudenziale ed è muovendo da questa constatazione che occorre chiedersi in che senso ed
entro quali limiti vada condivisa.
In primo luogo va osservato che nelle azioni di stato il bilanciamento
tra interesse alla verità e interesse alla stabilità dei rapporti consolidati
trova, dopo la riforma, una disciplina a livello legislativo: disciplina
che pone limiti di legittimazione per il disconoscimento della paternità nella filiazione nel matrimonio e limiti di decadenza quinquennale
decorrenti dalla nascita sia per il disconoscimento di paternità, sia per
l’impugnazione del riconoscimento nella filiazione fuori dal matrimonio7. Limiti di decadenza che non si applicano al figlio, che può sempre far valere il proprio interesse all’accertamento della verità genetica.
Alla presenza di siffatti limiti, che individuano in astratto l’interesse
del minore e lo bilanciano con gli interessi contrapposti, occorre individuare qualche specifica ragione, eccentrica a quelle tipicamente considerate in sede legislativa, per consentire al giudice di introdurre un
diverso bilanciamento in concreto: se così non fosse, e se fosse imposta
un’interpretazione della Convenzione di New York nel senso che il
giudice sia sempre libero di valutare in concreto l’interesse del minore
e di adottare il bilanciamento di interessi che ritenesse appropriato,
si svaluterebbe il senso dell’intervento legislativo, pur riconosciuto e
salvaguardato dalla stessa Convenzione8.
Tanto più, ed è questo il secondo rilievo, che la disciplina delle azioni di stato non ha una rilevanza specificamente rivolta ai minori, perché
gli effetti della costituzione o della perdita dello status sono tendenzialmente definitivi e si riflettono su profili, non solo relazionali, ma anche
patrimoniali, che assumono rilevanza anche quando il soggetto, della
cui condizione di figlio si discute, è ormai divenuto maggiorenne9. La
7
Per una efficace sintesi della riforma M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in C.M.
Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 3 ss.
8
Preoccupazione che già emerge, in termini generali, dalle analisi di L. Lenti, Note
critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss., spec. p. 93 ss.,
e di F.D. Busnelli, Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione
delle fonti, ivi, 2016, p. 1463 ss. In altra prospettiva, aperta a un ruolo correttivo della
giurisprudenza, si cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come
diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss., sp. p. 418 ss.
9
Valorizza la distinzione tra interesse del minore e interesse del figlio, L. Lenti, La
costituzione del rapporto filiale, cit., p. 1 ss.
766
The best interest of the child
rilevanza patrimoniale delle azioni di stato e la loro incidenza in materia successoria suggeriscono l’idea che l’interesse del minore non possa
assumere il medesimo ruolo che riveste nella valutazione dei profili relazionali: da qui potrebbe derivare l’idea di una disarticolazione della
disciplina delle azioni e di una frammentazione dello status che consenta, ove lo richieda l’interesse del minore, di modificare gli effetti relazionali, tenendo fermi quelli patrimoniali, o viceversa.
4. Una proposta di disarticolazione: gli interessi privati
concordanti
Proprio la particolare natura delle azioni di stato giustifica una
disarticolazione della rilevanza dell’interesse del minore: disarticolazione che potrebbe collocarsi sul crinale non solo degli effetti, distinguendo tra profili relazionali e patrimoniali, ma anche delle finalità di
chi ha proposto la domanda, distinguendo tra posizioni coincidenti o
concordanti e posizioni conflittuali o comunque contrapposte a quella
del minore.
In primo luogo, l’interesse del minore assume la massima rilevanza
quando l’azione è proposta in suo nome, ossia proprio nelle situazioni prese in esame dalla giurisprudenza. Non vi sono, infatti, ragioni
decisive per negare che l’interesse del minore, una volta riconfigurato
in conformità con la Convenzione di New York, assuma un valore preminente – salvi gli interessi pubblici considerati superiori – e debba
essere considerato anche in sede di giudizio di merito. Il giudice può
quindi valutare, anche ove l’azione corrisponda all’interesse del minore alla verità e all’identità genetica (interesse in astratto), se non sia
preminente l’interesse alla stabilità del rapporto familiare (interesse in
concreto), tanto più che è possibile, anche se non frequente, che la domanda giudiziale, non soggetta ai termini di decadenza, sia proposta
nonostante la presenza di relazioni consolidate.
Un ragionamento analogo può essere sostenuto nel giudizio in cui
l’azione di stato sia stata formulata da un soggetto che, pur non agendo
in suo nome, si faccia portatore di istanze che assumono rilevanza in
quanto concordanti con l’interesse del minore: si pensi a chi, sostenendo di essere il vero genitore, impugni l’altrui riconoscimento per
difetto di veridicità, ovvero alla madre che agisca in disconoscimento
di paternità al fine di consentire al padre naturale di riconoscere il minore. Anche in questi casi mancano ragioni decisive per fare prevalere
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
767
siffatti interessi nella misura in cui non si rivelino rispettosi degli interessi del minore.
Piuttosto, negli uni e negli altri giudizi, occorre chiedersi alla presenza di quali elementi il giudice possa ritenere sussistente l’interesse
del minore.
Sul piano procedimentale, è ormai consolidata l’idea che il giudice debba attribuire una particolare rilevanza allo strumento dell’ascolto del minore, al fine di accertare quale sia in concreto il suo
interesse10.
Sul piano del contenuto, sorge il dubbio se il criterio che rinvia
all’interesse del minore sia idoneo a prevalere sulla verità genetica
solo nel caso in cui la condizione che deriverebbe dall’accoglimento
dell’azione di stato sia di serio pregiudizio per il minore, ovvero ogni
qualvolta, in base alla comparazione con la condizione originaria, il
minore ricadrebbe in una condizione comparativamente peggiore.
Non è scontato l’accoglimento della prima opzione11, alla quale si fa
regolarmente ricorso in situazioni diverse da quelle in esame, quando
si decide per l’affidamento esclusivo o per la limitazione dell’esercizio
della responsabilità: al riguardo, va ricordato che in giurisprudenza si
è negata la nomina di un curatore per proporre l’azione di disconoscimento comparando la posizione del padre naturale, divorziato e senza
esperienze genitoriali, con quella del coniuge della madre, anche alla
luce dell’accertato superamento della crisi familiare e della volontà di
continuare la comune esperienza genitoriale12.
5. (segue): gli interessi privati contrapposti
Le particolari caratteristiche delle azioni di stato – l’intreccio di legami relazioni e di conseguenze economiche – spiegano invece perché
sussistono fondati dubbi a considerare prevalente l’interesse del mi10
Sulla rilevanza dell’audizione del minore cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del
minore, cit., p. 408 ss.; anche G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Fam. e
dir., 2015, p. 72 ss. e G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del minore, in DSF, 2017,
p. 777 ss., sp. p. 797 ss.
11
Che mi era sembrata preferibile in Azioni di stato, cit., p. 555, dove mettevo in dubbio
che si potesse decidere, ad esempio, con una comparazione della solidità economica
del genitore reale con quello sociale.
12
Il caso è riportato e commentato da M.N. Bugetti, Nomina del curatore per l’esercizio
del disconoscimento della paternità tra verità genetica e tutela dell’interesse del minore, in
Fam. e dir., 2017, p. 161 ss.
768
The best interest of the child
nore, almeno di regola, ogni qualvolta l’azione sia proposta da un soggetto portatore di interessi contrapposti a quelli del minore: lo status,
infatti, pone degli obblighi di mantenimento/alimentari e delle conseguenze successorie che non sono collegati alla sussistenza delle situazioni relazionali che ricorrono tipicamente tra genitori e figli. Si può
avere interesse a mantenere uno status filiale, per ragioni patrimoniali,
anche quando non sussiste alcun rapporto rilevante; per altro verso, si
può avere interesse a contestare uno status filiale, per ragioni economiche, anche quando il genitore è in grado di esercitare egregiamente il
ruolo che gli compete.
Vi sono casi in cui gli interessi di cui è portatore l’attore non appaiono meritevoli e possono essere considerati recessivi rispetto all’interesse, anche solo patrimoniale, del minore: ad esempio, alla presenza
di un riconoscimento del minore da parte di un soggetto consapevole
del difetto di veridicità della filiazione13. Fattispecie in cui l’azione del
soggetto che ha riconosciuto in mala fede potrebbe essere accolta, stando al dato normativo, quantomeno se letto alla luce del silenzio delle
disposizioni della riforma su un tema ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza; salvo a ritenere che la medesima azione debba
essere respinta, nel bilanciamento di interessi giurisprudenziale, facendo valere l’interesse del minore alla stabilità economica derivante
dal rapporto genitoriale. In alternativa, si potrebbe imporre a chi ha riconosciuto in mala fede l’obbligo di corrispondere il mantenimento, a
titolo indennitario o di risarcimento del danno, sino al raggiungimento
dell’autonomia economica.
Vi sono invece casi in cui gli interessi dell’attore appaiono meritevoli di tutela: in un ordinamento in cui la Corte costituzionale ammette
che l’interesse del minore possa essere superato da interessi pubblici,
vi sono fondate ragioni per sostenerne la recessività anche in caso di
contrasto con determinati interessi privati14.
È la situazione in cui chi risulta formalmente genitore venga a scoprire la mancanza del rapporto biologico o genetico e agisca tempestivamente in giudizio per contestare lo status filiale: anche qui si può
presumere, dallo stesso comportamento processuale dell’attore, il ve13
In tema F. Quarta, Volontà e consolidamento sociale della filiazione. A proposito del
controllo di meritevolezza sull’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso, in
Rass. dir. civ., 2016, p. 978 ss.
14
In generale, sull’interesse del minore e il bilanciamento con altri interessi, cfr. L.
Lenti, Note, cit., p. 100 ss. e V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, cit., p. 430 ss.
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
769
nir meno del profilo relazionale, ma potrebbe persistere un interesse
del figlio di natura patrimoniale. Ritengo tuttavia che, in sede di bilanciamento, l’interesse patrimoniale del minore sia tipicamente recessivo, a fronte degli interessi relazionali e patrimoniali dell’attore.
Più delicata, e controversa, è la situazione in cui agisca un soggetto
terzo, che sarebbe ad esempio beneficiario di lasciti successori, ove fosse accertata la mancanza del rapporto tra il de cuius e il figlio sociale:
situazione che può ricorrere non solo nella filiazione fuori dal matrimonio (dove è legittimato ad agire qualsiasi soggetto interessato), ma
anche nella filiazione nel matrimonio (non solo per la contestazione di
stato, ma anche seppure con molti limiti per il disconoscimento di paternità). Al riguardo, a mio avviso, assume rilevanza la posizione di chi
ha sino a quel momento rivestito la posizione di genitore, perché può
essere decisivo sapere se costui intenda comunque proseguire il rapporto relazionale o – ove la controversia fosse instaurata dopo il decesso – l’avrebbe proseguito qualora fosse stato consapevole dell’insussistenza del rapporto filiale. Va tenuto presente, infatti, che l’interesse
del minore sarebbe salvaguardato ove il genitore sociale esprima la
volontà di accedere all’istituto dell’adozione in casi particolari: siffatta
possibilità – propugnata dalla Corte costituzionale in caso di maternità
surrogata – comporta effetti patrimoniali e successori sostanzialmente
equivalenti a quelli della filiazione (almeno per l’adottato in caso di decesso dell’adottante), idonei a ledere gli interessi confliggenti, ancorché
passibili di risultare vittoriosi nel giudizio di stato. Ma proprio perché
il genitore sociale potrebbe fare ricorso a questo istituto, pregiudicando comunque la posizione del terzo controinteressato, di ciò si può tenere conto in sede di giudizio di stato: o per negare che il giudice possa
considerare rilevante l’interesse del minore, stante la possibilità per il
genitore sociale di adottare successivamente il figlio sociale (secondo
il modello argomentativo della Corte costituzionale); o per rigettare la
domanda, proprio in forza dell’interesse del minore, in quelle ipotesi
in cui il genitore dichiari di volere continuare altrimenti il rapporto e
soprattutto in quelle situazioni in cui si reputi che il de cuius – se non
fosse deceduto prima di sapere dell’insussistenza del rapporto filiale –
avrebbe costituito un rapporto sostanzialmente equivalente attraverso
l’adozione in casi particolari.
In mancanza di elementi da cui emergano scelte dei genitori sociali a sostegno della permanenza del rapporto, l’interesse attoreo del
controinteressato, se meritevole di tutela, dovrebbe di regola prevalere
770
The best interest of the child
sull’interesse del minore15. A diversa soluzione si potrebbe pervenire
in quelle fattispecie in cui manchi un bilanciamento in sede legislativa
tra l’interesse del minore e la ricerca della verità: o perché la controversia è stata avviata in data antecedente la riforma della filiazione,
non essendo considerato retroattivo il termine di decadenza; o perché
l’azione non è tuttora soggetta a termine di decadenza, come nel caso
di contestazione dello stato di figlio. Nell’uno e nell’altro caso si può
ritenere che, in assenza di un bilanciamento legislativo, il giudice debba compiere una valutazione in concreto che tenga conto del tempo tra
la nascita e l’avvio dell’iniziativa giudiziaria, nonché della situazione
in cui verrebbe a trovarsi il minore ove l’azione del controinteressato
fosse coronata da successo. In questa prospettiva, andrebbe escluso comunque che l’azione del controinteressato possa essere rigettata ove il
figlio sociale sia nel frattempo divenuto maggiorenne e autonomo: ponendo in evidenza un effetto paradossale dell’estensione dell’interesse
del minore alle azioni di stato, ossia che l’interesse alla stabilità del
rapporto che si contrappone all’interesse alla ricerca della verità – e che
anche in questa riflessione è stato presentato quale espressione tipica
dell’interesse del minore – in ultima analisi trova più forti ragioni di
tutela, essendo il rapporto ancor più consolidato, proprio per quei soggetti che stanno abbandonando la minore età (salvaguardandone interessi patrimoniali che presumibilmente faranno valere in età adulta).
6. Qualche breve considerazione sulla rilevanza
degli interessi pubblici
L’analisi è stata volutamente condotta lontano dagli ambiti più controversi, perché fortemente caratterizzati da contrasti ideologici, nella
contrapposizione tra valori pubblicistici e interesse del minore: dimostrando che il tema è in sé stesso complesso, e addirittura contraddittorio, anche quando si tenta un bilanciamento tra interessi di rilevanza
privata, relazionale e/o patrimoniale.
Non intendo tuttavia sottrarmi alle questioni che più impegnano
dottrina e giurisprudenza, riservando alle stesse alcune brevi notazioni conclusive e augurandomi che non sia su di esse a concentrarsi l’attenzione, più o meno fondata su precomprensioni, dei lettori.
15
Riformulo in questo senso la posizione, meno articolata, illustrata in Azioni di stato,
cit., p. 556.
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
771
Ritengo equilibrata la posizione della Corte costituzionale16, che
nega la prevalenza dell’interesse del minore a mantenere il rapporto
filiale costituito a seguito di maternità surrogata commerciale o comunque nel caso in cui entrambi i genitori intenzionali non abbiano
un rapporto genetico con il minore: la lesione del valore della dignità
della donna e il rischio di porsi sul crinale del commercio di minore
costituiscono forti ragioni di ordine pubblico che si impongono sull’interesse alla stabilità dei rapporti. Tanto più che la stessa Corte costituzionale ritiene che l’interesse del minore – e oggi la Corte di Strasburgo
propone un’opinione simile per la salvaguardia dell’interesse alla vita
privata e familiare17 – possa trovare tutela attraverso le forme dell’adozione, anche nella variante dell’adozione in casi particolari18.
Sono tuttavia convinto che le argomentazioni a sostegno del bilanciamento della Corte costituzionale non siano estensibili alla fattispecie della maternità surrogata solidale in cui almeno uno dei membri
della coppia intenzionale abbia un rapporto genetico con il minore,
nonostante il diverso avviso delle Sezioni Unite19: per cui si impone
una soluzione di segno opposto nel bilanciamento che il giudice di
merito dovrà effettuare in sede di giudizio di stato, anche ove non si
acceda alla tesi di chi ha argomentato l’idea della legittimità della pratica anche nel nostro ordinamento20.
Mi sembra infine che l’interesse del minore debba essere considerato prevalente, ove la coppia abbia avuto accesso alla procreazione
assistita in mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi stabiliti dalla legislazione italiana, ivi compreso quello, sul quale si appuntano i
contrasti, della diversità di sesso della coppia21: in tal senso si è chia16
Che riprende Cass. 11.11.2014, n. 24001, in Corr. giur. 2015, p. 471 ss., con nota di A.
Renda. Critica invece G. Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento
e interesse del minore, in Corr. giur., 2017, p. 935 ss.
17
È quanto si ricava dalla opinion della Corte EDU, 10.4.2019, in N. giur. civ. comm.,
2019, I, 757 ss., con commento di A.G. Grasso.
18
Osserva che tale forma di rapporto possa incidere negativamente sull’interesse del
minore e del figlio, in quanto soggetta a revoca, L. Lenti, La costituzione del rapporto
filiale, cit., p. 13 s.
19
Sembra essere di chiusura la posizione di Cass., S.U., 8.5.2019, n. 12193, in N. giur.
civ. comm., 2019, I, p. 737 ss., con commento di U. Salanitro, e in Fam. e dir., 2019,
p. 653 ss., con note critiche di M. Dogliotti e G. Ferrando, anche perché riferita
proprio a un caso di maternità surrogata solidale.
20
Per la quale si rinvia alla recente analisi di A.G. Grasso, Per una interpretazione
costituzionalmente orientata del divieto di maternità surrogata, in TCRS, 2018, 2, p. 151 ss.
21
Sulla questione si vedano le rassegne di D. Muscillo, Best interest del minore:
772
The best interest of the child
ramente espressa – in sede di definizione dell’ordine pubblico internazionale – la nostra giurisprudenza anche nel consesso più elevato22.
Siffatta valutazione va condivisa, a mio avviso, anche qualora l’azione
di stato fosse soggetta alla legislazione italiana: traendo argomento da
considerazioni sistematiche fondate sulle regole a tutela del minore,
poste in sede di fecondazione eterologa (ex art. 9 l. 40/04), nonché dalla
riferibilità dei requisiti ex art. 5, l. 40/04, al momento della fecondazione dell’embrione e non al successivo momento dell’impianto23.
Bibliografia
Bianca M., L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della
filiazione, Padova, 2015, p. 3 ss.
Bugetti M.N., Nomina del curatore per l’esercizio del disconoscimento della paternità
tra verità genetica e tutela dell’interesse del minore, in Fam. e dir., 2017, p. 161 ss.
Busnelli F.D., Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione
delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1463 ss.
Camilleri E., Interesse del minore e disconoscimento di paternità. Spunti critici per
un riallineamento al sistema delle azioni di stato, in Familia, 2011, p. 619 ss.
Corapi G., La tutela dell’interesse superiore del minore, in DSF, 2017, p. 777 ss.
Ferrando G., Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del
minore, in Corr. giur., 2017, p. 935 ss.
Giardina F., Interesse del minore: gli aspetti identitari, in N. giur. civ. comm., 2016,
p. 159 ss.
Grasso A.G., Per una interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di
maternità surrogata, in TCRS, 2018, 2, p. 151 ss.
Lenti L., La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus civile,
2019, I, p. 7 ss.
Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss.
Muscillo D., Best interest del minore: l’applicazione giurisprudenziale nelle famiglie omosessuali, in Familia, 2016, p. 233 ss.
Quarta F., Volontà e consolidamento sociale della filiazione. A proposito del controllo
di meritevolezza sull’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso, in
Rass. dir. civ., 2016, p. 978 ss.
l’applicazione giurisprudenziale nelle famiglie omosessuali, in Familia, 2016, p. 233 ss.
22
È la posizione sostenuta da Cass. 30.9.2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con
nota di G. Ferrando, che è stata di recente confermata da un obiter dictum di Cass.,
S.U., 8.5.2019, n. 12193, cit.
23
Si consenta il rinvio a U. Salanitro, Art. 5 – Legge 19 febbraio 2004 n. 40, in Commentario
Gabrielli, Della Famiglia, III, Torino, 2018, p. 1704 ss.
Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità
773
Salanitro U., Art. 5 – Legge 19 febbraio 2004 n. 40, in Commentario Gabrielli, Della
Famiglia, III, Torino, 2018, p. 1704 ss.
Salanitro U., Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in N.
giur. civ. comm., 2018, II, p. 552 ss.
Scalisi V., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir.
civ., 2018, p. 405 ss.
Sesta M., La filiazione, in Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, IV, Torino,
2011, p. 196
Sicchiero G., La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss.
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto
dei minori
Susanna Sandulli
Il tema oggetto del presente lavoro riguarda l’eterogenitorialità nel
sistema del diritto dei minori, ma poiché questioni di questo tipo rischiano di far cadere in grossolane banalità e discriminazioni, ritengo
che la prospettiva da adottare sia una sola, ossia quella di verificare
quale sia in concreto il best interest of the child.
Per tale ragione, intendo partire da un concetto estremamente semplice e, se vogliamo, naturale, ossia il ruolo della madre all’interno della famiglia, valutando quale considerazione tale ruolo trovi nel diritto.
L’importanza della figura materna nell’istituzione familiare non costituisce una “scoperta” moderna, in quanto già nell’ambito dei lavori
preparatori alla Costituzione, grazie soprattutto ai preziosi contributi di
Nilde Iotti1 e di Teresa Noce, si comprese che la valorizzazione giuridica della donna avesse inizio attraverso la sua tutela nella famiglia2; un
esempio è rinvenibile nell’art. 37 della carta costituzionale, il quale prevede che l’attività lavorativa della donna debba essere svolta in modo
da consentirle di adempiere alla funzione familiare che le è propria.
Ciò è desumibile, altresì, dal combinato disposto degli artt. 29, 30 e
31 Cost., da cui emerge un concetto di famiglia quale società naturale,
preesistente allo Stato e che non può essere frutto di un’unione priva
di impedimenti derivanti da vincoli di sangue o di età e, soprattutto,
senza distinzione di ruoli sessuali; viene, così, delineato un modello di
relazioni familiari improntato sull’eterogenitorialità, che diviene presupposto relazionale della filiazione.
Sono numerosi, infatti, i riferimenti al ruolo “materno” e “paterno”
all’interno del diritto di famiglia.
L’eterogenitorialità è evidente nella filiazione nel matrimonio, dato
che coniugi possono essere soltanto persone di sesso diverso (art. 147 e
776
The best interest of the child
artt. 231 ss. c.c.); nel riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio (art. 250 c.c.), per cui il figlio può essere riconosciuto “dalla madre e
dal padre”; nelle azioni di stato, relative alla paternità e alla maternità;
nella disciplina relativa alla scelta dell’amministratore di sostegno, per
cui il giudice darà preferenza alla madre e al padre ai sensi dell’art. 408
c.c.; nelle norme sulla successione mortis causa dei figli al “padre ed alla
madre” e viceversa (artt. 566 e 568 c.c.); da quanto disposto in materia
di responsabilità del padre e della madre per il danno cagionato dal
fatto illecito del figlio minore non emancipato (art. 2048 c.c.); o ancora,
in tema di responsabilità genitoriale, la quale è esercitata dal padre e
dalla madre di comune accordo (art. 316 c.c.)
Al di “fuori” del Codice civile, troviamo riferimenti in materia
di adozione, consentita soltanto alla coppia coniugata, per definizione eterosessuale (art. 6, legge n. 184 del 4 maggio 1983); nella pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza, in cui il riferimento
è alla “madre” e al “padre” del concepito (art. 5, legge n. 194 del 22
maggio 1978); nell’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita, infine, che è ammesso soltanto per le coppie “di sesso diverso,
coniugate o conviventi” (art. 5, legge n. 40 del 19 febbraio 2004).
La medesima prospettiva è stata fatta propria anche dal legislatore internazionale. Facciamo riferimento, ad esempio, alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, la quale prevede che, salvo
eccezioni, il minore in tenera età non dovrebbe mai essere separato
dalla madre; alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti della donna del 1979, il cui preambolo
sottolinea l’importanza del ruolo sociale della maternità e di entrambi i genitori nella famiglia e nell’educazione dei figli, prevedendo
una suddivisione di responsabilità; alla Risoluzione del Parlamento
europeo su una Carta europea dei diritti del fanciullo del 1992, il cui
art. 8.17 contempla il diritto del minore di vivere con il padre e la
madre, mentre l’art. 8.23 stabilisce la necessità di garantire al minore
una certezza giuridica.
Possiamo, dunque, affermare che il nostro ordinamento è improntato sulla distinzione dei ruoli all’interno della famiglia e sulla presa
d’atto che ogni membro di questa comunità si caratterizza per talune
peculiarità: ognuno di essi è insostituibile.
Emerge chiaramente un quadro giuridico in cui l’ordinamento, da
una parte, protegge la maternità, pur non garantendo la possibilità di
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
777
divenire madre3, e, dall’altra, esalta l’importanza dell’eterogenitorialità, la quale, sebbene non venga espressamente enucleata fra i principi
fondamentali della Costituzione, ne costituisce espressione, tutelando
il preminente interesse del minore.
Alla luce di quanto sinora detto, si dovrebbe ritenere che l’eterogenitorialità sia espressione del principio dell’ordine pubblico4, in
quanto finalizzata alla tutela di diritti individuali e relazionali e, soprattutto, del best interest of the child, rendendolo intangibile anche
rispetto alla normativa straniera; infatti, sebbene sia necessario un
confronto costante con gli altri ordinamenti, il nostro sistema di diritto non può automaticamente omologarsi alle soluzioni normative
adottate altrove, in quanto l’unico percorso possibile per la decisione
del singolo caso è quello di un raffronto con i principi fondamentali
del nostro ordinamento5.
Inoltre, l’art. 9 della Carta di Nizza e l’art. 12 della CEDU rinviano esplicitamente alla legislazione nazionale in materia di famiglia e,
dunque, non potrebbe neppure ipotizzarsi una violazione della disciplina europea.
3
Come evidenziato da autorevole dottrina, il diritto alla procreazione non è
contemplato fra i diritti fondamentali dell’uomo, né come singolo né nelle formazioni
sociali e, dunque, anche qualora fosse riconosciuto, potrebbe essere esercitato, al
pari di tutti gli altri diritti, esclusivamente nei casi e secondo le modalità previsti
dall’ordinamento. In tal senso, A. Finocchiaro, Non basta prospettare l’evoluzione
scientifica per ritenere lecito l’accordo tra le parti, in Guida dir., 2009, 9, p. 80. Anche la
giurisprudenza si è espressa per un’inesistenza del diritto dell’individuo ad avere
figli; così CEDU, Grande Camera, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c. Italia,
la quale ha stabilito espressamente che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
“non sancisce alcun diritto di diventare genitore”.
4
Sul tema della nozione di ordine pubblico si è pronunciata di recente la Cass.,
SU, 8 maggio 2019, n. 12193, la quale ha affermato che “la (…) nozione di ordine
pubblico (…) va desunta non solo dai valori consacrati nelle norme costituzionali,
ma anche dagli altri principi e regole che, pur non trovando collocazione nella
Carta fondamentale, informano l’intero ordinamento, in quanto immanenti ai più
importanti istituti giuridici ed emergenti dal complesso delle norme inderogabili che
caratterizzano l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato
momento storico”; e ancora che “Tra gli stessi va senz’altro incluso il principio,
chiaramente desumibile dalle norme inderogabili in materia di filiazione, che
postula, quale requisito imprescindibile per il riconoscimento del relativo rapporto,
la differenza di sesso tra i genitori, avendo quest’ultima influito significativamente su
tutta la legislazione nazionale introdotta nel tempo, ivi compresa quella concernente
le diverse tecniche di fecondazione assistita”.
5
Come giustamente sottolineato dalla dottrina, “l’emotività non può farci dimenticare
i principi di diritto”. R.E. Guidorzi, Le nuove unioni civili, il conflitto genitoriale e la
tutela del minore, in G. Cassano (cur.), Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome
di alienazione parentale alla legge sulle “Unioni civili”, Milano, 2016, p. 627.
778
The best interest of the child
Certo, la famiglia, più di qualsiasi altra comunità, risente fortemente
dell’evoluzione della società e della coscienza giuridica, è una delle più
alte espressioni di diritto vivente e non può ancorarsi a rigidi schemi.
Come noto, infatti, la famiglia è stata oggetto di una profonda evoluzione, in ultimo con la c.d. Riforma Bianca del 20126, mediante la
quale si è introdotto il concetto di “famiglia dei figli7” e con la quale
non solo si è giunti a una completa equiparazione giuridica dei coniugi, ma soprattutto si è ribadito fermamente che la disciplina debba
essere improntata esclusivamente sull’interesse del minore.
Quindi, se i nuovi modelli familiari8 debbono certamente trovare
un riconoscimento e una tutela giuridica, in quanto la tradizione non
può divenire alibi per perpetuare ingiustizie e discriminazioni, non si
può sottacere il rischio che si vengano a creare situazioni potenzialmente lesive del best interest of the child.
Il timore principale è che si finisca non per tutelare l’interesse del
minore ad avere una famiglia, ma che si proceda soltanto al riconoscimento giuridico, anche se indiretto, di una nuova genitorialità.
E proprio da questo punto dobbiamo affrontare il tema dell’eterogenitorialità.
Infatti, nel momento in cui si parla di “famiglia”, l’unico interesse da
tutelare è quello del minore e l’omosessualità non può far certo dubitare
dell’idoneità genitoriale, perché non si può pensare ad una normativa che
6
La legge n. 219 del 10 dicembre 2012, come noto, ha sancito l’unificazione dello stato di
figlio, espressione con la quale si intende dire che “la legge conosce solo figli” (C.M.
Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1), ponendo fine
alla tradizionale ed anacronistica distinzione fra figli legittimi e naturali; nel Codice
civile tale principio è stato introdotto mediante la riformulazione ex novo dell’art.
315 c.c., il quale stabilisce che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, fungendo da
criterio interpretativo nelle ipotesi in cui sorgano dubbi sull’effettivo significato da
attribuire alla norma. Questa unicità corrisponde alla nuova visione della famiglia,
la quale non viene più posta al centro del sistema in quanto istituzione, ma si basa
sui diritti della persona “anche nella famiglia”; in altre parole, l’attuale concezione
della famiglia non tollera più discriminazioni legate alla nascita ovvero alle vicende
che riguardano i rapporti fra genitori. Così M. Dossetti, L’unicità dello stato di figlio
e i modi diversi di accertamento dello status, in M. Dossetti – M. Moretti – C. Moretti,
La nuova filiazione, Bologna, 2017, p. 2. Tra i contributi più significativi sul tema, M.
Bianca, L’ uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012 (*)
The Equality of the Legal Status of Children under the Recent Law No. 219 of 2012,
in Giust. civ., 2013, fasc. 5-6, p. 205 e ss.
7
L. Rossi Carleo, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, p. 1462.
8
Modelli di famiglia quali quella fondata sulla convivenza, anche fra persone dello
stesso sesso, e quella ricomposta, la cui complessità è acuita dalla necessità di
coordinare le fonti interne con quelle europee.
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
779
differenzi in base all’orientamento sessuale, non solo perché in contrasto
con il principio di uguaglianza ed eticamente inaccettabile, ma anche in
ragione del fatto che nel nostro ordinamento il concetto di genitorialità
non è legato all’orientamento sessuale, bensì al sesso degli individui.
Occorre, dunque, partire dal dettato normativo, ossia dalla legge sulle unioni civili. Legge tanto attesa9, ma al contempo criticata, in quanto
“prospetta all’interprete scenari non privi di ombre”; infatti, la disciplina della filiazione non viene menzionata, mentre è esclusa l’applicabilità
di quella dell’adozione e ciò induce a ritenere che le coppie omosessuali
non siano chiamate a svolgere una funzione genitoriale.
A prescindere dal carattere politico che tale scelta legislativa possa
aver avuto, non si può nascondere il timore del legislatore che l’estensione generalizzata della c.d. stepchild adoption avrebbe potuto legittimare il ricorso alla maternità surrogata; infatti, quasi sempre il progetto
genitoriale delle coppie formate da due individui di sesso maschile viene perseguito attraverso la maternità surrogata, che sappiamo essere
vietata dalla legge, non solo perché in contrasto con il principio dell’ordine pubblico, trattandosi di una pratica che lede profondamente la
dignità della donna10, ma anche e soprattutto perché non rispecchia il
diritto del minore all’identità filiale e a conoscere le proprie origini11.
9
L’iter legislativo è stato molto travagliato, se si pensa che la prima proposta venne
fatta nel 1986 e al cui rigetto hanno fatto seguito anni di silenzio. Per tale ragione,
la dottrina ha affermato che “la «battaglia» per il riconoscimento dei diritti delle
coppie same sex si è svolta principalmente, fino a ieri, nelle aule dei Tribunali non
solo delle Corti nazionali ma soprattutto europee, ove si sono succedute svariate
pronunce che hanno ripetutamente censurato il legislatore italiano”. Così T.
Auletta, Ammissibilità nell’ordinamento vigente del matrimonio fra persone del medesimo
sesso, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 656. Per un approfondimento si rinvia a R.
Villani, L. 19 febbraio 2004 n. 40, in A. Zaccaria (cur.), Commentario breve al diritto
di famiglia, Padova, 2008, p. 1828 e ss.; U. Salanitro, Commento alla l. 19 febbraio
2004 n. 40, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, L. Balestra (cur.),
Della famiglia, Torino, 2010, p. 509 ss.
10
La maternità surrogata è ritenuta dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n.
272 del 2017 una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e
mina nel profondo le relazioni umane”.
11
Anche la giurisprudenza ha affrontato numerose volte tale questione; ci riferiamo,
ex multis, al caso Godelli c. Italia, nel quale la CEDU, con la sentenza n. 33783 del
25 settembre 2012, ha stabilito che “La legislazione italiana, vietando l’accesso alle
informazioni sulla propria nascita nel caso di parto anonimo, viola l’art. 8 della
convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, poiché, senza bilanciare i
contrapposti interessi della madre (all’anonimato) e del figlio (alla conoscenza)
impedisce alla persona di sapere da chi è nato”. La Corte costituzionale, invece,
con la sentenza n. 278 del 22 novembre 2013 ha affermato che “Come ha osservato
la Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 8 della convenzione
780
The best interest of the child
Questa è la medesima ratio che caratterizza la disciplina delle azioni
di stato12, la quale è incentrata sul preminente interesse del minore; tuttavia, occorre chiedersi cosa accada in situazioni in cui, sebbene vi sia
stata una violazione di legge, è nato un essere umano e la cui tutela non
può in alcun modo essere inferiore a quella dei figli nati “naturalmente”.
Dunque, per quanto riguarda lo status del figlio, uno dei problemi che si pone riguarda il ruolo del partner del genitore biologico, in
quanto bisogna valutare l’applicabilità dell’istituto dell’adozione di cui
all’art. 44, lett. d), della legge n. 183 del 1984, ma la situazione pare diversa a seconda che il minore abbia già vissuto o meno con la coppia,
essendo necessaria una valutazione case by case, come sottolineato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 272 del 18 dicembre 2017.
Infatti, nel caso in cui il minore abbia trascorso con la coppia un
lasso di tempo “ragionevole” e instaurato con il partner del proprio
genitore biologico un legame solido ed affettivo, è necessario tutelare
il suo diritto a mantenere tale situazione di stabilità affettiva, facendo riferimento al concetto di genitore sociale; potrebbe, quindi, ritenersi
applicabile la disciplina della stepchild adoption in virtù del diritto alla
continuità degli affetti13, concetto statuito con la riforma della disciplieuropea, è eccessivamente rigida la disciplina dell’art. 28, comma 7, l. 4 maggio
1983 n. 184, come sostituito dall’art. 177, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196,
che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata. Non
appare ragionevole, ed è quindi in contrasto con gli art. 2 e 3 Cost., che la scelta
sia necessariamente e definitivamente preclusa sul versante dei rapporti relativi
alla «genitorialità naturale», e non invece eventualmente revocabile, in seguito alla
richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la
massima riservatezza”.
12
Le azioni di stato, come noto, sono volte a garantire un accertamento dello stato
di filiazione e costituiscono espressione di quello definito come il diritto all’identità
filiale, ossia il diritto ad avere certezza in merito alla propria situazione genitoriale;
pertanto, la ratio sottostante tali azioni è di ottenere una pronuncia sullo stato
della persona. Come evidenziato da P. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza
del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, p. 212, la nozione di status esprime “l’idea di una
condizione personale destinata a durare, capace di dar vita a prerogative e doveri, e
di giustificare vicende molteplici dell’attività ed è la vita della persona”.
13
Il best interest of the child, invero, si sostanza anche nel diritto alla continuità dei
legami affettivi, tanto che esso costituisce la ratio della legge 19 ottobre 2015, n. 173,
che, come noto, ha modificato la legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozioni,
al fine di limitare le conseguenze traumatiche subite dai minori in affido per lungo
tempo e successivamente adottati da una famiglia diversa da quella a cui erano stati
assegnati. Con la legge n. 173 del 2015, il legislatore ha, dunque, voluto rimarcare
l’indissolubile legame fra il benessere del minore ed il contesto familiare in cui si
sviluppa la sua personalità; sul tema, v. G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli
e ritorno, Napoli, 2016, p. 44 ss.
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
781
na dell’affidamento, che ha fatto emergere altresì il diritto del minore
alla bigenitorialità14.
Pare, tuttavia, lecito chiedersi se tale riconoscimento giuridico della
genitorialità sociale vada a realizzare in concreto il supremo interesse
del minore; egli, infatti, non trovandosi in uno stato di abbandono, vedrebbe tutelate pienamente le sue esigenze e non avrebbe la necessità
di formalizzare a livello giuridico una situazione di fatto già esistente.
Nell’ipotesi in cui, invece, suddetto legame non sussista, l’istituto
dell’adozione in casi particolari non sembra poter trovare applicazione: non solo si sostanzierebbe, invero, nell’attribuzione ex novo di un
diritto prima inesistente per tutelare una situazione contra legem che
le parti hanno coscientemente realizzato, ma soprattutto perché non
corrisponde ad un interesse concreto ed effettivo del minore, in quanto
la vita familiare non si è ancora instaurata.
E proprio con riferimento alla figura del genitore sociale bisogna,
poi, sottolineare una delle maggiori problematiche che caratterizza l’unione civile.
Trattandosi di un’unione fragile15, posta la semplicità delle modalità con cui interromperla, occorre chiedersi cosa accade rispetto al genitore sociale, in quanto l’art. 337 ter c.c., in caso di separazione, prevede
14
Ossia il diritto alla doppia figura genitoriale riconosciuto come preminente dalla
legge 8 febbraio 2006, n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli” ed espressamente sancito all’art. 337 ter c.c. nel caso
di crisi del rapporto che lega i genitori. La dottrina ha affermato che “Le nozioni di
bigenitorialità e famiglia sono inscindibili, nel senso che il contenuto del diritto del
figlio non va valutato in termini quantitativi (è preferibile avere due genitori anziché
averne uno solo), ma qualitativi, apprezzando il diverso, essenziale contributo che i
due genitori sono in grado di fornire alla sua formazione e crescita”. Così A. Morace
Pinelli, Il problema della filiazione nell’unione civile, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni
civile e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017;
d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, p. 313.
15
Ad esempio, manca del tutto il richiamo alla disciplina della separazione e, infatti,
il comma 23 stabilisce che “L’unione civile si scioglie altresì nei casi previsti dall’articolo
3, numero 1) e numero 2), lettera a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898”;
dunque, per lo scioglimento dell’unione non è necessario né il provvedimento di
omologazione della separazione consensuale, né il passaggio in giudicato della
sentenza relativa alla separazione giudiziale. Inoltre, diversamente da quanto sancito
all’art. 151 c.c., non viene richiesta un’adeguata motivazione e ciò, indubbiamente,
rende molto facile la cessazione dell’unione civile. Per un esame critico della
questione, si rinvia a G. De Cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo
sesso. Note critiche alla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della legge
20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ.
comm., 2017, p. 135 ss.
782
The best interest of the child
il diritto al mantenimento di un rapporto affettivo solamente con il
genitore e non anche con il partner dell’unione civile.
L’attuale disciplina, infatti, che prevede come regola generale quella dell’affidamento condiviso, fa esclusivamente riferimento agli effetti
per i figli in caso di separazione, divorzio, cessazione della convivenza
more uxorio, annullamento e nullità del matrimonio; si tratta, dunque,
di casi che presuppongono la presenza di due genitori di sesso diverso.
Non è, pertanto, contemplata l’ipotesi di scioglimento dell’unione
civile e la situazione che si potrebbe verificare nel caso concreto non sarebbe in alcun modo disciplinata, facendo venir meno le relative forme
di tutela per il minore.
Un ulteriore caso in cui il mancato riconoscimento legislativo
della genitorialità omoaffettiva farebbe sorgere diversi problemi riguarda il congedo di paternità e di maternità, in quanto la disciplina
in questione fa esclusivamente riferimento alla possibilità da parte
della madre o del padre di ottenere un periodo da trascorrere con il
figlio dopo il parto; in particolare, nel caso di una duplice paternità,
la possibilità per il padre di usufruire del congedo spetterebbe solo
nell’ipotesi in cui si ritenga che, a seguito della maternità surrogata,
la madre abbia abbandonato il figlio, come previsto dall’art. 28 del
TU (d.lgs. n. 151 del 26 marzo 2001), ma è incerto se tale fattispecie
risulti effettivamente applicabile.
Ancora, numerose perplessità si presentano relativamente alla
disciplina del cognome, elemento identificativo fondamentale nella
formazione dell’identità personale del minore. L’art. 262 c.c., infatti,
stabilisce che ai figli nati al di fuori del matrimonio venga assegnato
il cognome paterno e, a seguito della sentenza n. 286 del 21 dicembre
2016 della Corte costituzionale, anche quello materno16; si presuppone,
dunque, una diversità di sesso.
Nel caso di due madri, andrebbe, dunque, assegnato il cognome
della madre partoriente ex art. 269, comma 3, c.c., essendo essa considerata dall’ordinamento come unica madre e non potendosi attribuire
16
Nella sentenza si legge “Va dichiarata l’illegittimità costituzionale di quel complesso
di norme vigenti nell’ordinamento italiano, in virtù del quale al figlio di genitori
coniugati è attribuito automaticamente il cognome paterno, nella parte in cui non
consente ai genitori – di comune accordo – di trasmettere al figlio, all’atto della
nascita, anche il cognome materno. Altresì, va dichiarata l’illegittimità costituzionale
di quelle norme che non consentono di trasmettere, in virtù di accordo tra i genitori,
anche il cognome materno al figlio adottivo ed al figlio di genitori non coniugati
riconosciuto alla nascita da entrambi”.
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
783
anche il cognome della seconda mamma, neppure qualora abbia donato l’ovulo. Nel caso, invece, di una coppia formata da individui di sesso maschile, se si attribuisse il cognome del padre biologico, non si andrebbe, in qualche misura, a “sminuire” la figura del secondo padre?
A prescindere, però, dalle modalità attraverso cui il progetto di genitorialità delle coppie omosessuali venga perseguito e dagli evidenti vuoti normativi, l’interrogativo che occorre porsi è se abbandonare
l’impostazione eterogenitoriale finora seguita coincida con il best interest of the child.
Le opinioni favorevoli si basano sull’assunto per cui la dannosità
del contesto familiare privo di genitori di sesso differente poggerebbe
su di un mero pregiudizio17, ma se una situazione non è dannosa non
vuol dire che sia la migliore.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che sono numerosi gli studi che
dimostrano l’importanza delle diverse figure genitoriali all’interno
della vita familiare, anche con riferimento alla formazione dell’identità sessuale, che è un diritto fondamentale tutelato dall’ordinamento
nazionale ed europeo. È necessario, infatti, soprattutto durante l’età
adolescenziale, un confronto costante con il genitore del proprio sesso,
ma anche con quello di sesso opposto, che mancherebbe nelle famiglie
omoaffettive18.
In questi termini si è pronunciata anche la giurisprudenza (Tribunale per i minorenni di Palermo, decreto 4 dicembre 2013) la quale,
pur essendosi espressa positivamente per l’affidamento preadottivo
a favore di una coppia omosessuale, ha sottolineato la differenza fra
l’inserimento di un minore di tenera età e quello di un giovane con un
orientamento sessuale già definito19.
17
Per un esame critico della questione, si rinvia a S. Niccolai, Diritto delle persone
omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna?, in Giur. cost., 2016, fasc. 3,
p. 1169 ss.
18
Non si dovrebbe, in sostanza, privare i minori della possibilità di avere un rapporto
con genitori di sesso differente. In tal senso si è espresso U. Salanitro, Il divieto
di fecondazione eterologa alla luce della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo:
l’intervento della Corte di Strasburgo, in Fam. e dir., 2010, p. 991.
19
Il Tribunale si è espresso, invero, nel senso che “Non può negarsi, invero, che
l’inserimento di un minore in tenera età all’interno di una coppia di persone dello
stesso senso potrebbe attivare dinamiche ben diverse rispetto all’inserimento di
un giovane con una personalità strutturata e con orientamenti sessuali già ben
definiti. Occorre dunque solidamente ancorare le argomentazioni fin qui svolte alle
peculiarità del caso concreto, e dunque alle conoscenze acquisite sulla condizione
psicologica, sulle risorse personali e sulla qualità delle relazioni intrafamiliari di,
784
The best interest of the child
Non si può, inoltre, sottacere, sebbene risulti cinico e sgradevole,
che le famiglie omosessuali costituiscono ad oggi una netta minoranza e i bambini si troverebbero, immancabilmente, in una posizione di
diversità rispetto ai loro coetanei, potendo subire ripercussioni sociali
e discriminazioni20; occorre, pertanto, che le scelte legislative e giurisprudenziali siano incentrate sul benessere attuale dei bambini.
In conclusione, a prescindere, dalle opinioni personali, che inevitabilmente contraddistinguono ciascuno di noi, ciò che deve davvero
costituire oggetto di primaria attenzione è l’interesse dei minori, abbandonando la visione “adultocentrica”21: la necessità è quella di fissare regole sicure per evitare che il rapporto di genitorialità possa essere
strumentalizzato e, proprio per questo, un intervento legislativo che
chiarisca le criticità rilevate e che non lasci esclusivamente alla magistratura l’arduo compito di colmare le lacune evidenziate è sicuramente un passo imprescindibile per garantire un’effettiva tutela del best
interest of the child.
Bibliografia
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medesimo sesso, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 656
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2012 (*) The Equality of the Legal Status of Children under the Recent Law No.
219 of 2012, in Giust. civ., 2013, fasc. 5-6, p. 205 e ss.
nonché alle informazioni esistenti in merito alla coppia presso cui egli dovrebbe
proseguire il percorso di accoglienza già intrapreso”.
20
Nella sentenza n. 4382 del 22 dicembre 2018, la terza sezione civile della Corte di
Cassazione ha sostenuto che “l’affermazione di una genitorialità in capo a persone
dello stesso sesso e che a tanto si possa pervenire «per via giudiziaria», dandosi
luogo ad una soluzione che: a) contrasterebbe con i principi fondamentali della
Carta costituzionale; b) scardinerebbe l’intero sistema del diritto di famiglia italiano;
c) ignorerebbe il comune sentire, ossia il modo in cui la stragrande maggioranza
degli italiani concepisce maternità e paternità; d) cancellerebbe uno degli elementi
fondanti la stessa identità nazionale; e) intaccherebbe la stessa sovranità dello Stato”.
21
Come è stato correttamente osservato, “l’evoluzione dell’ordinamento può avere un
senso però solo se non finisce per anteporre il diritto degli adulti a quello dei minori”.
Così L. Spina, Nuove famiglie e circolazione dei nuovi status familiari: la risposta del diritto
interno tra interesse del minore ed ordine pubblico”, in G.O. Cesaro – P. Lovati – G.
Mastrangelo (cur.), La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro
riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, Milano, 2014, p. 135-136.
L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori
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disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76,
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786
The best interest of the child
parte vi
L’interesse del minore ad una crescita serena:
responsabilità genitoriale, relazioni familiari e conflitti
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori
di età
Filippo Romeo
Sommario: 1. Pluralità dei modelli familiari, conflittualità della coppia
genitoriale e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso. – 2. Bigenitorialità e collocamento paritetico dei figli. Rilievi critici. – 3. Genitori conflittuali e misure di sostegno alla genitorialità. La mediazione
familiare e la coordinazione genitoriale. – 4. Esigenze di “sdrammatizzazione” della crisi familiare: quali prospettive?
1. Pluralità dei modelli familiari, conflittualità
della coppia genitoriale e prospettive di riforma
dell’affidamento condiviso
Preliminarmente occorre prendere atto che nell’attuale fase evolutiva
del diritto di famiglia emergono una pluralità di modelli familiari continuamente rimodulabili. Ciascun individuo risulta titolare del diritto
soggettivo di sposarsi, di separarsi, di divorziare e di costituire una
nuova famiglia fondata sul matrimonio ovvero di dare luogo ad una
relazione affettiva non matrimoniale socialmente diffusa o regolata
dalla legge1. Le molteplici e mutevoli relazioni di coppia – grazie al
1
Il pluralismo dei modelli familiari trova oggi conferma nella legge n. 76/2016. In
argomento, tra gli altri, T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio:
evoluzione o morte della famiglia?, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 367; M. Paradiso,
Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 ss.; M.C.
Venuti, La regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle
convivenze in Italia, in Pol. dir., 2016, p. 95 ss.; M. Sesta, Unione civile e convivenze:
dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, p. 1792; E. Al Mureden,
Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in Fam. dir., 2016, p.
966; E. Quadri, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze: il non facile ruolo
che la legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893 ss. Si segnalano, inoltre, G.
De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?,
790
The best interest of the child
ruolo sempre più pervasivo dell’autonomia privata – si liberalizzano
nelle modalità di costituzione e nel contenuto. Ma non solo. Si liberalizzano nelle modalità di scioglimento2.
In questo scenario si registra una crescente instabilità e conflittualità
della coppia genitoriale. Conseguentemente, risulta concreto il rischio
che la separazione personale dei coniugi, il divorzio, la cessazione della convivenza (di mero fatto o normativizzata) incidano negativamente nell’ambito della complessa relazione “genitori-figli”.
Invero, proprio nell’ottica di salvaguardare il c.d. “best interest of the
child”, occorre ricordare che l’articolato normativo tracciato dagli artt.
337 bis ss. c.c. ha puntualizzato quali siano i diritti dei figli nel caso di
intervenuta crisi della coppia genitoriale3. Paradigmatica, al riguardo,
risulta la previsione contenuta nell’art. 337 ter, comma 1°, c.c. laddove
si sancisce il diritto del figlio minore di età a “mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Altrettanto rilevante, inoltre, risulta il comma 2° dell’art. 337 ter c.c. che
impone al giudice, nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole, di
fare riferimento esclusivo all’interesse morale e materiale dei figli.
In questa prospettiva, per attuare al meglio l’interesse del minore, il
giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che la prole resti
affidata ad entrambi i genitori4. Al riguardo nell’elaborazione dell’affiin Familia, 2019, p. 299 ss.; G. Perlingieri, Interferenze tra unione civile e matrimonio.
Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in F. Romeo (cur.), Nuovi modelli
familiari e autonomia negoziale, Napoli, 2018, p. 77 ss. Sia, altresì, consentito rinviare a
F. Romeo, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina
delle convivenze», in Comm. Gabrielli, 3, II ed., Torino, 2018, p. 1985 ss.
2
Peraltro, le compagini familiari si connotano per essere sempre più ristrette nel
numero e brevi nel tempo: si riscontra, infatti, un progressivo affievolimento
dell’intensità del vincolo che ben si spiega alla luce di una pluralità di regole,
soprattutto processuali. Eloquenti, in questa direzione, appaiono le novità introdotte
dalla legge n. 55/2015 sul “divorzio breve” nonché le modalità di separazione e
divorzio alternative al processo introdotte dalla legge n. 162/2014.
3
Gli artt. 337 bis ss. c.c. costituiscono, a ben vedere, la proiezione della responsabilità
genitoriale, intesa quale attuazione del rapporto “genitori-figli” nella fase patologica
della vita della coppia genitoriale. In questa direzione spunti di sicuro interesse si
rinvengono in S. Stefanelli, Responsabilità genitoriale e affidamento, in A. Sassi – F.
Scaglione – S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Le persone e la famiglia,
4, II ed., Torino, 2018, p. 672.
4
L’affidamento condiviso assurge a regola generale. Viceversa, si ricorre all’affidamento
esclusivo solo in casi eccezionali. Paradigmatiche conferme si rinvengono in Cass. 11
luglio 2017, n. 17137, in www.osservatoriofamiglia.it, in base alla quale i comportamenti
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
791
damento condiviso si coglie un concetto di interesse del minore profondamente innovato. Prioritario è il perseguimento del benessere del
figlio che passa attraverso la salvaguardia delle relazioni affettive ivi
comprese quelle con i componenti della “famiglia allargata”.
Elementi caratterizzanti dell’affidamento condiviso sono essenzialmente due. Un primo elemento attiene all’esercizio in comune della
responsabilità genitoriale, che postula un profondo rispetto dei ruoli
e un’adeguata capacità collaborativa; un secondo elemento riguarda i
tempi di frequentazione e di cura del figlio, i quali devono essere sufficientemente equilibrati per entrambi i genitori. Tuttavia, nella logica
del legislatore ciò che realmente assume rilievo non è tanto la distribuzione paritaria del tempo quanto la partecipazione affettiva, morale
e materiale alla vita del minore.
Ciò detto, occorre prendere atto che nella corrente legislatura si è
materializzata un’intensa attività parlamentare finalizzata ad introdurre significative modifiche alla disciplina della “crisi familiare”.
In particolare, l’attenzione del legislatore si è focalizzata sul rapporto
“genitori-figli” e, segnatamente, sul tema dell’affidamento condiviso.
Paradigmatico, al riguardo, risulta il d.d.l. S/735 (c.d. disegno di legge
Pillon, dal nome del Senatore primo firmatario) che tanto sta facendo
discutere gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica.
Il richiamato disegno di legge, nell’ambito di una riscrittura
dell’istituto dell’affidamento condiviso, muove dall’idea che l’interesse materiale e morale del figlio passa attraverso la concretizzazione di un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali,
nel rapporto con la prole. In quest’ottica, con particolare riferimento
ai “tempi di frequentazione” si ritiene necessario assicurare la permanenza del figlio con “tempi paritari” tra i genitori, rivalutando
inevitabilmente il “mantenimento in forma diretta” e l’abrogazione
dell’istituto della “casa familiare”.
Numerose appaiono le critiche mosse al disegno di legge da parte
degli operatori del diritto e degli studiosi del diritto di famiglia5. Non
di dubbia moralità della madre non giustificano l’affidamento esclusivo dei figli al
padre; Cass. 3 gennaio 2017, n. 27, in www.quotidianogiuridico.it, in base alla quale la
spiccata conflittualità tra i genitori non giustifica l’affido esclusivo; Trib. Velletri 15
gennaio 2018, in www.quotidianogiuridico.it, che – agli esiti della CTU e tenendo in
debita considerazione la volontà dei coniugi – ha ritenuto la sindrome da disturbo
bipolare della madre non incompatibile con l’affidamento condiviso delle figlie.
5
Per una lettura critica d.d.l. S/735 sia consentito rinviare a F. Romeo, Responsabilità
genitoriale, conflitti e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso (d.d.l. S/735 del 1°
792
The best interest of the child
a caso, in questi mesi, sia pur con alcuni distinguo, è emerso un fronte
quanto mai compatto a difesa dell’attuale Capo II del Titolo IX del Libro
I del codice civile e delle corrispondenti norme di diritto processuale6.
Da più parti si è evidenziata l’esigenza di emendare, se non addirittura
di accantonare, il testo del d.d.l. S/735. Viceversa, si è consolidata la
convinzione che la legge n. 54/2006 abbia contribuito, in modo significativo, a diffondere una cultura della “bi-genitorialità” nelle relazioni
tra genitori e figli dopo la crisi della coppia genitoriale7. In quest’ottica,
non è dato dubitare che la legge sull’affidamento condiviso – lungi dal
prediligere una visione “adultocentrica” – ha rappresentato una conquista culturale e giuridica di non poco momento: la tutela del figlio,
soprattutto quello minorenne, viene infatti collocata al centro della disciplina inerente la disgregazione della coppia genitoriale8.
2. Bigenitorialità e collocamento paritetico dei figli.
Rilievi critici
Ciò premesso, non si può disconoscere che la disciplina sull’affidamento condiviso abbia presentato (e continui a presentare) alcune
criticità applicative. Invero, tradendo lo spirito originario della legge n. 54/2006, la giurisprudenza ha sovente optato per la soluzione
agosto 2019), in Nuove leggi civ. comm., 2019, p. 528 ss. In argomento si segnalano,
altresì, M.R. Marella, Fra pulsioni punitive e rigurgiti proprietari. I molti pasticci del
d.d.l. Pillon, in Riv. critica dir. priv., 2019, p. 109 ss.; C. Rimini, Sul disegno di Legge
Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, in
Fam. dir., 2019, p. 67 ss.; T. Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso, in
Familia, 2018, p. 581 ss.
6
Al riguardo, appare utile sottolineare che sia il Consiglio Nazionale Forense – grazie
anche al lavoro svolto dalla Commissione “Diritto di famiglia” – sia le Associazioni
specialistiche familiariste hanno elaborato dei documenti ufficiali molto critici
rispetto al d.d.l. S/735.
7
Grazie alla legge n. 54/2006 si è affermata la pari dignità dei genitori, dopo il
fallimento della loro unione, nell’assumere decisioni rilevanti per la crescita e
l’educazione dei figli. Inoltre, sono stati fatti passi in avanti con riferimento ai tempi
di frequentazione di ciascun genitore con i figli: superando le strettoie del passato, in
diversi tribunali si riconosce oggi il diritto del genitore non collocatario di trascorrere
con il figlio sei notti su un ciclo di due settimane durante il periodo scolastico e la
metà di tutti i periodi di vacanza. In tema di affidamento condiviso, tra gli altri, C.M.
Bianca, La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso:
prime riflessioni, in Fam. dir., 2006, p. 676; S. Patti, L’affidamento condiviso dei figli,
in Fam. pers. success., 2006, p. 300 ss.; F. Ruscello, La tutela dei figli nel nuovo affido
condiviso, in Familia, 2006, p. 625 ss.
8
Sul punto v. Auletta, Art. 337 ter c.c., in Comm. Gabrielli, 2, II ed., Torino, 2018, p. 1008.
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
793
“bi-genitoriale” nella forma e per quella “mono-genitoriale” nella
sostanza. Tuttavia, non si può pensare di realizzare effettivamente
la “bigenitorialità” – così come pervicacemente sostenuto dal già richiamato d.d.l. S/735 – attraverso la permanenza del figlio minore, in
misura paritetica, con entrambi i genitori, attribuendo loro i medesimi poteri e prevedendo corrispondenti modalità di adempimento dei
doveri9. Invero, con riferimento ai “tempi di frequentazione” ciò che
assume realmente rilievo non è tanto la distribuzione paritaria del
tempo quanto la concreta partecipazione affettiva, morale e materiale
alla vita del minore.
Personalmente, non penso che i tempi di permanenza dei figli minori con ciascuno dei genitori possano essere predeterminati dal legislatore. La regolamentazione dei tempi di permanenza dipende, infatti, dalle peculiari caratteristiche di ciascun caso concreto. Sarà quindi
il giudice (auspicabilmente con maggiore cautela rispetto a quanto avvenuto in passato) a parametrare l’interesse del figlio minore di età in
relazione alla situazione contingente10.
Invero – come palesato da alcune recenti sentenze di merito – vi
sono casi in cui la distribuzione paritaria del tempo risulta essere la
soluzione ideale, con pieno giovamento per tutti. Occorre tenere sempre presente, infatti, che il regime condiviso della responsabilità genitoriale in ragione della peculiarità del caso concreto può prevedere
particolari declinazioni e, tra queste, anche quella dei tempi paritetici
di frequentazione con i due genitori11.
9
Più precisamente, l’art. 11 del d.d.l. S/735 – attraverso la riscrittura dell’art. 337 ter c.c.
– prevede il diritto del figlio minore di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi
paritetici o equipollenti, salvi i casi di “impossibilità materiale” (i.e. ragioni logistiche;
indisponibilità da parte di uno dei genitori di un luogo idoneo per ospitare il figlio).
In ogni caso occorre garantire alla prole “la permanenza di non meno di dodici giorni al
mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato
pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di 1) violenza, 2)
abuso sessuale, 3) trascuratezza, 4) indisponibilità di un genitore, 5) inadeguatezza evidente
degli spazi predisposti per la vita del minore”.
10
Del resto, capita sovente che, durante la vita di coppia, uno dei genitori faccia scelte
ovvero sia costretto, per motivi lavorativi, a fare scelte che lo portano ad occuparsi
dei figli con un impegno (perlomeno quantitativamente) inferiore rispetto all’altro.
In tali ipotesi è prassi che il medesimo modello – sia pur con diverse modalità
attuative – si riproduca dopo la crisi della famiglia.
11
Paradigmatica appare Trib. Firenze 2 novembre 2018, n. 2945, in www.
quotidianogiuridico.it, con nota di A. Scalera, Il Tribunale di Firenze anticipa il Ddl
Pillon? La richiamata pronuncia, valorizzando la volontà espressa dal minore
durante l’ascolto disposto dal Giudice istruttore, declina il regime condiviso della
responsabilità genitoriale in termini di domiciliazione del minore a settimane alterne
794
The best interest of the child
La soluzione da ultimo richiamata, tuttavia, non può assurgere a
regola generale. La stessa Cassazione in una recente ordinanza ha avuto modo di chiarire che il “principio di bigenitorialità” si traduce nel
diritto di ciascun genitore ad essere presente in misura significativa
nella vita del figlio, ma ciò non comporta necessariamente l’applicazione di una proporzione matematica in termini di tempi paritari di
frequentazione del minore: l’esercizio del diritto, infatti, deve essere
armonizzato con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro
genitore12. In buona sostanza, il giudice nel ripartire i tempi di permanenza del bambino con ciascuno dei genitori dovrà valutare, caso per
caso, le singole realtà familiari senza stabilire a priori tempi uguali di
permanenza del minore con ognuno dei genitori.
Del resto, il fenomeno del “nomadismo del minore”, non garantendo un riferimento stabile legato al luogo degli affetti, potrebbe riverberarsi negativamente riverberarsi13. Non è pensabile che il “colpresso il padre e presso la madre. La decisione adottata dal Tribunale fiorentino
trova ampia giustificazione nella particolarità della fattispecie concreta. Nel caso in
esame, infatti, il minore ormai quindicenne – così come emerso in sede di ascolto –
ha mostrato di non soffrire la distanza tra la scuola, sita in Firenze, vicino alla casa
materna, e l’abitazione del padre, sita in un paesino della provincia (significativa,
inoltre, risultava la disponibilità del padre ad accompagnare e riprendere il figlio
dagli amici fiorentini). Un simile assetto, viceversa, in altri casi, può rivelarsi
pregiudizievole per il minore: emblematica, al riguardo, risulta Trib. Civitavecchia
9 aprile 2018, in www.ilcaso.it, ove il giudice – in sede di modifica delle condizioni di
separazione e permanenza del figlio minore presso ciascun genitore – a seguito del
trasferimento della madre in un comune diverso da quello in cui si trovava la casa
coniugale, ha riscontrato l’inidoneità del collocamento a settimane alterne a causa dei
tempi troppo lunghi di spostamento per frequentare la scuola e rendere difficoltosa
la pratica dello sport che, se gradita, deve essere incentivata, in quanto produce effetti
positivi sullo stato di salute e dell’interazione sociale con i coetanei. Altra peculiare
declinazione del regime condiviso della responsabilità genitoriale si coglie in Trib.
Matera 29 novembre 2018 che, in sede di separazione consensuale, ha omologato
– ritenendolo congruo all’interesse del minore – l’accordo dei genitori con cui si
conviene che “il figlio continuerà a vivere nella casa coniugale mentre i genitori, a
turno e per una settimana ciascuno si prenderanno cura di lui trasferendosi nella casa
coniugale” e che “nei periodi di rispettiva permanenza, i genitori provvederanno
personalmente al mantenimento del figlio, fermo restando che le spese straordinarie
saranno suddivise tra entrambi i genitori nella misura del 50%”.
12
Cfr. Cass., ord., 10 dicembre 2018, n. 31902, in www.rivistafamilia.it, con nota di
L. Vizzoni, Affidamento condiviso di figli minori e bigenitorialità. Nella medesima
direzione si muovono: Cass. 8 aprile 2016, n. 6919, in www.rivistafamilia.it, con nota
di M. Carai, Affidamento condiviso del figlio minore e bigenitorialità; Cass. 23 settembre
2015, n. 18817 in www.aiaf-avvocati.it.
13
Una simile situazione, peraltro, si pone in palese contrasto con i principi che ispirano
la “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori” varata nel settembre del 2018
dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
795
locamento paritetico” trasformi i figli – come sottolineato da attenta
dottrina – “in persone in costante movimento con una agenda che li
vede spostarsi continuamente fra le case dei genitori, la scuola, i luoghi
delle attività parascolastiche”14.
La vera essenza dell’affidamento condiviso, pertanto, non si coglie
nei tempi paritari di permanenza bensì nel pieno coinvolgimento di
entrambi i genitori nella determinazione delle linee guida del progetto
educativo riguardante il minore, nell’assunzione delle decisioni fondamentali per la sua vita, nel riconoscimento di tempi di frequentazione
tali da consentire loro di essere realmente presenti nella vita del figlio.
Ciò che realmente rileva – come già sottolineato – è la “significatività”
della frequentazione. Mentre l’interesse del figlio si realizza, in maniera ottimale, individuando un genitore presso il quale egli dimorerà
stabilmente15.
Muovendosi in questa direzione la giurisprudenza ha correttamente affermato che l’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza
dei genitori non preclude la possibilità di un affidamento condiviso,
potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e
delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore. Peraltro, non si può escludere che quando le residenze dei genitori sono
lontane ovvero uno dei genitori, per ragioni lavorative, è costretto a
trascorrere molto tempo in un altro paese, la moderna tecnologia può
venire in aiuto: in tali casi, infatti, sia pur provvisoriamente, i contatti
tra genitore e figlio potrebbero avvenire tramite sistemi di video chiamata. A tal riguardo, tuttavia, è importante sottolineare che l’utilizzo
giornaliero, ad esempio, di Skype non può giustificare la totale inosservanza da parte del genitore del calendario degli incontri annuali
fissati dal giudice con il figlio16. Appare evidente che l’interazione tra
14
Cfr. C. Rimini, Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità
genitoriale in discussione in Senato, cit., p. 69. La richiamata dottrina, tuttavia, rileva
criticamente come alcuni tribunali mostrano ancora una prudenza eccessiva nel
definire i diritti di frequentazione del genitore non collocatario, generalmente il padre.
15
In questa direzione v. anche T. Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento
condiviso, cit., p. 591. I minori in tenera età – come emerge anche da molteplici studi
di psicologia dell’età evolutiva – hanno bisogno di “stabilità” e di “ritualità”.
16
Cfr. Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, in www.quotidianogiurico, laddove si prevede
l’affido esclusivo del figlio al padre atteso che la madre – residente all’ estero
– intratteneva contatti con il figlio esclusivamente via Skype (nel caso specifico la
madre nel corso di un anno non aveva mai fatto ritorno in Italia).
796
The best interest of the child
genitori e figli non può essere esclusivamente “virtuale”17. Al riguardo,
non è dato dubitare che una crescita sana del figlio minore di età deve
necessariamente passare da costanti momenti di “reale” condivisione
e confronto.
3. Genitori conflittuali e misure di sostegno
alla genitorialità. La mediazione familiare
e la coordinazione genitoriale
Come già evidenziato, occorre ricordare che il primo elemento caratterizzante dell’affidamento condiviso è l’esercizio in comune della
responsabilità genitoriale. A tal proposito, occorre mettere in rilievo l’importanza che assume la “capacità collaborativa” dei genitori
nell’interesse dei figli. In quest’ottica, infatti, la conflittualità tra i genitori dovrebbe cedere il passo ad un profondo senso di responsabilità:
fondamentale appare l’esigenza di tenere un atteggiamento maturo,
conciliante ed equilibrato laddove i genitori sono chiamati ad adottare
delle decisioni nell’interesse dei figli. Del resto, i diritti garantiti al minore dall’art 337 ter, comma 1°, c.c. risultano “tanto più effettivi quanto
maggiore sia la capacità dei genitori di cooperare tra loro riducendo al minimo
la conflittualità”. Invero, sempre più spesso, ci si trova davanti a genitori incapaci di assumere, di comune accordo, decisioni nell’interesse
dei figli. Ne consegue il ricorso – ex art. 709 ter c.p.c. – all’autorità giudiziaria non solo per le determinazioni relative a questioni di primario
interesse per la prole, ma anche, per questioni di microconflittualità
inerenti la mera quotidianità dei figli.
In quest’ottica, il già richiamato d.d.l. S/735 – nel quadro di una
progressiva opera di “de-giurisdizionalizzazione” delle controversie
– rintraccia nella mediazione familiare obbligatoria l’istituto idoneo
a tutelare l’interesse dei figli nella gestione (rectius nella risoluzione)
del conflitto fra i coniugi18. Conseguentemente, fatti salvi i casi in cui
venga avanzata istanza consensuale di risoluzione della crisi, i coniugi
17
I contatti giornalieri via Skype non possono surrogare la prolungata ed ininterrotta
assenza del genitore che, pertanto, non potrà assolvere compiutamente ai suoi
doveri educativi ed affettivi.
18
Il dato pone non pochi problemi. In primo luogo, la previsione a carico dei coniugi che
intendono separarsi e divorziare di nuovi ed ulteriori costi che, in talune circostanze,
potrebbero indurre una delle parti a rinunciare alla proposizione dell’azione ovvero
a costituirsi nel procedimento.
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
797
che intendono separarsi o divorziare devono intraprendere, a pena di
improcedibilità, un percorso di mediazione familiare. Tale iter appare
funzionalizzato, non solo, al raggiungimento di un accordo, ma anche,
alla messa a punto del c.d. “piano genitoriale”. Quest’ultimo – in base
a quanto previsto dall’art. 11 del d.d.l. S/735, nel più generale quadro
di riscrittura dell’art. 337 ter c.c. – deve comprendere i futuri assetti relativi al mantenimento, all’istruzione e all’educazione del figlio19.
La mediazione familiare, invero, non può essere obbligatoria20. Per
poter funzionare deve essere volontaria. L’autodeterminazione, infatti,
come meglio vedremo, è la pre-condizione per la riuscita di qualsiasi
intervento di sostegno alla genitorialità. Può essere ragionevole che
il giudice inviti le parti ad intraprendere un percorso di mediazione
familiare, senza che ciò costituisca un obbligo.
Ciò detto, va altresì sottolineato che – sempre alla luce di quanto
previsto dal d.d.l. S/735 – in caso di conflitto sulla modifica del “piano
genitoriale” in precedenza concordato il giudice può nominare un “coordinatore genitoriale”21. Quest’ultimo, inoltre, come meglio vedremo,
19
In base a quanto previsto dall’art. 7 del d.d.l. S/735, il nuovo testo dell’art. 706 c.p.c.
sancisce che il piano genitoriale sia approntato dai genitori, eventualmente con l’aiuto
del mediatore familiare e l’aiuto dei loro legali, già nel corso del procedimento di
separazione giudiziale e sottoposto all’omologazione del giudice. Quest’ultimo può
negare l’omologazione qualora il piano genitoriale non sia in linea con l’interesse del
minore (cfr. art. 11 d.d.l. S/735, ed in particolare, la previsione contenuta nel nuovo
art. 337 ter, comma 8°, c.c.). In assenza di accordo o in caso di accordo parziale, il
giudice sentite le parti, “recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce
comunque il piano genitoriale, determinando i tempi e le modalità di della presenza dei
figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo in cui ciascuno di essi
deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, […]
indicando le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa”.
20
Occorre in questa sede ricordare che la mediazione familiare non può trovare
applicazione nelle ipotesi in cui, alla base della crisi della coppia vi siano state
ipotesi di violenza intrafamiliare. Una diversa soluzione sarebbe in chiaro contrasto
con la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le
donne e la violenza domestica.
21
L’art. 5 del d.d.l. S/735 istituzionalizza la “coordinazione genitoriale” quale “processo
di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore e volto a
ricercare l’accordo tra i genitori fornendo loro suggerimenti o raccomandazioni e assumendo
– previo consenso dei genitori – anche funzioni decisionali” (art. 5, comma 1°). Il disegno
di legge, inoltre, precisa che il coordinatore genitoriale – esperto qualificato con
funzione mediativa – ha il compito “di gestire in via stragiudiziale le controversie
eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano
genitoriale” (art. 5, comma 3°). In base a tale previsione l’attività del coordinatore
genitoriale è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio
della bigenitorialità con l’obiettivo di: assistere i genitori con alto livello di conflitto
nell’attuazione del piano genitoriale; monitorare l’osservanza del piano genitoriale,
798
The best interest of the child
potrà intervenire anche nel caso in cui sorgano questioni in ordine
all’attuazione del piano genitoriale22. Invero la previsione di tale figura
– oltre a comportare un ulteriore costo a carico delle parti – pone, come
meglio vedremo, non pochi problemi.
Al riguardo, può essere utile ricordare che – ben prima del d.d.l.
S/735 – la nostra giurisprudenza ha evocato la figura mutuata dagli ordinamenti di Common law del coordinatore genitoriale23. Quest’ultimo
(normalmente uno psicologo o un mediatore familiare) comincia ad
operare dopo la fine del processo, dietro invito del giudice, accettato
dalle parti, al fine di assicurare (rectius agevolare) la corretta attuazione
del piano genitoriale24. In particolare, la giurisprudenza – sulla scia del
“parent coordinator” statunitense – ha ravvisato nel coordinatore genitoriale un valido strumento di sostegno ai genitori nella gestione dei
conflitti che dovessero insorgere nell’esercizio della responsabilità genitoriale in regime di affidamento condiviso della prole.
In questa prospettiva, si comprende la peculiare valenza dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 29 luglio 2016 che, pur in presenza
di una coppia altamente conflittuale, atteso il consenso delle parti a
risolvendo tempestivamente le controversie; preservare una relazione sicura, sana e
significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.
22
Cfr. art. 13 d.d.l. S/735. Molto critico sulla previsione di un “piano genitoriale”
appare C. Rimini, Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità
genitoriale in discussione in Senato, cit., p. 69. L’A., in particolare, nel sottolineare
l’inutilità di tale strumento, evidenzia come il processo civile non sia un tavolo
di mediazione. Nel processo civile, si osserva, le parti formulano domande e le
argomentano: non espongono piani. Peraltro, a mio avviso, lo strumento del “piano
genitoriale” mal si presta ad incasellare in maniera rigida i bisogni e le esigenze di
un bambino nel delicato e complesso percorso di crescita.
23
Sulla figura del “coordinatore genitoriale” utili spunti di riflessione si rinvengono in
A. La Spina, La coordinazione genitoriale quale tecnica di gestione del conflitto genitoriale,
in Nuova Giur. civ. comm., 2018, p. 794 ss., ove si rammenta che la coordinazione
genitoriale è strumento molto utilizzato dalle Corti statunitensi per ridurre
le richieste di giudizio da parte di genitori separati soprattutto nella gestione
quotidiana dei figli. Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo di gestione e
risoluzione del conflitto della coppia genitoriale inerente l’attuazione del piano
genitoriale concordato dai genitori ovvero dal giudice in sede di scioglimento del
rapporto di coppia, operato fuori dal giudizio con l’ausilio di un esperto, nominato
dal giudice onde evitare successive istanze all’autorità giudiziaria.
24
Il coordinatore genitoriale – il cui compito è essenzialmente quello di ridurre
il conflitto tra i genitori attraverso un sostegno qualificato – può trovare il suo
fondamento normativo nell’art. 337 ter, comma 2°, c.c. nella parte in cui attribuisce
al giudice il potere di adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole” nonché
nell’art. 333 c.c. ove si prevede la possibilità di assumere provvedimenti atipici nei
confronti dei genitori. Sul punto v. A. La Spina, op. ultima cit., p. 755. Sul punto v.
anche A. Gorgoni, Filiazione e responsabilità genitoriale, Padova, 2017, p. 194.
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
799
farsi supportare da un coordinatore genitoriale, ha ritenuto possibile
disporre un affidamento condiviso sulla base di un giudizio prognostico positivo fondato sulle buone capacità genitoriali della coppia25.
Al riguardo, appare utile sottolineare che il Tribunale di Milano ha
assegnato al coordinatore genitoriale un ruolo di mero “sostegno” alla
genitorialità26. Nessun potere decisorio – contrariamente al modello
statunitense e, almeno in parte, a quanto previsto oggi dall’art. 13 del
d.d.l. S/735 – viene, a mio avviso opportunamente, attribuito al professionista27. Quest’ultimo è chiamato solo a vigilare sull’attuazione da
parte dei genitori degli interventi disposti dal giudice, nonché a condurre la coppia genitoriale ad una proficua gestione della “bigenitorialità” – magari dando utili consigli in ordine alle determinazioni della
vita quotidiana – ma senza mai potersi sostituire ai genitori nell’assunzione delle decisioni.
Diversamente, in una successiva ordinanza del Tribunale di Mantova del 5 maggio 2017 si ricorre al coordinatore genitoriale con modalità fortemente limitative dell’autonomia privata. Il giudice, infatti, nel
provvedimento conclusivo del procedimento – senza aver acquisito il
preventivo consenso delle parti – nomina un coordinatore genitoriale
attribuendogli il potere di assumere “le opportune decisioni nell’interesse dei figli in caso di disaccordo dei genitori”28.
25
Cfr. Trib. Milano, ord., 29 luglio 2016, in www.ilcaso.it. In base alla richiamata
ordinanza il coordinatore genitoriale deve: verificare che gli interventi disposti a
carico dei genitori (i.e. percorsi terapeutici) siano concretamente attuati; svolgere la
funzione di raccordo tra tutti gli operatori che interverranno a sostegno del nucleo
familiare, compresi gli insegnanti ed il medico di famiglia; salvaguardare e preservare
la relazione tra i genitori, anche attraverso interventi correttivi; coadiuvare i genitori
nelle scelte relative alla salute, all’educazione ed all’istruzione dei figli; guidare i
genitori ad accordarsi sul tempo da trascorrere ciascuno col proprio figlio; segnalare
all’autorità giudiziaria ogni disagio psicosomatico che i figli dovessero mostrare.
26
Nell’ordinanza del tribunale meneghino il coordinatore genitoriale interviene a seguito
di espresso consenso scritto delle parti e assolve ad una funzione extraprocessuale e
non già di ausilio all’autorità giudiziaria. Sul punto sia consentito rinviare F. Romeo,
Genitori e figli nel quadro del pluralismo familiare, Napoli, 2018, p. 140 s.
27
La figura del coordinatore genitoriale così come tratteggiata dall’ordinanza in esame,
si differenzia – nonostante i continui richiami – dal “parent coordinator” statunitense.
La scelta di non attribuire nessun potere decisorio al coordinatore genitoriale, priva la
figura della sua caratteristica peculiare e, cioè, di quell’attributo che – come sottolineato
in dottrina – “consente al meccanismo di assolvere la funzione propria dei sistemi di risoluzione
stragiudiziale delle controversie” (cfr. A. La Spina, op. ultima cit., p. 751).
28
Venendo meno la formalizzazione dell’incarico, le parti non potranno incidere sul
contenuto dello stesso; viceversa, saranno obbligate – in linea con quanto previsto
dal d.d.l. S/735 – al pagamento dei compensi a favore del coordinatore genitoriale.
800
The best interest of the child
Rispetto al provvedimento da ultimo richiamato, colpisce – e per
certi versi preoccupa – la pervasività dell’intervento del coordinatore
genitoriale. Quest’ultimo, infatti, sia pur attraverso una nomina giudiziale, viene investito di ampi poteri decisori in ordine alle scelte da
compiere nell’interesse del minore in caso di incapacità dei genitori di
trovare un accordo.
Non pochi dubbi, inoltre, pone una più recente pronuncia del Tribunale di Roma del 4 maggio 2018 laddove il coordinatore genitoriale,
in funzione di ausiliario del CTU, fornisce supporto alla famiglia per
cercare di riorganizzare le relazioni triadiche “padre-madre-figlia” al
fine di addivenire all’affidamento condiviso29. Nella prospettiva ricostruttiva dei giudici capitolini l’autorizzazione alla nomina del coordinatore si innerva nel quadro degli interventi finalizzati a superare
le cause di “disfunzionalità genitoriale” attraverso provvedimenti non
“stereotipati” ed attenti alle esigenze del caso concreto. Invero, per
quanto possa risultare apprezzabile il tentativo di fornire soluzioni e
interventi finalizzati al corretto mantenimento delle relazioni familiari,
il provvedimento in questione presta il fianco ad alcune critiche. In
linea di principio, non persuade l’idea di un “consulente del consulente” chiamato a fornire al CTU – attraverso lo svolgimento della propria
azione a stretto contatto (anche domiciliare) con la coppia genitoriale
– elementi utili a compiere le sue valutazioni. Non convince, più in
generale, l’idea di una “medicalizzazione delle relazioni familiari”.
Per quanto forte possa apparire l’esigenza di gestire il conflitto tra
i genitori, per quanto sentita possa risultare la necessità di mettere al
riparo i figli minori di età dalle continue liti dei genitori non si può
disconoscere che le funzioni attribuite al coordinatore genitoriale dalla
giurisprudenza e dal d.d.l. S/735 appaiono connotate da significativa
Cfr. Trib. Mantova 5 maggio 2017, in Familia, 2018, p. 355, con nota di F. Novello, Il
coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano?
29
Cfr. Trib. Roma 4 maggio 2018, in www.quotidianogiuridico.it. Il tribunale capitolino, in
particolare, nell’ambito di un procedimento di separazione, ha ritenuto ammissibile
l’istanza presentata dal C.T.U. di avvalersi di un ausiliario con funzioni di
“pedagogista/educatore di prossimità”, per attuare un intervento di coordinazione
genitoriale attraverso un’azione di supporto alla famiglia, nel tentativo di avviare
un processo di riorganizzazione delle relazioni triadiche “padre-madre-figlia”.
Compito del “pedagogista/educatore”, sarebbe quello di svolgere la propria azione
a diretto contatto con la coppia genitoriale rilevando le criticità legate ai momenti
più conflittuali, suggerendo e attuando, ove possibile, modificazioni relazionali tra i
genitori ed educative nei confronti della figlia, riferendo poi al C.T.U. ogni elemento
utile di valutazione.
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
801
disomogeneità. Ad ulteriore conferma di ciò basti pensare che, in alcuni casi, la coordinazione genitoriale viene attuata – in linea di continuità con la nostra tradizione – attraverso la nomina di un assistente
sociale in servizio presso una ASP: si ricorre, pertanto, ad un soggetto
pubblico che interviene, con la funzione di guidare i genitori nell’attuazione del piano dagli stessi elaborato30. Viceversa, in base al d.d.l.
S/735 il coordinatore genitoriale sarà sempre un soggetto privato pagato dalla coppia.
Anche alla luce di quanto evidenziato, peraltro, la separazione e il
divorzio sembrano trasformarsi in istituti per coppie benestanti. Basti
pensare che il d.d.l. S/735 pone a carico della coppia una serie di “costi
fissi” (i.e. costi per la mediazione familiare; costi per la coordinazione
familiare) che, in taluni casi, potrebbero incidere significativamente
sulla decisione stessa di separarsi o di divorziare.
4. Esigenze di “sdrammatizzazione” della crisi familiare:
quali prospettive?
Avviandomi alla conclusione, occorre operare una prima riflessione di carattere generale. Oggi più che in passato, ritengo fondamentale intraprendere un percorso finalizzato alla “normalizzazione” e alla
“sdrammatizzazione” della “crisi familiare”. La separazione, il divorzio la rottura di un rapporto di convivenza (di fatto o normativizzata)
dovrebbero essere percepiti e vissuti come evoluzione possibile (ancorché dolorosa) della vita di due persone31.
Indubbiamente, la richiamata esigenza di “sdrammatizzazione” si
scontra con non pochi ostacoli. Paradigmatiche conferme emergono,
ad esempio, dal richiamato d.d.l. S/735. Il provvedimento – rischiando
di esacerbare il conflitto – travalica continuamente il principio di autodeterminazione dei coniugi incidendo negativamente sul percorso di
30
Cfr. Trib. Civitavecchia 20 maggio 2015, in Foro it., 2016, I, p. 1655.
31
Non si può ignorare che i provvedimenti e le procedure scaturenti dalla crisi
della coppia genitoriale si riflettono ed incidono marcatamente sulla vita degli
individui condizionandone le future scelte esistenziali. Analoga esigenza di
“sdrammatizzazione” si coglie con riferimento alla delicata e controversa materia
dell’assegno divorzile. A tal riguardo, autorevole dottrina ha ben sottolineato la
necessità di “superare un orientamento giurisprudenziale insensibile all’evoluzione
del rapporto matrimoniale, alla sdrammatizzazione del divorzio, alla successiva
instaurazione di nuovi rapporti familiari” (cfr. S. Patti, Assegno di divorzio: un passo
verso l’Europa? Nota a Cass. S.U., 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, p. 474 ss.).
802
The best interest of the child
“normalizzazione” della separazione. Peraltro, il provvedimento – e la
circostanza, come già sottolineato, non appare irrilevante – tende ad
allungare i “tempi della crisi”, ad imporre nuovi costi a carico delle
parti, dando vita ad una “genitorialità burocratizzata” gestita da figure di esperti (i.e. mediatore familiare e coordinatore genitoriale) che si
insinuano pervasivamente nella vita delle persone32.
Inoltre, in linea con quella che appare una tendenza assai diffusa in
questa fase evolutiva del diritto di famiglia, anche il d.d.l. S/735 mette
a punto alcuni percorsi di sostegno alla genitorialità latu sensu terapeutici che lasciano molto perplessi. Il problema si pone tutte quelle volte
che il giudice, guardando alla “coordinazione genitoriale” quale strumento di supporto nella gestione extraprocessuale dei conflitti tra genitori “co-affidatari”, provveda alla nomina di un professionista privato e la scelta ricada (cosi come previsto anche dall’art. 5 del d.d.l. S/735)
su uno psichiatra, su un neuropsichiatra o su uno psicoterapeuta.
Invero, occorre tenere presente che anche a fronte di una conclamata immaturità dei genitori e di una grave ed intrinseca incapacità di
dialogo nell’interesse del figlio, il giudice non può ritenersi legittimato
ad imporre percorsi terapeutici individuali di sostegno alla genitorialità. A tal riguardo, appare corretta la strada imboccata, anche recentemente, dalla giurisprudenza: l’imposizione di un percorso di sostegno
alla genitorialità integrerebbe, infatti, una lesione del diritto alla libertà
personale garantito dall’art. 13 cost. e dalla disposizione che pone una
riserva di legge per l’imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, comma 2°, cost.). Ben si comprende, pertanto, come l’interesse preminente
del figlio non possa travalicare l’argine dell’art. 13 Cost.; conseguentemente, il rifiuto dei genitori di sottoporsi a percorsi psicoterapeutici
per superare le loro problematiche comportamentali non può incidere
sull’esercizio della responsabilità genitoriale33.
32
Inoltre occorre rilevare come queste misure di sostegno alla genitorialità a favore
delle sole coppie abbienti. A nulla, infatti, vale osservare che le coppie meno abbienti
possono fare ricorso agli assistenti sociali in funzione di coordinatore genitoriale,
perché il ruolo dei servizi alla persona è altro. Inevitabile quindi, in violazione dell’art.
3 Cost., la creazione di una sorta di “doppio binario”: professionisti specializzati (i.e.
coordinatore genitoriale) per le coppie conflittuali benestanti e servizio pubblico per le
coppie conflittuali non benestanti.
33
Cfr. Cass. Cass., 1° luglio 2015, n. 13506, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 18 con
nota di M. Mantovani, Immaturità, fragilità dei genitori e affidamento dei figli: sul lettino
di Freud e di M. Casonato, “Psicoterapie, percorsi, e altra psicologia spicciola cassati
dalla prima sezione civile”). Da ultimo, in questa direzione vedi la recentissima Cass.,
5 luglio 2019, n. 18222, in www.quotidiano giuridico.it, ove si ribadisce a chiare
Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età
803
Infine, non si può fare a meno di ricordare che, sempre nell’ottica del “sostegno alla genitorialità”, emergono oggi nuovi strumenti
tecnologici finalizzati a favorire il dialogo tra genitori altamente conflittuali e ciò nell’ottica di salvaguardare la bigenitorialità e tutelare
il minore. A tal riguardo – proiettandoci così nell’epoca del “divorzio
4.0” – risulta paradigmatica la sentenza del Tribunale di Modena del
28 dicembre 2017 che, per la prima volta in Italia, ha accolto un ricorso
congiunto per lo scioglimento del matrimonio con il quale una coppia ha deciso di aderire al c.d. “Progetto Anthea” per gestire al meglio
tutti gli aspetti riguardanti la regolamentazione dell’affido condiviso
dei figli minori di età. Il progetto – presentato anche in Parlamento
alla Commissione bicamerale per l’infanzia – si sostanzia in un’applicazione per smartphone e tablet, che include una piattaforma di comunicazione virtuale sulla quale i genitori, separati o divorziati, possono
veicolarsi una molteplicità di informazioni che riguardino la vita e le
esigenze dei figli. L’applicazione, inoltre, consente ad una delle parti di creare “mini-eventi” (i.e. partecipazione del bimbo ad un evento
ludico-ricreativo) e verificare l’adesione dell’altra. I singoli eventi danno vita ad un database, che consente di valutare l’andamento del rapporto genitoriale con il fine di evitare che un genitore possa sottrarsi
al rispetto degli accordi presi con l’altro. Tramite password, è possibile
l’accesso ai dati da parte del giudice e degli assistenti sociali che potranno così monitorare la situazione. Attraverso l’applicazione è possibile consultare gli assistenti sociali. Decidendo di aderire al progetto,
gli ex coniugi si sono impegnati, ad utilizzare l’applicazione telematica
“in modo esclusivo” per ogni comunicazione riguardante le figlie minorenni con la consapevolezza che tutte le comunicazioni scambiate
sulla piattaforma potranno essere oggetto di produzione documentale
in caso di insorta conflittualità tra i genitori (appare concreto il rischio
che una parte possa facilmente precostituirsi delle prove da utilizzare
contro l’altra). Fermo restando che l’adesione al progetto non può essere imposta dal giudice, permangono non pochi dubbi sull’idoneità
dello strumento informatico ad essere realmente in grado di agevolare
il dialogo tra i genitori nell’ambito del conflitto post coniugale. A mio
sommesso avviso, concreti appaiono i rischi – soprattutto in una fase
lettere che la valutazione circa l’opportunità o meno di intraprendere un precorso
terapeutico di sostegno alla genitorialità è rimessa esclusivamente in capo ai genitori
e non può essere imposta giudizialmente.
804
The best interest of the child
conflittuale – di affidare il dialogo ad una piattaforma informatica: le
distanze tra i genitori e tra questi e i figli, infatti, traslando il rapporto
in una “dimensione virtuale”, potrebbero aumentare.
Anche al fine di porre un freno ai molteplici e pervasivi interventi
a “sostegno alla genitorialità”, che – a ben vedere – sconfinano sovente in discutibili forme di “medicalizzazione della famiglia”, sarebbe
opportuno ricordare che il perseguimento del c.d. “best interest of the
child” passa attraverso un corretto e maturo esercizio della responsabilità genitoriale nonché, come già sottolineato, attraverso un profondo rispetto dei ruoli e una capacità collaborativa. Del resto, occorre
sempre ricordare che la disciplina dell’affidamento condiviso – almeno
fino ad oggi – non è “adultocentrica”: al centro della disciplina inerente la disgregazione della coppia genitoriale si pone il preminente
interesse del figlio.
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Conflittualità familiari e affidamento
di minori in servizi sociali
Daniela Cremasco
Sommario: 1. Una riflessione di contesto. – 2. Elementi distintivi.
1. Una riflessione di contesto
La tutela dei minori è e deve restare un intervento di salute pubblica.
Sono, infatti, numerose le ricerche che confermano un legame diretto
fra esperienze sfavorevoli infantili e l’insorgenza di diversi disturbi
più o meno gravi in età adulta1.
Una ricerca svolta da Terres des hommes insieme al CISMAI e
all’Università Bocconi nel 2014 ha stimato in 13 miliardi di euro la cifra
spesa dall’Italia nel 2010 per una mancata prevenzione verso il maltrattamento e l’abuso all’infanzia. Una cifra calcolata tenendo conto, sia
dell’impatto sul bilancio pubblico degli interventi di cura e protezione
e sia della successiva perdita di produttività2.
Sul versante degli interventi previsti dalla nostra normativa per garantire l’interesse di tutti i minori ad una crescita sana ed equilibrata
c’è anche l’affidamento civile di minori al servizio sociale. Un provvedimento che affonda la sua origine nel lontano 1956 e attualmente trova il suo fondamento giuridico negli artt. 330 e 333 del Codice Civile3.
1
Sul tema ci si riferisce, in campo internazionale ad autori come Felitti, Herman,
Benjamin, in Italia alla ricerca prospettica pubblicata dall’istituto degli Innocenti di
Firenze “Vite in Bilico” del 2006 e ad autori come Cirillo, Malacrea, Cancrini).
2
Cfr. la ricerca Università Bocconi – Cismai – Terre Des Hommes, Tagliare sui bambini
è davvero un risparmio?” Milano, 2014.
3
Per quanto attiene alla data del 1956, ci si riferisce alla legge n. 888 che aveva
riformato il funzionamento del Tribunale per i minorenni e per la prima volta
previsto applicazione dell’istituto dell’affidamento di minore anche in ambito civile
808
The best interest of the child
2. Elementi distintivi
“(…) gli obiettivi prioritari dell’affidamento al servizio sociale in materia civile sono la salvaguardia dei diritti dei minori e il sostegno e la
promozione dell’esercizio delle responsabilità genitoriali. Nei casi di inadeguato esercizio della potestà, di utilizzo patologico dei figli nelle conflittualità di coppia e nelle situazioni di marginalità con scarse prospettive di
cambiamento, l’affidamento al servizio sociale si rivela una misura primaria per monitorare e gestire questioni delicate e prolungate nel tempo”4.
Il provvedimento di affidamento civile di minori al servizio sociale
ha conosciuto nel corso degli anni un’interessante evoluzione, infatti,
gli interventi in materia civile, che determinavano la pronuncia di un
provvedimento di affidamento al servizio sociale, erano, una volta,
prerogativa quasi esclusiva del Tribunale per i Minorenni. Mentre, attualmente, questo provvedimento viene preso sempre più spesso anche
da parte del Tribunale Ordinario sez. Civile all’interno dei contenziosi
separativi quanto sia presente una patologica conflittualità famigliare.
In questo modo il provvedimento ha assunto, per gli operatori dei
servizi sociali che poi lo devono applicare al caso concreto ulteriori
livelli di complessità.
Facendo riferimento ad una ricerca effettuata nel 2014, commissionata dai Garanti Regionali per l’infanzia e l’adolescenza di Emilia
Romagna, Lazio e Veneto, sul tema specifico dell’affidamento civile di
minori al servizio sociale venivano segnalate le seguenti criticità:
- Era applicato a una casistica sempre più eterogenea e complessa.
- Veniva utilizzato a volte anche come escamotage per superare
difficoltà organizzative dei servizi sociali. Per esempio nel campo
dell’integrazione fra sociale e sanitario, a volte per superare delle
liste di attesa, in alcuni situazioni per garantirsi la concessione di
interventi di sostegno specifici.
- Mostrava maggiori criticità nella sua applicazione concreta nei piccoli comuni, specie in quelli in cui non vi era stata una delega delle
funzioni sociali e assistenziali attribuite ai comuni direttamente alle
ASL (aziende sanitarie locali).
- Presentava una difficoltà nell’individuazione dei ruoli e nella distribu-
come misura di protezione da una cattiva gestione delle responsabilità genitoriali
da parte dei genitori.
4
Cfr. I. Bernardi, L. Castelfranchi, Affidamenti, Roma, 2007, p. 39.
Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali
809
zione dei poteri decisionali quando vi erano coinvolte anche famiglie
collocatarie, comunità di accoglienza per minori o quando, oltre all’affidamento, l’Autorità Giudiziaria aveva disposto anche una tutela.
- Non era limitato ai soli provvedimenti provvisori, ma in alcune circostanze veniva anche utilizzato come provvedimento definitivo.
- Nel caso del suo utilizzo come provvedimento definitivo poteva
poi presentare dei problemi di cronicizzazione in quanto il provvedimento è reclamabile solo dalle parti e non dal servizio sociale affidatario che ha facoltà di farlo solo in caso di peggioramento della
situazione attraverso una segnalazione alla Procura delle Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
Sul versante dell’autorità giudiziaria i magistrati evidenziavano che
il livello di dettaglio del provvedimento era strettamente connesso non
solo alla fase procedurale del processo, ma anche alla qualità delle informazioni che i servizi forniscono al Giudice.
Mentre gli operatori evidenziavano che il problema della concreta
gestione dell’intervento si amplificava quando l’applicazione dell’istituto dell’affidamento veniva utilizzato all’interno delle conflittualità famigliari, in modo particolare nelle procedure di separazione in
quanto l’operatore si trovava spesso costretto fra accuse di inadempienza o di travalicare il mandato5.
In linea generale si può affermare che l’affidamento civile di minori
al servizio sociale è sempre un intervento molto complesso perché si trova ad essere sospeso fra: “mandato autoritario e responsabilità di cura”6.
Per le caratteristiche più sopra evidenziate è un provvedimento che
ha un alto rischio di cronicità. Ma, quando l’affidamento è disposto
all’interno di conflittualità famigliari, occorre tenere presente che si
possono incontrare delle difficoltà aggiuntive. Infatti, si tratta di interventi in cui la fatica che si deve affrontare è amplificata dal fatto che la
presenza dell’assistente sociale viene percepita non solo come imposta
e intrusiva, ma anche vissuta come una controparte, spesso avvertita
come schierata con l’altro/a, a secondo delle decisioni che prende.
In una condizione tanto difficile e delicata accade molto spesso che
l’operatore si senta incastrato e/o tirato da una parte e dall’altra. È un po’
5
Cfr. “L’affidamento al servizio sociale. Percezione, diffusione e interpretazione dell’istituto
giuridico tra gli operatori delle istituzioni deputate alla protezione, cura e tutela dell’infanzia”
ricerca svolta nelle regioni: Emilia Romagna, Lazio e Veneto, 2014.
6
I. Bernardi, L. Castelfranchi, Affidamenti, cit.
810
The best interest of the child
come se sperimentasse le stesse emozioni del minore che si trova a tutelare. Tutto questo fa si che l’intervento sia contraddistinto non solo da forti
emozioni, ma anche da rapide oscillazioni, in cui la possibilità di collaborazione con i genitori è sempre a rischio e può mutare molto rapidamente
e l’effettiva possibilità di instaurare relazioni di fiducia è scarsa. Inoltre,
ci si trova di fronte a minori spesso particolarmente chiusi e sofferenti.
Per fronteggiare una tale complessità dal lato del/i servizio/i sarebbe
importante:
- Che vi fosse sempre una finalizzazione dell’intervento, con un progetto di affido possibilmente scritto, comunque chiaro e condiviso
in cui sia previsto il coinvolgimento in maniera diretta dei genitori
e, quando l’età lo consenta, anche dello stesso minore.
- Un progetto di affido dinamico e rinegoziabile, in cui di volta in
volta siano definiti obiettivi specifici, tarati sulle difficoltà individuate e su quello che viene ritenuto l’interesse di quel particolare
minore in quella fase specifica della sua vita.
Un progetto di affido in cui:
- siano esplicitati degli indicatori secondo i quali verrà successivamente valutato l’andamento
- dell’intervento.
- Sia individuata la rete di operatori e servizi di sostegno all’affidamento. Infatti, nei casi di affidamento all’interno di conflittualità
patologiche, l’efficacia dell’intervento è maggiore se viene gestito
in equipe multidisciplinari.
- Sia prevista una supervisione finalizzata al contenimento del senso
di impotenza degli operatori spesso molto forte nei casi di conflittualità famigliari e ad evitare da parte del/dei servizio/i affidatario/i
degli schieramenti.
- Siano previsti dei tempi, almeno indicativi, dentro i quali si ritiene utile contenere il provvedimento che non dovrebbe diventare «sine die»
Dal lato dei provvedimenti:
- Si dovrebbero evitare provvedimenti troppo ampi. Si ritiene, infatti, che l’affidamento al servizio sociale non dovrebbe mai avere
l’ampiezza di un potere tutorio7.
- Non si dovrebbe chiudere una procedura con un affidamento al
servizio sociale.
7
Su questo tema già Lamberto Sacchetti nel 1987 sottolineava questa delicata linea
di demarcazione. Cfr. L. Sacchetti, Il diritto minorile e dei servizi sociali, gli interventi
civili, Roma, 1987.
Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali
811
-
Sarebbe auspicabile individuare delle procedure che nei casi in cui
la conflittualità è particolarmente alta che rendano possibile un
confronto maggiormente agevole e diretto fra Giudice e servizio
sociale affidatario. Sicuramente diverso da quello esistente oggi.
Infine, occorre ricordare che ci sono alcuni passaggi propedeutici
alla definizione del progetto di affidamento civile di minori al servizio
sociale molto delicati, fra questi ricordiamo i seguenti:
- Da chi e come viene svolta la valutazione? Tramite CTU? Con disposizione di un’indagine psico/socio ambientale, attraverso una
valutazione delle competenze genitoriali?
- Quali sono i quesiti formulati dal Giudice?
- Da chi e come viene ascoltato il minore?
- In che modo si mantiene la connessione fra procedimenti penali e
civili, nelle procedure in cui vi siano denunce relative a maltrattamento in famiglia, abusi, violenza assistita?
Rispetto al primo punto occorre riflettere sul fatto che il modo, i
tempi e le professionalità attraverso le quali viene svolta la valutazione
delle competenze genitoriali è di particolare importanza perché incide
in maniera molto importante, sia sull’orientamento delle decisioni del
Giudice e sia sulla effettiva possibilità di rendere il provvedimento realmente efficace alla protezione del minore dal conflitto genitoriale8.
Ovviamente la qualità della valutazione e i livelli di approfondimento sono anche strettamente connessi con il tipo di quesiti che il
Giudice ritiene giusto proporre.
Occorre ricordare che la modalità con le quali si decide di procedere all’ascolto del minore9 diventano particolarmente importanti quando sia presente una forte conflittualità famigliare perché ci si trova di
fronte a minori molto sofferenti, spesso fortemente inibiti e coartati in
quanto incastrati in un lacerante conflitto di lealtà10.
8
Solo a scopo esemplificativo si ricorda che le modalità di svolgimento di una CTU
(consulenza tecnica d’ufficio) sono molto differenti da quelle di una valutazione
svolta all’interno dei servizi pubblici. Fra le differenze una fra tutte è sicuramente la
possibilità per i genitori all’interno della CTU di avvalersi di un consulente di parte
CTP. Possibilità che non è invece prevista per le valutazioni svolte nei servizi pubblici.
9
Si ricorda che la giurisprudenza più recente ha rafforzato il diritto del minore
all’ascolto diretto in tutte le procedure che lo interessano e questo quindi rende
sempre estremamente necessario riflettere sui tempi e sulle modalità con cui questo
diritto viene poi effettivamente reso esigibile.
10
Sul tema del conflitto di lealtà e sulla posizione del minore all’interno di conflittualità
famigliari patologiche si rimanda, in modo particolare, al testo di L. Cancrini, La
cura delle infanzie infelici, Milano, 2012, p. 163-181.
812
The best interest of the child
Altrettanto delicato e molto attuale è il tema relativo all’importanza di discriminare fra conflittualità famigliare e violenza assistita, una
mancata attenzione a questa distinzione può, infatti, pregiudicare l’intero intervento di protezione e tutela del minore11
A chiusura di questo breve intervento si ricorda che nonostante l’estrema delicatezza del provvedimento di affidamento civile di minore
al servizio sociale e le difficoltà di portarlo avanti più sopra evidenziate gli operatori coinvolti nel lavoro sul campo continuano a ritenerlo
un provvedimento di grande importanza duttile, utile ed efficace12.
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Università Bocconi – Cismai – Terre Des Hommes, Tagliare sui bambini è davvero un risparmio?, 2014
11
Sull’argomento si rimanda a quanto evidenziato nel documento del CISMAI
(Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia)
del 2018 dal titolo “Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da
maltrattamento sulle madri” e a quanto stabilito nella Convenzione di Istanbul
ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 77/2013.
12
Sul tema della posizione degli operatori dei servizi sociali rispetto all’affidamento
civile di minori ci si riferisce ai dati forniti dalla già citata ricerca svolta dai garanti per
l’infanzia delle regioni Lazio, Emilia Romagna e Veneto del 2014 in cui si evidenzia
che, con percentuali un po’ differenti fra le tre Regioni, comunque la valutazione
del provvedimento da parte degli operatori sociali deputati ad applicarlo è positiva.
L’affidamento, infatti, è ritenuto utile ed efficace in oltre il 70% dei casi. Dati a p. 60.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
Lorenzo Delli Priscoli
Sommario: 1. Il rischio che la volontà di attribuire al coniuge debole un
assegno costituisca una spinta a riconoscergli il collocamento prevalente del figlio – 2. L’artificiosa distinzione tra “affidamento” e “collocamento”. – 3. La persistente tendenza ad un collocamento prevalente
del minore presso la madre. – 4. L’uguglianza tra madre e padre.
1. Il rischio che la volontà di attribuire al coniuge
debole un assegno costituisca una spinta a riconoscergli
il collocamento prevalente del figlio
A seguito della sentenza della Cassazione a sezioni unite 11 luglio 2018, n.
18287, confermata successivamente da varie sentenze a sezioni semplici e
il cui insegnamento può dirsi dunque oggi sufficientemente consolidato,
l’assegno di divorzio non deve necessariamente rispondere all’esigenza
di garantire al coniuge economicamente più debole (che ancora oggi è
nella maggior parte dei casi la donna e sarà quindi questa l’ipotesi che, per
comodità, sarà oggetto del mio approfondimento) lo stesso tenore di vita
goduto in costanza di matrimonio, sicché, qualora la donna non sia riuscita a dimostrare di aver apportato durante il matrimonio alla famiglia in
generale e all’ex marito un significativo contributo e qualora la stessa goda
di una indipendenza economica, ben può accadere che, anche in presenza di un assai significativo squilibrio patrimoniale a favore del marito,
quest’ultimo non debba essere tenuto a pagare alcun assegno alla moglie1.
1
Cfr., ad esempio, Cass. 30 agosto 2019, n. 21926, la quale dopo aver rilevato che
la donna – nel caso di specie – può contare su un cospicuo patrimonio formatosi
grazie all’intervento dell’ex marito, che le consente un elevato tenore di vita e che
ciò nonostante esiste un rilevante squilibrio economico patrimoniale e reddituale
814
The best interest of the child
Tale orientamento giurisprudenziale, associato ad una consolidata
tradizione che, pur non godendo di alcuna base normativa né nelle fontra le parti a favore dell’uomo, afferma che l’assegno di divorzio ha non solo una
funzione assistenziale ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa.
Può, pertanto, ritenersi che, anche alla luce della nuova elaborazione ermeneutica
dell’art. 5, comma 6, ad opera delle Sezioni unite del 2018 deve essere riconosciuto
il diritto all’assegno divorzile, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza
economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati gli altri criteri,
ancorché equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi
solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali
familiari. Secondo la Cassazione risulta essenziale procedere all’accertamento delle
cause della sopravvenuta situazione di disparità economico patrimoniale tra le parti
al fine di verificare se possano e debbano operare i criteri attributivi e determinativi
dell’assegno di divorzio fondati sugli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6,
della legge n. 898 del 1970, ed in particolare quelli che ne evidenziano la funzione
perequativa e compensativa. Pur non essendo in discussione che la ricorrente abbia
assunto un ruolo prevalente se non esclusivo nella conduzione della vita familiare, in
particolare esplicata nella funzione educativa oltre che di cura ed assistenza dei figli,
e che questo sia stato il frutto della comune volontà dei coniugi di differenziazione
dei ruoli all’interno del nucleo familiare, deve escludersi l’inferenza causale
prevalente o decisiva di questa comune determinazione sulla condizione economico
patrimoniale della donna con la conseguenza che l’oggettivo squilibrio fotografato
dal quadro comparativo delle due situazioni non discende dall’impostazione della
vita coniugale e familiare, godendo l’uomo di una condizione di enorme ricchezza
personale acquisita ben prima del matrimonio e non influenzata dalla conduzione
della vita familiare. Le varie acquisizioni economico patrimoniali pervenute
alla donna durante il matrimonio hanno – secondo la Cassazione – compensato
anche il sacrificio delle aspettative professionali della donna. Una situazione per
certi versi specularmente opposta è stata affrontata da Cass. 18 settembre 2019, n.
23283, in cui è stato riconosciuto un cospicuo assegno di mantenimento a favore
della moglie, una volta preso atto delle capacità patrimoniali, economiche e
imprenditoriali dell’uomo. A differenza del caso descritto in precedenza però la
donna aveva raggiunto gli 80 anni di età e aveva sacrificato la propria vita sull’altare
del matrimonio (durato oltre cinquant’anni), dedicandosi esclusivamente alla casa
e alla famiglia; analogamente si è espressa Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882, secondo
cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve
attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa,
ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede ai fini dell’accertamento
dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di
procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima
parte della norma, i quali costituiscono, in posizione equiordinata, i parametri
cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione
dell’assegno. Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni
economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, contributo
fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del
patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in
relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Nella specie, la
Corte ha confermato la decisione della Corte di merito che, attenendosi ai criteri
di cui sopra, ha considerato, nella determinazione dell’assegno, sia il presupposto
assistenziale derivante dalla mancanza di attività lavorativa della moglie, sia
quello perequativo, valutandone l’apporto al ménage familiare riconnesso alla cura
del figlio autistico).
L’interesse del minore alla bigenitorialità
815
ti nazionali né in quelle sovrannazionali, tende a privilegiare la donna
nell’affidamento dei figli, rischia di far sì che il giudice, nell’intento di
tutelare la donna, non potendo in molti casi in virtù della sovra ricordata giurisprudenza riconoscerle un assegno di mantenimento, ritenga di “collocare in via prevalente” il figlio o i figli minori presso di lei
per poter da un lato assegnare alla donna la casa coniugale2 (quand’anche di proprietà esclusiva dell’ex marito) e dall’altro disporre il versamento a carico dell’uomo di un assegno a favore della donna per il
mantenimento dei figli sovradimensionato rispetto alle reali necessità
di quest’ultimi, con il duplice micidiale effetto da una parte di eludere
nella sostanza il ricordato indirizzo giurisprudenziale relativo all’assegno di divorzio e dall’altra – e soprattutto – di limitare notevolmente
il diritto del figlio o dei figli ad avere un forte e continuativo rapporto
con il padre nonché il corrispondente diritto-dovere del padre ad avere
un forte e continuativo rapporto con il figlio o i figli.
In effetti, il tema dell’affidamento e del collocamento dei figli nel
divorzio è scarsamente approfondito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie di legittimità. Eppure da un lato le decisioni giurisprudenziali di merito sono estremamente frequenti e dall’altro
vengono in rilievo rilevantissimi interessi e diritti fondamentali sia
dei minori che dei genitori.
Secondo l’art. 337-ter cod. civ. (Provvedimenti riguardo ai figli), “il
figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo
con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza
morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti
e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”3. Si tratta del c.d. principio di
2
Cfr. Cass. 17 giugno 2019, n. 16134, secondo cui la nozione di convivenza rilevante
ai fini dell’assegnazione della casa familiare ex art. 337-sexies c.c. comporta la stabile
dimora del figlio maggiorenne presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici
allontanamenti per brevi periodi e con esclusione, quindi, dell’ipotesi di rarità dei
ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso, invece, un rapporto di mera
ospitalità; deve pertanto sussistere un collegamento stabile con l’abitazione del
genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile
con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro,
purché vi faccia ritorno appena possibile e l’effettiva presenza sia temporalmente
prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese).
(Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto di revoca dell’assegnazione della casa
coniugale basato sull’accertato rientro della figlia, iscritta all’università in altra città,
nell’abitazione del genitore divorziato solo per pochi giorni durante le vacanze
natalizie, pasquali ed estive).
3
Art. 317-bis cod. civ. (Rapporti con gli ascendenti). Gli ascendenti hanno diritto di
mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è
816
The best interest of the child
bigenitorialità, che a sua volta costituisce, nella prospettiva dei genitori ad avere con sé più tempo possibile i figli, espressione del principio indicato dall’art. 30 Cost., secondo cui “è dovere4 e diritto dei genitori
mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio5”
nonché del più generale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.,
secondo cui “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione
di sesso…”. L’essere uomo o donna dunque, secondo la Costituzione e
le norme aventi rango di legge ordinaria, non rileva ai fini dell’affidamento dei figli. È importante altresì osservare che il secondo comma
dell’art. 30 Cost. cit., nello stabilire che “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”, sembra limitare la
separazione dei genitori dai figli (id est il collocamento esclusivo dei
figli presso uno solo dei genitori) alle sole ipotesi di reale inidoneità
dei genitori6, non anche, come invece pure spesso accade, per ragioni
economiche o logistiche superabili.
impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza
abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo
interesse del minore.
4
Cfr. Cass. 8 aprile 2016, n. 6919, la quale afferma esplicitamente il diritto del figlio
alla bigenitorialità; assai apprezzabile in chiave di responsabilizzazione dei genitori
è Trib. Milano, sez. IX, 11 marzo 2016, in Redazione Giuffrè 2016, decisione che ha
statuito che la regola dell’affidamento condiviso non è negoziabile ed è inammissibile
una rinuncia all’affido bigenitoriale da parte di uno dei partners poiché trattasi di un
diritto del fanciullo.
5
La giurisprudenza costituzionale ritrova in questa norma, che richiama i genitori
alle loro responsabilità nei confronti dei figli senza distinguere in base al vincolo
coniugale eventualmente sorto tra loro, l’”essenza del rapporto di filiazione” (Corte
cost. 394 del 2005; 332 del 2000).
6
Cfr. Trib. Roma, sez. I, 17 marzo 2017, in Il familiarista, 23 luglio 2018, secondo cui
le ipotesi di affidamento esclusivo sono individuabili ogni qualvolta l’interesse
del minore possa essere pregiudicato da un affidamento condiviso. Ciò può
avvenire, ad esempio, quando, come nel caso di specie, un genitore eserciti in modo
discontinuo e sporadico il suo diritto di visita e non manifesti interesse alla vita del
minore, alle sue condizioni di salute e ai suoi impegni, in quanto tali comportamenti
indicano la sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che
l’affido condiviso comporta; Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, secondo cui la regola
dell’affidamento condiviso dei figli è derogabile solo ove la sua applicazione risulti
“pregiudizievole per l’interesse del minore”, il che si verifica nell’ipotesi in cui il
genitore non collocatario si sia reso totalmente inadempiente al diritto di visita
perché residente all’estero, essendo tale comportamento indicativo dell’inidoneità
ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta
anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente. Non
sono purtroppo infrequenti ipotesi in cui i genitori non manifestino interesse
nell’avere con sé i figli: cfr. Trib. Teramo, 25 gennaio 2017, n. 45, Dejure Giuffré
2017, secondo cui, constatata la profonda incompatibilità dei rispettivi caratteri dei
coniugi i quali hanno manifestato profondo e reciproco disinteresse costituendosi
L’interesse del minore alla bigenitorialità
817
Continua poi il citato art. 337-ter cod. civ. affermando che “per realizzare tale finalità (ossia quella di assicurare al figlio la bigenitorialità), nei procedimenti di separazione e divorzio, il giudice adotta i provvedimenti relativi
alla prole con “esclusivo” riferimento all’interesse morale e materiale dei figli7”.
L’espressione “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” del
figlio riprende l’espressione “the best interest of the child” di cui all’art. 3
della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini siglata a
New York il 20 novembre 19898. La citata Convenzione è stata ratificata
con legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo) il cui art. 3 afferma, in un pessimo italiano, che
“in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o
degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere (sic!) una
considerazione preminente”.
Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996,
ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guinuovi centri d’affetti e di interessi, fissato l’affido condiviso a entrambi i coniugi,
per quanto attiene al collocamento della figlia minore, non potendo avvenire
presso i genitori, la medesima ha manifestato la volontà di vivere con la nonna,
fissandosi il riconoscimento di un doveroso contributo economico alla nonna per il
mantenimento, che entrambi i genitori concordano nel concedere. Pur partendosi
dal medesimo presupposto di fatto del disinteresse del genitore nei confronti del
minore, ha stabilito Trib. Crotone, sez. I, 17 maggio 2016, in Il familiarista 2016, 5
luglio 2017 che la scarsità dei rapporti tra il genitore ed i figli, in assenza di indici di
incapacità o pericolosità dello stesso, costituiscono elementi tali da corroborare la
necessità dell’affido condiviso, in funzione di stimolo della figura genitoriale meno
attiva, essendo interesse della prole il consentire rapporti continuativi ed equilibrati
con ciascun genitore, nel rispetto del modello bigenitoriale.
7
Cfr. Cass. 24 maggio 2018, n. 12954, secondo cui, in tema di affidamento dei figli minori,
il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative
modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse della
prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata,
sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di
provvedimenti – quali, nella specie, il divieto di condurre il minore agli incontri
della confessione religiosa abbracciata dal genitore dopo la fine della convivenza
– contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro
esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi,
compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.
8
Secondo l’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini siglata
a New York il 20 novembre 1989 infatti “in all actions concerning children, whether
undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative
authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration”.
Assessing the best interests of a child means to evaluate and balance “all the elements necessary
to make a decision in a specific situation for a specific individual child or group of children”.
818
The best interest of the child
da del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia
a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione
dei delegati dei ministri.
Inoltre, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il
quale “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità
pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”9.
D’altra parte, pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia del best interest of the child è stata riportata, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della
CEDU10.
Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha riconosciuto
l’immanenza dell’interesse del minore, specie nell’ambito delle azioni
volte alla rimozione del suo status filiationis11.
Si ritiene che l’espressione “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli di cui all’art. 337-ter cod. civ. nonché l’interesse
“superiore” e “preminente” di cui alla legge di ratifica rappresenti una
traduzione che, nell’intento di enfatizzare e valorizzare l’importanza
di tenere nella giusta considerazione l’interesse dei figli, attribuisca un
significato infedele al “the best interest of the child” della Convenzione
sui diritti dei bambini di New York. Infatti, il “miglior” interesse dei
bambini (questa a mio giudizio sarebbe stata la traduzione più corretta
oltre che più fedele ad una traduzione letterale) passa necessariamente
dal benessere dei genitori e in genere da un assetto complessivo che ragionevolmente soddisfi tutti gli interessi in gioco e che non lasci nessun
9
Va altresì rammentato che, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza
della Corte EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido
familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi
che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo
giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia
affidataria.
10
In un caso di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti
di nascita nei registri dello stato civile francese, la Corte di Strasburgo ha affermato
che il rispetto del migliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li
riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e
Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011).
11
Corte cost. n. 272 del 2017; n. 7 del 2012; n. 322 del 2011. Sul dovere del giudice di
valutare the best interest of the child cfr. anche Corte cost. n. 93 del 2018.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
819
genitore con un rancore inespresso o un astio soffocato, perché questi
si riverserebbero inevitabilmente sul bambino; in altre parole non può
predicarsi il bene assoluto di un figlio prescindendo completamente da
quello di entrambi genitori.
In effetti, pur non potendosi negare il dovere del Giudice di tenere
in alta considerazione l’interesse del minore (sia perché lo prevede la
Costituzione – l’art. 31, comma 2, Cost. stabilisce che la Repubblica…
“protegge l’infanzia e la gioventù…” e l’art. 37, comma 1, parte seconda
prevede che “le condizioni di lavoro devono consentire [alla madre]…
di assicurare … al bambino una adeguata protezione”, ma il principio
potrebbe semplicemente ricavarsi dall’art. 2 Cost., sia perché il minore
non viene rappresentato in giudizio nei procedimenti di separazione
e divorzio, in cui sono parti solo i genitori) il miglior interesse dei figli
tende proprio a coincidere con quello dei genitori; d’altra parte, se si
volesse interpretare alla lettera l’interesse “esclusivo” dei figli come interesse insuscettibile di entrare in competizione con qualsiasi altro interesse, si finirebbe per dare a tale espressione un significato contrario
alla Costituzione, perché è insegnamento costante e consolidato della
Corte costituzionale che tutti i diritti, anche quelli fondamentali come
quello alla salute, sono suscettibili di bilanciamento e possono essere
compressi anche in maniera significativa, purché sia salvaguardato il
loro nucleo essenziale, il “nocciolo duro” del diritto12. Che l’interesse
del minore possa e debba essere bilanciato e quindi in parte sacrificato in nome di altri interessi lo afferma anche la Corte costituzionale,
ad esempio a proposito del bilanciamento dell’interesse del minore a
12
Cfr., ad esempio, Corte cost. nn. 135 e 180 del 2018; con riferimento in particolare
alla possibilità che anche i diritti del minore possano entrare in un giudizio di
bilanciamento con altri valori cfr. Corte cost. n. 272 del 2017 cit. L’esigenza di operare
un’adeguata comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione
dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata riconosciuta anche dalla
Corte di cassazione, con riferimento in particolare all’azione di disconoscimento
della paternità. La giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il favor
veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi
comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente
preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto
comma, che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, l’art. 30 Cost.
ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri
valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché
di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli
anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione
dell’interesse del figlio (Cass., 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767;
3 aprile 2017, n. 8617).
820
The best interest of the child
frequentare i genitori in carcere con quello della collettività alla protezione sociale attraverso la necessaria esecuzione della pena13. Quale
sarebbe poi l’interesse esclusivo del bambino? Quello a trascorrere una
quantità di tempo equilibrata con i due genitori oppure a trascorrerne
di più con il più ricco o con quello che gli possa offrire di più in termini
di educazione, prospettive, opportunità, amicizie, tempo disponibile?
Quello ad accumulare più denaro possibile? Quello ad essere felice
sempre e a tutti i costi? E continuando così, concentrandosi cioè solo
sull’interesse del bambino, si potrebbe arrivare all’assurdo di sostenere
che il suo interesse primario sia appunto quello di essere felice seguendo i suoi istinti primari, cosicché i bambini dovrebbero soltanto giocare e mai studiare, quando invece è diritto-dovere dei bambini anche
quello di studiare, come esiste, correlativamente, il diritto-dovere dei
genitori di educarlo e di mandarlo a scuola.
L’art. 337-ter cod. civ. seguita ancora affermando che “il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i
genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi
e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la
misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento,
alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari
all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.
13
Cfr. Corte cost. n. 174 del 2018, secondo la quale va dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente art. 21, con
riferimento alle detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti,
particolarmente gravi, di cui all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della legge n.
354 del 1975, non consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non
superiore agli anni dieci oppure lo subordina alla previa espiazione di una frazione
di pena, salvo che la detenuta abbia collaborato con la giustizia. La norma infatti,
in assenza di tale collaborazione, contiene un automatismo astratto di preclusione
assoluta all’accesso al beneficio e impedisce al giudice, laddove non sia ancora stata
espiata una parte di pena, di bilanciare le esigenze di difesa sociale con l’interesse
del minore, pregiudicando il diritto di quest’ultimo a mantenere un rapporto con la
madre all’esterno del carcere (diritto, peraltro, già riconosciuto dalla Convenzione
sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000). In
effetti l’interesse del minore a beneficiare in modo continuativo dell’affetto e
delle cure materne non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile
di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali
quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena, ma occorre
che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata in concreto e
non già collegata ad indici presuntivi che precludono al giudice ogni margine di
apprezzamento delle singole situazioni.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
821
La legge dunque afferma esplicitamente che il criterio prioritario
deve essere quello dell’affidamento a entrambi i genitori il che poi
non può che essere interpretato, data l’assoluta parità dei genitori
davanti alla legge e in mancanza di una diversa indicazione da parte
di quest’ultima, nel senso di un affidamento paritario, ossia per una
quantità di tempo uguale per i due genitori. Questa interpretazione
è confermata dal prosieguo della norma, secondo la quale, nell’affermare come criterio subordinato l’affidamento dei figli ad uno dei
genitori, stabilisce comunque che il Giudice debba decidere i tempi
della presenza dei figli presso ciascun genitore, così dunque di fatto stabilendo quello che è il criterio del “collocamento prevalente”,
criterio che pertanto è subordinato rispetto a quello paritario e che
dunque, per essere accolto, necessiterebbe di una motivazione relativa al perché il criterio dell’affidamento paritario non potrebbe essere
accolto (ad esempio perché i genitori a seguito della separazione abitano molto lontano e dunque la previsione di una alternanza tra di
loro durante i giorni di scuola sarebbe troppo onerosa per il bambino
che dunque dovrebbe essere affidato ad uno durante i giorni di scuola e all’altro durante i fine settimana e le vacanze).
Già a seguito della separazione ma anche in occasione del divorzio, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore
non collocatario per il mantenimento del figlio minore, il Giudice
deve osservare il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre – per
quanto riguarda la quantità di denaro da versare per i figli – alla
considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da
lui goduto14. Pertanto, poiché l’affidamento condiviso dei figli minori è fondato sull’interesse di questi ultimi, esso determina l’obbligo
patrimoniale dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei figli
mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento e non
implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno dei due
genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze15, dipendendo tale contribuzione sia
dall’effettivo collocamento del figlio presso l’uno o l’altro dei genitori (o della prevalenza di tale collocamento presso l’uno o l’altro), sia
dalle rispettive capacità reddituali.
14
Cass. 1° marzo 2018, n. 4811.
15
Cass. 10 dicembre 2014, n. 26060.
822
The best interest of the child
Inoltre, l’obbligo di mantenimento del figlio non cessa con il raggiungimento da parte di quest’ultimo della maggiore età: tuttavia il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento
del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo
abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità di procurarsi autonomamente un
reddito così e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di
mantenimento ad opera del genitore, sicché l’eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento16.
2. L’artificiosa distinzione tra “affidamento”
e “collocamento”
La prassi applicativa dei giudici di merito (non contrastata dalla
Cassazione17), sulla base dell’art. 337-ter cod. civ., ha creato spesso una
16
Cass. 14 marzo 2017, n. 6509.
17
Cfr. Cass. 15 febbraio 2017, n. 4060, secondo cui, in tema di affidamento dei figli
minori, l’affido alternato tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di
famiglia italiano è soluzione educativa di limitate applicazioni, atteso che assicura
buoni risultati unicamente allorché sussista un preciso accordo tra i genitori e tutti i
soggetti coinvolti, compreso il figlio, condividono la soluzione. In realtà non è dato
capire come questo tipo di collocamento, che la Cassazione chiama “affidamento
alternato”, avrebbe bisogno di una maggiore collaborazione fra i coniugi rispetto
ad un collocamento esclusivo presso uno dei coniugi con diritto di visita da parte
dell’altro genitore. Si ritiene invece che il sistema di “gestione” dei figli maggiormente
“efficiente” senza necessità di collaborazione dei coniugi sia quello che preveda
lo “scambio” dei figli attraverso la scuola (un genitore lo porta a scuola e l’altro lo
riprende), in modo che siano evitati incontri tra i genitori che potrebbero portare al
rischio di liti tra di loro davanti al figlio. Cfr., a questo proposito, Cass. 3 gennaio 2017,
n. 27, decisione che, pur essendo sostanzialmente coeva, sembra andare di contrario
avviso rispetto a quella da ultimo citata, affermando che l’affidamento condiviso dei
figli minori ad entrambi i genitori costituisce il regime ordinario di affidamento che
non è impedito dall’esistenza di una conflittualità tra i coniugi, tranne quando tale
regime sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, alterando e ponendo in serio
pericolo il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico. In tal caso la pronuncia di affidamento
esclusivo deve essere sorretta da una puntuale motivazione in ordine, non solo, al
pregiudizio potenzialmente arrecato ai figli da un affidamento condiviso ma anche
all’idoneità del genitore affidatario e all’inidoneità educativa o alla manifesta carenza
dell’altro genitore (cassata, nella specie, la decisione della Corte di merito che aveva
preso atto della conflittualità tra i coniugi e aveva scelto uno dei due genitori quale
affidatario esclusivo dei figli senza una specifica motivazione in ordine al pregiudizio
che sarebbe stato arrecato ai figli da un affidamento condiviso, essendo del tutto
generico e quindi apparente l’argomento della necessità di assicurare rapidità nelle
decisioni riguardanti i figli); Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, secondo cui posto che, in
tema di separazione giudiziale dei coniugi, può disporsi l’affido esclusivo dei figli
L’interesse del minore alla bigenitorialità
823
distinzione tra affido, condiviso da entrambi i genitori (in ossequio
alla prioritarietà di tale scelta imposta dalla norma da ultimo citata), e
“collocamento” (brutta e fredda parola di creazione giurisprudenziale)
materiale ed effettivo del bambino, molto spesso (anche se oggi meno
rispetto a qualche anno fa) assegnato in netta prevalenza alla madre18
minori solo se il giudice ritenga, argomentando al riguardo, che quello condiviso sia
pregiudizievole per i figli stessi, è congruamente motivata, e pertanto incensurabile
in Cassazione, la pronuncia di merito che ha affidato il figlio minore, adolescente,
al padre in via esclusiva, in quanto la madre vive ormai stabilmente in un lontano
paese straniero e ha esercitato in modo discontinuo il diritto di visita, venendo anche
meno ai tre incontri minimi all’anno previsti dalla consulenza tecnica d’ufficio,
visite non surrogabili con i pur frequenti contatti telefonici o a mezzo Skype; Trib.
Salerno, sez. I, 29 giugno 2017, secondo cui l’affido condiviso è inequivocabilmente
finalizzato alla realizzazione dell’interesse morale e materiale della prole e per questa
ragione, dopo e nonostante la crisi della coppia, i provvedimenti giudiziari mirano
alla conservazione (o al ripristino) di un paritario rapporto dei minori con entrambi i
genitori (un diritto soggettivo di per sé ovviamente coincidente con il loro interesse),
il che comporta l’attribuzione a ciascuno di essi di pari opportunità quando abbiano
capacità genitoriali omogenee o, viceversa, all’attribuzione a ciascuno di essi di
compiti di cura e di tempi di frequentazione differenti quando in concreto ciò
meglio realizzi i diritti del minore; sempre che non esistano particolari ed eccezionali
circostanze ostative. In quest’ottica i genitori devono comprendere che chiedere di
attribuire all’altro solo il 20% del tempo mensile o di non attribuire all’altro nessun
compito di cura equivale di fatto a chiedere all’Autorità Giudiziaria di allontanare
l’altro genitore dalla quotidianità del bambino con effetti irrimediabili sulla relazione
genitoriale e sulla crescita psicologica del minore; analogamente Trib. Salerno, sez.
I, 18 aprile 2017, secondo cui l’affido condiviso è disposto per attuare al contempo
il diritto di ogni genitore a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 cost.) ed il
diritto della prole (art. 315-bis primo comma c.c.) a mantenere un rapporto equilibrato
e continuativo con ciascuno dei genitori nonché di ricevere cura, educazione,
istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con
gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Ciò non di meno (per le
ragioni meglio di seguito evidenziate) l’affido condiviso è (in applicazione stretta
degli artt. 337-bis e ter c.c.) inequivocabilmente funzionalizzato alla realizzazione
dell’interesse morale e materiale della prole e per questa ragione, dopo e nonostante
la crisi della coppia, i provvedimenti giudiziari mirano (ovviamente ove possibile)
alla conservazione (od al ripristino) del rapporto dei minori con entrambi i genitori
il che comporta l’attribuzione a ciascuno di essi di pari opportunità quando abbiano
capacità genitoriali omogenee e quando il minore abbia in concreto l’interesse ad una
frequentazione paritaria.
18
La stessa Cassazione sembra, se non dimenticare, mettere da parte il principio di
bigenitorialità, affermando che, in tema di modifica delle condizioni di separazione
giudiziale, il coniuge separato, collocatario del figlio minore, può trasferire altrove
la residenza propria e del figlio, anche senza il consenso dell’altro genitore,
non comportando ciò, di per sé, il venir meno dell’affido condiviso o di quel
collocamento, in quanto ogni statuizione al riguardo va adottata esclusivamente
in funzione del superiore interesse del minore (nella specie, la Suprema Corte ha
confermato il provvedimento di merito che aveva disposto il collocamento di due
minori presso la madre, che per esigenze di lavoro si era trasferita in altra città,
distante da quella originaria di residenza, dove viveva l’altro genitore, i cui rapporti
824
The best interest of the child
(un classico esempio è quello in cui all’affido condiviso corrisponde a
una frequentazione del padre da parte del figlio per un fine settimana su
due (normalmente dal venerdì alle 20e30 alla domenica sera alle 20e30 e
un pomeriggio a settimana dalle 16e30 alle 20e30)19. È poi però evidente
quotidiani con le figlie venivano compressi, tenuto conto dell’esigenza di assicurare
a queste ultime, ancora in tenera età, la costante presenza della madre (Cass. 12
maggio 2015, n. 9633, in Foro it., 2015, I, p. 3161). A mio giudizio, di fronte ad una
decisione così gravida di conseguenze per i rapporti tra il padre e le figlie, avrebbe
dovuto essere approfondito se l’esigenza della madre di trasferirsi per lavoro fosse
o meno indifferibile. In senso (apparentemente) contrario (o per lo meno, più attenta
ad un bilanciamento di tutti gli interessi in campo) all’affermazione del Supremo
Collegio cfr. però Trib. Roma, 8 settembre 2017, in Foro it., 2018, p. 622, secondo cui
in tema di affidamento dei figli minori, disposto l’affido condiviso di un minore
di circa quattro anni di età, nato fuori dal matrimonio, con collocamento presso la
madre, va rigettata la domanda di quest’ultima di autorizzazione al trasferimento
del domicilio del figlio da Roma a Londra, atteso che: a) una tale misura osterebbe
al consolidamento del rapporto del padre con il figlio, con assidue frequentazioni
anche infrasettimanali, posto che il primo, in forza di provvedimento provvisorio,
si era trasferito da Milano a Roma, esercitando regolarmente il diritto di visita; b)
il minore è ben radicato nella capitale, dove risiede dalla nascita, e intrattiene una
fitta rete di relazioni parentali, come emerso dalla espletata c.t.u.; c) la madre svolge
a Roma idonea attività lavorativa, sicché non ha la necessità di trasferirsi all’estero.
19
Cfr. Cass. 23 settembre 2015, n. 18817, in Foro it., 2016, I, p. 902, secondo cui per
l’attuazione del principio di bigenitorialità, non è strettamente necessaria una
determinazione paritetica dei tempi da trascorrere con il minore; Cass. 3 agosto 2015,
n. 16297, secondo cui la previsione di periodi di permanenza del figlio minore con la
madre ben superiori rispetto a quelli concessi al padre non viola i principi dell’affido
condiviso, che non presuppone necessariamente tempi uguali o simili di permanenza
del figlio con entrambi i genitori, e non comporta una compromissione del diritto
alla bigenitorialità. Il principio del primario interesse del minore e dell’affido
condiviso viene dunque applicato solo formalmente dalla gran parte dei tribunali
italiani mediante l’affermazione che l’affidamento dei figli è condiviso: che specie nei
provvedimenti cd. presidenziali dispongono il collocamento del minore presso uno
dei genitori residuando all’altro – non collocatario – un ridotto tempo di visita. Ciò si
dispone senza ascoltare il minore… negando nella sostanza il suo diritto ad essere
ascoltato (dai 12 anni ma ove dotato di discernimento anche prima di tale età) “in tutte
le questioni e le procedure che lo riguardano” (315 bis cod. civ.). Tali provvedimenti
provvisori (la cui efficacia dura anni, sino all’emanazione della sentenza, che nella
maggior parte dei casi poi si limitano a confermare il provvedimento “provvisorio”)
vengono assunti per lo più solo in ragione della esclusiva valutazione da parte
del giudice delle sole dichiarazioni delle parti confliggenti, dell’età dei figli, della
situazione patrimoniale: la cd. udienza presidenziale si svolge con un sommario
ascolto delle parti – in sede separata o congiunta – ed un formale invito (ormai
peraltro desueto) alla ricomposizione. I provvedimenti emanati a conclusione di
questa fase, anche per il ridotto tempo a disposizione dei giudici, che sono molto
spesso costretti ad esaminare una trentina o più di queste casi al giorno, sono spesso
seriali, specie nelle ipotesi di separazioni o divorzi “consensuali”, ove il giudice,
unico garante del diritto del minore ad un rapporto costante e significativo con
entrambi i genitori, nella grandissima maggioranza dei casi si limita a ratificare le
decisioni dei genitori relative al collocamento dei figli.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
825
che quando il bambino trascorra la gran parte del tempo con la madre,
sarà difficile per il padre, che passando poco tempo con lui perde inevitabilmente autorevolezza agli occhi del figlio20 e della madre, far pesare
la sua volontà nelle decisioni più importanti riguardanti il figlio stesso
(l’art. 337-ter, comma 3, cod. civ. prevede infatti in teoria che “Le decisioni
di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute
e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo”: in realtà se già le coppie sposate fanno spesso fatica a trovare un
accordo sui figli, è chiaro che tale comune accordo costituisce ancor più
una chimera nel caso di genitori che hanno deciso di non vivere più insieme). La norma stabilisce ancora che in caso di disaccordo la decisione
sia rimessa al giudice, ma è evidente come non si possa ricorrere continuamente al giudice, se non altro per le spese da affrontare e perché
le decisioni arriverebbero inevitabilmente troppo tardi. Sembrerebbe
dunque utile che nell’accordo di separazione o di divorzio, o quando tali
effetti siano determinati da un provvedimento del giudice, sia indicato
un terzo che abbia la fiducia di entrambi i genitori (impresa, questa, in
realtà assai ardua!), che possa fare da arbitro quando i genitori non si
20
È evidente infatti le maggiori possibilità per il genitore collocatario di influenzare
e convincere il figlio circa la “bontà” delle proprie idee rispetto a quelle dell’altro
genitore. Cfr. a tale proposito Trib. Roma, sez. I, 11 ottobre 2016, n. 18799, secondo
cui è onere di ogni genitore attivarsi per recuperare e mantenere l’immagine
dell’altro genitore nei confronti del figlio. Di conseguenza, in caso di “boicottaggio”
di un genitore nei confronti dell’altro, scatta la sanzione del risarcimento del danno
prevista dall’art. 709-ter comma 3 c.p.c. Questo è quanto affermato dal Tribunale di
Roma che ha, nella specie, condannato la madre collocataria al pagamento di 30mila
euro in favore del padre in quanto la donna, anziché attivarsi per “consentire il
giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio”, aveva continuato a “palesare
la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito”. Per i giudici,
in sostanza, entrambi i genitori devono aver rispetto dell’ex, che va salvaguardato
nei confronti dei figli e, in particolare, in relazione alla tutela della bigenitorialità
cui è improntato lo stesso affido condiviso. Cfr. sul punto anche M. Caineri, Madre
ostacola la bigenitorialità: nessuna conseguenza automatica sulla collocazione del minore,
in Ilfamiliarista, 12 aprile 2018, nota a Trib. Milano, 28 novembre 2017, sez. famiglia,
Autore secondo cui il Giudice deve condurre il proprio sindacato tenendo conto sia
delle migliori modalità di esplicazione, in chiave prognostica, della bigenitorialità (da
accertarsi con riferimento tanto all’idoneità genitoriale di ciascuno quanto alla
capacità delle parti di interazione e di comunicazione), sia delle prevalenti esigenze
di stabilità di vita del minore, dei suoi bisogni affettivi e dei legami in concreto
formatisi tra questi e i due genitori. Il principale corollario di tale assunto consiste
nel difetto di ogni automatismo valutativo, rispetto alla determinazione della
collocazione prevalente del figlio, di un comportamento genitoriale indebito e che
comunque ostacola l’esercizio della bigenitorialità, che però non può implicare, di
per sé solo, un giudizio di inadeguatezza in capo al genitore che lo ha posto in essere
a svolgere il ruolo di affidatario o collocatario del minore.
826
The best interest of the child
mettano d’accordo su piccole e grandi decisioni riguardanti i figli21, mentre sembra meno rispondente agli interessi del figlio prendere a modello
quanto succedeva con i due consoli nell’antica Roma (che si alternavano
al potere di sei mesi in sei mesi), e stabilire che in caso di stallo decisionale sia prevista a turno la prevalenza dell’opinione dell’uno dei genitori
sull’altro, in quanto il figlio potrebbe essere sottoposto a continui cambi
di abitudini22.
Non sembra dunque potersi invocare, quale ragione a favore del collocamento prevalente o esclusivo del minore presso la madre, la circostanza che quest’ultima sia usualmente il coniuge più debole, cosi ché,
in ragione della necessità di dover provvedere ai bisogni del figlio, possa
avere una maggiore quantità di denaro rispetto ad un collocamento “a
metà”, in quanto il coniuge che abbia disponibilità economiche significativamente maggiori è comunque in teoria tenuto a versare all’altro un
assegno per il mantenimento del figlio anche se collocatario di quest’ultimo per metà del tempo o addirittura in maniera prevalente23.
21
Cfr. Trib. Reggio Emilia, sez. 1, 11 giugno 2015, in Foro it., 2016, I, p. 903, secondo
cui in regime di affido condiviso del figlio minore con residenza privilegiata presso
la madre, qualora manchi l’accordo tra le parti, il giudice può disporre che decisioni
di rilevante interesse relative alla salute del minore debbano essere assunte da una
figura alternativa fino al compimento della maggiore età (nel caso di specie, essendo
il minore affetto da grave disturbo autistico di difficile gestione per via del forte
disaccordo tra i coniugi il giudice dispone che le decisioni di maggior interesse per la
salute siano assunte collegialmente dalla responsabile di Neuropsichiatria infantile
e da quella del Centro autismo presso cui il minore è in cura); Trib. Civitavecchia,
20 maggio 2015, in Foro it., 2016, secondo cui a fronte dell’elevata conflittualità dei
genitori (nella specie, non coniugati), il giudice può disporre l’affido condiviso della
figlia minore (nella specie, di circa cinque anni di età), designando però anche, in via
provvisoria, un coordinatore genitoriale, in persona di un assistente sociale, con la
funzione di guidare i genitori nell’attuazione del piano dagli stessi elaborato nel corso
di una consulenza tecnica d’ufficio (il tribunale ha anche fissato, a distanza di sei
mesi, una udienza di verifica). Cfr. L. Dell’Osta, Vaccini obbligatori: in caso di conflitto
tra coniugi il Giudice può ordinare la vaccinazione, in Ilfamiliarista, 20 aprile 2018, nota
a Trib. Milano, 9 gennaio 2018, sez. IX, Autore che osserva che l’obbligo vaccinale
previsto dal d.l. n. 73 del 2017 (che impone che a tutti i minori di età compresa tra
zero e sedici anni siano somministrati due gruppi di dieci vaccini complessivi), in
presenza di conflitto tra genitori, è coercibile.
22
Cfr. Trib. Roma, 28 agosto 2015, n. 17400, in Foro it., 2016, I, p. 1655, secondo cui deve
essere disposto l’affidamento condiviso del figlio minore ad entrambi i genitori, ma
con attribuzione alla sola madre, in via esclusiva, delle scelte inerenti le terapie e gli
interventi di sostegno necessari per le difficoltà di apprendimento del figlio minore,
e ciò al fine di evitare che le resistenze paterne ad accettare tali difficoltà si traducano
in uno stallo decisionale con conseguente compromissione dell’interesse del minore.
23
Cfr. infatti Trib. Brindisi 11 aprile 2017, in Dejure Giuffrè 2017, secondo cui, pur se
una minore viene affidata ad entrambi i genitori e trascorre dei periodi presso il
padre e altri presso la madre, deve essere previsto sia che ciascun genitore provveda
L’interesse del minore alla bigenitorialità
827
3. La persistente tendenza ad un collocamento
prevalente del minore presso la madre
Il problema del collocamento del figlio in prevalenza presso la madre emerge in virtù da un lato dall’esistenza del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (il “senza distinzione di sesso” di cui si è
detto prima) e di quello di bigenitorialità e dall’altro da una prassi applicativa che nel decidere affidamento e collocamento dei figli che sembra partire da un principio, sociologico e non giuridico in quanto mai
affermato né dalla legge né dalla giurisprudenza, secondo cui il figlio
si troverebbe più a suo agio con la madre che con il padre e che la madre sarebbe una migliore educatrice per i figli rispetto al padre: in altre parole un bambino sarebbe più figlio della mamma che del babbo.
Tale principio è spesso supportato da una considerazione, anch’essa
sociologica, che però trova ampie sponde in giurisprudenza, secondo
cui sarebbe interesse del bambino quello ad avere un unico tetto sotto il quale dormire, un unico indirizzo, un’unica cameretta, anche a
costo di sacrificare in maniera estremamente significativa il rapporto
con uno dei due genitori24. Da tale presupposto, e dovendosi appunto
necessariamente sacrificare il rapporto con uno dei genitori, si sceglie
di privilegiare il rapporto con la madre a danno del padre.
In realtà il principio dell’unico domicilio, oltre a non avere un supporto nella legge, è implicitamente smentito dall’art. 337-bis c.c., secondo cui “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione
e assistenza morale da entrambi”. Né si può ritenere che l’art. 337-sexies,
cod. civ. laddove stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” debba far propendere l’interprete verso una intentio legis nel senso che il figlio debba
rimanere a vivere e a dormire nella casa coniugale, dovendosi invece
ritenere che la legge intende semplicemente che la casa coniugale debba
prevalentemente al mantenimento ordinario della figlia nei periodi in cui la stessa
starà presso di sé, che porre un assegno perequativo a carico del padre in quanto
quando ultimo risulta avere un reddito superiore dell’ex coniuge.
24
Tale impostazione di pensiero, che appare immediatamente in contrasto con il
principio di bigenitorialità, sembra invece, contraddittoriamente, accolta dalla
Cassazione, la quale ha affermato che la scelta dei giudici del merito di disporre
l’affido condiviso appare corretta tenuto presente che modificare continuamente
la propria casa di abitazione può avere un effetto destabilizzante per molti minori
(Cass. 15 febbraio 2017, n. 4060).
