Academia.eduAcademia.edu
Materiali e documenti Diritto, Politica, Economia The best interest of the child a cura di Mirzia Bianca University Press Collana Materiali e documenti 76 Diritto, Politica, Economia The best interest of the child a cura di Mirzia Bianca 2021 Copyright © 2021 Sapienza Università Editrice Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma www.editricesapienza.it editrice.sapienza@uniroma1.it Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420 ISBN 978-88-9377-189-4 DOI 10.13133/9788893771894 Pubblicato nel mese di settembre 2021 Quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons 3.0 IT diffusa in modalità open access. In copertina: foto di Fabrizio Sorrentino. Al mio adorato Padre che, senza mai declamare la formula del Best interest of the child, l’ha sempre resa concreta con i Suoi scritti e con la Riforma della filiazione Con infinito affetto Indice tomo i Prefazione Mirzia Bianca xv Presentazione dell’opera Guido Raimondi xix I best interests of the child tra passato, presente e futuro Filomena Albano xxiii Un ricordo del Prof. Cesare Massimo Bianca Carla Garlatti xxvii parte i – L’interesse del minore nell’ordinamento interno ed internazionale L’interesse del minore: le nuove sfide d’un concetto vago e magari antipatico Ursula Cristina Basset Un modello europeo per l’armonizzazione della legge sulla responsabilità genitoriale Katharina Boele-Woelki 3 11 Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant: quelle articulation ? 35 Hugues Fulchiron Autorità giudiziaria e superiore interesse del minore Carla Garlatti 47 viii The best interest of the child Interesse del minore: problematiche interpretative Giovanni Giacobbe 61 La maternità surrogata e l’interesse del minore Gabriella Luccioli 69 The best interest of the child. L’interesse del minore nella giurisprudenza interna e internazionale Gabriella Palmieri L’interesse del minore Paolo Papanti Pelletier 85 97 The best interest of the child nella giurisprudenza della Corte suprema di Cassazione Luigi Antonio Scarano 101 Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestión en el derecho español José Ramón de Verda y Beamonte 131 parte ii – L’interesse del minore e i new media Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di Internet 153 Luisa Avitabile Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo Alberto Maria Benedetti 165 Il diritto all’oblio del soggetto minore nel Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali Maria Romani Allegri 179 La questione della consapevolezza digitale nei minori Ida Cortoni 189 Responsabilità genitoriale e controllo Facebook Alessandra Gatto 207 Discorsi d’odio online e tutela costituzionale dei minori Paola Marsocci 215 La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 231 Donatella Pacelli – Camilla Rumi Indice Il libro bianco Media e minori: l’età del consenso digitale tra consapevolezza e responsabilità Giulio Votano ix 245 parte iii – L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia L’interesse del minore alla propria famiglia: un interesse ancora in attesa di piena tutela Cesare Massimo Bianca 255 Una riflessione su “l’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia” Enrico Quadri 261 Il diritto del minore alla bigenitorialità ed il ruolo del terzo genitore nella prospettiva della famiglia ricomposta Enrico Al Mureden 269 L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità Ettore Battelli Condizioni di indigenza dei genitori e il diritto del minore di crescere nella propria famiglia Clorinda Ciraolo 285 303 Il bambino in una famiglia a confini variabili Paola Di Nicola 313 La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil Nelson Rosenwald 323 parte iv – L’interesse personale e patrimoniale del minore e la sua partecipazione all’attività negoziale Il minore e la relazione di cura Alessandra Bellelli 341 Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 351 Vincenzo Barba Le Dat del minore e il conflitto di interessi dei genitori Marco Bellinvia 381 x The best interest of the child Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie Alberto Giulio Cianci La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore Attilio Gorassini Persona minore di età e libertà di autodeterminazione Claudia Irti Il migliore interesse del bambino in condizione terminale: i rischi della sottovalutazione degli aspetti psicologici durante l’ospedalizzazione Giovanna Leone The best interest of the child tra persona e contratto Roberto Senigaglia 399 429 439 477 491 tomo ii parte v – L’interesse del minore all’accertamento dello stato filiale L’incidenza dell’interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale Tommaso Auletta 523 L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari Massimo Paradiso 611 Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche Davide Achille 619 The same-sex parented family option. An outlook of the Italian case Law Gianni Ballarani Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti Mirzia Bianca Due non è uguale a uno più uno. Bigenitorialità e rapporti omoparentali Emanuela Giacobbe 643 669 695 Indice xi Maternità surrogata e tutela del minore: quale il best interest of the child? Emanuele Lucchini Guastalla 729 La determinación de la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida: problemas y perspectivas José Ramón de Verda y Beamonte 745 Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità Ugo Salanitro 761 L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori Susanna Sandulli 775 parte vi – L’interesse del minore ad una crescita serena: responsabilità genitoriale, relazioni familiari e conflitti Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età Filippo Romeo Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali Daniela Cremasco 789 807 L’interesse del minore alla bigenitorialità Lorenzo Delli Priscoli 813 Il diritto del minore all’abitazione. Profili pubblicitari Giampaolo Frezza 837 Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita Gaetano Edoardo Napoli 855 La posizione del minore nei procedimenti di separazione Adriana Neri 877 Prevalencia y garantìa del intéres del menor en los procesos de familia Pilar María Estellés Peralta 899 Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore: un progetto di tavolo interdisciplinare Maria Letizia Spasari 921 xii The best interest of the child tomo iii parte vii – L’interesse del minore e il diritto all’identità L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica Marisa Ferrari Occhionero La complejidad del derecho a la identidad a la luz de las sugerencias de la jurisprudencia de la Corte interamericana de derechos humanos Ursula Cristina Basset 937 947 L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita Liliana Caravelli 967 Minore-consumatore e diritto all’identità Fabrizio Criscuolo 983 The identity of child consumer in Hungarian Law Klára Gellén – Andrea Labancz 995 Il diritto alla conoscenza delle proprie origini Arnaldo Morace Pinelli L’identità sociale del minore di fronte alle sfide dei mutamenti familiari Mariella Nocenzi 1011 1035 Born to buy: la socializzazione del giovane consumatore Domenico Secondulfo 1049 Cognome del minore e identità personale Stefano Troiano 1061 parte viii – L’interesse del minore alla continuità affettiva Contraddizioni e criticità del principio della continuità affettiva nei procedimenti di adozione: continuità affettiva e affido familiare 1105 Alida Montaldi L’adozione in casi particolari Melita Cavallo 1115 L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi 1133 Rosario Carrano Indice L’affido familiare per la crescita di una società generativa Silvia Fornari Genitore (e nonno) sociale. Diritti e tutele nell’interesse della persona di età minore? Il cammino della giurisprudenza interna ed europea Maria Giovanna Ruo Due modelli giurisprudenziali e due ipotesi a confronto in tema di continuità affettiva Rosita Lifrieri xiii 1141 1153 1181 parte ix – L’interesse del minore e il diritto alla stabilità territoriale. Il problema del minore migrante The best interest of the child “to be or not to be adopted”. Intercountry Adoptions, intercultural Discriminations Mario Ricca 1199 Tutela degli interessi del minore e normativa dell’Unione europea sul ricongiungimento familiare 1261 Adelina Adinolfi Minore migrante e tutela dei diritti umani Silvia Albano 1281 Aspetti penalistici della tutela del minore migrante Pasquale Bronzo 1291 Problematiche civilistiche del minore migrante Gabriele Carapezza Figlia 1299 El Convenio de la Haya de 1980. Las medidas preventivas establecidas por el legislador español en la sustracción internacional de minores María Ascensión Martín Huertas 1307 Nutrire le radici del futuro: bambini, degrado ambientale e diritti umani Bruno Maria Mazzara 1343 La sottrazione internazionale del minore e i problemi psicologici relativi alla stabilità affettiva e territoriale Mimma Tafà 1361 Prefazione La presente pubblicazione raccoglie gli Atti di un Convegno internazionale e interdisciplinare dedicato al tema del “The best interest of the child” che si è tenuto nei giorni 20-22 settembre 2018 presso l’Università La Sapienza. Si è trattato di un evento che ha avuto la partecipazione di tanti operatori professionali, accademici italiani e stranieri, giudici, avvocati, psicologi, assistenti sociali. L’organizzazione di questo Convegno è stata impegnativa perchè si è svolto per tre giorni con tre sessioni parallele la mattina e tre il pomeriggio, nell’intento ideale di coprire tutte le tematiche che riguardano il minore e la ricerca del suo best interest (si veda al riguardo la sintesi del Convegno che è stata pubblicata sulla Rivista Giudicedonna 2018), formula magica contenuta nella Convenzione di New York sul diritto del fanciullo, di cui si è da poco celebrato il trentennio. Di quelle giornate ricordo la fatica ma anche l’entusiasmo. Ringrazio sentitamente per l’aiuto Rosita Lifrieri, Susanna Sandulli, Fabiola Orlandi, Chiara Proietti, che mi hanno affiancato instancabilmente. Ringrazio il personale del Coris, l’allora segretario amministrativo Michele Mazzola, che mi ha dato un supporto incredibile in ogni fase organizzativa. Ringrazio inoltre le numerose organizzazioni che sono state presenti: Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ; Consiglio dell’Ordine degli Assistenti Sociali ; Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza; Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia; Comitato italiano per l’UNICEF; Associazione Cammino; Save the Children; Accademia del Notariato; Casa ciociara della cultura; Accademia di psicoterapia della famiglia. Un grazie sincero va ai relatori che hanno partecipato tutti con grande generosità. La presente pubblicazione non è la riproduzione fedele di quelle giornate, anche se si è cercato di mantenere il più possibile l’impianto del Convegno. La suddivisione nelle numerose xvi The best interest of the child sessioni è rimasta pressoché inalterata, anche se è stato necessario accorparne qualcuna al fine di una più sistematica organizzazione dell’opera. Così, e mi scuso anticipatamente con i relatori, potrà capitare che un relatore originariamente (nel Convegno) collocato in una sessione, sia stato risistemato in altra di più ampio contenuto. Inoltre non si tratta di riproduzione totalmente fedele in quanto alcuni relatori si sono limitati ad un aggiornamento del proprio contributo, mentre altri hanno preferito cogliere l’occasione per scrivere un saggio più approfondito. Non ho voluto costringere i primi a fare un saggio più approfondito né ho voluto fermare l’attività creativa di chi ha voluto scrivere di più. Ciò spiega perchè alcuni contributi sono di poche pagine e altri più estesi. Questa distinzione ha comportato delle differenze dal punto di vista editoriale, in quanto può capitare di leggere alcuni contributi privi di note e di sommario e altri corredati da sommario e da note. Si tratta di disomogeneità che, come ripeto, sono imputabili alla libertà che ho deciso di voler attribuire ai numerosi autori che hanno voluto partecipare a questa iniziativa. Inoltre l’opera si è arricchita di nuovi contributi da parte di autori che, benché non presenti al Convegno, hanno voluto generosamente inviarmi un loro contributo. La stessa libertà ho deciso di attribuire alla scelta della lingua di pubblicazione. La dimensione e il valore internazionale dell’opera mi ha convinta a lasciare a ciascun autore la possibilità di scegliere la propria lingua. Così vari autori stranieri hanno inviato il loro contributo in lingua originale, mentre alcuni autori italiani hanno scelto di pubblicare in altra lingua. Sono poi numerosi gli scritti pubblicati in italiano. La mole dei contributi e soprattutto la presenza di vari autori stranieri, insieme alle scelte editoriali di cui mi ritengo responsabile come curatrice, rende l’opera naturalmente complessa e difficilmente omogenea sotto il profilo formale e quindi mi scuso anticipatamente con il lettore. Fatte queste necessarie premesse, abbiamo tuttavia cercato il più possibile di realizzare un buon livello di ordine formale e di questo sono debitrice alle mie collaboratrici e in particolare a Susanna Sandulli, che mi ha supportata nel lavoro di sistemazione con velocità e destrezza. Ringrazio ancora tutti coloro che generosamente hanno dato il loro contributo in una tematica di così attuale e delicata rilevanza. Durante la correzione delle bozze, ho avuto un grave problema familiare che ha comportato un ritardo nella pubblicazione. Per questo mi scuso con gli Prefazione xvii autori e con lo staff della redazione della Casa editrice della Sapienza che mi ha supportato con pazienza. Questo ritardo ha tuttavia arricchito la pubblicazione della presentazione della nuova Garante per l’infanzia e l’adolescenza che si affianca a quella della precedente. Mirzia Bianca Presentazione dell’opera Ho accolto molto volentieri, e con gratitudine, l’invito rivoltomi dalla Professoressa Mirzia Bianca a redigere una breve presentazione per l’opera che ora vede la luce e che raccoglie gli atti del Convegno tenutosi alla Sapienza dal 20 al 22 settembre 2018. Il titolo del Convegno era lo stesso di questo volume, cioè The Best Interest of the Child, un titolo che, riprendendo il leit motiv di quello che è oramai il testo fondamentale di riferimento nella materia, cioè la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), immediatamente proietta la riflessione sulla tutela giuridica del minore, molto riccamente sviluppata nei tre giorni del Convegno, che ha visto la partecipazione di molti studiosi non italiani, nella sua oramai imprescindibile dimensione internazionale. Da non specialista della materia osservo che in un Paese come l’Italia, nel quale gli studi sulla protezione dell’infanzia, non solo nei suoi aspetti giuridici, hanno sempre mantenuto un livello di eccellenza, informando soluzioni legislative e giurisprudenziali molto spesso all’avanguardia, la necessità del confronto con altre esperienze e con la giurisprudenza delle corti internazionali potrebbe anche non essere accolta con assoluto favore. Per questo sono grato, come dicevo, per la richiesta di accompagnare con un mio scritto la pubblicazione degli atti del Convegno, ciò che dimostra lo spirito di sincera apertura degli organizzatori del Convegno, curatori di questo volume, in particolare verso il sistema europeo di protezione dei diritti umani, che è parte a livello regionale della dimensione internazionale che evocavo, e verso la Corte europea dei diritti dell’uomo (in seguito: la Corte) che ho avuto l’onore di presiedere. Aggiungo che, dal punto di vista della Corte europea, la sensibilità degli studiosi e dei pratici che operano nell’ambito degli ordinamenti xx The best interest of the child nazionali verso i valori della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in seguito: la Convenzione) e la giurisprudenza di Strasburgo ha una fondamentale importanza per la vitalità del sistema europeo di protezione dei diritti umani e il suo futuro, che sempre di più dipenderanno dal livello di corretta applicazione della Convenzione all’interno degli ordinamenti nazionali e quindi dal buon funzionamento del principio di sussidiarietà o, come oggi si preferisce dire, della responsabilità condivisa, condivisa, s’intende, tra il livello nazionale e quello europeo. Anche se la Convenzione contiene solo pochi riferimenti espliciti ai minori, la Corte ha sviluppato un vasto corpus di giurisprudenza a proposito dei diritti del fanciullo. Considerando che i minori sono titolari di diritti, piuttosto che semplici oggetti di protezione, la Corte li ha trattati sia come beneficiari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione, sia come destinatari di uno speciale regime in ragione delle loro caratteristiche specifiche. Così facendo, la Corte ha esaminato i diritti dei minori in una varietà di circostanze. In primo luogo, molti casi in materia di minori portati all’attenzione della Corte riguardano la vita familiare come l’affido, i diritti di visita, il sostegno ai minori e il loro controllo, o l’adozione. Un altro gruppo di ricorsi in quest’area – non necessariamente presentati da minori – riguardano questioni d’identità personale, come l’accertamento della paternità o della maternità e, più recentemente, il riconoscimento della filiazione legata alla c.d. maternità surrogata. Inoltre, la Corte ha esaminato un certo numero di casi che sollevano questioni inerenti ad altri diritti del fanciullo, come l’educazione, la salute, l’alloggio, la proprietà e la libertà di espressione o di religione. Casi di discriminazione contro i minori, in particolare sulla base dell’origine etnica, hanno assunto un particolare rilievo. Casi di discriminazione di minori sono stati esaminati dalla Corte anche in relazione ad altri aspetti, come la nascita. Infine, sono stati portati all’attenzione della Corte casi di abusi di minori, sottrazione di minori e questioni concernenti i minori migranti. In tutti questi casi, tra i più delicati tra quelli esaminati a Strasburgo, la Corte trae sovente ispirazione da altri materiali internazionali, come la citata Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, i “Commenti generali” del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, il Regolamento “Bruxelles 2 bis” e la Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione di minori. Presentazione dell’opera xxi Si tratta, come dicevo, di una giurisprudenza ricca e articolata, oggi punto di riferimento imprescindibile per l’operatore giuridico interno, com’è confermato dalla grande attenzione che essa ha ricevuto nei lavori dei tre giorni del Convegno, documentati negli atti che si pubblicano con questo volume. Naturalmente l’interesse di questa pubblicazione va oltre la conoscenza della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure vi occupa un largo spazio. Il lettore troverà in particolare analisi complete e aggiornate dei vari aspetti legati all’interesse del minore dal punto di vista del diritto nazionale e anche preziose indicazioni di diritto comparato, sviluppate nelle ricchissime sessioni e nei workshops del Convegno e durante la Tavola Rotonda interdisciplinare che lo ha chiuso. Dal punto di vista della Corte di Strasburgo, questo volume è prezioso proprio perché, con la sua attenzione alla giurisprudenza europea, costituisce uno strumento molto efficace per spingere gli operatori interni verso l’integrazione della dimensione convenzionale nelle procedure giurisdizionali nazionali. In prospettiva i vantaggi sono evidenti, perché l’attenzione alle esigenze convenzionali da parte del giudice interno – opportunamente sollecitato dagli avvocati – permette in molti casi, se non in tutti, di evitare la necessità di un ricorso a Strasburgo. Penso al sollievo per il carico di lavoro della Corte, ma penso anche, e credo che questo sia anche più importante, al risultato che si può ottenere in questo modo, cioè il pieno rispetto dei diritti protetti dalla Convenzione già al livello nazionale, senza attendere una pronuncia della Corte europea, pronuncia che rischia di arrivare quando i minori che necessitano della protezione della Convenzione non sono più tali. Guido Raimondi I best interests of the child tra passato, presente e futuro Filomena Albano Il 20 novembre 2019, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza celebra i trent’anni dalla sua adozione, avvenuta in seno all’Assemblea generale, a New York, nel 1989 (d’ora in avanti anche “Convenzione di New York”). Si tratta della Convenzione che ha raccolto più consensi nella storia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: essa conta attualmente 196 Stati parte, vale a dire pressoché tutti gli Stati al mondo tranne gli Stati Uniti d’America, che pure l’hanno firmata nel 2010 ma non ancora ratificata. L’Italia ha dato esecuzione alla Convenzione con legge 27 maggio 1991, n. 176. La Convenzione di New York è il punto di arrivo di un percorso avviato quasi un secolo fa, nel 1924, con la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del bambino che, per la prima volta, sia pure con strumento non vincolante, ha enunciato cinque obblighi che gli adulti hanno nei confronti dei bambini. Nel 1950, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”), il primo strumento internazionale che sancisce in maniera vincolante i diritti dell’essere umano in quanto tale, non dedica un articolo specifico al minorenne ma lo inserisce nei casi particolari in cui eccezionalmente una persona possa essere privata della propria libertà personale (art. 5 – diritto alla libertà e alla sicurezza) e ne menziona gli “interessi” nel quadro del giusto processo (art. 6). Nel tempo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha colmato questa lacuna di protezione attraverso un’interpretazione evolutiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito all’art. 8: la Corte ha individuato la persona di minore età come soggetto, analogamente agli adulti, destinatario di tale diritto (ex pluribus v. decisione 3 maggio 2011, Negrepontis-Giannisis c. Grecia, ricorso n. 56759/08). xxiv The best interest of the child A livello sovranazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata a Nizza nel 2000 e riconfermata nel 2007 (“Carta di Nizza”), dedica un intero articolo ai “diritti del bambino” (art. 24), stabilendone il diritto alla protezione e alle cure necessarie, il diritto di esprimere liberamente la propria opinione e il diritto a che questa venga presa in considerazione sulle questioni che lo riguardano in funzione della sua età e maturità (par. 1). La disposizione sancisce altresì il principio del superiore interesse del minore (par. 2) nonché il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse (par. 3). Dal 1989, la Convenzione ha avviato una vera e propria “rivoluzione culturale”, elevando la persona di minore età da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti, non più “minore” rispetto a un “maggiore”, ma persona che di minore ha solo l’età, determinando una rottura con il passato e gettando solide basi per costruire una “nuova” identità del minorenne. A partire dalla Convenzione, infatti, la persona di minore età si è andata delineando con sempre maggiore forza: attiva, partecipe, che va ascoltata, informata e rispettata. A partire dalla Convenzione, è mutata anche la relazione tra minorenni e adulti che ha connotato la storia nel corso dei secoli. Ne è prova il diritto di famiglia: la “responsabilità genitoriale” subentra alla originaria “potestà”, apportando un cambiamento terminologico che ha un valore culturale profondo, in termini di abbandono di qualsiasi logica di “appartenenza” delle persone minorenni. Più in generale, nella relazione adultobambino si passa dal concetto di “autorità” a quello di “autorevolezza”. L’art. 3, par. 1, della Convenzione di New York, cui è ispirato l’art. 24 par. 2 della Carta di Nizza, sancisce il principio del superiore interesse del minore (best interests of the child): “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. L’art. 3, par. 1, stabilisce un obbligo intrinseco per gli Stati, è direttamente applicabile (self-executing) e può essere invocato dinanzi a un tribunale. Nel 2013, il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza – organo di monitoraggio deputato a tutelare l’effettiva e corretta applicazione della Convenzione di New York negli Stati che l’hanno ratificata – ha chiarito portata e significato del superiore interesse del minore, nel Commento generale n. 14 (CRC/C/GC/14) intitolato The right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration (art. 3, para. 1). I best interests of the child tra passato, presente e futuro xxv Il Comitato ha specificato che il concetto di interesse superiore del minore è volto a garantire sia il pieno ed effettivo godimento di tutti i diritti riconosciuti nella Convenzione sia lo sviluppo olistico del minore. Il giudizio di un adulto in merito all’interesse superiore di un minore non può prevaricare l’obbligo di rispettare i diritti del minore ai sensi della Convenzione: come è noto, non esiste una gerarchia dei diritti nella Convenzione, tutti i diritti ivi previsti sono nel “superiore interesse del minore” e nessun diritto può essere compromesso da un’interpretazione negativa dell’interesse superiore del minore. I best interests of the child, dunque, sono insieme strumento e obiettivo cui tende l’intera Convenzione di New York, traducono un concetto composito con un triplice significato: il superiore interesse del minore è insieme diritto sostanziale, principio giuridico interpretativo fondamentale e regola procedurale. Esso permea, pertanto, tutte le situazioni in cui la persona di minore età eserciti i diritti conferiti dalla Convenzione: dalla determinazione del rapporto di filiazione, a quello della continuità degli affetti e del fenomeno delle migrazioni minorili. La valutazione del superiore interesse del minore è un’attività esclusiva che dovrebbe essere intrapresa volta per volta, operando un bilanciamento tra tutti gli interessi in gioco, con attenzione a tutti gli elementi del singolo caso e alla luce delle circostanze specifiche (personali e familiari) di ciascuna persona di minore età. Per questo motivo, non è possibile “costringere” entro rigidi limiti né la definizione di superiore interesse del minore né la procedura attraverso la quale determinarlo. A tal proposito invero, nel Commento generale n. 14, il Comitato ONU ha ritenuto utile stilare un elenco non esaustivo e non gerarchico degli elementi che potrebbero essere inclusi in una valutazione dell’interesse superiore da parte di qualsiasi organo decisionale che debba determinare l’interesse superiore di un minorenne. Il carattere non esaustivo degli elementi dell’elenco implica la possibilità di andare oltre tali elementi e di prendere in considerazione altri fattori rilevanti nelle circostanze specifiche del singolo minorenne. Tutti gli elementi dell’elenco devono essere presi in considerazione e bilanciati alla luce di ciascuna situazione. La lista degli elementi da tenere in considerazione, che dovrebbero fornire orientamenti concreti ma flessibili, è la seguente: i) opinioni del minore; ii) identità del minore; iii) tutela dell’ambiente familiare e mantenimento dei rapporti; iv) cura, protezione e sicurezza del minore; v) situazioni di vulnerabilità; vi) diritto alla salute; vii) diritto all’istruzione. xxvi The best interest of the child I trent’anni della Convenzione di New York rappresentano l’occasione per riflettere sul cammino dei diritti delle persone di minore età, per verificare quanto sia cambiato, dal 1989, e quanto ancora debba essere modificato. Nelle proprie osservazioni conclusive rivolte all’Italia il 1° febbraio 2019, nel quadro della revisione periodica dell’attuazione della Convenzione nel nostro Paese (CRC/C/ITA/CO/5-6), il Comitato ONU ha raccomandato un maggior impegno per garantire che il principio del superiore interesse di ogni minorenne sia adeguatamente integrato, coerentemente interpretato e applicato in tutte le regioni del Paese e in tutti i procedimenti e le decisioni legislative, amministrative e giudiziarie così come in tutte le politiche, i programmi e i progetti che siano rilevanti e che abbiano un impatto sui minorenni, in particolare quelli non accompagnati. Il Comitato ha altresì chiesto all’Italia di sviluppare procedure e criteri che siano di indirizzo per tutti i professionisti competenti nel determinare in ogni ambito quale sia il superiore interesse del minore e nel dare ad esso il dovuto peso come considerazione prioritaria, in particolare in relazione ai minorenni non accompagnati che giungano nel nostro Paese. Nel solco della “rivoluzione culturale” inaugurata trent’anni fa, la rotta è quella indicata dalla Convenzione di New York: promuovere e verificare l’attuazione di tutti i diritti in essa sanciti, facendo “perno” sul superiore interesse del minore, “lenti” attraverso le quali leggere tutte le misure adottate a tutela delle persone di minore età (a monte) nonché attraverso cui interpretarle e applicarle (a valle). Nel flusso di una società “liquida”, in movimento, i diritti conferiscono stabilità, tengono a galla, i diritti sono compatti, non polverizzati, sono effettivi e di tutti. Riconoscere che i bambini e i ragazzi sono titolari di diritti non significa però delegarli ad avventurarsi da soli nei meandri della vita, rinunciare a far loro da guida, e da guida solida. Il superiore interesse del minore impone agli adulti – e agli Stati, destinatari degli obblighi sanciti nella Convenzione di New York – di rispondere alle esigenze di bambini e ragazzi avendo riguardo alla loro condizione di minore età, senza che ciò ne pregiudichi la titolarità di diritti. La parola responsabilità, invero, viene dal latino “respondere”: esercitare una responsabilità vuol dire rispondere a qualcuno, ma anche saper rispondere di qualcuno, saper rispondere di quell’aspettativa a una vita felice che bambini e ragazzi portano naturalmente con sé, ascoltandoli, costituendo punti di riferimento solidi e consentendo loro di vivere la propria età con leggerezza. Un ricordo del Prof. Cesare Massimo Bianca Carla Garlatti Quest’opera raccoglie l’immane fatica della professoressa Mirzia Bianca: a Lei va tutta la mia ammirazione perché ha saputo ideare, pianificare, organizzare e realizzare il convegno The best interest of the child, tenutosi alla Sapienza a Roma nelle giornate del 20, 21 e 22 settembre 2018. Tre giornate intense, in cui si sono avvicendati gli interventi di personalità, anche provenienti dall’estero, tutte di elevata competenza e di alto profilo: è stato un onore, allora, essere annoverata tra queste, ed è grande, oggi, il piacere di poter vedere raccolti in questi volumi tutti i preziosi contributi. Mi risulta difficile aggiungere qualcosa a quanto è già stato autorevolmente scritto dal dottor Guido Raimondi e dalla dottoressa Filomena Albano (alla quale sono di recente succeduta quale Autorità Garante per l’infanzia e la adolescenza) sulla ricchezza e importanza di questa opera. Nella consapevolezza di andare “fuori tema”, scelgo allora di dedicare un pensiero al grande Uomo al quale la professoressa Bianca ha dedicato la sua fatica: suo padre, il professore Massimo Cesare Bianca, “Il Professore”. Viene in primo luogo da sottolineare che Egli non è stato, in quel settembre 2018, solo e semplicemente uno dei relatori che hanno partecipato al convegno. Penso di poter affermare senza timore di essere smentita che la sua presenza si sia avvertita e si sia percepita in ogni contributo che ciascuno dei relatori ha offerto, e che in definitiva permei tutta l’opera che oggi vede la luce. E del resto non potrebbe che essere così: la tutela dei deboli e dei vulnerabili e, nello specifico, - come bene ha ricordato la professoressa Bianca - il superiore interesse del minore, sono stati sempre delle priorità per suo Padre e ne è prova concreta la ricca produzione scientifica sul tema. xxviii The best interest of the child Tra le diverse occasioni di incontro con il Professore, ho avuto il privilegio di fare parte della Commissione da Lui presieduta, istituita con DM 9 marzo 2012 presso il Dipartimento per le Politiche della Famiglia “per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia, l’elaborazione di proposte di modifica alla relativa disciplina e per fornire supporto tecnico scientifico ai fini della conclusione dell’iter di approvazione del disegno di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali e dell’elaborazione degli schemi di decreti legislativi delegati” e ricordo con nostalgia il clima sereno e costruttivo di quelle riunioni, alle quali era sempre un piacere partecipare perché si rivelavano ogni volta fonte di crescita professionale. Se mi si chiedesse di descrivere il Professore con un solo aggettivo, il primo che sceglierei è: moderno. Il Professore, infatti, era una persona moderna: il suo pensiero era sempre al passo con la trasformazione dei costumi sociali, rispetto alla quale, invece, la legislazione troppo spesso arranca. Ma non solo. Egli aveva anche la straordinaria capacità di saperla anticipare, questa trasformazione, con una visione lucida della evoluzione che la famiglia stava e sta vivendo nel nostro Paese: avvertiva perciò in modo particolare la necessità di una normazione adeguata a tutelare quella formazione sociale, allargata e diversa rispetto alla visione tradizionale, che è la famiglia di oggi. Sotto questo profilo, non posso non ricordare l’“imbarazzo” con il quale il Professore affrontava, nei lavori della Commissione sopra ricordata, la riforma della filiazione: una riforma, ci faceva notare, che avrebbe dovuto essere realizzata molti anni prima e rispetto alla quale, pertanto, il Paese era in colpevole ritardo. Ma c’è anche un altro aggettivo che caratterizza il Professore: determinato. Determinato nel perseguire l’obiettivo di offrire concreta tutela ai deboli, alle persone vulnerabili, agli incapaci, con la forza e la tenacia che derivava dalla sua indiscussa autorevolezza. Un grande Maestro, con il cui pensiero, proprio grazie alla sua modernità, potremo continuare a confrontarci negli anni a venire. E la raccolta della professoressa Bianca ci stimola oggi a dare inizio, o a rinnovare, questo confronto. Carla Garlatti Roma, 15 febbraio 2021 parte i L’interesse del minore nell’ordinamento interno ed internazionale L’interesse del minore: le nuove sfide d’un concetto vago e magari antipatico Ursula C. Basset1 Sommario: 1. L’interesse dei bambini sotto l’occhio critico. – 2. L’accettazione generalizzata e i suoi rischi. – 3. L’interesse del minore e la sua resistenza a qualsiasi manipolazione. – 4. La natura specificamente umana dell’approccio all’interesse del minore. – 5. I diritti “adulti”, la loro autonomia e gli interessi dei bambini. – 6. Autonomia degli adulti... e autonomia dei minori. – 7. Un nuovo fronte del diritto di famiglia individuale e autonomico Prima d’incominciare, mi sia permesso di ringraziare la mia carissima amica, la Professoressa Mirzia Bianca. È il suo finissimo spirito che permette che noi siamo oggi qui a discutere sui soggetti più vulnerabili della nostra società 1. L’interesse dei bambini sotto l’occhio critico Siamo troppo duri con la nozione del superiore interesse del minore. Malgrado l’uso generalizzato da parte di tutta la dottrina giuridica, e la sua invocazione nella maggior parte delle decisioni dei tribunali, si avverte un tono piuttosto critico, soprattutto avuto riguardo al suo contenuto indeterminato2. Per la sociologa francese Irene Thery l’interesse funziona “come un alibi per l’ideologia dominante”3, ossia quella della persona che lo invoca. In un pezzo famoso scritto del 1975, l’autore americano 1 Direttrice del Centro di Diritto di Famiglia. Ordinaria di Diritto di Famiglia e delle Successioni. Pontificia Università Cattolica Argentina. 2 M. Freeman, Article 3: The Best Interest of the Child, Leida, 2007, p. 2. 3 I. Thery, The Interest of the Child and the Regulation of the Post-Divorce Family, in C. Smart - S. Sevenhuijsen (eds) Child Custody and the Politics of Gender, Londra, 1989, p. 82. 4 The best interest of the child Robert Mnookin aveva affermato che il principio era “neutro”4. In un altro articolo, Hillary Clinton aveva sostenuto eloquentemente che il principio del superiore interesse del minore era “uno slogan in cerca d’una definizione”5. Altri dicono che si tratta d’un concetto vago6 o ambiguo7. Indubbiamente, hanno ragione. Però, le critiche aventi ad oggetto la formula del superiore interesse del minore si basano sull’accettazione del fatto che questo concetto riceve un uso generalizzato. Non esiste uno strumento internazionale con una applicazione cosi ampia8. 2. L’accettazione generalizzata e i suoi rischi Se abbiamo abusato di questo principio, è precisamente perché esso esprime un’idea forte che si allinea con le radici più profonde dell’umanità, con la necessità di sopravvivenza che è, in fatto, una condizione evolutiva di sussistenza. La nostra vita dipende, nel senso più egoista e meschino, dai bambini, dai bambini e dal fatto che essi che possano diventare adulti, dal fatto che i bambini, durante la loro infanzia, siano curati con premura e che, di conseguenza, siano disposti, a loro volta, a curare altri bambini o i familiari anziani. Il paradosso pericoloso dell’idea del superiore interesse del minore è che la sua ovvietà, la ripetitiva e abusiva antifona che ne abbiamo fatto, lo rende invisibile e troppo stesso noi siamo diventati insensibili o anche refrattari alla necessità vitale, adultocentrica di realizzarla, d’iscrivere la sua giuridicità teorica nella storia quotidiana. La causa di questa sorte di “backlash”9, d’insensibilità, con riferimento al “best interest” si trova probabilmente nel suo uso ricorrente. 4 R. Mnookin, Child Custody Adjudication: Judicial Functions in the Face of Indeterminacy, in Law and Contemporary Problems, 39, p. 235. 5 H. Rodham, Children Under the Law, in Harvard Educational Review 43 (1973), in inglese “a slogan in search of a definition”. 6 C.E. Schneider, Discretion, Rules, and Law: Child Custody and the UMDA’s Best-Interest Standard, in 89 Mich. L. Rev. 2215 (1990-1991). Concerning the ambiguity of the word “best”, cf. J. Crowe - L. Toohey, From Good Intentions To Ethical Outcomes: The Paramountcy Of Children’s Interests In The Family Law Act, in Melbourne University Law Review, 15, 2009. 7 K. Boele-Woelki - B. Braad - I.Curry-Summers, European Law in Action, Vol. III. Parental Responsibilities, 2005, Anwerp-Oxford, p. 479. J. Wolf, The Concept of the Best Interest in the UN Convention on the Rights of the Child, in M. Freeman - P. Veerman, The Ideologies of Children Rights, Dordrecht ; Boston , 1992, The Hague, p. 126 8 L’unico Stato che non ha ratificato la Convenzione internazionale sono gli Stati Uniti. 9 Il fenomeno del “backlash” sui diritti fondamentali è un assunto di tutta attualità. V. L’interesse del minore 5 Non è soltanto l’invocazione ripetitiva. Alcune voci cominciano a sollevarsi per segnalare la “overlegalization”10 e anche il profilo legalistico11 del diritto dei minori. Questa “irritazione” per eccesso retorico o eccesso giuridico colpisce il principio del “best interest” svuotando il suo contenuto. Inoltre, la plasticità, l’indeterminazione, la reiterazione, l’uso contradittorio del concetto, rischiano d’indebolire la forza argomentativa del principio. 3. L’interesse del minore e la sua resistenza a qualsiasi manipolazione In fatto, l’interesse superiore dei minori è una verità fisica e giuridica. È giuridica perché esprime una verità pratica, un orientamento direttivo che percorre trasversalmente tutto il diritto, senza eccezioni. È una verità fisica, perché i minorenni costituiscono una condizione evolutiva di sussistenza della umanità. Dunque, c’è una resistenza strutturale del concetto dell’interesse del minore alla sua manipolazione. Il concetto del “best interest” ha una indipendenza nei confronti di qualsiasi possibile manipolazione: è simile alla realità fisica o alla legge di gravità, come se si tira una mela verso l’alto: cade sulla testa. La nozione dell’interesse del minore ha una sorte di resistenza e di resilienza. Quando gli adulti provano a silenziarlo, il principio tende a prevalere e a contrastare lo status di privilegio, la mancata attuazione dell’interesse dei bambini si rivolge contro di loro in termini di solitudine in vecchiaia, nella malattia, nella vulnerabilità. L’interesse del bambino è, in un certo senso, una conferma del carattere scientifico e comprovabile del diritto: le sentenze giuridiche hanno conseguenze pratiche. Gr. S. Hopegood - J. Snyder J. – L. Vinjamuri, Human Rights Futures: Backlash and Beyond, in Cambridge University Press, 2017. 10 L.R. Helfers, Overlegalizing Human Rights: International Relations Theory and the Commonwealth Caribbean Backlash Againt Human Rights Regimes, in 102 Columbia Law Review 1832-1911, 2002, https://scholarship.law.duke.edu/faculty_scholarship/2030 11 V.M. Beloff., Derechos del Niño. Su Protección Especial en el Sistema Interamericano, Buenos Aires, 2019, p. 60. 6 The best interest of the child 4. La natura specificamente umana dell’approccio all’interesse del minore Gli animali non s’interrogano sulla natura della protezione dei minorenni, né sul suo contenuto: curano i loro cuccioli e basta. L’uomo riflette sull’infanzia e cosa è il suo interesse12. Gli animali, con una variata sensibilità, dipendendo dalle specie, agiscono in base ai loro istinti. L’uomo è capace di negare i propri istinti e di contraddirli. La libertà, fondamento della dignità dell’uomo, è, allo stesso tempo, la sua peggiore minaccia. E da questa libertà vengono le nuove sfide della tutela degli interessi dei minorenni. 5. I diritti “adulti”, la loro autonomia e gli interessi dei bambini Il diritto di famiglia contemporaneo si fonda soprattutto sul principio di libertà, che si estende e delinea una direttiva nettamente individualista, in cui l’autonomia della volontà diventa centrale. Una rilettura delle relazioni di famiglia all’interno della categoria negoziale13 ha determinato un’accentuazione della libertà individuale, diventata principio centrale14. Al punto che famiglia oggi è quello che scelgono gli adulti: non esiste una definizione unica di famiglia15. L’interesse dei bambini non è più il criterio determinante per disciplinare la famiglia. Questa libertà presuppone, tuttavia, una uguaglianza tra i soggetti del rapporto giuridico. In accordo al principio di libertà espansiva, gli adulti disciplinano i loro rapporti secondo i loro desideri, affetti e circostanze. Sulla premessa che i rapporti di convivenza o di coniugio non hanno nessuna incidenza sulla responsabilità parentale, come se si trattassero di due mondi paralleli, il diritto di famiglia amplifica, massimizza il principio di libertà. 12 Ci sono tanti studi sulle concezioni dell’infanzia nella storia. V. Gr., I. Ravetllat Ballesté, Aproximación histórica a la construcción sociojurídica de la categoría infancia, València, 2015. 13 Su questo, A. Zoppini, L’autonomia privata sessant’anni dopo, in Rivista di diritto civile, Vol. 48, n. 2, 2002, p. 213, è un classico chi approfondisce un altro classico (Santoro-Passarelli). 14 M.C. De Cicco, in P. Zatti, Trattato di Diritto di Famiglia, Milano, 2011, t. 1, p. 1021: “La centralità della persona nell’ordinamento porta ad una prevalenza dell’autonomia della persona e degli interessi degli individui su valori di ordine pubblico...”. 15 Confusione che si manifesta, e. Gr. in M.R. Marella - G. Marini, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Roma, 2014. L’interesse del minore 7 L’isola (riprendendo la famosa metafora di Carlo Arturo Jemolo) dei rapporti di filiazione, un tempo lambita dal concetto di libertà, oggi deve dirsi invece completamente inondata. Il diritto della filiazione, quale ramo del diritto di famiglia si caratterizza più per le scelte degli adulti che per l’interesse dei bambini16. In Argentina, nel nuovo codice civile e commerciale (2015), la filiazione, nel caso di procreazione assistita, si determina per via del contratto che i genitori (o il genitore, perché la monoparentalità è ammessa) firmano con una terza parte: il medico o l’istituzione che provvedono a fornire i servizi di fecondazione. In realtà, è proprio il bambino che è diventato un soggetto terzo rispetto al rapporto di filiazione17. Il potere dei genitori è enorme e sta crescendo sempre di più: un contratto permette di comandare, e così di decidere il futuro di questo bambino, considerato ormai un abito su misura cucito sui desideri dei genitori. D’altra parte, la pluralità di costellazioni familiari sottopone i bambini ad una pluralità di figure genitoriali e quasi-genitoriali, che arricchiscono la sua personalità. Tuttavia tutto questo rappresenta per il bambino uno sforzo psichico ed emotivo che lo distrae dallo sviluppo proprio della sua età, richiedendogli l’impiego di forze che gli permettano la resilienza. Ma non è questo che si legge nei documenti internazionali. La Convenzione Americana sui diritti umani (1969) dice: Articolo 17. 4. In caso di scioglimento, saranno introdotte previsioni finalizzate alla necessaria protezione dei figli, esclusivamente sulla base del loro interesse. Articolo 19. Diritti dell’infanzia. Ogni minore d’età ha il diritto alle misure di protezione rese necessarie dalla sua condizione di minore, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato. Tra genitori e figli, la sfida dell’interesse del minore è democratizzare la libertà degli adulti. Uguaglianza e libertà sono in un rapporto che, ogni tanto, diventa patologico, soprattutto quando la libertà crede di andarci con i piedi per terra, assumendo di tutelare un’uguaglianza che in realtà non esiste. 16 Vedi per esempio la acuta osservazione di Cesare Massimo Bianca in Prefazione di M. Bianca, Filiazione, Commento al Decreto Attuativo, Milano, 2014, p. XIII: “Si tratta di una distorta lettura del decreto, che mostra di ignorare una sicura esigenza del minore (v. Gr. l’affido condiviso), quella di un minimo di stabilità esistenziale”. L’interesse del minore è chiave ermeneutica. 17 U.C., Basset, Libro de Relaciones de Familia, in J.H. Alterini, Código Civil y Comercial Comentado, Tratado Exegético, t. III, Buenos Aires, 2019. 8 The best interest of the child 6. Autonomia degli adulti... e autonomia dei minori In conclusione, l’autonomia è una delle grandi conquiste del diritto dei minori di età, uno strumento formidabile che consente di dare rilevanza al grado di maturazione. Tuttavia anche qui troviamo una nuova sfida: una autonomia precoce libera più gli adulti che i minori. Una autonomia precoce non protegge e diventa ingiusto abbandono. 7. Un nuovo fronte del diritto di famiglia individuale e autonomico Il diritto deve proteggersi dall’eterno movimento pendolare e trovare il giusto peso, si direbbe la sua pietra angolare, il suo “pondus”, quello che lo riorienta alla sua evoluzione. Un diritto che ha perso la bussola è un diritto disorientato, smarrito. Per non diventare contra-evolutivo il diritto de famiglia deve tornare sui suoi passi e riconoscere la primazia dei minori come guida della libertà degli adulti. Ciò non deve essere inteso nel senso di una contrapposizione tra l’interesse dei minori e l’interesse della famiglia o degli adulti. Reinserire l’interesse del minore nel contesto familiare è la realizzazione ottima di questo interesse. Pensare l’interesse del minore esige ripensare il diritto di famiglia. Penso che un buon diritto di famiglia sia quello che guarda al futuro, in una prospettiva che converge verso questo orizzonte di futuro. Un diritto di famiglia che sistema la libertà a misura degli interessi degli adulti, rischia, al contrario, di sotterrare questi interessi. Questo non significa che gli interessi degli adulti rimangono inascoltati, è proprio il contrario, invece. Una buona e salutare disciplina degli interessi degli adulti si realizza al meglio quando prende consapevolezza che non è una disciplina autonoma e separata. Soprattutto quando il diritto di famiglia contemporaneo deve ancora dimostrare che la libertà, tale è motivo di maggiore felicità e non d’un isolamento e d’una solitudine che vanno sempre in aumento. Questa libertà non resiste neanche una generazione. Basta arrivare alla vecchiaia per avere già i resultati della patologia della libertà contro-evolutiva. Forse queste pagine saranno una eccellente opportunità per individuare nuovi equilibri per allineare il diritto di famiglia all’interesse dell’infanzia. L’interesse del minore 9 Bibliografia Basset U.C., Libro de Relaciones de Familia, in J.H. Alterini, Código Civil y Comercial Comentado, Tratado Exegético, t. III Buenos Aires, 2019 Beloff M., Derechos del Niño. Su Protección Especial en el Sistema Interamericano, Buenos Aires, 2019, p. 60 Bianca M. (cur.), Filiazione, Commento al Decreto Attuativo, Milano, 2014, p. 13 Boele-Woelki K. - Braad B. - Curry-Summers I. (cur.), European Law in Action, Vol. III. Parental Responsibilities, Anwerp-Oxford, 2005, p. 479 Crowe J. - Toohey L., From Good Intentions To Ethical Outcomes: The Paramountcy Of Children’s Interests In The Family Law Act, in Melbourne University Law Review 15, 2009 De Cicco M.C., in P Zatti., Trattato di Diritto di Famiglia, Milano, 2011, t. 1 Freeman M., Article 3: The Best Interest of the Child, Leida, 2007, p. 2 Helfers L.R., Overlegalizing Human Rights: International Relations Theory and the Commonwealth Caribbean Backlash Againt Human Rights Regimes, in 102 Columbia Law Review 1832-1911, 2002, https://scholarship.law.duke.edu/ faculty_scholarship/2030 Marella M.R. - Marini G., Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Roma, 2014 Mnookin R., Child Custody Adjudication: Judicial Functions in the Face of Indeterminacy, in Law and Contemporary Problems, 39, p. 235 Ravetllat Ballesté, I., Aproximación histórica a la construcción sociojurídica de la categoría infancia, Editorial Universitat Politècnica de València, 2015 Rodham H., Children Under the Law, in Harvard Educational Review 43, 1973 Schneider C.E., Discretion, Rules, and Law: Child Custody and the UMDA’s BestInterest Standard, in 89 Mich. L. Rev. 1990-199, p. 2215 Thery I., The Interest of the Child and the Regulation of the Post-Divorce Family, in Smart C. - Sevenhuijsen, S. (eds) Child Custody and the Politics of Gender, Londra, 1989, p. 82 Wolf J., The Concept of the Best Interest in the UN Convention on the Rights of the Child”, in Freeman M. - Veerman P., The Ideologies of Children Rights, Kluwer, 1992, The Hague, p. 126 Zoppini A., L’autonomia privata sessant’anni dopo, in Rivista di diritto civile, Vol. 48, n. 2, 2002, p. 213 Un modello europeo per l’armonizzazione della legge sulla responsabilità genitoriale Katharina Boele-Woelki* Sommario: 1. Elaborazione dei principi in materia di diritto di famiglia europeo, sulla base di una ricerca comparativa. – 2. Metodologia di lavoro. – 3. Strumenti internazionali europei. – 4. Struttura. – 5. Concetto di responsabilità genitoriale. – 6. Separazione e divorzio. – 7. Mantenimento di relazioni personali, residenza del figlio, trasferimento. – 8. Questioni procedurali. 1. Elaborazione dei principi in materia di diritto di famiglia europeo, sulla base di una ricerca comparativa Quasi vent’anni fa, la commissione sul diritto di famiglia europeo (d’ora in avanti “cefl”) ha dato avvio al proprio lavoro accademico, con l’elaborazione dei principi in materia di diritto di famiglia europeo, i quali sono considerati lo strumento più adeguato all’armonizzazione del diritto di famiglia in europa. Ciò ha portato alla redazione di principi su divorzio e mantenimento tra ex-coniugi (2004), a quelli sulla responsabilità genitoriale (2007) e infine a quelli sui rapporti patrimoniali tra coniugi (2013). Nel 2019 sarà, poi, ultimata la prossima serie di principi, concernente le unioni civili e coppie di fatto. I principi in materia di diritto di famiglia europeo non sono regole vincolanti. Innanzitutto, essi si rivolgono al legislatore nazionale. Infine, essi possono costituire una fonte di ispirazione tanto per il legislatore europeo, quanto per quello internazionale. * Presidente della Bucerius Law School di Amburgo, nonché Presidente della Commissione sul Diritto di Famiglia Europeo. Una versione (an extended version) in inglese di questo contributo è stata pubblicata in: Bernardi/Mortelmans (eds), Shared Physical Custody – Interdisciplinary Perspectives, Springer 2019. Questo contributo è stato tradotto da Cristina Rapagna. 12 The best interest of the child Tale contributo1 illustrerà gli aspetti metodologici sottesi alla stesura dei principi. Dopodiché, fornirà al lettore una disamina della grande quantità di strumenti internazionali ed europei, rilevanti in materia di responsabilità genitoriale. Sebbene ciascuno di questi strumenti affronti alcuni aspetti specifici della legge sulla responsabilità genitoriale, nel loro insieme essi costituiscono il quadro generale che ha dato l’impulso allo sviluppo dei vari sistemi nazionali in europa. In nessun altro ambito del diritto di famiglia sono stati elaborati, conclusi e adottati – fino a diventare vincolanti – così tanti accordi tra stati. Questo sviluppo, cominciato circa cinquant’anni fa e culminato nel 1989 con l’approvazione della convenzione sui diritti del fanciullo, può essere classificato come una spontanea armonizzazione del panorama legislativo riguardante il rapporto genitori-figli. Esso rappresenta le vere e proprie fondamenta sulla base delle quali i principi cefl sono stati redatti. Prima di analizzare il concetto di responsabilità genitoriale, e i principi che riguardano specificamente la situazione successiva alla separazione o al divorzio dei genitori (affidamento congiunto e/o esclusivo, disaccordo in merito all’affidamento, residenza del figlio, trasferimento, mantenimento delle relazioni personali, ascolto del minore, rappresentanza del minore), verrà esaminata la struttura dei principi. Infine, dodici anni dopo la pubblicazione di questi principi, è giunto il momento di fare un bilancio e valutare come essi siano stati percepiti. Hanno avuto un impatto sul processo di armonizzazione del diritto di famiglia? 2. Metodologia di lavoro L’istituzione della cefl nel 2001 e l’elaborazione da parte sua di principi comuni hanno condotto a un diffuso e intenso dibattito tra gli studiosi di diritto di famiglia comparato, circa il metodo di lavoro da seguire. Nel corso degli anni, la cefl ha applicato un proprio metodo, consistente, in pratica, in sei passaggi. Il primo passaggio è la scelta dei settori del diritto di famiglia maggiormente idonei ad un’armonizzazione. Il secondo passaggio è la redazione di un questionario sulla base di un approccio funzionale, che mira alla risoluzione di problemi e prevede che le domande siano poste in termini prettamente funzionali, senza alcun riferimento ai 1 V. anche Boele-Woelki K., The CEFL Principios regarding parental responsibilities: Predominance of the common core, in Boele-Woelki S. (eds), European Challenges in Contemporary Family Law, in European Family Law series no. 19, 2008, p. 63-91. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 13 concetti di un certo sistema legale: vale a dire, chiedendosi quale sia il problema a cui una data norma vuole porre rimedio. Il terzo passaggio è la stesura di relazioni nazionali che prendano in considerazione non solo la legge, per come essa è scritta nei manuali, ma anche la sua applicazione pratica. Ciascun sistema legale può prevedere una lista di fonti ufficiali, che però vincola solo giudici e tribunali interni e non necessariamente un comparatista. L’importanza concreta della legge in azione vale anche per l’ambito del diritto di famiglia. Le relazioni nazionali si propongono di comprendere come i professionisti stiano effettivamente utilizzando le norme. Il quarto passaggio è la raccolta e divulgazione di materiale comparatistico: oltre alle relazioni dei singoli paesi, accessibili sul sito della cefl, è stata pubblicata anche una versione integrata e stampata, la quale segue i numeri delle domande. Tale versione offre una rapida visione d’insieme e un confronto simultaneo e diretto tra le diverse soluzioni all’interno dei vari sistemi nazionali. Il quinto passaggio è la redazione dei principi di diritto di famiglia europeo. A tal fine, vengono avanzate proposte dai membri del comitato organizzativo. Esse sono, poi, discusse con gli autori delle relazioni nazionali (il gruppo di esperti). A questo punto, si dovrà optare per l’approccio “common core” o per quello “better law”, ove il primo punta all’individuazione di un “nocciolo duro” comune ai vari sistemi nazionali, e il secondo si prefigge di scegliere la legge ritenuta migliore tra quelle dei vari sistemi. Il sesto e ultimo passaggio è la pubblicazione dei principi. Analogie e differenze, punti di convergenza e di divergenza, legge comune e/o migliore sono le espressioni centrali discusse nell’esaminare le varie conclusioni. Le domande principali si riducono alle seguenti: quando e perché dovremmo partire dalle analogie, dai punti di convergenza e, infine, dal common core e come possiamo far fronte a differenze e divergenze? E quando e perché dobbiamo invece optare per un approccio better law? Nella redazione dei principi sulla responsabilità genitoriale, tali domande sono state più volte poste, per poi trovare risposta in merito a ciascuna specifica materia. È stato possibile riscontrare molte analogie, gran parte delle tendenze convergenti e un common core a proposito di numerosi aspetti. 3. Strumenti internazionali europei Nel campo della responsabilità genitoriale, le differenze tra i sistemi europei sono molto meno intense che in altri ambiti del diritto di famiglia. 14 The best interest of the child Dunque, nella maggior parte dei casi, i principi cefl costituiscono solo la ripetizione di soluzioni comuni, generalmente applicate. L’armonizzazione della normativa sulla responsabilità genitoriale in europa ha avuto luogo gradualmente, attraverso gli svariati strumenti internazionali ed europei. Nella redazione dei principi sulla responsabilità genitoriale, si è tenuto conto di sedici convenzioni, elaborate rispettivamente dalle nazioni unite, dalla conferenza de l’aja sul diritto internazionale privato, e dal consiglio d’europa; sono stati tenuti presenti anche un regolamento ue, quattro dichiarazioni delle nazioni unite, tredici raccomandazioni e, inoltre, il libro bianco sul dialogo interculturale del consiglio d’europa2. Benché ciascuno di questi strumenti copra degli specifici aspetti della normativa sulla responsabilità genitoriale, nel loro insieme essi hanno disegnato un quadro generale, il quale ha in buona misura influenzato i singoli sistemi nazionali in europa. In nessun altro ambito del diritto di famiglia sono stati elaborati, conclusi e adottati – fino a diventare vincolanti – così tanti accordi tra stati. 4. Struttura La pubblicazione di trentanove principi sulla responsabilità genitoriale3 compresa la raccolta di materiale comparatistico4 sono il risultato di un lavoro di squadra al quale hanno contribuito ventisei esperti di diritto di famiglia comparato, provenienti da ventidue giurisdizioni europee diverse. Ciascuna sezione contenente un principio si compone di quattro parti: il testo del principio vero e proprio5 è seguito da una panoramica delle norme internazionali e/o europee rilevanti, sulla questione analizzata dal principio, in modo da richiamare gli impegni internazionali preesistenti. È attorno agli obblighi internazionali – che hanno costruito una struttura di base – che i principi si sono modellati. Le analisi comparate e i commenti si riferiscono non solo alle ventidue 2 K. Boele-Woelki - F. Ferrand, - C. González Beilfuss - M. Jänterä-Jareborg - N. Lowe - D. Martiny - W., Pintens Principios of European Family Law Regarding Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 16, 2007, p. 15-19. 3 K. Boele-Woelki - F. Ferrand, - C. González Beilfuss - M. Jänterä-Jareborg - N. Lowe - D. Martiny - W., Pintens Principios of European Family Law Regarding Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 16, 2007. 4 K. Boele-Woelki - B. Braat - I. Curry-Sumner (eds.), European Family Law in Action, Volume III: Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 9, 2005. 5 Allegato in Appendice di seguito al contributo. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 15 relazioni nazionali elaborate dagli esperti cefl, ma esse includono anche i relativi strumenti internazionali e/o europei. Le quattro parti sono inscindibili. Preambolo Capitolo I: definizioni Capitolo II: diritti del minore Capitolo III: responsabilità genitoriale di genitori e soggetti terzi Capitolo IV: esercizio della responsabilità genitoriale Sezione a: genitori Sezione b: soggetti terzi Capitolo V: contenuto degli obblighi di responsabilità genitoriale Sezione a: rapporti personali e patrimoniali del minore Sezione b: mantenimento dei rapporti personali Capitolo VI: cessazione della responsabilità genitoriale Capitolo VII: decadenza da responsabilità genitoriale e reintegrazione nella stessa Capitolo VIII: questioni procedurali Il sommario indica quali temi vengono affrontati. Essenzialmente, si distinguono tre aree diverse. I capitoli i, ii e viii contengono regole di ordine generale. A queste ultime corrispondono quattro parti: il preambolo e due principi che definiscono da un lato il concetto di responsabilità genitoriale, e dall’altro i titolari della responsabilità stessa. La scelta di adottare un concetto ampio di responsabilità genitoriale implica la necessaria indicazione di coloro ai quali essa può essere attribuita, vale a dire di coloro che possono esercitare i diritti e doveri relativi alla stessa. Il concetto della cefl distingue espressamente tra genitori e soggetti terzi. I genitori sono gli incaricati principali all’esercizio della responsabilità genitoriale. Tuttavia, anche persone diverse dai genitori, così come enti pubblici, possono essere titolari di responsabilità genitoriale. Il capitolo ii, sui diritti del minore, è stato profondamente influenzato dai rilevanti strumenti di tutela internazionale ed europea dei diritti umani. Con i suoi cinque principi, questo capitolo costituisce la parte generale principale dei principi cefl. I diritti del minore devono sempre essere tenuti in considerazione, in ogni questione di responsabilità genitoriale. Essi rappresentano il punto di partenza fondamentale, dal quale ogni altro argomento viene affrontato. Anche le questioni procedurali hanno natura generale. I capitoli iii, iv e v riguardano tre aspetti: 16 The best interest of the child la posizione di genitori e soggetti terzi, l’esercizio degli obblighi di responsabilità genitoriale e il contenuto di tali obblighi. Infine, i capitoli vi e vii si occupano della cessazione della responsabilità genitoriale e della decadenza dalla stessa. 