828
The best interest of the child
essere assegnata in maniera tale da seguire l’interesse del figlio: così, ad
esempio, se la casa coniugale, di proprietà del padre, viene assegnata
alla madre in quanto meno abbiente rispetto all’ex marito il quale abbia
i mezzi per poter abitare un altro appartamento (acquistato o preso in
affitto) nei pressi della casa coniugale, non per questo il bambino dovrà
continuare a vivere tutta la sua infanzia in quella casa. Il cambio di domicilio infatti è un’esperienza che può anche essere un arricchimento e
un divertimento e non un trauma, ma soprattutto non deve dimenticarsi che per il bambino avere due camerette significa avere la possibilità
di avere un rapporto continuativo, serio e profondo con entrambi i genitori rispetto a quello che potrebbe avere con quello dei due genitori
con il quale non condividesse più l’esperienza del trascorre la sera in
allegria, del consumare una cena con amici, dell’andare a dormire con
le sue coccole e il suo affetto, dello svegliarsi insieme la mattina e fare
colazione e dell’essere accompagnato a scuola.
In quest’ottica non possono che stigmatizzarsi quei provvedimenti
che, nell’ossessione di non “muovere” il bambino, che non dovrebbe
essere “trattato come un pacco postale”, assegnano di fatto la casa al
figlio, costringendo i genitori sia a prendere ognuno una nuova abitazione e a ruotare alternativamente attorno alla ex casa coniugale sia
a trovare gravi difficoltà nel costruirsi una nuova vita con un nuovo partner che sarebbe anch’egli costretto a girare insieme al nuovo
compagno/a. Ma soprattutto è assai dubbio che il cambio continuo di
ospiti nella casa coniugale sia effettivamente di giovamento per il figlio
rispetto ad un suo alternarsi tra la casa del padre e della madre.
In effetti, quello che più sorprende nel leggere i provvedimenti riguardanti i figli minori, ove spesso accanto ad un affidamento formalmente condiviso si opta per un collocamento nettamente prevalente
presso la madre, è proprio questa idea fissa di garantire al minore un
domicilio il più possibile unitario, limitando al minimo le notti trascorse con il padre, stabilendosi delle evidenti forzature a danno del
minore. Infatti, è evidentemente una forzatura quella di stabilire che
un minore, anche in pieno inverno, debba trascorrere un pomeriggio
in compagnia con il padre che lo è andato a prendere a scuola, per poi
essere accompagnato verso le 8 o 8e30 di sera dalla madre, interrompendo così la sua attività di cena di gioco o di studio, e costringendolo
ad assistere al momento di tensione che spesso vi è al momento del
“passaggio di consegne” del bambino dal padre alla madre. Molto più
lineare e naturale per il bambino è invece la previsione – scarsamente
L’interesse del minore alla bigenitorialità
829
applicata nella prassi dei Tribunali – di non costringerlo a innaturali
viaggi serali dal padre alla madre ad orari prestabiliti (si pensi che
oltretutto nelle grandi città è difficile rispettare perfettamente gli orari
e questo può essere causa di ulteriori conflitti e tensioni fra genitori)
ma di lasciare che il padre che lo abbia preso all’uscita di scuola lo
tenga con sé la notte e lo riaccompagni la mattina a scuola: in questa
maniera si evita la bambino questa forzatura e gli si risparmia di assistere al probabile litigio fra padre e madre. Il migliore interesse per
il bambino è quello di non assistere a genitori che litighino, a non fare
viaggi inutili e soprattutto, come prescrive del resto la legge, ad avere
rapporti continui e assidui con entrambi i genitori, non invece ad avere
un unico domicilio ed un’unica cameretta.
Il problema della “doppia cameretta” potrebbe (e spesso è) essere
semmai – nell’ottica prima descritta in cui occorre tenere in considerazione l’interesse dei figli ma anche quello dei genitori – di carattere
economico (si pensi anche alla necessità in questo caso di disporre inevitabilmente di un maggiore numero di giochi, vestiti etc.), in quanto mentre l’ipotetico padre presso cui il figlio non è mai collocato di
notte potrà, nell’allontanarsi da casa, prendere anche solo un monolocale o arrangiarsi in qualche altro modo (es. presso amici), nel caso
in cui debba offrire una sistemazione al figlio per la notte è evidente
che tale impegno comporta un esborso economico significativo (dovrà
ad esempio prendere in affitto un bilocale o addirittura una soluzione
abitativa di un livello comparabile a quello per ipotesi elevato in cui
viveva il figlio prima della separazione dei genitori). Si ritiene tuttavia
che, anche nel caso in cui il figlio fosse abituato ad un tenore di vita elevato in costanza di matrimonio dei genitori, sia per lui più importante
mantenere un rapporto significativo con entrambi i genitori (ove trascorrere delle notti sia col padre che con la madre risulta evidentemente fondamentale) più che mantenere il medesimo tenore di vita avuto
in costanza di matrimonio. Lasciare il bambino a dormire sempre solo
con uno dei genitori dovrà dunque costituire solo l’extrema ratio, quando problemi economici o logistici insormontabili (o il cui superamento
finirebbe per incidere indirettamente sul benessere del figlio stesso)
consiglino di lasciare fisso il bambino nel suo domicilio originario. Peraltro anche quest’ultima soluzione consente, anche se con difficoltà
e disagi maggiori per il bambino, al genitore presso cui il figlio non
dorme di intrattenere rapporti significativi con lui. Si immagini infatti
ad esempio una situazione in cui il padre lavori fuori casa e la madre
830
The best interest of the child
in casa: in tal caso, e in presenza di una situazione economica che non
consente al bimbo di avere una “doppia cameretta”, la madre potrebbe
avere con sé il figlio durante il giorno e il padre la sera, la notte e la
mattina con il compito di accompagnarlo a scuola.
In effetti, l’affidamento in toto o in gran parte dei figli alla madre
aveva una sua – sia pur parziale – ragion d’essere in passato quando
le famiglie erano prevalentemente organizzate sul modello appena descritto, ove il padre lavorava fuori casa e la madre faceva la casalinga. In
realtà però si è appena osservato che anche tale modello organizzativo
familiare – peraltro non del tutto superato – permette ugualmente un
collocamento del figlio equilibrato fra i due genitori, qualora si consentisse al padre di avere con sé il figlio dalla sera fino alla mattina a scuola
e poi – nel caso di problemi economici superabili – i fine settimana.
Come già osservato, negli ultimi anni, sia pure con molta fatica
ed a seguito del mutamento del costume sociale, per cui ormai sempre più spesso a lavorare fuori casa sono sia il padre che la madre,
si sta ormai superando l’idea che la madre sia l’unica figura di riferimento per i primi anni di vita dei minori. Il Tribunale di Milano25,
ha ad esempio affermato che “la genitorialità si apprende facendo
i genitori e dunque, solo esercitando il ruolo genitoriale una figura
matura e affina le proprie competenze genitoriali; il fatto che, al cospetto di una bambina di due anni, un padre non sarebbe in grado
di occuparsene, è una conclusione fondata su un pregiudizio che
confida alla diversità (e alla mancanza di uguaglianza) il rapporto
che sussiste tra i genitori”.
Volendo indagare se al dato statistico dell’affidamento del figlio
prevalentemente presso la madre corrisponda un qualche supporto
normativo potrebbe innanzitutto pensarsi al principio di uguaglianza
nella sua declinazione più controversa e complessa, ossia al corollario
secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale26 (in
ipotesi mediante un affidamento prevalente presso la madre) situazioni
diseguali (la madre avrebbe una maggiore affinità con i bambini e sarebbe più adatta naturalisticamente a trascorrere del tempo con loro).
25
Trib. Milano, IX sez., decr. 14 gennaio 2015, in Dejure Giuffrè 2015.
26
Cfr. ad esempio Corte cost. n. 262 del 2009, secondo cui il principio di
uguaglianza comporta che, se situazioni uguali esigono uguale disciplina, situazioni
diverse possono richiedere differenti discipline.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
831
Questa diseguaglianza potrebbe spiegarsi più concretamente rilevando che, oggettivamente, durante la gravidanza e l’allattamento, il
rapporto del nascituro prima e del neonato poi è molto più stretto con
la madre che col padre.
In effetti, nella legge n. 194 del 1978 in tema di aborto e nella successiva elaborazione giurisprudenziale la donna appare il dominus assoluto,
l’arbitro unico e indiscusso dei destini del figlio: il ruolo del padre durante la gravidanza è ridotta a figura di secondo piano da ascoltare eventualmente e quasi clandestinamente nel consultorio, senza alcun potere.
Il suo è, al più un parere non vincolante, e non ha alcun potere di veto.
Di recente, inoltre, la Cassazione ha riconosciuto il danno da nascita indesiderata anche al padre27, ma non sotto il profilo del danno non
patrimoniale consistente nel non aver desiderato il bambino e nell’aver
voluto l’aborto, ma soltanto sotto il profilo patrimoniale dell’impegno
economico che deriva dalla nascita di un figlio. Anzi la Cassazione è
esplicita nel negare qualsiasi diritto del padre a chiedere l’aborto (“certamente non esiste un diritto del padre del nascituro ad interrompere
la gravidanza della gestante”)28, mentre l’ipotesi inversa, quella del padre che vorrebbe il bambino e la madre che vuole abortire, neppure è
stata mai vagliata dalla Corte di Cassazione.
Si tratta di un argomento estremamente delicato ma riterrei che la
donna nel decidere in merito all’aborto debba avere un ruolo preminente, ma non esclusivo (tranne il caso naturalmente di violenze subite
dalla donna).
Tuttavia, se l’uomo non vuole che la donna abortisca e dimostri di
avere i mezzi economici per poter mantenere il nascituro mentre la
donna vuole abortire, quest’ultima dovrebbe essere responsabilizzata
e per lo meno risarcire il danno non patrimoniale all’uomo per non
avere avuto un bambino da lui concepito e che avrebbe avuto la possibilità di crescere anche da solo. Al contempo però la donna che sappia
chi è il padre del nascituro non deve essere lasciata sola, e se vuole
abortire deve essere pienamente informata del dovere costituzionale
del padre di occuparsi del bambino e della sua pari responsabilità nei
confronti di quest’ultimo.
27
Cass. 5 febbraio 2018, n. 2675.
28
Così Cass. 1° dicembre 1998, n. 12195; analogamente Cass. 29 luglio 2004, n. 14488,
secondo cui “trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla
madre”.
832
The best interest of the child
Probabilmente è da questa concezione del bambino come frutto di
una decisione esclusiva della madre che discende, più o meno inconsapevolmente, una maggiore considerazione della madre, come se fosse
lei, più del padre, “proprietaria”, responsabile, del bambino (quando
invece, con la riforma, la responsabilità genitoriale, con tutti i doveri
che comporta, è acquistata a pieno titolo da entrambi i genitori fin dalla nascita del figlio).
Quanto all’allattamento, è fuori discussione l’importanza preminente del ruolo della madre, riconosciuto anche dal citato art. 37, comma 1, seconda parte, della Costituzione, secondo cui “Le condizioni di
lavoro [della donna] devono consentire l’adempimento della sua essenziale
funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”. Tuttavia, mettendo da parte l’ipotesi di optare, pur di favorire un collocamento paritario del piccolo, per un allattamento artificiale in quanto non rispondente all’interesse preminente del bambino,
ugualmente ben possono prevedersi ampi spazi per il padre per stare
con il neonato nei momenti in cui il figlio non deve essere allattato. È
evidente poi che, una volta terminato l’allattamento, nessuna necessità
ulteriore può portare a negare al padre un ruolo paritario rispetto alla
madre nei confronti del bambino.
4. L’uguaglianza tra madre e padre
Tirando le fila del discorso, sembra che quello di cui più hanno bisogno i figli siano affetto e tempo nonché di punti di riferimento stabili
che siano in grado di impartirgli una educazione coerente e ragionevole. I bambini hanno bisogno di essere seguiti e avere negli adulti
dei soggetti su cui poter contare, mentre per loro non è fondamentale
l’esigenza di avere una sola cameretta o di non fare i “pacchi postali”: è
evidente poi che, mano mano che essi crescano, dovrà vieppiù tenersi
conto delle loro personali esigenze e preferenze, anche logistiche. Un
sicuro punto fermo però è che, per la legge, davanti ai figli i genitori
sono perfettamente uguali e del resto anche la Corte costituzionale ha
affermato “il principio di parità tra uomo e donna, il quale assume
primazia indefettibile”29.
29
Cfr. Corte cost. n. 193 del 2017, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5 della legge della provincia di Bolzano n. 33 del 1978 il quale prevedeva
la prelazione maschile alla successione nell’assunzione del maso chiuso, appunto
perché in contrasto con l’art. 3 Cost.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
833
Deve altresì considerarsi che il figlio di genitori separati o divorziati ha
comunque un rapporto con i genitori complessivamente ridotto perché
non ha mai la possibilità di stare con loro contemporaneamente, di godere di entrambi in uno stesso tempo, di dialogare con loro in un contraddittorio immediato. I figli necessitano pertanto di trascorrere un tempo
significativo e di avere un contatto quotidiano (almeno telefonico!) con
entrambi i genitori, cosicché la soluzione dell’affido condiviso e del collocamento (esclusivo o nettamente prevalente) presso uno solo dei genitori
è una soluzione che non fa il bene del bambino, deresponsabilizza troppo
il genitore non collocatario e grava di troppe responsabilità il genitore collocatario. E quale credibilità – lo si è già sottolineato – potrà avere il genitore non collocatario o che trascorre a solo un week-end a settimane alterne
e due ore in mezzo alla settimana col figlio, nella scelta dello sport, della
scuola, sul se fare vacanze all’estero, nel consigliargli l’università?
Inoltre, se i genitori sono i primi a non essere soddisfatti della soluzione relativa al collocamento dei figli perché il tempo che trascorrono
con loro è troppo poco o troppo, i primi a rimetterci da questa situazione
saranno i figli, perché i genitori avranno meno tempo per loro oppure
questo tempo non sarà realmente partecipato e condiviso; dal punto di
vista delle condizioni economiche nei rapporti fra genitori, se l’accordo
di separazione o divorzio è troppo oneroso per uno dei due coniugi,
questi proverà rancore per l’altro e tale circostanza, creando continuamente tensioni e occasioni di lite, inciderà inevitabilmente sul figlio.
The best interest of the child è dunque quello ad un assetto relativo al
suo affidamento soddisfacente per entrambi i genitori e a di ricevere continuamente affetto ed una educazione responsabile e conseguentemente
trascorrere più tempo possibile con entrambi i genitori e con i nonni (e,
nei limiti del possibile, con zii e cugini30), anche se questo debba apparentemente determinare dei sacrifici materiali per i bambini stessi, specie
per quanto riguarda la perdita dell’unicità del domicilio e quindi la circostanza di avere una “doppia cameretta”31. In questa prospettiva, sembra
30
Cfr. M. Bianca, Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti,
in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 161.
31
Cfr. però Cass. 10 giugno 2005 n. 12295, sentenza che insiste circa l’esigenza di garantire
l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli
affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al
fine di evitare loro l’ulteriore trauma di un allontanamento dal luogo ove si svolgeva la
loro esistenza e di assicurare una certezza e una prospettiva di stabilità in un momento
di precario equilibrio familiare; tuttavia, sulla circostanza che tale esigenza sia valutata
alla luce della preferenza normativa per il modello dell’affidamento condiviso cfr. C.
834
The best interest of the child
che l’unico elemento di reale discrimine nel decidere in maniera diversa
rispetto ad un collocamento paritario fra i due genitori e che costituisce
espressione del principio di cui all’art. 3 Cost. secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diversa situazioni diverse possa essere una
significativamente ridotta disponibilità di tempo di un genitore rispetto
all’altro, che effettivamente gli impedisca di avere rapporti continuativi
con il figlio. Tale minore disponibilità di tempo non può però diventare
una “scusa” per il genitore più “impegnato” per sottrarsi alla sua responsabilità genitoriale, né d’altra parte può diventare un argomento a favore
del coniuge “più libero” per avere per sé il bambino più tempo32. Si è infatti evidenziato che anche il genitore che lavori fuori casa tutto il giorno
ha la possibilità di trascorrere del tempo molto significativo con il figlio
(la sera fino ad accompagnarlo a scuola il giorno dopo, il fine settimana, le vacanze), mentre dovranno essere valutate con rigore le esigenze
lavorative del genitore che lavori in una città diversa da quella dove si
trovano i principali interessi del figlio (fondamentalmente la scuola e l’altro genitore). L’art. 30 della Costituzione infatti sottolinea chiaramente che
il principio di bigenitorialità costituisce sì un diritto ma anche un dovere
per i genitori33, cui quindi corrisponde un diritto del figlio, da soddisfare
Petta, La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento provvisorio di
assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p. 145.
32
In tale prospettiva sembra equilibrato il principio affermato dalla Cassazione secondo
cui il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale
della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio
nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato
tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno
precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva,
attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché
della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e
familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del
principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella
vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni
affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza,
educazione ed istruzione. Nella specie, la Cassazione ha confermato la sentenza di
merito che, nell’ambito dell’affidamento condiviso di un minore, aveva ritenuto di
collocarlo preferibilmente presso il genitore il cui nucleo familiare, in quanto composto
esclusivamente da adulti, avrebbe potuto prestargli maggiori attenzioni, garantendo
al contempo al genitore non collocatario, pur residente in altra città, ampi periodi di
tempo per tenere il figlio presso di sé: Cass. 23 settembre 2015, n. 18817.
33
Cfr. E. Lamarque, Commento all’art. 30 della Costituzione, in R. Bifulco – A. Celotto
– M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, la quale sottolinea
che non è mai opportuno scindere il diritto dei genitori dal relativo dovere, poiché
lo stesso diritto non è altro che una “funzione” da svolgere nell’interesse dei
figli; analogamente P. Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in Aa.Vv.,
L’autonomia del minore tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 242.
L’interesse del minore alla bigenitorialità
835
nei limiti di ciò che è ragionevolmente fattibile, a godere di entrambi e in
maniera paritaria.
Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale la disponibilità di
tempo, la disponibilità a trattare e a venirsi incontro, la collaborazione
e l’impegno di tutti i protagonisti “tecnici” nella decisione circa l’affidamento e il collocamento dei figli, ossia giudici e avvocati.
È infatti innanzitutto fondamentale il lavoro svolto dagli avvocati “fuori dell’udienza” nello stemperare il rancore e l’astio dei genitori
e renderli consapevoli che è interesse precipuo del minore (e quindi, si
spera, anche del genitore “rancoroso”) quello ad avere una immagine positiva anche dell’altro coniuge e un rapporto continuativo anche con lui.
Sia i giudici che gli avvocati poi, per poter assicurare realmente the
best interest of the child, devono poter disporre di un tempo sufficiente
per approfondire le peculiarità del nucleo familiare che si è frantumato34 in modo da poter offrire delle soluzioni adeguate, ragionevoli e rispondenti alla particolarità della concreta situazione: del resto è la stessa
Cassazione a sezioni unite in tema di divorzio che ci insegna che “alla
pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni
personali conseguenti allo scioglimento del vincolo”. Sono infatti troppi
i procedimenti di separazione e divorzio in cui siano coinvolti minori
fissati nello stesso giorno davanti ad uno stesso giudice perché possano
essere trattati con la serenità, la tranquillità e il tempo che meritano.
Bibliografia
Bianca M., Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in
S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 161
Caineri M., Madre ostacola la bigenitorialità: nessuna conseguenza automatica sulla
collocazione del minore, in Il familiarista, 2018
Dell’osta L., Vaccini obbligatori: in caso di conflitto tra coniugi il Giudice può ordinare la vaccinazione, in Il familiarista, 2018
Lamarque E., Commento all’art. 30 della Costituzione, in R. Bifulco – A. Celotto
– M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006
Petta C., La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento
provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p.145
Zatti P-, Rapporto educativo e intervento del giudice, in Aa.Vv., L’autonomia del
minore tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 242
34
Cass., SU, 11 luglio 2018, n. 18287.
Il diritto del minore all’abitazione.
Profili pubblicitari.
Giampaolo Frezza
Sommario: 1. The best interest of the child, diritto all’abitazione e profili
pubblicitari. – 2. Trascrizione della domanda di assegnazione della casa
familiare. – 3. Trascrizione del provvedimento assegnativo (provvisorio e definitivo). – 4. Negoziazione assistita, diritto abitativo e tutela
degli interessi dei figli: profili pubblicitari.
1. The best interest of the child, diritto all’abitazione
e profili pubblicitari
Il tema oggetto dell’importante convegno organizzato dalla Prof.ssa
Mirzia Bianca – alla quale va rivolto un plauso per l’eccellente iniziativa – si presta ad essere analizzato non solo riguardo alle questioni,
davvero numerose e importanti sotto il profilo valoriale, poste dallo
studio delle fattispecie sostanziali di riferimento, come già trattato nelle relazioni che mi hanno preceduto e in quelle che seguiranno.
Vi sono aspetti attinenti al c.d. best interest of the child1 che possono
essere approfonditi anche riguardo alle problematiche riguardanti le
1
Sul miglior interesse del minore, in generale e in particolari ipotesi applicative, vedi
G. Sciancalpore, L’interesse del minore nel giudizio di cui all’art. 274 c.c., in Rass. dir.
civ., 1992, p. 841 ss.; G. Ballarani, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento
condiviso, esclusivo e mutamenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento
condiviso, Milano, 2006, p. 29 ss.; A. Cordiano, La dichiarazione di incostituzionalità
dell’art. 274 c.c. e i problemi di coordinamento con il rinvio operato dall’art. 279 c.c.:
l’interesse del minore come una questione aperta, in Rass. dir civ., 2008, p. 915 ss.; G.
Spadaro – S. Chiaravallotti, L’interesse del minore nella mediazione familiare, Milano,
2012; A. Redi, L’interesse del minore al consolidamento del legame affettivo instaurato con
la famiglia affidataria: l’«adozione mite», in Le Corti Umbre, 2013, p. 829 ss.; E. Moscati,
Il minore nel diritto privato da soggetto da proteggere a persona da valorizzare (contributo
allo studio dell’“interesse del minore”), in Dir. fam. pers., 2014, p. 1141 ss.; E. Giacobbe,
838
The best interest of the child
segnalazioni da realizzarsi mediante trascrizione. Si pensi, ad esempio,
alla pubblicità del provvedimento di assegnazione della casa familiare2.
Nell’ambito del presente intervento non ci occuperemo delle questioni attinenti alla nozione di casa familiare3, né ci sembra opportuno
trattare le problematiche, pur importanti, connesse con la individuazione della ratio sottesa all’emanazione di un simile provvedimento,
presupponendo che l’interesse all’assegnazione, ex art. 337 sexies c.c.,
sia quello dei figli – specie se minorenni – a mantenere il c.d. habitat
domestico4.
Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni sulla riforma
“Bianca”, ivi, 2014, p. 817 ss.; F. Astone, Sul “diritto” di mantenere rapporti significativi
con i nipoti, tra best interest del minore e nuove aspettative degli ascendenti, in Giur.
cost., 2015, p. 1610 ss.; M. Porcelli, Accertamento della filiazione e interesse del minore,
Napoli, 2016; G. Corapi, La tutela del superiore interesse del minore, in Dir. succ. fam.,
2017, p. 777 ss.; M. Interlandi, Potere amministrativo e tutela delle relazioni familiari,
tra esigenze di ordine pubblico e «superiore interesse» del minore straniero, in www.
giustamm.it, 2017; S. Serravalle, Maternità surrogata, assenza di derivazione biologica
e interesse del minore, Napoli, 2018. La considerazione, e ancor prima la definizione,
dell’interesse del minore accompagna l’intera densa trattazione di A. Sassi – F.
Scaglione – S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Torino, 2018; vedi,
ancora, C. Petta, La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento
provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p. 145 ss.; M. Di
Masi, L’interesse del minore quale unica certezza nell’odierno diritto di famiglia, in Comp.
dir. civ., 2019, p. 109 ss.; L. Delli Priscoli, The best interest of the child nel divorzio fra
affidamento condiviso e collocamento prevalente, in Dir. fam. pers., 2019, p. 262 ss.
2
Recente trattazione e riferimenti in A. Ciatti Càimi, Della trascrizione degli atti relativi a
beni immobili, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2018, p. 173 ss.
3
Può discutersi, sul piano teorico, sulla natura giuridica del bene “casa familiare”, con
particolare riguardo alla sua qualificazione quale “bene con vincolo di finalizzazione”
o “bene destinato ad uno scopo”. Nel silenzio normativo, il fondamento di detta
finalizzazione non può oggi fondarsi, come autorevolmente sostenuto, sul regime
di contribuzione solidale ai bisogni della famiglia (art. 143, comma 3, c.c.), o sul
principio, ad esso sovrastante e costituzionalmente rilevante (art. 29, 30, 31 Cost.),
della solidarietà coniugale (A. Di Majo, Doveri di contribuzione e regime dei beni nei
rapporti patrimoniali tra i coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 365, 366.). Siffatta
ricostruzione deve essere, a nostro avviso, disattesa, perché l’assenza di strumenti
normativi a tutela della finalizzazione condannerebbe il vincolo di destinazione ad
operare solo a livello enunciativo o su piano meramente descrittivo. D’altra parte,
la via per la configurazione di un ipotetico vincolo di destinazione a carattere
reale sulla casa deve considerarsi puramente teorica ed astratta alla luce del dato
normativo di cui all’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, ultima parte, il quale richiama
ai fini dell’opponibilità, oltre alla trascrizione del provvedimento, anche l’art. 1599
c.c., e, dunque, un regime speciale di trascrizione rispetto alla regola generale di cui
all’art. 2644 c.c. Sulla categoria dei vincoli di destinazione insuperata è l’opera di M.
Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996.
4
In generale, sul tema della casa familiare si vedano, di recente, F. Dell’Anna
Misurale, La casa nelle vicende familiari, Napoli, 2018, ove riferimenti aggiornati;
G. Carapezza Figlia – J.R. De Verda y Beamonte – G. Frezza – P. Virgadamo,
Il diritto del minore all’abitazione
839
Cercheremo di chiarire, invece, i profili pubblicitari legati alla trascrizione della domanda giudiziale, dell’ordinanza data dal Presidente
del Tribunale in seno ai provvedimenti urgenti e, inoltre, del provvedimento finale (le sentenze di separazione e di divorzio). Qualche cenno, infine, sarà dedicato alla negoziazione assistita e alla trascrizione
dell’accordo che contiene la costituzione del diritto abitativo a tutela
degli interessi dei figli.
2. Trascrizione della domanda di assegnazione
della casa familiare
Si discute sulla trascrivibilità della domanda di assegnazione della
casa familiare in caso di separazione, di divorzio, di annullamento, di
nullità del matrimonio e, infine, nei procedimenti riguardanti i figli
nati al di fuori del matrimonio.
Data la carenza di una disposizione tipica, la giurisprudenza propone un’interpretazione sistematica in “forza dei principi desumibili
dagli artt. 2652 e 2653 c.c.” e ciò allo scopo di colmare “una lacuna
dell’ordinamento, in totale contrasto con le esigenze di tutela del coniuge assegnatario”5. Si osserva, in tale direzione, che la risposta positiva al quesito avente ad oggetto l’ammissibilità di una simile formalità
pubblicitaria discende dall’interpretazione coordinata degli artt. 2643
(Atti soggetti a trascrizione), 2652 (Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione) e, infine, 2653 (Altre domande e atti soggetti a trascrizione a diversi effetti) c.c.6.
(cur.), La casa familiare nelle esperienze giuridiche latine, Napoli, 2016; R. Marini, Il
diritto all’abitazione nei rapporti familiari, Napoli, 2012; R. Franco, Opponibilità dei
provvedimenti di assegnazione della casa coniugale, Napoli, 2016. Nel senso del testo, in
giurisprudenza, vedi di recente: Cass. 12 ottobre 2018 n. 25604; Cass. 4 ottobre 2018
n. 24254; Cass. 3 novembre 2017 n. 5002. Per i criteri di assegnazione della casa e la
prova della sussistenza del collegamento della prole con il c.d. habitat domestico,
Cass. 6 maggio 2019 n. 11844. Nella giurisprudenza di merito può segnalarsi, di
recente, Trib. Torre Annunziata 7 maggio 2018 n. 1082, secondo cui in caso di
separazione personale dei coniugi, la casa familiare, in mancanza di figli minorenni
o non economicamente autonomi, non può essere assegnata alla parte più debole
perché tale assegnazione non costituisce una misura assistenziale.
5
Trib. Venezia 20 luglio 1993, in Giust. civ., 1994, I, p. 262; Trib. Milano 26 aprile 1997,
in Dir. fam. pers., 1999, p. 699. Aderiscono all’orientamento Trib. Ascoli Piceno 17
ottobre 2002, in Rep. Foro it., 2004, v. Trascrizione, n. 29; Trib. Genova 3 maggio 2001,
in www.affidamentocondiviso.it.
6
A. Fraccon, Trascrivibilità della domanda giudiziale di assegnazione della casa familiare,
in Dir. fam. pers., 1999, p. 670.
840
The best interest of the child
Quello proposto è, però, dal punto di vista delle segnalazioni da
realizzarsi mediante trascrizione immobiliare, un “non-argomento”7.
Tale sistema pubblicitario, infatti, è informato ai principi di certez8
za e di tipicità9, onde, in tale ottica, si esclude l’ammissibilità di interpretazioni sistematiche e analogiche, mentre quella estensiva è considerata ammissibile “entro limiti di strettissima attinenza”, tenendo in
considerazione “l’eccezionalità delle norme sulla trascrizione e l’assoluta vaghezza del limite che la separa dall’analogia”10.
L’impostazione ci è apparsa, in più d’una occasione, condivisibile11:
la tassatività degli artt. 2652 e 2652 c.c. opera, infatti, nel contesto della
trascrizione delle domande giudiziali in funzione prenotativa, cautelare e provvisoria rispetto all’efficacia ultra partes della sentenza che le
accoglie nel merito. Diversamente, la formalità di cui all’art. 2643 c.c.
attiene agli effetti degli atti (rectius: contratti) tipizzati in tale disposizione, effetti che sono però definitivi e non provvisori, in punto di
opponibilità ai terzi12.
7
L’espressione è di F. Gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della
domanda giudiziale, in Dir. fam. pers., 2008, p. 742 ss.
8
Corte cost. 6 aprile 1995 n. 115, in www.cortecostituzionale.it.
9
Cass. 30 agosto 2004 n. 17391, in Foro it., 2005, I, 411.
10
F. Gazzoni La trascrizione degli atti e delle sentenze, in E. Gabrielli – F. Gazzoni
(dir.), Trattato della trascrizione, I, t. I, Torino, 2012, p. 90. Non è certo questa la sede
per sintetizzare il dibattito dottrinale sulla tipicità, o tassatività che dir si voglia,
del sistema della trascrizione. A favore dell’impostazione tradizionale, oltre
all’autorevole dottrina poc’anzi citata, vedi N. Coviello, Della trascrizione, I, rist.,
Napoli-Torino, 1924, p. 243 ss.; A. Ciatti Càimi, op. loc. cit. Aperture in G. Gabrielli,
La pubblicità immobiliare, in R. Sacco (dir.), Trattato di diritto civile, Torino, 2012, p. 43
ss.; C. Maiorca, Della trascrizione degli atti relativi agli immobili (Art. 2643-2672), in M.
d’Amelio – E. Finzi (dir.), Commentario del codice civile, Libro della tutela dei diritti, XXI,
Firenze, 1943, p. 180 ss. Per un sistema aperto e atipico, vedi, invece, G. Petrelli,
Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi pubblici, in Rass.
dir. civ., 2009, p. 689 ss.; Id., L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione
immobiliare, Napoli, 2009, p. 37 ss.; AA.VV., Pubblicità degli atti e delle attività, Atti
dell’VIII Convegno nazionale della Sisdic, Napoli, 2014, p. 7 ss., ed ivi, vedi, in
particolare, la sintesi, a favore dell’apertura, riconducibile ad autorevole dottrina: P.
Perlingieri, Chiusura dei lavori, in op. ult. cit., p. 493 ss.
11
G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile
Commentario, (dir.) da Milano, 2014, p. 51 ss.; Id., Annotazioni, cancellazioni, titolo
e nota di trascrizione. Formalità e procedimento, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile
Commentario, Milano, 2017, p. 14 ss.; Id., Pubblicità accessorie tra tipicità e atipicità, in
Riv. dir. civ., 2018, p. 1092 ss.
12
Approfondimenti in G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, cit., p. 87 ss.
Il diritto del minore all’abitazione
841
L’impressione che si ricava dalla lettura della citata giurisprudenza di
merito è quella, invece, di una corrispondenza necessaria e biunivoca fra
gli atti soggetti a trascrizione e la trascrizione delle domande giudiziali.
Corrispondenza che, per essere tale, dovrebbe essere prevista dal
legislatore: da qui, la necessità di indagare a quale delle ipotesi di cui
all’art. 2652 c.c., in linea teoria, ci si debba riferire, in via di interpretazione estensiva, per individuare il meccanismo sotteso alla trascrizione
della domanda di assegnazione13.
Un orientamento del giudice del merito afferma che, in astratto,
“solo la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in
forma specifica dell’obbligo di contrarre o della domanda diretta ad
ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione di scritture private in cui è contenuto un atto soggetto a trascrizione o iscrizione, di
cui all’art. 2652, nn. 2 e 3, c.c.” sia “strumentale ad anticipare gli effetti
di cui all’art. 2644 c.c.”, onde a quelle disposizioni occorrerebbe riferirsi
per ammettere la segnalazione pubblicitaria della quale qui si discute14.
I casi tipizzati dall’art. 2652 nn. 2 e 3 c.c., però, sono “alquanto peculiari e non certo suscettibili di un’interpretazione estensiva alla domanda di
assegnazione della casa coniugale, proposta nel corso del procedimento
di separazione o divorzio, ma, al massimo, di una alquanto problematica
applicazione in via analogica al caso in esame, che, tuttavia, non risulta
compatibile con il principio di tipicità della trascrizione delle domande
giudiziali”. Onde, in sintesi, l’intrascrivibilità della relativa domanda.
Per superare tale impasse, due sono le soluzioni proposte.
Autorevole dottrina argomenta dall’interpretazione estensiva
dell’art. 2652 n. 2 c.c., affermando che, poiché ogni sentenza costitutiva dovrebbe rientrare nell’ambito di applicabilità di tale disposizione
(attraverso l’effetto prenotativo riconducibile alle segnalazioni pubblicitarie ivi tipizzate), sarebbe irrazionale escludere la trascrizione della
domanda di assegnazione dell’abitazione che tende ad una provvedimento finale, appunto, di natura costitutiva (ovvero la sentenza di separazione e di divorzio)15.
13
Si esclude dalla nostra indagine l’analisi dell’art. 2653 c.c., ove la trascrizione delle
domande e degli atti ivi tipizzati è alquanto “eterogenea” e ciò non consente alcun
parallelismo, neppure quello operante su un piano meramente descrittivo, con la
fattispecie oggetto dell’indagine di cui qui al testo. Sul punto, G. Frezza, Trascrizione
delle domande giudiziali, cit., p. 65 ss.; p. 413 ss.
14
Trib. Pisa 27 febbraio 2008, in Dir. fam. pers., 2008, p. 737.
15
G. Gabrielli, Pubblicità dei diritti di abitazione, reali e personali, nei registri immobiliari
842
The best interest of the child
In senso contrario, si è rilevato che “il provvedimento di assegnazione ha (…) un’evidente rilevanza circolatoria ai fini di cui all’art. 2644
c.c., sicché si è del tutto al di fuori dell’ipotesi di diritto potestativo
seguito da sentenza, come nel caso della servitù coattiva. Ne consegue
che la domanda potrà essere trascritta solo se rientrante a pieno titolo
nella previsione dell’art. 2652 n. 2 c.c., se, cioè, si ipotizza un obbligo a
contrarre”16.
Tale sarebbe l’obbligo dei genitori di procurare un tetto ai loro figli,
nella fase patologica del menàge familiare, “onde il genitore proprietario che non conviverà con i figli, pur se l’affidamento sarà condiviso, è
obbligato per legge a garantire tale continuità, mediante, innanzi tutto,
la stipula di un atto di godimento, legato, temporalmente, all’autosufficienza economica dei figli stessi”; atto condizionato sospensivamente,
e con esplicita menzione della condizione, al provvedimento di assegnazione e “la cui natura è quella sessa del c.d. definitivo, in punto di
titulus-modus e di possibile struttura unilaterale”17. Presupposto del ragionamento riferito è l’autonoma trascrivibilità di tale contratto atipico
di godimento attuativo dell’obbligo (legale) di mantenimento diretto
dei figli, la cui causa deve rinvenirsi nella separazione dei coniugi. Trascrivibilità che non dovrebbe oggi negarsi, sempre secondo tale impostazione, alla luce dell’introduzione dell’art. 337 sexies, comma 1, c.c.
L’orientamento descritto non merita di essere condiviso perché la
fattispecie legale costitutiva di tale (presunto) obbligo è non solo quella di cui all’art. 337 sexies, comma 1, c.c., ma anche quella rilevante ex
art. 337 ter, comma 2, c.c. Quest’ultima disposizione prevede il coordinamento, in merito alle condizioni di affidamento – e, dunque, anche
riguardo all’assegnazione della casa – tra l’accordo dei coniugi e l’intervento del giudice, intervento che, però, non si situa sul piano degli
effetti, come vorrebbe la teoria in esame allorché parla di condizione,
ma su quello della fattispecie.
del codice civile e nei libri fondiari, in Vita not., 2003, p. 583, seguito da P. Sirena,
L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge
sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 559 ss.
16
F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica
dell’obbligo a contrarre, in E. Gabrielli – F. Gazzoni (dir.), Trattato della trascrizione, II,
La trascrizione delle domande giudiziali, Torino, 2014, p. 113.
17
F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica
dell’obbligo a contrarre, cit., p. 114.
Il diritto del minore all’abitazione
843
L’art. 337 ter, comma 2, c.c., nella parte che qui ci occupa, deve, infatti, coordinarsi con gli artt. 147, 148, 158, comma 2, c.c., 6, comma 2, l.
n. 898 del 1970 e 30 Cost. e da tale coordinamento risulta ineliminabile,
a nostro avviso, il sindacato del giudice su tali accordi, quale coelemento perfezionativo della fattispecie normativa.
A nulla vale ribadire, in senso contrario, che “anche l’omologazione degli accordi di separazione opera alla stregua di una condicio iuris
esterna”18, perché in tal modo si porrebbero sullo stesso piano il provvedimento omologativo emesso dal giudice della separazione consensuale e la sentenza costitutiva data in sede di separazione giudiziale,
equiparazione che non può giustificarsi attesa la loro differenza tanto
strutturale quanto funzionale.
Tale equiparazione, allora, se può operare su un piano meramente
descrittivo, non risolve alla radice, a nostro avviso, la critica che deve
rivolgersi all’orientamento in esame, il quale sembra snaturare la fattispecie sostanziale di riferimento per adattarla alle necessità della trascrizione della domanda di assegnazione.
Se quanto argomentato porta ad escludere l’ammissibilità di una
simile segnalazione19, l’unica via che residua è quella di sperare che sia
sollevata una questione di costituzionalità: tale tentativo, a ben vedere,
è stato già esperito con esiti, tuttavia, negativi.
La Corte Costituzionale ha dichiarato, invero, inammissibile, “per
difetto di legittimazione del giudice rimettente”, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 155 quater (allora vigente, oggi 337 sexies
18
F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo
a contrarre, cit., p. 115 ss. In un altro scritto (Frezza G., Casa familiare, in G. Ferrando
– M. Fortino – F. Ruscello (cur.) Famiglia e matrimonio, II, Separazione – Divorzio, in
P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, I, Milano, 2011, p. 1763) sono state rivolte
critiche molto più dettagliate alla prospettiva qui in analisi (articolata, nella sua
prima stesura, in F. Gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della
domanda giudiziale, cit., p. 742 ss.), a cui l’Autore ha risposto in Id., La domanda
diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre,
cit., p. 115 ss. Le argomentazioni di replica appaiono fondate, onde in questa sede
vale la pena riportare solo quella che, a nostro avviso, resta insuperata.
19
Secondo G. Palazzolo, Il difficile problema della trascrizione della domanda di assegnazione
della casa familiare tra regole sostanziali e processo, in Fam. pers. e success., 2009, p. 841, la
questione di cui qui al testo deve essere risolta non attraverso il richiamo alle norme
sulla trascrizione, ma a livello di fattispecie normativa primaria: si ritiene che il negozio
di alienazione dell’immobile già adibito a casa familiare, vincolato all’interesse dei figli
alla conservazione dell’habitat domestico, debba essere considerato quale contratto
in frode alla legge, suscettibile, al verificarsi dei presupposti legali, di revocatoria
ordinaria, anche se, lo ammette lo stesso Autore, in assenza di una norma tipica in tal
senso il rimedio è sottoposto all’incertezza del giudizio.
844
The best interest of the child
c.c., n.d.r.), 2652 e 2653 c.c., sollevata in riferimento agli art. 3, 24, 29, 30
e 31, Cost., nella parte in cui tali norme non contemplano la trascrivibilità della domanda giudiziale di assegnazione della casa familiare contenuta in un ricorso per separazione giudiziale”, perché “le questioni
incidentali di legittimità costituzionale (…) possono essere sollevate
dal giudice esclusivamente nel corso di un procedimento avente carattere giurisdizionale, mentre nella specie la questione è stata sollevata
nel corso del procedimento (di cui agli art. 2674 bis c.c. e 113 ter disp.
att. c.c.) originato dal ‘reclamo’ proposto al Tribunale, a seguito della
trascrizione con riserva, per conservare gli effetti della formalità, procedimento di natura amministrativa, che non comporta esplicazione di
attività giurisdizionale e il cui provvedimento conclusivo non è idoneo
a passare in giudicato”20.
Sembra, dunque, che la Corte non sia voluta entrare nel merito delle questioni, trincerandosi dietro argomentazioni sicuramente “pretestuose”, onde, in concreto, si discute se possa residuare la strada del
sequestro giudiziale o conservativo dell’immobile, soluzione esclusa,
però, dalla giurisprudenza di merito21.
Può allora, capitare, a livello pratico, che dopo la data del deposito
del ricorso per separazione personale (contenente la richiesta di assegnazione) e prima della pronuncia dell’ordinanza del Presidente del
Tribunale, il coniuge proprietario dell’immobile possa “essere in procinto di alienare”, con danno irreparabile per la prole. Per scongiurare
tale ipotesi, la giurisprudenza ritiene ammissibile, con argomentazione che sembra essere ispirata alla tutela del c.d. best interest of the child,
la richiesta di un provvedimento cautelare di urgenza ex art. 700 c.p.c.
di assegnazione, e ciò in attuazione del principio generale “di agire
prontamente a tutela della posizione dei minori”, introdotto in Italia
dall’art. 7 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei
fanciulli, ratificata con l. n. 77 del 200322.
20
Corte cost. 11 febbraio 2011 n. 47, in Dir. fam. pers., 2011, p. 574 ss., ma, ancora prima,
vedi Corte cost. 27 febbraio 2007 n. 142, in Giur. cost., 2007, p. 2.
21
Così, infatti, Trib. Salerno 8 maggio 2007, in Fam. dir., 2008, p. 169.
22
Trib. Padova ord. 29 luglio 2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 169 ss. Sulla
tutela cautelare del diritto oggetto del provvedimento assegnativo, C. Irti,
Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, p. 133 ss., a cui si rinvia per le
indicazioni di dottrina e giurisprudenza. Vedi, inoltre, C. Petta, La tutela del futuro
assegnatario della casa familiare in prospettiva rimediale, in G. Carapezza Figlia – J.R. De
Verda y Beamonte – G. Frezza – P. Virgadamo, (cur.), La casa familiare nelle esperienze
giuridiche latine, cit., p. 239 ss.
Il diritto del minore all’abitazione
845
3. Trascrizione del provvedimento assegnativo
(provvisorio e definitivo)
Ci occuperemo ora delle disposizioni sulla trascrizione del provvedimento assegnativo, sia provvisorio (si pensi all’ordinanza data dal Presidente del Tribunale in seno ai provvedimenti urgenti23) che definitivo24.
Secondo l’art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c. “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai
sensi dell’art. 2643 c.c.”.
La disposizione merita una precisazione. L’art. 2643 c.c. contiene,
infatti, un’elencazione tassativa di atti soggetti a trascrizione, mentre il
successivo art. 2644 c.c. prevede, com’è noto, gli effetti riconducibili a
tale formalità.
Ciò significa che, stando al tenore letterale della norma, il provvedimento assegnativo deve trascriversi ex art. 337 sexies, comma 1, ultima
parte, c.c. – ed in ciò si fa salvo il principio della tipicità degli atti soggetti a trascrizione – con opponibilità ai terzi non già ai sensi dell’art.
2643 c.c., ma in forza dell’art. 2644 c.c., così presupponendosi la qualificazione del diritto che sorge in capo al destinatario del provvedimento
quale situazione reale.
23
La necessità della trascrizione del provvedimento dato dal Presidente del Tribunale
avente ad oggetto l’assegnazione è ribadita da Cass. 18 settembre 2009 n. 20144, in
Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 390 ss. Vedi, inoltre, Cass. 3 marzo 2006 n. 4119, in
Dir. fam. pers., 2007, p. 1097.
24
Appare necessaria una precisazione metodologica. L’art. 106, comma 1, lett. a) del d.
lgs. n. 154 del 2013 ha previsto, come noto, l’abrogazione dell’art. 155 quater c.c., il cui
dispositivo è stato integralmente riprodotto nell’ambito dell’art. 337 sexies, comma 1,
c.c., mentre l’art. 98, comma 1, lett. b) del decreto stesso non abroga l’art. 6, comma 6,
l. n. 898 del 1970, disposizione, quest’ultima, che contiene le norme sull’assegnazione
della casa familiare nel divorzio. Si badi, però, che l’art. 337 sexies c.c., qui in
commento, si applica, in forza dell’art. 337 bis c.c., ai casi di “separazione, scioglimento,
cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti
relativi ai figli nati fuori del matrimonio”. Da qui, il delinearsi della questione relativa
ai rapporti tra previgente e novellata normativa: si tratta di indagare cosa intende il
d. lgs. n. 154 del 2013 là dove afferma, con specifico riferimento alla nostra indagine,
che le norme sull’assegnazione della casa si “applicano” anche all’assegnazione nel
divorzio, tenuto conto che, in solo quest’ultimo caso, a differenza degli altri indicati
dall’art. 337 bis c.c., esiste già una disciplina tipica, non abrogata espressamente:
quella appunto di cui all’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970. Secondo il nostro punto
di vista, le disposizioni oggetto del rinvio non solo sopravvivevano alla nuova legge,
ma con essa devono coordinarsi: si trattava, in buona sostanza, dell’estensione di una
disciplina ad un’altra, onde le considerazioni di cui qui al testo avranno ad oggetto
l’analisi del coordinamento fra l’art. 337 sexies c.c. e l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970.
846
The best interest of the child
Tale interpretazione, però, è, a nostro avviso, sospetta di incostituzionalità, se coordinata con l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, il quale
prevede che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile ai terzi,
ai sensi dell’art. 1599 c.c., e, dunque, rinvia ad un regime speciale di
trascrizione ai fini dell’opponibilità, ovvero quello della locazione.
È forse utile ricordare, a tal proposito, che il richiamo all’art. 1599
c.c. sottintende la qualificazione della situazione che sorge in capo al
destinatario del provvedimento assegnativo quale diritto personale di
godimento25. All’opposto, se si sottolinea l’inciso, contenuto nell’art. 6,
comma 6, l. n. 898 del 1970, “in quanto trascritta”, si deve, coerentemente, subordinare l’opponibilità ai terzi alla regola della trascrizione
in assoluto, come se tale diritto abitativo fosse reale26.
La questione appena descritta non è stata risolto neppure dall’intervento della Corte Costituzionale27, la quale, con sentenza interpretativa additiva, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’allora vigente art.
155, comma 4, c.c., per contrasto con gli artt. 3, 29 e 31 Cost., nella parte
in cui non prevedeva un meccanismo di opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione nell’ipotesi di separazione28.
In quella sentenza, la Corte ha omesso, nel dispositivo e nella motivazione, il richiamo all’art. 1599 c.c., per l’ipotesi dell’opponibilità nella
separazione.
Per ovviare all’errore, la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta con l’ordinanza n. 20 del 1990 (trattasi di un’ordinanza di “manifesta inammissibilità” della questione di legittimità costituzionale),
affermando che “appare chiaro (…) come l’onere di trascrivere il prov-
25
P. Virgadamo, Opponibilità ai terzi del provvedimento assegnativo della casa familiare
e affidamento condiviso, in Dir. fam. pers., 2008, p. 1598 ss., ove ulteriori indicazioni
di dottrina.
26
G. Gabrielli, I problemi dell’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con
i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, p. 131. Sulla natura reale
del diritto, C.M. Bianca, Diritto civile 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 209, secondo
il quale il problema della natura del diritto di abitazione del coniuge separato o
divorziato non può essere risolto secondo una qualificazione univoca. Si tratta di
un diritto reale qualora la casa sia di proprietà del coniuge non assegnatario; di un
diritto personale nella ipotesi di casa in locazione.
27
Corte cost. 27 luglio 1989 n. 454, in Rass. dir. civ., 1990, p. 125 ss., con nota di E.
Giacobbe, L’assegnazione della casa coniugale tra separazione e divorzio.
28
L’adesione da parte della Corte Costituzionale alla c.d. ratio restrittiva ha lasciato
aperta la questione dell’opponibilità dell’assegnazione disposta a favore del non
affidatario; Trib. Verona 13 marzo 1990, in Foro it., 1991, I, 1, p. 386, nel senso della
intrascrivibilità; Cass. 17 marzo 1989 n. 1315, in Dir. fam. pers., 1989, p. 558.
Il diritto del minore all’abitazione
847
vedimento d’assegnazione nel caso di separazione, in analogia con la
normativa vigente in tema di scioglimento del matrimonio, riguardi,
ex art. 1599 c.c., la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando
l’opponibilità del provvedimento in tutte le altre ipotesi” 29.
Poiché, però, un’ordinanza non può integrare sul piano del dispositivo una precedente sentenza interpretativa additiva, ne derivava un
regime di trascrizione del provvedimento in analisi fortemente differenziato: per la separazione era vincolante la sentenza interpretativa
additiva, che non richiamava l’art. 1599 c.c.; per il divorzio, invece, non
poteva non applicarsi l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, ove, invece, il
riferimento all’art. 1599 c.c. era (ed è) testuale.
Sulla questione sono successivamente intervenute le Sezioni Unite,
le quali, molto opportunamente, si sono informate ad un regime unico
ed unitario di trascrizione del provvedimento assegnativo, affermando che quest’ultimo, “avente per definizione data certa, è opponibile al
terzo acquirente dell’immobile in data successiva, pur se il provvedimento de quo non sia stato trascritto, per il novennio decorrente dall’assegnazione ed anche dopo il novennio ove il titolo sia stato trascritto
in precedenza”30, ed è questo l’orientamento ribadito dalla più recente
giurisprudenza31.
L’art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c., però, è destinato a riaprire il dibattito, potendosi, oggi, ipotizzare due diversi regimi: quello
della trascrizione in assoluto, introdotto dalla norma da ultimo citata
e applicabile ai casi di assegnazione nella separazione, nella nullità,
nell’annullamento del matrimonio e nei procedimenti aventi ad oggetto i figli i cui genitori non sono coniugati (art. 337 bis c.c.) e quello
speciale delle locazioni per il solo caso del divorzio (art. 6, comma 6, l.
n. 898 del 1970).
Per superare tale impasse, occorre affermare, a nostro avviso, che il
nuovo art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c., intende l’art. 2643 c.c.
come norma di rinvio e ciò allo scopo di individuare, in seno all’elenco
ivi indicato, l’atto a cui riferirsi ai fini della trascrizione del provvedimento in esame.
29
Pubblicata in Giur. cost., 1990, p. 54.
30
Cass., sez. un., 26 luglio 2002 n. 11096, in Dir. fam. pers., 2004, p. 688 ss., a cui si è
uniformata tutta la giurisprudenza successiva.
31
P. Virgadamo, op. cit., p. 1598, per le indicazioni.
848
The best interest of the child
Tale atto, coerentemente con quanto previsto nell’ambito della
legge divorzile, non può che essere quello di cui al n. 8: ne consegue
che il provvedimento assegnativo è da ricomprendere, a pieno titolo,
nell’ambito della previsione di cui all’art. 2643 n. 14 c.c., interpretato in
rapporto al n. 8, che si coordina, a sua volta, con l’art. 1599 c.c.32.
L’assegnazione è, in sintesi, ancora oggi assimilabile quoad effectum,
cioè ai soli fini circolatori, alla locazione ed il diritto che sorge in capo
al destinatario del provvedimento è qualificabile quale situazione personale di godimento33.
4. Negoziazione assistita, diritto abitativo e tutela
degli interessi dei figli: profili pubblicitari
Occorre, infine, analizzare i problemi pubblicitari dell’accordo di
negazione assistista che abbia ad oggetto la costituzione di un diritto personale di godimento allo scopo di garantire ai figli (minorenni,
maggiorenni non autosufficienti e portatori di handicap) la conservazione dell’habitat domestico, onde la necessità di individuare, nel silenzio del legislatore, se tale atto sia trascrivibile34.
32
Contra, A. Ciatti Càimi, op. cit., p. 175, per il quale, invece, l’assegnazione sarà
opponibile se trascritta ex art. 2643 n. 14 c.c. L’art. 1599 c.c., nell’ottica in esame,
sarebbe solo in grado di qualificare la fattispecie sostanziale di riferimento quale
diritto personale di godimento, ma non l’opponibilità ai terzi, da ricondursi, invece,
alla logica dell’art. 2644 c.c.
33
Cass. 21 gennaio 2018 n. 1744, secondo cui il provvedimento di assegnazione è
opponibile nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove
trascritto. Interessante appare, inoltre, Cass. 10 aprile 2019 n. 9990, in Guida al dir.,
2019, fasc. 29, 62, secondo cui “con riferimento alla cessione al terzo, effettuata in
costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario, del diritto di proprietà
dell’immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il
provvedimento di assegnazione della casa familiare all’altro coniuge – non titolare
di diritti reali sul bene – collocatario della prole, emesso in data successiva a quella
dell’atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell’art. 155
quater c.c. – applicabile ratione temporis – e della disposizione della l. n. 898 del 1970,
art. 6, comma 6, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione,
soltanto se – a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle
risultanze circostanziali acquisite – il giudice di merito ravvisi la instaurazione di
un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge
dal quale quest’ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della
famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto
dal provvedimento di assegnazione (…)”. Si badi che l’art. 155 quater c.c. oggi è stato
sostituito dall’art. 337 sexies c.c., con dispositivo, tuttavia, identico.
34
Approfondimenti in G. Frezza, “Degiurisdizionalizzazione”, negoziazione assistita e
trascrizione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 19 ss.
Il diritto del minore all’abitazione
849
Anche in tal modo si realizza il principio sotteso al c.d. best interest
of the child, oggetto del nostro importante convegno.
La questione può essere correttamente inquadrata distinguendo i
profili sostanziali da quelli formali della relativa vicenda giuridica.
Dal primo punto di vista, non si ravvisano, a nostro avviso, diversità tra la condizione di assegnatario a seguito di divorzio o di separazione giudiziale e quella che sorge in capo al titolare del diritto abitativo determinato a seguito di un accordo di negoziazione assistita da un
avvocato. La situazione giuridica che nasce, in entrambi i casi, è quella
di un diritto personale di godimento sorto a tutela del diritto abitativo
a favore dei figli, ma è necessario individuare la disposizione da scomodare ai fini della trascrizione perché, di per sé, un diritto personale
di godimento non è trascrivibile ai fini dell’opponibilità.
La norma di riferimento è, dunque, l’art. 337 sexies c.c.
Potrebbe argomentarsi, in senso contrario, che tale diposizione,
presupponendo l’intervento del giudice, sarebbe inapplicabile al caso
di specie, ma deve ritenersi che la trascrizione non potrà essere negata
sol perché nel caso di negoziazione assistita non è in atto una lite giudiziale, tanto più che la tutela dei figli alla conservazione dell’habitat
domestico è identica in tutte le ipotesi qui esame. L’accordo di negoziazione, in sintesi, avrà ad oggetto lo stesso diritto personale di abitazione di cui all’art. 337 sexies c.c. solo se il destinatario del provvedimento
assegnativo sia anche affidatario dei figli minorenni o portatori di handicap o maggiorenni non autosufficienti.
Se si passa dalla sostanza alla forma, ci si può chiedere se l’accordo
di negoziazione costituisca titolo idoneo alla trascrizione ex art. 2657
c.c., problema questo che non nasce in caso di divorzio o di separazione giudiziale, là dove il titolo è costituito dalla sentenza o dall’ordinanza del giudice della separazione.
Per rispondere al problema posto, devono distinguersi due ipotesi.
Analizziamo la prima: l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di
dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che esso risponda all’interesse dei figli, lo autorizza. Poiché tale autorizzazione non conferisce certamente
natura di sentenza all’atto in esame deve ritenersi operante, in questa
ipotesi, l’art. 5, comma 3, l. n. 162 del 2014, onde la necessità di far
accertare al notaio la sottoscrizione del processo verbale di accordo, ai
fini trascrittivi.
850
The best interest of the child
Veniamo ora all’analisi della seconda ipotesi. Se l’accordo di negoziazione non rispondere all’interesse dei figli, il Procuratore della Repubblica lo trasmette entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale,
il quale, fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle
parti e provvede senza ritardo.
Al di là dei problemi processuali che tale disposizione ingenera35,
deve ritenersi che l’atto da sottoporre a trascrizione, ex art. 2657 c.c.,
dovrà essere l’ordinanza del Presidente del Tribunale con cui egli
provvede senza ritardo.
Sul punto devono segnalarsi due recenti e particolarmente significativi interventi della giurisprudenza di merito: secondo il primo,
“è trascrivibile senza riserva l’accordo di separazione raggiunto in
sede di negoziazione assistista e autorizzato dal P.M. attesa l’equipollenza che si ricava dal d.l. n. 132 del 2014 con il verbale di separazione consensuale sottoscritto in Tribunale e omologato: entrambi
hanno fonte pattizia e le medesime finalità”36. In base al secondo,
“è trascrivibile nei Registri immobiliari l’accordo raggiunto in sede
di negoziazione assistita tra due coniugi contenente trasferimento
immobiliari a condizione che le loro sottoscrizioni siano state autenticate da un notaio”37.
Deve, infine, escludersi che un problema di trascrizione possa essere prospettato nell’ipotesi in cui la separazione consensuale, la richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio e la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio
siano poste in essere davanti al Sindaco. Poiché le relative disposizioni
non si applicano in presenza di figli minorenni (o portatori di handicap
o maggiorenni non autosufficienti), non può ammettersi la costituzione, per via negoziale, di un diritto abitativo in funzione della continuità dell’habitat domestico, né, infine, tale accordo può contenere, per
precisa disposizione legislativa, patti, fra coniugi o ex coniugi, aventi
ad oggetto trasferimenti immobiliari da sottoporre a trascrizione.
35
Su cui vedi, fra gli altri, F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intrigata
pluralità di protagonisti, in Fam. dir., 2014, p. 1141 ss.; F.S. Luiso, Le disposizioni in
materia di separazione e divorzio, in F.L. Luiso (cur.), Processo civile efficiente e riduzione
arretrato, Torino, 2014, p. 39.
36
Trib. Roma 17 marzo 2017 n. 2176, in Riv. not., 2017, p. 831 ss.
37
App. Trieste 30 maggio 2017, in Riv. not., 2017, p. 1024.
Il diritto del minore all’abitazione
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Il minore e i nuovi modelli di negoziazione
assistita
Gaetano Edoardo Napoli
Sommario: 1. Il peculiare rapporto tra il diritto e la famiglia. – 2. Depotenziamento delle norme che tutelano la famiglia in sé in ragione della
valorizzazione dei diritti della persona che ne fa parte. – 3. La negoziazione assistita in materia familiare. – 4. I diversi compiti spettanti
all’avvocato e al procuratore della Repubblica.
1. Il peculiare rapporto tra il diritto e la famiglia
La varietà fenomenica che emerge quando si discute di diritto di famiglia
sotto il profilo privatistico denota l’emergere di una sempre più forte autonomia, in capo ai membri della famiglia, nell’applicazione delle regole
e nella armonizzazione delle differenti posizioni soggettive dei familiari,
tale da non consentire una riconduzione rigida e univoca a norme perentorie inderogabili1.
D’altronde, la famiglia può descriversi come sodalizio affettivo che
deve essere in grado di darsi proprie regole di carattere pratico, che
sono rispettate nella misura in cui si mantenga costantemente elevato
il livello di reciproca solidarietà tra i familiari.
In tal modo, la necessità di precetti normativi cogenti può considerarsi superata dall’armonica attuazione di regole condivise, potenzialmente anche difformi da quanto previsto dalla legge per la stringente
tutela di ciascun singolo membro della famiglia, senza che si possa mai
1
Cfr. C.M., Bianca Diritto civile, La famiglia6, Milano, 2017, p. 5, il quale evidenzia
come la famiglia sia “un fenomeno che si determina secondo matrici umane e sociali
largamente estranee al diritto”.
856
The best interest of the child
oltrepassare, ovviamente, il limite della necessaria liceità delle condotte tenute nelle relazioni interpersonali.
Il valore così assunto dalla spontanea attuazione di regole dettagliate,
ritagliate sulle peculiarità della specifica realtà familiare, consente di individuare le peculiarità del rapporto tra i legami familiari e l’intervento
della norma giuridica.
A un solido legame spontaneo tra i membri della famiglia, che conferma il sincero permanere dell’affectio a prescindere dall’effettivo allineamento delle condotte tenute ai precetti normativi, corrisponde, generalmente,
la mancanza di interesse a far intervenire le tutele previste dal diritto.
Al contrario, se da parte di uno o più membri della famiglia si invoca l’applicazione della legge contro la volontà di altro familiare, significa che non si è spontaneamente mantenuto quell’equilibrio che
conduce alla naturale soddisfazione dei reciproci interessi: in questo
caso, deve considerarsi caduta in crisi quell’affectio tra i congiunti.
Ne deriva che, se un congiunto intende far valere il “diritto di famiglia”, cioè qualche disposizione normativa che ritiene violata da altro familiare che, di contro, non intende dar seguito alle aspettative del primo,
è la famiglia, nella sua necessaria solidale compattezza, a versare in crisi.
Sembra così emergere una particolarità nell’accostamento, all’interno dell’espressione “diritto di famiglia”, di due concetti che non collimano: quello del “diritto” e quello di “famiglia”, da riferire al complessivo nucleo di congiunti.
Infatti, meno il diritto interviene e più resiste la famiglia come vincolo retto dalla solidarietà spontaneamente attuata tra i membri che la
compongono.
Le scelte politiche che stanno alla base della formulazione delle norme di legge, messe in combinazione con le opzioni interpretative che
vengono predilette in sede ermeneutica (e che risultano permeabili al
contesto socio-economico di riferimento), fungono da ago della bilancia: a seconda della direzione che viene assegnata alla normativa in materia, esse consentono di far prevalere ora la salvaguardia della famiglia
quale entità a sé, ora la tutela del membro della stessa quale persona.
Si può confermare, così, che la necessità di ingerenza del diritto
all’interno dell’ambiente familiare aumenta in misura direttamente
proporzionale al progressivo affermarsi, sul piano ordinamentale, della priorità della tutela dell’interesse della persona rispetto alla tutela
dell’interesse della famiglia considerata nel suo insieme, nella sua essenza autonoma.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
857
2. Depotenziamento delle norme che tutelano
la famiglia in sé in ragione della valorizzazione
dei diritti della persona che ne fa parte
In sostanza, dalle notazioni qui sopra delineate, si trae una conseguenza: maggiore è la tutela che l’ordinamento assicura alla persona
che fa parte della famiglia, minore è l’intangibilità della famiglia stessa
quale realtà fenomenica autonoma2.
Deve essere letto in questa prospettiva il lento, ma inesorabile, appannarsi dell’effettività delle norme (anche di rango costituzionale)
volte a proteggere con vigore la famiglia in modo autonomo rispetto
all’individuo3 che ne è membro4.
Ormai, in relazione alle problematiche familiari, nelle concrete applicazioni pratiche, si realizza quanto segue.
Si assegna un valore sempre maggiore all’art. 2 Cost., norma volta a garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali5 ove si svolge la sua personalità, e a richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale. In stretta connessione, si richiama costantemente anche l’art.
3 Cost., disposizione dettata al fine di salvaguardare l’uguaglianza,
formale e sostanziale.
D’altro canto, si realizza, quale rovescio della medaglia, una progressiva disapplicazione delle disposizioni di tutela specifica e diretta
della famiglia, tra cui rientrano primariamente gli artt. 29 e 30 Cost.,
norme che sono state concepite proprio per limitare il valore specifico
dell’uguaglianza tra le persone a garanzia dell’unità familiare (secondo
comma dell’art. 29 Cost.) o per la salvaguardia dei diritti dei membri
della famiglia legittima (terzo comma dell’art. 30 Cost.).
Facendo dunque leva sulle norme, dai contorni certamente ampi,
che pongono la persona al centro dell’obiettivo di tutela, si attua – operando in senso contrario rispetto al principio interpretativo e applicativo legato alla specialità della materia – una deroga alle norme specificamente rivolte alla salvaguardia della famiglia.
2
Sull’impostazione pubblicistica della famiglia, cfr. A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria
generale, Berlino, 1914.
3
Cfr. P. Rescigno Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966.
4
Sul tema, cfr. M. Sesta, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2017, p. 573.
5
Cfr. P. Perlingieri, Sulla famiglia come formazione sociale, in Dir. giur., 1979, p. 777 ss.
858
The best interest of the child
Lo scopo raggiunto può certamente considerarsi condivisibile in un
sistema diretto a ogni costo a dar prevalenza alla massima garanzia
possibile degli interessi individuali della persona, che si riflette nell’affermazione, tanto decisa quanto astratta, dei c.d. “diritti fondamentali
della persona umana”. Deve ammettersi che ciò si pone in perfetta linea, d’altronde, con le pieghe che ha preso l’evoluzione della società
odierna e una tale simbiosi certamente amplifica il successo, da anni
conclamato, dell’impostazione applicativa suddetta.
Questo circolo (che può considerarsi virtuoso, ma anche vizioso – o
quanto meno viziato – sotto l’anzidetto profilo ermeneutico) trova conferma nelle direzioni intraprese dal legislatore.
Difatti, mentre al momento dell’entrata in vigore della Costituzione il modello di famiglia fondato sul matrimonio, quale vincolo praticamente indissolubile ad opera dei coniugi, era l’unico prospettato a
livello legislativo e quindi prospettabile sul piano pratico (riflettendo,
direttamente, il disposto dell’art. 29 Cost.), il successivo percorso normativo, caratterizzato da riforme dirette a tutelare la persona anche
nei confronti della famiglia in cui si colloca, ha assegnato invece una
diversa connotazione al fenomeno del sodalizio familiare.
Questo cambiamento si è realizzato a partire dagli anni Settanta del
secolo scorso. È stato introdotto il divorzio; sono state parificate le posizioni giuridiche soggettive del marito e della moglie; è stato unificato
lo stato di figlio, col superamento della (assolutamente irrazionale) distinzione tra figli legittimi e figli non legittimi; si è giunti a un formale
riconoscimento delle convivenze di fatto, ma anche delle unioni civili
tra persone dello stesso sesso.
L’anzidetto iter normativo è stato favorito dall’evolversi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in questa delicata materia6.
La strada è stata così spianata a favore della privatizzazione delle
scelte riguardanti l’appartenenza o meno a un determinato contesto
familiare. Si è giunti allora a rendere sempre più soggetti alla disponibilità privata gli stessi status familiari7.
Queste premesse consentono di comprendere in maniera appropriata quale significato si è inteso dare alla riforma che ha introdotto la
6
Sull’evoluzione del diritto di famiglia, cfr. P. Zatti, Tradizione e innovazione nel diritto
di famiglia, in P. Zatti (dir.) Trattato di diritto di famiglia, 1, Milano, 2011, p. 3 ss.
7
Cfr., sul tema, C. Irti, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare
alla negoziazione assistita, in Dir. fam., 2016, p. 677. Cfr., sotto il profilo processuale, G.
Carmellino, Crisi familiare e degiurisdizionalizzazione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 500 ss.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
859
c.d. “negoziazione assistita”, come strumento rivolto a cercare una soluzione privata e concordata alle controversie tra coniugi, anche quando riguardano figli minori o comunque non autosufficienti.
Si tratta di una negoziazione che, in virtù dell’analisi attenta della
situazione di antagonismo tra membri di una famiglia, mira al superamento dello stesso, puntando alla ricerca e alla valorizzazione degli
interessi convergenti8.
L’istituto in discorso, di cui sarà analizzato qualche aspetto nel seguito di questo contributo, mostra con evidenza lo specifico volto sopra evidenziato, essendo indirizzato a far primeggiare la volontà e, di
conseguenza, la libertà del membro della famiglia, intese quali componenti che connotano i suoi diritti fondamentali. E si ritiene ormai
comunemente che questi ultimi debbano prevalere, in qualsivoglia occasione di crisi familiare.
8
C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 188, nota che “l’alto grado di conflittualità che si
riscontra nei giudizi di separazione e divorzio, e il pregiudizio che ne consegue
soprattutto a carico dei figli minori, impongono la ricerca di strumenti che aiutino
i coniugi e genitori ad un dialogo costruttivo”. Nell’ambito del medesimo percorso
qui tracciato, prima dell’introduzione della negoziazione assistita, si è assistito
a qualche tentativo, da parte del legislatore, di dar valore alla c.d. mediazione
familiare. Cfr., sul tema, tra gli altri, F. Schettini – B. Mazzei, La mediazione come
pratica di diversion per una separazione mite, in B. De Filippis – A.L. Buonadonna
– B. Schettini – P. Ricci – M. Pini (cur.), Il mantenimento per il coniuge e per i figli
nella separazione e nel divorzio, Padova, 2013, p. 271 ss.; M. Basile, La mediazione
delle controversie sugli effetti della separazione e del divorzio, in G. Ferrando – M.
Fortino – F. Ruscelli (cur.), Famiglia e matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia,
diretto da P. Zatti, I, 2, Milano, 2002; I. Heynes-Buzzi, Introduzione alla mediazione
familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, 2a ed., Milano, 2012; G. Gullotta
– G. Santi, Dal conflitto al consenso. Utilizzazione di strategie di mediazione in
particolare nei conflitti familiari, Milano, 1988; G. Zagrebelsky, Il diritto mite,
Roma, 1992; D.G. Brown, Divorce and family mediation: History, Review, future
directions, in Conciliation Courts Review, 1982, n. 20 (2), p. 1 ss. Per l’analisi delle
difficoltà applicative legate alla mediazione familiare, si rinvia a G.E. Napoli,
Profili privatistici della mediazione civile e commerciale, Bologna, 2015, p. 31 ss.
In relazione alle differenze tra le controversie civili e commerciali e le controversie
riguardanti lo stato coniugale, cfr., per alcuni rilievi di carattere generale, M.
Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, in Riv. dir. proc., 2017, p. 892.
Cfr. anche G. Capill – P. Laselva, Mediazione familiare e progetti di riforma, in
Fam. dir., 2006, p. 89. Su una delle peculiarità delle controversie familiari, cfr. F.
Schettini – B.Mazzei, La mediazione come pratica di diversion per una separazione
mite, cit., 278: “La vicenda separativa e quella divorzile non si concludono con il
pronunciamento della sentenza da parte del Tribunale, perdurando strascichi e
contenziosi giudiziari, alimentati dal disagio psichico e ambientale che, in genere,
hanno termine soltanto con il sopraggiungere della maggiore età dei figli e con
l’apparire di nuovi scenari esistenziali”.
860
The best interest of the child
3. La negoziazione assistita in materia familiare
La progressiva valorizzazione della volontà e della libertà privata,
anche in contrasto con l’interesse di conservazione della famiglia quale
fenomeno a sé, ha dunque ispirato9 l’introduzione della negoziazione
assistita per la soluzione consensuale delle controversie tra coniugi10.
La normativa a cui si fa qui riferimento è contemplata dal d.l. 12
settembre 2014, n. 132, come coordinato con la legge di conversione,
l. 10 novembre 2014, n. 162, intitolata “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in
materia di processo civile”11.
9
Sul progressivo rilievo così attribuito, in ambito di diritto di famiglia, all’autonomia
privata, cfr. F. Danovi, Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco, in
Fam. dir., 2015, p. 1047 ss. Cfr. anche F. Tizi, La nuova normativa sul divorzio breve:
analisi della disciplina e aspetti problematici, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 1081; F.
Tommaseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione
assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, p. 159 s.; A. D’Ippolito – P. Della
Valle, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, Milano, 2015, p. 29 ss.
10
Si esclude l’applicazione dello strumento alle controversie riguardanti le coppie non
unite in matrimonio. Cfr. Trib. Como, 13 gennaio 2016, in Fam. dir., 2016, p. 687, che
prevede tuttavia – esprimendosi come segue – un particolare iter per porre rimedio
all’anzidetto ostacolo nel caso in cui la negoziazione risulti comunque svolta con
successo: “Qualora un accordo di negoziazione assistita sia stato stipulato da genitori
non uniti in matrimonio il pubblico ministero non deve concedere l’autorizzazione
prevista per legge, ma il tribunale al quale gli atti vengano trasmessi è tenuto a
esaminare in camera di consiglio l’accordo, al fine di ratificarlo, previa audizione
dei genitori”. In materia, cfr. M. Sesta, La crisi genitoriale tra pluralità di modelli
di coppia e di regole processuali, in Fam. dir., 2017, p. 1145, il quale ritiene che “la
differente strumentazione processuale appare ingiustificata”.
11
Sulla negoziazione assistita, cfr., tra gli altri, M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione
e divorzio, cit., p. 891 ss.; A. D’Ippolito – P. Della Valle, La negoziazione assistita
nella crisi coniugale, cit.; S. Chiarloni, Minime riflessioni critiche sul trasferimento in
arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 221 ss.; P. Farina,
La negoziazione assistita dagli avvocati, da praeambulum ad litem ad outsourcing della
decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, p. 514 ss.; S. Caporusso, Profili processuali
delle nuove procedure consensuali di separazione personale e divorzio, in Riv. dir. civ., 2015,
p. 711 ss.; G. Frezza, ‘‘Degiurisdizionalizzazione’’, negoziazione assistita e trascrizione, in
Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 18 ss.; A. Nascosi, La negoziazione assistita per la crisi
coniugale: un nuovo sistema deflattivo?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1383 ss.; C.
Consolo, La giustizia civile: quale volto dei nostri processi tra giurisdizione e ADR?, in Corr.
giur., 2014, p. 1263 ss.; M.N. Bugetti, Separazione e divorzio senza giudice: negoziazione
assistita da avvocati e separazione e divorzio davanti al Sindaco, in Corr. giur., 2015, p. 515
ss.; G. Giaimo, Negoziazione assistita nelle controversie familiari e difesa personale della
parte. Appunti comparatistici, in Dir. fam., 2016, 1052 ss.; G. Dosi, La negoziazione assistita
da avvocati, Torino, 2016; D. Castagno, Negoziazione assistita: i primi orientamenti della
giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 747 ss.; G.A. Parini, La negoziazione
assistita da avvocati. Tecniche e linee evolutive della autonomia privata, Torino, 2017.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
861
Questa legge detta alcune norme applicabili, in via generale, a tutte
le convenzioni di negoziazione raggiunte mediante l’assistenza professionale dell’avvocato, a prescindere dall’oggetto della controversia.
Si prevede, tra l’altro, che l’accordo per la negoziazione assistita, da
stendere – a pena di nullità – per iscritto, obbliga le parti a cooperare in
buona fede e con lealtà al fine di risolvere in via amichevole la controversia.
L’impiego del termine amichevole, in combinazione con il riferimento alle controversie, potrebbe destare stupore, in un ordinamento, come
quello italiano, tradizionalmente legato alla risoluzione delle liti attraverso procedure giudiziali o arbitrali volte a individuare un soggetto
“vittorioso” e uno “soccombente” o attraverso accordi transattivi che
prevedono “reciproche concessioni” (art. 1965 c.c.).
Tuttavia, l’uso del predetto termine si inserisce nell’ambito dell’intenzione del legislatore italiano degli ultimi anni (la locuzione è utilizzata anche nella definizione di mediazione civile e commerciale offerta dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28) di incidere sulla cultura della lite,
che tradizionalmente è stata intesa, nel nostro ordinamento, come fenomeno conflittuale, sia nella sua origine che nel suo esito conclusivo.
La recente normativa ha voluto superare questa tradizionale impostazione. Si è aperta la strada a soluzioni dirette ad attenuare (o, perfino,
a eliminare) il conflitto tra le parti, prendendo di mira un obiettivo
nuovo: l’instaurazione di relazioni sostenibili tra le stesse, con miglioramento della posizione satisfattiva individuale dei soggetti coinvolti.
Procedendo adesso a una rapida analisi di alcune regole di carattere generale relative al nuovo istituto qui trattato, si nota che, per legge,
l’accordo per la negoziazione assistita deve indicare il termine per l’espletamento della procedura. Questo termine non può essere inferiore
a un mese né superiore a tre mesi (con possibilità di proroga per ulteriori trenta giorni, previo accordo tra le parti). Ciò impedisce che venga
eccessivamente dilazionato l’accesso al rimedio giudiziale ordinario.
Nell’invito a stipulare la convenzione deve poi essere indicato l’oggetto della controversia, con l’avvertimento che la mancata risposta entro trenta giorni o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, 1° co., c.p.c.
È previsto l’obbligo dell’avvocato di garantire la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico12.
12
Si deve ritenere che vada garantita anche la conformità al buon costume, secondo quanto
si ricava, in via generale, dal combinato disposto degli art. 1343 e 1418, 2° co., c.c.
862
The best interest of the child
Viene, per altro, attribuito a tale professionista l’eccezionale potere di certificare l’autografia della sottoscrizione che la parte appone
all’invito, ma anche di quella che viene apposta, in caso di esito positivo della negoziazione, alla convenzione (cioè all’accordo che pone fine
alla controversia).
L’autenticazione da parte dell’avvocato non può però sostituirsi a
quella del notaio, non risultando utile al fine della trascrizione: è appositamente prescritto, a tal uopo, l’intervento di un pubblico ufficiale
a ciò autorizzato13.
La sottoscrizione delle parti e degli avvocati attribuisce comunque
all’accordo un particolare valore: quello di titolo esecutivo e di titolo
utilizzabile per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Per quanto concerne specificamente le finalità esecutive, si specifica
che l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto, ai sensi
dell’art. 480, 2° co., c.p.c.
13
Cfr. App. Trieste, 6 giugno 2017, n. 207, in Famiglia e diritto, 2018, p. 33: “L’accordo
di negoziazione assistita non è titolo idoneo ai fini della trascrizione di un atto
di trasferimento di un bene immobile nonostante il nulla osta del P.M. essendo
gli avvocati muniti di un potere di autenticazione delle sottoscrizioni delle parti
funzionale solo alla successiva annotazione del contenuto dell’atto nel registro dello
stato civile e non di un potere di autenticazione delle sottoscrizioni finalizzato alla
successiva trascrizione del contenuto dell’atto che è riservata esclusivamente ai
“pubblici ufficiali a ciò autorizzati”. L’art. 6 del D.L. n. 132/2014 convertito dalla
L. n. 162/2014, che disciplina la negoziazione assistita dagli avvocati in materia di
separazioni e divorzi, non è norma speciale rispetto alla figura generale regolata
dall’art. 5 del medesimo decreto. Anche se gli accordi di negoziazione in materia
familiare producono gli effetti e tengono luogo dei provvedimenti giudiziali che
definiscono i procedimenti di separazione e divorzio, ai fini della trascrizione delle
cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, è necessaria l’autenticazione
delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo da parte di “pubblici ufficiali
a ciò autorizzati”, secondo quanto previsto dall’art. 2657 c.c. La peculiare forma
richiesta dalla norma trova la sua ratio nella necessità di tutelare gli interessi
pubblicistici e della collettività garantendo la corretta circolazione dei beni e
dei diritti reali immobiliari”. In dottrina, cfr. T.S. Barbaro, In tema di trascrizione
dell’accordo di negoziazione assistita familiare, in Foro nap., 2018, p. 46. Per i diversi
orientamenti sul tema, cfr. A. Todeschini Premuda, La trascrizione degli accordi tra
coniugi nell’ambito della negoziazione assistita, in Nuova giur. civ. comm., II, 2018,
p. 124 ss. In particolare, per l’orientamento contrario a quello proposto nel testo
in relazione alle negoziazioni tra coniugi, cfr. Trib Pordenone, 16 marzo 2017, in
Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 1163: “Con l’accordo di negoziazione assistita di
cui agli artt. 2 e 6 d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito in l. 10.11.2014, n. 162, le parti
non solo possono tra loro compiere trasferimenti di beni immobili, ma, in materia
familiare, l’autenticazione dell’accordo ad opera dei difensori delle parti, così come
previsto all’art. 2, è sufficiente a soddisfare i requisiti previsti dalla legge nella parte
in cui prevede che, ai fini della trascrivibilità dell’accordo nei registri immobiliari, si
rende necessaria l’autentica notarile, ovvero l’autentica da parte di pubblico ufficiale
all’uopo autorizzato”.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
863
Anche nel caso in cui la negoziazione dia esito negativo, la dichiarazione di mancato accordo deve essere certificata dagli avvocati che
assistono le parti.
Viene stabilita una peculiare valenza dell’accordo nei confronti di
eventuali successivi ripensamenti. Si tratta di una regola di ordine etico-professionale: l’avvocato commette illecito deontologico se impugna l’accordo che è stato raggiunto con la sua assistenza.
È l’art. 6 d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (coordinato con la l. 10 novembre 2014, n. 162) ad occuparsi della convenzione di negoziazione
assistita (da uno o più avvocati) per le soluzioni consensuali in materia
di crisi familiare.
Al fine di garantire l’effettiva tutela di ciascuna parte, considerata
la specialità della materia e il coinvolgimento di primari interessi della
persona, il legislatore ha escluso (al contrario di quanto avviene con riguardo alle altre negoziazioni assistite, che vertono in materia di diritti
disponibili) che la negoziazione si attui con l’assistenza del medesimo
avvocato per entrambe le parti. Deve trattarsi di convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte14.
In tal modo, viene salvaguardato il necessario rapporto di fiducia
tra ciascun avvocato e il proprio assistito: si scongiura, cioè, l’eventualità che una parte possa risultare assistita da un professionista incaricato dall’altra parte. Aumentano così anche le aspettative che le parti
ripongono nella negoziazione assistita, trattandosi di controversie –
quelle familiari – in cui sono coinvolti i principali diritti inviolabili di
ciascuno dei soggetti interessati.
La legge prevede che l’accordo può essere raggiunto dai coniugi al
fine di formalizzare una soluzione consensuale per la separazione personale, la cessazione degli effetti civili del matrimonio, lo scioglimento
14
Cfr., in senso critico, G.A. Parini, La negoziazione assistita in ambito familiare e la tutela
dei soggetti deboli coinvolti, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, p. 607 s. In giurisprudenza,
Trib. Torino, 13 maggio 2016, in Fam. dir., 2017, p. 267, ha assunto un orientamento
particolarmente severo al riguardo, puntualizzando quanto segue: “In materia di
negoziazione assistita avente ad oggetto negozi compositivi di crisi familiare, il
requisito della presenza di almeno due difensori (uno per parte) non è soddisfatto
là dove essi facciano parte dello stesso studio legale. L’art. 6,comma1 del testo di
legge (assistenza di ciascuna delle parti da parte di un difensore), infatti, deve essere
interpretato alla luce delle disposizioni del Codice Deontologico forense vigente che,
all’art. 24 comma 5, trattando del conflitto di interessi, contempla espressamente un
dovere di astensione anche nel caso in cui i difensori “siano partecipi di una stessa
società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e
collaborino professionalmente in maniera non occasionale””.
864
The best interest of the child
del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, 1° co., n. 2), lett. b), l. 1° dicembre
1970, n. 89815, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni
di separazione o di divorzio.
Tra gli adempimenti da curare, alcuni possono apparire di mero stile. Si pensi alla norma che prevede che nell’accordo si deve esplicitare
che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare.
Altri adempimenti, invece, rivestono particolare importanza, in relazione alla presenza o meno di soggetti da tutelare in modo cogente.
Si prevede che, se non vi sono figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ai sensi dell’art. 3, 3° co., l. 5 febbraio 1992, n. 104), ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo
raggiunto deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. In mancanza di irregolarità, quest’ultimo
provvede a dare il nullaosta, ai fini della produzione degli effetti tipici
dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di
scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio16.
15
La norma citata prevede che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi se è stata pronunciata con
sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata
omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto
quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre
1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte
ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi
innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei
mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia
trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione
raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero
dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale
dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita
dalla parte convenuta. Ciò è quanto si dispone in seguito all’intervento della l. 6
maggio 2015, n. 55.
16
Cfr. Trib. Torino, 18 dicembre 2017, in Red. Giuffrè, 2018, che così si esprime:
“Deve, in primo luogo, premettersi che l’art. 156 c.c. nel disciplinare gli effetti della
separazione dei coniugi, prevede, al comma 6, la possibilità per il giudice di ordinare
a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato,
che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. Ritiene
questo Tribunale che tale possibilità sussista anche in caso di inadempimento agli
obblighi previsti negli accordi di separazione raggiunti a seguito di convenzione
di negoziazione assistita ai sensi dell’art. 6 d.l. 132/2014, in quanto, secondo
quanto previsto dall’art. 6 comma 3 d.l. 132/2014, “l’accordo raggiunto a seguito della
convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono,
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
865
Nella disposizione non viene espressamente previsto un termine
entro il quale l’accordo deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica, al contrario di ciò che avviene – come si dirà infra – con riguardo all’accordo stipulato quando vi sono figli minori o bisognosi.
Nella mancata previsione di un termine di legge può rinvenirsi l’intenzione del legislatore di affidare all’autonomia privata, quindi alla
disponibilità delle parti interessate (i soli coniugi), la scelta dei tempi
per la realizzazione dell’iter di separazione, di divorzio o di modifica
dei loro rapporti17.
In sostanza, quindi, se non vi sono figli di cui dover prendersi cura,
i coniugi possono giungere a stipulare, tra loro, un accordo di separazione da metter da parte, che possa essere presentato al procuratore
della Repubblica in un qualsiasi successivo momento, nell’eventualità
di una rottura della comunione di vita materiale e spirituale.
Resta comunque applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria, prevista dal quarto comma dell’art. 6 d.l. n. 132 del 2014, a carico
dell’avvocato che non trasmetta entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo raggiunto all’esito
della negoziazione assistita.
Se invece vi sono figli minori18, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, la
disciplina assume un diverso tenore.
In tali situazioni, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di
negoziazione assistita deve essere trasmesso entro un termine ben preciso, quello di dieci giorni, al procuratore della Repubblica presso il
tribunale competente. A quest’ultimo spetta un compito di controllo
particolarmente rilevante.
nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale…”, effetti tra i quali
devono annoverarsi le tutele previste dall’art. 156 c.c. a garanzia dell’adempimento
delle obbligazioni patrimoniali nascenti dalla separazione”.
17
In Cass., 20 agosto 2014, n. 18078, si nota, d’altronde, che la separazione non è più
un momento di riflessione e ripensamento che può condurre a riprendere la vita di
coppia, e nemmeno l’anticamera del futuro divorzio, ma rappresenta il momento
della sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo matrimoniale.
18
In tal caso, deve risultare dall’accordo che gli avvocati hanno informato le parti
dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei
genitori. Tuttavia, nel caso di violazione di tale prescrizione, è difficile ipotizzare una
responsabilità in capo agli avvocati qualora l’accordo risponda all’interesse del minore.
866
The best interest of the child
Il procuratore della Repubblica, infatti, in questi casi, non si limita a
poter dare un nulla osta. Piuttosto, in seguito alle opportune verifiche,
può dare o meno la sua “autorizzazione”, che consente la produzione
degli effetti tipici dei provvedimenti giudiziali di cui sopra.
L’autorizzazione viene concessa solo se il pubblico ministero valuta
che l’accordo risponde all’interesse dei figli suddetti. Altrimenti il procuratore della Repubblica trasmette l’accordo stesso, entro cinque giorni (anche questo termine è particolarmente breve, come si può notare),
al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la
comparizione delle parti e provvede senza ritardo19.
In stretta connessione con quanto è stato espresso sopra, il termine
di dieci giorni per la trasmissione dell’accordo al procuratore della Repubblica non può essere considerato ordinatorio. È lo stesso pubblico
ministero, per altro, a dover verificare che il termine in questione è
stato rispettato.
19
Il presidente del tribunale è tenuto a verificare che l’accordo risponda all’interesse dei
figli, potendo anche disporre in difformità con quanto operato dal procuratore della
Repubblica. Rientra nei suoi poteri quello di suggerire una modifica dell’accordo, ma non
può modificare d’ufficio l’accordo raggiunto dalle parti, in quanto, così facendo, violerebbe
il principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Non può neanche,
per la stessa ragione, far transitare il procedimento in quello previsto per la separazione,
giudiziale o consensuale, né in quello previsto per il divorzio dietro domanda congiunta
delle parti. Sui poteri del giudice, cfr., in giurisprudenza, Trib. Termini Imerese, 24 marzo
2015, in Giur. it., 2015, p. 1879: “In ordine al provvedimento conclusivo, nel silenzio della
norma, che non prevede un ulteriore provvedimento di omologazione del tribunale, come
ha luogo nel procedimento di separazione consensuale, una interpretazione sistematica
del complesso della normativa induce a ritenere che il procedimento si debba concludere
o con un provvedimento autorizzatorio o con il diniego dell’autorizzazione, senza che
vi sia la possibilità di trasformazione di tale rito in quello proprio della separazione
consensuale”. Per una diversa visione, cfr. Trib. Torino, 15 gennaio 2015, in Giur. it., 2015,
p. 1398: “Qualora il pubblico ministero ritenga che l’accordo sulla separazione personale,
raggiunto tra i coniugi all’esito della negoziazione assistita, sia contrario all’interesse di
un figlio maggiorenne e non economicamente autosufficiente, il presidente del tribunale
può autorizzare solamente un accordo che sia stato modificato dalle parti in aderenza ai
rilievi del p.m.; in ogni altro caso dovrà procedersi a seguito della domanda giudiziale
di separazione consensuale, domanda che il presidente può invitare le parti a presentare
in tempo utile ed in modo che all’udienza egli possa, alternativamente, autorizzare
l’accordo modificato o procedere ai sensi degli artt. 708 e 711 c.p.c.”. Cfr. anche, Trib.
Torino, 13 maggio 2016, in Giur. it., 2016, p. 2162: “In materia di negoziazione assistita
avente ad oggetto negozi compositivi di crisi familiare, la fase avanti al presidente è
da ricondurre lato sensu alle forme del rito camerale e al giudicante deve riconoscersi
autonomia di valutazione rispetto al diniego del P.M. quanto alla portata delle condizioni
della separazione o del divorzio, o della modifica delle originarie pattuizioni, anche
sulla scorta delle delucidazioni che le parti possono fornire comparendo personalmente
in udienza. La particolarità della procedura ex art. 6 decreto n. 132/2014 conferisce al
Presidente il potere di provvedere, in caso di rifiuto del P.M., senza eccezione alcuna
rispetto alle varie procedure di negoziazione menzionate nell’intestazione dell’articolo”.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
867
Il breve lasso di tempo prescritto dalla legge ai fini della sottoposizione delle clausole pattizie alla verifica della citata autorità risponde
infatti alla necessità di garantire l’effettuazione di un controllo attuale
(che, altrimenti, risulterebbe certamente poco conforme agli obiettivi
presi di mira dal legislatore) sul concreto perseguimento, da parte dei
coniugi, dell’interesse dei figli minori o bisognosi.
L’esigenza legata alla necessaria attualità del controllo in discorso
si evince anche dalla previsione di un termine stringente – quello di
cinque giorni su menzionato – per la trasmissione dell’accordo al presidente del tribunale da parte del pubblico ministero che lo ritenga non
rispondente all’interesse dei figli.
È la stessa esigenza ad aver inoltre indotto il legislatore a disporre
che, in tale ultimo caso, il presidente del tribunale è tenuto a provvedere “senza ritardo”.
Ciò dà la misura dell’importanza che assume, in queste situazioni,
la verifica – da parte dell’autorità così individuata dalla normativa – in
ordine all’effettivo perseguimento dell’interesse dei figli.
Qualora il controllo da parte del pubblico ministero dia esito positivo, l’avvocato è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni,
all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo20.
4. I diversi compiti spettanti all’avvocato e al procuratore
della Repubblica
Quanto qui delineato non osta all’inserimento, in linea con il quadro
tracciato nella parte iniziale di questo contributo, della negoziazione
assistita tra gli strumenti offerti direttamente ai privati (in particolare,
qui si tratta di coniugi) al fine di consentire agli stessi di concordare il
futuro assetto dei loro rapporti familiari.
Sono proprio i soggetti privati direttamente interessati dalla controversia familiare, cioè i coniugi, d’altronde, ad essere in grado di offrire
tutti gli elementi utili al fine della stipula di un accordo all’esito di una
negoziazione assistita dagli avvocati.
20
In caso di mancato adempimento, è prevista, a carico dell’avvocato, la sanzione
amministrativa pecuniaria da euro duemila a euro diecimila.
868
The best interest of the child
Prendendo le mosse da questa premessa, si può circoscrivere il
compito assegnato dalla normativa a questi ultimi professionisti nella
materia in esame.
È, del resto, necessario comprendere in cosa consista l’assistenza da
parte degli avvocati, che qualifica, nella denominazione stessa, questa
peculiare negoziazione tra coniugi.
A tal fine, risulta doveroso interpretare, sistematicamente, le norme in
materia di negoziazione assistita in modo coerente con le disposizioni di
legge che ritagliano un ruolo al professionista forense in altri contesti pur
sempre rientranti nell’ambito della risoluzione privata delle controversie.
Si deduce così che gli avvocati21 hanno il compito di assistere le
parti ma, in continuità con quanto avviene per la mediazione civile
e commerciale22, non hanno alcun potere di controllo sulla veridicità
delle informazioni ricevute dai propri assistiti.
É per questa ragione che la disciplina dettata dal d.l. 12 settembre
2014, n. 132, come coordinato con la l. 10 novembre 2014, n. 162, non
fa riferimento all’analisi di documenti da parte degli avvocati, tanto
meno a un’attività istruttoria gravante sugli stessi.
La terminologia impiegata è eloquente in tal senso e si pone in linea con
quanto già sperimentato con le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
In sostanza, la legge riferisce testualmente quali sono gli elementi
da considerare ai fini dell’assistenza alla negoziazione, qualificandoli
espressamente quali dichiarazioni rese e informazioni ricevute o acquisite.
Non sono cioè previsti “documenti” da sottoporre all’analisi degli
avvocati incaricati dell’assistenza alla negoziazione. Si veda, al riguardo, proprio in relazione alla mancanza di documentazione (attribuire rilevanza ufficiale a dei documenti sarebbe, del resto, in grado di
pregiudicare le sorti delle parti in un eventuale giudizio) l’art. 9, che
prescrive l’obbligo di riservatezza in capo agli avvocati.
Le menzionate “dichiarazioni” e “informazioni” implicano dunque
un’attività di acquisizione, da parte dei professionisti che assistono le
parti nella negoziazione, che risulta del tutto diversa rispetto a qualsivoglia attività di controllo o verifica (o, in senso lato, a qualsivoglia
attività istruttoria, di accertamento).
21
Sul ruolo, in generale, dell’avvocato, cfr. G. Alpa, L’avvocato. I nuovi volti della
professione forense nell’età della globalizzazione, Bologna, 2011; Id., La nobiltà della
professione forense, Bari, 2004. Sull’evoluzione del ruolo dell’avvocato, cfr. anche Id., Il
ruolo del difensore tra normativa interna e sovranazionale, in Dir. pen. proc., 2012, p. 10.
22
Cfr. G.E. Napoli, Profili privatistici della mediazione civile e commerciale, cit., p. 100.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
869
Nell’ambito della assistenza legale prevista dalla legge del 2014 non
devono dunque essere valutati dei documenti né altri tipi di prove.
Si tratta di attività che si fonda su quanto riportato dalle parti, nel
rispetto della più ampia informalità.
Proprio quest’ultima caratteristica garantisce, d’altro canto, il pieno riserbo (prescritto specificamente dalla disposizione su richiamata)
su ogni elemento che funge da presupposto della negoziazione (agli
obblighi di riservatezza si aggiungono, per altro, le norme sul segreto
professionale).
Oltretutto, deve segnalarsi che è su queste garanzie che fanno leva
le probabilità di successo della negoziazione. Infatti, facendo seguito
a quanto già accennato, si può notare che l’assenza di produzioni documentali e la mancanza di accertamenti in grado di pregiudicare le
posizioni delle parti impediscono che gli elementi posti a fondamento
della trattativa possano essere utilizzati – per via della forza probatoria
intrinseca da attribuire a ogni scritto – al di fuori della sede deputata
alla risoluzione alternativa della controversia.
Queste peculiarità consentono di mantenere elevato, nelle parti
coinvolte, il livello di fiducia nei confronti dello strumento conciliativo.
Sebbene l’avvocato, che assiste il coniuge nell’ambito della procedura prevista dalla legge del 2014, non sia tenuto a effettuare, come
qui spiegato, alcun accertamento sui presupposti della negoziazione, il
suo particolare ruolo non gli consente tuttavia di esonerarsi da un altro
peculiare controllo, che la legge ha inteso espressamente valorizzare,
in relazione all’accordo che si raggiunge.
Precisamente, l’avvocato, in sede di assistenza alla negoziazione,
deve prescindere dalla verifica dei documenti in possesso delle parti,
ma non può esimersi dal garantire che l’accordo – unico documento
sul quale ricadono le sue responsabilità – sia conforme ai precetti normativi inderogabili.
La legge, in particolare l’art. 5, 2° co., d.l. n. 132 del 2014, fa difatti
gravare sugli avvocati il controllo di conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Questa disposizione non comporta nessun obbligo di accertamento, da parte degli stessi professionisti forensi, della situazione in cui
versa la famiglia in crisi: l’oggetto del controllo previsto riguarda, invero, esclusivamente la struttura e il contenuto dell’accordo, cioè l’insieme delle pattuizioni raggiunte all’esito della negoziazione assistita.
870
The best interest of the child
L’avvocato deve garantire cioè che il contenuto dell’accordo (cioè il
suo oggetto) e la sua causa non violino norme imperative né l’ordine
pubblico (né – si deve ritenere – il buon costume).
Per individuare l’ambito di tale compito di certificazione che fa capo
all’avvocato, si può affermare che questi sarebbe certamente responsabile
se, ad esempio, attestasse la conformità alle norme imperative di un accordo volto alla riduzione di un coniuge in stato di schiavitù nei confronti
dell’altro, con confinamento dentro la casa familiare. Una tale pattuizione si porrebbe infatti in grave contrasto con specifiche norme imperative:
l’accordo risulterebbe pertanto illecito. La sanzione giuridica conseguente
sarebbe la sua assoluta nullità, con impossibilità di produzione di effetti.
La normativa sulla negoziazione assistita intende specificamente scongiurare che si giunga a conseguenze invalidatorie di questo
genere: per questa ragione fa gravare sull’avvocato la su menzionata
verifica di liceità.
Il raggiungimento di un accordo nullo, improduttivo di effetti, renderebbe, del resto, del tutto inutile l’attività di negoziazione svolta, con assoluta impossibilità di raggiungimento degli obiettivi, in termini di efficace
risoluzione alternativa delle controversie, presi di mira dal legislatore.
Resta comunque salva la necessità di tener distinte la verifica della
liceità dell’accordo concluso tra le parti e la verifica dei presupposti che
hanno consentito di raggiungerlo.
Considerato che il controllo in ordine alla veridicità di quanto addotto dai coniugi non spetta all’avvocato, quest’ultimo non deve certo ingerirsi nell’ambito della vicenda familiare, né fungere da garante
della veridicità degli elementi forniti dalle parti (mediante le dichiarazioni o informazioni di cui si è detto sopra) nel corso della negoziazione.
Un esempio concreto può aiutare a render più esplicite queste affermazioni. Se le parti richiedono il divorzio affermando che la separazione si è protratta per il periodo previsto dall’art. 3, 1° co., n. 2), lett.
b), l. 1 dicembre 1970, n. 898 (magari mostrando un documento falso,
sebbene non sia prevista – come detto – la produzione di documenti in
sede di assistenza legale alla negoziazione), l’avvocato non è tenuto a
verificare se ciò corrisponde al vero (tanto meno a verificare l’autenticità del certificato eventualmente mostratogli dalle parti, non dovendo, nell’anzidetta logica della negoziazione, analizzare alcun tipo di
documento23). Il professionista deve infatti esclusivamente curare che
23
Resta salva la possibilità che le parti gli richiedano una consulenza in ordine a un
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
871
l’accordo in sé (cioè autonomamente considerato) non violi le norme
imperative o l’ordine pubblico.
Per fare un altro esempio, si pensi al caso in cui le parti comunichino all’avvocato, contrariamente al vero, di non aver figli minori o
bisognosi. In tale evenienza, l’avvocato può ben assistere le parti al fine
del raggiungimento di un accordo che non tenga in considerazione
l’interesse dei figli. In ciò si realizza infatti quanto richiesto dalla legge a carico degli avvocati, non spettando a questi professionisti alcun
ruolo di controllo.
Del tutto diverso è invece il compito del procuratore della Repubblica24.
Si deve considerare, al riguardo, che si tratta di un organo deputato, per legge, a differenza dell’avvocato, all’effettuazione di indagini
(con ampi poteri al riguardo) e, in generale, allo svolgimento di attività
istruttorie, di accertamento e verifica25.
Il procuratore della Repubblica è quindi il soggetto tenuto a verificare – a prescindere dalle mere dichiarazioni o informazioni rese dalle
parti in sede di assistenza alla negoziazione (attività a cui, d’altronde, non partecipa il pubblico ministero) – l’effettivo rispetto di tutte le
condizioni previste dalla legge affinché l’accordo possa produrre gli
effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di
separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di
separazione o di divorzio. A tale verifica da parte del procuratore della
Repubblica, l’art. 2 del d.l. n. 132 del 2014 testualmente subordina la
produzione degli effetti, contemplati nell’art. 3.
Dunque, se da un lato l’avvocato è garante – sotto il profilo privatistico, connesso alla tutela della parte dallo stesso assistita – della liceità del contenuto intrinseco dell’accordo, dall’altro lato il procuratore
della Repubblica è garante – sotto il diverso profilo pubblicistico, connesso di tutela degli interessi fondamentali dei soggetti coinvolti – del
qualche documento (o a più documenti) in loro possesso. Ma una tale richiesta
riguarda lo svolgimento di attività professionale, appunto di consulenza, da tenere
comunque distinta dall’attività di assistenza alla negoziazione, prevista dalla
normativa qui in analisi.
24
Per una differente prospettiva, cfr. E. D’Alessandro, La negoziazione assistita in
materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, p. 1282 ss.
25
Cfr., sul punto, M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 896. Cfr., al
riguardo, anche M.A. Lupoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 294.
872
The best interest of the child
rispetto di tutti i presupposti estrinseci all’accordo, necessari affinché
questo possa produrre le conseguenze giuridiche sopra indicate.
Riprendendo il primo esempio qui sopra offerto, a prescindere da
quanto addotto dalle parti, il procuratore della Repubblica deve verificare che la separazione si è davvero protratta per il periodo prescritto
ai fini del divorzio26.
Al fine del necessario controllo qui indicato, quest’organo, a differenza dell’avvocato, oltre a dover effettuare tutte le indagini del caso,
può ben richiedere alle parti, al fine del nullaosta o dell’autorizzazione
previsti dalla legge sulla negoziazione assistita, la produzione degli
specifici documenti diretti a certificare ufficialmente la situazione in
cui versano27.
In relazione, poi, al secondo esempio sopra prospettato, il pubblico
ministero deve considerarsi certamente tenuto alla verifica in ordine
alla sussistenza di figli minori o bisognosi, a prescindere da quanto
affermato dai coniugi28.
Il potere/dovere di verifica che fa capo al procuratore della Repubblica assume particolare valore nel caso in cui si tratti di salvaguardare
le posizioni personali e giuridiche dei soggetti più deboli che risultino
coinvolti nella controversia familiare29. Il controllo da parte del pubblico
26
Cfr. M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 896; F.P. Luiso, Diritto
processuale civile, V, Milano, 2015, p. 103.
27
La sussistenza di una convenzione di negoziazione assistita può considerarsi
titolo idoneo per la richiesta di un risarcimento del danno nel caso in cui essa si sia
raggiunta per via delle false informazioni rese da una delle parti in ordine alla propria
situazione economica. In seguito all’impugnazione dell’accordo, si può in tal caso
ottenere che questo non produca più alcun effetto e che le condizioni che regolano i
rapporti patrimoniali vengano modificate. Può così essere risarcito il danno arrecato
alla parte che ha confidato senza sua colpa nella validità della convenzione e che ha
svolto inutilmente la propria attività precontrattuale: la sussistenza di un titolo, quale
l’accordo all’esito di negoziazione assistita, consente l’applicazione, per analogia,
della prescrizione ordinaria di dieci anni per far valere la responsabilità della parte
scorretta. Trattandosi di responsabilità prenegoziale, non è comunque possibile
richiedere il risarcimento per l’interesse positivo (che supplirebbe al mancato
rispetto degli obblighi economici effettivamente connessi alla reale situazione,
artificiosamente occultata dalla parte tenuta al pagamento dell’assegno). Del resto,
un eventuale nuovo accordo all’esito di negoziazione assistita, in sostituzione
del precedente e rispettoso della reale situazione economica delle parti, dovrebbe
comunque superare il controllo da parte del procuratore della Repubblica.
28
Cfr., sul punto, A. Ronco, Negoziazione assistita ed accordi tra coniugi: il ruolo del p.m. e
del presidente del Tribunale, in Giur. it., 2015, p. 1403. Cfr. anche G. Carmellino, Crisi
familiare e degiurisdizionalizzazione, cit., p. 495 s.
29
Cfr., al riguardo, P. Lai, La negoziazione assistita nella crisi familiare: un mosaico in via di
composizione?, in Fam. dir., 2019, p. 784.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
873
ministero deve infatti realizzarsi con il massimo scrupolo quando si tratta
di verificare l’effettivo perseguimento, nell’accordo all’esito della negoziazione assistita, dell’interesse dei figli minori o bisognosi.
Un tale delicato compito non può certo farsi gravare in capo agli
avvocati che hanno ricevuto mandato professionale, ai fini dell’assistenza, da parte dei coniugi. È evidente quanto sia importante, per il
raggiungimento delle finalità volute dalla legge, che il controllo avvenga ad opera di una autorità, investita di pubblici poteri di indagine, che
risulti “terza” rispetto alle parti.
Al fine di verificare che l’accordo persegue l’interesse dei figli minori o bisognosi, il procuratore della Repubblica ha il potere di effettuare
indagini nei confronti delle parti: può disporre verifiche in ordine alla
loro situazione familiare, con eventuali approfondimenti che gli consentono di valutare il rispetto di quanto previsto dalla normativa in
materia di tutela dei soggetti deboli nell’ambito dei fenomeni di crisi
della famiglia.
Per la salvaguardia degli interessi di tali soggetti deboli, il procuratore della Repubblica si relaziona direttamente con le parti interessate30.
Di regola, non dovrebbe effettuare le verifiche di sua competenza
rapportandosi con gli avvocati che hanno prestato assistenza alla negoziazione.
La legge prescrive infatti che questi ultimi professionisti supportino
i coniugi nella ricerca di un accordo, ma non prevede che ricevano una
procura: gli avvocati, dunque, assistono ma non rappresentano le parti. Lo
stesso accordo raggiunto all’esito della negoziazione è concluso dai coniugi quali soggetti che agiscono direttamente e in proprio, in qualità di parti
non rappresentate dagli avvocati bensì semplicemente da loro assistite.
Tanto meno – a conferma di quanto poco sopra affermato – gli avvocati possono vantare, sulla base del mandato all’assistenza alla negoziazione, una delega a relazionarsi col pubblico ministero. D’altra
parte, quand’anche una tale delega esistesse, resterebbe comunque salvo il potere/dovere del pubblico ministero di interagire direttamente
con i soggetti direttamente coinvolti nella vicenda in esame.
30
Cfr., in materia, A. Trinchi, La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia
(Seconda parte), in Studium iuris, 2016, p. 286, il quale ritiene che il procuratore della
Repubblica possa interloquire con le parti.
874
The best interest of the child
In linea con quanto disposto dagli artt. 315-bis, 336-bis, 337-octies c.c.,
conseguentemente a quanto delineato in questo paragrafo, il procuratore della Repubblica deve provvedere anche all’ascolto dei figli minori31.
Si sottolinea, infine, come il procuratore della Repubblica possa ben
sindacare gli stessi contenuti dell’accordo che sono stati già oggetto di
verifica da parte degli avvocati. Certamente, non può concedere il nullaosta o l’autorizzazione in caso di accordo che violi, a suo avviso, una
norma imperativa, l’ordine pubblico o il buon costume32.
Né il pubblico ministero può trascurare gli eventuali vizi del consenso o i vizi meramente procedurali, quali sono quelli relativi alla
presenza di almeno un avvocato per parte, all’adempimento, da parte
degli avvocati, degli oneri di certificazione e informazione prescritti
dalla legge, alla competenza territoriale.
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31
Cfr. M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 897. In giurisprudenza,
Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238, ha statuito che l’omessa audizione del minore
capace di discernimento comporta la nullità del procedimento quando non sussista,
a supporto, un’adeguata motivazione. Sarebbe stata opportuna, al riguardo, una
espressa previsione della necessità di ascolto del minore all’interno del d.l. n. 132 del
2014. Cfr., sul punto, F. Tommaseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma
della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, cit., p. 162. In senso
contrario a quanto espresso nel testo, cfr. A. Trinchi, La negoziazione assistita nei
procedimenti di famiglia (Seconda parte), cit., p. 287. La tesi che esclude l’ascolto
del minore nell’ambito della procedura diretta a ottenere l’autorizzazione del
procuratore della Repubblica, si fonda sulla normativa in materia, che riserverebbe
il potere di disporre l’ascolto al giudice e non al procuratore della Repubblica.
32
In senso diverso, cfr. A. Trinchi, La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia
(Seconda parte), cit., p. 285; E. D’Alessandro, La negoziazione assistita in materia di
separazione e divorzio, cit., p. 1283.
Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita
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La posizione del minore nei procedimenti
di separazione
Adriana Neri
1. Il principio del “superiore interesse del minore”1, declinato in ambito
processuale, indirizza l’indagine sulle forme e le modalità attraverso le
quali è possibile assicurare al minore una tutela giurisdizionale effettiva
nel rispetto dei parametri del giusto processo che, adattati alla peculiare
situazione del fanciullo, appaiono funzionali a garantire a quest’ultimo
l’adozione di provvedimenti giurisdizionali idonei a preservarne gli interessi e le legittime aspirazioni.
Vi è pur da osservare, in via preliminare, come il concetto di giustizia minorile, inteso in senso lato, quale apparato di strumenti giurisdizionali attraverso i quali si attua la tutela del minore, si caratterizza
tuttora per un ampio margine di indeterminatezza, dovuto essenzialmente all’impossibilità di individuare un modello processuale tipico
applicabile in tutti i casi in cui venga in rilievo la posizione del minore2.
1
La clausola in questione è ormai da tempo invalsa nel lessico del diritto di famiglia,
a seguito della sua prima enunciazione formale nell’art. 3 della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, il quale testualmente si riferisce al
“best interest of the child”, senza tuttavia chiarirne il significato. Tale formula, peraltro,
è stata variamente tradotta, ora come interesse “preminente” o “prevalente” ora
come interesse “superiore” del minore, restando comunque indubbia la sua valenza
semantica, nel senso che l’interesse del minore – in ogni procedimento in cui venga in
rilievo – esige tutela e protezione prioritaria e prevalente rispetto ad altri valori pur
aventi pari dignità costituzionale. In verità una prima definizione di tale concetto in
linea con le traduzioni appena descritte si ritrova nella Dichiarazione delle Nazioni
Unite sui diritti del fanciullo del 1959 che, al principio 2, sancisce che “the best interest
of the child shall be the paramount consideration”.
2
L’eterogeneità dei modelli processuali attraverso i quali nel nostro ordinamento
si attua la tutela del minore a vari livelli è tale, infatti, da aver indotto sovente
gli interpreti a parlare di un “contenitore ampio” nel quale far confluire tutti i
procedimenti destinati ad incidere su diritti personali e patrimoniali del minore: così
F. Danovi, Orientamenti (e disorientamenti) per un giusto processo minorile, in Riv. dir.
878
The best interest of the child
È altrettanto vero, però, che – quale che sia la specificità del procedimento considerato – il preminente interesse del minore nei procedimenti che lo riguardano funge non solo da regola di giudizio3 che informa i poteri del giudice nel corso della dinamica processuale, ma anche
da misura specifica per calibrare la giustizia della decisione finale.
Si tratta di un interesse che dal punto di vista contenutistico è stato
qualificato – a partire dalla interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 341/1990 – come interesse “a conservare e raggiungere appropriati equilibri affettivi, all’educazione e ad una
idonea collocazione sociale”,un interesse, dunque, che ha una connotazione preminentemente esistenziale e che necessita di protezione e
attuazione in tutti i procedimenti destinati ad incidere sulla sfera personale del minore4, specie in quelli che riguardano la crisi familiare,
come il procedimento di separazione personale dei coniugi (sia esso
consensuale o giudiziale)5.
proc., 2012, p. 1470, il quale osserva correttamente come si riscontri un gradazione
crescente sul piano della idoneità del procedimento di incidere sulla sfera del
minore, passandosi da forme embrionali, ove la funzione giurisdizionale si concreta
in una mera attività di controllo o autorizzativa (come accade nel caso di rilascio del
passaporto necessario per l’espatrio) a forme di tutela ben più incisive, rinvenibili nei
procedimenti de potestate o nei procedimenti concernenti lo status filiationis. Analoga
difficoltà nel delineare con esattezza il perimetro della giustizia minorile si riscontra
peraltro sul piano delle fonti sovranazionali, le quali per lo più fanno riferimento
in via assai generale alle decisioni o ai procedimenti che riguardano il minore (V.
per tutti, art. 3 § 1 Convenzione di New York del 1989 e art. 1 della Convenzione di
Strasburgo del 25 gennaio 1996). Sembra il caso di osservare come la frammentarietà
dei procedimenti che hanno ad oggetto la tutela dei diritti dei minori permane pur
dopo le modifiche più recenti apportate dalla legge n. 219/2012, che ha unificato le
competenze concernenti la filiazione (sia nata nel matrimonio che fuori da esso) in
capo al tribunale ordinario, lasciando poche residue competenze in capo al tribunale
per i minorenni. In argomento se vuoi v. A. Neri, Aspetti processuali dei recenti
interventi legislativi in tema di filiazione, in Riv. dir. proc., 2014, p. 1095 ss.
3
In questo senso testualmente F. Tommaseo, Osservazioni sulle forme della partecipazione
del minore al processo civile, in www.udai.it
4
Per una connotazione pubblica di tale interesse, attesa la centralità attribuita
sul piano giurisdizionale alla posizione del fanciullo, sia nel diritto interno che
sovranazionale, v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile,
in Fam. e dir., 2007, p. 410.
5
Benché i procedimenti generati dalla crisi tra coppie non unite da vincolo
matrimoniale restino estranei alla disciplina di tale procedimento (nella duplice
forma della separazione giudiziale ex art. 706 ss., e consensuale ex art. 711, commi 1°
e 2° c.p.c.), per essi valgano comunque le medesime considerazioni svolte nel testo,
atteso che la questione della posizione dei minori si pone in modo assolutamente
identico anche un tali procedimenti, volti a dichiarare la cessazione della convivenza
tra le coppie di fatto.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
879
Continuare a parlare di interesse del minore può apparire peraltro riduttivo in un momento storico in cui il vecchio modello di famiglia patriarcale, costruito sulla patria potestas, è stato integralmente soppiantato
da nuovi paradigmi che vedono le relazioni familiari incentrate sulla tutela dei diritti dei singoli membri che la compongono e in primis del minore.
Il minore è divenuto, infatti, progressivamente, grazie e soprattutto
agli interventi attuati nell’ordinamento giuridico internazionale, titolare di posizioni giuridiche soggettive autonome6 emancipandosi definitivamente da quella tradizionale posizione che lo raffigurava come
soggetto incapace, esclusivamente bisognoso di cura e di protezione7.
In questa direzione, al tradizionale approccio paternalistico nell’affrontare le questioni che riguardano il minore, se ne è sostituito uno
più maturo ed evoluto, volto a promuovere la tutela dei diritti di cui
egli è titolare, con la conseguenza che la sua posizione, in tutti i contesti
che ne implicano un coinvolgimento (diretto o indiretto), deve essere
necessariamente riguardata alla luce di tale raggiunta consapevolezza.
In tale mutato contesto, l’interesse del minore va pertanto correttamente ricondotto alla sfera dei diritti soggettivi che riguardano il fanciullo e che rendono la sua posizione analoga – dal punto di vista della
tutela esigibile – a quella delle parti adulte, protagoniste del processo.
2. Impostato in questi termini il tema dell’indagine si tratta dunque di verificare se – e in che misura – l’ordinamento processuale offra
strumenti adeguati per dare attuazione al principio dell’effettività della
tutela giurisdizionale del fanciullo che sia coinvolto nel processo della
crisi familiare – e in particolare nel giudizio di separazione – e alla verifica di quale sia la sua corretta collocazione all’interno di tale processo.
6
Si v. per tutti la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo sopra richiamata,
considerata tradizionalmente come il manifesto universale dei diritti del minore. Tra
i diritti del fanciullo in essa enunciati, si ricordano, a mero titolo esemplificativo, il
diritto a conoscere i propri genitori e ad essere allevati da essi, per quanto possibile
(art. 7); il diritto a non essere separato da essi, a meno che la separazione non sia
giustificata dal suo preminente interesse (art. 9), nonché il diritto a preservare le
proprie relazioni familiari (art. 8). In argomento v. per tutti, G. Ruffini, Il processo
civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam pers., 2006, p. 1258, nonché
A. Carratta, Per i diritti processuali del fanciullo a vent’anni dalla Convenzione di New
York del 1989, in www.Treccani.it.
7
G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995,
p. 1607 ss.; B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017,
p. 3 ss. In giurisprudenza v. Cass. 21 ottobre 2009, n. 22238, nella quale si afferma
limpidamente che il minore non è più oggetto di tutela ma soggetto e titolare di
diritti autonomi e perfetti.
880
The best interest of the child
L’esame che ci accingiamo a compiere, peraltro, presuppone inevitabilmente che si sia sciolto il dubbio circa la possibilità che al minore
sia riconosciuta la qualità di parte nel procedimento considerato, in
quanto idoneo ad incidere su uno o più dei suoi fondamentali diritti.
Per comprendere appieno il significato di questa affermazione, che
rinvia alle categorie generali del processo civile, sembra utile premettere che la capacità di essere parte8 spetta a chiunque goda di capacità
giuridica (art. 1 c.c.) e possa quindi essere titolare di diritti soggettivi.
In questo senso, parte del processo in senso sostanziale è colui nella cui sfera giuridica debbono prodursi gli effetti del provvedimento
giurisdizionale. La capacità processuale – tecnicamente la capacità di
stare in giudizio o di essere autore degli atti processuali, nonché destinatario degli effetti che da tali atti derivano9 – spetta invece soltanto a
chi abbia la capacità di agire (art. 2 c.c.) e dunque possa divenire parte
in senso formale del processo10. Pur verificandosi, nella generalità dei
casi, la coincidenza in capo al medesimo soggetto della qualità di parte
in senso sostanziale e processuale, può ben verificarsi una scissione tra
le due qualifiche, come accade appunto nel caso del minore.
Al minore di età, infatti, proprio perché privo della capacità agire,
è negata ex lege la qualifica di parte in senso processuale (o formale),
non potendo egli essere soggetto degli atti del processo, in quanto incapace di stare in giudizio se non legalmente rappresentato da un altro
soggetto al quale la legge attribuisce la c.d. “rappresentanza legale”.
Essa di norma spetta ai genitori che esercitano la responsabilità genitoriale o al tutore11, a meno che non si tratti di minore emancipato o di
azioni che derivino dal contratto di lavoro, in tutti i casi in cui il minore
sia considerato, in base alla legislazione speciale, capace di prestare il
8
Gli studi sul concetto di parte nel processo sono molteplici, sicché sarebbe quasi
impossibile darne conto in questa sede in modo completo. Sia consentito rinviare,
per tutti, a S. Satta, Il concetto di parte, in Riv. dir. civ., 1957, p. 68 ss.; A. Proto Pisani,
voce Parte nel processo, (dir. proc. civ.) in Enc. dir., XXXXI, Milano, 1981, p. 917 ss.; C.
Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Milano 1959, p. 144.
9
V. in tal senso P. Luiso, Diritto processuale, I, I principi generali, Milano, 2009, p. 194
10
L’art. 75 c.p.c. qualifica come incapaci di stare in giudizio coloro che non hanno
il libero esercizio dei diritti che si fanno valere: il minore, in quanto legalmente
incapace di agire non ha il libero esercizio dei diritti di cui è titolare.
11
La rappresentanza legale c.d. “naturale” spetta, ai sensi dell’art. 320 c.c., ai genitori
congiuntamente o a quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità
genitoriale. Solo in via subordinata, in assenza delle figure appena menzionate, la
legge attribuisce la rappresentanza legale ad un tutore o, nel caso in cui questi sia in
conflitto di interessi con il minore, al protutore (art. 360 c.c.).
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
881
proprio lavoro (art. 2 c.c.), o infine di azioni che derivino dall’opera
dell’ingegno, secondo quanto disposto dalla legge sul diritto di autore
(art. 108, l. 22 aprile 1941, n. 633)
Al rappresentante legale (genitore o tutore) spetta di regola la rappresentanza del minore, sia sul piano sostanziale che processuale, salva l’ipotesi in cui manchi tale figura e vi siano ragioni di urgenza o,
infine, ricorra l’ipotesi di conflitto d’interessi, nel qual caso la legge
prevede la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.
La circostanza che il minore non abbia la capacità di stare in giudizio se non per mezzo dei suoi rappresentanti non implica, peraltro,
che a tale soggetto non possa essere riconosciuta la qualifica di parte
(necessaria) nei procedimenti destinati ad incidere su uno dei suoi fondamentali diritti, con la conseguenza che, in tale ipotesi, egli dovrebbe
partecipare al processo, sin dalla sua introduzione.
Ora, mentre non desta particolari perplessità all’interprete il riconoscimento in capo al minore della qualità di parte del processo in
senso sostanziale, in tutti quei procedimenti che abbiano ad oggetto
uno dei diritti che afferiscono alla sua sfera patrimoniale o esistenziale
sulla quale è destinato a ripercuotersi il provvedimento giurisdizionale, assai più problematica si configura la possibilità di riconoscere
al minore la qualità di necessario contraddittore in tutti gli anzidetti
procedimenti, sia pure attraverso l’interposizione soggettiva dei suoi
rappresentanti legali (genitori, tutore o eventualmente curatore).
La soluzione positiva della questione, infatti, non costituisce la necessaria conseguenza del riconoscimento in capo al minore della qualità
di parte in senso sostanziale, posto che è ben possibile, sulla base dei
principi generali che governano il processo, che un determinato soggetto possa essere destinatario degli effetti del provvedimento giurisdizionale finale senza per questo divenire parte del relativo procedimento12.
3. La complessità del problema che si affronta deriva, invero, dalla
circostanza che il legislatore non ha adottato soluzioni omogenee per
tutte le ipotesi in cui nel processo siano implicati i diritti del minore.
E così, mentre non vi è dubbio che nei procedimenti che riguardano i
12
Si pensi all’ipotesi di legittimazione straordinaria di cui all’art. 111 c.p.c. in cui la
legge eccezionalmente prevede che il titolare del diritto sostanziale controverso sia
soggetto agli effetti (diretti) della sentenza pur senza aver preso parte al processo
e quindi senza mai divenire parte in senso processuale. In argomento v. A. Proto
Pisani, voce Parte (diritto processuale civile) in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 162
882
The best interest of the child
suoi diritti soggettivi patrimoniali, il minore, quale titolare del diritto
controverso, partecipa al giudizio in qualità di parte, mediante l’interposizione soggettiva dei suoi rappresentanti legali13, la soluzione non
è così pacifica per quei procedimenti che attengono alla sua sfera esistenziale, come quelli concernenti la crisi della famiglia, ed in particolare il giudizio di separazione, oggetto della presente indagine.
Su questo versante, infatti, è dato osservare come, solo con riferimento a pochi procedimenti, il legislatore ha espressamente riconosciuto al
minore la qualità di parte necessaria. Si tratta, in particolare, dei procedimenti c.d. “de potestate”, finalizzati all’adozione di provvedimenti
limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale (artt. 330 ss. c.c.), di
quelli concernenti lo status filiationis e infine di quelli di adozione (disciplinati dalla l. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 149/2001), tutti
procedimenti, questi, destinati ad incidere, con una gradualità progressivamente crescente, sulla sfera esistenziale del minore14.
13
In tal senso rimane esclusa, pur nella ipotesi considerata, la possibilità che al minore
possa essere attribuita la qualifica di parte processuale in quanto soggetto degli atti
processuali, i quali sono necessariamente posti in essere dai suoi rappresentanti legali.
14
Non essendo certo possibile soffermarsi in maniera diffusa nella trattazione dei
menzionati procedimenti che esulano dall’oggetto specifico della presente indagine,
basterà semplicemente osservare, per quanto qui di interesse, che per i procedimenti
de potestate l’art. 336 comma 4° c.c. (introdotto dall’art. 37, l. 149/2001) prevede che il
minore sia assistito da un difensore al pari dei suoi genitori. La Corte Costituzionale,
peraltro, con la sentenza interpretativa di rigetto 3 gennaio 2002, n. 1, in Foro it.,
2002, I, c. 3302, con nota di A. Proto Pisani, Battute di arresto nel dibattito sulla
riforma del processo minorile, ha chiarito come dal citato art. 336, comma 4° c.c. si
evince l’attribuzione al minore della qualità di parte necessaria del processo, accanto
ai suoi genitori, sottolineando conseguentemente la esigenza che il contraddittorio
sia garantito anche nei confronti di quest’ultimo, previa eventuale nomina di un
curatore speciale. In senso analogo si sono espresse anche Corte Cost. 12 giugno
2009, n. 179, in Fam. e dir., 2009, p. 869, con nota di A. Arceri, Il minore ed i processi che
lo riguardano, una normativa disapplicata; Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 83, in Foro it.,
2011, I, c. 1289. La qualità di parte necessaria del minore nel procedimento ablativo
della potestà genitoriale è stata di recente riconosciuta da Cass. 6 marzo 2018, n.
5256. Il minore è poi qualificato espressamente come litisconsorte necessario nei
procedimenti concernenti lo status filiationis: si pensi, a titolo esemplificativo all’art.
247, comma 1° c.c., in tema di disconoscimento della paternità naturale, o all’art.
248 comma 2° c.c., in tema di azione di contestazione dello stato di figlio, o infine
all’art. 249 c.c. che regola il procedimento di reclamo dello stato di figlio. Le due
disposizioni da ultimo menzionate, per l’ipotesi in cui la azione sia proposta nei
confronti di persone divenute incapaci, rinviano a quanto stabilito nel precedente
art. 247 c.c. il quale testualmente dispone che: “il presunto padre, la madre e il figlio
sono litisconsorti necessari”. La stessa Consulta, peraltro, ha riconosciuto al minore
la qualifica di parte necessaria nei procedimenti diretti al riconoscimento del figlio
naturale (ora figlio nato fuori dal matrimonio secondo la nuova nomenclatura
introdotta dalla l. n. 219/2012): Corte cost. 11 marzo 2011, n. 83, in Guida dir., 2011,
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
883
Giova osservare, ai fini di quanto si dirà più avanti con riferimento
al procedimento di separazione, che in ciascuno dei procedimenti sopra menzionati la partecipazione del minore in qualità di parte postula
l’esistenza di un conflitto immanente tra interesse del figlio e interessi
dei genitori, anche solo potenziale15.
4. Il discorso condotto sin qui merita un ulteriore approfondimento
per quanto concerne i procedimenti che hanno ad oggetto, in via principale, la crisi del rapporto coniugale – tra i quali il procedimento di
separazione personale dei coniugi – per i quali generalmente si esclude
che il figlio minore possa acquisire la qualità di litisconsorte necessario, sul presupposto che per tali giudizi vige il principio dell’esclusività
della legittimazione attiva dei coniugi (art. 155 c.c.)16. Tale conclusione,
p. 28. Infine, di analogo tenore appaiono talune disposizioni contenute nella legge
che disciplina i procedimenti sullo stato di adottabilità (si v. in particolare l’art. 8,
comma 4° l. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 149/2011, secondo il quale “il
procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore,
oltre che dei genitori e degli altri parenti”.
15
Per i procedimenti concernenti la dichiarazione dello stato di adottabilità la
giurisprudenza ormai da tempo afferma che tale conflitto è in re ipsa, con la
conseguenza che il minore deve essere necessariamente rappresentato da un curatore
speciale dovendosi, in caso contrario, ritenere l’intero giudizio affetto da nullità
assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità (Cass. 8 giugno
2016, n. 11782, Cass. 19 maggio 2010, n. 1229, n. 12290, in Pluris.). A conclusioni
analoghe si perviene anche in relazione all’azione di impugnativa del riconoscimento
del figlio nato fuori dal matrimonio per difetto di veridicità (art. 263 c.c.) per la quale
si ritiene necessaria la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore in
luogo di questi ultimi, in quanto in potenziale conflitto con l’interesse del minore. Un
panorama più articolato e non sempre univoco si riscontra invece per i procedimenti
de potestate, per i quali, accanto all’orientamento consolidato secondo il quale l’art.
336 ult. comma c.c. (che prevede la nomina di un difensore al minore) troverebbe
applicazione solo in presenza di un concreto conflitto di interessi tra genitori e minore
(Cass. 31 marzo 2014, n. 7478; Cass. 21 aprile 2015, n. 8100; Cass. 14 marzo 2018, n.
6384), si riscontra qualche pronuncia in cui si afferma che la posizione del minore
in tali giudizi risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori anche nel
caso in cui il provvedimento ablativo o limitativo venga richiesto nei confronti di
uno solo di essi, in ragione della sostanziale impossibilità di stabilire, ex ante, la
coincidenza e l’omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore,
il quale potrebbe, in ipotesi, presentare il ricorso solo per meri interessi personali.
Ne discende, pertanto, che il minore, in quanto litisconsorte necessario, deve essere
rappresentato in giudizio da un curatore speciale: Cass. 6 marzo 2018, n. 5256.
16
L’art. 155, comma 3° c.c. dispone che il diritto di chiedere la separazione giudiziale
(o la omologazione di quella consensuale) spetta esclusivamente ai coniugi. In senso
analogo si v. anche l’art. 1 l. div. In dottrina, sulla scorta del citato dato normativo,
pur negandosi che il figlio possa acquisire la qualità di litisconsorte necessario nei
giudizi di separazione o divorzio, si ritiene che a questi debba essere attribuito il
potere di intervenire, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., e/o di impugnare le statuizioni che
884
The best interest of the child
oltre che indirettamente suggerita dal dato normativo, sembrerebbe discendere dalla diffusa convinzione che tali giudizi, in quanto attinenti
principalmente alla stretta vicenda matrimoniale, da un canto non sarebbero destinati ad incidere con effetti pregiudizievoli sulla sfera esistenziale del minore, dall’altro non implicherebbero una situazione di
conflitto ex ante che richieda la partecipazione del minore come parte
processuale autonoma, accanto ai suoi genitori17. In questa direzione, la
tutela dell’interesse del minore risulterebbe principalmente affidata al
comportamento processuale (id est alle domande ed eccezioni) dei coniugi/genitori, restando di fatto rimessa al loro senso di responsabilità,
oltre che alle eventuali deduzioni del PM – interveniente necessario in
tali giudizi – e in ultima analisi agli ampi poteri attribuiti al giudice18.
Sicuramente vi è da osservare che, a seguito delle recenti riforme
in tema di filiazione – e segnatamente della l. n. 219/2012 e del successivo d.lgs. n. 154/2013, di attuazione della delega contenuta nell’art. 2,
comma lett. i) della citata legge – la posizione del minore all’interno di
tutti i procedimenti nei quali sia coinvolto il suo interesse appare sicuramente più rafforzata, nel senso che la sua audizione – ove lo stesso
abbia compiuto i dodici anni o sia anche di età inferiore, purché capace
di discernimento – viene configurata come un diritto del minore ed un
adempimento ineludibile per il giudice, il quale può ometterlo solo se
lo ritenga superfluo o contrario all’interesse del minore stesso, offrendo, sul punto, adeguata motivazione19.
incidono sui suoi diritti patrimoniali o sui suoi rapporti personali con entrambi i
genitori: G. Ruffini, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir.
fam., 2006, p. 1270.
17
Si v., in particolare, Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 185, in Giur.it., 1988, I, 1, p. 1112, la
quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 5, comma 1, l. div.,
e dell’art. 708 c.p.c. (in relazione all’art. 155 c.c.) nella parte in cui, rispettivamente,
nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio e nel giudizio di
separazione personale dei coniugi, non prevedono la nomina di un curatore speciale
che rappresenti in giudizio il minore, figlio delle parti, quanto ai provvedimenti
sul mantenimento e sull’affidamento, ritenendo che i giudizi in questione non
attengono, né si riflettono sullo status dei figli.
18
In tal senso, espressamente Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 185 cit., Cass. 13 luglio 1992,
n. 8475. In dottrina v. M. Dogliotti – A. Figone, in M. Dogliotti (cur.), I procedimenti
di separazione e divorzio, Milano 2011, p. 47, F. Danovi, Orientamenti e disorientamenti,
cit., p. 1478. Sulla necessità di potenziare il ruolo del P.M. in funzione di una
maggiore tutela dell’interesse del minore, v. G. Sergio, Il ruolo del Pubblico Ministero
minorile tra amministrazione e giurisdizione e le funzioni del garante dell’infanzia, in Fam.
e dir., 2009, p. 67 ss.
19
Così l’art. 336 bis, comma 3 c.c., introdotto dal d.lgs. n.154/2013, che in tal modo
circoscrive l’ampia e generale previsione contenuta nell’art. 315 bis c.c. secondo cui
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
885
L’evoluzione giurisprudenziale che ha fatto seguito alle richiamate innovazioni legislative, in linea con le inequivoche indicazioni emergenti nel panorama delle fonti internazionali20, si è mossa in
modo deciso nella direzione di valorizzare l’audizione del minore,
configurandolo come uno strumento processuale che, pur non potendosi qualificare come un mezzo di prova in senso tecnico21, consente al giudice di acquisire informazioni significative e rilevanti sui
bisogni e le esigenze del minore per una migliore valutazione del
suo effettivo interesse, al punto che la sua pretermissione, in assenza di adeguata motivazione in relazione all’esistenza di un contrario
interesse o alla sua manifesta superfluità, costituisce violazione dei
principio del contraddittorio e del giusto processo, cui consegue la
nullità del procedimento22.
5. Vi è tuttavia da domandarsi se lo strumento dell’audizione del
minore, unitamente alla presenza del PM nel processo di separazione
e ai poteri officiosi di direzione e controllo che indubbiamente spettano
al giudice anche in tale giudizio, possano considerarsi sufficienti per
il figlio dodicenne o anche infradodicenne, ove capace di discernimento ha “il diritto
di essere ascoltato in tutte le questioni o le procedure che lo riguardano”. Giova inoltre
ricordare che nel successivo art. 337 octies c.c., rubricato “Poteri del giudice e ascolto
del minore”, il legislatore del 2013 ha ulteriormente specificato che “nei procedimenti
in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di
affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del
minore o manifestamente superfluo”.
20
Si veda per tutti l’art. 3 della citata Convenzione di Strasburgo del 1996, rubricato
“Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti”
il quale dispone che “al minore che è considerato dal diritto interno avente una capacità
di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di
beneficiare : a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere
la propria opinione; C) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione
comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione”.
21
In argomento v. per tutti L. Querzola, L’ascolto del minore, in. M.A. Lupoi, (cur.),
Trattato della separazione e del divorzio, II, Roma, p. 278
22
Cosi, tra le più recenti, Cass. 13 febbraio 2019, n. 4246, Cass. 7 marzo 2017, n. 5656,
in Fam e dir., 2018, 352, con nota di A. Nascosi, Nuove direttive sull’ascolto del minore
infradodicenne, Cass. 24 maggio 2018, n. 12957, in Foro it., 2018, n. I, c. 2364, in relazione
ad un giudizio di separazione giudiziale. Già nella vigenza dell’art. 155 sexies c.c. le
sezioni unite avevano affermato il medesimo principio, con la pronuncia 21 ottobre
2009, n. 22238, in Riv. dir. proc., 2010, p. 1415, con nota di F. Danovi, L’audizione del
minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento
del giudice, in Fam e dir., 2010, p. 364, con nota di A. Graziosi, Ebbene si, il minore ha
diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. pers. succ., 2010, p. 652, con nota di T.
Iannone, Le sezioni unite danno voce ai figli contesi fra genitori separati, resa proprio in
un procedimento di modifica delle condizioni di separazione tra i genitori.
886
The best interest of the child
consentire al minore una partecipazione al processo in condizioni di
parità con le altre parti e quindi garantirgli, in definitiva, una tutela che
possa dirsi davvero effettiva.
È evidente, infatti, che negare al minore la possibilità di partecipare
al processo della crisi familiare assumendo il ruolo di parte accanto
a quello dei genitori vuol dire di fatto disconoscere che lo stesso sia
titolare di posizioni soggettive autonome e diverse da quelle di questi
ultimi – malgrado di ciò oggi nessuno invero dubiti – relegandolo ai
margini della vicenda processuale come soggetto destinatario di una
tutela solo riflessa e indiretta23.
In questa prospettiva la sola audizione del minore, benché certamente strumento “qualificato” di acquisizione di informazioni rilevanti per il giudice, non può certamente costituire l’unica forma di partecipazione del minore al processo.
Infatti, da un lato, non sempre l’audizione del minore, pur capace
di discernimento, consente una valutazione obiettiva dei suoi interessi;
dall’altro è dato osservare come nella prassi l’ascolto del minore si svolge sovente in forma indiretta, ossia non davanti al giudice, bensì ad un
consulente specializzato da questi nominato, venendo così a mancare
quel contatto diretto con l’organo deputato ad assumere la decisione
finale, tenendo in debito conto anche l’interesse del minore24. E ciò a
prescindere da ogni considerazione sul fatto che l’ascolto è comunque
precluso al minore che sia incapace di discernimento o giudicato in
concreto tale dal giudice.
23
V. in senso critico F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, IV, La crisi della
famiglia, in A. Cicu – F. Messineo – L. Mengoni,Tratt. dir. civ. comm., continuato da
P. Schlesinger, Milano, 2015, p. 148, secondo il quale minore nella prassi risulta
“relegato al ruolo di spettatore del processo, lasciando ai genitori il dominio attivo
dei temi della controversia e confidando nell’intervento equilibratore del giudice o del
p.m., soggetti istituzionali deputati al controllo e alla salvaguardia del suo interesse”.
24
Al riguardo la Corte di Cassazione, con la ordinanza 24 maggio 2018 n. 32309 cit.,
ha chiarito come l’ascolto “è una relazione tendenzialmente diretta che da spazio,
all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore mentre la consulenza,
se pur si avvale preferibilmente di un ascolto diretto del minore da parte di uno
specialista, è un indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in
primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori,
la relazione in essere con il figlio”, giungendo alla conclusione che il giudice,
non soltanto deve motivare le ragioni per cui ritiene di non dover eventualmente
disporre l’ascolto del minore, ma deve altresì esplicitar i motivi per i quali ritiene
preferibile l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali a quello diretto che
avviene dinanzi a lui.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
887
Quanto alla presenza del PM nei procedimenti di separazione
personale dei coniugi, come in tutti le cause matrimoniali per le
quali il suo intervento è obbligatorio a pena di nullità del procedimento (ex art. 70, comma 1, n. 2 c.p.c.), il riscontro della prassi
rivela, in realtà, come il ruolo di questo organo si risolva nella maggior parte dei casi in una mera presa visione di atti25, sicché non
può certo ritenersi che tale soggetto possa fungere da garante per
l’attuazione della tutela globale del minore26. La stessa Corte Costituzionale, del resto, ha riconosciuto che gli interessi del minore non
sono adeguatamente tutelati dal PM in sede di intervento obbligatorio, per la fondamentale ragione che i poteri attribuiti a quest’organo non si ricollegano a specifici interessi del minore, ma a quello
dell’attuazione della legge in generale.27
6. Sulla scorta dello scenario appena delineato non può ragionevolmente negarsi che la posizione del minore resti ancora assai fragile nel
procedimento che riguarda la crisi del rapporto coniugale.
È evidente, peraltro, che un incremento significativo dello spessore
di tutela giurisdizionale assicurabile al minore in tale sede potrebbe
ottenersi solo quando allo stesso venga riconosciuta la qualità di parte
(processuale) a pieno titolo, alla quale garantire sia la rappresentanza
quanto la difesa tecnica.
Si tratta, in fondo, di un risultato che sembra scaturire naturalmente dalla premessa, posta alla base della presente indagine, secondo la
quale il minore è soggetto di diritti alla stregua dei suoi genitori. Se
infatti si conviene con tale assunto, deve coerentemente riconoscersi
al minore uno spazio autonomo all’interno di ogni procedimento che,
investendo la crisi della famiglia, incida anche sui suoi personali interessi e diritti. In questa prospettiva, al minore non può essere negata la
25
Cfr. F. Cipriani, L’agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it, 1993, V,
c. 14; F. Tommaseo, Il P.m. e la tutela del minore, davanti al tribunale ordinario e per i
minorenni, in Fam. e dir., 2016, p. 1198.
26
Si ricorda, peraltro, che solo nel procedimento di divorzio è riconosciuto al PM
il potere di impugnare la sentenza limitatamente agli interessi patrimoniali dei
figli minori e legalmente incapaci (art. 5 l. div.), con esclusione dunque, delle
statuizioni attinenti l’affidamento, mentre analoga legittimazione non si rinviene nel
procedimento di separazione, né si ritiene possibile applicare estensivamente a tale
giudizio la disposizione prevista dalla legge sul divorzio (cfr. Cass. 14 maggio 2002,
n. 6965, in Giust. civ. Mass., 2002, p. 1143).
27
Corte Cost. 15 novembre 2000, n. 528, cit.
888
The best interest of the child
qualifica di parte processuale anche nel procedimento di separazione e
la conseguente possibilità di esercitare all’interno di tale giudizio tutti
i poteri processuali funzionali alla tutela della sua posizione.
Come si è detto in precedenza, infatti, il giudizio di separazione,
pur se tradizionalmente concepito come procedimento che ha ad oggetto in via principale il rapporto tra i genitori – in presenza di prole
– coinvolge a pieno titolo anche la posizione del minore, figlio dei coniugi protagonisti del processo, sia sul piano economico/ patrimoniale
che personale/esistenziale. È infatti innegabile che il provvedimento
conclusivo di tale giudizio, pur diretto precipuamente a dichiarare la
separazione dei coniugi, è destinato anche ad incidere anche su uno dei
suoi fondamentali diritti, con la conseguenza che, mentre egli rimane
sicuramente estraneo alle domande dei genitori destinate a regolare in
via esclusiva i rapporti fra coniugi, deve invece considerarsi parte del
processo con riferimento a quelle domande dei genitori, concernenti il
suo affidamento e il suo mantenimento, che incidano su tali diritti28. In
tal senso il dato normativo che sancisce l’esclusività della legittimazione attiva dei coniugi non costituisce un ostacolo insuperabile all’ammissibilità della ipotesi ricostruttiva appena prospettata, essendo evidente che esso si presti ad essere (correttamente) interpretato pure nel
senso che nessun soggetto, al di fuori dei coniugi, potrebbe agire in
luogo di questi ultimi per domandare la separazione, non anche come
necessariamente diretto ad escludere la partecipazione nel processo, in
qualità di parte, di qualsiasi altro soggetto diverso dai coniugi.
Una simile interpretazione parrebbe ricevere indiretta conferma
dalla constatazione che il giudizio di separazione (come del resto
quello di divorzio), accanto alla domanda volta ad ottenere la separazione dei coniugi ha come oggetto (nell’eventualità in cui vi siano
figli minori) anche le domande concernenti l’affidamento e il mantenimento dei figli.
A confutare la soluzione secondo la quale il minore deve essere
considerato parte del giudizio di separazione, sia pure con le necessarie specificazioni sopra effettuate, non varrebbe obiettare che in tal
28
In questi termini v. B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit.,
p.118 ss., la quale ritiene che il ruolo del minore nei procedimenti di separazione
e divorzio sia un ruolo sui generis in quanto egli deve considerarsi parte in senso
processuale solo quando la tutela giurisdizionale richiesta sia diretta ad incidere
sui suoi diritti soggettivi, non anche quando le domande proposte siano dirette
solo a regolare i rapporti fra i coniugi, rispetto alle quali il minore vanta un mero
interesse al processo.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
889
modo il minore verrebbe indebitamente trascinato nel contenzioso che
riguarda i suoi genitori, anche contro la sua volontà, finendo così per
istituzionalizzarsi il conflitto in essere tra i coniugi29.
Per un verso, infatti, occorre realisticamente riconoscere che il minore, a prescindere da ogni cautela adottabile, non resta mai del tutto
estraneo alla crisi che travolge la famiglia e della quale il giudizio è la
manifestazione più evidente ed immediata, per la semplice constatazione che, ove possibile (e dunque in presenza dei requisiti richiesti
dalla legge), egli deve essere ascoltato “in tutti i procedimenti che lo
riguardano”.
Per altro verso deve osservarsi che la partecipazione del minore in
qualità di parte fin dall’inizio del processo non inciderebbe comunque
sotto il profilo evidenziato, giacché non renderebbe la posizione del
minore più gravosa rispetto a quanto si verificherebbe per effetto di
una sua partecipazione esclusivamente finalizzata a consentire la sua
audizione, in quanto la sua presenza nel processo, in qualità di parte,
avverrebbe pur sempre attraverso i suoi rappresentanti legali.
Essendo, infatti, egli privo della capacità processuale in ragione
della sua età, la sua partecipazione al processo, anche se da protagonista, dovrebbe pur sempre avvenire attraverso lo strumento della rappresentanza legale affidata, di norma, ai suoi genitori.
Invero, come si è visto, al di fuori delle ipotesi in cui manchi il rappresentante legale o vi siano ragioni di urgenza, l’art. 78 c.p.c. contempla la nomina di un curatore speciale ad hoc, anche in presenza di un
conflitto di interessi tra il rappresentante legale e il rappresentato. Tale
conflitto – da intendersi in ogni caso nella sua accezione più lata e non
dunque limitato alla sola sfera patrimoniale del minore, secondo la tradizionale interpretazione che ricollega l’azionabilità dell’art. 78 c.p.c.
29
In questo senso Corte Cost. 14 luglio 1986 n. 185 cit., la quale, proprio sulla
scorta di questa valutazione di opportunità, ha negato che possa considerarsi
costituzionalmente illegittima l’omessa previsione da parte del legislatore della
nomina di un curatore speciale per la rappresentanza in giudizio del figlio minore nei
procedimenti contenziosi relativi alla cessazione degli effetti civili del matrimonio
ed alla separazione dei coniugi, affermando che il minore non è parte in tali
giudizi, pur riconoscendo, non senza contraddizione, la possibilità di nomina di un
curatore speciale per le ipotesi di concreto conflitto tra genitori e figlio. È evidente,
infatti, che la nomina di un curatore speciale, sia che avvenga in presenza di un
conflitto valutato ex ante, perché ritenuto in re ipsa – come accade con riferimento
ai procedimenti de potestate – che di un conflitto che invece si manifesta in concreto
nel corso del processo, postula la partecipazione del minore al processo in qualità di
parte. In questo senso v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo
civile, cit., p. 414.
890
The best interest of the child
alla sussistenza di un conflitto di interessi di carattere esclusivamente
patrimoniale30 – nella prospettazione della giurisprudenza prevalente è
ravvisabile tra il minore – incapace di stare in giudizio personalmente –
e i suoi genitori – suoi rappresentanti legali (naturali) – ogni qualvolta
sia dedotta in giudizio una situazione giuridica idonea a determinare la
possibilità che il potere rappresentativo sia esercitato dal rappresentante in contrasto con l’interesse del rappresentato, quindi anche se detto
conflitto si configuri come solo potenziale. Ne discende che la relativa
verifica va condotta ex ante, tenendo conto della oggettiva materia del
contendere dedotta in giudizio, anziché in concreto e a posteriori, sulla
base degli atteggiamenti assunti dalle parti nel giudizio31.
Tale approdo, peraltro, merita di essere adeguatamente misurato
in relazione al giudizio di separazione ove invece la Suprema Corte,
nelle sporadiche pronunce in cui ha avuto modo di occuparsi della
questione, ha chiarito come la pendenza di un giudizio di separazione
e le eventuali divergenze tra i genitori su ciò che in effetti risulti più
conveniente all’interesse del minore, non creerebbero di per sé l’insorgenza di un conflitto di interessi che rende opportuna la nomina di un
curatore speciale32. È interessante tuttavia osservare come nello stesso
tempo la Corte riconosca che “tale conflitto può determinarsi in concreto
in relazione a comportamenti processuali delle parti che tendano a impedire al
giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore ovvero a frapporsi
alla libera prospettazione del punto di vista del minore in sede di ascolto da
parte del giudice. Si tratta, in questi casi, di una situazione di conflitto che
richiede la nomina di un curatore speciale, la cui individuazione è rimessa alla
valutazione del giudice di merito”.
Secondo tale prospettazione, sembrerebbe dunque da escludersi
che nel giudizio di separazione dei coniugi il conflitto tra genitori e figlio minore possa essere ritenuto immanente e quindi accertato ex ante
anche solo nel suo potenziale verificarsi, dovendosi avere riguardo alla
singola vicenda processuale e al suo concreto dipanarsi.
30
Sul punto cfr. F. Tommaseo, Osservazioni sulle forme della partecipazione al minore nel
processo, cit.
31
Cfr. Cass. 6 agosto 2001, n. 10822; Cass. 16 settembre 2002, n. 13507; Cass. 30
maggio 2003, n. 8803, nelle quali si afferma conseguentemente che l’omessa
nomina del curatore speciale, nei casi anzidetti, determina la nullità del giudizio
per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del
contraddittorio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio.
32
Cass. 24 maggio 2018, n. 12957.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
891
Si tratta, tuttavia, di una conclusione che a mio avviso non può trovare accoglimento in via generale ed assoluta, non potendosi invero escludere che talvolta il conflitto tra genitori e figli meriti di essere valutato e
considerato anche quando ancora non si è manifestato in concreto.
Deve infatti osservarsi che nel giudizio di separazione (come del
resto in ogni giudizio avente ad oggetto la crisi del rapporto coniugale)
i coniugi-genitori sono sempre parti necessarie che agiscono a tutela
di posizioni soggettive che, quanto meno nelle ipotesi in cui la separazione assuma le forme del giudizio contenzioso, sono inevitabilmente
contrapposte33. In tale contesto, in cui normalmente la conflittualità è
piuttosto elevata, non appare così peregrino ipotizzare che il conflitto
nei confronti del minore debba essere valutato in astratto, specie in
quei casi in cui esso rimane latente e strisciante, e quindi non facilmente percepibile al di fuori del contesto familiare, privando i genitori
della necessaria imparzialità per valutare con occhi obiettivi l’interesse
del figlio rispetto alle vicende che lo riguardano direttamente.
In questi casi, lo strumento “fisiologico” della rappresentanza legale dei genitori si rivela in realtà inadeguato a preservare l’interesse
del minore34, sicché l’unico modo per garantire allo stesso una tutela
giurisdizionale effettiva sembra quello di fare ricorso alla nomina di
un rappresentante legale ad hoc (id est di un curatore speciale) nominato su richiesta del PM (come avviene nella generalità dei casi), del
minore stesso o dei prossimi congiunti di questi, compresi gli stessi
rappresentanti (naturali) in conflitto di interessi, così come consentito
dall’art. 79 c.p.c.
Sulla base di quanto ipotizzato discende che nel giudizio di separazione, al quale partecipi sin dall’inizio il minore in qualità di parte,
potrà prefigurarsi una duplice scenario a seconda che sia stata rilevata o meno la sussistenza del conflitto tra questi e i suoi genitori. In
quest’ultimo caso, infatti, la posizione del minore, pur presente come
33
Da questo punto di vista diversa sarebbe la posizione del tutore, eventualmente
nominato in mancanza di rappresentanti legali naturali, atteso che tale soggetto
rappresenterebbe il minore nel processo, agendo in suo nome e per suo conto,
senza con ciò far valere in giudizio alcuna posizione personale. Non a caso, infatti,
la giurisprudenza generalmente esclude che il tutore, pur se nominato nel corso
del procedimento, possa ritenersi in conflitto potenziale con il minore, essendo
invece necessaria, per provare la sussistenza del conflitto, la deduzione di concrete
circostanze. Cass. 19 ottobre 2011, n. 21651, in Foro it., 2012, I, c. 821, Cass. 19 maggio
2010, n. 12290.
34
In tal senso, B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p. 288.
892
The best interest of the child
posizione soggettiva ontologicamente e concettualmente distinta da
quella dei suoi genitori, non sarà apprezzabile esteriormente, data
la convergenza, nelle medesime persone fisiche, della posizione del
minore e di quella dei genitori, i quali dunque agiranno in giudizio
sia iure proprio che a tutela del minore. Per contro, la presenza del
minore nella anzidetta qualità risulterà manifesta quando, rilevato il
conflitto, sia stato nominato un curatore speciale in luogo dei rappresentanti naturali.
7. Nulla peraltro è previsto quando, malgrado l’esistenza di tale
conflitto, non si proceda alla nomina del curatore, in difetto di una
istanza in tal senso da parte dei soggetti legittimati. Poiché, peraltro,
come si è detto, l’omessa nomina del curatore costituisce una carenza in grado di determinare la nullità assoluta ed insanabile dell’intero
procedimento, ci si è inevitabilmente interrogati sulla possibilità che
il giudice proceda alla nomina d’ufficio del curatore, pur in assenza
di una normativa specifica sul punto. Pochi, infatti sono i casi in cui lo
stesso legislatore ha espressamente previsto tale possibilità, giudicando immanente il conflitto con i suoi genitori35.
La soluzione positiva di tale questione sembra peraltro aver trovato
definitivo accoglimento nella giurisprudenza di merito, ove si riconosce che la disposizione dettata dall’art. 78 c.p.c. non deve considerarsi
di eccezionale applicazione, essendo espressione di una regola generale destinata ad operare ogni qualvolta sia necessaria la nomina di un
rappresentante all’incapace36.
35
È quanto accade, ad esempio, nel procedimento per il disconoscimento della
paternità ex art. 244 comma 4° c.c., ove si prevede che l’azione possa essere promossa
da un curatore speciale nominato dal giudice. La stessa possibilità, peraltro, è
riconosciuta dalla giurisprudenza nei procedimenti de potestate, per i quali si ritiene
che il conflitto investa sempre entrambi i genitori. Su tali questioni v. supra nota 15.
36
V. Trib. Milano, 19 giugno 2014, in www.ilcaso.it, con riferimento ad un procedimento
ex art. 709 ter c.p.c. nel quale il tribunale, in presenza di una conflittualità molto
accesa, ha ritenuto opportuno nominare ex officio un curatore speciale ad una
minore “affinché la rappresenti in questo momento di scontro genitoriale preservandola
dalle conseguenze di sfavore che il conflitto genitoriale può determinare”. In senso analogo
Tribunale Varese 12 febbraio 2013, in www.ilcaso.it. Sulla stessa linea, sia pure
con differenti sfumature, Tribunale di Genova 9 agosto 2017 che, relativamente ad
un procedimento di separazione, ha ritenuto necessaria la nomina di un curatore
speciale del minore all’esito della udienza presidenziale, alla luce della condotta
processuale – giudicata scorretta e lesiva degli interessi del minore – tenuta in tale
sede dai genitori.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
893
Si tratta di una interpretazione senza dubbio condivisibile, sia in
quanto costituzionalmente orientata, nel rispetto dei parametri di cui
agli artt. 2, 30 e 31 Cost., volti anche a preservare i fondamentali diritti
del minore ad essere mantenuto, istruito ed educato, oltre che dei principi del diritto di difesa e del giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.), sia
perfettamente in linea con le indicazioni emergenti dal diritto convenzionale, ed in particolare dalla Convenzione di Strasburgo del 1996,
la quale prevede che, ove sorga conflitto di interessi tra il minore e i
detentori della responsabilità genitoriale, questi sono privati del potere di rappresentare il minore il quale, pertanto, ha il diritto di ottenere
la nomina di un rappresentante speciale che può anche essere disposta
d’ufficio da giudice (artt. 3 e 9).
La possibilità di nomina ex officio ivi contemplata, benché certamente non cogente per lo Stato italiano il quale, nello strumento di ratifica,
non ha incluso i procedimenti sulla crisi della famiglia tra quelli ai quali si applica la citata disposizione37, rappresenta una misura fondamentale per consentire al giudice di poter individuare con maggiore libertà
gli strumenti processuali più idonei a tutelare l’interesse del minore,
tenendo conto della sua reale condizione all’interno della famiglia.
8. Ulteriore profilo da considerare è quello della possibilità di assicurare la rappresentanza tecnica al minore nel processo di separazione
dei coniugi/genitori. Invero, nel diritto interno, la necessaria assistenza del difensore per il minore è prevista solo con riferimento a due
ipotesi specifiche, e cioè nei procedimenti per la dichiarazione dello
stato di adottabilità e in quelli de potestate. Per i primi, infatti, poiché il
procedimento deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del
minore (oltre che dei genitori e degli altri parenti: art. 8 ult. comma, l.
n. 184/1983, come modificato dalla l. n. 149/2001), si prevede che, su
invito del presidente del tribunale, i genitori e i parenti del minore che
hanno mantenuto con questi rapporti significativi, nominino un difensore e che, nell’inerzia di tali soggetti, a ciò provveda il giudice (art. 10,
comma 2° della citata legge). Per i secondi, il nuovo comma 4° dell’art.
37
Si tratta per lo più dei procedimenti sullo status filiationis ex 244 ult. comma c.c., 247
ult. comma c.c., 264 comma 2° c.c. e 274 c.c. In argomento v. G. Ruffini, Il processo
civile di famiglia, cit., p. 1263, il quale appare piuttosto scettico sulla possibilità di
invocare la citata Convenzione per postulare un potere officioso generale del giudice
di nominare un curatore speciale al minore in presenza di un conflitto di interessi tra
questi e i suoi genitori.
894
The best interest of the child
336 c.c. (introdotto dalla l. n. 149/2001) dispone che i genitori e il minore debbono essere assistiti da un difensore38. Nel diritto convenzionale
internazionale, peraltro, la difesa tecnica è qualificata come un diritto
del minore che deve poter trovare attuazione in tutti i procedimenti
che lo riguardano39.
Con specifico riferimento al procedimento di separazione la questione trova una soluzione necessariamente positiva, una volta che sia
stata riconosciuta al minore la qualità di parte in senso sostanziale e
processuale in tale giudizio. Infatti, sia che il minore venga rappresentato nel processo dai genitori sia che, in presenza di un conflitto di
interessi, sia rappresentato da un curatore speciale, il riconoscimento
della qualità di parte implica necessariamente l’attribuzione al minore
del diritto ad essere assistito dal difensore tecnico40.
È evidente, peraltro, che il difensore del minore potrà coincidere
con la stessa persona fisica che svolge tale ministero nell’interesse dei
suoi genitori e che sia stata da questi nominati anche per assistere in
giudizio il minore, oltre che per assumere la loro personale difesa41.
Ciò comporta che il difensore, in questa duplice veste, dovrà esercitare il suo ministero in favore del minore con riferimento alle domande sul mantenimento e sull’affidamento proposte nel giudizio di
separazione dai suoi genitori, dovendosi in tal caso ritenere investito
dell’obbligo specifico di assumere “un comportamento protettivo” nei
confronti del minore coinvolto, in ragione della peculiare funzione che
il rappresentante tecnico è chiamato a svolgere nelle cause familiari42.
38
Sulla interpretazione, non sempre agevole, di tali norme, v. B. Poliseno, Profili di
tutela del minore nel processo civile, cit., p. 297 ss.
39
Cfr. art. 5 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996.
40
Nel senso che la difesa tecnica costituisca un vero e proprio obbligo discendente
dalla riconosciuta qualità di parte al minore v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa
del minore nei giudizi di adottabilità, cit., p. 415; B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel
processo civile, cit., p. 297 ss. Sulla imprescindibile esigenza che il minore sia assistito
da un difensore in tutti i procedimenti che lo riguardano v. anche L. Querzola, Il
processo minorile in dimensione europea, cit., p. 113 ss.
41
F. Danovi, L’avvocato del minore nel processo civile, in Fam e dir., 2012, p. 263, S.
Boccagna. L’«avvocato del minore», in Dir e giur., 2010, p. 170.
42
Cfr. Trib. Milano 23 marzo 2016, in Fam dir., 2016, p. 1152, con nota di F. Danovi, I
doveri deontologici dell’avvocato nel diritto minorile e la giurisdizione forense.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
895
Ove invece dovesse riscontrarsi un conflitto di interessi che renda
necessaria la nomina di un curatore speciale, sarà quest’ultimo a nominare un difensore personale al minore, qualora non sia egli direttamente provvisto di ius postulandi43.
Un profilo problematico che semmai viene in rilievo in tale contesto
è quello che concerne le conseguenze discendenti dalla mancata nomina di un difensore di fiducia da parte dei genitori che rappresentano
il minore o del suo curatore speciale. Partendo dal presupposto che
una parte del processo non può restare priva di difesa tecnica, una tale
evenienza potrebbe essere agevolmente risolta in favore del minore
riconoscendo al giudice il potere di nominare un difensore, così come
accade con riferimento ai procedimenti relativi alla dichiarazione dello
stato di adottabilità nei quali il giudice nell’inerzia delle parti, provvede alla nomina del difensore d’ufficio44.
Va peraltro osservato che nella prassi si tende generalmente a concentrare nell’unica figura dell’avvocato le funzioni di difensore tecnico
e di curatore, nell’ottica di assicurare al minore una maggiore protezione45. Non essendoci peraltro ragioni formali che impediscano la concentrazione in un unico soggetto dei ruoli di rappresentante legale ad
hoc e di difensore, si pone semmai il problema di garantire al minore
una assistenza idonea attraverso soggetti formati in modo adeguato,
43
Si ritiene, infatti, che nelle ipotesi in cui sia stato nominato un avvocato quale
rappresentante legale del minore, questi possa stare in giudizio in rappresentanza
e difesa di quest’ultimo, anche senza il ministero di altro difensore, ai sensi dell’art.
86 c.p.c.: Cass. 22 luglio 2015 n. 15363; Cass. 26 marzo 2010, n. 7281; Cass. 19 maggio
2010, n. 12290; Cass. 14 luglio 2010 n. 16553; Trib. Catania, 14 dicembre 1992, in Foro
it. 1993, I, c. 1636.
44
Per una soluzione analoga, se bene intendo, F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del
minore, cit., p. 415, il quale, postulando l’esistenza di un obbligo di difesa del minore
nella sua qualità di parte, ritiene impossibile ipotizzarne la contumacia in senso
tecnico, con la conseguenza che il giudice deve attribuire al minore un difensore, in
applicazione delle regole sulla difesa d’ufficio. In alternativa, potrebbe ipotizzarsi il
ricorso al meccanismo di cui all’art. 182, comma 2° c.p.c. che attribuisce al giudice,
anche in presenza di un difetto assoluto della procura, il potere di assegnare alle
parti un termine per provvedere al suo rilascio, senza tuttavia alcuna garanzia che il
problema dell’inerzia delle parti venga superato.
45
In tali termini v. G. Dosi, L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino,
2005, p. 34 ss, nonché F. Danovi, Orientamenti (e disorientamenti), cit., p. 1487 il
quale evidenzia come la soluzione ottimale per una migliore tutela dell’interesse
del minore dovrebbe essere quella di assegnare all’avvocato di quest’ultimo sia la
rappresentanza tecnica e che quella processuale, anche al fine di evitare il rischio
di disallineamenti tra curatore e difensore che potrebbero compromettere la stessa
strategia difensiva.
896
The best interest of the child
specie in considerazione del fatto che, al momento attuale, la selezioni
di tali soggetti non avviene attraverso canali che ne garantiscano una
formazione specifica, come potrebbe essere l’albo degli avvocati specializzati per il processo civile di famiglia, ancora oggi non istituito,
malgrado l’esistenza di un albo dei difensori d’ufficio per il processo
penale a carico di imputati minorenni46.
9. Infine, e per concludere, giova osservare come il riconoscimento
della qualità di parte del minore nel processo di separazione debba
condurre a riconoscere a quest’ultimo, previa eventuale nomina di un
curatore speciale, anche la legittimazione attiva a promuovere il procedimento di revisione delle condizioni di separazione che incidono
direttamente sui suoi diritti, ex art. 710 c.p.c.
Si tratta di una possibilità che la giurisprudenza già da tempo ha
riconosciuto ai figli maggiorenni non ancora autosufficienti sul piano economico, sia pure limitatamente alle condizioni relative al loro
mantenimento47.
Al riguardo si è evidenziato in dottrina come in tali ipotesi il figlio
divenuto maggiorenne non acquista un nuovo ed autonomo diritto al
mantenimento di cui precedentemente non era titolare, ma semplicemente, avendo raggiunto medio tempore la maggiore età, è in grado di
agire personalmente in giudizio, essendo venuto meno l’ostacolo della
sua incapacità processuale che in precedenza gli imponeva di partecipare al processo per mezzo del suo rappresentante legale48.
46
Cfr. l’art. 11, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Codice del processo penale minorile)
ove si stabilisce che, ferma la disciplina dettata dal codice di rito, il consiglio
dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione
nel diritto minorile. Analoga previsione si rinviene nell’art. 15, d.lgs. 28/07/1989,
n. 272, recante le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del processo
penale a carico di imputati minorenni, a mente del quale, “Ciascun consiglio dell’ordine
forense predispone e aggiorna almeno ogni tre mesi l’elenco alfabetico degli iscritti nell’albo
idonei e disponibili ad assumere le difese d’ufficio e lo comunica al presidente del tribunale per
i minorenni, il quale ne cura la trasmissione alle autorità giudiziarie minorili del distretto”.
47
Cass. 10 gennaio 2014, n. 359, in www.ilcaso.it; Cass. 26 settembre 2011, n. 19607,
in Fam e dir., 2012, p. 903, con nota critica di F. Alligo, Mantenimento del figlio
maggiorenne in regime di separazione e divorzio; profili sostanziali e riflessi processuali.
48
G. Ruffini, Il processo civile di famiglia, cit., p. 1271.
La posizione del minore nei procedimenti di separazione
897
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Prevalencia y garantía del interés
del menor en los procesos de familia
Pilar María Estellés Peralta
Sumario: 1. Estado de la cuestión. – 2. Prevalencia y garantía del interés
del menor. – 3. La nueva concepción de la capacidad jurídica y de la
madurez del menor versus la transformación de una institución jurídica
fundada en vínculos naturales. – 4. Análisis en el ordenamiento civil
de distintas situaciones derivadas del ejercicio de la patria potestad en
caso de conflicto familiar. – 4.1. Discrepancia entre ambos titulares de
la patria potestad. – 4.1.1. Desacuerdos puntuales. – 4.1.2. Desacuerdos
reiterados. – 4.2. Discrepancia de los progenitores con el menor. – 4.2.1.
Ejercicio del derecho a la libertad religiosa, de conciencia e ideológica
del menor versus el ejercicio de la patria potestad y el derecho a educar
a los hijos en las creencias religiosas profesadas por los padres. – 4.2.2.
El ejercicio de derechos que afectan a la salud y a la integridad física de
los hijos menores. – 5. Observación final
1. Estado de la cuestión
El ámbito familiar, lugar natural donde el menor se desarrolla, educa
y protege, es, a su vez, terreno de conflicto cuando la unidad familiar
quiebra y surgen nuevas situaciones que afectan a los hijos en diversos
aspectos importantes relacionados con el ejercicio de la patria potestad
o cuando los padres tienen opiniones encontradas entre sí o con sus
hijos menores adolescentes respecto a las más variadas cuestiones, relacionadas con el ejercicio de los derechos de la personalidad de los menores, como las alternativas educativas – no solo religiosas – y académicas, la imagen física y corporal – rastas, piercings, tatuajes – del menor,
los embarazos de adolescentes, la prestación o negativa del consentimientos para determinados tratamientos e intervenciones médicas, etc.
900
The best interest of the child
La institución de la familia ha evolucionado en las últimas décadas
y se ha producido un importante giro en las relaciones conyugales y
parentales; en general, las relaciones entre los cónyuges son hoy menos duraderas y están afectadas por mayores circunstancias externas
que hace unos decenios. Se observa un aumento importante en el número de fracasos matrimoniales y por tanto de situaciones de crisis
familiares en que pueden verse afectados los menores1.
Pero no siempre las discrepancias en cuanto al cuidado y educación
del menor surgen de los conflictos conyugales; en numerosas ocasiones
son los propios adolescentes los que generan estas problemáticas que los
enfrentan con los titulares de la patria potestad y complican su ejercicio.
Las transformaciones sustanciales que ha experimentado en tiempos recientes el derecho de Familia y que afectan al reconocimiento y garantía
de un importante abanico de derechos en favor de los menores encabezado siempre por la prevalencia de su interés superior, en numerosas ocasiones va a suponer un gran avance y un reforzamiento de las garantías
en favor de su protección. A su vez, se aprecia una continuada evolución y
modificación de su autonomía personal basada en su madurez, que supone en contrapartida, un debilitamiento del derecho-poder en que consiste
la patria potestad que regula el art. 154 CC y que podrían suponer una
grieta para los intereses del menor que se pretenden proteger al dificultar
el cumplimiento de los deberes y facultades de “velar por ellos, tenerlos
en su compañía, alimentarlos, educarlos y procurarles una formación integral”2. Teniendo en cuenta todos estos intereses en liza trataremos de
dilucidar los distintos supuestos de resolución de crisis familiares y su
incidencia en la garantía y prevalencia del interés superior del menor.
1
En 2017 se produjeron 102.341 casos de nulidad, separación y divorcio, lo que
supuso una tasa de 2,2 por cada 1.000 habitantes. El total de casos de ruptura supuso
un aumento del 1,0% respecto al año anterior. Durante este año 2017, se produjeron
97.960 divorcios, 4.280 separaciones y 100 nulidades. Los divorcios representaron el
95,7% del total, las separaciones el 4,2% y las nulidades el 0,1% restante. El número
de divorcios aumentó un 1,2% respecto al año anterior. El 46,0% de los matrimonios
correspondientes a las resoluciones de los casos de separación o divorcio tenían
solo hijos menores de edad. Destaca, asimismo, que la custodia de los hijos menores
fue otorgada a la madre en el 65,0% de los casos, cifra inferior a la observada en el
año anterior (66,2%). La custodia compartida fue otorgada en el 30,2% de los casos
de divorcio y separación. Datos del INE, sobre el año 2017, en http://www.ine.es/
prensa/ensd_2017.pdf última consulta 27 de marzo 19.
2
Tan grave ha sido la aniquilación de las funciones parentales que el propio legislador
ha debido rectificar al respecto, como en el caso de la Ley Orgánica 11/2015, de 21
de septiembre, para reforzar la protección de las menores y mujeres con capacidad
modificada judicialmente en la interrupción voluntaria del embarazo.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
901
2. Prevalencia y garantía del interés del menor
La primacía del interés superior del niño va a ocupar el vértice de
los diferentes intereses en conflicto en lo referente a la resolución de
las distintas situaciones de crisis y discrepancia familiares. Este interés
superior del niño se recoge tanto a nivel internacional como a nivel interno3. Su reconocimiento a nivel jurisprudencial se observa tanto en el
Tribunal Supremo4, como en el Tribunal Constitucional5 y en el Tribunal Europeo de Derechos Humanos6, que han recogido reiteradamente
este principio en sus pronunciamientos. Se reconoce pero no se define
concretamente pese a ser una de las finalidades de la LO 8/2015, de 22
de julio, de protección de la infancia y la adolescencia7.
Las transformaciones operadas en las relaciones familiares han originado nuevos problemas jurídicos que afectan a los menores y en este
nuevo entorno se modela un nuevo y más complejo entendimiento del
interés superior del menor con una triple dimensión: el “interés superior del niño” es ahora un derecho sustantivo en el sentido de que el
menor tiene derecho a que, cuando se adopte una medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y, en el caso de que
haya otros intereses en juego, se hayan ponderado a la hora de llegar a
una solución, siendo, además, un derecho directamente invocable ante
3
Recogido en el artículo 3.1 de la Convención de Derechos del Niño y desarrollado
en la Observación General número 14 de 2013, así como en la nueva redacción dada
al art. 2 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero, de Protección Jurídica del Menor
por la LO 8/2015, de 22 de julio, de protección de la infancia y la adolescencia y en la
Ley 26/2015, de 28 de julio, de modificación del sistema de protección de la infancia
y adolescencia, que vienen a modificar determinados preceptos contenidos tanto en
leyes sustantivas como procesales.
4
STS 29 abril 2013 (ROJ 2013, 2246) y STS 20 octubre 2014 (ROJ 2014, 4233), STS 17
noviembre 2015 (ROJ 2015, 5218), STS 27 junio 2016 (ROJ 2016, 3124), STS 21 junio
2017 (ROJ 2017, 2508), STS 26 febrero 2019 (ROJ 2019, 647), entre otras.
5
STC 152/2005, 2 de junio, STC 124/2002, 20 mayo FD 6, STC 138/2014, 8 septiembre.
6
STEDH 11 octubre 2016, rec. nº 23298/12, affaire Iglesias Casarrubios et Cantalapiedra
Iglesias c. Espagne.
7
Así la STS 4 abril 2018 (ROJ 2018, 1156) FD 2, y la STS 12 septiembre 2016 (ROJ
2016,4045) FD 3: “…está en función y se orienta en interés del menor; interés que
ni el artículo 92 del Código Civil ni el artículo 9 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15
de enero, de Protección Jurídica del Menor , desarrollada en la Ley 8/2015, de 22
de julio de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia,
define ni determina, y que la jurisprudencia de esta sala, en supuestos como el que
ahora se enjuicia, concreta a partir de un compromiso mayor y una colaboración de
sus progenitores tendente a que este tipo de situaciones se resuelvan en un marco de
normalidad familiar”.
902
The best interest of the child
los Tribunales; es un principio general informador e interpretativo, de
manera que si una disposición jurídica puede ser interpretada en más
de una forma se debe optar por la interpretación que más favorezca a
los intereses del menor; y es una norma de procedimiento que exige el
respeto a todas las garantías, basado en una evaluación de todos los
elementos del interés de uno o varios niños en una situación concreta.
Este cambio de concepción sobre la posición del niño en el proceso se
va a traducir en una exigencia reforzada para el juzgador, en lo que
se refiere a su deber de motivar las resoluciones. Esa mayor exigencia
comprende referir todas las circunstancias de hecho de relevancia para
el niño, los elementos que se han considerado pertinentes para la evaluación de su interés superior 8 y la manera en que se han ponderado.
Para el caso de que la decisión adoptada difiera de la opinión del niño,
el juez deberá explicar las razones que le han llevado a adoptarla y
cuando, por motivos excepcionales, el juez deba fallar contra el interés
superior del niño (p. ej. porque entre en conflicto con el de otro menor), habrá de asegurarse el juzgador de explicar cómo dicho interés
fue objeto de una consideración primordial en el proceso intelectual
que condujo a la sentencia9.
Con el fin de determinar el interés del menor, cobra especial dimensión otro principio fundamental con el que se vincula: la idea de que el
interés del niño ha de ser entendido como superior por encima de todas
las demás consideraciones. Además, debe ponerse en relación con el
desarrollo libre e integral de su personalidad y la supremacía de todo
cuanto le beneficie, más allá de las preferencias de los padres, tutores
o administraciones públicas10, por lo que debe determinarse en cada
8
En Defensor del Pueblo, Estudio sobre la escucha y el interés superior del menor.
Revisión judicial de medidas de protección y procesos de familia, Madrid, mayo 2014, p.
23, se concluye que los tribunales de justicia son directamente invocados entre las
autoridades a las que incumben una especial obligación de dar satisfacción al superior
interés del niño en todas las decisiones que adopten. Esta previsión tiene particular
importancia en un régimen constitucional en que los tribunales son responsables del
control de las actividades de otros poderes del Estado. Refiriéndose a la vía civil,
el Comité de los Derechos del Niño, además de recordar la obligación general ya
señalada, añade significativamente que “han de demostrar que así lo han hecho
efectivamente”. Esta idea se conecta no sólo con consideraciones procedimentales
sino también con la exigencia de que la motivación de los actos sea individualizada
y suficiente.
9
Defensor del Pueblo, Estudio, cit., p. 32.
10
En este sentido, vid. P. Sánchez De León Guardiola – J. Company Carretero, El
interés superior del menor y el derecho del niño a ser escuchado, en Actualidad Civil, nº 7-8,
2017, La Ley, p. 4-15, p. 4 ss.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
903
caso el concreto y personal el interés del menor en liza en ese momento
y circunstancia concretos11. Así, lo que es beneficioso para un menor
puede no serlo para otro12; o lo beneficioso para el menor en una determinada circunstancia y fecha puede no serlo si éstas varían. Por tanto,
ha de tener la consideración de primordial en los procesos de adopción
de decisiones que le afecten13; pero no siempre la consideración de los
deseos, sentimientos y opiniones del menor garantizan que la medida adoptada sea la óptima para el niño o adolescente; por el contrario,
en ocasiones la decisión más adecuada a los intereses del menor será
aquella precisamente contraria a sus deseos pero que los titulares de la
patria potestad – o el juez en su caso – deberán adoptar por el interés
superior del hijo y aunque ello conlleve conflictos en el seno familiar.
La nueva formulación ha supuesto indudablemente un avance en la
prevalencia y garantía de los intereses del menor, sin embargo, los criterios y elementos establecidos siguen siendo muy generales, difusos
y diversamente interpretables, lo que conlleva algunos inconvenientes,
como la enorme discrecionalidad que se concede al juez, con el consiguiente riesgo de arbitrariedad14.
3. La nueva concepción de la capacidad jurídica
y de la madurez del menor versus la transformación
de una institución jurídica fundada en vínculos naturales
La progresiva evolución en la forma de concebir la capacidad jurídica
del niño – que pasa a modularse en función de su desarrollo y grado de
autonomía – ha provocado una transformación del enfoque tradicional
11
Tal y como pone de relieve la STS 13 febrero 2015 (ROJ2015, 253) que ha declarado
que “el interés prevalente del menor es la suma de varios factores” y el que prima
en estos casos es el “de un menor perfectamente individualizado, con nombre y
apellido, que ha crecido y se ha desarrollado en un determinado entorno familiar,
social y económico que debe mantener en lo posible, si ello le es beneficioso”,
concluyendo que “el interés en abstracto no basta”. Asimismo, C. Núñez Zorrilla,
El interés superior del menor en las últimas reformas llevadas a cabo por el legislador estatal
en el sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Persona y Derecho, vol. 73,
2015/2, p. 117-160, p. 122.
12
J. Martínez Calvo, La determinación del interés superior del menor tras la reforma
introducida por la Ley Orgánica 8/2015, de modificación del sistema de protección a la
infancia y a la adolescencia, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, 3 ter, diciembre 2015,
p. 198-206, p. 201.
13
Vid. Defensor del Pueblo, Estudio, cit., p. 7, 8 y 20, entre otras.
14
J. Martínez Calvo, La determinación, cit. p. 201.
904
The best interest of the child
que atribuía a los niños el papel de receptores pasivos de los cuidados y
atenciones de los adultos, quienes adoptaban por sustitución, las decisiones de mayor relevancia en aquello que les concernía, y ha pasado a
reconocerlos como protagonistas activos y, por tanto, llamados a participar en el proceso de adopción de aquellas decisiones que puedan afectarle; el niño pasa a ser considerado como un individuo con opiniones
propias que habrán de ser atendidas en consonancia con su capacidad
y madurez15. Ello ha supuesto una transformación gradual e irreversible
en la concepción y contenido de la patria potestad desde el Derecho justinianeo16 hasta las últimas reformas en la materia donde se la denomina
como responsabilidad parental y donde el conjunto de facultades que la
ley otorga a los padres va dirigido o está subordinado a los cumplimientos de los deberes y funciones establecidos por la propia norma. Se ha
pasado así de concebir a la patria potestad como una potestas a concebirla como un officium, esto es, no como un derecho-poder sino como una
función, un deber, como un fin subordinado a la defensa prevalente del
interés superior del menor, del hijo17.
En esta nueva concepción del menor, más amplia18, deben tomarse en consideración – como ya apuntamos – las opiniones del niño y
también sus deseos a cualquier edad 19 en todos los procedimientos
administrativos y judiciales que le afecten, promoviéndose la par15
Vid. En este sentido C. Núñez Zorrilla, El interés, cit., p. 121; igualmente, el Comité
de Derechos del Niño en su Observación General número 12 (2009) sobre el derecho
del niño a ser escuchado (CRC/C/CG12, 20 de julio 2009) señala que, el término
“madurez” hace referencia a la capacidad de comprender y evaluar las consecuencias
de un asunto determinado, por lo que debe tomarse en consideración al determinar
la capacidad de cada niño para formarse opinión sobre un tema concreto y para
decidir al respecto.
16
Vid. en el mismo sentido, J.M. Castán Vazquez, Comentario del Código Civil al artículo
162 del Código Civil, en Comentario del Código Civil, AA.VV., (dir. por C. Paz-Ares
et al.), Ministerio de Justicia, Secretaría general Técnica, Centro de Publicaciones,
Madrid, 1991, t. I, p. 558.
17
Vid. M. T. Marín García De Leonardo, Las relaciones paterno-filiales: la patria potestad,
en AA.VV., Derecho Civil IV (Derecho de Familia), (J. R. De Verda, Coord.) Tirant Lo
Blanch, Valencia, 2016, pp. 307-325, p. 308; asimismo, STS 19 abril 2012 (ROJ 2012,
2905); STS 20 febrero 2012, (ROJ 2012, 625), FD 3; STS 9 noviembre 2015 (ROJ 2015,
4575), FD 3: “la patria potestad constituye un officium que se atribuye a los padres
para conseguir el cumplimiento del interés del menor…”; STS 13 enero 2017 (ROJ,
2017, 13), FD 2, entre otras.
18
C. Sánchez Hernández, El nuevo sistema de protección a la infancia y a la adolescencia,
en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 3, 2015, p. 178-197, p. 183.
19
Teniendo en cuenta lo regulado en la LO 8/2015, que modifica el artículo 2. 2. LOPJM,
en su apartado b).
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
905
ticipación de éste y velándose por que se tengan debidamente en
cuenta sus opiniones en todos los asuntos que le conciernen. La edad
o la madurez del niño no suponen límite alguno para el ejercicio del
derecho a ser oído y escuchado, aunque sirven para modularlo20,
con la consiguiente obligación de darle audiencia en todos los procedimientos que le afecten21; así se ha sustituido el término “juicio”
por el de “madurez”, que resulta más adecuado porque se relaciona
más con la aptitud no solo para comprender, sino también para poder asumir las consecuencias de la actuación en el supuesto concreto; en todo caso, la norma considera que tiene suficiente madurez a
partir de los 12 años cumplidos, y siendo menor de dicha edad, la
madurez para poder comprender y opinar habrá de valorarse por
personal especializado, no siendo suficiente una valoración del Juez.
Este reconocimiento legal de suficiencia madurativa cuando el menor cuente con 12 años desatiende que cada niño tiene un nivel de
desarrollo físico y emocional, que no siempre es coincidente con su
edad cronológica.
Todo este desarrollo legislativo y el nuevo enfoque de la capacidad
y madurez del menor cobran sentido si se consideran los importantes cambios sociales que inciden en la situación de los menores y que
demandan una mejora de los instrumentos de protección jurídica en
relación con situaciones de grave riesgo o desamparo. Es lógico que
en el contexto actual la protección del menor se arbitre como una protección contra la inseguridad o peligros extra familiares, y en algunos
casos – los menos – intrafamiliares, pero quizás se atisba en la norma
un cierto exceso al recortar las facultades parentales y un cierto recelo
contra la familia como un entorno por definición peligroso y dañino
para los niños. Y habrá situaciones familiares que indudablemente entrañen riesgos, violencia y desamparo para los menores que las leyes
han de atajar rápidamente, pero en su gran mayoría, la propia familia
es la que verdaderamente cuida, asiste y protege al menor, incluso de
sí mismo. Y así lo reconoce el legislador cuando establece la necesidad
20
La decisión de no escuchar a un menor por falta de madurez requerirá un informe
técnico que justifique las razones por las que no se ha escuchado al menor o que
expliquen una decisión que se aparte de la opinión de éste: Defensor del pueblo,
Estudio, cit., p. 32 y 40.
21
STS 20 octubre 2014 (ROJ 2014, 4233), STS 7 marzo 2017 (ROJ 2017, 851), STS 25
octubre 2017 (ROJ 2017, 3751), STS 15 enero 2018 (ROJ 2018, 41), STS 25 abril 2018
(ROJ 2018, 1474).
906
The best interest of the child
para los menores de esta asistencia parental tanto en el plano jurídico
como en el personal. Reconoce pero amaga; no acaba de confiar. Intervengan los padres pero sólo un poco.
4. Análisis en el ordenamiento civil de distintas
situaciones derivadas del ejercicio de la patria potestad
en caso de conflicto familiar
Se produzca o no una crisis conyugal entre los cónyuges, existe un
abanico de problemáticas que conviene analizar porque en su resolución puede quedar también afectado o perjudicado el interés del hijo.
El ejercicio de la patria potestad puede entrañar diferentes problemas dado los intereses en conflicto de los distintos sujetos titulares
activos y pasivos de la misma. Estos problemas se pueden plantear a
varios niveles entre los que destacamos: 1) Discrepancia entre ambos
titulares de la patria potestad, tanto en caso de crisis matrimoniales
como constante matrimonio; 2) Discrepancia de los progenitores con
el menor.
4.1. Discrepancia entre ambos titulares de la patria potestad
El cuidado, la crianza y educación de los hijos constituyen derechos-deberes de gran importancia y trascendencia en el marco de las
funciones de la patria potestad. La transmisión de padres a hijos de
sus propias creencias y modelos de educación constituyen valores que
ayudan a construir la personalidad del menor. Evidentemente es deseable que ambos padres estén de acuerdo con el tipo de educación,
valores y creencias que desean para sus hijos, sin embargo, en ocasiones, y no pocas, surgen discrepancias entre ambos titulares de la patria
potestad con independencia de que la falta de acuerdo se plantee en
el seno del matrimonio, en casos de inexistencia de vínculo conyugal
entre los progenitores22, o de la atribución de la custodia individual
o compartida; el desacuerdo entre ambos padres, titulares de la patria potestad es posible también constante matrimonio, aunque menos
probable que en los casos de no convivencia o de crisis matrimonial.
22
Vid. J. Aguilera Rodero, El progenitor no custodio ante el ejercicio de la patria potestad,
en Diario La Ley, nº 7826, 2012, pp. 10, 12 y 16.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
907
La mayoría de los conflictos – en lo que al tema de nuestro estudio se refiere – se plantean no sólo por el debate sobre la custodia del
menor sino también por la propuesta de un cambio en la educación,
creencias y/o formación moral o religiosa recibida por el hijo hasta la
fecha o por una frontal oposición a su continuidad.
Para resolver estos conflictos y discrepancias entre los padres no puede darse una “solución” válida para todos ellos, pues habrá que tener en
cuenta las circunstancias que concurren en cada uno de los supuestos.
En caso de que ambos progenitores sean cotitulares de la patria potestad, lo que se produce en la mayoría de las situaciones, ello supone el
deber de compartir todas y cada una de las decisiones que afecten a la
formación y educación de los hijos y como tales, han de ser informados
cumplida y oportunamente por el custodio temporal, teniendo en cuenta que en el ejercicio de esa patria potestad prima el interés de los menores y, en caso de discrepancia se ha de someter la cuestión controvertida
a la decisión del Juez correspondiente. En consecuencia, todas aquellas
decisiones de especial entidad o relevancia que acontezcan en la vida del
menor, deberán ser asumidas de forma conjunta por ambos progenitores23, tales como cambios de lugar de residencia, decisiones dentro del
ámbito de la salud, orientación en los estudios, orientación religiosa –recepción del bautismo, de la Primera Comunión, de la religión a practicar
o de no practicar ninguna24, elección o cambio de colegio – si el colegio
ha de ser público o privado, religioso o laico –, etc.
El procedimiento para solucionar el conflicto se regula en el art.
156 CC, precepto que distingue dos tipos de desacuerdo: desacuerdos
puntuales y desacuerdos reiterados y ofrece, asimismo, las correspondientes soluciones:
23
Vid. C. Fábrega Ruiz, Mediación familiar y ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley
nº 7443, 12 julio de 2010, p. 8; C. Villagrasa Alcaide, La custodia compartida en España
y Cataluña: entre deseos y realidades, AA.VV., (coord. por T. Picontó Novales), en La
custodia compartida a debate, Dykinson, Madrid, 2012, p. 81; P.M. Estellés Peralta,
Presente y futuro en la búsqueda del interés del niño valenciano en situaciones de crisis
familiar, en Revista Boliviana de Derecho, julio 2017, p. 76 – 97; Así la SAP Sevilla 28
diciembre 2018, (ROJ 2666), STS 10 octubre 2018 (ROJ 2018, 3479), entre otras; C.
Esparza Olcina, La guarda compartida en el Código Civil español y en la Ley autonómica
valenciana, en Revista Boliviana de Derecho, nº 17, 2014, p. 184; asimismo, S. Rodríguez
LLamas, La atribución de la guarda y custodia en función del concreto y no abstracto interés
superior del menor. Comentario a la STS núm. 679/2013, de 20 de noviembre (RJ 2013,
7824), en Revista Boliviana de Derecho, nº 19, enero 2015, p. 562-575, p. 567.
24
Vid. también en este sentido, V. Moreno Velasco, Hacia una adecuada comprensión del
ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley nº 7267, 22 octubre 2009, p. 3.
908
The best interest of the child
4.1.1. Desacuerdos puntuales
Si se trata de un desacuerdo puntual – en un único asunto –: el Juez,
oyendo a los padres y al hijo, si tuviera suficiente madurez o fuera mayor de doce años, otorgará la facultad de decidir al padre o la madre
sin ulterior recurso25. El Código civil no atribuye al Juez el poder de tomar por sí la decisión de fondo referente al menor, sino el de atribuir al
padre o la madre la facultad decidir. Ello significa que la decisión que
se deba adoptar sobre la cuestión controvertida no le corresponde a la
autoridad judicial sino al padre o a la madre pero, qué duda cabe, que
la decisión sobre el fondo la habrá adoptado el Juez indirectamente en
la mayoría de los casos y por ese motivo atribuye la facultad de decidir
a un progenitor y no a otro. Luego, indirectamente, sí decide el Juez26
quien se convierte en el “tercer progenitor”.
4.1.2. Desacuerdos reiterados
Si se trata de un desacuerdo que alcance a varios asuntos o se produzcan los desacuerdos de forma reiterada, el Juez podrá optar por
una de estas tres soluciones para un plazo no superior a dos años de
acuerdo con el art. 156,2 CC27: a) Atribución en exclusiva del ejercicio
de la patria potestad a uno solo de los padres; b) Atribución parcial del
ejercicio de la patria potestad a uno de los progenitores, para aquellos
supuestos conflictivos; c) Distribución de funciones entre ambos cotitulares de la patria potestad para que, cada uno de ellos, tome las decisiones en el área que le haya sido atribuida. La decisión que adoptará el
Juez estará basada en una serie de criterios legales y jurisprudenciales
para dirimir la controversia y constituyen la clave de bóveda de toda
esta cuestión. En cualquier caso, el criterio rector en atención al cual
deben ponderarse todos los factores es el interés superior del menor28.
25
L. Díez-Picazo – A. Gullón Ballesteros, Sistema de Derecho Civil, vol. IV, t. I,
Derecho de Familia, Madrid, 2018, p. 268.
26
J.M. Castán Vázquez, Comentario al artículo 156 del Código Civil, en C. Paz-Ares et
al. (dir. por), Comentario del Código Civil, Ministerio de Justicia, Secretaría general
Técnica, Centro de Publicaciones, Madrid, 1991, t. I, p. 551-552.
27
Todo lo cual se evitaría si se recurre a la mediación, buscando así soluciones
intermedias. En este sentido, vid. C. Fábrega Ruiz, Mediación, cit., p. 18.
28
Ya el Tribunal Supremo en Sentencia 5 octubre 1987 (ROJ, 1987, 8720) señalaba que
el órgano judicial no queda sujeto en su decisión a otro principio normativo que el
representado por el interés del hijo; recientemente, la STS 14 septiembre 2018 (ROJ
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
909
4.2. Discrepancia de los progenitores con el menor
Por su parte, y habiendo acuerdo entre los progenitores, puede suceder que quien genera la discrepancia sea el hijo menor, normalmente
adolescente, a quien los nuevos vientos legislativos colocan en el vértice de la pirámide familiar y cuyos deseos hay que garantizar y hacer prevalecer ¿incluso frente al criterio sereno, sosegado, cargado de
razones y de común acuerdo de los padres? Resulta significativo que
estas mismas normas, frente a la obligación de obediencia de los hijos
hacia los padres que establece el art. 155 CC, ya no mencionen entre los
deberes de los hijos, la obligación de obedecer a los padres, limitando
la misma a un deber de respeto y colaboración doméstica29.
Desde hace un tiempo, el ejercicio de las funciones, deberes y facultades que conforman la patria potestad, no resulta fácil para los titulares de la misma debido a los cambios legislativos acontecidos en la
materia que otorgan plena autonomía al menor para el ejercicio de los
actos relativos a sus derechos de la personalidad que de acuerdo con
su madurez, pueda ejercitar por sí mismo. Ya la STS 5 febrero 201330
anterior a las reformas de 2105 afirmaba que “… el poder de representación que ostentan los padres, que nace de la Ley y que sirve al
interés superior del menor, no puede extenderse a aquellos ámbitos
que supongan una manifestación o presupuesto del desarrollo de la
libre personalidad del menor y que puedan realizarse por el mismo”,
reconociendo al menor una importante independencia para la toma
de decisiones que afecten al libre desarrollo de su personalidad como
la elección una carrera profesional o deportiva, con exclusión de cualquier representación parental dado que la decisión afecta a su desarrollo personal y a su autodeterminación. Sólo en el caso de que esta elección vaya en contra de su propio interés se dará opción de los padres
para intervenir, dadas sus funciones de cuidado y asistencia31.
2018, 3154) en atención al interés superior de la menor, otorga la guarda y custodia
de ésta a su tía paterna, que se hizo cargo de la menor antes del fallecimiento de su
madre en 2012, estableciendo un régimen de visitas progresivo a favor del padre.
29
Ley 1/1996, de 15 de enero, de protección jurídica del menor: art. 9 ter. 1. Los menores
deben participar en la vida familiar respetando a sus progenitores y hermanos así
como a otros familiares.
30
STS 5 febrero 2013 (ROJ 2013, 229).
31
En el mismo sentido P. Cremades García, Tratamiento jurídico de una enfermedad social.
Los trastornos de la conducta alimentaria (TCA), en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº
9, agosto 2018, p. 44-85, p. 68.
910
The best interest of the child
Si además se observa que en el artículo 154 CC in fine en su redacción dado por la ley 11/1981, de 13 de mayo, establecía que: “los padres
podrán en el ejercicio de su potestad recabar el auxilio de la autoridad.
Podrán también corregir razonable y moderadamente a los hijos” pero
ya en la redacción dada por la Ley 54/2007, de 28 de diciembre, se suprime la frase “podrán también corregir razonable y moderadamente
a los hijos”, dejando únicamente vigente que “los padres podrán, en el
ejercicio de su potestad, recabar el auxilio de la autoridad”; la consecuencia es que la fina capa de autoridad parental es cada vez más débil. Quizá por lo expuesto, aumenta el caso de los menores que ingresan en los centros de protección, en un número cada vez más elevado,
a petición de sus propias familias, ante situaciones muy conflictivas
derivadas de problemas de comportamiento agresivo, inadaptación
familiar, y graves dificultades de los padres para ejercer la responsabilidad parental32. Si ya ni se permite a los padres corregir a los menores
cuando yerran… Analicemos algunos de los conflictos más habituales:
4.2.1. Ejercicio del derecho a la libertad religiosa, de conciencia
e ideológica del menor versus el ejercicio de la patria potestad
y el derecho a educar a los hijos en las creencias religiosas
profesadas por los padres
Diversas normas reconocen al menor el derecho a la libertad de
ideología, conciencia, de religión y de culto. Así el art. 6 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero, de Protección Jurídica del menor33, establece que el menor tiene derecho a la libertad de ideología, conciencia y
religión; Asimismo y partiendo del genérico reconocimiento que hace
el art. 16.1 CE, debe afirmarse que los menores de edad son también
titulares del derecho a la libertad religiosa y de culto, criterio confirmado por la Ley Orgánica de Libertad Religiosa, de desarrollo de dicho
32
Según recoge en su Exposición de Motivos, II, la Ley Orgánica 8/2015, de 22 de
julio, de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia:
“Es el caso de los menores que ingresan en los centros de protección, en un número
cada vez más elevado, a petición de sus propias familias, ante situaciones muy
conflictivas derivadas de problemas de comportamiento agresivo, inadaptación
familiar, situaciones de violencia filioparental y graves dificultades para ejercer la
responsabilidad parental…”.
33
Art. 6. “Libertad ideológica. 1. El menor tiene derecho a la libertad de ideología, conciencia
y religión. 2…. Los padres o tutores tienen el derecho y el deber de cooperar para que el menor
ejerza esta libertad de modo que contribuya a su desarrollo integral”.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
911
precepto constitucional, que reconoce tal derecho a toda persona (art.
2.1)34. Todas estas normas ponen de relieve una cuestión esencial: la
capacidad de los menores para elegir sus valores y creencias35 y, por
tanto, su educación religiosa.
En la jurisprudencia española, la STC 141/2000, 29 mayo, afirmó
que los menores de edad eran titulares del derecho de libertad religiosa y con capacidad para ejercerlo de acuerdo a su grado de madurez.
Esta libertad religiosa de los menores comprende el derecho a no recibir ni formarse en unas creencias de las que no se quiera participar. Así
pues, sobre los poderes públicos, y muy en especial sobre los órganos
judiciales, pesa el deber de velar por que el ejercicio de esas potestades
por sus padres o tutores, o por quienes tengan atribuida su protección
y defensa, se haga en interés del menor, y no al servicio de otros intereses, que por muy lícitos y respetables que puedan ser, deben postergarse ante el “superior” del niño36. El Tribunal enfatizó la importancia
del principio del interés superior del niño afirmando que el estatuto
jurídico del menor es una norma de orden público que constituye en
sí mismo un límite a los derechos fundamentales y, en este caso, a la
libertad de manifestación de las creencias, integrante del derecho de
libertad religiosa de sus padres37.
34
STC 154/2002, de 18 de julio, recurso amparo núm. 3468/97, FD 9.
35
Interesante la Decisión 19 julio 1968 de la Comisión Europea que resolvió inadmitir
una demanda fundamentada entre otras cosas en la libertad religiosa del menor.
El caso se planteó por el demandante ante la Comisión contra Alemania alegando
vulneración del artículo 9 del Convenio, ya que sus sobrinos, que estaban bajo
tutela administrativa, eran educados en una institución católica, renunciando éstos
a su religión musulmana. La Comisión estimó que no había lugar a examinar este
supuesto, ya que consideraba inexistente la vulneración de la libertad religiosa de
los sobrinos. Para ello la Comisión se refirió a la ley alemana que regulaba que nadie
podía cambiar la religión de un niño contra sus deseos después de los doce años y
que a partir de los catorce era capaz para decidir libremente la religión a profesar.
La asociación que tenía en guarda a los niños declaró que éstos habían elegido ser
católicos, por lo que había que respetar su decisión.
36
Sentencia Tribunal Constitucional 141/2000, 29 de mayo, recurso amparo núm.
4.233/96, F.J. 5.
37
STC 141/2000, 29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96, F.J. 5: “Desde las perspectiva del
art. 16 CE los menores de edad son titulares plenos de sus derechos fundamentales…
sin que el ejercicio de los mismos y la facultad de disponer sobre ellos se abandonen
por entero a lo que al respecto puedan decidir aquellos que tengan atribuida su
guarda y custodia o su patria potestad, cuya incidencia sobre el disfrute del menor
de sus derechos fundamentales se modulará en función de la madurez del niño y
los distintos estadios en que la legislación gradúa su capacidad de obrar… Así pues,
sobre los poderes públicos, y muy en especial sobre los órganos judiciales, pesa el
deber de velar por que el ejercicio de esas potestades por sus padres o tutores, o por
912
The best interest of the child
Sin embargo, la libertad religiosa del menor está ligada a la institución de la patria potestad y es a los padres, como titulares de la misma,
a quienes compete la decisión sobre la orientación y educación religiosa
de sus hijos menores de edad hasta el momento en el que éstos alcanzan
la madurez suficiente para decidir ellos mismos su opción religiosa. A
la vista de la madurez establecida a los 12 años, las orientaciones paternas quedan muy limitadas en la vida del menor. No se trata de que los
padres ejerzan el derecho de sus hijos, sino que ellos deciden en esta
materia según creen que es lo mejor para estos, como un derecho-deber, que es en definitiva el objeto de la patria potestad; en esta materia
los padres o tutores tienen el derecho y el deber de cooperar para que
el menor ejerza esta libertad de modo que contribuya a su desarrollo
integral, sin que sea posible imponer, dificultar o impedir su ejercicio al
hijo menor38. Por ello, corresponde a los padres, de común acuerdo, y
actuando siempre en interés del hijo menor, la decisión sobre su educación y práctica religiosa, la iniciación de los hijos en la vida sacramental
– recepción del Bautismo, Primera Comunión, etc. – , el tipo de colegio
donde recibir formación académica y religiosa o laica, etc39.
En resumen, de acuerdo con los pronunciamientos jurisprudenciales más destacados, no vemos cómo se puede aplicar satisfactoriamente el art. 27.3 CE que prevé que los poderes públicos garantizan el
derecho que asiste a los padres para que sus hijos reciban la formación
quienes tengan atribuida su protección y defensa, se haga en interés del menor, y no
al servicio de otros intereses, que por muy lícitos y respetables que puedan ser, deben
postergarse ante el “superior” del niño (SSTC 215/1994, 14 julio; 260/1994, 3 octubre;
60/1995, 17 marzo; 134/1999, 15 julio; STEDH 23 junio 1993, caso Hoffmann)”.
38
Mª. J. Carazo Liébana, El derecho a la libertad religiosa como derecho fundamental, en
Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 14, julio 2011, p. 43-74. Asimismo, entiende V.
Moreno Velasco, Hacia una, cit. p. 6, que cualquier imposición implicaría cercenar la
libertad religiosa del menor sin perjuicio de que cada progenitor informe al menor de
las opciones religiosas posibles siendo el menor en última instancia el que debe decidir.
39
En este sentido, nos apoyamos en el art. 27.3 CE y en el punto 4 del art. 18 del Pacto
Internacional de 1966 sobre los derechos civiles y políticos establece que: “4. Los
Estados Partes en el presente Pacto se comprometen a respetar la libertad de los padres y,
en su caso, de los tutores legales, para garantizar que los hijos reciban la educación religiosa
y moral que esté de acuerdo con sus propias convicciones”; y en la Recomendación 1396
(1999) sobre la religión y la democracia, adoptada el 27 de enero de 1999, la Asamblea
parlamentaria del Consejo de Europa recomendó al Comité de Ministros invitar a
los gobiernos de los Estados miembros, en particular: “13. (…): ii. A promover la
educación en materia religiosa y concretamente a: e) evitar – en el caso de los niños –
todo conflicto entre la educación sobre las religiones promovida por el Estado y la fe
religiosa de las familias, al objeto de respetar la libre decisión de las familias en este
ámbito sensible (…)”.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
913
religiosa y moral que esté de acuerdo con sus propias convicciones, si
frente a la libertad de creencias de los progenitores y su derecho a hacer
proselitismo de las mismas con sus hijos, se alza como límite, además
de la intangibilidad de la integridad moral de estos últimos, aquella
misma libertad de creencias que asiste a los menores de edad, manifestada en su derecho a no compartir las convicciones de sus padres o
a no sufrir sus actos de proselitismo, o más sencillamente, a mantener
creencias diversas a las de sus padres, máxime cuando las de éstos no
afecten negativamente a su desarrollo personal. Libertades y derechos
de unos y otros que, de surgir el conflicto, deberán ser ponderados40 teniendo siempre presente el “interés superior” de los menores de edad,
sus opiniones y sentimientos y su grado de madurez41 al expresarlas,
por encima de las consideraciones o deseos de los padres42.
4.2.2. El ejercicio de derechos que afectan a la salud y a la integridad
física de los hijos menores
Otra cuestión controvertida entre padres e hijos es la que afecta a
los derechos relacionados con la salud y la integridad física – y en ocasiones, psíquica-de los hijos menores. Para recibir un tratamiento médico es preciso emitir un consentimiento después de conocer la información relativa al mismo de conformidad con los artículos 4, 8 y 9 de
la Ley 41/2002, de 14 de noviembre, básica reguladora de la autonomía
del paciente y de derechos y obligaciones en materia de información y
documentación clínica. Este consentimiento informado es un acto per40
Vid. Asimismo, Mª. J. Carazo Liébana, El derecho, cit., pp. 49 y 50.; STC 141/2000,
29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96, FJ 4 y STC 154/2002, de 18 de julio, recurso
amparo núm. 3468/97, FD 7.
41
STC 141/2000, 29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96 y STC 154/2002, de 18 de
julio, recurso amparo núm. 3468/97, FD 9 y 10, que dejan muy claro que el derecho
a la vida e integridad física está por encima de los demás derechos y que la decisión
del menor de 13 años de no someterse al tratamiento médico por convicciones
religiosas, es una decisión que reviste los caracteres de definitiva e irreparable,
en cuanto conduce, con toda probabilidad, a la pérdida de la vida y por tanto no
debía haber prevalecido. Vid. asimismo B. Rodrigo Lara, La libertad de pensamiento y
creencias de los menores de edad, Madrid, 2004, p. 311.
42
Voto particular del juez Thomassen en la sentencia TEDH 2003/83, 16 diciembre,
caso Palau-Martínez c. Francia. Para J. Aguilera Rodero, El progenitor, cit., p. 15,
los sentimientos religiosos profesados por el progenitor sí podrían ser tenidos en
cuenta por el juez, sin que ello suponga una discriminación, si el fundamentalismo
en las creencias y en sus manifestaciones derivan en alteraciones del correcto
desenvolvimiento del menor.
914
The best interest of the child
sonalísimo, intransferible e indelegable con escasas excepciones como
la falta de capacidad del paciente. La legislación española permite al
facultativo practicar las intervenciones clínicas indispensables aún sin
consentimiento del afectado (artículo 9.2 Ley 41/2002) cuando exista
un riesgo de salud pública o inmediato y grave para la integridad física o psíquica del enfermo y no sea posible conseguir su autorización,
previa consulta a sus familiares o personas vinculadas al enfermo.
Ello ha de ponerse en relación con el art. 162.1 CC que establece que
la representación de los menores de edad corresponde a los padres con
dos excepciones: los actos relativos a los derechos de la personalidad que
el hijo menor, de acuerdo con las leyes y con sus condiciones de madurez, pueda realizar por sí mismo; y aquéllos en que exista conflicto de
intereses entre los padres y el hijo43. Por tanto, los padres ya no ostentan
la representación legal de sus hijos con suficiente madurez respecto al
ejercicio de sus derechos de la personalidad siempre que puedan los hijos
ejercitarlos por sí mismos. No obstante, la norma añade una intervención
– que no un consentimiento – de los responsables parentales en base a los
ineludibles deberes de cuidado y asistencia44 – cada vez más vacíos de
contenido – a los que están obligados de acuerdo con la ley civil.
En relación con actuaciones claramente encuadradas en el ámbito
sanitario y la prestación del consentimiento del menor-paciente a un
tratamiento médico, la mencionada Ley de Autonomía del Paciente
43
La jurisprudencia de nuestro Tribunal Constitucional venía dirimiendo estas
cuestiones como en el caso de la STS 154/2002, 8 de junio citada. Posteriormente, la
Ley Orgánica 8/2015, de 22 de julio de modificación del sistema de protección a la
infancia y a la adolescencia modificó el artículo 17.10 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15
de enero de Protección Jurídica del Menor (LOPJM) y, desde entonces, se considera
situación de riesgo la negativa de los padres, tutores, guardadores o acogedores a
prestar el consentimiento para salvaguardar la vida e integridad física o psíquica
de un menor y la Disposición Final segunda de la Ley 26/2015, de 28 de julio de
modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia modificó,
asimismo, la Ley de Autonomía del Paciente, e incorporó los criterios de la Circular
1/2012, de 3 de octubre sobre el tratamiento sustantivo y procesal de los conflictos
ante transfusiones de sangre y otras intervenciones médicas sobre menores de edad
en caso de riesgo grave, lo que incluye la negativa de los representantes legales a
prestar el consentimiento para salvaguardar la vida e integridad física o psíquica del
menor. Para A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento por representación en el ámbito
sanitario: diversos instrumentos para su aplicación, en Actualidad Jurídica Iberoamericana,
núm. 8, feb. 2018, p. 206, con esta regulación se refuerza la intervención de los
padres ante actuaciones de grave riesgo, pues, ahora ellos son los que consienten, a
diferencia de la regulación anterior que, solo tenían derecho a la información y a la
toma en consideración de su opinión pero no eran ellos quienes la adoptaban; en el
mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 62.
44
Vid. en el mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 60.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
915
distingue entre menores que carecen de madurez y aquellos que tienen
madurez suficiente y/o son mayores de dieciséis años (art. 9.3 y 9.4): En
el supuesto del paciente menor de edad que no sea capaz intelectual ni
emocionalmente de comprender el alcance de la intervención, el consentimiento lo prestan sus representantes legales, después de haber
escuchado la opinión del menor – pese a tratarse de un menor inmaduro – por lo que su opinión no será ni muy seria ni muy consciente
– conforme lo dispuesto en el artículo 9 de la LOPJM. Estamos ante el
supuesto de consentimiento “por representación” de menores de 16
años no maduros, e incluso mayores de esta edad pero sin la suficiente
madurez45. En estos casos, los representantes legales del menor vienen
obligados a procurar y a consentir los tratamientos e intervenciones
médicas necesarios para garantizar el derecho a la vida y la salud de
los menores no maduros siempre a favor del paciente y con respecto a
su dignidad personal (arts. 9.6 y 9.7 Ley de Autonomía del Paciente).
Esta intervención parental tendrá lugar con independencia de su situación conyugal – matrimonio, separación o divorcio – y del sistema de
guarda y custodia establecidos – monoparental o compartida –, en su
caso, pues siendo ambos padres titulares de la patria potestad, deberán prestar el consentimiento conjuntamente; no obstante, en situaciones de urgencia vital bastará con el consentimiento del representante
legal que se encuentre en ese momento con el menor46.
Para los mayores de edad de dieciséis años con suficiente madurez
no cabe que los padres o representantes legales presten el “consentimiento por representación”, no obstante, ante una actuación de grave
riesgo para la vida o salud del menor, según el criterio del facultativo, el consentimiento lo prestará el representante legal del menor, una
vez oída y tenida en cuenta la opinión del mismo; o en el supuesto
contemplado en el art. 9.3, a) de la Ley de Autonomía del Paciente,
45
Entiende A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento, cit., p. 207, que tratándose
supuestamente de mayores de dieciséis años sin suficiente madurez para decidir
seria, libre y conscientemente la admisión o rechazo de un determinado tratamiento
o intervención médica, la decisión acerca de la madurez del menor la ha dejado
el legislador en manos del médico. En cada caso concreto y llevando a cabo una
evaluación individualizada, deberá apreciar este facultativo si el menor reúne o no esas
condiciones de madurez. En el mismo sentido, A. Domínguez Luelmo, Derecho sanitario
y responsabilidad médica. Comentarios a la ley 41/2002, de 14 de noviembre, sobre derechos del
paciente, información y documentación clínica, en Lex Nova, Valladolid, 2007, p. 364.
46
Vid. en este sentido, interesante trabajo de A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento,
cit., pp. 201 ss.
916
The best interest of the child
cuando el mayor de 16 años con suficiente madurez no sea capaz de
tomar decisiones, a criterio del médico responsable de la asistencia, o
su estado físico o psíquico no le permita hacerse cargo de su situación.
Se permite en estos casos una intervención parental en virtud de los
deberes de cuidado y asistencia que corresponden a los titulares de la
patria potestad, atendiendo siempre al mayor beneficio para la vida o
salud del hijo.
En caso de conflicto entre la voluntad del paciente menor de edad,
pero con suficiente madurez y la de sus padres o representantes legales, será de aplicación el art. 163 CC.
En la actualidad, en relación con algunas situaciones que pueden
ocasionar conflicto entre los representantes legales y el hijo, sobre todo
el mayor de dieciséis años, se encuentra la interrupción voluntaria del
embarazo. Al respecto y afortunadamente, el legislador ha modificado
el criterio establecido por la Ley Orgánica 2/2010, de 3 de marzo, de
salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo47, y ha considerado que aun cuando los menores emancipados o
mayores de dieciséis años han de consentir por sí mismos la intervención, será el representante legal del menor, una vez oída y tenida en
cuenta la opinión del mismo, quien prestará ese consentimiento expreso. El cambio de criterio legislativo responde, sin duda, a posibilitar
el ejercicio de las atribuciones parentales, de facilitar a los padres sus
obligaciones de cuidar y velar por sus hijos48. No obstante, habiendo
conflicto de intereses entre los padres y la hija, sin grave riesgo para su
vida o salud, la solución la aporta el art. 163 CC y la judicialización del
conflicto queda garantizada.
Otra cuestión conflictiva en materia de salud en relación con los
adolescentes, son los Trastornos de Conducta Alimentaria (TCA)49. En
estos casos, la gravedad o el riesgo para la vida o salud del menor, mar47
Reforma llevada a cabo por la Ley Orgánica 11/2015, de 21 de septiembre, para
reforzar la protección de las menores y mujeres con capacidad modificada
judicialmente en la interrupción voluntaria del embarazo.
48
En el mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 63.
49
Los trastornos de la conducta alimentaria (TCA) son la tercera enfermedad
crónica más frecuente entre adolescentes, según datos de la Sociedad Española de
Médicos Generales y de Familia (SEMG). Aunque afectan a ambos sexos, son dos
veces y media más frecuentes en mujeres, siendo su prevalencia en España de
4,1 a 6,4 por ciento en mujeres entre 12 y 21 años, y de 0,3 por ciento para los
hombres, datos ob. en https://www.redaccionmedica.com/secciones/medicinafamiliar-y-comunitaria/los-trastornos-alimentarios-tercera-patologia-cronica-enadolescentes-4798, última consulta 24/04/2019.
Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia
917
carán la intervención de sus representantes legales quienes deberán de
consentir al tratamiento una vez oída y tenida en cuenta la opinión
del menor50 pero actuando siempre en “interés superior del menor”,
interés que se ha de identificar con la protección de su vida y salud.
Admitida la posibilidad de los padres de intervenir en determinadas supuestos para prestar consentimiento a la realización de determinadas intervenciones y tratamientos en relación con el ejercicio
de los derechos del menor a la salud, ello no excluye, sin embargo, la
posibilidad de un cierto control judicial en base al artículo 158.6 CC de
dicha intervención parental cuando la decisión del representante legal
pueda ocasionar un perjuicio al menor, negándose, por ejemplo, a una
intervención o tratamiento necesarios para preservar su vida o integridad, lo que coloca al menor en una situación de riesgo. En tales casos,
las autoridades sanitarias, pondrán inmediatamente en conocimiento
de la autoridad judicial, directamente o a través del Ministerio Fiscal,
tales situaciones a los efectos de que se adopte la decisión correspondiente en salvaguarda del mejor interés del menor. Y el Juez, de oficio
o a instancia del propio hijo, de cualquier pariente o del Ministerio
Fiscal, dictará las disposiciones oportunas “a fin de apartar al menor
de un peligro o de evitarle perjuicios”, salvo que, por razones de urgencia, no fuera posible recabar la autorización judicial, en cuyo caso
los profesionales sanitarios adoptarán las medidas necesarias en salvaguarda de la vida o salud del paciente, amparados por las causas de
justificación de cumplimiento de un deber y de estado de necesidad51.
5. Observación final
Las transformaciones operadas en las relaciones familiares han originado nuevos problemas jurídicos que afectan a los menores a lo que
hay que sumar un nuevo y más complejo entendimiento del interés
superior del menor quien tiene derecho a que cuando se adopte una
medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y
ponderados en la búsqueda de la solución más beneficiosa para él más
allá de las preferencias de los padres, tutores o administraciones públicas, de acuerdo con las opiniones y deseos expresados por el menor
a quien obligatoriamente se debe oír en todo caso si ha cumplido los
50
P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 64.
51
En el mismo sentido, A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento, cit., p. 208 a 209.
918
The best interest of the child
doce años – reconocimiento legal de suficiencia madurativa que desatiende que cada niño tiene un nivel de desarrollo físico y emocional
no siempre coincidente con su edad cronológica –. Todo ello conduce
a una sobrevaloración del interés del menor, una mayor judicialización y administrativización de los procesos y decisiones ordinarias que
le afectan, convirtiendo al juez, extraño a la realidad familiar, en un
“tercer progenitor” con la consiguiente fractura de la cada vez más
débil y fina capa de autoridad parental lo que dificulta el ejercicio de la
responsabilidad parental en muchos casos, fruto quizás, de un cierto
exceso legislativo al recortar las facultades parentales y un cierto recelo
contra la familia que se atisba en la norma y que no garantiza que las
medidas adoptadas constituyan la mejor manera de proteger precisamente lo que pretende, el interés prevalente del menor.
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Il ruolo dell’avvocato nelle questioni
che interessano il minore: un progetto
di tavolo interdisciplinare
Maria Letizia Spasari
Desidero innanzitutto porgere un sentito ringraziamento alla Prof.ssa
Mirzia Bianca per l’invito rivoltomi, sono veramente onorata di partecipare ai lavori di questo pomeriggio e soprattutto di portare la voce
dell’avvocatura in questo consesso rappresentato da così autorevoli
esponenti del mondo accademico.
Intervengo per offrire il punto di vista dell’avvocato e sollecitare delle riflessioni maturatesi nei prolungati anni di svolgimento della professione forense dedicati per lo più alle questioni che coinvolgono le
relazioni familiari e, soprattutto, i minori; riflessioni che nascono dall’esperienza e sull’esperienza fondano l’elaborazione di un piano di lavoro
che parte dai legami affettivi in crisi e che mira a ristabilire una diversa
modalità relazionale che consenta – nonostante la sofferenza, la rabbia,
i rancori che fisiologicamente intervengono – di governare le condotte
umane, ponendo al centro – sempre e nonostante tutto – il progetto
genitoriale la cui concretizzazione non può che passare dall’interazione
fra le figure genitoriali anche nella vita post separazione.
Come suggeriva il Prof. Quadri nella sua relazione introduttiva, per fare tutto questo è necessario che gli operatori del diritto si
aprano a quelle che sono le altre aree del sapere e trovare così, nella
condivisione delle singole risorse, uno strumento di lavoro volto a
sostenere il diritto del minore ed il suo interesse, appunto, a crescere
nella famiglia.
Il terreno principale di osservazione è quello del conflitto familiare,
del contenzioso, che si apre nel momento in cui una coppia genitoriale,
sia che abbia o meno convissuto, va in crisi: si produce così in corto
circuito in cui non si riesce più a portare avanti il progetto genitoriale
ed a svolgerne i compiti.
922
The best interest of the child
È di tutta evidenza che i figli sono i soggetti più vulnerabili che
subiscono la crisi familiare e che sono esposti al rischio concreto di
sofferenze e di instabilità presenti e future.
Bisogna lavorare per il contemperamento fra il diritto degli adulti
all’interruzione dei legami affettivi in crisi (mediante il ricorso alla separazione e/o al divorzio) e il diritto del minore a crescere in famiglia
o, ancora più significativamente, il diritto degli stessi a conservare e
coltivare gli affetti familiari, ove la famiglia non può più essere intesa
nel senso classico di nucleo sociale composto da due o più persone che
vivono nella stessa abitazione e ove l’interruzione dei rapporti fra i genitori non può (e non deve) essere per il minore fonte di smarrimento.
Lo smarrimento dell’amore fra i genitori non può diventare smarrimento della serenità per i figli. In una società in cui i cd. rischi di crescita sono molteplici i genitori debbono rimanere la cellula primaria di
formazione della personalità del minore e, pur in considerazione delle
loro condotte oppositive e avversariali derivante dalla genesi e della
gestione dei loro rapporti in crisi, non debbono divenire essi stessi un
fattore di rischio evolutivo per la prole.
La responsabilità genitoriale – secondo il valore mutuato dalla
conoscenza transfrontaliera – si compone infatti di molteplici canoni
comportamentali uno dei quali è certamente rappresentato dal mostrare di avere capacità di preservare il figlio dal conflitto, di salvaguardare al figlio l’altra figura genitoriale e l’altro ramo familiare delle sue
radici, in buona sostanza di garantire al minore la libertà di manifestazione delle proprie fisiologiche affettività evitando ogni forma di
manipolazione1.
1
La Suprema Corte con la sent. n. 6919 del 2016 ha avuto modo di affermare
chiaramente quale canone essenziale della responsabilità genitoriale quello di
preservare al figlio l’altra figura genitoriale e l’altro ramo delle sue radici familiari:
“…Questa Corte ha avuto occasione di osservare che, in tema di affidamento dei
figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale
e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed
educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione,
va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i
genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di
relazione affettiva, nonchè della personalità del genitore, delle sue consuetudini di
vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo
restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi
quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una
stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno
il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n.
18817/2015). Non può esservi dubbio che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
923
In buona sostanza, il contemperamento delle condotte genitoriali
nasce e si rende perseguibile solo con la divisione dei piani di azione
delle condotte umane, dei temi su cui si possono misurare i contrasti
nel momento in cui interviene la crisi degli affetti: distinzione dunque
tra il piano coniugale (degli adulti) da quello genitoriale e quindi dalla
prevenzione o comunque dal contenimento della conflittualità.
L’esperienza sul campo evidenzia che molteplici sono le situazioni
che l’avvocato si trova a dover fronteggiare nel momento in cui accoglie nel proprio studio una persona che ha un problema in famiglia, di
genitorialità o, ancora meglio, di relazione.
La persona che si rivolge all’avvocato vive uno stato di crisi, di profonda insoddisfazione per il proprio rapporto; a volte ha già deciso di
porre fine al legame, altre volte subisce la scelta dell’altro partner: in ogni
caso è una persona che chiede assistenza legale ma che vuole innanzitutto orientarsi, ha necessità di conoscere ed ha bisogno di supporto.
La maggior parte delle insoddisfazioni o delle criticità dipendono
infatti da prevaricazioni radicate, dalla progressiva e lenta erosione del
principio di parità all’interno della relazione di coppia, da scelte che
non sono condivise ma che sono vissute dall’uno o dall’altra come imposizioni e, a volte, quali vere e proprie vessazioni.
Molto spesso tutto questo malessere è per lo più accompagnato ed
alimentato da dinamiche che riguardano essenzialmente la sfera patrimoniale della famiglia.
In ogni caso chi si rivolge all’avvocato familiarista è una persona
ferita e disorientata; anche chi sceglie di interrompere il legame è disorientato. A volte è una richiesta di vero e proprio aiuto quella che viene
rivolta all’avvocato: aiuto legale ma anche emotivo.
fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei
genitori, rilevi la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio,
che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni
parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche
considerazioni di rivalsa sull’altro genitore. Non compete a questa Corte dare
giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della
controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni
del rifiuto del padre da parte della figlia e sono venuti meno all’obbligo di verificare,
in concreto, l’esistenza dei denunciati comportamenti volti all’allontanamento fisico
e morale del figlio minore dall’altro genitore…”.
924
The best interest of the child
In tale contesto è quindi da chiedersi se non sia del tutto anacronistica la concezione dell’avvocato nel sentire comune quale arma da “assoldare” per una guerra, come pedina di una dinamica che si divide fra
vincitori e vinti.
Gli assistiti spesso riportano ciò che gli dice l’altro o l’altra anche
per attivare una strategia della tensione: “sono andato/a dal migliore avvocato”, “ti toglierò i figli”, “ti distruggerò”, troppo spesso sono questi i
messaggi che le parti si scambiano e che una di esse subisce poiché psicologicamente rifiuta la fine del legame o è stata sempre più tollerante
o, semplicemente, caratterialmente più sensibile.
Tale posizione di forza (emotiva) determina spesso una irragionevole compromissione della capacità di autodeterminazione, delle facoltà del soggetto più debole della coppia e, in particolare, una
compressione dei diritti dei figli – i quali, nell’ambito dei contenziosi
familiari, non hanno una posizione autonoma di difesa né, men che
meno, un difensore vero e proprio – finendo a volte con il portare il
soggetto più debole ad accettare regolamentazioni sbilanciate o addirittura inique che generano altro malessere e quindi altro conflitto con
ulteriore reale e potenziale contenzioso legale.
Capita infatti spesso che nella gestione della loro crisi personale gli
adulti non riescano a preservare i figli da queste dinamiche e li rendono, anche inconsapevolmente, pedine e vittime degli scontri tra di
loro, dimenticando troppo spesso che il figlio deve essere considerato
un individuo altro da sé con propri sentimenti e relazioni affettive che
sono naturalmente dirette verso ambedue i genitori.
Non è una logica o una dinamica di potere sul proprio figlio quella
che deve orientare il comportamento del genitore nella relazione con
l’altro genitore specialmente nel gestire la dinamica del conflitto con
lo stesso.
È proprio su questo terreno che si misura il ruolo diverso per l’avvocato e prende corpo un metodo di lavoro differente, nuovo ed innovativo ma non creativo, perché è un metodo che nasce dall’esperienza,
nasce dall’osservazione delle dinamiche (familiari) in crisi.
La figura dell’avvocato è in genere associata ad una lite in atto;
sporadicamente si pensa ad un intervento finalizzato piuttosto alla ricomposizione degli equilibri, ad un intervento professionale volto ad
assicurare alla parte in crisi la riorganizzazione degli spazi di tutela e
quindi della propria esistenza: in buona sostanza ad un intervento alternativo alla lite che ribalta l’ottica e che porta la persona a muoversi
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
925
dalla logica della aggressività, della prevaricazione e della vendetta
piuttosto nella prospettiva di una ragionevole ricomposizione e di prevenzione dalla litigiosità2.
Il genitore che spesso entra nello studio dell’avvocato si trova in
questa condizione emotiva di piena confusione e sovrapposizione fra
il piano coniugale e quello genitoriale.
Ogni avvocato potrà confermare che, soprattutto nei colloqui iniziali, quando si prova a spostare l’attenzione sul minore e sulla relazione
del bambino con l’altro genitore, l’assistito – anche inconsapevolmente
– risponde per lo più distrattamente per poi, di li a poco, riportare il
fucus sul contrasto personale fra gli adulti.
L’incapacità di operare una effettiva e consapevole differenziazione
del tema coniugale da quello genitoriale, la sovrapposizione e la strumentalizzazione del secondo per fini che esulano dall’interesse della
prole coinvolta e sconfinano nelle ritorsioni di carattere personale e/o
meramente patrimoniale, porta con sé inevitabilmente la compressione del diritto dei minori alla bigenitorialità.
È lecito a questo punto porsi degli interrogativi: si può davvero
lavorare per prevenire il conflitto? Come si può intervenire quando il
conflitto è già in atto? Come si può intervenire o lavorare sul contenimento del conflitto? Come si può far emergere e valorizzare la volontà
delle parti ai fini del raggiungimento degli accordi? E, poi ancora, come
radicare nella coscienza sociale che la crisi non può e non deve implicare in presenza di figli la volontà di porre fine al progetto familiare?
È proprio su questi aspetti e, più globalmente, sulla tutela dei diritti
dei minori coinvolti – del loro diritto alla bigenitorialità e alle affettività familiari – che si caratterizza e si concretizza il ruolo dell’avvocato
nei procedimenti di famiglia. Vero è che il professionista può svolgere
una funzione preventiva della conflittualità con la negoziazione e con
il sostenere il proprio assistito nella ricerca di una regolamentazione
2
Chiare indicazioni in tale senso e quindi su di un nuovo ruolo dell’avvocato
emergono anche dalla Suprema Corte laddove con la sentenza n. 8473 del 27 marzo
2019 in tema di mediazione obbligatoria ha avuto modo di affermare: “…. Si può
osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato,
con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la
parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte
nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una
figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede
l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità
di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate…”.
926
The best interest of the child
pattizia valorizzando la capacità di autodeterminazione del genitore e
la sua conoscenza delle esigenze, dei vissuti, delle inclinazioni dei figli
in modo da arrivare ad avere delle regole che aderiscono a pieno o maggiormente alle situazioni di vita di quella specifica vicenda relazionale.
Per tendere alla realizzazione dell’obiettivo, l’avvocato che opera
nella situazione di crisi della famiglia deve sapere innanzitutto accogliere emotivamente la persona ed avere rispetto per la sua sofferenza,
instaurando quello che è alla base del rapporto legale-cliente, e cioè un
solido rapporto di fiducia.
Ciò che non deve mai fare l’avvocato (nemmeno nella mera – discutibile – logica di acquisire il cliente) è rendersi complice del senso di
vendetta o di rabbia che la parte assistita manifesta verso il “proprio ex”.
Si diventa subito “altro” nel proprio sentire, e questo accade nella
vita ancor prima che nella legge; si diventa “ex mariti”, “ex mogli”,
“ex compagni” sin da subito, proprio quando si rimane insieme come
genitori, a prescindere dalle vicende della coppia.
L’avvocato svolge questa specifica funzione attraverso molteplici
strumenti quali:
- la piena conoscenza del quadro normativo vigente e degli attuali e
aggiornati orientamenti giurisprudenziali, entrambi anche di derivazione transfrontaliera;
- il rispetto degli obblighi deontologici collegati alla formazione professionale continua ed al rapporto con il cliente e con i minori che si
riflettono sulla gestione del “caso famiglia”;
- l’apertura alle altre aree del sapere, alle discipline contigue e l’interazione con esse.
Da ultimo, la normativa sulla negoziazione assistita3 ha dato chiare
indicazioni per l’enunciazione di principi più generali con riferimento
alla funzione dell’avvocato. Tale disciplina, che prevede necessariamente la presenza in ambito familiare di due legali, configura specifici
compiti in capo agli avvocati che sono tenuti ad informare compiutamente le parti della possibilità di ricorrere all’istituto della mediazione
familiare e dell’importanza per i figli di trascorrere tempi adeguati con
ciascuno dei genitori, a cooperare con le parti medesime affinché le
stesse si impegnino tra loro al rispetto dei canoni della buona fede, lealtà, correttezza, trasparenza e riservatezza, durante l’intero percorso
3
Dl n. 132 del 2014 conv. l. n. 162 del 2014.
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
927
di negoziazione, proprio in funzione della regolamentazione da assumere a salvaguardia della prole.
D’altro canto, la necessità di adottare ogni forma di intervento idonea a garantire il pieno ripristino della bigenitorialità discende, oltre
che dalle disposizioni normative interne, anche dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e dalla sua consolidata interpretazione 4.
Anche la riflessione sul piano deontologico è quanto mai fondante.
L’avvocato, che in assoluto è tenuto a contribuire all’attuazione dell’ordinamento giuridico per i fini della giustizia ed è un vero e proprio
collaboratore di giustizia, diventa – nel settore specifico del contenzioso familiare – uno degli strumenti di tutela degli interessi prioritari
dei figli coinvolti nella crisi coniugale con l’effetto che la sua funzione assume ulteriore ed essenziale connotazione mediante l’obbligo di
svolgere un “ruolo protettivo” del minore5.
Pertanto, nel rapporto con il proprio assistito, l’avvocato è chiamato:
- ad arginare il conflitto anziché alimentarlo: dissuadendo il proprio
assistito da una litigiosità esasperata avente ad oggetto inutili o inesistenti motivi di tensione frutto piuttosto del desiderio di creare
nuove occasioni di scontro come è la cd. microconflittualità: chi va
a prendere il figlio a scuola, per i giorni specifici di incontro, per gli
orari o per chi porta i figli a tagliare i capelli;
- a sollecitare il proprio assistito a che il minore abbia tempi di permanenza adeguati anche con l’altro genitore;
4
La corretta interpretazione della disposizione richiamata, infatti, impone agli Stati
contraenti non solo di astenersi da ingerenze arbitrarie nella vita familiare (i c.d.
obblighi negativi) ma anche di adottare i c.d. obblighi positivi, diretti ad assicurare
l’effettivo rispetto della vita privata e familiare; obblighi che possono implicare la
predisposizioni di interventi che permettano il corretto mantenimento delle relazioni
genitoriali, e che non implicano esclusivamente che le autorità vigilino affinché il
minore possa accedere pienamente ad entrambi i genitore, ma comprendono tutte
le misure propedeutiche al raggiungimento di questo risultato, fornendo risposte
non deboli, tempestive ed adeguate al caso concreto (cfr. per tutte Corte europea dei
diritti dell’Uomo, Caso GI. c. ITALIA sentenza 15.9.2016).
5
Nella doverosa difesa dei diritti della parte che rappresenta, l’avvocato, è quindi
tenuto a presidiare anche gli “interessi altri” che vengono coinvolti nell’adempimento
del dovere di “vigila(re) sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e
dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a
tutela e nell’interesse della parte assistita sulla conformità della legge” (art. 1 codice
deontologico forense in vigore dal dicembre 2014). L’avvocato assume un ruolo di
protezione di interessi pubblici primari quali sono quelli delle persone minori di età
coinvolti nel contenzioso familiare.
928
The best interest of the child
-
ad invitare il proprio assistito a rendersi disponibile a seguire con
l’altro genitore un percorso di mediazione familiare, di sostegno
alla genitorialità etc. proprio al fine di proteggere il figlio dalla lite;
- ad improntare la negoziazione così come il contenzioso al canone
della buona fede e lealtà processuale6.
- Il figlio, infatti, pur non essendo parte in senso processuale nel giudizio di separazione, è pur sempre uno dei destinatari principali
delle regolamentazioni eterodeterminate che vengono assunte e
che ricadono direttamente anche su di lui, sulla sua vita.
L’avvocato è e rimane sicuramente difensore del padre o della madre ma, contestualmente, deve essere anche difensore del minore: infatti assiste e deve assistere sempre uno dei genitori in favore e nell’interesse del minore.
I figli debbono essere tenuti in posizione neutra rispetto alle dinamiche avversariali degli adulti e gli avvocati, assumendo la difesa dei
loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro
interesse; tanto ciò è vero che, nella materia che ci occupa, proprio le
6
Si tratta di canone quanto mai essenziali nel contenzioso che riguarda i diritti dei
minori coinvolti in base al quale il giudice può trarre dalla condotta tenuta dal
genitore nel processo argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 cpc, ai fini del regime
di affidamento, dell’emissione anche d’ufficio dei provvedimenti ex art. 709 ter cpc
ed in sede di regolamentazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 96 cpc. È
significativa al riguardo il decreto del Tribunale di Roma del 16.03.2018, emesso
in un giudizio di modifica delle condizioni di separazione, che ha avuto modo di
affermare un vero e proprio dovere per ciascuna delle parti di fornire elementi
afferenti alla propria sfera patrimoniale anche se contrari al proprio interesse: “…
deve rilevarsi come il legislatore abbia posto a carico dei coniugi un preciso dovere
di collaborare nella ricostruzione della rispettiva situazione economico reddituale
depositando non solo “la dichiarazione personale dei redditi”, ma anche “ogni
documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”;
in questo modo è stato normativamente disciplinato un comportamento di lealtà
processuale specifico, che giunge sino al dovere di fornire alla controparte elementi
contrari al proprio interesse. L’evidente deroga ai principi che reggono in generale
l’attività difensiva, trova fondamento, anche dal punto di vista costituzionale, nei
particolari obblighi di reciproca protezione che derivano dal rapporto matrimoniale
(art. 29 Cost.) e negli obblighi gravanti sui genitori per il mantenimento della prole
(art. 30 Cost). Tali norme contengono dunque una previsione eccezionale rispetto
a tutti gli altri procedimenti non relativi a rapporti tra genitori, ma comune invece
(essendo possibile l’interpretazione – non analogica, ma – estensiva anche di una
norma eccezionale) a tutti i procedimenti nei quali il conflitto tra coniugi richiede
una particolare tutela dell’uguaglianza tra coniugi: quindi anche al procedimento
di separazione ed a quelli di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio.
La sanzione processuale di comportamenti che si sottraggono al particolare obbligo
di lealtà così individuato non può che essere la valutazione del giudicante (art. 116
c.p.c.) del “contegno” della singola parte nel procedimento di divorzio …”.
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
929
questioni afferenti alla regolamentazione che riguarda i figli e le condizioni ad essi inerenti rappresentano una quota di diritti indisponibili
per i coniugi-genitori.
L’operato avvocato non deve dunque entrare in contrasto con il
fanciullo: l’avvocato non può e non deve, a differenza del Giudice,
ascoltare il minore sulla vicenda separativa, come è stato espressamente sancito dall’art. 56, 2 comma, del nuovo codice deontologico
forense (approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del
31.1.2014) – Ascolto del minore – che impone all’avvocato di astenersi
dall’avere colloqui con il minore di età sulle questioni oggetto delle
controversie in materia familiare o minorile7.
Inoltre è da considerare che l’avvocato è tenuto a favorire in tutti i
modi la soluzione consensuale della vicenda separativa: tale compito è
svolto rappresentando al proprio assistito, oltre agli aspetti vantaggiosi
in termini di tutela delle relazioni umane, tutti quegli argomenti legati
alla prevenzione di ulteriori e possibili piani di contesa con le inevitabili
ricadute in termini di incidenza delle spese che andranno a gravare sui
bilanci familiari in ragione della nota lunghezza dei contenziosi8.
Non deve essere, infatti, sottovalutato che spesso, nel momento
della crisi del rapporto, le vicende patrimoniali ed i reciproci impegni
durante il corso della vita insieme hanno una ricaduta economica che
possono far deflagrare il conflitto con l’instaurazione di più giudizi.
Con una complessiva e organica negoziazione si rende invece possibile la composizione contestuale di tutti quegli altri piani di contesa più
strettamente legati all’ambito patrimoniale, che da un punto di vista processuale, non hanno ingresso nel giudizio di separazione o di divorzio.
7
È prevista per l’avvocato che viola tale precetto la sanzione disciplinare della
sospensione dell’esercizio dell’attività professionale da sei mesi ad un anno.
8
Un ulteriore elemento di riflessione si rinviene anche in una recentissima
decisione della Suprema Corte (ordin. n. 19520 del 2019) che, con riferimento al
ruolo dell’avvocato in generale, richiamando un orientamento consolidato ha così
motivato: “… deve ribadirsi che (Cass. n. 14597 del 30/07/2004 e 24544 del 20/11/2009):
“Nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da
osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 cod.
civ. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel
corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione
ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte
le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento
del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli
gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o
proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”…”.
930
The best interest of the child
Sono accordi che complessivamente considerati permettono di
comporre, o meglio, di prevenire due, o a volte anche più di due, contenziosi che prendono le mosse proprio dalla crisi coniugale9.
In tale quadro di competenze e regole, ed in base al portato dell’esperienza professionale quotidiana, diviene doveroso pensare ad un
ruolo diverso dell’avvocato familiarista: un avvocato che non si siede
più dietro la scrivania ma accanto al proprio assistito; un avvocato che,
quale depositario della fiducia del proprio patrocinato, costruisca una
squadra di competenze professionali che traccino insieme un percorso
che deve già sin all’inizio vedere la meta.
La ragionevole brevità dell’iter negoziale aiuta nel processo di metabolizzazione e di riorganizzazione delle esistenze da singoli ed anche nel loro rispettivo ruolo di genitori collaborativi.
La pendenza del contenzioso la rallenta perché mantiene in atto il
legame, sia pure in un’accezione disfunzionale.
È un percorso che per alcuni può essere anche più doloroso ma
che è di necessaria elaborazione e di trasformazione in funzione della
tutela della prole per la quale una delle fonti primaria di pregiudizio
è proprio il ritardo con cui arrivano le risposte atte a stabilire le nuove
regolamentazioni.
La scelta di porre fine al legame affettivo è una manifestazione
dell’autodeterminazione del soggetto e su questa strada è doveroso
proseguire; sono solo i casi di violenze, di incapacità genitoriali, di disagi patologici, di devianze quelle in cui l’intervento del Tribunale è,
oltre che opportuno, doverosamente necessario; nella maggioranza dei
casi, in realtà, la regolamentazione deve prendere corpo dall’incontro
delle volontà dei genitori.
Fra avvocato e assistito si crea un rapporto fiduciario da cui il secondo trae forza e stabilità; l’assistito, nel momento in cui si affida, si
aspetta presenza e attenzione personale da parte dell’avvocato tanto
che è molto difficile farsi sostituire o delegare nell’attività extra-processuale o prettamente giudiziale.
9
È da considerare che con un accordo separativo complessivo si possono comporre
tutti i piani di azione in un unico contesto usufruendo dei massimi benefici fiscali
mentre in caso contrario oltre al contenzioso familiare si aprono, per l’obbligatorietà
della mediazione a pena di improcedibilità, per le cause riguardanti i diritti reali,
più piani di azioni extragiudiziali e giudiziali per addivenire all’obiettivo della
divisione patrimoniale.
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
931
È un rapporto (di fiducia) quello che si instaura fra avvocato e cliente che deve essere basato innanzitutto sulla chiarezza e sulla progettualità: in particolare sull’esposizione delle procedure che si hanno a
disposizione per raggiungere una regolamentazione di separazione e
di quelli che sono i diritti delle parti coinvolte, fra cui innanzitutto il
diritto dei figli “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione, assistenza morale
da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337 ter cod. civ.).
La parte per lo più ha bisogno di sviluppare una comunicazione
focalizzata sul figlio per liberarsi, dal punto di vista emotivo e comportamentale, da una relazione disfunzionale con l’altro genitore e accrescere le proprie competenze genitoriali.
Il lavoro di squadra con i professionisti dell’area psicologica diviene essenziale per porre al centro delle tutele il minore: per recuperare
a pieno la propria capacità di autodeterminazione e quindi di negoziare, il genitore deve lavorare sull’elaborazione e metabolizzazione della
crisi, sul rafforzamento del proprio io.
Accade però che quando l’avvocato valuta la necessità di una consulenza, di un’interazione con altra competenza professionale qual è quella
dell’area psicologica e lo propone all’assistito, quest’ultimo non sempre accoglie il suggerimento, solo a volte incontra il professionista e solo a volte
vi ritorna per proseguire il percorso iniziato. In alcuni casi è necessario, in
altri è addirittura doveroso proporre la diversa competenza professionale proprio perché bisogna rigorosamente mantenere ciascuno la propria
area di competenza e di ruolo, evitando la pericolosa commistione che
talvolta può condurre anche inconsapevolmente a percorrere territori non
propri e gli effetti negativi che l’incapacità (l’imperizia) può determinare.
È necessario dare vita ad un setting interdisciplinare in cui ciascun
professionista, con le proprie competenze, orienti, sostenga e completi
la capacità decisionali dell’assistito nelle scelte che riguardano la propria vita e quella dei propri figli in funzione di prevenire la deflagrazione della conflittualità genitoriale, che è sicuramente l’effetto più
deteriore, pernicioso e patologico della crisi e che si rivela senz’altro
lesivo del diritto del minore a conservare i propri affetti familiari.
Il metodo è di lavorare tra professionisti in un contesto unico e non
a distanza, come a volte capita addirittura senza conoscersi se il proprio assistito già svolge o decide di intraprendere parallelamente un
percorso di terapia psicologica.
932
The best interest of the child
Ciò che si propone è altro rispetto agli interventi di psicoterapia che
conservano inalterata la loro funzione e la loro valenza.
Allorché si crea un tavolo di lavoro in cui l’avvocato è presente (e
questo è essenziale soprattutto nella fase di avvio) ed interagisce con
l’esperto delle dinamiche familiari, ognuno per le proprie specifiche
aree di competenza, l’assistito recupera, migliora, affina la propria autodeterminazione ai fini della risoluzione della lite, ai fini di prevenire
il conflitto o di contenerne gli effetti e da qui che si avvia il processo di
tutela della prole. È qui che si scopre la chiave della vera prevenzione
ed anticipazione delle tutele.
Il lavoro di squadra aiuta il genitore in crisi:
- a raccogliere ed a decodificare le istanze che arrivano dai propri
figli, perché il primo ascolto dei minori devono farlo i genitori anche ai fini della regolamentazione da perseguire e trovare nel loro
interesse;
- a lavorare sul linguaggio e sulle modalità relazionali da tenere con
l’altro genitore e/o con il figlio;
- a riorganizzare i propri spazi abitativi anche in funzione della condivisione con i figli;
- a vivere il rapporto con i figli in autonomia dall’altro genitore;
- a proporre ed a motivare interventi di mediazione, di sostegno alla
genitorialità, del coordinatore genitoriale, dei gruppi di parola etc.
Proprio con riferimento tale ultimo profilo si consideri quanto l’avvocato, in sincronia con lo psicologo, possa conferire un apporto essenziale di orientamento e sostegno a vantaggio del proprio assistito,
atteso che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, tali risorse e
strumenti di intervento sono essenzialmente su base volontaria10.
10
La Corte di Cassazione con sent. n. 13506 del 1.07.2015 (orientamento confermato
proprio da ultimo da Cass. ordinanza n. 18222 del 5.07.2019 ) a seguito della
contestazione mossa avverso la legittimità della statuizione che obbliga i genitori
a sottoporsi a un percorso psicoterapeutico individuale o ad un percorso di
sostegno alla genitorialità ha accolto la doglianza sostenendo: “… Il secondo
motivo del ricorso principale è invece fondato in quanto la prescrizione ai
genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso
di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà
personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione,
se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari. Tale prescrizione,
pur volendo ritenere che non imponga un vero obbligo a carico delle parti,
comunque le condiziona ad effettuare un percorso psicoterapeutico individuale
e di coppia confliggendo così con l’articolo 32 Cost. Inoltre non tiene conto del
penetrante intervento, affidato dallo stesso giudice di merito, al Servizio sociale
che si giustifica in quanto strettamente collegato all’osservazione del minore e
Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore
933
Gli obiettivi prefissati sono dunque la prevenzione, il contenimento
e la risoluzione del conflitto, l’accrescimento delle competenze genitoriali, il sostegno anche post-separativo, l’orientamento, la formazione
e, infine, non meno importante, la divulgazione.
al sostegno dei genitori nel concreto esercizio della responsabilità genitoriale.
Laddove la prescrizione di un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno
alla genitorialità da seguire in coppia esula dai poteri del giudice investito della
controversia sull’affidamento dei minori anche se viene disposta con la finalità
del superamento di una condizione, rilevata dal CTU, di immaturità della coppia
genitoriale che impedisce un reciproco rispetto dei rispettivi ruoli. Mentre infatti la
previsione del mandato conferito al Servizio sociale resta collegata alla possibilità
di adottare e modificare i provvedimenti che concernono il minore, la prescrizione
di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio
quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che
rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione…”. Di segno opposto il
Tribunale di Roma che con sent. n. 23857 del 13.11.2015 ha onerato le parti di
proseguire il percorso di sostegno alla genitorialità già intrapreso sotto la direzione
ed il monitoraggio dei competenti Servizi Sociali cosi motivando sul punto: “…
Pur consapevole del diverso orientamento della Corte Suprema, quale espresso
nella recente sentenza n. 13506/2015, non ritiene questo Collegio che il disposto
percorso terapeutico possa tradursi in una violazione della libertà personale delle
parti. E ciò sia perché trattasi di un onere, ovverosia di una facoltà che essendo
condizionata ad un adempimento non è mai, essendo prevista nell’interesse dello
stesso soggetto onerato, obbligatoria tanto è vero che è priva di conseguenze
sanzionatorie personali nel caso in cui rimanga inattuata, ricadendone semmai gli
effetti sul regime di affido applicabile, sia perché è insuscettibile di esecuzione
coattiva trattandosi esclusivamente della condizione posta dal giudice per il
raggiungimento della pienezza dei paritetici poteri genitoriali nei confronti dei figli
introdotta dalla novella 54/2006, sia perché trattasi dello strumento attraverso il
quale si pongono le condizioni per una crescita il più possibile equilibrata e serena
della prole in ragione della tutela del superiore interesse del minore che il giudice
della famiglia è chiamato in prima istanza a salvaguardare. È proprio in ragione
di tale immanente principio che il giudice, ove si consideri che la conflittualità
genitoriale non può di per sé costituire ostacolo, secondo quanto ripetutamente
affermato dalla Corte di Cassazione, all’adozione del modello prioritario di affido
vuoi perché si svuoterebbe la previsione normativa del suo significato essendo
il conflitto la ricorrente condizione della coppia richiedente in via giudiziaria il
mutamento di status, vuoi perché l’esclusione della pari responsabilità genitoriale,
in quanto finalizzata a tutelare il superiore interesse della prole, deve avere
quale causa diretta una patologia nel rapporto tra il genitore escluso dall’affido
ed il figlio, ovverosia l’incapacità del primo ad entrare in relazione diretta con il
minore, e non già all’interno della coppia, la prescrizione terapeutica si traduce
necessariamente nell’unico strumento disponibile da parte del giudice per il
superamento della conflittualità tra i due genitori affinché possa essere garantita
l’equilibrata crescita del minore, nel rispetto del concorrente diritto alla bi –
genitorialità in capo a quest’ultimo.…”. Da ultimo sempre il Tribunale di Roma nel
decreto di fissazione dell’udienza presidenziale nei procedimenti familiari invita
le parti ad intraprendere un percorso di mediazione e nel contempo segnala alle
parti che il Giudice Delegato vorrà avere riferimenti in ordine alle iniziative in tal
senso intraprese.
934
The best interest of the child
In tale modo l’avvocato, di concerto ed insieme ad altre competenze
professionali specifiche, potrà svolgere un lavoro che si tramuta in un
valore aggiunto nell’interesse dei propri assistiti basato com’è sulle capacità di individuare le effettive istanze della persona, istanze che non
sempre sono volte alla immediata separazione o alla sola disgregazione
di un vincolo affettivo, ma anche alla prevenzione della crisi con effetti
dunque senz’altro positivi proprio in chiave genitoriale e di tutela dei
minori e degli affetti.
Le risultanze di tutto quanto sopra evidenziato creeranno dunque
un tangibile ed efficace spettro di opportunità a disposizione delle parti nel momento in cui l’avvocato sia in grado di offrire, insieme a un
professionista dell’area psicologica, una squadra di lavoro e di competenze sin dall’avvio del rapporto professionale; in quel momento,
infatti, si è già in grado di poter recuperare in termini di ragionevolezza tutto quanto potrà essere posto proficuamente a servizio per la
risoluzione della crisi della coppia genitoriale.
Attraverso le citate modalità sarà agevolmente possibile perseguire le regolamentazioni pattizie senza affrontare lunghi contenziosi di
separazione o di divorzio e, soprattutto, si potranno raggiungere degli
accordi che abbiano una tangibile efficacia ed una apprezzabile durata
nel tempo: infatti, spessissimo, vediamo che ci sono delle separazioni
le cui condizioni vengono sottoscritte con estrema fretta soltanto per
liberarsi nell’immediato della tensione, del conflitto, mentre poi, proprio in ragione della fretta che ha condizionato le scelte primarie, il
conflitto diventa ancor più deflagrante, il malessere aumenta, con la
inevitabile conseguenza di dover instaurare un contenzioso per la modifica delle condizioni di separazione e i comprensibili deleteri effetti
sulle persone coinvolte nell’ulteriore contenzioso.
Dietro ai mutamenti di orientamento, giurisprudenziale o normativo, o di metodologie nello svolgimento delle funzioni c’è sempre
un avvocato formato, competente e coraggioso che – all’interno del
sistema normativo vigente – riesce ad individuare un diverso raggio
di azione, una diversa e nuova risposta all’istanze multiformi che vengono dalle esigenze della vita e dai cambiamenti sociali.
parte vii
L’interesse del minore e il diritto all’identità
L’invisibilità dei minori nella prospettiva
sociologica
Marisa Ferrari Occhionero
Per secoli la vita dei minori non ha avuto nessuna rilevanza sociale e
giuridica. Negli ultimi trent’anni l’ordinamento giuridico, come abbiamo sentito nelle relazioni di questi giorni, ha mostrato una sensibilità crescente nei confronti del minore, interessato da forme di disagio
con forti ripercussioni sul suo sviluppo psichico. Prima il minore era
veramente minore, infatti si trovava in una condizione di inferiorità
umana e di assoluta incompiutezza che lo facevano dipendere dagli
altri, percepito come un essere che diviene persona solo dopo essere
stato educato e plasmato dalla società. Finché si è compreso, ma solo
in tempi abbasta recenti, la necessita di parlare di minori e del diritto di essere bambini, perché, una volta adulti, essi saranno la società
di domani, e lo faranno sulla base dei modelli acquisiti durante la
loro crescita verso l’adultità, durante il processo di socializzazione.
Per questo è importante l’analisi degli agenti di socializzazione offerti
da questa società, dalla famiglia alla scuola, dalla televisione a internet, perché i minori dovranno essere, un domani, eredi di una società
che speriamo tutti migliore di quella in cui viviamo, caratterizzata da
comportamenti violenti, come quelli insegnati dai videogiochi, dal
bullismo così diffuso tra i giovanissimi e così via. In altre parole, viviamo in una società caratterizzata da “disvalori” più che da “valori”, quelli che molti di noi hanno appreso nella formazione della loro
personalità. Una società, quella attuale, che si potrebbe definire della
“post-etica”, in cui l’etica, i valori, lasciano sempre più il posto a modi
di essere, di fare che rifiutano qualsiasi legame o riferimento che sia
a codici comportamentali, quelli imposti dalla convivenza sociale e
dalle istituzioni.
938
The best interest of the child
A voler fare un esame storico, bisogna riconoscere che la società
non si è curata affatto dei minori, anzi li maltrattava o li sacrificava
agli dei, o, come accadeva ad esempio in Grecia o in Cina, uccideva
i bambini deformi o non desiderati. Nell’ antica Roma, poi, l’ordinamento giuridico stabiliva il diritto di vita o di morte del pater familias
sui propri figli. Il concetto di “famiglia patriarcale” concedeva ai genitori qualsiasi potere sui minori che non godevano di nessuna libertà,
tanto meno di diritti: in società dominate da strutture di tipo patriarcale, nelle quali venivano inflitte anche pene corporali spesso per un nonnulla, era difficile che il bambino potesse ottenere dignità di menzione
storica. Col passaggio alla società pre-industriale, un figlio maschio
costituiva una ricchezza per la famiglia agricola perché poteva dare un
aiuto “con le sue braccia” al bilancio del nucleo, un obiettivo economico, mentre la figlia femmina costituiva un problema per via della dote
che bisognava prepararle per il matrimonio. Fortunatamente queste
distinzioni oggi non esistono più, investendo piuttosto nell’istruzione
per entrambi i generi.
Fu solamente nel 529 d.C. che Giustiniano introdusse il concetto di
“protezione”, con l’istituzione di case per orfani e bambini abbandonati. Nel Medioevo il bambino restava nella casa genitoriale fino a sette
anni, allorché i compiti educativi venivano affidati ad istituzioni fuori
della famiglia. Ma sia in famiglia che nella scuola le punizioni corporali costituivano lo strumento pedagogico più comune. Finalmente ebbe
inizio l’attenzione per l’infanzia allorché, in Inghilterra, romanzieri
come Scott e Dickens ebbero il coraggio di denunciare nelle loro opere
il comportamento inappropriato della società verso i bambini, sensibilizzando in tal modo la coscienza pubblica. Anche la Francia, dopo la
Rivoluzione francese sembrò risvegliarsi, proclamando nel 1793 che “il
bambino non possiede che diritti”. Una volta venuti alla luce i maltrattamenti, fisici e psichici dei minori, fu chiaro che si trattava di un vero
problema sociale che doveva essere studiato e risolto. Così, all’inizio
del Novecento pedagogia, psicologia e sociologia iniziarono a porsi il
problema dell’infanzia e dei suoi bisogni, ivi compresi quelli affettivi.
Ma ciò che è più importante è che si comprese che la tutela dei minori
non dev’essere un compito dei soli genitori ma di tutta la società. Nel
1925 fu così approvata la Dichiarazione dei diritti del fanciullo a Ginevra che affermava che i minori hanno diritto ad ogni tipo di cura e devono essere protetti e salvaguardati da ogni tipo di sfruttamento. Infine,
nel 1959 è stata proclamata dall’ONU la carta dei diritti del fanciullo
L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica
939
che ribadiva il diritto all’istruzione, al gioco ed alle attività creative, la
protezione dalle discriminazioni razziali o religiose. Sfortunatamente
questi obiettivi non sono stati ancora completamente raggiunti, nonostante le raccomandazioni della Ue, e ancora oggi assistiamo a eventi
disastrosi che hanno come vittime principali proprio i minori.
Un rapido sguardo agli eventi storici e mondiali può essere sufficiente per convincerci in modo definitivo che il bambino non è al di
fuori della storia. Infatti, nel corso della storia, i bambini sono stati testimoni e vittime di rivoluzioni e riforme cha hanno determinato i mutamenti societari. Nella società preindustriale i bambini sono stati gli
osservatori diretti dei “fatti della vita”, malgrado gli sforzi dei difensori dei loro diritti, per essere poi investiti da una crescente industrializzazione; nessuno ha potuto risparmiare loro dall’ impatto – positivo
o negativo – delle rivoluzioni (quella russa o quella americana) né ha
potuto impedire la condivisione con gli adulti della Seconda guerra
mondiale. Oggi sono massicciamente coinvolti nelle guerre del Medio
Oriente, vittime innocenti di lotte fratricide e di aberranti brutalità.
Una trasformazione profonda nella condizione dell’infanzia si è
avuta solo con l’avvento della moderna società industriale, con il
passaggio dall’economia tradizionale all’economia di mercato. Nella
società antica fino a tutta l’epoca medievale l’impiego dei bambini
in lavori agricoli e industriali costituiva la norma anche là dove si
camuffava sotto la veste dell’addestramento ad un mestiere. Con il
sorgere delle fabbriche, l’occupazione e lo sfruttamento del lavoro
minorile figura come un elemento intrinseco del modo di produzione industriale. L’industria eleva a sistema lo sfruttamento dei
bambini nelle fabbriche tessili e così via. In Gran Bretagna le prime
leggi e i primi provvedimenti per regolamentare il lavoro minorile
risalgono al XIX secolo, seguiti da altri paesi. La legge riduceva ad
otto ore il lavoro del bambino al di sotto dei tredici anni, impediva
il lavoro al di sotto dei nove anni e soprattutto introduceva l’obbligo
dell’istruzione in parallelo al lavoro giornaliero. Il richiamo alla necessità di istruire il bambino appare come il momento simbolico più
significativo della moderna scoperta dell’infanzia, che coincide con
l’affermazione della scuola di massa, con la posticipazione del momento in cui il bambino assume una responsabilità economica, con
l’espansione di un complesso di istituzioni e di agenzie incaricate di
gestire il tempo libero del bambino. Con ciò la scuola si sostituisce
all’apprendistato ed il valore dell’infanzia slitta dalla sfera economi-
940
The best interest of the child
ca a quella del sentimento. Ormai l’integrazione nella società non
inizia più nel momento dell’inserimento nel mercato del lavoro ma
ha inizio con la scuola.
L’ interesse della sociologia, scienza nata abbastanza recentemente,
nella seconda metà del IX secolo, è stata piuttosto scarsa, a differenza della psicologia e della psicopedagogia, le cui impostazioni sono
tuttavia del tutto differenti. Il tema fondamentale è stato quello di
arrivare a concepire l’infanzia come una categoria sociale. Non più,
quindi, l’infanzia come “condizione” che si evolve gradualmente fino
all’ inclusione nel mondo dell’adulto, ma piuttosto l’infanzia come categoria sociale, intesa come gruppo stabile o componente del corpo
sociale, di ogni popolazione, di qualunque organizzazione sociale. La
cultura occidentale del XX secolo, secondo Lacan, confondeva l’essere
una persona umana con l’essere un soggetto che agisce: se ciò è giusto
allora il periodo “in cui si diventa umani” è abbastanza breve. È l’unico
momento in cui il soggetto parla al suo posto. Ma parla senza parole,
esiste senza concetti, non è umano. Questa fase è ben riconosciuta nelle
culture non-europee dove ai bambini non viene dato un nome finché
non sono ritenuti capaci di avere cognizione del proprio nome. Se ciò
fosse vero i bambini potrebbero essere considerati attori sociali soltanto quando fossero capaci di riconoscersi come oggetti nel pensiero e
nel linguaggio degli adulti. La spinta generale della sociologia è stata
quella di continuare a considerare i bambini come socialmente passivi
piuttosto che come agenti sociali attivi. È quindi necessario esaminare
l’esclusione dei bambini dall’ indagine sociale, che non è soltanto un
riflesso dei cambiamenti storici, ma piuttosto una continuazione dei
problemi che la cultura e le scienze sociali occidentali hanno sempre
avuto nella problematizzazione del pensiero. Finora questa fascia così
decisiva ed importante per la società, anche perché costituirà il nerbo
di quella futura, non ha quindi goduto dell’interesse della ricerca sociologica. Ve ne sono poche tracce ma spesso di scarso interesse sul
piano scientifico. Oggi si fa un gran parlare dei bambini, ma essi non
sono protagonisti; si parla di loro per la pubblicizzazione di qualche
prodotto. Oppure per situazioni patologiche in cui i bambini sono vittime inconsapevoli ed innocenti.
Il tema dell’infanzia occupa un posto del tutto marginale nelle
scienze sociali che solamente di recente hanno abbozzato una. È sintomatico, al riguardo, come nella nota Encyclopedia of the Social Sciences
del 1930 il termine infanzia non sia nemmeno riportato, mentre al suo
L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica
941
posto compare “child” con una serie di problemi del bambino e la sua
condizione soprattutto di carattere patologico, a dimostrazione che
non sono l’infanzia o la condizione del bambino intese come strutturali o “normali” dell’ordine sociale, ma piuttosto, come detto poc’anzi, le
situazioni patologiche che ne mettono a rischio l’armonico sviluppo.
Analogamente, nella successiva edizione dell’opera (1968), pur ricomparendo la voce “infancy”, la problematica resta essenzialmente di tipo
psicologico piuttosto che sociologico. La sorprendente carenza (assenza) di impostazione sociologica nelle analisi dedicate all’ infanzia resta
tuttora presente nella letteratura sociale. Anche per quanto concerne il
terreno statistico, dati e informazioni sul tema sono del tutto carenti se
confrontati con quelli della popolazione adulta. Quale la ragione di
tale invisibilità? La teoria sociale resta centrata sulla figura dell’adulto,
considerando i bambini esclusivamente nella prospettiva della riproduzione dell’ordine sociale: un soggetto dipendente, l’infanzia un periodo subordinato della vita, visioni più generali che la collettività ha
dell’infanzia come categoria sociale. La prospettiva dei diritti e della
cittadinanza dei soggetti minorenni è tema cruciale dell’opera pionieristica di Ariès. Scrive Ariès, che con l’avvento della società moderna il
bambino esce “dall’anonimato e dall’indifferenza per diventare la creatura più preziosa, la più ricca di promesse e di avvenire”. Ciò avviene, secondo Ariès, contemporaneamente allo sviluppo del sentimento
della famiglia. In altre parole, la scoperta dell’infanzia coincide con
l’affermazione della famiglia come sfera dell’intimità, della vita privata, come ambito di una relativa indipendenza dalle costrizioni sociali,
come emancipazione psicologica che si stabilisce in stretta relazione
con l’emancipazione politico-sociale che è caratteristica della società
borghese. Parallelamente alla scoperta dell’infanzia da parte della società moderna, all’emergere del bambino dall’anonimato e dall’indifferenza in cui era relegato nel passato, si verifica paradossalmente un
indebolimento della sua figura sociale, della sua integrazione nel contesto della vita sociale. E ciò malgrado il progressivo miglioramento
nei confronti della tutela del bambino, il suo benessere individuale, il
diritto del minore, la sua protezione dai possibili abusi da parte degli
adulti. La separazione tra l’adulto ed il bambino si svolge sul piano dei
sentimenti, ma non esclusivamente nel mondo degli affetti; essa investe, al tempo stesso, qualcosa di più profondo e di più generale. L’epoca che precede l’avvento della società moderna non aveva consapevolezza di questa distinzione, non conosceva l’infanzia, semplicemente
942
The best interest of the child
non aveva il bisogno di rappresentarla. Con l’avvento della produzione industriale e con l’affermarsi della conoscenza, ad essa strettamente
legata, le cose cambiano: l’infanzia e l’adolescenza diventano oggetto
di attenzione, sia da parte delle famiglie che da parte della scuola, perché è essenzialmente su queste età della vita che si appuntano le speranze di affermazione individuale e dell’intera società. In entrambi i
casi si tratta di processi sociali che riguardano la società nella sua interezza e soltanto incidentalmente l’individuo. Parlando d’infanzia si
dovrebbe intenderla come categoria stabile e fase permanente della
società cui sono attribuite determinate funzioni sociali, e non come
“condizione” contingente destinata ad essere superata con l’ingresso
nella fase adulta. Le interpretazioni correnti dell’infanzia si sono poste
invece sulla via di un accentuato individualismo, frapponendo una serie di ostacoli all’analisi dell’infanzia come fenomeno sociale. Non è
facile individuarne le ragioni, ma forse, in parte, sono riconducibili al
fatto che nell’ odierna società è andato progressivamente ampliandosi
il divario tra responsabilità della società e responsabilità della famiglia
nella cura e nell’ allevamento del bambino. Comunque sia, il risultato
è che l’infanzia è stata rappresentata come una fase di passaggio, provvisoria e transeunte del ciclo vitale, come uno stadio dell’esistenza destinato ad essere accantonato con l’accesso al traguardo finale nell’età
adulta. Nella scienza sociale l’infanzia è descritta come una schiera di
“mutanti” in continua e inarrestabile trasformazione, non come una
componente strutturale della società. Scarso interesse perciò per le
condizioni in cui si svolge la vita del bambino, alle convenzioni che
regolano le sue attività, al significato economico e sociale di tali attività, alle diseguaglianze tra i minori, alle altre componenti della popolazione e così via. L’analisi evolutiva (developmental) praticata prevalentemente dalla psicologia e dalla pedagogia non ha minor titolo
a occuparsi dell’infanzia di quanta ne abbia l’approccio strutturale
più consono alle scienze della società. La diversità tra analisi evolutiva e approccio strutturale si coglie con esemplare chiarezza negli
studi e nelle ricerche sulla socializzazione. Il tema della socializzazione difatti costituisce da sempre un campo elettivo della ricerca
sull’ infanzia. Il motivo è semplice: i bambini “nuovi barbari” devono essere integrati nella società e la socializzazione è appunto il processo decisivo attraverso cui il bambino assimila i valori e le regole
della società adulta. La società, scriveva Durkheim, “non può vivere
se non esiste tra i suoi membri una omogeneità sufficiente”. Appunto
L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica
943
l’educazione (la socializzazione) “perpetua e rinforza questa omogeneità, fissando a priori nell’anima del fanciullo le similitudini essenziali che impone la vita collettiva”; essa è dunque il mezzo mediante
il quale la società si riproduce, da generazione in generazione, “le
condizioni essenziali per la propria esistenza”. Con poche ed essenziali modifiche, questa posizione è stata recepita dalla letteratura
sociologica che si è interessata al processo di socializzazione. Insomma, secondo Durkheim non esiste antagonismo tra individuo e società: entrambi mirano al raggiungimento, e cioè alla conservazione
delle condizioni fondamentali della solidarietà sociale. La socializzazione è vista come assimilazione da parte del bambino di credenze, abiti e regole sociali, dunque è conformità a un ordine sociale
esistente. La posizione del bambino nel processo socializzativo è comunque assunta in termini di passività, essendo il sistema delle regole imperativo. In altre parole, la teoria presuppone la coincidenza
tra gli agenti della socializzazione ed il soggetto socializzato, tra gli
adulti ed il bambino: una coincidenza che viene raggiunta solo a
prezzo della rinuncia alla individualità da parte del bambino; l’eventuale rifiuto dell’apprendimento del ruolo viene di fatto trattato
dalla teoria come una patologia, come un caso che esce dalla norma
ed è perciò stesso “deviante”. Le critiche oggi muovono nella direzione della competenza del bambino, per cui esso disporrebbe sin
dalla più precoce età della capacità di interagire con il contesto sociale, sicché la socializzazione non è riducibile ad un’assimilazione
in un “universo simbolico” precostituito ma costituisce piuttosto un
rapporto di scambio e comunicazione fondato sulla reciprocità.
Questa è l’idea ampiamente condivisa dalla psicologia, anche se non
mancano voci dissonanti. Educazione, scuola, formazione rappresentano il terreno elettivo della partecipazione del bambino alla vita
sociale. L’attenzione che gli studi e le ricerche sulla socializzazione
hanno dedicato all’ apprendimento, agli stili educativi, alle motivazioni, alla disciplina, ecc. nel contesto familiare e scolastico riflette
ampiamente il ruolo fondamentale che la società moderna assegna
al momento della formazione che precede l’inserimento del bambino nella realtà economica e sociale. Alla questione dell’infanzia se ne
collegano altre per meglio comprendere la sua condizione nella società moderna. Anzitutto quella demografica, che introduce due
aspetti finora trascurati e tra loro dipendenti: quello relativo al declino delle nascite e quello che si riferisce alle differenze profonde che
944
The best interest of the child
vi sono tra l’infanzia nei paesi sviluppati dell’Occidente e quella negli altri mondi. L’infanzia di oggi non è paragonabile a quella di una
volta: rispetto ad un non lontano passato, il cambiamento si riassume in una netta inversione di tendenza nel rapporto tra i costi e i ricavi legati alla crescita legati alla crescita e all’ impiego produttivo
del bambino, per la famiglia, da un lato, e per la società dall’ altro. A
seguito dell’industrializzazione e con l’introduzione della scuola di
massa, si è prodotta una frattura tra la famiglia e le altre sfere della
società nella ripartizione dei costi e benefici della riproduzione e
dell’allevamento. Oggi la famiglia sopporta pressoché interamente i
costi della crescita e della formazione della prole, senza averne nessun
beneficio, se non sul piano sentimentale e della gratificazione emotiva. All’interesse delle famiglie di trarre un profitto immediato tramite
l’impiego del bambino in un’attività produttiva, si contrappone sempre di più l’interesse della società di disporre di una forza-lavoro sufficientemente istruita. Infine, la scelta procreativa entra in aperta contraddizione con altre decisioni. Da beni d’investimento, quali erano in
passato, i figli si tramutano per le famiglie in costi che entrano in competizione con altri beni di consumo alternativi. Da bene economico
sono divenuti, in un breve lasso di tempo, un costoso e per molti un
lussuoso bene sentimentale. Ma la soluzione del problema demografico, che è un problema sociale, è stata abbandonata unicamente alla
responsabilità delle famiglie, relegata nello scontro angusto tra interesse dei genitori e dei figli, impedendo così che il problema assumesse senso e lo spessore di un problema della collettività.
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L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica
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La complejidad del derecho
a la identidad a la luz de las sugerencias
de la jurisprudencia de la corte interamericana
de derechos humanos
Ursula Cristina Basset1
Sumario: 1. La jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos
Humanos sobre la identidad. – 2. La identidad como un derecho y una
realidad. – 3. La naturaleza jurídica de la identidad y su interacción
con otros derechos. – 4. La identidad como un derecho en clave de
relación: la identidad familiar. 5. Identidad: biologismo vs. Contrato y
autopercepción. - 6. Identidad y raíces culturales. - 7.- Identidad y proyecto de vida (daño existencial) y proyecto de post-vida. - 8. Identidad,
tiempo, memoria y vulnerabilidad. - 9. Identidad, reconocimiento, justicia y perdón: los medios de corretezza, o verdad en las relaciones
dinámicas de la filiación.
1. La jurisprudencia de la Corte Interamericana
de Derechos Humanos sobre la identidad
La Corte Interamericana de Derechos Humanos (Corte IDH, en adelante)
ha debido fallar en casos trágicos. En muchos de esos casos, la identidad
no aparecía en forma evidente como el derecho afectado. Sobre todo, porque la identidad no es objeto de ningún derecho enunciado textualmente
en la Convención Americana de Derechos Humanos, sino que la Corte
debió realizar una construcción teórica para llegar a enunciarla como un
derecho implícito.
Sin embargo, desde el “descubrimiento” o la “invención” (en el
sentido etimológico de la palabra2) del derecho a la identidad, la Corte
IDH ha desarrollado una jurisprudencia de enorme riqueza.
La identidad aparece en al menos tres tipos de casos en la jurisprudencia de la Corte, a saber, los relativos a los aborígenes o comunidades indígenas, las relativas a la sustitución de la identidad por regíme-
948
The best interest of the child
nes militares o por grupos paramilitares, que separan tempranamente
los niños de sus familias o bien en casos de adopción irregular. Más
recientemente, la Corte IDH ha ampliado este espectro, incorporando
a su jurisprudencia sobre la identidad, una opinión consultiva sobre la
“identidad de género”3.
2. La identidad como un derecho y una realidad
La identidad aparece enunciada como un dato y a la vez como un
derecho subjetivo que hace nacer un deber de garantía del Estado.
El elemento fáctico no carece de trascendencia: la identidad es entendida como algo preexistente al derecho, con “componentes sociológicos, psicológicos y socioculturales, políticos y axiológicos diversos”4.
En este sentido, la dimensión jurídica e incluso su plasmación como
derecho subjetivo se enmarca en el ámbito del “reconocimiento a la
personalidad jurídica”5. El hecho de enmarcar el derecho a la personalidad en el ámbito del “reconocimiento” implica precisamente la
comprensión de la preexistencia de la identidad como un elemento
emergente y constitutivo de la personalidad jurídica que se corporeiza
frente al Estado y obliga a éste a reconocer al individuo en todas las
manifestaciones de su unicidad.
3. La naturaleza jurídica de la identidad y su interacción
con otros derechos
La identidad personal tiene entonces, en el ámbito de corpus iuris
interamericano de derechos humanos, un encuadre en el marco del
derecho al Reconocimiento de la Personalidad Jurídica que surge del
Art. 3 de la Convención Americana de Derechos Humanos. Se trata
3
Corte IDH, Opinión Consultiva Nro. 24 (2017).
4
Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos
(OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del
Derecho a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev. 1.
5
Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos
(OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del Derecho
a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev. 1., par. 9.
La complejidad del derecho a la identidad
949
de un derecho implícito e inherente al derecho de la persona humana
referida al reconocimiento jurídico. El Comité Jurídico Interamericano
lo expresa de la siguiente forma:
“Dado que el derecho a la identidad está indisolublemente ligado al
individuo como tal y, por consiguiente al reconocimiento de su personalidad jurídica, en todas partes, así como a la titularidad de derechos
y obligaciones inherentes a la misma, es importante tomar en consideración que ya desde la Declaración Americana de los Derechos y Deberes del Hombre, se consignó en el artículo XVII que “toda persona
tiene derecho a que se le reconozca en cualquier parte como sujeto de
derechos y obligaciones ...”. Disposiciones semejantes fueron incorporadas en la Declaración Universal de los Derechos Humanos (artículo
6), la Convención Americana sobre Derechos Humanos (artículo 3) y el
Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos (artículo 16).”
Se relaciona con el derecho a la dignidad personal6 y por ello con el
derecho a la “verdad personal de cada persona”. En palabras del antiguo Juez de la Corte Interamericana Antonio A. Cançado Trinidade:
“No hay cómo disociar el derecho a la identidad de la propia personalidad jurídica del individuo… El derecho a la identidad viene a
reforzar la tutela de los derechos humanos, protegiendo a cada persona contra la desfiguración o vulneración de su “verdad personal”. El
derecho a la identidad, abarcando los atributos y características que
individualizan a cada persona humana, busca asegurar que ésta sea representada fielmente en su proyección en el entorno social y el mundo
exterior. De ahí su relevancia, con incidencia directa en la personalidad
y capacidad jurídicas de la persona humana en los planos tanto del
derecho interno como internacional”7.
Esta “fidelidad a la persona humana”, su adecuada representación
social de acuerdo con su “verdad personal” es esencial para comprender la consistencia del derecho a la identidad. La persona, como fundamento y centro de protección de todo el sistema de derechos humanos
y su dignidad humana, son los que explican la inalienabilidad del derecho a la identidad que es apenas reconocido por el derecho positivo. La personalidad humana tiene una identidad que tiene derecho a
expresar como un modo de ser único en el concierto de la vida social
6
Ibid. par. 13.
7
Corte IDH, Caso de las Hermanas Serrano Cruz v. El Salvador. Voto disidente Juez
Antonio A. Cançado Trinidade, Sentencia del 1 de marzo de 2005, par. 13 y 19.
950
The best interest of the child
y el Estado debe ser “fiel” a esa expresión de la unicidad de cada ser
humano y garantizar esa expresividad en la pluralidad de elementos
complejos que integran la identidad de cada uno.
La Organización de los Estados Americanos (OEA), por su parte,
sostuvo por su parte que la falta de reconocimiento de la identidad
puede obstar el ejercicio de los derechos civiles y políticos y por lo
tanto enervar la capacidad jurídica de la persona: “la falta de reconocimiento de la identidad puede implicar que la persona no cuente con
constancia legal de su existencia, dificultando el pleno ejercicio de sus
derechos civiles, políticos, económicos, sociales y culturales”8.
Tratándose de niñas, niños y adolescentes, la Comisión Jurídica Interamericana9 y Corte IDH10 no eluden la incidencia del corpus iuris
internacional sobre infancia, incorporando reiteradamente la referencia
al Art. 8 de la Convención sobre los Derechos del Niño.
Recordemos que el Art. 8 de la Convención sobre los Derechos del
Niño incluye dentro de la identidad, la nacionalidad, el nombre y las
relaciones familiares. La enunciación que hace el Art. 8 de la Convención Internacional de los Derechos del Niño no es taxativa sino enunciativa y podría incorporar otros derechos no enunciados. Así lo señala
la Corte IDH en el caso Ramírez Escobar v. Guatemala:
“La identidad es un derecho que comprende varios elementos, entre ellos y sin ánimo de exhaustividad, la nacionalidad, el nombre y las
relaciones familiares. Si bien la Convención Americana no se refiere de
manera particular al derecho a la identidad bajo ese nombre expresamente, incluye sin embargo otros derechos que lo componen”11.
Así, en el caso Gelman v. Uruguay, la Corte entiende que la función del derecho a la identidad es la de individualizar a una persona
en la sociedad y por lo tanto se asocia a varios otros derechos según la
dimensión de la persona que esté relacionada con la expresión de su
8
OEA, Resoluciones AG/RES. 2286 (XXXVII-O/07); 2362 (XXXVIII-O/08), y 2602 (XLO/10), cit. en F. Andreu, Derecho al reconocimiento de la personalidad jurídica, en C.
Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad
Adenauer Stiftung, 2014, p. 110
9
Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos
(OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del Derecho
a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev.1., par. 10.
10
S. García Ramírez, Panorama de la Jurisprudencia Interamericana sobre Derechos
Humanos, CNDH, México, 2018, p. 122.
11
Corte IDH, Caso Ramírez Escobar v. Guatemala, Sentencia del 9 de marzo de 2018,
par. 359.
La complejidad del derecho a la identidad
951
identidad12. Así, vemos cómo, en otros fallos, la Corte relaciona la identidad unas veces con el derecho a la vida, a la protección de la familia,
otras a la protección de la identidad cultural y libertad religiosa, otras
a la protección de la vida privada. Por ejemplo13:
- En el caso Gelman v. Uruguay, la Corte IDH relaciona la identidad
con el derecho a la vida: “Los hechos probados afectaron también
el derecho a la vida, previsto en el art. 4.1. de la Convención, en
perjuicio de María Macarena Gelman, en la medida en que la separación de sus padres biológicos puso en riesgo la supervivencia y el
desarrollo de la niña, supervivencia y desarrollo que el Estado debía garantizar, acorde a lo dispuesto en el Art. 19 de la Convención
y en el Art. 6 de la Convención sobre Derechos del Niño, especialmente a través de la protección a la familia y la no injerencia ilegal
o arbitraria en la vida familiar de los niños y niñas, pues la familia
tiene un rol esencial en su desarrollo.”14.
- En el Caso de las Hermanas Serrano Cruz vs. El Salvador lo vincula “en las circunstancias del caso concreto, sobre todo con los
artículos 18 (derecho al nombre) y 17 (derecho a la protección de
la familia) de la Convención Americana, en relación con el artículo
1(1) de ésta”15.
- En el Caso Contreras v. El Salvador se vincula con la vida privada,
derecho al nombre y vida familiar: “(…) la afectación del derecho
a la identidad en las circunstancias del presente caso ha implicado
un fenómeno jurídico complejo que abarca una sucesión de acciones ilegales y violaciones de derechos para encubrirlo e impedir el
restablecimiento del vínculo entre los menores de edad sustraídos
y sus familiares, que se traducen en actos de injerencia en la vida
privada, así como afectaciones al derecho al nombre y a las relaciones familiares”.
- En el Caso Masacre Plan Sánchez, la Corte IDH habla de una iden12
Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par.
122: “(…) el derecho a la identidad puede ser conceptualizado, en general, como
el conjunto de atributos y características que permiten la individualización de la
persona en sociedad y, en tal sentido, comprende varios otros derechos según el
sujeto de derechos de que se trate y las circunstancias del caso”.
13
Cf. M. Beloff, Protección de la familia, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención
Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 423.
14
Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de marzo de 2011, par. 130.
15
Corte IDH, Caso de las Hermana Serrano Cruz vs. El Salvador, Sentencia del 1 de
marzo de 2005, par. 120.
952
The best interest of the child
tidad cultural y colectiva, criterios que luego se reproducen en
otros fallos, incluyendo también la identidad religiosa: “No obstante, hechos como los señalados, que afectaron gravemente a los
miembros del pueblo maya achí en su identidad y valores y que se
desarrollaron dentro de un patrón de masacres, causan un impacto agravado que compromete la responsabilidad internacional del
Estado que esta Corte tomará en cuenta al momento de resolver
sobre reparaciones. ”16.
Se despliega así un fresco rico de interacciones: el individuo expresa su identidad en una pluralidad de dimensiones de su personalidad, y en cada una de ellas su identidad se reconoce jurídicamente en relación con los derechos involucrados: libertad de religión,
de conciencia, manifestaciones culturales, de idioma, de sistema de
creencias, de relaciones, de derecho a asociarse, de mantener la privacidad o de obtener reconocimiento del nombre, de la nacionalidad
o de sus relaciones familiares.
Hasta ahora, nos hemos referido al derecho a la identidad como
una manifestación del individuo. Hemos dicho que esta identidad resulta tan compleja como la plurifacética manifestación de cada individuo que proyecta su personalidad sobre diferencias esferas axiológicas
y jurídicas. Sin embargo, este individuo no puede ser recortado de sus
relaciones humanas y sociales, de ahí que sea necesario abordar uno
de los aportes de mayor riqueza de la jurisprudencia de la Corte Interamericana, que, en todo caso, ya habían sido insinuados más arriba: la
captación de la identidad como un fenómeno relacional.
4. La identidad como un derecho en clave de relación:
la identidad familiar
Especial interés reviste el concepto de “identidad familiar” al que la
Corte IDH suele hacer referencia. La Corte entiende la identidad como
un derecho que se teje bajo el amparo del derecho a la vida privada, y
entiende que dicho derecho es un concepto relacional.
16
Corte IDH, Caso Masacre Plan Sánchez v. Guatemala, Sentencia del 24 de abril de
2002, par. 51.
La complejidad del derecho a la identidad
953
El derecho a la identidad incluye el derecho a las relaciones de familia17. Notablemente, la Corte IDH ha entendido que esa identidad
es “verdadera” y la familia es “verdadera” cuando hay coincidencia
biológica, sobre todo cuando la identidad de origen ha sido “sustraída18: “En cuanto a la sustracción y apropiación ilícita de niños y niñas,
jurisprudencia argentina ha considerado que ello afectaba el derecho
a la identidad de las víctimas, toda vez que se había alterado el estado
civil de los niños y se habían atribuido datos filiatorios que impidieron conocer la verdadera identidad de los mismos, quedando eliminado
cualquier indicio relativo a su verdadero origen y evitando el contacto
con la verdadera familia”19.
También en el caso “Contreras vs. El Salvador” la identidad se asocia a recuperar los vínculos familiares “de origen”. En dicho fallo, la
identidad se define como:
“Al respecto, la Corte ha utilizado las “Normas de Interpretación”
de este artículo para precisar el contenido de ciertas disposiciones de
la Convención, por lo que indudablemente una fuente de referencia
importante, en atención al artículo 29.c) de la Convención Americana
y al corpus juris del Derecho Internacional de los Derechos Humanos,
lo constituye la Convención sobre los Derechos del Niño, instrumento
internacional que reconoció el derecho a la identidad de manera expresa. En su artículo 8.1 señala que “[l]os Estados Partes se comprometen a
respetar el derecho del niño a preservar su identidad, incluidos la nacionalidad,
el nombre y las relaciones familiares de conformidad con la ley sin injerencias ilícitas”. De la regulación de la norma contenida en la Convención
sobre Derechos del Niño se colige que la identidad es un derecho que
comprende varios elementos, entre ellos, se encuentra compuesto por
la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares, incluidos en dicho articulado a modo descriptivo mas no limitativo. De igual forma,
el Comité Jurídico Interamericano ha resaltado que el “derecho a la
identidad es consustancial a los atributos y a la dignidad humana” y es
un derecho con carácter autónomo, el cual posee “un núcleo central de
17
Corte IDH, Caso Gelman vs. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 130.
18
Corte IDH, Caso Gelman vs. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 131.
19
Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 124.
La cursiva es nuestra.
954
The best interest of the child
elementos claramente identificables que incluyen el derecho al nombre,
el derecho a la nacionalidad y el derecho a las relaciones familiares”20.
Preservar la identidad, en especial la identidad familiar, es un derecho del niño. En esa dirección va el muy citado párrafo 123 del Caso
“Fornerón vs. Argentina”:
“Finalmente, la Corte recuerda que la Convención sobre los Derechos del Niño, en su artículo 8.1, señala que “[l]os Estados Partes se
comprometen a respetar el derecho del niño a preservar su identidad,
incluidos la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares de conformidad con la ley sin injerencias ilícitas”. El Tribunal ha reconocido
el derecho a la identidad, que puede ser conceptualizado, en general,
como el conjunto de atributos y características que permiten la individualización de la persona en sociedad y, en tal sentido, comprende
varios otros derechos según el sujeto de derechos de que se trate y las
circunstancias del caso. La identidad personal está íntimamente ligada
a la persona en su individualidad específica y vida privada, sustentadas ambas en una experiencia histórica y biológica, así como en la
forma en que se relaciona dicho individuo con los demás, a través del
desarrollo de vínculos en el plano familiar y social.”21.
Es de remarcar que la identidad familiar se extiende no sólo a las relaciones actuales, sino también al patrimonio genético y a los ancestros que
forman parte del derecho a la identidad familiar del niño. En el caso Gelman v. Uruguay, la Corte IDH lo señala recogiendo un fallo argentino:
“En ese mismo sentido, la Cámara Federal de Apelaciones de San
Martín afirmó, en relación con la identidad de los niños sustraídos en
Argentina y citando un voto minoritario de la Cámara Federal de Apelaciones de La Plata, que “[e]l reconocimiento social del derecho prevaleciente de la familia a educar a los niños que biológicamente traen
a la vida, se cimenta además en un dato que cuenta con muy fuerte
base científica, que es la herencia genética de las experiencias culturales acumuladas por las generaciones precedentes”22.
Más aún, la personalidad de cada individuo no se forma sólo por
las pautas de educación o socioafectivas, sino esencialmente también
por el patrimonio genético que forma y entreteje una cadena entre
20
Corte IDH, Caso Contreras y otros Vs. El Salvado,” 31 /8/ 2011, pár. 112.
21
Corte IDH, Caso Fornerón e hija vs. Argentina, 27/4/2012, párr. 123.
22
Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 124.
La complejidad del derecho a la identidad
955
los vivientes, e inserta a los niños en una historia familiar que resulta
transmitida. La Corte IDH lo expresa de esta forma:
“… La personalidad no se forma, entonces, en un proceso sólo determinado mediante la transmisión de actitudes y valores por los padres y otros integrantes del grupo familiar, sino también por las disposiciones hereditarias del sujeto, ante lo cual la vía normal de formación
de la identidad resulta ser la familia biológica”, concluyendo que el
“derecho del niño es, ante todo, el derecho a adquirir y desarrollar una
identidad, y, consecuentemente, a su aceptación e integración por el
núcleo familiar en el que nace”23.
El derecho a la identidad familiar se traduce en un derecho a la
registración24 de dicha identidad, que la Corte IDH ha reconocido profusamente como fundante del acceso a los derechos que surgen de la
nacionalidad y que permiten ejercer los derechos civiles y políticos.
La identidad familiar25 también se proyecta sobre los derechos del
niño a vivir según su propia cultura, especialmente en las etnias indígenas, como ya mencionamos más arriba26. En otras palabras, la identidad familiar se entreteje con la etnia, la religión y la vivencia cultural,
formando un conjunto inescindible.
Así, para la Corte IDH la identidad tiene un carácter relacional de la
identidad de doble vertiente: a) con lo genético, que relaciona con los
antepasados; b) con lo cultural, que inscribe y enraiza a una persona en
su medio cultural y social. Ambas dimensiones están inextricablemente
relacionadas. En el caso Ramírez Escobar (2018)27, la Corte IDH sostuvo:
“Este derecho está íntimamente ligado a la persona en su individualidad específica y vida privada, sustentadas ambas en una experiencia histórica y biológica, así como en la forma en que se relaciona
con los demás, a través del desarrollo de vínculos en el plano familiar
y social.”.
5. Identidad: biologismo vs. Contrato y autopercepción
23
Ibid.
24
Corte IDH, Caso de personas dominicanas y haitianas expulsadas Vs. República
Dominicana. 28/8/2014, párr. 274.
25
Corte IDH, Caso “Contreras y otros Vs. El Salvador.” 31 /8/ 2011, pár. 89 y 112.
26
Corte IDH, “Chitay Nech y otros vs. Guatemala”, 25/5/2010, párr. 167-9.
27
Corte IDH, Ramírez Escobar vs. Guatemala, Sentencia del 9 de marzo de 2018, par. 359.
956
The best interest of the child
Como hemos analizado, la Corte IDH se apoya con fuerza en la
identidad biológica como un elemento determinante, proyectándola
incluso en la inserción del individuo en un patrimonio genético y fenotípico, cultural y social transmitido de generación y generación.
De ahí que tenga interés abordar dos cuestiones íntimamente relacionadas. Hasta aquí, hemos analizado la identidad como “lo dado”,
es decir lo recibido por el niño en términos de patrimonio o herencia
genética y cultural. ¿Cómo se relaciona la identidad con la autodeterminación y la autopercepción?
En primer lugar, la Corte IDH ha considerado que una vida familiar y de relación es condición de desarrollo de la autonomía personal.