5. Concetto di responsabilità genitoriale Cos’è la responsabilità genitoriale e chi ne è titolare? Conformemente agli strumenti internazionali ed europei, la cefl ha optato per un’ampia nozione di responsabilità genitoriale, consistente nell’insieme di diritti e doveri correlati al prendersi cura della persona e del patrimonio dei figli (principio 3:1). Concetti come tutela e custodia, ancora utilizzati nei sistemi nazionali, sono qui stati abbandonati. La responsabilità genitoriale, per come essa è intesa dalla cefl, si applica ai figli dalla loro nascita fino al raggiungimento della maggiore età. È stata effettuata una distinzione tra figli più piccoli e adolescenti, benché sia stata deliberatamente evitata l’indicazione di un preciso limite di età: infatti, non è solo l’età del minore, ma la sua maturità a consentire di valutare se la sua opinione debba essere tenuta o meno in considerazione. I principi fanno riferimento alla piuttosto prolissa espressione “titolari di responsabilità genitoriale”. Di norma, il figlio ha due genitori titolari di responsabilità genitoriale. Tuttavia, anche un soggetto diverso da un genitore, che non ha vincoli giuridici con il bambino, può essere titolare di responsabilità genitoriale, ed esercitarla di conseguenza: il principio 3:2 precisa tale distinzione. Sono, innanzitutto, i genitori, per i quali è stato legalmente riconosciuto il rapporto di filiazione, i principali incaricati all’esercizio di responsabilità genitoriale. Ad ogni modo, anche soggetti fisici diversi dai genitori, nonché enti pubblici, possono essere titolari di responsabilità genitoriale. Dunque, i principi cefl ammettono la coesistenza di più di due titolari di responsabilità genitoriale. 6. Separazione e divorzio In caso di separazione o divorzio dei genitori, questi continuano ad essere titolari congiunti di responsabilità genitoriale. Il principio 3:10 afferma che la responsabilità genitoriale non deve essere influenzata né dalla dissoluzione o annullamento del matrimonio o di un’altra relazione formale, né dalla separazione legale o di fatto dei genitori. Di Un modello europeo di responsabilità genitoriale 17 conseguenza, una separazione o un divorzio non hanno alcun impatto sull’attribuzione di responsabilità genitoriale. Il principio rispecchia il common core dei sistemi legali analizzati dalla cefl. Pertanto, i genitori titolari di responsabilità genitoriale dovrebbero avere il costante ed eguale diritto e dovere di provvedere congiuntamente all’esercizio di tale responsabilità. Tuttavia, vi sono eccezioni all’esercizio eguale e congiunto della responsabilità genitoriale, nella misura in cui si riconosce che esso sia previsto “ogniqualvolta ciò sia possibile”. Questo è quanto affermato dal principio 3:11. Il fatto che la responsabilità genitoriale richieda un esercizio congiunto della stessa non significa che i genitori debbano agire insieme in qualsiasi circostanza. Tale punto è sviluppato dal principio 3:12(1), che riconosce la possibilità di agire singolarmente nelle situazioni ordinarie del quotidiano. Però, il principio 3:12(2) richiede che decisioni importanti, a proposito di temi come l’istruzione, le cure mediche, la residenza del bambino, o la gestione dei suoi beni debbano essere prese congiuntamente. Il principio contiene una lista non esaustiva a scopo meramente illustrativo: non tutte le materie elencate richiedono una decisione congiunta, bensì solo se la questione in sé è rilevante. I principi non forniscono un criterio per la valutazione dell’importanza della questione. Ad ogni modo, scelte con effetti duraturi nel tempo per il bambino dovrebbero essere considerate rilevanti. Ad esempio, decidere se fargli frequentare o meno un corso di lingua, sebbene riguardi l’istruzione del bambino, non sarà ritenuta una scelta di importanza tale da richiedere il consenso di entrambi i genitori, mentre un cambio di istituto scolastico sarebbe, con tutta probabilità, considerato tale. Tuttavia, molto dipende dalle circostanze specifiche del caso concreto. Indipendentemente dalla natura importante o meno di una decisione, ciascun genitore ha il diritto di agire individualmente in caso di urgenza, pur informando l’altro genitore senza indugio (principio 3:12(2)). Dal momento che l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale diviene più complesso dopo la separazione o il divorzio dei genitori, questi sono invitati a trovare un accordo sulla gestione dei rispettivi diritti e doveri. Il principio 3:13(1) fissa la possibilità, generalmente riconosciuta ai genitori, di accordarsi sull’esercizio della responsabilità genitoriale: vale a dire, su svariate questioni o su di uno specifico problema. L’accordo può arrivare a coprire tutti gli aspetti della responsabilità genitoriale elencati al principio 3:1, in particolar modo la cura, tutela e istruzione del figlio. Un tale accordo tra i titolari di responsabilità genitoriale ben 18 The best interest of the child potrebbe anche condurre all’esercizio della stessa da parte di uno solo dei genitori, secondo quanto stabilito dal principio 3:15(a); ad ogni modo, sia l’accordo sull’esercizio congiunto che quello sull’esercizio individuale della responsabilità genitoriale sono subordinati al miglior interesse del minore. Ne consegue che l’autorità competente, di solito una corte, dovrebbe partire da quest’ultimo, nell’analisi dell’accordo. Tuttavia, in molti casi i genitori non trovano un accordo sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Questa situazione è stata affrontata nel principio 3:14, che stabilisce che, in caso di disaccordo, i genitori possono rivolgersi all’autorità competente, ove la questione sia rilevante, come ad esempio la residenza o l’istruzione del bambino. In tal caso, l’autorità competente deve prima tentare il raggiungimento di un accordo tra le parti. Inoltre, può decidere essa stessa la questione, o ancora può autorizzare uno dei genitori ad agire individualmente in relazione a una o più materie. Questa seconda alternativa evita ogni interferenza non necessaria nella vita familiare. Spesso, però, il risultato pratico sarà lo stesso, in quanto scegliere chi sia il genitore più competente sarebbe difficile senza considerare quale sia la materia in oggetto. Per questo, il principio 3:14(3) lascia aperta la possibilità che la responsabilità genitoriale venga esercitata da uno solo dei titolari della stessa, o che la questione venga invece decisa dall’autorità competente. Sarebbe preferibile autorizzare uno dei due genitori ad agire singolarmente quando un problema specifico e separabile deve essere risolto e sempreché uno dei titolari di responsabilità genitoriale abbia un grado sufficiente di competenza o conoscenza per perseguire il migliore interesse del minore, riguardo la questione in oggetto. L’autorità competente dovrà confarsi al principio del miglior interesse del minore in ogni caso, e dovrà anche prendere in considerazione il comportamento pregresso dei genitori. La maggior parte dei principi presenti nel capitolo iv, sull’esercizio della responsabilità genitoriale, si basa sul common core dei sistemi nazionali e degli strumenti internazionali ed europei. Tali regole generali sono state scelte quali migliori soluzioni da applicare. Però, a proposito di pochi, ma importanti aspetti, non è stato possibile individuare un approccio comune. Dunque, in questi casi, si è optato per soluzioni applicate solo in alcuni paesi. Soluzioni che risultassero attuabili e in linea con gli obiettivi della cefl, nella creazione di un sistema flessibile ed efficiente, basato sull’eguaglianza. Questo è avvenuto in relazione al potere dei genitori di agire individualmente nelle questioni ordinarie Un modello europeo di responsabilità genitoriale 19 del quotidiano, nonostante la responsabilità genitoriale congiunta (principio 3:12 (1)), all’obbligo del genitore che ha agito in situazioni urgenti di informare l’altro senza indugio (principio 3:12(2)), alla competenza dell’autorità nel decidere la disputa o autorizzare uno dei genitori titolari di responsabilità genitoriale, in caso di disaccordo tra di loro (principio 3:14(3)), all’esercizio di responsabilità genitoriale da parte di un solo genitore, su decisione di entrambi (principio 3(15)) e al riconoscimento che la responsabilità genitoriale possa anche essere esercitata da terzi, in aggiunta o in luogo dei genitori (principio 3:17). Dunque, in relazione a tali punti, la cefl ha applicato l’approccio della better law, per costituire un coerente quadro normativo. 7. Mantenimento di relazioni personali, residenza del figlio, trasferimento. Il mantenimento di relazioni personali tra il figlio e i propri genitori rientra nell’ambito della responsabilità genitoriale, e viene stabilito tramite contatti tra gli stessi. Il principio 3:25 predilige parlare di relazioni personali, piuttosto che di “accesso” poiché tale termine è più ampio ed esprime meglio la natura bilaterale delle relazioni personali. Dal momento che il mantenimento delle relazioni personali viene previsto nell’interesse principale del minore, ad esso dovrebbero corrispondere uno specifico diritto in capo ai minori, e il relativo dovere in capo ai genitori. Dunque, il principio 3:25(1) qualifica espressamente le relazioni personali come un diritto e, così facendo, implicitamente afferma l’esistenza di uno speculare dovere dei genitori, in tal senso. Il principio 3:25(2) asserisce che un bambino debba avere anche il diritto a mantenere relazioni personali con familiari diversi dai genitori, e con ciò ci si riferisce principalmente ai nonni. Infatti, in questi casi, vi sono legami familiari molto stretti e i nonni possono risultare essenziali per lo sviluppo del minore. I nonni non vengono espressamente menzionati, nonostante la loro posizione privilegiata all’interno di molti sistemi familiari. Il mantenimento delle relazioni personali dovrebbe coinvolgere anche fratelli e sorelle. Tuttavia, il principio 3:25(2) non definisce una lista di tali familiari, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 5 § 1 della convenzione sulle relazioni personali riguardanti i fanciulli del 2003. Il diritto alle relazioni personali con soggetti che non siano i genitori va garantito anche contro la volontà di un genitore, o di entrambi: infatti, a tale diritto corrisponde un obbligo, in 20 The best interest of the child capo ai genitori, di consentire e agevolare tali rapporti. I principi cefl non affrontano, però, la questione dell’esistenza o meno di un diritto azionabile, di tali soggetti terzi, ad avere relazioni personali con i bambini, anche contro la volontà dei loro genitori. Vi sono buone ragioni per non porre in essere tali contatti, ove ciò alteri profondamente il rapporto genitori-figli. Questo è quanto previsto in alcuni sistemi nazionali, che non riconoscono un tale diritto a persone diverse dai genitori, o che consentono maggiori restrizioni al diritto stesso, rispetto a quando esso viene applicato nelle relazioni tra i figli e i propri genitori. Il principio 3:25(3) riconosce anche la possibile esistenza di legami stretti tra i bambini e soggetti terzi, pur in assenza di relazioni di parentela. Una grande varietà di soggetti può essere ricompresa in tale categoria (matrigne e patrigni, genitori adottivi). In particolare, quando tali soggetti hanno ricoperto funzioni familiari, il mantenimento di relazioni interpersonali con gli stessi è appropriato e – generalmente – esso è nel miglior interesse del minore. Tuttavia, il principio 3:25(3) afferma solo che “possono” esservi relazioni; non vi è alcun mantenimento automatico delle stesse. Difatti, dal momento che le circostanze fattuali e il grado di intensità dei legami potrebbero differire di molto, è opportuno che vi sia solo un diritto al mantenimento delle relazioni interpersonali, e non un obbligo. Due aspetti meritano di essere analizzati con particolare attenzione quando i genitori si separano o divorziano. Quale sarà la residenza del bambino e a quali condizioni dovrebbe essere possibile trasferirla ad un altro luogo o stato? In molti sistemi nazionali, l’individuazione della residenza del bambino non è un punto separato. Tale questione costituisce, però, un’eccezione, in quanto nessun common core è stato identificabile. Ciò è dovuto, da un lato, al fatto che vi è una sempre maggiore mobilità delle persone fisiche, all’interno dell’europa ma anche nel mondo; dall’altro, alla considerazione che la responsabilità genitoriale condivisa conduce in misura crescente a un’eguaglianza nel rivestire il ruolo di genitori, tale da portare a una residenza alternata per il figlio. Questi sono sviluppi recenti, e in quanto tali sono gestiti in maniera differente all’interno dei vari sistemi analizzati. Mancano previsioni legislative in materia di residenza alternata, e in giurisprudenza si evidenziano esiti largamente diversi. In quest’area, i principi cefl forniscono nuove soluzioni, in parte basate sulla prassi legale di alcuni paesi. Tali soluzioni potrebbero costituire le linee guida non solo per il legislatore, ma anche e soprattutto per le corti e per le autorità Un modello europeo di responsabilità genitoriale 21 amministrative che si trovano a dover decidere in merito a questioni concernenti la residenza dei minori. Conformemente all’approccio cefl, sono i genitori a scegliere con chi il bambino risiederà. Il principio 3:20(1) ribadisce che ogni decisione sulla residenza del figlio richiede il raggiungimento di un accordo da parte dei genitori, se la convivenza di questi cessa. Ciò è in linea con il principio 3:10, che stabilisce che la responsabilità genitoriale resta inalterata a seguito della separazione o del divorzio dei genitori. Se questi non riescono a raggiungere un accordo sulla residenza del bambino, allora la questione verrà devoluta all’autorità competente, la quale procederà secondo quanto disciplinato dal principio 3:14. Quando i principi cefl sono stati redatti, nessuna delle giurisdizioni analizzate aveva legiferato sul concetto di residenza condivisa o alternata del figlio, che implica che il bambino viva con entrambi i genitori, alternativamente, per uno specifico periodo di tempo6. Altre espressioni comunemente utilizzate per riferirsi a tale situazione sono: custodia condivisa, responsabilità genitoriale condivisa, affidamento congiunto, affidamento condiviso, collocamento condiviso. Questo processo è iniziato da circa vent’anni. Ex coniugi che mantenevano un rapporto molto collaborativo gestivano insieme la cura giornaliera dei figli, grazie a orari di lavoro flessibili e residenze geograficamente vicine. Tuttavia, quando i padri (e le organizzazioni a tutela dei diritti dei padri) hanno cominciato a vedere la residenza alternata non solo come una maniera alternativa di organizzare la gestione dei figli dopo la separazione, ma anche come una questione di eguaglianza, è aumentata la richiesta e necessità di maggiori disposizioni concernenti la residenza alternata, anche in situazioni in cui questa si rivelava meno appropriata7. Il principio 3:20(2) riguarda la residenza alternata. Non è esso, però, a stabilire se la residenza alternata debba essere la regola o piuttosto l’eccezione. Infatti, tale principio riconosce solo che essa è possibile, quando vi è un accordo a riguardo tra i detentori di responsabilità genitoriale, e l’autorità competente approva tale accordo. 6 N. Nikolina, Divided Parents – Shared Children, Legal Aspects of (Residential) CoParenting in England, the Netherlands and Belgium, in European Family Law series no. 39, 2015. 7 M.V. Antokolskaia, Solomo´s oordeel nieuwe stijl: verblijfsco-ouderschap, in België en Nederland. Over de rol van de wetenschap, invloed van de politiek, en nattevingerwerk in het wetgevingsproces, Rede uitgesproken bij de aanvaarding van de Marcel Storme leerstoel te Universiteit Gent op 12 mei 2010, p. 7. 22 The best interest of the child I criteri che quest’ultima dovrebbe considerare a tal fine sono elementi quali: (a) l’età e l’opinione del bambino; (b) la capacità e volontà dei genitori di cooperare su questioni che riguardano i figli, e la situazione personale dei genitori; e (c) la distanza geografica tra le diverse residenze dei genitori, e tra queste e la scuola del bambino. Nel caso in cui chi detiene la responsabilità genitoriale non riesca a raggiungere un accordo, il principio 3:20(2) contempla anche la possibilità che la residenza alternata sia decisa dall’autorità competente, ove essa sia nel miglior interesse del minore, alla luce dei fattori di cui al principio 3:20(2). Dal momento che la capacità e volontà dei titolari di responsabilità genitoriale sono tra gli elementi di cui tenere conto, l’autorità competente dovrebbe concedere la residenza alternata solo quando non si raggiunge un accordo, in casi eccezionali. Non vi è dubbio che la residenza alternata debba essere possibile solo quando essa sia nel miglior interesse del minore. La lista di fattori offre delle linee guida per esaminare ogni accordo dei genitori riguardante la residenza alternata del bambino. Tale lista è utile anche quando non vi è un accordo, ma è l’autorità competente a occuparsi della decisione sulla residenza alternata. I fattori elencati riflettono la preoccupazione della cefl secondo la quale, nonostante la residenza alternata possa promuovere le relazioni interpersonali con entrambi i genitori, essa potrebbe altresì privare il bambino di un ambiente stabile, e rivelarsi dunque pregiudizievole per il suo interesse. Ciascun caso è a sé stante, e la decisione finale dovrà essere presa dall’autorità competente. Un altro punto che ai tempi della redazione dei principi cefl sulla responsabilità genitoriale non era presente in nessuna disposizione normativa all’interno del diritto di famiglia delle giurisdizioni analizzate dalla cefl è la volontà di uno dei genitori a modificare la residenza del figlio, entro o al di fuori dei confini nazionali. La cefl ha deciso di introdurre un apposito principio sul trasferimento della residenza, al fine di rispondere a una sempre maggiore mobilità nella società europea, che è strettamente correlata alla esistenza di una cittadinanza europea. Il rilievo del trasferimento della residenza sta emergendo nel contesto dell’integrazione europea, e della libera circolazione delle persone, e probabilmente condurrà a molte controversie. La modifica della residenza del bambino, entro o al di fuori dei confini nazionali, è una questione talmente importante da richiedere che l’altro genitore ne venga informato in anticipo. Dal momento che la scelta della residenza del figlio è considerata così importante da rendere necessario che i Un modello europeo di responsabilità genitoriale 23 genitori agiscano d’accordo, il dovere di informare l’altro è, in realtà, implicito quando la responsabilità genitoriale è condivisa. Il principio 3:21(2) richiama in parte il principio 3:14. Quando non si giunge a un accordo sul trasferimento della residenza, la questione dovrà essere devoluta all’autorità competente. Il principio 3:21(3) contiene una lista non esaustiva di fattori di cui l’autorità competente deve tenere conto, nel prendere una decisione sul trasferimento della residenza. La scelta dell’autorità competente deve cercare di bilanciare il diritto del bambino al mantenimento di relazioni interpersonali col genitore con il quale non risiede, con i prossimi congiunti e con i soggetti coi quali il minore ha legami stretti (principio 3:25) e il diritto del genitore convivente col figlio a spostarsi per il perseguimento di un valido scopo, ad esempio per migliorare la propria situazione professionale o per accompagnare il nuovo partner (libertà di movimento). La distanza geografica e l’accessibilità, così come la situazione personale – in particolare, finanziaria – dei titolari di responsabilità genitoriale sono elementi determinanti. Come di consueto, si dovrebbe tenere adeguatamente conto dell’opinione del bambino, avuto riguardo alla sua età e maturità. 8. Questioni procedurali Tutti e cinque i principi del capitolo sulle questioni procedurali sono basati su di un common core. Essi riguardano i seguenti aspetti. È prassi generalmente accettata e riconosciuta che nel decidere se intervenire o meno su questioni di responsabilità genitoriale, si debba indagare il contesto in cui vive il bambino. A questo scopo, l’autorità competente deve, ove necessario, designare ogni adeguato soggetto e/o ente, per ottenere una panoramica chiara della situazione del bambino. Oltre a tale approccio più tradizionale, i principi riconoscono anche la crescente importanza della risoluzione alternativa delle controversie, in linea con quanto stanno facendo le varie leggi nazionali. Anche in questo ambito, un common core è evidente. Di conseguenza, in tutte le controversie concernenti la responsabilità genitoriale, devono essere resi disponibili meccanismi di risoluzione alternativa delle stesse (principio 3:36). Il principio 3:37(1) sottolinea che il minore deve essere sentito nel corso del procedimento che lo riguarda. Tuttavia, si riconosce che vi siano situazioni in cui una tale audizione potrebbe essere più pregiudizievole che benefica. Laddove l’autorità decida di non sentire il minore, dovrà addurre le ragioni specifiche di questa scelta. Su questo punto, 24 The best interest of the child non vi è un common core, dunque è stata scelta la soluzione ritenuta migliore. Non vi è uniformità, tra i vari sistemi nazionali, su chi debba procedere all’audizione del minore: vale a dire, se questa debba avvenire direttamente davanti all’autorità competente, o indirettamente davanti a soggetti o enti designati dall’autorità stessa. I principi optano per la prima soluzione; il tribunale deve tenere conto dell’opinione degli esperti, pur formandosi un proprio libero convincimento. Inoltre, il minore deve essere sentito secondo modalità adeguate alla sua età e maturità (principio 3:37 (3)). Non è fissato uno specifico limite di età. Un principio rispondente al common core della maggior parte delle giurisdizioni rappresentate nella cefl è quello secondo il quale deve essere designato un rappresentante speciale del minore in tutti i casi nei quali l’interesse dello stesso potrebbe essere confliggente con quello dei titolari di responsabilità genitoriale, o nei quali il benessere del minore sia a rischio in altri modi. Questa garanzia è stabilita dal principio 3:38. Il rappresentante speciale deve essere designato d’ufficio mediante un provvedimento dell’autorità competente, o può essere richiesto dal minore, a condizione che egli abbia una capacità di discernimento sufficiente. Infine, il principio 3:39 riguarda l’esecuzione rapida ed effettiva delle decisioni dell’autorità competente, o degli accordi concernenti la responsabilità genitoriale. Questa è la regola principale. In via eccezionale, potrebbe non darsi attuazione alle predette decisioni o accordi, ove manifestamente incompatibili con il miglior interesse del minore. Di conseguenza, ad esempio, non si dovrebbe dare esecuzione a un provvedimento riguardante la residenza o le relazioni interpersonali del bambino, contro la sua volontà, e sempre a condizione che il minore abbia una sufficiente capacità di discernimento. 9. Impatto dei principi cefl Nel complesso, i principi sulla responsabilità genitoriale costituiscono un utile quadro di riferimento per ogni legislatore. È stata svolta una ricerca comparativa nel relativo campo, il materiale è facilmente accessibile e ampiamente diffuso, sono state determinate analogie e differenze, fornendone spiegazioni e, infine, nel valutare le soluzioni, sono stati proposti principi comuni, i quali si fondano sulle conclusioni comparative. Lo scopo ultimo della cefl verrà raggiunto se, alla fine, il risultato ottenuto acquisirà una significativa autorevolezza tra i numerosi strumenti internazionali ed europei che riguardano il rapporto genitori-figli. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 25 Inoltre, attraverso una sperimentazione empirica dei principi attuata in una serie di sistemi legali, si può dimostrare se essi siano senz’altro accettabili, e/o se essi possano essere considerati come un miglioramento delle leggi nazionali esistenti. Ciò è stato fatto da esin örücü e jane mair proprio in relazione ai principi analizzati in questo contributo8. In conclusione, ad oggi, i principi cefl sulla responsabilità genitoriale hanno ispirato il legislatore portoghese (lei do divórcio 2008), norvegese (children act 2010), croato (family law act 2013) e ceco (2014), nel riformare rispettivamente la legge sul divorzio e quella sulle responsabilità genitoriali. Anche la relazione del consiglio d’europa che accompagna la raccomandazione del 2015 sulla prevenzione e risoluzione delle controversie sul trasferimento dei minori fa riferimento al principio 3:21. Sono attesi ulteriori riferimenti ai principi cefl. Di recente, al legislatore estone sono state fornite informazioni sui principi cefl concernenti la residenza alternata. Appendice Principi di diritto di famiglia europeo sulla responsabilità genitoriale PREAMBOLO Riconoscendo che, nonostante vi sia diversità tra i sistemi nazionali di diritto di famiglia, c’è comunque una crescente convergenza tra le norme; Riconoscendo che la libera circolazione delle persone in europa è ostacolata dalle rimanenti differenze; Desiderando contribuire ai valori comuni agli stati membri dell’unione europea, in materia di diritti e benessere del minore; Desiderando contribuire all’armonizzazione del diritto di famiglia in europa, e facilitare ulteriormente la libera circolazione delle persone all’interno dell’unione europea; La commissione sul diritto di famiglia europeo raccomanda i seguenti principi: 8 E. Örücü - J. Mair (eds), Juxtaposing Legal Systems and the Principios of European Family Law on Parental Responsibilities, in European Family Law Series no. 27, 2010. 26 The best interest of the child CAPITOLO I: DEFINIZIONI PRINCIPIO 3:1 CONCETTO DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE La responsabilità genitoriale è l’insieme di diritti e doveri miranti alla promozione e tutela del benessere del minore. In particolare, tali diritti e doveri ricomprendono: (a) cura, tutela e istruzione; (b) mantenimento dei rapporti personali; (c) determinazione della residenza; (d) amministrazione dei beni, e (e) rappresentanza legale. PRINCIPIO 3:2 TITOLARI DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE (1) Titolare di responsabilità genitoriale è qualunque persona titolare, in tutto o in parte, dei diritti e doveri elencati nel principio 3:1. (2) I titolari di responsabilità genitoriale, formanti oggetto dei seguenti principi, sono: (b) i genitori del minore, nonché (b) soggetti diversi dai genitori, titolari anch’essi, o in luogo degli stessi, di responsabilità genitoriale. CAPITOLO II: DIRITTI DEL MINORE PRINCIPIO 3:3 MIGLIOR INTERESSE DEL MINORE In tutte le questioni concernenti la responsabilità genitoriale andrà prestata la massima attenzione al miglior interesse del minore. PRINCIPIO 3:4 AUTONOMIA DEL MINORE L’autonomia del minore va rispettata, conformemente alla sua capacità in via di sviluppo e al suo bisogno di agire in maniera indipendente. PRINCIPIO 3:5 NON DISCRIMINAZIONE DEL MINORE I minori non devono essere discriminati sulla base di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale, etnica o sociale, orientamento sessuale, disabilità, ricchezza, nascita o ogni altra condizione, sia ove tali ragioni si riferiscano al minore, che ove esse si riferiscano ai titolari di responsabilità genitoriale. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 27 PRINCIPIO 3:6 DIRITTO DEL MINORE AD ESSERE ASCOLTATO Il minore ha diritto ad essere informato di tutte le questioni che lo riguardano, nonché ad essere consultato in relazione alle stesse e ad esprimere la propria opinione, di cui si deve tenere conto, avuto riguardo all’età e alla maturità del minore stesso. PRINCIPIO 3:7 CONFLITTO DI INTERESSI Gli interessi del minore vanno tutelati ogniqualvolta essi possano confliggere con gli interessi dei titolari di responsabilità genitoriale. CAPITOLO III: RESPONSABILITÀ GENITORIALE DI GENITORI E SOGGETTI TERZI PRINCIPIO 3:8 GENITORI I genitori, per i quali è stato riconosciuto il rapporto di filiazione, sono titolari di responsabilità genitoriale. PRINCIPIO 3:9 SOGGETTI TERZI La responsabilità genitoriale può essere attribuita in tutto o in parte a soggetti diversi dai genitori. PRINCIPIO 3:10 EFFETTO DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO E SEPARAZIONE Lo scioglimento o annullamento del matrimonio o di altra relazione formalizzata, nonché la separazione legale o di fatto intervenuta tra i genitori lasciano inalterata la responsabilità genitoriale. CAPITOLO IV: ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE SEZIONE A: GENITORI PRINCIPIO 3:11 ESERCIZIO CONGIUNTO I genitori titolari di responsabilità genitoriale hanno pari diritti e doveri di esercitare tale responsabilità, che eserciteranno congiuntamente, nei limiti del possibile. PRINCIPIO 3:12 SITUAZIONI ORDINARIE DEL QUOTIDIANO, DECISIONI IMPORTANTI E URGENTI 28 The best interest of the child (1) I genitori titolari di responsabilità genitoriale hanno il diritto ad agire singolarmente in relazione a situazioni ordinarie del quotidiano. (2) Decisioni importanti che riguardano questioni quali l’istruzione, le cure mediche, la residenza del bambino o l’amministrazione dei suoi beni vanno prese congiuntamente. L’altro genitore deve essere informato senza indebito ritardo. PRINCIPIO 3:13 ACCORDO SULL’ESERCIZIO (1) Avendo riguardo al miglior interesse del minore, i genitori titolari di responsabilità genitoriale possono accordarsi sull’esercizio della stessa. (2) L’autorità competente può prendere in esame l’accordo. PRINCIPIO 3:14 DISACCORDO SULL’ESERCIZIO (1) Nel caso in cui i genitori titolari di responsabilità genitoriale non riuscissero a raggiungere un accordo su una questione importante, potranno rivolgersi all’autorità competente. (2) L’autorità competente deve promuovere il raggiungimento di un accordo tra i genitori. (3) Nel caso in cui non si riesca a raggiungere un accordo, l’autorità competente è tenuta a suddividere l’esercizio di responsabilità genitoriale tra i genitori, o a decidere la controversia. PRINCIPIO 3:15 ESERCIZIO ESCLUSIVO A SEGUITO DI ACCORDO O DECISIONE Avendo riguardo al miglior interesse del minore, un genitore può esercitare da solo la responsabilità genitoriale (A) se è stato raggiunto un accordo tra i genitori, ai sensi del principio 3:13, o (B) conformemente a una decisione dell’autorità competente. PRINCIPIO 3:16 ESERCIZIO ESCLUSIVO DI UN GENITORE Se un solo genitore è titolare della responsabilità genitoriale, questi è tenuto singolarmente al suo esercizio. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 29 SEZIONE B: SOGGETTI TERZI PRINCIPIO 3:17 ESERCIZIO IN AGGIUNTA O IN LUOGO DEI GENITORI Un soggetto diverso da un genitore può esercitare in parte o in tutto la responsabilità genitoriale, in aggiunta o in luogo dei genitori. PRINCIPIO 3:18 DECISIONI RELATIVE A SITUAZIONI ORDINARIE DEL QUOTIDIANO Il compagno del genitore, che vive con il minore, può prendere parte a decisioni riguardanti situazioni del quotidiano, a meno che l’altro genitore titolare di responsabilità genitoriale non obietti a ciò. CAPITOLO V: CONTENUTO DEGLI OBBLIGHI DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE SEZIONE A: RAPPORTI PERSONALI E PATRIMONIALI DEL MINORE PRINCIPIO 3:19 CURA, TUTELA E ISTRUZIONE (1) I titolari di responsabilità genitoriale devono provvedere alla cura, tutela e istruzione del minore, in linea con l’indole e i tratti distintivi dello stesso, e le necessità relative allo sviluppo del minore. (2) Il minore non deve essere soggetto a punizioni corporali o ad altri trattamenti umilianti. PRINCIPIO 3:20 RESIDENZA (1) In caso di esercizio congiunto di responsabilità genitoriale da parte di soggetti che vivono separatamente, questi devono decidere con chi di loro il minore vivrà. (2) Il minore può risiedere in maniera alternata con i titolari di responsabilità genitoriale, sulla base di un accordo approvato dall’autorità competente, o di una decisione della stessa. Questa prenderà principalmente in considerazione fattori quali: (a) l’età e l’opinione del bambino; (b) l’abilità e volontà dei titolari di responsabilità genitoriale di cooperare su questioni riguardanti il bambino, e la loro situazione personale; (c) la distanza tra i rispettivi luoghi di residenza dei titolari di responsabilità genitoriale e la scuola del bambino. 30 The best interest of the child PRINCIPIO 3:21 TRASFERIMENTO (1) In caso di esercizio congiunto di responsabilità genitoriale, se uno dei titolari della stessa desidera modificare il luogo di residenza del minore, spostandolo entro o al di fuori dei confini nazionali, questi deve previamente informare di ciò l’altro titolare di responsabilità genitoriale. (2) Se l’altro titolare di responsabilità genitoriale si oppone al cambio di residenza del minore, ciascuno dei titolari può chiedere una decisione all’autorità competente. (3) L’autorità competente prenderà principalmente in considerazione fattori quali: (a) l’età e l’opinione del minore; (b) il diritto del minore al mantenimento di rapporti personali con l’altro titolare di responsabilità genitoriale; (c) la capacità e volontà di cooperare dei titolari di responsabilità genitoriale; (d) la situazione personale dei titolari di responsabilità genitoriale; (e) la distanza geografica e l’accessibilità; (f) la libertà di movimento delle persone fisiche. PRINCIPIO 3:22 AMMINISTRAZIONE DEI BENI DEL MINORE (1) I titolari di responsabilità genitoriale devono amministrare diligentemente i beni del minore, per preservarne o, ove possibile, aumentarne il valore. (2) Nell’amministrare i beni del minore, i titolari di responsabilità genitoriale non devono effettuare donazioni, a meno che non si ritenga che queste rispondano all’esistenza di un obbligo morale. (3) I proventi derivanti dai beni del minore, non necessari per la gestione degli stessi o per il mantenimento e l’istruzione del minore possono, ove necessario, essere utilizzati per i bisogni della famiglia. PRINCIPIO 3:23 LIMITI (1) I titolari di responsabilità genitoriale non possono amministrare i beni acquisiti dal minore attraverso un lascito testamentario o una donazione, se il testatore o il donante hanno così disposto. Un modello europeo di responsabilità genitoriale 31 (2) Allo stesso modo, i guadagni del minore non possono essere amministrati dai titolari di responsabilità genitoriale, a meno che il minore non abbia età o maturità sufficiente per disporne. (3) Nel caso di transazioni con significative conseguenze finanziarie per il minore, è necessaria l’autorizzazione dell’autorità competente. PRINCIPIO 3:24 RAPPRESENTANZA LEGALE (1) I titolari di responsabilità genitoriale devono rappresentare legalmente il minore in tutte le questioni riguardanti la sua persona o i suoi beni. (2) La rappresentanza legale non sussiste in caso di conflitto di interessi tra il minore e i titolari di responsabilità genitoriale. (3) Avuto riguardo all’età e maturità del minore, questi ha diritto a difendersi da sé nei procedimenti legali che lo riguardano. SEZIONE B: MANTENIMENTO DEI RAPPORTI PERSONALI PRINCIPIO 3:25 RAPPORTI PERSONALI CON GENITORI E SOGGETTI TERZI (1) Il minore e i suoi genitori hanno diritto all’ottenimento e al mantenimento di regolari rapporti personali tra di loro. (2) Devono essere stabiliti rapporti personali tra il minore e i suoi prossimi congiunti. (3) É possibile stabilire rapporti personali tra il minore e coloro con i quali questi ha rapporti stretti. PRINCIPIO 3:26 CONTENUTO DEI RAPPORTI PERSONALI (1) I rapporti personali comprendono la permanenza del minore per periodi di tempo limitati, o incontri dello stesso, con genitori o persone diverse dai genitori con i quali questi non vive, e ogni forma di comunicazione tra il minore e tali soggetti. (2) Tali rapporti personali devono essere nel miglior interesse del minore. PRINCIPIO 3:27 ACCORDO (1) Avendo riguardo al miglior interesse del minore, i genitori e gli altri soggetti di cui al principio 3:25(2) e (3) possono raggiungere un accordo sui rapporti personali. 32 The best interest of the child (2) L’autorità competente può prendere in esame l’accordo. PRINCIPIO 3:28 LIMITI L’autorità competente può, ove richiesto dal miglior interesse del minore, limitare i rapporti personali, farli cessare o sottoporli a condizione. PRINCIPIO 3:29 INFORMAZIONI AI GENITORI Un genitore ha diritto a essere informato delle questioni riguardanti la situazione personale del minore. CAPITOLO VI: CESSAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE PRINCIPIO 3:30 CESSAZIONE (1) La cessazione della responsabilità genitoriale è prevista nel caso in cui il minore: (a) raggiunga la maggiore età; (b) contragga matrimonio o altra unione formalizzata; (c) venga adottato; (d) muoia. (2) Se il compagno di uno dei genitori adotta il figlio di quest’ultimo, cessa la responsabilità genitoriale dell’altro genitore in relazione al minore adottato. PRINCIPIO 3:31 MORTE DEI GENITORI (1) Se i genitori hanno responsabilità genitoriale congiunta e uno di loro muore, la responsabilità genitoriale resta in capo all’altro. (2) Se un genitore titolare esclusivo di responsabilità genitoriale muore, la responsabilità deve essere attribuita all’altro genitore, o a un soggetto terzo, previa decisione dell’autorità competente. (3) Se entrambi i genitori muoiono, e almeno uno di loro era titolare di responsabilità genitoriale, l’autorità competente deve porre in essere adeguate misure di tutela dei rapporti personali e patrimoniali del minore. CAPITOLO VII: DECADENZA DA RESPONSABILITÀ GENITORIALE E REINTEGRAZIONE NELLA STESSA PRINCIPIO 3:32 DECADENZA DA RESPONSABILITÀ GENITORIALE L’autorità competente deve disporre la decadenza da responsabilità genitoriale del titolare della stessa il cui comportamento o la cui Un modello europeo di responsabilità genitoriale 33 negligenza causano, in tutto o in parte, un serio rischio per i rapporti personali o patrimoniali del minore. PRINCIPIO 3:33 RICHIESTA DI DECADENZA DA RESPONSABILITÀ GENITORIALE (1) La decadenza da responsabilità genitoriale può essere richiesta: (a) da ciascuno dei genitori titolari di responsabilità genitoriale; (b) dal minore, e (c) da qualsiasi istituzione a difesa degli interessi del minore. (2) L’autorità competente può anche disporre d’ufficio la decadenza da responsabilità genitoriale. PRINCIPIO 3:34 REINTEGRAZIONE NELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE Avuto riguardo al miglior interesse del minore, l’autorità competente può disporre la reintegrazione nella responsabilità genitoriale, quando non sussistono più le condizioni sulle quali si era fondata la decadenza dalla stessa. CAPITOLO VIII: QUESTIONI PROCEDURALI PRINCIPIO 3:35 AUTORITÀ COMPETENTE (1) Tutte le decisioni riguardanti la responsabilità genitoriale devono essere prese da un’autorità competente, sia essa un organo giudiziario o amministrativo. (2) Ove necessario, l’autorità competente deve designare ogni soggetto o organo idoneo a effettuare indagini circa le condizioni del minore. PRINCIPIO 3:36 RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE In tutte le controversie riguardanti la responsabilità genitoriale, devono essere disponibili meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie. PRINCIPIO 3:37 AUDIZIONE DEL MINORE (1) Conformemente al principio 3:6, in tutte le controversie che riguardano la responsabilità genitoriale, l’autorità competente deve procedere con l’audizione del minore; se decide di non disporla, dovrà fornire specifiche ragioni. 34 The best interest of the child (2) L’audizione del minore avviene o direttamente davanti all’autorità competente, o indirettamente davanti a un soggetto o organo designato dalla stessa. (3) L’ascolto del minore deve essere svolto secondo modalità adeguate alla sua età e maturità. PRINCIPIO 3:38 DESIGNAZIONE DI UN RAPPRESENTANTE SPECIALE DEL MINORE Nei procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale, nei quali potrebbe esserci un’ipotesi grave di conflitto di interessi tra il minore e i titolari di responsabilità genitoriale, o nei quali il benessere del minore è altrimenti a rischio, l’autorità competente deve designare un rappresentante speciale per il minore. PRINCIPIO 3:39 ESECUZIONE (1) Nel caso in cui una decisione dell’autorità competente o un accordo con effetto tra le parti, riguardanti la responsabilità genitoriale, non venissero rispettati su base volontaria, si deve dare pronta esecuzione agli stessi. (2) Non si deve dare esecuzione a una decisione o a un accordo, che siano manifestamente contrari al miglior interesse del minore. Bibliografia Antokolskaia m.V., Solomo´s oordeel nieuwe stijl: verblijfsco-ouderschap, in belgië en nederland. Over de rol van de wetenschap, invloed van de politiek, en nattevingerwerk in het wetgevingsproces, rede uitgesproken bij de aanvaarding van de marcel storme leerstoel te universiteit gent op 12 mei 2010, p. 7 Boele-woelki k. - Ferrand, f. - González beilfuss c. - Jänterä-jareborg m. Lowe n. - Martiny d. - Pintens w., Principios of european family law regarding parental responsibilities, in european family law series no. 16 (2007), P. 15-19 Boele-woelki k. –- Braat b. - Curry-sumner i. (Eds.), European family law in action, volume iii: parental responsibilities, in european family law series no. 9, 2005 Boele-woelki k., The cefl principios regarding parental responsibilities: predominance of the common core, in boele-woelki s. (Eds), european challenges in contemporary family law, in european family law series no. 19, 2008, P. 63-91 Nikolina n., Divided parents – shared children, legal aspects of (residential) coparenting in england, the netherlands and belgium, in european family law series no. 39, 2015 Örücü e. - Mair j. (Eds), juxtaposing legal systems and the principios of european family law on parental responsibilities, in european family law series no. 27, 2010 Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? Hugues Fulchiron Résumé: 1. Les ambiguïtés de la notion d’intérêt de l’enfant. – 2. La dialectique entre intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant. De la Convention internationale relative aux droits de l’enfant (CIDE)1 à la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne (CDF)2 en passant par les droits nationaux, la notion d’intérêt supérieur de l’enfant rayonne aujourd’hui sur l’ensemble du droit national, européen et international. Comme l’a affirmé la Cour européenne des droits de l’homme (Cour EDH, cf. arrêt Neulinger et Shuruk c. Suisse du 10 juillet 2010), il existe actuellement un large consensus – y compris en droit international – autour du principe de primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant3”. Pour autant, cette promotion de l’intérêt supérieur de l’enfant n’est pas allée sans susciter de vives critiques4. Tel est encore le cas aujourd’hui, notamment lorsque le principe de primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant est utilisé par les juges (juges internes, européens ou internationaux) pour remettre en cause des solutions qui ont parfois fait l’objet d’arbitrages politiques complexes, par exemple en droit 1 Art. 3 CIDE : “Dans toutes les décisions qui concernent les enfants, qu’elles soient le fait des institutions publiques ou privées de protection sociale, des tribunaux, des autorités administratives ou des organes législatifs, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une considération primordiale”. 2 Art. 2 al. 2 CDE : “Dans tous les actes relatifs aux enfants, qu’ils soient accomplis par des autorités publiques ou des institutions privées, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une considération primordiale”. 3 Cour EDH, Gde chambre, Neulinger et Shuruk c. Suisse du 6 juillet 2010, req. 41615/07 4 Sur ces critiques, cf. P.H. Bonfils - A. Gouttenoire, Droit des mineurs, Paris, 2014, p., 95 s. et réf. cit. 36 The best interest of the child des étrangers5 ou dans des matières qui font “débat de société” comme la famille homoparentale6 ou la gestation pour autrui7 (GPA). On en dénonce le flou; on souligne l’ambiguïté du concept d’intérêt “supérieur” de l’enfant8; on s’interroge sur l’articulation entre intérêt de l’enfant et droits de l’enfant9. C’est sur cette articulation entre droits et intérêt que je souhaiterais apporter quelques éléments de réflexion. Pour cela, il paraît nécessaire de souligner les ambiguïtés de la notion d’intérêt supérieur de l’enfant, puis de l’inscrire dans la dialectique qu’elle entretient avec les droits de l’enfant. 1. Les ambiguïtés de la notion d’intérêt de l’enfant De fait, la notion même d’intérêt supérieur de l’enfant est marquée par une double complexité. a) Premier facteur de complexité, l’ambiguïté de la “notion-mère” d’intérêt de l’enfant. Si l’intérêt de l’enfant est un concept-clef du droit contemporain de la famille, il est paradoxalement l’un des plus discuté10. Véritable 5 Cf. Conseil d’Etat (CE) 22 septembre 1997, demoiselle Cinar, RFD adm. 1998, 562, concl. R. Abraham, JCP éd. G. 1998, II, 10051, note A. Gouttenoire-Cornut, qui affirme que l’article 3 par. 1 de la CIDE est d’application directe en droit français. Rappr. Cour EDH, 31 janvier 2006, Rodriguez da Silva et Hoogkamer c. Pays-Bas, req. 50435/99, ou Nunez c. Norvège, 28 juin 2011, req. 55597/09 6 Cf. l’avis rendu par la Cour de cassation à propos de l’adoption par l’épouse de la mère d’un enfant né à l’étranger par IAD, Avis n° 15010 du 22 septembre 2014 et Avis n° 15011 du 22 septembre 2014, D. 2014, 2031, note A. Leroyer, AJ famille 2014, 555, note F. Chénedé, Dr. fam. 2014, comm. n° 160, C. Neirinck; adde J. Hauser, L’externalisation de la fabrique des enfants?, in JCP, 2014, p. 1004 7 CEDH 26 juin 2014, n° 65941/11, et n° 65192/11, arrêts Labassée c. France et Mennesson c. France, D. 2014. 1797, note F. Chénedé, 1787, obs. P. Bonfils et A. Gouttenoire, 1806, note L. d’Avout, 2015. 702, obs. F. Granet-Lambrechts, 755, obs. J.C. Galloux, 1007, obs. A. Dionisi-Peyrusse, et 1056, obs. H. Gaudemet-Tallon; AJDA 2014. 1763, chron. L. Burgorgue-Larsen, AJ fam. 2014. 499, et 396, obs. A. Dionisi-Peyrusse, Rev. crit. DIP 2015. 1, note H. Fulchiron et C. Bidaud- Garon; RTD civ. 2014. 616, obs. J. Hauser, et 835, obs. J.P. Marguénaud. 8 Cf. infra. 9 H. Fulchiron, Droits de l’enfant et intérêt de l’enfant, libres propos sur les interactions entre deux notions clefs de la protection de l’enfant, in Y. Blay (ed.), La personne humaine, entre autonomie et vulnérabilité, Mélanges en l’honneur d’Edith Deleury, Quebec, 2015, p. 181 s. 10 Dans l’arrêt Mamousseau et Washington c/ France du 6 décembre 2007 (req. n° 39308/05), rendu en matière d’enlèvement d’enfant, la Cour EDH avait tenté de définir l’intérêt de l’enfant: la Cour souhaite qu’il “soit constamment interprété de manière cohérente, quelle que soit la convention internationale invoquée ”; selon elle, “en matière de garde d’enfant, par exemple, l’intérêt supérieur de l’enfant peut avoir un double objet: d’une Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? 37 “Protée” dont on se plait à souligner le caractère insaisissable, on a parlé à son propos de notion “magique ”11. Cette dernière expression semble particulièrement juste, dans son double sens de mystère (quel est le contenu de la notion ?) et d’efficacité (la parole magique étant prononcé, les portes s’ouvrent, le juge tranche). D’une part, la notion d’intérêt de l’enfant est empreinte de relativité et de subjectivité: - Relativité dans l’espace et dans le temps car la notion se nourrit des données propres à chaque époque et à chaque société; elle est liée à une culture, à des savoirs, à une conception de la personne, de l’enfant et de la famille (que l’on songe par exemple hier aux débats sur l’enfant du divorce, aujourd’hui aux débats sur l’enfant dans la famille homoparentale). - Subjectivité individuelle (celle des parents, celle de l’enfant, celle du juge) et subjectivité collective (celle d’une société, de l’image que se fait cette société de l’enfant et, à travers cette image, celle que cette société se fait d’elle-même). D’autre part, la “notion-mère” d’intérêt de l’enfant est sans cesse tiraillée entre appréciation in abstracto et appréciation in concreto. - Apprécié in abstracto, l’intérêt de l’enfant est appréhendé comme l’intérêt des enfants en général: l’enfant est considéré comme appartenant à une catégorie de personnes et non comme un individu dans un cas particulier. Ainsi, en matière d’enlèvement d’enfants, la Convention de La Haye pose comme principe que l’intérêt de l’enfant est d’être protégé contre les enlèvements12. Pour cela, il faut lutter contre les déplacements illicites en mettant en place un mécanisme de retour immédiat dans le pays de résidence habituelle afin d’éviter toute prime au fait accompli13: l’enfant victime de l’enlèvement n’est qu’un enfant part, lui garantir une évolution dans un environnement sain, et un parent ne saurait être autorisé à prendre des mesures préjudiciables à sa santé et à son développement; d’autre part, maintenir ses liens avec sa famille, sauf dans les cas où celle-ci s’est montrée particulièrement indigne, car briser ce lien revient à couper l’enfant de ses racines”. Rendu dans une affaire d’enlèvement d’enfants, l’arrêt reste somme toute assez flou... Rappr., tentant également de cerner la notion, les arrêts Gnahoré c. France, 19 septembre 2000, req. n° 40031/98 et Schmidt c. France, 26 juillet 2007, req. n° 35109/02 11 J. Carbonnier, Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, Parigi, 2002, p. 85 et réf. cit. 12 Convention de La Haye du 25 octobre 1980 sur les aspects civils de l’enlèvement international d’enfants, sur laquelle cf. not. le site très riche de la Conférence de DIP de La Haye, hcch.net 13 Art. Article 12, al. 1: “Lorsqu’un enfant a été déplacé ou retenu illicitement au sens de 38 The best interest of the child parmi d’autre; en protégeant la catégorie à laquelle il appartient, on protège cet enfant en particulier; la prise en compte de son intérêt “individuel” n’interviendra que dans un second temps, à titre exceptionnel14, mais à titre nécessaire, comme l’a rappelé la Cour EDH15. - Apprécié in concreto, l’intérêt de l’enfant passe par la prise en compte de la situation d’un enfant individualisé: celui dont l’intérêt est en jeu dans le cas particulier, cet intérêt devant être apprécié en fonction des circonstances de la cause (cf. en cas d’enlèvement, l’enfant qui s’est intégré dans son nouveau milieu, qui vit avec sa mère et subirait un traumatisme grave s’il en été séparé16; en matière de GPA, l’enfant particulier qui n’aurait pas de statut17 etc.). Approche in abstracto et concreto in abstracto ne doivent pas cependant être trop systématiquement opposées. De fait, on passe souvent de l’une à l’autre. Ainsi, même si l’on en reste à une approche in abstracto, il est impossible de faire l’impasse sur une approche in concreto. Il n’y pas de droits ou d’intérêts suspendus dans l’éther; ils s’incarnent dans les hommes dont les droits et intérêts sont en cause (de nouveau on peut penser aux enlèvements d’enfant18). A l’inverse, l’approche in l’article 3 et qu’une période de moins d’un an s’est écoulée à partir du déplacement ou du non-retour au moment de l’introduction de la demande devant l’autorité judiciaire ou administrative de l’Etat contractant où se trouve l’enfant, l’autorité saisie ordonne son retour immédiat”. 14 Cf. les exceptions prévues aux article 13 et 20 de la Convention. 15 CEDH 6 juill. 2010, Neulinger et Shuruk c/ Suisse, n° 41615/07, D. 2011. 1374, obs. F. Jault-Seseke, AJ fam. 2010. 482, A. Boiché, RTD civ. 2010. 735, obs. J.P. Marguénaud, Dr. fam. étude 10, obs. A. Gouttenoire. 16 Sur l’application de l’article 13 de la Convention, cf. la jurisprudence recensée par la Conférence de DIP de La Haye sur son site Incadat. 17 Cf. les arrêts Labassée et Mennesson de la Cour EDH, préc. 18 Face aux critiques faites à la Cour de risquer de remettre en cause le mécanisme de retour immédiat mis en place par la Convention de La Haye et renforcé par le Règlement, la Cour EDH a entendu “clarifier” sa position dans l’arrêt X. c/ Lettonie (CEDH, gr. ch., 26 nov. 2013, n° 27853/09, D. 2014. 1059, obs. H. Gaudemet-Tallon et F. Jault-Seseke, AJ fam. 2014. 58, obs. A. Boiché, JCP 2014. 106, obs. F. Sudre). Selon la cour, “[l’]’intérêt supérieur de l’enfant ne se confond pas avec celui de son père ou de sa mère, outre qu’il renvoie nécessairement à des éléments d’appréciation divers liés au profil individuel et à la situation spécifique de l’enfant. Néanmoins, il ne saurait être appréhendé d’une manière identique selon que le juge est saisi d’une demande de retour en application de la Convention de La Haye ou d’une demande de statuer au fond sur la garde ou l’autorité parentale, cette dernière relevant d’une procédure en principe étrangère à l’objet de la Convention de La Haye (articles 16, 17 et 19; paragraphe 35 ci-dessus) “(par. 100); “Partant, dans le cadre d’une demande de retour faite en application de la Convention de La Haye, qui est donc distincte d’une procédure sur le droit de garde, la notion d’intérêt supérieur de l’enfant doit s’apprécier à la lumière des exceptions prévues par la Convention de La Haye, Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? 39 concreto est guidée par une certaine conception de ce qui est bon ou de ce qui n’est pas bon pour l’enfant… en général, donc par une certaine vision de l’intérêt de l’enfant apprécié in abstracto. Il y a donc une dialectique constante entre appréciation in abstracto et appréciation in concreto, l’une nourrissant l’autre: la première cadre la seconde, la seconde donne vie (et au besoin fait évoluer) la première. Reste que cette dialectique est complexe comme l’a montré la jurisprudence de la Cour EDH sur la question des enlèvements d’enfants. b) Deuxième facteur de complexité, le concept d’intérêt “supérieur” de l’enfant. Le concept d’intérêt supérieur de l’enfant est apparu avec la Convention internationale sur les droits de l’enfant19 (art. 3), repris par l’article 24 de la convention et consacré par nombre de jurisprudences nationales. Pas question de revenir ici sur les débats suscités par l’adjectif “supérieur”20. Rappelons simplement que, en harmonie me semble-t-il avec l’interprétation préconisée par le Commentaire n°14 du Comité sur les droits de l’enfant21, la Cour EDH affirme que l’intérêt supérieur de l’enfant, en tant que composante du droit au respect de la vie familiale (art. lesquelles concernent l’écoulement du temps (article 12), les conditions d’application de la convention (article 13 a)) et l’existence d’un “risque grave” (article 13 b)), ainsi que le respect des principes fondamentaux de l’Etat requis sur la sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (article 20). Cette tâche revient en premier lieu aux autorités nationales requintérêt supérieur de l’enfants, qui ont notamment le bénéfice de contacts directs avec les intéressés. Pour ce faire au regard de l’article 8 de la Convention, les juridictions internes jouissent d’une marge d’appréciation, laquelle s’accompagne toutefois d’un contrôle européen en vertu duquel la Cour examine, sous l’angle de la Convention, les décisions qu’elles ont rendues dans l’exercice de ce pouvoir ” (par. 101). “ Précisément, dans le cadre de cet examen, la Cour rappelle qu’elle n’entend pas substituer son appréciation à celle des juridictions internes (voir, par exemple, Hokkanen, précité, et K. et T. c. Finlande [GC], req. no 25702/94, § 154, Recueil 2001-VII). Elle doit cependant s’assurer que le processus décisionnel ayant conduit les juridictions nationales à prendre la mesure litigieuse a été équitable et qu’il a permis aux intéressés de faire valoir pleinement leurs droits, et ce dans le respect de l’intérêt supérieur de l’enfant (Eskinazi et Chelouche c. Turquie (déc.), no 14600/05, C.E.D.H. 2005.XIII (extraits), Maumousseau et Washington, supra note 24, et Neulinger et Shuruk, au para. 139)” (par. 102). 19 Il était déjà inscrit dans le Déclaration sur les droits de l’enfant, de 1959, mais dans sans être affirmé comme un droit de l’enfant (cf. Principes 2 et 7). 20 Cf. T. Hammarberg, commissaire aux droits de l’homme Conseil de l’Europe, Le principe de l’intérêt supérieur de l’enfant: ce qu’il signifie et ce qu’il implique pour les adultes, 2008, conférence disponible sur le site du Conseil de l’Europe. 21 Cf. J. Cardona Llorens, Presentation of General Comment No. 14: strengths and limitations, points of consensus and dissent emerging in its drafting, in Conseil de l’Europe, The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, 2016 40 The best interest of the child 8 Conv. EDH) doit constituer pour les autorités étatiques une considération primordiale22. En cas de conflits d’intérêts ou en tout cas de revendications, la Cour a rappelé (Johansen c. Norvège du 7 avril 199623) que “bien qu’il faille ménager un juste équilibre entre l’intérêt de l’enfant et ceux de ses parents, la Cour attache une importance particulière à l’intérêt supérieur de l’enfant qui, selon sa nature et sa gravité, peut l’emporter sur celui des parents...”. Un poids particulier doit donc être attaché à la prise en compte de l’intérêt de l’enfant. Mais il ne l’emportera pas systématiquement sur les autres droits et intérêts en présence: dans l’arrêt Johansen c. Norvège, la Cour EDH en reste à un prudent “peut” l’emporter. Au législateur et au juge de faire la juste balance. De façon générale, la règle inscrite à l’article 3 CIDE permet donc de dépasser les conflits de droit et d’intérêts, en faveur du respect des droits et des intérêts de l’enfant (cf. l’arrêt Frölich du 26 juin 201824). Si le juge (plus généralement si l’autorité publique ou privée) fait prévaloir d’autres intérêts (intérêts collectifs, intérêts des parents, voire intérêt de l’enfant apprécié in abstracto il devra s’en expliquer (cf. l’arrêt Campanelli et Paradiso25 dans lequel la Cour insiste sur l’importance des intérêts étatiques). Reste que cette utilisation de l’intérêt supérieur de l’enfant comme critère de décision en cas de conflits de droits ou d’intérêts suscite ellemême un certain nombre d’interrogations26. Une fois affirmé le caractère “primordial” de l’intérêt supérieur de l’enfant, jusqu’où laisser se 22 Cf. par ex. Cour EDH, 28 juin 2007, Wagner c. Luxembourg, n° 76240/01 ou Cour EDH, Chbihi Loudoudi et autres c. Belgique, 10 décembre 2014, n° 52265/10, à propos du refus des autorités belges de prononcer l’adoption d’un enfant confié en kafala. 23 Johansen c. Norvège, 7 avril 1996, J.C.P. 1997.I.4000, obs. F. Sudre. Adde par exemple Bronda c. Italie, 9 juin 1998, en matière de placement dans une famille d’accueil: selon la cour “bien qu’il faille ménager un juste équilibre entre l’intérêt supérieur de S. (l’enfant) à demeurer placée et ceux de sa famille naturelle à vivre avec elle, la Cour attache une importance particulière à l’intérêt supérieur de l’enfant qui, aujourd’hui âgé de quatorze ans, a toujours manifesté fermement sa volonté de ne pas quitter la famille d’accueil. En l’occurrence, l’intérêt de S. l’emporte sur celui de ses grands-parents”. 24 Cour EDH, 5ème sect. 26 juillet 2018, Frohlich c. Allemagne, req. 16112: selon la Cour, peut être refusé comme contraire à l’intérêt de l’enfant, le droit pour un père biologique dont la paternité légale n’a pas été établie malgré sa volonté de voir établir le lien, d’entretenir des relations personnelles avec l’enfant et d’être informé sur le développement de celui-ci, et même la possibilité de faire la preuve de sa paternité biologique, dont pourrait, selon le droit allemand, découler de tels droits. 25 CEDU, gr. ch., 24 janv. 2017, Paradiso et Campanelli c/ Italie, n° 25358/12. 26 N. Cantwell, The concept of the best interests of the child: what does it add to children’s human rights?, in The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, préc. Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? 41 développer son dynamisme propre? Le mélange détonant de droits et d’intérêts, réalisé par l’article 3-1 de la CIDE, ne risque-t-il pas de faire imploser ou exploser, c’est selon, des pans entiers de nos systèmes juridiques ? Une telle crainte a été exprimée par de nombreux auteurs. En un sens, elle fait écho aux critiques dont fait l’objet la promotion contemporaine de droits fondamentaux accusée de mettre en péril les équilibres voulus par les législateurs nationaux. Mais dans le cas de l’intérêt supérieur de l’enfant, ces critiques prennent une force particulière, compte tenu du caractère “flou” de la notion. De nouveaux équilibres sont à rechercher, qui ne peuvent être trouvés que si l’on approfondit la dialectique entre droits de l’enfant et intérêt supérieur de l’enfant. 