En el caso Gelman v. Uruguay, dice lo siguiente:
“En este caso, los hechos afectaron el derecho a la libertad personal de María Macarena Gelman puesto que, adicionalmente al hecho
de que la niña nació en cautiverio, su retención física por parte de
agentes estatales, sin el consentimiento de sus padres, implican una
afectación a su libertad, en el más amplio término del Art. 7.1. de la
Convención.”28.
Es decir que, haber privado a María Macarena Gelman de esa vida
privada (en la especie, por desaparición forzada de sus padres durante
los procesos de gobierno militar por golpe de estado en Argentina y
Uruguay), implica una afectación del derecho a la libertad y autodeterminación. La afirmación tiene una riqueza extraordinaria: el Estado
ha de ser garante de la identidad relacional familiar, para poder asegurar así el desarrollo paulatino de la libertad, porque el ser humano
adquiere su libertad en familia. Y cuando esa familia es disfuncional,
la adquisición de esa libertad se ve coartada.
En otro párrafo, la Corte IDH se expresa aún más claramente:
“Este derecho implica la posibilidad de todo ser humano de auto-determinarse y escoger libremente las opciones y circunstancias que le dan sentido a su existencia. En el caso de los niños y niñas, si bien son sujetos
titulares de derechos humanos, aquellos ejercen sus derechos de manera
progresiva a medida que desarrollan un mayor nivel de autonomía personal,
por lo que en su primera infancia actúan en este sentido por conducto de sus
familiares. En consecuencia, la separación de un niño de sus familiares
implica, necesariamente un menoscabo en el ejercicio de su libertad”29.
28
Corte IDH, Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de marzo de 2011, par. 129.
29
Ibid.
La complejidad del derecho a la identidad
957
Más recientemente, la Corte ha extendido la idea de autodeterminación y autopercepción a la cuestión relativa a la identidad de género.
Dos lugares son significativos para este nuevo desarrollo. De una parte, el caso Atala Riffo v. Chile; de otra, la Opinión Consultiva 24/2017.
En el caso Atala Riffo v. Chile, la Corte hace una interpretación notable de la identidad autopercibida, diciendo que el principio del interés
superior del niño no puede recortar el ejercicio libre de esa identidad
en la vida social. En la especie, la Sra. Karen Atala pretendía la tuición
de sus hijas menores de edad, y el Estado Chileno había entendido que
había una afectación del niño en la satisfacción de esa pretensión. La
Corte IDH se expresa como sigue:
“Al respecto, el Tribunal considera que dentro de la prohibición
de discriminación por orientación sexual se deben incluir, como derechos protegidos, las conductas en el ejercicio de la homosexualidad. Además, si la orientación sexual es un componente esencial de
identidad de la persona, no era razonable exigir a la señora Atala
que pospusiera su proyecto de vida y de familia. No se puede considerar como “reprochable o reprobable jurídicamente”, bajo ninguna
circunstancia, que la señora Atala haya tomado la decisión de rehacer
su vida. Además, no se encontró probado un daño que haya perjudicado a las tres niñas.”30.
La Corte IDH considera que el “interés superior del niño” no puede
ser alegado en forma abstracta de tal manera que restrinja el derecho al
desarrollo del proyecto de vida personal e identidad de la madre. En la
especie, la posición de la Corte IDH es que el Estado chileno no valoró
la afectación concreta del interés del niño por la orientación sexual de
la madre, sino que invocó el interés del niño en abstracto para restringir la libertad de expresión de la orientación sexual de la madre:
“En conclusión, la Corte Interamericana observa que al ser, en abstracto, el “interés superior del niño” un fin legítimo, la sola referencia
al mismo sin probar, en concreto, los riesgos o daños que podrían conllevar la orientación sexual de la madre para las niñas, no puede servir
de medida idónea para la restricción de un derecho protegido como el
de poder ejercer todos los derechos humanos sin discriminación alguna por la orientación sexual de la persona”31.
30
Corte IDH, Caso Atala Riffo v. Chile, Sentencia del 24 de febrero de 2012, par. 139.
31
Corte IDH, Caso Atala Riffo v. Chile, Sentencia del 24 de febrero de 2012, par. 110
958
The best interest of the child
En este punto, la Corte IDH enfáticamente establece un ámbito de
protección privilegiada al derecho adulto de la expresión de su identidad y orientación, prohibiendo que el interés del niño sea “utilizado”
como una herramienta de discriminación sexual hacia los progenitores. Sin embargo, abre la puerta a demostraciones en concreto de colisión de intereses entre la conducta y elecciones de los padres y los
intereses de los niños.
“El interés superior del niño no puede ser utilizado para amparar la
discriminación en contra de la madre o el padre por la orientación sexual de cualquiera de ellos. De este modo, el juzgador no puede tomar
en consideración esta condición social como elemento para decidir sobre una tuición o custodia.”32.
Todavía más lejos va la Corte IDH en su reciente Opinión Consultiva 24/2017 en relación a una consulta de Costa Rica sobre “Identidad De Género, E Igualdad Y No Discriminación A Parejas Del Mismo
Sexo”. Aquí, el concepto de identidad autopercibida se enlaza con el
derecho de la libertad de expresión y con el derecho a exteriorizar la
identidad33:
“De esa forma, el sexo, así como las identidades, las funciones y
los atributos construidos socialmente que se atribuye a las diferencias
biológicas en torno al sexo asignado al nacer, lejos de constituirse en
componentes objetivos e inmutables del estado civil que individualiza
a la persona, por ser un hecho de la naturaleza física o biológica, terminan siendo rasgos que dependen de la apreciación subjetiva de quien
lo detenta y descansan en una construcción de la identidad de género
auto-percibida relacionada con el libre desarrollo de la personalidad,
la autodeterminación sexual y el derecho a la vida privada. Por ende,
quien decide asumirla, es titular de intereses jurídicamente protegidos, que bajo ningún punto de vista pueden ser objeto de restricciones
por el simple hecho de que el conglomerado social no comparte específicos y singulares estilos de vida”.
La percepción de sí, y la proyección que esa percepción personal
manifiesta en el espectro de la vida social compartida es una de las
dimensiones que integra la identidad. Todo lo dicho podría aplicarse
incluso a otras realidades de percepciones internas que buscan recono-
32
Ibid.
33
Corte IDH, OC-24/15, par. 96.
La complejidad del derecho a la identidad
959
cimiento social. Por lo pronto, la Corte aplica este razonamiento sólo
para la identidad de género.
La Corte IDH encuadra la orientación y elección de género como
una cuestión identitaria e incluso proyecta la reflexión sobre los procedimientos de cambio de sexo para niños.
“De conformidad con lo anterior, esta Corte entiende que las consideraciones relacionadas con el derecho a la identidad de género
que fueron desarrolladas supra también son aplicables a los niños y
niñas que deseen presentar solicitudes para que se reconozca en los
documentos y los registros su identidad de género auto-percibida.
Este derecho debe ser entendido conforme a las medidas de protección especial que se dispongan a nivel interno de conformidad con
el artículo 19 de la Convención, las cuales deben diseñarse necesariamente en concordancia con los principios del interés superior del
niño y de la niña, el de la autonomía progresiva, a ser escuchado y
a que se tome en cuenta su opinión en todo procedimiento que lo
afecte, de respeto al derecho a la vida, la supervivencia y el desarrollo, así como al principio de no discriminación. Por último, resulta importante resaltar que cualquier restricción que se imponga al
ejercicio pleno de ese derecho a través de disposiciones que tengan
como finalidad la protección de las niñas y niños, únicamente podrá
justificarse conforme a esos principios y la misma no deberá resultar desproporcionada. En igual sentido, resulta pertinente recordar
que el Comité sobre Derechos del Niño ha señalado que “todos los
adolescentes tienen derecho a la libertad de expresión y a que se
respete su integridad física y psicológica, su identidad de género y
su autonomía emergente”34.
Si bien la Corte IDH condiciona a la protección especial y a la protección de la integridad personal, a la autonomía progresiva, y el respeto
al derecho a la vida, muestra un grado menor de cautela que la preside
los debates médico-psicológicos en el ámbito internacional, que sopesan con cuidado los cambios registrales y la intervención hormonal
temprana pre-puberal en niños y adolescentes, debido a que la tasa de
adecuación espontánea del sexo percibido con el sexo biológico en la
pubertad es altísima. En este sentido, una intervención temprana, lejos
de garantizar la autonomía y la autopercepción podría ser una forma
34
Corte IDH, OC-24/17, par. 154.
960
The best interest of the child
de influencia indebida en el proceso de identidad e identificación de
un niño, perturbando así su desarrollo en lugar de acompañarlo.
6. Identidad y raíces culturales
En el caso Ramírez Escobar, la Corte IDH ha debido abordar la
cuestión de la adopción internacional de niños. Manifestó allí su preocupación por el desprendimiento que ésta produce a las raíces culturales y su crecimiento en un “nuevo ambiente”. Así sostuvo:
“La determinación del interés superior del niño, cuando la adopción
internacional es una posibilidad, es un ejercicio complejo, pues se debe
evaluar en qué medida la adopción en el extranjero sería compatible
con otros derechos del niño (tales como, el derecho a crecer hasta donde
sea posible bajo el cuidado de sus padres o el derecho a no ser privado
arbitrariamente e ilegalmente de ninguno de los elementos de su identidad ), así como la situación familiar del niño (incluyendo las relaciones
con hermanos) y “tratar de predecir el potencial del niño para adaptarse a los nuevos arreglos de cuidado en un nuevo ambiente”35.
La idea de niños que son forzados a vivir con personas que tienen
valores culturales ajenos como forma de alienación de la identidad cultural, es un asunto de gran interés. Aparece nuevamente en un fallo
relativo a los derechos de las comunidades indígenas, especialmente
en virtud de desplazamientos ilegales:
“Ahora bien, consta en el expediente ante el Tribunal que, con motivo de la sentencia emitida el 28 de mayo de 2008 por el Tribunal de
Sentencia Penal, Narcoactividad y Delitos contra el Ambiente del Departamento de Baja Verapaz […], al menos diez personas sustraídas de
la Comunidad de Río Negro durante la masacre ocurrida en Pacoxom
rindieron declaraciones y, según dicho tribunal, coincidieron en relatar “las trágicas vivencias que tuvieron que experimentar para sobrevivir en un ambiente extraño y hostil para ellos” , cuando de niños,
fueron “obligados a vivir con familias que no eran las propias y en una
comunidad que lesera ajena”36.
35
Caso Ramírez Escobar v. Guatemala
36
Corte IDH. Caso Miembros de la Aldea Chichupac y comunidades vecinas del
Municipio de Rabinal Vs. Guatemala. Sentencia de 30 de noviembre de 2016. Par.
146. En el mismo sentido: Caso Masacres de Río Negro Vs. Guatemala. Sentencia de
4 de septiembre de 2012, párr.58, nota al pie 44; Caso Masacre Plan de Sánchez Vs.
Guatemala. Sentencia de 29 de abril de 2004. Serie C No. 105, párr. 42.5.
La complejidad del derecho a la identidad
961
En este mismo marco, la Corte IDH, entiende que hay una obligación estatal de preservar el idioma, la religión y las raíces culturales de
los niños37. Más polémica resulta la referencia de la Corte IDH a la necesidad de proteger los ritos de iniciación sexual en las comunidades
indígenas, sabiendo las implicancias de algunos de estos ritos en los
derechos fundamentales de los niños y niñas:
“En ese sentido, la Corte considera que la pérdida de prácticas tradicionales, como los ritos de iniciación femenina o masculina y las lenguas de la Comunidad, y los perjuicios derivados de la falta de territorio, afectan en forma particular el desarrollo e identidad cultural de los
niños y niñas de la Comunidad, quienes no podrán siquiera desarrollar esa especial relación con su territorio tradicional y esa particular
forma de vida propia de su cultura si no se implementan las medidas
necesarias para garantizar el disfrute de estos derechos.”38.
7. Identidad y proyecto de vida (daño existencial)
y proyecto de post-vida
Un aspecto tal vez único, de una incidencia extraordinaria es el desarrollo de la doctrina del Juez Antonio Cançado Trinidade, que retoma la idea de proyecto de vida y daño existencial, propuesta por el
reconocido jurista peruano Carlos Fernández Sessarego39. La jurisprudencia de la Corte IDH acoge por primera vez la noción de “proyecto
de vida” y la reparación por su daño en el caso Loayza Tamayo v. Perú.
Sin embargo, su proyección en materia de infancia aparece en el caso
Niños de la Calle v. Guatemala. Allí, la Corte IDH sostiene que los
niños tienen derecho a albergar un proyecto de vida y el Estado debe
ser garante de ese derecho. Se trata de un caso que se refiere a un caso
de intervención policial respecto de niños en situación de calle, entre
37
Corte IDH. Caso Chitay Nech y otros Vs. Guatemala. Sentencia de 25 de mayo de
2010. Par. 167: El Tribunal advierte que los Estados, además de las obligaciones
que deben garantizar a toda persona bajo su jurisdicción, deben cumplir con una
obligación adicional y complementaria definida en el artículo 30 de la Convención
sobre los Derechos del Niño, la cual dota de contenido al artículo 19 de la Convención
Americana, y que consiste en la obligación de promover y proteger el derecho de
los niños indígenas a vivir de acuerdo con su propia cultura, su propia religión y
su propio idioma.” Ver también: Caso Comunidad Indígena Xákmok Kásek. Vs.
Paraguay. y Costas. Sentencia de 24 de agosto de 2010, par. 261.
38
Caso Comunidad Indígena Xákmok Kásek. Vs. Paraguay. y Costas. Sentencia de 24
de agosto de 2010, par. 263.
39
C. Fernández Sessarego, Derecho a la identidad personal, Buenos Aires, 1992.
962
The best interest of the child
los cuáles había un mayor de edad y tres adolescentes, que, en virtud
de una enemistad, son torturados y asesinados. La Corte entiende que:
“Cuando los Estados violan, en esos términos, los derechos de los niños en situación de riesgo, como los niños de la calle”, los hacen víctimas
de una doble agresión. En primer lugar, los Estados no evitan que sean
lanzados a la miseria, privándolos así de unas mínimas condiciones de
vida digna e impidiéndoles el “pleno y armonioso desarrollo de su personalidad” (Conv. Derechos del Niño, preámbulo, párr. 6), a pesar de que
todos niños tienen derecho a alentar un proyecto de vida que debe ser cuidado y
fomentado por los poderes públicos para que se desarrolle en su beneficio y el de
la sociedad a la que pertenece. En segundo lugar, atentan contra su integridad física, psíquica y moral, y hasta con su propia vida”40.
Sobre la base de esta idea del deber de protección del derecho a
albergar un proyecto de vida, el Juez Cançado Trinidade desarrolla la
idea del proyecto de pos-vida. En sus votos razonados en el caso Gutiérrez Soler y Comunidad Moiwana v. Suriname, considera el plexo
de las relaciones espirituales que unen en las cosmovisiones religiosas
el mundo cotidiano con la trascendencia y cómo la injerencia indebida
del Estado en estas cosmovisiones puede causar un “daño espiritual”41.
Así consideradas las cosas, la identidad no abarca tan solo el presente, sino que se proyecta en el futuro, en la proyección personal de la
identidad presente que el individuo hace sobre su futuro, futuro que
no abarcaría sólo la inmanencia, sino también su proyección hacia la
trascendencia según sus creencias y espiritualidad propias.
8. Identidad, tiempo, memoria y vulnerabilidad
Casi cerrando estas consideraciones, y siguiendo la línea de razonamiento del Juez Cançado Trinidade en sus votos razonados, esta idea
de identidad reapropiada para el presente y proyectada al futuro, rea-
40
Caso Niños de la Calle v. Guatemala, Sentencia del 19 de noviembre de 1999, par. 191.
41
Voto razonado del Juez Cançado Trinidade en el caso Comunidad Moiwana v.
Suriname. Sentencia del 15 de junio de 2005, par. 68. También: Corte IDH. Voto
razonado, Cançado Trinidade, Gutiérrez Soler contra Colombia, 2005, par. 7 y 8:
“Un daño a este último constituye, – según lo que me permití proponer en mi citado
Voto en el caso de la Comunidad Moiwana, – un daño espiritual, que atañe a lo que
hay de más íntimo en el ser humano, es decir, su vida interior, sus creencias en el
destino humano, sus relaciones con sus muertos (párr. 71). Dicho daño incorpora el
principio de humanidad en una dimensión temporal (párr. 72).”.
La complejidad del derecho a la identidad
963
parece en su nivel individual y social a través de la idea del cultivo de
la memoria colectiva como espacio de resguardo de la identidad:
“El pasar del tiempo impone, además, el deber de memoria, y realza su necesidad. Cada persona tiene un “patrimonio espiritual” que
preservar, de ahí el necesario cultivo de la memoria para preservar
la identidad, a niveles tanto individual como social42. El olvido agudiza aún más la vulnerabilidad de la condición humana43, y no puede
ser impuesto (ni siquiera por artificios “legales”, como la amnistía o la
prescripción): hay un deber ético de memoria”44.
La memoria colectiva se presenta, así, como un deber, un imperativo de justicia y de dignidad de cada miembro para consigo mismo y
para la sociedad:
“El deber de memoria es, en realidad, un imperativo de justicia y
dignidad, es un deber que cada uno tiene consigo mismo, y que además recae sobre todo el cuerpo social. (…) La verdad es que necesitamos la memoria, unos de los otros; los hijos necesitan la memoria de
los padres envejecidos que los quieren, y éstos necesitan la memoria de
sus hijos. Todos encuéntranse ligados – y no separados – en el tiempo.
La memoria es un deber de los vivos hacia sus muertos; los muertos
necesitan la memoria de sus sobrevivientes queridos, para que no dejen de existir, en definitiva.”45.
42
Juan Pablo II, Memoria e Identidad - Conversaciones al Filo de Dos Milenios, Buenos
Aires, 2005, pp. 95, 109, 131, 176-177, 183.
43
Cf., en ese sentido, P. Ricoeur , La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, 2000, p. 374-375.
44
Corte IDH. Voto razonado, Cançado Trinidade, Gutiérrez Soler contra Colombia,
2005, par. 11. Cf., en ese sentido, N. Weill, Y a-t-il un bon usage de la mémoire?, in T.
Ferenczi (ed.), Devoir de mémoire, droit à l’oubli?, Bruxelles, 2002, p. 227.
45
Ibid. Par. 14 y 16. Ver también: Voto Razonado del Juez Cançado Trinidade en el caso
Bámaca Velásquez versus Guatemala (fondo, 2000): “A mi modo de ver, el tiempo
– o más bien, el pasar del tiempo, – no representa un elemento de separación, sino
más bien de acercamiento y unión, entre los vivos y los muertos, en el caminar
común de todos hacia lo desconocido. El conocimiento y la preservación del legado
espiritual de nuestros ancestrales constituyen una vía por medio de la cual los
muertos pueden comunicarse con los vivos. Así como la experiencia vivencial de
una comunidad humana se desarrolla con el flujo continuo del pensamiento y de la
acción de los individuos que la componen, hay igualmente una dimensión espiritual
que se transmite de un individuo a otro, de una generación a otra, que antecede a
cada ser humano y que sobrevive a él, en el tiempo. Hay efectivamente un legado
espiritual de los muertos a los vivos, captado por la conciencia humana. (...) Lo que
nos sobrevive es tan sólo la creación de nuestro espíritu, con el propósito de elevar
la condición humana. Es así como concibo el legado de los muertos, desde una
perspectiva de los derechos humanos” (párrs. 15-16).
964
The best interest of the child
La memoria es así un deber de reconocimiento de las identidades
pasadas y presentes, individuales, familiares y sociales. Expresa así
también una solidaridad entre quienes nos precedieron y quienes nos
seguirán, es decir, una forma de solidaridad transgeneracional que
crea identidad:
“… A mi juicio, lo que concebimos como el género humano abarca
no sólo los seres vivos (titulares de los derechos humanos), sino también los muertos (con su legado espiritual). El respeto a los muertos
se debe efectivamente en las personas de los vivos. La solidaridad humana tiene una dimensión más amplia que la solidaridad puramente
social, por cuanto se manifiesta también en los lazos de solidaridad
entre los muertos y los vivos”46 (párr. 25).
Apasionante visión de conjunto de un derecho a la identidad que
se complejiza y se enraíza en la historia para proyectarse al futuro, sin
descuidar ninguna dimensión de lo humano, enlazando al sujeto con
su plexo de relaciones.
9. Identidad, reconocimiento, justicia y perdón:
los medios de corretezza, o verdad en las relaciones
dinámicas de la filiación
Por último, apenas una última mirada sobre un aspecto impensado
de la idea de identidad: el reconocimiento y el perdón como constitutivos de la “verdad” de la identidad. Otra vez, nos remitimos aquí a un
voto razonado del Juez Cançado Trinidade en el Caso Gutiérrez Soler
v. Colombia, arriba citado:
19. “Al reconocimiento del deber de memoria y de su necesidad, parece sumarse igualmente, en nuestros días, la concientización de la importancia de la búsqueda del perdón por la perpetración de las graves
violaciones de los derechos humanos. En una obra reciente, P. Ricoeur
señala oportunamente que “c’est dans notre capacité à maîtriser le cours
du temps que paraît pouvoir être puisé le courage de demander pardon”47; y
evoca la reflexión de K. Jaspers, para quien “l’instance compétente, c’est
la conscience individuelle”.
46
Voto razonado de CT en Bámaca Velásquez versus Guatemala (reparaciones, 2002),
par. 25.
47
La cita proviene de La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, Éd. Seuil, 2000, p. 630.
La complejidad del derecho a la identidad
965
Maravillosamente reaparece aquí la idea de reconocimiento de la
memoria y el perdón, como formas de reconocimiento y de reapropiación identitaria. Si bien la proyección del razonamiento del voto se refiere al perdón y a la memoria colectivos, ¿por qué no proyectarlo a las
relaciones individuales, a fin de comprender que sólo la misericordia,
solo el perdón hace perfecta a la justicia?
El perdón, la compasión, no es otra cosa que el reconocimiento de las
debilidades vinculares, de las fallas, de las faltas de reconocimiento del
vínculo con el otro en las relaciones de familia y en las relaciones humanas. El perdón devuelve la dignidad al que perdona y al que es perdonado y reinstala a ambos en la lógica del reconocimiento recíproco de la
identidad de cada cual. Permite apropiarse del pasado y proyectarse al
futuro y así adueñarse de la historia y de la propia identidad. El perdón
dado y el perdón recibido restauran la identidad dañada.
No haría mal nuestro derecho contemporáneo, tan marcado por la
visión patrimonialista de las codificaciones decimonónicas en abrir su
sensibilidad a los aspectos extrapatrimoniales que hacen al corazón
mismo de la identidad individual, familiar y social. Esperemos que
estas breves intuiciones en torno a la jurisprudencia interamericana
pueda resultar sugerentes.
Bibliografia
Andreu F., Derecho al reconocimiento de la personalidad jurídica, en C. Steiner - P.
Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 110
Beloff M., Protección de la familia, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención
Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 423
Fernández Sessarego C., Derecho a la identidad personal, Buenos Aires, 1992
García Ramírez S., Panorama de la Jurisprudencia Interamericana sobre Derechos
Humanos, CNDH, México, 2018, p. 121-122.
Juan Pablo II, Memoria e Identidad - Conversaciones al Filo de Dos Milenios, Buenos
Aires, 2005, p. 95 ss.
Ricoeur P., La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, 2000, p. 374-375
Weill N., Y a-t-il un bon usage de la mémoire?, in T. Ferenczi (ed.), Devoir de
mémoire, droit à l’oubli?, Bruxelles, 2002, p. 227.
L’identità invisibile del minore vittima
di violenza assistita
Liliana Caravelli
Sommario: 1. Premesse. – 2. La violenza assistita: il lungo percorso verso
il suo riconoscimento. – 3. Gli effetti della violenza assistita e l’invisibilità dei testimoni. – 4. Conclusioni.
1. Premesse
La violenza assistita si verifica in tutte quelle situazioni nelle quali un
minore non è fisicamente maltrattato, ma la condizione di vivere in un
contesto relazionale e familiare violento determina in lui conseguenze
analoghe a quelle prodotte dalle altre forme di abuso (F. Montecchi C. Buffacchi - S. Viola, 2002).
Questa breve, ma allo stesso tempo ampia, definizione di violenza
assistita colloca il presente contributo nell’ambito della disfunzionalità
delle relazioni familiari caratterizzate da violenza domestica. Quest’ultima è oramai una problematica considerata trasversale a tutte le classi sociali, economiche e culturali e ai diversi modelli di famiglia oggi
esistenti. Anche se i maltrattamenti familiari a cui i bambini assistono
possono includere la violenza di adulti verso altri minori (ad. es. i fratelli), verso altri familiari (ad es. gli anziani), così come la violenza di
minori contro altri minori, e/o i maltrattamenti verso animali domestici, spesso la violenza familiare di cui i bambini sono testimoni è quella
verso il genitore. Entrando nel merito di questa forma di violenza domestica, scelgo di parlare di violenza all’interno delle relazioni intime;
è all’interno delle relazioni affettive, delle cosiddette relazioni strette,
infatti, che questa problematica si individua e si concretizza. La violenza tra partner intimi, conosciuta con l’acronimo di IPV (Intimate Partner Violence) rappresenta una particolare forma di violenza domestica.
968
The best interest of the child
Il termine, mutuato dalla letteratura anglosassone, meglio specifica il
concetto di violenza nelle relazioni intime di coppia, attuali o pregresse, tra conviventi o meno, all’interno dell’unioni civili, tra eterosessuali
ed omosessuali (L. Caravelli, 2007; L. Caravelli, 2010).
Una prima premessa fondamentale riguarda una considerazione
puramente statistica. I dati nazionali, cosi come quelli internazionali,
mettono in evidenza come nella quasi totalità dei casi a commettere
violenza nei confronti di una donna è un uomo. Certo non si esclude
il fenomeno contrario, così come la presenza di violenza all’interno di
coppie omosessuali, ma sicuramente il dato oggettivo e statistico, confermato anche delle cronache nazionali, testimonia violenze commesse
nella quasi totalità dei casi da uomini su donne all’interno di relazioni
intime che vedono le donne nella posizione di vittime (Eures, 2018;
Istat, 2015; Istat, 2007). John Gottman ed i suoi colleghi dell’Università
di Washington (N. Jacobson - J.M. Gottman, 1998) hanno definito la
violenza da parte di un partner nei confronti dell’altro un’aggressione
con lo scopo di controllare, intimidire e sottomettere il partner intimo
attraverso l’uso o della minaccia o dell’aggressione fisica (L. Caravelli
- F. Cosimi - S. Mazzoni, 2009).
Quanto appena esplicitato, porta con sé un’ulteriore e doverosa
premessa relativa all’attribuzione delle responsabilità. Il fatto che il livello di indagine sia quello relazionale, non deve obbligare, quasi in
maniera spontanea, a conferire uguale responsabilità alla vittima ed al
perpetratore. È a quest’ultimo che va attribuita la responsabilità della
violenza agita nelle sue varie forme (fisica, psicologica, sessuale, economica, stalking, etc.) e dobbiamo sicuramente molto agli studi, alle
ricerche ed alla pratica clinica di psicologi e psicoterapeuti che da anni,
anche nel nostro paese, si occupano dell’intervento sui maltrattanti con
l’obiettivo di far loro assumere la responsabilità dei propri comportamenti, presupposto indispensabile per la cessazione delle violenze (G.
Grifoni, 2016; A. Pauncz, 2015).
Altra premessa indispensabile porta a sottolineare con fermezza
la differenza tra conflittualità e violenza, termini troppo spesso usati
erroneamente come sinonimi, anche dagli addetti ai lavori in ambito
psicologico, sociale e giuridico-giudiziario. Si può definire una relazione conflittuale quella in cui ciascun partner ha la possibilità di agire un
proprio ruolo ed in essa le parti sono coinvolte circa allo stesso livello.
Quando si vive all’interno di relazioni violente, invece, c’è chi agisce
il predominio ed il controllo sulla vittima, che viene degradata, con il
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
969
fine ultimo di annientarla (L. Caravelli, 2010). Come anche ben evidenza Marie- France Hirigoyen (2006) “[…] quello che permette di distinguere la violenza coniugale da un semplice litigio non sono le botte
o le parole offensive, bensì l’asimmetria nella relazione. In un conflitto
di coppia, l’identità di ognuno è preservata, l’altro viene rispettato in
quanto persona, mentre questo non avviene quando lo scopo è dominare o annichilire l’altro” (p. 8).
2. La violenza assistita: il lungo percorso verso il suo
riconoscimento
In Italia, è stato il CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi
contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia – già a partire dal 1999,
istituendo una Commissione scientifica sulla violenza assistita, a portare l’attenzione sulle bambine e bambini, ragazze e ragazzi testimoni
di violenza, spesso definiti vittime invisibili (A. Salerno, 2013). Nel VI
Convegno di Firenze del 2003 (R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005) la violenza assistita è stata definita e riconosciuta come una
forma di maltrattamento primario nei confronti di un minore, al pari
del maltrattamento fisico, verbale, psicologico, sessuale ed economico.
Successivamente, nel 2005, sono state prodotte le prime linee guida per
gli operatori1 che ponevano l’attenzione su un fenomeno poco conosciuto e riconosciuto richiamando la responsabilità di esperti e clinici
su interventi mirati e appropriati per sostenere i bambini nel difficile
percorso di elaborazione delle sofferenze vissute.
Nel documento di revisione dei requisiti minimi degli interventi
nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri (CISMAI,
2017) quest’ultima viene così definita “[…] L’esperire da parte della/
del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale,
economica e atti persecutori (c.d. stalking) su figure di riferimento o su
altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni. Di particolare gravità è la condizione degli orfani denominati speciali, vittime di
violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio. Il/la
bambino/a o l’adolescente può farne esperienza direttamente (quando
la violenza/omicidio avviene nel suo campo percettivo), indirettamente
1
Revisionate successivamente nel 2017 alla luce delle novità introdotte con la Ratifica
in Italia della Convenzione di Istanbul nel 2013.
970
The best interest of the child
(quando il/la minorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio), e/o percependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici. La
violenza assistita include l’assistere a violenze di minorenni su altri minorenni e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni degli animali domestici e da allevamento” (p. 17).
La violenza assistita rappresenta, dunque, l’altra faccia della medaglia della violenza domestica; abbiamo avuto modo di rilevare come
una sua definizione ampia includa ogni atto di violenza ai danni di
esseri viventi ed esperito da altri esseri viventi che possono temere di
poter provare la stessa sofferenza e con i quali le vittime hanno una
relazione affettiva (R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005; R.
Luberti, 2017).
Quello che si rileva è che i bambini possono osservare direttamente
atti di violenza, quindi vedere il proprio padre o altra figura di riferimento esercitare violenze di ogni genere sulla madre, o farne esperienza indirettamente, percependone gli effetti (es. vedere oggetti distrutti, vedere ematomi, lacerazioni, vedere la madre triste, disperata
e angosciata).
La mia esperienza di Psicologa-Psicoterapeuta che ha lavorato
presso un Centro Antiviolenza ed una casa rifugio, così come la mia
formazione e la ricerca svolta presso il Centro di Ricerca della Sapienza
per la Tutela della Persona del Minore, mi spinge a concordare pienamente con l’orientamento della letteratura nazionale che mette in
evidenza quanto il fenomeno della violenza assistita sia ancora troppo
sottostimato e sottovalutato. A distanza di molti anni dalla definizione
della violenza assistita, Buccoliero e Soavi (2018) affermano: “[…], il
problema più grave sembra essere ancora quello di “vedere” i bambini e le bambine vittime, la loro sofferenza, i loro vissuti, la visione
distorta che si crea in loro e che condizionerà le loro vite” (p. 15). In
questa difficile messa a fuoco della problematica si collocano non solo
gli autori del reato, ma a volte anche le madri stesse che nella loro genitorialità danneggiata spesso non dispongono delle risorse necessarie
per proteggere i figli. Sovente in un atteggiamento negazionista verso
la problematica si collocano anche gli operatori coinvolti nella presa in
carico dei casi. Giordano (2017), a tal proposito, argomenta in merito
all’ impensabilità” della violenza domestica, quale effetto dell’impossibilità di pensare che le relazioni affettive, che dovrebbero assicurare
cura e protezione, possano in realtà essere fonte di grande sofferenza.
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
971
Sempre dalla mia esperienza clinica a contato con minori che hanno
assistito a maltrattamenti familiari, non è raro rintracciare anche diagnosi psicologiche lacunose, da parte di servizi specializzati nella valutazione di minori che faticano a riconoscere, valutare ed intervenire
efficacemente sulle problematiche connesse all’assistere o aver assistito
a maltrattamenti in famiglia. A volte, secondo il mio punto di vista,
sarebbe doveroso e necessario approfondire cosa si celi dietro alcune
diagnosi di Disturbo oppositivo-provocatorio, Disturbo esplosivo intermittente, Disturbo della condotta: esordio nell’Infanzia, nell’Adolescenza, Disturbo da deficit di attenzione/iperattività, Disturbi specifici
dell’apprendimento. In linea con quanto afferma anche Soavi (2018),
ritengo importante collegare il sintomo alla situazione familiare in cui
esso è inserito e si manifesta. Tutto ciò, da una parte, mette di fronte
all’amara considerazione dell’esistenza di processi di vittimizzazione
secondaria ed istituzionale nel momento in cui, per effetto dei meccanismi di sottovalutazione suindicati, i minori coinvolti, non essendo considerati vittime di dinamiche pericolose e dolorose, diventano tali una
seconda volta. Dall’altra parte, occorre valutare gli elevati costi a livello
sociale di atteggiamenti, a volte difensivi, di sottovalutazione e di negazione degli effetti della violenza assistita: basti pensare ai problemi di
salute che da essa possono derivare e che dovranno essere affrontati dal
Sistema Sanitario Nazionale e/o dagli Enti Locali che si occupano della
tutela del minore e delle famiglie in difficoltà nell’immediato, così come
a lungo termine (ospedalizzazioni, visite specialistiche, assistenza educativa scolastica e domiciliare, interventi di sostegno alla genitorialità,
inserimenti in case rifugio e/o in comunità educative per minori, interventi di psicoterapia o di natura psichiatrica per adulti per gli effetti di
violenze subite in età infantile, etc.). A ciò si aggiunga la considerazione
delle conseguenze sulla salute, quali ad esempio il maggiore rischio di
malattie fisiche, l’invecchiamento precoce, la psicopatologia ed i costi di
cura più elevati. Occorre anche non dimenticare che il maltrattamento
genera anche conseguenze non strettamente connesse alla salute, quali
una ridotta qualità della vita, perdite di produttività e disoccupazione
e condotte antisociali. Nell’indagine del 2013 dal titolo Tagliare sui bambini è davvero un risparmio? presentata dal CISMAI, Terre des Hommes
e Università Bocconi viene messo in evidenza che il maltrattamento
all’infanzia è un complesso e rilevante problema di salute pubblica che
determina conseguenze a breve e lungo termine, sia per la salute mentale sia per la salute fisica delle vittime.
972
The best interest of the child
Sempre a proposito della sottovalutazione del problema, si può
ipotizzare che a contribuire sia anche l’assenza al momento di una normativa specifica che preveda un reato di violenza assistita a sé stante.
Attualmente, il decreto legge 14 agosto 2013, n° 93, convertito in legge
il 15 ottobre 2013, n° 119, meglio conosciuto come “Legge sul femminicidio” prevede l’aggravante dell’art. 61, n° 11 quinquies c.p. anche per il
delitto di maltrattamenti in famiglia, commessi in danno o in presenza
di minori. La Convenzione di Istanbul, convertita in legge del nostro
paese nel 2013, sia nel preambolo che negli artt. 18 e 26 riconosce la
violenza assistita definendo i bambini “vittime” in quanto testimoni e
per questo bisognosi di protezione e di interventi adeguati. La recente
legge L. 4/2018, meglio conosciuta come legge degli “Orfani Speciali”
ha apportato modifiche al codice civile, al codice penale ed al codice
di procedura penale prevedendo una serie di tutele per i figli minori
o maggiorenni non economicamente sufficienti, rimasti orfani perché
il genitore è stato ucciso dal coniuge (anche se separato o divorziato,)
dall’altra parte dell’unione civile (anche se quest’ultima è cessata) o da
persona convivente (anche se la convivenza è cessata)2. L’emanazione
di quest’ultima legge permette di affermare che molto è stato sicuramente raggiunto negli ultimi venti anni in termini di attenzione sul
fenomeno, soprattutto quando la violenza arriva ad essere caratterizzata dall’esito più nefasto (la morte di una figura di riferimento), ma
secondo gli esperti (G. Soavi, 2018) manca ancora uno specifico riconoscimento legislativo. Parafrasando Ulivieri (2017), è solo quando si
hanno le parole per nominare la realtà che si hanno anche gli strumenti
per trasformarla.
Considerando le difficoltà di una rilevazione oggettiva ed esaustiva
della problematica in oggetto che possa permettere anche confronti significativi tra dati, le statistiche a disposizione mostrano, comunque, le
dimensioni di un fenomeno che di certo non possono passar inosservate,
2
Si tratta di una legge unica al momento in Europa che ha previsto una serie di
tutele quali il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito, sia nel processo civile
che penale, l’accesso gratuito all’assistenza medica e psicologica, la possibilità di
cambiare cognome per gli orfani di questa violenza estrema così come l’indegnità
a succedere e la sospensione della pensione di reversibilità dell’indagato. A tal
proposito desidero ricordare la Prof.ssa Anna Costanza Baldry, scomparsa troppo
prematuramente e con cui ho avuto il piacere di collaborare in progetti di ricercaazione nell’ambito del contrasto della violenza contro le donne. Non potremmo mai
dimenticare l’impegno e la passione profusi per la difesa delle donne maltrattate e
dei loro figli. Dobbiamo a lei, ai suoi studi, alle sue ricerche ed alla sua costanza il
superamento del silenzio e, quindi, l’attenzione posta in Italia sugli “Orfani Speciali”.
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
973
anche se occorre considerare il cosiddetto numero oscuro, che identifica
tutte quelle violenze che restano nel sommerso e che non vengono denunciate e/o rilevate. In Europa3 il 73 % delle donne vittime di violenza
di genere dichiara che i propri figli erano consapevoli dei maltrattamenti
subiti per mano del proprio partner. In Italia l’indagine ISTAT (2015)
sulla violenza contro le donne ha messo in evidenza come sul totale delle violenze subite dalle donne, aumenta la percentuale di figli che hanno
assistito ad episodi di violenza sulla madre (dal 60,3 % del 20064 al 65,2%
del 2014). La stessa indagine mette in guardia dalla trasmissione intergenerazionale della violenza nel momento in cui esplicita che i figli che
assistono alla violenza del padre sulla madre o che l’hanno subita hanno
una probabilità maggiore, infatti, di divenire maltrattanti nei confronti
delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime. Dai dati dell’indagine emerge che i maschi apprendono ad agire la violenza, mentre
le femmine a tollerarla. Tali considerazioni richiamano l’attenzione
sull’importanza da dare a politiche ed azioni per la tutela del minore
che mirino alla sensibilizzazione, formazione ed interventi di contrasto
di stereotipi di genere e che puntino a sradicare quei processi di interiorizzazione per cui la violenza viene identificata come accettabile e come
modalità normale di relazionarsi con l’altra/o arrivando nel tempo a subire una vera e propria distorsione delle percezioni e dell’affettività (G.
Soavi, 2018). Sempre in Italia, nel 2015 è stata condotta un’analisi epidemiologica della violenza sui bambini e sugli adolescenti; essa rappresenta la fotografia più avanzata, aggiornata e attendibile della dimensione
del maltrattamento all’infanzia ed all’ adolescenza ad oggi disponibile
in Italia (CISMAI, Terre des Hommes e Autorità Garante per l’infanzia e
l’adolescenza, 20155). Essa ha messo in evidenza che la violenza assistita
è la seconda forma di maltrattamento più diffusa in Italia. Su 100.000
minorenni in carico ai Servizi Sociali, il 19 % dei bambini e dei ragazzi,
sono vittime di violenza assistita. Ciò significa che 1 bambino su 5, fra
quelli seguiti per maltrattamento, è testimone di violenza domestica intrafamiliare, in particolare sulle madri. Questo dato sembra allinearsi
con la percentuale (10-20%) che si registra negli Stati Uniti come riportato nel Global Status Report on Violence Prevention (2014). Inoltre, non
3
European Union Agency for Fundamental Rights, 2014.
4
Nel 2007 l’Istat ha presentato i risultati della prima ricerca statistica multiscopo sulla
violenza alle donne.
5
Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia.
974
The best interest of the child
ultimo per importanza, occorre considerare i dati relativi agli orfani speciali. Anna Baldry (2017) ha stimato che, dal 2004 al 2015, 1600 bambini
hanno vissuto la morte della madre per femminicidio.
3. Gli effetti della violenza assistita e l’invisibilità
dei testimoni
Il fatto che ci siano ancora resistenze nel considerare tale forma di
maltrattamento una violenza a tutti gli effetti, perché il minore non è
vittima diretta delle azioni di un adulto con cui è legato da una relazione significativa, porta insito con sé il rischio per i minori di restare
intrappolati in un destino da invisibili, nel più assordante silenzio,
come direbbe Patrizia Romito (2005), con gravi ripercussioni sul loro
stesso senso di identità. Ritengo si possa parlare di una “identità invisibile” di chi non viene riconosciuto come vittima di una forma di
maltrattamento che ha invece effetti rilevanti sulla traiettoria dello sviluppo. Tali esperienze possono andare ad intaccare il senso di identità
di un individuo così come Erickson (1995) lo ha definito in termini
di consapevolezza che ognuno di noi ha di un senso di sé costante e
continuo nel tempo.
Il discorso sul mancato riconoscimento della diffusione e della disfunzionalità degli effetti della violenza assistita sui minori, anche a
lungo termine, potrebbe diventare ancora più ampio e preciso; scopo
di questo intervento è, però, soprattutto quello di richiamare specialisti
appartenenti ad aree disciplinari e di intervento anche diversificate ad
interagire ed impegnarsi nelle azioni concrete di riconoscimento, rilevazione, valutazione ed intervento in un’ottica interdisciplinare, come
anche raccomandato dall’OMS (WHO, 2002), secondo il modello ecologico dello sviluppo che analizza, per poi intervenire, l’interrelazione
di fattori di rischio e di fattori di protezione (a livello individuale, familiare, relazionale, comunitari e sociali). Un approccio interdisciplinare,
come sostiene anche Luberti (2017), deve necessariamente integrare
epidemiologia, medicina, sociologia, psicologia, diritto, criminologia,
educazione ed economia
Già dalla fine degli anni novanta fonti internazionali accreditate
(Conferenza mondiale sulle violenza domestica del 1998 e Conferenza
mondiale Ipswich Stop Domestic Violence del 1999) avevano definito
la violenza assistita una forma di violenza equiparabile al maltrattamento fisico, psicologico, all’abuso sessuale e alla trascuratezza sottoli-
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
975
neando come l’esposizione alla violenza, sia diretta che indiretta, possa
produrre effetti particolarmente negativi sullo sviluppo del bambino
con conseguenti effetti sia a breve che a lungo termine a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale.
Gli studi effettuati sulla tematica hanno dimostrato che l’esposizione dei bambini alle diverse forme di violenza vissute nell’ambito
familiare e agite su figure di riferimento a loro vicine, può seriamente comprometterne il benessere, lo sviluppo personale e l’interazione,
nell’infanzia e nell’età adulta (P. Di Blasio, 2000). La presenza di un
ambiente familiare “ammalante”, scompensante o precipitante si ripercuote sullo sviluppo psicoaffettivo e sociale delle vittime (dirette o
indirette) della violenza ri-significando ogni altra loro esperienza (R.
Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005).
La letteratura nazionale ed internazionale, è oramai unanime
nell’affermare che la violenza assistita determina nei bambini la compromissione del percorso di sviluppo, minando e compromettendo il
legame di attaccamento con le figure genitoriali e con gli adulti danneggiando le capacità di adattamento, le competenze sociali e quelle
cognitive (R. Luberti - C. Grappolini, 2017).
La violenza domestica è a tutti gli effetti un’esperienza traumatica e
chi ne è testimone è esposto al rischio di una traumatizzazione secondaria che produce analoghi effetti a quelli rilevabili sulle vittime dirette (M. Giordano, 2017). Per questi motivi il fenomeno della violenza
assistita merita di essere riconosciuto, rilevato affinché gli operatori
socio-sanitari e giudiziari possano attuare tutte le misure più idonee
e funzionali per la messa in protezione dei bambini coinvolti in tali
dinamiche (E. Buccoliero - G. Soavi, 2018). Se poi si considera che
spesso i bambini non assistono ad una sola forma di violenza, perché
solitamente le relazioni familiari violente si caratterizzano per la presenza di più tipi di maltrattamento agiti contemporaneamente, ripetuti
nel tempo, su uno o più componenti della famiglia, generalmente le
madri e/o i fratelli, si comprende come i rischi nel percorso evolutivo
aumentino in maniera esponenziale.
Come scientificamente ed esaustivamente delineato anche da Luberti (2017), i bambini che assistono alla violenza messa in atto nei confronti di un soggetto a cui sono intimamente legati si trovano ad esperire un vero e proprio trauma, di tipo relazionale, in quanto si tratta di
un’esperienza caratterizzata dalla sensazione, che provoca angoscia, di
non essere capaci di ristabilire un controllo ed un senso di sicurezza
976
The best interest of the child
facendo affidamento su di sé e/o su una figura di riferimento significativa (C. Grappolini, 2017). Il vissuto connesso sembra essere quello di
perdita di connessione con le figure di riferimento e con l’impossibilità
di ricevere aiuto dall’adulto, nella maggior parte dei casi il genitore,
che dovrebbe conoscere i suoi bisogni, essergli vicino, sostenerlo nel
modulare le sue emozioni e accompagnarlo nella acquisizione delle
capacità riflessive e di mentalizzazione. Ricordiamo che lo stesso DSM
V (APA, 2014) considera tra le cause del Disturbo da stress post traumatico anche “essere testimoni di violenza domestica”.
Nelle situazioni in cui i minori sono vittime di maltrattamento ed in
particolare di violenza assistita, il bambino vive in un clima di pericolo
e di allerta, ma anche di confusione e rabbia in una relazione con le
figure di riferimento che vedono da una parte terrorizzate e disperate e
dall’altra pericolose e fonte di sofferenza. Quello che accade, in parole
più semplici, è che i bambini testimoni di violenza domestica proprio
laddove dovrebbero ricevere cura e protezione, trovano nelle figure
di riferimento minaccia e pericolo (il maltrattante) e non accoglimento
dei bisogni più profondi (madri vittime). In particolare, dalla mia esperienza clinica di lavoro con donne vittime di violenza domestica e con
i loro figli, il modello relazionale basato sul potere, sul controllo, sulla
paura ed il terrore impedisce, spesso, alle madri vittime di violenza di
far riferimento a modelli relazionali e genitoriali funzionali allo sviluppo psicoaffettivo dei propri figli il tutto all’interno di quadro caratterizzato da una genitorialità danneggiata (T. Bruno - M. Braccini, 2005)
su cui occorre predisporre interventi specifici. Dalla mia esperienza clinica, inoltre, spesso i bambini vivono esperienze di impotenza appresa (M.E.P. Seligman in Hirigoyen, 2006), non riuscendo a decodificare
quanto succede all’interno delle mura domestiche e sperimentando
sentimenti di paura, colpa e frustrazione per non riuscire ad interrompere le dinamiche violente che possono farli sentire intrappolati
ed incapaci di trovare una soluzione (G. Marchueta, 2010). Una delle
caratteristiche dei contesti relazionali in cui vivono è l’imprevedibilità
che rende insicuri, confusi, ansiosi, impotenti, timorosi di essere abbandonati, inadeguati; contestualmente i bambini tendono a costruire
una relazione con la madre, vittima di violenza, molto complessa ed
intensa in cui cercano di proteggerla e consolarla, percependola fragile
e indifesa, in una configurazione relazionale caratterizzata da un’inversione di ruoli che chiede agli operatori psicosociali e giudiziari di
considerare gli interventi più opportuni per il sostegno ad una geni-
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
977
torialità, quella delle madri, molto spesso danneggiata dalla violenza
stessa e per la presa in carico delle diadi madri-bambini .
Le ricerche dimostrano come tali esperienze da una parte arrivino
ad annullare le capacità di coping e problem solving e dall’altra possono
portare i bambini e gli adolescenti ad apprendere e far loro modelli di
relazione basati sul predominio e sulla aggressività secondo un modello intergenerazionale di trasmissione della violenza. I figli che assistono alla violenza domestica, vivono una forma di distorsione cognitiva
per cui i comportamenti violenti divengono “normali” ed accettabili,
se non addirittura efficaci per risolvere le situazioni ed entrare in contatto con l’altro. La letteratura di riferimento evidenzia che la violenza
assistita è un fattore di rischio nell’apprendimento dei comportamenti
violenti. I bambini vittime di vissuti caratterizzata da abusi e maltrattamenti, siano essi diretti o indiretti, potrebbero reiterare o rivivere la
violenza sperimentata in famiglia come modalità relazionale nella vita
adulta perché appresa dai modelli genitoriali (F. Montecchi, 2005; F.
Santangelo, 2017).
La letteratura internazionale è ormai unanime nel considerare che
gli effetti della violenza assistita siano presenti già nella fase gestazionale (Hirogoyen, 2006). Diversi studi hanno dimostrato come anche
nella vita intrauterina il bambino percepisca lo stato emotivo della
madre. Una madre preoccupata di ciò che può accadere a causa dei
maltrattamenti con molta probabilità si concentrerà nel controllare il
partner per evitare le violenze, sottraendo la sua attenzione dal tempo
necessario per pensarsi in un’altra dimensione, quella materna. Diversi studi evidenziano come le violenze durante la gravidanza possano
portare a conseguenze molto gravi, fra cui la maggiore probabilità di
andare incontro a parti prematuri, nascita di bambini sottopeso, mortalità perinatale, abuso di alcool e droghe da parte della madre, depressione materna. Nei primi sei mesi di vita subire violenza potrebbe
intaccare la relazione primaria di attaccamento. Una madre svalutata,
picchiata e ingiuriata difficilmente è in grado di soddisfare il bisogno
di sicurezza, protezione e accudimento di cui necessita un neonato.
Per il bambino questo significa non poter costruire dentro di sé
l’immagine di una figura adulta rassicurante e contenitiva, che si trasformerà poi nello sviluppo nell’immagine di sé come sicuro e capace
di gestire la propria vita. Per la madre invece, si verifica una limitata
capacità di comprendere e rispondere ai bisogni del bambino perché la
sua attenzione è sempre rivolta al partner e alla sua violenza.
978
The best interest of the child
Soavi (2018) riportando i risultati di una ricerca (ACE - Adevrse
Childhood Experiences) ha messo in evidenza le conseguenze delle
esperienze Sfavorevoli Infantili, tra cui si colloca anche la violenza
assistita, sullo sviluppo a livello neurobiologico, cognitivo, emotivo,
sociale con conseguenze anche in età adulta. Anche Luberti (2017) sottolinea che “[…] La violenza domestica assistita può incidere a livello
comportamentale, psicologico e sociale, cognitivo, fisico e l’evoluzione
del danno è legata non solo a fattori relativi all’età, al livello evolutivo, al tipo e alla gravità delle violenze a cui il bambino ha assistito, al
contesto familiare e a eventuali altri fattori di stress associati, ma anche
– in termini peggiorativi oppure riparativi- alla qualità dell’intervento
sociale e allo sviluppo e all’esito dei percorsi giudiziari” (p. 57).
La violenza assistita può provocare effetti a breve, medio e lungo termine e nei bambini. Possiamo ricordare i vissuti di impotenza e paura,
passività così come di depressione ed ansia. In alcuni bambini si evidenziano mancanza di autostima e scarse abilità sociali, compresa anche la
mancanza di empatia. Non sono da sottovalutare neanche i disturbi da
deficit dell’attenzione/iperattività, i ritardi nel linguaggio, così come le
difficoltà di relazione con i pari, i comportamenti adultizzati, i comportamenti aggressivi e controllanti verso il genitore maltrattato e i fratelli,
atti di bullismo, uso di alcool, uso di sostanze (anche in bambini piccoli),
comportamenti di autolesionismo. Soavi (2009) mette in evidenza anche
i disturbi del sonno, disturbi alimentari, il ritiro sociale, comportamenti
regressivi, scarsa coordinazione motoria, sintomi psicosomatici, crudeltà verso i pari o i più deboli, crudeltà verso gli animali.
4. Conclusioni
Stante tutte queste considerazioni, si capisce quanto sia importante
un lavoro di rete interdisciplinare che permetta di “vedere” la violenza
assistita ed i suoi effetti per rendere percepibile e narrabile ciò che rischia di rimanere nell’ombra della sottovalutazione se non addirittura
dell’indicibilità. Prendersi cura delle vittime di violenza assistita, come
ben rilevabile nei Requisiti Minimi degli Interventi nei casi di Violenza assistita da maltrattamento sulle madri (CISMAI, 2017) richiede interventi di presa in carico con fasi interconnesse tra loro e ricorsive
nel tempo all’interno di una cornice epistemologica di integrazione,
e coordinamento tra servizi che si occupano degli adulti e di servizi,
organizzazioni e associazioni che si occupano di minori.
L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita
979
Una fase importante è sicuramente quella del riconoscimento e
della rilevazione della violenza assistita che potrebbe presentarsi dietro una richiesta diretta di aiuto o mascherata dietro altre richieste o
segnalazioni. In essa appare indispensabile la puntuale e tempestiva
valutazione del rischio attraverso una serie di indicatori che lo stesso
CISMAI individua in: indicatori relativi alla tipologia, alle caratteristiche e alle dinamiche degli atti violenti; indicatori comportamentali,
psicologici, sociali e relativi allo stato di salute psicofisica degli adulti
(maltrattante e vittima) e dei minori; indicatori relativi alla presenza di
fattori di rischio nel contesto familiare e sociale; indicatori relativi ai
fattori di protezione a livello individuale, familiare e sociale.
Connessa alla rilevazione c’è la fase della protezione che implica in
primis interrompere la violenza agita in tutte le sue forme, quale fase
preliminare a qualsiasi intervento valutativo e di implementazione di
azioni di protezione. Ciò comporta una serie di valutazioni quali l’attivazione di servizi specializzati (es. Centri antiviolenza e/o Case rifugio)
e il ricorso alla Autorità Giudiziaria con tutto ciò che implica l’affidamento dei figli, la disciplina del diritto di vista del genitore maltrattante
e le misure inerenti la responsabilità genitoriale di quest’ultimo.
Associata alle fasi della rilevazione e della protezione si individua
la fase della valutazione in cui occorre procedere all’assessment della
situazione traumatica, quale risultante dell’interazione tra fattori di rischio e fattori di protezione.
All’interno di uno sfondo protettivo e valutativo si inserisce la fase
del trattamento che dovrà essere tempestiva, specialistica ed adeguata. In questa fase si valutano gli interventi più funzionali che possono
articolarsi in differenti tipi di interventi quali: la presa in carico della
diade madre-bambino al fine di rielaborare e ri-significare l’esperienza traumatica vissuta; i gruppi terapeutici madri-bambini che possono
rappresentare contesti contenitivi e positivi per la rivelazione e condivisione di vissuti molto dolorosi; la psicoterapia dei bambini basata
sul trauma, in particolare con EMDR (Eye Movement Desensitization
and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i
movimenti oculari - metodo psicoterapeutico per l’elaborazione del
trauma); trattamento del maltrattante subordinato alla valutazione del
rischio di pericolosità e della valutazione del senso di responsabilità
rispetto alle proprie condotte violente e delle loro conseguenze. Il tutto
dovrà essere realizzato all’interno di un lavoro di rete fra operatori
appartenenti ad ambiti disciplinari e di intervento diversificati.
980
The best interest of the child
Oltre a tutto ciò è necessario che si preveda l’implementazione di
programmi di prevenzione (programmi di educazione all’affettività,
al rispetto delle differenze), di sensibilizzazione per il riconoscimento
della violenza assistita e dei suoi danni, di formazione di operatori appartenenti all’area medica, psicologica, sociale, educativa e giuridica.
Per concludere, si sottolinea la necessità che tutti i professionisti
coinvolti si assumano la responsabilità di “vedere”, individuare, riconoscere per intervenire in modo da prendersi realmente cura dei bambini testimoni di violenza e per rispondere appieno al “The Best Interest
of the Child”.
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Minore-consumatore e diritto all’identità
Fabrizio Criscuolo
Sommario: 1. Premessa: il minore-consumatore. − 2. Il minore e la pubblicità. − 3. Lo stimolo al consumo e la “rete”. Libertà di espressione e libertà del mercato. − 4. L’identità online: l’identità “social” e la
c.d. “identità app”. − 5. Il minore nel d.lgs. n. 101 del 2018: la proposta
dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.
1. Premessa: il minore-consumatore
È ormai acclarato da numerosi e documentati studi di mercato, che i minori sono, nell’epoca presente, consumatori primari, sia in settori merceologici comuni (alimenti, abbigliamento, giocattoli, intrattenimento), sia in
settori nei quali, in ragione del più rilevante impegno di spesa, le decisioni
in passato erano prerogativa degli adulti, essendosi guadagnati, come è
esperienza ormai comune, il potere di incidere anche su scelte più impegnative quali l’acquisto dell’auto, del computer o la scelta delle vacanze1.
L’attuale percezione del ruolo del minore all’interno dei contesti
sociali, quale soggetto tendenzialmente del pari competente rispetto
agli adulti e che, come tale, può rivendicare il diritto alle stesse opportunità, con connesse salvaguardie e perfino privilegi degli adulti, ha
innegabilmente determinato molteplici ricadute sia sulla cultura del
consumo che sulla individuazione delle questioni e delle relative soluzioni sul piano giuridico. Al punto che dagli anni Ottanta in poi, ad
esempio, molti operatori economici hanno perseguito una strategia di
comunicazione commerciale e di marketing tesa ad allocare i prodotti
rivolgendosi direttamente ai minori.
1
Cfr. ad esempio i risultati pubblicati da Eurisko, in www.gfk.com.
984
The best interest of the child
A tale stregua, si è venuto a delineare il problema di fondo che si
tenterà brevemente di affrontare in questa sede e cioè se il c.d. “minore consumatore” abbia gli strumenti e le tutele che gli consentano di
crescere con adeguate informazioni e consapevolezza, nonché con gli
strumenti atti a svilupparne la capacità critica, all’atto dell’accesso (che
deve essergli correttamente garantito) alle innumerevoli informazioni
ed opportunità che i nuovi media incessantemente propongono2.
Beninteso, il comportamento dei giovani consumatori viene ancora conformato (e per fortuna) non soltanto dai media e dalla rete, ma
anche da altri agenti di socializzazione e di influenza, quali i gruppi
di pari di cui fa parte − e nei quali l’omologazione sembra ormai un
imperativo ineludibile −, e, sia pure con minore effetto e non senza una
componente di “opposizione”, da famiglia e scuola.
Dinnanzi alle strategie di marketing direttamente mirate sui più giovani, le istituzioni che regolano il mercato sono evidentemente chiamate ad elaborare risposte adeguate3, tanto alla maggiore vulnerabilità, quanto alle peculiari esigenze della persona in via di formazione,
indubbiamente meno attrezzata al discernimento di fronte allo stimolo, in particolare quello subliminale, che fa leva sul livello irrazionale
ed emotivo.
2. Il minore e la pubblicità
Una prima considerazione in proposito. Le questioni che la individuazione dei problemi e della risposta del diritto pone devono necessariamente articolarsi su più livelli, a seconda che lo stimolo al minore
provenga direttamente da quello che comunemente definiamo “messaggio pubblicitario”, o da altro.
2
Negli anni Ottanta si afferma la teoria della empowered child, la quale riconosce il
minore come soggetto capace di interagire con tutto, ivi compresa la cultura del
consumo. Cfr. sull’argomento D.T. Cook, The Dichotomous Child in and of consumer
culture, in Childhood, 2005, 12, p. 155.
3
In proposito L. Muselli, La tutela dei minori nei nuovi media, in Aa.Vv., Da Internet ai
social network. Il diritto di ricevere e comunicazione informazioni e idee, Santarcangelo di
Romagna, 2013, p. 59, la quale osserva che “se si continua […] ad analizzare la tutela
del minore on-line cercando di adattarvi i tradizionali strumenti per la tradizionale
realtà mediale off line, gli esiti […] non potranno che essere insoddisfacenti, senza
condurre ad una tutela effettiva”.
Minore-consumatore e diritto all’identità
985
Nel caso della pubblicità, cioè dell’esercizio di pratiche commerciali, come sancito dalla stessa Consulta4, non viene in rilievo, quale interesse in dialettica con quello del minore, la libertà di espressione quale
diritto fondamentale, non dunque la libertà di manifestazione del pensiero, piuttosto la libertà di iniziativa economica, libertà che dovrebbe
trovare evidentemente in sé stessa, e nella sua stessa formulazione a
livello costituzionale, la soluzione al problema. Essa, com’è noto, a tenore dell’art. 41, comma 2, cost. non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà ed alla
dignità umana. Un tenore tale da offrire sicuro viatico per la soluzione
di tutti i problemi anche quelli specifici dei minori quali persone in via
di formazione e personalità in via di compimento.
Da un lato, difatti, è innegabile che la Costituzione repubblicana
dedica espressamente ai minori poche disposizioni − in particolare
l’art. 31, secondo il quale “La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia
e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” e l’art. 35, il quale
sancisce che “La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme”,
oltre all’art. 30 sui minori nati fuori dal matrimonio5 − ancorché assai
pregnanti, delineando il munus/officium da parte dei genitori e riservando alle istituzioni una funzione sussidiaria con un rilevante vincolo di scopo, e cioè proprio lo sviluppo della personalità del minore6;
dall’altro, perché è pacifico che non tutto ciò che può considerarsi non
incompatibile con la funzione dell’attività di impresa se riferito agli
adulti, va analogamente valutato in rapporto ai minori, molti dubbi
essendo legittimo sollevare con riferimento ad esempio a quei messaggi che fanno apparire, a chi sta ancora formando le proprie capacità
cognitive, frustrante il mancato acquisto di un dato prodotto atto ad
avvicinarlo ai modelli proposti dalla comunicazione.
4
Corte cost. 17 ottobre 1985, n. 231, in www.giurcost.org, sulla quale si vedano, in
una prospettiva critica, A. Pace - M. Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazione
del proprio pensiero, in G. Branca (cur.), Commentario della Costituzione, cont. da A.
Pizzorusso, Bologna-Roma, 2006, p. 57 ss. Cfr. altresì L. Principato, Il fondamento
costituzionale della libertà di comunicazione pubblicitaria, in Giur. cost., 2003, p. 521 ss.
5
In argomento si veda L. Califano, La famiglia ed i figli nella costituzione italiana, in R.
Nania - P. Ridola (cur.), I diritti costituzionali, Torino, 2006.
6
Sottolinea E. Lamarque, sub art. 30, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (cur.),
Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 634, come a partire dalla giurisprudenza
costituzionale in materia di adozione si sviluppa il principio “secondo cui alla tutela
del minore devono essere subordinati gli interessi di ogni altro soggetto coinvolto in
un rapporto con il minore stesso”.
986
The best interest of the child
3. Lo stimolo al consumo e la “rete”. Libertà
di espressione e libertà di mercato
Ad altro ordine di interrogativi il diritto è chiamato a rispondere
quando il bisogno indotto con lo stimolo al consumo non è direttamente collegabile ad uno specifico messaggio pubblicitario, ma si genera in relazione alle stesse opportunità di fruizione e di conoscenza
che in particolare la Rete crea e mette a disposizione dei giovanissimi, di quelle generazioni nate e cresciute con internet e che in internet
esprimono ormai le più comuni modalità di socializzazione. Insomma,
quando la questione esorbita il piano della libertà di iniziativa economica, il problema del bilanciamento si pone in modo più complesso.
Libertà di espressione e di manifestazione del pensiero e libera formazione degli adolescenti, quelli che taluno7 oltretutto definisce significativamente “cittadini in formazione”, sono valori che si misurano
certamente nella nostra Costituzione, alla luce della più evoluta accezione dell’art. 2 e pur nella apparentemente scarna disciplina dedicata
al tema, ma anche alla luce di esperienze di altri Paesi europei come
il Belgio, che con una legge di revisione costituzionale già all’inizio di
questo secolo ha introdotto una modifica al Titolo II, alla stregua della
quale ogni minore “ha diritto al rispetto della propria integrità morale, fisica, psichica e sessuale”, o la Spagna che all’art. 20 della Costituzione del
1978 prevede espressamente che la libertà di pensiero e di creazione
artistica trovino un limite, oltre che nel diritto all’onore e all’intimità,
“nella protezione della gioventù e dell’infanzia”.
Né potrebbe mancare il riferimento all’art. 24 della Carta di Nizza
e all’esplicito riconoscimento per i minori dei diritti alla “protezione” e
“ad esprimere la propria opinione”, oltre al generale riferimento al rispetto del loro preminente interesse8.
7
M. Bessone, sub artt. 30 e 31, cit.
8
Cfr. P.F. Lotito, Art. 24. Diritti del bambino, in R. Bifulco - M. Cartabia - A. Celotto
(cur.), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001, p. 185 ss. Il concetto di interesse del minore
non è di agevole definizione, in quanto mutevole nel tempo e a seconda delle
circostanze concrete. Tanto ciò è vero che esso è stato significativamente individuato
dalla Suprema Corte come un insieme di “scatole vuote” (Cass., 7 novembre 1985,
n. 5408, in Giur. it., 1986, p. 1025), il cui significato non è determinabile in astratto,
“ma solo in concreto e solo in concreto se ne può intendere la portata”, così G.
Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 149. Proprio questa sua indeterminatezza,
secondo J. Carbonnier, Droit civil, I, La famille, les incapacités, Parigi, 1969, p. 370, ad
adombrare il pericolo insito, essendo l’interesse del minore “la nozione magica. Per
quanto sia contemplato dalla legge, ciò che non viene previsto è l’abuso che se ne
Minore-consumatore e diritto all’identità
987
La sede non consente di disaminare la copiosa regolamentazione
di rango non costituzionale dedicata in questi anni al tema: una osservazione sia tuttavia consentita a beneficio soprattutto di chi si appassiona allo studio del sistema delle fonti. L’apparato normativo di cui
si discorre oscilla tra regole di fonte autodisciplinare e regole dettate a
disciplina dell’attività delle Autorità indipendenti del settore, fino agli
interventi regolatori di queste ultime, interventi che, per vero appaiono la forma di disciplina più efficace e persuasiva.
Tuttavia ancora molta strada va percorsa in vista di una tutela effettiva di interessi compressi tra malintese libertà di espressione e quelle
definite “ben calcolate libertà del mercato dei prodotti multimediali”9
fa oggi. Al limite, essa finirebbe col rendere superflui tutti gli istituti del diritto di
famiglia. Eppure, nulla è più sfuggente, più adatto a favorire l’arbitrio giudiziario”.
Tale concetto è ripreso, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, anche dal Regolamento UE 27 Novembre 2003, n. 2201, in G.U. 23 dicembre
2003, n. 328, in tema di responsabilità genitoriale, il quale sottolinea l’importanza di
dare al minore l’opportunità di esprimere il suo punto di vista nei procedimenti che
lo riguardano, al fine di raggiungere diversi obiettivi secondo il tipo e lo scopo di
procedimento. Inoltre, è rilevante come il minore, nel caso in cui debba sopportare
un’ulteriore sofferenza derivante dal rievocare fatti dolorosi, al punto tale da correre
seri rischi per il suo sviluppo psicofisico, abbia diritto a non essere ascoltato. Sul
punto si rinvia a A. Costanzo, Diritto del minore a «non» essere ascoltato in Fam.
pers. succ., 2011, p. 862 ss.
9
Così A. Barbera, Mezzi di comunicazione televisiva e tutela dei minori, in www.
minoriefamiglia.it. Malgrado la dottrina che affronta i temi connessi alla privacy del
minore sia ancora scarna, cfr. A. Valastro, La tutela dei minori, in R. Zaccaria (cur.),
Radiotelevisione, in Tratt. dir. amm. Santaniello, XV, Padova, 1996, II, p. 659 ss.; M.
Basso, Mezzi di comunicazione e minori: quale tutela?, in Iustitia, n. 3, 2003, p. 429 ss.;
G. Savorani, La riforma della disciplina del sistema radiotelevisivo e gli interessi degli
utenti: questioni in tema di pubblicità, televendite, tutela dei minori e sponsorizzazione di
programmi, in Pol. dir., 1997, p. 449 ss.; A. Contaldo, La tutela del minore telespettatore:
aspetti normativi ed autodisciplinari di un fenomeno in evoluzione, in Dir. fam. pers., 1994,
p. 1504 ss.; V. Cuffaro, L. 6 agosto 1990, n. 223 “Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato”. Commento all’art. 15 (Divieto di posizioni dominanti nell’ambito dei
mezzi di comunicazione di massa e obblighi dei concessionari). Parte II (commi 8-16), in
Nuove leggi civ. comm., 1991, p. 757 ss.; G. Giacobbe, Diritti della personalità del minore
e mezzi di comunicazione: spunti per una riflessione, in Iustitia, 2003, p. 407 ss.; B. Lena,
Il rapporto minori e televisione tra legislazione ed autonormazione, in Fam. dir., 2004, p.
620 ss. Più di recente v. R. Zaccaria, Diritto dell’informazione e della comunicazione,
Padova, 2007, p. 258 ss.
988
The best interest of the child
4. L’identità online: l’identità “social” e la c.d. “identità app”
In questo contesto si inserisce il tema dell’identità del minore e del
fondamento costituzionale di questo diritto. Già quattro anni fa, uno
studio10 segnalava che il tema dell’identità online va progressivamente
arricchendosi11 e che accanto al tema dell’identità social12 va ripensato,
soprattutto per i più giovani, il tema della identità c.d. app, condizionata da questi software (le applications), pensati specificamente per tablet e
smartphone, che rendono praticabili con enorme facilità ed automatismi
servizi e strumenti che si suppongono utili o desiderabili dall’utente.
Si tratta di una vicenda paradigmatica con riferimento al nostro
tema, giacché è di immediata percezione che le app che una persona
ha sul proprio apparato mobile sono una specie di impronta digitale personale, impronta che, anziché comporsi in una serie di linee, si
combina attraverso gli interessi, le abitudini e le relazioni sociali che
identificano la persona13.
La nostra identità app è dunque altamente significativa del nostro
essere, rivolta all’esterno e conformata oltretutto dalle decisioni di programmazione assunte dagli app designers.
Orbene, è esperienza comune che i telefoni dei nostri figli sono, ben
più dei nostri, pieni di icone delle più disparate applications, col che non
può negarsi che la personalità del minore fruisce oggi di una chance ulteriore di autodeterminazione che gli consente di penetrare con ancor
maggiore facilità nel mercato degli adulti, senza particolari controlli e
con evidente agio; di conseguenza, è necessario prendere atto che la
situazione si è rapidamente evoluta rispetto all’epoca del messaggio
trasmesso attraverso i media tradizionali (per non dire dell’epoca in
cui protagonisti erano unicamente la TV e la carta stampata) e che oggi
il minore non può più dirsi soggetto passivo o semplice recettore14, ma
protagonista e partecipe − ahimé troppo spesso inconsapevole − delle
proprie scelte di vita e dei propri interessi. A maggior ragione ove si
consideri che la diffusione dell’uso di tablet e smartphone anche tra i
giovanissimi consente loro di accedere a questi software anche in totale
assenza di controllo genitoriale, perfino laddove vi siano precise disposizioni di legge tese ad impedirlo.
Analoghe considerazioni è possibile svolgere con riferimento ai
social network, ambito nel quale l’esigenza di proteggere i dati personali del minore e di impedirne la profilazione appare proporzionale
Minore-consumatore e diritto all’identità
989
ai rischi che egli corre con riferimento all’utilizzazione dei dati a fini
commerciali15.
5. Il minore nel d.lgs. n. 101 del 2018: la proposta
dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza
Il tema è di massima attualità, considerato oltretutto che il 4 settembre 2018 è entrato in vigore il decreto legislativo di adeguamento
della normativa nazionale al Regolamento UE n. 2016/679 in materia di
tutela dei dati personali16
Come noto quest’ultimo fissava in 16 anni l’età per poter autonomamente esprimere il consenso al trattamento dei dati in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, salva la possibilità per i singoli Stati membri di stabilirne una più bassa, purché non
inferiore ai 13 anni17. Orbene, con una scelta discussa e discutibile, il
15
Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, Social privacy. Come tutelarsi nell’era
dei social network, in www.garanteprivacy.it. È noto che gli adolescenti condividono
maggiori quantità di informazioni personali su sé stessi sui social network, si
registrano infatti incrementi nella frequenza con cui essi pubblicano immagini di sé
stessi e forniscono nomi di scuole, città di residenza, indirizzi e-mail e numeri di
cellulare. Si vedano a tal proposito i risultati pubblicati da M. Diffenderfer, The rights
of privacy and publicity for minors online: protecting the privilege of disaffirmace in
the digital, in U. Louisville L. Rev., 2016, p. 131. In particolare, l’iscrizione dei minori
sui social network suscita problemi delicati, in quanto la conclamata gratuità dei
servizi offerti dal gestore quasi sempre “nasconde [...] una componente suscettibile
di valutazione economica e, quindi, di tipo patrimoniale”, in relazione ai processi di
User Data Profiling e di Behavioural Advertising posti in essere dagli inserzionisti
pubblicitari che appaiono sulle pagine social: S. Sica - G. Giannone Codiglione, Social
network sites e il “labirinto” delle responsabilità, in Giur. merito, 2012, p. 2714 ss.
16
D.lgs. 4 settembre 2018, n. 101, rubricato “Codice in materia di protezione dei dati
personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al
regolamento UE n. 2016/679”.
17
In proposito L. Bolognini - C. Bistolfi, L’età del consenso digitale. Privacy e minori
online, riflessioni sugli impatti dell’art. 8 del Regolamento 2016/679, Roma, 2017,
osservano che la libertà di ricercare, ricevere e di divulgare informazioni e idee di
ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata
o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo, è tutelata dall’art. 13.1 della
Convenzione. Fissare il limite minimo di età al di sopra dei 13 anni per la validità del
consenso digitale del minore “non pare essere la forma migliore di tutela”, in ragione
tanto delle capacità digitali dei bambini, quanto dei maggiori rischi di aggiramento
delle limitazioni della rete da parte degli infra sedicenni i quali sarebbero indotti
a mentire sulla loro età reale per non chiedere il consenso ai genitori, accedendo a
servizi calibrati su minori di età più elevata, senza alcuna possibilità di controllo sui
contenuti. In senso opposto cfr. S. Thobani, I requisiti del consenso al trattamento dei
dati personali, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 27, la quale manifesta perplessità
in merito alla possibilità, riconosciuta agli Stati membri, di abbassare a tredici anni
990
The best interest of the child
nostro legislatore delegato ha stabilito in 14 anni l’età minima per esprimere il consenso al trattamento dei dati personali nei servizi online18.
La scelta per certi versi sorprende, se solo si ha esperienza delle
difficoltà che un soggetto anche di poco al di sotto della maggiore età
incontra per fruire dei servizi offline. Se un nostro figlio volesse iscriversi a una palestra, ad esempio, dovrebbe essere da noi autorizzato
attraverso una rigida procedura richiesta dal fornitore per scongiurare
ogni tipo di responsabilità, come non manca di sottolineare l’Autorità
Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza nel parere con il quale si era
espressa in senso contrario all’abbassamento del limite di età previsto
dal Regolamento europeo.
Tra l’altro, il parere contrario era stato accompagnato da una proposta di emendamento19 che, proprio in considerazione dell’abbassamento del limite di età proposto dal legislatore delegato, tendeva a
rinforzare la tutela del minore relativamente ai di lui dati personali.
Questo il testo dell’emendamento proposto ed articolato in due
commi da inserire all’art. 2 quinquies dell’emanando decreto: “I dati
personali del minore non possono essere utilizzati per fini commerciali e non devono essere oggetto di profilazione salvo quando ciò sia
necessario all’identificazione della minore età a garanzia dello stesso
e della garanzia e dell’affidabilità del servizio fornito dal titolare del
trattamento. Con regolamento da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto − del Garante per la protezione dei
dati personali e del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, di
concerto con l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza – sono
la soglia dell’età richiesta ai fini della valida prestazione del consenso, rilevando che
“mentre il riconoscimento della capacità all’ultrasedicenne a prestare il consenso al
trattamento è in sintonia con altre disposizioni legislative e corrisponde al diffuso
e sentito bisogno di riconoscere ai grandi minori una sempre maggiore autonomia,
la questione si pone diversamente per un tredicenne, rispetto al quale il ruolo
educativo dei genitori si deve poter esplicare con maggiore intensità”. Pertanto,
appare opportuno – secondo l’A. – “sul verosimile permanere, sia pure di fronte ad
una norma attributiva della capacità al minore, di un potere di controllo ed anche
interdittivo in capo al genitore, esercitabile anche nei confronti del terzo”.
18
Si veda l’opinione contraria di C. Kulver, Parental Notification, the FTC and Kids
Apps: what’s COPPA all about?, in The Digital Media Diet, 2013, disponibile al sito
www.digitalmediadiet.com, la quale già prima della elaborazione del Regolamento UE
avvertiva dei pericoli insite nell’uso della rete da parte dei più piccoli, poiché privi
di adeguate capacità cognitive circa l’uso dei servizi della società dell’informazione,
Non solo. L’A. ha sottolineato le insidie della rete anche per i minori fra i 14 ed i 18
anni, “who are still very vulnerable to exploitation by commercial interests”.
19
Reperibile al sito: www.garanteinfanzia.org.
Minore-consumatore e diritto all’identità
991
definiti gli interventi educativi e di formazione necessari a far acquisire ai minorenni un grado adeguato di consapevolezza dei rischi, delle
conseguenze, delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro
diritti, in relazione al trattamento dei dati personali”.
Tale proposta è stata corredata da una preoccupata relazione illustrativa che nel rappresentare i rischi connessi alla minore consapevolezza
dei giovanissimi circa il trattamento dei loro dati, spiegava l’esigenza di
individuare proprio gli strumenti di protezione in caso di trattamento a
fini commerciali, di marketing o di profilazione di personalità o di utente, all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente al minore20.
E ciò, peraltro, traducendo ed utilizzando proprio alcuni dei principi enunciati nei “considerando” del Regolamento UE (in particolare
i considerando 38 e 71), laddove espressamente vieta l’utilizzo dei dati
personali in discorso per fini commerciali o la profilazione, se non a
protezione del medesimo soggetto non ancora in età, a garanzia dello
stesso nonché della sicurezza e dell’affidabilità del servizio.
L’introduzione della previsione di un provvedimento attuativo al
comma 2 della citata proposta di emendamento appariva proprio finalizzata a garantire l’acquisizione di una adeguata consapevolezza
digitale da parte dei giovanissimi, apparendo necessario quanto − aggiungerei − scontato, che la maturazione legata alla crescita anagrafica
sia accompagnata da una formazione specifica, mirata allo sviluppo
di competenze anche in ordine alle implicazioni giuridiche, economiche e comportamentali che derivano dalla prestazione del consenso al
trattamento dei dati e dalla sottoposizione alla pubblicità targettizzata.
D’altra parte, ci si rende ben conto che anche l’innalzamento del
limite di età, se non accompagnato da questa opera di educazione digitale, sarebbe rimedio del tutto sterile, aggirabile con la creazione di
falsi profili e dunque scarsamente utile, anche se non penso si possa
contestare che esso potrebbe comunque rappresentare un significativo
messaggio culturale per i nostri stessi giovani.
Messaggi contrari, oltre a confermare l’impotenza del diritto in questi
ambiti, non fanno che riemergere le contraddizioni del nostro tempo. Un
tempo nel quale anche soltanto avanzare l’idea che l’unico rimedio davvero utile possa essere − sempre con i limiti che ogni possibile risposta del
diritto statale sconta nel contesto delineato – quello di responsabilizzare
i colossi del web e gli internet provider in ordine ai contenuti ed ai control20
Ibidem.
992
The best interest of the child
li (considerando soprattutto che è scontato che essi sono ormai tecnicamente possibili), viene considerato lesivo di uno spazio di libertà dove
del tutto irragionevolmente ogni condotta, anche la più odiosa, sembra
ineluttabilmente essere lecita, consentita e comunque non sanzionabile.
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Minore-consumatore e diritto all’identità
993
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Zagrebelsky G., Il diritto mite, Torino, 1992, p. 149
The identity of child consumer in Hungarian Law
Klára Gellén – Andrea Labancz
Summary: 1. Introduction. – 2. Reasoning of children consumer protection. – 3. The Hungarian system of regulation for the protection of children. – 4. The concept of child consumer in the digital world. – 5. The
National Media and Infocommunications Authority. 6. Summary of Hungarian legislation on the identity of child consumers.
1. Introduction
Children have become significant participants of the information society.
Given that, a large proportion of consumers in the ICT sector are children
due to the intensity of innovation processes, characterizing the 21st century, their protection has become an increasingly important area.
However, the widespread use of certain ICT technologies also raises the question of children’s identity in the digital world.
According to the Handbook of UN Commission on the Rights of
the Child, a child has the right to preserve his or her identity and States
Parties are obliged to respect it1. Under the Convention, identity is an
obligation that imposes a burden both on the children’s parents and
on the state. However, the UN Committee states in General Comments
no. 7 that “Rapid increases in the variety and accessibility of modern
technologies, including Internet-based media, are a particular cause
for concern. Young children are especially at risk if they are exposed to
inappropriate or offensive material”2.
1
United Nations Convention on the Rights of the Child, Article 8.
2
UN Committee on the Rights of the Child (CRC), General comment No. 7 (2005):
996
The best interest of the child
The widespread availability of the Internet offers the opportunity
not only to access goods in the traditional sense, without borders and
boundaries, but also to “consume” today’s online content. As highlighted in a 2011 report by the European Commission, significant changes
in the media usage of children consumers can be observed with the
proliferation of mobile devices and on-demand media services. This is
especially true with the increasing use of social media services3. However, online content can also have a detrimental effect on the identity of
children consumers.
Given the above, our study focuses on the issue of the identity of
children consumers, highlighting concerns about online content consumption. We introduce the Hungarian system on the protection of
children consumers, as well as the characteristics and consumption
habits of the child consumer.
2. Reasoning of children consumer protection
When focusing on the reasoning of child consumer’s protection, it
is necessary to refer to the concepts of child, child consumer and online
content consumption.
In the case of domestic laws and international conventions on the
protection of the “child”, the legally relevant age for becoming an adult
is typically defined in 18 years. However, it is necessary to emphasize that the Hungarian system typically uses the term of “minors” for
persons under 18 years of age. In addition, in the case of advertising,
there are other categories: persons under the age of 14 are considered
children, while persons between the age of 14 and 18 are considered
juveniles. In accordance with international legislation, the term ‘child’
shall be taken to mean persons under 18 years of age in our study.
In connection with the identity of child consumers, the “consumer quality” should be considered important. However, there is no age
requirement related to the category of being a consumer, a distinction
needs to be made between the adult and the child consumer, given that
numerous legal provisions cover the protection of children.
Implementing Child Rights in Early Childhood, 20 September 2006, CRC/C/GC/7/
Rev. 1 https://www.refworld.org/docid/460bc5a62.html (2019. 07. 25.).
3
Report of the Commission, Protecting children in the digital world /* COM/2011/0556
final */.
The identity of child consumer in Hungarian Law
997
In the area of the protection of children, constitutional provisions should be considered the basis of regulation. The provision of
adequate protection for physical, mental, and moral development
supports children to develop their personality to the fullest. In this
context, the reasons for protecting children are supported by several
psychological characteristics. Age-specificity has a connection to incomplete life experiences. Children are basically incapable of properly interpreting the stimuli and effects in their environment and are
unable to properly enforce their interests4.
Regarding the protection of children, it is generally accepted that
children can be influenced in their decision-making due to their
age-specific characteristics.
However, the expression of personality shall involve making free
(consumer) decisions. According to the Hungarian Competition Authority, consumer choice is the choice of action between alternatives that are
considered feasible for the consumer, which creates a link between supply and
demand in the market5.
In addition to protecting children, it is of course also important that
children have access to information on the dangers that they may be
exposed to, while providing adequate sensitivity, to develop conscious
consumer identity.
In the area of “online content consumption”, children may be exposed to several risks, given that online content can be illegal or harmful to children. While illegal content is banned regardless of the age of
the user or the type of medium, harmful content is characterized by
its negative impact on the physical, mental and moral development
of children6. Inter alia, violent content that is cruel, rude, bloody or
shocking, cyberbullying, or solicitation to consume drugs or new psychoactive substances should be considered such online content harmful to children7.
4
A. Koltay - A. Lapsánszky (ed.), Nagykommentár a médiaszolgáltatásokról és a
tömegkommunikációról szóló, 2010, évi CLXXXV, törvényhez, 9. § jogtar.hu (2019. 27. 25.).
5
Gazdasági Versenyhivatal, A fogyasztói döntések szabadságára vonatkozó, a GVH által
követett alapelvek http://www.gvh.hu/data/cms1022582/11695FFBAC14C71AC.pdf
(2019. 07. 25.)
6
Kóczián S., Child protection in the media law (Gyermekvédelem a médiajogban) http://
mek.oszk.hu/13500/13512/13512.pdf (2019. 07. 25.)
7
Ibid.
998
The best interest of the child
The protection of children is primarily the responsibility of the
family; the role of the state is secondary, but not negligible8. It is the
constitutional duty of the state to protect the development of the child,
which may appear primarily in the public sphere9.
3. The Hungarian system of regulation for the protection
of children
Hungary, similarly, to other European countries, has established
its regulation system on the protection of children in accordance with
the European Union regulation. In Hungarian law, provisions related
to children consumers manifested in a complex system. In this system,
the protection of children on the internet and from several dangerous
online effects should be considered the main questions.
The system of the applicable Hungarian legal provisions can be
summarized as follows:
1. The basis of the legal system is the Constitution of Hungary. The
Constitution contains a general rule about children’s safety. It has
also confirmed in its provisions that the universal human rights
shall be applied to children as well. The Constitution protects children with specific measures. According to Subsection 1 of Article
XVI, “Every child shall have the right to the protection and care necessary
for his or her proper physical, intellectual and moral development”.
2. In the area of child protection, the Child Protection Act should also
be considered. The act summarises children’s rights. According to
Subsection 5 of Section 6 of Act XXXI of 1991 on Child Protection
and Guardianship Administration, “children have the right to be protected against the influence of infocommunication society”.
3. Referring to the issue of identity, the Civil Code should also be taken into account. It protects the rights relating to the personality.
According to Section 2:42 of Act V of 2013 on Civil Code, “Everyone
is entitled to freely practice his personality rights, in particular the right
to privacy and family life, home and communications with others in any
way of form, and the right to protection against defamation of character,
within the framework of the law and within the rights of others, and to not
be impeded in exercising such rights by others”.
8
Ibid.
9
Decision 21/1996. of the Hungarian constitutional Court.
The identity of child consumer in Hungarian Law
999
4. Provisions of the Criminal Code provides facts, inter alia, related to
online content. More precisely, the Criminal Code regulates several
situations, which can also occur on the internet. As for an example,
Subsection 2 of Section 162 of Act C of 2012 on Criminal Code, “Any
person over the age of eighteen years who persuades another person under
the age of eighteen years to commit suicide, or provides aid for committing
suicide is punishable by imprisonment between two to eight years, if the
suicide is attempted or committed”. This provision may be applied in
cases related to cyberbullying. Among others, this act forbids and
punishes child pornography as well.
5. Relevant provisions on children’s protection can be found in the
area of media law. It should be highlighted that the Hungarian media acts have implemented the Directive of the AVMS; of course,
with the rules of children’s protection.
6. Provisions concerning the protection of children is also governed
by the provisions of Act XLVIII of 2008 on the Basic Requirements
and Certain Restrictions of Commercial Advertising Activities. The
act lays down general and specific prohibitions and restrictions on
advertising; and differentiates between children (under the age of
14) and minors. In connection with consumer protection, in the Act
CLV of 1997 on Consumer Protection and in the Act XLVII of 2008
on the Prohibition of Unfair Commercial Practices against Consumers Provisions, implemented the UCP Directive, are also embodied
provisions protecting children.
7. In Hungary, the Parliament adopted the Act CCXLV of 2013 on the
Amendment of Certain Laws for the Protection of Children (Act
of Child Protection on the Internet) in December 2013. The Act has
amended, inter alia, the Consumer Protection Act regarding age
verification and the sale of gaming software. As it can be read in
it, in cases of doubt, the business shall call upon the consumer to
prove his age credibly. The sale or service of the product shall be
denied without proper proof of age. In connection with gaming
software, the manufacturer of gaming software, when distributing
gaming software which is capable of adversely affecting the physical, mental, psychological or moral development of children, shall
indicate the following statement in a clearly visible manner, “Not
recommended for children under the age of 18!”.
1000
The best interest of the child
The said act amended the Act C of 2003 on Electronic Communications, which now requires Internet access service providers to provide
free downloading of child protection filter software from their Internet
site and thereafter free use thereof.
The Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce and on Information
Society Services was also modified in order to be able to provide the
proper protection of children. As a result of the amendment, the Internet Roundtable for Children Protection was established. Beside this,
further requirements are established. As for an example, information
published by the service providers and not classified as media content,
that could seriously impair the mental, psychological, moral or physical development of children in particular by having decisive elements
of violence, and naturalistic and direct representation of sexuality, shall
be published in the information sub-page, before the information is
published, which contains information about the potential dangers of
children, the identifiers in the source code of the sub-page, which refer
to the category of content and are recognizable by filtering software.
4. The concept of child consumer in the digital world
Although, unrestricted and easy access to online content is a crucial
element of the information society, it can also have a detrimental effect
on the physical, mental and moral development of children.
A significant percentage of online content related to intermediary
service providers, so-called hosting service providers. The essence
of hosting services is that the service provider provides an interface
for users where they can place their own content, for example in the
form of posts, photos, videos, comments, etc. Typically, such content
is neither monitored, nor examined for potential illegal or harmful
content by the hosting service provider. Examples of such hosting
providers that are often used by child consumers include Facebook,
Instagram, Flickr, etc.
In 2017, the National Media and Infocommunications Authority
(hereinafter referred to as “NMHH”) conducted a research entitled
“Media use, media consumption, media literacy research with children and
parents” based on a questionnaire and personal interviews with 2,000
children (from 7 to 16 years of age) and their parents, about media
use patterns and rules applied by families to curb the children’s media presence.
The identity of child consumer in Hungarian Law
1001
In terms of Internet content consumption, the study found that
77% of 7-16 years old use the Internet. As the age increases, the number of Internet users also increases, and then becomes general in the
group of 13-14 years of age. The use of the Internet is extremely diverse. Children use it, for example, as a learning tool or as a basic
communication platform, for consuming media and entertainment,
or for sharing content.10
It should be highlighted that, according to the survey, almost every
second young person can be found on a social media platform. Most
children between the ages of 12 and 13 are registered members; and
85% of the oldest has also registered. According to the research, 93%
of parents know of the registered children that they are using these
sites. In most cases, the parent and the child are “acquaintances”, but
the profile of every fourth child is beyond the control of the parent11.
A part of the research focused on their experience related to offensive online content.
Such offensive online content is cyberbullying, which may include
sending threatening or degrading emails at any time of the day, or
threatening, frightening, abusive messages or comments on a social
media platform. What is even more concerned in case of cyberbullying
is the fact that if offline bullying usually finishes with leaving school
at the end of the day, online bullying continues to exist even after it,
without time limit12.
A similar incident occurred when a 16-year-old girl’s’ photos were
taken from a social media platform and posted on Hungarian website with her full name, address, age and phone number. She received
threatening letters, was harassed and made obscene comments under
her pictures (ABI-4865/2012/P).
In another case, a parent posted some photos of a child on a social media platform from where the perpetrator copied the photos to
a public internet portal, with a name, where defamatory comments
appeared (ABI-7041/P/2010).
10
Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-, médiaértéskutatás 7–16 éves gyermekekkel és szüleikkel http://english.nmhh.hu/article/197725/
Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_gyermekekkel_es_
szuleikkel (2019. 07. 25.).
11
Ibid.
12
Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadásg Hatóság, Kulcs A Net világához!
http://www.naih.hu/files/2013-projektfuzet-internet.pdf (2019. 07. 25.).
1002
The best interest of the child
According to the results of the said study, the group is most widely
exposed to cyberbullying consisting of girls between 15 and 16 years of
age. 27% reporting that over the past one year they had an experience
that may qualify as cyberbullying13.
Hungarian children are also exposed to online hate speech. Over the
past one year, 23% of those involved in the research encountered content or forms of expression that discriminated against certain social
groups based on their origin, sexual orientation, religion or disability.
In older age groups, exposure to such content was increasingly higher14.
The survey also included questions about the type of information Hungarian children shared on themselves online. According to the responses,
35% of the oldest children involved in the research (15 to 16 years of age)
share at least four pieces of information on themselves through social media. They typically provide their name, age, name of school and usually
their e-mail address, as well as sharing an image of themselves. Throughout their online presence, their need for availability and self-expression often overrides safety considerations. However, this entails the possibility of
unauthorized use of personal data15. A similar incident occurred in which
a 15-year-old girl’s personal data and photos shared on a social media
platform were copied and uploaded to a special website without her consent, with her full name, place of residence, and age (ABI-4841/2012/P).
However, the expression of identity requires that children be adequately protected in similar cases. We think these are general issues,
so we have to solve this problem using international instruments and
use an effective sanction system. On the other hand, we must try and
transform the new smart user’s thinking all over the world.
5. The National Media and Infocommunications
Authority
The National Media and Infocommunications Authority controls
the media and the infocommunication area in Hungary. The authority has made many programs about child protection. The main aim
13
Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-,
médiaértés-kutatás 7–16 éves gyermekekkel és szüleikkel http://english.nmhh.hu/
article/197725/Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_
gyermekekkel_es_szuleikkel (2019. 07. 25.).
14
Ibid.
15
Ibid.
The identity of child consumer in Hungarian Law
1003
of these programs is the prevention, but giving effective and successful help is also considered extremely important. Consumers can lodge
their complaints to the Authority, who provides an electronic possibility. If they have information about a harmful case, they are able to
complain to the authority, who can initiate an official procedure.
a) The Internet Roundtable for Children Protection
The Internet Roundtable for Children Protection (hereinafter
referred to as the Roundtable), was established in 2014, also monitors the area of protecting minors on the Internet in Hungary. The
21-member Roundtable was established by the chairman of the National Media and Communications Authority (NMHH), in accordance with the provisions of Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce
and on Information Society Services (and the Act of Child Protection
on the Internet).
As a consultative body, the Roundtable develops recommendations
for the dissemination of child-friendly internet, including the effective
use of filtering software, and raising media awareness among children
and their parents. Anyone can turn to the Roundtable in cases where a
content provider is publishing information disregarding child protection considerations that may severely impair the intellectual and moral
development of children. The Roundtable does not have the power to
create binding legal norms16.
The Roundtable has taken several measures to ensure appropriate
protection of children, contributing to the protection of the identity of
child consumers.
In 2014, it adopted a recommendation related to filtering software
to be able solve a proper solution for harmful effect of online content.
The Recommendation includes, inter alia, recommendations on filtering software to limit the availability of harmful online content by
children. According to it, solution to limit the availability of harmful
content may be:
- if the content provider drew attention to the content harmful of
children before it was displayed, asked for the age and places identifiers warning to harmful content in the source code of the content;
16
A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal feladata http://nmhh.hu/cikk/162718/A_
Gyermekvedelmi_Internetkerekasztal_feladata_es_tagjai (2019. 07. 25.).
1004
The best interest of the child
-
or if the internet access provider provided free downloadable child
protection filtering software to users with internet access, which
made content harmful to children inaccessible17.
In case of the alerts, the Recommendation states that the metatag in
the source code should clearly indicate that the content is harmful to
minors, The content provider shall, before displaying the page for accessing the content, or in a table of contents or other interface presenting
the content thereof, identify the content harmful to children clearly by
means of optical identification; and shall verify the user’s age and permission to access the content, and warn the users to harmful content, in
parallel with verifying the age, in the same interface, and indicate the exact availability of filtering software. Besides these, according to the Recommendation, content shall not be accessible for unauthorized users18.
In connection with the child protection filtering software, the
Roundtable proposes recommendations on the availability and scope
of filtering software solutions, the installation of filtering software solutions, the ways to limit ability of accessing online content, the monitoring activities, and on the individual authorize methods to access the
content. It should be noted that the Roundtable uses a “positive-negative” approach in case of content filtering. The so-called “whitelist”
includes child-friendly websites whose accessibility to children is not
considered concerning, while the so-called “blacklist” includes websites that contain harmful content for children, so their availability is
limited by using individual settings19.
According to studies conducted in 2015, less than 50% of the websites examined comply with the law and the recommendation of filter
software. One third of the websites do not use any kind of warning
before displaying harmful online content, and less than tenth of the
websites use keywords supporting the functioning of filter software.
Only 43% of the websites examined used the warning properly and
only 17% offered the use of the filtering software. Of the websites that
use metatags, only one or two websites use them in the recommended format.
17
Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság, A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal ajánlása a
kiskorúakra káros internetes tartalmak és szolgáltatások esetén alkalmazandó figyelemfelhívó
jelzésekre és szűrőszoftverekre vonatkozóan http://nmhh.hu/dokumentum/162986/
szuroszoftver_ajanlas.pdf (2019. 07. 25.).
18
Ibid.
19
Ibid.
The identity of child consumer in Hungarian Law
1005
According to the report, the six most common errors are that the
warning window already contains images, videos that are considered
adult content; the “no” option is not available; first time, the site warns
children about harmful content, but the second time, the content is
accessible without any warning; adult content can be seen for a moment before being warned; in case of some websites, harmful content
is accessible without any restrictions by using Google; and although
an alert appears, anyone is instantly linked to the website by clicking
on the ad next to it20.
In case of filtering software, the Act CXC of 2011 on National Public
Education requires for public education institutions that computers with
internet access accessible to children shall be provided with Hungarian
language software that is easy to install and use, enabling the protection
of children and pupils, to provide children and pupils with harmonious mental, physical and intellectual development. In 2017, NMHH’s
co-workers introduced Roundtable to the operation of a filtering software being tested. The application, called NetFilter, is a child protection
filtering software primarly tailored to the specific needs of public education institutions. By using NetFilter, one needs a flash drive that should
be inserted into the computer used by the child. The work of NetFilter is
based on black and white lists containing different domain names. The
software determines whether children can view certain content.21
The NetFilter has been continuously developed by the NMHH. In
2018, the Roundtable proposed adding hundreds of items to the black
and white lists used by NetFilter, and NMHH’s co-workers presented
to Roundtable members the enhancement of NetFilter, which, in addition to its institutional use, can also facilitate retail use.
b) Internet Hotline
Beside the operation of the Roundtable, the role of the Internet
Hotline should also be emphasized, the legal advisory service of the
National Media and Infocommunications Authority, available since
20
Ibid.
21
Beszámoló a Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal 2017. évi tevékenységéről http://
nmhh.hu/dokumentum/195053/gyermekvedelmi_internet_kerekasztal_2017_evi_
beszamolo.pdf (2019. 07. 25.).
1006
The best interest of the child
2011. The creatives of the Internet Hotline’s new campaign highlight
all three fields of problems:
- cyberbullying,
- inflammatory content,
- as well as personal data-related abuses.
Based on reports, Internet Hotline provide support in removing infringing contents found on the Internet quickly. The Internet Hotline
works with the National Police Headquarters and the National Bureau
of Investigation against Cybercrime to combat illegal online content. The
Internet Hotline also has a working relationship with social media operators22.
- Internet Hotline accepts notifications in nine categories:
- content made available without consent;
- pedophile content;
- harassment;
- racist, xenophobic content;
- content displaying violent content;
- drug use of seductive content;
- content that encourages or promotes terrorist acts;
- phishing websites, content infected with viruses, spyware and
worms;
- other content harmful to minors23.
Co-workers of Internet Hotline examine the online content complained of in the report. If the content in question is infringing, the
online content editor, the content provider or the hosting provider is
asked to make the content inaccessible. In parallel with it, the service
provider shall be considered liable for any failure to do so. In the case
of harmful or unsafe online content for children, the Internet Hotline calls
upon the website’s editor or operator to clearly indicate on its interface
that the content on the site may be harmful to children24.
The National Media and Infocommunications Authority has
launched a campaign to promote the Internet Hotline legal aid.
The campaign refers to the most important rules of online behavior
through emojis. The creatives show that even the emojis frequently
used by children can lead to offensive or even infringing statements
22
Internet Hotline, Tudástár http://nmhh.hu/internethotline/tudastar (2019. 07. 25.).
23
Ibid.
24
Ibid.
The identity of child consumer in Hungarian Law
1007
depending on the context or situation. The campaign collectively refers to these as awkward situations. The campaign features commonly used emojis in two different contexts: in one, they have a harmless
meaning, but in the other their meaning is abusive, offensive and
threatening. The advertisements, mainly targeting children of 11 to
16 years of age, provide guidance for recognizing problems, as well
as dealing with them. The campaign provides a website of the Internet Hotline, where online infringing content can be reported quickly
and anonymously. Hotline employees help in removing such content
or counselling to the person filing the report. The central message of
the campaign is that although children might seem at ease with the
world of digital devices and new media content, they often face uncertainty when judging the community, ethical or legal repercussions
of their online actions25.
According to the Authority this is not an administrative procedure,
yet effective. The Internet Hotline provides those filing a report with a
way to solve online infringements. The administrative process does not
constitute a regulatory procedure, as the authority requests the content
or web hosting service provider to remove the infringing content by
letter. Since 2011, the Internet Hotline has received over 4.000 reports,
and the experience has shown that Hungarian content and web hosting service providers are exceptionally cooperative and, in most cases,
they make the objectionable content unavailable. The website of the
advisory service was renewed in autumn 2017, and reports can be easily filed on its new responsive interface, using mobile devices as well.
The Internet Hotline collects no information on those filing a report,
and anyone can request assistance anonymously26.
6. Summary of Hungarian legislation on the identity
of child consumers
The identity of child consumer, due to the wide availability and
free of charge of the Internet, is a complex issue. In fact, children may
be exposed to a variety of harmful content online, which has a negative
impact on their physical, mental and moral development.
25
Ibid.
26
Ibid.
1008
The best interest of the child
The protection of children is implemented in a comprehensive,
complex system in Hungarian legislation. It should be emphasized
that the primary role of the family in the protection of children is declared, but the role of the state is not negligible either.
Several legal instruments protect children in different areas of law.
As for examples, their general protection is granted by the Constitution, while in case of consumption they are protected by the provisions
of consumer protection law or media law.
However, in a digital, online environment, it is necessary that the
protection of children consumers also be achieved through technical
devices. In connection with this, the Internet Hotline of the National
Media and Communications Authority and the Internet Child Protection Roundtable are of great importance.
Not only in Hungary, but in every nations, it is of great importance
for the proper development of the identity of children to be protected in
high level. As this study highlighted, not only the use of legal but also
technological solution appears to be appropriate to reach the target.
Bibliography
Act CCXLV of 2013 on the Amendment of Certain Laws for the Protection of
Children
Act V of 2013 on Civil Code
Act C of 2012 on Criminal Code
Act XLVIII of 2008 on the Basic Requirements and Certain Restrictions of Commercial Advertising Activities
Act XLVII of 2008 on the Prohibition of Unfair Commercial Practices against
Consumers Provisions
Act C of 2003 on Electronic Communications
Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce and on Information Society Services
Act XXXI of 1991 on Child Protection and Guardianship Administration
Act CLV of 1997 on Consumer Protection
Constitution of Hungary
Hungarian Competition Authority, Principles governing freedom of consumer choice (Gazdasági Versenyhivatal: A fogyasztói döntések szabadságára
vonatkozó, a GVH által követett alapelvek) http://www.gvh.hu/data/
cms1022582/11695FFBAC14C71AC.pdf (2019. 07. 25.)
Internet Hotline, Source Information (Tudástár) http://nmhh.hu/internethotline/tudastar (2019. 07. 25.)
The identity of child consumer in Hungarian Law
1009
Internet Roundtable on Children Protection’s Activity Report, 2017.
http://nmhh.hu/dokumentum/195053/gyermekvedelmi_internet_kerekasztal_2017_evi_beszamolo.pdf (2019. 07. 25.)
Koltay A. - Lapsánszky A. (ed.), Nagykommentár a médiaszolgáltatásokról és a
tömegkommunikációról szóló, 2010, évi CLXXXV, törvényhez, 9. A gyermekek
és kiskorúak védelme, jogtar.hu (2019. 27. 25.)
Kóczián S., Child protection in the media law (Gyermekvédelem a médiajogban)
http://mek.oszk.hu/13500/13512/13512.pdf (2019. 07. 25.)
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to the world of net! (Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadásg Hatóság: Kulcs
A Net világához!) http://www.naih.hu/files/2013-projektfuzet-internet.pdf
(2019. 07. 25.)
National Media and Infocommunications Authority, Media use, media consumption, media literacy research with children and parents (Nemzeti Média és
Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-, médiaértés-kutatás 7–16
éves gyermekekkel és szüleikkel) http://english.nmhh.hu/article/197725/Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_gyermekekkel_es_szuleikkel (2019. 07. 25.)
National Media and Infocommunications Authority, Recommendation of
the Internet Roundtable for Children Protection on Alerts and Filtering Software
applicable in case of Harmful Internet Content and Services (Nemzeti Média
és Hírközlési Hatóság: A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal ajánlása
a kiskorúakra káros internetes tartalmak és szolgáltatások esetén alkalmazandó figyelemfelhívó jelzésekre és szűrőszoftverekre)
Report from the commission to the European parliament, the Council,
the ERuropean economic and social committee and the committee of the
Regions on the application of the Council Recommendation of 24 September 1998 concerning the protection of minors and human dignity and of
the Recommendation of the European Parliament and of the Council of
20 December 2006 on the protection of minors and human dignity and on
the right of reply in relation to the competitiveness of the European audiovisual and online information services industry-protecting children in the
digital world-/* COM/2011/0556 final */
Tasks and members of The Internet Roundtable for Children Protection (A
Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal feladata és tagjai) http://nmhh.hu/
cikk/162718/A_Gyermekvedelmi_Internetkerekasztal_feladata_es_tagjai
(2019. 07. 25.)
UN Committee on the Rights of the Child (CRC), General comment No. 7
(2005): Implementing Child Rights in Early Childhood, 20 September
2006, CRC/C/GC/7/Rev.1 https://www.refworld.org/docid/460bc5a62.html
(2019. 07. 25.)
United Nations Convention on the Rights of the Child.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
Arnaldo Morace Pinelli
Sommario: 1. Il diritto di conoscere le proprie origini nella legge sulle
adozioni. – 2. L’intervento della Corte costituzionale – 3. I progetti di
riforma dell’art. 28 l. adoz. – 4. L’intervento suppletivo della giurisprudenza – 5. I nodi ancora da sciogliere – 6. Il diritto a conoscere le proprie origini spetta anche ai nati da p.m.a.?
1. Il diritto di conoscere le proprie origini nella legge
sulle adozioni
Sino alla riforma del 2001 (l. 28 marzo 2001 n. 149), l’adozione legittimante
era incentrata sull’idea che l’interesse del minore si realizzasse attraverso
la sostituzione della famiglia d’origine con quella adottiva. Ciò postulava la recisione d’ogni legame giuridico con la famiglia d’origine1 e – per
quel che qui maggiormente interessa – la secretazione delle informazioni
relative all’identità dei genitori biologici. L’ordinamento si proponeva di
preservare la serenità del minore e dei genitori adottivi eliminando qualsiasi possibile interferenza dei genitori biologici, nella convinzione che
il rapporto di filiazione – e quindi quello adottivo, per imitazione della
natura – dovesse fondarsi sul carattere di esclusività del modello genitoriale. Una serenità, dunque, fondata sul segreto, ossia su una pietosa
bugia, sulla negazione di una parte del vissuto esistenziale del minore2.
1
Ai sensi dell’art. 27 1. 4 maggio 1983 n. 184 (l. adoz.), come novellato dal d.lgs. 28
dicembre 2013 n. 154, “per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel
matrimonio degli adottanti” (comma 1) e “con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato
verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali” (comma 3).
2
Cfr., per la ricostruzione di tale sistema, L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle
proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori
1012
The best interest of the child
La novella del 2001 ha radicalmente mutato siffatta impostazione,
riconoscendo il diritto del figlio a conoscere la propria condizione di
adottato e le proprie origini. Ciò in adesione all’autorevole orientamento dottrinale, che ha trovato piena attuazione nella recente riforma
della filiazione (la c.d. riforma Bianca), che pone il figlio al centro del
sistema, segnando il passaggio da una concezione del minore di tipo
paternalistico, quale soggetto incapace, mero destinatario di protezione, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere3.
Il diritto della persona di conoscere le proprie origini, già desumibile dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il
20 novembre 1989 (art. 7), e dalla Convenzione per la tutela dei minori
e la cooperazione in materia di adozione internazionale, sottoscritta
a l’Aja il 29 maggio 1993 (art. 30), “soddisfa un bisogno essenziale della
persona e può essere annoverato tra i diritti fondamentali dell’uomo”4. Esso
biologici, in Familia, 2006, p. 162 ss.; T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la
propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur., 2014,
p. 477 ss.; B. Checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle
proprie origini, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 709 ss.; A. Morace Pinelli, Il diritto di conoscere
le proprie origini e i recenti interventi della Corte costituzionale. Il caso dell’ospedale Sandro
Pertini, in Riv. dir. civ., 2016, p. 242 ss.; Id., Audizione alla Commissione Giustizia della
Camera dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it.
3
Osserva C.M. Bianca, in Filiazione. Commento al decreto attuativo. Le novità introdotte
dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, XVIII, che
“l’art. 315 bis, “Diritti e doveri del figlio”, stabilisce il principio secondo il quale
“il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente
dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle
sue aspirazioni”. Viene introdotta una nuova prospettiva, ignota alla tradizionale
nozione della potestà, che esalta il profilo dei diritti del figlio verso i genitori. Una
nuova prospettiva in cui il richiamo al rispetto delle capacità, delle inclinazioni
naturali e delle aspirazioni del figlio assume un significato più attento alla sua
personalità”. Cfr., sul punto, anche il nostro I provvedimenti concernenti i figli in
caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma
della filiazione, Padova, 2015, p. 667 ss., p. 689 ss. Su tale processo evolutivo cfr. M.
Bianca, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 173 (e
in Studi in onore di C.M. Bianca, II, Milano, 2006, 117 ss.); M. Sesta, Verso nuove
trasformazioni del diritto di famiglia italiano?, in Familia, 2003, p. 162 ss., secondo il
quale “si è oramai affermata una nuova considerazione della condizione del minore,
non più soggetto incapace mero destinatario di protezione, ma individuo titolare di
diritti soggettivi che l’ordinamento deve non solo riconoscere ma anche garantire e
promuovere”; P. Zatti, Familia, familiae - Declinazioni di un’idea. La privatizzazione
del diritto di famiglia, in Familia, 2002, p. 38, il quale pure pone l’accento sui diritti
della personalità del minore.
4
C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., La famiglia, Milano, 2017, p. 487. Secondo Corte
Edu, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli c./ Italia, in Fam. e
dir., 2013, p. 537 ss., il diritto a conoscere le proprie origini rientra nella sfera di
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1013
deve essere tenuto rigorosamente distinto dal diritto maggiore che di
regola l’assorbe, ossia dal “diritto allo status di figlio di colui dal quale la
persona è stata generata”5.
Per l’adottato, in particolare, la conoscenza delle origini soddisfa
l’esigenza di acquisire consapevolezza della propria identità familiare
e quando questo legittimo desiderio di conoscenza si manifesta il suo
appagamento condiziona lo sviluppo della sua personalità6.
Il nuovo diritto è stato configurato e disciplinato nell’art. 28 l. adoz.
novellato7, che, tuttavia, costituisce il frutto di un compromesso, risulapplicazione della nozione di “vita privata”, espressa dall’art. 8 Cedu. Ad avviso di
A. Nicolussi, Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi
giuridica di una possibilità tecnica, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione
italiana dei Costituzionalisti, fasc. n. 1/2012, p. 1 ss. Per un’analisi giuridica di una
possibilità tecnica, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione italiana dei
Costituzionalisti, fasc. n. 1/2012, p. 5 e 8, “il diritto di conoscere le proprie origini è
un diritto soggettivo che in generale spetta alla persona in quanto tale…Come diritto
della persona trova fondamento nell’art. 2 Cost., alla luce del carattere inviolabile del
diritto all’identità personale a anche nell’art. 3 Cost., in funzione del diritto al libero
sviluppo della persona”.
5
A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 8. Cfr., nella medesima prospettiva, M.
Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori. Riflessioni a margine della decisione
del tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, in Dir. fam., 2015, I, p. 199
ss., secondo la quale occorre distinguere nettamente il diritto a conoscere le proprie
origini dal diritto all’accertamento dello status, ossia all’identità filiale; Id., L’unicità
dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, cit., p. 21 ss.,
ove l’autrice puntualmente chiarisce che “il diritto all’identità genetica... non è un
diritto all’esercizio delle azioni di stato al fine di rimuovere il rapporto di filiazione.
Il diritto all’identità genetica è, infatti, … un diritto a conoscere le proprie origini
e quindi esso si sostanzia nel diritto della persona alla conoscenza delle proprie
origini. Diverso fondamento ha il diritto all’identità filiale, che è il diritto di ciascun
essere umano ad avere certezza sul proprio rapporto di filiazione.
6
A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 14, pone in luce come il legislatore, con la
riforma dell’art. 28 l. adoz., dimostra “la consapevolezza che l’anonimato dei genitori
biologici è un ostacolo alla libera costruzione della personalità dell’adottato”. Osserva
M. Sesta, Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medicalmente
assistita, in Corr. giur., 2004, p. 1406, come il diritto a conoscere le proprie origini “trovi
riconoscimento nelle scienze psicoanalitiche, che ammoniscono come anche il solo
sospetto di un segreto intorno alla propria nascita possa portare a gravi conseguenze
nello sviluppo psicologico del figlio, dal momento che gli è impedito risalire alle
radici della propria storia e, dunque, di svelare le fondamenta della propria identità”.
Nel medesimo senso, cfr. S. Patti, Sulla configurabilità di un diritto della persona di
conoscere le proprie origini biologiche, in Dir. fam., 1987, I, p. 1316.
7
Sul diritto a conoscere le proprie origini, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, p.
471 ss.; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 1 ss.; S. Patti, Sulla configurabilità,
cit., 1315 ss.; B. Checchini, Anonimato materno, cit., p. 709 ss.; M.R. Marella, Il diritto
dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche. Contenuti e prospettive, in Giur. it.,
2001, p. 1768; L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini, cit., p. 161 ss.; A
Figone, Sulla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato, in Fam. e dir., 2003, I,
1014
The best interest of the child
tando la norma, per taluni aspetti, ancora influenzata dalla precedente
impostazione, che fondava la famiglia adottiva sul segreto del fatto
dell’adozione, per preservarne l’unità e la serenità.
Essa prevede innanzitutto il dovere dei genitori di informare il “minore adottato” (dunque entro il diciottesimo anno d’età8) “di tale sua condizione… nei modi e nei termini che ritengono più opportuni” (comma 1).
Raggiunta l’età di venticinque anni “l’adottato… può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici” (comma 5). Il limite d’età risponde all’idea del legislatore che, in
assenza di una piena maturità, la conoscenza dell’identità dei genitori
biologici9 possa turbare l’equilibrio psico-fisico dell’adottato.
L’informativa può essere, peraltro, anticipata al raggiungimento
dei diciotto anni, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni,
“se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla … salute psico-fisica”
del figlio (comma 5)10.
Durante la minore età, in presenza di “gravi e comprovati motivi”
che – pur nel silenzio della norma – non possono che attenere alla
salute psico-fisica del minore11, su autorizzazione del medesimo giudice, “le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono
essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori”.
Tuttavia, sul presupposto che destinatario dell’informativa sia anche
il minore, essa “deve essere preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore” (comma 4). Sempre durante la minore
età, eccezionalmente, le medesime informazioni possono essere fornite al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario “ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia
p. 69; A. Liuzzi, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata quaestio,
in Fam. e dir., 2002, I, p. 89; E. Palmerini, Commento all’art. 24 l. 28 marzo 2001 n. 149,
in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001 n. 149),
Commentario, in N.l.c.c., p. 1011 ss.
8
Così A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 13, nota 50.
9
Come rileva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, “il diritto dell’adottato
si ferma alla conoscenza: incontrare e stabilire un contatto con i genitori biologici
costituiscono eventualità di mero fatto, non essendo contemplato né un diritto
alla ricostituzione di una relazione giuridica tra adottato e famiglia di sangue, né
un obbligo di quest’ultima di prestarsi a soddisfare con l’interesse conoscitivo
dell’adottato l’interesse all’incontro ed al dialogo”.
10
Quando, ad esempio, un intervento medico cui il figlio adottato si deve sottoporre
richiede la conoscenza di dati genetici del genitore biologico.
11
C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, in C.M. Bianca - F.D.
Busnelli (cur.), La protezione dei dati personali, Padova, 2007, II, p. 1395.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1015
grave pericolo per la salute del minore” (comma 4, ultima parte). Ciò, in
considerazione dell’urgenza, senza necessità di richiedere una previa autorizzazione al tribunale per i minorenni. Ovviamente siffatte
informazioni non possono essere rivelate dal medico al minore e ai
genitori adottivi.
Due ulteriori disposizioni contenute nell’art. 28 l. adoz. pongono
in luce la perdurante influenza, nel legislatore del 2001, dell’idea che
l’identificazione dei genitori biologici possa pregiudicare la serenità del minore e dei genitori adottivi, ritenuta un valore da tutelare.
Da un canto, l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini e
l’identità dei genitori è condizionato all’accertamento, da parte del
tribunale per i minorenni, “che l’accesso alle notizie… non comporti
grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente” (comma 6);12
dall’altro, l’autorizzazione giudiziale non è richiesta “per l’adottato
maggiore d’età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili” (comma 7).
L’art. 28 l. adoz. prevede, infine, un limite all’informativa, radicalmente esclusa “nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di
non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396” (comma 7). Soltanto trascorsi cento anni dalla nascita,
chi vi abbia interesse può chiedere copia integrale del certificato di
assistenza al parto e della cartella clinica, contenenti i dati identificativi della madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata [art.
93 d.lgs. 30 giu. 2003 n. 196 (c.d. Codice sulla privacy), comma 2]. Nelle
more può però essere richiesto l’accesso alle informazioni non identificative della madre ricavabili dal certificato di assistenza al parto
o dalla cartella clinica (i dati sanitari, sostanzialmente), a condizione
che vengano osservate “le opportune cautele per evitare che quest’ultima
sia identificabile” (art. 93 detto, comma 3)13.
12
Secondo C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, cit., p. 1396, la
norma deve essere interpretata nel senso che l’autorizzazione del tribunale per
i minorenni non è richiesta per l’adottato che abbia compiuto i venticinque anni.
Anche a nostro avviso è questa la soluzione preferibile ma la questione è controversa.
Cfr. la dottrina di segno contrario richiamata dal Bianca. A. Nicolussi, Fecondazione
eterologa, cit., p. 14, giudica discutibile “la singolare competenza del tribunale per i
minorenni a riguardo del maggiorenne infraventicinquenne”.
13
Osserva Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Foro it., 2014, I, p. 4, che deve
“essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più
moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”.
1016
The best interest of the child
2. L’intervento della Corte costituzionale
Del diritto a conoscere le proprie origini si è recentemente occupata
la Corte costituzionale affrontando il problema del suo bilanciamento
con il diritto all’anonimato spettante alla madre, così come risolto dal
comma 7 dell’art. 28 l. adoz.14 .
In termini generali, l’ambito della tutela del diritto all’anonimato della madre condiziona, in concreto, il soddisfacimento della contrapposta
aspirazione del figlio alla conoscenza delle proprie origini e viceversa.
Confermando l’orientamento espresso in una sua precedente sentenza15, la Corte costituzionale ha ribadito la prevalenza del primo
valore, atteso che la tutela dell’anonimato della madre è volta, da un
lato, ad assicurare che il parto avvenga nelle condizioni ottimali per lei
stessa e per il figlio e, dall’altro, a distoglierla “da decisioni irreparabili,
per quest’ultimo ben più gravi”, ossia dalla possibile scelta di abortire. La
salvaguardia della vita del neonato e della salute della madre costituiscono valori preminenti rispetto all’esigenza del figlio di conoscere le
proprie origini.
Tuttavia la Corte costituzionale, anche in adesione ad un orientamento della Corte di Strasburgo,16 ha giudicato l’attuale disciplina eccessivamente rigida, laddove non prevede la possibilità di revoca della
scelta della madre di restare anonima, rendendo il segreto intangibile:
“una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche una
definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”, risultando
la definitiva preclusione di una reciproca relazione di fatto tra la madre
biologica ed il figlio lesiva degli artt. 2 e 3 Cost.
La Corte costituzionale ha, dunque, rivolto al legislatore un duplice
invito. Da un canto, ad introdurre apposite disposizioni “volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di
non voler essere nominata”; dall’altro, “a cautelare in termini rigorosi il suo
diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adegua14
Si tratta di Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, cit.
15
Corte cost., 25 novembre 2005, n. 425, in Guida al dir., 2005, fasc. 47, p. 28.
16
Corte Edu, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli c./ Italia, cit.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1017
tamente le modalità d’accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di
tipo identificativo”, nell’ambito della superiore verifica.
3. I progetti di riforma dell’art. 28 l. adoz.
Sulla scorta di tale indicazione, nella passata legislatura la Camera
dei Deputati ha approvato un disegno di legge che modificava il comma
7 dell’art. 28 l. adoz. (S. 1978)17, introducendo, in favore della madre, la
facoltà di revocare mediante un atto formale la dichiarazione effettuata
alla nascita di non voler essere nominata, così da consentire al figlio l’accesso alle informazioni concernenti le proprie origini (art. 1, che novella
il comma 7 dell’art. 28 l. adoz.)18, ed, in mancanza di una siffatta revoca,
la possibilità per il figlio di interpellare la madre, per una sola volta,
per verificare se intendesse ancora mantenere l’anonimato (art. 1, che
introduce un nuovo comma 7 bis nell’art. 28 l. adoz.)19. Siffatto progetto
di legge condivideva l’opzione di fondo del nostro ordinamento di tutelare il diritto all’anonimato spettante alla madre20 in modo assoluto,21 sul
17
Il disegno di legge, approvato il 18 giugno 2015 ed unificante i disegni di legge C.
784, C. 1343, C. 1874, C. 1901, C. 1983, C. 1989, C. 2321 e C. 2351, era passato all’esame
del Senato della Repubblica (S. 1978) ma non è stato approvato.
18
“L’accesso alle informazioni è consentito nei confronti della madre che, avendo dichiarato
alla nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del regolamento di
cui al d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, abbia successivamente revocato tale dichiarazione o sia
deceduta. La revoca deve essere resa dalla madre con dichiarazione autenticata dall’ufficiale
dello stato civile, contenente le indicazioni che consentano di risalire al luogo e alla data
del parto nonché all’identità della persona nata. L’ufficiale dello stato civile trasmette senza
ritardo la dichiarazione di revoca al tribunale per i minorenni del luogo di nascita del figlio”.
19
“Su istanza dei soggetti legittimati ad accedere alle informazioni ai sensi dei commi 4 e 5, o
del figlio non riconosciuto alla nascita in mancanza di revoca della dichiarazione della madre
di non voler essere nominata, il tribunale per i minorenni, con modalità che assicurino la
massima riservatezza, avvalendosi preferibilmente del personale dei servizi sociali, contatta
la madre per verificare se intenda mantenere l’anonimato ai sensi dell’art. 30, comma 1, del
regolamento di cui al d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396. L’istanza può essere presentata, per una
sola volta, al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio”.
20
Sul tale specifica questione, in aggiunta agli autori citati alla superiore nota 7 , cfr.
anche S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della
famiglia: il dilemma del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Liber amicorum
per Dieter Henrich, I, Torino, 2012, p. 172 ss.; A. Renda, L’accertamento della maternità:
anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. e dir., 2004, p. 510 ss.; Id.,
L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008.
21
È noto che in taluni Paesi UE (ad es. in Germania) il diritto all’anonimato della
madre non è tutelato. È, peraltro, altrettanto noto che nei medesimi Paesi è acceso
il dibattito sulla validità della scelta compiuta. Cfr., per la puntuale ricostruzione
della problematica, S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto
europeo della famiglia, cit., p. 172 ss.
1018
The best interest of the child
presupposto – ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale – che
l’anonimato, in definitiva, salvaguardi la vita del nascituro, evitando la
possibilità dell’aborto, valore questo certamente preminente rispetto al
soddisfacimento dell’esigenza del figlio di conoscere le proprie origini22.
L’esigenza di tutelare la salute fisica del figlio nato, altro valore indubbiamente rilevante, non è di per sé in grado di scalfire tale bilanciamento, potendo essa essere garantita preservando, al contempo, l’anonimato della madre. Occorre, infatti, operare una netta distinzione
tra le informazioni relative all’identità della madre e quelle relative ai
suoi dati sanitari ed, eventualmente, genetici23. Già l’art. 93 del Codice
sulla privacy consente l’accesso ai dati sanitari della madre contenuti
nel certificato di assistenza al parto e nella cartella clinica quando sia
in gioco la salute del figlio, osservando, peraltro, “le opportune cautele per evitare” che la madre sia identificabile24. Ove i dati raccolti non
siano sufficienti, in concreto, per la tutela della salute del figlio, l’identificazione della madre potrebbe essere consentita al responsabile
di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, estendendo la
previsione del comma 4 dell’art. 28 l. adoz. Occorre, peraltro, tenere
presente che l’identificazione della madre ad opera dei sanitari, tenuti
al segreto, potrebbe risultare inutile, non potendosi costringerla a sottoporsi a prelievi medici o esami genetici (art. 32 Cost.).
4. L’intervento suppletivo della giurisprudenza
Il progetto di legge S. 1978 non è stato approvato ed è decaduto con la fine della legislatura. Nella delicata materia, peraltro, è
intervenuta la Corte di Cassazione, muovendosi lungo il percorso
tracciato dalla Corte costituzionale. Ribadito il fondamento costituzionale del diritto a conoscere le proprie origini (artt. 2 e 3 Cost e
22
Cfr., peraltro, A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 14, il quale giudica la ratio della
tutela dell’anonimato della madre, “storicamente risalente e collegata alla tradizione
della cosiddetta ruota degli esposti, di evitare possibili aborti e infanticidi, una ratio
piuttosto anacronistica e discutibile, salvo ipotesi particolari e legate a situazioni di
grave disagio che potrebbero essere meglio affrontate con misure ad hoc”.
23
Per la necessità di differenziare le informazioni relative all’identità della madre da
quelle biologiche e sanitarie, diversificando le modalità di accesso alle stesse, cfr. B.
Checchini, Anonimato materno, cit., § 4 e 5.
24
In generale, osserva C.M. Bianca, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera
dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it, che “l’accesso ai dati clinici
dovrebbe essere consentito con la massima libertà, perché i dati clinici sono dati che
per definizione non valgono a identificare la persona”.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1019
8 Cedu), richiedendo lo sviluppo della personalità individuale “la
costruzione di una propria identità individuale fondata, oltre che su un
contesto parentale affettivo-educativo riconoscibile, anche su informazioni
relative alla propria nascita idonee a svelarne il segreto unitamente alle
ragioni dell’abbandono”25, il giudice di legittimità ha ritenuto che, in
caso di parto anonimo, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità
per il giudice, su richiesta del figlio che intende conoscere le proprie
origini ed accedere alla propria storia parentale, di interpellare la
madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione26. Ciò, peraltro,
con modalità procedimentali idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna27 e “fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la
dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità”28. Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini è garantito anche nel
caso in cui non sia più possibile procedere all’interpello della madre
“naturale”, perché questa non sia più in vita. Secondo il giudice di
legittimità, infatti, il diritto all’anonimato della madre si estingue
con la sua morte29. Esso deve essere però esercitato nel rispetto della
identità sociale eventualmente costruita in vita dalla donna, ossia
25
Cass., 9 novembre 2016, n. 22838.
26
Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Fam. e dir., 2017, p. 372.
27
La Corte di cassazione indica il procedimento di cui all’art. 2, commi 5 e 6, l. n.
184/1983, innanzi al tribunale dei minorenni ove il figlio risiede, con “i previ necessari
adattamenti, necessari ad assicurare in termini rigorosi la riservatezza della madre” (Cass.,
s.u., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit.; Cass., 7 giugno 2017, n. 14162).
28
Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit.; Cass., 7 giugno 2017, n. 14162.
29
Cass., 9 novembre 2016, n. 22838, secondo la quale “l’irreversibilità del segreto
sull’identità della madre naturale non è più compatibile con l’attuale configurazione
del diritto all’identità personale, così come desumibile dall’interpretazione integrata
dell’art. 2 Cost. e 8 Cedu, nella parte in cui tutela il diritto alla vita privata. Lo
sbarramento temporale imposto dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, alla rivelabilità
dell’identità della donna che ha scelto l’anonimato al momento della nascita del figlio,
non è temperato, nella specie, dalla possibilità di verifica della eventuale sopravvenuta
volontà di revoca della scelta compiuta alla nascita. L’interpretazione della norma che
identifichi nell’intervenuta morte della donna, un ostacolo assoluto al riconoscimento
del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell’adottato, determinerebbe
un’ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati da donne che hanno scelto
l’anonimato ma non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpellate
sulla reversibilità della scelta operata alla nascita. Tale opzione ermeneutica sarebbe,
inoltre, viziata di irragionevolezza perché sottoporrebbe il riconoscimento e l’esercizio
1020
The best interest of the child
senza cagionare danno, “anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali
terzi interessati (discendenti e/o familiari)”30.
La giurisprudenza ha, infine, risolto un’ulteriore questione che si
agitava in dottrina, attinente al contenuto stesso del diritto. Ci si interrogava, infatti, se nel diritto a conoscere le proprie origini rientrasse
anche quello di conoscere l’esistenza e l’identità di eventuali fratelli e
sorelle biologici31. Tanto più che il nuovo art. 315 bis c.c. ha inserito tra
i diritti fondamentali del minore quello “di mantenere rapporti significativi con i parenti”32.
In via teorica, l’obbligo di informare i figli della propria condizione
di adottati dovrebbe garantire che anche i fratelli biologici, perlomeno
se maggiorenni33, siano già a conoscenza della loro analoga condizione.
Con la massima “delicatezza” e “riservatezza”, era stato, dunque, ipotizzato un contatto, mediato dall’autorità giudiziaria, allo scopo di evitare
un’irruzione nella vita di altre persone “con una storia antica, magari mal
vissuta da uno dei fratelli, mentre gli altri vivono serenamente la loro vita”34.
Una recente pronuncia di legittimità ha affermato che l’adottato,
che abbia compiuto i venticinque anni d’età, ha diritto di conoscere
le proprie origini anche accedendo alle informazioni concernenti le
sorelle e i fratelli biologici adulti, previo loro interpello, mediante
procedimento giurisdizionale idoneo a garantire loro la massima sicurezza ed il rispetto della dignità, al fine di acquisirne il consenso
all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, ostativo all’esercizio del diritto. Il positivo esercizio di tale diritto esclude,
di un diritto della persona di primario rilievo ad un fattore meramente eventuale
quale quello del momento in cui si chiede il riconoscimento del proprio diritto”.
30
Cass., 9 novembre 2016, n. 22838.
31
Cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 482 e 486. La proposta di legge C.
1983, d’iniziativa del deputato Cesaro + altri, prevedeva, in favore dell’adottato, la
possibilità di acquisire – tra l’altro – informazioni concernenti “l’identità di eventuali
fratelli e sorelle”.
32
Per la valorizzazione della nuova norma, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit.,
p. 482.
33
L’informativa deve essere fornita al “minore adottato” (art. 28, comma 1), dunque
entro il compimento del diciottesimo anno d’età.
34
Così M. Cavallo, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 3
giugno 2014, in www.camera.it.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1021
peraltro, l’insorgere di alcun vincolo di parentela o relazionale con i
fratelli e le sorelle biologiche35.
5. I nodi ancora da sciogliere
Nella prospettiva che abbiamo indicato, ulteriori modifiche dell’art.
28 l. adoz. s’imporrebbero rispetto a quelle individuate dal legislatore
ed introdotte dalla giurisprudenza, ad iniziare da una più compiuta
definizione del dovere d’informativa gravante sui genitori adottivi36.
Il primo comma dell’art. 28 l. adoz. prevede un generico obbligo a
carico dei genitori adottivi di informare il minore circa la sua condizione di adottato e l’informativa è prodromica all’esercizio del diritto del
figlio a conoscere le proprie origini.
Si ritiene che essa debba essere fornita nei primi anni di vita, affinché non risulti traumatica per il minore e preservi il rapporto con
i genitori adottivi37. La storia delle origini deve essere una storia condivisa all’interno della famiglia adottiva. Al contrario, un’informativa
in età adolescenziale, magari acquisita aliunde, potrebbe far sentire il
minore ingannato, con il rischio che si verifichi un’irreparabile frattura
con i genitori adottivi, che lo hanno tenuto all’oscuro della sua condizione di adottato, decidendo in sua vece il rifiuto di qualsiasi rapporto
con i genitori biologici. Il segreto, nella mente dell’adolescente, anziché
mezzo per la conservazione della personale serenità esistenziale, può
significare imperdonabile inganno38.
35
Cass., 20 marzo 2018, n. 6963, secondo la quale un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 28, comma 5, l. adoz., impone di “valorizzare il richiamo testuale al
diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre
ai genitori biologici, in particolare nell’ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi,
anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorché non espressamente
menzionati dalla norma, la natura del diritto e la funzione di primario rilievo
nella costruzione dell’identità personale che viene riconosciuta alla scoperta della
personale genealogia biologica-genetica, induce ad accogliere tale interpretazione
estensiva”.
36
Cfr., sul punto, il nostro Sul diritto alla conoscenza delle proprie origini, cit., p. 253 ss.
37
Rileva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 13, che l’informativa prescritta dal
primo comma dell’art. 28 l. adoz. non solo preserva il diritto del figlio all’identità
personale ma gli evita anche “il trauma conseguente ad un apprendimento casuale
della propria condizione adottiva”.
38
Osserva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, che la conoscenza delle
proprie origini da parte dell’adottato “può giovare anche sul piano del rapporto
con i genitori adottivi rafforzando la costruzione della fiducia, la quale presuppone
sincerità e autenticità, non finzioni e segreti”.
1022
The best interest of the child
Il dovere di informativa a carico dei genitori adottivi, quasi sempre
impreparati e lasciati soli nella gestione del difficile rapporto con il minore, deve essere meglio regolamentato. Già nella fase dell’affidamento
preadottivo e, comunque, nel corso del procedimento di adozione, i genitori adottivi dovrebbero essere coadiuvati dagli psicologi dei servizi
sociali, in grado di spiegare loro come e quando informare il minore
della sua condizione di adottato. Inoltre dovrebbe essere consentito ai
genitori adottivi di poter accedere a forme di consulenza e supporto
psicologico nel momento in cui l’informativa avvenga.
Ma il vero problema che deve essere affrontato è quello dell’opportunità, in punto di legittimazione ad agire, di riconsiderare gli attuali
limiti d’età ed i vincoli formali che condizionano l’esercizio del diritto
a conoscere le proprie origini39.
Ferma la tutela dell’anonimato della madre, siffatte limitazioni non
sono giustificabili. Esse sono state poste in un’ottica compromissoria,
nella perdurante influenza dell’idea che la conoscenza dell’esistenza
dei genitori biologici, di un precedente vissuto, possa turbare la serenità del minore adottato e – come si evince dal comma 8 dell’art. 28 l.
adoz. – degli stessi genitori adottivi.
Non è ragionevole, innanzitutto, il limite d’età (venticinque anni,
riducibili a diciotto, se sussistono “gravi e comprovati motivi attinenti alla
sua salute psico-fisica”, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni, chiamato a valutare che “l’accesso alle notizie… non comporti grave
pregiudizio all’equilibrio psico-fisico del richiedente”: commi 5 e 6). Con la
Raccomandazione 1443 (2000) del 26 gennaio 2000 “Per il rispetto dei diritti del bambino nell’adozione internazionale”, l’Assemblea parlamentare
del Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati ad “assicurare il diritto dei
bambini adottati a sapere delle proprie origini al più tardi al raggiungimento
della maggior età e ad eliminare dalla legislazione ogni clausola contraria”40.
Indipendentemente da tale autorevole richiamo, in via generale,
quando è in gioco l’esercizio di un diritto fondamentale della persona
e la tutela della sua sfera esistenziale, ogni limite alla capacità di agire,
39
In senso critico, su siffatte limitazioni, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit.,
p. 482 ss., nonché 486; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14; C.M. Bianca,
Audizione, cit.
40
Siffatta Raccomandazione è richiamata nella motivazione della sentenza della Corte
Europea dei diritti dell’uomo, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli
c./ Italia, cit.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1023
dopo il compimento del diciottesimo anno d’età, appare irragionevole,
frutto di una visione paternalistica ormai superata.
Se riteniamo che l’informativa al minore sulla sua condizione di
adottato costituisca un valore e condividiamo che essa debba essere
fornita in tenera età, non è ragionevole che un soggetto informato, che
voglia conoscere le proprie origini, debba attendere il compimento del
venticinquesimo anno d’età. Ci dicono gli psicologi che l’attesa, in siffatte situazioni, potrebbe addirittura compromettere l’equilibrio psicofisico dell’adottato ed il rapporto con i genitori adottivi41.
Per tale motivo, in taluni ordinamenti, il diritto a conoscere le proprie origini è esercitabile, addirittura, durante la minore età42, come del
resto prescrive tra le righe la Raccomandazione UE sopra richiamata43.
Il diciottesimo anno, quale limite d’età per l’esercizio del diritto, potrebbe costituire una giusta soluzione intermedia, a condizione che,
contestualmente, venga eliminata la necessità dell’autorizzazione del
tribunale per i minorenni. Salvo il rispetto dell’anonimato della madre,
a nostro avviso, a diciotto anni, il figlio che vuole sapere deve poter
conoscere le proprie origini44.
41
Cfr, sul punto, A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, secondo il quale
“il divieto di accesso lacera il figlio adottivo tra la consapevolezza di essere stato
adottato (poiché la legge, grazie all’informazione sulla condizione di adottato,
intende evitare l’illusione di identificare i genitori adottivi con quelli biologici) e
l’impossibilità di conoscere l’identità dei procreatori: il rischio è che il segreto sulle
proprie origini esacerbi la relazione con i genitori adottivi”.
42
Si legge nel parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011,
intitolato Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita
eterologa (in http://www.governo.it/bioetica/pareri_abstract/Conoscere_le_proprie_
origini_biologiche_nella_procreazione_medicalmente_assistita_eterologa25112011.
pdf), alla nota 19, che la legge sull’adozione francese consente “anche al minore, che
ha raggiunto l’età di discernimento attraverso il rappresentante legale, di ottenere
che gli sia rivelata l’identità della donna che non lo aveva riconosciuto alla nascita, a
condizione che quest’ultima rinunci al mantenimento della segretezza del parto”.
43
Da tempo autorevole dottrina afferma che i diritti fondamentali della persona spettano
anche al minore d’età e che questi, se capace di discernimento, li può esercitare
autonomamente (C.M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano,
2002, p. 236 ss.). I diritti della personalità non ammettono, infatti, rappresentanza.
La recente riforma della filiazione ha riconosciuto la validità di questa impostazione,
scolpendo nell’art. 315 bis c.c. lo statuto dei diritti fondamentali del minore e
ricomprendendo, tra questi, il diritto del minore, capace di discernimento, ad essere
ascoltato sulle questioni e nei procedimenti che lo riguardano. Cfr., sul punto, il
nostro I provvedimenti concernenti i figli, cit., p. 733 ss., ed ivi ulteriori riferimenti.
44
Anche A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, giudica discutibile “il
rigido riferimento ai venticinque anni (ben sette dopo la maggiore età) e la
singolare competenza del Tribunale per i minorenni a riguardo del maggiorenne
infraventicinquenne”. Cfr. anche C.M. Bianca, Audizione, cit.: “C’è una ragionevole
1024
The best interest of the child
In tale prospettiva deve essere abrogato anche il comma 8 dell’art.
28 l. adoz., che non richiede l’autorizzazione del tribunale per i minorenni quando l’adottato sia maggiore d’età ed i genitori adottivi siano
deceduti o divenuti irreperibili45. Tale disposizione – come abbiamo rilevato – rivela come i limiti all’esercizio del diritto del figlio a conoscere
le proprie origini siano stati ingiustificatamente posti anche a tutela
dei genitori adottivi.
Autorevole dottrina auspica, infine, di prevedere espressamente il
diritto dei discendenti dell’adottato a conoscere l’identità degli ascendenti46. E ciò non a titolo ereditario, ma iure proprio, costituendo interesse essenziale della persona del discendente conoscere le proprie
origini familiari, quale primo passo, eventualmente, per l’instaurazione di una relazione affettiva con l’ascendente47. Anche di tale aspetto
occorrerebbe tenere conto nella riforma dell’art. 28 l. adoz.
6. Il diritto a conoscere le proprie origini spetta anche
ai nati da p.m.a.?
È noto che la Corte costituzionale ha ammesso la fecondazione assistita di tipo eterologo, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle
norme che la vietavano48. È dunque ineludibile domandarsi se il diritto
a conoscere le proprie origini debba essere riconosciuto anche al figlio
della coppia che si sia sottoposta a un siffatto trattamento medico.
La questione, particolarmente controversa49, a nostro avviso deve
essere affrontata considerando, da un canto, il peculiare contenuto
richiesta da parte della dottrina di eliminare il riferimento ai venticinque anni. Tale
riferimento non sta in piedi da nessuna parte. Non c’è ragione per cui la persona che
ha già raggiunto la maggiore età non possa accedere alla conoscenza dei dati dei
genitori biologici”.
45
Cfr. in tal senso anche T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 483 ss., nonché p.
486.
46
La proposta di legge C. 1983, d’iniziativa del deputato Cesaro + altri, prevedeva
l’introduzione nell’art. 28 l. adoz. di un comma 9, secondo il quale “le facoltà attribuite
all’adottato dalle disposizioni dei commi 5, 6, 7 e 8 possono essere esercitate dai suoi
diretti discendenti dopo la sua morte”.
47
C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, cit., p. 1399 ss.; Id., Audizione, cit.
48
Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Foro it., 2014, I, p. 2324, con nota di G. Casaburi.
49
Anche all’interno del Comitato nazionale per la bioetica i contrasti sono stati
particolarmente accesi. Cfr. il parere del 25 novembre 2011, cit. In senso favorevole
a riconoscere il diritto anche al nato da fecondazione eterologa, cfr. C.M. Bianca,
Audizione, cit.: “Mi chiedo, su un piano strettamente giuridico, come si possa vietare
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1025
del diritto a conoscere le proprie origini e le ragioni del suo riconoscimento all’adottato; dall’altro, lo stesso fondamento della filiazione
da p.m.a., in alcun modo equiparabile all’adozione con riguardo alla
relazione figlio-genitore biologico50.
Nel nostro ordinamento, il diritto a conoscere le proprie origini, riconosciuto all’adottato, è essenzialmente diritto alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici (art. 28 l. adoz.)51. Nell’adozione esiste un
passato, un vissuto, una relazione che lega indissolubilmente il figlio
a tali soggetti. Egli è stato da loro concepito, la sua vita è sorta e la sua
persona si è formata nel grembo della madre biologica, con cui ha instaurato la prima relazione esistenziale, talvolta ha anche vissuto con i
genitori biologici per un periodo non irrilevante, prima del sopravvenire della situazione di abbandono.
La ricerca di questa relazione, che in definitiva è ricerca di una genitorialità, archetipa e reale, da essa supportata, contribuisce alla formazione e allo sviluppo della personalità dell’adottato e costituisce
un valore, giuridicamente rilevante, che l’ordinamento è chiamato a
al figlio di conoscere il donatore. Sulla base di quale argomento, quando da più parti,
a cominciare dall’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, si dice che
ogni essere umano ha diritto a conoscere le proprie origini”; M. Bianca, L’unicità dello
stato di figlio, cit., p. 23; Id., Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 201; G.
Chiappetta, L’azione di contestazione dello stato di figlio (artt. 240 e 248), in C.M. Bianca
(cur.), La riforma della filiazione, cit., p. 448 ss.; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit.,
p. 15 ss.; L. Lenti, Adozione e segreti, in N.g.c.c., 2004, II, p. 236 ss.
50
Cfr. il parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011, cit.,
§ 5, ove si afferma la profonda differenza fra adozione e p.m.a. e la loro non
equiparabilità: “Se nel caso dell’adottato si può parlare di una “storia” familiare
prima dell’abbandono, è fuorviante usare questo termine per il semplice patrimonio
genetico derivato dall’offerta di gameti. L’accesso alle proprie radici ha dunque
un ben diverso significato per il nato adottato… parlare di “storia” familiare per il
nato da p.m.a. o anche di paternità/maternità in riferimento a donatore/donatrice,
riferendosi all’apporto genetico, rischia di ridurre la genitorialità alla dimensione
meramente biologica”.
51
È interessante notare come le convenzioni internazionali da cui si desume il diritto
della persona a conoscere le proprie origini fanno comunque riferimento alla “ricerca”
di figure genitoriali, cui il donatore dei gameti – per quanto detto – non è riconducibile.
L’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989),
stabilisce che il fanciullo ha diritto “a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da
essi”. L’art. 30 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia
di adozione internazionale (l’Aja, 29 maggio 1993) prevede che “le autorità competenti
di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle
origini del minore, in particolare quelle relative all’identità della madre e del padre…
Le medesime autorità assicurano l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali
informazioni…”. Anche nell’art. 28 l. adoz., l’essenza del diritto spettante al figlio è la
conoscenza dell’identità dei genitori biologici.
1026
The best interest of the child
tutelare, giustificando il riconoscimento, in suo favore, del diritto alla
conoscenza dell’identità dei genitori biologici, propedeutico, potenzialmente, anche al recupero della relazione perduta.