2. La dialectique entre intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant Selon une analyse traditionnelle, l’intérêt supérieur de l’enfant peut être mobilisé par les autorités chargées de prendre une décision relative à l’enfant, selon deux modalités: pour arbitrer entre des droits et intérêts concurrents ou pour évincer des règles légales (au sens large) jugées contraires au principe de primauté de l’intérêt de l’enfant. Cette double fonction peut avoir des conséquences profondément perturbatrices sur les systèmes nationaux. A la limite elle pourrait rendre vaine l’affirmation des droits de l’enfant. D’où la nécessité d’encadrer le jeu de l’intérêt supérieur de l’enfant par un travail sur les droits de l’enfant. C’est cette dialectique d’approfondissement qu’il convient de présenter. a) L’intérêt supérieur de l’enfant comme règle de conflit de droits et d’intérêts et comme règle de conflit de normes. Tant que la notion d’intérêt supérieur de l’enfant est utilisée comme critère de décision dans la pesée entre deux intérêts ou entre deux droits, son usage reste dans l’épure traditionnelle des “notions-cadres”, des “standards”, bien connus en droit de la famille27. Les choses deviennent plus délicates lorsque l’intérêt supérieur de l’enfant est invoqué pour écarter telle ou telle règle générale, au motif que la mise en œuvre de ladite règle, dans le cas particulier, serait contraire à l’intérêt supérieur de l’enfant. Tel est le cas 27 Cf. not. S. Rials, Les standards, notions critiques du droit, in C. Perelman - R. Vander Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit, Bruxelles, 1984, p. 42 s. et J. Carbonnier, Les notions à contenu variable dans le droit français de la famille, ibidem, p. 99 s. 42 The best interest of the child lorsque le juge, s’appuyant sur l’article 3-1 de la CIDE qui, finalement, érige en droit de l’enfant la considération de son intérêt, écarte telle ou telle disposition légale28. Encore faut-il, dans cette hypothèse, distinguer deux cas de figure. Dans une première série d’hypothèses, la primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant conduit à écarter, dans le cas particulier, l’application de la règle de droit au motif qu’en l’espèce, son application serait contraire à l’intérêt supérieur de l’enfant29. Dans une seconde série d’hypothèses, la primauté de l’intérêt supérieur de l’enfant conduit à censurer la règle elle-même (et non pas son application au cas particulier30). Dans les deux cas, la hiérarchie des normes est respectée, puisqu’en sa qualité de norme internationale, la Convention internationale des droits de l’enfant a une valeur supra légale. Mais on comprend que nos systèmes juridiques risquent d’en être profondément ébranlés: la loi est écartée, voire censurée, au nom de l’intérêt supérieur de l’enfant. Reste à savoir jusqu’où laisser la considération de l’intérêt supérieur de l’enfant développer ce que j’appelai tout à l’heure son “dynamisme propre ”. Prise comme unique instrument de mesure par le juge (même si l’article 3-1 ne parle que de “considération primordiale”), ne risque-telle pas de remettre en cause nombre de nos règles juridiques, non seulement à travers leurs applications concrètes, mais aussi dans leur substance même? Non sans ironie, un des plus grands juristes français de la seconde moité du XXème siècle, Jean Carbonnier, faisait observer naguère qu’à la limite, la notion d’intérêt de l’enfant pourrait rendre 28 Cf. P. Bonfils - A. Gouttenoire, Droit des mineurs, op. cit., n° 97 s. et réf. cit. 29 Cf. C.E., 22 septembre 1997, Demoiselle Cinar, préc.; adde par ex. en matière de regroupement familial au profit d’un enfant recueilli en kafala, C.E., 22 février 2013, n° 330211. 30 Cf. C.E., 7 juin 2006, Association Aides et autres, req. n° 285576, AJDA, 2006, 2233, note D. Hervé Rihal, 2007, 2192, obs. L. Brunet). Le Conseil d’Etat affirme que les dispositions de l’article 3-1 de la CIDE interdit que les enfants, au sens de la convention, “connaissent des restrictions dans l’accès aux soins nécessaires à leur santé; que, par suite, en tant qu’ils subordonnent l’accès à l’aide médicale de l’Etat à une condition de résidence interrompue d’au moins trois mois en France, sans prévoir de dispositions spécifiques en vue de garantir les droits des mineurs étrangers et qu’il renvoie ceux-ci, lorsque cette condition de durée de résidence n’est pas remplie, à la seule prise en charge par l’Etat des soins énoncés à l’article L. 254-1 du CASF, c’est-à-dire [...] des seuls soins urgents dont l’absence mettrait en jeu le pronostic vital ou pourrait conduire à une altération grave et durable de l’état de santé de la personne ou d’un enfant à naître, l’article 97 de la loi de finances rectificative du 30 décembre 2003 est incompatible avec les dispositions précitées”. Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? 43 superflues toutes les institutions de droit familial31. La remarque prend aujourd’hui tout son sens, avec la combinaison inédite entre droits et intérêts que réalise l’article 3-1 de la CIDE. A l’inverse l’intérêt supérieur de l’enfant pourrait être utilisé pour nier les droits fondamentaux des autres personnes concernées: par exemple dans l’arrêt Fröhlich32, non seulement la Cour EDH rejette la demande du père d’établir sa filiation mais elle lui refuse même le droit d’être informé du développement de l’enfant dont pourtant tout montre qu’il est son enfant et dont, depuis sa naissance, il demande à pouvoir s’occuper. Que l’on ne s’y trompe pas: il n’est pas question de critiquer le statut réservé aujourd’hui à la CIDE en général et à son article 3-1 en particulier, mais simplement de souligner les dangers d’une application qui ferait de ce texte non pas une considération “primordiale”, mais une règle absolue. Comme la notion d’intérêt de l’enfant, la notion d’intérêt supérieur de l’enfant est par nature complexe et évolutive, marquée, on l’a dit, par la relativité et la subjectivité. Construire du droit, peutêtre même construire le droit, sur des bases aussi mouvantes, ôte à la règle juridique toute prévisibilité et, peut-être, toute solidité. Il paraît donc plus raisonnable et certainement plus efficace pour assurer la protection de l’enfant, de résister aux séductions d’une lecture “extrémiste” de l’article 3-1 et de poursuivre le travail de reconnaissance et d’approfondissement des droits de l’enfant, en exploitant les potentialités de la CIDE comme celles des autres textes qui, s’ils ne sont pas propres à l’enfant, lui garantissent des droits en sa qualité d’être humain. C’est en ce sens que l’on peut parler des droits de l’enfant comme “révélateur” de l’intérêt supérieur de l’enfant. b) Les droits de l’enfant comme “révélateur” de l’intérêt supérieur de l’enfant. Pour bien comprendre l’idée, je prendrai l’exemple des arrêts Labassée et Mennesson33 de la Cour EDH. Dans ces deux décisions, la cour ne se fonde pas sur l’intérêt supérieur de l’enfant mais sur les droits de l’enfant, tels qu’éclairés par la prise en compte de l’intérêt supérieur de l’enfant. Précisément, la cour met en avant le droit de l’enfant au respect de son identité; elle souligne que, compte tenu des circonstances de l’espèce, se pose “une question grave de compatibilité” d’une décision 31 Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, op. cit., p. 85. 32 Préc. 33 Préc. 44 The best interest of the child qui refuse la reconnaissance de la filiation telle qu’établie à l’étranger et interdit l’établissement en France d’une telle filiation, “avec l’intérêt supérieur des enfants, dont le respect doit guider toute décision les concernant” (Mennesson, par. 99, Labassée, par. 78). L’intérêt supérieur de l’enfant permet ainsi de mieux comprendre le sens et la portée des droits de l’enfant. Mais il ne se substitue pas à eux: c’est, en quelque sorte, par l’approfondissement des droits de l’enfant que s’affirme le respect de ses intérêts. Corrélativement, le fait de mettre dans la balance l’intérêt de l’enfant apprécié in concreto, permet de faire pencher celle-ci en faveur de la reconnaissance de la filiation de l’enfant telle qu’établie à l’étranger dès lors que cette filiation est conforme à la vérité biologique et qu’elle est voulue et vécue par les intéressés. C’est en cela que l’on peut parler de mouvement dialectique: - sans droit-support, il ne peut y avoir d’intérêt de l’enfant: ou alors un intérêt purement subjectif, livré aux appréciations contradictoires des parties au litige… ou du juge. En ce sens, l’approfondissement des droits de l’enfant permet de consolider l’intérêt supérieur de l’enfant. - la prise en compte de l’intérêt de l’enfant permet d’approfondir la compréhension des droits de l’enfant (en l’espèce le droit de l’enfant de connaître ses origines) et de les faire prévaloir dans le cas particulier sur les autres droits et intérêts en présence. C’est à travers cette dialectique que peut être assurée la garantie la protection maximale de l’intérêt supérieur de l’enfant, dans le respect des différents droits et intérêts en présence. Bibliographie Bonfils P.H. - Gouttenoire A., Droit des mineurs, Paris, 2014, p. 95 s. Cantwell N., The concept of the best interests of the child: what does it add to children’s human rights, in Conseil de l’Europe, The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, 2016 Carbonnier J., Droit civil, La famille, l’enfant, le couple, Parigi, 2002, p. 85 Carbonnier J., Les notions à contenu variable dans le droit français de la famille, in C. Perelman - R. Vander Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit, Bruxelles, 1984, p. 99 s. Cardona Llorens J., Presentation of General Comment No. 14: strengths and limitations, points of consensus and dissent emerging in its drafting, in Conseil de l’Europe, The best interests of the child. A dialogue between theory and practice, 2016 Intérêt supérieur de l’enfant et droits de l’enfant:quelle articulation ? 45 Fulchiron H., Droits de l’enfant et intérêt de l’enfant, libres propos sur les interactions entre deux notions clefs de la protection de l’enfant, in Y. Blay (ed.), La personne humaine, entre autonomie et vulnérabilité, Mélanges en l’honneur d’Edith Deleury, Quebec, 2015, p. 181 s. Hammarberg T., Le principe de l’intérêt supérieur de l’enfant: ce qu’il signifie et ce qu’il implique pour les adultes, 2008, conférence disponible sur le site du Conseil de l’Europe Hauser J., L’externalisation de la fabrique des enfants?, in JCP, 2014, p. 1004 Rials S., Les standards, notions critiques du droit, in C. Perelman - R. Vander Elst (dir.) Les notions à contenu variable en droit, Bruxelles, 1984, p. 42 s. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore Carla Garlatti La Convenzione sui diritti del Fanciullo fatta a NY il 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991 n. 176 ricorda, all’art. 3, che: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”; la “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli”, fatta dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, resa esecutiva in Italia dalla legge 20 marzo 2003 n. 77, a sua volta, all’art. 6, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti fanciulli (cioè, secondo la definizione che ricaviamo dalla Convenzione di NY: “ogni essere umano avente un’età inferiore a 18 anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”), detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi prima di giungere a qualunque decisione stabilendo, in particolare, che l’autorità stessa deve acquisire “informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”. Ancora: la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione (Nizza 7 dicembre 2000, riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) all’art. 24, par 2, prescrive che “in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”. Nell’ordinamento interno, l’art. 30, primo comma, della Costituzione prevede il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire, educare i figli: principio che ha acquisito una sempre maggiore centralità, in particolare nella riforma del diritto di famiglia del 1975 (legge n. 151) e poi nella riforma della adozione realizzata con la legge 184 del 1983, come poi modificata dalla legge n. 149 del 2001 e, ancora, con la riscrittura di 48 The best interest of the child numerosi articoli del codice civile ad opera del d.lgs. 154 del 2013, fino ad arrivare alla legge n. 173 del 2015 sulla così detta continuità affettiva. Ma in cosa consiste l’interesse superiore del minore? Solo ai fini di agevolare la mia esposizione richiamo brevemente temi già portati alla vostra attenzione. Ricordo, in particolare, che la versione inglese della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959, all’art. 2, statuiva che “the best interests of the child shall be the paramount consideration”: traducibile nel senso che il superiore interesse del minore dovrebbe avere la considerazione “decisiva”. Tale formulazione venne poi abbandonata nel corso dei lavori preparatori per la redazione della Convenzione sui diritti del bambino del 1989. Qui si ritenne più opportuno parlare di “a primary consideration”: quindi, “a” invece di “the” e “primary” invece di “paramount”, con ciò volendo significare la necessità di un bilanciamento di interessi: la posizione del minore deve essere messa a sistema con le ulteriori posizioni in gioco. Il primo criterio interpretativo tracciato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati osserva come la traduzione francese utilizzi il singolare – superiore interesse del minore – che è quella adottata in Italia, mentre la traduzione inglese preferisca il plurale: interessi. La Convenzione citata richiama poi l’attenzione sulla circostanza che il minore è titolare anche di diritti con i quali l’interesse superiore del minore può entrare in conflitto. Quindi, non solo i diritti degli adulti cedono di fronte all’interesse del minore, ma gli stessi diritti dei minori possono subire una compressione se tale compressione corrisponde al superiore interesse dei minori stessi. Mi spiego meglio con un esempio: il minore ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano; tale suo diritto, però, può non corrispondere al suo interesse in quello specifico caso di fronte al quale, quindi, è destinato a cedere. La suprema Corte ha infatti affermato che “l’audizione dei minori, nei procedimenti giurisdizionali che li riguardano, è un adempimento necessario salvo che il mancato ascolto non sia giustificato dal loro superiore interesse: Cass. 19327/2015; l’art. 42 del Reg. CE n. 2201/2003 parla di “inopportunità dell’audizione” mentre la convenzione di Strasburgo – ratificata in Italia con legge 20 marzo 2003 n. 77 – all’art. 6 lettera b) esclude che si possa procedere all’ascolto del minore quando ciò sia “manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso”. Dai lavori preparatori del recast del Regolamento Bruxelles II bis si desume la volontà del legislatore europeo di regolamentare anche il diritto del minore a non essere ascoltato. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 49 Il contenuto dell’“intesse superiore” non è mai definito. Si può affermare che è una sorta di contenitore vuoto che va riempito di volta in volta e nella pratica quotidiana, nel lavoro che tutti i giorni i Tribunali per i minorenni e non solo sono chiamati a svolgere, il principio – che rappresenta il faro, la linea guida della decisione del giudice –, può a volte comportare una compressione di diritti (come si è detto per quello all’ascolto, o per le cautele convenzionalmente introdotte e valutate dal giudice, con certo margine di discrezionalità, per il diritto al rientro automatico del minore nel luogo della sua illecita sottrazione) ma anche ad una interpretazione evolutiva che affonda le radici nella mutata prospettiva con la quale si guarda al minore: da oggetto del diritto a soggetto di diritto. Mutamento che vede la sua rappresentazione plastica anche nella stessa terminologia che si utilizza: non più “patria potestà” ma “responsabilità genitoriale”, ove l’accento si pone sui doveri, le responsabilità del genitore nei confronti del figlio e non più sul potere del genitore sul figlio. Parlavo prima del diritto all’ascolto che può essere “compresso” alla luce del superiore interesse del minore. Ma vi sono altri rilevanti esempi in cui il principio svolge una funzione di adeguamento, di temperamento o addirittura di disapplicazione di alcune norme. Prendiamo il caso del diritto alla bigenitorialità. L’art. 24 paragrafo 3 dalla Carta dei diritti fondamentali della UE recita che: “il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse”. E ciò tanto nella fase fisiologica della vita familiare quanto in quella di crisi della relazione genitoriale. Questo diritto del minore ad entrambi i genitori può entrare in contrasto con l’interesse superiore del medesimo a non dover patire maltrattamenti o a non dover assistere a maltrattamenti da parte di uno dei due. Un provvedimento di limitazione o ablazione della responsabilità di un genitore violento può, quindi, legittimamente accompagnarsi anche ad una limitazione o addirittura eliminazione della frequentazione di questo genitore se ciò corrisponde all’interesse del minore. La Suprema Corte con sentenza n. 13506 del 1° luglio 2015 ha statuito che “la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con gli articoli 13 e 32, comma 2, della Costituzione, atteso che, mentre l’intervento per diminuire la conflittualità 50 The best interest of the child richiesto dal giudice al servizio sociale è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore, quella prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione”. Tale pronuncia (per quanto mi consti) è rimasta isolata. Molti TM invero ritengono che trattandosi di soggetti minorenni e di beni quali la vita, l’integrità fisica e la salute dei medesimi, occorra sottolineare come la loro tutela sia un interesse costituzionale di valore primario, o quanto meno paritario rispetto al diritto dell’adulto di non essere sottoposto a percorsi obbligatori. Caso per caso, pertanto, si tratterebbe di bilanciare i diversi interessi ammettendo anche la possibilità di subordinare i rapporti genitori - figli a condizioni di sicurezza, dipendenti dalla sottoposizione degli adulti di riferimento a percorsi ritenuti necessari. Sul punto era intervenuta la CEDU (Lombardo c/Italia 29 gennaio 2013) che ha sanzionato l’Italia perché, per garantire il diritto di visita, si era limitata ad interventi stereotipati e non aveva invece inviato i genitori in terapia. (Pronuncia non risolutiva, a mio avviso). Il nostro orientamento – TM Trieste – è di impartire la prescrizione, precisando che non si tratta di un obbligo per il genitore, ma che in caso di mancata adesione, da parte del predetto, al percorso terapeutico o di sostegno, si dovrà prendere atto del mancato recupero della capacità genitoriale (e del mancato impegno al fine del superamento delle riscontrate carenze) e provvedere, di conseguenza, alla limitazione (o ulteriore limitazione) della responsabilità genitoriale. In sostanza, il Tribunale dà l’indicazione e i Servizi mettono a disposizione gli interventi; la mancata ottemperanza del genitore comporta provvedimenti più incisivi a favore del minore (limitazione o ablazione dalla responsabilità genitoriale). Peraltro, è appena il caso di osservare che le due soluzioni sono solo apparentemente contrastanti. Se, infatti, non vi è da parte del genitore una adesione intima, convinta, alle prescrizioni impartite ma vi è solo una adesione formale, di facciata, è del tutto evidente che nessun recupero in tema di capacità genitoriale, nessuna presa di coscienza della condotta dannosa tenuta nei confronti dei minori, si potrà ottenere da quel genitore. Sempre restando in tema di bigenitorialità, il principio del superiore interesse del minore è il criterio ermeneutico che ha portato ad importantissime decisioni in tema di filiazione attraverso una interpretazione evolutiva del principio dell’ordine pubblico internazionale. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 51 Mi riferisco in particolare alla pronuncia n. 19599 del 2016 (due madri coniugate chiedono la trascrizione in Italia dell’atto di nascita del figlio, nato in Spagna, dove entrambe le donne sono indicate come madri) nella quale la Suprema Corte, richiamata la sentenza della Corte Cost. 205 del 2015 laddove afferma che l’interesse del minore “trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre e reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità”, afferma che l’interesse superiore del minore si sostanzia nel diritto del minore a conservare lo status di figlio riconosciutogli da un atto validamente formato in un altro Paese. I principi enunciati sono posti a fondamento anche della recente decisione del Tribunale di Pistoia (5 luglio 2018) e della Corte d’ Appello di Napoli (giugno 2018; depositata il 4 luglio 2018) laddove si osserva che la nostra legge non prevede affatto che in tema di PMA si debba dare rilevanza al dato genetico o biologico, prevedendo, invece, che ai fini della determinazione dello status filiationis operi il diverso criterio della consapevole assunzione della responsabilità genitoriale sin dal momento del concepimento del bambino: consenso che è irretrattabile e quindi, di conseguenza, anche lo status. Il diritto del bambino è il medesimo sia che sia stato concepito biologicamente sia che sia stato concepito con la tecnica della PMA posto che anche in questo caso è generato in forza di un progetto di vita comune della coppia etero o omosessuale volto alla creazione di un nucleo famigliare secondo un progetto di genitorialità condivisa. La prospettiva determinate non è quella della coppia, ma quella del minore: lo status filiationis è regolarmente costituito nei confronti di entrambe le parti della coppia nel caso di ricorso alla PMA anche se in violazione delle norme interne, altrimenti si avrebbe una discriminazione tra i bambini nati da PMA eterologa posta in essere da coppie eterosessuali o da coppie omosessuali, quando in realtà ciò che accomuna entrambe le coppie è il consenso, il progetto genitoriale; e le scelte degli adulti non possono andare a discapito dei minori, al loro diritto alla bigenitorialità. E ricordo anche la recente pronuncia (ordinanza) della Suprema Corte n. 14007 del 13 aprile 2018 con la quale la Corte respinge il ricorso proposto avverso la ordinanza con la quale la Corte d’Appello di Napoli aveva riconosciuto la validità in Italia di due sentenze di adozione piena di altrettanti minori da parte di due coppie di persone del medesimo sesso. 52 The best interest of the child In questa pronuncia ancor più che nell’altra che ho citato, la Corte dopo aver individuato nell’art. 65 della legge 218/1995 la norma applicabile al caso di specie, scende ad una puntuale disamina del principio dell’ordine pubblico internazionale, posto che solo la manifesta contrarietà a questo potrebbe impedire il riconoscimento in Italia di dette pronunce di adozione legittimante. Afferma la Corte che “il principio del superiore interesse del minore opera necessariamente come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine pubblico, che va sempre valutata con cautela ed alla luce del singolo caso concreto”. L’art. 24 della Convenzione Aja 93 (ratificata in Italia con legge 476/1998) stabilisce che “il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato da uno Stato contraente solo se essa è manifestamente contraria all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse superiore del minore”. Orbene, afferma la Corte che “il preminente interesse del minore che è alla base della normativa nazionale ed internazionale in materia di adozione, e quindi il diritto del minore a vivere in modo stabile in un ambiente domestico armonioso e ad essere educato e assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali, vale dunque ad integrare lo stesso concetto di ordine pubblico nella materia specifica”. La pronuncia sottolinea come non vi sia incompatibilità con altra pronuncia che ribadisce che la adozione legittimante è consentita solo a coniugi uniti in matrimonio ai sensi dell’art. 6 della legge adozioni perché nel caso di specie le due donne lo sono validamente secondo la legge straniera (e non vi sono intenti elusivi); né si può affermare che l’inserimento di un minore in un contesto di coppia omosessuale possa avere ripercussioni negative sul piano della crescita e dell’educazione essendo sufficiente il richiamo a quanto già la Corte ebbe ad affermare in ordine alla ininfluenza di meri pregiudizi (Cass. 601/2013) ed in ordine alla incidenza dell’orientamento sessuale della coppia sull’idoneità dell’individuo alla assunzione della responsabilità genitoriale (Cass. 15202/2017). Ancora: l’intesse del minore si sostanzia nel diritto a conservare lo status di figlio che gli è riconosciuto da un atto validamente formatosi in altro Paese della UE. Diritto ad avere due genitori non significa diritto ad avere due genitori di sesso diverso (Cass. 19599/16, sopra ricordata, sulla trascrizione dell’atto di nascita formato in altro Paese UE). Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 53 Il minore è titolare del diritto ad una vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: ciò comporta un obbligo per gli Stati di porre in essere tutte le misure necessarie a garantire al fanciullo un contesto familiare funzionale al suo sereno sviluppo. E qui si pone il problema se corrisponda all’interesse del minore vivere in un contesto familiare in cui vi sia una convivenza more uxorio tra persone del medesimo sesso. La giurisprudenza si è mossa in modo diverso a seconda che il minore fosse o meno figlio di uno dei due. Negli anni sessanta l’orientamento era molto restrittivo venendosi a configurare addirittura il reato di cui all’art. 570 c.p. nel caso di convivenza di un minore con coppia omosessuale (condotta contraria all’ordine e alla morale della famiglia nei confronti della prole). Posizione successivamente abbandonata in seguito al riconoscimento della copertura costituzionale (art. 2: formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo) della convivenza tra persone del medesimo sesso. Negli anni settanta tale nozione è accolta, purché, però, non vi siano figli, nel qual caso si ritorna alla interpretazione restrittiva. Negli anni ottanta si hanno pronunce (di merito) in cui si elide la presunzione per cui la convivenza tra persone del medesimo sesso sia pregiudizievole per la prole: il pregiudizio va dimostrato in concreto. Il canone ermeneutico della valutazione caso per caso è alla base della nota (e già ricordata) pronuncia n. 601 del 2013 nella quale la Corte di Cassazione facendo leva sul superiore interesse del minore esclude che vi sia pregiudizio se non è dimostrato. Il pregiudizio per il minore va quindi accertato volta per volta. Si va così affermando il principio per cui il superiore interesse del minore è quello alla stabilità dei legami, all’affetto e alla bigenitorialità non necessariamente costituita da persone di sesso diverso. Il principio del superiore interesse del minore, quindi, secondo il Supremo Collegio, svolge una funzione integratrice ma anche di adeguamento, conformazione e di correzione dello stesso principio di legalità, consentendo di temperare o al limite di disapplicare talune norme che incidono sui minori (Cass. 14007/2018). Il principio opera come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine pubblico che va sempre valutata con cautela alla luce del singolo caso concreto: il diritto del minore a vivere in modo stabile in un ambiente domestico armonioso e ad essere educato ed assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali vale dunque ad integrare lo 54 The best interest of the child stesso concetto di ordine pubblico nella specifica materia. Il principio in oggetto, conformando l’ordine pubblico, consente di derogare anche alle norme penali (Cass. 19599/16 e vedi anche Corte Cost. 31 del 2012 sulla illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p. [su alterazione di stato e automatica perdita della potestà genitoriale] appello Napoli 15.6.2018 n. 145/18 dep. 4.7.2018; legge 40/2004. Proseguendo nella rapida disamina dei casi in cui il superiore interesse del minore incide sui diritti soggettivi, si ricorda che, in un’ottica che non deve essere adultocentrica, i genitori possono “subire” una sorta di affievolimento della loro responsabilità genitoriale se questo corrisponde all’interesse del minore. Mi riferisco all’istituto introdotto dal d.lgs. 154/2013 all’art. 317 bis c.c.: “rapporti con gli ascendenti”. La norma, invero, per come formulata sembra più dettare un principio a favore degli ascendenti ma in realtà i provvedimenti che il giudice può adottare nel procedimento instaurato dagli ascendenti ai quali è impedito l’esercizio del diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti, devono essere adottati nell’esclusivo interesse del minore, ciò significa che il diritto degli ascendenti può cedere anche totalmente ove il mantenimento di tali rapporti non corrisponda in realtà all’interesse del minore. Il principio del superiore interesse del minore governa/ispira la legge sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare (legge 173/2015): legge nella quale il superiore interesse del minore è intervenuto “alterando” di fatto l’istituto dell’affidamento. Si tratta, come è noto, di legge nata (anche) sotto la spinta della giurisprudenza CEDU. Con la sentenza Moretti e Benedetti vs Italia del 27 aprile 2010, infatti, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire una coppia di coniugi che, dopo essersi presi cura di un minore per 19 mesi attraverso l’istituto dell’affidamento, si era visto portare via la piccola in seguito all’affidamento ad altra coppia selezionata a fini di adozione (così come previsto, peraltro, dalla normativa vigente che, proprio al fine di evitare commistioni tra istituti aventi finalità diverse, escludeva che una coppia di coniugi affidatari potesse aspirare alla adozione del minore in affido). Nella fattispecie, tuttavia, la Corte EDU ha ritenuto che non fosse stata adeguatamente valutata dai giudici italiani la domanda di adozione presentata dagli affidatari alla luce del superiore interesse del minore e del diritto dei genitori a creare una famiglia sulla base dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Per la verità, non tutti i giudici erano d’accordo. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 55 Il giudice Karakas aveva, ad esempio, osservato che il semplice legame di fatto stabilitosi tra i ricorrenti e la bambina non realizza vita familiare non rilevando a tal fine neppure il desiderio di adottarla). Anche la regolamentazione dei rapporti tra i genitori presso i quali il minore ha fatto rientro e gli affidatari riproduce, nella sostanza, quell’affievolimento della responsabilità genitoriale di cui si è detto prima. Nell’affidamento giudiziale, in ogni caso, sarà il Tribunale che dispone il rientro in famiglia a definire i rapporti dopo aver valutato l’interesse del minore a mantenerli. Anche qui a mio avviso è necessario prestare molta attenzione per non cadere nella “trappola” adultocentrica. Chi va tutelato non sono gli affidatari che avevano riposto speranze e illusioni nel bambino loro affidato ma il bambino cui va garantito il diritto a mantenere una relazione che per lui, per il suo sviluppo psicofisico, è stata/è positiva, tanto positiva che se sussistono le condizioni per l’adottabilità (stato di abbandono) e gli affidatari facciano domanda di adozione il Tribunale deve tenere conto del prolungato legame affettivo che si è instaurato tra adottanti e minore. (Si può parlare di una corsia preferenziale per gli affidatari? L’art. 4, comma 5-bis, della legge 184 del 1983 sembrerebbe disporre in tal senso…). Infine, almeno un accenno merita la previsione normativa di cui all’art. 31, comma 3, del decreto legislativo 286/98: disposizione pacificamente ispirata al principio del superiore interesse del minore che viene ad incidere su di una materia specifica quale quella della Pubblica Sicurezza. Come è noto, la norma è inserita al Titolo IV del decreto legislativo n. 286/1998, la cui rubrica indica in maniera specifica ed autonoma il diritto all’unità familiare e la tutela dei minori. Si tratta di due valori distinti, entrambi protetti dalle disposizioni contenute nel titolo e non tra loro coincidenti: l’unità familiare è assicurata attraverso l’istituto del ricongiungimento familiare (art. 29), per la protezione del minore viene invece prevista l’autorizzazione di cui al comma terzo dell’art. 31. Il tratto unificante dei diversi istituti è rintracciabile nella disposizione del comma terzo dell’art. 28, che espressamente prevede che in tutti i procedimenti riguardanti i minori “deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo conformemente a quanto previsto dall’art. 3 comma 1 della Convenzione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991 n. 176”. 56 The best interest of the child Il superiore interesse del minore costituisce quindi un criterio ermeneutico da utilizzare nell’applicazione dell’intera normativa contenuta al Titolo IV. La Convenzione, peraltro, declina questo principio generale in disposizioni specifiche, segnatamente all’art. 9 comma 1° laddove è scritto che “Gli stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo” e all’art. 10 comma 1° che, nel richiamare l’obbligo degli stati di evitare la separazione del minore dai genitori, impone che “ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare (sia) considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza”. Questi sono i criteri interpretativi indicati dalla Convenzione da adottare anche nell’esegesi dell’art. 31 comma terzo, in esame, il cui tenore letterale chiarisce che l’autorizzazione può essere pronunciata dal Tribunale “per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova in territorio italiano”. La norma è finalizzata, nel carattere eccezionale che la connota, ad evitare che lo sviluppo psicofisico del minore abbia a soffrire un grave pregiudizio in conseguenza dell’allontanamento dal territorio nazionale del genitore; a tal fine il legislatore si è espressamente riferito all’età e alle condizioni di salute del minore, al fine di individuare alcuni dei criteri che debbono essere seguiti nell’operare la valutazione del pregiudizio potenziale, senza che tuttavia questi elementi siano necessariamente esaustivi dell’esame della complessiva condizione del minore, poiché la ratio della disposizione è in primo luogo la tutela dello sviluppo psicofisico del minore nella sua interezza e complessità, proteggendolo dal potenziale pregiudizio che potrebbe subire o seguendo nell’allontanamento il genitore privo del titolo di soggiorno, oppure distaccandosi da questi e rimanendo in Italia. Il criterio informato a “spirito positivo, umanità e diligenza” indicato dalla Convenzione di NY è il più apprezzabile perché consente di apprezzare la condizione del minore come soggetto in evoluzione, nell’interezza dei bisogni e delle aspettative che la sua educazione e crescita evidenza, bilanciando la sua tutela come soggetto in evoluzione con l’interesse pubblico ad una ordinata programmazione dell’ingresso e della permanenza in Italia di cittadini stranieri provenienti da paesi non comunitari. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 57 Per tali ragioni l’integrità dello sviluppo psicofisico non coincide necessariamente con la sola salute fisica e psichica, che ne costituisce certo un presupposto essenziale ma non esaustivo e per la quale altra ed autonoma tutala è assicurata dal precetto costituzionale espresso dall’art. 32 a prescindere dall’età della persona; neppure coincide con quello della unità familiare, per il quale, come già precisato, è invece dal legislatore predisposto altro rimedio, con l’istituto del rilascio del permesso di soggiorno per coesione e ricongiungimento familiare, disciplinato dalle norme contenute all’art. 29. Tale interpretazione della norma in questione appare in linea con l’orientamento espresso dalla Cassazione a SU (Cass. 25.10.2010, n. 21799): la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. Le più recente giurisprudenza si pone sulla medesima linea e ribadisce che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore prevista dall’art. 31 comma 3 in esame “non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute ma può comprendere qualsiasi danno effettivo concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età e delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi 58 The best interest of the child traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare” (Cass. 12.12.2017 n. 29795; Cass. 20.7.2015 n. 15191). Superata quindi può ritenersi la precedente giurisprudenza (Cass. n. 747/2007, n. 10135/2007 e 5856/10 (postesi in continuità con la pronuncia delle sezioni Unite n. 22216 del 2006) che [escludeva dal paradigma del disposto normativo le esigenze di salvaguardia di una situazione di integrazione nel tessuto sociale che renda le condizioni di vita del minore consone alle esigenze evolutive proprie dell’età e migliori rispetto a quelle godute o godibili nel paese di origine o altrove, in quanto si ricollegano al normale processo educativo - formativo del minore stesso e sono perciò d’indeterminabile o lunghissima durata e] precisava che le condizioni consistenti nei gravi motivi connessi allo sviluppo-psico fisico del minore stesso, tenuto conto delle condizioni di salute e di età, sono positivamente riscontrabili solo quando sia accertata l’esistenza di una situazione d’emergenza, rappresentata come conseguenza della mancanza o dell’allontanamento improvviso del genitore, a carattere eccezionale o contingente, che ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, mentre non possono essere ravvisate nelle ordinarie necessità di accompagnarne il processo d’integrazione ed il percorso educativo, formativo e scolastico, trattandosi di esigenze incompatibili con la natura temporanea ed eccezionale dell’ autorizzazione, che viene concessa in deroga all’ordinario regime giuridico dell’ ingresso e del soggiorno degli stranieri (cfr Cass. 5856/2010). Con la pronuncia n. 4238 del 4 giugno 2018, inoltre, la Suprema Corte ha affermato che “la sussistenza di comportamenti del familiare medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della sua condotta al fine di stabile, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria”. Una significativa modifica ha subito anche il comma 4 dell’art. 31 per effetto della legge 47/2017. In forza della novellata disposizione infatti, la espulsione del minore non può essere disposta se comporta un rischio di danni gravi per il minore. Quindi, nel bilanciamento degli interessi, da un lato la sicurezza, dall’altro l’interesse del minore, quest’ultima prevale. Autorità giudiziaria e interesse superiore del minore 59 Merita ancora di essere ricordato come il principio del superiore interesse del minore abbia portato la giurisprudenza ad una interpretazione estensiva della espressione “altri familiari” di cui all’art. 3, comma 2, lettera a) del d.lgs. 30 del 2007 (che ha recepito la Direttiva sul diritto dei cittadini della UE e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri) in conformità con la Convenzione di NY; secondo una accezione non strettamente parentale in ragione del perseguimento, appunto del superiore interesse del minore, prevalente su eventuali interessi confliggenti. Nel caso di specie la Cass (22.5.2014 n. 11404) ha cassato il decreto della corte d’appello con cui si era negata la qualifica di familiare di cittadino comunitario al minore extracomunitario non discendente diretto del coniuge o del partner, ma solo in forza di un istituto quale la Kafalah giudiziale, vigente nello stato del Marocco ai fini del ricongiungimento in Italia. Da ultimo, interessante, nella sottrazione internazionale di minore l’evoluzione della giurisprudenza soprattutto della CEDU: in un primo momento il principio del superiore interesse del minore viene utilizzato come chiave di lettura e interpretazione della Convenzione di diritto internazionale privato in materia di sottrazione di minore; poi si assiste ad una progressiva erosione della rigida applicazione della fonte di diritto in esame per giungere a decisioni in cui il best interest autonomamente considerato determina provvedimenti giurisdizionali non stereotipati ma aderenti ad un’analisi case by case. Interesse del minore: problematiche interpretative Giovanni Giacobbe 1. Nel preparare la mia riflessione in questo importante convegno, ho limitato l’analisi con riferimento ad una questione metodologica – per non dire linguistica o semantica – avendo come punto di riferimento l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione e dei giudici di merito, nonché della elaborazione dottrinale, al fine di identificare, nell’ambito della legislazione vigente, quale sia il contenuto che deve attribuirsi all’espressione interesse del minore, avuto riguardo in modo particolare con quanto affermato nella recente legge sulla filiazione che, giustamente, viene indicata come legge Bianca. 2. Prescindendosi dalla formulazione in lingua inglese, che dà il titolo a questo convegno, le espressioni usate sono variamente articolate: interesse del minore, interessi del minore, prevalente interesse del minore. Tuttavia, dovendosi tradurre le formulazioni indicate nel loro contenuto precettivo, che deve essere individuato in funzione della adozione di provvedimenti che di tale interesse debbano realizzare la tutela, rimane, a mio avviso, una evidente incertezza del dato legislativo che la giurisprudenza tende a tradurre in certezza, attraverso l’attuazione di quella categoria definita diritto vivente, ormai divenuta una sorta di dogma nella interpretazione del sistema ordinamentale, avuto riguardo, per un verso, alle indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, per altro verso, al dato normativo che attribuisce alla Corte di Cassazione la competenza ad assicurare l’esatta osservanza del diritto oggettivo nazionale, realizzandosi quella che viene comunemente definita nomofilachia. Certamente, le richiamate indicazioni adottate dalla Corte Costituzionale, con una giurisprudenza ormai consolidata, portano a ritenere che il dato normativo non vive nella sua astrattezza espressa dalla 62 The best interest of the child formulazione letterale della disposizione, ma vive nella attualità della applicazione che viene operata in sede giurisprudenziale. Si tratta di un principio che ormai ha avuto ed ha larga applicazione anche se non esprime una novità categoriale, dovendosi riconoscere che, fin dalle codificazioni realizzate nell’ampia evoluzione storica del diritto romano, i tentativi di delimitare gli effetti della interpretazione rispetto alla formulazione legislativa non hanno avuto grande successo. Come è noto, infatti, nel corso della evoluzione del diritto romano, fin dalla legge cosiddetta delle citazioni, si era posto il tentativo di delimitare i contenuti interpretativi della norma giuridica; per non dire di quanto accaduto nel corso della Rivoluzione francese, nell’ambito della quale la creazione della Corte di Cassazione aveva come suo obiettivo di definire l’ambito del potere dell’interprete, rispetto al rapporto tra la legislazione rivoluzionaria e la formazione dei giuristi riconducibile alla cultura dell’ancien regime. Nell’indicato contesto, il giurista interprete, magistrato, avvocato, teorico del diritto – personalmente non ho mai ritenuto che vi sia una contrapposizione tra le indicate posizioni – deve, attraverso l’analisi del sistema normativo, individuare il contenuto della disciplina dettata dal legislatore, al fine di risolvere il conflitto di interessi che, di volta in volta, deve essere valutato. 3. Tornando alla analisi della categoria giuridica interesse del minore – categoria che nella molteplicità delle indicazioni legislative può qualificarsi come clausola generale – e verificandone l’attuazione attraverso l’intervento giurisprudenziale e la correlativa elaborazione dottrinale, emergono situazioni non univocamente definibili negli effetti giuridici che ne derivano. Invero, l’analisi della giurisprudenza, di merito e di legittimità, che è stata condotta nella prima parte di questo convegno, porta a ritenere che, nella concretezza delle situazioni di fatto analizzate per definire la tutela del minore, e gli effetti giuridici che ne derivano, si è realizzata una molteplicità di qualificazioni, in concreto, dell’indicato interesse. Premesso che sul punto la giurisprudenza, soprattutto della Corte di Cassazione, ma anche dei giudici di merito, ha posto in essere opzioni interpretative non sempre riconducibili in modo univoco al sistema normativo, sembra doversi osservare che nella identificazione della categoria giuridica in esame, pur dovendosi aderire – a mio parere – come prima prospettiva al dato ordinamentale, sia pure, ovviamente, con tutte le implicazioni che l’attività interpretativa comporta, si rende Interesse del minore: problematiche interpretative 63 necessario operare una verifica attraverso l’interpretazione sistematica dell’ordinamento giuridico, nell’ambito della quale l’interprete deve perseguire l’obiettivo di identificare, in modo univoco, quale sia in concreto l’interesse del minore. Al fine di procedere alla indicata identificazione, non possono non manifestarsi serie perplessità che l’analisi della giurisprudenza suggerisce, soprattutto avuto riguardo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale sembra orientata, nell’esercizio della funzione nomofilattica che le è propria, a dare la prevalenza alla situazione concreta, piuttosto che alla riconduzione di essa nell’ambito del parametro normativo. Nell’ambito della ricostruzione del diritto vivente operata dalla Corte di Cassazione si inserisce la recente sentenza delle Sezioni Unite civile 12193 del 2019 la quale, affrontando la problematica del limite all’ordine pubblico che preclude la maternità surrogata, ha affermato il principio secondo cui la tutela della dignità della gestante, espressione di un valore di ordine pubblico prevale sull’interesse del minore nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione. Si tratta di una ulteriore puntualizzazione, ancora una volta riservata alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione che merita di essere approfondita, nel tentativo di dare soluzione alla problematica della tutela dell’interesse del minore nel sistema ordinamentale vigente. 4. In prima approssimazione, deve considerarsi, nell’ambito del diritto positivo, ancorché interpretato secondo le indicazioni contenute nell’art. 12 delle preleggi, l’art. 2 della Costituzione, nella duplice prospettiva della tutela dei diritti inviolabili della persona e, contestualmente, dell’applicazione degli inderogabili valori della solidarietà sociale. Secondo tale indicazione, l’interesse del minore deve essere identificato nella tutela, con riferimento alla condizione nella quale il minore si trova, dei diritti inviolabili nella loro molteplice articolazione, ovviamente rapportata alla condizione del minore medesimo. La configurazione dell’art. 2 della Costituzione, come norma fondamentale idonea ad identificare l’interesse del minore, comporta il necessario richiamo al rapporto tra la individualità del minore e le formazioni sociali nelle quali esso è inserito fin dalla nascita, prima fra tutte la famiglia, che rappresenta la prima aggregazione tra soggetti nella quale il minore è inserito e nell’ambito della quale emergono interessi primari quali l’educazione, il mantenimento, l’istruzione, la formazione. 64 The best interest of the child 5. Il richiamo alle formazioni sociali nelle quali il minore, come individuo, si inserisce, e nell’ambito delle quali deve realizzarsi l’interesse – o gli interessi – del quale è portatore, emerge l’art. 29 della Costituzione che, garantendo i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, identifica – sembra ovvio – i diritti del minore che, come si è detto, nella famiglia realizza il primo incontro con la realtà sociale. Ovviamente, prescindo in questa sede dall’affrontare il dibattito su che cosa debba intendersi, nella applicazione del citato art. 29 Cost., come famiglia: il dibattito che da qualche decennio si svolge nella cultura giuridica e sociale del nostro tempo, e che recentemente ha trovato applicazione in alcuni interventi legislativi suscettibili di serie perplessità, non può tuttavia prescindere dalla applicazione, nella identificazione della categoria interesse e/o interessi del minore, della tutela dei diritti inviolabili riconducibili a quest’ultimo, nella prospettiva di specifico riconoscimento contenuto nel più volte citato art. 29 Cost. Senza approfondire la problematica, mi limito soltanto ad osservare che non deve ritenersi condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale che ha identificato, soprattutto con riferimento alla adozione nei casi speciali, la possibilità di adozione da parte di coppie dello stesso sesso, fino ad arrivare alla affermazione di tale risultato che risulterebbe compatibile con il sistema ordinamentale, non essendo legislativamente vietato alle coppie dello stesso sesso di procreare: si tratta, infatti, di una espressione, ancorché contenuta in sentenza di merito, di difficile comprensione, determinata probabilmente dalla circostanza che è sfuggito all’estensore il significato specifico del termine ontologico: per chiudere il riferimento all’indicato indirizzo giurisprudenziale, sembra doversi ritenere che la garanzia di tutela dell’interesse del minore, riconducibile ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, debba presupporre che la categoria famiglia sia quella definita in modo univoco dall’art. 29 della Costituzione. 6. Secondo le indicazioni che precedono, a mio sommesso avviso, ci si deve collocare in una prospettiva di analisi sistematica dell’ordinamento giuridico, che, non potendosi condividere, o non potendosi sempre condividere, gli orientamenti della giurisprudenza, di merito e di legittimità, non consenta di circoscrivere la categoria dell’interesse del minore, avuto riguardo alla mera situazione di fatto, senza identificare i parametri normativi che, secondo il legislatore, debbono essere assunti per la identificazione della categoria in esame. Interesse del minore: problematiche interpretative 65 Nell’indicato contesto, non può non prospettarsi qualche perplessità con riferimento a quegli orientamenti giurisprudenziali che, al fine di tutelare l’interesse del minore, sembrano legittimare effetti giuridici in concreto definiti senza procedere alla realizzazione del rapporto tra situazione concreta e previsione normativa: si tratta, infatti, della utilizzazione di una astratta e generica categoria di interesse del minore per legittimare, sul piano degli effetti giuridici, conseguenze che sono difficilmente condivisibili, come nell’ipotesi – che si trae da una decisione di merito – nella quale l’interesse del minore viene assunto come criterio idoneo a consentire la disapplicazione di una norma imperativa di diritto positivo, fino ad arrivare anche alla disapplicazione, se non vado errato, di un precetto del codice penale. In questa prospettiva, sembra imporsi una riflessione relativa alla identificazione dei confini entro i quali l’attività interpretativa dell’ordinamento positivo deve essere realizzata: le prospettate disarticolazioni che conseguono dagli indicati indirizzi giurisprudenziali, secondo la mia valutazione, sono determinate dalla utilizzazione del criterio metodologico di identificare la categoria interesse del minore, avuto riguardo alla situazione di fatto nella concretezza della sua attuazione, prescindendosi dal necessario raffronto con il parametro normativo che deve costituire la premessa della attuazione del provvedimento di tutela del minore. 7. Procedendo nel quadro delle linee tracciate dalla Costituzione, ed operando una analisi degli orientamenti interpretativi, giurisprudenziali e dottrinali, che debbono essere correlati al parametro costituzionale, un ulteriore elemento identificativo dell’interesse del minore, da attuarsi nella concretezza delle singole situazioni, emerge dall’art. 30, comma 1 della Costituzione che, con formulazione radicalmente innovativa rispetto alla previgente tradizione giuridica, ha affermato il diritto e dovere dei genitori di istruire, educare e mantenere i figli anche se nati fuori del matrimonio. Il carattere innovativo della indicata formulazione precettiva emerge ove si consideri che nel rapporto conseguente alla procreazione si identifica la categoria del diritto soggettivo del genitore che, nell’ordinamento previgente, veniva definito sotto il profilo del potere-dovere: il legislatore costituente, che era tecnicamente attrezzato, certamente più del legislatore attuale, ha avuto cura di distinguere il profilo della istruzione dal profilo della educazione, in relazione al quale poi deve essere valutato l’art. 33 della stessa Costituzione, nel quale 66 The best interest of the child allo Stato è assegnato il compito di realizzare le strutture dirette alla istruzione, mentre il compito educativo – che non può competere allo Stato, trattandosi di Stato laico – viene riservato a strutture indipendenti, il cui compito educativo deve svolgersi, in virtù dell’art. 29 Cost., in collaborazione con la famiglia. Il richiamo all’art. 30 della Costituzione sembra fondamentale per procedere alla identificazione della natura giuridica e del contenuto della categoria interesse e/o interessi del minore per affermare la preminente espressione dell’interesse del minore ad essere istruito, educato e mantenuto dai genitori, con particolare riferimento alla formazione sociale, identificata nella famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio. La indicata prospettazione non contraddice con la previsione che il diritto-dovere dei genitori si realizza anche qualora il rapporto procreativo non abbia titolo legittimante nel matrimonio: infatti, l’art. 30 della Costituzione non contraddice, ma integra, l’art. 29, estendendo gli effetti vincolanti del rapporto procreativo anche nella ipotesi che esso, come si è detto, non trovi legittimazione nel matrimonio, attribuendosi rilevanza costituzionale al predetto rapporto procreativo, secondo quella che è stata definita responsabilità per la procreazione. Nella prospettiva definita sulla base della individuazione di parametri normativi di natura costituzionale, a mio avviso, deve ribadirsi, con tutti gli effetti che ne derivano sul piano dell’ordine pubblico costituzionale, nonostante talune discutibili pronunce giurisprudenziali, il divieto della maternità surrogata e, a mio avviso, il divieto della fecondazione eterologa, che comporta, tra l’altro, la preclusione alla identificazione di colui che abbia assunto la responsabilità per la procreazione. Sono consapevole della decisione al riguardo della Corte Costituzionale, ma, pur altrettanto consapevole della presunzione nell’esprimere una mia valutazione, ritengo che la fecondazione eterologa, con preclusione della ricerca del rapporto conseguente alla procreazione, sia in contrasto con l’art. 30, comma 1 della Costituzione, nella misura in cui elimina il rapporto giuridico costituzionalmente garantito tra colui che procrea e colui che è procreato. 8. La ricostruzione del sistema ordinamentale da assumere come parametro normativo per la identificazione della natura giuridica e del contenuto dell’interesse del minore si riflette nell’art. 147 c.c., integrato dagli artt. 315 bis e 317 bis c.c., introdotti con la legge Bianca, che, nella sostanza, dà applicazione all’art. 30, comma 1 Cost., correlato all’art. 29 Interesse del minore: problematiche interpretative 67 della stessa Costituzione. Il rapporto procreativo determina, come si è già accennato, un vincolo giuridico di natura costituzionale, dal quale scaturiscono elementi fondamentali per la realizzazione della personalità del minore e che, quindi, debbono rappresentare, nella applicazione e nella interpretazione dell’ordinamento positivo, parametri normativi essenziali per definire negli effetti giuridici e nei contenuti, la categoria interesse del minore. 9. Altre analisi potrebbero essere prospettate per concorrere alla individuazione di parametri normativi che debbono essere adottati, pur nella concretezza della situazione nella quale il minore si trova, per identificare la categoria interesse del minore, in ordine al quale, sembra debba essere considerata la recente fondamentale riforma che ha definito un unico status giuridico unitariamente considerato come effetto della procreazione, nella duplice dimensione che emerge dall’art. 30 Cost. dianzi citato. Nella indicata prospettiva, pur consapevole delle, certamente più autorevoli, indicazioni, mi permetto di sottoporre alla valutazione critica di questo incontro l’esigenza di una revisione metodologica, che possa eventualmente portare anche ad una ipotesi di introduzione di criteri normativi che siano orientativi dell’attività dell’interprete, nel senso di definire, in termini, non direi oggettivi – l’oggettività assoluta nell’ambito dei criteri normativi non esiste – ma di indicazione di linee unitarie di comportamento che possano consentire di evitare quella variegata, per non dire altro, articolazione della giurisprudenza che prospetta soluzioni che non sempre sono condivisibili e che, non sempre, realizzano quell’interesse del minore che dovrebbero attuare nel caso concreto. La maternità surrogata e l’interesse del minore Gabriella Luccioli Sommario: 1. La maternità surrogata. – 2. Lo status del bambino nato da maternità surrogata e il suo superiore interesse. – 3. La trascrivibilità dei certificati di nascita dei bambini nati all’estero da maternità surrogata. Il limite dell’ordine pubblico internazionale. 1. La maternità surrogata Forse in nessuna materia come quella della maternità surrogata la questione dell’interesse del minore, che costituisce il tema centrale del convegno, viene in rilievo in modo tanto immediato e dirompente. La definizione dello status del minore nato da surrogazione, che il legislatore non ha in alcun modo disciplinato, limitandosi a porre il divieto penalmente sanzionato di accesso a tale pratica, impone in via prioritaria di esaminare la natura della gestazione per altri e la sua compatibilità con i principi fondamentali del nostro ordinamento: si tratta di un grande tema, di enorme complessità e delicatezza, che richiede un approccio di tipo interdisciplinare, in quanto chiama in causa la filosofia, l’etica, la biologia, la sociologia, il diritto. Discutere di maternità surrogata vuol dire inserirsi in un dibattito nato alcuni anni or sono in Francia e rapidamente sviluppatosi in molti Paesi, che vede fronteggiarsi due posizioni antitetiche tra gli osservatori e soprattutto tra le osservatrici, divise tra coloro che intendono la surrogazione come un dono o come espressione di libertà procreativa e coloro che ritengono che essa si sostanzi in un atto di mercificazione del bambino e della madre e ricordano che il grembo materno non è un contenitore, ma un luogo di relazione, e che tale pratica decostruisce la nozione giuridica 70 The best interest of the child di maternità e sovverte il principio della verità del parto, integrando una sorta di schiavismo moderno. Come accennavo, la pratica della maternità surrogata è vietata e sanzionata penalmente nel nostro Paese (ma anche in Austria, Germania, Spagna, Francia, Svizzera, tra gli altri) dall’art. 12 comma 6 della legge n. 40 del 2004, mentre è consentita in vari Stati stranieri, in alcuni di essi solo se gratuita (come in Canada, Danimarca, Regno Unito, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, Belgio, Olanda, Grecia, Israele, Repubblica Ceca), in altri anche se attuata in forma commerciale (così in Georgia, Ucraina, Messico, Russia, alcuni Stati USA). La California e l’Ucraina sono gli Stati nei quali è più fiorente l’industria della surrogacy. Segnalo in particolare che in California il favore verso tale pratica è così forte che l’accordo di surrogazione può essere sciolto soltanto con l’intervento del giudice, e non per volontà delle parti, e che è possibile ottenere un provvedimento giudiziale attributivo della genitorialità ai committenti ancor prima della nascita del bambino, così rendendo fin da quel momento definitiva e irrevocabile la rescissione di ogni legame tra madre surrogata e nascituro. Va al tempo stesso evidenziato che vari ordinamenti in cui la maternità surrogata era in passato ampiamente consentita hanno di recente avviato un processo di revisione delle proprie posizioni: la Thailandia ed il Nepal nel 2015 hanno vietato la maternità surrogata commerciale; l’India, dopo aver largamente aperto alle pratiche surrogatorie, nel dicembre 2018 ha approvato una legge che ne limita l’applicazione alle coppie indiane sposate da almeno cinque anni, o almeno a quelle in cui uno dei committenti abbia passaporto indiano, dispone altresì che la gravidanza sia gestita da una parente stretta della coppia e pone il divieto assoluto di maternità surrogata commerciale. Analizzando il fenomeno in oggetto può osservarsi in una prima approssimazione che nel quadro delle metodiche di procreazione medicalmente assistita la maternità surrogata riveste una posizione del tutto peculiare rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale, omologa o eterologa, postulando la collaborazione di una donna estranea alla coppia, definita madre surrogata o gestazionale, che presta il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire un bambino non per sé, ma per un’altra persona, solitamente definita madre committente, a prescindere dalla provenienza del materiale genetico e dalle modalità con le quali esso viene introdotto nel corpo della donna, che si impegna a consegnare il bambino, una volta messo al mondo, alla coppia committente. La maternità surrogata e l’interesse del minore 71 Si tratta quindi di una pratica che utilizzando tecniche inizialmente create per altri fini coinvolge più soggetti in modo assai più pervasivo della fecondazione eterologa e che conferisce un ruolo centrale alla posizione della gestante per altri, onde qualsiasi semplicistica assimilazione ad una p.m.a. eterologa è chiaramente improponibile. È evidente che la sanzione penale di cui all’art. 12 comma 6 della legge n. 40 esprime l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento attribuisce alla surrogazione di maternità, in essa ravvisando una inaccettabile frattura del rapporto genitoriale materno, con effetti pregiudizievoli sia sui minori che sulle donne coinvolte, ed una altrettanto inaccettabile riduzione del rapporto con il bambino in termini meramente proprietari. Nella stessa prospettiva si pongono l’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, l’art. 3 della Carta di Nizza, che vieta di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, nonchè il disposto dell’art. 21 della Convenzione di Oviedo, ai sensi del quale il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto, e prima ancora l’art. 31 Cost., che al comma 2 fa carico allo Stato di proteggere la maternità. La forza primaria e dirimente conferita dall’ordinamento a quei valori che attengono all’essenza stessa della persona, come quello alla sua dignità, un valore che l’art. 3 comma 1 della Costituzione antepone al principio di eguaglianza e che costituisce un criterio ineludibile di definizione del rapporto tra diritto e scienza, induce a ritenere che il divieto di maternità surrogata si ponga a tutela del valore fondamentale della dignità della donna, che non può essere ridotta ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata per contratto a non appartenerle mai ed il cui corpo non può essere affittato come si affitta un appartamento vuoto. L’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto, riducendo la prima a mero servizio gestazionale ed il secondo ad atto conclusivo di tale prestazione servente, costituisce a mio avviso una ferita alla dignità di quella donna ed un attacco demolitore della relazione materna. Non può tacciarsi di dogmatismo una posizione di tutela del valore fondamentale della dignità della gestante, atteso che la dignità non è un dogma, ma è un valore che permea l’intero patto costituzionale. 72 The best interest of the child Né possono essere ignorati i pesanti limiti che devono subire le donne durante la gravidanza rispetto al cibo, allo stile di vita, ai controlli medici, e dopo il parto rispetto alla privazione dell’allattamento. A ben vedere, la rinuncia preventiva ai diritti materni si risolve in un atto contrario alla libertà non solo di quella donna, ma di tutte le donne. Se non si dà senso a parole che lo hanno smarrito si finisce con il pensare che far nascere un bambino con la surrogata sia un gesto di libertà e di progresso, mentre il rifiutare una pratica che riduce le donne a contenitori ed i bambini a oggetto di scambio sia segno di bigottismo reazionario. A me sembra piuttosto che la rinuncia preventiva ai diritti materni riduca quella donna ad una donna-cosa, e che nulla cambi per il bambino, ma per molti aspetti anche per la madre, se ciò avvenga a titolo oneroso o gratuito. In questa prospettiva è agevole individuare quale solida ratio del divieto posto dall’art. 12 comma 6 l’esigenza di porre regole e confini al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona, utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile. Né mi pare fondata l’obiezione di chi osserva che la surrogazione di maternità costituisce l’unica forma di accesso alla genitorialità non adottiva per le coppie omosessuali maschili e che pertanto un divieto assoluto di tale pratica, oltre che rivelare una posizione ideologica contraria alla omogenitorialità, integrerebbe una evidente disparità di trattamento rispetto alle coppie omosessuali femminili. Si tratta a mio avviso di una obiezione mal posta, in quanto non viene qui in discussione la capacità genitoriale delle coppie omosessuali, siano esse maschili o femminili, ma la compatibilità con i valori fondamentali dell’ordinamento di una pratica, utilizzabile anche dalle coppie eterosessuali, che mercifica e sfrutta il corpo femminile. Non può inoltre non rilevarsi che, come è stato già ricordato, la genitorialità non è un diritto, ma un desiderio, un’aspirazione o un istinto che non può portare oltre i limiti dell’umano. In conclusione, a fronte di un turismo procreativo sempre più intenso che si avvale di mercati aperti per raggiungere obiettivi in Italia vietati, diventa comprensibile, anche se difficile da percorrere, la linea tracciata da quei movimenti che nello sforzo di reperire soluzioni a livello globale tendono ad investire le istituzioni internazionali della questione ed invocano la configurazione di un reato universale, al fine di porre termine ad un fenomeno ritenuto come una nuova forma di La maternità surrogata e l’interesse del minore 73 schiavitù realizzata prevalentemente dal mondo ricco e civilizzato ai danni dei paesi e dei soggetti più poveri e che in ogni caso poggia su relazioni economiche diseguali. Ricordo altresì che il Parlamento Europeo con la Risoluzione del 17 dicembre 2015 ha condannato la pratica in discorso in quanto compromette la dignità umana della donna, dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce, e che il Consiglio d’Europa l’11 ottobre 2016 ha bocciato la proposta di raccomandazione della parlamentare belga De Sutter diretta, tra l’altro, a dettare le linee guida per la disciplina dello status dei bambini venuti al mondo a seguito di maternità surrogata, ritenendo che detto intervento potesse favorire la legalizzazione diffusa di detta pratica. Mi sembra ancora utile segnalare che il 2 febbraio 2016, a conclusione di un convegno svoltosi a Parigi nella sede del Parlamento francese, è stata votata e approvata da organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, da rappresentanti del mondo politico e della comunità scientifica la Carta di Parigi, un documento volto a proporre agli Stati europei l’abolizione della maternità surrogata, ritenuta disumanizzante e contraria alla dignità e ai diritti delle donne e dei bambini. A fronte di un dibattito così acceso appare essenziale un intervento del Parlamento che affronti il quesito se sia opportuna l’apertura di uno spazio di legittimazione della gravidanza per altri o se invece se ne debba sancire l’illegalità anche se compiuta all’estero. In quest’ultima direzione si muovono varie iniziative legislative avviate sia nella precedente che nel corso di questa legislatura (ricordo tra gli altri il disegno di legge del Senato n. 519) dirette a configurare come illecito penale la surrogazione di maternità realizzata all’estero. 2. Lo status del bambino nato da maternità surrogata e il suo superiore interesse La questione più delicata da affrontare riguarda lo status del bambino nato all’estero da surrogacy conformemente alla lex loci, ovvero comunque nato da detta pratica in Italia o all’estero in violazione di norme di legge, atteso da un lato che la previsione di essa come reato non soccorre ai fini della determinazione dello status del minore e che d’altro lato per giurisprudenza consolidata la surrogazione all’estero in conformità della legge ivi vigente da parte di cittadini italiani non può essere ricondotta all’illecito penale di cui all’art. 12 comma 6 della legge n. 40. 74 The best interest of the child È evidente che nell’approccio a tale questione è necessario confrontarsi con il principio del superiore interesse del minore, che costituisce, come è noto, la stella polare del sistema ed il fondamentale canone di riferimento in tutte le decisioni che riguardano i minori. Il tema sollecita alcuni stringenti interrogativi: come si atteggia l’interesse del minore, che deve essere superiore, e quindi preminente su ogni altro interesse, rispetto al fatto compiuto posto in essere in violazione della legge italiana? È giusto ritenere che bastano pochi giorni o poche settimane di convivenza per usucapire il bambino in ragione del suo superiore interesse, ma in plateale elusione del divieto di rilevanza penale di maternità surrogata? Ed ancora, quale valore finisce per assumere la sanzione penale se è sufficiente ricorrere alla surrogazione all’estero per veder sanata la violazione attraverso l’attribuzione dello status di cittadino italiano al figlio della coppia committente? È evidente che una tale sanatoria comporta il sostanziale venir meno di ogni possibilità di prevenzione del fenomeno. È peraltro indiscutibile che affidare la riposta a tali quesiti al ruolo di supplenza del giudice può dar luogo ad incertezze ed oscillamenti giurisprudenziali estremamente pregiudizievoli per gli utenti della giustizia e per tutti i cittadini, a fronte di una forte esigenza di chiarezza. Come correttamente osserva Casaburi, detti interrogativi non sono stati affrontati dalla Corte Costituzionale nella non remota sentenza n. 272 del 2017, che nel delimitare l’oggetto della prospettata questione di costituzionalità all’impugnazione del riconoscimento ex 263 c.c. per difetto di veridicità ha considerato estranei al tema al suo esame sia il divieto della maternità surrogata sia i limiti della trascrivibilità in Italia dei relativi certificati di nascita. Nel prendere atto che in tale decisione il progetto riproduttivo è rimasto fuori dal contesto di riferimento, non può tuttavia non rilevarsi la scarsa linearità di alcuni passaggi della motivazione, lì dove da un lato si ribadisce l’illegittimità della surrogazione e dall’altro si afferma la necessità di salvaguardare l’interesse superiore del minore. La scelta consapevole della Corte di eludere il problema rimette nelle mani dell’interprete ogni valutazione circa l’interferenza del divieto in discorso con l’interesse superiore del minore. Nel procedere a tale valutazione io credo che non ci si debba munirsi del microscopio che ingrandisce i dettagli del caso specifico, ma si debba usare il telescopio, che consente di esaminare con La maternità surrogata e l’interesse del minore 75 uno sguardo lungo tutte le implicazioni che comporta il ricorso alla maternità surrogata. Pur nella estrema opinabilità di ogni soluzione, io penso che il principio di tutela della dignità della gestante ferita dalla mercificazione del suo corpo, quel principio sopra ampiamente evocato, non possa non influenzare la decisione. Ciò vale a dire che il considerare la gestazione per altri come pratica contraria ai principi fondamentali del nostro ordinamento non lascia spazio ad un bilanciamento con interessi diversi che faccia prevalere quello del minore alla conservazione dello status filiationis. Osservo al riguardo che il far coincidere il best interest of the child con la conservazione senza condizioni di un legame inteso come formativo della sua identità personale e sociale, richiamando il diritto, di cui ogni minore è titolare, a vivere in modo stabile in un ambiente domestico armonioso nel segno della continuità affettiva, vuol dire relegare nella sfera dell’irrilevanza l’aver fatto ricorso alla gestazione per altri, fornendo altresì legittimazione a rapporti instaurati sfuggendo ad ogni verifica del giudice italiano. Per questa via la tutela del presunto interesse del minore alla conservazione dell’esistente finisce anzi per prevalere sul principio di legalità, permettendo di aggirare il divieto di maternità surrogata. Rilevo inoltre che identificare il superiore interesse del minore con il diritto a conservare lo status filiationis riconosciuto da un atto formato all’estero significa formulare una valutazione del tutto priva di concretezza, in quanto svincolata da ogni riferimento alla vita di quel minore ed ancorata soltanto al dato giuridico dell’acquisizione dello status all’estero. Ancor prima, a me pare che tale identificazione, che prescinde dall’età del bambino e dalla durata e qualità del legame con i committenti, sia espressione di mera ideologia. Ritengo altresì che l’esigenza di tutela della stabilità affettiva e delle relazioni con gli adulti che hanno segnato nel passato la crescita del minore non possa confondersi con il rispetto a priori e in assoluto di situazioni poste in essere al di fuori di ogni controllo, spesso con l’inganno, sulla base di scelte ispirate ad un malinteso desiderio di genitorialità. Osservo ancora che l’identità personale è un concetto dinamico e relazionale, non cristallizzato al momento della nascita, ma soggetto ad essere influenzato dalle relazioni sviluppatesi con il mondo esterno, dall’appartenenza al luogo in cui si cresce, dalla storia e cultura propri e dei propri genitori. 76 The best interest of the child Credo piuttosto sia necessario chiedersi se corrisponda al miglior interesse del minore l’interruzione netta e definitiva, immediatamente dopo il parto, del legame simbiotico tra il nato e colei che lo ha generato, con una lacerante destrutturazione della relazione materna, associata al fatto di non poter mai neppure conoscere l’identità della genitrice. Per queste ragioni non condivido la posizione di coloro che tendono a distinguere il caso in cui si faccia questione di pretese strettamente inerenti al contratto di surrogazione, in cui la contrarietà all’ordine pubblico internazionale non potrebbe essere posta in dubbio, da quello in cui si invochi il riconoscimento dello status di figlio per il soggetto nato da tale pratica, in cui verrebbero unicamente in gioco l’interesse del minore ed i diritti fondamentali della persona. Come è noto, con la sentenza n. 24001 del 2014, pronunciandosi per la prima volta sul tema, la Corte di Cassazione ha ravvisato lo stato di abbandono, e di conseguenza l’adottabilità, di un minore nato da madre portatrice in Ucraina, procreato con gameti del tutto estranei ai coniugi committenti, entrambi cittadini italiani, in violazione anche della legislazione ucraina, che consente la gestazione surrogata a condizione che il patrimonio genetico del nascituro provenga almeno per metà dalla coppia committente. La Corte in tale decisione ha affermato che non poteva essere trascritto in Italia il falso certificato di nascita ucraino attestante il rapporto di filiazione con i committenti perché contrario all’ordine pubblico internazionale – inteso come comprensivo di principi e valori dell’ordinamento nazionale, purché fondamentali e irrinunciabili –, ritenendo che il divieto nel nostro Paese di pratiche di surrogazione di maternità posto dall’art. 12 comma 6 della legge n. 40 costituisce norma di ordine pubblico a presidio del valore fondamentale di dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto. La circostanza che nella fattispecie esaminata si trattava di surrogazione effettuata in violazione anche della legge ucraina – che rendeva certamente più agevole pervenire alla soluzione accolta – non esclude la validità dei principi enunciati in detta decisione anche in caso di surrogazione effettuata conformemente alle leggi del paese ospitante. La posizione espressa in quella sede ha trovato autorevole conforto nella sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo nel caso Paradiso e Campanelli c./ Italia, depositata il 24 gennaio 2017. La Grande Camera, in una fattispecie simile a quella esaminata dalla Cassazione, ribaltando la decisione della seconda sezione ha ritenuto La maternità surrogata e l’interesse del minore 77 che fosse applicabile l’art. 8 della CEDU quanto alla violazione del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, stante l’esistenza di un loro progetto di vita genitoriale con il quale la decisione di allontanare il bambino aveva interferito, ma che l’allontanamento dalla coppia committente era stato legittimamente disposto dallo Stato italiano in ragione dell’interesse pubblico superiore di ripristinare la legalità violata e dell’urgenza di adottare misure a tutela del bambino stesso. Ha altresì osservato che la decisione di allontanamento era sostenuta da ragioni sufficienti ed era proporzionata, in quanto qualsiasi altra misura che prolungasse la permanenza del minore con i richiedenti esponeva al rischio che il caso fosse deciso dal mero trascorrere del tempo, infine affermando che l’interesse generale prevalesse su quello dei ricorrenti di perseguire il loro progetto genitoriale. In conclusione la Grande Camera, nell’attribuire valenza negativa all’aggiramento delle norme italiane sull’adozione e sul divieto di maternità surrogata e nel considerare la mancata instaurazione, per il breve tempo trascorso, di quei legami familiari di fatto che nel bilanciamento degli interessi in conflitto avrebbero potuto prevalere, ha espresso la tendenza a rifiutare la logica del fatto compiuto e della esaltazione della genitorialità di intenzione, negando che il superiore interesse del minore, in termini di continuità affettiva, costituisse criterio prevalente rispetto all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Una posizione di cautela nei confronti della gestazione per altri, della quale si paventano i rischi di abuso, appare espressa dalla Corte EDU anche nel parere consultivo emesso (per la prima volta) il 10 aprile 2019 ai sensi del Protocollo n. 16, su richiesta della Corte di Cassazione francese, lì dove ha ritenuto – in relazione ad una fattispecie in cui il bambino era nato all’estero a seguito di maternità surrogata ed era stato concepito usando i gameti del padre committente ed in cui detta relazione genitoriale era stata riconosciuta nell’ordinamento nazionale – che il diritto del minore al rispetto della vita privata non richieda che il riconoscimento della relazione genitoriale con la madre designata, indicata nel certificato di nascita emesso all’estero come madre legale, assuma la forma necessaria della iscrizione nel registro delle nascite, in quanto un altro mezzo, come l’adozione da parte della madre designata, può essere utilizzato dal Paese aderente, sempre che la procedura stabilita dalla legislazione nazionale garantisca una sua attuazione tempestiva ed efficace, nel rispetto dell’interesse superiore del bambino. 78 The best interest of the child 3. La trascrivibilità dei certificati di nascita dei bambini nati all’estero da maternità surrogata. Il limite dell’ordine pubblico internazionale Le questioni fin qui affrontate spiegano con immediatezza la loro rilevanza in relazione al problema della trascrivibilità nei registri dello stato civile dei certificati di nascita di minori nati all’estero da pratiche di surrogazione. Il problema rivela tutta la sua attualità a fronte delle iniziative di sindaci di varie città italiane, di diverse estrazioni politiche, che consentono la trascrizione di atti di nascita da maternità surrogata rilasciati all’estero o anche la formazione in Italia di atti di nascita di minori contenenti l’indicazione di entrambi i genitori omosessuali. La nostra giurisprudenza di legittimità e soprattutto di merito ha avuto più occasioni di occuparsi di vicende siffatte: le decisioni hanno riguardato sia ipotesi di minori figli di due madri, l’una biologica e l’altra gestazionale, sia quelle in cui una sola delle due donne abbia dato il contributo alla nascita, sia, molto più raramente, casi di figli di due padri, uno dei quali abbia fornito il materiale genetico ad una donna rimasta innominata che abbia gestito la gravidanza e partorito il bambino. Come appare evidente, soltanto in quest’ultima ipotesi può ravvisarsi a monte, come evento generatore della nascita, un fatto di surrogazione di maternità. Nell’affrontare il quesito se tali trascrizioni siano compatibili con l’ordine pubblico internazionale, ai sensi degli art. 65 della legge n. 218 del 1995 e 18 del d.p.r. n. 396 del 2000, va richiamata la nota sentenza della Corte di Cassazione 2016 n. 19599, che, pur pronunciando in una fattispecie non integrante un’ipotesi di maternità surrogata, in quanto relativa ad un figlio nato da due madri, una italiana e l’altra spagnola, a ciascuna delle quali il bambino risultava legato da rapporto biologico, ha attribuito una portata estremamente restrittiva al concetto di ordine pubblico internazionale, assumendo il legame pur necessario con l’ordinamento nazionale come limitato ai principi fondamentali desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché dalla Convenzione europea di diritti dell’uomo, ossia ai principi che non potrebbero essere in alcun modo sovvertiti dal legislatore ordinario. Tale limitazione del concetto segnava un deciso mutamento di rotta rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale, che pur a fronte di una progressiva e costante riduzione della sua portata rispetto al passato, secondo una linea del La maternità surrogata e l’interesse del minore 79 tutto coerente con la storicità della nozione, si era attestato nel ritenere che l’ordine pubblico internazionale vada inteso come il complesso dei principi fondamentali che distinguono l’ordinamento interno, anche se privi di copertura costituzionale, e costituisca limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri a protezione della sua coerenza interna. Alla base di quell’indirizzo consolidato era il convincimento che la discrezionalità del legislatore in materia non costituzionalizzata non è assoluta, ma può e deve trovare limiti nella disciplina di istituti che hanno solo un indiretto riferimento nel quadro costituzionale e si radicano nella nostra tradizione giuridica e nella nostra identità culturale, così che quel determinato prodotto giudiziale straniero, ove introdotto nel sistema, risulterebbe abnorme o quanto meno totalmente confliggente con i principi fondamentali ed i valori che, pur non direttamente enunciati in Costituzione, segnano in modo essenziale, nell’ambito del quadro costituzionale, il nostro sistema interno. Un convincimento che non si fondava su una posizione antistorica e nazionalistica di chiusura nei confronti di istituti propri di ordinamenti diversi a tutela della identità giuridica e culturale del Paese, contrastante con la visione di una società aperta, tollerante e democratica, ma era rivolto a verificare se il recepimento di un istituto o di una pronuncia che nega un valore fondativo del nostro ordinamento metta in crisi la coerenza complessiva del sistema. Va altresì considerato al riguardo che l’armonia interna dell’ordinamento è un valore perseguito anche a livello internazionale, tanto che tutte le convenzioni internazionali prevedono la clausola di compatibilità con l’ordine pubblico, nonostante la normativa pattizia sia ispirata al diverso valore dell’armonia internazionale. Analoga previsione è riscontrabile nei regolamenti adottati dalle istituzioni europee, pur in presenza del clima di reciproca fiducia che ispira la normativa dell’Unione Europea. Come è noto, con la sentenza n. 12193 del 2019 le Sezioni Unite, alle quali era stata rimessa la soluzione del conflitto, chiamate a decidere in un caso riguardante una coppia omosessuale maschile, coniugata secondo la legge canadese, che aveva chiesto la trascrizione del nome del secondo padre nell’atto di nascita di due gemelli nati in Canada, hanno preso le distanze dall’indirizzo segnato da Cass. 2016 n. 19599 (successivamente ribadito da Cass. 2017 n. 14007 e 2017 n. 14878), enunciando il principio di diritto che la compatibilità con l’ordine pubblico “deve 80 The best interest of the child essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico”. Le stesse Sezioni Unite hanno altresì affermato che “il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’ intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione della maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di diritti fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983”. Lo spazio disponibile in questa sede non mi consente di svolgere un’analisi approfondita della decisione. Peraltro le osservazioni svolte in precedenza sul fenomeno della maternità surrogata, sull’interesse del minore e sul limite dell’ordine pubblico internazionale valgono almeno in parte ad evidenziare la mia condivisione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite. Mi limito ora ad aggiungere che netto è il superamento, pur apparentemente sfumato in alcuni passaggi del tessuto motivazionale, dell’indirizzo espresso dalla sentenza del 2016 n. 19599, che assumendo una nozione così restrittiva dell’ordine pubblico internazionale, sostanzialmente abrogatrice dell’istituto, aveva escluso la possibilità di verificare la compatibilità dell’atto di nascita straniero, che attribuiva la maternità naturale a due donne, con il complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico o La maternità surrogata e l’interesse del minore 81 fondati su esigenze di tutela dei diritti della persona, così precludendosi di cogliere la portata e le implicazioni delle disposizioni del codice civile, ed in particolare del terzo comma dell’art. 269 c.c., che assegnano unicamente alla partoriente la qualità di madre, quali norme caratterizzanti l’ordinamento interno. È proprio il forte richiamo alla rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione, che segna nella decisione delle Sezioni Unite la presa di distanza dalla pronuncia della prima sezione, la quale aveva eliminato la legge ordinaria dal giudizio di conformità all’ordine pubblico (secondo una impostazione dalla quale già la sentenza delle Sezioni Unite n. 16601 del 2017 in tema di punitive damages si era discostata), così da consentire di ricondurre nell’ambito dell’ordine pubblico internazionale il divieto di accesso alle tecniche di maternità surrogata. Osservo inoltre che il riferimento, pur veloce e in qualche misura assertivo, in quanto non supportato da argomentazioni esplicative, contenuto in alcuni passaggi della motivazione alla dignità della donna esprime un approccio corretto, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello etico e sociologico, al fenomeno della gestazione per altri. Rilevo altresì che le Sezioni Unite sembrano contrarie a seguire quell’orientamento dottrinario, recepito nella richiamata sentenza n. 19599 del 2016, che tende a ravvisare nell’interesse superiore del minore una clausola generale di interpretazione ed applicazione della normativa riguardante i minori anche in materia di status e ad attribuire a tale interesse superiore, nella sua declinazione di interesse alla conservazione dello status acquisito, pur se non corrispondente alla verità biologica, il ruolo di controlimite nella valutazione del contrasto con l’ordine pubblico o di canone interpretativo del concetto, così da svolgere una funzione integratrice e di conformazione della stessa nozione di ordine pubblico. Ed invero, nell’argomentare delle Sezioni Unite l’interesse del minore è assunto come autonomo canone di riferimento che, se da un lato richiede di prescindere dalla rigida alternativa tra vero e falso, dall’altro lato esige di tener conto di variabili più complesse, tra le quali assume particolare rilievo la presenza nell’ordinamento di strumenti legali idonei a consentire la costituzione di un rapporto giuridico del minore stesso con il genitore intenzionale. Seguendo tale impostazione le Sezioni Unite hanno ricordato, richiamando i rilievi svolti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017, che vi sono dei casi in cui la 82 The best interest of the child valutazione comparativa degli interessi è fatta direttamente dalla legge e che nella specie una valutazione siffatta è stata compiuta dal legislatore nel porre il divieto di maternità surrogata e al tempo stesso nel predisporre uno strumento idoneo a costituire con il genitore intenzionale un legame giuridico che, pur diverso da quello previsto dall’art. 8 della legge n. 40, garantisce al minore una adeguata tutela. Uno strumento siffatto è quello dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d) della legge n. 184 del 1983, inteso come clausola di chiusura del sistema, che appunto facendo leva sull’interesse del fanciullo a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con soggetti che di lui si prendono cura dà copertura giuridica ed assicura la continuità della relazione affettiva ed educativa. Anche tale posizione merita a mio avviso piena condivisione, atteso che il criterio del superiore interesse del minore è concettualmente distinto da quello dell’ordine pubblico: quelli di ordine pubblico e di interesse del minore sono concetti diversi, che presidiano valori diversi e che vanno tenuti distinti, pur nel loro possibile interferire. Tale distinzione concettuale è chiara nel pensiero delle Sezioni Unite, lì dove affermano che l’interesse del minore ben può “costituire oggetto di contemperamento con altri valori considerati essenziali e irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione ben può incidere sull’individuazione delle modalità più opportune da adottare per la sua realizzazione”. Pur dando atto del carattere compromissorio di alcuni passaggi argomentativi, evidentemente ispirati dall’esigenza di ridimensionare la portata dei contrasti emersi nella giurisprudenza della Corte, ritengo in conclusione che la soluzione accolta dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 sia meritevole di apprezzamento, per aver ben enucleato i principi e i valori, in primo luogo quello di dignità della persona, che caratterizzano il nostro ordinamento, per aver correttamente delineato la nozione di ordine pubblico internazionale, per aver ritenuto il ricorso all’adozione in casi particolari, finalmente soggetta al controllo del giudice per la verifica dei richiesti requisiti soggettivi ed oggettivi, e quindi al di fuori di ogni automatismo, lo strumento idoneo a garantire tutela giuridica al rapporto tra il minore e l’adulto a lui legato non da un rapporto biologico, ma di una relazione di cura e di vicinanza. L’auspicio è che i principi dettati dalle Sezioni Unite costituiscano fermi punti di riferimento per i giudici di merito, chiamati sempre più frequentemente ad esaminare, in un quadro così magmatico ed aperto La maternità surrogata e l’interesse del minore 83 a relazioni familiari del tutto nuove, fattispecie di grande complessità e delicatezza ed a fornire adeguate risposte di giustizia, senza fughe in avanti non supportate da un solido apparato argomentativo. The best interest of the child. L’interesse del minore nella giurisprudenza interna e internazionale Gabriella Palmieri Sommario: 1. Premessa. – 2. La giurisprudenza della Corte costituzionale. _ 3. La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione. _ 4. La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo. 1. Premessa 1.1. Desidero, innanzitutto, ringraziare vivamente la Professoressa Mirzia Bianca per avermi invitato insieme con Relatori così autorevoli a svolgere un intervento nell’ambito di un Convegno davvero prestigioso avente ad oggetto un tema così importante e di grande attualità qual è quello sul concetto del “best interest of the child”. Ne sono davvero molto onorata. Il tema induce a profonde riflessioni e il mio contributo è frutto dell’esperienza maturata nella trattazione del contenzioso attinente al tema del Convegno com’è stato declinato sia dalla giurisdizione nazionale, sia da quella internazionale. Nel trattare queste tematiche così delicate bisogna avere sempre molto garbo e grande rispetto nei confronti delle posizioni soggettive coinvolte, perché, al di là dei problemi squisitamente giuridici che si affrontano, vi sono comunque persone emotivamente coinvolte. L’Avvocatura dello Stato, nel difendere la legittimità di una norma o la sua interpretazione nell’applicazione in concreto, non si dirige contro singoli soggetti, ma porta all’attenzione dei Giudici principi e posizioni di carattere generale, che spesso non sono condivisi dalle parti private intervenute anche nel giudizio di costituzionalità. Tuttavia, è proprio il confronto dialettico che permette al Giudice di valutare con attenzione i diversi profili di una questione e di analizzarne tutte le sfaccettature. 86 The best interest of the child Si tratta in ogni caso di assumere posizioni e formulare conclusioni in termini essenzialmente giuridici e nell’esercizio del ruolo istituzionale di difensore tecnico del Governo, prescindendo, pertanto, dall’ottica morale e/o etica che non attiene a tale ruolo istituzionale. 2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale 2.1. Per quanto riguarda il giudice nazionale, le questioni che saranno analizzate nel corso di questo intervento sono state affrontate innanzi alla Corte Costituzionale. Si richiamerà anche la giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte di Cassazione e quella espressa dalla CEDU. Il contenzioso in materia innanzi alla Corte Costituzionale è, innanzitutto, caratterizzato da una casistica variegata che ne affronta gli aspetti sotto molteplici punti di vista. Alcune questioni rilevanti al fine di comporre il quadro generale di riferimento costituiscono la conferma che, sebbene in generale siano sensibilmente diminuite le questioni di legittimità costituzionale sotto il profilo numerico, sono, invece, aumentate le ordinanze di remissione che attengono a materie eticamente sensibili. 2.2. Procedendo a una disamina in senso diacronico va ricordata, come particolarmente significativa in tema di filiazione, la sentenza n. 266/2006, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 235, comma 1, n. 3, c.c., nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordinava l’esame delle prove tecniche del DNA alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Nel difendere la previsione normativa, avevo sostenuto la necessità di tutelare il “diritto a non sapere” del bambino laddove una simile notizia poteva alterare il suo equilibrio familiare e in tal senso avevo portato l’esempio di altri Paesi in cui, data la facilità con cui è possibile oggi reperire sul mercato un kit per il test del DNA, si è ritenuto di dover tutelare primariamente l’interesse del figlio a mantenere l’equilibrio raggiunto nella famiglia dov’era nato e cresciuto. La Corte Costituzionale ha ritenuto che, al fine di decidere la questione, assumessero rilevanza i progressi della scienza biomedica che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione, la difficoltà pratica, chiaramente evidenziata dall’ordinanza della Corte The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale 87 di Cassazione (remittente), di fornire una piena prova dell’adulterio e l’insufficienza di tale prova ad escludere la paternità; e ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie (punto 3. del Considerato in diritto). 2.3. Con la sentenza n. 31/2012, in tema di automatica decadenza dalla potestà genitoriale per dichiarazioni false in merito allo status del minore, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p. nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’art. 567, comma 2, c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto1. La sentenza ha argomentato che, come il dettato della norma rende palese, la citata pena accessoria consegue di diritto alla condanna pronunciata contro il genitore, precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento dei diversi interessi implicati nel processo e in questo consiste la sua illegittimità. La Corte, quindi, come pure in altre successive sentenze, ha valorizzato il ruolo del giudice nel valutare e operare il bilanciamento degli interessi contrapposti nel caso concreto (v. sentenza n. 225/16 infra). Come sottolineato dalla Corte, infatti, nella fattispecie in questione vengono in rilievo non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione. 1 Nel caso di specie, la madre aveva preferito alterare lo stato civile del figlio con false dichiarazioni per non rendere noto il nome del padre che riteneva non all’altezza di crescerlo a causa del suo legame con la malavita. In seguito, tuttavia, il padre aveva riconosciuto il figlio ed era così emersa la falsità della dichiarazione della madre. 88 The best interest of the child Si tratta di un interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno2. Va rimarcato che la citata sentenza afferma che “appare evidente, dunque, che nell’ordinamento internazionale è principio acquisito che in ogni atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse, considerato preminente. E non diverso è l’indirizzo dell’ordinamento interno, nel quale l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità, specialmente dopo la riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore” (punto 3. del Considerato in diritto). 2.4. Con la sentenza n. 7/2013 vengono ribaditi i principi affermati nella citata sentenza n. 31/2012, anche a proposito del delitto di soppressione di stato, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566, comma 2, del c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto (punto 4. del Considerato in diritto). 2 Quanto al primo, la Convenzione sui diritti del fanciullo (per quest’ultimo dovendosi intendere «ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile», ai sensi dell’art. 1 della Convenzione stessa), approvata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone nell’art. 3, primo comma, che “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell’art. 24, comma secondo, prescrive che “In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”; e il comma terzo del medesimo art. aggiunge che “Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse” (punto 6.3. del Considerato in diritto). The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale 89 Ha sottolineato, poi, la Corte che la questione risulta fondata anche sul versante della necessaria conformazione del quadro normativo agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese sull’aspetto specifico della protezione dei minori (la Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 3, primo comma; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, art. 6, modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi “prima di adottare qualsiasi decisione”, stabilendo che l’autorità stessa deve “esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo”; le specifiche indicazioni enunciate nelle Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su una “giustizia a misura di minore”, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098^ riunione dei delegati dei ministri, posto che, fra gli altri importanti princìpi, il documento espressamente afferma che «Gli Stati membri dovrebbero garantire l’effettiva attuazione del diritto dei minori a che il loro interesse superiore sia al primo posto, davanti ad ogni altra considerazione, in tutte le questioni che li vedono coinvolti o che li riguardano» (punto 6. del Considerato in diritto). 2.5. Tra le principali questioni in tema di filiazione (che ho avuto modo di trattare anche direttamente), va annoverata senz’altro la sentenza n. 162/2014, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo il divieto della maternità surrogata previsto dall’art. 12 della legge n. 40/2004 e ribadito l’incompatibilità di tale pratica medica con il nostro ordinamento. Nella sentenza n. 162 del 2014 è stato affermato che la legge n. 40 del 2004 citata costituisce la “prima legislazione organica relativa ad un delicato settore […] che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa” (punto 5. del Considerato in diritto). Le relative questioni di costituzionalità toccano temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore (ibidem, punto 5. del Considerato in diritto). 90 The best interest of the child Si tratta, infatti, di una materia nella quale le scelte legislative non costituzionalmente obbligate sono sindacabili al solo fine di verificare se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano3. La progressiva eliminazione di tali divieti è espressione di un’analisi e di una valutazione specifica su singoli aspetti di un problema che non può essere riassunto in un giudizio di valore unitario, in quanto la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli e la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti (sentenze n. 162 del 2014, punto 6. del Considerato in diritto; n. 189 del 1991 e n. 123 del 1990). Nella citata sentenza n. 162 del 2014, la Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale della preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo alle coppie affette da grave patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, senza porre in discussione la legittimità del divieto di tale pratica, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 citata, e nemmeno la sua assolutezza, “poiché la dichiarata illegittimità del divieto non incide sulla previsione recata dall’art. 5, comma 1, di detta legge, che risulta ovviamente applicabile alla PMA di tipo eterologo (come già a quella di tipo omologo); quindi, alla stessa possono fare ricorso esclusivamente le “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”” (punto 6. del Considerato in diritto). Infine, la Corte ha ritenuto irragionevole un divieto indiscriminato di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita nell’ipotesi di una coppia affetta da patologie trasmissibili, rispetto alle quali sarebbe più traumatica l’interruzione della gravidanza (sentenza n. 96 del 2015)4. 3 Alla luce del dichiarato scopo della legge n. 40 del 2004 “di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” (art. 1, comma 1), negli interventi in tema di procreazione medicalmente assistita, la Corte Costituzionale ha dapprima, con la sentenza n. 151 del 2009, rimosso il limite della ammissibilità di un unico impianto di ovuli; ha, poi, con la sentenza n. 162 del 2014, eliminato il divieto di fecondazione eterologa; ha, infine, con la sentenza n. 96 del 2015, eliminato il divieto di accedere alla fecondazione assistita per coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili. 4 Questa ricostruzione dei principi generali della materia trova un preciso riscontro logico-giuridico nelle analoghe considerazioni svolte dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, nella sentenza n. 12193/2019, depositata in data 8 maggio 2019, successivamente, quindi, allo svolgimento del Convegno, (punti 13.2. e 13.3. delle Ragioni della decisione), con la quale, in particolare per quel che rileva in The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale 91 La stessa norma, come interpretata estensivamente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 12962 del 2016, esclude l’adozione speciale del figlio del coniuge, ai sensi dell’art. 44, lett. b), della legge n. 184 del 1983 citata, ma lascia aperta l’applicazione della lett. d), del medesimo art. (impossibilità di affidamento preadottivo). È nel contesto così delineato che va esaminata la posizione dei genitori o di coloro che aspirano a divenire tali, tenendo ben presente la ratio della disciplina sulla PMA che è quella di tutelare il superiore interesse del nascituro. Se, in precedenza, il contenuto della filiazione5 veniva principalmente identificato nella patria potestà, nel tempo si è posto l’accento sul legame personale e sul ruolo che è chiamato a svolgere il figlio. Questi non è più la parte passiva di un rapporto di soggezione, ma la figura centrale che, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni, condiziona lo svolgimento del rapporto e il cui interesse tende a prevalere su ogni altro interesse contrario al suo sviluppo coerente e completo. Tale diritto, che afferisce all’identità personale del minore, nella sua precisa e integrale dimensione psico-fisica, comporta che il diritto alla genitorialità sussiste se corrisponde al migliore interesse per il minore medesimo (“the best interest of the child”, secondo, appunto, la formula rinvenibile nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 e adottata come sintetica, ma efficace, complessiva espressione concettuale). 2.6. Va ricordato il caso deciso con la sentenza n. 225/20166 con la quale la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter c.c., osservando che “l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore [questo è il punto nodale della decisione n.d.r.], di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con questa sede, sono state risolte le questioni relative al concetto di ordine pubblico da applicare in casi analoghi e sulla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, contenente il riferimento al doppio padre. 5 V. retro, nota 2, pag. 4. 6 Il caso era quello di due donne legate da una relazione omoaffettiva che, dopo aver avuto una coppia di gemelli attraverso la procreazione assistita eterologa, avevano interrotto la loro relazione. In particolare, la madre biologica aveva escluso l’altra, il c.d. genitore sociale, dalla vita dei bambini e la Corte d’Appello di Palermo aveva rimesso il caso davanti alla Corte Costituzionale, dubitando che fosse legittimo non riconoscere alcun diritto al cd. genitore sociale soltanto perché non legato biologicamente ai bambini. 92 The best interest of the child soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione” (punto 3.2. del Considerato in diritto). “Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente” (punto 3.3. del Considerato in diritto). Tali considerazioni di sistema inducono la Corte Costituzionale a dichiarare la questione di legittimità non fondata, proprio perché non vi era un vuoto di tutela dell’interesse del minore, in quanto rientra nei poteri del Giudice ordinario disporre in modo da consentire ai due bambini di continuare a frequentare anche l’altro genitore c.d. “sociale”. La Corte Costituzionale ha, dunque, recepito nella sua decisione e ha utilizzato nella loro accezione ormai comunemente accettata termini coniati di recente, come “genitore sociale”, “genitore biologico” e “genitore genetico” per descrivere situazioni in evoluzione che non sono omologabili nei concetti anche giuridici tradizionalmente in uso. 2.7. L’interesse del minore è stato considerato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., censurato nella parte in cui non prevedeva che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità, potesse essere accolta solo quando fosse rispondente all’interesse del minore. Secondo la Corte Costituzionale, pur dovendosi riconoscere in ipotesi di maternità surrogata un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con l’interesse concreto del minore, in tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale7. Secondo la Corte Costituzionale, peraltro, “si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che 7 In tal senso anche la sentenza della Cassazione n. 12193/19 citata, ibidem, punto 13.2., p. 36-37. The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale 93 il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale” (sentenza n. 272/17 citata, punto 4.3. del Considerato in diritto). 3. La Giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione Anche il diritto alla genitorialità è stato evocato dalla giurisprudenza che si è occupata della genitorialità delle coppie omosessuali al solo fine della valutazione delle conseguenze sulla posizione giuridica del minore, in comparazione con l’interesse dello stesso a conservare determinati rapporti affettivi (Corte di Cassazione, sentenze n. 14878 del 2017 e n. 19599 del 2016 citate). Il diritto di un adulto di procreare non appare tutelato nella sua assolutezza dall’ordinamento, né la configurazione costituzionale della famiglia appare preordinata esclusivamente alla filiazione. Se la nostra legislazione tutela l’interesse del minore alla genitorialità ed il suo diritto a mantenere rapporti significativi anche con il cosiddetto “genitore sociale” (dunque, anche nell’ambito di coppie dello stesso sesso, sentenza n. 225/2016 citata), non è riscontrabile alcuna disposizione che assicuri il diritto di un adulto a procreare. Del resto, nell’architettura costituzionale la famiglia non è concepita come una formazione necessariamente preordinata alla filiazione, come si evince proprio dalla struttura stessa dell’art. 30 della Costituzione, che enuncia il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli e non è, invece, finalizzata a garantire il benessere psico-fisico della coppia attraverso la filiazione. Sul punto si osserva, peraltro, che la stessa giurisprudenza costituzionale ha inteso la nozione di famiglia come non necessariamente legata alla presenza dei figli (sentenze n. 189/1991 e n. 123/1990 citate). La prospettiva concettuale che non può essere condivisa è quella che finisce per esprimere unicamente e semplicemente una impostazione decisamente “adultocentrica”, lontana o che, comunque, non tiene affatto conto del principio del “best interest of the child”, ovvero della necessità di adottare tra più soluzioni astrattamente possibili quella più conforme e adatta alle esigenze del minore. Tale considerazione trova conferma proprio nella stessa giurisprudenza della Corte EDU, nella parte in cui precisa che, pur non potendosi ignorare il dolore provato da coloro i quali vedono frustrato il proprio desiderio di genitorialità, non può ritenersi sanci- 94 The best interest of the child to in base alla Convenzione “alcun diritto di diventare genitore”, statuendo, altresì, che quest’ultima aspirazione deve comunque cedere rispetto al superiore interesse del nascituro che, infatti, non verrebbe adeguatamente tutelato ove venissero consentite pratiche di fecondazione assistita al di fuori dei limiti consentiti dalla normativa vigente (in questo senso, CEDU, Grand Chambre, 24 gennaio 2017, causa Paradiso Campanelli c. Italia, su cui ci si soffermerà più diffusamente infra). Il tema della genitorialità nelle coppie dello stesso sesso è stato affrontato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex plurimis, sentenze n. 14878/2017; n. 19599/2016; e n. 12962/2016) soltanto al fine di valutarne la compatibilità rispetto all’interesse del minore a conservare determinati rapporti affettivi, già sviluppatisi nel tempo all’interno di nuclei anche omoaffettivi. Si tratta, pertanto, di decisioni che hanno affrontato il nodo problematico relativo alla opportunità per il minore di vedere in parte giuridicamente riconosciuti taluni rapporti affettivi, precedentemente costituitisi e consolidatisi nel tempo, e che, viceversa, in alcun modo hanno affermato un ipotetico “diritto ad essere genitori”. E ciò in quanto le citate pronunce, lungi dal riconoscere e tutelare in via preminente una pretesa alla genitorialità, hanno, in realtà, posto al centro dell’attenzione le esigenze dei singoli minori coinvolti, piuttosto che gli interessi e le aspirazioni degli adulti interessati, in una corretta prospettiva “puerocentrica”8. 8 Su questi concetti ho basato la difesa della legittimità costituzionale delle norme di cui articoli 5 e 12, commi 2, 9 e 10 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante le “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, nella parte in cui, rispettivamente, limitano l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole “coppie di sesso diverso” (art. 5 citato) e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche “a coppie composte da soggetti dello stesso sesso” (art. 12 citato). La questione di costituzionalità è stata discussa all’udienza del 18 giugno 2019, quindi successivamente allo svolgimento del Convegno. Con comunicato stampa nella stessa data dell’udienza, è stata data notizia che la Corte costituzionale si era riunita in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte faceva sapere che al termine della discussione le questioni erano state dichiarate non fondate. La Corte aveva, infatti, ritenuto che le disposizioni censurate non fossero in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali remittenti. The best interest of the child nella giurisprudenza interna ed internazionale 95 Non si tratta, pertanto, del riconoscimento di un diritto alla genitorialità in quanto tale, ma piuttosto della necessità di assicurare la costante prevalenza del “best interest of the child”9. Come sottolineato da autorevole dottrina, bisogna, peraltro, usare una “particolare cautela quando ci si addentra in ambiti dal forte carattere assiologico, come quello della procreazione, in quanto si potrebbe arrivare a ricondurre quelli che nascono come bisogni sotto l’etichetta di diritti”. 4. Nella giurisprudenza interna ed internazionale Va, infine, ricordata la già citata (supra, punto 3. p. 10) sentenza 24 gennaio 2017 della Grand Chambre della Corte EDU, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia, che, in relazione alla decisione di allontanamento del minore per un caso di maternità surrogata, caratterizzato dall’assenza di legame biologico tra i genitori intenzionali e il minore, dopo il ricorso dello Stato italiano, ha modificato l’esito non definitivo della sentenza del 27 gennaio 2015, affermando che una coppia non può riconoscere un figlio come suo, se il bambino è stato generato senza alcun legame biologico con i due aspiranti genitori e grazie ad una maternità surrogata. Ha riconosciuto, quindi, che i giudici italiani hanno realizzato un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco, restando, nel contempo nei limiti dell’ampio margine di apprezzamento del quale disponevano nel caso di specie (§ 215). 9 D’altronde, recentemente, quindi, dopo lo svolgimento del Convegno, la Cassazione, Prima Sezione Civile, in una fattispecie affatto particolare (PMA che ha consentito il concepimento successivo alla morte del coniuge che aveva espresso il consenso in base all’art. 6 della legge n. 40/2004 citata), ha precisato che se, da un lato, “la genitorialità spesso può anche scindersi dal nesso del matrimonio e della famiglia, declinandosi in una molteplicità di contesti prima ritenuti inediti, è necessario comprendere se i divieti di genitorialità pur evincibili dal nostro ordinamento, possano fungere da “controlimite” alla tutela dei diritti di chi è nato, oppure se occorra superare i confini della tradizione ed accettare, regolandoli i nuovi percorsi della genitorialità” (sentenza n. 1300/19, depositata il 15 maggio 2019, punto 7.3.3., pag. 19, delle Ragioni della decisione); dall’altro, ha riconosciuto la correttezza dell’assunto in base al quale “l’ordinamento deve proteggere l’infanzia garantendo il diritto ad avere una famiglia composta da due figure genitoriali nel chiaro intento positivo di considerare prevalente la tutela del nascituro rispetto alla genitorialità”. Ha risolto, quindi, “la concreta fattispecie” al suo esame nel senso che, nella specie, “l’interesse del nato è quello di acquisire rapidamente la certezza della propria discendenza bigenitoriale, elemento di primaria rilevanza nella costruzione della propria identità (ibidem, punti 7.8.8.6.2., 7.8.9. e 7.9. delle Ragioni della decisione). 96 The best interest of the child In ogni caso, sia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza, che, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, TUE, ha assunto “lo stesso valore giuridico dei trattati”), sia la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali – CEDU – in materia familiare rinviano in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei principi ivi affermati. In particolare, l’art. 9 della Carta, nel riconoscere il “diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia”, riserva ai singoli Stati membri dell’Unione il compito di garantirli nei rispettivi ordinamenti “secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, in tal modo esplicitamente chiarendo che la disciplina generale concernente la garanzia di tali diritti è “materia” attribuita alla competenza di ciascuno degli stessi Stati membri (in questo senso, Cassazione civile, Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184). Analogamente, l’art. 12 della CEDU afferma esplicitamente che “uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”. Pertanto, come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione dianzi richiamata, sussiste, in materia familiare, una riserva assoluta di legislazione nazionale. Grazie per l’attenzione. L’interesse del minore Paolo Papanti Pelletier “L’interesse del minore” è una clausola generale dell’ordinamento e non si presta alla riconduzione ad un significato univoco. Vengono analizzati, nel corso del convegno, vari aspetti nei quali assume rilevanza l’interesse del minore. Si tratta di aspetti diversi, che vanno da profili strettamente personalistici (per es., il diritto a conoscere le proprie origini), a profili riguardanti il mondo degli affetti (per es., il diritto a mantenere rapporti significativi con i parenti), a profili riguardanti l’ambiente di vita (per es., l’interesse valutabile ai fini dell’affidamento), a profili di carattere economico (per es., l’accettazione o il rifiuto dell’eredità), etc. Ciò, per accennare solo ad alcuni dei profili di rilevanza del tema oggetto di queste giornate di studio. Difficile è il compito di stabilire a chi spetti il potere-dovere di giudicare se sussista o non sussista l’interesse del minore. In alcuni casi è la legge che assegna tale compito al giudice. In altri casi sono i genitori o addirittura terzi soggetti i destinatari del compito ora detto. Ancor più difficile è stabilire quando vi sia, nelle singole situazioni ipotizzate dalle norme, l’interesse del minore. È noto che, a tale riguardo, sono state prospettate varie tesi, la più estrema delle quali può considerarsi quella, secondo cui tale interesse sussisterebbe quando fosse corrispondente alla volontà del minore. Ciò presupporrebbe l’acquisizione della capacità di discernimento da parte del minore, nonché, evidentemente, la manifestazione di tale volontà mediante l’“ascolto”, oggi disciplinato dall’art. 337 octies c.c. È da notare peraltro che la norma ora citata prevede l’ascolto “del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”. Il che può comportare che venga chiamato ad 98 The best interest of the child esprimersi su scelte importanti anche un bambino, perché tale può considerarsi non solo il soggetto infra-dodicenne, ma anche colui o colei che abbia appena compiuto dodici anni o poco più. Queste semplici osservazioni mi inducono a ritenere che l’interesse del minore non possa e non debba necessariamente coincidere con la volontà espressa dal minore, tanto più tenuto conto che essa potrebbe essere indirizzata o deviata da parte di un genitore o da soggetti terzi. Credo che un parametro sicuro di riferimento sia costituito dal dettato dell’art. 337 ter, comma 2, c.c., nella parte in cui dispone che “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Gli aggettivi ora citati, per di più nella sequenza risultante dal dettato normativo, indicano – a mio avviso – chiaramente che il parametro da seguire nell’adozione delle scelte non possa essere soggettivo, ma debba essere necessariamente obiettivo. La norma citata assume una valenza che va ben al di là dell’ambito applicativo in cui essa è collocata. Ferma, infatti, la sua immediata applicazione alla sedes materiae relativa all’affidamento, non va trascurato che essa è prevista nel contesto di un lungo articolo (337 ter c.c.) che reca la rubrica “Provvedimenti riguardo ai figli”, che a sua volta si inserisce nel Capo II, dedicato all’esercizio della responsabilità genitoriale nelle varie ipotesi di crisi della coppia. Il quesito si sposta allora nella determinazione prima dell’interesse morale e poi dell’interesse materiale. Ritengo che per interesse morale debba intendersi un’attenzione particolare alla formazione del minore in un ambiente sano, in cui egli possa ricevere gli strumenti per un suo equilibrato sviluppo, tenuto conto delle regole di condotta che dovranno condurlo progressivamente ad assumere comportamenti maturi e consapevoli. Va inoltre considerato che l’aggettivo “morale” ha un’indubbia attinenza con i valori etici ed educativi, che portano necessariamente con sé la formazione secondo canoni della morale religiosa o laica. È allora inevitabile che, volendo restare fedeli al dettato normativo, si debbano individuare modalità per far sì che al suddetto interesse corrisponda una formazione etica del minore. Ciò inevitabilmente potrà comportare il fatto che il giudice, qualora sia chiamato a pronunciarsi su vertenze concernenti per esempio, l’affidamento esclusivo o il c.d. affidamento familiare, debba tenere in prioritaria L’interesse del minore 99 considerazione la personalità morale del soggetto al quale il minore dovrebbe essere affidato. Più semplice è indubbiamente la risposta al quesito relativo alla determinazione dell’interesse materiale. Senonché, anche in questo caso occorre distinguere a seconda delle ipotesi considerate. Certamente, se si trattasse di decidere in ordine all’accettazione o alla rinuncia ad una eredità, il criterio basilare di valutazione dovrebbe essere quello economico. Tale criterio tuttavia non dovrebbe essere disgiunto, anche in questo caso, da valutazioni di carattere morale (per es., nel caso in cui si trattasse di dare l’assenso all’accettazione o alla rinuncia di una eredità, sia pur cospicua, già appartenuta ad un noto pregiudicato arricchitosi con attività criminali o di dubbia moralità). Se poi si trattasse di decidere in merito ad uno dei casi di affidamento sopra accennati, il citato criterio economico non potrebbe costituire certamente il criterio preminente, la cui conseguenza sarebbe quella dell’affidamento del minore alla persona più facoltosa. Anche in questo caso ritengo che la valutazione del profilo morale della persona giochi un ruolo molto rilevante, di cui sicuramente si dovrà tener conto nell’individuazione della persona affidataria. In conclusione, su questo punto, ritengo che si possa affermare che nella difficile applicazione dell’interesse del minore, quale clausola generale dell’ordinamento, un utile indirizzo possa essere costituito dagli indicati parametri di cui all’art. 337 ter, comma 2, c.c. * * * Se poi si passa all’analisi di aspetti particolari, come per esempio quello, assai delicato, della determinazione del genitore c.d. collocatario nella separazione, nel divorzio e nella cessazione della convivenza non matrimoniale, l’individuazione dell’interesse del minore diventa ancor più complessa. È noto che l’indicazione del genitore con collocazione prevalente – generalmente la madre – porta con sé, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., l’assegnazione della casa coniugale allo stesso genitore. In effetti, non vi è dubbio che sia interesse del minore continuare a vivere in quello che è stato il luogo dei suoi affetti, per evitare che il disgregarsi del consorzio genitoriale comporti anche una grave situazione di disagio ambientale. Occorre, tuttavia, a questo riguardo, distinguere varie ipotesi. 100 The best interest of the child C’è l’eventualità ottimale che il genitore non collocatario, uscendo dalla casa familiare, trovi un alloggio adeguato per sé e per i figli per il periodo di tempo che egli trascorre con loro. Ma c’è l’eventualità, purtroppo non infrequente, che il genitore non collocatario non abbia le possibilità economiche per procurarsi un simile alloggio. Senza arrivare ai casi di cronaca dei padri che pernottano in automobile e che consumano i pasti nelle mense della Caritas, è frequente il caso di genitori non collocatari che dispongono solo di un posto letto o che comunque non hanno la possibilità di dare alloggio ai figli e di fornire loro uno spazio da condividere. È anche da tenere in considerazione che il genitore non collocatario non può assumere il ruolo di un soggetto che trascorre con i figli solo i momenti ludici, portandoli al luna-park, al cinema o in pizzeria. Ciò distorce l’immagine che i figli si formano di tale genitore, che non trascorre con loro momenti di vita reale, la quale è fatta talvolta di giochi, ma più spesso di vita comune, costituita semplicemente dallo stare insieme così come avviene ordinariamente in famiglia. Va inoltre considerato che, anche quando vi sia un alloggio adeguato per la prole, può verificarsi l’eventualità che il figlio non possa uscire di casa, perché malato, o perché deve fare i compiti o per altre esigenze. Ciò comporta inevitabilmente che il genitore non collocatario – così come un tempo il genitore non affidatario – “perda il turno”, generalmente senza possibilità di recupero, salvo che vi sia la benevolenza dell’altro genitore. A me sembra che per risolvere questi problemi si possa trovare un semplice rimedio, di carattere non normativo ma giurisprudenziale. L’assegnazione della casa familiare non deve essere intesa come estromissione assoluta dell’altro genitore. Ferma, infatti, l’abitazione e la messa a disposizione, in generale, a favore del genitore collocatario, essa deve poter servire anche alla ordinaria frequentazione dei figli da parte dell’altro genitore, salvo che questi non preferisca portare i figli con sé nella propria abitazione (se ne dispone) o altrove. Pertanto, già nella fase presidenziale dei procedimenti di crisi familiare o successivamente nella fase istruttoria o nella sentenza, potrebbe essere disposto che il genitore non collocatario abbia la facoltà di frequentare i figli, se lo ritiene, nella casa familiare. Ciò risolverebbe molti dei problemi sopra evidenziati e soprattutto costituirebbe senz’altro un provvedimento nell’interesse dei figli minori. The best interest of the child nella giurisprudenza della Corte suprema di cassazione Luigi A. Scarano Sommario: 1. Introduzione. – 2. Origine storica. – 3. The best interest of the child nell’ordinamento italiano. – 4. Segue. Nel codice civile. – 5. Segue. Nella giurisprudenza. – 6. Interesse del minore e principio di legalità. – 7. Segue. La sentenza Cass. n. 19599 del 2016. – 8. Segue. Il caso Paradiso e Campanelli c. Italia. – 9. Conclusioni. 