Tutto questo manca nella fecondazione assistita eterologa. Qui non
c’è un genitore da ritrovare, ma il nudo nome di un donatore di gameti,
che non vuole e non può, in base alla legge, instaurare alcun rapporto
giuridico con il nato52, e questo vuoto giuridico è alla base della regola
del suo anonimato53. Tale soggetto si limita a donare (talvolta, a vendere54) spermatozoi o ovociti, e spermatozoi ed ovociti, singolarmente
considerati, non danno neppure inizio alla vita umana. Una siffatta
donazione non costituisce titolo di paternità o di maternità55 e, social52
L’art. 9, comma 3, l. n. 40/2004, stabilisce che “in caso di applicazione di tecniche di tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce
alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun
diritto né essere titolare di obblighi”. Osserva M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, p.
cit., 19, che “difetta di autoresponsabilità nella filiazione il soggetto che abbia donato
i propri gameti e in questo senso appare giustificata la regola secondo la quale “il
donatore non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far
valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi””.
53
Pur non prevista dalla l. 19 febbraio 2004 n. 40, la regola dell’anonimato del donatore
si ricava in via interpretativa dall’assenza di una relazione parentale tra il nato e
il donatore (art. 9 detta). Cfr., in tal senso, M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio,
cit., p. 19, secondo la quale la previsione dell’anonimato del donatore realizzerebbe
anche “un’altra esigenza fondamentale del minore, che è quella ad avere una
serenità esistenziale ed affettiva. Se il donatore non fosse anonimo, la crescita del
minore potrebbe essere turbata dalla presenza di soggetti che, se pure parte del suo
patrimonio genetico, per legge non sono i genitori, ruolo riservato ai genitori che
hanno espresso la volontà di sottoporsi alla tecnica di fecondazione eterologa, in
quanto impossibilitati ad essere genitori in natura”.
54
A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 12, osserva che “non è infrequente
registrare forme di compenso o di vera e propria retribuzione per la cessione dei
gameti che rendono fuorviante la stessa espressione “donatore””.
55
Cfr. A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista,
in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 500: “Noi riteniamo che il generico datore di seme non
possa, solo per questo, essere anche distributore di paternità. È da ritenere che se
il produttore di seme rimane estraneo all’impiego che altri ne faccia non diventi
padre… Pensiamo, del resto, al solo fatto che da un solo donatore potrebbero essere
tratti elementi fecondanti per centinaia di gravidanze, e non si potrà sostenere che lo
stesso uomo porti con sé nella vita carovane di figli soltanto perché ha consentito a
estrazioni di seme dai suoi organi”; M. Comporti, Ingegneria genetica e diritto: profili
costituzionali e civilistici, in Manipolazioni genetiche e diritto, Milano, 1984, p. 175:
“L’atto di donazione in sé e per sé del seme e dell’ovulo o dell’embrione sembra
avere, secondo l’ordinamento giuridico, le conseguenze limitate proprie della
donazione, senza dar luogo agli ulteriori effetti della instaurazione di rapporti di
paternità o maternità naturale giuridicamente rilevanti… Il donatore offre i mezzi
perché un figlio sia procreato, ma non è lui che pone in essere gli interventi con i
quali la procreazione del figlio direttamente si produce”.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1027
mente, integra un atto di “solidarietà”, un aiuto a procreare offerto ad
una coppia sterile56. In definitiva, il ricorso ai gameti di un donatore è
riconducibile ad una cura medica, appartenente alla sfera più intima
della coppia che li richiede57.
In effetti, la filiazione da p.m.a. – come si evince dal combinato disposto degli artt. 6, 8 e 9 l. 19 febbraio 2004 n. 40 ed è stato recentemente affermato dalla Corte di cassazione58 – si fonda sull’autodeterminazione e sulla responsabilità della coppia che decide di ricorrere
alla fecondazione assistita ed, in particolare, sul consenso che ad essa
presta59. Nel sistema della legge, tale consenso è determinativo della
maternità, della paternità e dello stato di figlio (art. 8). L’avere fondato la filiazione da p.m.a. sul principio di autoresponsabilità e sul
consenso della coppia che ad essa si sottopone spiega perché, in caso
56
Il ricorso alla p.m.a. presuppone la diagnosi di una patologia che sia causa di sterilità
o infertilità assolute ed irreversibili (art. 4, comma 1, l. n. 40/2004).
57
Cfr., in tal senso, E. Palmerini, Commento, cit., p. 1052.
58
Cass., sez. I, 15 maggio 2019 n. 13000, ma anche Cass., S.U., 8 maggio 2019, n.
12193, laddove precisa che la disciplina della procreazione assistita ruota intorno
al “principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica”.
Entrambe in Foro it., 2019, I, p. 1951, con nota di G. Casaburi.
59
Cfr., in tal senso, il nostro Il diritto di conoscere le proprie origini, cit., p. 259 ss.; A.
Trabucchi, Procreazione artificiale, cit., p. 499 ss.; P. Rescigno, Relazione di sintesi, in
G. Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, Padova, 1989, p. 199; S.
Rodotà, Diritti della persona, strumenti di controllo sociale e nuove tecnologie riproduttive,
in G. Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, cit., p. 138; M. Bianca,
L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 18 ss., secondo la quale “uno dei principi portanti
e caratteristici della filiazione derivante da tecniche di procreazione medicalmente
assistita…, rispetto a quella biologica è il principio di autoresponsabilità della
filiazione. Tale principio si coglie nell’atto di consenso alla fecondazione assistita
ed è proprio tale preventiva assunzione di autoresponsabilità del futuro rapporto
di filiazione che segna la distinzione tra filiazione biologica e filiazione artificiale”;
L. Gatt, Memento mori. La ragion d’essere della successione necessaria in Italia, in Fam.,
pers. e successioni, 2009, p. 546, la quale osserva che le moderne tecnologie procreative
hanno determinato “una recisione del legame tra procreazione e vincolo di sangue
attraverso l’affermarsi del contratto quale strumento di costituzione del rapporto
genitoriale tra soggetti determinati. Il legame genitoriale nasce indipendentemente
dalla procreazione” e il rapporto genitoriale è costruito sulla volontà. Si veda anche
Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., la quale, chiarito che la scelta della coppia
che ricorre alla procreazione medica assistita eterologa “costituisce espressione della
fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi…, riconducibile agli artt. 2 e
31 Cost.”, sottolinea “la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare
genitori e di formare una famiglia”. Il fondamento consensualistico della filiazione
da p.m.a. è chiaramente espresso dall’art. 8 l. n. 40/2004, ove si afferma con fermezza
che “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha
espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime…”.
1028
The best interest of the child
di fecondazione eterologa, è preclusa al coniuge o al convivente della
partoriente, rispettivamente, l’azione di disconoscimento di paternità
e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (art. 9,
comma 1) e perché, più in generale, lo stato di figlio si acquista ex lege,
senza che la madre possa pretendere di restare anonima (art. 9, comma
2) e senza necessità di un atto di riconoscimento del nato, quando la
coppia genitoriale non è unita in matrimonio (art. 8 detta)60. Siffatte
regole, nella loro integrità, sono certamente applicabili anche alla fecondazione eterologa, ritenuta dalla Corte costituzionale una species
del genus procreazione medicalmente assistita61.
Le nuove tecnologie riproduttive impongono, infatti, un mutamento delle categorie culturali e la caduta del divieto di fecondazione eterologa dimostra, in particolare, l’inesistenza di un diritto del figlio alla
corrispondenza tra identità genetica e identità sociale62 (la divaricazio60
Cfr. P. Rescigno, Una legge annunciata sulla procreazione assistita, in Corr. giur., 2002, p.
983 ss.: “Coerente con il principio dell’autoresponsabilità che si esercita e, meglio, si
assume mediante le tecniche richieste ed eseguite può invece considerarsi il divieto
di anonimato per la madre. Ad essa si vuole dunque precludere la dichiarazione di
non volere essere nominata, in deroga ad una generale libertà che pure è oggetto,
e non da epoca recente, di obiezioni critiche e di proposte modificative”. Cfr., nel
medesimo senso, M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 18 ss.
61
Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., ha chiarito che i profili concernenti “lo stato
giuridico del nato ed i rapporti con i genitori sono anch’essi regolamentati dalle
pertinenti norme della l. n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da p.m.a. di tipo
eterologo in forza degli ordinari canoni ermeneutici. La costatazione che l’art. 8, comma
1, detta legge contiene un ampio riferimento ai “nati a seguito dell’applicazione delle
tecniche di procreazione medicalmente assistita”, in considerazione della genericità di
quest’ultima locuzione e dell’essere la p.m.a. di tipo eterologo una species del genus…,
rende infatti chiaro che, in virtù di tale norma, anche i nati da quest’ultima tecnica
“hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha
espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. In dottrina, cfr. C. Ciraolo,
Brevi note in tema di procreazione medicalmente assistita e regole determinative
della genitorialità, in Jus civile, 2014, p. 487.
62
Nella vigenza del divieto di fecondazione eterologa, cfr. M. Sesta, Dalla libertà ai
divieti, cit., p. 1406 ss., secondo il quale “la peculiarità della fecondazione eterologa…
è, a ben vedere, quella di dar vita ad una scissione tra identità sociale ed identità
biologica del nato, il quale acquisisce il medesimo status che competerebbe ad
un figlio concepito naturalmente e vede così negato, sul piano sociale e legale, il
proprio legame con colui che l’ha generato. Viene così misconosciuto in radice il
diritto all’identità biologica, cioè quello di avere per genitori coloro che tali sono
biologicamente. Il divieto legislativo della fecondazione eterologa potrebbe
manifestare, quindi, il rifiuto dell’ordinamento di consentire la creazione di un
“falso” rapporto di discendenza, cosicché il divieto medesimo troverebbe un
fondamento nell’art. 2 Cost., qualificando la corrispondenza tra identità genetica
e identità sociale della persona quale originario diritto alla personalità”. Ritiene
esistere un “diritto inviolabile della persona umana di conseguire uno status
filiationis corrispondente alla reale derivazione biologica (diritto alla paternità ed
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1029
ne tra verità genetica e stato di filiazione costituisce la regola di una
filiazione radicata sul consenso63) e l’evanescenza di una pretesa alla
genitorialità fondata solo sulla discendenza biologica64.
Il donatore di gameti non vuole la genitorialità ed anche se la volesse gli sarebbe preclusa. Ciò, come è stato autorevolmente rilevato, rivela un profondo mutamento delle premesse concernenti la genitorialità:
non si guarda più ad un modello (genitore è colui che genera) “ma si
chiede se una specifica esperienza crei un interesse meritevole” a divenire
padre o madre65. Nel nostro ordinamento, la mera donazione di gameti
non determina l’insorgenza di un siffatto interesse.
Alla luce di tali considerazioni, si deve a nostro avviso escludere
l’esistenza di un diritto del nato a conoscere l’identità del donatore dei
gameti, difettando un interesse giuridicamente apprezzabile da porre
a fondamento del suo riconoscimento.
La mancanza di qualsiasi relazionalità, giuridica ed esistenziale,
elemento portante della genitorialità e alla base del riconoscimento
all’adottato del diritto a conoscere l’identità dei genitori biologici66,
rende privo di giustificazione, in favore del nato da p.m.a., il diritto a
conoscere le proprie origini. La ricerca del nudo nome del donatore di
gameti – che genitore non è mai stato e non può essere – soddisfa, in
alla maternità biogenetica)”, A. Guastapane, La procreazione con metodi artificiali nella
prospettiva costituzionale, in Dir. e soc., 1996, I, p. 201 ss.
63
Cfr. M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 20, secondo la quale “nella fecondazione
eterologa, così come nel rapporto di filiazione adottiva, il disallineamento tra verità
genetica e stato di filiazione è strutturale e rappresenta la diversità e il proprium di
questi modelli di instaurazione del rapporto di filiazione”. Della stessa autrice cfr.
anche Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 200 ss.
64
P. Zatti, Il diritto della filiazione: dal dominio dei modelli al problema degli interessi, in
A. Belvedere - C. Granelli (cur.), Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, Padova,
1996, p. 91.
65
Cfr. P. Zatti, Il diritto della filiazione, cit., p. 91, con riguardo alla paternità.
66
Cfr., in tal senso, E. Palmerini, Commento, cit., p. 1052, secondo la quale “il ricorso
ai gameti di un terzo donatore… non pare elemento altrettanto significativo per la corretta
formazione dell’identità personale del nato”.
1030
The best interest of the child
definitiva, una mera curiosità67, che non appare meritevole di tutela68,
anche all’esito del bilanciamento con i confliggenti interessi di cui sono
portatori gli altri soggetti coinvolti nella p.m.a. Primo fra tutti, l’interesse del donatore a restare anonimo e a non avere alcun rapporto con
il nato, dalla cui protezione dipende anche l’effettiva praticabilità della
fecondazione eterologa69 e, di riflesso, la realizzazione della “fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” della coppia che, attraverso il
ricorso a tale tecnica medica, sceglie “di formare una famiglia che abbia
anche dei figli” (libertà che la Corte costituzionale riconduce agli artt.
2, 3 e 31 Cost., “poiché concerne la sfera privata e familiare”)70, nonché la
tutela del diritto alla salute della coppia medesima71.
È del resto fisiologico “estraniare il donatore da quella vita rispetto alla
quale egli stesso si è volontariamente estraniato”, considerando “senz’altro
la donazione anonima come un vero e proprio atto di abbandono di una parte
del proprio corpo che viene affidato al donatario”72.
In effetti, le conseguenze negative dell’assolutizzazione del diritto
di conoscere le proprie origini sono state da tempo poste in luce da autorevole dottrina. Essa implica l’irrompere nelle relazioni sociali della
67
Cfr. il parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011, cit.,
§ 5: “Occorre chiedersi, al di là delle singole casistiche, se la conoscenza dei dati
anagrafici del donatore sia in generale un reale vantaggio per il nato… Studi nel
settore non mancano di sottolineare l’importanza che il bambino o l’adulto, che lo
desiderino, acquisiscano informazioni sulla propria storia, più che sulle proprie
origini genetiche…È vero che esiste un desiderio di conoscere le proprie radici, ma
questa “curiosità dell’origine”… di nuovo rimanda alla dimensione relazionale più
che al dato biologico. È una ricerca guidata dalle domande: sono stato/a un figlio/
una figlia desiderata? Si ricerca l’origine per verificare l’esistenza di un legame metabiologico, oltre che biologico, con il donatore. Ma la ricerca del donatore non può
offrire un reale contributo alla costruzione della propria storia: il donatore è un
estraneo che ha “ceduto” i propri gameti, con il quale il nato ha un mero legame
genetico (oltretutto parziale) ma non certo relazionale, parentale o genitoriale”. Il
donatore di gameti – continua il parere - “non ha mai avuto un progetto parentale”.
68
In via generale, come ritiene la più attenta dottrina, in ambito negoziale, la nozione
di meritevolezza, “in quanto specchio dei principi di un ordinamento”, si aggancia
ai valori di quell’ordinamento. Cfr. M. Bianca, Alcune riflessioni sul concetto di
meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 810 ss.
69
Laddove l’anonimato non è saldamente tutelato crollano le donazioni di gameti.
70
Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit.
71
Sempre Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., secondo la quale “è certo che
l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante
il ricorso alla p.m.a. di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura
anche rilevante, sulla salute della coppia… nel significato proprio dell’art. 32 Cost.,
comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica”.
72
C.M. Bianca, Stato delle persone, in C.M. Bianca, Scritti giuridici, I, 2, Milano, 2002, p. 685.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1031
c.d. “mistica del DNA, del riduzionismo biologico”73. La biologia tenderebbe a “cancellare la biografia, con una pericolosa regressione culturale e
sociale”: scivolosamente si abbandonerebbe “una cultura delle relazioni
interpersonali”, che pone al centro “la logica degli affetti”, a vantaggio
“della fisicità che, in nome della certezza biologica, può travolgere rapporti
costruiti negli anni, sostituendo ad essi la nuda trama dei geni”74.
Il fatto biologico, nella procreazione medicalmente assistita, può
avere importanza “solamente quando serve ai fini biologici”, per conoscere e curare le malattie del nato75. La legge deve prevedere che
quest’ultimo e – durante la minore età – i suoi genitori possano accedere ad ogni informazione sanitaria e genetica relativa al donatore,
utile alla tutela della sua salute76. Siffatte informazioni devono essere
raccolte, con il consenso del donatore, prima della donazione stessa, come di fatto in larga parte avviene nell’ambito dei procedimenti di selezione dei donatori ed è ora espressamente prescritto dallo
Schema di d.p.r. recante il Regolamento sulle prescrizioni tecniche
relative agli esami effettuati su tessuti e cellule umani, in corso di
approvazione77. Assai opportunamente le stesse verranno conservate
in un Registro nazionale, tenuto presso l’Istituto Superiore di Sanità,
istituito con la legge di stabilità 201578. Eventualmente potrà anche
prevedersi, ad ulteriore tutela della salute del nato, che, ove l’evoluzione della scienza medica lo imponga, il donatore possa essere, in
un momento successivo, contattato dal responsabile di una struttura
medica, tenuto al segreto.
73
S. Rodotà, Tra diritto e società. Informazioni genetiche e tecniche di tutela, in Riv. crit. di
dir. priv., 2000, p. 586 ss.
74
S. Rodotà, Tra diritto e società, cit., p. 587.
75
L. Rossi Carleo, Le proposte di regolamentazione della procreazione artificiale, in G.
Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, cit., p. 193.
76
Cfr. A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 17, secondo il quale “il diritto di
conoscere le proprie origini va tenuto distinto… dal diritto di conoscere dati
relativi ai genitori biologici per gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psicofisica del soggetto nato mediante fecondazione eterologa… Queste informazioni
dovrebbero in ogni caso essere sempre dovute in qualunque fase della vita del
soggetto interessato”.
77
Cfr., su tale testo, il Parere del Consiglio di Stato del 6 giugno 2019 n. 1732.
78
Art. 1, comma 298, l. 19 dicembre 2014 n. 190. Un solo registro su base nazionale
costituisce l’unica forma possibile per imporre e garantire un limite quantitativo alla
molteplicità delle donazioni di gameti da parte di uno stesso donatore.
1032
The best interest of the child
Ma l’identità del donatore, per i motivi esposti, dovrà sempre restare ignota al nato ed ai suoi genitori79. Da ciò – come abbiamo accennato
– dipende anche il successo della fecondazione eterologa. Ben fondato
è, infatti, il sospetto, autorevolmente manifestato, che “attraverso la propensione a negare l’anonimato” del donatore “in nome del diritto del figlio
a conoscere, si voglia introdurre un elemento disincentivante delle pratiche di
inseminazione artificiale, perché il semplice timore della pubblicità, e più ancora il rischio di azioni tendenti a far dichiarare la paternità (con implicazioni
patrimoniali), scoraggerebbe la propensione a mettere a disposizione il materiale genetico”80. In effetti, già si sono levate voci in tal senso, sebbene
lo strutturale disallineamento tra profilo genetico e stato di filiazione,
caratteristico della fecondazione eterologa, deve indurre a negare fermamente che il figlio nato da p.m.a., invocando il principio di verità
genetica, possa agire per il disconoscimento dei genitori c.d. sociali e
per far dichiarare la paternità o la maternità del donatore dei gameti
(con il quale non esiste alcuna relazione giuridica: art. 9 l. n. 40 del
2004), eventualmente anche allo scopo di richiedergli il mantenimento
o gli alimenti81.
79
Cfr. P. Rescigno, Una legge annunciata, cit., p. 981 ss., secondo il quale il principio
dell’anonimato del donatore “sul piano della politica del diritto rimane più
convincente dell’affermazione, ora assai largamente diffusa, del diritto a conoscere
la propria origine biologica”.
80
S. Rodotà, Diritti della persona, cit., p. 140, il quale riferisce l’esperienza
dell’ordinamento svedese, in cui “la previsione legislativa del diritto di sapere dei
figli, e la caduta dell’anonimato del donatore, ha provocato una radicale caduta delle
donazioni di seme”. Analogamente è accaduto in Inghilterra. Paventa il medesimo
pericolo S. Patti, Sulla configurabilità, cit., p. 1317.
81
Cfr., in tal senso, le lucide osservazioni di M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit.,
p. 20, secondo la quale “mentre nella procreazione naturale la regola è la coincidenza
tra stato di filiazione e verità genetica, e l’azione di accertamento da parte del figlio
è tesa a rimuovere un anomalo disallineamento tra stato e verità, nella fecondazione
eterologa, così come nel rapporto di filiazione adottiva, il disallineamento tra verità
genetica e stato di filiazione è strutturale e rappresenta la diversità e il proprium di
questi modelli di instaurazione del rapporto di filiazione. Quindi ammettere che il
figlio adottivo o il figlio nato da fecondazione eterologa possa disconoscere i propri
genitori in base al principio di verità genetica significherebbe smentire in radice
la stessa rilevanza giuridica della filiazione derivante da p.m.a. e della filiazione
adottiva”; Id., Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 199 ss. Ammettono,
invece, che il figlio nato da p.m.a. possa agire per il disconoscimento dei genitori, A.
Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 16, spec. nota 58, secondo il quale “nel caso
di un sopravvenuto stato di bisogno del minore (quali che siano le cause, abbandono
o morte dei genitori), oltre ai profili riguardanti il diritto di conoscere, si potrebbe
profilare anche un diritto – almeno di natura economica – del minore nei confronti
del genitore biologico (il cosiddetto donatore) fondato sul dovere costituzionale
previsto dall’art. 30 Cost. La compressione di tale dovere per il periodo in cui il
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
1033
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perdita”; G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento di paternità, in C.M. Bianca
(cur.) La riforma della filiazione, cit., p. 373 ss., secondo la quale “se i due pilastri
della Riforma sono il principio di unificazione dello stato di figlio e lo statuto
dei suoi diritti, anche al nato mediante … tecniche” di p.m.a. “dovrebbe essere
riconosciuto il diritto imprescrittibile all’azione di disconoscimento di paternità ed
all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità”.
L’identità sociale del minore
Di fronte alle sfide dei mutamenti familiari
Mariella Nocenzi
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La famiglia e le funzioni essenziali per
la costruzione dell’identità sociale. – 3. L’identità sociale e le sue dimensione familiari. – 4. Le trasformazioni della struttura familiare e
delle sue funzioni essenziali. – 5. L’identità sociale del minore nelle
famiglie che si trasformano – 6. Alcune considerazioni conclusive
1. Introduzione
In una prospettiva sociologica il tema della formazione dell’identità
del minore all’interno dell’istituzione familiare richiede un’analisi dai
molteplici risvolti di interesse per la disciplina e per le scienze sociali
più in generale. Infatti, se si assume la sociologia come la scienza che
studia il mutamento per eccellenza (A. Cavalli - A. Bagnasco - M. Barbagli, 2007), sia il processo di formazione delle identità che l’istituzione familiare, ma anche – e non solo di conseguenza – l’identità sociale
del minore, hanno subito significative trasformazioni che è possibile
inserire nel più ampio e profondo processo di mutamento sociale cui si
è assistito negli ultimi decenni.
Se ne desume che l’analisi sociologica abbia definito in passato, e
ancora sia impegnata a farlo, schemi teorici e metodologici per interpretare le trasformazioni sociali che hanno reso talvolta inutilizzabili,
talaltra necessari di aggiornamento, i riferimenti tradizionali. Si tratta
di concetti delineati dalla sociologia con l’affermarsi della società moderna più di un secolo fa, consolidatisi nei decenni successivi, ma anche gradualmente rimessi in discussione dalla crisi dei modelli sociali
tradizionali. Con essi a richiedere un’adeguata riflessione gli schemi
teorici ed empirici che ne avevano consentito la definizione e che non
1036
The best interest of the child
riuscivano più a risolverne l’inadeguatezza al modificarsi di bisogni,
valori, regole e norme sociali (F. Alberoni, 1975; A. Giddens, 2013).
Per la famiglia come istituzione sociale e per l’identità del minore
queste trasformazioni si sono manifestate gradualmente, in modo fra
loro integrato, sebbene molti percorsi analitici abbiano tentato di studiare il fenomeno scomponendolo (C. Saraceno - M. Naldini, 2013).
Nelle riflessioni che seguono, l’integrazione nella istituzione familiare
della figura del minore sarà certamente sottolineata nel suo coordinato processo di trasformazione, assumendo come chiave di lettura,
però, quel terzo elemento concettuale che rende di particolare interesse sociologico questa analisi, ossia l’identità (G. Rossi, 2001). Quella
che per le scienze sociali è la risultante di ciò che l’individuo pensa
di sé stesso sia a livello individuale che sociale – quindi, l’insieme di
caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e non replicabile,
diverso dall’altro (H. Tajfel, 1999) – costituisce una condizione sociale
in continua trasformazione: essa è interna ed esterna, ossia dovuta
alla concezione dell’individuo, ma anche a ciò che lo circonda, che è a
sua volta caratterizzato da cambiamenti sociali influenzati dalla stessa
identità individuale.
Si comprende, quindi, come la sociologia possa prestare particolare
attenzione alla trasformazione dell’identità del minore in seno all’istituzione familiare per la centralità del mutamento nel suo impianto
analitico: nelle più recenti acquisizioni l’identità è relazionale e contestuale, perché può variare in base al contesto, al ruolo che si intende assumere in tale contesto ed alla posizione, di propria scelta o meno, che
si assume più o meno indipendentemente all’interno delle relazioni e
percezioni in cui ci si trova (S.N. Eisenstadt, 2000; L. Sciolla, 2010). Se a
ciò si aggiunge che il mutamento sociale è rappresentato anche dall’incertezza nella definizione stessa dell’identità a causa della perdita dei
confini identitari tipica dell’epoca della crisi della modernità (Z. Bauman, 1992), l’indebolimento delle componenti essenziali del proprio Io
corrisponde ad analoghe tendenze di mutamento negli spazi sociali in
cui ciò avviene, nel caso specifico l’istituzione familiare.
Ripercorrendo i processi interni che presiedono alla formazione
dell’identità del minore a partire da quelli esterni condizionati dalla
famiglia, si potranno definire le specifiche dimensioni familiari dell’identità sociale, analizzandole alla luce delle trasformazioni sociali
che le determinano e che determinano la definizione dell’identità del
minore nella società contemporanea. Ne potranno derivare, quindi,
L’identità sociale del minore
1037
anche importanti rilievi per la ridefinizione della teoria sociale e degli
approcci metodologici utili allo studio di questi concetti fondamentali
per la sociologia.
2. La famiglia e le funzioni essenziali per la costruzione
dell’identità sociale
Lo spazio sociale, nel quale il cambiamento si genera ed è rappresentato, corrisponde in queste riflessioni alla famiglia: in una delle sue
più note accezioni sociologiche è possibile, infatti, intenderla come lo
spazio fisico, relazionale e simbolico in cui si svolgono quei rapporti
che la società definisce e che acquisiscono per questo stesso processo
un significato che va oltre la natura che li genera e l’esperienza individuale (P. Donati, 1989).
Pur superando con le sue multiple dimensioni l’esperienza individuale, la famiglia è, però, essenzialmente costituita dalla molteplicità
di esperienze individuali che in essa si sviluppano, perché va intesa
come una comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche. In questa diversità, certamente, può
leggersi il cambiamento sociale comparando i diversi modelli di famiglia e i loro processi di trasformazione.
Non solo ai fini di questo saggio, però, una delle condizioni in cui
si può interpretare più efficacemente quel cambiamento sociale che
la famiglia genera e di cui è scenario al contempo è in una delle sue
funzioni principali, ossia quella di promuovere la trasmissione dei
valori e delle esperienze così da sviluppare le capacità necessarie per
vivere le relazioni sociali. Valori ed esperienze che sviluppano, quindi,
le capacità di vivere le relazioni sociali a favore di ogni individuo. In
questa funzione della famiglia, che si può definire di produzione sociale e culturale a favore dei “più giovani” componenti della società,
si rintraccia sia il principale contributo dell’istituzione familiare alla
costruzione dell’identità sociale – a partire da quella del minore – sia
le dinamiche del cambiamento individuale e collettivo. Infatti, come
precedentemente sottolineato, l’identità sociale si definisce attraverso
la duplice rappresentazione che l’individuo ha di sé stesso per sé stesso e nel contesto socioculturale in cui vive: questa rappresentazione
individuale e collettiva di ogni soggetto sociale è possibile grazie al
ricorso a significati che sono attribuiti a quelle rappresentazioni da valori condivisi sui quali quegli stessi valori si costruiscono (A. Maalouf,
1038
The best interest of the child
2005). Il cambiamento sociale è proprio riferito alla modificazione di
quei valori che sono trasformati dal diverso modo di essere vissuti da
parte degli individui – di generazione in generazione, in caso di passaggio fra diverse culture, con l’avvento di radicali mutamenti come
quelli avvenuti con le nuove tecnologie (ved. § 4) ecc.
La famiglia gioco un ruolo essenziale in una fase strategica per la
formazione dell’identità che è quella della cosiddetta socializzazione
primaria (F. Garelli - A. Palmonari –- L. Sciolla, 2006) alla base di
tutte le successive trasformazioni che interesseranno l’individuo nel
corso della socializzazione secondaria, quest’ultima estesa all’intera esistenza biologica dell’individuo. Nel corso del processo di socializzazione, infatti, vengono trasmesse all’individuo dagli altri individui e
dalla società, attraverso le sue istituzioni, quelle esperienze, pratiche,
informazioni, dati di cui è fatto il patrimonio culturale della società
di riferimento.
La famiglia è fra quelle istituzioni fondamentali che “producono” tutto il bagaglio culturale necessario ad un individuo nella fase
di socializzazione primaria per acquisire conoscenze e competenze di base (P. Corsano, 2007). La famiglia, pertanto, presiede ad
un vero e proprio processo di apprendimento che porta i suoi “più
giovani” componenti, i minori, inseriti in un determinato contesto
sociale e culturale del quale, ad assimilarne i valori di riferimento, da intendersi come bussole di orientamento nell’azione sociale:
norme, linguaggio, modalità alimentari e di abbigliamento, giudizi,
significati condivisi.
Passando in rassegna le funzioni sociali svolte dalla famiglia, accanto a quella di produzione sociale e culturale tipica della socializzazione primaria, ci si può accorgere come esse siano necessariamente
interrelate alla precedente completandola: provvedere alle necessità
biologiche, psicologiche ed educative, assicurare la riproduzione economica e di controllo della spesa, fornire una base sicura per sperimentare separazioni e ricongiungimenti quale percorso verso l’autonomia, sostenere lo sviluppo di capacità utili ad affrontare le avversità
e i conflitti (C. Saraceno - M. Naldini, 2013).
Si può concludere affermando che la famiglia è una esperienza di
vita per l’individuo di tipo multidimensionale ed è definita da un insieme di relazioni che presentano sempre componenti di tipo giuridico,
economico, affettivo, psicologico, connettivo o di scambio con l’esterno, biologico-sessuale, solidaristico. Dimensioni che è possibile pro-
L’identità sociale del minore
1039
prio ricollegare a quei significati, valori, norme di cui si compone il
patrimonio socioculturale trasmesso dalla famiglia per la formazione
dell’identità sociale.
3. L’identità sociale e le sue dimensioni familiari
Le precedenti considerazioni hanno messo in evidenza come la trasmissione di pratiche e regole, atte a passare almeno una parte del patrimonio culturale che ogni società ha costruito nel corso della sua evoluzione ai suoi “nuovi” componenti, sia una funzione essenziale per ogni
società che deve assicurarsi la propria continuità nel tempo e altrettanto lo
è, fra le altre istituzioni, la famiglia che presiede proprio a questo compito.
Se si svolgesse l’analisi di questo compito scomponendolo per le sue
intrinseche dinamiche si individuerebbero distinte fasi del processo di
formazione dell’identità sociale che nella famiglia trovano la loro più naturale realizzazione. Infatti, questo processo si sviluppa a partire da una
dinamica di identificazione, attraverso la quale l’individuo forma la sua
identità prendendo come modello altri individui che percepisce come
più simili o che condividono elementi caratterizzanti proprio la sua identità. Questo processo identificativo porta alla formazione di un’identità
sociale individuale, ma anche di una collettiva, in cui prevalgono caratteri condivisi. In questo caso la famiglia costituisce una identità collettiva
piuttosto uniforme per i caratteri che la determinano e nella quale, pertanto, il processo di costruzione dell’identità tende a prediligere questa
dinamica basata sulla definizione di figure di riferimento da cui “apprendere” quel patrimonio di valori determinante per la propria agency.
Non è estranea alla famiglia, però, neanche la dinamica di individuazione per formare la propria identità. In questo caso, poiché l’individuo punta a ciò che lo differenzia dagli altri individui, interni o
esterni al proprio gruppo di appartenenza, per definire quali siano le
sue specifiche caratteristiche di tipo biologico, fisico, intellettivo, conoscitivo, morale, economico ecc., il ruolo della famiglia è duplice. Non
soltanto, infatti, “socializza” l’individuo affermando i ben definiti caratteri della propria identità familiare, che si ritrovano anche in quella
dell’individuo: la famiglia costituisce anche il riferimento comparativo
cui l’individuo può riferirsi durante il processo di individuazione determinando ciò che è diverso dalla propria identità individuale, ma
anche da quella collettiva che, più naturalmente, è rappresentata da
quella familiare (P. Terenzi, 2006).
1040
The best interest of the child
Ai processi di identificazione e individuazione, si affiancano anche
quelli di imitazione e di interiorizzazione grazie ai quali quelle identità individuale e collettiva possono determinarsi seguendo rispettivamente una dinamica di riproduzione più o meno consapevole di
comportamenti che sono assunti a riferimento dal soggetto nelle specifiche condizioni che lo richiedono, oppure di definizione più netta
della propria identità attraverso quanto ne emerge dalla rappresentazione che ne fanno gli altri individui, sia con giudizi positivi che con
atteggiamenti di distinzione.
In tutti e quattro questi processi, e non soltanto in modo netto nei
primi due, il termine di riferimento basico che l’individuo assume per
delineare l’identità individuale e collettiva è lo spazio simbolico e valoriale della famiglia, anche quando il confronto con le identità degli
altri e il giudizio degli altri sulla propria identità propone elementi
innovativi, se non anche oppositivi, rispetto a quelli appresi nella famiglia. Sarebbe stato Bourdieu (2001) a determinare questi processi di
formazione dell’identità anche oltre la dimensione familiare e a partire
da questa, riconoscendo nell’habitus dell’individuo una sorta di identità
sociale condivisa, grazie alla quale è possibile guardare dall’epifenomeno degli stili di vita e dei comportamenti dei gruppi sociali – quindi più
dall’esterno – le strategie di adattamento dell’identità dell’individuo
nelle relazioni a seconda della sua posizione sociale (L. Zanfrini, 2011).
Non a caso fu Bourdieu a sottolineare la valenza familiare nella
formazione dell’identità dell’individuo disegnando i limiti del suo
spazio simbolico che si contraggono, sebbene solo apparentemente,
riflettendovi in un’epoca, quella fra gli Anni Sessanta e Ottanta, che ha
segnato una radicale crisi dei modelli socioculturali trasmessi in seno
alla famiglia e la loro maggior relatività in spazi sociali dominati dalla
distinzione degli stili di vita (P. Bourdieu, 1994).
4. Le trasformazioni della struttura familiare e delle sue
funzioni essenziali
La società in trasformazione analizzata da Bourdieu, come si anticipava, costituisce solo apparentemente lo scenario di disconoscimento
del ruolo strategico della famiglia nel processo di costruzione identitaria individuale e collettiva e se tale può apparire lo si deve all’assunzione di una immagine della istituzione familiare piuttosto statica, tipica
delle teorie tradizionali e struttural-funzionaliste. In realtà, proprio
L’identità sociale del minore
1041
in una fase di profondi mutamenti, la famiglia si è rivelata come un
effettivo spazio sociale, fisico e simbolico, rappresentativo, nella sua
dimensione più micro, dei processi di formazione e trasformazione
sociale contribuendo a definire modi e sensi del mutamento a partire
dalle dinamiche di identificazione/individuazione che fra i suoi più
componenti più giovani delinearono modelli valoriali e di comportamento differenti dai precedenti.
Questo accadde, se possibile definirlo iconicamente, in modo “naturale” proprio nell’ambito di questa istituzione che, sebbene possa favorire la formazione di un’identità anche collettiva secondo il processo di
identificazione, basandola su valori condivisi, è al suo interno dominata
da una altrettanto naturale diversificazione: di sesso, di generazione, restando ai soli caratteri ascritti dell’individuo. Anche essi producono nel
processo identitario che si svolge a partire dalla socializzazione familiare un senso costruito culturalmente, al contempo assorbito dall’esterno
e forgiato al suo interno. Questo significa che quando questa istituzione
iniziò a ricevere dall’esterno stimoli verso modelli identitari differenti,
contribuì essa stessa alla definizione di identità individuali e collettive
pronte a recepire il cambiamento sociale e a farsene attivi promotori.
Le principali trasformazioni che riguardarono la famiglia con la crisi dei modelli sociali della Modernità riguardarono sia le sue forme e
dimensioni, che le stesse funzioni sociali espletate, ma è oggi possibile
affermare che, pur soggetto al mutamento sociale, il suo cruciale ruolo
di costruzione dell’identità è stato sottoposto ad adeguamenti e non a
sostituzioni (L. Zanfrini, 2011).
In particolare, nella seconda metà del secolo scorso è possibile individuare rispetto all’istituzione familiare il definirsi di processi di
semplificazione della sua struttura, di riduzione dell’ampiezza media,
di segmentazione per classi di età, di complessità crescente dei suoi
modelli nei termini di definizione di nuove forme familiari, di nuovi
modelli di privatizzazione/pubblicizzazione delle relazioni familiari,
di de-istituzionalizzazione delle relazioni sociali che sostengono la
famiglia, fondandole su una prevalente presenza dei sentimenti (C.
Saraceno - M. Naldini, 2013). Queste generali traiettorie della trasformazione familiare dimostrano piuttosto chiaramente come i mutamenti della struttura e delle funzioni si possano essere reciprocamente
influenzati, ma anche come la funzione di costruzione identitaria non
possa essere stata trasferita all’esterno di questa istituzione che resta
fondamentale.
1042
The best interest of the child
In questo modo, soffermandosi anche solamente sulle nuove strutture familiari e sottolineandone anche solo numericamente la consistenza nelle società contemporanee, si può determinare quale processo di costruzione dell’identità possa realizzarsi e con quali dinamiche
esso si sviluppi. Secondo le apposite indagini annuali condotte dall’Istat (2010-2017, varie edizioni), nel giro degli ultimi due decenni le
famiglie unipersonali sono aumentate di quasi sette punti percentuali, dato che diventa più significativo se si determinano le stesse nella
proporzione di una su tre famiglie nel nostro Paese. Di contro, nello
stesso periodo, le famiglie numerose (con cinque e più componenti) si
sono dimezzate ed oggi rappresentano solo poco più del 5% dei nuclei
familiari italiani. Se a ciò si aggiunge che il numero medio di componenti familiari supera di poco quelli di due e in nessuna ripartizione
geografica del Paese arriva a tre componenti, si hanno a disposizione
dati sufficienti per disegnare in questi “nuovi” spazi fisici e simbolici
le dinamiche del processo di costruzione identitaria.
Certamente, nelle famiglie unipersonali non esistono “nuovi” componenti cui trasmettere il patrimonio socioculturale necessario alla
definizione dei propri tratti identitari e, quindi, per un terzo delle famiglie di una società contemporanea avanzata il processo di produzione culturale è del tutto riformulato. Nei restanti due terzi, questo
fenomeno è sostanzialmente presente se si considerano famiglie con
una media di poso più di due componenti in cui prevale la presenza di
coppie che scelgono o non possono avere figli.
Al netto di queste condizioni, si annoverano famiglie tradizionali
composte da una coppia con figli, ma anche modelli familiari inediti,
o comunque più rari nei decenni scorsi, a partire dalle famiglie con un
solo genitore (madri, e meno frequentemente padri, separati/divorziati, vedovi, o fuori matrimonio) nelle quali quel processo di trasmissione di valori avviene grazie all’azione di un solo soggetto adulto formalizzato. Il suo bagaglio di valori, di pratiche e di esperienze, sia rispetto
alla più generale identità sociale che, nello specifico, rispetto all’istituzione familiare e alle sue funzioni è più difficilmente assimilabile a
quella tradizionale e, come dato oggettivo, presenta quello dell’assenza di mediazione fra due soggetti, i genitori per la definizione del patrimonio socioculturale da trasmettere. Questo elemento si innesta in
un progressivo svincolamento della genitorialità da modelli valoriali
imposti dalla società per abbracciare dinamiche volontaristiche, legate
a scelte individuali e di coppia (C. Saraceno, 2016). Si sottolineano
L’identità sociale del minore
1043
questo, fra gli altri elementi caratterizzanti le trasformazioni familiari
in atto come base di alcune considerazioni sull’identità del minore nelle famiglie che si trasformano.
Altri modelli familiari, via via crescenti per diffusione e pregnanza
dei valori veicolati consentono di completare il quadro di analisi. Fra
questi, le famiglie ricostituite a seguito di nuove unioni dopo precedenti matrimoni o per vedovanza rappresentano un interessante spazio simbolico soprattutto per l’oggettiva permeabilità dei suoi confini.
Così come evidente nei casi di famiglie che sperimentano le pratiche
di affidamento, nelle famiglie ricostituite la genitorialità e il progetto
di formazione dello spazio simbolico, ma anche fisico, della famiglia
non coincidono: i minori possono avere genitori diversi da quelli della coppia autrice del progetto familiare – il 59,4% ha figli, il 10,7% di
queste ha figli di uno solo dei partner, il 39,1% ha solo nati nell’attuale unione, il 9,6% ha figli nati dall’unione attuale e precedente (Istat,
2017) – e questa condizione influisce sulle dinamiche di formazione
del patrimonio socioculturale da trasferire, oltre che nella definizione
della identità individuale all’interno della famiglia e al suo esterno.
Questa condizione familiare risulta ormai socialmente riconoscibile
e accettata, seguendo l’evoluzione che hanno precedentemente avuto
anche i nuclei familiari non formalizzati, nei quali l’assenza del vincolo
giuridico e/o religioso come forma di legittimazione non è stata estesa
ai figli, legittimi e naturali che siano.
In lenta e progressiva via di definizione per via di una trasformazione culturale necessaria che è decisamente più radicale, è la condizione
che riguarda i nuclei familiari misti e omosessuali: in questi casi la definizione del patrimonio socioculturale da trasmettere ai nuovi componenti e la loro stessa riconoscibilità sociale – se non anche giuridica – si
basano su elementi innovativi, se non oppositivi, rispetto ai più prevalenti fra i valori, le pratiche e le esperienze della società. In questo caso
il dato oggettivo è costituito da un processo di costruzione dell’identità
che segue proceduralmente percorsi anche tradizionali e non solo inediti, ma a caratterizzarne natura ed efficacia è proprio l’orientamento
del tutto alieno agli schemi tradizionali (M. Marzano, 2015).
Inevitabili sono anche le conseguenze sostanziali su funzione e
agency delle famiglie che derivano dalle trasformazioni strutturali e
sulle quali incidono i profondi mutamenti dello scenario culturale. Fra
i più interessanti, va annoverato il processo di costruzione identitaria
in società nelle quali la capillare diffusione e l’analogo utilizzo delle
1044
The best interest of the child
information and communication technologies espone l’individuo a sempre
più frequenti esperienze di riconoscimento della propria identità in
assenza della sua parte corporea: quali account, profili, avatar, identità
digitali insomma, la costruzione identitaria è posta in un continuo processo di ridefinizione, ma anche di moltiplicazione (S. Turkle, 1995, 2001;
M. Nocenzi, 2008). Le prospettive di dispersione del proprio asset di
riferimento si incrociano con quelle di esplorazione di possibilità simboliche diverse grazie ad un’interazione che può avvenire con identità
alternative e intercambiabili. Questa scomposizione dell’identità relazione dell’individuo pone effetti tanto più intensi quanto più le identità digitali assumono importanza a livello sociale, e le identità assumono questa centralità divenendo parte di relazioni definite e stabili nel
tempo, nonostante la loro molteplicità (S. Turkle, 2011).
Negli spazi familiari contemporanei forme e contenuti della cultura
digitale si intersecano con le identità dei componenti definendo dinamiche e obiettivi del processo di produzione socioculturale delle famiglie mutati in un senso che è attualmente sotto la lente del sociologo.
5. L’identità sociale del minore nelle famiglie
che si trasformano
Lo scenario fin qui delineato consente di decostruire il processo di
formazione dell’identità del minore nelle famiglie contemporanee attraverso alcune dinamiche di trasformazione che qui si propongono in
modo distinto, ma solo per favorirne la descrizione.
È possibile, così, delineare un primo filone di trasformazione della costruzione identitaria del minore assumendo una linea basilare in
quella che attiene la definizione dei ruoli nella famiglia. In tal senso, è
ben significativo accogliere la separazione fra funzione genitoriale e
funzione coniugale per coloro che, specie nei nuovi modelli familiari,
sono affidatari del ruolo di trasmissione di quei valori, regole, norme
che orientano il profilo identitario dei più giovani componenti della
famiglia. Basti pensare al loro stesso modello di comportamento e interpretazione del ruolo familiare affidatogli, la transitorietà possibile
dello stesso, la copresenza nello stesso ruolo di genitori biologici e di
quelli parte della struttura familiare in cui il minore conduce la sua socializzazione per modificare la figura deputata all’orientamento nella
formazione dell’identità del minore.
L’identità sociale del minore
1045
Non è estraneo a queste dinamiche produrre come effetto modelli multipli di identità che già nella socializzazione primaria possono
svilupparsi in nuclei familiari fra loro intersecati, come nel caso delle
famiglie ricostituite. Queste diverse identità poggiano, peraltro, anche
su nuovi orientamenti valoriali che le trasformazioni dei ruoli familiari
stanno affermando: si pensi a quelli più evidenti nello svincolamento
dei ruoli familiari da quelli di genere nelle famiglie omosessuali o a
quelli sottoposti a non semplici negoziazioni nelle famiglie miste.
A contribuire alle trasformazioni identitarie nella famiglia sono anche le forme e le modalità di relazione fra i componenti al suo interno.
La variata struttura delle famiglie contemporanee non soltanto propone dimensioni sempre più ridotte nel numero di quei componenti, ma
anche, in conseguenza, lo svincolamento di ruoli tipici della famiglia
con ruoli di genere, di età, di livello di istruzione ed economico: non è
raro, così, che ruoli tradizionalmente affidati a uomini o a giovani o a
padri piuttosto che madri siano rivestiti da altri membri della famiglia
e che ciò muti i rapporti fra generazioni o fra generi nella famiglia. La
relazione, pertanto, può dirsi prevalente sui ruoli stessi e ciò molto
incide sulla configurazione identitaria che ne deriva.
La relazione si sovrappone sui ruoli anche nei rapporti familiari
con il suo esterno, con la società: la rappresentazione della società che
matura in famiglia, infatti, non solo è influenzata dalle mutate dinamiche interne, ma da un tendenziale individualismo e dalla privatizzazione dei bisogni che si proietta in un tessuto sociale sempre più frammentato e diversificato – si pensi solo alla diversità culturale promosso
o provocata dalla globalizzazione.
Oltre alle trasformazioni che attengono ai ruoli e alle relazioni dentro e fuori la famiglia, a modificarsi è anche il ruolo dell’istituzione
famiglia nella società: sempre più frequentemente, e anche per via del
suo ruolo cruciale nelle fasi strategiche della socializzazione, la famiglia è investita di un ruolo se possibile ancora più centrale nel processo di costruzione dell’identità, che molto rilievo ha in riferimento
al minore. Mentre cambia al suo interno (plurinuclearità, plurigenitorialità), la famiglia deve far fronte alle sue funzioni anche esterne in
condizioni mutate (individualismo e privatizzazione, diversità sociale, crisi delle istituzioni tradizionali) e, avalutativamente parlando, la
combinazione di questi due processi produce effetti talvolta positivi e
talaltra opposti.
1046
The best interest of the child
Il portato di queste trasformazioni si traduce in un più generale resetting valoriale che riguarda l’identità dell’individuo contemporaneo
e il suo intero processo di formazione: nell’epoca della maturazione
del processo di individualizzazione delle e nelle relazioni dentro la
famiglia, così come nella società (Z. Bauman, 2011) la personalità di
base si forma attraverso processi di separazione/individualizzazione,
piuttosto che di legame/fusione. Ma nell’evoluzione di relazioni che
vanno oltre la famiglia e si estendono anche nella società prevalendo
sui ruoli ai valori dell’autorealizzazione, dell’autodeterminazione e
della negoziazione, vanno sempre più affiancandosi richiami all’assunzione di responsabilità, di ruolo, di competenza.
Non appaia paradossale, quindi, che, dotati di conoscenze, pratiche
ed esperienze avanzate per la loro età, inusitate presso le generazioni precedenti, i minori si facciano carico di questi ruoli reclamandoli
presso le altre generazioni o, se possibile, in prima persona con comportamenti che non avremo difficoltà a definire tipici degli adulti.
6. Alcune considerazioni conclusive
A conclusione di queste riflessioni che hanno inteso descrivere il
ruolo della famiglia nel processo di costruzione dell’identità del minore, sottolineando la portata dei concetti sociologici dell’istituzione
familiare, dell’identità sociale e del mutamento che ha caratterizzato la
loro evoluzione e la loro più recente determinazione, emerge un chiaro
obiettivo verso cui ambire per definire il principio, non solo giuridico,
del best interest of the child.
L’attuale società orienta essa stessa e le sue istituzioni verso un processo di costruzione dell’identità sempre più marcato dall’individuazione
e, quindi, dalla distinzione dell’individuo dagli altri, fin dalle prime fasi
della socializzazione, sottolineando ciò che lo differenzia, in una storia individuale che è sua e di nessun altro – nonostante l’omologazione che le
rappresentazioni mediali diffusive ne fanno. In questa società si intravvede, però, almeno un duplice percorso identitario. Certamente, quello
individuale, distintivo e rinegoziato a breve termine, che non raramente si
interseca o lascia, persino, il posto ad uno condiviso, diffuso e che ambisce
ad obiettivi di lungo termine. Che sia un ulteriore grado di maturazione
della società, in cui ancora domina un processo di individuazione, o che
sia l’inizio di una fase di radicale trasformazione, dare oggi significato al
“best” del principio applicato alla formazione dell’identità del minore costituisce una sfida ineludibile per l’individuo, la famiglia, la società.
L’identità sociale del minore
1047
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Born to buy1
La socializzazione del giovane consumatore
Domenico Secondulfo
Sommario: 1. Lo scenario di fondo. – 2. I giovani, consumatori perfetti.
– 3. Il posto dell’infanzia nella strategia di vendita. – 4. Il consumatore
in miniatura – 5. Conclusioni.
1. Lo scenario di sfondo
In tutte le epoche e sotto tutti i cieli le società hanno sempre cercato di
forgiare i propri membri ad immagine di se stesse, la socializzazione
raggiunge lo scopo di plasmare come cera la nascente personalità agendo
in una fase particolarmente plastica, anche dal punto di vista fisiologico,
dello sviluppo intellettivo, mentale e cerebrale della persona. L’infanzia.
Sino a non molti anni fa l’arena per eccellenza della socializzazione, era la famiglia e la parentela. Gli scarsi canali di comunicazione
mantenevano i giovani nati all’interno della bolla relazionale costituita
dalla famiglia e dalla parentela, che divenivano gli attori sociali per
eccellenza dei processi di formazione dell’identità.
È soprattutto con la società di massa e la comunicazione elettronica,
che nel passaggio dalla società industriale della produzione a quella
dei consumi e delle vendite, nell’ambito della sfera sociale oikocentrica
della famiglia fanno il loro ingresso dei nuovi attori del processo di
socializzazione, rispetto ai quali la famiglia stenta a mettere in opera
processi di controllo e di filtraggio.
Su questa invasione è dagli anni ‘70 che vengono scritti fiumi di
inchiostro, che si sono concentrati soprattutto sul mass medium per
eccellenza, cioè la televisione (M. Morcellini, 1989, 1999; F. Puggelli,
1
Il titolo vuole essere un omaggio all’omonimo testo di Juliet Schor (2001).
1050
The best interest of the child
2002), con un amplissimo dibattito sui vantaggi, sugli svantaggi, sui
pericoli portati dalla apertura ad altri attori di quella sfera in cui avveniva in passato la socializzazione.
Mentre il dibattito infuriava, ovviamente i processi sociali continuavano indisturbati a svilupparsi, guadagnando alla televisione un posto
permanente ed autorevole all’interno della ristretta cerchia familiare,
con una forte influenza sulla socializzazione dei nuovi nati.
Se, però, da un lato la vecchia televisione veniva un po’ più imbrigliata nei controlli familiari, la pluralizzazione degli attori che contribuiscono alla socializzazione dei nuovi nati continuava ad espandersi,
sempre meno controllabile da parte della famiglia.
Questa concorrenza si è sviluppata ed è stata studiata soprattutto
all’interno delle strutture di comunicazione, secondo una consolidata
tradizione della sociologia italiana, che ha visto gli studi sull’area dei
consumi svilupparsi soprattutto come risultato di quelli sulla comunicazione e sulla pubblicità.
Ma altre strutture distributive, altrettanto caratteristiche della società dei consumi, ed altrettanto presenti nella vita delle nostre famiglie
ed anche nella socializzazione dei nuovi nati, non sono state sufficientemente notate dall’occhio della sociologia, e ci riferiamo alle strutture
fisiche di distribuzione della merce, quei supermercati ed ipermercati
che dagli anni ‘60 hanno velocemente colonizzato non soltanto gli spazi delle nostre città e delle nostre campagne, ma anche gli stili di vita,
l’immaginario ed i cicli temporali delle nostre famiglie.
Ci proponiamo qui di attirare l’attenzione su ciò che accade in queste strutture e come anche esse si siano organizzate, più o meno consapevolmente, in modo da intervenire, secondo i propri scopi, all’interno
dei processi di socializzazione, insinuandosi nelle strutture di comunicazione, relazione ed autorità delle famiglie.
Il meccanismo generale è quello della dialettica massificazioneindividualizzazione, per cui le strutture di distribuzione massificate
tendono ad esercitare il proprio potere direttamente sugli individui,
saltando, aggirando e cercando di dissolvere le strutture intermedie,
come la famiglia, che possono frapporsi tra la fonte ed i singoli individui, nella società tardo moderna attuale a questo si aggiunga che il
meccanismo generale di controllo sociale da coercitivo diventa seduttivo quindi particolarmente adatto al mondo dei consumi.
A partire dalla distribuzione dei messaggi pubblicitari attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, ed in primis la televisione, sino a ciò
Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore
1051
che accade nelle strutture materiali di distribuzione delle merci, cioè supermercati ed ipermercati, è costantemente presente una forte spinta a
creare dei canali specializzati ed autonomi che siano in grado di connettere la fonte dei messaggi all’individuo singolo anziché al sottogruppo cui
appartiene. In questo modo, la struttura comunicativa opera separando la
propria comunicazione da qualsiasi condivisione e controllo dei gruppi
sociali in cui gli individui cui essa è diretta vivono; un progressivo processo ben sintetizzato nel concetto di “stile di vita”, nella sua versione di
espressione della propria individualità nella conformità, soprattutto attraverso comportamenti di acquisto ed uso di determinate merci, e questo è
particolarmente vero per quel particolare gruppo sociale che è la famiglia.
Le strutture di vendita della merce, non solo la parte legata alla
pubblicità, si organizzano per “liberare” i consumatori, spingendo affinché ciascun componente della famiglia, senza distinzione di età e
sesso, possa sviluppare i propri desideri senza doversi confrontare con
i valori, le regole e l’autorità del gruppo familiare in cui vive.
2. I giovani, consumatori perfetti
In questo modo, anche le strutture di vendita contribuiscono a “liberare” una generazione di consumatori dopo l’altra, cercando di sottrarla ai vincoli valoriali, di autorità e di socializzazione dei gruppi
familiari in cui queste generazioni vivono.
Nella fascia da zero a trenta anni questo processo è stato particolarmente minuzioso, con una attenzione quasi maniacale alla fascia che
va dai quindici ai tre - quattro anni (S. Ironico, 2010), sino allo sviluppo di una branca del marketing orientata espressamente ai bambini.
Si tratta di una fascia di età in cui, tradizionalmente, la pressione
socializzatrice della famiglia e della parentela è sempre stata molto forte, anche perché in questo arco di anni la vita delle giovani persone è
ancora totalmente interna al nucleo della famiglia di origine.
Il processo di segmentazione e autonomizzazione è andato avanti di
pari passo nella comunicazione mediatica e nella organizzazione fisica
delle strutture di distribuzione della merce, con la creazione di comunicazioni pubblicitarie sempre più focalizzate da un lato, e con la creazione
di nuovi punti vendita specializzati e di percorsi mirati all’interno dei
punti di vendita dall’altro, il tutto naturalmente accompagnato da una
produzione di merci finalizzate e focalizzate sui bisogni, sui desideri, autonomi o indotti, di questi vari gruppi “targhettizzati” per genere ed età.
1052
The best interest of the child
Dalla fascia degli adolescenti, sui quali l’attenzione dei sistemi di
distribuzione della merce si era appuntata già dagli anni ‘50 del secolo
scorso, via via verso il basso, sino ad interessare anche quella particolarissima fascia di età, e di processi di socializzazione, che va sotto il
nome di infanzia.
È in questa fascia di età che la necessità di entrare all’interno dei
processi di comunicazione e di socializzazione che intercorrono tra il
bambino e le figure principali della sua famiglia è vitale.
Se per quanto riguarda gli adolescenti, introdursi all’interno di
questi legami per spezzarli a favore delle strutture di vendita non è
difficile, poiché si tratta di una fase della costruzione dell’identità in
cui i conflitti all’interno della sfera familiare sono quasi fisiologici; un
po’ più difficile è invece intervenire all’interno delle relazioni tra le figure importanti della sfera familiare ed i bambini, in una fase in cui la
costruzione dell’identità è ancora molto interna alle relazioni familiari
ed in cui le dinamiche conflittuali non sono “fisiologiche” come nella
fase adolescenziale.
Per l’adolescente che attraverso il mondo della merce sperimenta
identità diverse, l’acquisto di un oggetto è spesso una sorta di rito di
passaggio, gestito soprattutto entro il gruppo dei pari, che vede nella
scelta, nell’acquisto e nella esibizione dei “giusti” oggetti una sorta di
magica sperimentazione di nuove identità e personalità individuali.
In età più precoci, invece, l’identità è ancora fortemente legata ai
processi di relazione con gli adulti importanti, quindi la ricerca di una
relazione “libera” con il mondo della merce è molto inferiore.
Sullo sfondo di questi ragionamenti, permane comunque l’approccio
analitico secondo il quale queste fasi dello sviluppo della identità personale sono fortemente plasmate e direi quasi inventate dalla società.
Non ci addentreremo in questo tipo di considerazioni, che segnaliamo comunque in quanto rappresentano il background su cui si sviluppano le riflessioni che qui presentiamo. Rimandiamo chi volesse approfondire questo tipo di approccio ai seguenti autori (P. Aries, 1974;
M. Mitterauer, 1991; L. Stone, 1997).
3. Il posto dell’infanzia nelle strategie di vendita
Sinora, soprattutto per l’infanzia, il minore era visto dal sistema di
vendita soprattutto come leva di spesa, in grado di orientare, sia indirettamente che direttamente, i comportamenti di acquisto della famiglia. In
Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore
1053
questa chiave si sono mossi decenni di spot pubblicitari, diretti ai bambini ma che lasciavano ai genitori il ruolo di attuatori dell’acquisto, benché
generato ed orientato dal bambino.
La novità introdotta dall’evoluzione degli spazi di vendita2, soprattutto dallo sviluppo dei supermercati in avanti (D. Secondulfo 2012),
è quella di aver individuato nell’infanzia sia il futuro consumatore, sia
una capacità di acquisto quasi diretto, saltando la mediazione dei genitori. Naturalmente i due processi sono dialetticamente uniti.
Mentre il bambino e la bambina sperimentano la possibilità di accesso diretto alla merce, acquisiscono dei comportamenti e, aspetto di maggiore importanza, un vissuto dello spazio di vendita che contribuirà a
forgiarne i futuri comportamenti di consumatore adulto ed autonomo.
Si tratta di una evoluzione che si intreccia anche con la trasformazione
di molti spazi, non solo quelli di vendita, secondo il modello del parco
a tema, in chiave ludica; una evoluzione che ha ormai toccato non soltanto il settore turistico, ma in modo generale quasi tutti i punti vendita,
in modo sempre più trasversale alle diverse categorie merceologiche.
Del resto, la trasformazione dell’esperienza di acquisto in chiave
ludica è una delle linee di evoluzione portanti di questa fase del ciclo della merce, in forte espansione anche perché sinergizza tra loro
la maggiore famigliarità con gli spazi di vendita, e l’incoraggiamento
degli acquisti d’impulso, scopo principale della maggior parte delle
strategie di vendita, con un continuo modificarsi, secondo il modello
del parco giochi, degli spazi di vendita, soprattutto di quelli a vasta
metratura, dagli ipermercati in su.
Il processo di famigliarizzazione del consumatore con gli spazi di
vendita è un altro dei processi che sinergizzano con la socializzazione
del giovane consumatore. Infatti, per molte famiglie, la spesa del sabato rappresenta una delle principali, attività condivise da tutto il nucleo
famigliare, e quindi l’evento ben si presta ad essere colorato di toni ludici ed espressivi, trasformando l’esperienza in una gita o in un gioco,
anche per gli adulti, e lo spazio di vendita in un parco giochi.
2
Nel passaggio dal negozio al supermercato scompare la figura del negoziante
come mediatore e garante, ed il consumatore si trova solo davanti alla merce.
Questo stimola l’auto determinazione del consumatore da un lato (associazioni
dei consumatori) e gli acquisti di impulso dall’altro (molte sentenze su furti nei
supermercati hanno riconosciuto come attenuante il fatto che le merci fossero
direttamente esposte e presentate senza protezione o intermediazione).
1054
The best interest of the child
Del resto, gli spazi di vendita hanno immediatamente incoraggiato
questo fenomeno, attrezzandosi con spazi di gioco per bambini e famiglie nonché trasformando il centro commerciale in una zona di svago e
servizio, capace di coprire contemporaneamente esigenze anche molto
diverse, organizzative e ludico-relazionali, del nucleo famigliare, con
la presenza di servizi di appoggio alla spesa vera e propria, come le
lavanderie, di spazi di relax e socializzazione, come bar e ristoranti,
nonché di spazi di gioco vero e proprio che, oltretutto, facilitano le
famiglie nel condividere con i minori questa esperienza.
Nel complesso, un’esperienza di piacere ludico e relazionale insieme,
condita dall’esperienza di acquisto, quindi dalla eccitazione e soddisfazione del desiderio, che si presenta come un tutto tondo di vissuto piacevole e che vena lo spazio di vendita di una famigliarità e di una piacevolezza del tutto particolari. Un’esperienza di piacere ludico che se colpisce
ed attrae gli adulti, ha un effetto ancora maggiore verso l’infanzia.
Ma all’interno di questa socializzazione “diffusa” del consumatore,
adulto ed infante, all’acquisto giocoso, modo piacevole per trascorrere il tempo libero, esistono alcune strategie particolarmente mirate al
consumatore in erba, in grado di estrarlo dal nucleo famigliare ed autonomizzarlo come acquirente individuale. In queste strategie anche
gli oggetti giocano un ruolo fondamentale.
In questo caso la famiglia si trova spesso in un ruolo contraddittorio, partecipando da un lato all’esperienza ludica e contribuendo,
quindi, alla liberazione del desiderio ed all’acquisto di impulso, ma
trovandosi contemporaneamente a dover reprimere le pulsioni di acquisto dei propri componenti all’interno di regole e strutture decisionali comuni al nucleo famigliare e gestite dalle persone autorevoli al
suo interno (solitamente madre o genitori). Del resto, si tratta di una
contraddizione consustanziale ai moderni spazi di vendita, sempre in
tensione tra la necessità di incanto dei luoghi, quindi dell’effetto “paese dei balocchi” per incoraggiare il desiderio impulsivo, e la necessità di controllo del comportamento della clientela e di coercizione del
desiderio, che deve comunque risolversi nel pagamento delle merci
acquistate (G. Ritzer 2000).
Schematizzando, possiamo riassumere il nostro ragionamento nei
seguenti passi:
- sullo sfondo possiamo porre il processo di ludicizzazione delle
esperienze di consumo, con la trasformazione di tutta una serie di
spazi di servizio latamente legati al consumo secondo il modello
Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore
1055
del parco giochi, allo scopo di infantilizzare il consumatore, trasformare l’acquisto in una esperienza piacevole in sé e non per la funzione dell’oggetto o del servizio che si acquista, e “liberare” quindi
il desiderio incoraggiando l’acquisto d’impulso, aggirando la razionalità del consumatore;
- l’evoluzione della società “dei consumi” con l’espansione del lavoro femminile e con il doppio lavoro dei genitori, desincronizza, tra
l’altro, i ritmi temporali dei componenti la famiglia, per cui le esperienze di acquisto e gli spazi in cui queste avvengono, sono spesso
uno dei momenti principali in cui la famiglia vive una esperienza
congiunta, incoraggiata dalla evoluzione degli spazi di vendita di
cui parlavamo al punto precedente;
- la monetizzazione del tempo libero, trasformato in tempo di acquisto (il famoso shopping), attraverso il processo di saturazione della
produttività del tempo posto in essere dalla società dei consumi
e degli acquisti, rendendo produttivo sia il tempo di lavoro sia il
tempo non occupato dal lavoro; produttività diretta e produttività
indiretta si alternano in questo modo armoniosamente garantendo
il pieno utilizzo economico del tempo di vita;
- dal punto di vista dell’infanzia, quindi, l’esperienza di acquisto assume la colorazione di un evento ludico e piacevole, una occasione
di condivisione con i genitori e di appagamento di desideri, condita
dall’effetto concreto di acquisire oggetti che vengono portati a casa
per ulteriore soddisfazione;
- sino a questo punto, l’esperienza vissuta dal bambino, pur già costituendo un forte elemento di socializzazione a questo modello di vita
e di acquisto, resta ancora inclusa all’interno dell’azione e del vissuto del nucleo famigliare, e potrebbe risentire delle regole e degli stili
di vita di questo; in altre parole, sino a questo punto il bambino non
è ancora completamente “libero” come consumatore-acquirente e
può al massimo stimolare gli acquisti dei genitori che, comunque,
mantengono il controllo dell’esperienza nel suo complesso.
Potremmo chiamarlo il “secondo livello” di socializzazione posto in
essere dal punto vendita; non soltanto questi si propone per essere interiorizzato come lo spazio del desiderio e del piacere per eccellenza, l’unico, in cui divertirsi, giocare, socializzando all’acquisto come gioco espressivo, ma propone anche per l’infanzia, e questo è il punto, la espressione
della autonomia individuale come libertà di consumo e di acquisto.
1056
The best interest of the child
Di questo si occupano alcune strategie, che il punto vendita pone
in essere allo scopo di “liberare” il giovane consumatore dal controllo
della famiglia, attraverso oggetti e merci pensate e dirette unicamente
a lui, costruite in modo da rendere difficile per il genitore l’interferenza con i desideri del bambino.
Si tratta di strategie non ancora ben perfezionate, almeno negli
spazi vendita in cui ho compiuto qualche, non sistematica, osservazione partecipante3; possiamo supporre che questo sia dovuto al timore di una reazione negativa da parte dei genitori nel momento
in cui la troppa pressione rendesse evidente la volontà di interferire con le strutture di comunicazione e di autorità, e quindi venisse
interpretata come un pericolo per l’autorità genitoriale e non, come
accade ora, come un ausilio alla famiglia nella misura in cui rende
meno problematico, ed anzi positivo, il coinvolgimento dei bambini
in questa esperienza.
Come dicevo, da una osservazione non sistematica degli spazi di
vendita, soprattutto supermercati e ipermercati, sono emersi alcuni
esempi di questa strategia che ora presenterò brevemente.
4. Il consumatore in miniatura
Secondo il modello da sempre percorso con i giocattoli, di incanalare l’infanzia in giochi che riproducessero, in miniatura, i ruoli adulti
attesi e previsti dalla società, come tutti gli apparati di cucina, carrozzine e biberon per le femmine degli anni ‘50 e ‘60 oppure auto e moto
per i maschi, cui si sono poi affiancati, nell’era della Barbie, gli abiti e
gli attrezzi dello shopping, alcuni punti vendita hanno predisposto dei
carrellini per bambini della stessa forma di quelli per adulti, ponendo
così il giovane consumatore, come già accaduto per i suoi genitori,
solo di fronte alla merce, libero di trasformare i suoi desideri negli
oggetti in vendita.
3
L’interesse per questo fenomeno nasce dalla mia quotidiana esperienza di
consumatore e dalla naturale curiosità del sociologo per il mondo che lo circonda.
Dopo aver notato i comportamenti delle famiglie nei supermercati, ed in particolare
di quelle con bambini, ed aver notato che anche in luoghi lontani e diversi (Europa,
Indonesia, Stati Uniti) in cui mi trovavo per vari motivi, i comportamenti e gli
oggetti erano identici, ho iniziato ad osservare sistematicamente queste situazioni
ed a riflettere sull’apparato di cultura materiale che le reggeva, anche se non posso
dire di aver ancora saturato il campo di indagine.
Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore
1057
Così come vede fare ai genitori, il bambino prende le merci dagli
scaffali, ovviamente soprattutto quelle poste alla sua altezza, e le ripone nel carrello, mimando i gesti degli adulti. Ovviamente l’eventuale
intervento di controllo degli adulti, diviene a questo punto difficile da
operare ed evidente nella sua funzione di divieto, poiché deve o impedire al bambino di prendere da solo le merci, ma allora che ci fa il carrellino?, oppure prendere le merci messe nel carrellino e riporle nello
scaffale, un’azione forse ancora più ardua.
Una struttura di relazioni ben diversa da quella che vede il bambino unicamente come leva di acquisto, a richiedere merci che, però,
sono i genitori a prendere o meno dagli scaffali ed a riporre o meno
nel carrello, mediando le sue richieste senza che lui possa intervenire
fattivamente.
Si tratta di una situazione non molto frequente, probabilmente l’attrito che, si genera tra il bambino ed i genitori, nonché l’oggettivo pericolo insito nel fatto che il bambino si svincoli fisicamente dalla loro
sorveglianza, ha infine sconsigliato ai gestori dei punti vendita questa
soluzione, sempre nel timore di ottenere, alla fine, un risultato opposto
alle aspettative, allontanando le famiglie dal punto vendita.
Giochiamo al supermercato
Una versione più diffusa e che non interferisce così fortemente nella
relazione famigliare è quella di trasformare una parte del carrello di
acquisto in un veicolo per il bambino. In questo modo il controllo fisico
dei genitori viene garantito e l’autonomia di acquisto del bambino limitata, poiché, anche se può prendere autonomamente qualche merce
posta al suo livello, non ha un luogo in cui riporla, e deve quindi sempre sottoporsi alla mediazione degli adulti. È comunque particolarmente forte la interiorizzazione dello spazio e dell’esperienza di vendita/acquisto in chiave ludica, premessa essenziale alla socializzazione
agli spazi di vendita come spazi di gioco polivalenti, di riferimento
generale, simili ad una piazza o a un giardino pubblico, in grado di
soddisfare ogni desiderio e bisogno, dagli oggetti alla socialità, attraverso l’acquisto di merci.
Una interiorizzazione, un vissuto che è il giusto e necessario complemento della implosione di tutta una serie di attività, sia individuali
che sociali all’interno, degli spazi di vendita, che vede, per il momento,
nell’Oultet il massimo punto di espressione.
1058
The best interest of the child
L’ovetto Kinder
Ovvero come mettere a profitto le code. Infine, l’intervento, a dire
il vero ovvio e banale, di mettere a profitto i tempi morti obbligati, ad
esempio le code alle casse, per far soffermare lo sguardo del bambino su dolciumi e giocattoli, suggerendo, nel contempo, ai genitori che
un dolcetto può essere un utile ausilio quando sia necessario placare
l’agitazione, l’insofferenza o l’impazienza dei propri figli. Spesso, ovviamente, i dolci sono a livello bambino, in modo da aggirare la mediazione degli adulti. Inoltre, questo chiude con un premio l’esperienza
di acquisto, trasformando in una esperienza piacevole anche l’unico
punto in cui, da adulto, ci sarà l’unica, leggera, esperienza negativa: il
pagamento.
5. Conclusioni
Concludendo queste brevi riflessioni, possiamo osservare:
1. Come la concorrenza con la famiglia di un numero sempre crescente
di agenzie di socializzazione, dalla TV in avanti, si sia da qualche
tempo allargata anche ai punti di vendita, che in passato non interferivano che minimamente nella relazione tra i minori e i loro
accompagnatori adulti.
2. Questo stato di cose è il risultato della sinergia di vari elementi:
dal modificarsi del mercato del lavoro ed in particolare di quello
femminile, al modificarsi dei ritmi lavorativi dei componenti il nucleo famigliare, e per avere un’idea di quanto sia importante questo
punto basta dare uno sguardo alla tematica, anche di scontro politico, sulle politiche di conciliazione tra tempi di lavoro e di vita
famigliare e individuale.
3. A questi mutamenti si è affiancata l’evoluzione dei punti vendita,
di metratura sempre maggiore, che si sono via via avviati ad assorbire tutte quelle attività ludiche e relazionali che in precedenza
erano svolte in spazi e tempi diversi da quelli di vendita/acquisto.
L’evoluzione in stile ludico dei punti di vendita e dell’esperienza di
acquisto propone alla famiglia ed ai suoi membri gli appuntamenti
di acquisto come esperienze divertenti e di socializzazione condivisa dal nucleo famigliare.
4. Questa evoluzione, unita alla prima, porta al coinvolgimento dei
minori nei comportamenti di acquisto della famiglia in chiave gio-
Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore
1059
cosa e condivisa, socializzandoli, anche attraverso le relazioni che
essi vedono svilupparsi tra i propri genitori in questi spazi e durante queste esperienze, ad una famigliarità ludica, espressiva e diffusiva con gli spazi di vendita. Soprattutto quelli di vasta metratura,
che possono inglobare al loro interno varie situazioni relazionali, e
varie esperienze di acquisto/vendita.
5. Tutto questo si incrocia con la progressiva e raffinata segmentazione del mercato operata dal marketing, che giunge ben presto ad
isolare l’infanzia come consumatore autonomo, producendo merci,
comunicazioni e settings pensati per lei.
Negli spazi di vendita fanno la loro comparsa strategie volte alla “liberazione” dell’infanzia dai controlli del gruppo parentale, costruendola e socializzandola come consumatore autonomo ed indipendente.
La costruzione del futuro consumatore posta in essere dai punti di
vendita si appoggia essenzialmente su due pilastri: la famigliarizzazione ludica con gli spazi di vendita e l’abitudine all’acquisto d’impulso sulla base del desiderio individuale, due pilastri che le strutture di
vendita costruiscono con quotidiana premura all’interno della identità
e della visione del mondo del piccolo consumatore.
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e fidelizzare le famiglie con bambini, Assessorato al Turismo, Rimini, 2000.
Cognome del minore e identità personale1, *
Stefano Troiano
Sommario: 1. Premessa. Il faticoso processo di emersione dell’identità
del figlio quale fulcro della disciplina del cognome. – 2. Il primo fattore
di resistenza in questo percorso: l’infausta convergenza tra il peso della
tradizione e l’istanza di garantire l’unità della famiglia. L’art. 262 c.c.
prima della riforma della filiazione. – 3. L’art. 262 c.c. dopo la riforma
della filiazione: un passo in avanti significativo, sebbene non risolutivo.
– 4. L’ulteriore apertura in favore della scelta dei genitori per il doppio
cognome contenuta nella sentenza della Corte costituzionale 21 dicembre 2016, n. 286. – 5. Ancora una volta un progresso importante ma non
risolutivo: i problemi lasciati aperti dalla pronuncia della Corte costituzionale. – 6. Quali prospettive di riforma per il futuro? Alla ricerca della
(irraggiungibile) quadratura del cerchio. – 7. La scelta del cognome (unico o doppio) rimessa all’accordo tra i genitori. – 8. La soluzione (preferibile) dell’attribuzione del doppio cognome per previsione inderogabile
di legge. – 9. Il criterio per selezionare quale cognome, tra i due che compongono il doppio cognome, si trasmette alla generazione successiva.
1
* Il presente contributo rientra nell’attività di ricerca del Team “D.I.G.I.T.S.”
nell’ambito del Progetto di Eccellenza del Dipartimento di Scienze Giuridiche
dell’Università di Verona “Diritto, Cambiamenti e Tecnologie”. “Il valore dell’identità
della persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni, e la consapevolezza
della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione
dell’appartenenza del singolo ad un gruppo familiare, portano ad individuare nei
criteri di attribuzione del cognome del minore profili determinanti della sua identità
personale, che si proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 Cost.” (Corte
cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in Giur. it., 2017, p. 815, con nota di R. Favale, Il cognome
dei figli e il lungo sonno del legislatore; in Fam. dir., 2017, p. 213, con nota di E. al Mureden,
L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio; in Corr. giur.,
2017, p. 165, con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche
il cognome materno, se i genitori sono d’accordo; in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 818, con
nota di C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori ed identità dei figli.
1062
The best interest of the child
1. Premessa. Il faticoso processo di emersione
dell’identità del figlio quale fulcro della disciplina
del cognome
In una importante, e ormai celebre, sentenza resa dalla Corte costituzionale nel 2016 in materia di attribuzione del cognome ai figli
si rinviene il riconoscimento a chiare lettere della funzione essenziale che il diritto al nome (e, specificamente, al cognome) svolge
quale espressione dell’identità personale del minore, in quanto tale
direttamente riconducibile alla copertura di protezione assoluta della personalità umana offerta dalla clausola generale costituzionale
dell’art. 2 Cost.2. È questa, in particolare, la base sulla quale il giudice
delle leggi, in quell’occasione, ha fondato la declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della regola non scritta di attribuzione
automatica del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, anche
in presenza di un diverso accordo tra i genitori, altresì estendendo
detta declaratoria, in via consequenziale, pure alla regola (in questo
2
È ormai acquisito che l’identità personale, di cui la protezione assicurata al nome e
al cognome della persona è notoriamente una delle espressioni più importanti (al
punto che la giurisprudenza ha inizialmente preso le mosse proprio dagli artt. 6-9
e 10 c.c., che proteggono il nome, lo pseudonimo e l’immagine della persona da un
utilizzo abusivo e improprio, al fine di ricavare gli indici della protezione normativa
di un più ampio diritto all’identità personale: per i riferimenti v., in luogo di molti,
V. Zeno Zencovich, Identità personale in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993,
p. 294 ss.), trova implicito riconoscimento nella clausola generale di tutela dei
diritti fondamentali di cui all’art. 2 Cost., oltre ad essere tutelata esplicitamente,
con riferimento al minore, negli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 20
novembre 1989 sui diritti del fanciullo ratificata con l. 27 maggio 1991, n. 176 (v. art.
7: “1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha
diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere
i suoi genitori e a essere allevato da essi. [...]”; e art. 8: “1. Gli Stati parti si impegnano
a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua
nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza
ingerenze illegali. 2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua
identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione
affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile”). A partire dalla metà
degli anni ‘90, il diritto all’identità personale ha trovato dignità normativa anche
sul piano della legislazione ordinaria, in particolare nella normativa a tutela della
privacy (prima nell’art. 1 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, poi nell’art. 2 del d.lgs.
30 luglio 2003, n. 196 Codice in materia di protezione dei dati personali, oggi tuttavia
abrogato, e nell’art. 126, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali
e del paesaggio, nonché nell’art. 95 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la
revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) e infine anche nel codice
civile (v. il riferimento all’identità personale, che, proprio con riguardo al cognome
del figlio nato fuori del matrimonio, si rinviene nell’art. 262, comma 3°, c.c., come
riformato dal d.lgs. n. 154 del 2013: su questa disposizione v. amplius oltre, nel testo).
Cognome del minore e identità personale
1063
caso, scritta) di attribuzione del cognome paterno ai figli nati fuori
del matrimonio, contenuta nell’art. 262, comma 1°, c.c., e a quella
(parimenti scritta) che, in materia di adozione, attribuisce al figlio
adottivo il cognome del padre (art. 299, comma 3°, c.c.).
Peraltro, già due decenni prima la stessa Corte costituzionale aveva
fondato sempre sulla tutela dell’identità personale del figlio la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 262 c.c. (nella versione
antecedente alla riforma di detto articolo intervenuta nel 2013), nella
parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, potesse ottenere dal giudice
il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli
con atto formalmente legittimo dall’ufficiale dello stato civile, ove tale
cognome fosse divenuto “autonomo segno distintivo della sua identità personale”3. Lo stesso argomento giuridico, quello incentrato sulla
tutela dell’identità personale quale espressione irretrattabile della personalità umana protetta dall’art. 2 Cost., aveva inoltre fondato, solo due
anni prima, anche la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art.
165 R.d. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile, quale
anteriore al d.p.r. n. 396 del 2000), nella parte in cui non prevedeva che,
quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni
indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comportasse il cambiamento
del cognome, il soggetto stesso potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo fosse ormai da ritenersi “autonomo segno distintivo
della sua identità personale”4. Nella stessa scia di questi precedenti si
colloca anche la sentenza 7-11 maggio 2001, n. 120 con cui la Corte Costituzionale, alcuni anni dopo, avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’allora vigente art. 299, comma 2°, c.c., nella parte in cui
non prevedeva che, qualora fosse figlio naturale non riconosciuto dai
propri genitori, l’adottato potesse aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli.
3
Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Giust. civ., 1996, p. 2475.
4
Corte Cost., 3 febbraio 1994, n. 13. Alla pronuncia aveva fatto seguito il nuovo ord.
st. civ. (d.P.R. n. 396 del 2000), il cui art. 95, comma 3, ora prevede che, nell’ambito
delle procedure giudiziali di rettificazione degli atti dello stato civile, “l’interessato
può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome
originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua
identità personale”.
1064
The best interest of the child
Ai menzionati interventi del giudice delle leggi ha fatto poi da
pendant una giurisprudenza copiosa e costante dei giudici ordinari,
che, negli ultimi decenni, ha intessuto una trama di interpretazione
delle norme in materia di attribuzione del cognome ai figli, e, segnatamente, dell’art. 262 c.c. relativo al figlio naturale (ora, figlio nato
fuori del matrimonio), saldamente incentrata sulla considerazione
dell’identità personale del figlio, specialmente se minore5.
La pronuncia della Corte costituzionale del 2016 suggella dunque un
percorso, iniziato alcuni decenni prima, di progressiva emersione del collegamento inscindibile che intercorre tra il sistema normativo di attribuzione del cognome ai figli e la tutela dell’identità personale del minore.
Un esito, questo, che potrebbe apparire scontato nella prospettiva,
oggi dominante, che, anche sull’impulso della dimensione sovranazionale di preminente tutela dei diritti del fanciullo, pone il best interest of the
child al centro di qualsiasi riflessione sulle norme che riguardano, direttamente o indirettamente, il minore come soggetto di protezione6, ma che
ha trovato anche in tempi relativamente recenti non poche difficoltà ad
affermarsi come chiave di lettura primaria della disciplina di attribuzione
del cognome all’interno della famiglia, difficoltà che sono testimoniate
dall’ambiguità che tuttora presenta la legislazione in materia, a dispetto
delle recenti riforme ancora non pienamente allineata a questo obiettivo.
Le ragioni di queste difficoltà sono varie, ma tra queste assumono un
rilievo preponderante, nell’ordine: il peso della tradizione, che da tempo
immemorabile, almeno in Italia, assegna prevalenza alla trasmissione
5
Tra le tante, v. Cass., 18 giugno 2015, n. 12640; Cass., 2 febbraio 2011, n. 2644; Cass., 28
maggio 2009, n. 12670 e Cass., 24 settembre 2009, n. 23635. Si veda, più in particolare,
Cass., 26 maggio 2006, n. 12641, la quale ha stabilito che il giudice, quando si trova
a dover valutare la richiesta di attribuire il cognome ad un figlio naturale, a sensi
dell’art. 262 c.c., “deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del
cognome, ma deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in
cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre”, con la conseguenza
che non dovrà autorizzare l’assunzione del cognome del padre quando “il cognome
materno si sia radicato nel contesto sociale” in cui il ragazzo ha vissuto. V., poi, Cass.,
21 novembre 1998, n. 11789, nonché Cass., 27 aprile 2001, n. 6098, la quale, applicando
analogicamente all’istituto della legittimazione il disposto dell’art. 262 c.c., ha stabilito
che “il giudice di rinvio che, nel decidere in ordine alla richiesta di attribuzione al
figlio naturale del cognome del padre che lo ha legittimato successivamente, dovrà
valutare l’interesse esclusivo del minore, avuto riguardo al diritto del medesimo
alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell’ambiente in cui
è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonché ad ogni altro
elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, escludendo ogni automaticità”.
6
Su questa prospettiva di lettura v., con specifico riguardo all’identità del figlio, M.G.
Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015, p. 12 ss.
Cognome del minore e identità personale
1065
del (solo) cognome paterno; l’esigenza, costituzionalmente garantita,
di garantire l’unità familiare nel passaggio da una generazione all’altra7, che ricorre in tempi più vicini a noi come giustificazione principale
alla base della regola tradizionale di prevalenza del cognome paterno8; nonché, più di recente, la preoccupazione di assecondare la scelta
concorde dei genitori, in una prospettiva, sempre più accreditata nel
diritto di famiglia, di progressivo ampliamento degli spazi di autonomia privata e che, più nello specifico, vede nell’accordo tra i genitori
in merito alla scelta del cognome lo strumento per garantire al meglio
l’eguaglianza tra uomo e donna9, ma che, tuttavia, come si cercherà di
evidenziare nel prosieguo del ragionamento, non sempre e non necessariamente muove in una direzione compatibile con la piena promozione dell’identità del figlio10.
7
L’art. 29, comma 2°, Cost., individua, come fondamento dei possibili limiti stabiliti
dalla legge all’eguaglianza morale e materiale dei coniugi, la “garanzia dell’unità
familiare”, quale elemento identificativo unitario della famiglia, obiettivo a cui
tendono, peraltro, anche le compagini familiari di nuovo conio (come è implicito
nel concetto stesso di “unione” civile) e che, a livello di legislazione ordinaria, trova
espressione, ad esempio, nell’art. 145, comma 2°, c.c. e nell’art. 316 c.c. In entrambi i
casi regolati da queste ultime disposizioni, l’unità della famiglia è indicata come uno
dei criteri a cui il giudice deve attenersi per risolvere un contrasto, rispettivamente,
tra i coniugi (art. 145) o tra i genitori (art. 316), in merito a questioni fondamentali
per la vita della famiglia o per l’interesse del figlio (nel caso dell’art. 316, il giudice si
limita peraltro a suggerire la soluzione, che non può imporre).
8
Si ricordi che non molto tempo prima delle pronunce sopra citate, ancora nel 1988
la Corte costituzionale, con l’ordinanza 11 febbraio 1988, n. 176, aveva dichiarato
manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt.
71, 72, ultimo comma, e 73 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 sull’ordinamento dello
stato civile, affermando che “oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale,
sotto il profilo del diritto al nome, non è la scelta del nome, bensì il ‘nome per legge
attribuito’, come si argomenta dall’art. 22 Cost. in relazione all’art. 6 cod. civ.”; e
“che l’interesse alla conservazione dell’unita familiare, tutelato dall’art. 29, comma
secondo, Cost., sarebbe gravemente pregiudicato se il cognome dei figli nati dal
matrimonio non fosse prestabilito fin dal momento dell’atto costitutivo della
famiglia, in guisa che ai figli esso sia non già imposto, cioè scelto, dai genitori (come
il prenome) in sede di formazione dell’atto di nascita, bensì esteso ope legis”.
9
È appena il caso di ricordare che l’uguaglianza morale e materiale dei coniugi è
il principio su cui è ordinato il matrimonio secondo la formulazione dell’art. 29,
comma 2°, Cost.: principio ribadito, a livello di legislazione ordinaria, nell’art. 143,
comma 1°, c.c. nonché, con riguardo alle unioni civili tra persone dello stesso sesso,
nell’art. 1, comma 11°, l. n. 76/2016.
10
Invero, la centralità dell’interesse del figlio alla esplicazione della sua identità
personale dovrebbe invece essere il cardine dell’intera disciplina del cognome, la
cui retta comprensione è stata invece per troppo tempo appiattita sulla questione
o dell’unità familiare o del pari trattamento dei genitori nella trasmissione del
cognome. Come si vedrà, la maggiore enfasi che al profilo dell’identità personale
viene ora data dal comma 3° dell’art. 262 c.c. quale risultante dalla riforma della
1066
The best interest of the child
Tutti fattori, dunque, quelli appena ricordati, che hanno per lungo
tempo opposto resistenza al diffondersi di una piena e corretta percezione, soprattutto sul piano del formante legislativo, della necessaria preminenza dell’interesse identitario del figlio nell’informare la disciplina di
attribuzione del cognome e che tuttora, pur in un quadro normativo e
giurisprudenziale sensibilmente mutato, rischiano di offuscare l’affermarsi completo e definitivo di questa prospettiva anche nel prossimo futuro.
Nelle pagine che seguono si tratteggeranno in primo luogo più da
vicino i termini di questo percorso evolutivo, per poi dedicare qualche
riflessione conclusiva alle prospettive di riforma che paiono, seppur
ancora una volta timidamente e con numerosi elementi di incertezza,
affacciarsi all’orizzonte.
2. Il primo fattore di resistenza in questo percorso:
l’infausta convergenza tra il peso della tradizione
e l’istanza di garantire l’unità della famiglia. L’art. 262
c.c. prima della riforma della filiazione
Una tradizione per lungo tempo indiscussa, almeno in Italia, ci ha
consegnato la convinzione che nella disciplina del cognome familiare
l’unità della famiglia possa essere realizzata solo sacrificando l’eguaglianza fra i componenti della coppia, facendo prevalere il cognome
del marito, quando si tratti di individuare un cognome che evidenzi
l’unità del vincolo di coppia11, e dando preminenza al cognome del
filiazione potrebbe avere un significato determinante anche ai fini della ricostruzione
della ragionevolezza complessiva della nuova disciplina, in attesa del suo – si spera
ormai non lontano – superamento.
11
Per quanto riguarda il cognome del coniuge, è noto come la riforma del diritto
di famiglia del 1975, pur avendo superato la regola che imponeva alla moglie la
perdita del suo cognome da ragazza e l’acquisto automatico di quello del marito,
abbia tuttavia mantenuto, nell’art. 143 bis c.c., una regola comunque discriminante
nei confronti della donna, nella misura in cui solo per la moglie è prevista l’aggiunta
del proprio cognome a quello del marito (si vedano, per tutti, i rilievi critici di R.
Tommasini, sub art. 143 bis, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli,
Torino, 2010, p. 449 s.; M.C. De Cicco, Cognome della famiglia e uguaglianza fra coniugi,
in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, 2° ed., Milano, 2011, p. 1016 ss.; M.
Moretti, Il cognome coniugale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini,
Torino, 2016, I, p. 789; si ricordi, però, che l’aggiunta del cognome del marito non
comporta modifica delle schede anagrafiche, le quali, ai sensi dell’art. 20, comma
3°, d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, “devono essere intestate al cognome da nubile”;
soluzione, questa, infine adottata anche con riguardo al cognome comune scelto dalle
parti di una unione civile tra persone dello stesso sesso ai sensi dell’art. 1, comma
10°, l. n. 76/2016: il d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 5 ha infatti modificato sul punto il già
Cognome del minore e identità personale
1067
padre, tutte le volte in cui venga in considerazione la disciplina della
trasmissione del cognome familiare ai figli12.
Con specifico riguardo al cognome dei figli, e rinviando ad altre
sedi per l’esame della questione con riguardo ai componenti della coppia, è noto, in particolare, come manchi, nell’ordinamento italiano, una
regola unitaria di attribuzione del cognome ai figli.
Ai figli nati nel matrimonio, in assenza di un’espressa previsione
di legge, è tradizionalmente considerata applicabile una regola non
scritta, che si ritiene desumibile dal sistema (ma, secondo altri, di fonte
consuetudinaria)13, la quale prevede la trasmissione al figlio del cognomenzionato c.d. Regolamento dell’Anagrafe, d.P.R. n. 223/1989, stabilendo che “per
le parti dell’unione civile le schede [anagrafiche] devono essere intestate al cognome posseduto
prima dell’unione civile”, in tal modo facendo un passo indietro rispetto alla soluzione
provvisoriamente adottata dall’art. 4, comma 2°, d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144 (c.d.
“decreto ponte”) che aveva invece previsto il cambiamento della scheda anagrafica;
per i riferimenti v. S. Troiano, Unioni civili e ordinamento dello stato civile dopo il d.lgs.
19 febbraio 2017, n. 5 (prima parte), in Studium iuris, 2017, p. 951 ss., e (seconda parte), in
Studium iuris, 2017, p. 1124 ss.). Questa aggiunta (peraltro rigidamente intesa come
“posposizione”) forma allo stesso tempo oggetto tanto di un diritto quanto – almeno
secondo un’opinione ampiamente diffusa, ma non incontrastata – di un dovere (v.
P. Zatti, Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi,
in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 2° ed., Torino, 1996, III, p. 71; M.
Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile. Commentario, fondato da P.
Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, 2° ed., Milano, 2012, p. 155; in senso opposto,
cfr. però C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 50 e T. Auletta,
I rapporti personali tra uniti civilmente, in Jus civile, 2017, 4, p. 282), giustificato proprio
dall’esigenza di garantire l’unità familiare (v., tra gli altri, G. Villa, Gli effetti del
matrimonio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini-G. Cattaneo, 2° ed.,
Torino, 2007, I, p. 346). Oggi la previsione risulta però evidentemente disallineata
rispetto a quella di recente introdotta per le unioni civili, la quale, interpretando
in modo opposto il significato del limite dell’unità familiare (per la qualificazione
familiare delle unioni civili v., ad es., T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate
sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove
leggi civ. comm., 2016, p. 400 s.), consente alle persone unite civilmente proprio ciò
che ai coniugi (ad ora) non è permesso, ossia di adottare un cognome comune,
rappresentativo della loro unione e scelto tra i loro cognomi personali (art. 1, comma
10°, l. 20 maggio 2016, n. 76, su cui cfr. T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, in
C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai
d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, p. 123 ss., il quale ipotizza
che la mancata riproduzione della regola prevista per i coniugi nell’art. 143 bis c.c.
risponda, più che all’affermazione di una logica egualitaria, alla constatazione che,
in una unione tra due persone dello stesso sesso, “non esiste una ragione plausibile
per dare prevalenza al cognome dell’uno o dell’altro dei suoi componenti”).
12
Emblematica, in questo senso, la ordinanza della Corte cost., 11 febbraio 1988, n. 176
sopra citata.
13
Com’è noto, gli indici sistematici da cui si ritiene di poter ricavare questa regola sono
tratti dall’art. 237, comma 2°, c.c., in materia di possesso di stato (ora però abrogato,
nella parte relativa al cognome paterno, dalla riforma della filiazione), dallo stesso
1068
The best interest of the child
me paterno. Un punto, questo, sul quale il legislatore non è intervenuto
neanche nel contesto della più recente riforma della filiazione14, che ha
rappresentato, sotto questo punto di vista, un’occasione mancata15.
La regola riguardante i figli nati fuori del matrimonio è invece scritta ed è contenuta nell’art. 262 c.c., il quale è stato significativamente
modificato dalla predetta riforma della filiazione (in particolare, ad
opera del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154)16.
art. 262 c.c., relativo al figlio nato fuori del matrimonio, dagli artt. 27 l. adoz.
e 299, comma 2° (dopo la riforma, divenuto comma 3°), c.c., relativi al cognome
dell’adottato, e, prima dell’abrogazione dell’istituto della legittimazione, dalla
previsione di cui all’art. 33, comma 2°, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, che prevedeva
che il figlio legittimato acquistasse il cognome del padre: cfr. T. Auletta, Diritto
di famiglia, 2° ed., Torino, 2014, p. 358. Per la natura consuetudinaria della regola
(anche alla luce dell’abrogazione di molte delle disposizioni ricordate) propende,
ad esempio, F. Giardina, Il cognome del figlio e i volti dell’identità. Un’opinione in
“controluce”, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 139. Di regola non scritta ma,
almeno fino ad oggi, considerata implicita nel sistema, ha parlato invece Corte cost.,
16 febbraio 2006, n. 61, in Foro it., 2006, I, c. 1673, rilevando che il vincolo dell’attività
dell’ufficiale dello stato civile nell’attribuzione del cognome non è coerente con la
qualificazione della regola come consuetudinaria. Nello stesso senso si è posta anche
la più recente Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, cit.
14
Si ricordi, però, come già nel 2012, indipendentemente dalla riforma della filiazione,
la regola sia stata di fatto temperata con un intervento di modifica della disciplina
regolamentare dello stato civile (d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, come modificato
con d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54) la quale ora consente, con semplice richiesta al
prefetto, di “aggiungere al proprio un altro cognome”: rimane preclusa, dunque,
l’attribuzione del doppio cognome alla nascita, ma se ne consente in modo più
agevole l’adozione da parte dell’interessato in un momento successivo. Per quanto
semplificata, la procedura in questione, alla quale sono sottese evidenti ragioni
di sicurezza pubblica, è comunque di tipo concessorio e non si basa dunque sulla
mera volontà dell’interessato: oltre alla presentazione di una domanda al prefetto,
si prevede anche l’affissione della domanda stessa all’albo pretorio del comune e la
possibilità, per chiunque vi abbia interesse, di opporsi ad essa.
15
M. Trimarchi, Il cognome dei figli: un’occasione perduta dalla riforma, in Fam. dir., 2013,
p. 243 ss. Verosimilmente, la rinuncia del legislatore a regolare in maniera organica
la materia della trasmissione del cognome, con una disciplina unitaria per tutti i figli,
aveva trovato fondamento nella preoccupazione di non intralciare il vivace dibattito
che su questa delicata questione era già in corso in sede parlamentare e che, nel
momento in cui furono presentate le prime proposte di riforma della filiazione, era
già arrivato a un elevato stadio di avanzamento. Si tratta di motivazioni nobili, oltre
che dotate di pragmatismo, anche se non si può non rimarcare l’occasione mancata.
16
Si deve peraltro ricordare che la legge di delega (l. 10 dicembre 2012, n. 219) non
conteneva alcuna novità in materia di attribuzione del cognome, e che la decisione
di intervenire sul punto è stata presa solo dal legislatore delegato, che a ciò ha
provveduto con l’art. 27, comma 1°, del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154: M. Trimarchi,
Il cognome dei figli, cit., p. 243 ss. e S. Stefanelli, Illegittimità dell’obbligo del cognome
paterno e prospettive di riforma, in Fam. dir., 2014, p. 224.
Cognome del minore e identità personale
1069
Nella sua versione originaria, l’art. 262 c.c. sposava in termini netta il
principio di prevalenza del cognome paterno, non solo stabilendo che il figlio naturale assumesse “il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, o quello
del padre, se congiuntamente o separatamente è stato riconosciuto da entrambi i
genitori”, ma altresì negando al figlio (o al giudice se minore) di optare, nel
caso di due riconoscimenti successivi, per la conservazione (anche solo in
termini di aggiunta) del cognome originariamente ricevuto. Nel caso di
riconoscimento tardivo da parte del padre, il cognome paterno andava
comunque a sostituire quello materno e, nel caso inverso, il cognome della
madre non poteva aggiungersi a quello paterno già acquisito.
La riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva significativamente
corretto questa regola, mantenendo la prevalenza del cognome paterno
in caso di riconoscimento contemporaneo, ma introducendo, nel comma
2°, per il caso in cui la filiazione nei confronti del padre fosse stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, la possibilità per il figlio naturale di assumere il cognome del padre
aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Si apriva quindi
ad una scelta rimessa al figlio maggiorenne, che gli consentiva di optare
anche per la conservazione del cognome materno accanto a quello paterno. Inoltre, nel caso di minore età del figlio, si attribuiva al giudice la
decisione circa l’assunzione del cognome del padre (con una decisione
che, come la giurisprudenza avrebbe nel tempo avuto modo di chiarire,
ma che nella prima fase di applicazione della norma non era risultata
unanimemente condivisa, si sarebbe dovuta assumere avendo esclusivo riguardo alla protezione dell’identità personale del minore, e senza
quindi alcun automatico favore per l’acquisto del cognome paterno).
3. L’art. 262 c.c. dopo la riforma della filiazione: un passo
in avanti significativo, sebbene non risolutivo
La riforma della filiazione, e in particolare il d.lgs. n. 154 del 2013,
modifica nuovamente l’art. 262 c.c., e tuttavia la regola che ne risulta
si presenta anch’essa insoddisfacente, in special modo evidenziando,
se riguardata nella prospettiva che qui primariamente interessa della
tutela dell’identità personale del minore, alcuni perduranti profili di
contraddittorietà.
Da un lato, infatti, essa ha confermato e riproposto nei suoi primi
due commi, senza metterlo in discussione, l’orientamento di tendenziale favore per l’attribuzione ai figli del cognome paterno a cui era ispirata
1070
The best interest of the child
la disciplina previgente e che è alla base anche della già ricordata regola
non scritta valevole per i figli nati nel matrimonio. E così, per il caso di
riconoscimento contemporaneo da parte di entrambi i genitori17, si è
ribadita la previsione secondo cui il figlio nato fuori del matrimonio assume il cognome del padre (comma 1°, secondo periodo). Nel caso, poi,
di riconoscimento disgiunto e non contemporaneo, si è confermata la
regola per cui il figlio nato fuori del matrimonio assume il cognome del
genitore che per primo lo ha riconosciuto (comma 1°, primo periodo), e,
solo se la filiazione nei riguardi del padre è stata accertata per seconda,
il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre (comma 2°)18 (regola, questa,
che come già si è anticipato, in particolare lì dove ammette la giustapposizione dei due cognomi, è chiaramente ispirata all’esigenza di non
disperdere l’identità già acquisita dal figlio), mentre lo stesso non sembra essergli consentito, con evidente asimmetria, nel caso inverso, in cui
sia stata accertata per prima la filiazione paterna ed egli abbia quindi
già acquisito il (solo) cognome paterno19.
Dall’altro lato, però, in questo rivelando quella intrinseca ambiguità che si è sopra evidenziata, l’art. 262 c.c., come modificato nel 2013,
contiene più di una significativa apertura nella direzione del riconoscimento dell’identità personale del minore.
Innanzitutto, come si è già detto, il rilievo dell’identità personale è
implicito nella regola di cui al comma 2°, che consente al figlio che ha
già il cognome della madre di aggiungere a quello il cognome del padre che lo abbia riconosciuto successivamente. Questa regola era già
presente nella formulazione della norma antecedente alla riforma del
2013, e viene solo marginalmente arricchita dalla riforma, in particolare
lì dove, prendendo atto di prassi e interpretazioni già consolidate nella
giurisprudenza20, la nuova formulazione si è preoccupata di precisare
17
Ipotesi, questa, alla quale va equiparata quella in cui la filiazione rispetto ad entrambi
i genitori sia stata accertata nell’ambito del medesimo giudizio.
18
Se il figlio è minore la scelta su questo punto è fatta dal giudice, previo ascolto
del figlio che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di
discernimento (comma 4°).
19
Rimane, però, fermo quanto già evidenziato sopra, alla nota 12, ossia che l’attuale
regolamento dello stato civile consente in termini oggi assai semplificati al figlio
divenuto maggiorenne di aggiungere al proprio un altro cognome (d.P.R. 3
novembre 2000, n. 396, come modificato con d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54).
20
V. A. Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento
al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 33 ss.
Cognome del minore e identità personale
1071
espressamente, sempre nel comma 2°, che il figlio può assumere il cognome del padre non solo aggiungendolo o sostituendolo a quello della
madre, ma anche “anteponendolo” a quello21, così recependosi nel dato
normativo l’interpretazione che si era già andata formando con riguardo alla formulazione previgente22.
Ma è, soprattutto, nel riformulato comma 3° dell’art. 262 c.c. che
all’identità personale del figlio si attribuisce un valore esplicito, lì dove
espressamente la si richiama quale fondamento in ragione del quale
il figlio, la cui filiazione nei confronti del genitore sia stata accertata
o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte
21
Per quanto attiene alla forma, è opportuno ricordare che la dichiarazione di scelta di
cui al 3° comma è resa di fronte all’ufficiale dello stato civile del Comune di nascita del
figlio, personalmente o con comunicazione scritta, e annotata nell’atto di nascita (art.
33, comma 3°, Ord. st. civ., d.P.R. n. 396 del 2000). La scelta può essere fatta anche per
testamento, ma solo a condizione che contenga anche l’assenso al riconoscimento, e
questo non sia quindi prestato con atto tra vivi (L. Carraro, Della filiazione naturale e
della legittimazione, in G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi (cur.), Commentario al diritto
italiano della famiglia, IV, Padova, 1992, p. 146; contra G. Ferrando, La filiazione naturale
e la filiazione2, in Trattato Rescigno, Torino, 1997, 4, III, p. 256, nt. 70). È discusso,
ancora, se, nel caso in cui il riconosciuto muoia prima di compiere la scelta, la facoltà
di scelta si trasmetta ai suoi discendenti. Secondo una tesi, la facoltà di scelta sarebbe
strettamente personale e non potrebbe dunque essere esercitata che dal figlio (A.
Finocchiaro – M. Finocchiaro, Diritto famiglia, II, Milano, 1975, p. 1747 s.; B. De
Filippis – G. Casaburi, La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2000,
p. 488). Secondo una diversa opinione, la scelta competerebbe anche ai discendenti
ma nel solo caso in cui il figlio non abbia prestato il suo assenso al riconoscimento (L.
Carraro, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., p. 147, per il quale, dunque,
se il riconoscimento sia stato effettuato a favore dei discendenti, questi – anche non
unanimemente, ciascuno potendo scegliere pure solo per se stesso – hanno la facoltà
di decidere circa l’assunzione del cognome).
22
Rispetto alla quale, di fronte al sintetico ed elusivo concetto di “aggiunta”, ci si
chiedeva se l’aggiunta potesse esplicarsi soltanto in una posposizione del cognome
paterno a quello materno o anche nella sua anteposizione al secondo (v. A. Figone,
La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, p. 11; M.
Mantovani, sub art. 262, in Commentario breve al c.c. Cian-Trabucchi10, Padova, 2014,
p. 357). La perplessità era stata risolta nel senso estensivo dalla giurisprudenza,
sul presupposto che aggiungere un cognome può ben significare, nel comune uso
linguistico, anche anteporre, e aveva poi trovato conferma anche nella disciplina
regolamentare in materia di stato civile, e in particolare nell’art. 33 Ord. st. civ.,
dove la possibilità dell’anteposizione è stata espressamente prevista. Il chiarimento
operato dal legislatore della riforma rappresenta dunque il naturale compimento di
questo percorso. D’altra parte, questo orientamento aveva trovato indiretto riscontro
in Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Giust. civ., 1996, p. 2475, con riferimento alla
diversa (ma connessa) questione (di cui si dirà tra breve nel testo) se il potere di
scelta del figlio di cui all’art. 262, comma 2°, c.c., potesse esplicarsi anche rispetto
al caso di cognome attribuito dall’ufficiale dello stato civile. Con specifico riguardo
a questo caso, la Corte aveva infatti dovuto riconoscere che il figlio può non solo
“aggiungere”, in senso stretto, ma anche “anteporre” un cognome all’altro.
1072
The best interest of the child
dell’ufficiale dello stato civile, “può mantenere il cognome precedentemente
attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità
personale”.
Questo secondo intervento muove con forza nel senso dell’ampliamento del potere di scelta del cognome da parte del figlio (maggiorenne) ed in favore di una più ampia garanzia della sua identità personale.
Nella formulazione previgente dell’art. 262, comma 2°, c.c., tale potere
era, infatti, circoscritto al caso in cui la filiazione nei confronti del padre
fosse accertata o riconosciuta dopo il riconoscimento da parte della
madre. La giurisprudenza e la dottrina erano tuttavia giunte a riconoscere in più ampi termini la facoltà di scelta del figlio, ritenuta facoltà
essenziale per la garanzia dell’identità personale. In particolare, come
già si è anticipato, la Corte Costituzionale23 aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, in relazione all’art. 2 Cost., l’articolo in parola
nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, già titolare di un
cognome, potesse, nell’assumere il cognome del genitore che lo avesse
successivamente riconosciuto, ottenere dal giudice il diritto di mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo al nuovo cognome,
il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distintivo della
sua identità personale24.
Già prima della riforma era, dunque, regola ormai acquisita che la
persona riconosciuta potesse mantenere il cognome precedentemente
attribuitogli dall’ufficiale dello stato civile, nella misura in cui questo
fosse divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale,
come nel caso di persona inizialmente dichiarata figlia di ignoti e della
quale venissero successivamente – anche a grande distanza di tempo
– accertate, mediante riconoscimento o dichiarazione giudiziale, la paternità o la maternità naturali25 (e cfr., sul punto, l’art. 33, 2° co., Ord. st.
civ., che già prima della riforma della filiazione espressamente consentiva al figlio di ignoti, che venga riconosciuto dopo il raggiungimento
della maggiore età, di mantenere il cognome anteriore, aggiungendo o
anteponendo ad esso quello del genitore che lo riconosce e che ora, a
seguito della nuova formulazione introdotta in attuazione della delega
23
Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297, cit.
24
V. inoltre, in direzione del tutto analoga, la già citata sentenza della Corte Cost., 3
febbraio 1994, n. 13.
25
C. M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 362.
Cognome del minore e identità personale
1073
legislativa dal d.p.r. 30 gennaio 2015, n. 26 prevede che “il figlio nato
fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore
età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, [ha] la facoltà di
scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne [viene] a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o
di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore”26.
A seguito della riforma, il nuovo art. 262, comma 3°, c.c., prendendo
atto di questi orientamenti, ha stabilito che “se la filiazione nei confronti
del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del
cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo
comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo
della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al
cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori
in casi di riconoscimento da parte di entrambi”. Oltre per il fatto di recepire
gli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati conferendo quindi
ad essi un quadro normativo di riferimento, la novella si segnala anche
perché introduce per la prima volta nel codice civile un esplicito richiamo al diritto all’identità personale27, inteso come strettamente legato
alla tutela del nome: un richiamo che si aggiunge come ulteriore suggello, con in più l’autorevolezza della sede normativa prescelta, agli altri riconoscimenti di tale diritto già presenti in altri corpi normativi speciali28, ma che assume significato soprattutto in quanto vale a rimarcare
la fondamentale importanza del (cog)nome quale aspetto e allo stesso
tempo simbolo dell’identità del figlio. Viene così in evidenza come le
26
Sulla base degli stessi principi si era altresì affermato che l’accoglimento
dell’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità
non comporta l’automatica perdita del cognome acquisito con il riconoscimento,
potendo il soggetto riconosciuto rivendicare il diritto di conservare il cognome
originario, portato per anni, che caratterizza ormai lui e la sua famiglia, sì da
costituire componente essenziale della sua identità personale (G. Ferrando, La
filiazione naturale e la filiazione2, p. 257; App. Palermo, 7 marzo 1995, in Dir. fam., 1995,
p. 1026). Il problema sembra oggi definitamene deciso nel senso indicato dal citato
art. 95 ord. st. civ., il quale si riferisce anche all’ipotesi di rettifica degli atti dello
stato civile richiesta in conseguenza di accoglimento dell’azione di impugnazione
di un precedente riconoscimento: pure rispetto a questa ipotesi è garantita
dunque la possibilità, per l’interessato, di richiedere il mantenimento del cognome
originariamente attribuitogli.
27
V. A. Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, cit., p. 39 s., che ripercorre i momenti
del graduale processo di emersione del diritto all’identità personale nell’esperienza
giurisprudenziale dagli anni ‘70 ad oggi.
28
V. sopra, alla nota 2.
1074
The best interest of the child
regole di attribuzione del nome, prima ancora che per la loro valenza
di strumento di trasmissione di una identità genitoriale a figlio e alle
generazioni successive, debbano essere prioritariamente intese come
funzionali alla tutela dell’identità del figlio29.
Infine, sebbene non esplicitata come fondamento della disciplina, la
tutela dell’identità del figlio è ampiamente presente sotto traccia anche
nella previsione ora contenuta nel comma 4° dell’art. 262 c.c., nel quale è stata riprodotta, solo con una limitata modifica30, la disposizione,
originariamente contenuta nel comma 3°, che, in caso di minore età del
figlio, attribuisce al giudice il potere di scelta del cognome.
Questa prospettiva emerge, in primo luogo, dall’esplicita previsione
che il giudice assume la decisione “previo ascolto del figlio minore, che abbia
compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
Anche in questo caso, come in molte altre disposizioni introdotte o modificate dalla riforma (v. ad es. gli artt. 240, comma 4°, 252, comma 5°, c.c.),
la modifica costituisce specifica applicazione della regola, sancita nel
nuovo art. 315 bis, comma 3°, c.c.31, secondo cui il “figlio minore che abbia
compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha
29
In questo ordine di idee, è stato esattamente rilevato (F. Giardina, Il cognome del
figlio e i volti dell’identità. Un’opinione “controluce”, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II,
p. 140) come la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, nel caso Cusan e Fazzo c. Italia
(su cui v. infra, nel testo e nota 41), si sia collocata, invece, ancora prevalentemente
nella prospettiva del diritto dei genitori (in particolare, della madre, che “usando
l’identità … realizza una proiezione quasi dominicale di sé sulle generazioni future”),
relegando in secondo piano l’esigenza identitaria del figlio. Secondo l’A., al contrario,
è tempo che, anche sotto il profilo dell’attribuzione del cognome, “lo statuto del
minore si affranchi dalla statica visione in un indeterminato individuo senza storia
se non quella della famiglia che lo “rivendica”, senza contatto con la vicenda della
sua esistenza” (Ead., op. cit., 142). Anche per S. Winkler, Sull’attribuzione del cognome
paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Nuova giur. civ.
comm., 2014, I, p. 524, il nodo centrale della pronuncia è “l’ingiusta limitazione della
libertà dei genitori nell’attribuire il cognome al figlio”.
30
In particolare, a seguito della riforma del 2013, la previsione non contiene più alcun
riferimento al cognome “paterno”, che viene sostituito con quello al cognome “del
genitore”. La modifica è stata imposta dalla scelta, fatta nell’attuale comma 3°, di
estendere il potere di scelta, già previsto dal comma 2° nel caso in cui il riconoscimento
della madre sia successivo a quello del padre, anche al caso in cui il figlio, che abbia già
ricevuto un cognome dall’ufficiale dello stato civile, venga riconosciuto successivamente
da uno dei suoi genitori o da entrambi: mentre nel primo caso il giudice, ove il figlio
sia minore, è chiamato a decidere solo in merito all’assunzione del cognome del padre,
nel secondo egli deciderà invece sull’assunzione del cognome del padre o della madre,
a seconda che il riconoscimento successivo sia congiunto oppure, ove fatto da un
solo genitore, sia compiuto dal padre o dalla madre. Di qui la necessità di adottare la
formulazione neutra (“cognome del genitore”) che si legge ora nel comma 4°.
31
Per una prima applicazione v. Trib. Varese, decr. 24 gennaio 2013.
Cognome del minore e identità personale
1075
diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
Per quanto già desumibile dalla regola generale ora citata, la specificazione della stessa anche in materia di scelta del cognome non pare superflua. La regola generale si pone, infatti, come norma di chiusura, al fine
di coprire i casi non regolati o quelli che dovessero insorgere in futuro,
ciò che è quindi compatibile con una precisa individuazione di casi più
specifici nella regola generale comunque compresi. Ma, soprattutto, la
specificazione ha, rispetto al problema che qui ci occupa, una forte valenza simbolica ed assertiva: com’è stato notato, infatti, le dispute intorno al
cognome sono sino ad oggi troppo spesso state riguardate nella falsata (e
comunque parziale) prospettiva dell’interesse paritario dei genitori a trasmettere la propria identità familiare alle generazioni future e assai meno
spesso invece nel più corretto ordine di idee del rispetto delle esigenze
del figlio minore, che si possono portare ad emersione, com’è fin troppo
evidente, solo attraverso l’ascolto32.
Con riferimento a questa disposizione (quella del comma 4°) non
può, tuttavia, non rilevarsi, in senso critico, un difetto di coordinamento, di cui il legislatore della riforma non si è probabilmente accorto e
a cui non pare, ad oggi, possibile porre rimedio in via interpretativa.
In particolare, con riferimento specifico all’età richiesta perché il
figlio possa compiere personalmente la scelta, anche dopo la trasposizione nell’attuale comma 4° la norma continua a fare riferimento alla
maggiore età33, e attribuisce dunque tale potere al giudice in tutti i casi
di minore età del figlio, a prescindere dalla sua effettiva capacità di discernimento, salva solo la necessità, di cui si è appena detto, di ascoltare il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore
ove capace di discernimento. Così formulata, la previsione appare, tuttavia, in contraddizione con la regola, di cui all’art. 250, comma 2°, c.c.,
che prevede che il figlio quattordicenne presti personalmente il suo
assenso al riconoscimento.
Anzi, l’intervenuto abbassamento da sedici a quattordici anni
dell’età minima nel menzionato art. 250, comma 2°, c.c., rende il difetto
di coordinamento tra le due disposizioni ancora più stridente. Come
32
Si chiede provocatoriamente Giardina, op. cit., p. 142, con riferimento all’affaire Cusan
e Fazzo c. Italia: “nel caso giunto alla Corte europea, chi ha ascoltato Maddalena”
[questo era il nome della figlia dal cognome conteso: n.d.r.] “che durante i vari gradi
di giudizio ha compiuto due, tre, cinque, sette anni, ma che, quando la vicenda si è
conclusa, ha raggiunto la non più inconsapevole età di quattordici anni?”.
33
Per ulteriori considerazioni sul punto v. A. Gatto, op. cit., p. 33 ss.
1076
The best interest of the child
era già stato rilevato con riferimento alla situazione antecedente alla
riforma, non si comprende, infatti, per quale ragione il figlio, compiuti
i quattordici anni, possa decidere sugli effetti del riconoscimento ma
non possa incidere su un suo effetto specifico34, ovvero quello che riguarda l’assunzione del cognome35.
L’attuale formulazione dell’ultimo comma dell’art. 262 c.c., come
quella precedente, omette inoltre di specificare quale sia il criterio al
quale il giudice deve attenersi nel decidere, in caso di minore età del
figlio, circa l’assunzione del cognome del genitore. Può farsi allora riferimento a quanto afferma l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale36, già menzionato in precedenza, secondo il quale non esiste
alcun automatismo nell’assunzione, da parte del minore, del cognome
paterno in caso di riconoscimento successivo a quello compiuto dalla
madre, essendo questo unicamente privilegiato quando il riconoscimento sia effettuato contemporaneamente da entrambi genitori, e che
dunque la scelta in merito all’assunzione del cognome paterno (eventualmente anche in sostituzione di quello della madre) deve avere quale
criterio di riferimento unicamente l’interesse del minore e in particolare
la salvaguardia della sua identità personale guardando al vissuto del
minore, alla vita sua trascorsa e anche alle prospettive future37. Stupisce,
34
L. Carraro, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., p. 148; E. Carbone, Del
riconoscimento dei figli naturali, in Comm. c.c. diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura
di L. Balestra, II, Torino, 2010, p. 579. Con riferimento alla novella, l’incongruenza è
rilevata anche da M. Moretti, Le modifiche alla disciplina del riconoscimento dei figli nati
fuori del matrimonio, in M. Dossetti – M. Moretti – C. Moretti (cur.), La riforma della
filiazione, Bologna, 2013, p. 36.
35
Non resta che auspicare che anche questa contraddizione possa essere sanata, quando
il legislatore italiano, dando seguito alla già ricordata pronuncia della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo del 7 gennaio 2014 nel caso Cusan e Fazzo c. Italia, e raccogliendo
la sollecitazione preveniente dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale 21
dicembre 2016, n. 286, su cui a breve si tornerà, si deciderà a mettere finalmente mano
in modo organico all’intera materia dell’attribuzione del cognome.
36
Ribadito, ad esempio, da Cass., 5 giugno 2013, n. 14232. Su tali basi, si è ritenuto
che il figlio può dunque conservare, se del caso, il cognome della madre che per
prima lo ha riconosciuto, se ciò risponde meglio all’interesse del figlio, specialmente
sotto il profilo del minor trauma per lui quanto all’identificazione personale nella
cerchia sociale ove è vissuto col cognome materno nel lungo intervallo temporale tra
il primo e il secondo riconoscimento (Trib. min. Perugia, 1° febbraio 2000, in Giur.
mer., 2000, p. 274). In senso analogo v. anche Cass., 26 maggio 2006, n. 12641, per il
quale il giudice deve impedire il mutamento del cognome non solo nei casi in cui
la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio al minore, ma
anche nel caso in cui il cognome materno sia assurto ad autonomo segno distintivo
della propria identità personale (v. anche Cass., 27 aprile 2001, n. 6098).
37
Così si esprime, tra le tante, Cass., 15 dicembre 2011, n. 27069. Il principio è ribadito,
Cognome del minore e identità personale
1077
però, che il riferimento all’identità personale del figlio, che dovrebbe
essere, come più volte si è sin qui rilevato, il vero fulcro della disciplina di trasmissione del cognome, sia stato richiamato nel comma 3° con
riguardo al caso specifico di riconoscimento successivo all’attribuzione
del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile (v. supra) e non sia
stato, invece, esplicitato come criterio guida per la scelta giudiziale del
cognome ai sensi del comma 4°.
4. L’ulteriore apertura in favore della scelta dei genitori
per il doppio cognome contenuta nella sentenza della
Corte costituzionale 21 dicembre 2016, n. 286
In sintesi, l’art. 262 c.c. quale risultante dalla riforma del 2013, pur
presentando una forte accentuazione nel senso della centralità della
protezione dell’identità del figlio, e in modo particolare del figlio minore, non compie questo percorso fino al suo naturale e doveroso completamento, e si mantiene invece, per così dire, ancora a metà del guado.
Soprattutto, non completa questo processo lì dove conserva, e anzi riafferma, la regola di fondo che, in caso di riconoscimento contemporaneo,
assegna automaticamente al figlio il cognome paterno. La riforma della
filiazione, oltre a non avere introdotto una disciplina organica ed unitaria
per tutti i figli in materia di trasmissione del cognome ed essersi limitata ad
un intervento mirato e ristretto ai soli figli nati fuori del matrimonio38, non
ha dunque saputo superare la regola di preminenza per il cognome paterno neanche nel più ristretto ambito della filiazione fuori del matrimonio.
da ultimo, da Cass., 11 luglio n. 17139, nella cui motivazione si legge “i criteri di
individuazione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si
pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità
personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, sicché la scelta
(anche officiosa) del giudice è ampiamente discrezionale, con esclusione di qualsiasi
automaticità e non può essere condizionata né dal favor per il patronimico né per un
prevalente rilievo della prima attribuzione” (…) “dunque, la ratio della norma non va
individuata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori del matrimonio
quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, ma in quella di
garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto
autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità”.
38
È prevalsa un’interpretazione attenuata del principio di unicità dello stato di figlio,
che si è accontentata di mantenere fermo il sostanziale allineamento che già esisteva,
con alcune limitazioni, tra la disciplina prevista per i figli nati fuori del matrimonio e
quella, ritenuta applicabile al figlio nato nel matrimonio, che prevede la trasmissione
al figlio del cognome paterno.
1078
The best interest of the child
È fuor di dubbio che questa scelta perpetua una diseguaglianza tra
il padre e la madre, né più e né meno inaccettabile di quella che attribuisce preminenza al cognome del marito nella coppia, ma soprattutto, nella prospettiva che qui maggiormente interessa, essa si risolve in
grave pregiudizio anche dell’identità personale dei singoli componenti del nucleo familiare39 e, primo fra tutti, del figlio.
La regola che, in caso di riconoscimento temporaneo, prevede la trasmissione ai figli del solo cognome paterno sacrifica, infatti, l’identità dei
figli, ai quali è imposto di riconoscersi in una visione soltanto parziale
della propria famiglia, in quanto cristallizzata in un cognome inidoneo a
dare conto anche della linea materna, parte – come ci pare invero incontestabile – anch’essa integrante e necessaria della loro storia familiare40.
Orbene, se l’esigenza di unità della famiglia, in quanto esplicitamente posta come limite costituzionale all’uguaglianza tra i coniugi,
potrebbe almeno in astratto costituire giustificazione sufficiente per
fondare la scelta legislativa nella parte in cui legittima un trattamento
diseguale tra i coniugi (salvo poi verificarne la ragionevolezza in concreto, anche in termini di proporzionalità del sacrificio), non si vede
invece come quell’esigenza possa giustificare il sacrificio del distinto
e fondamentale diritto all’identità personale, con cui la legislazione in
tema di attribuzione del cognome si deve parimenti confrontare.
È da chiedersi, dunque, se l’esigenza di unità familiare non debba,
almeno in questo contesto, cedere il passo o – preferibilmente – formare oggetto di una diversa lettura, che ne reinterpreti contenuto e
funzione in un modo tale da ricollocarla in asse, per quanto possibile,
con la fondamentale esigenza di non discriminazione e, soprattutto,
con quella di tutela dell’identità personale, in particolare dei figli.
39
Oltre all’uguaglianza tra i coniugi, la regola che obbliga la moglie ad aggiungere
al proprio il cognome del marito (sempre che la si interpreti come impositiva di un
obbligo) mortifica, infatti, anche l’identità personale della moglie, che, a differenza
del marito, viene ad essere costretta, in conseguenza del matrimonio, a mutare
il principale segno distintivo della propria identità all’esterno (sia pure senza
conseguenze sul piano anagrafico, come si è chiarito). Per converso, al marito che
volesse condividere la comune identità familiare non è consentito aggiungere al
proprio cognome il cognome della moglie.
40
Non meno importante è poi il rilievo che detta regola mortifica, a ben vedere, anche
la stessa identità della madre, al quale non è data la possibilità di riconoscersi
pienamente nel cognome attribuito ai propri figli, in quanto esso vede amputata una
frazione – quella materna – della famiglia di origine. Ci pare indubbio, infatti, che
l’identità di una madre si fondi anche sulla sua capacità di riconoscere nei propri
figli la prosecuzione della propria esperienza di persona.
Cognome del minore e identità personale
1079
Ciò che qui conta è che a queste preoccupazioni, fondate su precise istanze di rispetto di principi fondamentali, il legislatore italiano
si è mostrato in buona misura insensibile, non riuscendo, nell’arco di
diversi decenni, a mettere in opera una riforma della materia del cognome di respiro sistematico e completamente rispettosa dell’esigenza
di tutela dell’identità personale. Un imprescindibile ruolo di supplenza è stato quindi svolto dalle Corti, nazionali e sovranazionali, in un
dialogo andato evolvendosi nel tempo e che ha dato alcuni frutti importanti, e che tuttavia, per i limiti intrinseci alla funzione e ai limiti
del formante giurisprudenziale, non è riuscito a dare forma ad una
soluzione organica e, almeno potenzialmente, risolutiva.
Limitandosi agli interventi successivi alla riforma, basti menzionare la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del
2014 nel caso Cusan e Fazzo c. Italia41, che ha visto la condanna dell’Italia in ragione dell’automatismo della regola di attribuzione del
cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, ma che contiene motivazioni agevolmente estensibili anche alla regola (ricavabile, come
si è detto, dall’art. 262 c.c.) di attribuzione del cognome ai figli nati
fuori del matrimonio.
Da ultimo, rilievo centrale assume la già ricordata sentenza con cui
la Corte costituzionale, nel dicembre del 201642, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della regola non scritta di attribuzione
automatica del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, anche in
presenza di un diverso accordo tra i genitori, e, in via consequenziale,
anche, tra gli altri, dell’art. 262, comma 1°, c.c., in materia di figli nati
fuori del matrimonio.
Si deve però premettere che quest’ultimo intervento, da un lato, è
stato anch’esso per varie ragioni circoscritto in un ambito di applicazione piuttosto delimitato, ciò che impedisce di vedervi una potenzialità espansiva generalizzata, e, dall’altro, non ha mancato di sollevare
delicate questioni di ordine interpretativo e operativo.
41
Corte EDU, 7 gennaio 2014, Ric. n. 77/07, Cusan e Fazzo c. Italia, in http://hudoc.echr.
coe. int. Su cui v., tra i tanti, i commenti di S. Winkler, Sull’attribuzione del cognome
paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 520 ss.,
S. Stefanelli, Illegittimità dell’obbligo, cit., p. 221 ss., e G.P. Dolso, La questione del
cognome familiare tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giur.
cost., 2014, p. 738 ss.
42
Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, cit.
1080
The best interest of the child
In particolare, la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale della norma, desumibile dal sistema, di attribuzione automatica del cognome paterno al figlio nato da coppia coniugata (vedi
supra), si è limitata a pronunciare l’incostituzionalità della stessa solo
nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, nato dal matrimonio, anche il cognome materno in
aggiunta a quello paterno. In via consequenziale la Corte ha dichiarato
illegittimo anche l’art. 262, comma 1°, nella parte in cui non consente ai
genitori non coniugati, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al
momento della nascita, anche il cognome materno43.
L’illegittimità costituzionale riguarda, dunque, solo l’omessa considerazione, nella regola di trasmissione del cognome, della volontà
concorde dei genitori, ma non, in sé, la regola che prevede, in assenza
di detta volontà concorde, la trasmissione del solo cognome paterno,
la quale rimane per contro impregiudicata. La decisione della Corte,
inoltre, non coinvolge la previsione di cui al comma 2° dell’art. 262
c.c., della cui legittimità costituzionale si potrebbe tuttavia parimenti
dubitare, per le ragioni esposte in precedenza.
Sorvoliamo in questa sede sulla questione, pur in sé di grande delicatezza, della ammissibilità di una dichiarazione di illegittimità costituzionale avente ad oggetto una norma non scritta, desumibile per
implicito dal sistema44, e guardiamo alla sostanza della decisione.
Pur richiamandosi ex professo alla precedente Corte cost., 6 febbraio 2006, n. 6145, di cui riprende la nota formulazione46 che aveva ravvisato nella regola di attribuzione del cognome paterno un
“retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una
tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e
donna”, le conclusioni sono questa volta ben diverse. Preso atto che
il legislatore, benché ripetutamente esortato in tal senso negli anni,
43
La dichiarazione di illegittimità è estesa anche all’art. 299, 3° comma, c.c., relativo
alla adozione dei coniugi.
44
Si è al riguardo rilevato che in senso positivo muove la giurisprudenza
costituzionale “che dichiara incostituzionale una norma non per come è scritta, ma
per l’interpretazione della lettera della legge ad opera del giudice” (V. Carbone, Per
la Corte costituzionale, cit., p. 167 ss.).
45
In Giust. cost., 2006, I, p. 543.
46
Lo nota, tra gli altri, R. Favale, Il cognome dei figli, cit., p. 815 s.
Cognome del minore e identità personale
1081
non è riuscito a correggere il sistema, la Corte rinuncia finalmente a
rimettersi al suo intervento e si fa carico di incidere direttamente nel
sistema, anche se nei soli limiti consentiti dall’oggetto del giudizio
alla stessa sottoposta.
Accogliendo tutti i rilievi proposti dal giudice remittente, la Corte
ravvisa nella regola di attribuzione del cognome paterno un contrasto
con la garanzia della piena realizzazione del diritto all’identità personale sancito dall’art. 2 Cost.47 nonché con il principio di eguaglianza,
di cui all’art. 3 Cost., non trovando la disparità di trattamento che tale
regola introduce tra i coniugi alcuna giustificazione sufficiente nella
garanzia dell’unità familiare di cui all’art. 29, comma 2°, Cost.48.
5. Ancora una volta un progresso importante
ma non risolutivo: i problemi lasciati aperti
dalla pronuncia della Corte costituzionale
Come detto, però, la dichiarazione di illegittimità riguarda solo l’ipotesi in cui vi sia il consenso dei coniugi. A seguito della sentenza, dunque, tutti i genitori, coniugati o non, possono ora concordemente decidere di attribuire al figlio un doppio cognome, identificativo di entrambi
i rami genitoriali.
In mancanza di accordo il figlio assume, però, il cognome del padre. Così come rimangono impregiudicate le disposizioni che, in caso
di riconoscimento non contemporaneo, prevedono, in taluni casi, la
prevalenza del cognome paterno su quello materno (v. supra).
47
Rileva infatti la Corte che “il valore dell’identità della persona, nella pienezza e
complessità delle sue espressioni, e la consapevolezza della valenza, pubblicistica
e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dell’appartenenza del
singolo ad un gruppo familiare, portano ad individuare nei criteri di attribuzione
del cognome del minore profili determinanti della sua identità personale, che si
proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 cost.” (par. 3.4.).
48
Ciò in quanto “la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche
il suo cognome, contraddice (…) quella finalità di garanzia dell’unità familiare,
individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità
dei coniugi, ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno”
(par. 3.4.2.). Rileva ulteriormente la Corte, richiamandosi ad un proprio lontano
precedente, “che “è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è
la diseguaglianza a metterla in pericolo”, poiché l’unità “si rafforza nella misura in
cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità”
(sentenza n. 133 del 1970)”.
1082
The best interest of the child
La Corte, relativamente al perdurante automatismo del cognome paterno in difetto di accordo, non può dunque fare altro che rimettersi nuovamente ad “un indifferibile intervento legislativo destinato a disciplinare
organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio
di parità” (par. 6).
Oltre a questo limite, che peraltro deriva dai confini della questione
sottoposta alla Corte49, l’applicazione della regola, chirurgicamente introdotta dalla Corte, che consente la scelta concorde del cognome materno in
aggiunta a quello paterno, lascia in ogni caso aperti diversi profili critici50.
Un primo problema è dato dall’individuazione delle modalità, su
cui la pronuncia per ovvie ragioni tace, attraverso le quali i genitori
possono rendere, di fronte all’ufficiale dello stato civile, il proprio consenso all’attribuzione del cognome materno.
A questo proposito, una successiva Circolare del Ministero dell’Interno (Circ. n. 7/2017 del 14 giugno 2017) ha chiarito che, “in assenza di apposite disposizioni legislative, gli uffici dello stato civile non
possono richiedere agli interessati oneri documentali ulteriori rispetto
a quelli previsti dall’ordinamento”, di tal ché, nel caso in cui la dichiarazione di nascita sia fatta da un solo genitore, si deve ritenere che
al dichiarante non si possa richiedere di fornire la prova dell’accordo
dell’altro genitore sul cognome. Dovrebbe dunque valere, anche per il
cognome, la regola applicabile alla scelta del nome, rispetto al quale
si ritiene che il consenso anche dell’altro genitore sia presunto, quale
“elemento presupposto nella dichiarazione di nascita” ed atto di esercizio della responsabilità genitoriale51.
49
Rileva la Corte (par. 6) che “con la presente decisione, questa Corte è, peraltro,
chiamata a risolvere la questione formulata dal rimettente e riferita alla norma
sull’attribuzione del cognome paterno nella sola parte in cui, anche in presenza di una
diversa e comune volontà dei coniugi, i figli acquistano automaticamente il cognome
del padre”. Precisamente, la questione era insorta a seguito dell’impugnazione, con
ricorso, del provvedimento dell’ufficiale dello stato civile di rigetto della richiesta di
attribuire al figlio dei ricorrenti il cognome materno, in aggiunta a quello paterno. Il
ricorso era stato respinto dal Tribunale di Genova, con un provvedimento contro cui
viene proposto dai genitori reclamo di fronte alla Corte di Appello di Genova.
50
Per alcune prime riflessioni sulla sentenza, oltre ai già citati saggi di V. Carbone e
R. Favale, v. anche E. Al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori
e identità personale del figlio, in Fam. dir., 2017, p. 218 ss., e C. Favilli, Il cognome tra
parità dei genitori e identità dei figli, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 823 ss. Per una
recente trattazione sistematica si rinvia a S. Stefanelli, Diritto all’identità, in A. Sassi
– F. Scaglione – S. Stefanelli, Le persone e la famiglia, 4, La filiazione e i minori, in
Trattato di dir. civ. diretto da R. Sacco, 2° ed., UTET, 2018, p. 450 ss.
51
La soluzione è tanto ragionevole quanto criticabile il fatto che sia però rimessa ad
Cognome del minore e identità personale
1083
Un secondo problema è se i genitori, nell’optare per il doppio cognome, possano solamente aggiungere al cognome paterno quello
materno, posponendolo dunque al primo, oppure possano anche invertire la successione, anteponendo il cognome materno a quello paterno. La formulazione del dispositivo della sentenza ricorre sempre
alla locuzione “trasmettere” (o “attribuire”) “al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno”, locuzione che pare in astratto
compatibile pure con l’anteposizione del cognome materno a quello
paterno. In senso opposto si è, però, espressa la citata Circolare del Ministero dell’Interno n. 7/2017, proprio argomentando, in modo per la
verità alquanto formalistico e a nostro avviso opinabile, dall’impiego,
nel dispositivo della sentenza, della congiunzione “anche”, che a suo
dire si riferirebbe alla sola ipotesi della posposizione52.
Un terzo problema, su cui la Corte non si è pronunciata, riguarda l’efficacia della scelta fatta dai genitori rispetto alle generazioni successive e,
in particolare, se il figlio che abbia ricevuto il doppio cognome possa a sua
volta trasmettere ai propri figli entrambi i cognomi che porta o solo quello
del suo ramo paterno. Il problema presenta due aspetti: il primo è stabilire
se, in assenza di accordo con l’altro genitore, il figlio, divenuto genitore,
trasmetta ai propri figli il proprio doppio cognome nella sua interezza
o solo quello tra i due che lo compongono che corrisponde al cognome
di suo padre (ossia, rispetto a suo figlio, quello del nonno). A rigore, la
risposta corretta dovrebbe essere la prima, in quanto il cognome paterno
(oggetto della perdurante regola di trasmissione del cognome del padre in
difetto di diversa volontà dei genitori), nella specie, e in forza della scelta
fatta all’origine dai nonni, è proprio il doppio cognome. Sennonché una
simile soluzione rischierebbe di creare, nel passaggio da una generazione
all’altra, un irragionevole ed ingestibile allungamento del cognome familiare, fatto, in sé, indesiderabile53, in quanto in conflitto con l’esigenza di
efficienza del sistema di riconoscimento dell’identità personale fondato
sul cognome. Sembra dunque preferibile la soluzione secondo cui, in que-
una mera circolare.
52
La circolare ha altresì precisato che l’attribuzione anche del cognome materno “non
può non riguardare tutti gli elementi onomastici di cui detto cognome sia composto”
e, inoltre, che la dichiarazione della madre di non volere essere nominata, resa ai
sensi dell’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000, è incompatibile con la presunzione di
accordo tra i genitori coniugati o meno – sull’attribuzione del cognome materno.
53
Di “progressione geometrica iniziale” discorre, al riguardo, S. Stefanelli, Diritto
all’identità, cit., p. 461.
1084
The best interest of the child
sti casi, debba prevalere, in sede di automatismo, la regola di preferenza
per il solo cognome che appartiene alla stirpe paterna, dovendosi in questi
più ristretti termini interpretarsi il significato dell’espressione “cognome
del padre” (di cui, in particolare, all’art. 262, comma 1°, periodo 2°, c.c.)54.
Inoltre, la Corte non si pronuncia neppure su un quarto problema,
ossia se i genitori consumino il loro potere di scelta del cognome in una
volta sola e con riguardo al primo figlio, o se invece essi possano attribuire un cognome diverso a ciascun figlio, o, ancora, se, non avendo
effettuato la scelta riguardo al primogenito, possano comunque esercitarla con riguardo ai figli successivi. Sembra preferibile ritenere che
la facoltà di scelta del cognome debba essere esercitata una volta sola
per tutti i figli e che, ove non esercitata rispetto al primo figlio, debba
ritenersi comunque consumata. In tal senso depone la circostanza che
la funzione di identificazione della famiglia (e dell’unità familiare) che
il cognome assolve rischierebbe di essere completamente vanificata nel
caso in cui si consentisse ai genitori di attribuire cognomi diversi ai vari
fratelli o sorelle del medesimo nucleo familiare55.
Ultima questione irrisolta, infine, è se la possibilità di aggiungere il
cognome materno possa essere esercitata, oggi, anche nel caso in cui la
coppia abbia già dei figli, i quali, essendo nati prima dell’introduzione
della facoltà di scelta, portino solo il cognome paterno. La necessità di
attribuire a tutti i fratelli il medesimo cognome, al fine di garantire loro
un’identità familiare comune e riconoscibile, dovrebbe peraltro essere
preclusiva di tale possibilità56.
54
Un secondo aspetto del problema è stabilire se, nel caso di generazione successiva,
ammesso che sia corretta la soluzione precedentemente individuata, ossia che
la trasmissione automatica sarebbe limitata al cognome della stirpe paterna, i
genitori possano comunque, di comune accordo, scegliere di attribuire al figlio
entrambi i cognomi del padre e, in aggiunta, quello della madre. Anche in questo
caso, per le già menzionate ragioni di funzionalità del cognome, riterrei preferibile
l’interpretazione in senso negativo, per sostenere la quale si può altresì rilevare
che mancherebbe, nella specie, l’esigenza di garantire la parità di trattamento tra
i genitori, che è invece alla base della regola che ammette l’aggiunta del cognome
materno per scelta concorde dei genitori.
55
Una scelta differenziata da un figlio all’altro incrinerebbe, peraltro, anche la funzione
del cognome quale presidio fondamentale dell’identità personale del figlio. Poiché
tale identità include necessariamente anche la relazione tra fratelli e sorelle, la
differenziazione del cognome tra più figli della stessa coppia impedirebbe ai loro
cognomi di rappresentare in modo adeguato e completo la complessità della loro
relazione con il nucleo familiare, impedendo così a ciascun figlio di riconoscersi
pienamente nell’identità formale che il cognome gli attribuisce.
56
Sul punto v. anche Stefanelli, Diritto all’identità, cit., p. 461.
Cognome del minore e identità personale
1085
6. Quali prospettive di riforma per il futuro? Alla ricerca
della (irraggiungibile) quadratura del cerchio
Come si è potuto vedere, molte delle questioni lasciate aperte possono dunque trovare una soluzione in via interpretativa proprio valorizzando, nell’interpretazione, l’esigenza dell’unità familiare non già come
limite rispetto alla salvaguardia dell’identità personale, bensì, all’opposto, quale criterio che esalta la funzione identitaria del cognome.
Rimane, tuttavia, la fragilità di un quadro complessivo che affida la
garanzia di diritti fondamentali e, al contempo, dell’interesse pubblico
all’identificazione delle persone, a regole basate sulle mutevoli e incerte letture degli interpreti e all’instabile contributo offerto da fonti normative sparse e, in buona misura, anche gerarchicamente sottordinate.
È evidente, dunque, che tutte le questioni ora indicate potranno
essere risolte in modo adeguato solo dall’auspicato intervento del legislatore, per il quale è però impossibile, allo stato, fare qualsiasi concreta previsione57 e che pare anzi, nell’attuale legislatura, ancora più
lontano di quanto non fosse nella precedente58.
57
Per ragioni di economia del presente contributo, si omette di analizzare in dettaglio
in questa sede i numerosi e vari progetti di legge succedutisi fino ad oggi in materia.
Merita tuttavia di essere ricordato come, all’indomani della sentenza della Corte
EDU, il Governo allora in carica si fosse mosso immediatamente, presentando un
disegno di legge (d.d.l. n. 2123 presentato il 21 febbraio 2014, Disposizioni in materia
di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo 7 gennaio 2014) che, insieme ad altri già presentati o presentati
successivamente nella medesima legislatura, era poi confluito nel disegno di
legge unificato n. 1628, approvato dalla Camera dei Deputati in prima lettura il 24
settembre 2014 e quindi sottoposto all’esame del Senato della Repubblica. L’iniziativa
si è, tuttavia, arenata nelle dinamiche interne, e per lo più insondabili, dell’attività
parlamentare e, nonostante un’accelerazione finale, non ha trovato l’auspicato
compimento prima della fine della legislatura (la XVII), sicché le speranze che si
arrivasse in tempi brevi all’approvazione di una nuova disciplina organica in
materia di cognome dei figli sono andate purtroppo, anche questa volta, disattese.
58
L’attuale legislatura, sebbene formalmente apertasi con la sostanziale riproposizione
di molti dei disegni di legge in materia di cognome presentati nella precedente e in
quella decaduti, non sembra infatti avere tra le proprie priorità la revisione della
disciplina del cognome. In dettaglio, nella XVIII legislatura sono stati presentati,
alla data del 7 ottobre 2019, 7 disegni di legge (4 alla Camera dei Deputati, ovvero
i d.d.l. nn. 106, 230, 1265 e 2129, e 3 al Senato della Repubblica, ovvero i d.d.l. nn.