1. Introduzione È anzitutto da chiedersi perché fare ricorso all’utilizzazione dell’espressione The best interest of the child anziché quella corrispondente in italiano. E se esiste una formula esattamente corrispondente in italiano. Ulteriore quesito riguarda l’utilizzata formula al singolare, anziché al plurale. 2. Origine storica La locuzione best interests of the child costituisce l’originario paradigma del sistema di common law anglo-americano, che trova le sue origini nell’avvento della rivoluzione industriale, con l’affermazione della nuova famiglia borghese e del pensiero illuminista, allorquando venne ad assegnarsi per la prima volta un valore all’infanzia quale bene della comunità da promuovere e perseguire, nonché la predisposizione di strumenti giuridici di tutela e di promozione del benessere dei minori. Furono emanate le prime leggi a tutela del lavoro dei minori e a promozione dell’esigenza di istruzione e del benessere dei medesimi1. 1 V. L Giacomelli, (Re)Interpretando i Best Interests of the Child: da strumento di giustizia 102 The best interest of the child La Factory Regulation Act del 1833 stabilì il divieto di lavorare per i minori di 9 anni, riducendo ad 8 ore la giornata lavorativa dei minori al di sotto di 13 anni ed introducendo l’obbligo di istruzione. La Guardianship of Infant’s Act del 1886 introdusse la previsione che nelle decisioni concernenti l’educazione del minore il giudice potesse tener conto del benessere dello stesso. Già in precedenza, con la decisione del caso Commonwealth v. Addicks del 1815 una Corte americana aveva fatto invero riferimento al best interest of the child nell’esercizio del proprio potere discrezionale per affidare i figli minori alla madre, in ragione della relativa tenera età2. Per la prima volta, facendo uso del suo potere discrezionale, il giudice americano fece in tal caso eccezione alla regola secondo cui the laws is clear, the custody of a child, of whatever age, belongs to the father, if he chooses3. Il giudice aveva in tal modo elaborato il rimedio per non applicare la norma di legge, individuando il criterio per ovviare, nel caso concreto, alla rigidità del sistema. Analogamente, nei casi United States v. Green del 1824, Commonwealth c. Wales Briggs (1834) Mercein c. Barry (1840) l’interesse del minore venne ad essere per la prima volta indicato come paramount rispetto ai diritti dei parents, che debbono cedere to the interests and welfare of the infant4. Il paradigma del best interest of the child nasce dunque in un alveo di concezione e tradizione ancor oggi molto diverso da quello dei Paesi europei di diritto continentale (civil law), e dell’Italia in particolare. Mentre in questi ultimi è senz’altro scontato e incontroverso che anche i minori siano titolari di diritti, e in particolare di quelli assoluti e fondamentali-, in quanto persone, e pertanto alla stregua della dignità umana innata e propria di ogni persona, origine e fondamento di ogni suo diritto, a prescindere pertanto dalla capacità di compiere scelte inerenti la propria vita, nel sistema di common law anglo-americano il paradigma del best interest of the child nasce ed evolve come una sorta di autolimitazione del potere degli adulti sui minori, indotta dai cambiamenti della società5. sostanziale a mera icona linguistica, in F. Giuffrè - I. Nicotra (cur.), La famiglia davanti ai suoi giudici, Atti del Convegno dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Catania 7-8 giugno 2013, 2014, p. 467 e 469 ss. 2 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 471. 3 Principio affermato nel caso inglese De Manneville c. De Manneville del 1804, citato da L. Giacomelli, op. loc. ult. cit., nota n. 7. 4 V. la citazione in L. Giacomelli, op. cit., p. 472. 5 V. E. Lamarque, op. cit., p. 41 ss. e 67. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 103 In tale sistema predomina la will theory, caratterizzata dalla concezione dei diritti individuali quali pretese azionabili da parte di individui autonomi e capaci di scegliere ciò che è meglio per la loro vita (claims by autonomous, self-determining and self-interested individuals). Essendo i minori individui non autonomi ed incapaci di scelte autonome, in quanto ancora privi di piena capacità di discernimento, sull’onda del paternalismo liberale (Mill) matura l’esigenza di proteggere i minori da loro stessi, allo scopo di tutelare i relativi interessi fino al momento dell’acquisto della capacità di essere responsabili dei propri atti illeciti6. Attribuire a chi non ha affatto (minore in tenera età) ovvero non ha piena (adolescente) capacità di discernimento le medesime prerogative di autodeterminazione di un adulto significa infatti danneggiarlo o esporlo a gravi pericoli, sicché non si possono “abbandonare i minori ai loro diritti”7, e cioè alle loro scelte, che possono rivelarsi per i medesimi dannose, ed emerge la necessità di compensare la loro debolezza e vulnerabilità. In tale sistema, i minori non sono titolari di diritti in senso proprio (perché il termine rights si presta ad essere inteso nel senso di pretese, e pretese azionabili – claims – di autodeterminazione) ma meritevoli di protection, di un intervento sostitutivo, di sostegno, di assistenza a carico degli adulti e dell’intera società nei loro confronti8, versando essi (come gli anziani, i malati e i disabili9) in una situazione di dipendenza da altri. Ai children non debbono essere riconosciuti rights ma deve essere garantita protection. Soggetti pubblici o privati sono incaricati di decidere per loro e al loro posto in ordine a quale sia il loro best interest o i best interests, e cioè quali scelte realizzano meglio il loro welfare e il loro well-being10. I diritti dei minori sono stati definiti quali meri moral rights, semplici doveri morali a carico degli adulti e della società), ritenendosi difficile qualificarli legal rights. 6 In tema di capacità delittuale del minore v. C.M. Bianca, Diritto civile 1, Milano, 2002, p. 239 ss. 7 V. B.C. Hafen, Children’s Liberation and the New Egalitarism: Some Reservations About Abandoning Youth To Their Rights, in BYU L. Rev., 1976, p. 607, citato da E. Lamarque, p. 51, nota 74. 8 V. E. Lamarque, op. cit., p. 51-52. 9 V. E. Lamarque, op. cit., p. 42-43. 10 V. E. Lamarque, op. cit., p. 52. 104 The best interest of the child Anche chi (advocats of the children’s rights) è favorevole al riconoscimento di veri e propri diritti in capo ai children muove invero dalla concezione dei diritti individuali propria della will (o choise o power) theory, quali poteri di scelta preminenti sulla altrui volontà, ritenendo necessario garantire ai minori la possibilità di compiere autonomamente le scelte che li riguardano, determinando essi medesimi il modo migliore di condurre la loro vita (teoria dell’authonomy o della self-determination, che muove dalla ideologia liberazionista)11. Nato come criterio di giudizio, come strumento di giustizia sostanziale nel singolo caso concreto, declinato al plurale (best interests), diviene in breve anche criterio che deve guidare la discrezionalità del legislatore, nei suoi interventi in favore del minore. Da criterio di giudizio, di soluzione del singolo caso concreto, esso diviene criterio che deve guidare la disciplina generalizzata della misura di protezione per tutti coloro (minori) che si trovino in una determinata situazione, assumendo pertanto rilievo di carattere generale12. Il paradigma acquista plurimi significati, diviene polisenso e si sviluppa la Best Interests of the Child Doctrine13, su cui si fonda la legge del Massachusetts del 1851 in tema di adozione14 per pervenire a consentire che il minore venga definitivamente inserito in una famiglia diversa da quella di sangue15. Da criterio di giustizia sostanziale del singolo caso concreto il paradigma best interest of the child diviene criterio per individuare la soluzione ideale generale e astratta per ogni situazione. Tramite il diritto internazionale esso viene ad assumere rilievo anche nel civil law16. 11 V. E. Lamarque, op. cit., p. 50-51. 12 V. E. Lamarque, op. cit., p. 64-65. 13 V. E. Lamarque, op. cit., p. 69; L. Giacomelli, op. cit., p. 477. 14 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 473-475. 15 V. L. Lenti, Vicende storiche e modelli di legislazione in materia adottiva, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, II, Filiazione, p. 777 ss. citato da E. Lamarque, op. cit., p. 69 nota 115. 16 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 477. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 105 La diversità tra la concezione anglo-americana dei children’s rights e quella europea dei diritti dei minori si riflette invero anche negli strumenti internazionali17, sembrando “fin dall’origine” incolmabile18. La Dichiarazione di Ginevra della Società delle Nazioni del 1924 è di matrice britannica19, e risulta improntata alla concezione dei doveri degli adulti verso i minori, enunziando obblighi morali (duties) nei loro confronti20. La Dichiarazione ONU di New York dei diritti del fanciullo del 1959 contempla espressamente il principio del best interest of the child, che assurge a criterio guida della medesima, con riferimento sia all’azione dei pubblici poteri (in particolare i legislatori nazionali) che dei privati (i genitori). I best interests of the child sono indicati (al 2° principio) come da tenersi in the paramount consideration e (al 7° principio) quale criterio guida per tutti coloro che hanno la responsabilità dell’educazione e dell’orientamento del minore. La Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 (resa esecutiva in Italia con L. n. 176 del 1991)21 riflette emblematicamente le differenti concessioni dei sistemi di common law anglo-americani e di quelli di diritto continentale europeo22. Il minore risulta tratteggiato come persona titolare di diritti fondamentali solo in ragione della sua qualità di essere umano (e non anche della sua capacità di esercitarli), estranea alla concezione della tradizione anglo-americana. 17 La Dichiarazione di Ginevra della Società delle Nazioni del 1924, la Dichiarazione ONU di New York dei diritti del fanciullo del 1959, la Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 (resa esecutiva in Italia con L. n. 176 del 1991), la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale del 1993, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo (Strasburgo 1996, resa esecutiva con L. n. 77 del 2003), la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. proclamata a Nizza nel 2000 e riproclamata a Strasburgo nel 2007. 18 V. E. Lamarque, op. cit., p. 48-49. 19 Scritta da Eglantyne Jebb, attivista inglese co-fondatrice della associazione Save the children Fund, nata per far fronte alla situazione di estrema indigenza in cui versavano i minori in molti Paesi europei dopo la prima guerra mondiale. 20 V. E. Lamarque, op. cit., p. 47. 21 Di cui la Jebb è stata considerata la madre ma che più recentemente si è sottolineato essere figlia dell’opera del polacco Korczak e della sua idea della dignità della persona del minore quale origine e fondamento di ogni suo diritto. 22 V. E. Lamarque, op. cit., p. 50. 106 The best interest of the child Il paradigma dei best interests of the child enunziato all’art. 3 presenta peraltro “caratteristriche genetiche anglo-americane”23. Si sottolinea che comunque l’art. 3 della Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 eleva l’interesse del minore a principio cardine di ogni decisione che lo riguarda, e per la prima volta risulta predisposto un vero e proprio statuto normativo integrale dei diritti del minore, sia di protezione che di prestazione e di promozione24. L’art. 3 della Convenzione ONU di New York pone il best interest of the child come principio generale di tutto il diritto minorile25, senza peraltro dire alcunché sul suo significato e contenuto26. La formula viene quindi recepita nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 (artt. 1, 6 e 10); nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. del 2000 (art. 24, 2° comma); in tutti gli atti normativi di diritto europeo derivato riguardanti minori di età27. L’interesse del minore diviene valore apicale del sistema in materia di diritto minorile e dell’intero diritto di famiglia28. La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 e la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. del 2000 prevedono il diritto di ascolto del minore e il diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione (partecipazione). L’ascolto e la partecipazione sono strumenti volti a favorire la realizzazione del best interest of the child evitando al contempo il rischio che l’interesse del minore possa essere piegato alla realizzazione dell’interesse degli adulti29. La CEDU non contempla espressamente il best interest of the child, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha ravvisato costituire aspetto essenziale del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8, 1° co., CEDU). 23 V. E. Lamarque, op. cit., p. 63. 24 V. V. Scalisi, Superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, p. 406. 25 In all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration. 26 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 478. 27 In particolare, il Regolamento 22/2003/CE, la Direttiva 2003/86/CE, la Direttiva 2011/36/UE, il Regolamento 2013/604/UE, la Direttiva 2013/33/UE. 28 V. V. Scalisi, op. cit., p. 407. 29 V. V. Scalisi, op. cit., p. 411. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 107 Si è al riguardo sottolineato come, piuttosto che l’interesse del minore in generale si sia a tale stregua riconosciuto il diritto del minore ad intrattenere una relazione affettiva connotata dall’intimità familiare30. 3. The best interest of the child nell’ordinamento italiano Nell’ordinamento italiano, nel quale come per gli altri ordinamenti di diritto continentale è marcata l’influenza degli strumenti internazionali convenzionali nonché della disciplina normativa dell’U.E. e dell’orientamento delineato dalla CEDU e dalla Corte di Giustizia, il principio del best interest of the child trova applicazione sia quale criterio di orientamento della politica del diritto, rilevante per il legislatore, sia quale criterio interpretativo sia quale criterio di giudizio per la soluzione delle controversie. Attesa la sua indeterminatezza, si paventa che attribuisca al giudice (e agli organi amministrativi) una eccessiva discrezionalità ai fini della decisione del singolo caso concreto, tanto da potersi prestare, con eterogenesi dei fini, a realizzare in realtà la tutela degli interessi degli adulti in luogo di quelli dei minori, e a privilegiare, in ragione del relativismo culturale, qualsiasi valore (es., punizioni corporali, mancata previsione dell’obbligo scolastico)31. Si è posto allora il problema di attribuire il corretto significato al paradigma del best interest of the child32. Questione che muove anzitutto dalla sua trasposizione al singolare, ispirata alla traduzione della Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, anziché all’espressione inglese al plurale (best interests of the child)33. Si è sostenuto che l’espressione inglese può essere resa in italiano nel senso di: a) massimo benessere per il minore; b) miglior interesse del minore; c) maggior benessere possibile per il minore; d) soluzione migliore (tra quelli possibili) per il minore. 30 V. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, I, p. 94. 31 V. E. Lamarque, op. cit., p. 63, che al riguardo teme l’arbitrio. 32 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 479. 33 V. L. Giacomelli, op. cit., p. 480. V. supra al § 2. 108 The best interest of the child Si è posto in rilievo che spesso l’interesse del minore è qualificato come superiore o preminente laddove il termine best (migliore) non introduce di per sé alcuna gerarchia o comparazione tra interessi, bisogni, esigenze, diritti del minore e quelli di altre persone o della società34. L’espressione superiore (o preminente) deriva dalla traduzione francese superieur, e indica che l’interesse del minore non è assoluto ma deve essere bilanciato con altri interessi eventualmente contrapposti, attribuendogli invero priorità, venendo altrimenti a configurarsi quale diritto (o interesse) tiranno35. Si è per altro verso sottolineato che in un ordinamento come quello italiano, che riconosce il minore quale titolare di diritti (e in particolare quelli fondamentali) in quanto persona, a prescindere cioè dalla capacità di farli valere autonomamente come viceversa richiesto dalla will theory di common law anglo-americano), e che prevede una serie di strumenti volti a garantirne l’attuazione e la protezione, è nel linguaggio giuridico insorta confusione tra diritti del minore e interesse del minore, quasi si trattasse di nozioni interscambiabili36. Confusione che discende in realtà dal segnalato diverso contesto in cui il paradigma del best interest of the child è nato e si è sviluppato, e comune a tutti i Paesi di civil law. Nonostante le perplessità e le accuse di essere una sorta di “araba fenice” (“che ci sia ciascun lo dice ma dove sia e cosa sia nessun lo sa”)37, un principio polivalente38, polimorfo39 e pertanto suscettibile di interpretazioni anche profondamente divergenti40, di essere in realtà una mera “scatola vuota”41, una cortina di fumo che si presta ad operazioni mistificatorie o un passpartout per donare d’incanto base oggettiva a qualsiasi decisione che lo evochi, anche senza alcuna motivazione al riguardo42, nell’ordinamento italiano l’interesse del minore è assurto 34 V. E. Lamarque, op. cit., p. 80. 35 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 89. 36 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 93. 37 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 86. 38 V. E. Lamarque, op. cit., p. 64. 39 V. R. Rivello, L’interesse del minore fra diritto internazionale e multiculturalità, in Minorigiustizia, 2011, p. 21 ss. 40 V. C. Focarelli, La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il concetto di “best interests of the child”, in Riv. dir. int., 2010, p. 986 ss., ivi alla p. 992. 41 V. V. Pocar - P. Ronfani, La famiglia e il diritto, cit., p. 172 ss. 42 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 106. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 109 a valore apicale del sistema, quale principio organizzatore di tutto il diritto minorile e più in generale del diritto di famiglia43. Principio che trova fondamento nell’esigenza solidaristica di pieno sviluppo della persona umana enunziata negli artt. 2 e 3 Cost. e richiamata dalla Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 (artt. 18, 27, 29 32)44, ed è idoneo: a) a delineare la finalità politica d’indirizzo dell’attività legislativa; b) a costituire il principale criterio ermeneutico di ogni normativa sui minori; c) a fondare la ratio decidendi di ogni questione controversa riguardante i minori; d) a porsi quale criterio di controllo, a fini integrativi o correttivi del sistema, per mitigare la rigidità del principio di legalità e per giustificare a volte anche la disapplicazione, legittimando contrastanti situazioni di fatto45. Senza perdere il carattere di criterio di giudizio/giustizia del caso singolo, l’interesse del minore è venuto ad acquisire sempre più valore quale criterio di designazione della finalità primaria, da perseguire in materia di diritto dei minori (e ancora più in generale del diritto di famiglia), quale scopo che deve orientare non solo il giudice ma anche il legislatore, assumendo pertanto il rilievo di categoria generale ed astratta a prescindere dalla situazione del singolo minore coinvolto nel caso di specie46. 4. Segue. Nel codice civile La locuzione interesse del minore è contemplata in più norme del codice civile e leggi speciali. In alcune ipotesi l’interesse del minore è qualificato come esclusivo47, in altre come superiore48, in altre ancora quale preminente49, in ulteriori come prioritario50. 43 V. V. Scalisi, op. cit., p. 407. 44 V. V. Scalisi, op. cit., p. 413. 45 V. V. Scalisi, op. cit., p. 415. 46 V. L. Lenti, op. loc. ult. cit. 47 Art. 337 ter, 3° co., c.c., in caso di affidamento all’esito di interruzione della convivenza dei genitori; art. 317 bis c.c., in tema di rapporti tra nonni e nipoti; art. 11, 1° co., L. adoz., ai fini della scelta dell’adozione in casi particolari invece di quella piena; art. 25, 5° co., L. adoz., ai fini dell’adozione da parte di un solo coniuge in caso di separazione personale dopo l’affidamento preadottivo; art. 33, 4° co., L. adoz., per giustificare l’ingresso di minori non accompagnati in occasione di eventi bellici. 48 Artt. 32, 1° co., e 35, 3° e 4° co., L. adoz., in tema di adozione internazionale. 49 Art. 57, 2° co., L. adoz., in caso di adozione in casi particolari. 50 Art. 337 sexies, 1° co., per l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione 110 The best interest of the child La considerazione in termini di esclusività non può che essere eccezionale (es., interesse del minore straniero in caso di eventi bellici o calamità naturali nei confronti dell’interesse dello Stato a limitare l’immigrazione)51, altrimenti l’interesse del minore si tramuterebbe in interesse tiranno, idoneo ad escludere qualsiasi bilanciamento con altri interessi eventualmente confliggenti, in ragione non già del valore o del bene tutelato quanto del soggetto che ne è portatore52. La Corte Costituzionale ha recentemente ribadito che la tirannia di un valore o di un diritto non è costituzionalmente ammissibile, essendo necessario “un continuo bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi”, in quanto “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità delle persone”53. personale dei coniugi o di divorzio. 51 V. L. Lenti, op. ult. cit., 104; V. V. Scalisi, op. cit. 52 V. E. Lamarque, op. cit., p. 84. 53 Così Corte Cost., 9/5/2013, n. 85, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 867 ss., con nota di M. Mazzotta, Il caso Ilva al vaglio della Corte costituzionale; Corte Cost., 11/2/2015, n. 10, in Foro it., 2015, I, c. 1502 ss., con nota di R. Romboli, L’efficacia “ex nunc” della dichiarazione di incostituzionalità attraverso un dispositivo forse inadeguato a realizzare le finalità espresse dalla Corte nella motivazione, e ivi, c. 1922 ss., con nota di G. Tesauro, Incostituzionalità della “Robin Hood Tax”!: ragioni di bilancio uber alles, ove si aggiunge: “per questo la Corte opera normalmente un ragionevole bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sottoposta al suo esame, dal momento che “[la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi” (sentenza n. 85 del 2013). Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti a determinare la scelta della tecnica decisoria usata dalla Corte: così come la decisione di illegittimità costituzionale può essere circoscritta solo ad alcuni aspetti della disposizione sottoposta a giudizio – come avviene ad esempio nelle pronunce manipolative – similmente la modulazione dell’intervento della Corte può riguardare la dimensione temporale della normativa impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale sul piano del tempo”. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 111 Anche la Corte di Giustizia ha sottolineato che il principio di interesse del minore non può da solo essere decisivo, perché altrimenti diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente garantite alla persona, che costituiscono nel loro insieme la tutela della sua dignità. Pur se preminente, l’interesse del minore deve essere dunque bilanciato con gli altri valori e principi di pari rango54. 5. Segue. Nella giurisprudenza In giurisprudenza il primo riferimento alla priorità dell’interesse del minore (inteso come regola operativa che permette di disapplicare regole consolidate, sia legislative che giurisprudenziali) viene collocato intorno alla metà del secolo scorso, quale criterio utilizzato soprattutto per motivare l’affidamento del figlio alla madre in ipotesi di separazione ascritta a sua colpa55. A livello costituzionale, l’ingresso del principio è segnato dall’affermazione che sono le stesse norme costituzionali ad imporre la “ricerca della soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la “miglior cura della persona”56. Anche quando non accompagnato da aggettivi, nell’applicazione giurisprudenziale, l’interesse del minore assurge sempre più a preminente, prioritario, prevalente57, superiore, esclusivo58. Viene considerato esclusivo in tema di affidamento/collocazione del minore ex art. 337 quater c.c. (già art. 155 c.c.), reclamando la riduzione 54 V. Corte Cost., 9/5/2013, n. 85, cit.; Corte Cost., 11/2/2015, n. 10, cit.; Cass., 30/9/2016, n. 19599, in Dir. fam., 2017, p. 298 ss., con nota di P. Di Marzio, Figlio di due madri ? e in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 362 ss., con nota di G. Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex e in Giur. it., 2017, p. 2075 ss., con nota di C. Fossà, Il paradigma del best interest of the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno. (Filiazione), e in Guida al dir., 2016, fasc. n. 44, p. 39 ss., con nota di A. Porracciolo, Esclusa la violazione dei principi di ordine pubblico. 55 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 91. 56 V. Corte Cost., 10/2/1981, n. 11, in Foro it., 1981, I, c. 1839 ss., con nota di M. Dogliotti, Adozione speciale e adozione ordinaria davanti alla Corte Costituzionale, ed ivi, 1982, I, c. 28 ss., con nota di L. Rossi Carleo, Il conflitto fra adozione ordinaria e adozione speciale nel giudizio della Corte Costituzionale; Lamorgese, op. cit., p. 78. 57 V. Cass., 30/9/2016, n. 19599, cit. 58 V. Lamorgese, op. cit., p. 83, V. Scalisi, op. cit. 112 The best interest of the child al massimo dei danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore59. È indicato come preminente in tema di assegnazione della casa familiare in sede di separazione personale dei coniugi e di divorzio; in materia di adozione, con riferimento all’interesse del minore a vivere e crescere non già in una qualunque famiglia ma nella propria famiglia di origine60; con riferimento all’onore, alla reputazione e alla riservatezza, a cui favore viene risolto il bilanciamento con il diritto di cronaca61. È qualificato come superiore in tema di sottrazione internazionale ai sensi della Convenzione dell’Aja del 198062, di ricongiungimento 59 V., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/7/2019, n. 14728, in Familia, 2019, p. 345 ss., con nota di M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore.; in Fam. dir., 2019, p. 653 ss., con nota di M. Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e con nota di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento; in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, p. 737 ss., con nota di U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, ove si è escluso che la scelta di aderire ad una confessione religiosa diversa da quella cattolica (testimoni di Geova) costituisca ragione sufficiente a giustificare l’affidamento esclusivo dei minori all’altro genitore; Cass., 27/6/2006, n. 14840, in Foro it., 2007, I, c. 138 ss. ; Cass., 19/4/2002, n. 5714, in Arch. civ., 2002, p. 904 ss.; Cass., 22/6/1999, n. 6312, in Giur. it., 2000, p. 1395 ss., con nota di Petrella; Cass., 17/2/1995, n. 1732; Cass., 16/3/1991, n. 2817, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 89 ss., con nota di C. Hubler, Trasferimento all’estero ed identità etnica. La difficile individuazione dell’esclusivo interesse del minore, e in Giust. civ., 1992, I, p. 1061 ss., con nota di C. Orefice, L’interesse morale e materiale della prole in caso di separazione personale dei coniugi. 60 V. Cass., 23/11/2003, n. 19862; Cass., 2/4/1998, n. 3405, in Guida al dir., 1998, fasc. n. 26, p. 53 ss.; Cass., 11/11/1996, n. 9861; Cass., 20/11/1989, n. 4956, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 933 ss., e in Giust, civ., 1989, I, p. 678 ss.; Cass., 27/2/1988, n. 180 (ove l’interesse è indicato come prioritario, così come in Cass., 30/6/2016, n. 13435); Cass., 29/11/1985, n. 5952. 61 V. Cass., 5/9/2006, n. 19069, in Fam. dir., 2007, p. 136 ss., con nota di B. Lena, Le incertezze della Cassazione su privacy del minorenne e diritto di cronaca: tutela rafforzata della riservatezza o prevalenza dell’utilità della notizia?. 62 V. Cass., 5/10/2011, n. 20365, in Corriere giur., 2012, p. 517 ss., con nota di S. De Santi, Sottrazione internazionale di minori e rischio per la loro incolumità, che nel superiore interesse del minore ha respinto la domanda di rimpatrio in caso di inidoneità del genitore affidatario; Cass., 16/6/2011, n. 13241; Cass., 7/3/2007, n. 5236, in Guida al dir., 2007, fasc. n. 14, p. 24 ss., con nota di S. Pascasi, Il rimpatrio del bimbo può essere negato se ci sono rischi per la sua incolumità, che nel superiore interesse del minore ha respinto la domanda di rimpatrio in caso di rischio derivante dall’esposizione a pericoli fisici o psichici e ad una situazione intollerabile. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 113 familiare63, di partecipazione e ascolto64, di immigrazione65, di declaratoria di stato di adottabilità66, di trascrizione nei registri dello stato civile di sentenza straniera (di adozione piena dei rispettivi figli biologici da parte di due donne di cittadinanza francese e residenti in Italia)67, di 63 V. Cass., 22/5/2014, n. 11404, ove si è affermato che l’espressione altri familiari di cui all’art. 3 L. n. 39 del 2007 va interpretata -in conformità ai principi posti all’art. 3 Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989 in accezione non strettamente parentale. 64 V. Cass., 31/3/2014, n. 7478, che ha limitato la nomina di difensore del minore ex art. 316 c.c. ai soli provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà/responsabilità genitoriale (ove vi sia un concreto profilo di conflitto tra interesse del genitore e minori) giacché la partecipazione del minore al giudizio si esprime (ove ricorrano le condizioni) normalmente mediante l’ascolto dello stesso, adempimento già previsto all’art. 155 sexies c.c. e ora divenuto adempimento necessario ex art. 315 bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) in tutte le questioni e le procedure che lo riguardavano, in attuazione dell’art. 12 Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con l’interesse del minore. V. altresì Cass., n. 22238 del 2009; Cass., n. 9094 del 2007. V. altresì, in tema di ascolto del minore in caso di sottrazione internazionale, Cass., 16/6/2011, n. 13241. 65 V. Cass., 9/4/2014, n. 8398, ove si è affermata la sussistenza della competenza del tribunale ordinario (e non già del tribunale per i minorenni) su domanda proposta da genitori stranieri volta ad ottenere l’iscrizione dei figli minori sul permesso di soggiorno ex art. 31 d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto l’inserimento nel permesso di soggiorno non presuppone necessariamente l’esperimento della procedura di ricongiungimento ex art. 29 d.lgs. n. 286 del 1998 e tale scelta appartiene alla discrezionalità del legislatore a tutela del diritto all’unità familiare (nel rispetto del superiore interesse del minore) espressamente riconosciuto agli stranieri regolarmente presenti in Italia (che siano titolari di carta di soggiorno oppure di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad 1 anno. 66 V. Cass., 11/11/2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, c. 3408 ss., con nota di G. Casaburi, Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, e in Corriere giur., 2015, p. 471 ss., con nota di A. Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore, e in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 241 ss., con nota di B. Benanti, La maternità è della donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, e in Vita not., 2015, p. 674 ss., con nota di A. Mendola, L’interesse del minore tra ordine pubblico e divieto di maternità surrogata: trattasi di minore generato da donna ucraina su commissione di una coppia italiana (contratto tra l’altro nullo pure secondo la legge ucraina per l’assenza di un legame biologico del nato anche con il padre), in quanto contrario all’ordine pubblico interno (in ragione della tutela costituzionale garantita alla dignità umana della gestante) e tenuto conto che nel superiore interesse del minore esso affida solo all’istituto dell’adozione la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato. 67 V. Cass., 31/5/2018, n. 14007, ove si è affermato che ai sensi dell’art. 24 Conv. Aja del 1980 il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato da Stato membro solo se, tenuto conto del superiore interesse del minore, sia contrario all’odine pubblico. Superiore interesse del minore nella specie ravvisato coincidere con il mantenimento della stabilità della vita familiare consolidatasi con entrambe le figure genitoriali, anche se dello stesso sesso, ritenendosi non incidere l’orientamento sessuale sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale. 114 The best interest of the child disconoscimento della paternità68, di ingresso in Italia e ricongiungimento con l’affidatario, di kafalah negoziale69. 6. Interesse del minore e principio di legalità Particolare rilievo assume la questione della considerazione dell’interesse del minore quale criterio di controllo, a fini integrativi o correttivi, del sistema per mitigare la rigidità della norma, fino ad imporne la disapplicazione. L’interesse del minore può dunque operare quale criterio di specificazione o rafforzamento di tutele già normativamente previste. Ma può anche venire anche in conflitto con il principio di legalità. In tal caso, si pone quale causa giustificativa della disapplicazione della legge, ergendosi a principio fondante della tutela accordata a situazioni di fatto che ne sarebbero altrimenti prive in quanto contrastanti con la legge70. 68 V. Cass., 22/12/2016, n. 26767, in Foro it., 2017, I, c. 121 ss., con nota di G. Casaburi, Filiazione, disconoscimento di paternità, interesse del minore, rilevanza, fattispecie, e in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 851 ss., con nota di F. Scia, Disconoscimento della paternità tra favor veritatis e interesse del minore, che ha cassato la decisione di merito che aveva accolto la domanda di disconoscimento di paternità nonostante i rischi derivanti al minore dallo sradicamento affettivo e dallo stato di infermità psichica della madre da tempo trasferitasi in Nigeria. Si è nel caso affermato che il quadro normativo (art. 30 Cost., 24, 2° co., Carta fondamentale dell’U.E., 244 c.c.) non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica con l’interesse alla certezza dello status e alla stabilità dei rapporti familiari, nel quadro di un’evoluzione della stessa considerazione del diritto all’identità personale come non necessariamente correlato alla verità biologica bensì ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia. 69 Istituto di affidamento familiare che, diversamente da quella giudiziale, non ha quale presupposto una situazione di abbandono bensì la semplice difficoltà o inadeguatezza dell’ambiente familiare originario, sicché non cancella il rapporto di filiazione ma si propone di assicurare l’opportunità di vivere in una situazione più favorevole alla sua crescita: v. Cass., 2/2/2015, n. 1843, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 717 ss., con nota di M. Di Masi, La Cassazione apre alla kafalah negoziale per garantire in concreto interest of the child, ove si è affermato che tale istituto non contrasta con l’ordine pubblico italiano e neppure con la Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, pur operando quest’ultima il riconoscimento della sola kafalah giudiziale. 70 V. V. Scalisi, op. cit., pag. 415. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 115 La portata dirompente si coglie ancor più significativamente allorquando viene a fondare il mantenimento in vita di situazioni di fatto formatesi in conseguenza di condotte illecite/illegali di un adulto71. La Corte europea dei diritti dell’uomo applica il principio dell’interesse del minore in funzione di supporto e rafforzamento dei diritti fondamentali del medesimo, estendendone la portata72 ovvero consentendo l’operatività di alcuni diritti (es., diritto di rispetto della vita familiare), per ovviare a circostanze eccezionali (es., mancato rilascio di permesso di soggiorno)73. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha (anche) emesso sentenze integrative o adeguatrici o correttive del principio di legalità in tema di rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU74. La Corte di Giustizia U.E. ha fatto anch’essa utilizzazione del criterio dell’interesse del minore a difesa e sostegno dei diritti fondamentali del medesimo. In particolare in materia di proroga o spostamento di competenza giurisdizionale e di riconoscimento ed esecuzione di decisioni giudiziarie in tema di responsabilità genitoriale; di determinazione della residenza abituale del minore; di diritto ad un equo processo, anche sotto il profilo di tempi particolarmente celeri, con negazione di qualsiasi effetto sospensivo75. 7. Segue. La sentenza Cass. n. 19599 del 2016 In relazione a fattispecie caratterizzata dalla nascita in Spagna di figlio di due donne coniugate (un’italiana, donatrice dell’ovulo, e una spagnola, che ha partorito), la Corte Suprema di Cassazione ha affrontato per la prima volta la questione se la trascrizione negli atti dello stato civile dell’atto di nascita formato in Spagna e valido per il diritto spagnolo, da 71 V. L. Lenti, op. ult. cit., p. 87; F.D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1465. 72 V. Corte europea dei diritti dell’uomo 18/2/2014, che nel bilanciamento tra l’interesse del padre putativo al disconoscimento della paternità e l’interesse del minore ad avere legami familiari giuridici e certi, ha ritenuto prevalente quest’ultimo. 73 V. V. Scalisi, op. cit., pag. 416. 74 V. Corte europea dei diritti dell’uomo 14/1/2016, Mandet c. Francia, che ha ritenuto ammissibile la rottura della relazione affettiva reciproca genitori-figli ex art. 8 CEDU con cessazione di ogni rapporto con la famiglia di origine a salvaguardia dell’interesse del minore in presenza di condotta indegna o inadeguata. 75 V. V. Scalisi, op. cit., p. 417. 116 The best interest of the child cui risulti che il nato è figlio di due donne (una, italiana, donatrice dell’ovulo e l’altra, spagnola, che l’ha partorito) coniugate in quel Paese, sia in Italia consentita ovvero contrasti con l’ordine pubblico. Il caso esaminato dalla S.C.76 pone due questioni fondamentali: a) se costituisca principio di ordine pubblico internazionale il paradigma eterosessuale77; b) se l’interesse del minore a conservare lo status filiationis, aspetto fondamentale dell’identità individuale78, debba prevalere in caso di scelta della pratica di procreazione assistita all’estero, non consentita in Italia. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunziata in più occasioni in materia di maternità surrogata. Ha posto in rilievo che in materia di maternità e filiazione gli Stati membri hanno un ampio margine di discrezionalità. Pronunziando su ricorsi di coppie di cittadini francesi che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero e successivamente chiesto la trascrizione degli atti di nascita in Francia (ove il contratto di maternità surrogata è vietato per contrarietà all’ordine pubblico e la pratica è sanzionata penalmente), con rifiuto dell’autorità amministrativa confermato dall’autorità giudiziaria, ha negato che tale diniego abbia violato il diritto alla vita familiare tutelata ex art. 8 CEDU, affermando che la scelta di vietare la trascrizione dell’atto di nascita da maternità surrogata può realizzare un giusto equilibrio tra l’interesse dello Stato e quello della coppia al rispetto della loro vita familiare. 76 Caso che non prospetta un’ipotesi di maternità per sostituzione o surrogata (ipotesi i cui una donna – gestante – accetta di condurre una gravidanza per altre persone-committenti o genitori d’intenzione – impegnandosi a consegnare il nato alle medesime e a non rivendicarne la maternità, e che può essere realizzata con la messa a disposizione dell’apparato riproduttivo nel suo complesso – inseminazione artificiale o naturale con liquido seminale del committente – ovvero con la messa a disposizione del solo utero – con accoglimento dell’embrione frutto di fecondazione esterna –), in quanto la madre ha portato avanti la gravidanza per sé e non per altri, e non si è impegnata a consegnare il figlio alla nascita ad una coppia committente, né di fecondazione eterologa, in quanto la seconda madre ha messo a disposizione un proprio ovocita. 77 Secondo la legge italiana genitori sono un padre e una madre, non essendo prevista la possibilità di indicare nell’atto di nascita due genitori dello stesso sesso. 78 V. Corte Cost., 28/11/2002, n. 494, in Giur. cost., 2002, p. 4058 ss., con nota di C.M. Bianca, La Corte Costituzionale ha rimosso il divieto di indagini sulla paternità e maternità di cui all’art. 278, comma 1, cod. civ. (ma i figli irriconoscibili rimangono), e in Fam. dir., 2003, p. 119 ss., con nota di M. Dogliotti, La Corte Costituzionale interviene a metà sulla filiazione incestuosa, e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 543 ss., con nota di M. Di Nardo, La filiazione incestuosa: al vaglio della consulta i limiti all’accertamento giudiziale del rapporto. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 117 Ha peraltro ritenuto violata la vita privata, anch’essa tutelata dall’art. 8 CEDU, la quale implica che ciascuno possa stabilire la sostanza della propria identità, inclusa la propria filiazione79. Ha pertanto tutelato il diritto del minore nato da maternità surrogata a vedere riconosciuto il proprio legame di filiazione utilizzando come parametro l’art. 8 CEDU unicamente con riguardo (non alla vita familiare ma) alla protezione dell’identità personale compromessa dai riflessi sul diritto al nome e alla cittadinanza80. Il criterio del best interest of the child è venuto in tal caso ad orientare l’interpretazione dell’art. 8 CEDU fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio in ragione dell’avvertita esigenza di tutelare il nato da maternità surrogata. Nell’ordinamento italiano l’unica disposizione in materia di P.M.A. è quella di cui all’art. 12, 6° co., L. n. 40 del 2004, in base alla quale la surrogazione di maternità è sanzionata con la pena della reclusione e della multa, non investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale del divieto di fecondazione eterologa ex art. 4, 3° co. L. n. 40 del 200481. In dottrina si è sostenuto che il disvalore trova fondamento nell’art. 30 Cost., integrante un principio di ordine pubblico internazionale ostativo al riconoscimento delle sentenze straniere fondate su pratiche di maternità surrogata82. La L. n. 40 del 2004 ha regolato la P.M.A. in termini restrittivi. La L. n. 76 del 2016, che ha disciplinato (per la prima volta) le convivenze di fatto e le unioni civili tra persone dello stesso sesso, non 79 V. Corte europea dei diritti dell’uomo 26/6/2014, Labasse c. Francia e Corte europea dei diritti dell’uomo 26/6/2014, Mennesson c. Francia. 80 V. V. Varano, La maternità surrogata e l’interesse del minore: problemi e prospettive nazionali e transnazionali, in Fam. dir., 2017, p. 832. 81 V. Corte Cost., 10/6/2014, n. 162, in Fam. dir., 2014, p. 1062 ss., con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa” e in Europa e dir. priv., 2014, p. 1117 ss., con nota di C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, e in Dir. fam., 2014, p. 973 ss., con nota di L. D’avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, e in Giur. it., 2014, p. 2827 ss., con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili, e in Foro it., 2014, I, c. 2343 ss., con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in Fam. dir., 2014, p. 753 ss., con nota di V. Carbone, Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Guida al dir., 2014, fasc. n. 27, p. 16 ss., con nota di A. Porracciolo, Un divieto non giustificabile dall’ordinamento se ostacola la realizzazione della genitorialità. 82 V. Renda, op. cit., G. Casaburi, op. cit. 118 The best interest of the child ammette il ricorso alla P.M.A. e ha omesso di disciplinare l’adozione coparentale (c.d. stepchild adoption). Ci si è chiesti se l’ordinamento italiano sia ispirato ad un principio di ordine pubblico di assoluto divieto di accesso alla genitorialità da parte delle coppie dello stesso sesso. In dottrina si è risposto affermativamente, laddove la giurisprudenza di legittimità è pervenuta ad ammettere la possibilità di farsi luogo all’adozione ex art. 44 L. adoz. del figlio del partner83. L’ordine pubblico, originariamente inteso quale espressione di un limite per la salvaguardia dell’ordinamento giuridico nazionale (informato a determinate concezioni di ordine morale e politico affermate nella società e costituenti principio direttivi e informatori per il legislatore, cui lo Stato non può o non crede di rinunziare84) è ora diversamente inteso come riferito ai soli principi supremi o fondamentali della Costituzione (o delle fonti sovranazionali), e non estesa alle norme costituenti esercizio di discrezionalità legislativa, inderogabili dall’autonomia privata in quanto imperative85. L’ordine pubblico coincide pertanto con l’ordine pubblico internazionale, da intendersi quale complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno ispirati alla tutela dei diritti 83 V. Cass., 22/6/2016, n. 12962, in Giur. it., 2016, p. 2573 ss., con nota di A. Spadafora, Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, ed ivi, 2580 ss., con nota di I. Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore, e in Nuova giur. civ., comm., 2016, II, p. 1213 ss., con nota di G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner, e in Fam. dir., 2016, p. 1034 ss., con nota di S. Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, e in Foro it., 2016, I, c. 2342 ss., con nota di G. Casaburi, L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra. 84 V. Cass., Sez. Un., 19/5/1964, n. 1220, in Riv. dir. int., 1964 p. 661 ss., con nota di S. Lariccia, Ordine pubblico e delibazione di sentenze straniere di annullamento matrimoniale, e in Foro it., 1964, I, c. 1415 ss., e in Giust. civ., 1964, I, p. 1551 ss.; Cass., 5/12/1969, n. 3881, in Foro it., 1970, I, c. 1967 ss., e in Riv. dir. int., 1970, p. 590 ss. 85 V. già Cass., 23/2/2006, n. 4040, in Mass. giur. lav., 2006, 932 ss., con nota di A. Pileggi, Riforma del mercato del lavoro, appalto di manodopera e ordine pubblico internazionale; Cass., 13/12/1999, n. 13928, in Foro it., 2000, I, c. 3571 ss., e in Nuova giur. civ. comm., 1999, 2001, I, 1 p. 1 ss., con nota di G. Campeis - A. De Pauli, Rogatorie negate, delibazioni e ordine pubblico processuale; Cass., 5/4/1984, n. 2215, in Riv. not., 1986, p. 149 ss., con note di G. Baralis, Brevi note in tema di ordine pubblico, norme imperative, “nullità ambulatoria”, con una digressione finale sulla distinzione: norme imperativeordinative e sulla responsabilità notarile e di L.P. Comoglio, Ordine pubblico interno ed internazionale: concetti in crisi di identità, e in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1368 ss., con nota di G. Azzariti, Efficacia in Italia di sostituzione fedecommissaria disposta da cittadino di altro Stato ove ne vien fatta ammissione. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 119 fondamentali comuni ai diversi ordinamenti e a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria. Principi desumibili dalla Costituzione86, dai Trattati fondativi, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. Quali principi supremi o fondamentali essi non possono essere “sovvertiti” dal legislatore ordinario. A tale stregua, non è ravvisabile contrasto con l’ordine pubblico in caso di mera difformità o contrasto della norma straniera rispetto a quella interna, giacché alla concezione di ispirazione statalista si è opposta una maggiore apertura versi gli ordinamenti esteri più aderente agli artt. 10, 11 e 117 Cost., corrispondente alla posizione dell’ordinamento italiano in ambito internazionale. La S.C. ha sottolineato che il giudice italiano deve esaminare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale con riferimento a principi desumibili dalla Costituzione, dalla Dichiarazione ONU di New York dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., dalla Dichiarazione ONU di New York dei diritti del fanciullo del 1959, dalla Convenzione europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore87. L’interesse superiore del minore (sotto il profilo dell’identità personale e sociale, del diritto all’autodeterminazione e alla formazione di una famiglia, nonché del diritto alla continuità dello status) è dunque tutelato dalla Costituzione (artt. 2, 3, 31, 32) e da fonti sovranazionali (Convenzione ONU di New York sui diritti dell’infanzia del 1989; Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996; nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.)88. In quanto il contrasto con l’ordine pubblico non deriva dalla mera violazione delle norme imperative o inderogabili, atteso che la valutazione deve riguardare non già l’astratta formulazione della norma straniera o 86 V. Già Corte Cost., 18/7/1983, n. 214, in Foro it., 1984, I, c. 2691 ss., con nota di G. Scarselli, e in Giur. it., 1983, III, 1, c. 316 ss., e in Giust. civ., 1983, I, p. 2830 ss., e in Dir. fam., 1983, p. 833 ss. 87 V. Cass., 15/6/2017, n. 14878, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 1708 ss., con nota di A. Palmeri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex. (Stato civile), e in Fam. dir., 2018, p. 5 ss., con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico. (Atto di nascita). Anche la Corte Federale tedesca ha affermato che l’interesse del minore alla conservazione dello status di filiazione legittimamente acquisito all’estero va esaminato con riferimento non già all’ordine pubblico nazionale ma all’ordine pubblico internazionale: v. Corte Federale tedesca 19/12/2014 (X c. Land’s di Berlino). 88 V. supra, § 2. 120 The best interest of the child la correttezza della decisione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o italiano, bensì i suoi effetti in termini di compatibilità con il nucleo essenziale dei valori dell’ordinamento89, si è invero affermato che l’ordine pubblico va considerato anche con riferimento alle norme che attuano l’ordinamento costituzionale90, sicché si pone l’interrogativo se rilevino al riguardo anche la legge sulla p.m.a. e quella sulle unioni civili. La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel premettere che in materia di maternità e filiazione gli Stati membri hanno ampio margine di discrezionalità, trattandosi di materie eticamente sensibili, ha peraltro affermato che l’ordine pubblico deve cedere a fronte dell’interesse del minore, in quanto esso va tutelato a prescindere dalla natura genetica o di altro tipo del legame genitoriale, sicché esso non può essere fonte di discriminazione nei confronti del minore nato da pratica di procreazione assistita non consentita nello Stato ove si chiede la trascrizione dell’atto di nascita (nella specie, Italia)91. 8. Segue. Il caso Paradiso e Campanelli c. Italia Altro caso che nasce dal rifiuto di procedere alla registrazione dell’atto di nascita formato all’estero negli atti dello stato civile, in ragione della ravvisata contrarietà all’ordine pubblico trattandosi di maternità surrogata effettuata anche in violazione delle leggi dello Stato estero (Russia), è quello conosciuto come caso Paradiso e Campanelli c. Italia. 89 V. Cass., 18/4/2013, n. 9483; 23/2/2006, n. 4040, cit.; Cass., 13/12/1999, n. 13928, cit.; Cass., 5/4/1984, n. 2215, cit. 90 V. Cass., Sez. Un., 5/7/2017, n. 16601, in Foro it., 2017, I, c. 2613 ss., con note di A. Palmieri, R. Pardolesi, E. D’alessandro, R. Simone, P.G. Monateri, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità civile. (A. Palmieri, R. Pardolesi) - Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piove. (E. D’alessandro) La responsabilità civile non è solo compensazione: punitive damages e deterrenza. (R. Simone) - I danni punitivi al vaglio delle Sezioni Unite. (P.G. Monateri), e in Foro it., 2018, I, c. 2504 ss., con nota di Salvi, Le funzioni della responsabilità civile e il volto italiano dei danni punitivi, e in Danno e resp., 2017, p, 437 ss., con nota di Monateri, Le Sezioni Unite e le funzioni della responsabilità civile, ed ivi., con nota di Ponzanelli, Polifunzionalità tra diritto internazionale privato e diritto privato, e in Nuova giur. civ., comm., 2017, I, p. 1392 ss., con nota di Grondona, Le direzioni della responsabilità civile tra ordine pubblico e punitive damages. (Responsabilità civile), e in Rass. avv. stato, 2017, p. 42 ss., con nota di I.M. Triolo, Danni punitivi: la “nuova” natura polifunzionale della responsabilità civile. 91 V. Corte europea dei diritti dell’uomo 27/1/2015, Paradiso e Campanelli c. Italia. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 121 All’esito di contratto stipulato da due coniugi italiani con una società russa (la Rosjurconsulting) per una P.M.A. con impianto di due embrioni asseritamente ai medesimi appartenenti, il nato è stato, conformemente alla legge russa, registrato all’anagrafe come figlio della coppia italiana committente (i genitori sociali), senza far menzione della P.M.A. La richiesta di trascrizione dell’atto di nascita nel Comune di residenza dai medesimi successivamente formulata al rientro in Italia non è stata accolta dall’Ufficiale dello stato civile. Il provvedimento è stato confermato dal giudice italiano, che ha argomentato dal rilievo: a) che i ricorrenti non erano genitori biologici del minore; b) che i medesimi hanno violato la legge russa, che per la maternità surrogata richiede un legame genetico con almeno uno dei committenti; c) che l’atto di nascita russo era affetto da falsità ideologica; d) che la contrarietà di tale atto all’ordine pubblico ne precludeva la trascrizione. Ha altresì disposto l’allontanamento del minore, collocandolo in una casa famiglia, in vista della relativa dichiarazione di adottabilità in quanto in stato di abbandono. Come nelle sentenze riguardanti i casi francesi Labasse c. Francia e Menesson c. Francia92, anche nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia si pongono le questioni concernenti la tutela dell’identità personale e dell’interesse del minore. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ravvisato in tal caso la violazione della vita familiare di fatto costituitasi tra i coniugi italiani e il minore, ritenendo integrata la violazione dell’art. 8 CEDU93. Ha in particolare considerato sproporzionate le misure adottate, avendo i giudici italiani fondato l’inidoneità della coppia essenzialmente sulla violazione delle disposizioni in tema di P.M.A. e di adozione internazionale senza tenere conto dell’interesse del minore a proseguire la relazione con la instaurata famiglia di fatto. Con sentenza del 2017 la Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo ha peraltro ribaltato tale decisione, ritenendo non violato l’art. 8 CEDU dalle misure adottate nel caso concreto dal giudice italiano non essendo configurabile il diritto della coppia al rispetto della vita familiare di fatto con il minore, stante il breve periodo (6 mesi) trascorso in Italia. Si è del pari esclusa la violazione della vita privata, in quanto, pur integrando le misure adottate una ingerenza esse erano state 92 V. supra, § 7. 93 V. Corte europea dei diritti dell’uomo, 27/1/2015. 122 The best interest of the child necessarie, proporzionate e congruamente motivate, rispondendo alla superiore esigenza di tutela dell’interesse del minore, attesa l’inadeguatezza genitoriale manifestata mediante la violazione delle disposizioni italiane in materia di adozione internazionale nonché del divieto di maternità surrogata. La Grand Chambre ha dunque valorizzato l’illegalità della condotta dei ricorrenti; la precarietà del legame, stante la mancanza di alcun legame biologico e la decisione di stabilire la residenza in Italia; l’urgenza di provvedere, per evitare di prolungare il soggiorno del minore presso i ricorrenti per evitare il rischio che un collocamento provvisorio presso gli stessi implicasse il rischio che il semplice decorso del tempo avrebbe portato il consolidamento di un legame sorto illegalmente, la legalizzazione di una situazione creata in violazione di regole importanti nel diritto italiano. Alla decisione sono state allegate le opinioni dei giudici, sia di quelli concordanti che di quelli di minoranza. I giudici a favore della decisione lamentano che la sentenza ha adottato come elemento favorevole ai ricorrenti l’elaborazione di un progetto genitoriale; sottolineano che la maternità surrogata a fini commerciali è vietata praticamente in tutti gli Stati europei, oltre che incompatibile con la dignità umana, costituendo un trattamento degradante per il minore e per la gestante, trattati come mezzi per soddisfare i desideri di altre persone. I giudici di minoranza segnalano che la brevità della coabitazione è stata nel caso dovuta all’allontanamento disposto dai giudici94; si dolgono che sia stato ritenuto lo stato di abbandono laddove del minore si prendeva invero cura una coppia genitoriale; lamentano non essersi considerato l’interesse dei coniugi a conservare il legame con il minore. 9. Conclusioni I casi richiamati, e quello Paradiso e Campanelli c. Italia in particolare, evocano una pluralità di questioni. In particolare: a) chi decide quale sia l’interesse del minore nel singolo caso concreto; se l’interesse del minore sia da intendersi quale mero criterio di giudizio del caso singolo ovvero quale finalità di politica del 94 Per una critica alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2015, e in particolare alla possibilità di considerarsi sufficiente a determinare l’insorgenza di rapporti familiari di fatto (tra l’altro costituiti illecitamente) pressoché irrevocabili il lasso di tempo di soli sei mesi, v. G. Casaburi, op. cit., p. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 123 diritto; se l’interesse del minore possa o debba assurgere o meno a tiranno; se l’interesse del minore -quale principio fondante di tutela- possa valere (oltre che come integrativo della tutela apprestata dalla legge) anche contro la legge, porsi cioè in contrasto con il principio di legalità. Nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia la pronunzia del 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva censurato la decisione del giudice italiano per aver determinato l’allontanamento (a fini di adozione) del minore dai genitori sociali in ragione della ravvisata loro idoneità palesata dall’avere volontariamente deciso di aggirare la disciplina italiana recandosi all’estero per stipulare un accordo di maternità surrogata vietato in Italia. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto le misure adottate sproporzionate e suscettibili di conseguenze negative per il minore. Movendo dal superiore interesse del minore nell’interpretazione dell’art. 8 CEDU, ha ritenuto che vada considerato qualsiasi tipo di legame familiare e tutelato il diritto del minore alla continuità delle relazioni affettive e alla riconoscibilità dello status quale complemento del rispetto della vita familiare. Interesse a cui fronte, anche sotto il profilo della valutazione dell’ordine pubblico residua un margine molto ridotto. Già qualche anno fa (2009) la Corte d’Appello di Bari, chiamata a pronunziarsi sulla domanda di trascrizione nei registri dello stato civile italiano dei c.d. parental orders emessi (nel 1998 e nel 2001) dall’autorità giudiziaria britannica, con i quali era stata attribuita alla committente la maternità di due figli nati con le tecniche di maternità surrogata, ha dichiarato l’efficacia ai fini della trascrizione dei medesimi, riconoscendo la c.d. maternità sociale alla committente, in ragione della circostanza che ormai il legame protrattosi per oltre dieci anni non poteva essere considerato contrario all’ordine pubblico interno, trattandosi di aspetto necessario per la crescita dei minori. La sussistenza di relazioni e legami familiari di fatto formati anche contra legem (in ragione di condotte e pratiche integranti anche reato) la cui stabilità ed immodificabilità sia da proclamarsi in ragione dell’interesse del minore, in tal caso in contrasto con il principio di legalità fa indubbiamente riflettere. Le argomentazioni della Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo del 201795 appaiono non facilmente contestabili. 95 V. supra, al § 8. 124 The best interest of the child Non può d’altro canto sottacersi che la condotta dei genitori illecita ed integrante anche reato non ha nel recente passato impedito alla Corte Costituzionale (2002) e successivamente anche al legislatore (2012) di far cadere la preclusione allo status di filiazione nei confronti dei figli incestuosi. Si può al riguardo porre ulteriormente in rilievo che anche a chi delinque non è precluso il rapporto parentale ma solo il suo esercizio (art. 317 c.c.), sicché non si fa luogo all’adozione del figlio; che l’elemento di conformità al diritto dal suo inizio si è ritenuto non sempre indispensabile, dovendo essere bilanciato in ragione della durata della convivenza e della tempestività dell’intervento dell’autorità; che la logica sanzionatoria si è ritenuta non preclusiva del rapporto genitoriale allorquando ciò risponda all’interesse del minore96. È comunque soprattutto l’argomento che le colpe dei padri non possono e non debbono ricadere sui figli ad assumere pregnante rilievo e a dover far riflettere (anche) il giurista. Chiamata a pronunziare in ordine al rigetto della domanda, proposta da due genitori dello stesso genere, coniugati in Canada, quali esercenti la potestà su due minori nati all’esito di procreazione medicalmente assistita, di trascrizione nei registri dello stato civile di Trento del provvedimento della Superior Court of Justice dell’Ontario del 12/1/2011, di accertamento della relazione di genitorialità di entrambi con i minori e di emissione dell’ordine di emendare l’atto di nascita con l’aggiunta del nome anche del 2° padre, con ordinanza n. 4382 del 2018 la Prima sezione della Corte Suprema di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza “se la nozione di ordine pubblico, che ai sensi dell’art. 64 L. 218/95 osta al riconoscimento in Italia di sentenze straniere producenti effetti ad esso contrari, sia comprensiva dei soli principi supremi o fondamentali e vincolanti della Corte Costituzionale ovvero si estenda anche ai principi contenuti in leggi ordinarie costituenti esercizio della discrezionalità legislativa”. 96 V. Corte Cost., 23/2/2012, n. 31, in Giur. it., 2012, p. 1973, con nota di M.A. Federici, Alterazione di stato e decadenza dalla potestà genitoriale, e in Fam. dir., 2012, p. 437 ss., con nota di D. Chicco, Se proteggere un figlio diventa una condanna: la Corte costituzionale esclude l’automatismo della perdita della potestà genitoriale, e in Guida al dir., 2012, fasc. n. 15, p. 70 ss., con nota di M. Finocchiaro, Il giudice deve avere la possibilità di valutare sull’interesse del minore nel caso concreto. Con la condanna per il delitto dell’alterazione di stato non può scattare la perdita della potestà genitoriale, la quale ha negato l’automatica decadenza dalla potestà/ responsabilità genitoriale in ipotesi di condanna per il reato di alterazione di stato, richiedendosi la necessaria valutazione del giudice nell’esclusivo interesse del minore, in ragione della qualità della relazione e dell’opportunità della tutela. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 125 La rimessione alle Sezioni Unite è stata argomentata dal rilievo che la recente decisione Cass., Sez. Un., n. 16601 del 2017 in tema di danni punitivi ha accolto una nozione ampia di ordine pubblico, estesa alle leggi ordinarie che di volta in volta inverano l’ordinamento costituzionale. Le Sezioni Unite si sono espresse affermando il principio in base al quale il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, L. n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista all’art. 44, comma 1 lett. d), L. n. 184 del 198397. Accolta, innovando al precedente orientamento98, una nozione lata di ordine pubblico99, le Sezioni unite hanno affermato che il prevalente/ 97 V. Cass., Sez. Un., 8/5/2019, n. 12193, cit. 98 Orientamento che le Sezioni Unite del 2019 indicano basato su una considerazione dell’ordine pubblico quale “limite all’ingresso nel nostro ordinamento di norme ed atti provenienti da altri sistemi e ritenuti contrastanti con i valori sottesi alla vigente normativa”, alla stregua pertanto di una nozione “fortemente orientata alla salvaguardia dell’identità e della coerenza interna dell’ordinamento, nonché alla difesa delle concezioni morali e politiche” costituenti il “complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico e etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico e dei principi immanenti ai più importanti istituti giuridici” e che “finiva per lasciare ben poco spazio all’efficacia dei provvedimenti stranieri, la cui attuazione nel territorio dello Stato risultava in definitiva subordinata alla condizione che la disciplina dagli stessi applicata non differisse, almeno nelle linee essenziali, da quella dettata dall’ordinamento interno”, per il quale fanno espresso richiamo a Cass., 12/3/1984, n. 1680 (in Giust. civ., 1984, I, p. 1419 ss.), a Cass., 14/4/1980, n. 2414 (in Foro it., 1981, I, c. 1303 ss., e in Giust. civ., 1980, I, p. 1489 ss., e in Riv. dir. int., 1981, p. 159 ss.) e a Cass., 5/12/1969, n. 3881, cit. 99 Nell’avvertire che l’apertura dell’ordinamento interno “al dritto sovranazionale”, con recepimento di “principi introdotti dalle convenzioni internazionali cui il nostro Pase ha prestato adesione”, è venuta a determinare “una modificazione del concetto di ordine pubblico internazionale, caratterizzato, nelle formulazioni più recenti, da un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale ed alla tutela dei diritti fondamentali”, le Sezioni Unite 126 The best interest of the child superiore interesse del minore non è assoluto100 ma deve costituire oggetto di bilanciamento con altri interessi. del 2019 affermano che “i principi di ordine pubblico vanno individuati in quelli fondamentali della nostra Costituzione o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale”. Espressione di tale concezione considera essere la pronunzia Cass., 30/9/2016, n. 19599, cit., secondo cui l’ordine pubblico “è da intendersi limitato ai principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma anche, laddove compatibili con essa, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, ed altresì la pronunzia Cass., 15/6/2017, n. 14878, cit., secondo cui “la contrarietà dell’atto estero all’ordine pubblico internazionale dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi della nostra Costituzione, ma anche, tra l’altro, di quelli consacrati nella dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nei Trattati fondativi e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché con particolare riferimento alla posizione del minore e al suo interesse, tenendo conto della Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo, della Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo e della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore”. Le Sezioni Unite del 2019 affermano che l’affermata “portata complementare” attribuita ai “principi consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali” suindicate “non trova smentita” nella recente sentenza Cass., Sez. Un., 5/7/2017, n. 16601, cit., ove si è “chiarito che la sentenza straniera applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi “con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale”“, essendosi ivi posto in rilievo “la rilevanza della normativa ordinaria quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione, e la conseguente necessità di tener conto, nell’individuazione dei principi di ordine pubblico, del modo in cui i predetti valori si sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti”. Sottolineando “l’attenzione costantemente prestata, in tema di riconoscimento dell’efficacia dei provvedimenti stranieri, all’opera di sintesi e ricomposizione attraverso la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità sono pervenute all’estrapolazione dei principi fondamentali, sulla base non solo dei solenni enunciati della costituzione e delle Convenzioni e Dichiarazioni internazionali, ma anche dell’interpretazione della legge ordinaria, che dà forma a quel diritto vivente dalla cui valutazione non può prescindersi nella ricostruzione dell’ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico”, le Sezioni Unite del 2019 pongono d’altro canto in rilievo come “il processo di armonizzazione tra gli ordinamenti … non esige … la realizzazione di un’assoluta uniformità nella disciplina delle singole materie, spettando alla discrezionalità del legislatore l’individuazione degli strumenti più opportuni per dare attuazione a quei valori, compatibilmente con i principi ispiratori del diritto interno”. Come confermato dal tenore degli artt. 64 ss. L. n. 218 del 1995, “i quali, nel disciplinare l’ingresso nel nostro ordinamento di atti e provvedimenti formati all’estero, non prevedono affatto il recepimento degl’istituti ivi applicati, così come sono disciplinati dagli ordinamenti di provenienza, ma si limitano a consentire la produzione dei relativi effetti, nella misura in cui gli stessi risultino compatibili con la delineata nozione di ordine pubblico”. 100 Altrimenti si configurerebbe come “tiranno”: v. supra § 2. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 127 Bilanciamento che può essere rimesso al giudice, ma che con riferimento alla maternità surrogata è stato operato in via generale dallo stesso legislatore, attribuendo prevalenza all’identità genetica e biologica, come si desume dalla previsione di sanzione (anche) penale per la violazione del divieto ex art. 12, comma 6, L. n. 40 del 2004101. Ciò in quanto la maternità surrogata è lesiva della dignità della donna (della gestante)102 e dell’istituto dell’adozione103. Nell’affermare, come già la Corte Costituzionale104, che “la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia” non può “esplicarsi “senza limiti””; e nel sottolineare che il le101 Le Sezioni Unite del 2019 sottolineano come già la Corte Costituzionale abbia avuto modo di affermare che la L. n. 40 del 2004, pur non avendo un contenuto costituzionalmente vincolato, tocca “temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore”. Criticamente nel senso che l’attribuzione “al legislatore un bilanciamento già compiuto” costituisce una “rapida scorciatoia” utilizzata dalle Sezioni Unite, v. G. Ferrando, op. cit., p. 685. 102 Per l’interrogativo se debba considerarsi lesiva della dignità della donna anche l’ipotesi in cui la gestazione venga effettuata non per scopo di lucro ma per “scopi solidaristici”, e cioè “per rendere possibile la realizzazione dell’altrui diritto alla genitorialità” v. G. Ferrando, op. cit., p. 684, la quale sottolinea che tale pratica è ammessa in alcuni Stati, come il Regno Unito o il Canada. Favorevolmente in ordine alla conferma da parte delle Sezioni Unite del 2019 del disvalore della maternità surrogata, senza alcuna distinzione tra surrogazione a titolo oneroso e a titolo gratuito, v. M. Bianca, op. cit., p. 373 ss., la quale osserva che “la lesività della dignità della donna gestante non attiene tanto alla prestazione ma allo status di madre e tale profilo riguarda anche il nascituro”. L’a. sottolinea viceversa criticamente che le Sezioni Unite del 2019 non abbiano fatto alcun riferimento anche alla dignità del nascituro laddove, preso atto che con riguardo alla “genitorialità disgiunta dal legame biologico” hanno negato “rilevanza all’atto di accertamento privato e al suo eventuale riconoscimento, individuando nel solo strumento dell’adozione la forza di creare una genitorialità disgiunta da qualsiasi legame biologico”, ravvisa in ogni caso “la necessità di evitare che il figlio nato da maternità surrogata e privo di legami biologici con uno dei genitori sia trattato in maniera diversa rispetto al bambino sottoposto ad un procedimento di adozione”. Sostiene altresì che “la dignità del nascituro appare lesa, non solo in quanto egli è trattato al pari di una res, ma anche perché la progettazione della sua nascita lo espone al rischio di incertezza in ordine alla sua identità filiale”, pervenendo a concludere che “e si accoglie l’idea che la surrogazione di maternità determina al contempo la lesione della dignità della madre e del nascituro, ci si avvede che ordine pubblico e interesse superiore del minore, almeno inteso in questa specifica accezione, non risultano in contrasto, non potendosi affermare che l’uno sia prevalente rispetto all’altro”. 103 Come già affermato da Cass., 11/11/2014, n. 24001, cit., ove si è posto in rilievo che solo alla disciplina legislativa dell’adozione, caratterizzata “da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori”, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”. 104 V. Corte Cost., 10/6/2014, n. 162. 128 The best interest of the child gislatore ha considerato contraria all’ordine pubblico l’attribuzione della qualità di genitore a soggetto privo di alcun legame biologico con il nato all’estero da maternità surrogata, le Sezioni Unite hanno stigmatizzato il giudice dell’appello per aver “preteso di sostituire la propria valutazione a quella compiuta in via generale dal legislatore, attribuendo la prevalenza all’interesse dei minori alla conservazione dello status filiationis, nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale”, e hanno conseguentemente negato il riconoscimento di efficacia (mediante trascrizione nei registro dello stato civile) del provvedimento giudiziale straniero di accertamento del rapporto di filiazione tra il nato all’estero mediante maternità surrogata e il genitore d’intenzione. Per altro verso, hanno ribadito che “le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004, imputabili agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia, non possono ricadere su chi è nato”105, e che “il diritto fondamentale … alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero, destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità”, deve essere comunque tutelato dagli Stati, pur nel loro “ampio margine di apprezzamento”. Non si sono quindi limitate ad affrontare la questione dell’ordine pubblico, ma hanno affrontato anche quella concernente il rapporto tra il nato e il genitore d’intenzione, pervenendo ad indicare quale strumento idoneo a realizzare l’interesse del minore alla sua vita privata e familiare in caso di assenza di qualsiasi legame genetico o biologico tra il nato ed entrambi i genitori l’istituto dell’adozione particolare ex art. 44, comma 1 lett. d), L. n. 184 del 1983106. 105 In altri termini il principio in base al quale le colpe dei padri non possono e non debbono ricadere sui figli. Per l’affermazione che il disvalore della condotta dei genitori non può riverberare sullo status dei figli v. Corte Cost., 23/2/2012, n. 31, cit.; Corte Cost., 28/11/2002, n. 494, in Fam. dir., 2014, p. 753 ss., con nota di V. Carbone, Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Corriere giur., 2014, p. 1062 ss., con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, e in Dir. fam., 2014, p. 973 ss., con nota di L. d’Avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, e in Europa e dir. priv., 2014, p. 1117 ss., con nota di C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, e in Foro it., 2014, I, c. 2343 ss., con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in Giur. it., 2014, p. 2827 ss., con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili. 106 V. Corte Cost., 18/12/2017, n. 272, in Corriere giur., 2018, p. 446 ss., con nota di G. Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore. Il Best interest of the child nelle decisioni della Corte suprema di Cassazione 129 Soluzione che risulta consentanea con la recentissima Advisory Opinion del 10 aprile 2019 emessa (per la prima volta) ai sensi del Protocollo 16 della CEDU107 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo su richiesta della Court de Cassation francese nell’ambito del procedimento Mennesson c. Francia, che ha indicato come conforme alla Convenzione la tutela del rapporto tra il nato e la madre d’intenzione mediante istituti anche diversi dalla trascrizione dell’atto di nascita, quale l’adozione108. (Filiazione), e in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, p. 540 ss., con nota di A. Gorgoni, Art. 263 c.c.: tra verità e conservazione dello status filiationis. (Filiazione), e in Giur. it., 2018, p. 1830 ss., con nota di Falletti, Il riconoscimento in Italia dello status di figlio nato da surrogacy straniera. (Filiazione e riconoscimento di atto di nascita straniero), e in Foro it., 2018, I, c. 5 ss., con nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, e in Giur. cost., 2017, p. 2990 ss., con nota di S. Niccolai, La regola di giudizio. Un invito della Corte a riflettere sui limiti del volontarismo. In dottrina, criticamente, per l’inidoneità dell’istituto dell’adozione, che “appare una sorta di finzione (si adotta il figlio altrui non il proprio)”, che “non garantisce al figlio lo status fin dalla nascita ma solo successivamente, in seguito ad un procedimento giudiziale che ha i suoi tempi, le sue procedure, le sue incertezze negli esiti”, v. G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, cit., p. 686, la quale sottolinea la necessità di “prendere atto che si assiste al “mutamento” antropologico della filiazione e degli stessi modi in cui si manifesta la vita familiare”, e che “il diritto deve trovare gli strumenti appropriati per tutelare i diritti delle persone in questo nuovo contesto”. Perplessa è altresì M. Bianca, op. cit., p. Diversamente, per l’idoneità di tale istituto a salvaguardare le esigenze al riguardo ravvisate imprescindibili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo v. U. Salanitro, op. cit., p. 741. 107 Protocollo approvato a Strasburgo il 2 ottobre 2013, ed entrato in vigore il 1° agosto 2018 nei dieci Paesi che l’hanno ratificato, tra i quali non l’Italia, che l’ha finora solamente firmato, che (sulla falsariga del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE) consente alle più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente di richiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. 108 “In a situation where, as in the scenario outlined in the questions put by the Court of Cassation, a child was born abroad through a gestational surrogacy arrangement and was conceived using the gametes of the intended father and a third-party donor, and where the legal parent-child relationship with the intended father has been recognised in domestic law: 1. the child’s right to respect for private life within the meaning of Article 8 of the Convention requires that domestic law provide a possibility of recognition of a legal parent-child relationship with the intended mother, designated in the birth certificate legally established abroad as the “legal mother”; 2. the child’s right to respect for private life within the meaning of Article 8 of the Convention does not require such recognition to take the form of entry in the register of births, marriages and deaths of the details of the birth certificate legally established abroad; another means, such as adoption of the child by the intended mother, may be used provided that the procedure laid down by domestic law ensures that it can be implemented promptly and effectively, in accordance with the child’s best interests”: in argomento v. A.G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale, in Nuova giur civ. comm., 2019, I, p. 757 ss. 130 The best interest of the child Bibliografia Bianca C.M., Diritto civile 1, Milano, 2002 Bianca C.M., Diritto civile 2.1, Milano, 2017 Busnelli F.D., Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1465 Giacomelli L., (Re)Interpretando i Best Interests of the Child: da strumento di giustizia sostanziale a mera icona linguistica, in F. Giuffrè - I. Nicotra (cur.), La famiglia davanti ai suoi giudici, Atti del Convegno dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Catania 7-8 giugno 2013, 2014, p. 467 ss. Focarelli C., La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il concetto di “best interests of the child”, in Riv. dir. int., 2010, p. 986 ss. Lamarque E., Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016 Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, I, p. 86 ss. Scalisi V., Superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, p. 405 ss. Varano V., La maternità surrogata e l’interesse del minore: problemi e prospettive nazionali e transnazionali, in Fam. dir., 2017, p. 832 Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestión en el derecho español José Ramón de Verda y Beamonte Sumario: 1. Consideraciones preliminares. – 2. La posición del ordenamiento jurídico español: la nulidad del contrato y la atribución legal de la maternidad a la gestante. – 3. La posición de la jurisprudencia ante las gestaciones por substitución realizadas en países extranjeros, donde esta práctica es legal. – 3.1. Imposibilidad de inscribir la filiación (interés superior del menor y mercantilización de la gestación y de la filiación). – 3.2. Ajuste de la jurisprudencia interna a la emanada del Tribunal Europeo de Derechos Humanos. – 3.3. La posición contraria a la Ley de la Dirección General de los Registros y del Notariado: admisión de la inscripción, cuando se acompañe una resolución judicial extranjera en la que se determine la filiación del nacido. – 4. La reacción: el Informe del Comité de Bioética de España sobre los aspectos éticos y jurídicos de la maternidad subrogada. 1. Consideraciones preliminares El principio de interés superior del menor fue consagrado en el ordenamiento jurídico español por la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero. No se puede dudar de la importancia que dicho principio asume en la actual realidad social y jurídica en todos los Derechos, nacionales e internacionales. Sin embargo, al ser el interés superior de menor un concepto jurídico indeterminado, va siempre acompañado de una cierta indefinición, que plantea al intérprete el problema de cómo aplicarlo. La Ley Orgánica 8/2015, de 22 de julio, de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, traduce la preocupación del legislador por este problema, conteniendo un interesante desarrollo del mencionado principio, en una triple vertiente: sustantiva, interpretativa y procesal, que se plasma en la modificación del art. 2 de la Ley Orgánica 1/1996. 132 The best interest of the child En la Exposición de Motivos de la Ley Orgánica 8/2015 se explica la reforma, observando que el interés superior del menor “Por una parte, es un derecho sustantivo en el sentido de que el menor tiene derecho a que, cuando se adopte una medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y, en el caso de que haya otros intereses en presencia, se hayan ponderado a la hora de llegar a una solución. Por otra, es un principio general de carácter interpretativo, de manera que si una disposición jurídica puede ser interpretada en más de una forma se debe optar por la interpretación que mejor responda a los intereses del menor. Pero, además, en último lugar, este principio es una norma de procedimiento. En estas tres dimensiones, el interés superior del menor tiene una misma finalidad: asegurar el respeto completo y efectivo de todos los derechos del menor, así como su desarrollo integral”. Concretamente, la redacción actual del art. 2.1 de la Ley Orgánica 1/1996 es la siguiente: “Todo menor tiene derecho a que su interés superior sea valorado y considerado como primordial en todas las acciones y decisiones que le conciernan, tanto en el ámbito público como privado. En la aplicación de la presente ley y demás normas que le afecten, así como en las medidas concernientes a los menores que adopten las instituciones, públicas o privadas, los Tribunales, o los órganos legislativos primará el interés superior de los mismos sobre cualquier otro interés legítimo que pudiera concurrir”. No obstante, lo que sigue siendo dudoso es si el principio del interés superior del menor puede ser invocado para excluir la aplicación de una norma legal expresa, en particular, si la misma se considera expresión del orden público. Este es, precisamente, el caso, que examinaremos en este trabajo, del art. 10 de la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre técnicas de reproducción asistida. 2. La posición del ordenamiento jurídico español: la nulidad del contrato y la atribución legal de la maternidad a la gestante El art. 10.1 de dicha Ley1 prevé que “Será nulo de pleno derecho el contrato por el que se convenga la gestación, con o sin precio, a cargo de una mujer que renuncia a la filiación materna a favor del contratante o de un tercero”2. 1 El precepto es reproducido literalmente por el art. 223-2, nº 2º, PPC. 2 A mi parecer la nulidad lo es por ilicitud de la causa, por lo que, por aplicación del art. 1306 CC, ninguna de las partes del contrato de gestación por sustitución tendrá Interés superior del menor y maternidad subrogada 133 Por consiguiente, es nulo el contrato que se celebra, cuando una pareja es fértil, pero la mujer no puede o no quiere llevar a cabo el proceso de gestación, razón por la cual se acuerda realizar una fecundación in vitro con gametos de la propia pareja e implantar el embrión obtenido en el útero de otra mujer. Es igualmente nulo el contrato que se celebra cuando la mujer de una pareja es estéril, por lo que se acuerda inseminar artificialmente a otra mujer o fecundar in vitro un óvulo de ésta con gametos del varón, para, posteriormente, implantar en su útero el embrión resultante: en este caso, la mujer que acepta asumir el proceso de gestación será madre gestante y madre biológica. El contrato de gestación por sustitución se opone al principio de indisponibilidad del cuerpo humano, ya que recae sobre las facultades reproductivas y de gestación de la madre, haciendo objeto del comercio una función de la mujer, tan elevada, como es la maternidad, la cual no puede ser objeto de trafico jurídico. Se opone también al principio de indisponibilidad del estado civil, ya que trata de modificar las normas que determinan la constitución de la relación jurídica paterno-filial y la atribución de la condición jurídica de madre y de hijo3. acción para reclamar la restitución de las prestaciones ejecutadas, de modo que los comitentes no podrían pedir la devolución de las cantidades que hubieran pagado a la que se había comprometido a ser madre portadora. En contra, sin embargo, F. Pantaleón Prieto, Contra la Ley sobre Técnicas de Reproducción Asistida, en Jueces para la democracia, nº 5, 1988, p. 27 y 28, quien considera que la nulidad procede de la ilicitud del objeto. 3 Un sector de la doctrina científica actual sigue defendiendo la nulidad del contrato de gestación con apoyo en dichos argumentos y en el principio constitucional de dignidad de la persona humana, consagrado en el art. 10.1 CE, haciendo especial hincapié en el riesgo de vulnerabilidad de las madres portadoras, que pueden verse abocadas a acudir a esta práctica para hacer frente a situaciones de pobreza o marginación social. Cfr., así, Á Aparisi Miralles, Maternidad subrogada y dignidad de la mujer, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª, pp. 163-175; V. Bellver Capella, ¿Nuevas tecnologías? Viejas explotaciones. El caso de la maternidad subrogada internacional, en SCIO. Revista de Filosofía, nº 11, noviembre de 2015, p. 19-52; Id., Tomarse en serio la maternidad subrogada altruista, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª, pp. 229-243; E. Corral García, El derecho a la reproducción humana. ¿Debe permitirse la maternidad subrogada?, en Revista de Derecho y Genoma Humano, 38/2013, p. 69; P.M. Estellés Peralta, Gestación por sustitución: Desafíos jurídicos y éticos, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 330-357; J. López Guzmán y A. Aparisi Miralles, Aproximación a la problemática ética y jurídica de la maternidad subrogada, en Cuadernos de Bioética, XXIII, 2012/2ª, p. 253-267; J. M. Serrano Ruíz-Calderón, Manipulación del lenguaje, maternidad subrogada y altruismo, en Ibidem, XXVIII, 2017/2ª, p. 219-228; o A. Valero Heredia, La maternidad subrogada: un asunto de derechos fundamentales, en Teoría y realidad constitucional (UNED), nº 49, 2019, p. 421-440. Otro sector de la doctrina se muestra favorable a la admisión de la validez del contrato, invocando el principio constitucional de libre desarrollo de la personalidad 134 The best interest of the child Ciertamente, es evidente la conexión entre procreación y el libre desarrollo de la personalidad, consagrado en el art. 10.1 CE, entendido éste, como un principio constitucional, que significa la autonomía de la persona para elegir, libre y responsablemente, entre las diversas opciones vitales, la que sea más acorde con las propias preferencias. En este caso, la opción vital es concebir, o no, un hijo, decisión personalísima, en la que el Estado no puede inmiscuirse, ni imponiéndola, ni prohibiéndola, debiendo respetar lo que resulte del ejercicio de la libertad de cada ciudadano. La libertad de procreación significa el reconocimiento a la persona de un ámbito de decisión (concebir, o no un hijo) sustraído a la injerencia estatal, pero de esta libertad no se desprende un derecho a exigir a los poderes públicos que éstos hagan efectiva la pretensión de tener hijos. Concretamente, no existe un derecho a exigir al Estado que permita el acceso a las técnicas de reproducción asistida a cualquier persona, en cualquier circunstancia, y, de cualquier modo. Es, por ello, legítimo que se limite el acceso a dichas técnicas con el fin de proteger intereses distintos a los de sus potenciales usuarios, como son la dignidad, tanto de las madres portadoras, como de los hijos concebidos mediante gestación por sustitución4. e incluso un pretendido derecho a la reproducción, además de la conveniencia de frenar el llamado turismo reproductivo, aunque procediendo siempre con cautelas, para asegurar que el consentimiento de las madres portadoras sea libre y evitar un posible tráfico internacional de niños. Vid. en este sentido L. Álvarez de Toledo Quintana, El futuro de la maternidad subrogada en España: entre el fraude de Ley y el correctivo del orden público internacional, en Cuadernos de Derecho Transaccional (octubre 2014), vol. 6, nº 2, p. 39; C. J. Ávila Hernández, La maternidad subrogada en el Derecho comparado, en Cadernos de Dereito Actual, nº 6 (2017), p. 313-344; M.P. García Aburuza, A vueltas con los efectos civiles de la maternidad subrogada, en Revista Aranzadi Doctrinal, nº 8/2015 (BIB 2015\4006); N. Igareda González, La inmutabilidad del principio “mater semper certa est” y los debates actuales sobre la gestación por substitución en España, en Universitas. Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 21, enero 2015, p. 6-7; B. Román Maestre, Gestación por sustitución: cuestiones de legitimidad, en Folia Humanística, nº 8, febrero-marzo 2018, p. 24-41; C. M. Romeo Casabona, Las múltiples caras de la maternidad subrogada: ¿aceptamos el caos jurídico actual o buscamos una solución?, en Ibidem, p. 1-23; C. Sánchez Hernández, Gestación por sustitución: una realidad y dos soluciones en la experiencia jurídica española, en InDret 4/2018; A. J. Vela Sánchez, J., Propuesta de regulación del convenio de gestación por sustitución o de maternidad subrogada en España, en Diario La Ley, nº 7621, 3 mayo 2013; Idem, Crimen en el bar. Regulemos ya en España el convenio de gestación por sustitución, Ibidem, nº 9056, 6 octubre 2017; o A. Vila-Coro Vázquez, Hacia una regulación de la gestación por sustitución como técnica de reproducción asistida, en P. Benavente Moreda - E. Farnós Amorós (coord.), Treinta años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Madrid, 2015, p. 283 ss. 4 Concuerdo, pues, con F. Pantaleón Prieto, Técnicas de reproducción asistida y Constitución, en Revista del Centro de Estudios Constitucionales, nº 15, 1993, mayo- Interés superior del menor y maternidad subrogada 135 La nulidad del contrato de gestación por sustitución hace que, a efectos legales, haya que considerar siempre como madre a la gestante, y no, a la biológica (en el caso de que ésta sea distinta de aquélla)5. El art. 10.2 de la Ley 14/2006, dice, así, que “La filiación de los hijos nacidos por gestación de sustitución será determinada por el parto”6. Sin embargo, el art. 10 de la Ley 14/2006, añade que “Queda a salvo la posible acción de reclamación de paternidad respecto del padre biológico, conforme a las reglas generales”. Cabría, pues, que el padre biológico ejercitara la acción de reclamación de paternidad y agosto, p. 130-131, cuando afirma que “no existe un derecho fundamental de todos a procrear, también por medio de técnicas de reproducción asistida, que vincule al legislador ordinario”; y ello, sin perjuicio de que no comparta sus posteriores consideraciones, realizadas en la p. 133, a propósito de la maternidad subrogada. De cualquier modo, me parece que la respuesta legal ha de estar basada en un juicio de valores, y no en razonamientos de carácter económico, como son los que, en parte, esgrime en uno de sus numerosos y originales trabajos A.J. Vela Sánchez, La gestación por encargo desde el análisis económico del Derecho, en Diario La Ley, nº 8055, 4 abril 2013, en donde se refiere al considerable ahorro de costes que para los españoles supondría el no tener que viajar al extranjero para realizar la gestación por sustitución y a los ingresos que para la economía nacional supondría la práctica en España de la maternidad subrogada. 5 No obstante, el Pleno de la Sala Social de Tribunal Supremo, en dos novedosas y polémicas Sentencias, 25 octubre 2016, nº 881/2016, y 16 noviembre 2016, nº 953/2016 (seguidas de otras posteriores), ha entendido que el nacimiento de un hijo mediante maternidad subrogada (realizada en el extranjero) puede dar lugar a baja laboral y a las correspondientes prestaciones por maternidad, considerando que existe analogía entre la maternidad subrogada y la adopción o el acogimiento. Especialmente curioso es el caso resuelto por la primera de las sentencias: un varón español acudió a la maternidad subrogada en la India, utilizándose en la reproducción asistida su material genético. La madre gestante alumbró dos niñas y aceptó que el varón español asumiera, en exclusiva, “todas las funciones y obligaciones que se derivan de la patria potestad”. Las menores fueron inscritas en el Registro Consular como hijas del padre biológico, siendo trasladadas a España por aquél. La Seguridad Social española denegó las prestaciones “por maternidad” solicitadas por el padre biológico de las menores, argumentando que la legislación española considera nulo el contrato de maternidad por sustitución. El Tribunal Supremo, sin embargo, entiende fundada la pretensión del solicitante, afirmando que las prestaciones por maternidad también cubren supuestos de adopción o acogimiento, que la madre puede transferir al padre una parte de ellas y que, en ciertos casos, cuando la madre biológica no puede disfrutarlas (muerte, ausencia de protección) se transfieren al padre. Sobre el argumento vid. E. Talens Visconti, La prestación de maternidad en los supuestos de gestación subrogada, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 438-453. 6 Esta es la consecuencia natural de la nulidad de contrato con causa ilícita, que pretende alterar los modos legales de determinación de la filiación, sin que me parezcan convincentes los argumentos en contrario esgrimidos por parte de Mª Núñez Bolaños - I. M. Nicasio Jaramillo - E. Pizarro Moreno, El interés del menor y los supuestos de discriminación en la maternidad subrogada, entre la realidad jurídica y la ficción, en Derecho Privado y Constitución, nº 29, 2015, p. 259-260, en favor de la disociación entre la prohibición de gestación por sustitución y la determinación de la filiación por el parto. 136 The best interest of the child que posteriormente, previo consentimiento de la madre gestante, el hijo fuera adoptado por la mujer de aquél, sin necesidad de mediar la declaración de idoneidad prevista en el art. 176 CC7. 3. La posición de la jurisprudencia ante las gestaciones por substitución realizadas en países extranjeros, donde esta práctica es legal En la práctica, sucede que parejas estériles (o formadas por miembros del mismo sexo) acuden a países donde está permitida la gestación por sustitución, donde conciertan un contrato de útero de alquiler; y, una vez que nace el niño, lo inscriben en el Registro Consular, como si fuera hijo suyo8. Se trata de una práctica que se opone a lo establecido en el art. 10.1 de la Ley 14/2006, precepto que tiene un claro carácter imperativo y determina la formación del orden público español9. 7 Esta posibilidad es sugerida por la STS (Pleno), 6 febrero 2014, en Tol 4100882, y por el ATS, 2 febrero 2015, rec. nº 245/2012, en interés del menor concebido por gestación por sustitución en California a iniciativa de un matrimonio de varones españoles. 8 Véase un interesante panorama de Derecho Comparado en E. Roca Trías, “Dura lex sed lex”. O de cómo integrar el interés del menor y la prohibición de la maternidad subrogada, en P. Benavente Moreda - E. Farnós Amorós , (coord.), Treinta años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Madrid, 2015, pp. 317 y ss.; como también en C. J. Ávila Hernández, La maternidad, cit., p. 313-344. 9 No hace mucho se ha aprobado en Portugal una reforma legal que ha permitido la maternidad subrogada, si bien con requisitos bastante rigurosos. El art. 1 de la Ley 25/2016, de 22 de agosto, regula, así, el acceso a la gestación por sustitución en ciertos supuestos, para lo cual ha reformado diversos preceptos de la Ley 32/2006, de 26 de julio, de procreación médica asistida, concretamente, el art. 8 de la misma. El precepto define la gestación por sustitución como cualquier situación en que la mujer se obligue a llevar a cabo un embarazo por cuenta ajena y a entregar el niño después del parto, renunciando a los derechos y deberes propios de la maternidad (1º). Sólo la permite, a título excepcional y con carácter gratuito, en los casos de ausencia de útero o de lesión o enfermedad del mismo que impida de manera absoluta y definitiva el embarazo de la mujer o en situaciones clínicas que lo justifiquen (2º), exigiendo, además, que se realice con, al menos, el gameto de uno de los beneficiarios (3º). Por lo tanto, la maternidad por sustitución se regula como una medida de carácter terapéutico, es decir, como una técnica extraordinaria que tiene como finalidad remediar la imposibilidad de procrear de una mujer (lo que, por definición, excluye que puedan acceder a ella una pareja de varones) y que ha tener siempre carácter gratuito. Se prohíbe, así, que los beneficiarios paguen a la gestante cualquier tipo de compensación económica como contraprestación por la gestación del niño, aunque se permite el pago de gastos médicos (incluidos los de transporte) debidamente acreditados (5º); y, para garantizar la libertad de la gestante, se prohíbe que pueda celebrarse el contrato cuando entre las partes exista Interés superior del menor y maternidad subrogada 137 una relación de dependencia económica, en particular, de naturaleza laboral o de prestación de servicios (6º). Cumplidos estos requisitos, el niño que nazca será hijo de los respectivos beneficiarios (7º). En cambio, todos los negocios de gestación por sustitución que sean onerosos o que, siendo gratuitos, no se ajusten a los requisitos legales serán nulos (12º), previéndose, además, sanciones penales para quienes los celebren (nuevo art. 34 Ley 32/2006, de 26 de julio, tras la reforma de 2016). Se trata, pues, de una regulación, que solamente admite la maternidad subrogada gratuita y con requisitos bastante rigurosos, pero, como siempre que se regula la gestación por sustitución, surge el problema de determinar la filiación de los hijos nacidos fuera de los casos legalmente admitidos. Sobre la cuestión vid. en general, A.G. Dias Pereira, Gestação de substituição e acesso de todas as mulheres à procriação medicamente assistida em Portugal: as leis de 2016 e as profundas transformações no direito da filiação, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018, p. 32-47. A este respecto, se pronunció el Consejo Nacional de Procreación Médica Asistida de Portugal en una polémica Declaración Interpretativa de Ley 25/2016, según la cual el legislador quiere y quiso que, en todos los casos, incluso cuando los contratos de gestación sean nulos, los niños que nazcan como consecuencia del recurso a la gestión por sustitución sean hijos de los respectivos beneficiarios. Esta Declaración interpretativa fue literalmente seguida por el art. 3.5 del Proyecto de Decreto destinado a establecer el Reglamento de la Ley, lo que mereció fuertes críticas por parte de un significativo sector de la doctrina, motivando un valoración negativa por parte del Consejo Nacional Portugués de Ética para las Ciencias de la Vida, que en un contundente Informe de enero de 2017 afirmó que no era comprensible que una norma reglamentaria atribuyera a un contrato nulo efectos idénticos a los de un contrato válido; argumentó que no era aceptable, desde un punto de vista ético, que alguien pudiera obtener, por medio de un contrato de gestación contrario a la Ley, los mismos efectos que alcanzaría con la celebración de un contrato que se ajustase a las prescripciones legales; y concluyó observando que tal solución no disuadiría de realizar prácticas ilegales y proporcionaría ocasiones de explotación de las mujeres gestantes (contradiciéndose, así, el carácter gratuito que, según la Ley, debe tener la maternidad subrogada). A este respecto, se ha pronunciado el Consejo Nacional de Procreación Médica Asistida de Portugal en una polémica Declaración Interpretativa de Ley 25/2016, según la cual el legislador quiere y quiso que, en todos los casos, incluso cuando los contratos de gestación sean nulos, los niños que nazcan como consecuencia del recurso a la gestión por sustitución sean hijos de los respectivos beneficiarios. Esta Declaración interpretativa es literalmente seguida por el art. 3.5 del Proyecto de Decreto destinado a establecer el Reglamente de la Ley, que se encuentra en fase de tramitación, pero que ha merecido una contundente valoración negativa por parte del Consejo Nacional de Ética para las Ciencias de la Vida, que en un Informe de enero de 2017 afirma que no es comprensible que una norma reglamentaria atribuya a un contrato nulo efectos idénticos a los de un contrato válido; dice, así, que no es aceptable, desde un punto de vista ético, que alguien pueda obtener, por medio de un contrato de gestación contrario a la Ley, los mismos efectos que alcanzaría con la celebración de un contrato que se ajustara a las prescripciones legales; y concluye observando que tal solución no disuadiría de realizar prácticas ilegales y proporcionaría ocasiones de explotación de las mujeres gestantes. Sin embargo, felizmente, el Legislador luso no ha acogido la solución seguida por el art. 3.5 del Proyecto, de la que no hay rastro en el Decreto Reglamentario 6/2017, de 31 de julio. Recientemente la Sentencia del Tribunal Constitucional Portugués, 24 abril 2018, nº 225, causa n. 95/2017, en Data Juris, 381503, ha declarado inconstitucionales 138 The best interest of the child 3.1. Imposibilidad de inscribir la filiación (interés superior del menor y mercantilización de la gestación y de la filiación) El Tribunal Supremo, en una célebre sentencia10, ha confirmado la cancelación de la inscripción de la filiación, que había sido realizada en el Registro Civil Consular de los Ángeles, con apoyo en una certificación registral californiana, en favor de dos varones, que habían acudido a la gestación por sustitución. Ha considerado que tal inscripción iba contra el orden público español, pues en “nuestro ordenamiento jurídico y en el de la mayoría de los países con ordenamientos basados en similares principios y valores, no se acepta que la generalización de la adopción, incluso internacional, y los avances en las técnicas de reproducción humana asistida vulneren la dignidad de la mujer gestante y del niño, mercantilizando la gestación y la filiación, ‘cosificando’ a la mujer gestante y al niño, permitiendo a determinados intermediarios realizar negocio con ellos, posibilitando la explotación del estado de necesidad en que se encuentran mujeres jóvenes en situación de pobreza y creando una especie de ‘ciudadanía censitaria’ en la que solo quienes disponen de elevados recursos económicos pueden establecer relaciones paterno-filiales vedadas a la mayoría de la población”. diversos aspectos de la regulación lusa de la maternidad subrogada. Así, entre otras disposiciones, el 8, 8º de la Ley 32/2006, en relación con el artículo 14, 5º de la misma, en la medida en que no consiente a la gestante subrogada revocar el consentimiento inicialmente prestado, cosa que debiera poder hacer hasta la completa ejecución del contrato, es decir, hasta el momento en que debiera entregar a los comitentes el hijo nacido de ella, comportando dicha disposición una violación del derecho al desarrollo de la personalidad, interpretado de conformidad con el principio de la dignidad humana y del derecho a formar una familia. También ha declarado inconstitucional el art. 15, 1º de la Ley 32/2006, en relación con el nº 4 del mismo precepto, en la medida en que prevé una obligación de silencio absoluto en relación a la identidad de los donantes de gametos y de embriones (en la fecundación heteróloga), además de respecto a la gestante subrogada (en caso de subrogación de maternidad), pues tal disposición implica un restricción innecesaria de los derechos a la identidad personal y al desarrollo de la personalidad de los sujetos nacidos como consecuencia de las técnicas de reproducción asistida. 10 La STS (Pleno), 6 febrero 2014, en Tol 4100882. Puede también verse el fallo en Revista Boliviana de Derecho, nº 18, 2014, pp. 400-419, con nota de F. J. Jiménez Muñoz, Denegación de la inscripción de la filiación determinada por la celebración de un contrato de gestación por sustitución. Vid. al respecto las opiniones contrastantes de T. Vázquez Muiña, No se puede inscribir en el Registro Civil español la filiación surgida en el extranjero mediante gestación por sustitución. Comentario a la STS de 6 de febrero de 2014, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018, pp. 80-96; y A. J. Vela Sánchez, Los hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución no pueden ser inscritos en el Registro Civil español (A propósito de la Sentencia del Tribunal Supremo de 6 de febrero de 2014, en Diario La Ley, nº 8279, 26 marzo 2014. Interés superior del menor y maternidad subrogada 139 En mi opinión, no puede considerarse la posición de la legislación española per se sea contraria al interés superior del menor, pues no está dicho que, en principio, lo mejor para éste sea que se le reconozca la filiación, siempre respecto de los comitentes, en vez de respecto de la madre gestante, sin examinar las circunstancias del caso concreto, lo que, además, supondría posibilitar que los jueces crearan una regla general de atribución de la filiación, contraria a la claramente establecida por el legislador, en una aplicación discutible de un concepto jurídico indeterminado, como es el interés del menor, respecto del cual no existe unanimidad. La mencionada sentencia del Tribunal Supremo realiza interesantes consideraciones a este respecto. Dice, así, que “La cláusula general de la consideración primordial del interés superior del menor contenida en la legislación no permite al juez alcanzar cualquier resultado en la aplicación de la misma. La concreción de dicho interés del menor no debe hacerse conforme a sus personales puntos de vista, sino tomando en consideración los valores asumidos por la sociedad como propios, contenidos tanto en las reglas legales como en los principios que inspiran la legislación nacional y las convenciones internacionales”; y continúa: “La aplicación del principio de la consideración primordial del interés superior del menor ha de hacerse para interpretar y aplicar la ley y colmar sus lagunas, pero no para contrariar lo expresamente previsto en la misma. No hacerlo así podría llevar a la desvinculación del juez respecto del sistema de fuentes, que es contraria al principio de sujeción al imperio de la ley que establece el art. 117.1 de la Constitución. Hay cambios en el ordenamiento jurídico que, de ser procedentes, debe realizar el parlamento como depositario de la soberanía nacional, con un adecuado debate social y legislativo, sin que el juez pueda ni deba suplirlo”. Observa, además, que, si bien, a tenor del art. 3 de la Convención sobre los Derechos del Niño, el interés superior del menor tiene “una consideración primordial, a la que han de atender los tribunales y demás instituciones públicas y privadas en todas las medidas concernientes a los niños”, ello no significa que no haya que realizar una ponderación con otros bienes jurídicos, como “el respeto a la dignidad e integridad moral de la mujer gestante, evitar la explotación del estado de necesidad en que pueden encontrarse mujeres jóvenes en situación de pobreza, o impedir la mercantilización de la gestación y de la filiación”, afirmando que “la mercantilización que supone que la filiación 140 The best interest of the child de un menor resulte determinada, a favor de quien realiza el encargo, por la celebración de un contrato para su gestación, atenta contra la dignidad del menor al convertirlo en objeto del tráfico mercantil”11. Por otro lado, hay que insistir en que, conforme al art. 10.2 de la Ley 14/2006, cabe que, siendo uno de los comitentes el padre biológico reclame la paternidad y, posteriormente su cónyuge (cualquiera que sea su sexo) lo adopte, sin necesidad de la declaración administrativa de idoneidad (art. 176.2º.2. CC), como también que pueda constituirse un acogimiento en favor de los comitentes, si existe una situación de desamparo por no ocuparse la madre gestante de su hijo. 3.2. Ajuste de la jurisprudencia interna a la emanada del Tribunal Europeo de Derechos Humanos Con posterioridad a la sentencia comentada, el Tribunal Supremo ha dictado un auto12, desestimando un incidente de nulidad de actuaciones, y en que ha considerado que la solución por él consagrada no es contraria a la jurisprudencia del Tribunal Europeos de Derechos Humanos13, que ha condenado a Francia, por no permitir la inscripción 11 Son evidentes los puntos de conexión entre los argumentos usados por el Tribunal Supremo y la Corte de Casación italiana, en su célebre sentencia de las Secciones Unidas, 8 mayo 2019, nº 12193, la cual ha afirmado que el reconocimiento de la eficacia del fallo judicial extranjero en el que se determina la relación de filiación entre un menor nacido en el extranjero mediante el recurso a la maternidad subrogada y el progenitor de intención italiano se opone a la prohibición de subrogación de la maternidad previsto en la Ley nº 40 de 2004 (art. 12, 6), que constituye un principio de orden público, en cuanto tutela valores fundamentales, como la dignidad humana de la gestante y la institución de la adopción. Añade que el juez no puede sustituir, con su propia valoración, la ponderación directamente realizada por el legislador, sin que pueda considerarse carente de razonabilidad la prevalencia concedida a la tutela de los mencionados valores en relación con el interés del menor. Se refiere, además, a la posibilidad de que pueda determinarse la filiación acudiendo a otros instrumentos jurídicos como la adopción. Vid. al respecto el riguroso y extenso análisis del fallo realizado por M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezione Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, en Familia, Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa, 3, mayo-junio 2019, p. 369-385. 12 ATS, 2 febrero 2015, rec. nº. 245/2012. Vid. a este respecto la opinión contraria de A. J. Vela Sánchez, Erre que erre: el Tribunal Supremo niega la inscripción de la filiación de los hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución. A propósito del Auto del Tribunal Supremo de 2 de febrero de 2015, en Diario La Ley, nº 8600, 8 septiembre 2015. 13 Sobre la materia vid. C. Sánchez Hernández, La reproducción médica asistida en la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos: especial consideración desde la perspectiva de la seguridad jurídica, en Revista de Derecho Privado, nº 4, julio-agosto 2018, p. 39-92. Interés superior del menor y maternidad subrogada 141 en el Registro civil francés de hijos nacidos en Estados Unidos mediante gestación por sustitución con gametos del varón integrante de la pareja heterosexual comitente14. Observa el Tribunal Supremo que la condena al país galo se fundamenta en “la absoluta imposibilidad de que el ordenamiento jurídico francés reconozca cualquier vínculo de filiación entre los comitentes y el niño, no solamente por la imposibilidad de transcribir el acta de nacimiento norteamericana, sino también por la imposibilidad de que se reconozca la filiación biológica paterna (lo que el Tribunal de Estrasburgo considera injustificable), la filiación derivada de la posesión de estado, o la filiación por adopción por parte de los comitentes”, “lo que supone una situación de incertidumbre jurídica incompatible con las exigencias del art. 8 del Convenio” de Roma [que consagra el derecho al respeto de la vida familiar, del que forma parte el derecho a la identidad]. El Tribunal de Estrasburgo – añade – “no afirma que la negativa a transcribir al Registro Civil francés las actas de nacimiento de los niños nacidos en el extranjero por gestación por subrogación infrinja el derecho al respeto de la vida privada de esos menores. Lo que afirma es que a esos niños hay que reconocerles un estatus definido, una identidad cierta en el país en el que normalmente van a vivir […]. En el caso de España, ese estatus puede proceder del reconocimiento o establecimiento de la filiación biológica con respecto a quienes hayan proporcionado sus propios gametos para la fecundación, puede proceder de la adopción, y, en determinados casos, puede proceder de la posesión de estado civil, que son los criterios de determinación de la filiación que nuestro ordenamiento jurídico vigente ha considerado idóneos para proteger el interés del menor”15. 14 Vid. SSTEDH 26 junio 2014, caso Mennesson c. Francia, rec. nº 65192/11, y caso Labassee, rec. nº 65941/11. La doctrina establecida por estas sentencias ha sido posteriormente confirmada por la STEDH 21 julio 2016, caso Foulon y Bouvet c. Francia, rec. nº 9063/14 y 10410/14, que condena a Francia por impedir sus tribunales inscribir en el Registro Civil del país las declaraciones de reconocimiento formuladas por los padres biológicos, que habían acudido a la India para poder concebir hijos, eludiendo la prohibición de la utilización de la maternidad subrogada establecida en el art. 47 del Código Civil galo. 15 En cualquier caso, hay que tener en cuenta el reciente cambio jurisprudencial sobre la materia protagonizado por el Tribunal de Estrasburgo, al resolver de manera definitiva el caso Paradiso y Campanelli c. Italia. Dicho caso tiene su origen en el nacimiento de un hijo en Rusia mediante un contrato de útero de alquiler celebrado entre la pareja comitente (los demandantes) y la sociedad Rosjurconsulting. Una vez nacido el niño, la madre gestante dio su consentimiento para que aquél fuera inscrito a nombre de los demandantes, como, efectivamente, tuvo lugar 142 The best interest of the child 3.3. La posición contraria a la Ley de la Dirección General de los Registros y del Notariado: admisión de la inscripción, cuando se acompañe una resolución judicial extranjera en la que se determine la filiación del nacido No obstante lo dicho, la Instrucción de la DGRN de 5 de octubre de 201016 mantiene una discutible posición sobre la materia17. en el Registro Civil de Moscú. Los problemas surgieron cuando los “padres” pretendieron la inscripción del certificado ruso de nacimiento de su “hijo” en el Registro Civil italiano. Las autoridades administrativas y judiciales se negaron a practicar la inscripción solicitada, argumentando que el certificado era falso, pues no había vínculo de filiación alguno entre los demandantes, ya que el niño había sido concebido mediante gestación subrogada, la cual (al igual que la reproducción artificial heteróloga) es prohibida por el Derecho Italiano. Como consecuencia de ello, el niño fue puesto a cargo de los servicios sociales, considerado en estado de abandono y confiado en acogimiento, siendo declarado idóneo para la adopción. En Sentencia 27 enero 2015 la Sección 2ª del TEDH condenó a Italia por considerar que las actuaciones descritas atentaban contra el art. 8 del Convenio de Roma. Sin embargo, tal fallo ha sido revocado por la “Gran Sala” en reciente Sentencia 24 enero 2017, rec. nº 25358/12, que ha entendido que no existió vulneración del derecho al respeto a la vida privada y familiar, con los siguientes argumentos: 1º. Ha considerado que no hubo violación del derecho al respecto a la “vida familiar”, por entender que, en rigor, no puede entenderse que en el supuesto enjuiciado existiese una verdadera “vida familiar”, teniendo en cuenta, tanto la ausencia de un vínculo biológico entre el niño y los demandantes, como la corta duración de las relaciones entre ellos: la convivencia con el hijo en Italia había sido de 6 meses, si bien la Señora Campanelli había además convivido con el niño dos meses más en Rusia. 2º. Ha considerado también que, si bien, las medidas denunciadas inciden sobre el derecho a la vida privada de los demandantes, no obstante, esta incidencia no constituye una injerencia ilegítima en dicho derecho, obedeciendo a una finalidad legítima, cual es el deseo de las autoridades italianas de reafirmar la exclusiva competencia del Estado para reconocer la existencia de relaciones paterno-filiales, exclusivamente, en el caso de relación biológica o de adopción legal, con el objetivo de proteger a los niños. Afirma, además, que los Tribunales italianos han realizado una justa ponderación entre los diferentes intereses en juego, que entra dentro del margen de apreciación de cada Estado, al constatar que la separación del niño de los demandantes no provoca a aquél daños graves o irreparables. 16 Sobre la aplicación práctica de la Instrucción por parte de la DGRN, vid. J. Mª Díaz Fraile, La gestación por sustitución ante el Registro Civil Español. Evolución de la doctrina de la DGRN y de la jurisprudencia española y europea, en Revista de Derecho civil, vol. VI, nº 1, enero-marzo 2019, p. 96-110. 17 La Instrucción de 5 de octubre de 2010 sigue en vigor, en toda su extensión. La DGRN dictó la Instrucción de 14 de febrero de 2019, sobre actualización del régimen registral de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución, que pretendía solucionar el problema que surge cuando en el país extranjero en el que se realiza la gestación subrogada no queda determinada por sentencia judicial la filiación del hijo respecto de los comitentes. Admitía, así (siempre que en la certificación registral extranjera o en la declaración y certificación médica Interés superior del menor y maternidad subrogada 143 a) En su directriz segunda, afirma que: “En ningún caso se admitirá como título apto para la inscripción del nacimiento y filiación del nacido, una certificación registral extranjera o la simple declaración, acompañada de certificación médica relativa al nacimiento del menor en la que no conste la identidad de la madre gestante”. Por lo tanto, se abandona la posición mantenida por la RDGRN 18 febrero 2009, que, en el supuesto anteriormente mencionado (los dos varones que habían viajado a California para poder acceder a la gestación por sustitución), había admitido la posibilidad de inscribir la filiación de los hijos nacidos mediante gestación por sustitución a través de un mero certificado registral de nacimiento (expedido por las autoridades californianas), lo que, por lo tanto, ya no será posible. b) Por el contrario, sí que admite la inscripción en los Registros civiles consulares de los hijos nacidos mediante gestación por sustitución, cuando, al menos, uno de los solicitantes sea español y se presente ante el encargado del Registro una resolución judicial, dictada en el país de origen. En su directriz primera dice, así, que: “La inscripción de nacimiento de un menor, nacido en el extranjero como consecuencia de técnicas de gestación por sustitución, sólo podrá realizarse presentando, junto a la solicitud de inscripción, la resolución judicial dictada por Tribunal competente en la que se determine la filiación del nacido” (párrafo primero)18. del nacimiento del menor constara la identidad de la gestante), la determinación de la filiación paterna mediante el reconocimiento legal por parte del padre español comitente, acompañada de prueba biológica de su paternidad (ADN), y que, posteriormente, la madre comitente adoptara al menor (siempre que hubiera existido renuncia de la madre gestante, después del nacimiento). No obstante, la Instrucción, ni siquiera fue publicada en el BOE, siendo dejada sin efecto, cuatro días después, por la posterior Instrucción DGRN de 18 de febrero de 2019. Vid. sobre la cuestión Mª B. Andreu Martínez, Una nueva vuelta de tuerca en la inscripción de los hijos nacidos mediante gestación subrogada en el extranjero: la Instrucción de la DGRN de 18 de febrero de 2019, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 10 bis, junio 2019, p. 64-85; G. Muñoz Rodrigo, La filiación y la gestación por sustitución: a propósito de las Instrucciones de la DGRN de 14 y 18 de febrero de 2019, Ibidem, nº 10 bis, junio 2019, p. 722-735; A. J. Vela Sánchez, Análisis estupefacto de la Instrucción de la DGRN de 18 de febrero de 2019, sobre actualización del régimen registral de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución, en Diario La Ley, nº 9453, 10 julio 2019. 18 La razón de este requisito se explica de la siguiente manera: “La exigencia de resolución judicial en el país de origen tiene la finalidad de controlar el cumplimiento de los requisitos de perfección y contenido del contrato respecto del marco legal del país donde se ha formalizado, así como la protección de los intereses del menor y de la madre gestante. En especial, permite constatar la plena capacidad jurídica y de obrar de la mujer gestante, la eficacia legal del consentimiento prestado por no haber incurrido en error sobre las consecuencias y alcance del mismo, ni haber sido sometida a engaño, violencia o coacción o la eventual previsión y/o posterior respeto a la facultad de 144 The best interest of the child Por consiguiente, la atribución de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución debe basarse en una previa resolución judicial, que (salvo que resulte de aplicación un Convenio Internacional) habrá de ser objeto de exequátur, conforme al procedimiento establecido en los arts. 52 y ss. de la Ley 29/2015, de 30 de julio, de cooperación jurídica internacional en materia civil)19. A mi parecer, la solución propuesta por la Instrucción no es correcta20, porque, en definitiva, está creando una regla general que presta revocación del consentimiento o cualesquiera otros requisitos previstos en la normativa legal del país de origen. Igualmente, permite verificar que no existe simulación en el contrato de gestación por sustitución que encubra el tráfico internacional de menores”. 