170, 286 e 1025), 6 dei quali assegnati per l’esame in commissione ma per nessuno
dei quali detto esame è già iniziato. La gran parte dei disegni presentati opta per
rimettere all’accordo dei genitori la scelta del cognome del figlio, lasciando aperta
la possibilità che la scelta cada su un solo dei cognomi dei due o anche sul doppio
cognome nell’ordine liberamente scelto. Limitandosi ai progetti presentati alla
Camera dei Deputati, si veda, innanzitutto, il d.d.l. n. 1265, il quale prevede che,
in caso di mancato accordo, da esprimere mediante una dichiarazione congiunta
1086
The best interest of the child
Stanti i limiti intrinseci dell’intervento del giudice costituzionale, e
proprio in vista della preparazione dell’atteso contributo del legislatore, ciò su cui oggi ci si può, ed anzi ci si deve interrogare, è quale possa
essere la regola uniforme di attribuzione e trasmissione del cognome
che meglio consentirebbe di armonizzare le tre esigenze fondamentali
evocate in avvio di questo scritto: identità personale, uguaglianza tra i
componenti della coppia, unità della famiglia.
resa davanti all’ufficiale di stato civile, il figlio acquisti il cognome di entrambi i
genitori in ordine alfabetico, ritenuto, quest’ultimo, come criterio “imparziale e
impersonale”. Si prevede inoltre che ciascun genitore possa trasmettere ai figli un
solo cognome (ma non si precisa chi lo sceglie) e che il figlio, a sua volta, trasmetta
solo uno dei suoi due cognomi. A sua volta, il d.d.l. n. 106 riproduce, con alcune
modificazioni e integrazioni, il contenuto del già menzionato d.d.l. n. 1628 della
XVII legislatura e prevede, in modo particolare, l’introduzione nel codice civile del
nuovo art. 143-quater, secondo il quale al figlio è attribuito, su accordo dei genitori,
espresso al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile,
il cognome del padre o il cognome della madre ovvero il cognome di entrambi,
nell’ordine concordato. Al mancato accordo consegue l’attribuzione, in ordine
alfabetico, di entrambi i cognomi dei genitori. I due ulteriori commi dell’articolo
143-quater stabiliscono: che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati
all’anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest’ultimo (terzo
comma), al fine di evitare che nella stessa famiglia vi siano figli con cognomi diversi;
che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori può trasmetterne
ai propri figli soltanto uno a sua scelta (quarto comma), al fine di evitare, in questo
caso, una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione. L’art. 2 estende
i princìpi del nuovo articolo 143-quater ai figli nati fuori dal matrimonio, mentre
l’art. 4 introduce una disciplina speciale sul cognome del figlio maggiorenne. In
particolare, si garantisce al figlio maggiorenne, cui sia stato attribuito in base alla
legge vigente al momento della nascita il solo cognome paterno o materno, la
possibilità di aggiungere al proprio il cognome della madre o del padre. Si prevede,
a tal fine, una procedura estremamente semplificata, consistente nella dichiarazione
resa presso gli uffici di stato civile personalmente o per iscritto (con sottoscrizione
autenticata), dichiarazione che va annotata nell’atto di nascita, e che sostituisce in
toto, nelle ipotesi indicate (aggiunta del cognome paterno o materno), la disciplina
amministrativa prevista dal d.P.R. n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato civile,
la quale richiede la presentazione al prefetto dell’istanza di cambiamento del nome
o del cognome (tale disciplina continuerà ad essere applicabile solo a chi intenda
“modificare” o sostituire il proprio nome o cognome, ad esempio, perché ridicolo o
vergognoso, perché rivela l’origine naturale o per altre ragioni. Si distacca, invece,
almeno in parte da questo modello il d.d.l. n. 230 il quale prevede la regola del
doppio cognome automatico, con precedenza per il cognome paterno, rimettendo
però ai genitori la scelta di invertire l’ordine. L’art. 2 introduce l’art. 143-bis c.c.,
che prevede l’attribuzione al figlio del cognome di entrambi i genitori ex lege e
stabilisce che il primo dei due cognomi è quello del padre, salvo diversa decisione
dei genitori, i quali possono decidere un ordine diverso con dichiarazione concorde
resa all’ufficiale dello stato civile all’atto del matrimonio o, in mancanza, all’atto
della registrazione della nascita del primo figlio. Tale dichiarazione vale anche per
i figli successivi al primo, anche se questi è nato prima del matrimonio ma è stato
riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. Il figlio trasmetterà poi ai
propri figli il primo dei suoi cognomi.
Cognome del minore e identità personale
1087
Benché il discorso debba essere preferibilmente unitario, per le
ragioni di sintesi già evidenziate, le riflessioni che seguono saranno
dedicate prevalentemente al problema dell’attribuzione del cognome
ai figli senza considerare in via diretta il problema del cognome della
coppia (coniugata o non).
Pur dovendosi riconoscere che non esiste, in questa materia, una
soluzione perfetta, è tuttavia senz’altro pensabile, ed anzi doveroso,
ragionare di soluzioni che, rispetto a quella attuale, comportino perlomeno un incremento di coerenza complessiva del sistema, evitando
regole disorganiche e frammentarie, e allo stesso tempo implichino il
minore sacrificio possibile degli interessi contrapposti, in una prospettiva di adeguato bilanciamento.
Definitivamente abbandonata la regola che preveda la trasmissione automatica di un unico cognome, per le ragioni dette inconciliabile
tanto con il principio di uguaglianza quanto con il diritto all’identità
personale, anche nella variante – inversa rispetto a quella tradizionale
– che vedesse prevalere il cognome della madre su quello del padre, le
ipotesi che si confrontano si riducono essenzialmente due, a cui si aggiunge una terza risultante dalla possibile combinazione tra le due: da
un lato, quella consistente nella trasmissione ai figli di un solo cognome, scelto tra il cognome paterno e quello materno59 mediante accordo
tra i genitori, e, dall’altro, quella consistente nell’assunzione automatica da parte dei figli del doppio cognome, del padre e della madre.
In entrambe si pongono tuttavia delle varianti.
Nella prima si tratta, ad esempio, di stabilire: a) se la scelta del cognome da trasmettere ai figli possa (o anzi debba) essere anticipata
rispetto alla nascita del primo figlio e fatta coincidere già con il momento della costituzione del vincolo coniugale o di coppia, in particolare attribuendosi alla coppia la facoltà di scegliere il cognome che li
59
Va da sé che la scelta di un cognome del tutto estraneo ai componenti della coppia
genitoriale è un’opzione che non può essere seriamente presa in considerazione de
lege ferenda in quanto implica la negazione totale della pregressa storia familiare,
traducendosi nella cancellazione dell’identità familiare dei figli vista nella
sua proiezione verticale. Una simile opzione è ammessa in astratto in qualche
ordinamento straniero dove non è, però, concretamente praticata e rimane quindi
di fatto solo sulla carta (v. in particolare nel Regno Unito, in cui la legislazione –
ovvero il Births and Deaths Registration Act 1953 – è estremamente liberale e non pone
alcun vincolo rispetto alla scelta di uno o più dei cognomi dei genitori o anche di
un cognome completamente differente: di regola i figli sono però registrati con il
cognome del padre, più raramente della madre, e talora anche di entrambi, con o
senza interposizione di un trattino tra i due).
1088
The best interest of the child
rappresenti unitariamente (come già oggi è previsto per l’unione civile); b) inoltre, se detta scelta possa essere rinnovata, ed eventualmente
mutata, per ciascun figlio oppure no; c) e, infine, che cosa accada in
difetto di accordo tra i genitori, se cioè si debba prevedere oppure no
una regola di prevalenza automatica di un cognome sull’altro.
Nell’ambito della seconda opzione (doppio cognome assegnato
inderogabilmente per legge), si può poi ragionare se la legge debba
prevedere la precedenza automatica di un cognome rispetto all’altro,
oppure lasciare all’accordo tra i genitori la scelta dell’ordine dei cognomi, salvo poi porsi, anche in questo caso, il problema di quale cognome
debba essere anteposto in caso di difetto di accordo tra i genitori.
Come anticipato, le due opzioni si possono peraltro combinare in
una terza, come in parte avviene nella soluzione fatta propria – con
tutti i limiti che si sono evidenziati – dalla Corte costituzionale italiana
nella pronuncia del 2016, ed anche in quella che aveva prefigurato il
d.d.l. unificato n. 1628 presentato nella XVII legislatura (e che è stata
poi ripresa anche in molti dei d.d.l. presentati nella XVII legislatura: v.
sopra, alla nota 58)60 e poi decaduto, ovvero nella soluzione che rimette
ai genitori la possibilità tanto di scegliere un solo cognome, quanto di
affiancare i due cognomi, creando quindi, ma solo su una base da entrambi condivisa, un doppio cognome.
Guardando al panorama europeo, e limitandoci solo agli ordinamenti a noi più vicini, la prima è fondamentalmente la regola in vigore
in Germania61.
60
Il d.d.l. n. 1628 contemplava, infatti, l’introduzione di un nuovo art. 143-quater c.c.
così formulato: “(Cognome del figlio nato nel matrimonio). – I genitori coniugati, all’atto
della dichiarazione di nascita del figlio, possono attribuirgli, secondo la loro volontà, il
cognome del padre o quello della madre ovvero quelli di entrambi nell’ordine concordato. In
caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori
in ordine alfabetico. I figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente, portano lo
stesso cognome attribuito al primo figlio. Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di
entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta”. Quanto ai
figli nati del matrimonio, si proponeva l’applicazione della stessa regola nel caso di
riconoscimento compiuto contemporaneamente da entrambi i genitori, modificando
di conseguenza l’art. 262 c.c.
61
Nell’ordinamento tedesco, la disciplina dell’attribuzione del cognome ai figli si
ricava dagli attuali §§ 1616 ss. BGB (come modificati dal Gesetz zur Neuordnung des
Familiennamensrechts, Familiennamensrechtsgesetz del 16 dicembre 1993) e può essere
così sintetizzata. Se i genitori sono sposati e portano un cognome di famiglia comune
(o cognome coniugale: Ehename), il figlio assume il cognome comune (§ 1616 BGB).
Se i genitori sono sposati (e hanno cognomi diversi), possono entro un mese dalla
nascita scegliere come cognome del figlio il cognome del padre o il cognome della
madre (§ 1617, comma 1, frase 1, BGB). Non sono ammessi doppi cognomi composti
Cognome del minore e identità personale
1089
La seconda è invece la regola tradizionalmente applicata in Spagna,
recentemente ribadita, con varianti, in più recenti riforme62.
La terza è, nella sostanza, la regola vigente in Francia, in cui si prevede quindi che i genitori possano scegliere quale cognome trasmettere ai figli come anche adottare, ove lo vogliano, il doppio cognome63.
7. La scelta del cognome (unico o doppio) rimessa
all’accordo tra i genitori
La prima soluzione (cognome unico scelto dai genitori tra i propri cognomi) ha dalla sua l’indubbio vantaggio di apportare una netta
semplificazione nel regime dei cognomi, e risponde peraltro ad un’esigenza tradizionalmente avvertita anche in Italia, dove i cognomi unici sono sempre stati la grande maggioranza, mentre i cognomi doppi
(pur ammissibili, sebbene solo a determinate condizioni64) rappresentano
dal cognome della madre e dal cognome del padre. Se i genitori non riescono a
compiere una scelta entro il termine di un mese, il tribunale della famiglia concede a
un genitore il diritto di scegliere un cognome. La regola è, invece, più complessa se i
genitori non sono coniugati (v. sempre il § 1617). Si ricorda inoltre che il § 1355 BGB
prevede che i coniugi stabiliscono un cognome di famiglia comune (Ehename) scelto
tra i propri cognomi. In mancanza di scelta, ciascun coniuge continua a portare il
proprio cognome di nascita. Il coniuge il cui cognome non sia scelto come cognome
di famiglia può però scegliere, con dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile,
di aggiungere o di anteporre il proprio cognome al cognome familiare. Come detto
sopra, il doppio cognome così acquisito non si trasmette, tuttavia, ai figli.
62
Secondo la Ley 40/1999, de 5 de noviembre, sobre nombre y apellidos y orden de los
mismos, i figli assumono il cognome di entrambi i genitori, secondo l’ordine da
questi stabilito. Inizialmente, la legge prevedeva che, in caso di difetto di accordo
sull’ordine di precedenza, la precedenza fosse automaticamente accordata al
cognome paterno. Da ultimo, la disciplina è stata tuttavia modificata, nell’ambito
della più ampia riforma del Registro civil (Ley 20/2011, de 21 de julio, del Registro Civil,
che è entrata in vigore, per la parte che qui interessa, il 30 giugno 2017), stabilendosi
che, se i genitori non stabiliscono l’ordine dei cognomi o non vi è accordo tra loro su
quale debba essere, decorso il termine di tre giorni sarà l’ufficiale del Registro Civil
a dover stabilire il predetto ordine. Il criterio che l’ufficiale dello stato civile deve
seguire nel compiere questa delicata scelta è quello del interés superior del menor.
63
La relativa disciplina è contenuta nella Loi no 2003-516 du 18 juin 2003 relative à la
dévolution du nom de famille, applicabile a tutti i nati dopo il 1° gennaio 2005.
64
Come già ricordato, la procedura per il cambiamento del cognome prevista dal
d.P.R. n. 396/2000, così come è stato modificato dal citato d.P.R. n. 54/2012, può
essere, infatti, impiegata anche per aggiungere al cognome paterno quello materno,
quando ricorrano valide ragioni (v. in tal senso Consiglio di Stato, 27 aprile 2004, n.
2572, che attribuisce rilievo anche a ragioni di ordine affettivo o sentimentale). La
richiesta può tuttavia essere accolta o negata dal prefetto, ferma, in caso di diniego,
la possibilità di ricorso di fronte al Tribunale.
1090
The best interest of the child
l’eccezione, essendo attribuiti generalmente solo ai figli nati fuori del
matrimonio (e negli stretti limiti di cui all’art. 262, comma 2°, c.c.).
Tuttavia, la regola del consenso, se astrattamente garantisce l’apporto egualitario di entrambi i componenti della coppia nella decisione,
consentendo che la scelta possa cadere indifferentemente sul cognome del padre o su quello della madre, si rivela inidonea, o comunque
scarsamente efficace in concreto, rispetto all’obiettivo di promuovere
un utilizzo effettivamente paritario dei cognomi di entrambe le linee
genitoriali. A dispetto dell’apertura a decisioni condivise, resta, infatti, altamente probabile che, in una società fortemente impregnata dal
privilegio patrilineare, radicato con forza nella tradizione, la maggior
parte delle coppie, posta di fronte alla richiesta di compiere una scelta
consensuale, continui ad orientarsi – sia pure in modo formalmente
condiviso – per la perpetuazione del solo cognome paterno65.
Considerazioni del tutto analoghe possono valere, d’altronde, pure
per il caso (corrispondente alla terza ipotesi sopra individuata) in cui
la legge estendesse il potere di scelta anche al doppio cognome, come
opzione alternativa al cognome singolo. Anche in questo caso, infatti, è prevedibile che l’apertura ad un impiego paritario di entrambi i
cognomi resti tale solo sulla carta, rimanendo l’opzione per il doppio
cognome recessiva nell’uso comune.
Inoltre, la regola basata sul consenso – comunque declinata (sia che
si riferisca alla scelta di un solo cognome, sia che si apra anche alla
scelta di un cognome doppio66) – rischia di aprire la strada a dissidi
interni al nucleo familiare proprio nel momento più delicato per la vita
65
L’esperienza tedesca dimostra, del resto, che, quando si lascia ai genitori la facoltà di
scegliere sulla base della regola del consenso, la scelta si orienta prevalentemente per il
rispetto della tradizione, per l’assunzione quindi del solo cognome paterno. Si ricordi
che in Germania il figlio nato nel matrimonio assume il cognome di famiglia, se i genitori
ne hanno scelto uno, oppure il cognome che viene scelto al momento della nascita,
senza che sia possibile attribuire al figlio un doppio cognome. Ebbene, da un recente
studio della Gesellschaft für deutsche Sprache (GfdS) è emerso che solo il 6 per cento delle
coppie sceglie come nome di famiglia quello della moglie, mentre il 75 per cento sceglie
quello del marito, che è quindi quello che si trasmette in genere ai figli (ne dà conto la
Suddeutsche Zeitung del 19 dicembre 2018, Nur sechs Prozent aller Paare entscheiden sich
für den Namen der Frau, in www.suddeutsche.de; le percentuali restanti si dividono tra
coppie che non scelgono alcun cognome familiare, conservando ciascun componente
il proprio cognome, e i casi di coppie in cui un coniuge aggiunge al cognome familiare
anche il proprio cognome, che però, come anticipato, non si trasmette ai figli).
66
Ma il problema, come diremo nel paragrafo seguente, si pone anche nel caso in cui
ai genitori spetti solo di scegliere l’ordine dei cognomi all’interno di un cognome
doppio attribuito per legge.
Cognome del minore e identità personale
1091
di una famiglia, ossia quello in cui, allargandosi il nucleo originario ad
accogliere un nuovo componente, peraltro particolarmente bisognoso
di affetto e di attenzioni, la famiglia esige il massimo possibile di unità
ed armonia.
Non è dunque da escludere che la regola del consenso, per una sorta di eterogenesi dei fini, possa rivelarsi essa stessa causa scatenante di
conflitti familiari poi difficilmente sanabili67, evidenziando un contrasto con l’esigenza di unità familiare espressa nell’art. 29 Cost.
In ogni caso, quel che pare decisivo è che la regola del consenso,
ove si declini specificamente nel senso di imporre la scelta di un solo
cognome tra quelli dei due componenti della coppia, comporta la defalcazione di una parte della storia familiare, e priva quindi i figli di
una componente essenziale della propria immagine familiare, non solo
mortificando la pienezza della loro identità familiare68, ma anche contraddicendo l’esigenza di unità della famiglia.
L’unità della famiglia dev’essere intesa, infatti, non come mero scrupolo formale, da ritenersi soddisfatto per il solo fatto che sia sempre lo
stesso cognome a trasmettersi da una generazione all’altra. Al contrario, l’unità familiare esprime un valore sostanziale, il quale esige, in
particolare, che il cognome offra una rappresentazione il più possibile
67
Per questa ragione, ove si preferisse adottare una regola siffatta, sarebbe comunque
opportuno separare il momento della manifestazione del consenso rispetto a quello
della nascita dei figli, anticipandolo ad una fase antecedente, che potrebbe essere anche
quella della celebrazione del matrimonio. In consonanza con questa idea si pongono
le riflessioni di G. Ballarani, Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli
(ddl n. 1628), in Dir. fam. e pers., p. 741 ss. (il contributo riproduce il testo dell’Audizione
informale resa dall’A. nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi, reperibile in
Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, p. 17, in senato.it.), il quale, rilevato
come la scelta del cognome possa generare conflittualità fra i coniugi, ritiene opportuno
“rimettere ai nubendi la scelta del cognome dei figli nella fase prematrimoniale, anziché
al momento eventuale della nascita del primo figlio”, e ciò “in linea con l’esigenza di
garantire l’unità familiare così come espressa in Costituzione”.
68
Che l’identità del figlio si debba misurare anche con la sua capacità di identificarsi
nelle proprie origini familiari è evidenziato anche da G. Ballarani, Disposizioni
in materia, cit., p. 741 s., il quale osserva come “il contenuto minimo essenziale
della identità personale di qualunque individuo sia indissolubilmente ancorato
alle proprie origini e da queste non possa discostarsi, se non a costo di negarne in
radice il fondamento; ed è, del pari, di ogni evidenza come il contenuto minimo
delle origini sia ancorato, a sua volta, alle tradizioni e alle radici familiari, altrettanto
evidente è come la richiamata esigenza ordinamentale di garanzia dell’unità
familiare non possa esaurirsi nel solo contesto del rapporto fra i coniugi, ma debba
piuttosto leggersi come proiettata anche nel senso della continuità della famiglia e
delle tradizioni sue proprie”. L’A. giunge, tuttavia, a conclusioni differenti quanto
alla regola che meglio potrebbe soddisfare questa esigenza (v. infra).
1092
The best interest of the child
completa dell’effettiva realtà familiare, indicativa dunque di entrambe
le linee che convergono nel dare vita al singolo nucleo familiare69: punto, questo, ben colto, come si è anticipato, dalla Corte costituzionale
italiana nella pronuncia n. 286 del 2016 (sia pure con una soluzione
che, per altri versi, è parziale e insoddisfacente).
In aggiunta a queste considerazioni si pone il rilievo che la scelta
dei genitori deve essere orientata al perseguimento del migliore interesse del minore70, ed è indubbio che tale interesse non sia adeguatamente perseguito da una scelta che priva il minore di una parte così
rilevante della sua complessiva identità familiare71.
Né ci pare, tuttavia, in grado di ovviare a questo inconveniente la
soluzione intermedia adottata in Francia (e in parte esistente ora anche in Italia per effetto della citata pronuncia della Corte costituzionale), ovvero quella di lasciare i genitori liberi di scegliere tanto un
cognome unico quanto il doppio cognome. A parte il “disordine” che
può derivare dall’eterogeneità delle scelte che verrebbero a divergere
sensibilmente da una famiglia all’altra, in un sistema (quello di attribuzione del cognome) che dovrebbe invece essere informato a certezza, omogeneità e uniformità72, rimane infatti fermo che anche con una
69
Proseguendo idealmente il ragionamento già svolto dalla Corte costituzionale nella
sentenza del 2016, secondo cui è “l’eguaglianza tra i coniugi che garantisce quella
unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo” (v. già sent. n. 133
del 1970), si può osservare che l’unica regola che assicura piena eguaglianza nella
trasmissione del cognome ai figli, e che dunque realizza in massimo grado l’esigenza
di unità della famiglia, è quella che prevede l’attribuzione ai figli di entrambi i
cognomi, senza sacrificarne nessuno sull’altare dell’unità. La regola dell’accordo è,
da questo punto di vista, meno tutelante, anche perché dove si richiede l’accordo ben
può insinuarsi il disaccordo e, quindi, il germe della frantumazione dell’unione.
70
V. l’art. 3, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia: “In tutte le
decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza
sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
71
Sono condivisibili, in proposito, le considerazioni di S. Schivo, Audizione informale
nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in
Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, p. 43, per la quale “non si
comprende (…) come la scelta di identificare la prole con il cognome di uno solo dei
genitori possa ritenersi un atto di esercizio della responsabilità genitoriale adeguato
a tutelare l’interesse del minore”, posto l’interesse di quest’ultimo “al riconoscimento
del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di
tale identità attraverso l’identificazione con il cognome di entrambi i genitori”; non
è possibile, infatti, ritenere che la responsabilità genitoriale “attribuisca ai genitori
il diritto di compiere scelte anche contrarie alla piena ed effettiva realizzazione dei
diritti dei minori, primo fra tutti quello della propria identità personale”.
72
Di soluzione farraginosa ed estranea al sentire comune discorre, in particolare, M.
Cognome del minore e identità personale
1093
soluzione siffatta vi sarebbero figli che, per scelta dei loro genitori, sarebbero privati di quella completa rappresentazione della loro identità
familiare che si è sin qui auspicata come piena realizzazione del diritto
all’identità personale73.
8. La soluzione (preferibile) dell’attribuzione del doppio
cognome per previsione inderogabile di legge
Alla luce delle considerazioni che precedono, è giocoforza concludere che la preferenza del legislatore debba cadere sul regime di attribuzione ope legis e con previsione inderogabile del doppio cognome,
unica soluzione, tra le tante possibili, che garantisce la piena uguaglianza all’interno della coppia e la più completa rappresentazione
delle due storie familiari che nel nuovo nucleo familiare si uniscono,
pienamente rispondendo anche al principio di bigenitorialità74.
Non è, per la verità, una soluzione priva di inconvenienti.
Paradiso, I rapporti personali, cit., p. 156 s.
73
Di diverso avviso T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 129 s., il quale,
riferendosi alla soluzione adottata dalla Corte costituzionale nel 2016, osserva che
“l’obiezione di farraginosità della soluzione dal punto di vista pratico ed estranea
al sentire comune, va stemperata in quanto nei rapporti sociali la coppia (coniugata
o unita civilmente) sarebbe libera di adottare la soluzione più rispondente alle
proprie esigenze, ma dal punto di vista dei principi si introdurrebbe un segnale
forte riguardo alla tutela dell’uguaglianza dei suoi componenti”. A nostro avviso,
detto segnale potrebbe però essere ben più forte e risolutivo se la legge optasse
direttamente per l’imposizione del doppio cognome come regola inderogabile,
senza fondare tale scelta sulla mera eventualità dell’accordo né correre il rischio
(gratuito) del disaccordo.
74
E. Al Mureden, Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in
Fam. dir., 2016, p. 977. Il principio di bigenitorialità è, in particolare, alla base di
quelle pronunce che applicano l’art. 262, comma 4°, c.c., nel senso di privilegiare
la soluzione della giustapposizione dei cognomi della madre e del padre, in luogo
della sostituzione del cognome paterno a quello materno. V., per tutte, Cass., 5 luglio
2019, n. 18161, la quale ha ritenuto insindacabile in sede di legittimità la scelta del
giudice di merito di optare, fra le possibilità previste dall’art. 262 c.c., comma 2, per
la anteposizione del cognome paterno fondando le ragioni di tale scelta sull’intento
di “salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l’attribuzione del
cognome, il valore della bigenitorialità e negare invece un rilievo al collocamento
del minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori”. Si tratta, ha osservato la
Corte di legittimità, di “una scelta, chiaramente motivata, che consente al minore di
rendere percepibile all’esterno la filiazione da entrambi i genitori e che nell’anteporre
anziché aggiungere il cognome paterno ha voluto preservare il minore da una
raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori. Una
opzione quest’ultima che non può evidentemente ritenersi soggetta al sindacato
giurisdizionale di legittimità”.
1094
The best interest of the child
Quello più vistoso, ma non per questo insuperabile, è la rottura della
tradizione75 che una regola siffatta comporterebbe ove introdotta in Italia.
Non ci sembra, tuttavia, che questo pur importante aspetto possa giustificare il sacrificio di istanze superiori, quali quelle dell’uguaglianza e dell’identità personale. D’altronde, la società italiana ha già
vissuto momenti di traumatica rottura della tradizione a seguito di
mutamenti repentini di legislazione, senza che questo abbia impedito
il formarsi, anche in tempi relativamente brevi, di nuovi costumi maggiormente in linea con i ripensati fondamenti del sistema giuridico76.
Non va poi dimenticata la fondamentale funzione promozionale
del diritto77, che, lì dove necessario, non deve esitare a porsi come motore di innovazione positiva nella società.
75
A questo tema si mostra particolarmente sensibile G. Ballarani, Disposizioni in
materia, cit., p. 746, il quale evidenzia come siano “gli stessi principi costituzionali di
ragionevolezza e di proporzionalità ad imporre al legislatore così come all’interprete
(…) prudenza nella riflessione e continenza nell’intervento, nella consapevolezza
che l’attribuzione di nuovi diritti è un percorso univoco e irreversibile anche a
fronte di macroscopiche contraddizioni di sistema spesso determinate da una
riflessione sommaria connessa ad una eccessiva spinta verso un rapido adeguamento
del piano normativo ai nuovi paradigmi che, con sempre maggiore frequenza,
emergono nel contesto europeo”. Movendo da queste premesse, l’A. preferisce
proporre una soluzione che rimetta all’accordo tra i coniugi (anticipato però
all’atto della celebrazione delle nozze) la scelta del cognome familiare composto
dai loro cognomi paterni nell’ordine fra di loro concordato, ma che altresì, in caso
di mancata scelta, preveda l’applicazione del criterio legale della precedenza
del cognome maritale su quello della moglie (ferma, infine, la possibilità per i
coniugi di rappresentare all’ufficiale di stato civile la volontà di mantenere il
solo cognome del marito, in conformità con la “tradizione giuridica coniugale”).
Secondo l’A., una simile previsione, “lungi dal poter essere tacciata di profili
discriminatori, (…) ha pieno senso solo a voler considerare come, in un contesto
futuro, ma prossimo, di vigenza esclusiva del doppio cognome, i figli nati fuori dal
matrimonio e riconosciuti solamente da un genitore sarebbero immediatamente
identificabili e qualificabili come tali in quanto portatori di un solo cognome, potendosi
per tal via ipotizzare un implicito profilo discriminatorio e, del pari, una contrarietà
alle garanzie di eguaglianza così come attuate dal legislatore del 2012 con riguardo
alla unicità dello stato di figlio”. La soluzione, per quanto ampiamente argomentata,
non sembra tuttavia accoglibile, sia per l’eccessivo peso che attribuisce alla tradizione
rispetto all’istanza di uguaglianza tra i coniugi, sia perché, nel paventare una possibile
discriminazione tra figli, non tiene conto di come la regola del doppio cognome, almeno
una volta entrata a regime, implichi che anche il figlio nato fuori del matrimonio e
riconosciuto da un solo genitore acquisti in ogni caso un doppio cognome, ovvero
il doppio cognome del genitore che lo ha riconosciuto: non si vede, dunque, come il
doppio cognome possa essere fonte di discriminazione al riguardo.
76
Si pensi all’introduzione dell’istituto del divorzio o all’equiparazione completa tra i
figli o, ancora, più di recente, al riconoscimento delle unioni civili tra persone dello
stesso sesso.
77
V. N. Bobbio, Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p.
Cognome del minore e identità personale
1095
Sotto questo specifico profilo, si rafforza la convinzione che in questa materia lo spazio da riservare alla libera scelta dei componenti della
coppia non debba essere sopravvalutato nella sua portata taumaturgica,
potendo l’affermarsi di condotte concretamente attuative dei principi fondamentali dell’ordinamento meglio essere garantita, almeno in questo
caso, da automatismi affidati all’operare di norme inderogabili di legge78.
All’inconveniente appena descritto se ne aggiunge semmai un altro, meno appariscente ma più insidioso, ovvero il dato per cui la regola di attribuzione inderogabile del doppio cognome non consente di
dare conto in modo completo dell’unità della famiglia nel passaggio
da una generazione all’altra.
È, infatti, evidente che, ove accolta dall’ordinamento, la regola del
doppio cognome dovrebbe accompagnarsi ad una regola che, nella
generazione successiva, consenta la trasmissione ai nipoti di uno soltanto dei cognomi che compongono la coppia del cognome di ciascun
genitore, dovendosi per ovvie ragioni evitare un allungamento esponenziale dei cognomi tra una generazione e l’altra79. Sennonché, questa
soluzione – di per sé inevitabile perché fondata sul buon senso – porta
comunque i figli ad acquisire un cognome (doppio) diverso dai cognomi (doppi) dei propri genitori e così via a proseguire con le generazioni
successive che progressivamente si distaccheranno sempre di più dai
cognomi dei loro avi.80
Nonostante questi inconvenienti, ci sembra tuttavia che la regola
di attribuzione automatica e inderogabile del doppio cognome rappresenti un compromesso ragionevole, che, pur non consentendo
neanch’essa la realizzazione piena dell’esigenza di unità familiare, garantisce, rispetto alle altre regole possibili, il minor sacrificio di tale
esigenza (limitato comunque soltanto alla sua proiezione verticale nel
1312 ss.
78
Come è dimostrato dal constatato fenomeno di fuga dalla comunione legale tra
coniugi, istituto introdotto anch’essa proprio allo scopo di consentire l’attuazione
concreta del principio di uguaglianza morale e materiale tra coniugi, la promozione
di comportamenti virtuosi non sempre si concilia con l’attribuzione di spazi ampi di
libertà agli individui.
79
È questo l’argomento di buon senso che, insieme ad altri, ha portato il
Bundesverfassungsgericht tedesco a ribadire il divieto per i genitori di attribuire ai
figli cognomi doppi o composti (BverfG, Urteil vom 30. Januar 2002, 1 BvL 23/96).
80
Si crea in tal modo comunque una discontinuità (almeno parziale) tra le generazioni
e si rende più difficile (anche se non impossibile) cogliere l’unità della famiglia nel
passaggio da una generazione all’altra.
1096
The best interest of the child
passaggio tra più generazioni) insieme al più ampio grado di attuazione del diritto all’identità personale di tutti i componenti il nucleo
familiare e di garanzia dell’uguaglianza tra i genitori.
9. Il criterio per selezionare quale cognome,
tra i due che compongono il doppio cognome,
si trasmette alla generazione successiva
Nella prospettiva di rendere la regola allo stesso tempo più efficiente
e massimamente allineata con i principi generali, ci si può in ogni caso
interrogare su quale sia il meccanismo più adatto per regolare al meglio
la selezione di quale cognome, tra i due che compongono il doppio cognome, si debba trasmettere ai discendenti della generazione successiva.
Sono in astratto possibili varie combinazioni.
Si può, ad esempio, immaginare che la scelta della posizione dei
due elementi sia rimessa ai genitori e che ad essa segua la trasmissione
automatica solo del primo elemento ai nipoti, senza possibilità di alcuna scelta ulteriore da parte dei figli.
In alternativa si può lasciare che la posizione dei due elementi sia
decisa sulla base di una regola automatica che prescinde dal consenso
(ad es., precedenza al cognome del padre o a quello della madre, ordine alfabetico, sorteggio, ecc.) e vi sia quindi, anche in questo caso,
l’automatica trasmissione solo del primo elemento.
Infine, è anche possibile che la scelta della posizione sia rimessa ai
genitori e che si lasci però ai figli la possibilità di scegliere quale dei due
elementi trasmettere ai nipoti, anche a prescindere dall’ordine originario.
La soluzione che prevedesse sempre – ossia come criterio inderogabile – la prevalenza di un dato cognome (quello paterno o quello
materno) sull’altro riprodurrebbe, nella sua rigidità, le stesse preoccupazioni sul piano del rispetto dell’uguaglianza tra i due rami genitoriali che portano a preferire, in generale, la regola del doppio cognome
rispetto a quella del cognome unico (v. supra).
Il criterio che privilegia l’ordine alfabetico, per quanto neutrale rispetto alla scelta del ramo paterno o di quello materno, non sembra invece adeguato per altre ragioni. L’ordine alfabetico (al pari di un criterio basato sul sorteggio) è regola senz’altro conforme al principio di
eguaglianza81; tuttavia, se a questa si associasse la regola che implica
81
V. A. Sassi – S. Stefanelli, Audizione informale nell’ambito dei disegni di legge n. 1628
Cognome del minore e identità personale
1097
trasmissione ai figli solo del primo cognome, si avrebbe un’ingiustificata
discriminazione nel tempo dei cognomi che sono collocati più in basso
nell’ordine alfabetico e che sarebbero, in quanto tali, sempre recessivi82.
Alla luce di queste considerazioni, almeno in questo ristretto ambito,
ossia sul piano specifico della scelta dell’ordine dei due cognomi (decisivo per la trasmissione del primo dei due cognomi ai figli), la soluzione
preferibile sembra essere quella che attribuisce massima possibilità di
scelta dell’ordine dei cognomi ai genitori83. Infatti, una volta garantita la
presenza di entrambi i cognomi, e garantita dunque l’uguaglianza nella
rappresentazione dei due rami genitoriali nella formazione del cognome del figlio, la posizione del cognome all’interno del doppio cognome
e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l.
n. 1628 e connessi, in senato.it., p. 36 s.: “La regola dell’ordine alfabetico consente
di garantire l’eguaglianza tra i genitori, in quanto ne garantisce il pari trattamento
senza distinzione di sesso (art. 3 Cost.)”.
82
Con il rischio che possano finanche gradualmente scomparire dall’uso comune.
83
Se si accoglie questa prospettiva, si ripropone il problema del momento in
cui collocare la scelta dell’ordine tra i cognomi. Anche questa scelta, sia pure
ridimensionata nella sua portata perché limitata solo all’ordine interno al doppio
cognome, potrebbe infatti essere occasione di conflitti. Ciò considerato, è dunque
preferibile anticiparla al momento del matrimonio, semmai consentendone la
modifica successiva prima della attribuzione del (doppio) cognome al primo figlio.
Si tratta, però, ulteriormente di stabilire se la scelta anticipata debba intendersi
anche come scelta obbligata di un cognome familiare, in particolare, per le ragioni
dette, nella forma del doppio cognome costituito dai primi cognomi dei due coniugi,
da compiersi dunque a prescindere dall’esigenza di individuare il cognome da
trasmettere ai figli. Non sembra essere questo, per la verità, un esito inevitabile.
La nostra tradizione va, per contro, nella direzione di riconoscere la possibilità
di conservazione da parte di ciascun coniuge del proprio cognome, almeno sotto
il profilo anagrafico, l’esperienza dimostrando che una simile regola non inficia
l’unità della famiglia e sottolinea l’autonomia della posizione di ciascun coniuge (v.,
sul punto, T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 128, il quale richiama
anche la regola vigente in Germania, che, pur imponendo ai coniugi la scelta di un
cognome comune, prevede come unica conseguenza del mancato adempimento di
questo dovere che ciascun coniuge continua a portare il suo cognome di nascita). Per
garantire l’uguaglianza tra i coniugi si potrebbe al più estendere anche al marito la
regola secondo cui la moglie può aggiungere al proprio cognome quello del coniuge
(art. 143 bis c.c.), preferibilmente specificando però sia, in primo luogo, che si tratta
di una facoltà e non di un obbligo sia, in secondo luogo, che detta scelta non ha
conseguenze sul piano anagrafico, oppure, nell’ottica dell’introduzione del doppio
cognome, prevedere la facoltà per gli stessi, ma non l’obbligo, di adottare un doppio
cognome formato dall’unione dei propri (primi) cognomi. V. anche T. Auletta,
Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 128, per il quale de iure condendo sarebbe
ragionevole estendere ai coniugi la soluzione introdotta dall’art. 1, comma 10°, l.
n. 76/2016 per le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, consentendo
però anche la scelta di un doppio cognome quale cognome comune della famiglia.
1098
The best interest of the child
diviene un dato a ben vedere secondario e tendenzialmente neutro, che
ben può essere rimesso alla scelta concorde dei genitori84.
Ragioni di opportunità portano, per contro, ad escludere che l’individuazione della parte del doppio cognome che si trasmette ai nipoti possa essere rimessa in gioco dai figli stessi, a cui sia consentito di
prescindere dall’ordine stabilito dai genitori (mentre agli stessi rimarrebbe sempre la scelta, in sede di determinazione del doppio cognome dei propri figli, dell’ordine in cui il loro primo cognome si debba
collocare rispetto al primo cognome del rispettivo coniuge). Una simile
soluzione moltiplicherebbe, infatti, a dismisura le variabili relative alle
combinazioni possibili di cognomi, conferendo eccessiva incertezza al
sistema (e allentando la stessa riconoscibilità dell’unione familiare nel
tempo)85. La preclusione di ulteriori scelte conferisce, dunque, maggiore prevedibilità al sistema, altresì evitando ai figli decisioni comunque
difficili da prendere sul piano degli affetti.
In questa prospettiva che valorizza sì il consenso tra i genitori ma
lo fa in misura fortemente ridimensionata, ossia non sul piano della
scelta tra cognome unico e cognome doppio, ma esclusivamente sotto
il profilo della scelta dell’ordine tra i due (primi) cognomi86, si ripropone però comunque la necessità di individuare una regola alternativa
applicabile in caso di difetto di accordo sull’ordine.
84
Come già detto, è altamente probabile che, se si lascia la libertà di scelta, la gran
parte delle coppie opti per la soluzione più vicina alla tradizione ossia per anteporre
il cognome paterno a quello materno. Riteniamo però che questo sia un vulnus tutto
sommato accettabile all’esigenza di garanzia dell’uguaglianza, che, nella misura in
cui non incrina in alcun modo l’identità personale (perché comunque entrambi i
cognomi sono rappresentati) è in linea con il dettato dell’art. 29, comma 2, Cost. Non
sarebbe così se la scelta fosse per un cognome unico, perché in questo caso, come si
è già rilevato, vi sarebbe invece il sacrificio di una componente della storia familiare.
85
V. sul punto anche S. Schivo, Audizione informale, cit., p. 45, in commento critico
ai commi 3° e 4° dell’art. 1 del d.d.l. n. 1628 che appunto prevedevano una regola
siffatta. L’A. osserva peraltro come sia irragionevole porre a carico dei figli l’onere
di stabilire quale dei due rami genitoriali sacrificare e quale far sopravvivere nel
tempo, mettendoli di fronte ad un irrisolvibile (e finanche crudele) conflitto di affetti,
contrario, in definitiva, proprio all’esigenza di unità familiare.
86
In sintesi, se Tizio, che porta il cognome AB (per ordine scelto dai suoi genitori), e
Caia, che porta il cognome CD (sempre per ordine scelto dai suoi genitori), sono
chiamati a decidere il proprio cognome familiare o comunque il cognome dei propri
figli, essi avranno la possibilità di scegliere se adottare il doppio cognome AC o CA
(ma non, ad es., i cognomi BD o BC o DB…) e l’ordine da loro scelto farà sì che i
loro figli potranno trasmettere ai nipoti (nell’ordine da loro deciso rispetto al primo
cognome del loro coniuge) solo, rispettivamente, il cognome A o il cognome C (e non
anche il secondo dei due elementi della coppia di cognomi).
Cognome del minore e identità personale
1099
Non convince, al riguardo, la soluzione adottata in Spagna a partire dalla riforma del Registro civil (ed entrata in vigore nel 2017), ossia quella che, in caso di difetto di accordo, rimette all’ufficiale dello
stato civile la facoltà di scegliere l’ordine dei cognomi sulla base del
criterio del superiore interesse del minore. Una siffatta soluzione finisce, infatti, per rimettere un’ampia – e difficilmente giustificabile
– discrezionalità agli ufficiali di stato civile rispetto a una questione
che, pur coinvolgendo anche interessi pubblici, attiene primariamente alla tutela di interessi personalissimi degli interessati, rispetto alle
quali non sembra immaginabile una delega all’ufficiale dello stato
civile, che apre peraltro la strada a decisioni irrazionali o comunque
ispirate a criteri eccessivamente variabili da caso a caso87.
Rimangono dunque solo due opzioni possibili: quella di adottare, almeno in questo più ristretto ambito di efficacia (ossia come
criterio sussidiario, applicabile solo in caso di difetto di scelta, e
non già come criterio primario inderogabile), il criterio alfabetico;
oppure in alternativa, quella di dare precedenza, nuovamente solo
in questo ristretto ambito, sempre al (primo) cognome paterno88 o
sempre al (primo) cognome materno89.
87
La scelta potrebbe essere fondata, ad esempio, su esigenze di eufonia, di tradizione
familiare, di riconoscibilità pubblica del cognome, o su evidenze statistiche, ma è
agevole comprendere che qualsiasi motivazione fosse offerta dall’ufficiale dello
stato civile si presterebbe, per la sua intrinseca opinabilità, ad essere sindacata in
giudizio come arbitraria.
88
La soluzione che privilegia il cognome paterno (fino al 2017 regola vigente in
Spagna in caso di difetto di scelta), seppur non pienamente conforme al principio di
uguaglianza, si potrebbe forse – ma il condizionale è d’obbligo, data la delicatezza
della materia – accettare come residuo (e residuale) ossequio alla tradizione familiare
italiana. Ed infatti, se è certamente irragionevole – come sopra si è evidenziato –
assegnare priorità al rispetto della tradizione prevedendo che, in assenza di accordo
sulla scelta doppio cognome, sia automatica la trasmissione del solo cognome
paterno come cognome unico, perché questo comporterebbe un vulnus irrimediabile
al principio di eguaglianza, non altrettanto sembra potersi affermare con riguardo
all’ipotesi di cui qui si sta discorrendo, ossia quella di un impiego solo residuale ed
estremamente contenuto del criterio di precedenza del cognome paterno all’interno
di una regola comunque basata sulla trasmissione di entrambi i (primi) cognomi
delle due linee genitoriali ai primi figli. Una regola di questo tipo non impedisce
che, nel rapporto tra i coniugi, entrambi vedano rappresentato il proprio cognome
come cognome della coppia e lo trasmettano ai figli e, nella prospettiva di questi
ultimi, che i figli stessi si vedano correttamente rappresentati nelle linee di entrambi i
genitori. La prevalenza del cognome paterno varrebbe solo per stabilire un ordine su
cui non vi è accordo ma garantirebbe l’unità della famiglia sulla base di un criterio di
rispetto della tradizione in sé preferibile rispetto ad una logica puramente alfabetica,
che comporterebbe invece il depauperamento progressivo della varietà dei cognomi.
89
Una soluzione siffatta, pur sacrificando la tradizione, consentirebbe di perseguire
1100
The best interest of the child
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del figlio in Fam. dir., 2017, p. 213; in Corr. giur., 2017, p. 165.
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al massimo un’esigenza in ogni caso meritevole anch’essa di ampia considerazione,
ossia quella di valorizzare (e premiare, anche se solo sotto un profilo residuale –
e tutto sommato marginale – del generale regime di attribuzione dei cognomi) il
ruolo centrale della madre nella procreazione, in particolare in considerazione della
funzione insurrogabile che la stessa riveste come gestante e prima nutrice nei primi
mesi di vita del bambino.
Cognome del minore e identità personale
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parte viii
L’interesse del minore alla continuità affettiva
Contraddizioni e criticità del principio
della continuità affettiva nei procedimenti
di adozione: continuità affettiva e affido
familiare
Alida Montaldi
Prima di trattare il tema specifico del mio intervento, mi pare interessante raccogliere uno degli spunti di riflessione offerti dal relatore che
mi ha preceduto, circa la distinzione tra la valutazione del superiore
interesse del minore operata dal legislatore a livello di sistema normativo e la valutazione dell’interesse del minore operata dal giudice in
sede di applicazione al caso concreto delle norme di tutela. A questo
riguardo mi preme infatti evidenziare che proprio nel confronto, continuo e pregnante, tra questi due piani di valutazione del superiore
interesse del minore si radica la specificità delle funzioni del giudice minorile. Questi, in particolar modo nell’applicazione delle norme
della legge n. 184/83, volte alla tutela della condizione del minore “a
rischio” di abbandono o in stato d’abbandono conclamato, ma anche
di quelle relative all’adozione nazionale e internazionale, si trova ad
esercitare l’ampia discrezionalità conferitagli da quelle norme proprio
per adeguare alle specifiche connotazioni del caso concreto la tutela
riconosciuta in via generale. Si tratta di spazi di discrezionalità molto
ampi, di volta in volta “gestiti” in relazione alle specifiche esigenze del
caso concreto e non solo dal giudice, giacché la legge n. 184/83 coinvolge più istituzioni negli interventi a tutela dei minori in condizione di
disagio familiare, interventi che possono e devono essere effettuati in
suo favore nell’ambito della famiglia d’origine, presso un nucleo affidatario o presso strutture di accoglienza o infine, a seguito dell’accertamento del suo stato di abbandono, nell’ambito di una famiglia adottiva. La realizzazione in concreto della tutela prevista dal legislatore con
la legge sull’adozione prevede infatti l’attivazione di una “rete” di cui
fanno parte, oltre all’autorità giudiziaria, i servizi sociali del territorio,
il tutore, pubblico oppure privato, il curatore speciale ed il difensore
1106
The best interest of the child
del minore, ove nominati, a ciascuno dei quali è attribuita la responsabilità di valutare o contribuire a valutare quale sia, in concreto, il
superiore interesse del minore destinatario di quella tutela.
Aggiungo che anche dalla giurisprudenza di legittimità e di legittimità costituzionale che ha riguardato questa normativa emergono con
evidenza sia l’esigenza che la obiettiva difficoltà di ricondurre a “sistema” l’interpretazione delle norme a tutela della condizione minorile,
proprio in ragione degli ampi spazi di discrezionalità riconosciuti al
giudice nella loro applicazione con riguardo alle specifiche connotazioni del caso concreto.
Venendo all’oggetto specifico del mio intervento, non vi è dubbio
che la tutela della continuità affettiva continua a presentare, nel “sistema” di norme delineato dalla legge n. 184/83, anche dopo le modifiche
apportate dalla legge n. 173/15, contraddizioni e criticità, le quali richiedono chiarezza proprio nel definire alcune esigenze di tutela “in
concreto”, al fine di favorire una interpretazione ed applicazione, almeno tendenzialmente, uniformi delle norme di tutela.
L’intervento del legislatore del 2015 ha avuto il merito di riconoscere e tutelare un’esigenza emersa nella prassi giudiziaria con riguardo
alle relazioni significative che si instaurano tra minori e famiglie affidatarie, ma lo ha fatto avendo riguardo all’istituto dell’affidamento
“tipico”, disciplinato nell’art. 4 della legge n. 184/83. Il complessivo
sistema di tutela contenuto nella legge sull’adozione, nella sua pratica applicazione, mette tuttavia il giudice minorile di fronte ad altre
situazioni ricorrenti – pure impropriamente definite di “affidamento”– sulle quali la legge sulla continuità affettiva non ha inciso se non
indirettamente, vale a dire per il rafforzamento nel “sistema” di un
principio che già vi era contenuto: è conforme all’interesse del minore
mantenere con continuità ogni relazione per lui significativa dal punto
di vista affettivo e, aggiungerei, educativo.
L’esigenza di continuità delle relazioni significative del minore si
trova riconosciuta ed espressamente tutelata nella legge n. 184/83 innanzitutto con riguardo alla sua famiglia biologica, laddove è indicato
come oggetto di prioritaria tutela il diritto di ogni minore a crescere
nella propria famiglia d’origine e a mantenere relazioni significative
con i propri parenti, diritto al cui effettivo esercizio sono finalizzati gli
interventi di sostegno necessari al superamento di situazioni di transitorio di disagio del minore nell’ambito della famiglia di origine. Ciò
posto, tutte le altre relazioni “significative” per la sana crescita psicofi-
Continuità affettiva e affido familiare
1107
sica di un minore non si limitano a quelle instaurate con gli affidatari
di cui all’art. 4 legge n. 184/83, né sono agevolmente predeterminabili
in astratto, perché la condizione di un minorenne è di per se stessa
estremamente mutevole nel corso della sua minore età, nella vita come
nelle procedure giudiziarie instaurate a sua tutela, e vi è per questo
l’esigenza di mantenere in stretta connessione gli interventi a sua tutela
e la instaurazione o evoluzione di relazioni per lui significative.
A titolo esemplificativo della complessità della questione cito un
principio di recente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo il
quale deve essere riconosciuta come “significativa” per il minore non
soltanto la relazione con i parenti della famiglia biologica che, in concreto, egli ha potuto instaurare e sperimentare come tale, ma anche quella
di cui è stato privato non per azione colpevole degli stessi parenti. Nel
caso sottoposto all’esame della Corte si trattava di un bambino dichiarato in stato di abbandono i cui nonni vivevano in Egitto e non avevano
mai incontrato il nipote né prima, né durante il periodo in cui il bambino era stato accolto in un istituto, sebbene nel corso del procedimento
per l’accertamento del suo stato di abbandono lo avessero chiesto. In
questo caso non vi è dubbio che nel momento in cui l’autorità giudiziaria si è pronunciata sull’adottabilità del bambino egli non aveva una
relazione “significativa” con i nonni, ma il sistema di tutela azionato in
suo favore ha esso stesso inibito la nascita di quella relazione.
La situazione che ho appena descritto focalizza una, a mio avviso
evidente, criticità nella tutela della “continuità affettiva” del minore
nell’ambito delle procedure di accertamento del suo stato di abbandono, giacché sempre, quando la tutela di un minore richiede l’interdizione o la limitazione dei suoi rapporti con la famiglia di origine,
anche la qualità delle sue relazioni con i vari componenti della sua
famiglia subisce inevitabili conseguenze. Ad esempio, quando la frequentazione è consentita esclusivamente all’interno di uno spazio protetto, per tutelare il bambino dalle condotte pregiudizievoli dei suoi
genitori che hanno determinato il suo allontanamento dall’ambiente
familiare, quello spazio protetto è anche, inevitabilmente, uno spazio
di osservazione/valutazione della relazione genitori - bambino e questo non sempre favorisce il recupero, o la conservazione, della qualità
“affettiva” di quella stessa relazione.
Si tratta di una questione a mio avviso molto delicata, su cui mi
sono sempre interrogata, nell’esercizio delle mie funzioni di giudice
minorile, proprio perché connessa con l’esercizio dell’ampia discrezio-
1108
The best interest of the child
nalità attribuita dal “sistema” di tutela del superiore interesse del minore non solo al giudice, ma all’intera “rete” (anche questa un “sistema”) che interviene a tutela di quello stesso interesse, ma valutato in
concreto in relazione alla specifica sua condizione e vicenda familiare.
E tuttavia, per il contenimento dei possibili effetti collaterali, insidiosi
e indesiderati, dei più radicali interventi a tutela dei minori in condizioni di disagio familiare, non vedo personalmente altro rimedio se
non pretendere che tutte le componenti della “rete” di tutela – in un
sistema di protezione che prevede una comunicazione qualificata tra
il giudice che decide e gli enti del territorio che intervengono a tutela
della condizione del minore – ne abbiano piena consapevolezza e agiscano con elevata preparazione e deontologia professionale.
Ad ulteriore esempio di “criticità” nella tutela della situazione relazionale del minore nell’ambito degli interventi azionati a sua tutela
in applicazione della legge n. 184/83, vorrei evidenziare le peculiarità della relazione che si instaura in conseguenza di quello che, nella
prassi giudiziaria, viene definito “affidamento a rischio giuridico”.
Con questa espressione – alla quale, nell’uso corrente, non sempre si
accompagna piena consapevolezza del suo significato – ci si riferisce
alla situazione ben definita e definibile, anche sul piano giuridico, in
cui vengono a trovarsi spesso minori dei quali è già stato accertato lo
stato d’abbandono, ma non in via definitiva, essendo la sentenza che
lo ha dichiarato, come ogni altra pronuncia del giudice di merito, suscettibile di impugnazione. In questi casi, quando viene segnalata la
condizione di sofferenza del bambino, che spesso si trova già da lungo
tempo in una Casa Famiglia e non ha più rapporti con la famiglia di
origine, il Tribunale per i minorenni procede ad un cosiddetto “affidamento a rischio giuridico” presso una coppia disponibile e idonea
all’adozione del minore nel caso di conferma della sentenza che ha
accertato il suo stato di abbandono, ma anche consapevole della possibilità di non conferma della sentenza all’esito dei successivi gradi
di giudizio e della conseguente necessità, in questo caso, di reinserimento del minore nella famiglia di origine o quanto meno di ripristino dei suoi rapporti con il nucleo familiare di origine. Si instaura
in questi casi, a seguito di una decisione del giudice, una relazione
particolarmente significativa per il minore, accompagnata tuttavia da
una “precarietà” che rende impegnativa la selezione della coppia e
molto delicata la condizione del minore presso di essa durante tutto il
tempo necessario a definire il giudizio.
Continuità affettiva e affido familiare
1109
Sul piano tecnico-giuridico l’affidamento “a rischio giuridico” non
è un’ipotesi tipica di “affidamento”, giacché la legge sull’adozione prevede solo due figure tipiche di “affidamento” di un minore con provvedimento del Tribunale per i minorenni: l’affidamento familiare di
cui all’art. 4 della legge n. 184/83, disposto per il tempo necessario al
superamento della situazione che impedisce la permanenza del minore nell’ambito della sua famiglia di origine, e l’affidamento preadottivo, di cui all’art. 22 della stessa legge, disposto dopo l’accertamento,
con sentenza passata in giudicato, dello stato di abbandono del minore. Esso tuttavia consente di contemperare il “preminente” interesse
del minore a crescere in una “famiglia” con il diritto dei suoi familiari
biologici ad esperire tutti i mezzi di impugnazione loro riconosciuti
avverso la dichiarazione dello stato di abbandono, garanzia ineludibile perché anche il giudizio per l’accertamento dello stato di abbandono
possa dirsi un “giusto processo”.
All’accertamento definitivo dello stato di abbandono e quindi di
adottabilità di un minore si perviene però quasi sempre al termine di
un lungo periodo di osservazione e valutazione della sua condizione
nell’ambito della famiglia di origine ed il procedimento – spesso preceduto da un’altra procedura instaurata per l’accertamento di condotte
pregiudizievoli dei genitori tali da giustificare provvedimenti limitativi o ablativi della loro responsabilità genitoriale ai sensi degli artt. 330
e ss. c.c. – può determinare anche un lungo periodo di permanenza del
minore in una Casa Famiglia, ad esempio per tutta la durata del giudizio di primo grado, poi di quello di secondo grado ed eventualmente
di legittimità. Per questo motivo, presso il Tribunale per i minorenni di
Roma, ma, credo, in tutti i Tribunali per i minorenni, frequentemente
si dispone, all’esito del primo grado di giudizio, il collocamento del
minore presso una coppia selezionata tra le coppie disponibili all’adozione, ma reso consapevole e reputato in grado di affrontare tutto
quanto è connesso con il “rischio giuridico”.
Dovendo sempre ricondurre a norme di legge tutti i provvedimenti
del giudice, occorre avere chiaro che il provvedimento in questo caso
adottato altro non è che un “collocamento provvisorio” presso un nucleo familiare ai sensi dell’art. 10 legge n. 184/83 e che la individuazione di una coppia disponibile e idonea ad adottare il minore nel caso di
conferma del suo stato di adottabilità, già dichiarato all’esito del primo
grado di giudizio, risponde al superiore interesse del minore. D’altra
parte, l’art. 10 della legge sull’adozione attribuisce al giudice dell’adot-
1110
The best interest of the child
tabilità, e poi dell’adozione, una discrezionalità amplissima, consentendogli di adottare, con una valutazione “in concreto” del suo interesse, i provvedimenti che ritiene più adeguati a tutela del minore, fra
i quali è espressamente indicato il suo collocamento presso un nucleo
familiare. È invece l’esperienza giudiziaria ad aver suggerito di individuare il nucleo familiare presso il quale collocare in via provvisoria il
minore tra le coppie che aspirano all’adozione e che hanno i requisiti
per diventare genitori adottivi di quel minore, proprio per assicurare
continuità alla sua condizione di vita e affettiva nel caso di conferma,
all’esito dei successivi gradi di giudizio, del suo stato di abbandono e
dunque di adottabilità.
La legittimità di questo tipo di provvedimento e la sua rispondenza
all’interesse preminente del minore non esimono tuttavia dal considerare la delicatezza della condizione in cui viene a trovarsi il minore
durante il tempo necessario ad accertare con “efficacia di giudicato”
il suo stato di adottabilità, un tempo caratterizzato dalla “precarietà”
delle sue relazioni affettive: precaria l’interruzione dei suoi rapporti
con la famiglia di origine, precaria l’instaurazione dei suoi rapporti
con la famiglia affidataria. Una condizione estremamente delicata, di
cui ho acquisito consapevolezza, confesso con una certa inquietudine, dapprima come giudice di secondo grado, avendo avuto per molti
anni le funzioni prima di consigliere e poi di presidente della Sezione
per i minorenni della Corte di appello di Roma, sapendo quanto la
durata del giudizio di secondo grado, e poi eventualmente di quello di
legittimità, e poi eventualmente del giudizio di rinvio avrebbero potuto prolungare questa situazione di precarietà. Nei giudizi di impugnazione avverso le sentenze di accertamento dello stato di abbandono
celebrati dinanzi alla Sezione per i minorenni della Corte di appello di
Roma ho inoltre constatato che il collocamento del minore presso un
nucleo familiare a scopo adottivo, anche solo ipotizzato, quando non
espressamente disposto con la sentenza di primo grado, ingenerava
nelle parti del procedimento di appello il timore, spesso apertamente
dichiarato, di un pre-giudizio, il timore cioè che la decisione di appello
potesse essere influenzata dal fatto che il minore fosse ormai giù inserito in una famiglia a scopo adottivo e avesse, appunto, instaurato nuove
e significative relazioni affettive, percepite come incompatibili con il
ripristino dei rapporti con la famiglia di origine.
Da un anno e mezzo invece presiedo, ogni settimana, il collegio
abbinamenti del Tribunale per i minorenni di Roma, condividendone
Continuità affettiva e affido familiare
1111
la responsabilità nella selezione delle coppie presso le quali collocare i
minori dei quali è stato accertato lo stato di abbandono, e questa esperienza mi ha reso maggiormente consapevole delle motivazioni, del
tutto condivisibili, per le quali spesso si procede al collocamento del
minore presso un nucleo familiare anche prima del passaggio in giudicato della sentenza che ne ha dichiarato lo stato di abbandono. Si tratta
di situazioni tutte estremamente delicate e complesse, nelle quali si interviene nell’esercizio di un’ampia discrezionalità, con provvedimenti
di cui proprio per questo ci si assume la responsabilità, affermando
con chiarezza e trasparenza che un bambino non può rimanere in una
sorta di “limbo” per due, tre, quattro anni, il tempo necessario a dare
piena attuazione al diritto dei suoi familiari biologici di esperire ogni
mezzo di reazione loro riconosciuto, quasi fosse ostaggio di questo
diritto. La delicata condizione di “precarietà” relazionale in cui ogni
minore di cui è stato accertato lo stato di abbandono si trova durante il
tempo occorrente per “definire” la sua condizione “giuridica” richiede
dunque una valutazione in concreto del suo preminente interesse e
l’individuazione dei provvedimenti ad esso più rispondenti.
Ma di questa stessa esigenza occorre farsi carico anche in via generale e progettuale, ad esempio promuovendo la formazione di coppie
consapevoli ed in grado di accogliere minori in questa condizione di
“precarietà relazionale”, individuando gli interventi a sostegno del
bambino e della coppia affidataria più adeguati ad accompagnarne la
relazione per tutto il tempo necessario alla definizione del giudizio e,
nel caso di reinserimento nella famiglia di origine all’esito dei successivi gradi di questo, a tutelare, in concreto, la continuità delle relazioni
affettive instaurate.
In definitiva situazioni come questa dimostrano come la tutela del
superiore interesse delle persone di età minore, di cui si è avuto ormai ampio e consolidato riconoscimento, anche perché rispondente al
comune sentire, per essere effettiva richiede anche la condivisione di
responsabilità sul piano dell’attuazione in concreto ed estrema attenzione alle specificità del singolo caso, all’adeguatezza degli interventi
attuabili nell’interesse di ogni singolo minore e alla elevata qualità,
professionale ed umana, di tutti i soggetti che intervengono a sua tutela
Un altro esempio di tutela della continuità delle relazioni affettive
del minore attuata in conformità al suo preminente interesse, in concreto, è la cosiddetta “adozione mite”, espressione in passato utilizzata
per riferirsi a situazioni di affidamento familiare protrattesi per lungo
1112
The best interest of the child
tempo e che attualmente è utilizzata nell’esperienza giudiziaria anche
per indicare il provvedimento con il quale è il giudice che, accertata la impossibilità non transitoria del minore di crescere nel proprio
nucleo familiare di origine per motivi che tuttavia non giustificano la
dichiarazione dello stato di abbandono, ne dispone l’affidamento, con
il consenso dei genitori, ad una coppia disponibile al mantenimento
dei rapporti del minore con la sua famiglia di origine.
Nell’esperienza giudiziaria, infatti, è emerso con evidenza che ci
sono delle situazioni limite in cui non è ipotizzabile un’evoluzione positiva della situazione che impedisce la sana crescita del minore nella
sua famiglia di origine e tuttavia questa non può essere ritenuta “abbandonica”. In tali casi, nei quali la relazione del minore con i suoi
genitori è disfunzionale ma affettivamente significativa, non vi sono
i presupposti per una rescissione dei rapporti del minore con la sua
famiglia di origine. D’altra parte, le relazioni affettive significative vissute nell’ambito del nucleo familiare di origine, anche se disfunzionali,
appartengono al patrimonio identitario ed affettivo del minore e dunque risponde al suo interesse mantenerle, ove non sia strettamente necessario, a sua tutela, interdirle. L’affidamento è tuttavia, in questi casi,
con tutta probabilità destinato a protrarsi “sine die” e non rispondente
alle esigenze transitorie ipotizzate dal legislatore con riguardo all’affidamento di cui all’art. 4 legge n. 184/83.
Da ultimo vorrei menzionare, quale esempio di criticità nella tutela
della continuità delle relazioni affettive del minore nell’ambito delle
procedure di cui alla legge n, 184/83, le difficoltà che nell’esperienza
giudiziaria si incontrano, affrontano e risolvono per la tutela della relazione tra fratelli per i quali tutti sia stato accertato lo stato di abbandono. Anche questa è una situazione di estrema delicatezza, nella quale
la valutazione dell’interesse ad instaurare una relazione “esclusiva”
con i genitori adottivi e la necessità che questi siano posti realmente in
grado di far fronte ai bisogni di ciascuno dei fratelli, alcuni dei quali
possono essere portatori di bisogni “speciali” o affettivamente più deprivati rispetto agli altri, non consente l’inserimento di tutti i fratelli
in uno stesso nucleo familiare. È una decisione non facile, che viene
adottata sulla base di una rigorosa valutazione della condizione di ciascuno dei fratelli e sempre accompagnata dalla prescrizione a ciascuna coppia affidataria di consentire e favorire la frequentazione tra di
essi, prescrizione che individua una sorta di nucleo familiare allargato
idoneo a farsi carico della tutela della fratria. Questa prospettiva di in-
Continuità affettiva e affido familiare
1113
tegrazione dei nuclei familiari adottivi richiede, come si può immaginare, un’attenta ed impegnativa selezione delle coppie, devo dire tuttavia con risultati quasi sempre confortanti. Naturalmente, ove è invece
possibile, si dispone l’inserimento di più fratelli in un unico nucleo
familiare, poiché non vi sono automatismi, né procedure standardizzate. Al contrario, in questa come in tutte le altre delicate situazioni che
ho menzionato, si procede senza preconcetti, con un approccio sempre
orientato alla ricerca della soluzione più adeguata in concreto all’interesse e ai bisogni di ogni singolo minore e con uno scambio incessante
di esperienze e professionalità.
L’adozione in casi particolari
Melita Cavallo
Sommario: 1. Un excursus storico sulla normativa. – 2. L’impossibilità
di affidamento preadottivo. –3. Gli effetti dell’adozione in casi particolari. – 4. L’adozione coparentale. – 5. Le contestazioni. –6. Conclusioni.
1. Un excursus storico sulla normativa
Per meglio comprendere la normativa sull’adozione in casi particolari può essere utile un breve excursus sull’evoluzione che la materia
dell’adozione ha avuto negli ultimi cinquant’anni.
La prima legge sull’adozione, la n. 431 del 1967, intese differenziare
l’adozione dei bambini di età compresa fra 0 e 8 anni, denominandola
“speciale”, da quella dei bambini più grandi di 8 anni e dei maggiorenni, denominata “ordinaria”. L’obiettivo era duplice:
1. contrastare il turpe mercato dei bambini piccoli;
2. svuotare gli istituti, all’epoca affollati soprattutto da bambini in tenera età.
Il mercato dei bambini consisteva nel fatto che essi, in particolare quelli
piccoli, dietro consenso dei genitori venivano spesso ceduti a persone
danarose e desiderose di un figlio, grazie all’intervento di improvvisati
mediatori che si aggiravano per paesi e città alla ricerca di famiglie
povere con prole numerosa, da una parte, e coppie sterili e danarose, dall’altra, per metterle in contatto e trarne il massimo profitto. La
trattativa si chiudeva con un accordo, gestito sempre dal mediatore
e omologato, su domanda degli aspiranti genitori adottivi, dalla Corte di appello del luogo di loro residenza, che ne verificava, attraverso
l’informativa dei carabinieri, esclusivamente l’assenza di gravi precedenti penali a loro carico; nessuna rilevanza assumeva la differenza di
1116
The best interest of the child
età, a volte molto elevata, tra adottanti e adottato, nessuna valutazione
sociale o psicologica della coppia in relazione ai bisogni del bambino:
praticamente, una compravendita!
D’altra parte, gli istituti erano all’epoca affollati soprattutto da bambini molto piccoli, spesso abbandonati alla nascita; perciò la nuova normativa previde gli 8 anni come limite massimo di età del bambino adottabile con adozione speciale, stante l’acclarata e notoria disponibilità delle
coppie quasi esclusivamente alla adozione di bambini in tenera età.
Il procedimento relativo all’adozione speciale si svolgeva davanti
al tribunale per i minorenni, quindi con il massimo delle garanzie in
favore dell’adottando. Il procedimento dichiarativo dello stato di adottabilità del bambino doveva provarne l’abbandono materiale e morale
da parte dei genitori: furono così dichiarati adottabili tutti i bambini
non riconosciuti alla nascita, quelli istituzionalizzati e mai visitati dai
genitori, e quelli i cui genitori erano apparsi maltrattanti e abusanti e
non in grado di recuperarsi. Restavano però esclusi quelli per i quali,
pur essendo piccoli, mai c’era stata una segnalazione perché non apparivano abbandonati alla strada, né maltrattati o abusati, nonostante
appartenessero a famiglie fortemente svantaggiate, economicamente
e culturalmente molto deboli. Questi bambini, in particolare se molto
piccoli, continuavano a essere attirati nell’area del mercato e restavano
ancora ceduti a terzi estranei con adozione ordinaria, così come tutti
gli altri minori che avevano superato gli 8 anni di età.
La legge n. 431, dunque, non riuscì a demolire il mercato dei bambini, che peraltro acquisiva spazio crescente sulla cronaca, come “il più
turpe dei mercati”. Fu così che nel 1983 una nuova legge, la n. 184,
introdusse sostanziali modifiche: abrogò l’adozione ordinaria relativamente a tutti i soggetti minorenni; portò l’età adottabile al diciottesimo
anno; stabilì che i genitori adottivi devono essere coniugati e rispettare
determinati limiti di età; previde l’irrevocabilità dell’adozione che, da
quel momento in poi, viene denominata non più “speciale” ma “legittimante” perché il figlio adottivo è legittimo di entrambi i genitori.
Inoltre il legislatore, al fine di ridurre il mercato dei bambini e dissuadere il passaggio di un bambino dalla famiglia di origine a terzi estranei,
introdusse all’art. 9 della richiamata legge il comma 4, che fa divieto di
accogliere in affidamento un bambino oltre il tempo di mesi sei a persone
che non siano legate al minore da vincolo di parentela entro il quarto grado, disponendo altresì che, qualora la permanenza del minore si protragga oltre sei mesi, l’affidatario di fatto deve darne segnalazione al Procu-
L’adozione in casi particolari
1117
ratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. Pari obbligo è
posto a carico dei genitori che hanno dato il figlio in affidamento a persone non parenti entro il quarto grado. La mancata osservanza della norma
prevede per gli affidatari l’incapacità a ottenere affidi familiari, adozioni
e nomina all’ufficio tutelare, e per i genitori la decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio e l’apertura della procedura di adottabilità.
Ma il legislatore saggiamente previde la possibilità, malgrado questa norma, di molte situazioni in cui un bambino si sarebbe trovato, da
un tempo ben più lungo di sei mesi, presso terzi estranei se la famiglia,
improvvisamente in grande difficoltà, lo avesse ceduto per assicurargli
maggiore benessere. E in effetti il bambino veniva nella famiglia affidataria di fatto adeguatamente accudito e allevato. Era quindi necessaria
una norma di salvaguardia in base alla quale, se il giudice minorile
avesse valutato la nuova situazione familiare adeguata ai bisogni del
bambino, e quindi idonea a tutelarne pienamente il percorso di crescita, avrebbe potuto non deciderne l’allontanamento, perché tale decisione ne avrebbe pregiudicato il superiore interesse, stante il legame di
attaccamento ormai strutturato e consolidato con gli affidatari di fatto.
Per questo motivo il legislatore disciplinò, all’art. 44 della legge n. 184,
l’“adozione in casi particolari”: una norma aperta nella quale poter
ricomprendere i casi riconducibili a queste fattispecie, di volta in volta
segnalate, ma troppo tardi…, ai tribunali per i minorenni.
L’art. 44 prevedeva all’epoca tre fattispecie: la lettera a), relativa al
minore orfano di entrambi i genitori, che poteva essere adottato dal parente entro il sesto grado, o anche da persona a lui legato da rapporto affettivo precedente alla perdita dei genitori; la lettera b), relativa
all’adozione del figlio di uno dei coniugi da parte dell’altro coniuge; la
lettera c), relativa all’ipotesi di constatata impossibilità di affidamento
preadottivo. In presenza di queste tre fattispecie era possibile derogare
dagli elementi richiesti per l’adozione legittimante: il rapporto di coniugio degli adottanti, per cui avrebbe potuto adottare anche una persona
singola, quale che fosse il sesso; i limiti di età, essendo richiesta soltanto
una differenza di età di almeno 18 anni tra adottante e adottato.
2. L’impossibilità di affidamento preadottivo
Sul significato di “impossibilità di affidamento preadottivo” s’interrogarono i giudici minorili, e si vennero nel tempo a creare due correnti di pensiero.
1118
The best interest of the child
Il termine “impossibilità di affidamento preadottivo”, secondo la
maggior parte dei giudici minorili, andava riferito al bambino disabile,
che a causa di tale condizione, nonostante fosse stato dichiarato adottabile, non sarebbe mai stato collocato in affidamento preadottivo presso una
delle tante coppie, tutte desiderose di ottenere un bambino il più possibile piccolo e sano. Forse avrebbe avuto la possibilità di essere accolto da
una persona singola o da coniugi anziani, insomma da persone che non
avevano i requisiti previsti dalla legge per l’adozione legittimante. Infatti
era accaduto che bambini affetti da malattie abbastanza gravi erano stati
accolti chi dall’infermiera che l’aveva conosciuto e curato in ospedale, chi
dalla maestra che lo aveva seguito come alunno, chi dalla sua madrina o
dall’anziana vicina di casa che si era opposta al suo ricovero in istituto.
Ma la stessa situazione di affidamento “fuori norma”, cioè in aperta
violazione dell’art. 9 della legge n. 184, si era verificata, così come in
passato, anche per bambini non in precario stato di salute ma che, per
una difficile situazione familiare, come una grave malattia della madre, una situazione economica disastrata, la morte del padre o il suo
improvviso allontanamento da casa, erano stati affidati a terzi estranei
i quali, trascorsi alcuni anni, chiedevano di adottare quel bambino ormai grandicello e a loro affettivamente molto legato. E alcuni tribunali
per i minorenni individuarono nell’art. 44 lettera c) la norma applicabile per evitare l’allontanamento di quel bambino, che non versava in
una situazione di abbandono morale e materiale da parte dei suoi genitori, per cui non era possibile dichiararne lo stato di adottabilità e il
conseguente affidamento preadottivo. Infatti essi, consapevoli dei loro
limiti educativo-assistenziali, avevano consentito a che il figlio permanesse presso gli affidatari e mantenevano con lui i rapporti, sia pure
discontinui e sempre più diluiti nel tempo.
Il Tribunale per i minorenni di Bari fu il primo a pronunziare numerose adozioni in casi particolari, conseguenti ad affidamenti rinnovati ogni due anni dal tribunale in favore di affidatari divenuti ormai
nel tempo genitori a tutti gli effetti di un bambino ormai quasi adolescente che, sentito in merito alla sua adozione da parte degli affidatari,
aveva espresso la volontà di essere da loro adottato, adozione cui i di
lui genitori prestavano il loro consenso.
La giurisprudenza ormai si orientava su questa seconda interpretazione della norma. Cioè, all’interpretazione restrittiva che valutava la
“impossibilità di fatto”, riconducibile a motivo esclusivamente sanitario, si affiancava l’interpretazione più ampia, che valutava la “impossi-
L’adozione in casi particolari
1119
bilità di diritto” dell’affidamento preadottivo, afferente a quei bambini
affidati a persone che erano andate incontro a famiglie con problemi e
che ne avevano allevato e curato i figli con il consenso di genitori.
Quando la legge n. 184 fu rivisitata nel 2001 dalla legge n. 149 il
legislatore riformulò la lettera c) dell’art. in modo chiaro: essa fa riferimento al bambino disabile che si trova nelle condizioni indicate
dall’art. 3 comma 1 della legge n. 104/1992 e sia orfano di padre e di
madre; conseguentemente collocò sub lettera d) la tanto discussa norma ex lettera c), il cui testo viene da allora in poi interpretato come la
gran parte della giurisprudenza aveva già fatto fino ad allora, ovvero
come impossibilità di diritto.
In definitiva, la legge n. 149 ha voluto, aggiungendo la lettera d)
nell’art. 44 della legge 183, introdurre una valvola di sfogo per dare copertura giuridica a situazioni relative a legami significativi venutisi a creare tra soggetti minorenni in formazione e adulti di riferimento che loro
avevano dedicato e dedicavano ogni cura e che, ove interrotti e spezzati,
avrebbero prodotto un grave pregiudizio a quel determinato bambino.
3. Gli effetti dell’adozione in casi particolari
Come abbiamo già accennato, l’adozione in casi particolari richiede
presupposti meno rigorosi rispetto all’adozione legittimante sia relativamente ai requisiti di età, in quanto viene prevista solo una differenza minima di 18 anni tra adottante e adottato, sia in riferimento
allo stato civile dell’adottante, che può essere anche una coppia non
coniugata o una persona singola. Questa adozione viene decisa dal tribunale per i minorenni, acquisito il consenso dei genitori del minore,
e produce effetti limitati rispetto alla adozione legittimante, perché il
bambino mantiene formalmente il rapporto con la famiglia di origine
e il proprio cognome, al quale può aggiungere quello dell’adottante. È
richiesto, come prevede l’art. 57 della legge n. 184, che il Tribunale per
i minorenni verifichi in modo approfondito la rispondenza della adozione all’interesse superiore del minore, che quindi si configura come
la chiave interpretativa della norma.
Va precisato che il minorenne adottato con l’adozione in casi particolari resta escluso dal legame di parentela con i membri della famiglia
dei genitori adottivi perché l’art. 55 della legge n. 184 dispone applicarsi alla adozione in casi particolari, quanto agli effetti, le norme relative
alla adozione dei maggiorenni.
1120
The best interest of the child
E va ricordato che la legge n. 219/2012 relativa alle disposizioni in
materia di riconoscimento dei figli naturali apporta, conformemente
alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, una notevole modifica al concetto di parentela in quanto riscrive l’art. 74 del
codice civile e cancella la differenza tra parentela legittima e parentela
naturale, inserendo a pieno titolo nella rete parentale il figlio adottivo,
con l’unica esclusione del figlio adottato da maggiorenne. E poiché il
richiamato art. 55 dispone, quanto agli effetti, applicarsi alle adozioni in casi particolari le norme relative all’adozione del maggiorenne, i
bambini adottati ai sensi dell’art. 44 sono esclusi dal legame di parentela con i membri della famiglia dei genitori adottivi.
Questa limitazione è senza dubbio ingiusta e contraria alla portata
innovatrice della riforma attuata dalla legge n. 219/2012, che ha inteso
configurare un unico status di figlio parente comprensivo di tutte le filiazioni biologiche e adottive, nelle quali andava ritenuta inclusa anche
la filiazione adottiva in casi particolari. Appare, infatti, stridente sotto
il profilo giuridico l’avere assimilato l’adozione in casi particolari del
minorenne all’adozione dei maggiorenni perché la prima ha carattere affettivo-relazionale, mentre la seconda ha carattere patrimoniale e
successorio. La ratio iuris sta nel fatto che l’adozione in casi particolari,
a differenza delle altre tipologie di adozione che riguardano soggetti
minorenni, è revocabile. Si potrebbe allora prevedere che il minorenne
adottato con adozione in casi particolari, raggiunti gli anni 14, rappresentato da un curatore speciale, possa esprimere il proprio consenso
alla conversione della sua adozione in casi particolari in adozione piena, consentendovi, ove in vita, i suoi genitori.
4. L’adozione coparentale
Veniamo ora al ricorso presentato al Tribunale per i minorenni di
Roma inteso a ottenere l’adozione coparentale proposto da una donna
convivente more uxorio da alcuni anni con la sua compagna. Per “adozione coparentale” deve intendersi l’adozione del figlio o della figlia del
convivente; essa è riferibile sia alle convivenze di fatto tra persone eterosessuali o omosessuali, sia alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
La ricorrente, assistita da un’avvocata competente e professionale,
esponeva ampiamente la situazione familiare di convivenza omosessuale con la sua compagna. Riferiva in sede istruttoria che, con il passare del tempo, sia lei che la compagna avevano pensato, e poi proget-
L’adozione in casi particolari
1121
tato, di fare famiglia mettendo al mondo un bambino; dopo aver molto
riflettuto avevano deciso che il bambino sarebbe stato portato alla luce
dalla più giovane delle due; così, assunta la decisione, si erano recate
in Spagna per realizzare il progetto familiare presso una clinica specializzata, che aveva seguito la fase iniziale della gestazione della sua
compagna; tornate poi in Italia, quest’ultima, assistita dalla ricorrente,
aveva dato alla luce la piccola A. L’avvocata rappresentava la dedizione e la cura che la convivente della madre riservava alla bambina sentendola, anche lei, figlia a tutti gli effetti, e con quanto amore filiale la
piccola ricambiava l’affetto. Ma questo legame autentico e significativo
non veniva legalmente riconosciuto alla “seconda madre”, costretta
nei fatti a presentare, di volta in volta, l’autorizzazione a prelevare la
piccola a scuola, a condurla al presidio sanitario per le vaccinazioni,
a visitarla e ad assisterla in ospedale quando aveva subito un breve
ricovero…, e quando l’aveva condotta una settimana dai propri parenti... Insomma, l’avvocata rappresentava come la sua assistita per i
terzi, per la comunità, era una estranea, mentre per quella bambina era
una seconda mamma, al pari della compagna. La ricorrente chiedeva,
quindi, di adottare la piccola ai sensi e per gli effetti di cui all’adozione
in casi particolari ex art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983.
Ho sempre ritenuto, nel rispetto della normativa nazionale e internazionale, che l’attività istruttoria del giudice minorile deve avere
come obiettivo quello di individuare la soluzione che più delle altre
riesce a realizzare l’interesse del bambino. In questo caso c’era una
bambina che era cresciuta senza un padre, ma con due madri: quella
genetica e la compagna di lei, che le faceva ugualmente da mamma.
Il Tribunale per i minorenni di Roma ha quindi istruito il ricorso con
la consueta attenzione, nel rispetto di quanto richiesto dall’art. 55 della
legge n. 184, avendo cura di far emergere i bisogni della bambina e di
verificare la relazione tra la piccola e la ricorrente, e di entrambe le donne tra loro; cioè focalizzando l’attenzione sul funzionamento del nucleo
familiare così come composto, e chiedendo ai membri del Collegio di
spogliarsi di eventuali pregiudizi prendendone consapevolezza per
poi discuterne quando avremmo dovuto assumere la decisione. Ricordo che una collega mi ha chiesto se potevo consigliarle un testo, o dei
precedenti, e che io ho risposto: «Guardati intorno…», lasciandola sorpresa. E valutando l’impatto che la sentenza avrebbe potuto avere nella
collettività, si è cercato in motivazione di dare un ventaglio di validi argomenti a sostegno della decisione che aveva portato il Collegio ad ac-
1122
The best interest of the child
cogliere il ricorso, tenendo ben presente il parere negativo del Pubblico
Ministero, nella consapevolezza di doverlo contestare in modo chiaro
e stringente perché il provvedimento sarebbe stato sicuramente reclamato. La Procura infatti sposava la tesi dell’affidamento preadottivo di
fatto e non di diritto, e chiedeva la nomina di un curatore alla minore
stante il possibile contrasto tra la madre biologica e la ricorrente. Il Tribunale ha ritenuto non necessaria la nomina di un curatore in quanto
la madre biologica esercitava ritualmente la responsabilità genitoriale
sulla figlioletta e consentiva alla richiesta della sua compagna.
L’indagine sul nucleo familiare è stata fatta a trecentosessanta gradi: in primo luogo si è ritenuto di verificare la situazione familiare e di
accertare quale fosse l’interesse superiore della minore, se questo interesse sarebbe stato riempito di ulteriori contenuti affettivo-relazionali
a seguito dell’accoglimento della domanda di adozione della ricorrente. Avremmo poi posto sul tavolo il problema della legittimità della
domanda della convivente della madre biologica ad adottarne la figlia
con adozione in casi particolari, ovvero se l’adozione in casi particolare
ex art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 potesse essere disposta
anche nei confronti di una coppia omosessuale. E ciò perché l’accertamento dell’interesse superiore della minore è posto dal legislatore
come rilevante chiave di lettura del caso.
Ebbene, l’esame dei verbali, molto diffusi e ricchi di particolari concernenti la piccola, erano del tutto tranquillizzanti: le sue maestre e il
suo pediatra descrivevano la bambina come socievole, gioiosa, affettuosa, e sulle due madri solo parole di encomio per le modalità con cui
seguivano la bambina, accompagnandola, come tutte le altre mamme,
ora l’una ora l’altra, di qua e di là tra piscina, festicciole, scuola di inglese La relazione del servizio sociale era assolutamente positiva, la visita
domiciliare era stata del tutto rassicurante: la bambina aveva manifestato affettività per entrambe le donne che si prendevano cura di lei,
e si rivolgeva all’una come mamma O e all’altra come mamma C, ed
appariva serena e felice. Le madri avevano battezzato la bambina, che
quindi frequentava anche la parrocchia. Quindi l’interesse della minore
appariva provato. Ma questo interesse era forse “inquinato” dalla omosessualità delle due figure parentali, e dalla nostra legge era impedito?
***
Il Collegio ha cercato precedenti nella giurisprudenza. La prima
riflessione ha riguardato una sentenza emessa dal Tribunale per i mi-
L’adozione in casi particolari
1123
norenni di Milano1, che aveva disposto l’adozione in casi particolari
di una bambina al compagno della madre che nei fatti le faceva da
padre. Il Tribunale così decide: “nel caso di specie la presenza della madre
che da sempre si occupa della figlia esclude la configurabilità dello stato di
abbandono, e dunque la giuridica impossibilità di procedere ad un affidamento
preadottivo consente di ritenere integrato uno dei casi particolari, quello di cui
alla lettera d) che consente di far luogo alla adozione che è clausola residuale.
Va quindi valutato in concreto ciò che può comportare maggiore utilità per il
minore (utilità intesa come preminente somma di vantaggi di ogni genere e
specie e minor numero d’inconvenienti) nella prospettiva del pieno sviluppo
della personalità del minore stesso e della realizzazione di validi rapporti interpersonali ed affettivi, tenuto conto delle particolarissime situazioni esistenziali che caratterizzano le persone coinvolte”.
Tale situazione di fatto è apparsa meritevole di tutela nell’ambito
delle ipotesi di adozione in casi particolari nel rispetto dei principi della tutela del minore e del perseguimento del suo esclusivo interesse.
Dunque, il Tribunale per i minorenni di Milano non ha ritenuto necessario il rapporto di coniugio ma sufficiente una serena convivenza a
rendere possibile l’applicazione della lettera d) dell’art. 44.
Si è poi osservato che la Corte Costituzionale, molto tempo addietro, aveva espressamente riconosciuto2, proprio con riferimento a un’adozione in casi particolari, introdotta nel codice civile qualche anno
prima, da un lato, “l’esigenza che siano conferiti al giudice poteri sufficienti
a consentirgli di individuare la soluzione più idonea a soddisfare gli interessi
del minore e, dall’altro, che possano trovare tutela positiva i rapporti creatisi
col tempo tra il minore e gli affidatari” essendo pertanto sempre necessario che il giudice valuti “il superiore interesse del minore, in vista del quale
la legge, in determinate situazioni, abbandona le soluzioni rigide, prevedendo
che la valutazione (…) sia effettuata in concreto dal giudice nell’esclusivo interesse del minore. (…) L’esigenza di adeguata considerazione dei legami di
fatto instauratisi trova nella nuova normativa un riconoscimento tanto penetrante da indurre il legislatore a derogare in alcuni casi a un rapporto di
convivenza e di coniugio tra gli affidatari”.
La Corte Costituzionale chiedeva quindi al giudice di focalizzare
l’attenzione sulla situazione psicoaffettiva del bambino e di valutare se
per lui sarebbe stato positivo permanere nella situazione familiare in
1
Tribunale per i minorenni di Milano, sentenza n. 626/2007.
2
Corte Cost., sentenza n. 198/1986.
1124
The best interest of the child
cui si trovava, perché l’eventuale allontanamento gli sarebbe stato di
grave pregiudizio; non gli chiedeva di guardare al sesso degli aspiranti
genitori adottivi, ma alla responsabilità educativo-assistenziale nella
gestione del ruolo.
Se questo è il quadro giuridico di riferimento quando si tratta di
coppie conviventi eterosessuali, in esso parimenti deve essere inquadrata la situazione costituita dalla compagna della madre biologica di
una bambina, cui la stessa ha fatto da co-madre sin dalla nascita, ove ne
richieda l’adozione in casi particolari. Senza dubbio questo approccio è
rafforzato dalla lettura dell’art. 3 della nostra Costituzione, che non lascia dubbio alcuno alla possibilità di accoglimento della richiesta, ove
la stessa risponda all’interesse superiore della minore, in quanto viene
solennemente affermato che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ne consegue che, là dove il richiamato articolo della legge n. 184 si riferisce
alla persona singola, può trattarsi sia di un uomo sia di una donna,
non essendoci nessuna indicazione sul sesso, ma parità di genere. La
richiesta andava quindi valutata, così come avremmo fatto se a richiedere l’adozione fosse stata il compagno, o la compagna, nell’ambito di
una coppia eterosessuale.
Il Collegio ha tenuto presente anche la sentenza della Corte di Cassazione3 che rigetta il ricorso presentato da un padre contro l’affidamento esclusivo del figlio disposto dalla Corte di appello di Brescia
in favore della madre, convivente con una educatrice conosciuta nel
corso della sua permanenza in una casa di cura, alla quale si era affettivamente legata: si trattava dunque di una relazione omosessuale. Il
ricorso era motivato sul fatto che la relazione omosessuale intrattenuta
dalla madre avrebbe recato danno al percorso educativo del figlio. La
Suprema Corte così motiva la sua sentenza: “… Alla base della doglianza
del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il
pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di
vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà
per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto
per il bambino…”.
Orbene – osserva il Collegio – se non può presumersi, per un minore inserito in un contesto familiare omosessuale, la dannosità della
3
Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 601/2012.
L’adozione in casi particolari
1125
situazione familiare, non può neppure presumersi che l’interesse superiore del minore non possa realizzarsi in tale contesto. Ne discende – continua il Collegio – che un’interpretazione della norma volta a
escludere coppie omosessuali dalla possibilità di ricorrere all’adozione
ex art. 44, comma 1, lettera d) sarebbe in palese contrasto non solo con
la lettera della legge, ma anche con la sua ratio.
Una riflessione va fatta anche sulla sentenza della Corte Costituzionale4 in cui la Corte, pur non riconoscendo l’estensione della disciplina
del matrimonio alle coppie omosessuali come una modifica costituzionalmente obbligata, afferma che “per formazione sociale deve intendersi
ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire
il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una
valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche
l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello
stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla
legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. La Corte
Costituzionale riconosce, pertanto, alle unioni omosessuali il diritto
fondamentale di vivere liberamente la propria condizione di coppia,
così come è per le unioni di fatto fra persone di sesso diverso. E allora
il desiderio di avere dei figli, naturali o adottati, non può non rientrare
nel diritto alla vita familiare, nel “vivere liberamente la propria condizione
di coppia”, anzi ne diventa una delle espressioni più rappresentative.
Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore a essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti a prendersene
cura, un’interpretazione dell’art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184
che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali soltanto a motivo
della omosessualità, ma al tempo stesso riconoscendo la possibilità di
ricorrere a tale istituto alle coppie di fatto eterosessuali, sarebbe un’interpretazione non conforme al dettato costituzionale in quanto lesiva
del già richiamato principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del principio della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 Cost.), fra cui la Corte
Costituzionale annovera quello delle unioni omosessuali a vivere liberamente la propria condizione di coppia.
È anche rilevante il comma 20 dell’art. 1 della cosiddetta legge Cirinnà5, che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso:
4
Corte Cost., sentenza n. 138/2010.
5
Legge n. 76/2016.
1126
The best interest of the child
esso dichiara che laddove nelle leggi, negli atti aventi forza di legge,
nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi si ritrovino disposizioni riferite al matrimonio, ovvero contenenti le parole “coniuge” o “coniugi” o termini equivalenti, esse debbano ritenersi
applicabili anche alle parti delle unioni civili; tuttavia tale rimando
non si applica alle norme contenute nel codice civile che non siano
espressamente richiamate dalla legge sulle unioni civili, e neppure a
quelle contenute nella legge n. 184/1983 disciplinante la materia delle
adozioni. Con chiaro riferimento all’adozione coparentale, viene tuttavia inserito l’inciso: “Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di
adozione dalle normative vigenti”.
Va sottolineato che, in questi casi, non si tratta di creare una situazione ex novo, ma di dare veste giuridica ad una situazione di fatto già
esistente e che comunque la decisione del giudice non cambierebbe,
con l’obiettivo di garantire ad un soggetto minorenne una più piena
tutela, che maggiormente ne garantisca il superiore interesse. Quindi,
a parere del Collegio l’art. 44 si configura come una “porta aperta” sui
cambiamenti che la nostra società ci propone con una continuità e una
velocità cui il legislatore fatica a tenere dietro, ma cui il giudice minorile non può restare indifferente, se in ogni suo provvedimento deve,
effettivamente, assicurare l’interesse superiore del minore.
***
Infine, dal punto di vista dei trattati internazionali dall’Italia liberamente sottoscritti la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma
testualmente afferma: “… una lettura dell’art. 44, co. 1, lett. d) che escludesse dalla possibilità di ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari
coppie di fatto omosessuali a motivo di tale orientamento sessuale si porrebbe
in contrasto con gli artt. 14 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Ed infatti, come chiarito dai giudici costituzionali (in particolare con le sentenze 348 e 349/2007 e 317/2009), l’art. 117, primo comma,
della Costituzione opera come “rinvio mobile” alle disposizioni della CEDU
– nell’interpretazione che ne dà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – che
acquistano così titolo di fonti interposte e vanno ad integrare il parametro
costituzionale di riferimento. Nel rispetto dei principi costituzionali, spetta
quindi al giudice ordinario il compito di operare una “interpretazione convenzionalmente orientata” delle norme nazionali. Qualora questa via non fosse
percorribile questi dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale
innanzi alla Corte per contrasto con l’art. 117, comma 1, della Costituzio-
L’adozione in casi particolari
1127
ne. La Corte Costituzionale attribuisce, perciò, ai giudici nazionali il dovere
di “leggere” la norma nazionale muovendo verso un’interpretazione che sia
conforme alle disposizioni della CEDU, così come interpretate dalla Corte di
Strasburgo, affermando come “un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi
degli effetti della normativa – 8 – CEDU certamente non viola gli articoli della
Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita e arricchisce
il contenuto, innalzando il livello di sviluppo complessivo dell’ordinamento
nazionale nel settore dei diritti fondamentali” (Punto 8 del Considerato in
diritto, sentenza n. 317/2009)”.
Di conseguenza, una lettura dell’art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 che volesse discriminare in ragione dell’orientamento
sessuale esporrebbe l’Italia a un ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, così come è avvenuto per l’Austria6. Due donne, unite da
una stabile relazione omosessuale, lamentavano il rigetto della richiesta
avanzata da una di loro di adottare il figlio della compagna senza rottura del legame giuridico tra madre biologica e figlio. Entrambe erano
dedite alla cura attenta e affettuosa del bambino. Ma il giudice austriaco
rigetta il ricorso perché in quel paese non è consentito il matrimonio tra
persone dello stesso sesso, e neppure è previsto che in regime di convivenza omosessuale uno dei partner possa adottare il figlio dell’altro.
La Corte di Strasburgo, richiamando l’art. 3, par. 1 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York, in base al quale il canone
da tenere in maggiore considerazione è costituito dal miglior interesse
del minore, ha ritenuto discriminatoria, per violazione dell’art. 14 in
combinato disposto con l’art. 8 della CEDU, la legge austriaca, che non
consente l’adozione in tali casi, concessa invece alle coppie di fatto eterosessuali. I giudici austriaci – ha sostenuto la Corte – non sono stati
messi in grado di esaminare nel merito la domanda di adozione onde
valutare se quanto chiesto corrispondesse o meno all’interesse effettivo del minore, dal momento che l’accoglimento della domanda era,
comunque, giuridicamente impossibile. Il Governo austriaco non ha,
inoltre, ad avviso dei giudici di Strasburgo, dimostrato che la protezione della famiglia, intesa in senso tradizionale, e l’interesse del minore
richiedono l’esclusione delle coppie dello stesso sesso dalla cosiddetta
second-parent adoption, cui hanno invece accesso le coppie di fatto eterosessuali. La motivazione della sentenza, si fonda, dunque, in parte,
sulla discriminazione operata dalla legge austriaca tra coppie di fatto
6
Sentenza della Grande Camera 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria, ric. n. 19010/07.
1128
The best interest of the child
eterosessuali e omosessuali, e in parte sulla necessità per il giudice di
merito di motivare perché l’interesse superiore del minore non può,
nel caso di specie, essere tutelato dalla coppia omosessuale.
***
Non è dunque né il numero né il genere dei genitori a garantire di
per sé le condizioni di sviluppo migliore per i bambini, bensì la loro
capacità di assumere questo ruolo e le responsabilità educative che
ne derivano; è l’assenza di conflitto, la progettualità condivisa, ciò che
rende i genitori, dei buoni genitori, non il loro sesso! Concordavano
i giudici onorari del Tribunale per i minorenni di Roma che hanno
partecipato alla decisione sull’adozione coparentale, affermando che
il benessere psico-sociale dei membri dei gruppi familiari non è tanto
legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi
e alle dinamiche relazionali che si attuano al suo interno.
Chi la pensa diversamente ha un pregiudizio, e il giudice deve essere
in grado di abbandonare i pregiudizi, se sa di averli; ma potrebbe non
saperlo, è questo il problema!... Italo Cividali, presidente negli anni Ottanta del Tribunale per i minorenni di Bologna, soleva dire: «I giudici che
incontrano nel loro lavoro la famiglia dovrebbero andare in analisi, perché se hanno dei pregiudizi non potranno mai fare bene il loro lavoro!».
Condivido questo pensiero, e mi augurerei che tutti i giudici, ma
in particolare quelli che trattano gli affari familiari, prima di assumere
decisioni su materia sensibile, sapessero leggersi dentro per cercare di
affrancarsi dai pregiudizi – quelli che Bacone chiamava gli idola – relativamente alle persone coinvolte nei casi sottoposti alla loro decisone:
pensiamo non solo agli omosessuali, ma agli zingari, agli immigrati, ai
pregiudicati, ai disabili, e cosi via.
Il giudizio non può essere inquinato dal pregiudizio. Perciò il Tribunale per i minorenni di Roma decise7 di accogliere la domanda di adozione della piccola A da parte della compagna della madre biologica ai sensi
e per gli effetti di cui all’art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184/1983.
La sentenza fu confermata nel 2015 dalla Corte di appello di Roma8, e nel
2016 dalla Corte di Cassazione9. La Suprema Corte ha posto così un pri7
Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza n. 299/2014.
8
Corte di appello di Roma, sentenza decisa il 20 ottobre 2015, depositata il 23 dicembre
2015.
9
Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 12962/2016.
L’adozione in casi particolari
1129
mo e importante punto fermo nell’intricato dibattito che negli ultimi anni
aveva animato la questione della genitorialità omosessuale e della possibilità di estendere l’adozione in casi particolari anche alle coppie dello
stesso sesso, definitivamente confermando la validità della decisione del
Tribunale per i minorenni di Roma e il suo fondamento giuridico.
5. Le contestazioni
È noto che la sentenza emessa nel 2014 dal Tribunale per i minorenni di Roma è stata diffusamente contrastata e contestata, non solo da
parte di quei settori della società in cui alligna il pregiudizio – il che
non desta meraviglia –, ma anche da parte di alcuni tribunali per i minorenni, e non solo nella immediatezza della emissione della sentenza
di primo grado – la qualcosa era forse ancora comprensibile –, ma anche dopo la sentenza della Corte di Cassazione che nel giugno 2016,
confermando la sentenza della Corte di appello di Roma del 2015, definitivamente la “validava”.
Ricordiamo a questo proposito la sentenza emessa nel 2017 dal Tribunale per i minorenni di Palermo10, seguita tout court nel 2018 dal
Tribunale per i minorenni di Napoli11, la cui sentenza veniva, forse non
a caso, depositata l’8 marzo, nel giorno dedicato alla donna. Questi tribunali hanno rigettato i ricorsi intesi a ottenere l’adozione coparentale
del figlio del partner, ignorando totalmente la sentenza della Corte di
Cassazione del 2016. Le due sentenze motivavano il rigetto con riferimento agli articoli 48 e 50 della legge n. 184/1983. L’art. 48 prevede
l’esercizio comune della responsabilità genitoriale nel caso di adozione
da parte di una coppia di coniugi o di adozione del figlio del coniuge.
Di conseguenza l’adozione coparentale sarebbe riservata solo alle coppie coniugate, perché la persona convivente in unione omosessuale,
non essendo coniugata, non potrebbe esercitare la responsabilità se
la madre biologica non se ne priva. Quest’ultima, ai sensi dell’art. 50,
potrà riacquistarla solo se, per i motivi previsti dalla legge, cessa l’esercizio da parte dell’adottante. In altri termini, non sarebbe possibile
l’esercizio congiunto della potestà genitoriale da parte della madre e
della di lei compagna.
10
Tribunale per i minorenni di Palermo, sentenza decisa il 3 luglio 2017, depositata il
30 luglio 2017.
11
Tribunale per i minorenni di Napoli, sentenza n. 46/2018.
1130
The best interest of the child
Si deve però opporre che gli articoli 48 e 50 non possono, e non
devono, essere presi in considerazione nella tematica qui trattata, perché riguardano l’adozione in casi particolari da parte di una coppia
coniugata, o di persona coniugata con il genitore del minore, e non
attengono all’ipotesi di cui alla lettera d) dell’art. 44, in cui può anche
non sussistere il rapporto di coniugio. Correttamente i giudici del Tribunale per i minorenni di Bologna scrivono12 nel 2017 che gli articoli 48
e 50 della legge n. 184 riaffermano il principio della condivisione della
responsabilità genitoriale per le coppie coniugate, ma che dai citati articoli non discende il principio opposto per quelle che coniugate non
sono. Conseguentemente si può affermare che l’adozione coparentale non comporta la concentrazione della responsabilità genitoriale in
capo al solo adottante. D’altra parte l’art. 316 del codice civile prevede
la condivisione della responsabilità tra i genitori, e non rileva come lo
siano divenuti.
Comunque entrambe le sentenze, di Palermo e di Napoli, sono state
riformate in appello. In particolare, la sentenza della Corte di appello
di Napoli13 ha motivato ampiamente e con grande competenza l’accoglimento del ricorso; la sentenza non è stata impugnata, e quindi è
passata in giudicato.
6. Conclusioni
In definitiva, possiamo oggi affermare che l’adozione ex art. 44,
comma 1, lett. d) della legge n. 184/1983 può essere disposta anche a
favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore
concepito a mezzo di procreazione medicalmente assistita, se trattasi di due donne, o di maternità surrogata, se trattasi di due uomini,
sempre che emerga chiaro il progetto di genitorialità condiviso, costituendo famiglia anche quella omoaffettiva. Questa situazione non
presuppone lo stato di abbandono morale e materiale dell’adottando,
ma l’impossibilità di diritto dell’affidamento preadottivo ove sussista
in concreto l’interesse dell’adottando a mantenere la condizione di vita
garantitagli dalla madre e dalla di lei compagna, oppure dal padre e
dal di lui compagno.
12
Tribunale per i minorenni di Bologna, sentenza decisa il 20 luglio 2017, depositata il
31 agosto 2017.
13
Corte di appello di Napoli, sentenza n. 145/2018, depositata il 4 luglio 2018.
L’adozione in casi particolari
1131
Infine, mi rifaccio alla sentenza a Sezioni unite della Corte di Cassazione14 depositata l’8 maggio 2019. Tale sentenza afferma, e profusamente motiva, che non può trovare cittadinanza in Italia la maternità surrogata, in quanto vietata dall’art. 12, comma 6, della legge n.
40/2004; tale divieto va qualificato come principio di ordine pubblico
posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto della adozione. La tutela di questi valori fondanti, a
giudizio della Corte, prevale sull’interesse del minore, e lo sopravanza
nel bilanciamento che il nostro legislatore ha fatto dei due valori. Ma “
conclude la Suprema Corte “ è sempre possibile il ricorso ad altro strumento giuridico, quale l’adozione in casi particolari prevista dall’art.
44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983.
Non c’è dubbio quindi che la Suprema Corte, a sezione unite, ha
decisamente sdoganato l’applicabilità alle coppie omosessuali dall’art.
44, comma 1, lettera d), sia che si tratti di fecondazione medicalmente
assistita che di maternità surrogata. C’è, quindi, una risposta di tutela,
in attesa di una legge rigorosa che renda possibile anche in Italia l’accesso alle biotecniche e metta fine alla discriminazione che penalizza le
coppie economicamente deboli rispetto a quelle danarose che possono
consentirsi di recarsi all’estero e sostenere i costi per realizzare il desiderio di essere madre e padre.
***
Il quadro giuridico appare dunque, allo stato, chiaro e univoco. Ma
allora, perché tanto livore alligna ancora in tanti strati della società
contro la famiglia omosessuale? Perché in tanti si ostinano a negare a queste persone il diritto alla genitorialità, a svolgere con serena
responsabilità il ruolo di mamme e di padri? Perché pretendono di
imporre le proprie scelte agli altri, tendendo a limitarli nella propria
libertà personale?
Esistono fondamentalmente due limitazioni alla libertà personale
e di gruppo: una lesione dei diritti altrui e una possibile danno sociale. L’unione omosessuale lede forse il diritto di qualcuno? Per quanto
attiene al danno sociale, non è assolutamente provato che essa possa
nuocere alla famiglia cosiddetta tradizionale come esempio alternativo di vita. Qualcuno poi sostiene che il bambino nel suo percorso di
vita evidenzierà problematiche riconducibili alla situazione familiare
14
Cass. Civ., Sezioni unite, sentenza n. 12193/2019.
1132
The best interest of the child
in cui è stato allevato, e quindi sarebbe a rischio di diventare un adulto
incompiuto, con inevitabili risvolti sociali; ma questa tesi è smentita da
tutta la letteratura scientifica seria.
Pertanto l’ostilità nei confronti delle coppie omosessuali non ha alcun fondamento razionale, e affonda radici in una subcultura radicata
nei secoli, in cui il controllo delle coscienze secondo canoni propri era
l’obiettivo primario dell’agire politico e sociale. L’unico danno per un
bambino allevato nell’ambito di una famiglia omosessuale potrebbe
derivargli da un irrazionale e ingiustificato stigma sociale da parte del
contesto di appartenenza, che quindi si porrebbe come unico responsabile di un suo eventuale malessere.
Si tratta dunque di un problema culturale, radicato nella storia; perciò la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli. Ma l’esito è
scontato, se crediamo nella positiva evoluzione dei costumi e dei rapporti sociali.
L’interesse del minore tra continuità affettiva
e rapporti significativi
Rosario Carrano
Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di interesse del minore e i rischi ad essa connessi. – 3. Segue: la continuità affettiva. – 4. Segue: i
rapporti significativi. – 5. Il problema della difficile delimitazione delle
varie ipotesi ed il rischio di abusi. – 6. La sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre 2016, numero 225: spunti di riflessione.
1. Premessa
Ringrazio la professoressa Bianca che mi ha invitato a questo convegno,
e devo subito dire che se mi trovo seduto a questo tavolo, in mezzo a
illustri relatori, è solamente grazie alla benevolenza della professoressa Bianca. Sulle tematiche che stiamo affrontando in questi giorni, non
posso vantare particolari esperienze o particolari competenze come chi
mi ha preceduto e chi mi seguirà, ma posso solamente affermare di
condividere la passione per lo studio di queste materie, passione che è
comune a molti allievi della scuola Bianca.
Passando al merito del mio breve intervento, vorrei innanzitutto
evidenziare che ho scelto questo titolo “L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi” con l’intenzione di gettare una
piccola luce su quest’altra faccia dell’ampia problematica in questione,
ossia i rapporti significativi, e cercare di evidenziare la circolarità che
si viene a creare tra queste tre nozioni in gioco: interesse del minore,
continuità affettiva e rapporti significativi.
A tal fine, vorrei utilizzare alcuni passaggi contenuti nella nota sentenza della Corte Costituzionale, la numero 225 del 2016, la quale, a
mio modesto avviso, contiene degli interessanti spunti di riflessione
1134
The best interest of the child
che sono utili anche oggi per proseguire e sviluppare ulteriormente il
ragionamento.
2. La nozione di interesse del minore e i rischi ad essa
connessi
Innanzi tutto vorrei partire da una considerazione, un po’ banale
se volete, ma utile per impostare il discorso. La nozione di best interest
contiene una importante specificazione, e cioè tale interesse viene qualificato come un interesse “del minore” (of the child).
In precedenza, è stato già evidenziato questo aspetto, nella parte in
cui si è posto l’accento sulla supremazia di tale interesse, da intendersi
come la superiorità degli interessi del minore rispetto agli altri interessi, che sono prevalentemente interessi di persone adulte1.
Pertanto, è chiaro che quando parliamo di best interest, cioè dell’interesse che deve prevalere sugli altri interessi in gioco, vogliamo fare
riferimento all’interesse del minore2.
Quando parliamo, invece, di “continuità affettiva” o di “rapporti
significativi” qualche dubbio potrebbe sorgere in ordine al fatto di chi
sia l’interesse che stiamo tutelando. Il dubbio potrebbe sorgere perché
se andiamo a vedere, ad esempio, l’articolo 317 bis del Codice Civile,
introdotto con la riforma Bianca del 2012-2013 in tema di unificazione
dello stato di figlio3, lì il rapporto significativo è riferito non al minore,
ma agli ascendenti, quindi ai nonni, alle persone adulte, anche se poi
subito dopo viene specificato che i provvedimenti sono adottati nell’esclusivo interesse del minore4.
1
La legge, in altre occasioni, parla di “esclusivo” interesse del minore: cfr. artt. 317 bis
e 337 ter c.c.
2
In realtà, il concetto di best interest, tradotto alla lettera, dovrebbe essere inteso nel
senso di “migliore interesse” del bambino, il che risulta essere molto interessante in
quanto presuppone, da un lato, l’esistenza di una pluralità di interessi del minore
e, dall’altro lato, un’attività di valutazione e comparazione tra i vari interessi dello
stesso minore finalizzata alla selezione di quell’interesse che sia “migliore” degli
altri.
3
Si tratta della nota riforma attuata con la legge delega del 10 dicembre 2012, n. 219 e
del decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154.
4
Cfr. art. 317 bis c.c.: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i
nipoti minorenni.
L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di
residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo
interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma”.
L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi
1135
È ovvio che i rapporti significativi devono essere visti e valutati
alla luce dell’interesse del minore, ma rimane pur sempre il fatto che
la legge parla di rapporti significativi riferendosi alle persone adulte.
Questa che sembra un’ovvietà, in realtà svela l’esistenza di una serie di problemi, di cui in parte è già stato accennato quando si parlava
di “abuso” di questa nozione di best interest.
Il vero problema è dovuto dal fatto che spesso può capitare che dietro ad una apparente tutela dell’interesse del minore si celi, in realtà,
un diverso e a volte contrapposto interesse di un adulto, che può essere un interesse egoistico non solamente affettivo, ma di qualsiasi altro
tipo, come può essere ad esempio un interesse di tipo patrimoniale (si
pensi all’istituto dell’adozione come concepito e tramandato nel diritto
romano), oppure un interesse ad ottenere un riconoscimento sociale in
termini di famiglia rispetto ad un insieme di persone che non rientrano
nel modello di famiglia di un determinato contesto storico o culturale,
ecc.; in definitiva, il rischio è che dietro questa nozione di interesse del
minore si possano celare gli interessi più disparati di persone adulte
che non hanno niente a che fare con le reali e concrete esigenze di tutela della persona minore di età.
3. Segue: la continuità affettiva
La nozione di continuità affettiva nasce, almeno a livello legislativo
interno, dalla legge n. 173 del 2015 che, modificando la legge sull’adozione, inserisce all’art. 4 il comma 5 bis, il quale, in tema di affidamento
familiare, stabilisce una sorta di ponte di collegamento con l’istituto
dell’adozione.
In particolare, il giudice quando deve provvedere all’adozione tiene
conto anche dei legami affettivi, significativi, e del rapporto stabile duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria, purché ricorrano sempre le condizioni di cui all’articolo 6 della legge sull’adozione,
e cioè le condizioni che consentono poi di procedere all’adozione, ossia
che si tratti di una coppia sposata da almeno tre anni e così via5.
5
Cfr. art. 4, comma 5 bis, legge 4 maggio 1983, n. 184, come introdotto dalla legge 19
ottobre 2015, n. 173: “5-bis. Qualora, durante un prolungato periodo di affidamento, il
minore sia dichiarato adottabile ai sensi delle disposizioni del capo II del titolo II e qualora,
sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo
adottare, il tribunale per i minorenni, nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami
affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia
affidataria”.
1136
The best interest of the child
4. Segue: i rapporti significativi
Infine, quando parliamo di rapporti significativi, abbiamo invece la
fortuna di poter contare su dei riferimenti codicistici, ed in particolare
su tre norme principali.
In primo luogo, abbiamo l’art. 315 bis, comma 2, c.c. che rappresenta
una sorta di statuto dei diritti e dei doveri e del figlio, una delle perle
uscite da questa riforma della filiazione del 2012-2013, in cui sono elencati i contenuti, in maniera chiara, di tutti i diritti e i doveri del figlio,
tra cui il diritto di mantenere e conservare i rapporti significativi con i
propri parenti.
In secondo luogo, abbiamo l’art. 317 bis c.c., già accennato in precedenza, che fa riferimento agli ascendenti, in particolare al diritto degli
ascendenti di avere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
Infine, abbiamo l’art. 337 ter c.c., come riformulato dalla suddetta
riforma della filiazione. Si tratta di una norma che in realtà già esisteva
nella sostanza, ma è stata riformulata con la riforma, e prevede questo
stesso diritto di mantenere rapporti significativi con i propri parenti,
declinandolo però nella fase patologica del rapporto di coppia e quindi
in fase di separazione o divorzio, in maniera speculare a quanto avviene nella fase fisiologica dello stesso (art. 315 bis c.c.).
5. Il problema della difficile delimitazione delle varie
ipotesi ed il rischio di abusi
Orbene, mentre la nozione di continuità affettiva nasce nell’ambito
dell’affidamento e dell’adozione, in quanto contenuta in una specifica
legge (ci sono state poi varie discussioni e critiche su tale legge, ma allo
stato attuale è la legge positiva che prevede ancora e impone le condizioni per l’adozione di cui all’articolo 6), per quanto riguarda invece il
concetto di rapporti significativi, si tratta di una nozione che troviamo
nell’ambito della famiglia propria del minore, quindi con riferimento
al rapporto con i genitori, con i nonni e poi con i parenti in generale.
I problemi però si pongono quando ci troviamo al di fuori di queste due ipotesi in cui le suddette nozioni sono state concepite, cioè,
quando ci troviamo al di fuori della famiglia affidataria o adottiva, e
al di fuori della famiglia propria del minore, ossia quando ci troviamo
in quella pluralità di ipotesi, definite famiglie di fatto, dove c’è un altro soggetto che non ha né un legame biologico o di sangue, come ce
L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi
1137
l’hanno i parenti della famiglia propria, né un legame giuridico, come
ce l’hanno gli affidatari o la famiglia adottiva.
In questi casi sussiste un legame che possiamo definire di tipo affettivo, o un rapporto significativo, per usare questa espressione normativa, che però pone dei problemi dal punto di vista giuridico, in quanto
è pur sempre necessario delimitare bene le varie ipotesi per evitare
possibilità di abusi e, a questo riguardo, entra in gioco la sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre 2016, numero 225.
6. La sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre
2016, numero 225: spunti di riflessione
Con la sentenza n. 225 del 2016, la Corte Costituzionale è intervenuta su una questione sollevata dalla Corte d’Appello di Palermo, in
relazione al sospetto di illegittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c.
Il caso è quello di due donne, una coppia quindi formata da persone dello stesso sesso, che si sono recate all’estero per avere accesso alla
procreazione assistita di tipo eterologo, ma che, dopo una convivenza
di circa sette-otto anni, hanno visto fallire la loro relazione sentimentale con conseguente disgregazione e dissolvimento della coppia.
Dalla procreazione assistita erano nate due bimbe, due gemelline,
ed il problema che si poneva, a seguito della disgregazione del rapporto di coppia, era se l’ex partner della madre biologica, potesse continuare a mantenere i rapporti con queste due bambine nate da procreazione medicalmente assistita.
Dopo il primo grado di giudizio, si arriva in Corte d’Appello, la
quale solleva la questione di legittimità costituzionale in riferimento
all’art. 337 ter c.c., in quanto questa norma parlando di rapporti significativi con i parenti, circoscrive la cerchia di soggetti rispetto ai quali
il minore può conservare rapporti significativi, cerchia che viene limitata ed individuata dalla legge solamente nell’ambito della parentela,
quindi dei legami di sangue, con conseguente esclusione di tutti quei
soggetti che vantano un mero legame affettivo, come nel caso di specie.
La Corte quindi solleva la questione di illegittimità costituzionale
che però viene respinta dalla Corte Costituzionale, perché infondata,
dando però allo stesso tempo una indicazione che, appunto, ritengo
sia interessante per i fini che qui interessano.
La Corte Costituzionale parte innanzitutto dalla corretta premessa,
seguita anche dalla Corte d’appello, secondo cui quando l’art. 337 ter
1138
The best interest of the child
c.c. parla di conservare “rapporti significativi”, questi rapporti devono
essere circoscritti solamente ai parenti.
Questo, appunto, era già stato detto anche dalla Corte d’Appello,
ma la novità di questa pronuncia costituzionale è contenuta nella parte
in cui ritiene che non ci sia nessun vuoto di tutela con riguardo alla
fattispecie esaminata, censurando così la motivazione dei giudici di
merito che avevano invece ritenuto sussistente tale vuoto normativo.
Ritiene, infatti, la Corte che con riguardo alla posizione dell’ex partner
della madre biologica, che possiamo inquadrare nella categoria del c.d.
genitore sociale, la paventata assenza di tutela non sussiste6.
Il passaggio interessante della sentenza è il punto 3.2 della motivazione, verso la fine, dove si sostiene che “La Corte rimettente trascura, però, di considerare che l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di
entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto
significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non
siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque
pregiudizievole al figlio“, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice
già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti“ nel caso
concreto” e poi aggiunge “E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto
legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione”.
Conclude, quindi, la Corte rilevando che “In questo senso, nella fase
di primo grado del giudizio a quo, si era, del resto, già orientato il Tribunale di
Palermo che – nel disporre la frequentazione delle due minori con l’ex compagna della madre biologica – aveva ritenuto a tal fine necessaria una richiesta
del pubblico ministero.
3.3. – Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore
presupposto dal giudice rimettente. E ciò appunto comporta la non fondatezza
della questione su tal presupposto sollevata”.
Che cosa ci sta dicendo la Corte costituzionale? Ci sta dicendo che
l’interruzione ingiustificata di un rapporto significativo equivale a una
condotta pregiudizievole per il figlio, e questa equazione è molto interessante perché ci consente di fare un’operazione al contrario, cioè,
6
Cfr. il punto 3.1. della motivazione: “Muovendo dalla corretta premessa che l’intervento del
giudice a tutela del diritto del figlio minore a «conservare rapporti significativi» con persone
diverse dai genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337-ter cod. civ., abbia esclusivo
riguardo a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale – all’interno, quindi, di
un contesto propriamente familiare – il giudice a quo perviene direttamente alla conclusione
che esista un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno
significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti”.
L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi
1139
quando si tratta di verificare la sussistenza, la portata in concreto, di
questo interesse del minore, per evitare possibilità di abusi si potrebbe fare questo ragionamento al contrario suggerito dalla Corte, e cioè
domandarsi: ma se questo rapporto venisse interrotto, ci sarebbe un
pregiudizio per il figlio oppure no? Se dovessimo rispondere affermativamente, allora è chiaro che sussiste l’interesse del minore a conservare e a continuare questo rapporto; se invece dovessimo rispondere
negativamente e cioè a dire, sì, questo rapporto può essere interrotto
ma un pregiudizio vero e proprio per il figlio non c’è, allora, a questo
punto bisognerebbe fare molta più attenzione, nel senso che il controllo del giudice dovrebbe farsi, a mio avviso, più rigoroso e più attento,
proprio perché se non c’è questo pregiudizio, allora potrebbe esserci il
rischio che dietro questo interesse per il minore si celi in realtà qualcos’altro, e potrebbe appunto celarsi un interesse dell’adulto7.
A ben vedere, però, la strada indicata dalla Corte non rappresenta
neanche una vera e propria novità, in quanto si tratta di un sentiero
già battuto in precedenza dagli ascendenti prima della riforma della
filiazione. Infatti, quando ancora non c’era l’art. 317 bis c.c. sulla tutela
del diritto dei nonni, questi ultimi, mediante un percorso un po’ contorto, seguivano quella stessa via indicata dalla Corte Costituzionale,
ossia passavano attraverso i procedimenti c.d. de potestate per ottenere
un provvedimento del giudice che inibisse al genitore di vietare di frequentare i nipoti. Si trattava in realtà dell’unico modo che avevano gli
ascendenti per far valere il loro diritto di visita dei propri nipoti, che
doveva passare necessariamente attraverso quella doppia negazione:
vietare al genitore di vietare al nonno di vedere i nipoti.
In particolare, la giurisprudenza prima del 2012 riteneva che se il
genitore vietava al nonno di frequentare il figlio, questa condotta del
genitore era da considerare pregiudizievole per il figlio, con la conseguenza che il nonno, in quanto parente, poteva agire ai sensi dell’art.
336 c.c. e quindi ottenere dal giudice una pronuncia limitativa della
potestà genitoriale e quindi poter visitare il minore.
7
A questo punto, però, si impongono due ulteriori considerazioni, che qui non possono
essere affrontare adeguatamente: la prima attiene alla nozione di “pregiudizio“ per
il minore, e cioè occorrerà stabilire quale sia il livello di gravità della lesione richiesto
a tal fine; la seconda, riguarda il fatto che, in via generale, la persona umana è dotata
di una grandissima capacità di adattamento, la quale le consente di adeguarsi anche
ai contesti più sfavorevoli relativizzando così la portata oggettiva del pregiudizio
subito.
1140
The best interest of the child
Nel caso del c.d. genitore sociale, quindi, la presenza di tale strumento di tutela esclude la sussistenza di un vuoto normativo, potendo
il pubblico ministero fare ricorso ai sensi dell’art. 336 c.c. su impulso e
nell’interesse del genitore sociale.
Mi pare, e concludo, uno spunto davvero interessante per poter proseguire in maniera fruttuosa e costruttiva il complesso dibattito sul tema.
L’affido familiare per la crescita di una società
generativa
Silvia Fornari
Sommario: 1. Introduzione. – 2. I primi risultati della ricerca sull’affido
in Umbria. – 3. L’importanza dell’affido familiare oggi. – 4. Genitori
sociali e generativi.
1. Introduzione
La proposta per questo mio intervento parte dal desiderio di presentare l’esperienza dell’Osservatorio sull’affido Familiare della Regione
Umbria di cui sono fondatrice e coordinatrice. Gli interessi scientifici e
professionali, aver svolto la funzione di giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Perugia per più di dodici anni hanno ispirato
la scelta dell’Osservatorio. La tutela dei minori è e rimane al centro dei
miei interessi, tanto da decidere anche di entrare a far parte della lista
delle persone disponibili all’affido familiare del Comune di Perugia e
in quella dei Tutori volontari per i minorenni della Regione Umbria1.
Con questo bagaglio di esperienze, ma soprattutto cosciente delle
difficoltà che investe oggi la realtà dell’affido familiare ho deciso di
presentare la proposta per la valorizzazione dell’istituto. Il progetto
dell’Osservatorio sull’affido familiare ha trovato il supporto della Ga1
Concretamente sono stata affidataria “single part time” per due sorelle adolescenti
che ho seguito nel passaggio dalla scuola superiore di I° grado a quella di II° grado e
per migliorare la relazione con la madre e i fratelli. Ad oggi l’affido si è concluso, ma
il legame con le ragazze e la loro famiglia è ancora vivo, tanto da avere un rapporto
costante con loro fatto di incontri, affetto e reciprocità. Un’esperienza fondamentale
che mi ha permesso di credere ancora di più nella possibilità di attivare concretamente
interventi in favore di minori in difficoltà. Sono stata poi nominata dal Tribunale
Ordinario tutrice di un ragazzo adolescente e di un bambino di 18 mesi, per i quali
sono stati aperti dei fascicoli di tutela.
1142
The best interest of the child
rante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione dell’Umbria, Maria
Pia Serlupini e della Direttrice del Dipartimento cui afferisco (Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione) prof.
ssa Claudia Mazzeschi. Entrambe hanno condiviso il progetto, sia per
vocazione istituzionale e sia per l’attenzione a tutti gli ambiti in cui
sono al centro i minori e gli adolescenti, decidendo così di presentarlo
all’Assessore alle politiche sociali della Regione Umbria. Le parti hanno siglato l’accordo nel febbraio 2017 per la fondazione dell’Osservatorio Regionale sull’affido Familiare, con durata triennale e rinnovabile
per un successivo triennio, procedendo alla mia nomina come coordinatrice dello stesso e all’ingresso di diversi partner.
L’Osservatorio s’inserisce all’interno del quadro regionale come
supporto e stimolo al dibattito sull’affido familiare, pensato come:
a) un laboratorio di ricerca permanente per conoscere, attraverso strumenti quantitativi e qualitativi, il sistema famiglia, l’evoluzione dei
bisogni e delle domande, l’efficacia delle risposte che i vari servizi e
istituzioni sono in grado di fornire;
b) un laboratorio di esperienze concrete, di rete, per concorrere a migliorare la qualità della vita delle famiglie, anche attraverso la crescente partecipazione diretta ai luoghi amministrativo-decisionali, per
fornire stimoli, orientamenti e strumenti di conoscenza.
Data la delicatezza e le tante implicazioni socio-relazionali e psicologiche, l’Osservatorio si propone di svolgere un’azione di tutela dei
minori coinvolti nell’affido familiare e nello stesso tempo di promuovere e sostenere una ricerca scientifica per conoscere il fenomeno e proporre interventi culturali e normativi per migliorare quanto già svolto
nella nostra Regione. In tal senso l’Osservatorio non è uno strumento
di ricerca teorica o puramente ricognitiva, ma operativa, trasformativa,
basata cioè sul legame di circolarità tra gli operatori, le istituzioni e i
soggetti primi: minori, famiglie ed affidatari.
Nella Regione Umbria, in un recente passato era la Provincia a svolgere le attività di coordinamento dell’affido, occupandosi anche della
formazione degli operatori e delle famiglie affidatarie sparse nel territorio. Lavoro di concerto con le tante figure coinvolte nel mondo della
tutela dei minori: assistenti sociali, psicologi, giudici ordinari e minorili, educatori, famiglie affidatarie, ma anche tutori, avvocati minorili
ed associazioni.
L’ente regionale ha varato diverse leggi e disposizioni nei confronti della fascia 0-18 e tra queste le linee guida in materia di adozione
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
1143
nazionale ed internazionale (DGR 1983 del 23/12/2009) recependo le
Leggi nazionali (4 maggio 1983 n. 184 e 31 dicembre 1998 n. 476) e le
Linee di Indirizzo per l’Affido Familiare del 2012 (http://www.regione.
umbria.it/sociale/affidamento-familiare).
Queste ultime perseguono i seguenti obiettivi e linee d’indirizzo:
- promuovere e realizzare, in modo sistematico, campagne di comunicazione e azioni d’informazione e di sensibilizzazione mirate ad accrescere nella comunità l’attenzione nei confronti delle esigenze delle
giovani generazioni e a raccogliere nuove e diversificate disponibilità
familiari da attivare con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti;
- definire livelli di responsabilità, funzioni ed attività dei diversi soggetti, istituzionali e non, coinvolti a vario titolo nella realizzazione
degli interventi di affidamento familiare, individuando forme adeguate di integrazione gestionale, professionale e di collaborazione
tra i diversi sistemi dei servizi (giudiziario, sociale, sanitario, educativo, scolastico, ecc…);
- individuare e rendere omogenei su tutto il territorio regionale modelli organizzativi metodologici e professionali dedicati alla realizzazione degli interventi di affido familiare (anche attraverso l’assegnazione di specifiche fonti di finanziamento);
- assicurare percorsi costanti di formazione rivolti agli operatori dei
diversi sistemi istituzionali coinvolti ed un monitoraggio periodico
sulle attività dei servizi, sull’evoluzione del fenomeno e sui risultati
degli interventi di affido familiare, anche attraverso l’implementazione di una specifica banca dati regionale.
I destinatari delle Linee di Indirizzo sono i soggetti istituzionali che
esercitano un ruolo integrato nei processi di accoglienza dei minori
temporaneamente fuori dalla propria famiglia e chi desidera avvicinarsi al mondo dell’affido.
2. I primi risultati della ricerca sull’affido in Umbria
Tenendo fermi i principi cardine degli interventi legislativi, nazionali e regionali, l’Osservatorio ha quindi avviato una prima ricerca volta a fornire un quadro dell’istituto nella nostra Regione.
La ricerca sulla realtà dell’affido familiare in Umbria è stata di tipo
esplorativo-conoscitivo, per fornire un quadro della situazione. Comprendere chi oggi riesce a dare voce alle persone che vorrebbero diventare affidatari, ma soprattutto comprendere come l’istituto sia seguito
1144
The best interest of the child
ed integrato da tutti coloro che sono preposti ad occuparsi dello stesso.
Si è proceduto alla formulazione di un questionario per conoscere: i
dati concernenti, le diverse tipologie di affidi oggi attivi in Umbria e i
numeri dei minori coinvolti; il numero dei professionisti dedicati alle
attività dell’affido; la presenza e le modalità della formazione rivolta ai
potenziali affidatari e ai professionisti del settore; la presenza o meno
del coordinamento nelle attività svolte dagli assistenti sociali dei singoli comuni; i tempi medi della durata degli affidi in Umbria; il numero dei rientri dei minori presso le famiglie d’origine.
Domande importanti per riuscire a inquadrare il fenomeno e che
avevano bisogno di trovare risposte concrete.
La ricerca è stata definita insieme ai partner dell’Osservatorio: Tribunale per i Minorenni di Perugia, Ordine degli Assistenti Sociali dell’Umbria, Ordine degli Psicologi dell’Umbria, Ordine degli Avvocati di Perugia, Anci Umbria. Si è proceduto alla strutturazione di un questionario
conoscitivo inviato ai responsabili dei servizi sociali dei 92 comuni della
Regione. I questionari sono stati inviati dall’Anci potendo così sollecitare
la partecipazione alla ricerca. Tutti i comuni hanno risposto alla richiesta inviata e chi non l’ha fatto, ha demandato al comune capofila della
zona sociale di riferimento. La divisione regionale nelle 12 zone sociale
permette di poter svolgere anche una funzione di controllo soprattutto
per i comuni più piccoli che non potrebbero da soli riuscire ad occuparsi
completamente di tutti i compiti loro assegnati. Alcuni comuni hanno
comunque risposto singolarmente in quanto, pur non essendo comuni
capofila, per cultura e per la presenza di personale dedicato, riescono a
far fronte al servizio di affido familiare anche per proprio conto (Bastia
Umbra, Todi, Gualdo Tadino), anche con interventi sperimentali, come
l’affido professionale2 (Comune di Corciano). Sono poi state svolte anche
delle interviste in profondità ai responsabili dei servizi (assistenti sociali,
psicologhe, referenti comunali, ecc.) nelle principali zone sociali (Bastia
Umbra, Città di Castello, Corciano, Foligno, Narni, Perugia, Terni). I risultati di questa prima fase di lavoro sono stati presentati al Convegno
sull’Affido Familiare richiesto dalla Presidente della Regione dell’Umbria in accordo con l’Osservatorio e che si è svolto il 14 novembre 2018
2
L’affido professionale nasce sul territorio della provincia di Milano come
sperimentazione nel 2003. Nasce come “nuovo modello di accoglienza” da parte degli
operatori, dei servizi pubblici e della cooperazione che iniziano a discutere insieme
«di co-progettazione e monitoraggio del progetto in cui pubblico e privato sociale
operino in una forma di corresponsabilità» (L.S. Kaneklin - I. Comelli, 2013, p. 160).
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
1145
alla Sala dei Notari3. Quest’evento è stato l’occasione per riaffermare l’interesse nei confronti della tematica ed ha visto la partecipazione degli
operatori dei servizi sociali e specialistici, dell’associazionismo, di esperti
di settore che lavorano in altre realtà italiane e che sono stati invitati per
presentare le loro singole esperienze (Milano, Prato).
La presentazione dei risultati della ricerca esplorativa promossa
dall’Osservatorio ha permesso così di approfondire ulteriormente la
realtà dell’affido familiare grazie ai lavori svolti nella seconda parte del
convegno con gli operatori territoriali di settore. Sistema questo che ci
ha permesso non solo di conoscere le diverse esperienze e di poterle
condividere, ma anche di poter affermare quanto lavoro e competenze
ci siano nella Regione e quante buone pratiche devono continuare ad
essere incentivate e valorizzate.
I risultati della ricerca hanno mostrato anche le criticità concernenti,
la disomogeneità degli interventi a livello regionale e dei loro risultati.
Sinteticamente le fragilità del sistema regionale riguardano la mancanza di una banca dati regionale, come prevista nelle linee d’indirizzo;
la necessità di unire i due tavoli tecnici in cui sono presenti gli stessi
soggetti, che si occupano in maniera separata di adozione e di affido familiare; la disomogeneità nel territorio delle modalità d’informazione,
formazione e sostegno delle famiglie/single affidatarie. Sopra tutto questo vi è l’annoso problema degli investimenti economici della Regione
e dei comuni rispetto al personale e alle risorse da dedicare a questo
specifico settore.
Come si evince le problematiche riguardanti la gestione dell’affido
familiare, non sono riconducibili solo alla nostra realtà regionale, ma
si tratta di aspetti che a diverso grado sono riscontrabili anche in altri
contesti italiani. In questo senso e per l’economia del lavoro non sarà
possibile analizzarli tutti, ma si è scelto di riferirsi ai soli aspetti concernenti l’approccio culturale e formativo dell’istituto.
Le problematiche elencate si legano alle scelte che ogni Regione ha
fatto in merito all’istituto dell’affido familiare che com’è noto si distingue da quello dell’adozione. Per quest’ultima è la legge nazionale che
obbliga le Regioni e le altre istituzioni, come il Tribunale per i Minorenni di svolgere i compiti di selezione e formazione delle coppie che
3
I dati della ricerca presentati sono stati pubblicati nello spazio dedicato alla
documentazione sull’affido familiare nel sito della Regione Umbria, http://www.
regione.umbria.it/documents/18/15376592/Affido+familiare+Dott.ssa+Fornari/
c0a64105-aca6-48de-bc41-f913dd40823b.
1146
The best interest of the child
presentano domanda di adozione. Così come vi è un personale specifico dedicato, assegnato ai singoli comuni o alle equipe che lavorano di
concerto con altri comuni (equipe interzonali, ecc.) per svolgere tutto
il lavoro (dall’accoglienza della coppia, la sua conoscenza, indagine
socio-familiare, psicologica, ecc.).
Ripensare i modelli dell’affido familiare significa lavorare per uniformare i processi che meglio possono rispondere alle richieste delle
coppie, delle famiglie e dei single, rispetto ai due percorsi. In Italia possono accedere all’adozione solo coppie eterosessuali sposate e non conviventi, mentre per entrare a far parte delle banche dati degli affidatari
non vi sono vincoli rispetto al vivere in coppia, da soli, essere uomini o
donne, fatta eccezione dell’indagine socio-ambientale e psicologica di
chi fa domanda, per comprendere sia le motivazioni della richiesta sia
il tipo di disponibilità a svolgere la propria funzione di affidatario/a.
I due istituti a oggi, pur tenendo fede agli aspetti legislativi che le
separano, hanno visto però il crescere dei punti di contatto, anche normativi. Ciò si lega anche ad un cambiamento culturale e strutturale
delle famiglie con o senza figli, da cui l’esperienza dell’affido familiare
può rappresentare una risorsa per entrambi. In questo senso è importante però comprendere quanto l’istituto dell’affido abbia bisogno di
essere organizzato «con cura in quanto contiene i destini di bambini,
famiglie, operatori, ma anche amministratori, enti ed istituzioni…infatti si tratta di un lavoro clinico-sociale, che si attua nel sociale, attraverso il
sociale [ ] trattandosi di un lavoro ad alta complessità e ad alto rischio
necessita di essere affiancato da specifici interventi formativi volti a sostenere situazioni di fragilità che si possono evidenziare nel cammino»
(L.S. Kaneklin - I.Comelli, 2013, p. 126).
Su questo anche la nostra Regione ha accolto e continua a promuovere interventi a favore di tutti quei minori che hanno bisogno di essere affiancati e sostenuti, anche insieme anche ai loro genitori.
3. L’importanza dell’affido familiare oggi
La valorizzazione dell’affido familiare oggi è ancora più importante
proprio in relazione alle tante fragilità e disuguaglianze che investono la nostra società complessa, dove i cambiamenti delle dinamiche
e delle nuove costellazioni familiari, chiedono di essere ascoltate ed
accolte. Come docenti, educatori, assistenti sociali, operatori della cura
in generale, non possiamo non sentirci parte in gioco di questi cam-
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
1147
biamenti, non preoccuparci di tutti quei bambini e bambine, ragazzi e
ragazze che per diverse ragioni non possono restare nella loro famiglia
di origine, ma che hanno il diritto di poter vivere in un ambito familiare diverso, capace di accogliere le loro storie e le loro identità.
Sino a un recente passato il controllo della comunità, del vicinato
rappresentava una ricchezza per quei genitori in difficoltà a crescere e seguire i loro figli e che nella logica della reciprocità riuscivano
a trovare un sostegno fuori dalla propria rete familiare. Nella società
individualizzata e liquida gli specialisti sono chiamati a svolgere la
funzione di sostegno alle fragilità familiari e ad occuparsi dei figli non
propri (educatori, insegnanti, assistenti sociali, ecc.) (P. Sartori, 2013).
L’incremento delle famiglie che vivono in uno stato di disagio sociale
ed economico e che hanno bisogno di essere sostenute nel loro percorso di vita possono trovare una risposta in una nuova idea di “comunità
sociale”? È possibile che ci si possa occupare insieme della crescita dei
bambini/e di questa società individualista? (E. Allegri, 2015).
Per chi scrive la risposta è certamente positiva e gli istituti dell’affido familiare e dell’adozione sono parte integrante di questo progetto,
mantenendo al centro in primis le esigenze del minore per favorire la
sua sana crescita psico-fisica. Così com’è necessario che entrambi gli
istituti lavorino di concerto anche a proposito dell’applicazione della
Legge 173 del 2015, in cui si parla esplicitamente di continuità affettiva,
riconoscendo il valore dei legami che si vengono a creare tra affidatario/
a-affidato/a e/o adottando/a -adottato/a4. Intervento traducibile nella
possibilità di offrire al minore «relazioni affettive valide come contesto
entro cui poter sviluppare le proprie potenzialità di sviluppo, recuperare eventuali ritardi, rimarginare “ferite” ed elaborare esperienze o vissuti traumatici» (R. Cassiba - L.A. Antonucci, 2014, p. 37).
Tutto ciò nella consapevolezza che l’affido familiare, come istituto, è
stato concepito come uno strumento di aiuto per i bambini e le bambine quando le loro famiglie attraversano un momento di difficoltà. Con
4
La Legge n. 179 del 19 ottobre 2015 è stata introdotta a modifica della Legge n. 184
del 4 maggio 1983 in materia di adozioni. La L. 179 riconosce l’importante principio
del diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare. Nello
specifico si prevede al comma 5-bis dell’art. 1 che: “qualora la famiglia affidataria
chieda di poter adotta il minore, il Tribunale per i minorenni nel decidere sull’adozione,
dovrà considerare i legami affettivi ed il rapporto consolidato tra il minore e la famiglia
affidataria”. Così come nel comma 5-ter si parla di tutela delle relazioni socio-affettive
consolidatesi durante l’affidamento, anche se successivamente il minore faccia
rientro presso i propri genitori biologici o venga adottato da altra famiglia.
1148
The best interest of the child
l’applicazione della legge n. 184, del 1983, il legislatore riconosce che
per i bambini è indispensabile un ambiente familiare per un corretto
sviluppo della personalità individuale e sociale. Oggi a più di trent’anni
dalla sua approvazione, dopo le modifiche apportate con legge 149 del
2001 che riforma l’istituito dell’affido – sino al più recente intervento
con la Legge n. 173 del 19 ottobre 2015 – sulla continuità affettiva si conferma l’interesse nei confronti dei minori, che chiede però di assumere e
divenire una pratica consolidata e soprattutto omogeneamente diffusa
sull’intero territorio nazionale.
L’istituto dell’affido assume la sua principale connotazione giuridica e sociale, divenendo la possibilità di ogni bambino di crescere in
una famiglia; una risposta che deve rappresentare un’opportunità di
sostegno per la famiglia di origine e di crescita per la famiglia affidataria; un’occasione per esprimere la competenza e la solidarietà della
collettività verso chi fa più fatica.
Senza dimenticare che le famiglie in difficoltà, che per ragioni diverse non sono in grado di svolgere completamente o per nulla il proprio
ruolo genitoriale, possono trovare sostegno nella loro rete familiare e/o
amicale, ma vi è anche la possibilità per chi è escluso dalla trama di queste opportunità di entrare in relazione con persone disponibili a supportare le pratiche di cura. Persone o famiglie, che senza un secondo
fine, possono rappresentare un riferimento per sostenere i loro figli ed
aiutarli a svolgere il loro ruolo genitoriale. Tenendo in considerazione
che “dall’analisi della letteratura, per proporre una prima articolazione
che si inscrive nella realtà educativa, terapeutica e sociale, la resilienza è
la capacità o il processo che una persona o un gruppo hanno di riuscire
a evolversi positivamente, continuare a progettare la vita con una forza
rinnovata, a dispetto di un avvenimento fortemente destabilizzante, di
condizioni di vita difficili, di traumi anche severi in relazione al contesto e alla cultura di appartenenza” (E. Malaguti, 2005, p. 186).
L’affido familiare ha in sé i presupposti per aiutare tutti questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze a resistere agli urti della vita per
diventare più forti, e quindi svolge un’educazione alla resilienza (E.
Malaguti, 2005).
4. Genitori sociali e generativi
Una lettura, come quella sin ora condotta, non può non riflettere
sull’idea della genitorialità. Che cosa significa oggi essere genitori?
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
1149
Esiste solo un tipo di genitorialità? Sappiamo, di là dalla nostra formazione, che oltre alla genitorialità biologica, esiste anche una genitorialità sociale. Si può essere genitori anche senza essere madri e/o
padri biologici. L’adozione ne è un esempio, ma esistono altri modi
per diventare “genitori sociali“, l’affido familiare è un’altra possibilità.
È ormai noto che in merito a questo complesso argomento l’Italia
è intervenuta con leggi volte a mettere ordine in merito sia all’idea di
famiglia (coppie di fatto, unioni civili), con la Legge n. 76 del 2016,
sia rispetto alle pratiche volte al sostegno della procreazione (utero in
affitto, maternità surrogata, ecc.) con la Legge n. 40 del 2004 e successive modifiche (http://www.biodiritto.org/index.php/item/480-dossiercome-è-cambiata-la-legge-40-2004-2014). I radicali cambiamenti che
interrogano le persone sui temi della costituzione della famiglia e della
procreazione, assumono oggi la dimensione del “diritto” (P. Serra,
2015, p. 113-118).
Se la procreazione è un diritto degli uomini e delle donne, le questioni concernenti, la sterilità e l’infertilità divengono delle patologie
da curare. In questo senso la pronuncia n. 162/2014 della Corte Costituzione, quando ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto assoluto
di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, come prevista dall’art. 4, comma 3, legge 40/2004, ravvede una «lesione della
libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del
2004 di formare una famiglia con dei figli e una violazione dell’art. 32
della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica oltre che
fisica»
(https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.
do?anno=2014&numero=162#.).
Il legislatore si trova così oggi costretto ad intervenire per rispondere
alle complesse domande riguardanti le scelte di vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Così come gli studiosi dell’area umanistica
(pedagogisti, sociologi, antropologi, filosofi, giuristi) e non solo, s’interrogano rispetto all’idea della genitorialità, convinti che ci troviamo
di fronte ad un nuovo cambiamento “rivoluzionario“ che investe una
nuova idea del “figlio“. Se, come scrive l’antropologo francese Marcel
Gauchet, “il XX è stato quello della scoperta del bambino reale, il XXI secolo
si apre nel segno della sacralizzazione del bambino immaginario” (M. Gauchet, 2009, p. 3). In questo secolo i genitori pensano ai figli in termini
individuali e non sociali, tanto da diventare il “risultato di una volontà
espressa, di un progetto definito, dove il bambino è diventato un figlio del
desiderio, del desiderio di un figlio” (Ivi, p. 4). Il figlio deve rispondere ad
1150
The best interest of the child
una procreazione scelta e decisa come valorizzazione della sfera intima
e privata, in cui per “la nuova famiglia” “il figlio del desiderio è il simbolo
vivente della trasformazione dei legami famigliari”(Ivi, p. 9).
Ma se esiste un diritto per tutelare il “diritto” degli uomini e delle
donne a diventare genitori e a vedere realizzato il proprio “desiderio
di un figlio”, non dobbiamo dimenticare che ci sono anche i figli “non
desiderati”. Tutti quei figli che vengono al mondo e non riescono ad
essere pensati e sostenuti dai loro genitori. Quei figli chiedono di essere
ascoltati e visti quanto quelli desiderati. E se i figli del desiderio non
sono figli del mondo «ma di quei genitori o di quel singolo genitore che
chiede a quel figlio di rispondere alle sue aspettative. È un figlio desiderato e vissuto come completamento di un proprio processo decisionale.
Verrà al mondo quando potrà rispondere a quello specifico desiderio
genitoriale» (ivi, p. 68-73). In attesa che si decida di mettere al mondo
quei figli del privato della famiglia e si vada a costituire quel desiderio,
è nostro compito occuparci di tutti quelli che oggi sono nati e che non
possono contare sull’energia e le possibilità di chi li ha messi al mondo.
La trasformazione rivoluzionaria del figlio del desiderio ci deve far
riflettere, soprattutto nel nostro Paese, che più di altri vive la contrazione generalizzata dei tassi di fecondità, ben al di sotto dei livelli necessari per la sostituzione generazionale. L’allarme dei demografi nei
confronti dei cambiamenti riguardanti la struttura per età del paese
evidenzia la necessità di intervenire rapidamente nel far crescere i tassi
di fecondità, poiché se gli stessi continueranno a mantenersi sotto il livello di sostituzione, il rischio è di mettere in discussione i meccanismi
stessi di funzionamento delle nostre strutture sociali (C. Bonifazi - A.
Paparusso, 2018)5.
L’impossibilità di realizzare il proprio desiderio di natalità trova
motivazioni diverse, soprattutto perché “la non-riproduzione spontanea di una popolazione in un contesto nel quale le risorse a disposizione e il livello di sicurezza non potrebbero essere più favorevoli» (M.
Gauchet, 2009, p. 69). I fattori che hanno determinato questo ripiega5
L’Italia rientra tra la fascia dei paesi europei con la fecondità più bassa, sotto il livello
di sostituzione, che dovrebbe essere in totale uguale o superiore ai 2,1 figli per donna.
Secondo gli ultimi dati Istat invece in Italia “nel 2018 si conteggiano 449mila nascite,
ossia 9mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017. Rispetto al 2008 risultano
128mila nati in meno. I decessi sono 636mila, 13mila in meno del 2017. In rapporto al
numero di residenti, nel 2018 sono deceduti 10,5 individui ogni mille abitanti, contro
i 10,7 del 2017. Il saldo naturale nel 2018 è negativo (-187mila), risultando il secondo
livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191mila) (Istat, 2019).
L’affido familiare per la crescita di una società generativa
1151
mento demografico sono diversi: economici, sociali e di welfare, psicologici ed individuali. Indubbiamente la fragilità delle strutture sociali,
l’esaltazione individualistica a sfavore della comunità e la liquidità
sociale sono alcune risposte alle tante difficoltà che uomini e donne
incontrano nel loro percorso di vita quando devono fare delle scelte
personali e/o lavorative (conciliazione lavoro-famiglia).
Chi scrive, crede che in questo quadro il prossimo cambiamento dovrà riguardare il concetto di “generatività“, inteso come modalità per
“ripensare“ la società e le sue regole (M. Magatti - C. Giaccardi, 2014).
Non potendo contare sulla possibilità repentina di un cambio di rotta
radicale, tale da determinare un incremento delle nascite capace di compensare il trend negativo, è però auspicabile una svolta culturale e sociale. Si tratta di riuscire a stimolare un dibattito maturo volto ad accrescere
la nostra responsabilità nei confronti dell’idea di famiglia e genitorialità.
È indispensabile proporre un nuovo approccio capace di valorizzare le potenzialità degli uomini e delle donne ricostruendo il proprio
“essere“ artefici primari della società. Una società coesa e capace di
ripensare il valore della comunità “deve“ essere la risposta a società
occidentali sempre meno capaci di accogliere l’altro, sia esso lo straniero, ma anche il figlio del mondo.
La “soluzione“ è di mettere “in atto interventi strutturali e appropriati di empowerment del ruolo parentale e di conseguenza a sostegno
di un’idea comunitaria e positiva di educazione come pilastro e compito della società nel suo insieme, barriera contro le disuguaglianze e
presidio della democrazia, piuttosto che come fatto privato, apparentemente riguardante solo la vita intima delle famiglie” (P. Milani, 2018,
p. 90). Senza dimenticare che empowerment di fatto è la possibilità di
incrementare le capacità di auto-organizzazione dei singoli e al tempo stesso è un’occasione per alimentare la responsabilità sociale. I due
termini: empowerment e generatività trovano così a perseguire lo stesso
scopo volto alla crescita delle persone come singoli e come parte della
società/comunità.
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The best interest of the child
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Provvidenza, alla nascita pianificata dai genitori, alla nascita come diritto dei
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Genitore (e nonno) sociale.
Diritti e tutele nell’interesse della persona
di età minore?
Il cammino della giurisprudenza interna
ed europea
Maria Giovanna Ruo1
Sommario: 1. Tentativo di definizione di genitorialità e parentela
sociale e necessità della tutela. – 2. Il progressivo riconoscimento
di genitorialità e parentela sociale. – 2.1. Le indicazioni della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo: la tutela del legame affettivo (non
solo biologico) indipendentemente dal riconoscimento giuridico. –
2.2. Il riconoscimento legislativo della continuità degli affetti come
principio di tutela di the best interest of the child. – 2.3. La Cassazione
definisce la famiglia comunità di affetti: Cass. n. 19599/2016. – 2.4.
La Corte Costituzionale individua lo strumento interno di tutela
della genitorialità sociale: sent. 225/2016. – 2.5. … ma nel merito la
tutela non viene accordata: un caso emblematico di genitorialità negata… . – 2.6. Il riconoscimento del “nonno sociale”: Cass., ordinanza 28 luglio 2018, n. 19780. – 3. Maternità surrogata: temi, problemi,
provvedimenti e interesse del minore. – 3.1. Maternità surrogata
tra illiceità della prassi e tutela dell’interesse del minore nelle relazioni affettive: Corte EDU, Corte Costituzionale e Sezioni Unite
della Cassazione. – 4. Alla ricerca di possibili soluzioni normative.
– 4.1. Possibili soluzioni normative di tutela della genitorialità sociale nella prospettiva di the best interest of the child: Convenzione di
Strasburgo sulle relazioni personali del minore e codificazione dei
principi giurisprudenziali. – 4.2. …segue… Possibili soluzioni di
tutela… Maternità surrogata: tutela di the best interest diversificata
come categoria e nel singolo caso
1
Avvocato del Foro di Roma.
1154
The best interest of the child
1. Tentativo di definizione di genitorialità e parentela
sociale e necessità della tutela
Il concetto di genitorialità o parentela sociale si è affacciato all’attenzione
degli operatori dell’area giuridica che si occupa dei diritti delle persone di
età minore negli ultimi anni parallelamente al diffondersi di nuovi modelli di relazioni familiari: famiglie ricostituite, ad es., in cui la convivenza
familiare, indipendentemente dal vincolo biologico o giuridico tra alcuni
dei suoi componenti, costruisce intorno al figlio minorenne una rete di
rapporti affettivi ed educativi di primaria importanza per il suo sviluppo presente e futuro. Accanto alle famiglie ricostituite, ulteriori fenomeni
sociali si sono affermati e si stanno affermando quali le omogenitorialità,
che non hanno trovato sempre un riconoscimento giuridico o, comunque,
nelle quali il riconoscimento giuridico del legame parentale tra quantomeno un genitore intenzionale e figlio può non essere immediatamente
riconosciuto, con conseguenze però di necessità di tutela della relazione
quando la coppia “genitoriale” entra in crisi. Accanto ed a lato di questi
legami parentali, si sviluppano rapporti con la famiglia allargata: fratelli,
nonni, zii, cugini, che tali non sono talvolta né biologicamente né giuridicamente, ma con i quali il legame affettivo, la consuetudine di vita e di accudimento è nella prospettiva della persona o delle persone di età minore
una dimensione esistenziale importante, necessaria al suo miglior sviluppo psico-fisico e la cui brusca interruzione può comportarle pregiudizio.
Possiamo definire genitori sociali coloro che si occupano di una
persona di età minore esercitando di fatto la responsabilità genitoriale, costruendo una relazione affettiva accudente, espletando un ruolo
educativo e di cura, provvedendo (anche o esclusivamente loro) al suo
mantenimento, alla sua istruzione e alla sua assistenza morale e materiale, in un ruolo vicario dei genitori o di un genitore, prima e/o indipendentemente dal riconoscimento di una relazione giuridica e, talvolta,
anche del legame biologico. Parenti sociali sono coloro che vivono una
relazione familiare con la persona di età minore analoga a quella di fatto
vissuta dai parenti biologici e/o giuridici, in una dimensione affettiva e
relazionale positiva per il miglior sviluppo psico-fisico della persona di
età minore, prima e indipendentemente dal riconoscimento di un legame giuridico e talvolta indipendentemente anche dal legame biologico.
I genitori sociali talvolta fanno le veci di genitori, in loro precaria
assenza, in una dimensione giuridicamente rilevante (ad es. affidatari);
o per una scelta di genitorialità che non può trovare o non ha ancora
Genitore (e nonno) sociale
1155
trovato qualificazione giuridica nell’ordinamento (coniuge o unito civilmente o convivente dell’altro genitore o del nonno biologico e giuridico); o perché sussistono impedimenti al riconoscimento giuridico
della relazione filiale (come nel caso del genitore biologico del figlio
nato nel matrimonio non disconosciuto dal padre giuridico).
Se la relazione affettiva è costitutiva dell’identità personale e sociale, costituisce l’humus nel quale la persona di età minore cresce, sviluppa la propria personalità (art. 2 Cost.), attinge forza e fiducia nelle
relazioni, è evidente che tali relazioni debbano trovare tutela e riconoscimento nell’interesse della persona di età minore e che eventuali
ostacoli debbano essere rimossi (art. 3 Cost.).
Difatti il concetto di the best interest of the child, nel nostro sistema
costituzionale e subcostituzionale, è quel criterio che si definisce prioritario o determinante2 di giudizio in quanto, in sua forza, nel sistema
di tutela debbano essere prioritariamente garantite le migliori condizioni di sviluppo psicofisico della prole minorenne3: ne consegue la
necessità di una tutela giuridica anche delle relazioni con i genitori e i
parenti sociali, quando sono a ciò funzionali.
2. Il progressivo riconoscimento di genitorialità
e parentela sociale
2. 1. Le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo:
la tutela del legame affettivo (non solo biologico)
indipendentemente dal riconoscimento giuridico
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata motore di un processo di continuo ampliamento della tutela delle relazioni familiari e
2
G. Magno, Il minorenne è portatore di un semplice interesse, oppure è titolare di diritti?, in
MinoriGiustizia, 2/2011, p. 28-38.
3
Cass. SS.UU., sent. 16 settembre 2013, n. 21108, per. 5., Cass., sent. 30 settembre
2016, n. 19599: L’interesse del minore non è rilevante solo nelle questioni sulla
responsabilità genitoriale: ciò non solo è smentito dal dato normativo (art. 3 Conv.
New York) ma è stato anche recentemente risottolineato dalla Corte costituzionale
(sent. 205/2015, p. 4) che ha ricordato come l’interesse del minore trascenda le
implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre” reclamando
invece una tutela efficace e rafforzata di tutte le esigenze connesse a un compiuto
ed armonico sviluppo della personalità”. Si tratta di un principio giuridico di
valore preminente che ha permeato di sé una serie di pronunce della Consulta che
hanno travolto anche l’automaticità del potere punitivo dello Stato sul piano della
responsabilità genitoriale (Corte Cost., sent. 31/2012 e sent. 7/2013).
1156
The best interest of the child
dei soggetti vulnerabili al loro interno, prima fra tutte la persona di età
minore, soggetto vulnerabile in ragione della sua intrinseca fragilità e
alla quale l’ordinamento – nell’equo bilanciamento degli interessi in
gioco – deve quindi assicurare tutela rafforzata, perché altrimenti il
suo miglior sviluppo psico-fisico sarebbe compromesso.
E che le relazioni familiari siano meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento, anche prima e indipendentemente dal vincolo giuridico
che unisce le persone che ne sono protagoniste, è una conquista che si
deve alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sin dalla nota sentenza
Markx c. Belgio (sent. 13 giugno 1979) che costituisce forse la prima
consacrazione giuridica della famiglia di fatto.
Nell’ambito della tutela garantita dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Diritto alla vita privata e familiare), secondo Strasburgo il legame biologico, se non ancora riconosciuto sul piano giuridico, va valutato sul piano dei legami affettivi e sotto svariati
profili: rilevano, in particolare, oltre alla convivenza, anche la natura
e la durata del rapporto del figlio minorenne coi genitori, la qualità e
la regolarità delle visite nonchè il grado di partecipazione del genitore
– che abbia o non abbia riconosciuto il figlio – all’accudimento della
persona di età minore; tutti ritenuti elementi idonei a determinare l’esistenza di vita familiare meritevole di tutela ex art. 8 CEDU.
Secondo la Corte EDU (A.W. Khan c. Regno Unito, sent. 12 gennaio
2010) i bambini nati o da una coppia sposata o da una coppia di conviventi sono ipso jure parte di questa famiglia fin dal momento della nascita e loro e i genitori esiste una vita familiare. Elementi valutati dalla
Corte EDU per legittimare la tutela di cui all’art. 8 a legami di fatto sono
stati anche natura e durata del rapporto con i genitori e in particolare
se questi avevano previsto di avere un figlio; se il padre avesse riconosciuto il bambino; se avesse contribuito al suo accudimento, alla sua
educazione, se vi siano state tanto qualità quanto regolarità nelle visite4.
La Corte di Strasburgo, nel richiamare sue precedenti pronunce5 ritiene che violi l’art. 8 della CEDU, il comportamento delle Autorità na4
Nel caso di specie, il ricorrente e la madre della bambina avevano una relazione dal
mese di agosto 2005; egli aveva riconosciuto la figlia che portava, così, il cognome
del padre sul certificato di nascita. Anche se le condizioni di esecuzione della pena
impedivano al ricorrente, sottoposto agli arresti domiciliari, di vivere con la figlia e
con la mamma della bambina, vedeva loro quotidianamente. La Corte ha ritenuto,
quindi, che il rapporto avesse durata e consistenza sufficiente a creare legami
familiari di fatto meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 8.
5
Corte EDU, Lebbink c. Paesi Bassi, sent. 1° giugno 2004; Corte EDU, Kroon e altri c.
Genitore (e nonno) sociale
1157
zionali che, in adempimento ai loro obblighi positivi, non procedano
al riconoscimento e alla tutela della relazione genitore-figli pretermettendo quindi elementi di fatto quali l’effettivo accudimento e la stessa progettualità della relazione filiale. Insomma la violazione sussiste
quando vi sia una genitorialità sociale oltre che biologica e la relazione
genitore-figlio invece non venga riconosciuta, protetta, garantita dalle
Autorità nazionali.
In questa prospettiva, di particolare rilievo la giurisprudenza della
Corte EDU in materia di azioni di stato personale.
Strasburgo ha ad es. più volte condannato gli Stati per le normative
troppo restrittive in tema di accertamento della genitorialità biologica in presenza di un forte legame affettivo anche progettuale. Così ad
es. Corte EDU, Backlund c. Finlandia, sent. 6 luglio 2010, in tema di
termine di decadenza per la proposizione dell’azione di accertamento
della paternità biologica. Strasburgo afferma l’apposizione di un termine non è di per sé contraria alle disposizioni della Convenzione, in
quanto è giustificata dalla necessità di assicurare elementi di certezza
legale nelle relazioni familiari: in questo senso, gli interessi da bilanciare sono tanto quelli del minore che aspira allo status di figlio, quanto
quelli del padre putativo. Tuttavia, anche avuto riguardo al margine
di apprezzamento lasciato allo Stato, Strasburgo ritiene che l’applicazione di un rigido termine di decadenza per promuovere il giudizio
di accertamento della paternità, previsto da una normativa transitoria
che non preveda l’esistenza di casi particolari in deroga a quelli generali previsti dalla legge, interferisce con il diritto dell’individuo al
rispetto della propria vita privata e familiare e viola, pertanto, l’articolo
8 della Convenzione6. In Corte EDU, Chavdarov c. Bulgaria, sent. 21
novembre 2010, Strasburgo7, afferma che la Convenzione tende a riconoscere la rilevanza dei legami biologici e, conseguentemente, laddove
Paesi Bassi, sent. 27 ottobre 1994; Corte EDU, Keegan c. Irlanda, sent. 26 maggio 1994;
Corte EDU, Haas c. Paesi Bassi, sent. 13 gennaio 2004; Corte EDU, Camp e Bourimi c.
Paesi Bassi, sent. 03 ottobre 2000.
6
Nel caso concreto il ricorrente aveva ottenuto la certezza scientifica della paternità
biologica del suo padre putativo tramite il test del DNA ma si è visto costantemente
rigettare le sue istanze, perché tardive, in quanto proposte oltre il termine
quinquennale fissato dal The Paternity Act per i bambini nati prima del 1° ottobre
1976, mentre tali restrizioni non si applicavano ai bambini nati dopo tale data. In
senso conforme, Corte EDU, Gronmark c. Finlandia, sent. 6 luglio 2010: la Corte ha
ribadito che l’applicazione di un termine rigido per l’esercizio della paternità, è
contrario al vero rispetto della vita privata e familiare.
7
La Corte EDU dà atto che i procedimenti relativi all’accertamento della paternità
1158
The best interest of the child
sussistano, a riconosce l’esistenza di una vita familiare anche nel caso
in cui, come nella concreta fattispecie, i figli siano considerati figli del
marito della loro madre e questa, essendo da lui separata, conviva col
padre biologico dei minori, allo stato privo dei diritti connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale. In questo caso, la presunzione di
paternità (e i poteri parentali che ad essa sono connessi), se è difficilmente superabile in base alle previsioni normative interne, può essere
quanto meno superata da altri strumenti normativi, quali, ad esempio,
l’adozione o la segnalazione ai competenti servizi sociali. Insomma, il
legame biologico, insieme alla positiva relazione di fatto tra padre e
figli minorenni (genitorialità sociale), deve essere tutelata e protetta,
anche se priva di rilevanza giuridica.
Nel senso di riconoscere violazione dell’art. 8 della Convenzione indipendentemente dal vincolo giuridico di filiazione la giurisprudenza
della Corte EDU è costante sin dagli anni ‘908.
La necessità di tutela del legame biologico e affettivo, anche se non
giuridico, viene confermato anche nella pronuncia Corte EDU, Anayo
c. Germania, sent. 21 dicembre 2010: la mancata tutela della relazione
del figlio minorenne con il padre biologico, in forza dei diritti riconosciuti esclusivamente al marito della madre, esercente la responsabilità
genitoriale in forza di presunzione di paternità, è violativo dell’art. 8. Il
che sarebbe suscettibile di ampie applicazioni anche nel nostro Paese.
biologica subiscono consistenti differenze normative e procedurali in tutti i paesi
europei che hanno aderito alla Convenzione di Roma.
8
Corte EDU, Keegan c. Irlanda, sent. 26 maggio 1994: il ricorrente è un padre biologico
che denunciava la violazione del diritto al rispetto della vita familiare – art. 8 –
poiché la compagna aveva deciso a sua insaputa, e ancora prima della nascita, di
dare in adozione la loro bambina. A nulla erano valse le opposizioni del padre a
tale scelta davanti agli organi competenti e la sua richiesta di affidamento della
minore, in quanto le autorità irlandesi avevano ritenuto che le relazioni sporadiche
ed instabili tra il signor Keegan e la di lui compagna, terminate prima della nascita
della bambina, non fossero tali da potersi dire costituito un valido e stabile rapporto
familiare. La Corte, al contrario, rileva essere stato violato l’articolo 8, ritenendo
prevalente e significativo il rapporto biologico padre-figlia.
Corte EDU, Kroon e altri c. Paesi Bassi, sent. 27 ottobre 1994, considera un caso in
cui la relazione tra i genitori non coniugati era stata stabile e duratura, anche senza
effettiva convivenza. Ricorrono entrambi i genitori: la madre, coniugata e separata
solo di fatto, ed il padre biologico: da tale relazione era nato un bambino il cui
riconoscimento da parte del padre naturale, ricorrente, era stato negato in quanto la
madre era coniugata, esistendo la presunzione legale di concepimento in costanza
di matrimonio. Anche in questo caso la Corte ritiene violato l’art. 8, affermando
che il rispetto della vita familiare esige che la realtà biologica e sociale prevalga su
una presunzione legale che contrasti sia con i fatti accertati sia con i desideri delle
persone interessate, senza realmente giovare a nessuno.
Genitore (e nonno) sociale
1159
Nei citati provvedimenti il tratto comune è che, perché il legame
biologico – anche se giuridicamente non riconosciuto – sia protetto, ci
debbono essere elementi significativi di interesse e di cura per il figlio
minorenne: ci deve quindi essere “genitorialità sociale”. In un’altra
sentenza nei confronti della stessa Germania, la Corte EDU specifica
le condizioni alle quali, pur nella prevalenza dello status di figlio legittimo, il padre biologico possa invocare l’applicazione dell’articolo 8
CEDU e richiedere la tutela della sua relazione con il figlio minorenne.
Afferma Strasburgo che, quando il figlio nato da una relazione adulterina sia stato riconosciuto dal marito della madre, assumendo, quindi,
lo status di figlio legittimo, per determinare se le doglianze del padre
biologico – al quale sia stato negato un qualsiasi contatto col minore –
rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione
e possano determinare una violazione dello stesso, occorre valutare
il grado di interesse che il padre biologico abbia dimostrato nei confronti del bambino. Sembra quindi rilevante anche la progettualità e
l’impegno che il Ricorrente abbia profuso nella costruzione del legame
parentale e nella conseguente richiesta di sua tutela9.
Ma il riconoscimento e la tutela del legame affettivo non sono confinati ai casi in cui sussista il legame biologico tra persona di età minore
e genitore sociale. Cosicché anche il principio del favor veritatis può essere sacrificato al superiore interesse del figlio minorenne e alla tutela
dei suoi rapporti di fatto. Corte EDU, A.L. c. Polonia, sent. 18 febbraio 2014, non ha ritenuto violativo dell’art. 8 CEDU il comportamento
delle Autorità nazionali che abbiano rigettato la domanda volta al disconoscimento della paternità, pur in presenza di risultanze negative
sulla compatibilità genetica con il padre giuridico ma non biologico, in
presenza di circostanze che depongono per essersi radicato il legame
parentale10.
9
Corte EDU, Schneider c. Germania, sent. 15 settembre 2011. In tale prospettiva,
la Corte EDU ha ritenuto sussistente tale interesse in base ai seguenti indicatori:
esistenza di un progetto di vita tra il padre biologico e la madre del minore che
aveva determinato la consapevolezza di mettere al mondo un bambino; interesse e
impegno ad assumersi responsabilità nei confronti del bambino, sia prima che dopo
la sua nascita; partecipazione del padre biologico ad almeno due visite mediche
connesse alla gravidanza della madre; riconoscimento affettivo di essere il padre del
bambino; aver ricevuto dalla madre, a richiesta, foto del neonato.
10
Nella fattispecie il bambino – al momento dell’instaurarsi del procedimento –
aveva già compiuto dodici anni, e aveva già radicato un’identità affettiva e sociale;
inoltre l’attuale marito della madre del bambino non intendeva adottarlo, con la
conseguenza che la persona minore d’età sarebbe rimasta priva di legami sociali
1160
The best interest of the child
Sempre in funzione della certezza dei legami affettivi e familiari,
ancorché non biologici, Corte EDU, Krisztian Barnabas Toth c. Ungheria, sent. 12 febbraio 2016, ha affermato che non costituisce violazione
dell’art. 8 negare al padre biologico di agire per il riconoscimento del
bambino che sia, nel frattempo, stato adottato dalla moglie del padre
legittimo. Corrisponde, infatti, all’interesse del minore mantenere un
contesto familiare certo e che, anche in base alle indagini psicosociali
condotte, sia un contesto di accudimento idoneo e sereno per la persona minore d’età la quale, in ipotesi di procedimento promosso dal
(presunto) padre biologico, si troverebbe a dover subire una privazione di certezza di status e di positivi legami familiari e sociali di cui
beneficia11.
Analoga decisione nei confronti dell’Italia in Corte EDU, Alle Fall
Gueye c. Italia, sent. 31 maggio 2016, relativa all’autorizzazione a un
secondo riconoscimento ai sensi dell’art. 250 c.c.12.
In altri casi l’interesse superiore del minore è ritenuto coincidente
con il diritto dello stesso di conoscere le proprie origini; e quindi non
determina una violazione dell’articolo 8 CEDU riconoscere al padre
biologico di poter intrattenere rapporti di natura familiare con il figlio
e familiari, alla stessa già riconosciuti dalla nascita, ex lege. Pur avendo riguardo
al margine di apprezzamento riconosciuto a ciascuno Stato, infatti, la Corte EDU
ritiene che, nel bilanciamento tra gli interessi del padre in questo caso giuridico ma
non biologico a veder accolta la propria domanda di disconoscimento della paternità
e quelli della persona minore d’età ad avere legami familiari giuridici e certi, siano
questi ultimi a dover prevalere.
11
Nel caso concreto non sussisteva tra il Ricorrente e il figlio di cui rivendicava la
paternità una relazione che potesse essere qualificata come vita familiare o anche
come vita privata: non aveva mai chiesto notizie di suo figlio e non aveva mai cercato
di allacciare contatti con lui e che, inoltre, aveva un’esistenza precaria e non aveva un
alloggio fisso.
12
Tale riconoscimento era stato negato al Ricorrente dalle Autorità nazionali e la
Corte EDU ritiene che «nel dichiarare che non fosse nell’interesse superiore del
minore stabilire la sua filiazione reale, i giudici nazionali non abbiano oltrepassato il
margine di apprezzamento di cui disponevano.
Inoltre, quanto alla pretesa discriminazione che il ricorrente asserisce di aver subito
essendo un cittadino straniero in situazione irregolare, la Corte, tenuto conto
dell’insieme degli elementi in suo possesso, e nella misura in cui è competente a
conoscere delle contestazioni mosse, non rileva alcuna parvenza di violazione dei
diritti e delle libertà garantiti dagli articoli della Convenzione. In particolare, ritiene
che non si possa qualificare come discriminatorio il fatto che i giudici nazionali si
siano riferiti anche alla situazione irregolare del Ricorrente sul territorio italiano
nell’esporre i motivi che li hanno indotti a respingere la domanda di riconoscimento
presentata dal ricorrente. Al contrario, essi hanno valutato questo fatto dal punto di
vista dell’interesse superiore del minore».
Genitore (e nonno) sociale
1161
nel frattempo legittimato dal marito della madre del bambino stesso e,
in ogni caso, convivente con la madre. In questo senso, infatti, viene riconosciuto il duplice interesse della persona minore di età, nel frattempo divenuta adolescente: quello a preservare l’identità acquisita nella
famiglia legittima, e quello di conoscere la verità sulle proprie origini
(Corte EDU, Mandet c. Francia, sent. 14 gennaio 2016).
Insomma il diritto alle relazioni affettive della persona di età minore
diviene l’elemento portante del sistema: e così il padre biologico, pur
riconosciuto tale mediante le risultanze delle prove di compatibilità genetica il quale, tuttavia, per sua espressa ammissione, abbia avuto con
la madre del bambino una relazione solo sessuale e non anche affettiva,
non caratterizzata quindi dalla progettualità di accogliere un figlio, non
può invocare alcuna esistenza di vita familiare ai sensi dell’articolo 8
CEDU, essendo questa, al contrario, quella esistente tra la madre del
bambino e tra questi e colui che ha riconosciuto il bambino stesso, il
quale abbia, dal canto suo, dimostrato durante tutto il procedimento
(come indicato anche negli atti del curatore del minore) di avere una relazione affettiva e duratura con la madre da prima che lo stesso venisse
concepito (Corte EDU, Ahrens c. Germania, sent. 22 marzo 2012).
L’indicazione di carattere generale è quindi che, indipendentemente dalla qualità giuridica o anche dalle caratteristiche della relazione
tra i genitori, quando è provato il vincolo biologico, lo Stato deve agire
in modo da permettere lo sviluppo della relazione genitori-figli, accordando una protezione giuridica che renda possibile fin dalla nascita l’integrazione del bambino nella sua famiglia. Tuttavia, quando
ciò comporterebbe cesura con le relazioni affettive ormai consolidate
dal figlio minorenne con altro soggetto che ha espletato di fatto ruolo e
funzione genitoriale, e non ci sia un effettivo interessamento del genitore biologico, la tutela di tali relazioni affettive deve prevalere.
Se la tutela del legame biologico prevale nella costituzione della
relazione figlio-genitore, salvo che non comprometta le relazioni affettive già instauratesi nell’interesse del minorenne, in altra prospettiva
la Corte EDU ha riconosciuto relazione familiare degna di tutela ex art.
8 CEDU anche indipendentemente da ogni altro legame, biologico e
giuridico come in caso di affidamento familiare. Particolare rilevanza
interna ha Corte EDU, sentenza 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia13. Il principio, anche se in diversa prospettiva, è stato confermato in
13
Cfr. commento critico di P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla vita familiare di un
1162
The best interest of the child
Corte EDU, Kopf e Liberda c. Austria, sent. 17 gennaio 2012, che tutela
la relazione con la famiglia già affidataria del minorenne ricongiuntosi con la madre che aveva recuperato la propria funzione genitoriale.
Viene riconosciuto il diritto alla continuità delle relazioni affettive con
la famiglia affidataria, attraverso incontri. Ovviamente il superiore interesse del minore anche in questo caso costituisce contenuto e limite
di tale diritto alla continuità affettiva e, quindi, la relazione con gli ex
affidatari – che sono estranei al legame biologico – va protetta se non
reca pregiudizio al benessere psico-fisico della persona di età minore.
Ovviamente anche le relazioni tra adottante ed adottato rientrano
nell’ambito di applicazione e di protezione dell’articolo 8 della Convenzione EDU. Ne determina quindi violazione disporre l’annullamento dell’adozione, richiesto da un congiunto, ai soli fini di diseredare l’adottato, peraltro – come nel caso di specie – diciotto anni dopo il
decesso della madre adottante e trascorsi trentuno anni dalla adozione
(così Corte EDU, Zaiet c. Romania, sent. 24 marzo 2015). Annullare un’adozione equivale infatti a disgregare una famiglia e può contrastare
con l’interesse del minore; conseguentemente una simile decisione
deve essere supportata da ragioni sufficientemente solide e valide nel
suo preminente interesse. È quindi necessaria una preliminare severa
valutazione sull’impatto che l’annullamento dell’adozione può avere
sul futuro benessere psico-fisico della persona di età minore adottata e,
in ogni caso, debbono essere ricercate soluzioni alternative, di portata
meno incisiva rispetto all’annullamento dell’adozione i cui effetti sul
bambino e sui genitori debbono essere valutati con estrema attenzione,
in forza di the best interest of the child (Corte EDU, Kurochkin c. Ucraina,
sent. 20 maggio 2010).
2.2. Il riconoscimento legislativo della continuità degli affetti
come principio di tutela di the best interest of the child
A seguito della condanna di cui alla citata sentenza della CEDU Benedetti e Marcelli contro Italia del 27 aprile 2010, vi fu una significativa
pressione da parte delle associazioni degli affidatari affinché divenisse
legge il principio della agevolazione dell’adozione dei minorenni dichiarati adottabili da parte delle famiglie affidatarie. Il primo DDL14
bambino piccolo affidato, in MinoriGiustizia, 3/2010, p. 248.
14
Proposte di legge C. 3459 Vassallo, C. 3854 Savino, C. 4077 Motta, C. 4279 Lupi e C.
Genitore (e nonno) sociale
1163
fu depositato nella XVI legislatura e, pur richiamando il principio di
the best interest of the child, appariva fortemente adultocentrico, sottolineando il “diritto” ad adottare degli affidatari e non il diritto della
persona di età minore alla continuità delle relazioni nel di lui interesse.
Il DDl non giunse ad approvazione durante la legislatura: ma le
molte audizioni effettuate in sede parlamentare comportarono che la
ripresentazione del DDL nella nuova legislatura tenesse conto di alcune indicazioni nell’interesse della persona di età minore, modificandone significativamente l’impianto.
In particolare fu CAMMINO15 che sottolineò come “certamente fosse vero che in molti di questi casi si crea tra affidati e affidatari un
legame para-parentale, molto simile a quello tra genitori e figli, anche
se l’affidamento etero familiare dovrebbe avere tutt’altro fine, quello
di assicurare cure e accudimento a persone minori di età la cui famiglia è solo temporaneamente impossibilitata. È inoltre anche vero che,
concretamente, talvolta le famiglie naturali – ritenute recuperabili al
momento dell’affidamento – si rivelano poi invece non recuperabili;
emergono nel tempo dell’affidamento problemi non emendabili nel
corretto esercizio della loro funzione genitoriale. Ne consegue che talvolta le persone minori di età collocate in affidamento etero-familiare
– di conseguenza – vengono infine dichiarati adottabili. In questi casi,
se l’affidamento si è dimostrato funzionale al loro corretto sviluppo
psico-fisico, se si è svolto insomma nel loro superiore interesse, tale
affidamento, se pur nato come soluzione temporanea, deve invece ricevere una definitività giuridica con l’adozione, sempre che sussistano anche i requisiti di legge”. Propose quindi vari emendamenti che
rafforzassero la posizione del minorenne, anche in relazione ad altre
situazioni che non fossero la sua adottabilità: il rientro in famiglia o
l’adozione da parte di famiglia diversa da quella degli affidatari, non
disponibili all’adozione. Anche in questi casi era ed è infatti da tutelare
il legame affettivo positivamente instauratosi dal minorenne affidato
con gli affidatari.
Nella successiva XVII legislatura il DDL venne così approvato in un
testo modificato secondo tali indicazioni: nella L. n. 173 del 19.10.2015.
4326 Giammarco, recanti disposizioni in materia di adozioni da parte delle famiglie
affidatarie.
15
All’epoca Camera Nazionale Minorile: audizione del 12 dicembre 2012 in https://
www.cammino.org/wp-content/uploads/allegati-old/A000000128_2012_12_04_
Audizione_Commissione_Giustizia_Camera.pdf
1164
The best interest of the child
La relazione del minorenne con gli affidatari – se positiva per il suo sviluppo psico-fisico – viene comunque tutelata sia che venga dichiarato
adottabile – e in questo caso gli affidatari debbono essere presi prioritariamente in considerazione quale possibile famiglia adottiva, sempre
che abbiano palesato la propria disponibilità ad adottare –, sia che rientri nella propria famiglia di origine, che è la soluzione sul piano normativo, affettivo ed esistenziale auspicabile: in questo caso la relazione con
gli ex affidatari deve essere salvaguardata se nel di lui interesse; sia che
sia adottato da un’altra famiglia, ed anche in questo caso la relazione va
salvaguardata se nell’interesse della persona di età minore.
Nei casi concreti purtroppo la persona di età minore che rientra nella sua famiglia dopo anni di cd. “affidamento a rischio giuridico”16 in
altra che lo ha accolto e cresciuto amorevolmente – a seguito di revoca
dell’adottabilità – viene spesso “lacerata” tra le due realtà familiari, nei
cui confronti il bambino ha sviluppato comunque una consuetudine
affettiva e rispetto alle quali manifesta un conflitto di lealtà, tanto più
profondo e pregiudizievole quanto più ha avuto durata il cd. “affidamento a rischio giuridico” In realtà la continuità degli affetti, in questi
casi, non costituisce criterio dirimente perché l’interesse della persona
di età minore sarebbe nel conservare entrambe le realtà affettive; il che
spesso non è possibile perché confliggono.
Emblematico il caso CEDU, Barnea e Caldaru c. Italia, del 22 giugno
2017, proprio in un caso di persona di età minore allontanata – per er16
Il cd. “affidamento a rischio giuridico” non è istituto contemplato dalla normativa.
Si tratta invero di una costruzione della giurisprudenza di merito e in particolare dei
tribunali per i minorenni i quali – nei tempi lunghi del procedimento di adottabilità
– collocano il bambino in una famiglia di aspiranti genitori adottivi, i quali accettano
tale collocamento nella prospettiva desiderata che venga dichiarato adottabile e
che il suo legame con la famiglia di origine sia rescisso definitivamente. Il bambino
cresce quindi nella famiglia “collocataria” (perché al di à del nomen attribuito dalla
prassi, di collocamento si tratta, con la conseguenza ulteriori che la famiglia non
ha “titolo” ad essere sentita e a partecipare al procedimento) nella prospettiva di
una dimensione duratura della relazione, perché i collocatari desiderano adottare e
non offrire a un bambino che ne è temporaneamente privo una famiglia sostitutiva
in attesa che rientri nella propria. Questi bambini, cresciuti come figli propri, una
volta revocata l’adottabilità, debbono essere reinseriti nella famiglia di origine, che
può avere abitudini, modalità educative e comportamentali anche molto distanti
da quella dei collocatari o affidatari a rischio giuridico. Questi peraltro non hanno
nemmeno diritto ad intervenire nel procedimento di adottabilità, a portare la voce
del bambino, le abitudini anche affettive da lui maturate negli anni. Di fatto si chiede
loro di “collaborare” per il reinserimento di chi hanno accolto ed amato come figlio,
li chiama mamma e papà, trovandosi di fronte al dolore e alla lacerazione di chi è
stato deprivato dell’affetto e della consuetudine con il proprio figlio.
Genitore (e nonno) sociale
1165
rore – molto precocemente dalla sua famiglia, inserita per 7 anni in una
famiglia affidataria, dichiarata infine non adottabile (perché in realtà
non c’era stato di abbandono), contesa la famiglia di collocatari (o “affidatari a rischio giuridico”) e famiglia di origine, in un continuo intrecciarsi di provvedimenti che rivelano due visioni diverse della continuità degli affetti: chi riteneva che la solidità dei legami familiari originari,
comunque sviluppatisi e profondi, dovesse essere prioritariamente
salvaguardata; chi riteneva invece che dovessero essere salvaguardati
i legami con gli “affidatari a rischio giuridico”, che erano stati per la
persona di età minore genitori sociali ed affettivi quasi per tutti gli anni
della sua vita. In questo alternarsi di prospettive e di provvedimenti,
alla fine la persona di età minore rientra in famiglia. Ma il danno riportato è gravissimo e irreparabile e il nostro Paese viene condannato per
violazione dell’art. 8 CEDU.
Chi scrive ha presenti vari casi di questo genere, in cui peraltro l’affidamento a rischio giuridico era avvenuto a famiglie affidatarie con
cultura molto distante da quella della famiglia di origine con conseguenti conflitti quindi anche culturali e religiosi tra le due realtà familiari che si contendevano il bambino: questo non può che vivere come
dramma interiore il conflitto in cui è lacerato, spesso costretto a mentire agli uni e agli altri per evitare l’esplodere delle reciproche rivendicazioni gestendo la situazione di reciproca ostilità dentro di sé. Con
quali drammatici risvolti rispetto al suo sviluppo psico-fisico è facile e
terribile immaginare17.
2.3. La Cassazione definisce la famiglia comunità
di affetti: Cass. n. 19599/2016
Andò sviluppandosi, intanto, il dibattito sulla Step child adoption da
parte di coppie omosessuali. Fu il Tribunale per i minorenni di Roma,
che con la sua prima storica sentenza del 30 luglio 2014, aprì le porte
all’adozione da parte delle coppie omogenitoriali ai sensi dell’art. 44
lett. d).
17
Ci si riferisce al caso di una bambina nata in una famiglia islamica, inserita in una
famiglia di ferventi cattolici, battezzata, cresciuta con usanze e costumi europei
(andava al mare, indossava il costume, mangiava maiale); revocata l’adottabilità e
reinserita nella famiglia d’origine, mantenendo rapporti con gli ex affidatari a rischio
giuridico, era costretta a mentire in continuazione ad entrambi i nuclei familiari, per
non turbarli ed offenderli con i diversi comportamenti che assumeva a seconda della
famiglia con la quale si trovava.
1166
The best interest of the child
La decisione si basa su un’interpretazione evolutiva della norma
(per impossibilità di affidamento adottivo ai sensi del citato art. 44,
lett. D), l. 184/1983 si deve intendere anche l’impossibilità giuridica di
applicazione di tale istituto per non essere il minorenne abbandonato
e quindi in stato di adottabilità, in quanto congruamente accudito alla
madre biologica, genetica e giuridica in quel caso) ma la motivazione
– di questa sentenza e ancor più delle sentenze che seguiranno sulla
stessa lunghezza d’onda – rimanda alla relazione parentale, affettiva
e sociale tra ricorrente e figlioletta minorenne quale reale motivazione
sottesa e subliminale, al progetto di genitorialità, alla sua condivisione
tra “secondo genitore” e “primo genitore”, che muove alla ricerca di
una soluzione interna all’ordinamento per legittimare la seconda genitorialità tramite lo strumento adottivo.
Il tema giunge però a sua miglior definizione in relazione a una
diversa fattispecie: quella della trascrivibilità di un atto di nascita con
due omogenitori legittimamente formato all’estero. Se ne occupa la
Cassazione con la sentenza n. 19599/2016 in una particolare situazione
di genitorialità sociale in coppia omogenitoriale femminile18, la Suprema Corte afferma che il criterio dell’ordine pubblico – richiamato al
Pubblico Ministero ricorrente per la cassazione della Corte di appello
di Torino che aveva autorizzato la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero del minore ivi nato – va comunque storicizzato, che
quello del superiore interesse del minore è prevalente ed obbliga a
considerare la relazioni familiari come meritevoli di tutela se funzionali al miglior sviluppo psico-fisico della persona di età minore, come
sono le relazioni genitoriali se positive.
Definendo la famiglia come comunità di affetti, la Suprema Corte
implicitamente riconosce anche la genitorialità sociale come meritevole di tutela se nell’interesse della persona di età minore e cioè funzionale al suo miglior sviluppo in quanto idoneamente accudente. È quindi
sempre il criterio del superiore interesse del minore ad essere centrale
18
Nella coppia di omogenitori donne, colei che ha partorito ha concepito con la
Procreazione Medicalmente Assistita eterologa; donatrice di ovociti che è l’altra
partner. Ovviamente vi è un donatore di gameti che resta anonimo. L’atto di nascita
formato all’estero riportava entrambe le genitrici; l’Ufficiale di Stato civile di Torino
ne rifiutò la trascrizione; le genitrici impugnarono davanti al Tribunale di Torino
che confermò l’interpretazione dell’Ufficiale di stato civile affermando la contrarietà
all’ordine pubblico internazionale di tale trascrizione. La Corte di appello di Torino
è di contrario avviso e riforma il provvedimento con sentenza contro cui il Pubblico
Ministero propone ricorso in cassazione.
Genitore (e nonno) sociale
1167
nel sistema, anche ai fini della costruzione della sua identità personale
e sociale, oltre che in generale il diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia. Si tratta di valori presenti nella nostra
Costituzione, rafforzati dalle fonti di diritto sovranazionale che a loro
volta concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale19.
In definitiva la Suprema Corte evoca il concetto di responsabilità
personale affermando che non si può escludere lo status filiationis di
un minore “a causa della scelta di coloro che lo hanno messo al mondo
mediante una pratica di procreazione assistita non consentita in Italia:
dalle conseguenze di tale comportamento, imputabile ad altri, non può
rispondere il bambino che è nato e che ha un diritto fondamentale alla
conservazione dello status legittimamente acquisito all’estero. Vi sarebbe altrimenti una violazione del principio di uguaglianza, intesa come
pari dignità sociale di tutti i cittadini e come divieto di differenziazioni
legislative basate su condizioni personali e sociali”.
Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte per affermare
la trascrivibilità dell’atto nato da una donna che l’ha partorito e dall’altra che ha donato l’ovocita per la PMA eterologa, fa infatti riferimento
al “principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del
minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis
validamente acquisito all’estero (nella specie, in un altro paese della UE)” ancorché tale principio non può prevalere sempre e comunque sugli altri
19
Ricorda la Suprema Corte che il principio di the best interest of the child trova
riconoscimento espresso nella Convenzione sui diritti del fanciullo (20.11.1989
ratificata con l. 176/1991), nella Convenzione sull’esercizio dei diritti del minore, data
a Strasburgo il 25.1.1996 e ratificata con l. 77/2003, nella Carta di Nizza (7.12.2000 e
riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) nonché nell’ordinamento interno, nel
quale tale criterio ha assunto gradualmente carattere di centralità nell’ordinamento,
sin dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975, attraverso la legge sull’adozione
(l. 184/1983 e successive rivisitazioni), la riforma della filiazione (l. 125 219/2012
e d.lgs. 154/2013) e, infine, la l. 173/2015 sulla continuità degli affetti. Afferma la
Suprema Corte (cfr. supra nota 2) che l’interesse del minore non è rilevante solo
nelle questioni sulla responsabilità genitoriale: ciò non solo è smentito dal dato
normativo (art. 3 Conv. New York) ma è stato anche recentemente risottolineato
dalla Corte costituzionale (sent. 205/2015, p. 4) che ha ricordato come l’interesse del
minore trascenda le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre
“reclamando invece una tutela efficace e rafforzata di tutte le esigenze connesse a un
compiuto ed armonico sviluppo della personalità”.
Si tratta di un principio giuridico di valore preminente che ha permeato di sé una
serie di pronunce della Consulta che hanno travolto anche l’automaticità del potere
punitivo dello Stato sul piano della responsabilità genitoriale (Corte Cost., sent.
31/2012 e sent. 7/2013).
1168
The best interest of the child
interessi primari in gioco, perché diverrebbe un principio “tiranno”
(Corte EDU, Jeunesse c. Olanda, 3 ottobre 2014, p. 109) rispetto ad altre
situazioni giuridiche costituzionalmente garantite che costituiscono
nel loro insieme la tutela della dignità della persona.
Ma nel caso di specie, non rinviene principi che non siano recessivi
rispetto all’interesse del minore alla trascrizione dell’atto di nascita: il
modello di famiglia è quello di una comunità di affetti, non necessariamente coincidente con la relazione biologica ed è fondato sulla libertà
delle persone di autodeterminarsi.
2.4. La Corte Costituzionale individua lo strumento interno
di tutela della genitorialità sociale: sent. 225/2016
È sempre in tema di coppie omosessuali che la genitorialità sociale
riceve dalla Consulta ulteriore conferma di situazione meritevole di
tutela nell’interesse della persona di età minore.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla
Corte di appello di Palermo in un procedimento nel quale erano contrapposte due donne, una madre biologica e giuridica e l’altra sociale
per avere condiviso e portato avanti il progetto di genitorialità fino a
divorzio con l’altra, sposata in Spagna, relativamente al diritto della
seconda di intrattenere rapporti con la figlia minorenne della coppia20.
20
Quest’ultima si era opposta alla tutela e disciplina della relazione con la Ricorrente,
nel procedimento di primo grado svoltosi dinanzi al Tribunale di Palermo che ne
aveva accolto le istanze, fatte proprie dal Pubblico Ministero. La madre genetica
e giuridica aveva reclamato il decreto reso ai sensi dell’art. 337 ter c.c., secondo
un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, davanti alla
Corte di appello di Palermo. Secondo l’Autorità rimettente l’art. 337 ter c.c. avrebbe
violato l’art. 2 Cost. che ricomprende tra le formazioni sociali anche le famiglie di
fatto, incluse quelle formate da persone dello stesso sesso; sarebbe incompatibile
con i principii di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost. e “con il diritto del
minore a una famiglia (artt. 2, 30 e 31 Cost.) e in particolare a mantenere rapporti
significativi con l’ex partner biologico, compresi i casi di famiglie omogenitoriali”.
Contrasterebbe, infine, “con l’art. 117 Cost., comma I Cost., che obbliga il legislatore
italiano a rispettare i vincoli giuridici impostigli dal diritto dell’Unione Europea e
dagli obblighi internazionali (quali la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata
a New York il 20.11.1989 e ratificata in Italia con l. 176/1991, la Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo
il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con l. 77/2003, la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di
Nizza) nonché con l’art. 8 CEDU, quale norma interposta, come viene interpretata in
modo costante dalla Corte EDU, in materia di riconoscimento del diritto dei genitori
e dei figli, nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto, a mantenere
Genitore (e nonno) sociale
1169
La Corte di appello di Palermo aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. affermando che questo include
nell’area di protezione le sole relazioni del minore con ascendenti e
parenti e, quindi, non sarebbe consentita un’interpretazione estensiva
volta alla tutela del rapporto del minore con un non parente.
La Consulta, non condividendo le motivazioni dell’ordinanza remissiva, ha osservato che l’intervento additivo richiestole nel corpus
dell’art. 337 ter c.c., non postula la parificazione dell’ex partner del genitore biologico alla figura del genitore (naturale o adottivo) nei cui
confronti il minore ha diritto di ricevere cura, educazione, istruzione
ed assistenza morale, “ma più propriamente auspica che il soggetto
che – nell’ambito di una (poi interrotta) unione (anche omosessuale)
con il genitore biologico di un minore – abbia instaurato un legame affettivo con il minore medesimo, sia equiparato ai “parenti” ai fini della
garanzia di conservazione di quel “significativo” rapporto”.
Il denunciato vuoto di tutela quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente trattenuti con
adulti di riferimento che non siano suoi parenti, non sussiste perché
“l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori,
in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da
quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano suoi
parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione al quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare ‘i provvedimenti convenienti’ al caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto
legittimato dall’art. 336 c.c.) e anche dell’adulto non parente coinvolto
nel rapporto in questione”.
Dichiara quindi non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello palermitana.
2.5. … ma nel merito la tutela non viene accordata: un caso
emblematico di genitorialità negata…
La portata anche pratica della pronuncia della Consulta è molto rilevante: la genitorialità sociale, se nell’interesse del minore, riceve quindi
già tutela nell’ordinamento ex art. 333 c.c. e il comportamento del genistabili relazioni, anche nell’ipotesi di crisi della coppia, avuto riguardo sempre al
preminente interesse del minore”.
1170
The best interest of the child
tore che la ostacola è di per sé da considerarsi contrario al suo interesse
e per ciò contrastato dall’ordinamento. Legittimato a richiedere la tutela
sono sia il Pubblico ministero (evidentemente davanti dal Tribunale per
i minorenni ex art. 38 disp. att. c.c.) e “l’adulto non parente c coinvolto
nel rapporto in questione”, cioè il genitore sociale cui il rapporto viene
negato dall’altro genitore, ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., essendo stata
esclusa l’applicazione dell’art. 337 ter c.c. Tuttavia tale prospettiva non
ha trovato condivisione presso il giudice di merito. È quello che è successo a un padre (oltre che sociale anche biologico) e a sua figlia dinanzi
a un giudice minorile, dopo che già alla genitorialità giuridica ancor
prima che sociale era stato inferto un vulnus molto significativo anni fa
dal PM dinanzi al Tribunale ordinario.
La fattispecie è la seguente: una donna sposata ha una relazione
con un altro uomo dalla quale nasce una persona di età minore. La
donna non aziona il disconoscimento (entro il termine brevissimo di
6 mesi dalla nascita) e il marito, padre giuridico, non volle azionare il
disconoscimento21 per anni fino a che non fu promossa da un curatore
speciale del figlio minorenne la cui nomina era stata richiesta dal Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario22.
Contestualmente la relazione tra la donna e il padre biologico continuò; la persona di età minore imparò a chiamare papà l’uomo che tale
era biologicamente e con il quale aveva consuetudine affettiva e relazionale, per anni, fino a che anche il rapporto di questi con la madre
entrò in crisi e la donna iniziò a ostacolare il rapporto padre biologicofiglia compromettendo il diritto della prole minorenne alla continuità
affettiva.
21
Anni addietro il padre, unitamente con la madre – per la quale era decorso il termine
semestrale per il disconoscimento – aveva presentato istanza al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale ordinario perché ricorresse per la nomina di un
curatore speciale: ma il Procuratore della Repubblica, con proprio decreto in data 12
marzo 2010, aveva ritenuto non essere nell’interesse della minore il disconoscimento
e non aveva proceduto quindi alla richiesta di nomina di curatore speciale per
promuovere l’azione di disconoscimento.
22
Dopo il primo rifiuto del PM di richiedere la nomina di un curatore speciale per
azionare il disconoscimento, la relazione nella coppia coniugale entrò in crisi e
madre e marito-padre giuridico si separano e poi divorziano. Seguì – pendente
il procedimento di separazione – denuncia per molestie sessuali alla minore da
parte del marito padre giuridico e nuova istanza al PM da parte della madre per la
nomina di un curatore speciale per azionare il disconoscimento: questa volta i PM
ritenne sussistente l’interesse del minore e chiese la nomina del curatore speciale che
promosse azione di disconoscimento che grazie all’opposizione del marito-padre si
concluse in cassazione dopo anni.
Genitore (e nonno) sociale
1171
Il padre biologico chiese quindi al Tribunale per i minorenni tutela
di tale continuità affettiva ai sensi dell’art. 333 c.c., come indicato dalla
Corte Costituzionale, ma il giudice specializzato minorile capitolino,
con decreto del 30 maggio 2018 dichiarò inammissibile il ricorso per
asserita carenza di legittimazione attiva del padre (senza nemmeno
un’udienza), asserendo che: “Il ricorso è inammissibile. A tal proposito è
sufficiente rilevare che la domanda ex art. 333 c.c. può essere proposta, oltre
che dal PMM, dall’altro genitore o dai parenti; il genitore, tuttavia, non è
genitore dal punto di vista giuridico e, quindi, l’inadeguatezza della madre
della minore, sotto il profilo dell’ostacolo al mantenimento del rapporto affettivo con il genitore biologico, poteva essere fatta valere ex art. 333 c.c. dal
PMM che, tuttavia, non ha presentato ricorso sul punto”. Venne quindi
proposta dal padre (biologico e sociale, ma non giuridico) autonoma
istanza al Pubblico ministero minorile perché procedesse alla richiesta
di tutela: ma il PMM archiviò senza nessuna istruttoria. La questione
è stata superata con un accordo (definita l’azione di disconoscimento, la madre ha consentito al riconoscimento del padre biologico ed è
stato poi presentato ricorso congiunto al Tribunale ordinario ai sensi
dell’art. 337 ter c.c.). Ma le Autorità nazionali non sono state in grado
di garantire la genitorialità sociale – in questo caso del padre anche
biologico – dal 2010 al 2018.
2.6. Il riconoscimento del “nonno sociale”: Cass., ordinanza 28
luglio 2018, n. 19780
La tutela della continuità affettiva non riguarda solo il genitore sociale, ma anche il nonno sociale, che sia coniugato o meno con il nonno
biologico e giuridico.
La Cassazione, con l’ordinanza del 28 luglio 2018, n. 19780 ha
infatti affermato che alla luce dei principi desumibili dall’art. 8 della
Convenzione EDU, dall’art. 24, co 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 2 e 3 Costituzione, il diritto
degli ascendenti azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art.
317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, non
va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di
parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona
che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso coniuge o convi-
1172
The best interest of the child
vente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo a instaurare con i minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo
possa trarre un beneficio su piano della sua formazione e del suo
equilibrio psicofisico.
Nella fattispecie de qua, il ricorso al Tribunale per i minorenni,
volta al ripristino della relazione nonni-nipoti ostacolato da entrambi
i genitori, era stato presentato dal nonno biologico e giuridico e dalla
sua seconda moglie, legata ai nipotini minorenni da una relazione
affettiva ma non giuridica e nemmeno biologica. Il giudice specializzato minorile aveva accolto parzialmente la domanda del nonno,
giuridico e biologico, e aveva dichiarato il ricorso della nonna sociale
inammissibile reputando insuperabile la lettera dell’art. 317 bis c.c.,
che legittima solo gli ascendenti, ossia le persone legate alle minori
da parentela in linea retta.
L’inammissibilità era stata confermata in secondo grado. Ricorsero in cassazione sia il nonno –giuridico e biologico – sia la nonna
sociale.
La Suprema Corte ritiene errato considerare solo il dato letterale
di cui all’art. 317 bis c.c., affermando che la norma deve essere considerata sistematicamente, alla luce delle disposizioni costituzionali
(artt. 2 e 30 Cost.), europee (art. 24 della Carta di Nizza) ed internazionali (art. 8 della CEDU), che formano il nuovo quadro normativo
di riferimento multilivello (art. 117 Cost.) dal quale non si può prescindere. Citando la Corte di Strasburgo per la rilevanza della tutela di cui all’art. 8 CEDU per la relazione nipoti-nonni (Manuello e
Nevi c. Italia, sent. 20.01.2015; Beccarini e Ridolfi c. Italia, 7.12.2017
) sia la Corte di giustizia (Vlacheva c. Babanarakis, 31.05.2018), la
Suprema Corte afferma che “se, dunque, la giurisprudenza europea succitata ha evidenziato la necessità di ampliare il più possibile i contatti del minore con persone appartenenti al suo nucleo
familiare allargato, nella misura in cui tali relazioni si traducono in
un beneficio per l’equilibrio psico-fisico del medesimo, è la nozione
stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla
giurisprudenza” europea.
Essendo la nozione di famiglia una nozione di fatto in cui la relazione è sufficientemente stabile. Pur ripercuotendosi tale nozione
soprattutto nel rapporto genitori-figli, in relazione ai quali la Corte
EDU non opera alcuna distinzione tra legami di sangue e rapporti
“sociali”, purché connotati da una stabile relazione affettiva.
Genitore (e nonno) sociale
1173
3. Maternità surrogata: temi, problemi, provvedimenti
e interesse del minore
3.1. Maternità surrogata tra illiceità della prassi e tutela
dell’interesse del minore nelle relazioni affettive: Corte EDU,
Corte Costituzionale e Sezioni Unite della Cassazione
In materia di maternità surrogata, Strasburgo ha posizione differenziata rispetto ai genitori intenzionali e al figlio minorenne: ritiene
infatti che la relazione dei primi nei confronti del bambino non sia meritevole di tutela ai sensi dell’art. 8 della Convenzione di Roma mentre, viceversa, ritiene necessario che la relazione del figlio con loro,
nel suo esclusivo interesse, se positivamente instaurata, sia protetta
e garantita.
I leading cases sono Corte EDU, Menesson c. Francia e Labassee c. Francia, sentenze entrambe del 26 giugno 2014. Strasburgo ha ritenuto che
le Autorità nazionali avessero ecceduto dal margine di apprezzamento
loro riconosciuto rifiutando di riconoscere il rapporto di filiazione tra
padre biologico e figli nati all’estero (USA) da maternità surrogata nello
Stato in cui i bambini erano nati. Le due coppie avevano esaurito i ricorsi interni e la Cassazione aveva ritenuto, con sentenza del 6 aprile 2011,
che il riconoscimento di rapporti di filiazione avrebbe significato dare
esecuzione a contratti nulli, vietati dall’ordinamento interno per ragioni di ordine pubblico. In ogni caso ai bambini sarebbe stato consentito
di vivere con i genitori non sussistendo quindi violazione, secondo la
Suprema Corte francese, per quel che riguarda il loro diritto alla vita
privata e familiare.
La Corte EDU non ha però condiviso tale impostazione in considerazione del fatto che tra i bambini e i genitori intenzionali si fosse
instaurato un legame affettivo tale da poter essere definito familiare,
ha ritenuto l’ingerenza dello Stato nella vita familiare dei genitori
intenzionali legittima, conformemente alla legge nazionale, in quanto
perseguiva il legittimo scopo della tutela della salute e della tutela
dei diritti e delle libertà altrui. Pur sottolineando, ex latere minoris, il
largo margine di apprezzamento che bisogna lasciare agli Stati relativamente alla maternità surrogata, Strasburgo ha invece rilevato come
il margine di discrezionalità debba essere ridotto quando entrano in
gioco il diritto alla costruzione della propria identità e l’interesse della persona di età minore a veder riconosciuti e tutelati i propri legami
1174
The best interest of the child
familiari sottolineando come il mancato riconoscimento giuridico del
legame di questi con i genitori sociali ne infici vita familiare e identità
sociale.
La violazione da parte della Francia – consistente nell’aver superato
il proprio margine di apprezzamento senza tener conto di the best interest of the child – si è così manifestata nei confronti dei figli minorenni,
violando il loro diritto di identità sociale e alla tutela della relazione
parentale, e non delle coppie che erano ricorse al contratto di maternità
surrogata, nullo per il diritto francese.
Identica prospettiva nel caso di cui alla sentenza Corte EDU, Paradiso e Campanelli c. Italia, 27 gennaio 2015, e poi alla successiva della
Grande Camera, 24 gennaio 2017. Il bambino era nato in Russia con
la pratica di maternità surrogata: era stato registrato in quello Stato,
conformemente alla normativa nazionale, come nato dai due genitori intenzionali. Non sussisteva alcun legame biologico nemmeno con
il padre del bambino, sicché i due coniugi furono sottoposti a procedimento penale e, sul piano civile, fu giudiziariamente confermato il
rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile di trascrivere l’atto di nascita per
contrarietà ai principi di ordine pubblico. Il bambino venne allontanato dopo sei mesi e, quindi, affidato a terzi; fu eliminato dal suo stato
civile il cognome dei genitori intenzionali (e per oltre un anno non gliene fu attribuito altro). I Ricorrenti ricorsero a Strasburgo lamentando
l’allontanamento del bambino, il suo affidamento ad altri e il mancato
riconoscimento della relazione filiale, nonostante si fosse instaurata
una relazione affettiva.
Strasburgo osserva che l’ingerenza delle Autorità nazionali è stata
motivata dall’esigenza di porre termine a una situazione illegittima;
ma rileva che il principio dell’ordine pubblico internazionale non
può essere applicato automaticamente, senza la prioritaria considerazione dell’interesse del minorenne. L’ordine pubblico internazionale non può essere considerato un passe-partout per ogni misura: prioritariamente deve essere tutelato the best interest of the child rispetto
alla relazione con i genitori, che sussista un rapporto genetico o altro.
Allontanare un figlio minorenne dalla propria famiglia è una misura
estrema che può essere giustificata solo da un danno imminente per
il figlio minorenne, il che nel caso concreto non sussisteva. Al contrario, la mera applicazione del principio di ordine pubblico internazionale non può giustificare l’allontanamento di un figlio minorenne
dalla sua famiglia.
Genitore (e nonno) sociale
1175
La sentenza fu riformata dalla Grande Camera circa due anni dopo
(Paradiso e Campanelli c. Italia 24 gennaio 2017) che in realtà conferma la posizione della Corte EDU: nel caso concreto non ritiene infatti
violativo del diritto ex art. 8 CEDU il comportamento delle Autorità
nazionali nei confronti dei genitori intenzionali, ritenendo insussistente per loro la vita familiare e che la violazione della vita privata
sia giustificata dalla contrarietà all’ordine pubblico del loro comportamento. Afferma, per quanto concerne il bambino, che il ricorso non
era stato presentato anche nel suo interesse.
Sul tema della maternità surrogata a distanza di meno di un anno
si è espressa la Corte Costituzionale con sent. 272 del 18 dicembre
2017 in materia di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità che costituisce da un lato ulteriore conferma della rilevanza della continuità affettiva nella prospettiva di the best interest of the
child, dall’altra la particolare intrinseca contrarietà dell’ordinamento
alla pratica della gestazione per altri che tuttavia non cancella the best
interest of the child. La Consulta afferma che anche nel caso dell’impugnazione per difetto di veridicità è ineludibile la valutazione comparativa tra l’interesse alla verità e l’interesse del minore. Vi sono
casi in cui quest’ultimo è valutato a priori dalla legge (come ad es.
nel caso di disconoscimento del figlio nato da PMA eterologa, vietato dalla l. 40/2004) ed altri “in cui il legislatore impone, all’opposto,
l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello
della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo
cancellato”.
Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione è
dunque più complessa della sola alternativa vero/falso. Tra le variabili di cui tener conto, “oltre alla durata del rapporto con il minore e,
quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione” e
la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in
casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra
anche la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro
ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, che “offende
in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Perciò la Corte ha dichiarato non fondata la questione
di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Milano
sull’art. 263 del Codice civile.
1176
The best interest of the child
Infine la Grande Camera della Corte EDU si è espressa sull’argomento il 10 aprile 2019 con il primo parere reso ai sensi del Protocollo 1623.
Secondo la CEDU, si dicono “genitori intenzionali” quelli sociali, perché
hanno l’intenzione di costruire una famiglia tramite maternità surrogata.
Il parere è stato richiesto dalla Corte di Cassazione francese sulla
necessaria o meno trascrivibilità dell’atto di nascita formato legittimamente in uno stato estero, in cui la gestazione per altri è lecita, di un
bambino nato con tale pratica. La Corte EDU, pur non ritenendo non
necessaria la trascrizione di detto atto di nascita, ha affermato che il legame affettivo debba essere tutelato anche con il genitore intenzionale
non biologico, eventualmente tramite l’istituto dell’adozione (nel nostro Paese ai sensi dell’art. 44 l. 184/1983). Il tutto purché le condizioni
previste dalla legge nazionale ne garantiscano l’efficacia e la rapidità
di attuazione, in conformità al superiore interesse del bambino. Strasburgo ha contestualmente invitato la Francia a superare i limiti legati
all’adozione, concessa solo alle coppie sposate e vi sono dubbi sul previo consenso della madre surrogata24.
A meno di un mese dal parere della Corte EDU, le Sezioni Unite
della Suprema Corte, con sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019 in
piena sintonia hanno affermato che il riconoscimento della efficacia
del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante
ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità ex art. 12, 6° comma, L. 40/2004, qualificabile
come principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori
fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto della adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti
prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento
effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può
sostituire la propria valutazione, non esclude la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici quali l’adozione in casi particolari (art. 44, 4° comma,
lett. D), L. n. 184/1983).
23
Parere consultivo sul riconoscimento nel diritto nazionale di una relazione di
filiazione tra un bambino nato in maternità surrogata praticata all’estero e la madre
dell’intenzione» (P16-2018-001).
24
Cfr. http://www.dirittoegiustizia.it/news/17/0000093703/La_CEDU_sui_diritti_del_
minore_nato_da_maternita_surrogata.html
Genitore (e nonno) sociale
1177
Tuttavia il turismo procreativo esiste, e vi sono casi sempre più
numerosi in cui coppie, omo ed etero si rivolgono alla pratica della
maternità surrogata o gestazione per altri in Paesi in cui è ritenuta
lecita. E può anche capitare che, prima della promozione dell’azione
di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, possano intercorrere anni, in cui intanto gli affetti e le consuetudini si
radicano. Ciò anche grazie a un sistema di giustizia frazionato tra
più giudici, in cui ai sensi dell’art. 74 l. 184/198325 la segnalazione
del riconoscimento inveritiero viene effettuata al Pubblico Ministero
minorile. Questi poi segnala al Pubblico ministero presso il Tribunale ordinario il quale richiede a sua volta la nomina di un curatore
speciale che dovrà impugnare il riconoscimento: ciò può succedere
dopo anni di radicamento affettivo26. Né vale il termine di prescrizione ultraquinquennale, perché il curatore agisce come figlio e, quindi,
per lui l’azione è imprescrittibile. Ciò comporta veri e propri casi di
coscienza e drammi familiari: giuridicamente, e per dirla con la Corte EDU, l’equo bilanciamento degli interessi in gioco necessario in
uno stato democratico, può portare comunque alla distruzione di un
mondo affettivo, identitario, relazionale e sociale radicatosi per anni27
di persone di età minore in ragione di dissennate scelte dei loro genitori che ne hanno commissionato la nascita con pratiche illecite? Non
si ravvisa in questi casi l’attuazione dell’antico brocardo summum ius,
summa iniuria?
25
L. 184/1983, art. 74: “Gli ufficiali di stato civile trasmettono immediatamente al competente
tribunale per i minorenni comunicazione, sottoscritta dal dichiarante, dell’avvenuto
riconoscimento da parte di persona coniugata di un figlio naturale non riconosciuto dall’altro
genitore. Il tribunale dispone l’esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicità del
riconoscimento.
Nel caso in cui vi siano fondati motivi per ritenere che ricorrano gli estremi dell’impugnazione
del riconoscimento il tribunale per i minorenni assume, anche d’ufficio, i provvedimenti di
cui all’articolo 264, secondo comma, del codice civile”.
26
In un caso verificatosi nella capitale, il “transito” della pratica da Via dei Bresciani
(sede del Tribunale per i minorenni) a Viale Giulio Cesare (sede del Tribunale
ordinario) e la conseguente nomina del curatore speciale, ha impiegato ben 6
anni!
27
Il riferimento è a un caso concreto in cui i tempi di trasmissione dal Pubblico
Ministero presso il Tribunale per i minorenni alla nomina del curatore speciale da
parte del Presidente del Tribunale ordinario sono stati di ben 6 anni. Il curatore
speciale nel promuovere l’azione ha chiesto la valorizzazione dei legami affettivi
e che, in caso non fosse confermata la genitorialità biologica, il legame parentale
fosse comunque mantenuto se nell’interesse delle figlie minorenni della coppia dei
genitori asseritamente intenzionali.
1178
The best interest of the child
4. Alla ricerca di possibili soluzioni normative
4.1. Possibili soluzioni normative di tutela della genitorialità
sociale nella prospettiva di the best interest of the child:
Convenzione di Strasburgo sulle relazioni personali
del minore e codificazione dei principi giurisprudenziali
La genitorialità e la parentela sociale hanno ricevuto ormai riconoscimento dalla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito, anche secondo le indicazioni della Corte di Strasburgo. Tuttavia
la giurisprudenza di merito (come nei casi citati) non sempre è stata
pronta ad adeguarsi tanto da far ritenere necessaria una riforma legislativa che, nel consacrare normativamente tali situazioni, stabilisca
anche con certezza criteri e limiti di tale tutela, codificando le ormai
numerose pronunce in tale senso.
Sembra insomma venuto il momento di un riconoscimento normativo per evitare disuguaglianze di tutela a seconda della sensibilità del
singolo giudice e anche per evitare il trascorrere di tempi che potrebbero radicare invece situazioni contrarie all’interesse della persona di
età minore, ma che rescindere successivamente potrebbe anche comportare un ancor più grave pregiudizio proprio per la stessa, una volta
radicatisi affetti, consuetudini, identità, relazioni parentali.
Una possibile soluzione potrebbe essere costituita dalle indicazioni
della “Convenzione di Strasburgo sulle relazioni personali del minore”. Tale Convenzione, adottata il 3 maggio 2002 a Vilnius dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, aperta alla firma a Strasburgo
a partire dal 14 ottobre 2002, ha terminato la sua validità nel 2013. Tuttavia potrebbe costituire fonte di ispirazione per il legislatore interno,
anche per altre situazioni che sempre più frequentemente si presentano all’attenzione della giurisprudenza, nazionale e internazionale. Ci si
riferisce in particolare al divieto di libero accesso da parte del genitore
convivente all’altro genitore, fenomeno noto con il discusso termine di
Sindrome da Alienazione Parentale.
La suddetta Convenzione sulle relazioni personali aveva come finalità quella di rafforzare il diritto fondamentale dei minori, dei loro
genitori e delle persone legate al minore da vincoli familiari ad intrattenere relazioni regolari. A questo fine, la Convenzione sulle relazioni
personali, tra l’altro, fissa anche dei principi generali da applicare alle
decisioni in materia di relazioni tra i minori ed i loro genitori o fa-
Genitore (e nonno) sociale
1179
miliari, prevedendo misure di salvaguardia e garanzia per assicurare
l’esercizio adeguato del diritto alla relazione da parte dei soggetti interessati, prima di tutto i genitori.
4.2. …segue… Possibili soluzioni di tutela…
Maternità surrogata: tutela di the best interest diversificata
come categoria e nel singolo caso
Certamente la maternità surrogata o gestazione per altri è prassi ex
se contraria all’interesse della persona di età minore: molto è stato detto
e scritto sulla assoluta contrarietà di tale prassi alla dignità della donna
gestante, ridotta ad incubatrice vivente, di solito soggetto vulnerabile che si presta alla pratica per fragilità economica. Sulla contrarietà
all’interesse della persona di età minore si è sostanzialmente posto l’accento al fraudolento superamento della normativa sull’adozione, volta
a dare alla persona di età minore una famiglia idonea, scelta in base ai
canoni di legge, quando è priva della propria. Ma vi sono anche altri
aspetti che non sono considerati: la vita intrauterina è il primo grande
momento di sviluppo psico-fisico del bambino, che si “nutre” anche
dello scambio psicologico con la madre. Tale vita intrauterina non è
neutra e indifferente alla sua crescita, alla capacitazione delle sue potenzialità. Se priva di stimoli affettivi, come probabilmente è quella in
una donna gestante che espleta una funzione meramente contrattuale
e non ha alcuna intenzione di radicare una consuetudine affettiva per
quel feto che porta in grembo e che resterà estranea alla sua vita, per la
quale non ha alcun progetto di genitorialità, è di per sé pregiudizievole
per la persona di età minore che in quella gestazione si forma. Inoltre
viene violato il suo diritto alla dignità, per la mercificazione della sua
persona che è parte costitutiva dell’accordo e sua causa; del suo diritto
all’identità, nella negazione della conoscenza delle sue origini. Ancora
non viene adeguatamente tutelato il suo diritto alla salute psico-fisica
anche in relazione alla anamnesi familiare, che tanto ha rilievo per ciò
che è la predisposizione genetica ad alcune situazioni patologiche.
La pratica della maternità surrogata è quindi al di fuori di qualsiasi
contesto di civiltà giuridica, anche nell’interesse della persona di età
minore e non solo della gestante, violativa di suoi diritti fondamentali.
Per ciò stesso è contraria all’interesse della persona di età minore come
categoria, perché la sua legittimazione comporterebbe un vulnus ai diritti fondamentali di tutte le persone di età minore.
1180
The best interest of the child
Tuttavia, nel caso concreto di ogni bambino nato da questa pratica,
è altrettanto innegabile che la situazione affettiva e sociale di fatto che
si viene a creare tra persona di età minore e genitori intenzionali – una
volta radicatisi positivi affetti, consuetudini anche educative, identità
sociale e relazionale – non può essere rescissa senza ulteriore danno
per il bambino che si troverebbe ad essere orfano due volte, con una
ferita interna difficilmente rimarginabile e una grave compromissione
del suo miglior sviluppo psico-fisico che coincide con the best interest.
Allora vi è da considerare se una possibile tutela non sia da attuare
che su due diversi fronti e diversificata, riguardando al criterio nell’interesse della categoria delle persone di età minore da una parte e della singola persona di età minore nata dalla pratica dall’altra: ex ante,
comminando per tale pratica severe rilevantissime sanzioni pecuniarie
(da destinarsi a un fondo per l’infanzia) quale deterrente e quale pena
concreta per chi – avvalendosene – travalica il limite di intrinseca antigiuridicità della prassi; ex post tutelando e garantendo la relazione, se
ed in quanto costruitasi in modo positivo per lo sviluppo psico-fisico
di quel minore nato con tale pratica con i suoi genitori intenzionali,
tramite adozione come d’altronde indicato sia dalla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo sia dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Bibliografia
Magno G., Il minorenne è portatore di un semplice interesse, oppure è titolare di
diritti?, in MinoriGiustizia, 2/2011, p. 28-38
Morozzo della Rocca P., Il diritto alla vita familiare di un bambino piccolo affidato,
in MinoriGiustizia, 3/2010, p. 248
Due modelli giurisprudenziali e due ipotesi
a confronto in tema di continuità affettiva
Rosita Lifrieri
Sommario: 1. Il caso Moretti e Benedetti c. Italia. – 2. La legge 19 ottobre
2015, n. 173. – 3. Il caso del Tribunale di Salerno per i Minorenni. – 4.
Il diritto alla continuità affettiva: il ruolo del genitore sociale. – 5. Conclusioni.
1. Il caso Moretti e Benedetti c. Italia
Il diritto dei minori affidati a conservare la continuità affettiva con la
famiglia affidataria costituisce una questione preminente nel panorama della giurisprudenza minorile.
Ad obbligare il sistema statale a riflettere verso una spinta al rinnovo della materia fu la nota sentenza Moretti e Benedetti c. Italia1.
La vicenda trae origine dall’affidamento temporaneo, ai coniugi
Moretti e Benedetti, di una neonata abbandonata dalla mamma tossicodipendente subito dopo la nascita, a seguito della decisione del
Tribunale per i Minorenni di Venezia.
Il 26 ottobre 2004 i ricorrenti presentano una domanda di adozione
in casi particolari, ex art 44, lett.
d) l. 184/1983, per constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Le autorità però non danno nessun riscontro a questa domanda,
cosicché i ricorrenti ritirano la domanda di adozione speciale.
Nel 2005 il Tribunale per i Minorenni, inizia a svolgere ricerche,
per individuare una famiglia adottiva, diversa da quella dei ricorrenti
affidatari, tanto da respingere sia la prima che la seconda domanda di
adozione dei sig.ri Moretti e Benedetti.
1
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 27.4.2010, n. 16318.
1182
The best interest of the child
La scelta della nuova famiglia viene giustificata dall’interesse superiore del minore2.
I ricorrenti propongono appello ma la Corte d’Appello, non annulla il decreto di affidamento ad una nuova famiglia, consentendo l’adozione a quest’ultima, in virtù dell’interesse superiore del minore.
I coniugi allora successivamente adiscono la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art 8 CEDU che tutela il rispetto alla vita privata
e familiare; dell’art 6 CEDU (diritto ad un equo processo); dell’art. 13
CEDU (diritto ad un ricorso effettivo).
La Corte condanna l’Italia perché, dal punto di vista procedurale,
non è stata valutata tempestivamente la domanda di adozione in casi
particolari della coppia affidataria e per violazione dell’art 8 CEDU. Il
rapporto instaurato tra la bambina e la famiglia affidataria rientra nella
nozione di vita familiare privata, in quanto la coppia, pur in assenza di
un rapporto giuridico di parentela, ha vissuto con la minore importanti tappe della vita di lei e per un tempo apprezzabile.
Il caso Moretti e Benedetti c. Italia, ha rilevato una vera e propria falla
nel sistema e cioè il diritto del bambino a non vedere violato il rapporto
affettivo con coloro che lo hanno cresciuto o allevato fino all’adozione.
Per far fronte a questa problematica è stata introdotta la legge n.
173/2015, tesa ad apportare modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 1843,
al fine di valorizzare la continuità affettiva e le relazioni familiari.
2. La legge 19 ottobre 2015, n. 173
Con la legge n. 173/2015 si stabilisce un importante principio: il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare4.
Ciò in quanto la permanenza in un nucleo familiare, di minori dati in
affidamento familiare, perché temporaneamente privi di un ambiente
2
Il principio del superiore interesse del minore è stato espressamente previsto per
la prima volta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989,
nell’art 3, par. 1 secondo cui: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza
delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità
amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una
considerazione preminente”.
3
La l. 1983, n. 184 è stata modificata dalla l. 149 del 2001: “Modifiche alla legge 4 maggio,
1983, n. 184”, recante: “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori,
nonché al titolo VIII del libro Primo del codice civile”.
4
V. M. Velletti, Interesse del minore e genitorialità” consultabile su: www.treccani.it/
enciclopedia/interesse-del-minore-e-genitorialità.
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1183
familiare idoneo in cui vivere e crescere, crea legami che prescindono
dai caratteri formali dei singoli istituti giuridici5 . Pertanto i giudici
nazionali non possono non tenerne conto.
In questo senso l’art. 1 della legge n. 173/2015 prevede l’inserimento nell’art. 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184 del comma 5-bis. Qualora
durante un periodo prolungato di affidamento, il minore sia dichiarato
adottabile e sussistono i requisiti previsti dalla legge, la famiglia affidataria chiede di poterlo adottare, il Tribunale per i Minorenni nel decidere
sull’adozione, tiene conto dei legami significativi e del rapporto affettivo
stabile e duraturo, consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria.
Altresì anche se il minore fa ritorno nella famiglia d’origine oppure
viene dato in affidamento ad un’altra famiglia, le relazioni socio-affettive consolidate tra questo e gli affidatari, devono essere mantenute
positivamente (comma 5-ter). Dunque il rapporto affettivo tra la famiglia affidataria ed il minore, è di particolare rilevanza se risponde
all’interesse di quest’ultimo, al the best interest of the child.
Il principio del the best interest of the child esprime protezione, tutela
nei confronti del fanciullo, motivo per cui, è fondamento delle decisioni giurisdizionali6. Il giudice, deve infatti, ai sensi dell’art. 1 della
legge n. 173/2015, tener conto delle valutazioni documentate dai servizi sociali, successive all’ascolto del minore7 (comma 5-quater). Una
disposizione questa che si pone in correlazione con quanto previsto
dal combinato disposto degli artt. 336-bis c.c. e 38-bis disp.att. c.c8.
5
Sull’affidamento familiare C.M. Bianca, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione,
consultabile su www.juscivile.it, rileva che “L’affidamento ha, e deve conservare, una
presenza centrale nell’area delle forme di intervento a favore dei minori, ma occorre
che ne sia garantita l’applicazione conforme alla sua funzione. Pure se previsto per
sopperire alle situazioni in cui il minore è temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo, l’affidamento familiare inserisce il minore in una famiglia, che
deve assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive
di cui ha bisogno (art .2¹ l. adoz).Gli enti e le strutture giuridiche non sono in grado
di assolvere questi compiti e soprattutto non sono in grado di prestare quella cura
affettiva che può essere prestata solo attraverso uno stabile rapporto personale. Di
questa cura il minore ha bisogno essenziale per la sua crescita armoniosa”.
6
V. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Rivista di diritto civile, 1/ 2016,
p. 88: “Il giudice deve infatti scegliere la miglior soluzione per la vita futura di un
determinato minore; deve tener ovviamente conto degli eventi passati, accertati nel
corso dell’istruzione probatoria, ma la sua decisione è rivolta al futuro”.
7
Tra le innumerevoli pronunce si veda, ad esempio, Corte eur. dir. uomo, Gnahore c.
Francia, ricorso n. 40031/98, in cui si afferma che “child’s interest must come before all
other considerations” (par. 59).
8
V. M. Velletti, in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano,
2014, p. 137 ss.
1184
The best interest of the child
L’ascolto, in siffatto quadro normativo, si inserisce tra i diritti inviolabili9 della persona minore di età, costituendo un vero e proprio diritto soggettivo assoluto (valevole erga omnes) di quest’ultimo10. Dalla
nozione di diritto soggettivo11,quale posizione giuridica di vantaggio,
riconosciuta ad un soggetto per tutelare un suo interesse, può ricavarsi
che: il contenuto che identifica la posizione del titolare è l’esercizio delle facoltà, delle pretese del minore; l’interesse si identifica invece nel
fatto che le opinioni liberamente espresse dal minore12 devono avere
valore preminente, al fine di garantire il suo sano sviluppo psicofisico.
3. Il caso del Tribunale di Salerno per i Minorenni
Tuttavia, c’è da dire che sul piano pratico-operativo occorre riconoscere come delle volte la vita ci possa mettere dinanzi all’analisi di casi
peculiari, casi limite.
Il riferimento va ad una sentenza del Tribunale di Salerno13 per i
Minorenni, la quale ha suscitato una grande risonanza mediatica.
La madre naturale di una bambina, dall’età di cinque mesi, lascia
quest’ultima ad una tata, da lei assunta alle proprie dipendenze.
La signora che avrebbe dovuto fare da tata alla minore, solamente
per qualche ora al giorno e guadagnare qualcosa, si ritrova ad accogliere e accudire gratuitamente la minore a tempo pieno.
A prendersi cura della minore sono la tata e il marito, in quanto la
madre naturale alterna periodi di assenza e di visite saltuarie.
Dopo circa un anno il presunto padre, di origini straniere, con l’intento di conoscere il minore, chiede di vederlo un’unica volta.
Proprio in quell’occasione gli scatta delle foto e dichiara di volerle
caricare su Internet.
A questo punto i due coniugi (tata e marito) iniziano a preoccuparsi
per la minore. Una preoccupazione che viene amplificata dalla richie9
Art. 24 Carta di Nizza, rubricato: “Diritti del minore”.
10
Sul tema si veda lo scritto di G. Ballarani, L’ascolto come diritto soggettivo assoluto del
minore”, in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p.
131 ss.
11
V. C.M. Bianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2018, p. 59.
12
Cfr. Corte Eur. Dir. Uomo, Pini e Bertani c. Romania 22 settembre 2004, par. 164: “The
children’s interests dictated that their opinions on the subject should have been taken into
account once they had attained the necessary maturity to express them”.
13
V. nota di A. De Luca – O. Caponigro, in Diritto 24, 2017 a S.T rib. min. Salerno, 22
dicembre 2016, n. 82.
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1185
sta della madre naturale di ottenere un certificato valido per l’espatrio
della bambina.
Forte è il desiderio, dei coniugi, di denunciare il tutto alle autorità,
ma la paura è che la minore possa essere collocata presso una casa
famiglia, o possa tornare dalla madre o dal padre naturale. La prima
inadeguata; il secondo ambiguo.
Nel 2004 i coniugi chiedono alla madre naturale di prestare il consenso per l’affidamento legale in loro favore.
La risposta è negativa poiché il presunto padre biologico intende
portare nel suo paese la minore.
Allora i coniugi, temendo il peggio per la bambina (vendita di organi, pedofilia), presentano un esposto alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale per i Minorenni.
Contemporaneamente avanzano istanza di affidamento a tempo
indeterminato.
A seguito dell’esposto però emerge che i coniugi hanno omesso di
denunciare lo stato di abbandono, entro i sei mesi14. Rischiano così di
essere inidonei per una futura adozione.
Dall’attività istruttoria, si evince in primo luogo l’irrilevanza penale
della condotta dei coniugi collocatari15.
In secondo luogo si ricava la condotta di abbandono della madre
naturale e del presunto padre biologico.
Ciò porta ad un provvedimento di decadenza della responsabilità
genitoriale di entrambi i genitori, ai sensi dell’art 330 c.c., secondo cui il
giudice può pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale
quando il genitore viola o trascura i doveri16 ad essa inerenti oppure
abusa dei relativi poteri17, arrecando un grave pregiudizio al figlio.
Altresì entrambi i genitori naturali sono convenuti in un procedimento penale per abbandono del minore18.
14
Art. 9 co. 4° legge 184/1983 “Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie
stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un
periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice
tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa.
L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari
o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare”.
15
Cfr. artt. 71 e segg. l. 184/1983.
16
Cfr. l’art. 147 c.c. “Doveri verso i figli”; art. 30 Cost.
17
Cfr l’art. 320 c.c. in tema di rappresentanza e amministrazione.
18
V. per alcune osservazioni critiche C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, Milano, 2017, p. 460 ss.
1186
The best interest of the child
Con il passare del tempo la bambina, instaura un rapporto affettivo
importante con la famiglia affidataria, tanto da chiamare mamma e
papà i coniugi collocatari; imita i figli di questi ultimi e li considera
come se fossero fratelli, sorelle.
Orbene, il Tribunale per i Minorenni, con provvedimenti provvisori e successivamente alle valutazioni e verifiche degli assistenti sociali,
dispone la collocazione temporanea della minore presso i coniugi denuncianti, con inibizione dei genitori naturali a far visita alla minore.
Tuttavia i coniugi collocatari rischiano, ai fini dell’adozione, di non
risultare idonei per i seguenti motivi:
essi hanno omesso di denunciare lo stato di abbandono nei termini stabiliti dalla legge; godono di un patrimonio economico limitato,
costituito da scarse risorse economiche; non possiedono il requisito di
età del limite massimo di quaranta anni19 tra loro ed il minore; manca
l’assenso dei genitori naturali all’adozione20.
La coppia affidataria allora presenta istanza di adozione in casi
particolari, ex legge 184/1983. Presupposti dell’istanza sono da un lato
l’impossibilità dell’affidamento preadottivo, ex art. 44 lett. d), dall’altro i
principi sulla continuità degli affetti, previsti dalla legge n. 173 del 2015.
Tuttavia occorre dire che ai sensi dell’art 46, co. 2°, l. 184/1983, il giudice può pronunciare ugualmente l’adozione, a prescindere dal rifiuto
dei genitori naturali, essendo questi ormai decaduti dalla responsabilità genitoriale.
Riguardo poi il requisito del sopracitato limite di età di 40 anni tra
i coniugi adottanti ed il minore, non può non tenersi conto dell’intervento della Corte Costituzionale, con sentenza n. 283/199921.
19
Art. 6 co. 2° legge 184/1983: “L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non
più di quaranta anni l’età dell’adottando”.
20
V. riflessioni di T. Auletta, La famiglia rinnovata: problemi e prospettive, in C.M.
Bianca – M. Malagoli – Togliatti A.L. Micci, Interventi di sostegno alla genitorialità
nelle famiglie ricomposte, Milano, 2005, p. 53 ss.
21
La citata sentenza del 1999 riguarda il rigetto, da parte della Corte d’Appello di
Roma, dell’istanza di adozione dei ricorrenti, nonché aspiranti alla dichiarazione
di idoneità all’adozione di un minore straniero, perché la differenza di età tra essi
e il minore era superiore a quaranta anni. La Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, secondo comma, della l. 1983 n. 184, nella parte
in cui non prevede che il giudice può disporre l’adozione, valutando esclusivamente
l’interesse del minore , quando l’età dei coniugi adottanti supera di oltre quaranta
anni, l’età dell’adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che
di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla mancata adozione deriva un danno
grave e non evitabile per il minore.
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1187
La Corte Costituzionale ha stabilito che tale differenza massima di
età non può essere considerata un requisito assoluto.
Per tutte queste ragioni, il Tribunale per i Minorenni, accoglie l’istanza di adozione, ex art. 44 lett. d) legge 1983/184, presentata dai coniugi affidatari.
Nello specifico l’adozione del minore in casi particolari, in favore
dei coniugi affidatari, è dichiarata considerato22 che: i ricorrenti hanno
già da tempo in affidamento la minore e che questa ha stabilito con
loro e con l’intero nucleo familiare un rapporto affettivo estremamente
significativo. Giorno per giorno, si è indebolito invece, il legame affettivo con la famiglia naturale.
Considerato che i genitori naturali sono decaduti dalla responsabilità genitoriale e che pur mancando l’assenso degli stessi all’adozione,
può comunque essere pronunciata l’adozione in casi particolari, dovendosi considerare il rifiuto contrario all’interesse dell’adottanda. Rifiuto ingiustificato anche alla luce del disinteresse mostrato dalla madre e dall’irruzione tardiva, nella vita della minore, da parte del padre.
Altresì l’accoglimento dell’adozione in casi particolari risulta essere
avallata dalle relazioni dei servizi sociali, dal curatore della minore.
Inoltre il tribunale per i minorenni, per le ragioni illustrate, conclude
disponendo che la bambina deve assumere come primo cognome quello dei coniugi, anteponendolo al proprio (art. 299 c.c.; art. 55 l. adoz.).
L’analisi del caso illustrato, fa capire che è interesse primario del
minore custodire il rapporto affettivo che egli ha instaurato con chi,
come un arciere, lo ha aiutato nel volo della crescita, inquadrando
come unico bersaglio il suo sano sviluppo psicofisico.
A tal riguardo Kahlil Gibran ci dice che i figli non sono proprietà
dei loro genitori ma come frecce volano verso il futuro23. In altre parole, secondo l’autore, i figli pur venendo al mondo grazie ai genitori
e ricevendo da questi tutto l’amore necessario, non vi appartengono. I
figli sono della vita stessa e il genitore, così come l’arciere che si preoccupa di lanciare la sua freccia il più lontano possibile, si preoccupa
di accompagnare il figlio lungo il percorso della vita, affinché possa
essere autonomo nella propria esistenza e raggiungere i traguardi personali più importanti.
22
Tribunale per i Minorenni di Salerno, 22 dicembre 2016, n. 82.
23
V. Il Profeta di Kahlil Gibran, New York, 1923.
1188
The best interest of the child
4. Il diritto alla continuità affettiva: il ruolo del genitore
sociale
Oggigiorno, alla luce dei numerosi casi di affidi familiari, sorge
spontaneo chiedersi: come mai “l’arciere” non è necessariamente e solamente colui che genera il figlio, ma anche chi instaura con il minore
un rapporto stabile e duraturo?
L’espressione “rapporto stabile e duraturo”24 è pero un’espressione troppo ampia che finisce con il comprendere un’ampia categoria di
persone: zie, amici di famiglia oppure tate, proprio come nel caso del
Tribunale per i Minorenni di Salerno.
Dunque la domanda che occorre porre all’interprete è la seguente:
fino a che punto il rapporto affettivo, sicuramente importante e rilevante per il minore, può tramutarsi in rapporto giuridico?
Il quadro normativo appare investito da un problema fisiologico
che riguarda il mantenimento e la responsabilità genitoriale.
Il genitore sociale deve mantenere?
Il genitore sociale deve garantire la continuità nella casa di abitazione?
In considerazione dell’adozione in casi particolari, se il minore è
adottato da due coniugi o dal coniuge del genitore25: la responsabilità
spetta ad entrambi. Il principio della condivisione della responsabilità si rinviene nell’art. 48 della legge sull’adozione. Tale articolo al 1°
comma, prevede che se il minore è adottato da due coniugi o dal solo
coniuge del genitore, la responsabilità genitoriale26 ed il relativo esercizio, spettano ad entrambi.
Al 2° comma, prosegue stabilendo che, in ossequio all’art 147 c.c.,
l’adottante ha l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo.
Ciò costituisce la ratio del procedimento riguardante l’adozione in
casi particolari, il quale richiede appunto che il tribunale verifichi le
condizioni e i requisiti legali dell’adottante. A quest’ultimo spettano
i doveri di cui all’art. 315-bis c.c.: il figlio ha diritto ad essere educato,
mantenuto, assistito moralmente nel rispetto delle sue capacità.
24
Il riferimento è all’art. 1, l. n. 173 del 2015.
25
Art. 44., l. 184/1983 lett. b), secondo cui i minori possono essere adottati “dal coniuge
nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”: c.d. stepchild adoption.
26
Il concetto di responsabilità genitoriale, ha sostituito quello di potestà ed è stato
introdotto dal d.lgs. n. 154 del 2013, che ha modificato l’art. 316 c.c. rubricato
“Responsabilità genitoriale”. Per ulteriore approfondimento sul tema si veda M.
Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014.
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1189
Pertanto è necessario verificare i motivi dell’adozione, l’ambiente
familiare e le condizioni personali, economiche degli adottanti, nonché
la loro capacità di educare, istruire i figli.
Emerge in primo luogo come a fondamento della sopracitata responsabilità genitoriale, prevista dalla legge 1983 n. 184, vi è il rapporto coniugale, con la conseguenza che il minore non può essere adottato da
coloro che sono conviventi di fatto27. Infatti l’art. 294 c.c. stabilisce al 2°
comma che nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo
che gli adottanti siano marito e moglie. Tale articolo è applicabile anche
all’adozione in casi particolari, come risulta dall’art. 55 legge 1983, n. 184.
In secondo luogo è preclusa l’adozione in casi particolari anche da
parte di coloro che sono uniti civilmente. L’art. 1. co. 20 della legge 20
maggio 2016, n. 76 esclude che le norme disciplinanti l’adozione possono essere applicate agli uniti civili28.
Tuttavia la giurisprudenza, in virtù dell’interesse superiore del minore, ha ammesso che il convivente può adottare (ai sensi dell’art 44,
lett. d), legge 1983 n. 184) il figlio dell’altra persona convivente dello
stesso sesso29 . Risultano così tutelati i legami affettivi instaurati tra il
27
V. proposta di legge Marzano “Modifiche alla legge 4 maggio in materia di adozione
dei minori da parte delle famiglie e delle persone singole affidatarie”, presentata l’8 aprile
2015 in cui si osserva: “la famiglia affidataria può infatti fare domanda di adozione
– prevedono i progetti di legge – solo se sussistono i requisiti previsti dall’articolo
6 della legge n. 184 del 1983, ossia solo nel caso si in cui si tratti di coniugi uniti
in matrimonio da almeno tre anni. E i bambini affidati a famiglie con coppie
conviventi? E i bambini affidati a persone singole? Non stabiliscono anch’essi legami
affettivi che meriterebbero di essere preservati? Come spiegare loro che, nel caso in
cui siano stati affidati a una coppia sposata tutto andrà bene, forse resteranno con
essa e non saranno costretti a ricominciare con altre famiglie, mentre nel caso in
cui siano stati affidati a una coppia non coniugata o a una donna o a un uomo che
vivono da soli non hanno garanzie per il futuro, i loro legami affettivi non valgono
nulla e dovranno cominciare tutto di nuovo presso un’altra famiglia?”.
28
V. i commenti a questa parte della norma di M. Bianca, in C.M. Bianca (cur.), Le
unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 271. Si veda anche, in senso contrario alla
legge 20 maggio 2016, n. 76, la proposta di legge Rosato n. 630, “Modifiche alla legge
4 maggio 1983, n. 184 e delega al Governo per la revisione delle disposizioni concernenti
l’affidamento e l’adozione di minori”, presentata il 15 maggio 2018. Tale proposta
estende, all’art 44 legge 1983, n. 184, lett. b), la possibilità di adozione, all’unito
civilmente, al convivente di fatto, nel caso nel caso in cui il minore sia figlio dell’altro
unito civilmente o del convivente di fatto, previo accertamento del significativo
legame affettivo tra adottato e adottante.
29
Sentenza Tribunale Minorenni di Roma, 30 luglio 2014, n. 299 avente ad oggetto
l’adozione in casi particolari di una bambina, nata a seguito di un progetto di
procreazione assistita, intrapreso da due donne conviventi, iscritte nel Registro delle
Unioni Civili e che hanno contratto matrimonio in Spagna. L’adozione proposta
dalla donna ricorrente e riguardante la figlia della propria convivente è stata accolta,
1190
The best interest of the child
minore e il convivente, quale partner del genitore biologico; il requisito
del vincolo coniugale è superato, venendosi a prospettare la richiesta
di adozione del partner, come una richiesta da parte di persona singola,
per impossibile affidamento preadottivo del minore, ex art. 44, lett. d,
legge 1983, n. 18430.
La Suprema Corte di Cassazione31, quale faro illuminante sul punto, ha chiarito che, nel caso dell’adozione ex art. 44 legge 1983/184 lett.
d), “si prescinde dal preesistente stato di abbandono del minore ed è
sufficiente” l’impossibilità di diritto “di procedere all’affidamento preadottivo del minore”. Possono quindi accedere a tale adozione persone
singole o coppie di fatto, senza che la verifica dei requisiti determinati
dalla legge sia influenzata dall’orientamento sessuale del richiedente,
della coppia. La Corte aggiunge che nel caso di specie la domanda di
adozione della partner della madre biologica, con la quale ha intrapreso una stabile convivenza, non genera in astratto nessun conflitto tra
genitore sociale e adottando; un eventuale conflitto deve essere accertato dal giudice32. Ratio legis è assicurare il mantenimento dei rapporti affettivi significativi per il minore con la famiglia omosessuale che
lo ha cresciuto; a ciascun bambino, sia con due mamme, sia con due
papà, occorre garantire eguale tutela.
Proseguendo, non appare superfluo precisare, che il genitore legato da vincolo di sangue con il minore ha l’obbligo alimentare verso
quest’ultimo; è dispensato invece dall’obbligo di mantenimento33, eccetto il caso in cui vi sia sopravvenuta insufficienza dei mezzi dell’adottante e del coniuge. Ciò trova una valida giustificazione, considerata la
natura dell’adozione in casi particolari che è volta a non interrompere i
rapporti tra minore e famiglia d’origine. A tal proposito l’art 315-bis, 3°
comma, c.c., specifica che il figlio ha diritto a mantenere rapporti signiin quanto risponde all’interesse superiore della minore, essendosi negli anni tra la
minore e la ricorrente, creato un rapporto affettivo stabile e solido.
30
Sul punto C.M. Bianca, Diritto Civile 2.1, cit., p. 504, rileva che “questa configurazione
urta contro il testo della norma , che fa riferimento alla constatata impossibilità
di affidamento preadottivo, cioè alla accertata impossibilità di fatto del minore
dichiarato in stato di adottabilità di essere accolto da una famiglia in adozione”;
si consideri anche A. Morace Pinelli, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le
convivenze, Torino, 2017, p. 314 ss. V. anche A. Bellelli, in C.M. Bianca (cur.), Le
unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 321 ss.
31
Cass. 22 giugno 2016, n. 12962.
32
In senso contrario Trib. Min. Milano, 17 ottobre 2016, n. 261.
33
V. Cass. 30 gennaio 1998, n. 978.
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1191
ficativi con i parenti34. Tuttavia dall’applicazione del 3° comma dell’art.
315-bis c.c., rileva però un’importante criticità: ai minori, adottati con
il procedimento dell’adozione in casi particolari, è precluso il legame
di parentela dei membri appartenenti alla famiglia, della madre o del
padre, sociale. Una preclusione, questa, che sembra essere ingiusta se
si considera la Riforma della Filiazione del 2012 (legge n. 219, 10 dicembre). Essa ha proclamato l’uguaglianza dello status filiationis35; ha
modificato l’art. 74 c.c. sulla nozione di parentela, aggiungendo che
per parentela deve intendersi il vincolo tra persone che discendono
da uno stesso stipite, sia nel caso di filiazione legittima, sia nel caso di
filiazione naturale, sia nel caso di filiazione adottiva.
Da ultimo, ove non si voglia o non si possa procedere con l’adozione in casi particolari, il genitore sociale non ha alcun titolo per esercitare la responsabilità genitoriale.
Sul complesso tema della responsabilità genitoriale nel 2015 è stato
presentato il disegno di legge 16 febbraio 2015 n. 1320 intitolato: “Modifiche al codice civile in materia di delega dell’esercizio della responsabilità
genitoriale”36. Il presente disegno di legge nasce con l’intento di riconoscere al genitore non biologico, rispetto ai bambini che crescono in nuclei familiari atipici, alcuni diritti e doveri volti ad assicurare il pieno sviluppo
del minore. Tali diritti devono essere espressamente delegati dal genitore
naturale attraverso un atto, soggetto ad autorizzazione del tribunale.
Cosi l’art. 1 del disegno legge n. 1320/2015 prevede nel libro primo
del codice civile, dopo il titolo VII, l’inserimento del Titolo “VII-bis”:
“Della delega all’esercizio della responsabilità genitoriale”, ed i successivi artt.: 290-bis (requisiti e forma della delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale); 290-ter (effetti della dichiarazione); art.
290-quater (provvedimenti nei confronti del minore)37.
Sostanzialmente ciò che si evince dalla lettura delle sopramenzionate norme giuridiche è l’applicazione, nei confronti del soggetto delegato, delle norme del codice civile relative all’esercizio della responsabilità, dell’amministrazione e della rappresentanza, eccetto quelle
34
V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, cit., p. 230.
35
V. M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012”,
in Giustizia Civile, 2013, Fasc. 5-6.
36
Disegno di legge a cura dei senatori Manconi, Palermo e Lo Giudice, presentato in
data 19 febbraio 2014; assegnato (non ancora iniziato l’esame) alla 2° Commissione
permanente (Giustizia) in sede referente il 16 febbraio 2015.
37
www.senatodellarepubblica.it
1192
The best interest of the child
dell’usufrutto legale. Nel caso in cui la persona delegata o il genitore,
vengano meno agli obblighi derivanti dalla delega dell’esercizio della
responsabilità genitoriale, i genitori esercenti a responsabilità genitoriale possono proporre ricorso al tribunale al fine di ottenere l’adempimento degli specifici obblighi. Conseguentemente al soggetto delegato può essere riconosciuto un tempo per far visita al minore, in virtù
dell’interesse del minore e del suo diritto alla continuità affettiva.
Emerge quindi chiaramente nel diritto interno, l’intento del legislatore di riconoscere un diritto alla continuità affettiva, di cui alla legge
n. 173 del 2015, a tutela dell’interesse superiore del minore; al contempo però non si offre un rimedio come risulta dalla mancata approvazione del disegno di legge n. 1320/2015.
Inoltre occorre aggiungere, che nella pratica, si sono registrati dei
casi in cui, né il tribunale, né i servizi sociali, hanno fornito delle indicazioni da osservare, per assicurare la continuità degli affetti, tra il minore e la famiglia, che lo ha avuto in affidamento per un determinato
periodo di tempo.
La regolamentazione delle modalità e dei tempi di visita tra il bambino e gli ex affidatari, è stata così assoggettata alla discrezionalità dei
nuovi referenti38. Il diritto quindi alla continuità affettiva previsto dalla
legge n. 173/2015 nel concreto necessità di un’applicazione più omogena, volta ad eliminare ombre e penombre sulla materia trattata.
Diverso è il panorama del diritto internazionale. Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, fermo restando che la competenza
regolamentare in materia è degli Stati Membri39, il concetto di vita familiare, di cui all’art 8 CEDU, deve includere tutti quei legami affettivi
stabili e duraturi, preminenti per l’interesse del minore, a prescindere
dai vincoli formali e di sangue. Restano esclusi invece, avendo un’importanza secondaria, tutti quei legami tesi ad attuare unicamente lo
sviluppo della vita familiare dei referenti del bambino. A testimonianza di ciò si ricorda la nota sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia40. La
38
Per queste riflessioni si rinvia al volume “La continuità degli affetti nell’affido familiare”,
documento elaborato dal Gruppo di lavoro sulla continuità degli affetti nell’affido
familiare, attivato nell’ambito della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni,
istituita e presieduta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Roma, 21
dicembre 2017.
39
V. Art. 8 Convenzione sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 novembre 1989,
ratificata dall’Italia con la legge del 27 maggio 1991 n. 176.
40
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 gennaio 2017(ricorso n.
25358/12).
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1193
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che nella valutazione di tutti gli interessi, sottesi al caso in esame, quello che occupa uno
spazio maggiore è l’interesse del minore; dovendosi invece attribuire
un’importanza inferiore all’interesse dei ricorrenti, allo sviluppo della
propria vita personale, attraverso la relazione con il minore41. Nella
suddetta causa, la Corte è giunta a queste conclusioni, tenuto conto
della mancanza di un legame biologico e di un solido rapporto affettivo tra i ricorrenti e il bambino.
Iniziando dal primo fattore è cioè dalla mancanza di un legame biologico, il bambino, è nato da un embrione ottenuto da una donazione
di ovociti e di sperma, da parte di donatori sconosciuti. Il bambino è
stato poi partorito da una donna in Russia che ha rinunciato ad ogni
diritto su di lui. A seguito i ricorrenti hanno pagato una determinata
somma di denaro per ricevere il minore. In questo caso emerge la cosiddetta genitorialità di intenzione. Sono genitori di intenzione coloro
che desiderano diventarlo, partecipando a vario titolo al procedimento
di nascita, pur in mancanza del dato biologico42. La figura del genitore
di intenzione assume rilievo solo quando la persona in questione è
divenuta genitore sociale, in virtù del forte e stabile rapporto affettivo,
instaurato con il minore43.
Rapporto affettivo stabile e duraturo che, secondo la Corte, nella vicenda Paradiso e Campanelli, manca44. Il bambino infatti ha trascorso
solo qualche mese (8 mesi) con la coppia, poi è stato collocato presso
41
Importante passaggio di quel parere si rinviene al par. 215: “Toutefois, l’intérêt général
en jeu pèse lourdement dans la balance, alors que, comparativement, il convient d’accorder
une moindre importance à l’intérêt des requérants à assurer leur développement personnel
par la poursuite de leurs relations avec l’enfant.”.
42
Così testualmente M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite, Ordine
pubblico versus superiore interesse del minore ?, in Familia, 2019, p. 383.
43
Sul punto M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite, Ordine pubblico versus
superiore interesse del minore ?, cit. p. 383 ss.
44
Al contrario sul punto la Corte Europea dei Diritti dell’uomo nella pronuncia del
25/01/2015, riguardo il caso Paradiso e Campanelli, ha affermato che le autorità
italiane, nel disporre la collocazione del bambino presso i servizi sociali, hanno
violato l’art 8 CEDU. Il bambino, nato a seguito di maternità surrogata, pur non
avendo con entrambi i genitori committenti un legame biologico, ha trascorso un
breve ma significativo periodo di tempo con la coppia, ossia i suoi primi sei mesi
di vita. Pertanto l’adozione di tale misura si pone in contrasto con l’interesse del
minore. La Corte così afferma: “la référence à l’ordre public ne saurait toutefois passer
pour une carte blanche justifiant toute mesure, car l’obligation de prendre en compte l’intérêt
supérieur de l’enfant incombe à l’État indépendamment de la nature du lien parental,
génétique ou autre.” (par. 80).
1194
The best interest of the child
i servizi sociali. Rileva in primo luogo la durata breve del rapporto.
Inoltre sono mancate da parte della coppia tutte le cure, l’accudimento
continuato, la coabitazione e la solidarietà materiale. Trattasi di elementi questi necessari, affinché un rapporto possa considerarsi personale stretto ed avere una rilevanza giuridica, ai fini delle decisioni della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di diritto alla continuità
affettiva. Il non voler riconoscere la prosecuzione di tale rapporto, tra il
bambino e i ricorrenti, non costituisce, pertanto, una lesione al the best
interest of the child 45.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, ne deriva un quadro normativo costituito da grossi punti interrogativi.
Sicuramente, però, il più importante tra tutti, che merita di addivenire ad una risposta certa, è il seguente: come deve coniugarsi il principio del the best interest of the child, in tema di continuità affettiva, con i
nuovi modelli familiari 46, affermatisi nella società odierna?
Il concetto di famiglia è un concetto in continua evoluzione. Se, ai
sensi dell’art 29 Cost., la Repubblica riconosce e garantisce i diritti della
famiglia come una società naturale, basata sul matrimonio, (il quale è
ordinato sull’uguaglianza morale, giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge per garantire l’unità familiare) occorre prendere atto,
oggigiorno, che lo spazio occupato dalle famiglie, diverse da quella
nucleare, è sempre maggiore. Ecco allora che il the best interest of the
child, in tale cornice normativa, non può non essere il principio pilota
nel rapporto diritto nazionale-internazionale; il file rouge del dialogo
tra giudici nazionali e giudici della Corte Europea dei diritti dell’uomo47, per un corretto bilanciamento degli interessi contrapposti.
45
V. al riguardo gli studi di G. Luccioli, Questioni eticamente sensibili, quali diritti e
quali giudici. La maternità surrogata, consultabili su www. giurcost.org, la quale rileva
che: “Come è stato efficientemente osservato in dottrina, piuttosto che al superiore
interesse di quel minore la sentenza definitiva ha avuto riguardo alla tutela della
categoria dei minori complessivamente intesa (the interest of the children piuttosto che
the interest of the child).”.
46
V. M. Bianca, I nuovi modelli familiari, in E. Al Mureden – R.rovatti ( a cura di), Gli
assegni di mantenimento tra disciplina legale e intelligenza artificiale, Torino, 2020, 3 e ss. .
47
Ci si riferisce in particolare all’art. 35, 1° co., della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo, rubricato: “Condizioni di ricevibilità” stabilisce che: “La Corte non può essere
adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi
Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva
1195
Così come il termine ohana significa famiglia in senso ampio (comprendendo tutti i legami stretti e significativi) comportando che nessuno viene abbandonato ma tutti devono ricordarsi gli uni degli altri,
così il minore, ha diritto di ricevere amore e mantenere quei rapporti
affettivi con coloro che gli hanno teso la mano nel tempo della sua formazione fisica e morale48 .
Bibliografia
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De Luca A. – Caponigro O., in Diritto 24, 2017
Gibran K., Il Profeta, New York, 1923
di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire
dalla data della decisione interna definitiva.”
48
V. M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012,
in Giust. civ., 2013, p. 214-215: “l’espressione “diritto all’amore” è significativa di un
percorso culturale e giuridico che, con specifico riferimento ai figli, ha consentito
l’ingresso dei sentimenti nel mondo del diritto, elevandoli a valori dell’ordinamento
e accogliendo il monito che attenta dottrina predica da tempo, ovvero “l’idea che
occorre aver riguardo al bisogno del minore di ricevere quella carica affettiva di cui
l’essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione”; si rinvia alle
riflessioni di C.M. Bianca, al Convegno tenutosi al Senato: “La posizione giuridica del
minore in Italia e in Europa” il 31 marzo 2017, il quale cita le parole di un presidente
del Tribunale dei minori: “Nella mia esperienza posso dire che un bambino che vive
senza l’amore dei suoi genitori è come una pianta senza acqua”.
1196
The best interest of the child
Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Rivista di diritto civile, 1/
2016, p. 88
Luccioli G., Questioni eticamente sensibili, quali diritti e quali giudici. La maternità
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Velletti. M., Interesse del minore e genitorialità”, in www.treccani.it/enciclopedia/interesse-del-minore-e-genitorialità
parte ix
L’interesse del minore e il diritto alla stabilità
territoriale. Il problema del minore migrante
The best interest of the child “to be, or not
to be” adopted. Intercountry adoptions,
intercultural discriminations
Mario Ricca
Summary: 1. “Being” and the “Best Interests” of the Child: Entification
vs. Relationality? – 2. Parent-child Relationship, the Idolatric Iconization of the “Blood Family” and Its Fallacious Cultural Foundations.
– 3. Hybridization and the Inconsistencies between Blood Ties and a
Universal Commitment to Childhood in Intercountry Adoption.
1. “Being” and the “Best Interests” of the Child:
Entification vs. Relationality?
An essay on the “best interests” of the child in intercountry adoption
should ordinarily be focused on questions such as, “What is to be considered as best interests and how should they be assessed?”, “How do
they address the child’s autonomy, identity, right to live with the birth
family, need for care and protection in the light of her/his vulnerability,
right to health and education, etc.?”, “Are these “best interests” “paramount criteria” in adoptive procedures, or are they rather of primary
relevance to be balanced, however, with other factors?” and so on.
All the above questions generally emerge from the UN Convention
of the Rights of the Child (CRC, 1989), and specifically Articles 31 and
21, as well as the Hague Convention on Intercountry Adoption (HCIA,
1993). I have to warn in advance that I will not attempt to answer these
1
But see also General Comment No. 14 (2013) on the right of the child to have his best
interests taken as primary consideration (art. 3, para. 1), which was adopted by the
Committee at its sixty-second session (14 January-1 February 2013), where it is stated
that the “best interests of the child” deserve “primary consideration” in all actions
and decisions concerning her/him and that it comprises a threefold concept including
and providing a right, a principle and a rule of procedure. See https://www2.ohchr.
org/English/bodies/crc/docs/GC/CRC_C_GC_14_ENG.pdf , specifically p. 2.
1200
The best interest of the child
questions in the way that might be expected. This is because in my view
most of the queries orbiting around the “best interests of the child”
miss the mark in their attempt to ascertain the signification of “best
interests” in the absence of any previous investigation into the meaning
of the word “child.” In the literature on both domestic and intercountry
adoptions the answer to the cornerstone question “Who is the child?” is
too often taken for granted – at least from an anthropological perspective. Meanwhile the silent assumptions underlying the various conceptualizations of “the child” are too often fraught with cultural prejudices
and paternalistic attitudes.
As far as the methodology is concerned, any quest into “best interests” should be hinged on a previous explicit and critical clarification
of exactly “who” is the bearer of said interests. On the other hand,
it is impossible to aprioristically define the category “child” without
considering the experiential and communicative relational network
within which each “real” child lives. These relationships include even
what is “in-between” along the threads joining the individual child
with other subjects in her/his environment. But such “in-betweens”, in
turn, equal precisely the “inter – esse,” which etymologically provides
the inner signification of the (English) word “interest.” Hence it makes
little sense to consider the “child” on one side and her/his interests on
the other, as if they were two semantically and experientially divorced
conceptual entities. What and who a child is, cannot be detached from
her/his “inter-being” (and not only “interplaying”) with her/his relational environment. This is because the “child,” any child, is a subject
who is “gushing out,” and in a sense is being conceptually excerpted,
from the stream of experiential and communicative relationships that
s/he proactively shares with others.
In the same vein, not even a child body could be assumed as aprioristically existing with her/his own kind. “Nurture” and “care” are
prerequisites of human life. But their meaning would be unthinkable
outside inter-subjective relations. Specific biological features, such
as the ability to acquire linguistic competence, simply would not exist without the communicative interchange between the child and the
adults who care for her/him from the earliest days and certainly for the
first four years of life. The “child” can be singled out categorically only
by means of an implicit assumption about the existence of all the relationships that gradually weave the phenomenal fabric underlying the
entity we experience as, and summarizing call, “child.” From a semiotic
To be or not to be adopted
1201
point of view, even individual DNA comprises a sequence of information which would have no consequence if there were no surrounding
environment suitable for its development and communication2. Therefore, the “being” of the child encapsulates also her/his “inter-esse” (inter-est), and vice-versa. In other words, the “interesse” (or inter-being)
is co-constitutive of the child’s “esse,” or “being”. Consequentially, assessing the “best interests” of the child is another way to “assess,” and
some cases determine, “what and who” the child is, or ought to be3.
The interpenetration of “being” and “relationality” in the conceptualization of the “children” and their best interests means that “nature”
and “culture” should be taken as two sides of the same coin when
the well-being of a child is at stake4, “Natural aspects” of the child’s
biological make-up, as for example the development of the brain areas related to language, can reach their full development only if the
individual is exposed to linguistic stimuli, that is, to cultural phenomena and factors including language. If the developmental conflation
of nature and culture is considered comprehensively, it reveals that
both the issues “what and who each child is” and “which are her/his
best interests” cannot find meaningful resolution without a serious
cultural investigation. The cultural environment is part and parcel of
the child’s being and well-being. Consequentially, no assumed natural
feature can legitimately serve as supporting evidence to reify characteristics that are however imbued with culture.
2
H. Cronin (1991); T. Sebeok (2001).
3
From this point of view, I think that the provision included in para. 6 (a, b, c) of
the General Comment No. 14 (2013), in defining the “best interests of the child”
as, simultaneously, a substantive right, a fundamental principle and a rule of procedure,
neither adds to nor detracts from the issue of the “relational being” of each, and the
schemes used to assess “who s/he is” in view of the adoption, and especially the
intercountry adoption. This does not mean that the “perception” of the importance
of the universe of relationships surrounding the child remains outside the judges”
and the social workers” reasoning when they are called upon to ascertain the life
conditions of children and the suitability of a specific adoptive path. Nonetheless,
the constitutiveness of relationality regarding the “child’s being” is often ignored,
or only implicitly considered. But this is not without relevant consequences to the
judicial decision. This “side” position assigned to the “relational being” of the child
can also be traced in scientific approaches. In this regard, see, for example, two
very insightful essays, respectively, by M. Skivenes (2010) and M. Skivenes – L.M.
Søvig (2018): both of them have the merit of combining a sociological approach and
legal logic in the analysis of the courts’ decision about the best interests of the child
without, however, assuming the “child’s relational being” as the orbital axis of the
arguments they develop.
4
T. Ingold (1989, 2000).
1202
The best interest of the child
If the above conclusions are correct, intercountry adoption could be
taken as a testing ground to assess and, even before, provide awareness of the cultural imageries nestled in the ideas and practices of
adoption and, most importantly, in the role of parentage. Any decision
on the displacement of a child that seeks to assure her/him a family and ensure the protection of her/his best interests must rely upon
a comparison of patterns of childhood, parentage, family, and social
environment. Such assumptions can be explicit or implicit, but in any
case they play a pivotal role in the process that culminates in the declaration of the state of adoptability and the evaluation of the foreign
prospective adoptive family. The cultural features of the ideal family
and, thereby, the more suitable developmental path for the child are,
nonetheless, not universal. The “transferal” of a child from one cultural environment to another is a proactive prophecy on her/his future,
who s/he will become and, then, who s/he will be.5 In many cases, the
geographical transfer is also a cultural translation between different
schemes of parentage and childhood: that is, principally, different patterns of subjectivity. A change in the relational environment of a child
unavoidably entails what the child “is to be.” Thus, the assessment of
the best interests of a child with regard to adoption encapsulates, in
every case, a decision about what/who that child will “be or not be.”
The major danger that lies in the processes of decision-making
around intercountry adoption is the risk of engendering a cultural
unbalancing. This is because intercountry adoption should always be
defined, or at least considered, as an “intercultural adoption.” Who
and what the adoptable child “is” and “will be” as a result of the adoption
should be translated into one another so as to define an intercultural
existential pattern functioning as an evaluative standard (without prejudice to the particular exigencies connoting each specific case). The
child’s present and future, in other words, should be interculturally
5
See, in this regard, para. 84 of General Comment No. 14 (2013) on the right of the
child to have his or her best interests taken as a primary consideration (Art. 3, para.
1) adopted by the Committee on the Rights of the Children: “84. In the best-interests
assessment, one has to consider that the capacities of the child will evolve. Decision-makers
should therefore consider measures that can be revised or adjusted accordingly, instead of
making definitive and irreversible decisions. To do this, they should not only assess the
physical, emotional, educational and other needs at the specific moment of the decision, but
should also consider the possible scenarios of the child’s development, and analyse them in
the short and long term. In this context, decisions should assess continuity and stability of
the child’s present and future situation.”.
To be or not to be adopted
1203
synthetized and re-conceptualized, each in the light of the other. This
translational task should be considered as an indispensable element in
the understanding of what the transnationally adoptable child could
gain or lose along her/his displacement and, consequently, the cultural/educational commitments/duties of the “destination parents.”
Insofar as the child is a relational subject, her/his relationality is to
be mirrored in the intersecting relationships s/he has woven, and will
develop, with both the birth and the adoptive families, as well as the
related socio-cultural environments. As stated above, if the “being” of
the child is inherently relational, then negotiating the adoptive process
with regard to “who” and “what” s/he is and will be, becomes even
more challenging. The reason for such increasing difficulty stems from
the need to include the relationships from both the child’s “source and
target” cultural environments, or her/his whence and whither, in coming to an understanding of her/his inner relational “essence.”
Intercountry adoption compels the legal interpreters and social
workers involved in the adoptive process to take into account not only
the different imageries tied to parentage and its function, but also the
power relations and in many cases the ethnic, or even worse, racial
prejudices between the cultures of the child’s place of origin and place
of arrival. Just to avoid any misunderstanding, it should be said that
the issue of intercultural relationships6 is crucial even when the adoptee is an infant because her/his body appearance and/or skin color will
influence her/his social relationships with the environment where s/
he will grow up. The potential conflict between “who” s/he feels on
the inside and how others will see her/him will mirror encapsulate the
relationships between the “original” and “arrival” cultures and their
reifications7. When the adoptee goes to school, it will be enough to
have almond-shaped eyes or black skin for her/him to be considered
Asian or African by her/his classmates and peers, even if the adoptee
never had any contact with her/his birth family’s culture. In such cases,
the child and then the boy/girl shall face the relational discrepancies
between her/his inner being and the psychosocial features that others
will persist in, or prejudicially infer from, her/his bodily aspect. The
6
As for interculturality and intercultural law I refer to my previous works, among
which see M. Ricca (2014, 2016, 2016b), and further M. Ricca (2008, 2013).
7
D. Marr (2016, p. 226 ff.), T. Hübinette (2016, p. 221 ff.). See these very insightful essays
for further bibliographical references on critical adoption studies focusing on race and/
or racial differences as sources of the psycho-social disease of intercountry adoptees.
1204
The best interest of the child
“relational being” of the child will transmute, in this way, into a quest
for finding an answer to the vital question “who am I?” The answer,
however, will ineluctably also rebound on his/her relationship with
the adoptive parents and the meanings conferred upon them, against
the foil of the overall social environment where the adopted child’s
subjectivity is to develop and unfold.
All the above observations lead to the conclusion that the assessment
of the “best interests” of the child in intercountry adoption is a multi-factor function in which culture and cultural relationships hold a “key role”.
Nonetheless, it is very difficult to find any reference to the constitutive relationality of the child’s “being” in the official comments and in the jurisprudential implementations of Art. 3 of the CRC. A reference text, in this
sense, can be found in General Comment No. 14 (2013) by the Committee
on the Rights of the Children. Actually, this Comment relies upon an individualistic interpretation of the “child” foreshadowing an underlying
“entification” of what it means “to be a child.” In this text, it is possible
to come upon, here and there8, occasional referrals to relational aspects,
such as the child’s living context, environment and family; even so, all
these relational elements or “circumstances” appear to have been taken
in consideration merely as surrounding connotations of a pre-determined
“entity”: precisely the “child”. The final result is that the relational ends
also become reified and essentialized, especially when their consideration
falls under the lens of a broader comparison with other environmental/
relational circumstances that are inescapably involved in intercountry
adoption. In other words, relationality and its components are treated as
attributes, and thereby mere additions, of the entity “child” rather than as
constitutive factors reciprocally interacting and giving rise to the mobile
point of psycho-phenomenal confluence that we define “a child”.
The main consequence of the above almost Aristotelian distinction/
opposition between “substance” and “accidents” is that the child’s social context, cultural habits, family framework, religious inclinations,
etc., will be ossified in a sort of “thinghood” and as such grafted onto
the assessment of her/his “best interests to be adopted.” In so doing,
however, the birth and arrival environments will each be put against
one another without any possibility to reciprocally translate them so
as to achieve a meaningful synthesis serving as evaluative ground for
the child’s development.
8
See General Comment No. 14 (2013), especially para. 48, 55-57.
To be or not to be adopted
1205
Adoption is an ongoing translational process that can last for the
entire life of an individual. Intercountry adoption, particularly, comprises a geographical translation, which is accompanied and followed
by a semantic one. But if the adoptee as well as the other actors embroiled in this translational challenge (parents, experts, teachers, peers,
social contexts, etc.) assume environmental and psycho-cultural factors at play as reified entities rather than as relational threads and clues
to the child’s personal development, no genuine translation can take
place. On the contrary, silent prejudicial assumptions, stereotyping
schemes of judgment, and asymmetrical gazes on Otherness will work
as a rudder in steering the identification and selection of the elements
to be used as axes for the translation that will occur. The final result
could be, then, that the adoptee will remain ensnared in a tangle of dialectical oppositions that will be heightened and stiffened rather than
dissolved and creatively overcome.
Cultural and religious features – just to consider two relevant and
divisive factors – are often assumed as ossified qualities affecting the
“individual”, almost as if they were psycho-behavioral equipment.
They are not narratively discomposed in their semiotic elements and
thus subjected to a creative process of metaphorical transposition as
functional tools for the construction of a specific child’s personality9.
Idiomatic evidence of this reifying and dialectical approach can be
seen, for example, in Art. 9, para. 4 of the CRC and No. 56 of the General Comment. The last provision specifically states:
56. Regarding religious and cultural identity, for example, when
considering a foster home or placement for a child, due regard shall
be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing and to
the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background (art.
20, para. 3), and the decision-maker must take into consideration this
specific context when assessing and determining the child’s best interests. The same applies in cases of adoption, separation from or divorce
of parents. Due consideration of the child’s best interests implies that
children have access to the culture (and language, if possible) of their
country and family of origin, and the opportunity to access information about their biological family, in accordance with the legal and professional regulations of the given country (see art. 9, para. 4).
9
As for the methodology of intercultural translation I must refer, here, to my previous
works. See M. Ricca (2008, 2013, 2014, 2016, 2016b).
1206
The best interest of the child
In the above text, cultural habits, religious beliefs, and behavioral
attitudes are taken as if they were material relics to be nestled, in one
way or another, in the arrival family and social context of the adoptee.
The possibility of a creative intercultural reinvention seems to be aprioristically out of reach. But this sort of intercultural blindness is only
one expression, with specific regard to the adoptive context, of a general
inability to conceive of an intercultural approach as a recipe to attune
daily issues on a planetary scale within the present human experience.
Translational problems merely reveal how individuals involved in intercountry adoption processes are among the countless “impact points”
suffering the unpleasant consequences of a lack of intercultural awareness and skillfulness in contemporary global and state political practice.
Many intercountry adoptive parents believe it to be their duty to allow
their child to learn the customs, language, religion, artifacts, music, food,
etc., from her/his country of origin. They presume that encouraging such
retrospective cultural contacts is a way to respect their child’s identity.
However, in so doing, the other culture, namely their child’s allegedly
“original” culture, is conceptualized as something alien or distant, and
represented by means of the mere morphological appearances of material objects or behavioral dispositions. This kind of reification leaves a kind
of schism between the past and the present of the adopted individual,
marginalizing her/his cultural Otherness in an imaginary and geographical elsewhere which is tragically doomed to be left in a faraway place
and, at the same time, to survive underground in the child’s “being”.
It is extremely difficult for intercountry adoptive parents to draw out
from themselves their own cultural habits and relativize them within a
symmetrical creative interchange with the adoptee. On the contrary, the
parents are prone, at least on average, to recast the adopted child into a
kind of surrogate of the child they never had. Paradoxically, this strategy of assimilation and often unaware silencing of the child’s Otherness
is lived and acted out as a projection of the adoptive parents’ love.
From the first days in the new family, the adopted child is somehow psycho-psychically re-invented, as if s/he underwent a re-birth or
a transfiguration10. Nonetheless, bodily appearances cannot be erased
or dissimulated, especially in the eyes of those outside the adoptive
10
See J.M. Schachter (1994, p. 2 ff.), S. Howell (2006) icastically defines this process
of assimilation and/or re-naturalization as the “kinning of foreigners”. More
specifically, she observes that the child, at least in the eyes of her/his adoptive
parents, goes through a sort of “transubstantiation”, which radically renews her/his
To be or not to be adopted
1207
family circle. These “outsiders” serve as a reminder of the child’s cultural Otherness. Despite the parents freely undertaken choice to adopt
from another country, Otherness will remain, however, in an ambiguous condition: in most cases it will be overtly included but simultaneously distanced from the inter-subjective interplay between parents
and the adoptee. If we consider the relational gist of all children, this
ambiguity will lurk inside the adopted subject, ready to break up her/
his personal identity at the first conflict with the social environment
and its impact on the family life.
Neither the adoptee’s past nor the parents’ cultural habits can
be reconciled through unilateral efforts or the use of relational
formulas made of reified folkloristic scraps from the alleged cultural environment of the adoptee. Things and practices have little
if anything to do with the skin or bodily appearance. Their relatedness is, instead, a cultural construction. Including them inside
the familiar spaces or the social surroundings of the adopted child
(for example, allowing her/him to attend a school to study her/
his birth parents’ language, or arranging interactions with other
people from her/his country of origin) will only serve to put up semantic barriers and hurdles between the parents and the adoptee,
as well as inside the multiple folds of her/his inner “landscape.”
To avoid these discrepancies and relational syncopations the vital
game called “family” is to be psycho-culturally played by its members on equal terms. But for that to be the case, the semantic rules
of familial coexistence should be renewed and rewritten symmetrically. This implies that the adoptive parents should also undertake
a psycho-cultural transformation so as to build an intercultural
family environment. Psycho-cultural equality and symmetry are
achievable only when the lexicon and the ground for coexistence
is the outcome of a process of co-construction. This is true for both
the society at large and the family context. Otherwise, coexistence
will end up being defined by the sad adage that “equal individuals are born not made”. In intercultural encounters, if the lexicon,
the living context of equality, and the existential grammar in use
remain one-sided, the result may never be more than a dissimulated
but nevertheless radical imbalance. The only way to share cultural
“substance”. Of course, this is nothing but an illusion. See also B. Yngvesson (2009,
p. 105 ff.).
1208
The best interest of the child
differences is the reciprocal reinvention of a common cultural lexicon, which means the reactivation of the attitude to produce culture inclusive to, at least potentially, all human beings.
The last considerations, furthermore, are to be applied also to the
child adopted in their first months of life. The reason is that the absence
of a co-construed intercultural awareness and understanding between
the adoptee and her/his parents would make the family relationships
vulnerable to the social, and often prejudicial, representation of her/his
inner cultural and ethnic diversity. Without any intercultural equipment,
pigeon-holing social representations and the ensuing psychical pressure
would impinge on the relational fabric of the family members, confusing and interfering with their “identity icons”. The intercountry adoptee
would become, in this way, an interface through which the society at
large would hurl all its flaws affecting the coexistence among cultural
and ethnic differences, to then be replicated inside the family structure.
But this would be nothing but a consequence of a psycho-social condition marked by a widespread deficiency of intercultural awareness and
abilities. The family members’ failure to elaborate their reciprocal ethnic
and cultural differences in an intercultural way should be considered,
in turn, a result of the absence in the surrounding social environment
of a sufficient degree of education to interculture. What is at work here
is a sort of malignant and infectious circularity. The psycho-social problems experienced by family members constitute the flip side of what is
increasingly being proved as an almost global political unreadiness to
combine democracy and human rights, on one side, and cultural/ethnic
differences, on the other.
The price of this intercultural unreadiness, and the prejudices, more
or less silently nurturing it, is paid primarily by intercountry adoptees.
Among all the other categories of victims of discrimination, only the
child adopted from abroad experiences the paradoxical condition of a
double-natured being. If the adopting parents tend to dissimulate her/
his diversity through a process of fictitious naturalization, the surrounding social actors are often prone to undertake a de-normalization of her/
his belonging to the adoptive family because of his bodily features and
the cultural origins that they epitomize and recount. From this perspective, I think it is not excessive to say that the intercountry adoptee’s psychosocial difficulties can be seen as a litmus test of the tragic inadequacy
of contemporary humankind and its civilizations to manage the coexistence of cultural differences and in a globalized world.
To be or not to be adopted
1209
Actually, the relationality inherent in the child is accompanied and
influenced by the relationality between the family and the adoptee,
on one side, and the multifaceted interactions of both the family and
the adoptee with their social context, on the other. These circuits of
relationality interpenetrate one another so as to engender a relational
continuum from which the “real” shape of the child’s subjectivity and
its problems emerge. The more an intercultural approach to these relations is thwarted or ignored, the more the child’s development will
run the risk of being beset by obstacles crammed with ethno-cultural
prejudices. But this observation conveys the further inference that the
assessment of the best interests of the child, when attuned to a multicultural and transnational scale, is basically impossible to accomplish
in the absence of a well-considered intercultural lexicon.
As alluded previously, it should be emphasized that the ethno-cultural difficulties adoptees face are, in turn, consequences of the uneven
and discriminatory situation extant at a global level in the relationships between different countries and cultures. In a sense, these kinds
of imbalances skulk at the sources of many intercountry adoptions
insofar as they are fueled by conflicts, famine, poverty, social unrest,
etc. Intercountry adoptions are often represented as acts of generosity on behalf of poor children otherwise condemned to tragic lives of
underdevelopment, or worse even death. This “altruism”, however,
may conceal a poisonous attitude of othering birth families and their
socio-cultural environments. The incompatibility of intercountry
adoption to be qualified as a genuinely altruistic act is proved by the
contrastive relation of belonging that the adopted child faces as a result of the cultural reification of her/his bodily appearance. The double
belonging s/he experiences because of her/his bodily features implies
a simultaneous non-belonging, or alienness to both the adoptive and
birth families and the related world, seen as oppositional. The adopted child is, at the same time, assimilated and distanced precisely because her/his own world of origin is considered by the adopting family
as something remote, non-translatable and, therefore, destined to be
confined to an “elsewhere” 11. On the other hand, the birth family or
the socio-political context of origin see the adoptive family’s world as
hopelessly distant, at once unreachably better and irremediably alien.
11
A. Anagnost (2000, p. 402 ff.). B. Yngvesson (2010, p. 545 ff., p. 566 ff.); F. Juffer – W.
Tieman (2016, p. 212 ff.; p. 220 ff.).
1210
The best interest of the child
As long as the allegedly altruistic adoption includes this othering
effect, it will deny the spatial-semantic continuity embodied by the
child and her/his best interests. The child’s self-perception as something sundered into two incommensurable and untranslatable halves
is nothing but the direct result of the cultural and political rift between
her/his two worlds of (presumed) belonging. But the child’s need to be
adopted, according to her/his best interests, is in most cases the consequence of a blindness to the ethical, political and spatial continuum
that bind all the inhabitants of the planetary human landscape. In this
sense, the HCIA (1993) as well as the jurisprudence of the ECHR12 pave
the way to the recognition of that continuum when they give priority to
the right of the child to grow up within her/his birth family and qualify
intercountry adoption as only a secondary option to protect her/his
best interests. Through these statements, the supranational authorities
and institutions seem to urge a global commitment to support all families compelled to find alternative homes for their children due to socio-economic hardship. The other side of this tendency is the contrast
to the phenomenon of child trafficking and the attempt to deter the increasing economic interests escalating around intercountry adoption13.
The outcomes of the HCIA14 and ECHR’s statements have been,
however, ambivalent. In order to comply with these international
and supranational guidelines, the wealthiest countries in the world –
which inter alia host almost all intercountry adoptions – would need
to see the socio-economic situations of the prospective adoptees” birth
families as a kind of shared responsibility. But this would imply a socio-cultural and geo-political imagery that is utterly different from the
ethno-national profile that currently dominates the global scene. Only
when the “best interests” of the children in their countries and family
of birth is universally considered as a shared and ubiquitous problem
12
… based on Art. 8 of the European Convention on Human Rights on the “Right
to respect for private and family life”. See M. Skivenes – L.M. Søvig (2016), but
also, as for the national implementation of the CRC and the Hague Convention,
M. Henaghan (2016, p. 81 ff.). Moreover, with regard to the general judicial
implementation of the child’s rights, J. Eekelaard (2016, p. 100 ff.).
13
On the child trafficking orbiting around intercountry adoptions see the essays
included in the collection edited by D. Marr and K.S. Rotabi (2016). See, moreover,
B.D. Mezmur (2010), D.M. Smolin (2010), and, for an overall view, K.S. Rotabi – N.F.
Bromfield (2017).
14
The Hague Convention on the Protection of Children and Co-operation in Respect
of Intercountry Adoption (1993).
To be or not to be adopted
1211
for all human beings will there be room for a genuine form of transnational altruism. Of course, such a level of global ethical responsiveness to children’s needs would require the overcoming of all racial,
ethnic, religious, and cultural prejudices as well as political-economic
discriminations, which would also involve the development of an intercultural global responsiveness.
Only in a world where the socio-economic problems of Others are
deemed to be part of the political task of each country could the best
interests of the child, if correctly understood according to their relational core, be effectively and transparently protected. By contrast, if
geographical, cultural and religious differences continue to be seen as
signs of an “alien Otherness”, liable to be disregarded, belittled or even
despised, then the best interest of the children living in the poorest or
least developed social environments will be implicitly impossible to
genuinely pursue.
I think that the children in need of protection and support all over
the world embody in themselves a function much like that of a semantic-geographical pantograph, capable of re-drawing the relations
of remoteness and proximity among the different regions and cultures
distributed on the Earth. Their existential relationality makes intelligible the semantic-spatial continuity and interpenetration extant among
the different parts of the world and the events taking place in each of
them. Giving in to the temptation to deny this phenomenal and semantic continuity through the stiffening of categorical, racial, geographical
barriers and boundaries culminate in a lack of understanding of the
best interests of all the children living on our planet.
The best evidence of the just outlined eventuality is the transformation of the signification and use of intercountry adoptions, which can
end up producing a form of commoditization of the prospective transnationally adopted child. The children of the poorest underdeveloped
countries become “goods”, objects of longing for couples living in the
richest countries of the world. Despite its generous or altruistic profile,
intercountry adoption reveals itself as the final act of a complete disregard for the problems of suffering populations, in several cases caused
by the exploitative politics imposed by the most powerful countries at
a global level. In different and more corrosive words, it should be said
that the “intercountry adopting countries” first create poverty, leaving the most fragile underdeveloped ethno-social areas to destitution,
and then camouflage as altruistic acts the adoptive appropriation of
1212
The best interest of the child
their children, perhaps through commoditizing proposals of economic
support on behalf of the desperate families or communities unable to
care for their offspring. In these cases, rather than reduce the distances among cultures in the name of the best interests of children, intercountry adoption instead increases the intensity of cultural othering.
The rhetoric of the “better life” assured to poor and disadvantaged
children through intercountry adoption is often the triggering factor
for their abandonment by their birth parents, who typically give them
away because of the impossibility of providing for their health and education. The declaration of the state of adoptability is usually the final
step of a long process punctuated by intercultural and transnational
imbalance, the last and worst effects of which fall on the weakest members of poorest societies: precisely women and children.
Deplorably, the above scenario is everything but an abstract fantasy. Among the ambiguous consequences of the HCIA and its implementation by many national states, there is undoubtedly an effective
impact to child trafficking but also a dramatic decrease in intercountry
adoptions15. Nevertheless, it would be a mistake to consider the commoditization of prospective adopted children as something strictly associated with child trafficking16. Such phenomena are instead an overall consequence of the intercultural blindness and the ensuing othering
attitude towards different cultural and geographical contexts17. The
child is commoditized primarily because the societies hosting her/his
prospective adopting parents persist in perceiving and regarding her/
his socio-cultural environment as something other, discontinuous and
remote from themselves. As mentioned previously, this perception is
also the reason for which the process aimed to include the child in the
adoptive family is affected by a dramatic lack of intercultural awareness and preparedness. Actually, there are no translational efforts being made between the difficult conditions faced by many families in
the world, which result in the death of parents or in the forced abandonment of children, and the standard of life enjoyed by the prospective adopting families in the wealthy countries of the world. Those difficulties remain “alien” to the wealthy families exactly as the others”
15
As for the intercountry adoption trends see P. Selman (2009, 2015, 2016).
16
See K. Hermann (2010), B.D. Mezmur (2010), D.M. Smolin (2010), N.H. Goodno
(2015).
17
M. Strathern (1997, p. 302), B. Yngvesson (2002, p. 228 ff.), S. Dorow (2006, p. 205
ff., p. 262 ff.).
To be or not to be adopted
1213
culture does. Even worse, the best interests of the child are “gauged”
on the life conditions that the richer countries” families are typically
able to assure. Arriving, then, to this (not only argumentative) point, as
in a circle, the perfect crime appears to be definitively executed. Thereafter, cultural prejudice can continue undisturbed to tower over any
anti-discriminatory imperative, while the pattern of familial relationships practiced in the dominating countries on the global scene – generally western – assumes a sort of ontological significance.
Imbalance dominates the scene so entirely that the Western family
pattern is elevated to the status of an anthropological universal to be
used as a yardstick against which to measure all other differing familial experiences. What is Other with respect to this iconized standard
is consequently objectivized, distanced and divested of any chance of
translation. But denying translation equals, and hides in itself, the negation of any relationship. Divested of her/his inner relational being, the
child becomes thereby a neutral unity, an entity subject to quantitative
and/or functional evaluation, one whose well-being can miraculously
match the wealthy country families” desire for children. The final result is, not surprisingly, the myth of the naturalization of the adoptee
and her/his transformation into a sort of surrogate of a “virtual” genetic
child18. Thereby, the dramatic corollary of the theorem of the assimilating adoptive relationship with the new parents and their culture is that
the child’s double cultural identity will be destined to remain frozen
in their reciprocal unrelatedness. They will be understood and used
only as referrals (or referents) of a double belonging: on one side, that
related to the adoptive family and social context; on the other, that recounted by the “alien” bodily features of the adoptee, which are reified
as markers of her/his indelible ties with the birth cultural environment.
These different belongings will reside as divorced entities inside the relational circuit that is the child’s “being”: two subjects in only one body.
This psychologically tragic outcome is rooted, however, in the same
pre-conditions that make possible the commoditization of the child
within the intercountry adoptive process. Were the referents of double
belonging not separated and instead interculturally translated, the neutralization-objectification of the child could not work. More specifically,
what could not take place is the assumption of an allegedly universal
18
See, in this sense, W. Duncan (1993, p. 50 ff.), J.M. Schachther (1994, p. 22 ff.), B.
Yngvesson (2009, p. 105-115).
1214
The best interest of the child
and objective measure of well-being or health as a yardstick – a sort
of item of exchange – to combine and legitimize the child’s needs and
the prospective adoptive parents” desire to have a child: two elements
that seem to be alternatively and mutually treated as the two wings
of a supply-demand game played on an international scale. But just
as in the case of financial exchange, only “goods” or “entities” can be
equivocated, items with meanings that are definitively fixed and categorically unrelated19. On the contrary, any genuine translation and/or
metaphorical re-categorization would prevent the use of an objective
measure of evaluation. This means that any translation anchored to an
exchange pattern can translate only quantities, and never relations or
qualitative aspects20. The non-quantifiable aspects and connotations, on
the contrary, will remain overshadowed by the dazzling evidence of
the alleged objectivity or objective features comprising the neutralized
matter of exchange: in this case, the child.
If the above considerations should appear too emphatic or exaggerated, it could be useful to analyze the tendency of many courts in the
“child-providing-countries” to bio-medicalize the reasons legitimizing the declaration of legal orphan status so as to construe a sort of
empirical reference for their decisions21. The assessment of a medical
prerequisite for intercountry adoption functions as a sort of final counter-check of the “inaptitude” of the birth family (or the fostering institution) to provide for the child’s needs. The overriding health reasons
assure the relativization, if not also the silencing, of all the relational
and cultural determinants of the child’s disadvantaged condition and
any possibility to give room to an interculturally-based understanding of the child’s best interests and, even more importantly, her/his
being. In this regard, it should be highlighted that the criticism about
the “best interests of the child” standard, because of its semantic inde19
Very instructive, in this sense, is a case reported by B. Yngvesson (2010, p. 2284)
regarding a girl adopted in Sweden. After many years, she found her birth mother
in Korea but decided to carry on the relationship with her recovered mother by
providing monetary support. This choice was justified by the girl with the possibility
to discharge her duties of solidarity with the poor and sick mother without calling
into question the identity she construed inside her adoptive family and sociocultural context. Needless to say, this strategy was only an illusory solution that left
two divorced and defective cultural subjectivities within only one person.
20
B. Yngvesson (2010, p. 995 ff.) and there for further bibliographical references.
21
In this sense, see the Peruvian experience: J.B. Leinaweaver (2009, p. 190). More
broadly, however, regarding the medical status of the adoptees in intercountry
adoption see L.C. Miller (2012, p. 187 ff.).
To be or not to be adopted
1215
terminacy, should also be addressed to all the situations in which the
(apparent) objectivity of its referents hides and/or dissimulates a complete ignorance or disregard for the relational profiles of the child’s
condition22. Consequently, the commoditization of her/his “being” and
best interests, unfortunately, go almost unnoticed, even if it is one of
the primary sources of the discriminatory attitude nestled in the intercountry adoption process.
Actually, the drift towards commoditization silently slips into the
institutional decisions on adoption even at the crossroads between the
opposing interpretations of the child’s best interests as deserving “paramount” or, instead, “primary” consideration. In my view, the leaning
toward one rather another interpretation is nothing but a bogus choice
stemming from an absurd contraposition previously and artificially established. On closer examination, it is a mere byproduct of the reifying
assumptions that stiffen the categorization of the elements (subjects,
rights, needs, etc.) put under the dome of what is passed off, in turn, as
“paramount” or “primary” despite their inherent relationality.
In the same vein, what is to be underscored here is that child trafficking is to be considered an epiphenomenon, although flatly deplorable,
of the child’s cultural commoditization. No one would pay for a “baby”
if s/he were not covered by a kind of thinghood23. But this transmutation of the child is directly implied by the eradication from her/his relational constituents and the cultural/spatial interplay between both the
countries involved in the adoptive process. Actually, blindness to the
child’s “relational being” is the main cause of the already emphasized
psycho-social problems that intercountry adoptees undergo during
their development making them “alien individuals” (in turn, African,
Latinos, Asiatic, etc.) precisely because they cannot hide their condition of adoption. Of course, there is no coincidence between one’s own
bodily features and the condition of being discriminated against. Abstractly, no one is ontologically “alien” with respect to anyone else; it is
only their encounter or coexistence which makes the quest for equality
a problem. The creeping racialized difference-issue seems to burst forth
22
As for the opportunity to adopt an ecological approach to the development of the
adopted child see A.L. Baden – J.L. Gibbons – S.L. Wilson – H. MaGinnis (2015, p.
104), N.E. Dowd (2016, p. 114 ff.).
23
On the commoditization of children in the intercountry adoptive process see
B. Yngvesson (2010, p. 995; p. 2706 ff.; p. 2797 ff.), and there, too, for further
bibliographical references on this topic.
1216
The best interest of the child
at the exact moment that the adoptee with exotic bodily features enters another ethno-social context. There is, however, also an underlying
presence at work, a cultural background that triggers the pathogenesis
of “alienness:” namely, the paradigm of ethno-nationality. By saturating the way in which humans still experience global political geography today, it dramatically hinders the achievement of the intercultural
awareness necessary for the peoples of the world to realize the semantic-spatial (or “chorological” – as I otherwise call it)24 interpenetration
that holds together, in many respects, the destinies of all their children.