19 Así lo exige, como regla general, la directriz primera de la Instrucción, según la cual: “Para proceder a la inscripción de nacimiento deberá presentarse ante el Registro Civil español, la solicitud de la inscripción y el auto judicial que ponga fin al mencionado procedimiento de exequátur” (párrafo segundo). Sin embargo, la misma directriz, en su párrafo tercero, establece que no será necesario acudir al procedimiento de exequátur, cuando la resolución judicial extranjera “tuviera su origen en un procedimiento análogo a uno español de jurisdicción voluntaria”, disponiendo que, en tal caso, “el encargado del Registro Civil controlará incidentalmente, como requisito previo a su inscripción, si tal resolución judicial puede ser reconocida en España”. En este mero control incidental – continúa la Instrucción – el encargado “deberá constatar: a) La regularidad y autenticidad formal de la resolución judicial extranjera y de cualesquiera otros documentos que se hubieran presentado. b) Que el Tribunal de origen hubiera basado su competencia judicial internacional en criterios equivalentes a los contemplados en la legislación española. c) Que se hubiesen garantizado los derechos procesales de las partes, en particular, de la madre gestante. d) Que no se ha producido una vulneración del interés superior del menor y de los derechos de la madre gestante. En especial, deberá verificar que el consentimiento de esta última se ha obtenido de forma libre y voluntaria, sin incurrir en error, dolo o violencia y que tiene capacidad natural suficiente. e) Que la resolución judicial es firme y que los consentimientos prestados son irrevocables, o bien, si estuvieran sujetos a un plazo de revocabilidad conforme a la legislación extranjera aplicable, que éste hubiera transcurrido, sin que quien tenga reconocida facultad de revocación, la hubiera ejercitado”. 20 La doctrina de la Dirección General de los Registros y del Notariado ha sido objeto de críticas generalizadas por parte de los civilistas; y no sólo de los que están claramente en contra de la admisión de la validez del contrato de maternidad subrogada, como es el caso de E. Corral García, El derecho a la reproducción humana, cit., p. 48-49, sino también de los que están en favor de admitir su validez legal, negando que el recurso al principio del interés superior del menor puede llevar a soluciones contrarias al orden público español y propiciar un claro fraude de ley. Vid. así A. J. Vela Sánchez, El interés superior del menor como fundamento de la incorporación de la filiación derivada del convenio de gestación por encargo, en Diario La Ley, nº 8162, 3 octubre 2013. A favor, en cambio, se muestra un sector de la doctrina iusinternacionalista, de la que, por ejemplo, son exponentes A. L. Calvo Caravaca - J. Carrascosa González, Gestación por sustitución y Derecho Internacional Privado: consideraciones en torno a la Resolución de la Dirección General de los Registros y del Notariado de 18 de febrero de 2009, en Cuadernos de Derecho Transaccional (octubre 2009), vol. 1, nº 2, p. 319. Interés superior del menor y maternidad subrogada 145 cobertura administrativa a un “turismo reproductivo”, el cual trata de eludir la aplicación de un precepto legal (el art. 10.1 de la Ley Orgánica 14/2006), que, claramente, establece la nulidad del contrato de gestación por sustitución, norma ésta, que creo que debe ser considerada de orden público; y ello, en la medida en que responde al principio, común en los países de la Europa continental, de que no pueden ser objeto de tráfico jurídico las facultades reproductivas y de gestación de la mujer. Podría replicarse que en la actualidad la idea de “orden público atenuado” permite reconocer ciertos efectos jurídicos en España a instituciones desconocidas en nuestro Derecho. Esta idea ha posibilitado, por ejemplo, que, existiendo varias mujeres unidas a un único varón, el matrimonio pueda ser tenido en cuenta en orden a la percepción de una pensión de viudedad; o que un acogimiento constituido judicialmente en un país islámico pueda dar lugar a un reagrupamiento familiar (siendo equiparado a una tutela dativa). Sin embargo, en estos casos, no se admite la recepción sustantiva de la institución misma, es decir, no se permite la inscripción de un matrimonio en el que los cónyuges sean más de dos personas, como tampoco la inscripción como adopción de un acogimiento de carácter islámico (que en el país de origen no genera una relación de filiación). Creo que en el supuesto que nos ocupa, sucede algo semejante: no es que la Instrucción pretenda atribuir ciertos efectos jurídicos a una institución prohibida por el Derecho español, sino que está proponiendo la recepción sustantiva de la misma, lo que no parece admisible21. 4. La reacción: el Informe del Comité de Bioética de España sobre los aspectos éticos y jurídicos de la maternidad subrogada. Recientemente el Comité de Bioética de España ha publicado un Informe sobre los aspectos éticos y jurídicos de la maternidad subrogada, con fecha de 19 de mayo de 2017, que ha tenido gran repercusión mediática y del que no puedo dejar de hacer una breve referencia22. 21 La situación creada por la Instrucción de la DGRN de 5 de octubre de 2010, en total oposición a la jurisprudencia del TS es calificada, con razón, por M.D. Cervilla Garzón, Gestación subrogada y dignidad de la mujer, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2019, p. 35, como “esquizofrénica”. 22 Al mencionado Informe se refiere extensamente S. Zubero Quintanilla, Efectos 146 The best interest of the child El Informe se muestra, con toda claridad, en favor de mantener la nulidad del contrato de gestación por sustitución establecida en el art. 10.1 de la Ley 14/2006, por entender que dicho contrato es contrario a la dignidad de la mujer y al interés superior del niño. Dice, así, que atenta “contra la dignidad de la mujer porque permite que su cuerpo se convierta durante nueve meses en mero instrumento para satisfacer los deseos de otros. Así sucede en todo caso en la maternidad subrogada comercial, pero también (para la mayoría de los miembros de esta comisión) en la altruista. En ambas modalidades el parto supone la ruptura del vínculo humano más fuerte que pueda existir, como es el que une a una madre con su hijo, porque está basado tanto en la voluntad como en el cuerpo. También atenta contra el interés superior del niño porque rompe su vínculo materno tras el parto y le expone a un riesgo frecuente y grave de cosificación”. Pero, además, llama la atención al Estado sobre la necesidad de intervenir para garantizar “la nulidad de los contratos de gestación subrogada independientemente del lugar en que se celebren”. Denuncia que “Aprovechando las leyes permisivas de algunos países, ciudadanos españoles celebran este tipo de contratos en el extranjero y, a continuación, logran inscribir la filiación de los niños obtenidos por esta vía en el Registro Civil de España” y constata que “Este tipo de contratos e inscripciones contradicen el parecer del Tribunal Supremo, que se manifestó sobre este asunto en 2014 y 2015, declarando su nulidad y los demás efectos que ésta comporta”. Ante ello recomienda que España promueva en la Comunidad Internacional medidas tendentes a lograr una prohibición universal de la maternidad subrogada y acometa una reforma legal orientada a conseguir “que la nulidad de esos contratos sea también aplicable a aquellos celebrados en el extranjero, refiriéndose concretamente a “la posibilidad de sancionar a las agencias que se dedicaran a esta actividad”. jurídicos de los contratos de maternidad subrogada internacional en España, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8 bis, 2018, p. 237-241. Interés superior del menor y maternidad subrogada 147 Bibliografía Álvarez de Toledo Quintana L., El futuro de la maternidad subrogada en España: entre el fraude de Ley y el correctivo del orden público internacional, en Cuadernos de Derecho Transaccional, octubre 2014, vol. 6, nº 2 Andreu Martínez M.B., Una nueva vuelta de tuerca en la inscripción de los hijos nacidos mediante gestación subrogada en el extranjero: la Instrucción de la DGRN de 18 de febrero de 2019, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 10 bis, junio 2019 Aparisi Miralles A., Maternidad subrogada y dignidad de la mujer, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª Ávila Hernández C. J., La maternidad subrogada en el Derecho comparado, en Cadernos de Dereito Actual, nº 6, 2017 Bellver Capella V., ¿Nuevas tecnologías? Viejas explotaciones. El caso de la maternidad subrogada internacional, en SCIO. Revista de Filosofía, nº 11, noviembre de 2015 Bellver Capella V., Tomarse en serio la maternidad subrogada altruista, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª Bianca M., La tanto attesa decisione delle Sezione Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, en Familia, Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa, 3, mayo-junio 2019 Calvo Caravaca A.L. - Carrascosa González J., Gestación por sustitución y Derecho Internacional Privado: consideraciones en torno a la Resolución de la Dirección General de los Registros y del Notariado de 18 de febrero de 2009, en Cuadernos de Derecho Transaccional, octubre vol. 1, nº 2, 2009 Cervilla Garzón M.D., Gestación subrogada y dignidad de la mujer, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2019 Corral García E., El derecho a la reproducción humana. ¿Debe permitirse la maternidad subrogada?, en Revista de Derecho y Genoma Humano, 38, 2013 Dias Pereira A.G., Gestação de substituição e acesso de todas as mulheres à procriação medicamente assistida em Portugal: as leis de 2016 e as profundas transformações no direito da filiação, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018 Díaz Fraile J.M., La gestación por sustitución ante el Registro Civil Español. Evolución de la doctrina de la DGRN y de la jurisprudencia española y europea, en Revista de Derecho civil, vol. VI, nº 1, enero-marzo 2019 Estellés Peralta P.M., Gestación por sustitución: Desafíos jurídicos y éticos, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018 García Aburuza M.P., A vueltas con los efectos civiles de la maternidad subrogada, en Revista Aranzadi Doctrinal, nº 8/2015, BIB 2015\4006 Igareda González N., La inmutabilidad del principio “mater semper certa est” y los debates actuales sobre la gestación por substitución en España, en Universitas. Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 21, enero 2015 148 The best interest of the child López Guzmán J. - Aparisi Miralles A., Aproximación a la problemática ética y jurídica de la maternidad subrogada, en Cuadernos de Bioética, XXIII, 2012/2ª Muñoz RodrigoG., La filiación y la gestación por sustitución: a propósito de las Instrucciones de la DGRN de 14 y 18 de febrero de 2019, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 10 bis, junio 2019 Núñez Bolaños M. - Nicasio Jaramillo I. M. - E. Pizarro Moreno, El interés de menor y los supuestos de discriminación en la maternidad subrogada, entre la realidad jurídica y la ficción, en Derecho Privado y Constitución, nº 29, 2015 Pantaleón Prieto F., Técnicas de reproducción asistida y Constitución, en Revista del Centro de Estudios Constitucionales, nº 15, mayo-agosto, 1993 Roca Trías,E., “Dura lex sed lex”. O de cómo integrar el interés del menor y la prohibición de la maternidad subrogada, en P. Benavente Moreda - E. Farnós Amorós (coord.), Treinta años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Madrid, 2015 Román Maestre B., Gestación por sustitución: cuestiones de legitimidad, en Folia Humanística, nº 8, febrero-marzo 2018 Romeo Casabona C.M., Las múltiples caras de la maternidad subrogada: ¿aceptamos el caos jurídico actual o buscamos una solución?, en Folia Humanística, nº 8, febrero-marzo, 2018 Sánchez Hernández C., Gestación por sustitución: una realidad y dos soluciones en la experiencia jurídica española, en InDret 4/2018 Sánchez Hernández C., La reproducción médica asistida en la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos: especial consideración desde la perspectiva de la seguridad jurídica, en Revista de Derecho Privado, nº 4, julio-agosto 2018 Serrano Ruíz-Calderón J.M., Manipulación del lenguaje, maternidad subrogada y altruismo, en Cuadernos de Bioética, XXVIII, 2017/2ª Talens Visconti E., La prestación de maternidad en los supuestos de gestación subrogada, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018 Valero Heredia A., La maternidad subrogada: un asunto de derechos fundamentales, en Teoría y realidad constitucional (UNED), nº 49, 2019 Vázquez Muiña, T., No se puede inscribir en el Registro Civil español la filiación surgida en el extranjero mediante gestación por sustitución. Comentario a la STS de 6 de febrero de 2014, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8, 2018. Vela Sánchez A. J., La gestación por encargo desde el análisis económico del Derecho, en Diario La Ley, nº 8055, 4 abril 2013 Vela Sánchez A.J., Análisis estupefacto de la Instrucción de la DGRN de 18 de febrero de 2019, sobre actualización del régimen registral de la filiación de los nacidos mediante gestación por sustitución, en Diario La Ley, nº 9453, 10 julio 2019 Vela Sánchez A.J., Crimen en el bar. Regulemos ya en España el convenio de gestación por sustitución, en Diario La Ley, nº 9056, 6 octubre 2017 Vela Sánchez A.J., El interés superior del menor como fundamento de la incorporación de la filiación derivada del convenio de gestación por encargo, en Diario La Ley, nº 8162, 3 octubre 2013 Interés superior del menor y maternidad subrogada 149 Vela Sánchez A.J., Erre que erre: el Tribunal Supremo niega la inscripción de la filiación de los hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución. A propósito del Auto del Tribunal Supremo de 2 de febrero de 2015, en Diario La Ley, nº 8600, 8 septiembre 2015 Vela Sánchez A.J., Los hijos nacidos de convenio de gestación por sustitución no pueden ser inscritos en el Registro Civil español (A propósito de la Sentencia del Tribunal Supremo de 6 de febrero de 2014, en Diario La Ley, nº 8279, 26 marzo 2014 Vela Sánchez A.J., Propuesta de regulación del convenio de gestación por sustitución o de maternidad subrogada en España, en Diario La Ley, nº 7621, 3 mayo 2013 Vila-Coro Vázquez A., Hacia una regulación de la gestación por sustitución como técnica de reproducción asistida, en P. Benavente Moreda - E. Farnós Amorós (coord.), Treinta años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Treinta años de reproducción asistida en España: una mirada interdisciplinaria a un fenómeno global y actual, Madrid, 2015 Zubero QuintanillaS., Efectos jurídicos de los contratos de maternidad subrogada internacional en España, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 8 bis, 2018 parte ii L’interesse del minore e i new media Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet Luisa Avitabile 1. La discussione sulla condizione dell’infanzia in Europa, comparativamente con altre aree del mondo, può essere affrontata e discussa soltanto tenendo conto di quel che appartiene al momento storico attuale: la rivoluzione digitale1. Questo fenomeno comporta, non solo per i minori, l’uso di strumenti informatici che permettono di navigare in una dimensione metareale, complessa, come quella della rete, e di avere così un differente approccio alle situazioni di sofferenza, come la malattia e la morte, rispetto ad alcuni anni fa2. Ne deriva che l’infanzia si trova in una dimensione complessa a rischio di iperconnessione, dove internet, nel tentativo di gestire le esistenze dei teenagers, non può più essere considerato solo uno strumento, perché adotta algoritmi in grado di influenzare la visione del mondo, il rapporto con l’alterità e dunque la percezione delle condizioni di sofferenza e dolore3. Si afferma un diverso modo di considerare e trattare i fenomeni della malattia, della sofferenza e della morte. È possibile individuare due versanti: malattia, sofferenza e morte del minore oppure consapevolezza della malattia, della sofferenza e della morte altrui che – come si può evincere da episodi riportati sempre più sovente dalla cronaca 1 B. Romano, Algoritmi al potere, Torino, 2018, p. 89 ss. 2 G. Capellani, Crescere nell’era digitale: l’uso delle nuove tecnologie nell’infanzia, nell’età scolare e adulta, quale futuro?, Milano, 2018; P. Cellini, La rivoluzione digitale, Roma, 2018; A. Davidson, Soli nella rete? Internet più sicuro per i bambini, Saronno, 2002; R. Laurita, Minori in rete: come proteggerli dai pericoli del web, Segrate, 2004; G. Riva, La solitudine dei nativi digitali, Roma, 2018. In particolare N. Bostrom, Superintelligenza, Torino, 2018, p. 389. 3 M. Mezza, Algoritmi di libertà, Roma 2018, p. 63. 154 The best interest of the child – sono vissuti non raramente con senso di sfida piuttosto che con consapevolezza4. Le nuove tecnologie hanno implementato numerose piattaforme online, finalizzate certamente alla libera espressione delle idee, ma incapaci di impedire la diffusione di sentimenti di odio e di messaggi dai contenuti negativi che potrebbero influenzare le condotte dei minori e il loro approccio alla malattia, al dolore e alla morte. I dati elaborati ed analizzati da esperti del settore mostrano che gli effetti della digitalizzazione sul benessere dell’infanzia non sono universalmente riconosciuti, tanto da diventare nel tempo oggetto di un crescente, preoccupato e costante dibattito5. Internet e l’intrattenimento digitale contribuiscono allo sviluppo della creatività dei minori, ampliando l’accesso a una molteplicità di contenuti stimolanti, allo stesso tempo diventano però oggetto di numerose investigazioni circa la dipendenza digitale, nota anche come “dipendenza da schermo”6. Elementi problematici sono rappresentati, tra l’altro, dalla scarsa consapevolezza del reale: la morte sullo schermo non è equiparabile a quella reale, dove la sofferenza non è una ferita che si rimargina con un clic né il morto si rialza alla fine del game. Il timore è che l’attrazione dello schermo possa prendere il sopravvento sulle necessità primarie e sulle esigenze della vita reale. Correttivi per le condotte dei minori sono presenti in alcuni Paesi, dove i medici considerano la videodipendenza un vero e proprio disturbo clinico, tale da attivare centri di riabilitazione, dove è possibile seguire una terapia di isolamento dal mondo virtuale7. Certo è che la dipendenza dalle strumentazioni informatiche e da un mondo dove l’esistenza è strutturata secondo colori, immagini e luci investe i bambini fin dalla nascita8. La facilità di accesso ai dispositivi elettronici, e l’abilità di apprendere il loro utilizzo in modo rapido ed intuitivo9, porta i bambini ad essere attirati dai tablet e dai cellulari. Trascorrono, anche con l’aiuto degli adulti, sempre più tempo davanti 4 Cfr. E. Corrente Sutera, Le parole per dirlo: gli adolescenti e la morte, Molfetta, 2006. 5 Rapporto Unicef 2017, p. 2-3. 6 Cfr. P.G. Coslin, Adolescenti da brivido, Roma, 2018. 7 U. Mariani - R. Schiaralli, Nuovi adolescenti, nuovi disagi, Milano, 2011. 8 M. Castells, Comunicazione e potere, Milano, 2017, p. 241 ss. 9 S. Cosimi - A. Rossetti, Nasci, cresci, posta: i social network sono pieni di bambini: chi li protegge?, Roma, 2017; S. Marino, Adolescenti e dipendenze da internet, Bologna, 2018. Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet 155 ad uno schermo, invece di relazionarsi fisicamente in un ambiente reale con coetanei, genitori, insegnanti e persone che possono intervenire nel loro processo educativo10. Gli esiti negativi derivano dall’abuso dell’implementazione delle immagini utilizzate dai minori durante la navigazione in internet, che suggestionano la percezione dell’ambiente e quindi anche del dolore, della malattia e della morte. Chi è il minore? È innanzitutto un soggetto di diritto che esercita, con l’aiuto degli adulti, la capacità di autodeterminarsi, attraverso il desiderio di essere riconosciuto sin dalla nascita, originato dalla prima inevitabile mancanza radicale: la separazione dal corpo della madre. Questa tipologia di mancanza è successiva rispetto a quella primaria, vale a dire l’assenza della corporeità del padre. Si può affermare che il concetto di mancanza acquista una duplice veste: nel bambino è la separazione dal corpo della madre, nella madre il non avere la corporeità paterna11. Proprio da questa seconda mancanza emerge la finitezza dell’essere umano che nomina la provenienza – il non-essere – e, allo stesso tempo, segnala che ogni individuo non è l’inizio di sé stesso: in altre parole, la mancanza radicale indica l’essere umano come altro-da-se-stesso. Tra coloro che hanno approfondito la condizione dell’infanzia, una posizione significativa è quella di Jacques Lacan che, interpretando l’opera di Freud, afferma come la mancanza si manifesti al momento della nascita come fine del legame tra madre e bambino. Con la nascita del bambino compare la figura di un terzo, nominato padre, che si interpone tra la madre e il bambino. Il vissuto del bambino, in questo modo, non si concentra più sulla madre ma è deviato verso il terzo, sostituto dell’impulso a colmare il vuoto originario causato dalla nascita, primo momento di separazione e quindi di nonidentificazione con la madre. La regola e la deviazione, rappresentate e poste dal padre, costituiscono la realtà del linguaggio ed avviano quello che Lacan definisce il passaggio dall’immaginario al simbolico, ossia la transizione dall’identità alla differenza, dall’immagine unica alla pluralità di immagini, dalla captazione della propria imago all’accesso al symbolon, inteso come rinvio creativo. 10 F. Tonioni, Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Milano, 2012. 11 J. Lacan, Seminari, Parma, 1979, p. 73 ss. 156 The best interest of the child La rottura del rapporto di identificazione con la madre è presente ed è supportata nel bambino dall’impegno a liberarsi dall’immaginario, inteso come dimensione latrice del rischio di identificazione con la madre12. Mediante la regola posta dal padre, dice Lacan, si presenta la legge che “è al servizio del desiderio”, da intendere non più come soddisfazione biologica ma logos, progressivamente consapevole e non identificabile con l’impulso. Dunque, desiderio e linguaggio hanno la medesima struttura perché il desiderio è nel e per il linguaggio, effetto iniziale della deviazione del bambino dalla madre e istituzione di un limite come emancipazione dal bios. La differenza tra immaginario e simbolico consiste proprio nell’emancipazione dalla datità, dalla fissità dell’immagine dove manca il “terzo”; le relazioni sono sempre costituite da due termini per cui l’uno può identificarsi nell’altro, confondendosi. Il bambino vive le relazioni in una sorta di riflesso speculare13, la sua breve esperienza lo porta a guardare all’alterità in modo indifferenziato. Per effetto dell’indifferenza, in quanto negazione della differenza nel riferirsi a sé stesso, all’altro ed al mondo, il bambino – ma la considerazione vale per ogni essere umano che non accede al simbolico – finisce per rimanere imprigionato nell’identificazione con l’alterità14 che non consente la costituzione dell’io-soggetto-esistente responsabile. In questo modo, l’essere umano si nientifica nella fissità delle immagini: la sua, quella dell’altro e quella del mondo, il che gli impedisce la formazione di una specifica identità che scade, invece, in forme esclusivamente fissative, privandolo di sperimentare la libertà condivisa nelle relazioni interpersonali. Come se rimanesse imprigionato nell’immagine prima, senza quella possibilità di relazionarsi in modo responsabile ed empatico, e di avvicinarsi al dolore, alla malattia, alla morte in modo differenziato e non con indifferenza. 2. La presenza fisica dell’alterità è significativa perché pone il bambino di fronte all’impossibilità di negare che esiste un’oggettività. La realtà è rappresentata dalla presenza dell’alterità, ma non è solo un’interpretazione soggettiva, non è una forma di interpretazionismo che 12 Id., Scritti, I, Torino, 1974, p. 87 ss. 13 Ivi, p. 91 ss. 14 Ivi, p. 107. Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet 157 riduce l’essere umano al livello dell’immediatezza. Altrimenti, la realtà integrale dell’essere umano finirebbe per essere eletta a sensazione, a Erlebnis, e il rapporto tra le Erlebnisse è vissuto come una sorta di gioco. L’interpretazionismo libera l’essere umano dalla responsabilità e dall’impegno di riferirsi al vero. Se il vero è la realtà puntuale di uno stadio coscienziale, se è solo una occasionale Erlebnis, non assume il significato di un problema e, di conseguenza, il soggetto è irresponsabile nella costruzione del rapporto con la verità, con il mondo e con la realtà. In questa direzione, si può assumere come riferimento alcune espressioni di Nietzsche laddove afferma che l’essere umano, nel momento in cui si libera dalla verità oggettiva, diventa innocente come un bambino; la verità si trasforma allora in “qualcosa da creare”15, in una dimensione di gratuita innocenza, un gioco, una realtà priva di conflitti e di complessità, dove ogni spiegazione è fungibile con qualsiasi altra, in una innocente e deresponsabilizzata equivalenza. D’altra parte, bisogna considerare che ogni essere umano si presenta, sin dalla sua infanzia, come non-fungibile: una identità originale che incontra l’alterità ponendo degli interrogativi. Questo status viene indicato da Lacan come “dimensione soggettiva”, presente nell’infanzia, con il succedersi di domande che pongono questioni dove il bambino avverte che la realtà viene nominata attraverso la parola16, vale a dire da quel logos non riducibile alla serializzazione logorroica17. Nell’ambito della relazione di riconoscimento, particolare attenzione va dedicata all’interrogativo promosso dal bambino. I suoi numerosi “perché” rivolti all’adulto eccedono la funzione cognitiva, riferita alla fattualità delle cose, marcando così la qualità della relazione posta nell’alternativa tra il riconoscimento e l’esclusione. Le risposte dell’adulto servono a ipotizzare una progettualità di senso e a renderlo consapevole, attraverso l’esercizio del logos, anche delle situazioni di sofferenza e di morte, propria e di quella altrui. Il “perché” del bambino rappresenta l’ipotesi di un dialogo, dove i soggetti si riprendono ogni volta nella relazione con gli altri, mediata dal logos, senza identificarsi mai totalmente con l’immagine di alter. 15 Vd. B. Romano, La liberazione politica, Roma, 1983, p. 94 ss. 16 J. Lacan, Scritti, I, cit., p. 235 ss. 17 Cfr. B. Romano, Il diritto strutturato come il discorso, Roma, 1994. 158 The best interest of the child 3. La questione dell’immaginario motiva l’analisi della realtà come si presenta attualmente. Il minore viene immerso in un mondo popolato da icone, fotografie, stilizzazioni, emoticon, ecc. dove i rapporti rischiano di essere condizionati dalla mancata esperienza diretta e reale con l’altro che attiva un movimento di empatia, difficile da reperire nel mondo virtuale, dove alter si riduce a un’imago nel profilo di un nickname18. Così come la nascita della metropoli, in quanto processo di innovazione nella transizione dalla campagna verso le città19 ha presentato problemi significativi, lo stesso può dirsi per il passaggio dalla metropoli a internet: una trasformazione che incide profondamente sulle condotte umane, sulla personalità e sugli approcci a situazioni-limite come la malattia, il dolore e la morte. Emerge un nuovo fenomeno all’attenzione dello studioso: la digitalizzazione, con la conseguente economia dell’informazione, invade il fondamento dell’economia monetaria, condensando la connessione retale e raggiungendo fasce di età in una fase delicata e sensibile come quella evolutiva. Va rilevato che la rapida proliferazione delle nuove tecnologie è diventata inarrestabile e, coinvolgendo le sfere della vita moderna, dall’economia al diritto, alla società, alla cultura, influenza in modo rilevante la dimensione dell’infanzia nei suoi vari gradi di sviluppo, fino a rischiare, proprio in virtù dell’uso che se ne fa, un processo identificativo con l’immagine propalata virtualmente. Compare una nuova Weltanschauung delle relazioni interpersonali e delle scelte orientate dalla varietà proposta dalla rete20. Attraverso una produzione costante di immagini, la malattia, il dolore, la morte e la sofferenza vengono esperiti dal minore in una forma mediata, vissuti come momenti contingenti che possono essere cancellati con un clic. Non va peraltro trascurata la circostanza che, dai signori della rete, la stessa infanzia è osservata esclusivamente come un insieme di data21, 18 Vd. M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Rivista del diritto dei media, 2, 2019, p. 6. 19 Cfr. G. Simmel, La moda, Milano, 2015, passim. 20 A. M. Caresta, Generazione hikikomori: isolarsi dal mondo, fra web e manga, Roma, 2018; M. R. Parsi - M. Campanella, Generazione H, Milano, 2017. 21 Si è lontani dall’ipotesi del fanciullo descritta, solo per fare un esempio, da Filomusi Guelfi nell’Enciclopedia giuridica, dove il minore è collocato in una cornice di tutela costruita sulla base di “vincoli famigliari”. F. Guelfi, Enciclopedia giuridica, voce Tutela, § 73, Matera, 2013, p. 183. Vd. anche C.M. Bianca, La famiglia, Milano, 2005. Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet 159 adatti funzionalmente a incrementare il profitto dell’economia informazionale: soggetti consumatori distribuiti su molteplici fasce di età, inclusi i minori nei diversi stadi evolutivi, che vengono indotti a scegliere nella varietà proposta dal web. Si viene progressivamente modificando l’idea della temporalità, della presenza fisica, della finitudine dell’essere umano, del concetto di dolore, di malattia e di morte. Ognuno rischia di identificarsi narcisisticamente con sé stesso in un profluvio iconografico del sé, trasformandosi da altro-da-sé in altro-in-sé. 4. Dal momento in cui un bambino nasce, è immesso in un circuito costituito da flussi di comunicazioni, immagini e connessioni digitali – dalla sanità alle fotografie pubblicate online, alle storie su Instagram, ai post su Facebook – che rischiano di condurlo, nel peggiore dei casi, a condizioni di isolamento ed autoreferenzialità identificatoria, con la conseguenza, laddove non opportunamente orientato, di un disagio nell’intraprendere relazioni interpersonali che non transitino dalla dimensione virtuale dell’immagine. Il bambino rischia di imitare l’identificazione con la madre –immagine prima –, trasferendola nel mondo della rete che riproduce all’infinito il rapporto duale primario. Lo scambio virtuale sostituisce il dialogo, diventa dimensione duale e si presenta come chiuso alla dimensione dialogica triale, dove il terzo è colui che, frapponendosi tra lo schermo e il bambino, istituisce la regola di diversione e creazione. Considerati i vantaggi offerti dalla rete, è opportuno osservare come la polimorfia del mondo virtuale subisca una trasformazione continua con l’ingresso dei nativi digitali22, offrendo loro l’opportunità di socializzare online, in una dimensione edulcorata e piena di attrattive. In un’architettura così concepita, vanno differenziate le situazioni dove la connessione virtuale svolge una funzione positiva soprattutto per bambini che vivono in località remote o che, a causa della povertà, dell’esclusione sociale e delle emergenze economiche sono costretti, insieme alle famiglie, a fuggire dai Paesi d’origine. Non tutti i minori possono godere o usufruire di un accesso ai servizi informatici che non sia intermittente o di scarsa qualità, questo 22 Terminologia coniata per nominare la generazione di bambini nata e cresciuta con computer, smartphone, tablet, ADSL, Internet mobile, touchscreen e app. 160 The best interest of the child non significa che non vi sia un’influenza del mondo virtuale sulla vita reale dei soggetti minori anche nei paesi “emergenti”. Nel caso di bambini disagiati, che certamente hanno una diversa percezione della morte e delle sofferenze apportate dalla malattia, l’aggravio della diseguaglianza sociale diventa causa di malessere. La prima sofferenza percepita è quella che si presenta come discriminazione e disparità di trattamento, che aggrava ulteriormente lo stato emozionale dei minori in condizioni di diversità, a questo si aggiunge l’impossibilità di accedere ad un mondo come quello digitale che accelera le conoscenze utili anche alla vita reale. Nel mondo digitalizzato, le nuove tecnologie e l’interattività presentano rischi significativi per la sicurezza, la privacy e il benessere dei minori23, ingigantendo minacce e pericoli che offline sono affrontati in modo diverso24, soprattutto perché i bambini si attivano, attraverso interrogativi e dialogicità reale, a rappresentare se stessi senza confinarsi in un’immagine/profilo. La presenza relazionale rischia di essere mediata solo da strumenti tecnologici piuttosto che dall’alterità. Il bambino, una volta abituato, soprattutto nella fase della pre-adolescenza, cerca di essere comunque e ovunque connesso25. Nella inconsapevolezza che la tecnologia, rappresentata prevalentemente dai social, non può sostituire totalmente l’interazione reale, soprattutto in soggetti minori che dovrebbero essere sottratti all’invadenza di computer, tablet e smartphone26, che rende evanescente e rarefatta l’empatia con chi soffre o è malato. 23 Vd. in part. M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1, 2015, p. 186-203. 24 M. Spitzer, Demenza digitale. Come le nuove tecnologie ci rendono stupidi, Milano, 2019. 25 Le questioni legate alla iperconnessione sono oggetto di studio da parte di alcuni pediatri statunitensi che raccomandano di non esporre i bambini, prima dei 2 anni, ai supporti elettronici, perché, in questa fase, il cervello si sviluppa rapidamente e apprende in modo più incisivo. Nell’interazione con lo schermo proliferano i processi imitativi dai contenuti inadatti, soprattutto nelle rappresentazioni della morte, del dolore e della violenza. Solo la relazione interpersonale rende pienamente consapevoli del significato delle condizioni di sofferenza. In molti casi ai minori è prescritto di trascorrere non più di una o due ore al giorno davanti a televisione, pc e tablet, con l’impegno di seguire soltanto programmi dai contenuti qualitativi. In questo modo, si insegna loro ad utilizzare il tempo in modo creativo attraverso relazioni interpersonali nel mondo reale, dove sono presenti persone che soffrono, che sono malate e che muoiono. 26 S. Orto, Nomofobia, Patti, 2017; F. Tonioni, Nativi digitali e dipendenze da internet, in Famiglia e nuovi media, Milano, 2013. Nomofobia significa paura di rimanere fuori Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet 161 Proprio con l’emergere delle nuove tecnologie, in particolare con le accattivanti comunicazioni provenienti dalla rete, dove cresce l’illusione di avere a disposizione il mondo con un clic, l’attenzione sulla crescita del minore e sulla dimensione dei cosiddetti soggetti deboli è diventata progressivamente più rigorosa. Fatte salve le novità, l’evoluzione, il benessere e l’innovazione apportate dallo sviluppo del web, e considerate le funzionalità ed opportunità, è chiaro che ci si trova davanti ad una sorta di giano bifronte: sommariamente si può affermare che, da una parte, il significante principale della rete è costituito dal benessere, dall’altra il pericolo fa da contraltare e da supporto impegnativo. Il fenomeno non è reversibile: non si può tornare indietro, né vivere con la testa rivolta ad un gioioso e idilliaco stato di natura che rimane solo nelle fantasie del mito27. Per i minori, internet è diventato gradualmente un diritto28. Sono sempre più numerosi i casi di adolescenti e pre-adolescenti che, attraverso un profilo sui social, diffondono in modo inappropriato le proprie foto e quelle di altri. dalla connessione con la rete mobile; è definita anche sindrome da disconnessione, il termine è formato dall’abbreviazione del termine no-mobile e da fobia. Questo tipo di dipendenza presenta forti analogie con la tossicodipendenza. I soggetti più a rischio sono gli adolescenti. Nel caso della nomofobia, esattamente come accade con droghe e alcol, si ha sempre bisogno di aumentare il dosaggio quindi si mette in atto una vasta gamma di comportamenti come stare più tempo al telefono, aspettare la risposta dell’altro (magari sollecitandolo), vedere che cosa accade agli amici nei diversi social network, commentare e condividere, non spegnere mai il dispositivo neanche nelle ore notturne, svegliarsi di notte e controllarlo, portarsi lo smartphone in luoghi non appropriati (es. biblioteche, sale studio, luoghi di meditazione, chiese ecc.). 27 È inutile tentare di disconoscere il benessere apportato dalle nuove tecnologie. Vi sono numerosi esempi positivi: il ragazzo affetto da paralisi cerebrale che, solo interagendo online, riesce a mettersi alla pari con i suoi coetanei e a rendere visibili, quindi, le sue abilità piuttosto che la disabilità; la ragazza sfuggita, insieme alla sua famiglia, alle violenze della Repubblica Araba Siriana che, nel campo profughi di Za’atari, riesce ad innestare un processo di apprendimento attraverso l’uso di un tablet. Per non citare quei blogger – anche di minori – che usano Internet come mezzo per denunciare problemi, violenze, criticità, inadempienze, mancanze, sino alla richiesta del rispetto per l’ambiente nelle sue componenti essenziali (aria, acqua, territorio, etc.). 28 Non sono da sottovalutare le informazioni personali sui minori utilizzate impropriamente dagli esperti di marketing e condivise online. Così come non sono da considerare con superficialità sia le assuefazioni e le patologie relative all’utilizzo dei videogiochi che gli episodi di violenza come il cyberbullismo. Cfr. A. Battaglia, Cyberbullismo: il nuovo male oscuro, Gorle, 2016; I. Caprioglio, Cyberbullismo: la complicata vita sociale dei nostri figli iperconnessi, Torino, 2017. 162 The best interest of the child È a carico delle istituzioni l’impegno ad approfondire le situazioni che rischiano di portare alla pedopornografia, attraverso l’uso di immagini con tecniche che si sottraggono ad un controllo definito e circoscritto29. 5. Tra i compiti del diritto prevale quello di impegnarsi a promuovere l’accesso controllato a internet all’intera infanzia, allo scopo di concretizzare, attraverso le pari opportunità di apprendere, il principio di uguaglianza contribuendo a rompere il circolo vizioso della povertà intergenerazionale; a cercare di esplorare il lato nascosto – non visibile – di internet e della tecnologia digitale, dal cyberbullismo alla pedopornografia online e alle transazioni del dark web30, che permettono di nascondere il traffico di minorenni e di altre attività illegali che danneggiano non solo i minori; ad approfondire alcuni dei dibattiti riguardo alle conseguenze meno evidenti nell’uso della navigazione online – dalla dipendenza digitale al possibile impatto della tecnologia digitale sullo sviluppo cerebrale e cognitivo. Oltre a ciò, si rende necessaria – a livello giuridico, politico, pedagogico e sociale – una serie di raccomandazioni pratiche in grado di aiutare a istituire normative più efficaci e pratiche commerciali più responsabili, a beneficio dei minorenni. Alcuni centri, dove sono presenti studiosi della psicologia dell’infanzia, lavorano per sottrarre il bambino al dominio e alla dipendenza da internet. I minori non hanno un’adeguata conoscenza dei rischi che corrono online, e nonostante un crescente utilizzo di internet, molti non hanno competenze informatiche né capacità critica per valutare la sicurezza e la credibilità dei contenuti e delle relazioni che vivono in rete, il che riflette la necessità di maggiori occasioni di alfabetizzazione digitale allo scopo di consentire ai bambini di autotutelarsi. Le lacune che emergono rischiano di incancrenirsi e di produrre ritardi nei processi decisionali: i quadri normativi che regolano la protezione, le opportunità, la governance e la responsabilità digitale non 29 La tecnologia digitale può arrecare danno all’infanzia direttamente e/o indirettamente: l’incitamento alla violenza e l’induzione a compiere atti sono solo alcune tra le condotte perpetrate anche dagli adulti. Ad esempio, in Myanmar, nel 2017, la persecuzione dei Rohingya, con la conseguente uccisione e mutilazione di numerosi bambini, è stata propiziata da una campagna sui social. Vd. C. Sotis, Diritto penale della rete e prospettiva europea: il caso della pedopornografia virtuale, Milano, 2011. 30 M. Pizzuti, Criptocrazia non autorizzata: dark web, bitcoin, fake news, profiling illegale e le nuove frontiere della schiavitù digitale, Vicenza, 2019. Il minore di fronte alla malattia e alla morte, ai tempi di internet 163 riescono a essere al passo con un mondo dromocratico e sottovalutano le conseguenze che le tecnologie digitali hanno sui bambini. Mancano, non i princìpi e le linee guida per la creazione di politiche digitali, ma un coordinamento coerente e un impegno concreto per affrontare le sfide comuni ponendo gli interessi dei bambini in primo piano. Il continuo flusso di immagini, video, notizie, videogiochi, social coinvolgenti modificano, anche con forme significative di alterazione, le modalità con le quali i minori, soprattutto i bambini, trascorrono il tempo libero31, empatizzano con gli altri e avvertono la sofferenza. Dovere di una comunità improntata alla pedagogia giuridica è insegnare l’alfabetizzazione digitale per formare bambini consapevoli, impegnati e sicuri online, per renderli coscienti del significato della sofferenza, della malattia e della morte. Una maggiore collaborazione tra giuristi, politici e tecnologi potrebbe portare allo sviluppo di piattaforme e percorsi formativi dalla scuola primaria fino a quella superiore, cercando di promuovere le librerie online, le biblioteche pubbliche e i processi dialogici creativi. Un altro fattore rilevante è la formazione digitale degli insegnanti, affinché siano in grado di insegnare ai bambini a riconoscere i pericoli online. Inoltre, la cittadinanza digitale dovrebbe diventare una componente essenziale dell’alfabetizzazione digitale32. In sintesi, infanzia malattia e morte attualmente non hanno una colorazione abituale, ma sono determinati dal diverso approccio agli strumenti informatici. Al giurista rimane il compito di far convergere l’attenzione, dal punto di vista istituzionale, su ipotesi normative che, rispettando il minore come soggetto di diritto relazionale, lo sottragga ai processi mercatori della rete33. Bibliografia Battaglia A., Cyberbullismo: il nuovo male oscuro, Gorle, 2016 Bianca C.M., Diritto civile 2.1., Milano, 2017 Bianca M., Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1, 2015, p. 186-203 31 M. Faccioli, I minori nella rete, Vicalvi, 2015. 32 G. De Luca, Su internet con mamma e papà, Bologna, 2001. 33 Vd. N. Bostrom, Superintelligenza, cit., p. 385-386. 164 The best interest of the child Bianca M., La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Rivista del diritto dei media, 2, 2019, p. 6 Bostrom N., Superintelligenza, Torino, 2018, p. 389 Capellani G., Crescere nell’era digitale: l’uso delle nuove tecnologie nell’infanzia, nell’età scolare e adulta, quale futuro?, Milano, 2018 Caprioglio I., Cyberbullismo: la complicata vita sociale dei nostri figli iperconnessi, Torino, 2017 Caresta M., Generazione hikikomori: isolarsi dal mondo, fra web e manga, Roma, 2018 Castells M., Comunicazione e potere, Milano, 2017, p. 241 e ss. Cellini P., La rivoluzione digitale, Roma, 2018 Corrente Sutera E., Le parole per dirlo: gli adolescenti e la morte, Molfetta, 2006 Cosimi S. - Rossetti A., Nasci, cresci, posta: i social network sono pieni di bambini: chi li protegge?, Roma, 2017 Coslin P.G., Adolescenti da brivido, Roma, 2018 Davidson A., Soli nella rete? Internet più sicuro per i bambini, Saronno, 2002 De Luca G., Su internet con mamma e papà, Bologna, 2001 Faccioli M., I minori nella rete, Vicalvi, 2015 Guelfi F., Enciclopedia giuridica, voce Tutela, § 73, Matera, 2013, p. 183 Lacan J., Scritti, I, Torino, 1974, p. 87 ss. Lacan J., Seminari, Parma, 1979, p. 73 ss. Laurita R., Minori in rete: come proteggerli dai pericoli del web, Segrate, 2004 Mariani U. - Schiaralli R., Nuovi adolescenti, nuovi disagi, Milano, 2011 Marino S., Adolescenti e dipendenze da internet, Bologna, 2018 Mezza M., Algoritmi di libertà, Roma, 2018, p. 63 Orto S., Nomofobia, Patti, 2017; Parsi M.R. - Campanella M., Generazione H, Milano, 2017 Pizzuti M., Criptocrazia non autorizzata: dark web, bitcoin, fake news, profiling illegale e le nuove frontiere della schiavitù digitale, Vicenza, 2019 Riva G., La solitudine dei nativi digitali, Roma, 2018 Romano B. La liberazione politica, Roma, 1983, p. 94 ss. Romano B., Algoritmi al potere, Torino, 2018, p. 89 ss. Romano B., Il diritto strutturato come il discorso, Roma, 1994 Simmel G., La moda, Milano, 2015 Sotis C., Diritto penale della rete e prospettiva europea: il caso della pedopornografia virtuale, Milano, 2011 Spitzer M., Demenza digitale. Come le nuove tecnologie ci rendono stupidi, Milano, 2019 Tonioni F., Nativi digitali e dipendenze da internet, in Famiglia e nuovi media, Milano, 2013 Tonioni F., Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Milano, 2012 Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo Alberto Maria Benedetti* Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il quadro costituzionale di riferimento. – 3. Il fenomeno del cyberbullismo. – 4. Le misure di tutela immediata previste dalla l. n. 71/2017. – 5. Profili di responsabilità civile. – 6. Considerazioni finali. 1. Introduzione Intendo offrire alcuni spunti di riflessione sui profili civilistici della l. n. 71/2017, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Segnatamente, premesse talune considerazioni di carattere generale sull’impianto delineato dall’intervento legislativo, mi soffermerò: (i) sulle innovazioni della legge in ordine all’apparato “rimediale” funzionale a tutelare la dignità, l’immagine e l’onore del minore leso nonché al ruolo assegnato ai vari soggetti coinvolti in un programma di sensibilizzazione e responsabilizzazione, nell’ambito di una legge che intende focalizzarsi sul momento educativo, relegando in una posizione marginale il momento sanzionatorio-repressivo; (ii) sulle ricadute che tale disciplina è destinata ad avere su alcuni temi “tradizionali”, quali, ad esempio, la responsabilità dei genitori, degli insegnanti e degli istituti scolastici nonché il rapporto intercorrente tra genitori e figli con particolare attenzione all’obbligo di educazione gravante sui primi. Minori “buoni” e minori “cattivi”; vittime, i primi; carnefici, i secondi. * Professore ordinario di diritto privato, Università di Genova. 166 The best interest of the child 2. Il quadro costituzionale di riferimento Per comprendere lo spirito della legge, conviene muovere da un brevissimo cenno alle disposizioni costituzionali di riferimento. È una legge “contro” un fenomeno negativamente connotato, e questo dato, di natura certamente politica ma con inevitabili ricadute assiologiche, deve essere tenuto in adeguata considerazione. Anzitutto, viene in evidenza quanto disposto dell’art. 2 Cost., a mente del quale “[l]a Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]”. La tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (tanto nella sua individualità, quanto nell’ambito delle diverse formazioni sociali), dunque, è elevata dalla nostra Carta fondamentale a principio fondamentale e caposaldo dell’ordinamento giuridico: il dato è oramai totalmente acquisito e non necessita più di particolari dimostrazioni. Orbene, può agevolmente comprendersi come il fenomeno del cyberbullismo possa seriamente pregiudicare tali diritti, in ragione dell’impatto, potenzialmente devastante, che le varie manifestazioni di detto fenomeno possono avere sulla crescita del minore coinvolto. In secondo luogo, assume rilievo il principio di eguaglianza (formale e sostanziale) di cui all’art. 3 Cost., che, dopo aver affermato il principio secondo il quale “[t]utti i cittadini hanno pari dignità sociale […]”, assegna alla Repubblica il compito, tra gli altri, di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”. Anche in tal caso, è facile comprendere come la l. n. 71/2017, muovendo verso l’obiettivo di rimozione del grave fenomeno sociale del cyberbullismo, intenda proprio evitare le lesioni alla dignità del danneggiato che tale fenomeno è in grado di arrecare, a causa del senso di vergogna e di isolamento che nella maggior parte dei casi si ingenera nella psiche del minore; in fondo, il cyberbullismo ostacola lo sviluppo del minore, minandone, in taluni casi, la dignità, la serenità, l’educazione. Anche l’art. 30 Cost. interseca con il cyberbullismo, nella misura in cui il fenomeno derivi da un deficit educativo del minore autore dell’illecito. 3. Il fenomeno del cyberbullismo Così delineato il quadro costituzionale di riferimento, occorre adesso porre l’attenzione sul complesso fenomeno del cyberbullismo, il Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 167 quale presenta un duplice grado di difficoltà, in considerazione, da un lato, della varietà delle manifestazioni concrete che esso può assumere nella realtà e, dall’altro lato, delle specificità dello stesso, specie se raffrontato al bullismo tradizionale. Con riferimento al primo aspetto, le difficoltà sono percepibili sin dalla definizione fornita dall’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017, ai sensi del quale “per “cyberbullismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. La disposizione sopra riportata, in realtà, più che una definizione, offre un (eterogeneo) elenco di condotte suscettibili di integrare episodi di cyberbullismo. Si tratta di una “definizione” che, seppur coerente con lo stesso titolo della legge, che, parlando di “fenomeno del cyberbullismo” sembra alludere proprio alla difficoltà di imbrigliare in una definizione giuridica le variegate concrete manifestazioni del fenomeno che la realtà è in grado di offrire, presenta talune criticità, legate anzitutto alla cennata eterogeneità delle condotte ivi enumerate; una eterogeneità che pare “mitigata solo da un criterio teleologico implicito e cioè dalla finalità oppressiva e vessatoria che costituisce il minimo comune denominatore di ogni atteggiamento del bullo”1. In secondo luogo, il secondo comma dell’art. 2 accomuna sotto un’unica definizione condotte già contemplate da altrettante fattispecie penali (si pensi, ad esempio, alle molestie) e condotte atipiche, descritte in modo atecnico (si pensi alle “pressioni”), il che, per un verso, non giova ad un loro inquadramento e, per altro verso, rendono evidente come i comportamenti descritti non possono ritenersi in grado di esaurire le concrete manifestazioni che il fenomeno può assumere, tradendo così le difficoltà di tipizzazione incontrate dal legislatore nella predisposizione della disciplina2. 1 R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), in Le Nuove leggi civili commentate, 2, 2018, p. 355. 2 Cfr. P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, in La Giustizia Penale, 1, 2019, p. 55, ad avviso della quale “tale 168 The best interest of the child Infine, si tratta di una definizione che sembra non tenere in debita considerazione gli apporti provenienti dagli studi sociologici e criminologici condotti sul tema, i quali hanno rilevato come le fattispecie integranti il fenomeno in esame siano contrassegnate dalla compresenza di tre requisiti fondamentali, quali: un’intenzionale aggressione (fisica o verbale); la reiterazione nel corso del tempo delle condotte vessatorie; uno squilibrio nei rapporti di forza, anche fisica, o di potere, tra il cyberbullo e la sua vittima3. In generale, nella sua configurazione legislativa, l’illecito in cui si concreta il fenomeno di cyberbullismo è caratterizzato da tre elementi fondamentali: I. si tratta di un illecito soggettivamente qualificato dal punto di vista del soggetto passivo, necessariamente individuato in un minore o in un familiare del minore. Per quanto concerne il soggetto attivo, la legge non richiede anche per esso il requisito della minore età, sebbene nella maggior parte dei casi anche il soggetto attivo sia un minore (spesso coetaneo della vittima); II. si tratta, inoltre, di un illecito tipicamente doloso, anzi esclusivamente doloso, strumentalmente tipizzato; III. infine, si tratta di un illecito realizzabile solo attraverso strumenti telematici (ad esempio, mail, sms, social network); Proprio quest’ultimo elemento offre lo spunto per analizzare il secondo aspetto problematico cui si accennava in apertura del presente paragrafo, e relativo ai rapporti con il bullismo “classico”. A tal riguardo, significativa è la scelta di espungere dal testo definitivo della legge la nozione, emersa nel corso dei lavori parlamentari, di bullismo “tradizionale”, che veniva definito come “l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento inconveniente avrebbe potuto essere superato con la previsione di una clausola di chiusura che avrebbe consentito all’interprete di ricondurre nella sfera di operatività anche condotte non codificate” e che “applicando il meccanismo della c.d. analogia legislativa o analogia interna alla fattispecie penale, avrebbe limitato la discrezionalità interpretativa del giudice nell’individuare i comportamenti che “in qualunque altro modo” avrebbero potuto arrecare offesa al bene-interesse tutelato, essendo il parametro di riferimento costituito dalle condotte già espressamente tipizzate”. 3 Cfr. R. Bocchini, M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), cit., p. 355. Cfr. anche M. Nitti, Prevenzione e repressione del cyberbullismo: il via libera del Parlamento, in giustiziacivile.com, 1, 2018, p. 16, la quale evidenzia la discrasia della definizione fornita dalla l. n. 71/2017 anche rispetto a quanto emerso nel contesto europeo. Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 169 o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni per ragioni di lingua, etnia, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali o sociali della vittima”4. Si tratta di una scelta non casuale, le cui spiegazioni devono rinvenirsi nella consapevolezza raggiunta dal legislatore circa la specificità del fenomeno del cyberbullismo che, anche in ragione della sua sempre più ampia diffusione, ha sconsigliato la disciplina all’interno di un unico testo normativo di fenomeni diversi, rispetto ai quali appare opportuno evitare confusioni5. Come rilevato in dottrina, “la distinzione tra bullismo e cyberbullismo […] non può essere riassunta solo nella differenza esistente tra un bullismo off line e bullismo on line”, in quanto “lo strumento telematico deve considerarsi […] di per sé in grado di mutare drasticamente tanto le forme di manifestazione quanto la pericolosità sociale del bullismo tradizionalmente inteso”6. Invero, sono diversi i fattori che inducono a considerare il cyberbullismo come un fenomeno idoneo ad arrecare un maggior grado di offesa alla vittima, oltre che di maggiore pericolosità sociale rispetto al bullismo “tradizionale”. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo: alla facilità di accesso alla rete, che consente al cyberbullo di perpetrare la propria condotta in qualsiasi momento e da qualunque luogo; alla (potenzialmente sconfinata) diffusione del contenuto illecito, che aumenta notevolmente la lesione del bene giuridico rappresentato dalla dignità della vittima; all’anonimato che, benché soltanto illusorio, impedisce all’autore della condotta di percepire appieno il disvalore del proprio comportamento; alla ridotta possibilità di intervento tanto dei genitori quanto degli insegnanti. 4. Le misure di tutela immediata previste dalla l. n. 71/2017 Preliminarmente, occorre evidenziare come, ferma restando la salvezza della disciplina penale ove il fatto configuri un’ipotesi di reato, 4 Proposta approvata in data 20 settembre 2016 e successivamente trasmessa al Senato. 5 Cfr. F. De Salvatore, Bullismo e cyberbulling, dal reale al virtuale tra media e new media, in Minori Giustizia, 4, 2012, p. 94. 6 In questi termini, Cfr R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), cit., p. 341. 170 The best interest of the child l’impianto edificato dal legislatore mostri una particolare predilezione verso misure educative e preventive, relegando, invece, in posizione marginale il momento sanzionatorio-repressivo. Ciò in linea con le finalità della legge, che l’art. 1, co. 1, individua nell’”obiettivo di contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche”. In tale prospettiva, a fronte della complessità e della specificità del fenomeno, la l. n. 71/2017 adotta un approccio che può definirsi duplice, individuando: da un lato, misure volte ad apprestare una tutela immediata (in forma specifica) all’immagine del minore; dall’altro, iniziative tese a prevenire il verificarsi di episodi illeciti ed a sensibilizzare i minori sul tema, mediante il coinvolgimento di una pluralità di soggetti. Limitando l’analisi al primo aspetto, l’art. 2, co. 1, prevede che “ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2 […] può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali […]”7. Si tratta, come è agevole constatare, di una nuova forma di rimedio funzionale ad una rapida, efficace ed effettiva tutela della dignità del minore che si concreta nella rimozione dei contenuti attraverso i quali si concretano le condotte attraverso le quali si manifesta l’episodio di cyberbullismo. Merita rilevare come la richiamata disposizione abbia previsto per il minore ultraquattordicenne la possibilità di agire egli stesso in via diretta. 7 Il secondo comma del medesimo articolo, al fine di assicurare effettività e tempestività alla tutela “inibitoria” ivi disciplinata nonché di rafforzare il rimedio di cui al primo comma, prevede che: “[q]ualora, entro le ventiquattro ore successive al ricevimento dell’istanza di cui al comma 1, il soggetto responsabile non abbia comunicato di avere assunto l’incarico di provvedere all’oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto, ed entro quarantotto ore non vi abbia provveduto, o comunque nel caso in cui non sia possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o del social media, l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi degli articoli 143 e 144 del citato decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”. Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 171 Per i minori infraquattordicenni, invece, la legittimazione ad attivare la tutela sopra illustrata è attribuita ai genitori ovvero al soggetto esercente la responsabilità genitoriale. Si tratta di una previsione che, se da un lato, “limita” tale forma di tutela, nella misura in cui esclude per un considerevole numero di minori potenzialmente esposti ad episodi di cyberbullismo la possibilità di agire in via diretta, dall’altro lato, opportunamente prevede l’assistenza di un adulto nella salvaguardia degli interessi di quei minori che, in ragione della loro età, si presumono non aventi ancora sufficiente capacità di discernimento8. Tra le possibili criticità di un siffatto strumento, vi è quella del margine di discrezionalità che tale disposizione sembra attribuire al gestore in ordine al carattere illecito della condotta posta in essere attraverso il sito internet ovvero dei contenuti ivi resi pubblici, posto che non sempre è agevole individuare la linea di demarcazione, ad esempio, tra la denigrazione e la (seppur aspra) critica lecita. Criticità tanto più percepibili se si pensa, da un lato, ai tempi estremamente ristretti entro i quali il gestore (o, comunque, il destinatario dell’istanza) deve compiere una simile valutazione e, dall’altro lato, la genericità, sopra evidenziata, della descrizione di talune fattispecie integranti l’illecito in esame9. Sempre nella prospettiva di una pronta ed efficace tutela della vittima dell’episodio illecito deve leggersi quanto disposo dall’art. 5, co. 1, l. n. 71/2017, ove si prevede che “[s]alvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Si tratta di una novità particolarmente importante in quanto va ad affiancarsi, senza sovrapporsi, alle ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2048, co. 2, c.c., considerato che: 8 Sul punto, cfr. le osservazioni di P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, cit., 62. 9 Cfr. le considerazioni di R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), cit., p. 367, laddove si rileva come l’art. 2 demandi “al gestore od al social media l’apprezzamento, in tempi assai limitati, circa il realizzarsi o meno di condotte assai complesse – quali quelle di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali – in danno di minorenni, e la valutazione del carattere illecito relativo alla diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. 172 The best interest of the child I. ai fini della responsabilità ex art. 2048 c.c., riscontrabile in episodi di bullismo “tradizionale”, i soggetti ivi contemplati rispondono dell’illecito commesso dagli allievi limitatamente al periodo in cui essi si trovano sotto la loro vigilanza10; II. l’art. 5, co. 1, l. n. 71/2017, invece, prevede un obbligo di avviso che si attiva laddove il dirigente scolastico venga a conoscenza di un episodio di cyberbullismo e la relativa responsabilità è legata proprio alla violazione di un siffatto dovere di avviso, indipendentemente dall’effettivo potere di intervento degli insegnanti. Si tratta di una responsabilità riconducibile allo schema di cui all’art. 2043 c.c., che può sorgere anche nei casi in cui la scuola non sia neppure attrezzata per verificare se tra i minori che la frequentano si verifichino episodi illeciti. 