2. Parent-child Relationship, the Idolatric Iconization
of the “Blood Family” and Its Fallacious Cultural
Foundations
Given the arguments put forward so far, the reader might be inclined to assume that I hold a generic opposition to intercountry adoption. As I will try to argue, however, this is not at all my position. Articulating a wide-ranging complaint about the creeping commoditization
of children underlying the current status of intercountry adoptive processes does not in any way entail a radical opposition to adoption as
pattern of filiation. My view is exactly the opposite. In deploying the
considerations that led me to this legal-anthropological tenet, I would
like to start from a historical-empirical fact. As is well known, the implementation of the HCIA by the majority of countries has been followed by a huge decrease in the number of intercountry adoptions.
The institutionalization and management of adoptive practices, the
proliferation of prerequisites and controls stated by this Convention,
the national enforcements designed to assure transparency, the absence of any kind of bribery or exploitation to adoptive proceedings,
and finally the instruments developed to directly combat child trafficking, all these factors taken together seem to have reduced the “illness”
– namely, intercountry adoption – to ashes rather than healing it.
What seems really odd is that although child trafficking seems to
have recorded a real setback, the drop in illegal practices orbiting around
intercountry adoption has not increased the rates of adoptive practices. Paradoxically, instead, the overall outcome of this struggle against
the illicit sourcing of children and other exploitative practices has been
24
See M. Ricca (2016, 2017).
To be or not to be adopted
1217
an increasing withdrawal from intercountry adoptions, or even more
meaningful, an explicit opposition by some national states and the related legislative statements.
How can the above data be explained if the starting point of any
analysis is to be the prospective adopting parents” altruistic and dispassionate commitment to the well-being of the underprivileged and
abandoned children of the world? Could it be the case that there is
something wrong in this preliminary teleological assumption? Is it
possible, conversely, that the strategies designed to fight child trafficking and other exploitative practices have also inhibited the ontological
commoditization of children and their best interests silently encapsulated in intercountry adoption? Could it be that the HCIA provisions
and procedural steps have “simply” obstructed the exchange logic
underpinning the “miraculous” harmony between the infertility of
wealthy developed-nation couples and the neediness of families from
the “child-rich” areas of the world?
When called to weigh the effects of the HCIA, scholars have developed different assessments about its scope and efficaciousness25. Some
have focused on its quantitative effects, and specifically the decrease of intercountry adoption, casting such an outcome in negative terms, that is, as
a lost chance to rescue many children in urgent need of familial support.
The cornerstone of this approach is that entrusting children to fostering
institutions has proven over time to be the worst solution for their psychological and even physical development. In no corner of the earth has the
orphanage been found to be the best place to grow up. From this perspective, therefore, if the danger of illicit sourcing or exploitative practices is
the price that must be paid for a successful intercountry adoption practice,
then it should be accepted as the lesser of two evils. The need for, and
the right to, a family environment constitutes, according to this view, the
essential core of the best interests of the child and is a prerequisite existing
prior to all other possible forms of this evaluative standard26.
Both scholars and national legislation sometimes recognize the right
to family of abandoned children as a direct inference from Articles 7
and 20 of the CRC. However, it has also been argued, in strictly legal
25
See, as a paradigmatic example, the dispute between Elizabeth Bartholet and David
Smolin. A dialogue between their views can be found in E. Bartholet – D.M.
Smolin, (2016, p. 233-251). But see also E. Bartholet (2015) and D.M. Smolin (2005,
2007, 2015).
26
See E. Bartholet (2016).
1218
The best interest of the child
terms, that these two provisions do not explicitly configure the child’s
right to a family but rather the right to receive parental care from her/
his own genetic parents or, when it is impossible, to be supported by
the state through alternative solutions “also including” adoption by
another family27. In any case, the sociological critique of the effects of
the HCIA is that there are scores of families around the world desperate to adopt a child and that the obstacles imposed by the convention
condemn hundreds if not thousands of children to languish in orphanages or other detrimental life contexts.
By contrast, other voices have hailed the HCIA and its implementation by states as the end of a sort of planetary plague, more explicitly
the final chapter of an endless chain of acts of exploitation, corruption,
ethnocentric dominance and child trafficking, all together culminating
in a systematic disregard for the child’s right to live in her/his own
birth family and socio-cultural environment28. In short, these scholars
maintain that intercountry adoption surreptitiously transformed the
social conditions of underdeveloped countries and their families into
a kind of anthropological and ethical guilt, the sanction of which is the
loss and the displacement of their children to satisfy the yearning for
parentage of the wealthiest countries” couples.
I consider the HCIA a necessary set of legal tools to combat exploitative interests surrounding intercountry adoption. Still, both sides of
the above contrasting opinions are by turns reasonable and defective.
It is so, I argue, because both of them remain ensnared in a sort of
mythologizing of the family, which is subsequently grafted onto an
underlying cultural biogenetic preconception about what the adoptive family is, or ought to be. If we consider the idea advocated by
HCIA critics29 that the child has an absolute and essential right to a
family unit, it is very difficult not to see in the backdrop of such an
emphatic assumption the transposition of the genetic family pattern,
together with its idolatric iconization30, onto the adoptive family. The
conviction silently at work in the claim for the child’s absolute right to
a family is that the “natural” place for her/him to grow up and develop
is the family “ecosystem.” On the other hand, this is in line with the
27
See N. Cantwell (2011, p. 13).
28
D.M. Smolin (2005, 2007, 2010, 2015, 2016).
29
E. Bartholet (2012).
30
As for the notion of idolatric iconization see M. Ricca (2018).
To be or not to be adopted
1219
adoptive parent’s tendency to “naturalize” the adopted child, treating her/him as a surrogate of their “missing” genetic child. The main
problem with such assumptions is that they are implicitly based on a
specific relationship of belonging. They imply that every child should
belong to a family, and this is the other side of the child’s right to a
family. Unfortunately, this other side could reveal itself as a dark side.
The question could also be put as follows: why would two outsiders to
the child’s birth family environment be committed to rear and educate
her/him? And then, what makes an alien family unit equivalent to the
child’s birth family? And why couldn’t a single individual or even an
extended group of people be likewise suited to accomplish the same
function? I suppose there is no other answer to these questions than
the underground cultural/ideological assumption of the traditional
genetic family (namely, one father, one mother and one or more children) as a normative paradigm. The adoptive family, therefore, is almost unconsciously treated as the substitute of the traditional genetic
family or what it should have been, but was not. However this is a
mental icon that fuels, at the same time, many of the problems related to the relationships between adoptive parents and their children of
different ethnic or racial origins –not to mention the prerequisites for
the declaration of the state of adoptability with regard to the children
bereft of their genetic parents but included in extended family groups.
The absoluteness with which the child’s bright to a family is presented
conjures up an almost idolatric attitude toward “blood ties” taken as
the source of an ethical linkage between parents and their offspring31.
The adoptive family must therefore necessarily mimic those blood
ties if it is to be the secure source of affective stability and care for the
child, and consequently the “natural receptacle” for the child’s right
to all that a (natural) family can provide. In this way, the transmutation of the adopted child into an (almost) natural one is molded and
legitimized, cementing all the mistakes and fallacies ensuing from the
adopting parents’ assimilatory conviction that the ethno-racial difference of the adopted child can be transfigured by means of their love.
On the opposite side are the supporters of the HCIA’s hindrances to the spread of intercountry adoption, who consider it to be the
root of all evil, responsible for aggravating the conditions of the abandoned or disadvantaged children living in the poorest countries. In
31
C. Legrand (2009, p. 246 ff.).
1220
The best interest of the child
their view, the mere possibility of intercountry adoption as a kind of
“escape hatch” works as a negative factor deterring the enactment at
both national and supranational levels of efficient strategies to support the families and institutions of the children’s birth context. The
consequence is – in their opinion – the frustration of the possibility
for these children to remain in their original cultural and social environment and their transformation into “human objects” destined to
be displaced in the name of an ethnocentric interpretation of human
rights and children’s best interests. From another angle, these scholars
think that there is no legal tool efficacious enough to utterly uproot
the danger of child trafficking or, at least, an exploitative practice by
institutional agencies involved in intercountry adoption procedures.
All the above concerns can, of course, be fully validated. It is to be
recognized, moreover, that they echo Art. 20.3 of the CRC, which states
that “when considering solutions [to the possibility that a child is temporarily or permanently deprived of his or her family environment], due regard shall be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing
and to the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background.”.
Nonetheless it should also be noted that no critical foundation is provided to demonstrate the desirability that the manifold possible solutions
designed to help abandoned children assure ethnic, religious, cultural
and linguistic continuity with their background of origin. Actually, behind the self-evidence that the CRC assumes by virtue of its legal authority, another reifying (and dangerous) double assumption seems to
lie. I refer to the two-faced idea that a) all human beings, and thereby
also children, belong to a culture, which is in turn intended as something
past, already determined and self-bounded; and b) the birth family is the
privileged place where the transmission of this culture can be assured.
Against these implicit suppositions, I first argue that cultures are
means for the development of individuals as well as groups, and therefore no one belongs to a culture but rather cultures belong to human
beings. Furthermore, I would contest that the birth family (meaning
“blood ties”) is always the best equipped to transmit cultural knowledge, and most importantly, is endowed with the creative ability to produce culture, which is the only reliable gauge of a genuine flourishing
of human potentialities. The binomial “cultural safeguard/birth family”
seems to embody the essentializing culturalism affecting the multicultural approach, and strengthens, rather than relativizes, the fallacious
connection between blood ties and the cultural attitudes of individuals.
To be or not to be adopted
1221
Actually, a misoneistic reading of culture is an idiomatic, even if
dissimulated, hallmark of multiculturalism32. Initially it was due to
the need to resist and dismantle the assimilationist inflections of anthropological and legal universalism which, under the dome of a false
equality, ended up legitimizing the annihilation of minority cultures.
Nonetheless, such an approach brought– despite the several contemporary attempts to deny it– and is still producing, as an epiphenomenon, a frozen image of cultural belonging and its interpretation in a
normative/legal sense. Needless to say, this approach is detrimental to
a proactive use of cultural competence and the creative interpretation
of one’s own culture by individuals as well as groups. The main argument against an open and fluid understanding of cultural belonging is
that without precise semantic boundaries, the assimilationist influence
of the dominant groups and most powerful political subjects would
have an easy time dissimulating a complete disregard for the rights
of cultural minorities. There are more than some kernels of truth in
this concern. On the other hand, however, ossifying our conception of
what “culture” is just to forestall dominant groups and nations has,
over time, proven to be a remedy that is worse than the disease. Not
only does such a strategy freeze cultural creativity, giving relevance
to culture only for what it has already been rather than (also) for what
it can become, but it winds up indirectly legitimizing the mystifying
assimilationist tendencies inherent in all phenomena of cultural and
political dominance as naturally unavoidable. Although this can appear to be a paradox, in practice it is far from it. The transformation
of Others (or the weakest cultural subjects) into museumified waxed
dummies in the hope, and sometimes on the pretext, of saving them
from the engulfing greed of dominant groups dangerously conceals a
sneaky self-absolution. Actually, suppressing cultural creativity exacerbates problems, rather than commuting in a source of reciprocal understanding with regard to their causes and real antidotes. The idea that
living with one’s own birth family is always the best solution because
“blood relationships” cement the maintenance of cultural continuity,
32
As regards the dialectics between multiculturalism and interculturality, in a huge
literature, see most recently N. Meer – T.Modood – R.Zapata-Barrero (2016). My
approach to intercultural law and, more generally, to interculturality is, however,
very distant from the “interculturalism” discussed in the above work, as well as in the
majority of texts related to this topic. For an elaboration of my position, among other
works, I refer to M. Ricca (2014, 2016, 2016b); and, further, M. Ricca (2008, 2013).
1222
The best interest of the child
taken as an absolute value, is a bad byproduct of the world’s intercultural deficiency rather than a medicine against its swarming negative
consequences. I shall return to this topic below, but first there are some
other preliminary issues to address.
The idolatric iconization of birth family and blood ties has to do, inter alia, with the obsession with descent and its ideological iniquitous
degenerations. The conviction that the “blood family” is inherently
better is only a corollary of the assumption that “blood” is a bio-natural source of ethical value. Unfortunately, “blood” is also the imaginative motor that triggers racism, ethno-nationalism, ethno-religious ties
and boundaries, ethnocentric culturalism, the psycho-social obsession
with having genetic descendants, the representation of family or familiar groups as tribes or pseudo-tribes based on blood-duties which cannot be transgressed, and other “well-springs” of hatred and violence.
The list of the dramatic implications of the “blood equals value” thesis
could go on and on. In any case, one of its features is the assumption of
the blood family as the yardstick against which it would be exclusively
possible to measure the legitimacy of adoptive parentage. Of course,
this is not a universal a priori. Anthropological research has provided
a great deal of data that confutes that genetic ties are everywhere in the
world the cornerstone of familial relationships and parentage33. If the
critics of the HCIA get trapped, despite their divergent opinions, in the
stereotype of blood family and the ensuing view of adoption as “lesser”, this is because all the international and western legal sources rely,
with a sort of anthropological absoluteness, on a paradigm of family
influenced by the monotheistic religious traditions of the world: first
and foremost, the Christian one.
Western tradition has undoubtedly left a deep impression on the
cultural background underlying the international rules on the protection of children’s rights and intercountry adoption. Despite the referrals to extended families, traceable even in international legal texts,
conceptions, guidelines, etc., the anthropological pattern of two parents and their genetic offspring is regarded as the ideal landmark of all
these provisions. The icon of the sacred family doubtless constitutes the
imaginative bedrock on which the defense of the so-called traditional
33
See S. Howell (2006, 2009, p. 149 ff.; spec. p. 162). C. Fonseca – D. Marre – B.
San Román (2015, p. 158), and there for further bibliographical references. For a
comparative analysis, see also the essays included in F. Bowie (2004).
To be or not to be adopted
1223
family finds its foundations and from which it moves against LGBTI
families and adoptions34. Against this view, I will argue that the Christian sacred family – namely, Joseph, Mary, and Jesus – underwent a
fallacious idolatrizing misrepresentation. Conversely, I think that an
unbiased reading of the Gospels could subvert the primacy of bio-genetic or blood parentage with respect to adoption, giving a paradigmatic ethical signification to adoptive affective links.
According to some scholars, the prototypical value associated with
biological parentage is a consequence of a presumptive “Euro-American
doctrine of genealogical unity of mankind” 35. By contrast, my opinion is
that the idolatrizing genetic interpretation of the “Sacred Family” is very
far from the Gospel’s message that teleologically and anthropologically
looms behind it. In this regard, consider, firstly, the “Immaculate Conception”. It is, in a sense, radically incommensurable with the starting act
of any family based on genetic ties, and thereby rooted in blood relationships. Even if the Book of Matthew lingers long on Jesus” genealogical
lineage, it remains that no man is his father. Joseph is only his adoptive
father. Nevertheless, the young carpenter felt a sort of duty to take care
of Jesus. This occurs – according to the Gospel – either due to the oneiric
intervention of the Holy Spirit and/or because of a sense of kinship with
the newborn baby. Mary told Joseph that she learned of her unexpected
condition from an angel. In any case, this means that in Joseph’s eyes the
baby would belong to mankind in the same way that all human beings
are creatures of God. Furthermore, and most importantly in this story,
the marriage between Joseph and Mary is subsequent to the Immaculate
Conception – from both a theological and chronological point of view
– and not its presupposition. By virtue of Mary’s body, Jesus is the Godson but also a son of God as all human beings are. Jesus, actually, will
define himself – according to the Gospels–as “Son of man”36.
The expression “Son of man” has its equivalent in Hebrew and
Aramaic, respectively: ben-adhàm and bar’enash37. The biblical uses of
this allocution refer, in sequence, to an individual descending from a
34
With regard to LGBTI intercountry adoption see M. Gross (2009), L. Eekelaar
(2016); from a broader perspective including all the forms of surrogacy, see also N.F.
Bromfield – K.S. Rotabi (2017).
35
See S. Howell (p. 38), who refers, in turn, to Schneider (1984, p. 174).
36
On the meaning and the hermeneutic tradition of the expression “Son of man” see
D.R.A Hare (1990); M.P. Casey (1995, 2009).
37
See G. Vermes (1978), M.P. Casey (1987). But see also the previous note.
1224
The best interest of the child
whole community, an idealized man invested by God with authority
and grace, the ontological and prototypical conflation in him between
man and God, a descendant of Adam intended as the first human being as such progenitor of all humankind caught in his Edenic condition
before the fall from Heaven, a member of the overall set of the saints of
the Most High, and finally the symbolic embodiment of offspring from
the Jewish people. Regardless of the meaning to be considered as preferable, the expression “Son of man” emphasizes that Jesus is not the
child of Joseph and Mary but rather, even if through Mary’s Immaculate Conception, the descendant of a whole category of subjects. Such
belonging, however, does not proceed only from a social bind, but is
both universally and authentically genetic. It is because he ascribes his
sonship to a “genus,” and by means of this genealogy, the coming into
the world of his body epitomizes all the humankind.
I think that it would be very difficult to find a more precise and,
at the same time, poetic figuration of the meaning of the human genetic code than the expression “Son of man”. The Gospel proposes a
revolutionary idea that rearticulates the naturalistic fallacy implicitly
encapsulated in the idolatric iconization of the blood family: that is,
the derivation of the parents’ duty to take care of their “blood-tie
children”, as well as the symmetric conviction that children are to
respect their parents because they have given them life through the
transmission of their own blood. In the Gospel, the broadening of the
nature/ethical duty to take care of children, however, commutes in a
further and unexpected transcending of the “blood fallacy” because
it subverts the order of derivation. The genetic ties extant among all
human beings are a consequence, from the biblical perspective, of
God’s Free Creational Act, namely an act of love. In this sense, nature
– that is, “Being” – comes from an ethical choice freely adopted by
God. His care for human descent is to be viewed as a prolongation
of the original creational act. Reiterating this prolongation is a task
left to all human beings on behalf of all the children of humankind
because of the universal divinization/salvation of all humans which
occurred by virtue of Jesus making himself a human being. Through
Jesus, God becomes Son of man and, as a consequence, human beings are elevated to the role of parents of God and of all humankind:
which implies that hereinafter they are responsible for all the offspring of God’s creational act, as such already inscribed (and prophesied) in human DNA.
To be or not to be adopted
1225
The locution “Son of man” tells Christians that Joseph had a duty
to adopt Jesus because the baby was related to him both genetically
and, most importantly, by virtue of God’s creational act of love. Jesus
embodies the inner relatedness of Joseph to all of humankind regardless of his belonging to a specific family, a social unit which is only
an itemization of a broader natural-genetic and simultaneously ethical
tie. In other words, nature itself, by means of being rooted in God’s
free love, becomes a source of the duty to adopt. This duty, in turn,
encapsulates the relation of all human beings to Adam before his fall
from Heaven with the prototype of humankind, as such, embodying
also the coinage of humankind. This kind of relatedness exists irrespective of genetic provenance, meaning being children of a specific
individual rather than another.
On the other hand, the idea of a universal brotherhood – shared by
both Christianity and Islam –evidently recalls the common filiation from
the Creator. As is written in the gospel of John, he who believes that Jesus
is God’s son will be in him, namely in God, and God will be in him: this
means that in the Christian imagery the Immaculate Conception signifies that all human beings are ontologically and reciprocally father and
child of each other. Within this framework, faith and nature, social and
bio-genetic ties do not constitute, therefore, a binary or dualistic couple.
Conversely, from the biblical perspective they appear radically intermingled. This is because in and through Jesus, it is all of humankind that
finds its genetic/social salvation, and he is prototypically and simultaneously both father and son. The consanguinity of all human beings and
its ethical implications is unrelated to family relationships based on the
procreative union of two individual – male and female–bodies. Human
beings are all linked by and through their blood–a sort of meta-consanguinity – even if history shows them as unable to recognize and rather
prone to neglect the ethical consequences of these transcendent ties. All
this casts, however, a paradoxical shadow on both Western Christian and
Islamic cultures insofar as both of them see consanguinity as restricted
to two genetic parents who form the prototype of the child’s family of
belonging; which is to be used, as such, as the anthropological and normative yardstick to measure the legitimacy of adoption and, at the same
time, to assess differing parental relationships framed by other cultures.
To raise the argumentative bar higher, I would go so far as to propose a parallel between the genetic significance of the Immaculate Conception and contemporary methodologies of heterologous fertilization. I
1226
The best interest of the child
think that it would not be merely provocative to say that the Immaculate
Conception in a sense prefigures the ever-controversial artificial insemination. If mirrored in the expression “Son of man”, perhaps even Christian believers could see in this methodology something “natural”. Its
biological feasibility is nothing but a consequence of the genetic unity of
humankind. A unity that was embodied and signified by the God-Sons
birth from Mary, that is, from a human being and his self-definition as
“Son of man”. The apparent artificiality of modern methods of fertilization is rooted, in my opinion, in the natural and genetic “continuity” of
all human beings inscribed in their genetic code. Contemporary scientific knowledge does nothing but confirm and give practical consequences
to the universal signification of the Immaculate Conception. From this
simultaneously ethical and genetic perspective, however, artificial fertilization and adoption would appear to be the same. But such a conclusion – I am well aware – is very difficult for some people to accept, given
their tendency to see the artificial methodologies as a hyper-surrogate
to “natural” reproduction, and in that sense as something much worse
than adoption. By contrast, however, the Gospel seems to implicitly
to suggest that if Joseph must adopt Jesus, it is only because of a representational fallacy of humans and the misleading relevance they give
to concepts such as group, community, family, etc. As noted previously,
Joseph is already, in and of himself, son and father of Jesus. The adoption of Mary’s baby is only an invention: a mere social consequence of
sin and human beings’ blindness to the Other-than-Self, who is instead
genetically and ethically the Other of Self.
From a broader perspective, then, this Othering blindness is an idiomatic consequence of what could be defined as the “Babel effect”.
It is a byproduct of the obsessive pursuit of an ultimate and endless
political unity, the existential and social absoluteness of which is signified by the mythical tower. The unity of humankind embodied by
that overambitious building fatally transmutes in an individualistic
attempt to pass off self-identity as universality. This is the source of
the discord stemming from the misleading conviction that being equal,
homologous, if not even identical, is a political achievement that can be
taken for granted and thereby wielded by everyone against each other.
Human beings – this is Babel’s lesson – are not equal in their effectiveness and topical features but rather in their potentialities and
origins, otherwise there would no room for any qualitative multiplicity. The deepest, post-Babel challenge inherent in adoption is the
To be or not to be adopted
1227
acquisition of the cognitive and emotional disposition to recognize
the common kinship, original unity, and belonging with respect to
the human DNA through, and despite, the varieties and differences stemming from its bio-psycho-historical unfolding. The Gospel’s
radical message is the idea of a universal (duty of) adoption beyond
any biological, racial, political, geographical, etc., difference. The acceptance of this general human commitment to the care of children
comes from an understanding of what is commonly “in-divisible
un-divided”, lying beneath the apparent uniqueness and individuality of each “human animal”.
Unearthing a human genetic commonality implies a noetic journey
towards the origin necessarily involving a re-creation, a prosecution
through altruism and charity of God’s primogenital creation (according also to the meaning of charity traceable in both Judaic and Islamic
sacred texts)38.
Many legal regulations on adoption, both national and international,
silently enshrine this Christian lesson, but only partially, because they
merge it with the distorted idolatrous iconization of the blood family,
falsely superimposed by the Western tradition onto the image of “Sacred
Family”. This distortion is likely the other side of a long-time resistance to
the radically revolutionary idea implicitly expressed by the bodily irrationality of the “Immaculate Conception” 39. It could not be a mere coincidence,
indeed, if the denomination “Son of man” does not appear in any of the
major sacred and theological texts subsequent to the Bible40. The etiolating
of such a powerful and socially subversive message (at least, with regard
to the majority of the Western Ancient World’s conceptions of family) was
paradoxically compensated for by the historical bio-geneticization of the
Sacred Family and the “naturalization” of this transfigured model.
38
As for Islam it should be noted that the prohibition to adopt others” children is
compensated for, even if only partially, by the provision of the kafalah, which is in
turn based precisely on the duty of charity and a universal responsibility for children.
On kafalah, its meaning and international legal recognition see, for a conceptual and
comparative analysis, the collection of essays edited by N. Yassari – L.M. Moller –
M.C. Majm (2019); F. Kutty (2015, p. 527 ff.)
39
An interesting review of the ancient western cultural and religious sources of the
idea that blood ties inherently (or by nature) produce affective and ethical bonds can
be found in L.M. Kohm (2008, p. 337 ff.).
40
An exception, even if indirect, can be found in Acts, 7:55-56, with regard to the
martyrdom of St. Stephan: 55 But Stephen, full of the Holy Spirit, looked up to heaven
and saw the glory of God, and Jesus standing at the right hand of God. 56 “Look,” he
said, “I see heaven open and the Son of man standing at the right hand of God”.
1228
The best interest of the child
“Two genetic parents and one or more children” is the motto of
all conservative movements that struggle against any kind of different conception or experience of family, charged with being “unnatural”, as if the empirical prevalence of a phenomenon could be
taken as an absolute source of legitimacy or value. Actually, were
the “genetic-naturalistic” qualification of the sacred family to be taken as a normative pattern, it should be recognized that the history
of Christendom began under the aegis of a complete illegitimacy
and unnaturalness. But Western culture, with its prominent role in
the elaboration of the dominant legal standards for adoption, seems
to be unable to see this radical contradiction at the roots of its conception of family, both “genetic” and “adoptive”. I think that such
a deficiency is to be considered, perhaps surprisingly, as an indirect outcome of secularization and the ensuing ideological refusal to
admit the cultural-anthropological imprint that the Christian moral
theology left upon Western modern socio-political imagery and particularly in its secular legal instruments.
I think that things could appreciably change if Western legal culture acknowledged the resilience of many religious conceptual “relics” inside its allegedly (utterly) secularized categories and took on
the renewed awareness of this silent legacy to critically rearticulate
its cultural future. This could be, inter alia, a starting point to genuinely re-evaluate the pan-parental signification emerging from the
expression “Son of man” and the fallacy of the naturalistic idolatric
iconization of the genetic family as a foundational anthropological-legal pattern directly rooted in Christian revelation. Along the
same path, the world’s legal thought could find the argumentative
tools to curtail the steadfast ethnocentric temptation to superimpose
the Western notion of a consanguineous family as a universal measure for the legitimacy of parentage and family structures developed
by other cultures.
Jesus’ self-definition, in a sense, inverts or, at least, equalizes bio-genetic and adoptive parentage, divesting the contemporary formula
“fictive kinship” of its presumed “nature-based counter-evidence”:
that is, its prejudicial diversity from the historically fictitious “bio-genetic sacred family” and the related universal iconization.
From this perspective, there is an anthropologically relevant observation concerning the legal distinction between “natural” (genetic)
filiation, adoption, and foster care. In many cultures –including native
To be or not to be adopted
1229
communities in Hawaii –41 that distinction has no place, to the point
that many families are comprised of several members who are qualified as children of the family regardless of whether they are adopted,
foster sons and daughters, or genetic children. The source of this kind
of inter-categoriality is an inter-family solidarity and a conception of
adult duties towards children that are not exclusively rooted in genetic parentage. Needless to say, these non-Western populations assume
that their family patterns are quite “natural”.
As regards “naturalness” in and of itself, we could argue that there
is nothing natural outside a representational framing, which inevitably “culturalizes” anything individuals, groups, or peoples can presume to be natural. Beyond this general epistemological consideration,
however, the dichotomy between the natural family and the adoptive
one is internally dialectical. This means that the opposition between
the two alternatives is grounded in a pre-figured scheme of parentage.
If blood ties were delineated in universal genetic terms–as the biblical
expression “Son of man” suggests –then the bonds of nourishment and
care arising from these ties and the related children’s rights should
be, at least potentially, the responsibility of all adults able to provide
them. Taking the Bible’s suggestion seriously, parentage would stem
from, and consist of, a concrete taking of responsibility and actual assistance that on a case-by-case basis each adult would be called upon
to accomplish on behalf of one or more children. In other words, all
adults should be deemed responsible for every child living on the
Earth. In turn, every adult should be considered an “actual” – and not
only potential – parent because of what s/he does in order to nurture
and take care of a child. This alternative framework of “naturality” relocates the “blood issue” – and its definition in terms of exclusiveness
and possessiveness – to the backdrop of a real behavioral relationship
between adults and children. Conversely, only those who presently act
as parents should be considered as such, that is, as an adult responsive
to the universal duty to take care of children.
If the dialectical opposition between a genetic/natural family and
an adoptive one were universally understood according to the above
terms, the division and ensuing conflicts would surely dissolve. Both
family patterns would hinge on the actual ability of “parents” to act
in order to take universal responsibility for the well-being of all of the
41
See J.M. Schachter (2009, p. 52).
1230
The best interest of the child
earth’s children. Consequently, the entitlement to retain their role as
parents in action would become aligned with their real behavior: the
same which should be assumed as the source of the fundamental right
of all adults and children to pursue, and not to be excluded from, the
relational ties already established.
The “right to continue in the extant and fruitful relationship” is,
in my view, what should undergird the primacy of the child’s living
with her/his birth family rather than with an adoptive one. At the same
time, it is the ascertained failure of such continuation to assure the
child’s flourishing that could prudently legitimate her/his displacement from the birth family. Conversely, if considered against the foil
of universal adult responsibility for all human children, insofar as they
are all genetically sons and daughters of humankind, the implicit understanding of the adoptive family as a surrogate of the genetic-natural one would make little sense. In different terms, this conclusion
would mean the end of another broader dichotomy, precisely that embodied by the oppositional couple “social relationship/natural-genetic
one”, otherwise dubbed as the nature/nurture divide. If being a parent
is to be considered immanent to the relation of care, then this being is
inherently relational. This only apparent tautology brings to the surface a too often neglected fact: namely that even material feeding, if
and when springing from a sincere affection, involves the transferal/
translation of one’s own spiritual and material being. A genuine parent always transfers her/his own nature, knowledge and experience
along with the food s/he provides. Even if it is taken in its materiality,
the food given with true dedication to a child is however an epitome
of a specific, utterly personal, way of acquiring, arranging and cooking for the recipient and in view of both her/his individual exigencies
and his/her likes and dislikes. I am really not sure that the mythologized transferal of sperm and oocytes, with their genetic information,
involves a transformative “giving” that is broader or more significant
than the provision of food, an environmental habitat in which to grow,
and the experiential training that any adult can responsibly and lovingly bestow upon a child.
A zoological gaze cast on human beings and other animals could
allow us to relativize coupling as the main distinctive trait of human
parenting. Humans are cultural animals in a much more expansive
sense than other species. For this reason, the specific making of each
human individual and her/his nature are centered on the acquisition
To be or not to be adopted
1231
of cultural habits. The methods of bodily reproduction are common
to all animals, in the end. But not all animals group into families to
rear their young, and even when they do, families are not necessarily
constituted of a heterosexual couple and its offspring. What is idiomatically essential to human beings, conversely, is an education achieved
through symbolic communication with adults acting as cognitive and
behavioral interfaces between children and their environment. Without this intermediation there would be no human life. For humans,
knowledge and matter are two sides of one coin. The contemporary
understanding of the semiotic/informational substance of “blood”,
namely the DNA, should prompt us to come full circle and realize that
both knowledge and DNA are common goods of all humankind, and
serve to sustain its life on planet Earth.
Ironically, the idolatric iconization of the “blood family” leads
human culture to a compulsive reading of individual descent. This
inclination can be captured even through attentive listening to the
narrative commentary of wildlife documentaries. Succumbing to the
human instinct to anthropomorphize other animals, these commentaries often end up ascribing human obsessions and even neuroses
to them. So, it is not at all uncommon to hear the commentator tell
us that a lion, a whale, etc., “in its quest to assure the descent of its
own exclusive genetic makeup, fights rival members of the species,
and kills outsider pups”, and so on. Of course, the animals, so long as
they have not developed an ascertainable language and biographical
conscience, will remain completely unable to even grasp instinctively
what “descent” is. While they surely perceive smells or other bodily signals that prompt them to assume particular behaviors, there is
no evidence of a transgenerational teleological goal. The problem, of
course, does not pertain to animals, but rather exclusively to humans’
cultural inclination and their related conception of the transmission of
individual blood connotations as the all-comprehensive end of life and
its cornerstone as well.
The senselessness of ascribing to animals an intentional pursuit of
descent connoted by an exclusory interpretation of blood ties is a distinctive sign of the obsessiveness marking the Western understanding
of parentage and family as genetically bounded corrals. Nevertheless,
the continued existence of adoptive practices shows a deep anthropological crevice in the understanding of blood ties as the unique source
of the parenting relationship.
1232
The best interest of the child
But let me set aside, for the moment, the thought experiment I have
tried to conduct so far by implicitly imagining a Western culture newly
cognizant of the relativeness inherent in its “blood family” pattern when
mirrored in the Bible’s message and in Jesus” self-definition as “Son of
man”. I think that, even outside such a retrospective realization, history shows that the anthropological habits of the Western tradition are
not entirely out of tune with the biblical depiction of human filiation.
Throughout history, the universal concern for abandoned children, or
those in difficult situations, and therefore the confutation of “blood exclusiveness”, seems to go hand in hand with its opposite, namely the
“bio-genetic family”. As I will try to point out below, this ambiguity is
widely traceable also in the legal texts, both international and national, which rule adoption. The two-track imagery underlying the parallel coexistence of the “family bounded” responsibility for children and
a universal one is the main source of all the ambiguities affecting the
psycho-social condition of adoptees, especially those from different geographical, racial and ethno-cultural contexts. The failures –elucidated in
the first section of the essay – to grasp the relational signification of the
child’s being as well as her/his best interests stem, in my view, from the
obstacles that those ambiguities place in the way of a plain recognition
of a universal rather than exclusory responsibility for all children. Were
the Western drafters of international rules on intercountry adoption able
to cast a deconstructive gaze on the questionable religious icons nestled in their basic assumptions, it would be possible, perhaps, to find,
in the very same sources of a reconsidered Christian-Western tradition,
the ethical and anthropological motivations to architect a rationally and
emotionally supported structure of universal responsibility.
Be as that it may, there is nevertheless a close connection between the
development of a universal sense of parentage and a relational understanding of the child’s being and exigencies. A widespread and continuous concern for others’ children, as something directly affecting us as human beings, could and should bring people from different cultural and
geographical areas closer together. This coming together could also pave
the way to an intercultural rapprochement, if only because taking care
of others’ children implies necessarily taking an interest in their contexts
of life, mental paths and habits, intersubjective relationships, economic
conditions and their determinants. Each child, actually, bears inside her/
himself from birth countless relationships that will mold her/his future
environment. S/he is an epitome and a prophecy at once. I will imme-
To be or not to be adopted
1233
diately explain what I mean with this apparently aphoristic assertion.
Consider the case of disadvantaged and poor countries where people are
often compelled to give their children up for adoption. In the relations
and determinants summarized in the displacement of these children,
there should also be included the historical and present causes of poverty and underdevelopment, from colonialism to the lack of humanitarian
aid, from the exercise of power by dominant countries in the exploitation
of resources, both environmental and human, to the political instability
spurring corruption and wrought by multinational interests. Whether we
like it or not, any child in need or abandoned on the Earth is the epitome
of all these relationships as well as those which will mark her/his future
life. If we assume the existence or at least the ethical need for a universal
concern for them, no one could consider others’ culture, race, social environment, etc., as something remote, detached from her/his own interests
and commitment to understand her/his life environment. In other words,
the universal responsibility for children would implicitly entail intercultural awareness, knowledge and commitment.
On another side, precisely because a child is a convergence point
for all these relational and global factors and their effects, s/he should
be pedagogically prepared to understand the range of people called
upon to be responsible for her/him. But the acquisition of such an ability would bring with it an understanding of others” cultures, relational contexts, and so on: in short, an intercultural education. But this
implies that the best interests of the child and her/his present/future
“being” should be assessed by taking into account all the factors that
could promote the development of such intercultural awareness and
knowledge. This would be a basic prerequisite for the child to acquire
the cognitive potentialities needed to transform her/his into a subject
who is at least minimally aware of the global scale of events and causes
determining her/his condition as an inhabitant/citizen of the Earth.
Prospective and current intercountry adoptees embody in themselves the contemporary human condition. Through their being potentially or actually astride different and geographically distant cultural environments, ethno-racial networks, etc., with all the problems
that such a condition causes them, these children make evident the
inappropriateness of all the nationalistic, racial, culturalizing, essentializing, localizing conceptions of social and political identity42. They
42
From this holistic point of view, my view is utterly aligned with the conclusions
1234
The best interest of the child
tacitly unveil all the evil, if not stupidity, proceeding from the selective idea of blood ties and its metaphorical – but for this no less real –
transmutation into categorical boundaries and geographical frontiers.
From this point of view, it could be said that intercountry adoption is
a prism or a kaleidoscope through which we can see the dramatic cognitive and ethical challenges inherent in the global interrelatedness of
the contemporary human experience.
In each intercountry adoptee’s mind and body, there are reciprocal “elsewheres” conflating and overcoming all territorial, cultural,
religious, etc. divides. Symmetrically and unfortunately, all the psychosocial problems s/he has to face because of her/his difference stem
from the current unsuitability of social imageries to translate the “elsewheres” in the sense of “here”. which means nothing but a self-transformation of local subjectivities capable of providing individuals with
an aware agency, attuned to the global scale of the events affecting
people’s lives. The inability to achieve such a cognitive and ethical
gaze on the world and themselves is the other side of a still widely
common intercultural blindness, which takes place, as I emphasized
above, even inside domestic walls, wedging into the relationships between adoptive parents and adoptee.
Of course, everything could change if each human being, regardless
of her/his geo-political allocation or adoptive intention, were trained to
feel at least potentially committed to understanding the life conditions
of children living elsewhere. This knowledge could urge people, wherever they were, to provide for children’s well-being, so as to support,
if possible, their birth families or, in perfect continuity with this option
and a sense of universal responsibility, offer her/himself as a parent.
To be clear: the above commitment is not a naive expression of a utopian dream, but rather a description of the consequence of focusing on
the anthropological motor that drives the phenomenon of intercountry
adoption, even before its regulation. This signifies nothing other than
pursuing the best interests of children while fostering the intercultural-spatial continuity of their “relational being”, rather than exclusory
blood ties and duties.
At this point, however, a question comes necessarily to the fore. To
what extent is the legal international and national ensemble in tune
with the above composition of intercultural-spatial continuity and
proposed by B. Yngvesson (2009, p. 115).
To be or not to be adopted
1235
universal responsibility when it comes to intercountry adoption? Were
one being exceedingly optimistic, it could be said that the “landscape”
shows both light and shadow. A sincere assessment, however, that
looks beyond the rhetorical openness of some legal statements, reveals
a law-in-action primarily at odds with this view, with only two small
exceptions: a) the child’s right to be supported in her/his possibility to
live fruitfully with the birth family; and b) some hesitant consideration
for the experience of the practice of so-called open adoption, which I
will briefly address below.
3. Hybridization and the Inconsistencies between Blood
Ties and a Universal Commitment to Childhood in
Intercountry Adoption
Unfortunately, the relationality between the child’s “here” and
“elsewhere,” as well as her/his “before” and “after,” is decidedly deficient in the international and national regulation on intercountry
adoption. This is due to the – perhaps culturally unaware – attempt
to legally hybridize the reifying consequences of the biogenetic conception of parentage with the anthropological relevance of the widespread human concern for the destiny of infants, even if born from
Others. Despite the exhortation to enable the adoptee to maintain her/
his relationships with the context of origin, the whole system of intercountry adoption seems to assume the cultural discontinuity between the “adopting social world” and the “child-providing one” as
a “given”, a kind of anthropological pre-condition43. Hence, even if
for comprehensible reasons, the numerous regulations are focused on
the adoptive parents’ duties, and oriented to assure the highest degree of inclusion for the adopted child in her/his new family. However,
this push toward affective inclusion tends – as illustrated above – to
morph, in practice, into a kind of “naturalized kinning”, also because
of the lack of intercultural approach among adoptive parents, social
workers44 and the social fabric at large.
43
F.R. Ouellette (2009, p. 78).
44
See A.L. Baden – J.L. Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 84 f.; p. 104); F.
Juffer – W. Tieman (2016, p. 220), who advocate the development of an intercultural
awareness among the social workers involved in intercountry adoption processes.
Some suggestions regarding the support that social agencies could provide to
intercountry adopting parents in order to protect the adoptees’ cultural identity
1236
The best interest of the child
With the exception of a few selected exoticizing material reminders of the child’s native culture or environment of origin, the adoptive
parents often end up ignoring the landscapes of sense that the adoptee
retains, and miss out on the opportunity to creatively and pro-actively
combine their cultural knowledge with the child’s’ knowing to do”45.
Despite any superficial convictions, this ignorance on the part of adoptive parents plays a considerable role in the psychosocial relationships
of children adopted in their first months of life. The culturalization
of their bodily features is inescapably and prejudicially cast on them
by their “receiving social context” (especially peers and teachers, but
also simple acquaintances, or even passers-by). This has the effect of
transforming the alternatives available to a) being/not being adopted,
versus b) being culturally and radically someone else. Undertaking
intercountry adoption implies, in other words, an anthropological
transmutation which ultimately winds up developing delivering an
out-out, or lose-lose, logic.
As for what has been just outlined, I think that a crucial factor is
the legal qualification of the prospective adopted child as orphaned or
abandoned. Being defined in this way transforms the child into a subject “in need”. This categorization, albeit useful as a legal prerequisite
to the possibility of adoption, conceals a dark side. More precisely, I
refer to the attendant identitarian de-qualification of the prospective
adoptee’s (original) relational and cultural features. In other words,
when the child starts the adoptive path, s/he falls into a sort of psycho-cultural limbo. Even the legal provisions seem to assume that the
child involved in the first stages of the intercountry adoptive process
is waiting for an identity: and this is implicitly the same identity that
s/he will be “given” by the adoptive family, along with the necessary
material support. In effect, adoption is somehow parallel to a Christian baptism. It is a renewal, the giving of a new “nature”. The prospective adopted child is the subject who will be; or, to better emphasize
can be found in Bayley (2006). Bayley’s model is to be taken, in my view, only as
one step towards the development of the social workers’ and agencies intercultural
awareness and skill.
45
F.R Ouellette – H. Belleau (2001, p. 27), who emphasizes, “Hence, for example,
converted into a question of origins, the original filiation takes the form of
documents, photographs and other souvenirs kept by the parents to be shown to
the child. Birth ties are recognized in these records of adoption but are de-activated,
objectivized. They become a set of leads upon which to build a personal history.”
See, similarly, S. Howell (2006, p. 31).
To be or not to be adopted
1237
the inconsistency inherent in such a condition, s/he is considered and
categorized at present in view of the subject who will have been, rather than
in the light of the subject who is now because of her/his having been before.
The verbal tense “future perfect” best signifies the imaginative retroactive renewing effect, a kind of “re-naturing”, attached to intercountry
adoption by virtue of the concoction resulting from the current legal
provisions and the predominant blood-based conception of family. Of
course, there is nothing “natural” in all this, but instead a cultural view
that is fictively – and not even surreptitiously – camouflaged under the
guise of natural law, for which adoption serves as a surrogate. According to the current legal provisions, apart from some vague recommendations46, adoptive parents seem to have no specific psycho-anthropological duty to recognize, but above all to translate and integrate the
child’s past, alive and well in her/his mind, into the cultural frames of
the new family’s life. In practice, the legally defined adoptive process
treats the intercountry adoptee as a subject bereft of any past, or origin.
I realize how harsh this last assertion could sound. Nonetheless, it
reflects fairly accurately the institutional/educational practices and the
cognitive/cultural approach typically employed in intercountry adoption. On the other hand, even if understood as the by-product of an
anthropological and intercultural unawareness, these practical behaviors and effects cannot be dismissed or absolved. Conversely, justifying even a pervasive ignorance would be worse than the effects of the
denial of any possibility of continuity with the child’s past resulting
from the national disciplines on adoption. But such an “innocent” presumption would be even more damaging and absolute than an explicit
attempt to erase that past. It is so because it would come from a “genuine and pervasive” ignorance about its anthropological significance,
and the related long-term psycho-existential implications.
From another perspective, it should not be overlooked that defining children who are abandoned, or in state of adoptability as “needy
subjects” fuels and, at the same time, legitimizes adoptive practice if
only because this qualification bathes adoption in an aura of altruism
and even humanitarian necessity. Nonetheless, need is not synonymous with interest47. The transition from the imagery of interests to the
46
…which I will analyze more closely below.
47
A referral to the imagery of needs can also be found, according to M.A. Failinger
(2015, p. 485 ff.), in the Lutheran perspective on Intercountry Adoption. Nonetheless,
1238
The best interest of the child
imagery of needs has matured during modernity as a consequence of
the political and cultural influence exerted by Marxism. This transition
made sense insofar as it was combined with the promotion of individual creativity within a reasonable context of social practices where the
subject is imagined, at least potentially, as an actor of continuous processes of emancipation and self-emancipation. The prototype of this
ideal horizon coincides with Marxist communism, according to which
knowledge and political participation interplay as elements of a kind
of hendiadys. In the historical experience of social-democratic welfare, however, the category of “need”, despite its major significance in
terms of social solidarity and support, has been shown to be prone to
political instrumentalization. This transfiguration is due to the dominant groups” tendency to give an aprioristic and top-down framing
to people’s actual exigencies and expectations. From this perspective,
the political imagery corresponding to a “society of needs” has proven
unable to effectively include in itself the autonomy and independence
that idiomatically qualifies the liberal “society of interests”. But this
failure is even more serious since the passage from one imagery to
the other was crucial in order to deconstruct the false conscience nestled in a representation of the modern liberal society. And this because
this view relied upon the mystifying assumption that the social actors
could give course to their interests entirely and exclusively by virtue
of the formal freedom to claim for them in their contracting practices.
The awkward legacy of the conflict between those two socio-political
imageries, which remains unsolved in contemporary societies, can also
be traced in the discipline of adoption, and specifically in the creeping
tension between the needs of the prospective adopted child and her/his
right to be heard when his/her best interests in being adopted or not are
at stake48. Connecting “best interests” to the child’s status of abandonment,
assuming that Failinger’s recount corresponds to the overall Lutheran approach to
intercountry adoption, it seems to lean excessively toward an ecumenical solution.
Actually, the Lutheran view seems to reach for a sort of negotiated accommodation
between the needs of orphans or abandoned children and the suffering of infertile
couples wishing to have a child. Unfortunately, this apparently innocent and wellmeaning approach to the “circulation of children” throughout the world unleashes
a commutative logic of needs that ineluctably transmutes, and at the same time
dissimulates, the commoditization of children living in disadvantaged contexts.
48
With regard to the child’s right to be heard, see para. no. 12 and 90 of the General
Comment No. 14 (2013) cit. As for the conflictive relationships between the child’s
best interest and her/his human rights, including the one to be heard, see L. Eekelaar
(1994, 2016), J. Fortin (2009, p. 19 ff.), E.E. Sutherland (2016, p. 33 ff.).
To be or not to be adopted
1239
and thereby to a condition of almost integral “being in need”, the danger
is precisely that of giving room to aprioristic cognitive and axiological
schemes of judgment. Particularly in intercountry adoption, that risk of
apriorism tends to fatally morph into ethnocentrism.
On the other hand, the slippage towards ethnocentrism is an almost
inevitable consequence of any equivalence between the child’s best interests and a configuration of her/his needs as conceptually reified and
culturally gauged on “who the child could be and presumably will have
been as a result of her/his adoptive path”. This imbalance toward the
future adoptive condition conceals the possibility that a cultural removal
provokes an amputation of all those elements of the child’s best interests that are ingrained in her/his pre-adoptive experiences. And what is
worse, such an amputation would be performed in silence. Insofar as it is
rooted in a cognitive reification of the child’s “being” as a subject in need,
such a severing would be “inaudible” and/or almost unconceivable because it would be represented as something simply coextensive to a factual condition of geographical and cultural distance. Under these guises,
cultural dominance sneaks into the intercountry adoptive process and is
placed as a burden on the child’s shoulders in the most terrible way in
which power expresses itself: namely, by imposing not so much what is
to be done, but rather neutrally stating “what is” and “what is not”.
The legal implications of this attitude can also be traced in intercountry adoption. In many national laws, the state of abandonment, qualified
as a prerequisite to the declaration of the state of adoptability, seems to
be paired with the conviction that the child’s preexisting parental relationships should be divested of any relevance. Even if in some states – as
in the UK and recently, even if in different terms, the US – the adoptee
is allowed to search for her/his birth parents, conversely in many others
– like, for example, Italy, which has the second highest number of intercountry adoptions in the world after the US – knowledge of the genetic
mother and father is expressly prevented by law, at least until the adoptee is 25 years old: even then, it can be authorized by the courts only for
serious and substantiated reasons. In all other cases (in Italy) the public
authorities must keep any information about the birth parents sealed,
because of their right to privacy, and also for cases where the state of
origin allows the mother to remain anonymous. The only exception is
the necessity to know the birth parents’ identity due to health reasons49.
49
See Article 28 of the Italian law no. 184/1983, as it has been modified by the
1240
The best interest of the child
Such restrictions divulge a latent contradiction between the international provisions for intercountry adoption and the national laws
aimed to implement them50. Nonetheless, it would be superficial to say
that what is at stake is simply a radical antagonism between different
ideal patterns of adoptive relationship. In many countries – including
Italy – it is possible to find an openness to different schemes of adoption. This is the case in co-parent adoption, step-child-adoption and,
most relevant, the so-called open adoption based on the judicial ascertainment of the child’s condition of semi-abandonment, comprising a
two-step process that includes pre-adoption foster-care followed by,
if possible and necessary, a final adoption51. That the last of these new
practices is also taking place in Italy is very interesting, as it is in apparent contrast with the cultural Catholic mindset that influences so many
state legal policies. There is, however, a possible explanation for these
presumed contradictions. All these new formulas seem to undermine
the traditional exclusive conception of the adoptive family insofar as
they give room–and especially the last – to a kind of trans-familiar responsibility for children. This attitude, however, is not in contrast – as
expounded above – with the universal concern for children symbolically expressed in the Gospels, the Immaculate Conception, the adoption of Jesus by Joseph and, finally, the self-definition of Christ as the
subsequent law no. 149/2001. In many countries, among which also the United
States, the national legislation does not prevent children from know their birth
parents. For a comparative analysis combined with an assessment of the psychoanthropological implications of the different legislative schemas see F.R. Oullette
(2009). But as concerns the possessive logic of exclusiveness and the secrecy of the
adoptee’s origins, see W.E. Carp, (1998, p. 102 ff.); C. Fonseca – D. Marre – B. San
Román (2015, p. 160 f.).
50
As for the adoptees’ right to know their origins and the weak protection that such
right has still found in international law and especially in national provisions, see
G. Mathieu (2016, p. 130 ff.). This author underlines the vagueness and ambiguity
connoting the international and supra-national provisions regarding the individual’s
right to know her/his origin, which leads the European Court of Human Rights to
deny the absolute signification of this fundamental (sometimes even defined by the
same Court as “vital”, according to the ECHR Art. 8).
51
Sometimes Italian judges have given shape to open adoption processes by exploiting
the interpretive potentialities provided by Art. 44 of law no. 83/1984. Nonetheless, in
some respects, the result is a hermeneutic of dubious legitimacy. The whole practice
would need specific regulation, which in turn would require a whole re-thinking of
the axiological and anthropological grounds underlying the idea of adoption. Open
Adoption is also practiced in other countries, for example the United States, Belgium
and France. On the anthropological significance of open adoption, particularly with
regard to the relationship between the adoptee and her/his birth family and/or
environment, see: J.H. Hollinger (2000), J.M. Schachter (2001), F.R. Oullette (2009).
To be or not to be adopted
1241
“Son of man”. These recent developments, in another words, despite
their distance from the blood-family pattern, seem to have ancient anthropological roots that are anything but alien to the Christian religion
and its cultural resilience in modern Western cultures.
In co-parent adoption, stepchild adoption, and open adoption, the
pivotal element that underpins and legitimizes the final adoption in
the best interests of the child is the previous non-exclusive onset of
an inter-subjective relationship of coexistence and care. Furthermore,
the acquisition of adoptive status does not prevent, in these cases, the
possibility for the adoptee to maintain her/his relationship with the
family of origin: which is exactly the opposite of what ensues, on average, from plenary adoption. The existence of such a latent inconsistency in the overall legal discipline of adoption lifts the veil on many
silenced issues and makes visible many ambiguities lying under the
sharp discontinuity that traditional plenary adoption determines in
the relationship between the adoptee and the birth family.
At first, it could appear almost obvious that the state of abandonment or orphanage excludes, in itself, the existence of inter-subjective
or para-parental relationships. The socio-anthropological reality overshadowed by the regime and the practice of intercountry adoption
shows, however, a very different and more variegated reality. In many
disadvantaged social contexts, the abandonment or the state of adoptability are not so much a consequence of the absence of parental or para-parental relationships as rather the inescapable circumstance of being unable to assure the well-being of children. It is no coincidence that
the HCIA alongside many national disciplines on adoption highlight,
among their major concerns, precisely the protection of the child’s
right to live with her/his birth family. And yet, beyond any outward
appearances, assuming the state of abandonment as the prerequisite
for the declaration of the adoptability status, even if based on justifiable reasons, is not necessarily in tune with the effective protection of
that right. This is because the state of abandonment seems to conjure
up guilt and thereby the liability to charge the birth parents for their
presumed negligence in caring for their children. In many cases, such
a prejudicial attitude is doubtless disguised, but just for this reason, it
is difficult to unveil even when it is entirely groundless.
On the other hand, the alleged guilt of the genetic parents or the
extended family bestows the intervention of the adoptive parents
with a salvific aura, and encourages their inclination to erase any
1242
The best interest of the child
traces of the original family relationships insofar as they are assumed
to be harmful. In the co-parent, stepchild, and open adoptions, the
contrastive attitude between the adoptive and the genetic parents is
nonexistent. On the contrary, the positivity of the psycho-affective
relationships taking place with subjects different from the genetic
parents is assumed cumulatively, in addition to the maintenance of
the previous parental ties, as a cornerstone for the subsequent adoption and its legitimacy as being in the child’s best interests. The co-responsibility of genetic and adoptive parents towards the pursuit of
the child’s best interests, if applied to intercountry adoption, could
help the intercultural application of its practice. In the contexts of origin, when attendant economic difficulties or other serious situations
prompt the consideration of outside assistance with child rearing, the
genetic parents often contemplate the possibility of entrusting their
child to another family member/group for a transitional period. Similarly, the basic conviction of many mothers offering their children up
for intercountry adoption is that they can eventually come back home.
In other words, mothers presume the non-definitiveness of entrusting
their child to Others, only to find that once the intercountry adoption
has been finalized, this becomes impossible. Their betrayed expectations are, however, the outcome of a dramatic lack of intercultural
translation between different anthropological patterns of parentage:
an observation that could be made for many non-Western contexts52.
In such areas, moreover, it is very difficult to draw a sharp line of
distinction between adoption and foster care precisely because the
blood-family pattern is absent or not perceived as the exclusive one53.
In all these situations, the absence of love and the negligence in taking
care of one’s own children are only a Western prejudicial ethnocentric
assumption that has very little to do with the actual process leading to
the final institutional declaration of the state of abandonment. However slow and hesitant, the diffusion of both the co-parent and open
adoptions in the Western legal experience, together with the lack of
inter-family discontinuity which connotes them, could promote the
52
See L. Kendall (2005, p. 162 ff.), R. Högbacka (2011, p. 129 ff.); A.L. Baden – J.L.
Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 84 f.).
53
On this topic see the comparative analysis proffered in the collection edited by J.L.
Gibbons – K.S. Rotabi (2016); see also R. Högbacka (2011, p. 129 ff.), C. Fonseca –
D. Marre – B. San Román (2015, p. 158 ff.), and there for further bibliographical
references.
To be or not to be adopted
1243
phasing out of the “abandonment script” and the implicit de-parenting effect ensuing the finalization of adoptions in the intercountry
adoptive regulation and practice.
Should the above prefigured change take place, it could prompt,
at the same time, a different attitude toward the understanding and
management of the intercultural challenges that intercountry adoptive
parents and their children must face. This paradigm shift could allow
for an overcoming of ignorance of the child’s cultural context of origin,
and the development of serious interpenetrative educative efforts inspired by a genuine commitment to an intercultural reciprocal translation/transformation learning process between adoptive parents and
their children coming from elsewhere.
This change of perspective would also be relevant towards the conceptualization and the implications of the fundamental rights of children insofar as it could affect the inclination to naturalize not only the
specific and local categorizations of the child’s “being” but also the educational models to be applied in the countries hosting adoptions. Each
culture falls prey to the illusion that only its own views on children
and their education are “natural”. The consequence of this dogmatic
pluralism is, however, that the dominant cultures of the world do not
resist the “temptation” to superimpose their own patterns on Others”,
not infrequently stigmatized as outlandish, bigoted or even abnormal.
All this has heavy consequences on human rights and the way in which
they are implemented with regard to children, as the naturalization of
educational patterns is closely related to their interpretation.
The interplay between rights and educative practices can lead to a
prototypical configuration and use of Western schemes, which results
in a metonymical substitution between these interpretations and the alleged universal and authentic meaning of children’s human rights. The
final outcome of this practice is an ethnocentric and exclusionary reading
of rights, the universality of which is defined as the conformity to those
(self-centered) prototypical assumptions. In other words, the identity
with oneself is passed off as universality. Hence, if an educational model
is raised to a paradigm for the implementation of human rights, anything
that is not compliant with it will be transitively branded because of its
presumptive contrast with human rights in themselves, and then likely
to be qualified as inhuman or dehumanizing. Such partisan misinterpretation and instrumentalization of human rights can be found across social and legal experiences whenever different cultures come into contact.
1244
The best interest of the child
When the just described metonymic substitution is allowed to perform an active role within intercountry adoptive practices, children
from cultures different than that of the adoptive parents could suffer dramatic discriminatory consequences. As stated above, the logic
of needs does not prevent the essentialization and ontologization of
the features of subjectivity, which means, from a legal perspective, the
danger of a drift towards the dogmatic stiffening of a cultural and local
interpretation of human rights statements. The monitoring agencies
responsible for the supervision of intercountry adoptive processes are
prone, on average, to provide an objectifying interpretation of humanitarian standards that is then transfused into parental care models and
practices. But this propensity to an “alleged objectivity” bears with it
the straitjacketing of individual subjectivities into top-down patterns,
leaving little room for diversity, singularity, or even eccentricity with
respect to moral schemes that are assumed as semantically molar, namely self-evident or natural, within a specific culture, especially when
this is a dominant one. Unfortunately, the evaluative standard “best
interests of the child” functions, in many cases, as a device designed
to provide an epitome of the pedagogical implementations of human
rights. In a sense, it embodies all the (imagery about the) child’s subjectivity. But this entails also that the inclination toward an ontologizing
framing of the subject-child winds up substantiating the identification
of her/his best interests with the reified and naturalized cultural figure
of subjectivity molded by Western thought; and, what is even worse, it
does so as if this figure were validated by human rights54.
The above cultural conflation of a possibly ethnocentric reading of
human rights and the best interests of the child engenders two important consequences. The first has to do with the stigma tacitly connoting the child’s abandonment – as outlined above. The social contexts within which the abandonment of children is not uncommon are
considered underdeveloped, without humanitarian sensibility and
pedagogically irresponsible55. Fortunately, (and this is a not insignificant aspect of the rhetoric of intercountry adoption) there are adoptive
parents from developed countries who intervene to “rescue” children.
54
Albeit dated, the arguments proposed on this topic by P. Alston (1994) and A. AnNa’im (1994) are still interesting. See also N. Cantwell (2016, p. 18 ff.).
55
As for the tendency to cast a tacit stigma on the abandoning/giving birth mothers see
A.L. Baden – J.L. Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 85 ff.).
To be or not to be adopted
1245
Assuming that such a narrative includes some truth, such a depiction
of the sequence of events culminating in intercountry adoption opens
the door to a radical cultural asymmetry in the relationships between
adoptive parents and adopted children.
On the other hand, it cannot be passed over in silence that the interest in intercountry adoption stems also from the specific socio-cultural
conditions of the richer countries, especially the Western ones. These
include the availability of contraceptives, abortion, and overall societal
conditions that make the abandonment of children for economic reasons fairly infrequent; the relative emancipation and empowerment of
women that tends to delay the age of procreation, subsequently leading
to infertility issues; all these factors together make both the adoption
of Western children and the pursuit of children from other countries
more and more difficult56. The existence of such determinants makes
it necessary to recalibrate the tacit stigma attached to all countries and
cultures from which the adopted, and previously abandoned, children
come. The difference at stake seems to be economic rather than ethical.
Nonetheless, in saying this, I do not mean to exclude that welfare conditions can profoundly influence affectivity and emotive habits. Rather, I mean that conjecturing about such influence cannot legitimize any
reification of other populations or the fabrication of ontological marks
that discredit their educative practices. Cultural uses are not coextensive with cultural potentialities. Love for children is not necessarily
absent from a cultural context only because it is unable to avert their
abandonment. Actually, in the past, also the “baby-loving-West” experienced situations similar to those the “giving countries” currently
undergo. Perhaps instead of fostering tacit stigma, Western countries
should question their own responsibility – as to what they have done,
continue to do and not do – towards the creation of all the conditions
which impel non-Western parents to abandon their children.
56
L. Briggs – D. Marre, (2009, p. 16 ff.), where the authors, by echoing a phrase
previously coined by the anthropologist Shelee Colen (2005), refer to an
internationally stratified system of reproduction between the richest countries
and the poorest ones. By virtue of this socio-political stratification, the women
living in the more developed countries would “outsource” the childbearing to the
disadvantaged fertile women dwelling elsewhere, in conditions of misery and low
levels of subsistence, in exchange for economic support; in the same vein, see also A.
Anagnost (1995), R. Högbacka (2009). With specific regard to LGBTI see A. Cadoret
(2009), C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 166 f.).
1246
The best interest of the child
To be more explicit: is it entirely baseless to wonder if a serious
global aid program and a redistribution of wealth on a planetary scale
could defeat the scourge of child abandonment? Were the answer at
least partially positive – as it actually is – it would be impossible to
disregard the existence of a vicious circle between the pauperization
of those countries from which adopted children come and the philanthropic disposition toward intercountry adoption of Western ones.
And if it is so, a dark shadow looms over the entire operation of international adoption. Essentially, the factory of the abandonment does
not reside in the places from which the children come, but rather in
the countries where they finally land under the guise of “abandoned
individuals” rescued by foreign adoptive parents. In the end, world
politics, as happens all too often, begets victims only to commit itself
to their salvation57, a paradox which by no means comes at zero cost
from an existential and emotive point of view, for both children and
the families who give them away.
Regrettably, part of the success of intercountry adoption is linked
to an implicit equivalence between the state of abandonment and the
possibility to “de-parent” children declared as such. De-parenting and
spatial distance tend to cumulatively create a remoting effect, that is, a
time fracture between the present and the past of the adopted child:
a fracture that is chronological and cognitive at the same time. It is
so because it immunizes both the adoptive parents and their social
context from any concern for an intercultural translation, producing
a kind of syncope of meaning between what the prospective adopted
child has been and what s/he is about to become. To put it differently,
the inter-space of translation–which is a metaphor for the spatial translation (namely transposition) that the child undergoes–is annihilated,
and allows the new parents, and the hosting country, to immunize and
exonerate themselves from any duty to grapple with the child’s cultural Otherness and the “Elsewheres/he brings with and in her/himself.
Conversely, this temporal and spatial elsewhere is addressed through
the spectrum of a stigmatizing attitude. These “elsewheres” are often
treated as the etiological matrix of an adjustment disorder of the adopted child to the new situation and, for this reason, identified as sources
of trauma, dis – or an-affective behaviors, psychic instability, etc. This
argument, however, indirectly overshadows and ends up obscuring all
57
L. Briggs – D. Marre (2009, p. 16 ff.), A. Cadoret (2009, p. 271).
To be or not to be adopted
1247
the problems – and they are significant problems – caused by the lack
of intercultural translation and co-constructive attitude inside adoptive families and the social contexts they inhabit.
As harsh as the above observations may sound, on the other side
they may dilute the apparent contradiction between the convergence of
the recent anti-immigration trend in Western countries and the tendency, although in dramatic decline, to undertake intercountry adoption.
Although the claim may appear provocative, intercountry adoption
is, in many respects, only falsely aligned with a genuine disposition
to allophilia (love for Others and/or Aliens) or an openness to cultural
Otherness. In fact, this false narrative has been blatantly discredited in
Scandinavia where a misguided aspiration for a multicultural society in
the 70’s fueled unfettered access to intercountry adoption. Sadly, an anti-immigration attitude lurks even in these adoptive practices insofar as
it is the other side of a tendency to distance the child’s place and culture
of origin due to an often dissimulated belief that such distancing serves
to ameliorate the risk of problematic contacts with the birth family.
Despite the apparent consonance between intercountry adoption
and an openness to Otherness/Elsewhere–geographical, racial and
cultural–in too many cases, it holds only as long as what is “Other”
remains distant from the adoptive socio-cultural space58. This implies,
sadly, that the same Otherness that dwells inside the adopted child
risks being silenced. Also, thanks to the rhetoric of aid and the several
national legal provisions legitimizing a radical hiatus in relationships
with the birth family, the geographical remoteness, as if it were an empirically insurmountable hurdle, winds up legitimizing the cultural
novation of the subject entering a new family and country59. From the
perspective of the best interests of the child, this way of thinking could
lead, however, to mistaking the “child’s right” for the parents” right to
have their own child, according to a possessive logic60.
Without the underlying tendency to deny Otherness, geographical
and cultural distance would never transmute into the annihilation of
the adopted child’s past. And, as paradoxical as it may seem, a genuine,
58
B. Yngvesson (2010, p. 260 ff.; p. 453 ff.; p. 577 ff., p. 1340 ff.).
59
F.R. Oullette (2009, p. 69).
60
As for the morphing of adoption towards a proprietary logic inspired by the blood
exclusiveness of the Western (so-called) “nuclear family,” see C. Fonseca – D. Marre
– B. San Román (2015, p. 60); with particular regard to the United States, see W.E.
Carp, (1998, p. 102 ff.).
1248
The best interest of the child
planetary openness to Otherness, at least in my view, would demotivate
applications for intercountry adoption. In that case, then, the amazing
coincidence between increasing anti-immigration sentiment, sometimes
now even falling into a sort of crimigrationism, and the large number of
intercountry adoptions would both vanish simply because they would
exclude each other.
I can well imagine that the above argument could be criticized by
citing the express prohibition of any discrimination in all the international and national legal disciplines on intercountry adoption. Unfortunately, however, the non-discrimination principle is interpreted, almost exclusively, only in negative terms. When related to intercountry
adoption, it aims to prevent parents from refusing to adopt children
of another race, culture, religion, etc. Nothing is stated, conversely,
about the parents’ duty to know and recognize, through a process
of self-transformation, the child’s Otherness as a necessary means to
avert discrimination.
I suspect that disregard for the “substance” of Otherness is a flaw
common to all non-discrimination disciplines. They make use of both
the categories “direct discrimination” and “indirect discrimination”
precisely in order to prevent the discriminatory attitudes camouflaged
under the guise of general rules or norms tailored exclusively to the
cultural features of the dominant groups. Nevertheless, in these legal
texts there is no room for the objective discrimination that comes from
a “simple” ignorance of the Other and the complete absence of any
duty to provide oneself with the cognitive tools necessary to address
this lack of knowledge61. On the other hand, such an inclination is also
61
Very interesting remarks on this topic can be found in N.E. Dowd (2016, p. 121 ff.).
The author focuses on the fallacy of a “neutral developmental perspective” so often
pervading the educative attitude assumed by adoptive parents and the hosting
society, as well. More specifically, she emphasizes how the myth of neutrality,
when applied to the cultural habits of the “receiving society”, can compromise
the effectiveness of the principle of non-discrimination stated by Art. 2 CRC. She
states: “The litany of examples of discrimination among children unfortunately is a
long list. Added to that would be a global comparison that finds disadvantage and
exploitation concentrated along race, gender and class lines. The persistence of those
patterns, I would argue, should generate a shift in our developmental lens in order
to achieve the goal of children’s equality. Where inequalities exist among children,
Article 2 should trigger examination of the developmental consequences of those
inequalities and the role of the state in perpetuating inequality, in order to ensure
that children’s Article 3 best interests are served in maximizing their developmental
potential. Where there are demonstrable differences in children’s developmental
outcomes that fall along race, gender and/or class lines, a developmental lens
To be or not to be adopted
1249
borne out by intercountry adoption. So, for example, if we consider the
protocols regarding post-adoptive monitoring by social workers, what
pops out immediately is the complete lack of concern for the intercultural practices of inclusion that the adoptive parents should be ready
to address in order to support the child’s adaptive path.
All these circumstances, when taken together, make the asymmetry inherent in the educative relationship (something that however regrettable, seems impossible to eliminate entirely) between parents and
children amalgamate into a cultural asymmetry that ends up poisoning
intercountry adoption. Precisely from the cultural perspective, by contrast, it would be essential to emphasize that educative relationships, if
genuinely carried out in the child’s best interests, must necessarily be
bi-directional. It is not only the child who “must” change: if the adoptive parents are to successfully educate a child from a different culture,
they, too, must change in tune with the child. A dynamic relationship
is required, inspired by the regulative ideal of reciprocal giving. For
the same reason, any definition of the families resulting from intercountry adoption practices as “multi-ethnic” or “multicultural” is to
be deemed seriously misleading. Multi-ethnicity or multi-culturality
can be assumed only as initial conditions. The “processive teleological target” of those families should to be, instead, the invention of a
common intercultural dome, as such equidistant from both the parents
and the child. Only based on this figuration of past, present and future
can all the adoptive family members grow together and advance their
personal development.
As regards adoption, I would like to be adamantly clear: education
does not mean being the “God” of the child who is to be educated. Parents and children, at least from a cultural point of view, must be considered to occupy a level playing field. Otherwise the educative relationship will be doomed to fail or fall prey to tragic imbalances – often long
dormant but destined to erupt even in the medium term. Conversely,
turning towards the Other and intercultural translation efforts is to be
intended as a mutual commitment without making any concessions
to a misoneist or oneiric maintenance of the original psycho-cognitive
informed by the consequences of those developmental challenges should be used
to not only counter the effects of discrimination, but more importantly, to trigger
obligations and responsibilities to dismantle those structures in the ecology that
generate those disproportionate challenges, and implement systems that support
children’s equal development.” .
1250
The best interest of the child
condition of the adopted. Origins, and especially cultural ones, are not
a fixed point in time and space. They are, rather, a function in the process of a renewing and ongoing conceptualization of the past in view
of the construction of a fruitful relationship between any individual
and her/his present life environment. For this reason, the disregard of
the cultural origins of both the adoptive parents and the adopted child
would mean losing access to a toolkit that is essential to achieving the
intercultural transformation inherent in any process of personal growth
among subjects called to coexist despite their differences.
Quite the contrary, the international legislation on children’s rights
and intercountry adoption neither helps nor promotes the development of widespread awareness about the importance of intercultural
commitment. If one considers, for example, the sixth and seventh “principles” of the CRC, a complete indifference for the phenomenon of the
extended families is obvious, despite the fact that in many cultures the
people who are called “mother” do not exclusively coincide with the
genetic one. As emphasized above, the subsequent tenth principle does
not even consider the discriminatory consequences of ignorance about
the children’s culture with regard to intercountry adoptive practices; in
the same vein, we could consider the provision stated in Art. 2 of the
CRC. The situation does not get any better if one looks at points five, six
and seven of the CRC Preamble where the description of family life and
the individual development of the child are almost exclusively focused
on the Western conceptualization of family and personal subjectivity.
Some further problems, then, arise with regard to Art. 5 of the CRC,
where – apparently in contradiction with the previous principles and
points – there is a specific referral to extended families. Actually, it is
very difficult to infer from this provision how to combine the recognition of the extended family and the declaration of the state of abandonment of children as a prerequisite for their adoptability. Even if one
compares this article to the HCIA statements, the question of whether
a child included in an extended family can be declared to have a status of adoptability when s/he has lost her/his genetic parents remains
quite ambiguous.
Article 7 of the CRC establishes the fundamental right of a child to
know her/his parent. Nonetheless this principle does not seem to be
adequately connected with all the legislation on intercountry adoption
(and not only) that instead exclude the right of the adopted children
to know their birth parents. Another very problematic point, then, is
To be or not to be adopted
1251
the interpretation of Art. 8 and the related protection of the identity,
nationality, name and familiar relationships of the child in cases where
this provision is to be combined with the inevitable transformations
inherent in adoptive practices, especially the intercountry ones.
If we consider the specific topic of this essay, Art. 20 of the CRC,
and particularly its third paragraph, is of the utmost importance. This
statement reads:
3. Such care could include, inter alia, foster placement, kafalah of
Islamic law, adoption or if necessary placement in suitable institutions
for the care of children. When considering solutions, due regard shall
be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing and to
the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background.
In the above provision, what seems to be almost a conundrum is
how the interpreters should understand “continuity” in the child’s
ethnic, religious, cultural and linguistic background without any referral to the intercultural transformations that the adoptive parents and
the adopted child are destined to undergo and manage.
Something similar, however, is to be said with respect to Art. 21.
Though this provision is to be commended for attempting to provide
a real remedy against the speculative practices germinated in the past
around intercountry adoption, subparagraphs c) and, indirectly, b) are
almost indecipherable, at least without any connection to a (presumably lacking) preexisting and well-established intercultural competence. The subparagraphs at issue establish:
a) Recognize that inter-country adoption may be considered as an alternative means of child’s care, if the child cannot be placed in a
foster or an adoptive family or cannot in any suitable manner be
cared for in the child’s country of origin;
b) Ensure that the child concerned by inter-country adoption enjoys
safeguards and standards equivalent to those existing in the case of
national adoption.
My question is: how is it possible to ask for a comparative assessment of the condition of the child’s safeguards and standards without
any prior development of an intercultural understanding of the “relational being” of the child and his/her family relationships so as to
promote their flourishing?
In this vein, another critical point has to do with the necessity to
coordinate Art. 17 of the CRC with Art. 29. In Article 17, the aim of
the CRC is to underscore the role of mass media in the education of
1252
The best interest of the child
the child and, particularly, in order to assure her/his attendant cultural life. But what cultural life is at issue if the child is adopted? Art.
17, as a matter of fact, includes some referrals to the international and
multicultural sources of information to be made available for children.
Of course, these referrals are dramatically insufficient to face the cultural hindrances that an intercountry adopted child could experience.
On the other hand, Art. 21 seems, from this point of view, to confuse
things even further:
1. States Parties agree that the education of the child shall be
directed to:
a) The development of the child’s personality, talents and mental and
physical abilities to their fullest potential;
b) The development of respect for human rights and fundamental
freedoms, and for the principles enshrined in the Charter of the
United Nations;
c) The development of respect for the child’s parents, his or her own
cultural identity, language and values, for the national values of
the country in which the child is living, the country from which he
or she may originate, and for civilizations different from his or her
own;
d) The preparation of the child for responsible life in a free society, in
the spirit of understanding, peace, tolerance, equality of sexes, and
friendship among all peoples, ethnic, national and religious groups
and persons of indigenous origin;
e) The development of respect for the natural environment.
2. No part of the present article or article 28 shall be construed
so as to interfere with the liberty of individuals and bodies to establish and direct educational institutions, subject always to the
observance of the principle set forth in paragraph 1 of the present
article and to the requirements that the education given in such institutions shall conform to such minimum standards as may be laid
down by the State.
The article begins: “States Parties agree that the education of the child
shall be directed to”62. If one focuses attention on subparagraph (c) and
relates it to intercountry adopted children, the question of interculturality immediately pops into his/her mind but, unfortunately, remains entirely unanswered. According to the regulation, everything
62
My italic.
To be or not to be adopted
1253
should proceed without impediment for the intercountry adopted
child, except the mammoth difficulty of combining “the development
of respect for his or her own cultural identity, language and values,
for the national values of the country in which the child is living, the
country from which he or she may originate, and for civilizations different from his or her own” in a hosting society plagued with cultural
conflicts. Once again, interculturality seems to be the great absentee
from legal concerns.
Even the HCIA does not provide the answer that the CRC evades.
Aside from a few statements relating to the child’s identity and ethnic,
cultural, and religious background, as necessary information to be included by the Central Authority of the State of origin in its report about
the prospective adopted child, nothing else can be found in this legal
text with regard to culture or intercultural issues.
Many further considerations could be proposed with regard to the
so-called “distance adoption” as well as to “international foster care”
and their relationships with traditional plenary adoption. But these
issues, although closely linked to the argument at stake, are beyond
the reach of this essay. The legal instruments analyzed here, however,
concur to unearth the pervasive inconsistency that goes hand in hand
with the parallel histories of adoption and the “blood family” icon.
They seem to illustrate how the universal responsibility for children is
increasingly becoming the cornerstone of a widespread duty for care
perceived beyond reproductive blood linkages. On the other hand, interculturality is to be assumed as the necessary flip side of the dissemination of such practices insofar as they traverse distances, borders,
races, cultures, religions and other differences.
Although the ideal of color-blind adoption has often been branded as a utopian expectation63, the overcoming of exclusive adoptive
parentage as the only remedy to the orphaning or abandonment of
children comes to the fore as both a possible anthropological transformation and an already extant historical practice. Adoption, in
other words, seems to be increasingly intended no longer as a surrogate of blood ties and parentage that is prototypically rooted in
genetic derivation. The possibility of wriggling free from the straitjacket of blood parentage and descent and all its imagery should be
championed, at least in my view, as a first and yet crucial step on the
63
See T. Hübinette (2016, p. 229).
1254
The best interest of the child
thorny road towards the eradication of racism. My conviction is that
if the day comes when all adult human beings are able to feel themselves to be, at least potentially, responsible for each child inhabiting
the Earth, and to see in some sense all children as their own, the
journey toward detoxifying the mind from racism will have begun.
In spite of all its inner contradictions, or maybe because of them, the
current adoptive legal experience seems to give a hint of hope that
this possibility could be more than a utopian fantasy.
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Tutela degli interessi del minore e normativa
dell’unione europea sul ricongiungimento
familiare
Adelina Adinolfi
Sommario: 1. Interessi del minore e diritto al ricongiungimento familiare:
i vincoli posti dalle convenzioni internazionali. – 2. Interessi del minore
e protezione della vita familiare nelle fonti dell’Unione sulla tutela dei
diritti fondamentali. – 3. Ricongiungimento familiare e libertà di circolazione delle persone. – 4. Il ricongiungimento familiare dei cittadini
dell’Unione. – 5. Il ricongiungimento familiare dei cittadini Stati terzi. – 6.
Qualche osservazione conclusiva.
1. Interessi del minore e diritto al ricongiungimento
familiare: i vincoli posti dalle convenzioni
internazionali
Nel caso di trasferimento di un genitore (o di entrambi) in uno Stato
diverso da quello di residenza, la tutela dell’interesse superiore del
minore può trovare concreta espressione attraverso le regole che disciplinano il ricongiungimento familiare. È infatti attraverso tali regole
che si consente di ricomporre la famiglia e di garantirne l’unità, permettendo al minore di accompagnare o di raggiungere il genitore nello
Stato in cui quest’ultimo si è stabilito1.
1
Si omettono, per ragioni di spazio, riferimenti a contributi della dottrina in relazione
ai diversi aspetti di seguito considerati. Limitandosi ad alcuni lavori monografici, cfr.
E. Bergamini, La famiglia nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2012; B. Nascimbene
– F. Rossi dal Pozzo, Diritti di cittadinanza e libertà di circolazione nell’Unione europea,
2012; R. Palladino, Il ricongiungimento familiare nell’ordinamento europeo, Bari, 2012;
C. Morviducci, I diritti dei cittadini europei, Torino, 2014; C. Costello, The Human
Rights of Migrants and Refugees in European Law, Oxford, 2016; C. Berneri, Family
reunification in EU Law, Oxford, 2017; R. Friedery – L. Manca – R. Roskopf, Family
Reunification: International, European and National Perspectives, Berlin, 2018.
1262
The best interest of the child
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza impone agli Stati parti di assicurare che il minore
non sia separato dai propri genitori (art. 9, par. 1), precisando che
da ciò discende l’obbligo di considerare le domande di ricongiungimento familiare “in a positive, human and expeditious manner” (art. 10,
par. 1). Inoltre, l’obbligo generale di assicurare il rispetto dei “best interests” del minore in tutte le decisioni che lo concernono (art. 3, par.
1) comporta che a tali interessi debba essere data preminenza anche
nell’esame delle domande di ricongiungimento. Rileva altresì il diritto
alla vita familiare, enunciato dall’art. 8 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo (di seguito CEDU)e, negli stessi termini, dalla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea2; la Corte europea dei
diritti dell’uomo ha infatti riconosciuto che “mutual enjoyment by parent and child of each other’s company constitutes a fundamental element of
family life”, ed ha perciò ritenuto che “domestic measures hindering such
enjoyment amount to an interference with the right protected by Article 8”3.
Tale quadro normativo rende evidente l’incidenza che gli obblighi
internazionali relativi al rispetto della vita familiare e al diritto del minore a non essere separato dai propri genitori producono rispetto alle
normative di carattere restrittivo che regolano, nei Paesi europei, l’ammissione degli stranieri. Come ha chiarito la Corte di giustizia dell’UE,
il diritto alla vita familiare comporta, infatti, per gli Stati membri, degli
obblighi “che possono essere di carattere negativo, qualora uno di essi
sia tenuto a non espellere un soggetto, ovvero di carattere positivo,
quando l’obbligo sia quello di consentire ad un soggetto di fare ingresso e di risiedere sul proprio territorio”4.
Il diritto dell’Unione europea impone agli Stati membri dei vincoli assai rilevanti in merito al ricongiungimento familiare del cittadino
dell’Unione che soggiorni in un Paese membro diverso da quello di
appartenenza; le regole sulla libertà di circolazione delle persone, delle
quali si dirà poco oltre, conferiscono, infatti, al cittadino di uno Stato
membro il diritto di farsi accompagnare o raggiungere dai propri fa2
L’art. 7 della Carta è ispirato all’art. 8 della CEDU, come chiariscono le Spiegazioni
elaborate dal Praesidium della Convenzione europea. È opportuno ricordare che
queste indicano le fonti delle disposizioni enunciate dalla Carta e hanno una
funzione di carattere interpretativo come richiede l’art. 6, par. 1, TUE, secondo il
quale la Carta deve essere interpretata “tenendo in debito conto le Spiegazioni”.
3
Così nel caso Monory v. Romania and Hungary, ricorso n. 71099/01, 5 aprile 2005, par. 70.
4
Sent. 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, causa C-540/03, par. 52.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1263
miliari, indipendentemente dalla nazionalità di questi ultimi5. Riguardo al ricongiungimento del cittadino di un Paese terzo con i propri
familiari è invece lasciato agli Stati membri dell’Unione, nonostante
l’adozione nel 2003 di una direttiva europea6, un ampio spazio discrezionale. Ne consegue che l’istituto del ricongiungimento familiare si
articola variamente nell’ordinamento europeo allorché concerna i cittadini dell’Unione ovvero gli “extracomunitari”, determinando, perciò, un diverso grado di tutela dei medesimi diritti fondamentali ai
quali esso dà concreta espressione; rispetto ai cittadini di Paesi terzi
l’istituto si declina in modo ulteriormente differenziato in relazione,
tra l’altro, allo status di soggiornante di lungo periodo7 o di rifugiato8
ovvero in ragione di particolari vincoli assunti dall’Unione sulla base
di accordi di associazione e di cooperazione con Stati terzi9.
È opportuno ricordare che tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono parti della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia
e dell’adolescenza; essi sono, perciò, vincolati dai principi che questa
enuncia anche allorché provvedono a dare applicazione o attuazione
alle regole europee relative al ricongiungimento familiare. Inoltre,
come sarà più oltre posto in rilievo, la Convenzione costituisce un importante punto di riferimento per il diritto dell’Unione, sia nella definizione del contenuto delle fonti primarie di tutela dei diritti umani, sia
nell’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni; il diritto al ricongiungimento familiare previsto dalle normative dell’Unione esprime, in effetti, alcuni dei principi enunciati dalla Convenzione e ora
“trasposti” nella Carta dei diritti fondamentali, attribuendo ad essi un
5
La normativa sul ricongiungimento presenta particolare incidenza pratica qualora
il familiare per il quale è richiesta l’autorizzazione all’ingresso o al soggiorno non
sia cittadino dell’Unione. Allorché il familiare sia, invece, cittadino di uno Stato
membro, il ricongiungimento assume rilevanza solo quando tale cittadino sia privo
dei requisiti ai quali è subordinato il diritto “primario” al soggiorno.
6
Direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento
familiare, sulla quale cfr. infra, par. 5.
7
Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano
soggiornanti di lungo periodo, regolamento 1560/2003, sulle modalità di
applicazione del regolamento sullo Stato competente a esaminare le domande di
protezione internazionale, con riguardo alla clausola umanitaria.
8
Il capo V della direttiva 2003/86 enuncia disposizioni più favorevoli per il
ricongiungimento familiare dei rifugiati. Rilevano anche disposizioni della c.d.
direttiva qualifiche (2011/95/UE) sul riconoscimento della protezione internazionale.
9
Ad es., l’accordo di associazione con la Turchia e le decisioni adottate in applicazione
di questo.
1264
The best interest of the child
contenuto concreto. Tuttavia, il ruolo che l’interesse del minore svolge
in relazione al diritto al ricongiungimento non risulta con evidenza dal
diritto dell’Unione, che è orientato a valorizzare, invece, la prospettiva
di tutela della vita familiare del genitore; solo nella giurisprudenza
più recente – che ci si propone di seguito di ricostruire brevemente al
fine di individuarne le attuali linee di sviluppo – l’interesse del minore
inizia ad apparire come un principio con caratteristiche di autonomia
piuttosto che ricevere tutela indirettamente attraverso la realizzazione
di differenti obiettivi normativi, quali la libertà di circolazione delle
persone o l’integrazione sociale del lavoratore migrante.
2. Interessi del minore e protezione della vita
familiare nelle fonti dell’Unione sulla tutela dei diritti
fondamentali
Nell’ordinamento dell’Unione europea, la vita familiare e gli interessi superiori del minore risultano tutelati, anzitutto, in quanto
principi generali di cui la Corte di giustizia, secondo un consolidato orientamento, garantisce l’osservanza. La protezione dei diritti
fondamentali è stata infatti definita, sin dalle origini della Comunità
europea, attraverso fonti non scritte, sovraordinate agli atti normativi, ricostruite in via interpretativa nella giurisprudenza della Corte
di giustizia. I principi generali – enunciati inizialmente anche al fine
di compensare la mancanza di un elenco dei diritti fondamentali nel
Trattato CE – svolgono, nel sistema delle fonti dell’Unione, la funzione di parametro di legittimità degli atti delle istituzioni e di criterio
per la loro interpretazione ed integrazione.
Secondo una giurisprudenza costante, i principi generali enunciati
dalla Corte di giustizia devono essere rispettati anche dalle autorità
nazionali – sia amministrative sia giudiziarie – qualora la normativa
interna rientri nel “campo applicativo” del Trattato10. Per l’aspetto che
qui interessa, ne deriva che, in presenza di tale condizione, le autorità
nazionali sono tenute, allorché applichino norme interne che concernono il ricongiungimento familiare, a rispettare i diritti fondamentali
nell’interpretazione accolta dalla Corte di giustizia.
10
Così, tra l’altro, nella sentenza 18 giugno 1991, ERT, causa C-260/89, par. 42.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1265
Ai fini dell’individuazione dei principi generali, la Corte si fonda
sia sulle convenzioni internazionali alle quali gli Stati membri hanno
cooperato o aderito, sia sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri, secondo il metodo che è stato poi codificato, da ultimo, con il
Trattato di Lisbona11. Richiamandosi al principio enunciato dall’art. 8
della CEDU, la Corte di giustizia ha più volte affermato che il rispetto
della vita familiare “fa parte dei diritti fondamentali che (…) sono tutelati nell’ordinamento giuridico comunitario” (par. 41)12. La circostanza
che l’art. 6, par. 3, del Trattato sull’Unione europea richiami solo la
CEDU tra le fonti convenzionali utilizzate ai fini della ricostruzione dei
principi generali non ha precluso alla Corte di riferirsi ad altri trattati
pertinenti, quale, per ciò che qui rileva, la Convenzione delle Nazioni
Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza13.
Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, il
quadro delle fonti di tutela dei diritti fondamentali si è arricchito per
effetto dell’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea dello stesso valore giuridico delle disposizioni dei Trattati istitutivi. I diritti enunciati dalla Carta, tra i quali figurano il rispetto della
vita familiare (art. 7) e i principi di protezione del minore (art. 24), assumono così il rango di diritto primario dell’Unione, configurandosi come
un ulteriore parametro di legittimità e di interpretazione degli atti derivati. Al rispetto della Carta sono tenuti anche gli Stati membri, “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione”, cioè nell’ambito definito dalla Corte di giustizia secondo criteri analoghi a quelli utilizzati
ai fini dell’applicazione dei principi generali14. Non vi è dubbio, perciò,
11
Benché la formula utilizzata ai fini della codificazione non sia perfettamente
coincidente con il metodo seguito dalla Corte, questa ha mantenuto la continuità
del proprio orientamento; mi permetto di rinviare in proposito a La Corte di giustizia
dell’Unione europea dinanzi ai principi generali codificati, in A. Annoni – S. Forlati – F.
Salerno (cur.), La codificazione nell’ordinamento internazionale e dell’Unione europea,
Napoli, 2019, p. 558 ss.
12
V., tra le altre, la sentenza 11 luglio 2002, Carpenter, causa C-60/00, par. 41.
13
Occorre però considerare che i richiami della giurisprudenza concernono talora
atti normativi che contengono nel preambolo o nel testo un espresso richiamo alla
Convenzione; v. ad es. la sent. 22 maggio 2012, P.I. c. Oberbürgermeisterin der Stadt
Remscheid, causa C-348/09, che richiama la Convenzione di New York in quanto
menzionata sia nel testo della direttiva 2004/38, sia nel preambolo della direttiva
2011/93 sulla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori.
14
Come affermato nella sentenza Åkerberg Fransson (26 febbraio 2013, causa C-617/10),
“i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati quando una
normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”,
1266
The best interest of the child
che le normative e le prassi nazionali di attuazione delle direttive sul
ricongiungimento familiare debbano essere conformi alla Carta, nell’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia.
Sotto il profilo del contenuto, la Carta ha definito una tutela specifica dei diritti dei minori, ed ha altresì valorizzato il nesso con la Convenzione delle Nazioni Unite. Le Spiegazioni relative all’art. 24 della
Carta chiariscono, infatti, che “questo articolo si basa sulla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (…) e in particolare sugli
articoli 3, 9, 12 e 13 di detta Convenzione”. I diritti che la Carta afferma
all’art. 24 coincidono in gran parte, benché espressi in modo più generale, con alcuni dei diritti tutelati dalla Convenzione. Tra questi, per
ciò che qui interessa, la Carta enuncia, con una formulazione quasi
identica a quella di cui all’art. 9, par. 3, della Convenzione, il diritto del minore di “intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti
diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”
(art. 24, par. 3)15. Di particolare importanza appare la “incorporazione” all’interno della Carta del principio dei best interests of the child,
ponendo l’obbligo alle autorità pubbliche e alle istituzioni private di
considerare preminente l’interesse superiore del minore in qualsiasi
atto che lo riguardi (art. 24, par. 2).
Nell’interpretazione della Carta, la Corte di giustizia ha di recente evidenziato il collegamento sostanziale tra il diritto alla protezione
della vita familiare e l’obbligo di considerare l’interesse preminente
del minore, costruendo così un sistema coerente di tutela fondato sui
principi enunciati, rispettivamente, dalla CEDU e dalla Convenzione
di New York. In una sentenza del 26 marzo 2019 essa ha affermato, infatti, che “l’articolo 7 della Carta deve essere (…) letto congiuntamente
all’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima”; da tale
schema interpretativo la Corte ha fatto discendere la conseguenza che,
ricorrendo certe condizioni, un minore soggetto alla kafala algerina debba ottenere un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di
vivere con il suo tutore nello Stato membro in cui questi si sia trasferito.
per cui “l’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali
garantiti dalla Carta”.
15
Come la Corte ha affermato in un caso riguardante la sottrazione internazionale di
un minore, tale diritto ammette deroghe solo nell’interesse dello stesso minore: sent.
23 dicembre 2009, Detiček, causaC403/09 PPU.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1267
3. Ricongiungimento familiare e libertà di circolazione
delle persone
Il ricongiungimento familiare ha costituito il primo ambito del diritto
dell’Unione in cui ha trovato espressione il diritto alla vita familiare ed
hanno altresì assunto rilevanza i principi di protezione degli interessi del
minore. La libertà di circolazione riconosciuta ai cittadini di Stati membri –
inizialmente ai soli lavoratori migranti e poi collegata al possesso della cittadinanza dell’Unione – ha infatti, sin dall’avvio del processo di integrazione,
posto l’esigenza, pur in mancanza di qualsiasi disposizione al riguardo nei
Trattati istitutivi, di conferire al migrante il diritto di sviluppare la propria
vita familiare nello Stato membro di trasferimento della residenza.
Nella prospettiva dell’ordinamento dell’Unione, il diritto al ricongiungimento conferito ai cittadini di Stati membri persegue il fine precipuo di consentire al genitore che esercita la libertà di circolazione di
tenere con sé il proprio figlio; si intende, quindi, tutelare il diritto del
genitore alla propria vita familiare, piuttosto che la correlativa esigenza
del figlio minore di intrattenere relazioni stabili con il genitore.
Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia si è orientata nel senso
di intendere il ricongiungimento familiare come un istituto funzionale alla
libertà di circolazione delle persone piuttosto che quale espressione di un
diritto fondamentale. È vero che la Corte non ha trascurato, sin dalle prime
pronunce in materia, la rilevanza che il ricongiungimento presenta per il
cittadino che trasferisca la propria residenza; così, ad esempio, in una sentenza resa nel 1989 in un procedimento di infrazione contro la Germania,
essa ha riconosciuto che “il Consiglio ha preso in considerazione (…) l’importanza che riveste dal punto di vista umano, per il lavoratore, la riunione
al suo fianco della famiglia”16. Tuttavia, la vita familiare è stata tutelata,
coerentemente con gli obiettivi espressi sin dall’origine dal Trattato CEE,
al fine di evitare gli ostacoli all’esercizio della libertà di circolazione che
potrebbero sussistere qualora il lavoratore fosse privo della possibilità di
condurre con sé i propri familiari. A tale argomento si è affiancata l’esigenza, in una giurisprudenza piuttosto ampia resa soprattutto negli anni
Settanta, di garantire la piena parità di trattamento del lavoratore migrante
riguardo anche ai benefici sociali previsti a vantaggio dei figli, facilitando
l’integrazione della famiglia nello Stato membro ospitante17.
16
Sent. 18 maggio 1989, Commissione c. Germania, causa 249/86.
17
L’interesse del minore si riflette anche nella possibilità, che non è qui considerata,
1268
The best interest of the child
Il carattere strumentale della riunificazione familiare è apparso,
quindi, come un elemento ben consolidato nella giurisprudenza della Corte, ove si è affermata una particolare formula interpretativa che
manifesta la volontà di far convergere la tutela del diritto fondamentale alla vita familiare verso l’obiettivo di garantire in modo effettivo e
senza ostacoli la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. Tale
formula si riscontra, ad esempio, nella sentenza del 2000 nel caso Carpenter ove è affermato che “il legislatore comunitario ha riconosciuto
l’importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato” (par. 38)18.
Anche in pronunce più recenti, sviluppate dopo un’evoluzione
del sistema comunitario che ha portato sia a delineare la nozione di
cittadinanza dell’Unione collegando a questa la libertà di circolazione, sia a sviluppare la tutela dei diritti fondamentali, si riscontra,
tuttavia, un approccio volto a mantenere lo schema argomentativo
tradizionale, fondato sul carattere strumentale del ricongiungimento familiare19.
Tale particolare costruzione dell’intento del legislatore dell’Unione
può destare perplessità sul piano teorico in quanto lascia intendere che
il riconoscimento dei diritti fondamentali sia volto ad agevolare la libertà di circolazione piuttosto che svolgere il ruolo di parametro di legittimità nella definizione delle regole materiali. Inoltre, in una prospettiva
di politica giudiziaria, una visione che configuri il diritto al ricongiungimento familiare in funzione essenzialmente strumentale rispetto all’esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione può sembrare espressione di una concezione ormai superata dell’integrazione
europea, accentuando la centralità degli obiettivi volti alla realizzazione del mercato unico. D’altra parte, non si può trascurare che il diritto
che egli permanga nello Stato in cui il genitore ha in precedenza soggiornato in
modo da poter terminare il ciclo di studi avviato; a ciò si accompagna un diritto di
soggiorno derivato a favore del genitore cittadino di uno Stato terzo che si prenda
cura del figlio fino al momento in cui quest’ultimo raggiunge la maggiore età; cfr.,
tra le altre, 23 febbraio 2010, Ibrahim, causa C-310/08.
18
Cit., par. 38. V. anche, tra le altre, 29 aprile 2004, Orfanopoulos, causa C-482/01
e C-493/01, 9 gennaio 2003, Givane, causa C-257/00,e25 luglio 2008, Metock, causa
C-127/08.
19
Cfr., tra le altre, la sent. 11 dicembre 2007, Eind, causa C-291/05, e la sent. Metock
(cit.) ove si legge che “se i cittadini dell’Unione non fossero autorizzati a condurre
una normale vita di famiglia nello Stato membro ospitante, sarebbe seriamente
ostacolato l’esercizio delle libertà loro garantite dal Trattato” (par. 62).
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1269
al ricongiungimento enunciato dagli atti comunitari e poi dell’Unione è
stato interpretato estensivamente dalla Corte di giustizia in quanto funzionale alla libertà di circolazione20, e che proprio il collegamento con
il diritto di ingresso e soggiorno ha portato a riconoscere a tale istituto
una portata più estesa di quella che potrebbe derivare dal riferimento
alla tutela del diritto fondamentale alla vita familiare sulla base della
CEDU21. Mentre, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo considera, in via di principio, che il diritto fondamentale sia rispettato allorché
la vita familiare possa essere ricostituita altrove22, per la Corte di giustizia, invece, il diritto al ricongiungimento deve, coerentemente con
la libertà di circolazione, essere riconosciuto nello Stato membro che
è stato scelto dal cittadino dell’Unione ai fini della propria residenza.
Da tale schema interpretativo derivano, come sarà di seguito indicato,
importanti conseguenze riguardo alla portata del diritto di soggiorno
riconosciuto ai minori aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
4. Il ricongiungimento familiare dei cittadini
dell’Unione
Pur in mancanza di un fondamento giuridico specifico all’interno
del Trattato CEE, il diritto ad essere accompagnati o raggiunti dai propri familiari è stato riconosciuto ai lavoratori migranti già con il regolamento 1612/1968, poi esteso ai lavoratori autonomi con la direttiva
73/148 e, negli anni Novanta, a seguito dell’ampliamento progressivo
20
V., tra le altre, sentenze 12 marzo 2014, O. e B., cause riunite C-456/12, C-258/12, par.
35, 5 giugno 2018, Coman e a., causa C-673/16, par. 18 e 10 luglio 2014, Ogieriakhi,
C-244/13, par. 40.
21
Benché i diritti enunciati dalla Carta corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU
debbano avere “significato e (…) portata” uguali a quelli enunciati dalla Convenzione
(art. 52, par. 3), d’altra parte la stessa disposizione consente una tutela più favorevole
a livello dell’Unione.
22
Cfr., tra le altre, sent. 28 maggio 1985, Abdoulaziz, Cabali and Balkandali v. The United
Kingdom, ricorsi 9214/80, 9473/81, 9474/81, ove si afferma che dall’art. 8 non può
risultare un obbligo generale dello Stato “to respect the choice by married couples of the
country of their matrimonial residence and to accept the non-national spouses for settlement
in that country”, specie qualora i coniugi “have not shown that there were obstacles to
establishing family life in their own …home countries…” (par. 68). La Corte europea
ha tuttavia indicato che circostanze eccezionali possono richiedere un diverso
orientamento: v. ad es. 3 ottobre 2014, Jeunesse v. the Netherlands, n. 12738/10, par.
107, ove si ribadisce l’interpretazione sopra riferita dell’art. 8, aggiungendo che,
tuttavia, “in a case which concerns family life as well as immigration, the extent of a State’s
obligations to admit to its territory relatives of persons residing there will vary according to
the particular circumstances of the persons involved and the general interest”.
1270
The best interest of the child
dei beneficiari della libertà di circolazione, conferito a categorie di cittadini dell’Unione in possesso di determinati requisiti23, per essere infine regolato in modo unitario dalla direttiva 2004/38.
La direttiva prevede il diritto del cittadino dell’Unione al ricongiungimento con i familiari che vi sono elencati, tra i quali, per ciò che qui
interessa, “i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli
del coniuge o partner di cui alla lettera b”. L’estensione del diritto al ricongiungimento anche rispetto ai figli del coniuge o del partner persegue
indirettamente la protezione degli interessi del minore, il quale potrà
riunirsi al proprio genitore (anche se cittadino di Stato terzo) allorché
quest’ultimo sia ammesso al soggiorno in ragione del proprio legame
con un cittadino dell’Unione. La Corte ha precisato che il legame di
filiazione dev’essere inteso in senso ampio, comprendendo quello “di
natura biologica o giuridica”; di conseguenza, la nozione di discendente diretto di un cittadino dell’Unione ai sensi della direttiva include
“tanto il figlio biologico quanto il figlio adottivo (…), allorché è dimostrato che l’adozione crea un legame di filiazione giuridica tra il minore
e il cittadino dell’Unione interessati”; la nozione non si estende, invece,
a particolari forme di affidamento del minore, come la kafala algerina,
ritenute non equiparabili ad un rapporto di filiazione24.
Le regole enunciate dalla direttiva si applicano soltanto ai cittadini
dell’Unione che esercitano la libertà di circolazione, restando perciò
escluse in via di principio le situazioni meramente interne ad uno Stato
membro; al cittadino che non si trasferisca dallo Stato di appartenenza si applicheranno, pertanto, le normative nazionali – eventualmente
meno favorevoli di quelle enunciate dalla direttiva25 – ai fini del ricongiungimento familiare. Tuttavia, dall’esigenza di garantire in modo effettivo e senza ostacoli i diritti conferiti ai cittadini dell’Unione la Corte
di giustizia ha tratto due conseguenze di grande rilievo sotto il profilo
dell’unità familiare e dei diritti dei minori.
23
A ciò hanno provveduto le tre direttive sul soggiorno 90/364/CE, 90/365/CE e 93/96/
CE, poi abrogate dalla direttiva 2004/38/CE.
24
Sent. 26 marzo 2019, SM c. Entry Clearance Officer, UK Visa Section, causa C-129/18.
25
Talora gli Stati membri, al fine di evitare “discriminazioni al rovescio” (cioè, a danno
dei cittadini che non esercitano la libertà di circolazione) allineano ai criteri previsti
dalla direttiva la normativa nazionale applicabile alle situazioni meramente interne;
cfr. in proposito sent. 7 novembre 2018, C, A, causa C-257/17.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1271
In primo luogo, il cittadino può far valere l’applicazione della direttiva verso il proprio Stato di appartenenza qualora vi rientri dopo aver
esercitato la libertà di circolazione26; ciò comporta, in sostanza, che il
soggiorno dei familiari nello Stato membro di cui è cittadino il titolare
del diritto al ricongiungimento non potrà essere soggetto a condizioni
più rigorose di quelle definite dalla direttiva27. Nella prassi, tale eventualità può risultare assai rilevante considerato che le condizioni per il
ricongiungimento previste sulla base di normative nazionali possono
essere più restrittive di quelle enunciate dalla direttiva e, inoltre, che
anche brevi periodi di soggiorno in un altro Stato membro sono idonei,
secondo la giurisprudenza della Corte, a consentire al cittadino l’acquisizione dello “status” di beneficiario della libertà di circolazione28.
In secondo luogo, la Corte ha recentemente costruito una sorta di
ricongiungimento “al rovescio” fondandosi sul diritto del figlio minore, cittadino dell’Unione, di risiedere in uno Stato membro; da tale
diritto la Corte ha tratto l’obbligo degli Stati membri di consentire il
soggiorno del genitore, cittadino di un Paese terzo, che si prende cura
del minore qualora quest’ultimo sarebbe altrimenti costretto a lasciare l’Unione. Tale particolare filone giurisprudenziale ha preso avvio
con la sentenza Chen29 nella quale la Corte ha affermato che le norme
dell’Unione “conferiscono al cittadino minorenne in tenera età di uno
Stato membro, coperto da un’adeguata assicurazione malattia ed a carico di un genitore, egli stesso cittadino di uno Stato terzo, le cui risorse
siano sufficienti affinché il primo non divenga un onere per le finanze
pubbliche dello Stato membro ospitante, un diritto di soggiorno a durata indeterminata sul territorio di quest’ultimo Stato”; in tal caso, il
diritto dell’Unione permette altresì “al genitore che ha effettivamente la
custodia di tale cittadino di soggiornare con quest’ultimo nello Stato membro
26
V. tra le altre la sent. Eind, cit., par. 45. Una situazione analoga si crea allorché il
cittadino dell’Unione acquisisca la cittadinanza dello Stato membro in cui si
è trasferito; benché non sia applicabile il tal caso la direttiva 2004/38, il diritto di
soggiorno può essere tratto dall’art. 21, par. 1, TFUE: sent. 14 novembre 2017, Toufik
Lounes, causa C-165/16, par. 62.
27
Cfr. le sentenze 12 marzo 2014, O. e B., C456/12, par. 50 e 10 maggio 2017, ChavezVilchez, causa C-133/15, par. 54.
28
La Corte ha ritenuto che anche un’attività lavorativa “esercitata a tempo determinato
per un periodo di due mesi e mezzo” potesse attribuire al cittadino di uno Stato
membro la qualifica di lavoratore: sent. 6 novembre 2003, Ninni-Orasche, causa
C-413/01, par. 32.
29
Sent. 19 ottobre 2004, Chen, causa C-200/02.
1272
The best interest of the child
ospitante” (par. 47). Il principio così enunciato ha trovato più compiuta espressione nel caso Zambrano30; la Corte ha affermato che gli Stati
membri sono tenuti ad autorizzare il soggiorno dello straniero che sia
genitore di cittadini dell’Unione in tenera età per evitare che questi ultimi siano privati “del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti
dal loro status di cittadini dell’Unione” (par. 42). Seguendo un orientamento pragmatico basato sul principio interpretativo dell’effetto utile,
la Corte si fonda, quindi, sul presupposto che il diritto di soggiorno del
cittadino dell’Unione di minore età verrebbe inevitabilmente vanificato se non fosse consentita la presenza, nello Stato membro di residenza, del genitore che se ne prende cura.
La giurisprudenza successiva31 ha fornito importanti precisazioni,
sottolineando, tra l’altro, il carattere “eccezionale” di tale meccanismo,
ma chiarendo, d’altro lato, che esso trova applicazione anche quando
il minore non abbia previamente esercitato la libertà di circolazione. È
stato altresì dichiarato che spetta al giudice del rinvio verificare se dal
diniego dell’autorizzazione al soggiorno a delle cittadine di paesi terzi
“potrebbe risultare una restrizione dei diritti che sono conferiti ai loro
figli dallo status di cittadino dell’Unione, in particolare del diritto di
soggiorno, dato che detti figli potrebbero essere costretti ad accompagnare la loro madre e dunque a lasciare il territorio dell’Unione, globalmente considerato”32.
Tale recente orientamento comporta per il giudice nazionale il difficile compito di individuare gli elementi che consentono di ritenere che
senza le cure del genitore cittadino di uno Stato terzo il figlio sarebbe
costretto a lasciare l’Unione venendo così privato dei diritti connessi al
possesso della cittadinanza europea. Se si tratta senza dubbio di una
valutazione che può essere condotta solo in relazione alle particolarità
dei singoli casi, tuttavia alcune indicazioni possono trarsi dalla giurisprudenza della Corte. Così, nella sentenza del 2012, O e a.33, la Corte
30
Sent. 8 marzo 2011, Zambrano, causa C-34/09. Sotto il profilo sostanziale, non
ha implicazioni di rilievo la circostanza che il fondamento dell’argomentazione
della Corte sia nell’art. 20 TFUE (come nel caso Chen) o nell’art. 21 (come nel caso
Zambrano).
31
V., tra le varie sentenze, 15 novembre 2011, Dereci e a., causa C-256/11, 8 novembre
2012, Iida, causa C-40/11, 8 maggio 2013, Ymeraga e a., causa C-87/12, 10 ottobre
2013, Alokpa e Moudoulou, causa – C86/12, 13 settembre 2016, Rendón Marín, causa
C-165/14, 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez, cit.
32
Sent. Chavez-Vilchez, cit., par. 65.
33
Sent. 6 dicembre 2012, O., S., cause riunite C-356/11 e C-357/11.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1273
ha dato rilievo all’affidamento del figlio e alla circostanza che l’onere
giuridico, finanziario o affettivo correlato al figlio sia sopportato dal
genitore cittadino di un paese terzo (par. 51). Appare rilevante che la
Corte non si limiti a considerare elementi di carattere formale (l’affidamento) ed economico (il mantenimento del figlio), ma valorizzi il
legame affettivo del minore con il genitore. È infatti “la relazione di
dipendenza tra il cittadino dell’Unione in tenera età e il cittadino di
un paese terzo al quale è negato un diritto di soggiorno che può mettere in discussione l’efficacia pratica della cittadinanza dell’Unione dal
momento che è tale dipendenza a far sì che il cittadino dell’Unione sia
costretto, di fatto, ad abbandonare non soltanto il territorio dello Stato
membro del quale è cittadino, ma anche quello dell’Unione considerato nel suo complesso, come conseguenza di una siffatta decisione
di diniego” (par. 56). Ne deriva, come affermato in una pronuncia del
2018 ai fini dell’interpretazione della direttiva rimpatri, che “l’esistenza di un vincolo familiare con tale cittadino, di tipo biologico o giuridico, non è sufficiente” e che, d’altra parte, la convivenza è uno degli
elementi da prendere in considerazione ma non è ritenuta necessaria
affinché sussistano le condizioni ritenute necessarie ai fini della costruzione di un diritto di soggiorno derivato a favore del genitore34.
È evidente come nel procedere all’accertamento delle condizioni
enunciate dalla Corte non possa essere trascurata la situazione dell’altro genitore, specie quando questo sia cittadino dell’Unione. A tale riguardo la Corte ha rilevato, nella sentenza Chavez-Vilchez, che, “ai fini
di tale valutazione, il fatto che l’altro genitore, cittadino dell’Unione, sia
realmente capace di – e disposto ad – assumersi da solo l’onere quotidiano ed effettivo del figlio minorenne costituisce un elemento pertinente, ma che non è di per sé solo sufficiente per poter constatare che
non esiste, tra il genitore cittadino di un paese terzo e il minore, una
relazione di dipendenza tale per cui quest’ultimo sarebbe costretto a
lasciare il territorio dell’Unione qualora al suddetto cittadino di un paese terzo venisse rifiutato un diritto di soggiorno”. Ne discende che la
circostanza che all’accudimento del figlio possa provvedere il genitore
cittadino dell’Unione non esclude di per sé l’esigenza di costruire un
diritto di soggiorno dell’altro genitore privo di tale cittadinanza. Infatti,
una decisione che neghi tale esigenza “deve essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del minore di cui trattasi,
34
Sent. 8 maggio 2018, KA e al., causa C-82/16, par. 72 e 73.
1274
The best interest of the child
dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, dell’età del minore, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della
sua relazione affettiva sia con il genitore cittadino dell’Unione sia con il
genitore cittadino di un paese terzo, nonché del rischio che la separazione da quest’ultimo comporterebbe per l’equilibrio di tale minore”. Tale
importante affermazione sembra essere il punto di arrivo di un’evoluzione giurisprudenziale che, muovendo dalla libertà di circolazione
delle persone, porta in sostanza a prescindere dal previo esercizio di
tale libertà, e consente, benché sulla base di criteri di non facile individuazione, di tutelare l’interesse del minore a risiedere nell’Unione. Ne
deriva che se, quindi, il diritto al ricongiungimento si impernia sulla
tutela della vita familiare del genitore, tale recente giurisprudenza valorizza, invece, la posizione del figlio minore in quanto titolare dei diritti
derivanti dal possesso della cittadinanza dell’Unione.
5. Il ricongiungimento familiare dei cittadini Stati terzi
La direttiva 83/2006 riconosce, in presenza di determinate condizioni, il diritto del cittadino di uno Stato terzo di farsi raggiungere o
accompagnare dai propri familiari; la tutela della vita familiare è in
questo caso – diversamente da quanto sopra rilevato in relazione ai cittadini degli Stati membri –l’obiettivo prioritario a cui tende il legislatore dell’Unione, insieme alla volontà di favorire l’integrazione dello
straniero nello Stato di residenza. Tra i familiari ammessi al ricongiungimento si elencano, prendendo in considerazione ai nostri fini solo
i discendenti, i figli comuni del soggiornante e del coniuge ed anche
quelli del solo soggiornante o del solo coniuge dei quali essi abbiano,
rispettivamente, l’affidamento e con il consenso dell’altro genitore35; i
figli “devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente
maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati”. L’obbligo degli Stati membri, nell’esame della domanda di
ricongiungimento, di tenere “nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori” è enunciato espressamente dalla direttiva (art. 5, par. 5).
Senza voler qui descrivere i contenuti di tale atto, è tuttavia utile
ricordare che il diritto al ricongiungimento è attribuito in via di principio al cittadino di uno Stato terzo che sia in possesso di un permesso di
soggiorno di durata almeno annuale ed abbia “una fondata prospettiva
35
Cfr. l’art. 4 della direttiva.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1275
di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile”. Tuttavia, gli Stati
membri possono prevedere o mantenere ulteriori condizioni, quali la
disponibilità di un alloggio, di un’assicurazione per le malattie, di risorse stabili, regolari e sufficienti, e anche il superamento di un “esame di
integrazione” da parte del familiare; può inoltre essere richiesto che lo
straniero abbia già soggiornato per un certo periodo di tempo (non oltre due anni) nello Stato membro di residenza. È evidente, perciò, che se
la direttiva intende conferire agli stranieri il diritto al ricongiungimento,
quest’ultimo può avere tuttavia una portata assai ridotta in ragione della presenza di numerosi requisiti che gli Stati membri possono introdurre o mantenere. La formulazione generica di alcune delle condizioni
apre, peraltro, ampi spazi di discrezionalità, realizzando, in definitiva,
un’armonizzazione alquanto ridotta degli ordinamenti nazionali; i requisiti indicati riflettono, infatti, quelli che già erano previsti in alcuni
Stati membri, secondo una tecnica normativa volta ad agevolare il raggiungimento del compromesso politico necessario ai fini dell’adozione
della direttiva.
È altrettanto evidente che le varie condizioni ulteriori che gli Stati
possono prevedere implicano il rischio, se non intese in modo rigoroso,
di pregiudicare i diritti fondamentali, con riguardo, in particolare, alla
protezione della vita familiare e alla tutela degli interessi superiori del
minore. Tale rischio, apparso sin dal momento dell’adozione dell’atto,
ha indotto il Parlamento europeo ad impugnare la direttiva deducendone l’illegittimità per contrasto con i diritti fondamentali del minore36.
I principali vizi di legittimità dedotti riguardavano la possibilità di subordinare il ricongiungimento dei figli di più di 12 anni a condizioni
relative alla loro capacità di integrazione e di prevedere che le domande di ricongiungimento siano presentate prima del quindicesimo anno
d’età se così già stabilito nell’ordinamento nazionale. Senza entrare
nel merito della pronuncia, basti qui ricordare che la Corte ha escluso
l’illegittimità dell’atto in quanto esso consente di essere interpretato in
modo conforme ai diritti fondamentali. Infatti, il margine discrezionale
lasciato agli Stati membri “è sufficientemente ampio per consentire loro
di applicare le regole della direttiva in senso conforme alle esigenze derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali” (par. 104). Perciò, gli Stati
membri “devono (…) provvedere (…) a prendere debitamente in considerazione l’interesse superiore del minore (parr. 63 e 101).
36
Sent. 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, causa C-540/03.
1276
The best interest of the child
Tale pronuncia non si sottrae a rilievi critici nei confronti di una soluzione interpretativa che affida agli Stati membri il compito di assicurare il rispetto degli standard di tutela, “spostando” così le garanzie sul
rispetto dei diritti fondamentali alla fase dell’attuazione e dell’applicazione dell’atto. In una prospettiva pragmatica, è tuttavia innegabile che
se la Corte avesse annullato l’atto (o parte di esso) ben difficilmente si
sarebbe raggiunto il consenso politico necessario per l’adozione di una
nuova direttiva: “salvare” l’atto ha invece consentito alla Corte, come
mostra l’evoluzione giurisprudenziale più recente, di valorizzarne il
contenuto e di espanderne le potenzialità di tutela, orientando l’interpretazione, grazie ai rinvii pregiudiziali proposti, verso una definizione comune dei diritti fondamentali.
La Corte ha infatti sviluppato uno schema interpretativo che si richiama alla finalità della direttiva, evidenziando che poiché essa è volta ad agevolare il ricongiungimento familiare, deve correlativamente
essere accolta un’interpretazione restrittiva delle condizioni e dei limiti
e ai quali il diritto può essere soggetto37. Pertanto, la discrezionalità
riconosciuta agli Stati membri non può “essere impiegata dagli stessi
in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva, che è di
favorire il ricongiungimento familiare, e il suo effetto utile”38 (par. 43).
Su tale argomento la Corte si è fondata per dichiarare, tra l’altro, nella
stessa sentenza, che “essendo l’autorizzazione al ricongiungimento familiare la regola generale”, la condizione relativa alla disponibilità di
risorse sufficienti “dev’essere interpretata restrittivamente” (par. 43).
Al criterio teleologico si affianca un’interpretazione orientata alla tutela dei diritti fondamentali, come emerge con chiarezza da una successiva pronuncia39 nella quale la condizione della disponibilità di risorse
adeguate è stata valutata tenendo conto non soltanto degli obiettivi
della direttiva e dell’esigenza di assicurarne l’effetto utile, ma anche
alla luce del principio che impone “agli Stati membri di esaminare le
domande di ricongiungimento in questione nell’interesse dei minori
di cui trattasi e nell’ottica di favorire la vita familiare” (par. 80).
37
Senza poterne qui dare conto, non può trascurarsi l’importanza che rivestono (anche
ai fini della decisione di avviare un procedimento di infrazione) le posizioni espresse
dalla Commissione europea; v. in particolare la Comunicazione concernente gli
orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE (COM(2014) 210 def., 3
aprile 2014).
38
Sent. 4 marzo 2010, Chakroun, causa C-578/08.
39
Sent. 6 dicembre 2012, O., S., cit.
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1277
Sulla base di tale schema interpretativo anche il potere discrezionale che la direttiva, nella sua formulazione letterale, accorda agli Stati
membri in relazione all’esame di integrazione è stato inteso in modo
rigoroso; questo deve tendere a promuovere l’inserimento del familiare nel contesto sociale dello Stato, mentre non sarebbe ammissibile
qualora “impedisse automaticamente il ricongiungimento (…) dei familiari del soggiornante laddove, pur non avendo superato l’esame di
integrazione, questi ultimi abbiano fornito la prova della loro volontà
di superare tale esame e degli sforzi compiuti a tale scopo”. Infatti,
le misure di integrazione previste dalla direttiva “devono avere come
finalità non quella di selezionare le persone che potranno esercitare il
loro diritto al ricongiungimento familiare, ma facilitare l’integrazione
di queste ultime negli Stati membri”40.
All’interpretazione rigorosa delle condizioni limitative si accompagna, nella giurisprudenza recente, la costruzione di un diritto al
ricongiungimento correlativo all’obbligo posto agli Stati membri dalla direttiva; quest’ultima, infatti, “impone agli Stati membri obblighi
positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti” e, dunque, richiede ad essi “di autorizzare il ricongiungimento
familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di
discrezionalità in proposito”41.
6. Qualche osservazione conclusiva
La breve ricognizione che si è svolta esaminando la normativa e
la giurisprudenza sul ricongiungimento familiare dall’angolo visuale
della tutela dell’interesse del minore, induce anzitutto ad osservare
come la “incorporazione” nel diritto dell’Unione della regola relativa
al miglior interesse del minore rafforzi in sostanza, in virtù del principio del primato, l’efficacia che la regola espressa dalla Convenzione di
New York produce nei rapporti con le normative nazionali. Il principio della tutela degli interessi superiori del minore acquista, infatti, la
medesima efficacia della fonte del diritto dell’Unione che lo enuncia:
pertanto, esso si colloca ormai a livello di diritto primario per il tramite
dell’art. 24 della Carta, e trova altresì specifica espressione in atti normativi concernenti diverse aree di competenza dell’Unione, da quella
40
Sent. 9 luglio 2015, K,A, causa C-153/14.
41
Ivi, par. 46.
1278
The best interest of the child
internazionalprivatistica, a quelle relative alla protezione internazionale, alla politica dell’immigrazione, al contrasto della criminalità, alla
libertà di circolazione delle persone42.
La giurisprudenza della Corte di giustizia più sopra esaminata ha
messo in luce le importanti conseguenze che derivano dall’interpretazione della normativa dell’Unione sul ricongiungimento familiare in
conformità al principio del migliore interesse del minore. Riguardo al
ricongiungimento dei cittadini dell’Unione, il riconoscimento del diritto di soggiorno del minore contribuisce ad una progressiva erosione
delle situazioni puramente interne, sviluppando, benché in base ad un
criterio incerto e di non facile definizione da parte delle autorità nazionali, un orientamento che consente al genitore che provvede alla cura
del minore di soggiornare nello Stato membro in cui il figlio risiede;
benché tale giurisprudenza sia motivata dalla volontà di assicurare i
diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione, essa porta a far prevalere l’interesse del minore poiché richiede, secondo le pronunce più
recenti, di tenere in debito conto la relazione affettiva con ciascuno dei
genitori e di valutare i rischi che per l’equilibrio del minore comporterebbe la separazione dal genitore cittadino di un paese terzo.
Il ruolo svolto dal principio di tutela degli interessi del minore appare con maggiore evidenza riguardo al diritto al ricongiungimento
dei cittadini di Stati terzi, rispetto al quale esso ha portato ad intendere
in modo molto rigoroso le condizioni limitative, grazie anche ad uno
stretto raccordo interpretativo con il diritto alla vita familiare. Il principio del miglior interesse del minore contribuisce, in tal caso, non solo
a determinare un’interpretazione restrittiva di limiti e condizioni del
ricongiungimento, ma rafforza anche, per il tramite del diritto dell’Unione, l’efficacia dell’obbligo posto agli Stati membri dall’art. 3, par.
1, della Convenzione delle Nazioni Unite. Su un piano più generale,
il ruolo svolto da tale principio nella giurisprudenza della Corte di
giustizia evidenzia come la “codificazione”, all’interno della Carta, di
diritti fondamentali che trovano la propria origine in fonti diverse di
protezione dei diritti umani consenta più agevolmente di sviluppare
un’interpretazione sistematica, favorendo l’applicazione uniforme dei
principi nel contesto europeo.
42
Rinvio per qualche precisazione al riguardo a La rilevanza della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia nell’ordinamento dell’Unione europea, in I trent’anni
della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Autorità garante
per l’infanzia e l’adolescenza (in corso di stampa).
Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare
1279
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Minore migrante e tutela dei diritti umani
Silvia Albano
L’art. 2 della Costituzione italiana testualmente recita: “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia all’interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale”.
Nell’art. 2 si trova il solenne riconoscimento dei diritti inviolabili
dell’uomo nei confronti dello Stato Italiano. Con esso viene affermato
il principio che persino il potere sovrano si deve arrestare davanti a
questi diritti della persona. Nonché l’inscindibile legame tra i diritti
fondamentali ed il dovere di solidarietà, senza il quale non è possibile
l’inveramento dei primi. Il riferimento alle formazioni sociali ove si
svolge la personalità consente di ritenere anche il minore direttamente
titolare di diritti fondamentali (all’epoca dell’adozione della Costituzione non era scontato).
La potenza del dovere di solidarietà, in stretta correlazione con i
diritti fondamentali ed inviolabili – aventi, insieme, carattere fondativo
della stessa democrazia –, si è dispiegata in vari ambiti interpretativi
ed i giudici ne hanno fatto diverse applicazioni (dall’abuso del diritto,
alle relazioni familiari ed economiche), Rodotà, nel celebre libro “solidarietà un’utopia necessaria”, ne ha disvelato il valore universalistico,
legato alla persona in quanto tale: il carattere cosmopolita del dovere
di solidarietà.
Rodotà riteneva che il ripudio della solidarietà e le politiche di
esclusione dessero luogo a conflitti insanabili e l’unico modo di superare e governare i conflitti fosse fare buona applicazione del concetto universalistico di solidarietà, affermato dalle nostre costituzioni.
Quanto oggi sta avvenendo nel mondo e che ha spinto Papa Francesco
a parlare di terza guerra mondiale, sta lì a ricordarcelo.
1282
The best interest of the child
Tutti gli stranieri godono della protezione dei diritti fondamentali
della persona umana previsti dalle norme interne, dalle convenzioni
internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, ai sensi dell’articolo 2 del Testo Unico sull’immigrazione e dell’articolo 10, comma 1, della Costituzione.
I diritti fondamentali appartengono, infatti, all’umanità in quanto tale.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, diventata
vincolante per gli stati grazie al Trattato di Lisbona, enuncia un nucleo di diritti fondamentali che investono la persona in quanto tale e
che definiscono anche la sfera di libertà di ciascuno, che nessun potere
esterno può penetrare, sottraendo così i diritti fondamentali alla tirannia di qualsiasi maggioranza.
La Carta riprende in un unico testo, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, i diritti civili, politici, economici e sociali dei
cittadini europei nonché di tutte le persone che vivono sul territorio
dell’Unione.
Il costituzionalismo moderno, attraverso la rilevanza primaria attribuita alla dignità umana, ha voluto reagire ad una concezione di
umanità fondata sull’esclusione di chi non corrispondeva ad un determinato modello, che aveva portato agli esiti infausti che abbiamo conosciuto e culminati nella seconda guerra mondiale. Hannah Arendt,
nel suo “Le origini del totalitarismo”, ci ricorda che il diritto ad avere
diritti od il diritto di ogni individuo all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa.
La dignità umana, nell’evoluzione del pensiero e del diritto, è divenuta fondamento di tutti i diritti, facendo corpo con i diritti fondamentali di libertà, eguaglianza e solidarietà in una logica di indivisibilità
nella loro interpretazione (come afferma Stefano Rodotà nel suo “Il
diritto di avere diritti”).
La tutela dei diritti umani è quindi universale, derivante dal diritto
alla dignità umana inerente ad ogni essere umano, e deve, pertanto,
essere garantita ai migranti in quanto tali, qualsiasi sia la ragione della
migrazione.
Tra le categorie vulnerabili di migranti bisognose di particolare
protezione sono senz’altro ricomprese le persone minori di età.
La convenzione di New York sui diritti del fanciullo obbliga lo Stato
che la ha ratificata ad applicarla a tutti i fanciulli che si trovano sul suo
territorio, anche se non in modo stabile e prescindendo dal fatto che essi
abbiano un valido titolo per soggiornarvi. In altre parole, le garanzie ed
Minore migrante e tutela dei diritti umani
1283
i principi generali ivi previsti (in particolare i principi di non discriminazione (art. 2); il principio del superiore interesse del minore (art. 3);
il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art. 6), ed il diritto
alla partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12)) devono essere assicurati dagli Stati non solo ai propri cittadini, ma a tutti
i minori che si trovano sotto la sua giurisdizione, indipendentemente
dalla regolarità di soggiorno.
La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 19 dicembre
2017, resa pubblica il 29 gennaio 2018, ha ribadito tali principi invitando gli Stati membri a promuovere e proteggere i diritti umani e le
libertà fondamentali di tutti i migranti, a prescindere dal loro status
migratorio, raccomandando un’attenzione particolare per le donne ed
i minori ed evitando approcci che potrebbero minare ulteriormente la
vulnerabilità dei migranti stessi. Raccomanda, poi, a tutti gli stati di
mettere in atto azioni e procedure che diano concreta attuazione all’interesse superiore del minore, che deve avere considerazione primaria
in tutte le azioni e decisioni riguardanti i minori migranti, indipendentemente da loro status migratorio, e mettano fine alla detenzione di
minori migranti.
Nella risoluzione del Parlamento europeo del 3 maggio 2018 sulla
protezione dei minori migranti si invitano “gli Stati membri a dare attuazione al principio dell’interesse superiore del minore in tutte le decisioni che
lo riguardano, indipendentemente dal suo status” e si prevedono una serie
di raccomandazioni agli stati al fine di darne effettiva attuazione (dal
sistema di accoglienza all’accesso ai servizi ed alle politiche di integrazione), rilevando che “un anno dopo la pubblicazione della comunicazione
della Commissione sulla protezione dei minori migranti del 12 aprile 2017, gli
Stati membri si trovano ancora a dover affrontare sfide nell’attuazione delle
sue raccomandazioni”. Si sottolinea, altresì, l’importanza di elaborare un
piano individuale basato sulle necessità e altre vulnerabilità specifiche a ciascun minore, tenendo conto del fatto che la qualità di vita e
il benessere dei minori richiedono anche un’integrazione precoce, un
sistema di sostegno comunitario e il fatto di avere l’opportunità di realizzare appieno il proprio potenziale.
L’ONU sta lavorando al “Global Compact for Migration”, un accordo intergovernativo che dovrebbe regolare le migrazioni internazionali.
Il Comitato direttivo dell’Iniziativa per i diritti dei minori (Initiative for
Child Rights) nei Patti mondiali, ha stilato un documento di lavoro intitolato “I diritti dei minori nei Patti mondiali: raccomandazioni per proteggere,
1284
The best interest of the child
promuovere ed applicare i diritti umani dei minori migranti nei Patti mondiali proposti”. Il documento di lavoro – pubblicato a fine giugno 2017
– si basa sulla Dichiarazione di New York su migranti e rifugiati, sugli
Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), sulle disposizioni del diritto internazionale e altri quadri normativi, per proporre obiettivi, traguardi e
indicatori da inserire nei Patti mondiali per una migrazione sicura, ordinata e regolare e nei Patti mondiali per i rifugiati. Riguarda i minori
migranti in quanto tali, a prescindere dal loro status e dalla regolarità
della loro presenza in un determinato territorio.
Sono sei le aree tematiche intorno alle quali si articola il documento
di lavoro: 1) Non discriminazione (che riguarda non solo il razzismo
e la violenza di cui possono essere bersaglio i minori e la necessità di
percorsi di integrazione, ma anche la diversa tutela dei diritti e l’accesso
ai servizi da parte dei minori a seconda che siano regolari o meno sul
territorio); 2) l’interesse superiore del minore (a fronte del fatto che tutti
i minori rifugiati e migranti sono regolarmente colpiti da politiche e pratiche che non considerano preminente l’interesse superiore del minore);
3) la tutela del minore da parte degli stati nazionali (i minori rifugiati
e migranti devono essere presi in carico e sostenuti da un sistema nazionale di tutela del minore, basato su un quadro giuridico, nonché su
strutture formali e informali, capace di proteggerli dalla violenza, dagli
abusi, dallo sfruttamento e dall’abbandono); 4) la detenzione dei minori
migranti e delle loro famiglie (al fine di rafforzare l’impegno a mettere
fine alla detenzione dei minori migranti. Indipendentemente dai motivi
di detenzione per immigrazione –identificazione, salute, ecc. – gli studi
hanno dimostrato che la detenzione di minori ha un impatto profondo e
negativo sulla loro salute e sul loro benessere); 5) Accesso ai servizi (da
garantire a tutti i minori migranti, indispensabile per lo sviluppo della
personalità del minore); 6) le soluzioni sostenibili nell’interesse superiore del minore (confermando il diritto del minore a partecipare alla presa
di decisioni che lo riguardano; le opzioni disponibili dovrebbero comprendere comunque il soggiorno permanente e l’inserimento, quando
questa opzione si trova ad essere nell’interesse superiore del minore).
Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato nel 1997 una Risoluzione sui minori stranieri non accompagnati. In questa si stabilisce
l’obbligo degli Stati membri di garantire a ogni minore non accompagnato accoglienza temporanea e un’idonea rappresentanza attraverso
tutela legale o un organismo che si occupi della cura e del benessere
dei minori.
Minore migrante e tutela dei diritti umani
1285
Nel contesto del “fenomeno migratorio”, infatti, i minori stranieri
non accompagnati rappresentano la categoria di soggetti con bisogno
di protezione e tutela maggiore rispetto alla generalità di migranti,
perché sono i più vulnerabili e fragili. Sono soggetti migranti, soli e
minori, che arrivano sul nostro territorio senza adulti accanto a loro in
grado di assisterli e accudirli.
Il minore che fa ingresso nel territorio dell’Unione europea deve
essere accolto sulla base del superiore interesse del fanciullo e deve
essergli assicurato il rispetto delle garanzie procedurali per l’adozione
di provvedimenti finalizzati al ricongiungimento familiare.
Gli Stati membri devono assicurare un livello di vita adeguato allo
sviluppo psicofisico del minore, in particolar modo devono fornire assistenza riabilitativa a coloro i quali abbiano subito qualsiasi forma di
abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante, ovvero che siano predisposte, se necessario, misure
di assistenza psichica e consulenza qualificata.
Alcuni di questi principi hanno trovato parziale attuazione nel
nostro ordinamento attraverso il divieto di espulsione della persona
minore di età, l’autorizzazione al soggiorno – a certe condizioni – degli adulti che accompagnano il minore, la normativa sul ricongiungimento familiare, le disposizioni in materia di identificazione e di
accoglienza, il divieto di trattenimento, e la recente legge sui minori
stranieri non accompagnati (c.d. legge Zampa), che ha apportato importanti aspetti di innovazione e sistematizzazione alla materia, introducendo garanzie e specifiche misure di supporto in diversi momenti del percorso dei minorenni migranti provenienti da paesi esterni
all’Unione Europea, presenti in Italia privi di figure genitoriali o altri
adulti legalmente responsabili.
I minori di età, soli od accompagnati, costituiscono poi una componente significativa e particolarmente vulnerabile delle procedure di
protezione internazionale.
Le ragioni che consentono la protezione internazionale dello straniero possono, in modo anche più intenso in quanto soggetto particolarmente vulnerabile, riguardare il minore migrante: sovente vittima
di tratta, sfruttamento sessuale e lavorativo, mutilazioni genitali femminili, torture, schiavitù, conflitti, ecc. Le specifiche misure di protezione per casi simili non sono, infatti, alternative alla protezione
internazionale. Il D.Lgs. 251/2007 (attuazione della c.d. direttiva qualifiche) include tra i possibili atti di persecuzione rilevanti al fine del
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The best interest of the child
riconoscimento dello status di rifugiato, quelli specificamente diretti
contro l’infanzia (si pensi ad es. al fenomeno dei cd. bambini soldato).
La nostra Costituzione, tra i diritti fondamentali, all’art. 10, terzo
comma, annovera il diritto di asilo, attribuito, senza condizioni ed eccezioni, né vincolo di reciprocità, allo “straniero, al quale sia impedito nel
suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.
Come è noto, nelle costituzioni contemporanee le libertà non sono
soltanto quelle negative della tradizione liberale, ma anche quelle positive, volte a rendere la vita delle persone, di qualunque condizione od
origine, degna di essere vissuta.
I diritti fondamentali non possono essere artificiosamente distinti, quanto alla protezione degli stranieri, in civili, politici e sociali, in
quanto le “libertà democratiche”, di cui parla l’art. 10, terzo comma,
della Costituzione italiana, hanno un senso solo se la persona abbia
un minimo di condizioni di sussistenza, indispensabili alla tutela della
sua dignità (così Gaetano Silvestri, relazione al corso della Scuola Superiore della magistratura, Catania, 12-14 settembre – principio sostanzialmente affermato anche nella nota sentenza della Cassazione sulla
protezione umanitaria n. 4455/2018).
L’istituto del diritto di asilo non coincide, ma è più ampio, con il
riconoscimento dello status di rifugiato, introdotto dalla Convenzione
di Ginevra del 1951 (per l’acquisto di tale condizione non è sufficiente
che lo straniero dimostri che nel proprio paese i cittadini non godono
dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ma è necessario che
ricorra il “giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale
o le sue opinioni politiche”). Più ampio anche dell’istituto della protezione
sussidiaria, introdotto successivamente dalla normativa europea (che
tutela coloro che, pur non potendo dimostrare di aver subito specifici
atti persecutori, abbiano ugualmente il fondato timore di dover subire
un grave danno, se facessero ritorno nel proprio paese d’origine).
La Convenzione ONU del 1951 e il Protocollo del 1967 che prevedono le Procedure e i Criteri per la Determinazione dello Status di Rifugiato non contengono specifiche disposizioni riguardanti lo status di
rifugiato per i minori. L’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha
predisposto delle linee guida per determinare lo status di rifugiato del
minore: in tali linee guida si affronta la questione del livello di sviluppo e maturità mentale del minore non accompagnato, in particolare se
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trattasi di bambini al di sotto dei 16 anni, solitamente considerati non
sufficientemente maturi. Ogni caso, poi, varia in base alle condizioni
del paese d’origine e a fattori personali specifici relativi al singolo richiedente asilo.
La disposizione di maggior impatto per la materia in esame (minori
migranti richiedenti asilo) è inserita nella Convenzione sui diritti del
fanciullo del 1989: obbliga gli Stati parti ad adottare misure adeguate
affinché il fanciullo, che cerca di ottenere lo status di rifugiato ovvero
considerato come rifugiato, solo o accompagnato, possa beneficiare
della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla Convenzione
stessa e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo
o di natura umanitaria di cui gli Stati sono parti. Per questo fine, gli
Stati parte collaborano a tutti gli sforzi compiuti dalle organizzazioni
intergovernative delle Nazioni Unite ovvero non governative competenti, per proteggere ed aiutare i fanciulli; con riguardo ai fanciulli non
accompagnati vincola gli Stati ad aiutarli a ottenere informazioni necessarie per il ricongiungimento familiare (Cfr. Art. 22 Convenzione
sui diritti del fanciullo 1989).
Gli artt. 78, 79 e 80 TFUE delineano quale dovrebbe essere la politica comune in materia di asilo, volta a offrire uno status appropriato a
qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il principio di non respingimento, che dovrebbe
essere fondata sul principio di solidarietà ed equa ripartizione delle
responsabilità degli Stati membri.
Al riconoscimento legale della particolare vulnerabilità connessa
alla minore età, consegue l’obbligo di tenere conto di tale vulnerabilità
nell’applicazione dell’intera disciplina sull’attribuzione delle misure di
protezione internazionale, al di là dei singoli obblighi previsti specificamente dalla normativa interna e dalla cd. direttiva procedure: quali
quello di tener conto del grado di maturazione e di sviluppo personale
raggiunti, nella valutazione della attendibilità del minore, la necessità
che l’esame del richiedente sia svolto da personale con la competenza
necessaria a trattare i particolari bisogni dei minori, la previsione di
procedure accelerate e l’eccezionale rilevanza del diritto alla vita familiare. Anche la motivazione del provvedimento in materia di protezione internazionale dovrà indicare il ragionamento svolto dal giudice di
merito e in modo particolare di come abbia applicato al caso concreto
il principio del best interest. Il diritto del minore all’ascolto in tutte le
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The best interest of the child
procedure che lo riguardano dovrà trovare piena applicazione, anche
in deroga alla disciplina generale della procedura per il riconoscimento
della protezione internazionale, che attualmente prevede che l’audizione del richiedente innanzi al giudice sia solo eventuale. Infatti l’art 19
del D.Lgs. n. 25/2008 prevede esplicitamente il diritto all’ascolto solo
innanzi alla commissione territoriale.
Ma sarebbe necessario prevedere canali di ingresso legale che evitino ai minori il terribile percorso migratorio, che li espone ad ulteriori
pericoli di essere sottoposti ad abusi, traffico sessuale, sfruttamento
lavorativo, torture (quali quelle che subiscono durante il passaggio in
Libia), o addirittura alla morte. Proteggere i minori migranti è, come
abbiamo visto, una priorità in tutte le fasi della migrazione, indipendentemente dal loro status.
Secondo le stime dell’OIM, nel mondo ci sono circa 28 milioni di minori costretti a fuggire per i conflitti che interessano il proprio paese, e
molti di questi rischiano di finire nelle mani di trafficanti di essere umani.
L’Unicef ha più volte evidenziato come una delle tratte migratorie
più pericolose sia quella del Mediterraneo Centrale, che collega l’Italia
alla Libia. Lo scorso 24 novembre, un report dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), ha definito il Mediterraneo l’area
attraversata dai flussi migratori più mortale al mondo, con un numero
di decessi dal primo gennaio al 13 dicembre 2017 pari a 3.095. Nello
stesso periodo, sono stati 15.000 i migranti bambini non accompagnati
che hanno percorso tale tratta, di cui almeno 400 sarebbero morti nella
traversata verso l’Europa.
Nonostante gli impegni maturati a livello politico e gli obblighi
scaturenti dall’ordinamento giuridico, in primo luogo internazionale,
la condizione reale dei minori che arrivano in Europa è tuttora molto
distante dai piani e dai progetti implementati.
L’esclusione e la marginalizzazione, nel paese di accoglienza, costituiscono dei rischi verosimili. Ad esempio l’educazione di base, che
come diritto è affermata nelle normative UE relative alla migrazione,
dipenderà dallo stato di avanzamento della procedura di asilo più che
dal diritto all’istruzione in sé. Inoltre, la condizione vissuta da un minore richiedente asilo non sarà comparabile a quella di un minore privo di documenti: per quest’ultimo sarà molto peggiore.
Compito degli operatori del diritto, dei giudici in particolare, è avere ben chiari la gerarchia delle fonti ed il proprio compito, che è quello
di garantire e rendere effettivi i diritti fondamentali delle persone, da
Minore migrante e tutela dei diritti umani
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qualsiasi parte del mondo provengano. Ciò comporta tenere necessariamente conto degli elementi di vulnerabilità che potrebbero inficiare la possibilità stessa di esercitare tali diritti, in attuazione piena del
principio fondamentale di eguaglianza. Se la condizione di migrante
costituisce già di per sé un fattore di vulnerabilità, la condizione di minore migrante lo amplifica a dismisura, con la conseguenza che ancora
di più in tale materia occorrerà fare buona applicazione del principio
della prevalenza del superiore interesse del minore.
Aspetti penalistici della tutela del minore
migrante
Pasquale Bronzo
Sommario: 1. Premessa. – 2. La c.d. “Legge Zampa”. – 3. I problemi
applicativi. – 4. Quale futuro per la tutela del minore migrante?
1. Premessa
Occupandomi di materie penali, farò qualche rilievo sui profili
penalistici del problema dei minori stranieri non accompagnati, che
sicuramente è – e deve essere, prima di tutto – un problema di tutela
di diritti e di protezione della persona fragile del minore ma è anche
un problema di politica criminale, segnatamente di prevenzione della
criminalità, visto che i migranti minorenni, accompagnati o meno che
siano, quando sfuggono al reticolo di tutele, controlli e protezioni che
la legge oggi prevede, sono fatalmente destinati – spesso si tratta di
‘grandi minori – a essere sfruttati dalla criminalità, e soprattutto dalla
criminalità organizzata.
2. La c.d. “Legge Zampa”
Le norme oggi esistono: la l. n. 47 del 2017 la c.d. legge Zampa si
è preoccupata di garantire al minore la permanenza nel nostro Stato,
introducendo nell’art. 19 del Testo unico stranieri, in aggiunta al già
previsto divieto di espulsione dei minori (divieto che trova eccezione
solo per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato), il divieto
assoluto di respingimento alla frontiera dei non accompagnati; il minore non accompagnato ha diritto di ottenere il permesso di soggiorno anche prima della nomina di un tutore; ottenuto questo permesso,
viene inserito nel sistema di c.d. prima accoglienza presso strutture
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dedicate, il cui fine principale è quello di accertare l’età, identificare
il minore e informarlo dei propri diritti; i tempi di prima accoglienza
sono stati ridotti – sempre nelle norme – da sessanta a trenta giorni, ed
è stata introdotta una procedura identificativa unificata da concludersi
entro dieci giorni dall’arrivo in struttura.
Le cronache ci raccontano una realtà diversa: minori negli hotspot
– cioè in strutture che non sono state pensate per accogliere a medio-lungo termine minori o persone bisognose di protezione –, detenzioni promiscue con gli adulti, respingimenti, e – per quanto riguarda il problema specifico criminalità – un numero elevatissimo
di “sparizioni”, di minori che diventano invisibili ai controlli. Gran
parte di queste sparizioni dipendono dalla mancanza di azioni di
relocation in altri paesi dell’Unione europea, nei paesi che spesso
rappresentano la destinazione finale auspicata del viaggio che viene
fatto intraprendere a questi ragazzi. Quelle sparizioni non solo segnano il fallimento delle politiche di protezione, ma pongono anche
le premesse per lo sfruttamento di questi giovanissimi da parte delle
organizzazioni malavitose. Pesa qui il ritardo della nomina dei tutori legali, spesso dovuto ai frequenti trasferimenti dei ragazzi da un
centro all’altro.
In verità, oltre allo sfruttamento dei minori come comoda manovalanza da parte del crimine organizzato, c’è anche un problema di criminalizzazione di tipo diverso: i minori che non sono adeguatamente
assistiti, ma lasciati alla detenzione promiscua e negli hotspot, affrontano un rischio ulteriore di criminalizzazione – “interno” alle strutture
detentive – che passa attraverso il coinvolgimento nelle tensioni e nei
tumulti che caratterizzano le strutture detentive, che portano alle frequentissime chiamate degli operatori di polizia, le risse, fino ai tentati
suicidi. Tuttavia, quello della criminalizzazione dall’esterno rappresenta senz’altro il problema più acuto, e dunque i problemi principali
sono quelli delle “sparizioni”, e prima ancora del mancato ritrasferimento dei minori: quando le frontiere vengono chiuse, o i controlli delle frontiere, nei paesi diversi dai nostri sono poco sensibili alle esigenze di protezione del migrante, ecco che noi diventiamo un bacino per
la nascita di nuove criminalità.
Questo è il motivo per cui la tutela del minore – anche dal punto
di vista delle p