5. Profili di responsabilità civile Da un punto di vista metodologico e sistematico, è interessante osservare come la l. n. 71/2017, per un verso, faccia salve le ipotesi di reato (nonostante non introduca nuove fattispecie criminose) e, per altro verso, non vada ad intaccare la tematica della responsabilità civile e, dunque, del risarcimento del danno (soprattutto non patrimoniale). Sotto tale ultimo profilo, si è in precedenza osservato, in chiusura del par. 2, come il fenomeno del cyberbullismo si intersechi con l’obbligo di educazione dei figli gravanti sul genitore, costituzionalmente affermato dall’art. 30 della nostra Carta fondamentale. Un obbligo educativo che al livello codicistico viene riaffermato all’art. 147 c.c. al quale, specularmente, corrisponde un diritto dei figli minori, sancito dall’art. 315-bis c.c. Benché affermato costituzionalmente, un obbligo siffatto non trova una definizione in alcuna parte dell’ordinamento positivo. La scelta di non indicare, neppure genericamente, cosa debba intendersi per obbligo di educazione appare quanto mai saggia e opportuna, in considerazione dell’evoluzione dei suoi contenuti di pari passo con il mutare 10 È appena il caso di ricordare, infatti, che qualora si configuri la responsabilità civile degli insegnanti, a norma dell’art. 2048 c.c., tale responsabilità si estende all’amministrazione scolastica intesa come ente pubblico, posto che, ai sensi dell’art. 28 Cost., “[i] funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 173 del contesto sociale e culturale. In via del tutto atecnica, si tratta di un obbligo che si concreta nella trasmissione, da parte del genitore, di un insieme (per così dire, mobile) di regole, suggerimenti e modelli nei confronti dei figli, in una fase di sviluppo in cui questi sono maggiormente in grado di apprenderli, assimilarli ed osservarli, così da responsabilizzarli e prepararli ad una vita in un contesto sociale, che si svolge, cioè all’interno di rapporti con altri individui. Pur essendo discrezionale, l’attività di indirizzo dei figli, in cui si concreta l’obbligo di educazione incombente sui genitori, non è per questo priva di vincoli, incontrando, da un lato, il limite segnato dai valori costituzionali e, dall’altro, quello del rispetto della “personalità” dei figli, “nel rispetto”, cioè, “delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni” (art. 147 c.c.), evitando, invece, di imporre il proprio modello esistenziale e di vita. Orbene, ciò che preme evidenziare nella presente sede è la circostanza di come il fenomeno del cyberbullismo incrini la visione “edulcorata” del rapporto tra educatore ed educato consegnataci dall’impianto costituzionale e codicistico. In particolare, gli episodi di cyberbullismo rivelano come l’obbligo di educazione delineato dall’ordinamento stenti a tenere il passo delle innovazioni tecnologiche che, se per un verso, arricchiscono di nuove declinazioni l’obbligo in parola, per altro verso, consigliano di valutare con maggiore attenzione i casi in cui un siffatto dovere debba ritenersi violato. Ciò in ragione del fatto che, come sopra accennato, nonostante la l. n. 71/2017 non preveda espressamente che l’autore dell’illecito (a differenza della vittima) debba essere un minore di età, l’esperienza ci dimostra come nella maggior parte dei casi l’“aggressore” sia anch’esso minorenne. In altri termini, si pone il problema di verificare in che misura possa ritenersi responsabile il genitore per la mancata assimilazione da parte del minore di quei modelli comportamentali in tema di utilizzo delle tecnologie che possono agevolare la commissione degli illeciti di cui all’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017. Utili punti di riferimento sono offerti da quella giurisprudenza che si è occupata, in generale, di responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c. nonché da quelle pronunce che si sono confrontate, più in particolare, con episodi di bullismo “informatico”. Sotto il primo profilo, in tema di prova liberatoria ai sensi dell’art. 2048, co. 3, c.c., la Suprema Corte ha chiarito come “[i] genitori, per superare la presunzione di colpa prevista dall’art. 2048 c.c., debbono fornire non 174 The best interest of the child la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore. L’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c.”11. In altri termini, il giudice dovrà valutare se, effettivamente, in base alle circostanze del caso concreto, l’illecito commesso avrebbe potuto essere evitato qualora i genitori avessero impartito al figlio una corretta educazione. Sotto il secondo profilo, invece, nella giurisprudenza di merito è stato affermato come l’obbligo di educazione comporti, in capo ai genitori, non soltanto il dovere di insegnare, e, dunque, trasmettere ai figli determinati valori e modelli comportamentali, ma altresì quello di verificarne l’assimilazione; un dovere inteso come compito “di verifica e di controllo sull’effettiva acquisizione dei valori impartiti attraverso l’educazione da parte del minore”. Segnatamente, si è chiarito che “i genitori dei minori naturalmente capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all’art. 2048 c.c., devono positivamente dimostrare non solo di avere adempiuto all’onere educativo indicato loro dall’art. 147 c.c. – che consiste non solo nell’indicazione alla prole di regole, conoscenze o moduli di comportamento, bensì pure nel fornire gli strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umani effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità – ma anche di avere poi effettivamente e concretamente controllato che i figli abbiano assimilato l’educazione loro impartita, con la conseguenza che la gravità e la reiterazione delle condotte poste in essere possono essere poi indice del grado di attuazione di una di tali opere di verifica. Ai fini dell’esonero dalla loro responsabilità, dunque, i genitori devono in sostanza fornire la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto, il che, nel caso di illecito commesso attraverso social network (nel caso di specie Facebook), si concretizza in una limitazione per forza di cose quantitativa e qualitativa dell’accesso alla rete internet”12. 11 Corte Cass., sez. III civ., sent. n. 26200/2011. 12 Trib. Teramo, sent. 16 gennaio 2012. Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 175 In un’altra occasione, originata da una recente vicenda, si è altresì affermato che “[q]ualora soggetti minorenni diffondano, utilizzando mezzi telematici (WhatsApp, Facebook, etc.), fotografie contenenti l’immagine nuda di una coetanea e siffatta diffusione avvenga senza il consenso dell’interessata, devono ritenersi civilmente responsabili, ex art. 2048, comma 1, c.c., i genitori degli autori della predetta diffusione, in quanto è ad essi ascrivibile la culpa in vigilando ed in educando. La responsabilità parentale può essere esclusa, ai sensi del comma 3 dell’art. 2048 c.c., soltanto qualora i genitori dimostrino di non aver potuto impedire il fatto, dovendosi con ciò intendere che gli stessi abbiano integralmente adempiuto al dovere di educare la prole attraverso lo sviluppo nella stessa di una adeguata capacità critica e di discernimento”13. Molta responsabilità su genitori che, talvolta, non conoscono nemmeno il funzionamento dei nuovi strumenti di comunicazione; chi educherà l’educatore? Certamente, è onere dei genitori capire il mondo in cui vivono i loro figli, informandosi e cercando di prevenire ogni possibile abuso, insegnando ai propri figli come l’uso di questi strumenti non possa ledere gli altri, nemmeno per gioco. Un compito non facile, la cui difficoltà aumenterà con i futuri sviluppi delle comunicazioni. 6. Considerazioni finali Orbene, stante la necessità, affermata dalla giurisprudenza in modo più o meno esplicito, di tarare l’accertamento circa l’assolvimento, da parte dei genitori, dell’obbligo di educazione di cui all’art. 147 c.c. sulle modalità concrete di svolgimento del fatto illecito, il passo successivo consiste nel prendere coscienza della complessità che talvolta caratterizza quel “mondo virtuale” all’interno del quale si verificano gli episodi di cyberbullismo. In altri termini, le difficoltà sottese alla valutazione dell’adempimento dell’obbligo educativo nel caso di specie sono acuite laddove il contesto sia quello del mondo degli strumenti telematici, 13 Trib. Sulmona, sent. 9 aprile 2018, che ha aggiunto che “[l]a circostanza che al momento della commissione dell’illecito la fotografia in oggetto fosse già diffusa all’interno della comunità di appartenenza del soggetto fotografato e che ciò fosse dovuto, tra l’altro, alla condotta disinibita tenuta dal soggetto stesso, attenua la responsabilità civile, ma non la esclude, configurandosi in capo alla persona ritratta, ed ai genitori della stessa, un danno non patrimoniale consistente nella lesione di una pluralità di interessi costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, all’inviolabilità della corrispondenza”. 176 The best interest of the child elemento essenziale al fine di poter ritenere integrati gli illeciti di cui all’art. 1, co. 2, l. n. 71/2017. Ciò in ragione del ritmo (elevato) con cui certe tecnologie, così come le possibilità di abusarne, si evolvono, che in determinati casi suggeriscono di evitare di pretendere, oltre un certo limite, dal genitore un eccessivo grado di controllo e di ingerenza nella quotidianità dei figli. Al riguardo, deve guardarsi positivamente a quelle misure, previste dalla l. n. 71/2017, che mirano a mettere i giovani nelle condizioni di conoscere non solo le opportunità ma anche le insidie celate da certi strumenti tecnologici. Sotto altro profilo, invece, la marginalità del momento sanzionatorio nel complessivo impianto delineato dalla nuova disciplina (che, tuttavia, si ribadisce, fa salva la configurazione di eventuali fattispecie penali), benché comprensibile (e condivisibile) alla luce delle finalità dell’intervento legislativo (enunciate dall’art. 1, co. 1), porta con sé anche alcune criticità. Deve, infatti, evidenziarsi come la sanzione (specie se di natura penale) contribuisce a far acquisire consapevolezza circa il disvalore di una determinata condotta, fattore di notevole importanza se si considera che spesso la commissione degli illeciti in cui si manifesta il fenomeno del cyberbullismo è agevolata dalla percezione del fatto, da parte dell’autore della condotta, quale semplice “bravata”14. Infine, un’ultima considerazione: con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 101/2018, è stata fissata a quattordici anni l’età minima per poter prestare validamente il consenso al trattamento dei dati personali15. Si 14 Al riguardo, cfr. P.T. Persio, Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, cit., p. 63, ove si osserva che: “[l]a presa di coscienza circa il disvalore della condotta tenuta a cui si ricollegano le conseguenze penali e, più in generale, tutte le conseguenze negative che la realizzazione di un illecito porta con sé, costituisce il passaggio logico necessario ed imprescindibile perché ogni individuo sia messo nella condizione di esercitare i propri poteri di autodeterminazione. In questo scenario, pertanto, la minaccia della sanzione non costituisce un fatto negativo, traumatico o astrattamente pericoloso per lo sviluppo della personalità ma, piuttosto, rappresenta un elemento positivo perché favorisce il processo di responsabilizzazione e maturazione del minore, stimolandolo a valutare con attenzione i comportamenti da adottare oltre che nel loro significato etico e morale anche in vista delle conseguenze giuridiche che possono produrre”. 15 L’art. 8, par. 1, del regolamento UE n. 679/2016 (GDPR) stabilisce che “[q]ualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Minori “buoni” e minori “cattivi” nella nuova disciplina sul cyberbullismo 177 pone allora una questione di “compatibilità” tra una siffatta previsione ed un “sistema” che impone ai genitori degli obblighi di controllo che, talvolta, sembrano quasi presuppore l’assenza di una tale capacità del minore (ultraquattordicenne). Un tema con il quale giurisprudenza, legislatore e dottrina presto dovranno, verosimilmente, confrontarsi. Bibliografia Bocchini R. - Montanari M., Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), in Le Nuove leggi civili commentate, 2, 2018, p. 355 De Salvatore F., Bullismo e cyberbulling, dal reale al virtuale tra media e new media, in Minori Giustizia, 4, 2012, p. 94 Persio P.T., Il contrasto al cyberbullismo nella legge n. 71/2017 tra finalità di prevenzione ed esigenze di repressione, in La Giustizia Penale, 1, 2019, p. 55 Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni”. Il diritto all’oblio del soggetto minore nel Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali Maria Romani Allegri In queste poche pagine cercherò di delineare sinteticamente il tema del cosiddetto “diritto all’oblio” in riferimento ai soggetti minori. In realtà, l’espressione “diritto all’oblio” mi sembra assai imprecisa e non perfettamente corrispondente al contenuto del diritto sancito dall’art. 17 del regolamento UE n. 2016/6791. Non a caso, tale espressione figura nel titolo dell’art. 17 soltanto fra parentesi, a completamento della dicitura “diritto alla cancellazione”. Quindi, l’art. 17 del regolamento europeo – cui da ora in poi mi riferirò con la sigla GDPR2 – disciplina solo uno specifico aspetto del più generale diritto ad essere dimenticati, ovvero il diritto di chiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati personali. In una più ampia accezione, invece, l’espressione “diritto all’oblio” si riferisce al diritto individuale a non vedere continuamente riproposte dai mezzi di comunicazione notizie riferite alla propria persona che, per via del trascorrere del tempo, hanno perso i caratteri dell’interesse pubblico e dell’utilità sociale3. 1 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE. 2 General Data Protection Regulation. 3 Sul diritto all’oblio si vedano: M. C. D’Arienzo (2015), I nuovi scenari della tutela della privacy nell’era della digitalizzazione alla luce delle recenti pronunce sul diritto all’oblio, in Federalismi.it, n. 2, pp. 1-31; F. Di Ciommo (2014), Quello che il diritto non dice. Internet e oblio, in Danno e responsabilità, n. 12, pp. 1101-1113; G. Finocchiaro (2015), Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in G. Resta e V. ZenoZencovich (a cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma TrE Press, pp. 29-42; T. E. Frosini (2014a), Google e il diritto all’oblio preso sul serio, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 4-5, p. 563-567; T. E. Frosini (2014b), Internet come ordinamento giuridico, in M. Nisticò e P. Passaglia (a cura di), Internet 180 The best interest of the child A differenza del diritto alla riservatezza, il diritto all’oblio non è rivolto a cancellare il passato, ma a proteggere il presente, in quanto ha per oggetto avvenimenti che, nel momento del loro accadimento, non rientravano nella sfera della privacy, ma erano caratterizzati dall’interesse pubblico alla loro conoscenza. Dunque, in questa prospettiva il diritto all’oblio non è una mera espressione del diritto alla riservatezza, ma ne costituisce piuttosto un riflesso, ponendosi a protezione della sfera intima dell’individuo, i cui dati memorizzati in Internet richiedono specifici strumenti di protezione, fra cui la possibilità di ottenerne la rimozione, una volta venuti meno i presupposti ed i requisiti di liceità del loro trattamento. Il bene giuridico tutelato dal diritto in parola è quello dell’identità personale, fondato sull’art. 2 Cost., che la Corte di Cassazione già molto tempo fa4 ha definito come «formula sintetica per contraddistinguere il soggetto da un punto di vista globale nella molteplicità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni (morali, sociali, politiche, intellettuali, professionali, ecc.), cioè per esprimere la concreta ed effettiva personalità individuale del soggetto quale si è venuta solidificando od appariva destinata, in base a circostanze univoche, a solidificarsi nella vita di relazione»5. e Costituzione, Torino, Giappichelli, pp. 57-69; M. Iaselli (2017a), Come esercitare il diritto all’oblio in Internet, Roma, Dike; G. Marchetti (2013), Diritto di cronaca on-line e tutela del diritto all’oblio, in Aa. Vv., Da Internet ai Social Network. Il diritto di ricevere e comunicare informazioni e idee, Rimini, Maggioli, pp. 71-90; M. Mezzanotte (2009), Il diritto all’oblio, Napoli, Esi; S. Pietropaoli (2017), La rete non dimentica. Una riflessione sul diritto all’oblio, in Ars intrepretandi, n. 1, pp. 67-80; F. Pizzetti (2013) (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli; G. Resta e V. Zeno-Zencovich (2015) (a cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, TrE-Press; F. Sassano (2015), Il diritto all’oblio tra Internet e mass media, Vicalvi (FR), Key; G. Scotti (2015), Dall’habeas corpus all’habeas data: il diritto all’oblio e il diritto all’anonimato nella loro dimensione costituzionale, in Diritto.it, pp. 1-28; A. Sirotti Gaudenzi (2017), Diritto all’oblio: responsabilità e risarcimento del danno, Rimini, Maggioli; E. Stradella (2016), Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale e protezione dei dati, si impone anche nella Rete, quali anticorpi si possono sviluppare e, infine, cui prodest?, in Rivista Aic, n. 4, pp. 1-29. 4 Sentenza 22 giugno 1985, n. 3769. 5 Sull’identità personale si vedano: S. Niger (2008), Il diritto all’identità personale, in G. Finocchiaro (a cura di), Diritto all’anonimato: anonimato, nome e identità personale, Padova, Cedam, pp. 113-129; G. Pino (2006), Il diritto all’identità personale ieri e oggi. Informazione, mercato, dati personali, in R. Panetta (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano, Giuffrè, pp. 257-321; E. C. Raffiotta (2010), Appunti in materia di diritto all’identità personale, in www.forumcostituzionale.it; V. Zeno-Zencovich (1993), Identità personale, in Digesto delle discipline privatistiche, vol. IX, Torino, Utet, pp. 294-315. Il diritto all’oblio del soggetto minore 181 Nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, il diritto all’oblio ha fatto il suo ingresso ufficiale nel 2014, in seguito alla notissima e molto commentata pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea relativa al caso Google Spain, che ha imposto ai motori di ricerca di procedere, a richiesta dell’interessato, alla deindicizzazione dei link collegati al suo nome contenenti informazioni personali non più di attualità6. In assenza di parametri oggettivi che possano guidare le valutazioni e le decisioni dei titolari del trattamento dei dati – in questo caso i motori di ricerca, cioè soggetti privati che agiscono a scopo di lucro – il nodo critico risiede nell’oggettiva difficoltà di stabilire fino a quando ricorrono le condizioni della permanenza online di informazioni riferite al passato, ovvero fino a quando e in base a quali presupposti queste ultime risultano avere ancora un apprezzabile interesse pubblico per la collettività. Ben prima della sentenza Google Spain, però, la Corte di Cassazione italiana aveva riconosciuto il diritto all’oblio come uno specifico profilo del diritto alla riservatezza, cioè come diritto individuale a non vedere continuamente riproposte dai mezzi di comunicazione notizie riferite alla propria persona relative a fatti di cronaca che, essendo accaduti molto tempo addietro, non erano più di interesse pubblico (tutela della c. d. “privacy storica”)7. Così inteso, il diritto all’oblio era posto in stretta correlazione con la divulgazione di notizie da parte dei mezzi di comunicazione e veniva a corrispondere all’esigenza di protezione della personalità individuale rispetto alla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della loro perdita di attualità. In una fase successiva la Suprema Corte, prestando maggiore attenzione alla difficoltà – quando non impossibilità – di cancellare definitivamente le informazioni immesse in Internet, ha posto l’accento non tanto sul diritto ad ottenere la cancellazione di notizie ormai non più attuali, quanto sul dovere del titolare del trattamento dei dati di aggiornare e contestualizzare le informazioni, attraverso il collegamento della notizia originaria con altre notizie più recenti, dal cui insieme possa desumersi un quadro completo e attendibile della persona cui le notizie si 6 Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 13 maggio 2014, causa C-131/12, Mario Costeja González c. Google Spain Sl, Google Inc., Agencia Española de Protección de Datos. 7 Per prima Cass. Civ. III, n. 3679 del 1998; successivamente anche Cass. Civ. I, 25 giugno 2004, n. 11864. 182 The best interest of the child riferiscono8. Anche in questo caso, il trattamento – e l’eventuale cancellazione o aggiornamento – dei dati personali è stato posto in stretta relazione con l’attività degli organi di informazione, in modo che da essi emerga una rappresentazione corretta e aggiornata della personalità individuale. Oggetto di tutela è diventato, quindi, non tanto il diritto ad essere dimenticati, quanto il diritto ad essere correttamente rappresentati; per questo, l’espressione “diritto all’oblio” risulta impropria in questo contesto. Peraltro, anche nel caso Google Spain – che ha fatto coincidere il diritto all’oblio con l’interesse a che informazioni troppo risalenti nel tempo e non più attuali non possano essere reperite online con eccessiva facilità, mediante il semplice collegamento al nome dell’interessato – la richiesta di deindicizzazione rivolta al motore di ricerca riguardava notizie provenienti da fonti giornalistiche e mirava a realizzare non l’oblio in senso proprio, ma la rappresentazione corretta e attuale della personalità del richiedente . Rispetto al quadro fin qui delineato, l’art. 17 del GDPR compie un significativo passo in avanti, superando completamente il rapporto fra il diritto impropriamente definito “all’oblio” e l’attività degli organi di informazione (libertà di cronaca). Tale disposizione, infatti, presuppone che la cancellazione dei dati personali possa essere richiesta per ragioni anche del tutto indipendenti dall’esigenza di tutela della propria reputazione o della corretta rappresentazione pubblica della personalità individuale. In sintesi, nel GDPR il cosiddetto “diritto all’oblio” non è necessariamente collegato alla libertà di cronaca – cioè al diritto della collettività di venire a conoscenza di fatti di interesse pubblico – ma può riguardare dati di nessun interesse pubblico (che non lo hanno mai avuto, nemmeno in passato), che non necessariamente sono stati resi pubblici (si può infatti chiedere anche la cancellazione di dati non pubblici, ma gestiti solo dal titolare del trattamento) e che, in molti casi, sono stati originariamente immessi in Internet per decisione stessa dell’interessato. Dunque, il GDPR consente a chiunque di chiedere che i propri dati vengano cancellati o perché l’interessato non ha consentito all’originario trattamento, o perché i dati sono stati trattati in modo illecito o con modalità non conformi a quanto dichiarato nell’informativa o semplicemente perché a un certo punto l’interessato sceglie, per 8 Cass. Civ. III, 5 aprile 2012, n. 5525; Id., 26 giugno 2013, n. 16111; Id., 24 giugno 2016, n. 13161. Il diritto all’oblio del soggetto minore 183 qualsiasi ragione, di revocare il proprio consenso9. In tutti questi casi, secondo il primo paragrafo dell’art. 17 «l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali». Tuttavia, così l’originario rapporto fra diritto all’oblio e libertà di cronaca viene recuperato nel par. 3, che elenca i casi in cui il titolare del trattamento può opporsi alla cancellazione dei dati10: nell’elenco figura anche «l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione». L’obbligo di cancellazione dei dati da parte del titolare del trattamento è soggetto a “condizionalità tecnologiche”, nel senso che potrà essere assolto in misura più o meno completa e radicale in ragione della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione (art. 17 par. 2). In particolare, la principale difficoltà cui si riferisce il par. 2 dell’art. 17, nonché il considerando n. 54 premesso al regolamento, è quella della corretta gestione della “catena dei trattamenti”, cioè del fatto che i dati possono essere trattati da diversi titolari11. In tal caso, il titolare del trattamento che ha ricevuto la 9 Più precisamente, l’art. 17 del GDPR indica i seguenti motivi per i quali è possibile ottenere la cancellazione dei dati personali: «a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento; c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2; d) i dati personali sono stati trattati illecitamente; e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1». 10 Il par. 3 dell’art. 17 indica i casi in cui il titolare del trattamento può opporti alla richiesta di cancellazione dei dati. Ciò può avvenire: «a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; b) per l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria». 11 Si veda F. Pizzetti (2018), La protezione dei dati personali e la sfida dell’Intelligenza 184 The best interest of the child richiesta di cancellazione dei dati personali deve informare gli altri soggetti che stanno trattando i medesimi dati «della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali». La ratio sottesa a questa norma è quella di evitare di gravare l’interessato dell’onere di reperire i gestori di ogni singolo sito in cui l’informazione è pubblicata e di chiedere a ciascuno di essi la cancellazione, poiché questa attività spesso può essere più agevolmente svolta dal titolare del trattamento. Questo nuovo obbligo di informativa gravante sugli intermediari digitali nel loro ruolo di titolari del trattamento, che risulta però sprovvisto di sanzioni in caso di inottemperanza, deve essere assolto mediante l’adozione di «misure ragionevoli, anche tecniche» e «tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione». Si tratta quindi di un obbligo ad intensità variabile, basato tanto sul principio di ragionevolezza, da valutare caso per caso, quanto sul livello di sviluppo tecnologico. Fra le condizioni indicate dall’art. 17, per le quali è possibile chiedere e ottenere la cancellazione dei dati personali, figura alla lettera f anche quella indicata dall’art. 8 del GDPR, cioè «l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori». Tuttavia, non pare che le condizioni per le quali il soggetto minore possa chiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati personali siano diverse da quelle generalmente applicate agli adulti, mancando qualsiasi specifica disposizione in merito. È pur vero che la speciale protezione di cui i minori devono godere, in quanto non pienamente consapevoli delle implicazioni relative al trattamento dei loro dati personali, soprattutto se realizzato per finalità commerciali (marketing o profilazione dell’utente), è richiamata nel considerando n. 38 del regolamento12, nonché nel considerando n. 58, riferito alla trasparenza e alla chiarezza delle informazioni destinate ai minori13. Ma i considerando non sono Artificiale, in Id. (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, Torino, Giappichelli, partic. pp. 26 ss. 12 Considerando n. 38: «I minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore». 13 Considerando n. 38, ultima frase: «Dato che i minori meritano una protezione specifica, quando il trattamento dati li riguarda, qualsiasi informazione e Il diritto all’oblio del soggetto minore 185 disposizioni giuridicamente vincolanti e, in ogni caso, quanto richiamato non attiene specificamente al diritto all’oblio, ma al trattamento dei dati in genere. La questione, dunque, si sposta sull’età in cui è possibile chiedere la cancellazione dei dati autonomamente, senza l’intervento dei genitori o, addirittura, in opposizione ad essi. Per la verità, il GDPR tace su questo specifico punto. Tuttavia l’art. 8, che riguarda le condizioni applicabili al consenso al trattamento dei dati personali prestato dai minori, stabilisce al par. 1 che il trattamento dei dati è lecito se il consenso è prestato da persona di età minima di 16 anni, che qualora il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni il trattamento è lecito se il consenso è prestato o autorizzato da chi esercita la responsabilità genitoriale e che, infine, gli Stati membri dell’Unione europea possono stabilire diverse soglie di età a tali fini, purché non inferiori a 13 anni. Per quanto riguarda l’Italia, il d. lgs. 10 agosto 2018, n. 101, con cui la normativa nazionale è stata adeguata al GDPR, ha fissato a 14 anni l’età in cui il soggetto minore può prestare autonomamente il consenso al trattamento dei propri dati personali, indipendentemente dal genitore (art. 2 quinquies). Si può dunque arguire – pur trattandosi di un’interpretazione “estensiva” del dato normativo – che le medesime soglie di età individuate per la prestazione del consenso siano applicabili anche alla revoca del consenso e all’esercizio del diritto “all’oblio” e che, pertanto, in Italia il minore almeno quattordicenne possa legittimamente chiedere al titolare del trattamento dei dati la cancellazione degli stessi nei casi indicati (per gli adulti) dall’art. 17 del GDPR. Questa interpretazione, peraltro, è congruente con quanto previsto dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, contenente disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo: tale legge prevede infatti che i minori di almeno 14 anni che siano vittime di cyberbullismo possano agire autonomamente (non tramite i propri genitori) per inoltrare al titolare del trattamento dei dati (cioè al gestore del sito Internet o social network provider o motore di ricerca) un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei dati personali (con conservazione dei dati originali) e, se questo non provvede entro 24 ore, per presentare un reclamo al Garante per la protezione comunicazione dovrebbe utilizzare un linguaggio semplice e chiaro che un minore possa capire facilmente». 186 The best interest of the child dei dati personali. Ciò considerato, si può ragionevolmente supporre che 14 anni siano un’età adeguata all’autonomo esercizio del diritto di cui all’art. 17 del GDPR anche al di fuori dei casi di cyberbullismo. In tema di diritto all’oblio e soggetti minori è opportuno esaminare anche il considerando n. 65 del GDPR, che però si riferisce al caso in cui una persona di qualsiasi età (quindi non necessariamente minorenne, ma anche ormai maggiorenne) desideri rettificare i propri dati personali o opporsi al loro trattamento o chiederne la cancellazione anche quando il consenso al trattamento di tali dati era stato prestato all’epoca in cui l’interessato non aveva ancora raggiunto la maggiore età e non era quindi presumibilmente consapevole dei rischi connessi al trattamento14. Dalle indicazioni contenute in questo considerando, utili però solo a fini interpretativi, si può in qualche modo desumere che i titolari del trattamento dovrebbero essere più disponibili ad accogliere le richieste di cancellazione dei dati personali (anche di quelli trattati legittimamente e col consenso dell’interessato) se il consenso era stato prestato da persona all’epoca minore di età. Questa “regola interpretativa” di fatto sottolinea, da un lato, la vulnerabilità del minore e la sua scarsa consapevolezza nel prestare il consenso al trattamento dei dati e, dall’altro, l’inevitabile evoluzione della personalità del minore, da cui deriva una sorta di “diritto al ripensamento” nei casi in cui, a distanza di tempo, l’interessato si pente di scelte avventate compiute durante la minore età. Finora, la casistica giurisprudenziale non ha contemplato casi di istanze di cancellazione di dati avanzate autonomamente da soggetti minori15 né, successivamente all’entrata in vigore del GDPR, alcun 14 Più precisamente, il considerando n. 65 recita: «Un interessato dovrebbe avere il diritto di ottenere la rettifica dei dati personali che lo riguardano e il «diritto all’oblio» se la conservazione di tali dati violi il presente regolamento o il diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento. In particolare, l’interessato dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia revocato il proprio consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al presente regolamento. Tale diritto è in particolare rilevante se l’interessato ha prestato il proprio consenso quando era minore, e quindi non pienamente consapevole dei rischi derivanti dal trattamento, e vuole successivamente eliminare tale tipo di dati personali, in particolare da internet. L’interessato dovrebbe poter esercitare tale diritto indipendentemente dal fatto che non sia più un minore. […]». 15 Si vedano l’ordinanza del tribunale di Mantova del 19 settembre 2017 (il padre ha agito in giudizio contro la madre per indurla a rimuovere da un social network le Il diritto all’oblio del soggetto minore 187 provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali ha riguardato la cancellazione di dati di minori16. Sebbene, dunque, mi sembra che il GDPR sia piuttosto lacunoso e impreciso circa il diritto alla cancellazione dei dati esercitabile da soggetti minori, è probabilmente troppo presto per trarre conclusioni definitive. foto del figlio minore) e l’ordinanza del tribunale di Roma del 23 dicembre 2017 (il tutore legale di un soggetto minore ha agito in giudizio nei confronti della madre del ragazzo affinché rimuovesse dai social network le foto di quest’ultimo). 16 Antecedentemente all’entrata in vigore del GDPR (25 maggio 2018) il Garante per la protezione dei dati personali si è talvolta occupato di questioni relative alla cancellazione di dati personali di soggetti minori, ma sempre sulla base di richieste avanzate dai genitori. Fra i casi più recenti si vedano i provvedimenti n. 240 del 18 maggio 2017, n. 559 del 22 dicembre 2016 e n. 552 della stessa data. La questione della consapevolezza digitale nei minori Ida Cortoni Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’inquadramento della consapevolezza nel quadro europeo sulle competenze digitali. – 3. Focus sulla consapevolezza digitale. – 4. Alcune evidenze empiriche sul tema della consapevolezza. – 5. Verso la digital literacy. Note conclusive. Il saggio propone una riflessione sul tema della consapevolezza digitale all’interno del contesto normativo e socioculturale della tutela del minore, rispetto alla rapida e continua trasformazione dei media digitali nella società contemporanea e all’intensificazione delle dinamiche di domesticazione delle pratiche socioculturali mediate dai devices tecnologici (Silverstone, 2002). Nello specifico, la riflessione sulla consapevolezza digitale in questo saggio propone una chiave interpretativa della tutela di natura sociologica, focalizzata prevalentemente sull’informazione e sulla educazione, ovvero sul potenziamento degli strumenti cognitivi e metacognitivi dell’individuo, soprattutto in età evolutiva, per salvaguardare la propria integrità emotiva, psicologica e sociale quando si stabiliscono relazioni e interazioni socioculturali attraverso il dispositivo mediale. Partendo dalla definizione di consapevolezza digitale, all’interno del framework teorico sulle competenze digitali, condiviso dall’Unione europea negli ultimi anni (DigComp 2015), si cercherà di riflettere sul grado di diffusione e radicamento di questa stessa competenza nelle nuove generazioni, partendo dalla presentazione di una ricerca dell’Osservatorio Mediamonitor Minori, per poi proporre raccomandazioni e suggerimenti educativi al fine di consentire e favorire un processo di sviluppo di questo tipo di competenza nelle nuove generazioni, nonché sensibilizzare gli organi istituzionali ad attivare politiche educative e informative più sistematiche per i cittadini. 190 The best interest of the child 1. Introduzione Il tema della tutela è al centro del dibattito pubblico, politico e scientifico ormai da diversi decenni in Italia come in altri Paesi nel resto del mondo. L’obiettivo è riflettere e discutere sulle disposizioni politiche, sociali, culturali e normative da intraprendere al fine di salvaguardare i diritti del minore di fronte ai rischi di una loro violazione da parte di providers dell’informazione o della comunicazione. Questi ultimi infatti potrebbero anteporre obiettivi di natura commerciale e politica a quelli di carattere etico e culturale nei processi di rappresentazione dell’informazione e di gestione dei dati all’interno degli ambienti digitali. Il punto di riferimento di questa riflessione è sempre la Carta di Treviso, che nel 1995 pone la questione della tutela dei minori in termini di “salvaguardia della dignità e di uno sviluppo equilibrato dei bambini e degli adolescenti anche in funzione di uno sviluppo della conoscenza dei problemi minorili e per ampliare nell’opinione pubblica una cultura dell’infanzia” (Carta di Treviso, Vademecum, 1995). A partire da questa prima definizione e dall’analisi di ulteriori normative internazionali e nazionali sul tema1, sono stati di seguito sintetizzati diversi orientamenti politico- sociali, inclusi nelle normative e legati alla tutela del minore rispetto ai media: 1. Quelli di natura protezionistica, orientati sia sulla individuazione di situazioni potenzialmente dannose per il benessere psicosociale del bambino (ad esempio lo sfruttamento minorile, la violenza, la pubblicazione di materiali nocivi per il bambino, l’abuso mentale e l’illegalità attraverso i media), sia sul richiamo alla responsabilità etica delle imprese mediali attraverso azioni sanzionatorie sulla divulgazione di contenuti ambigui rispetto alla questione della tutela. 2. Quelli di natura informativa e promozionale, rivolti prevalentemente all’opinione pubblica e alle principali agenzie di socializzazione, come la famiglia e la scuola, ai fini di una sensibilizzazione su codici 1 Art. 31 della costituzione sulla protezione dell’infanzia e della gioventù in Italia, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia 1898 (divenuta legge in Italia nel 1991), la Carta di Treviso (1990, 2006), il Vademecun, Carta di Treviso (1995), la Convenzione europea sulla tv transfrontaliera Strasburgo (1989), la Carta dei doveri del giornalista (1993) e il Codice di autoregolamentazione TV e Minori del 29 novembre del 2002 in Italia. La questione della consapevolezza digitale nei minori 191 di condotta da adottare quando si interagisce con i diversi dispositivi mediali, su una maggiore condivisione pubblica dei problemi connessi all’infanzia, nonché su una conoscenza diffusa e la consapevolezza della cultura dell’infanzia. 3. Quelli protesi a un orientamento educativo, rivolti prevalentemente alle agencies (scuola e famiglia), in cui si lavora sul potenziamento cognitivo, emotivo e sociale dei minori fin dalla più tenera età, in termini di competenze trasversali digitali da implementare nelle nuove generazioni, per favorire lo sviluppo dell’identità individuale e sociale, dell’autonomia e della responsabilità sociale e un equilibrio psicofisico, anche quando si usano le tecnologie mediali, attraverso il coinvolgimento attivo e partecipativo delle stesse agenzie di socializzazione (I. Cortoni, 2011). Il primo orientamento descritto sembra legato a una accezione di tutela intesa come censura, proibizione di fruizione di contenuti nocivi al pubblico giovanile e di prescrizioni di norme comportamentali al sistema di emittenza mediale; gli altri due orientamenti invece presentano un’accezione più propositiva, in quanto si focalizzano sulla tutela del destinatario mediale promuovendo azioni di sensibilizzazione, sperimentazione, ricerca, investimento sulla qualità e su servizi, sia informativi che formativi, direttamente all’interno di contesti di socializzazione, attraverso il coinvolgimento dei cittadini (P. Aroldi, 2003). Queste nuove interpretazioni del concetto di tutela puntano a costruire un ambiente culturale ed una nuova sensibilità sulla cultura della comunicazione per consentire ai cittadini, e soprattutto ai giovani, di muoversi nell’ecosistema mediale con spirito critico e autonomia decisionale, sapendo selezionare e cogliere le opportunità offerte e riconoscere i rischi progressivamente emergenti. Tali definizioni includono un chiaro riferimento alla Media Literacy, intesa come “capacità di accedere, di comprendere e valutare criticamente i diversi aspetti dei media a cominciare dai loro contenuti, di creare comunicazione in una varietà di contesti” (Comunicazione 833/2007), e alla Media Education, ovvero all’insieme delle strategie di intervento in campo educativo per fornire a adulti e giovani strumenti conoscitivi, abilità metacognitive e competenze trasversali attraverso cui agire autonomamente e attivamente nel contesto sociale (mediato e non mediato) (C. Balzagette - E. Bevort - J. Savino, 1992; D. Buckingham, 2003; M. Morcellini – I. Cortoni, 2007). 192 The best interest of the child 2. L’inquadramento della consapevolezza nel quadro europeo sulle competenze digitali Quando si parla di consapevolezza digitale generalmente si fa riferimento a una dimensione specifica della competenza digitale, di carattere trasversale, che smuove competenze metacognitive in grado di modificare progressivamente atteggiamenti e comportamenti dei soggetti rispetto all’uso dei media digitali. Per costruire una definizione teorico-concettuale su questo tema non è possibile prescindere dalla ricognizione delle molteplici definizioni sulla competenza digitale nell’ambito della letteratura scientifica internazionale degli ultimi anni, al fine di ricostruire un unico, seppur complesso, quadro di riferimento entro cui far confluire una adeguata definizione di consapevolezza digitale. La costruzione di questo primo quadro interpretativo è infatti funzionale per visualizzare una mappatura più articolata delle competenze entro cui rintracciare le dimensioni, gli indicatori di riferimento e i livelli di manifestazione degli stessi nei comportamenti degli individui. Partendo da una prima definizione generale, dunque, con il termine competenza digitale si vuole intendere “un insieme di conoscenze, abilità e attitudini richieste quando si usano le tecnologie per svolgere compiti, risolvere problemi, comunicare, gestire l’informazione, collaborare, creare e condividere contenuti e costruire conoscenza in modo efficace, appropriato, creativo, autonomo, flessibile, etico e riflessivo per lavoro, tempo libero, apprendimento, partecipazione, socializzazione consumo e empowerment” (nostra traduzione, Commissione Europea, 2012, p. 4). Così, nell’analizzare concettualmente e operativamente la competenza digitale, non è possibile trascurare le due principali dimensioni che sono alla base della sua strutturazione: quella nozionistica connessa alle conoscenze fondamentali nel campo della comunicazione da possedere per sviluppare attitudini comportamentali autonome e responsabili, e quella trasversale, che presuppone competenze più avanzate, o metacompetenze, al fine di usare le tecnologie in diversi contesti sociali e per diverse motivazioni in modo critico e riflessivo, valutando le informazioni disponibili; usarle in modo sicuro e responsabile nel rispetto della privacy e delle differenze culturali e per partecipare a comunità e a reti sociali e professionali (I. Cortoni - V. Lo Presti in S. Kotilainen et al., 2015). Nel corso del tempo, si sono alternati diversi percorsi di ricerca e sperimentazioni per costruire modelli teorico concettuali su questo La questione della consapevolezza digitale nei minori 193 tema, contribuendo alla diffusione di una terminologia e di una cultura sul digitale, andando oltre la visione puramente determinista legata alla valorizzazione delle caratteristiche tecniche dei devices mediali2. Nell’ambito della Strategia Europa 2020, l’Agenda digitale Europea negli ultimi anni ha tentato di avviare un processo di sistematizzazione delle conoscenze sul tema, delle ricerche internazionali e delle sperimentazioni realizzate in questo ambito, in modo da fornire indicazioni precise sulla definizione della competenza digitale e, dunque, di consapevolezza digitale, e sulle strategie di rilevazione e implementazione della stessa all’interno di diversi contesti formativi. L’obiettivo principale di questo orientamento è stato garantire lo sviluppo e il miglioramento delle competenze digitali di tutti i cittadini attraverso iniziative di formazione e sistemi di certificazione e di riconoscimento dei risultati di apprendimento all’interno dei diversi sistemi di istruzione. Il quadro unico internazionale sulle competenze digitali e dei suoi indicatori, individuato dall’unione europea e tradotto anche in Italia nel Piano Nazionale Scuola Digitale, è il DIGCOMP 2.0 (Framework for Developing and Understanding Digital Competence in Europe), che ha come principale obiettivo quello di orientare le azioni governative, in termini di policies educative, verso il raggiungimento di una cittadinanza digitale. Il DIGCOMP 2.0 (2015) e le successive integrazioni (DIGCOMP 2.1, 2017, e DIGCOMP EDU, 2017) dovrebbero ispirare percorsi di digital literacy o digital education nell’ambito dei sistemi di Istruzione obbligatori. In tal senso, nel 2015 il MIUR nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), attivo dal 2007, ha incluso una serie di azioni di formazione e di intervento innovativo strategico nel campo pedagogico digitale, per l’implementazione delle competenze sia degli insegnanti che degli studenti, partendo proprio dal modello europeo precedentemente descritto (Cfr. TAB 1). 2 Si citano a riguardo i seguenti progetti internazionali sul tema delle competenze digitali: il progetto di Tornero e Celot 2006; iSkills di ETS (Educational Testing Service) 2007; Decta di Ofcom (2008); ICT Competency Framework for teachers dell’Unesco (2008); “NCCA ICT framework: a structured approach to ICT in curriculum and assessment” di NCCA (National Council for Curriculum and Assessment) (2006); “IC3 Internet and Computer Core Certification di Certiport Inc., US private company, (2003); DigEuLit dell’University of Glasgow (2005-2006). Per quanto riguarda la letteratura nazionale e internazionale sul tema si ricordano i contributi di J. Van Dijk, (2005); H. Jenkins (2006), P. Celot, J.M. Tornero (2008), D. Felini - F. Ceretti - R. Giannatelli (2006), A. Calvani - A. Ranieri - M. Fini (2009); D. Buckingham (2006); S. Bentivegna (2009); M. Gui (2009), P. Gilster (1997). 194 The best interest of the child Tab. 1. Modello teorico concettuale sulle competenze digitali DIGCOMP 2.0 Aree PNSD microcompetenze Modello di competenze digitali Dimensioni Navigazione, ricerca e decimazione di dati, informazioni e contenuti Informazione e data literacy Valutazione di dati, informazioni e contenuti digitali Critical Thinking Competenza critica Citizenship Competenza di Cittadinanza Gestione di dati, informazioni e contenuti digitali Interazione con competenze digitali diverse Condivisione attraverso le tecnologie digitali Comunicazione e collaborazione Impegno nella cittadinanza attraverso le tecnologie digitali Collaborazione attraverso le tecnologie digitali Netiquette Gestione dell’identità digitale La questione della consapevolezza digitale nei minori DIGCOMP 2.0 195 PNSD Modello di competenze digitali Creativity Competenze di produzione creativa Problem solving Competenze di consapevolezza Sviluppo di contenuti digitali Creazione di contenuti digitali Integrazione e rielaborazione di contenuti digitali Diritti d’autore e licenze Programmazione Protezione dei dispositivi Sicurezza Protezione dei dati personali e della privacy Protezione, salute e benessere La tutela dell’ambiente Risoluzione di problemi tecnici Identificazione di bisogni e di risposte tecnologiche Problem solving Utilizzo creativo di tecnologie digitali Individuazione di carenze nelle competenze digitali 196 The best interest of the child Secondo questa prima strutturazione, la competenza digitale include diverse dimensioni trasversali quali: 1. quella connessa alle opportunità di utilizzo tecnologico e delle differenze fra mondo reale e la sua rappresentazione mediale, che chiameremo “competenza critica”; 2. la comprensione del potenziale tecnologico in termini di innovazione e creatività o “competenza di produzione creativa”; 3. opportunità di lavoro alla comprensione della validità e affidabilità delle informazioni disponibili e la consapevolezza di rispettare i principi etici alla base dell’uso interattivo delle tecnologie (competenza sulla consapevolezza fruitiva); 4. inclusione sociale (o competenza di cittadinanza). Questa prima strutturazione non include la dimensione dell’accesso mediale relativa all’insieme delle conoscenze comunicative di base, che un individuo dovrebbe possedere preliminarmente, per agire autonomamente e responsabilmente nel contesto sociale. 3. Focus sulla consapevolezza digitale Partendo dal framework teorico, precedentemente introdotto, del DIGCOMP 2.0 e dal PNSD, la consapevolezza digitale rappresenta una dimensione specifica della competenza digitale, di natura trasversale. Dal punto di vista della letteratura scientifica, questo termine è spesso associato per corrispondenza semantica a quello di culture di Tornero, Celot, 2006 e rimanda a due principali aspetti: 1. il grado di consapevolezza culturale nell’uso dei media in termini di potenzialità e rischi di alcune azioni svolte con il digitale (“awareness” or “define”); 2. La capacità di contestualizzazione delle conoscenze e delle abilità digitali acquisite in contesti specifici formativi, formali o informali, subordinando il loro utilizzo ad altri obiettivi socioculturali e per motivazioni differenti nel contesto lavorativo come in quello del loisir (“manage” o “problem solving”). Il concetto di consapevolezza digitale non rappresenta un neologismo, in quanto è stato già problematizzato e descritto in molti progetti europei, ad esempio questo tipo di competenza rientra nell’area “digital usage” del progetto DigEuLit3 dell’Università di Glasgow, è 3 Tale progetto sulle competenze digitali è stato proposto dall’University of Glasgow (2005-2006). La questione della consapevolezza digitale nei minori 197 argomentato nel progetto IC3 Internet and Computer Core Certification nella dimensione “key application”4 ed è approfondito anche nell’area “knowledge deepening” del modello proposto nell’ambito del progetto MIL (Media and Information Literacy) dell’UNESCO (2008). (I. Cortoni - V, Lo Presti in S. Kotilainen et al., 2015). Nel DIGCOMP 2.0, tale concetto è riconducibile a due principali dimensioni, strettamente correlate fra loro: quella della Security e quella del problem solving. All’interno di questo saggio, tuttavia, l’attenzione si focalizzerà soprattutto sulla prima delle due aree introdotte, evidenziando quattro principali aspetti definitori: 1. quello tecnologico orientato al device digitale, inteso come capacità di difesa o protezione delle proprie tecnologie da attacchi hacker o virus (protecting devices). 2. Quello orientato sulla protezione dei dati personali dell’utente, in qualità di produttore di testi online, dal rischio di phishing, o del copyright e della privacy contro ad esempio il presunto catfishing (o furto dell’identità). Nello specifico, questo indicatore richiama il tema più ampio della consapevolezza sulle dinamiche alla base della gestione dell’informazione nell’ottica dell’economia dei dati digitali. Con tale espressione infatti si vuole intendere il sistema di appropriazione dei dati e dei metadati degli utenti da parte di providers per fini commerciali, o politici, a seguito della pubblicazione e condivisione di post/informazioni (D. Lupton, 2018). Questa nuova economia digitale rappresenta certamente la controparte del prosumerismo on line, per due principali ragioni: prima di tutto perché i grandi imperi della rete (quali Google, Facebook, Apple, Amazon) utilizzano sistematicamente i dati forniti spontaneamente dai loro utenti, spesso appunto inconsapevoli, per promuovere iniziative commerciali personalizzate; in secondo luogo poiché le stesse aziende on line, si avvalgono spesso di banche dati (pubbliche e private) per attività di commercializzazione mirate. La progressiva consapevolezza delle potenzialità economiche, politiche, culturali e sociali sottese ai dati depositati nelle varie piattaforme ha permesso l’affermazione di un nuovo concetto di industria culturale legato ai media digitali, per cui dalla dimensione etica che ispira la creazione dei contenuti spontanei in Rete da parte degli utenti si passa 4 Tale progetto sulle competenze digitali è stato proposto da Certiport Inc., US private company (2003). 198 The best interest of the child all’economia capitalista di chi sfrutta tale potenziale per profitto. A questa prima riflessione va certamente aggiunto il rischio dell’appropriazione illecita di tali dati/metadati, che può contribuire a incrementare situazioni discriminatorie contro minoranze etniche o comunque xenofobe, nonché fornire opportunità di aggressione ed emarginazione di gruppi già svantaggiati (D. Lupton, 2018). Non si tratta, dunque, solo di una questione puramente economica ma anche sociale e culturale, nella misura in cui l’organizzazione dei molteplici dati presenti e archiviati sul web può essere subordinata a qualche intento ideologico o politico, legato alla diffusione di una visione della realtà, con un forte rischio di manipolazione dell’informazione e di influenza comportamentale degli stessi utenti verso un orientamento sociale, politico ed economico. 3. Quello orientato al benessere del soggetto in qualità di fruitore di contenuti on line, dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. Con il concetto di benessere fisico si vuole intendere l’insieme di quelle patologie spesso conseguenti a un utilizzo eccessivo del device (ad es. mal di testa, fastidio agli occhi, problemi legati alla postura non corretta…). La questione del benessere fisico da sempre è stata oggetto di studio da parte delle associazioni pediatriche, spesso allarmate dalle alterazioni corporee e neuronali determinate dalla fruizione dei devices (in passato il focus di interesse era la TV, oggi sono gli smart mobile o i digital devices portatili e connessi alla Rete). Il benessere psicologico contrariamente si riferisce alle molteplici alterazioni psicocognitive ed emotive, nonché di socializzazione, che un soggetto può vivere nella relazione con i media, connesso a diversi fenomeni quali il cyberbullismo, la media addiction, revenge porn, deep web, on line hating, stalking, etc. Le dimensioni del cyberbullismo e della media addiction (internet addiction, social network addiction, gaming addiction, cybersex addiction, information overload…) negli ultimi anni sono state al centro di diverse indagini di carattere sia nazionale e internazionale nella prospettiva sociologica come quella psicologica (per citarne solo alcune ricordiamo Eu Kids on line, Global kids on line, il telefono azzurro, Generazioni connesse di Save the Children, nonché Technology Addiction. Nuove forme di dipendenza digitale, socializzazione e reti sociali (2017-2019) e Cyberbullismo e media education nel Lazio (2018) svolte direttamente dai ricercatori del Dipartimento di Comunicazione e ricerca Sociale della Sapienza di Roma). Questo aspetto della consapevolezza è La questione della consapevolezza digitale nei minori 199 più direttamente riconoscibile quale fenomeno connesso alla questione giovanile, nella misura in cui i media, diventando agenti di socializzazione bottom up ad opera dei più giovani, riflettono quelle condizioni di fragilità e incertezza psicosociale ed emotiva, nonché condizioni e relazioni sociali, già presenti nel tessuto sociale off line degli individui, e spesso amplificate ed esasperate nella Rete, a causa delle caratteristiche implicite del device (M. Lancini, 2019). Il benessere sociale, infine, può essere letto secondo una duplice veste: a) come una più attiva partecipazione socio democratica ed etica degli individui, la cui condivisione on line, tuttavia, è monetarizzata dalle industrie del mondo virtuale; b) il costante orientamento spaziale attraverso il continuo aggiornamento dei dati on line e la geolocalizzazione, che consentono sicuramente il miglioramento del benessere soggettivo e il senso di orientamento spaziale, seppur con il rischio della continua sorveglianza digitale. Proprio la sorveglianza digitale rappresenta un ulteriore macrotema legato alla consapevolezza digitale da esplorare; secondo Debora Lupton (2018) essa può essere intesa non solo come fattore di rischio, bensì come servizio a supporto del benessere sociale almeno secondo tre particolari accezioni: a) la sicurezza, ovvero maggior controllo dell’illecito, inteso come capacità di individuare e monitorare possibili situazioni illegali, o potenzialmente pericolose, garantendo al cittadino maggiore sicurezza socioculturale. b) La trasparenza attraverso il costante controllo dell’operato delle autorità pubbliche da parte del cittadino (subveglianza). c) La partecipazione democratica (o sorveglianza sinoptica) per cui gli stessi cittadini hanno l’opportunità di denunciare dal basso eventuali illeciti grazie agli strumenti digitali. Questa forma di benessere, tuttavia, sembra ancora poco esplorata soprattutto dal punto di vista della ricerca scientifica, nonostante la sua recente rilevanza sociale. d) Quello connesso all’impatto delle tecnologie nell’ambiente sociale, ovvero la consapevolezza degli effetti ambientali legati ad esempio al non corretto smaltimento dei devices tecnologici, all’inquinamento prodotto dalle onde radioattive della Rete, nonché alle questioni dello sfruttamento della manodopera nelle industrie di produzione degli hardware e lo sfruttamento intellettuale dei prodotti culturali condivisi e depositati sul web. 200 The best interest of the child 4. Alcune evidenze empiriche sul tema della consapevolezza Svolgendo una prima ricognizione sulle indagini di ricerca sociologiche, soprattutto di carattere nazionale, focalizzate sul tema delle competenze, con particolare riferimento alla consapevolezza digitale, secondo la complessa accezione fornita dal framework europeo del DIGCOMP 2.0, i risultati ottenuti sono poco incoraggianti. Allo stato attuale sembrano mancare indagini focalizzate direttamente su questo aspetto della competenza digitale e la maggior parte delle informazioni pervenute è spesso frutto di interpretazioni indirette da parte di ricercatori, o studiosi, a partire da dati di ricerca sulla fruizione mediale dei cittadini o sugli effetti nocivi dei media (ad esempio le ricerche sul cyberbullismo o sulla media addiction). A riguardo, alcune domande di ricerca potrebbero essere le seguenti: quale è esattamente il grado di consapevolezza digitale diffuso sul territorio nazionale del cittadino digitale, secondo l’accezione descritta nel precedente paragrafo, con particolare riferimento ai giovani? Come valutare il tipo e, soprattutto, il livello di consapevolezza attraverso il comportamento fruitivo? Infine se volessimo estendere la riflessione oltre l’ambito puramente sociologico e ampliarlo a quello psicopedagogico, chiamando in causa il riferimento alla digital literacy e alla digital education, quando dovrebbe iniziare a maturare la riflessione sulla consapevolezza digitale nel minore all’interno di un percorso di socializzazione formale, tenendo conto dell’evoluzione del processo di apprendimento in età evolutiva? A partire dal 2016, l’Osservatorio Mediamonitor Minori della Sapienza di Roma ha avviato una riflessione sulle competenze digitali dei minori partendo dagli interrogativi precedentemente introdotti. Nello specifico è stata condotta un’indagine empirica, dal titolo “Digital Capabilities e capitale sociale” (2016-2018), su un campione di circa 1200 preadolescenti del comune di Roma con l’obiettivo di comprendere fino a che punto l’esperienza diretta e informale con i devices consentisse nei bambini lo sviluppo spontaneo di competenze digitali attraverso il semplice utilizzo mediale nel tempo libero e, soprattutto, quanto la mediazione delle relazioni intrafamiliari e degli approcci educativi adottati, all’interno di una cornice socioculturale familiare, potesse influenzare lo sviluppo delle competenze anche in termini di livello di radicamento nelle abitudini comportamentali dei giovani. La ricerca ha certamente rappresentato una prima indagine esplorativa che, senza alcuna pretesa La questione della consapevolezza digitale nei minori 201 di esaustività e rappresentatività della popolazione dei preadolescenti italiani, ha voluto comunque iniziare a tracciare un percorso, anche di carattere metodologico, per indagare in modo più sistematico e scientifico la complessa questione delle competenze digitali dei giovani (I. Cortoni – V. Lo Presti, 2018). Così, attraverso un questionario semistrutturato, sono stati posti diversi quesiti relativi ai comportamenti dei soggetti rispetto alle cinque dimensioni della competenza del DIGCOMP 2.0 (analisi critica, produzione creativa, problem solving, sicurezza digitale e comunicazione e collaborazione), oltre alla considerazione della dimensione dell’accesso. Nel caso specifico della consapevolezza digitale, è stata indagata la capacità dell’utente di gestire azioni on line e comportamenti sul web subordinando le potenzialità dei servizi della rete agli obiettivi personali. Fra i diversi risultati emersi nella ricerca, è stato interessante notare come gli unici profili emergenti, quali fattori caratterizzanti i preadolescenti intervistati in termini di competenze digitali, fossero focalizzati prevalentemente sull’accesso mediale (35%) e sull’analisi critica di natura estetica (65 %), ovvero focalizzata soprattutto sull’analisi tacita delle interfacce mediali (dal punto di vista del linguaggio). Dalla ricerca, dunque, non è emersa alcuna indicazione sul tipo e sul grado di diffusione spontanea della consapevolezza digitale nei preadolescenti, come se questa non potesse in alcun modo maturare nel minore senza una adeguata forma di mediazione culturale (soprattutto scolastica e familiare). In altri termini, se è vero che i media contribuiscono alla diffusione di una socializzazione immediata fra i giovani (M. Morcellini, 1997), riducendo la mediazione culturale delle tradizionali agenzie di socializzazione, è pur vero che nel caso dei media digitali, l’esperienza diretta con le tecnologie si focalizza soprattutto per lo sviluppo di alcune conoscenze tacite mediali, spesso legate al linguaggio e ai devices; rimangono invece fuori dal background conoscitivo delle nuove generazioni le conoscenze comunicative, di natura più complessa, che chiamano in causa nozioni legate ai sistemi dell’industria culturale, ai meccanismi di produzione ideologica e consumo dei testi mediali da parte delle audiences, nonché conoscenze specifiche legate ai messaggi mediali, dal punto di vista sia sintattico che semantico. Analogo discorso può essere fatto per la competenza critica. La conoscenza dei linguaggi mediali e dei devices abilita i soggetti ad analizzare i testi mediali ma solo dal punto di vista del linguaggio, trascurando altre dimensioni dell’analisi critica, altrettanto interessanti, quali ad esempio 202 The best interest of the child quella ideologica dell’autore del testo, quella del contesto iscritto nel testo e del contesto comunicativo entro cui è proiettato il testo mediale analizzato, per non dimenticare l’analisi del contenuto veicolato nelle sue diverse letture (denotativa e connotativa). Gli altri tipi di competenza digitale trasversale sembrano assenti nella generazione dei preadolescenti intervistati, tra cui quella della consapevolezza digitale. Con tali affermazioni non si intende avvalorare l’ipotesi per cui i giovani, e nel caso specifico della ricerca i preadolescenti, debbano possedere necessariamente tutte le conoscenze legate all’accesso mediale fra i 12 e i 14 anni. In tal senso, diventa interessante e necessario riflettere su quando e come consentire un’alfabetizzazione digitale sulla consapevolezza mediale e altre competenze in coerenza con lo sviluppo psicocognitivo del bambino e attraverso la mediazione delle agenzie di socializzazione, quali la scuola. In altri termini, questo tema apre la strada a riflessioni di carattere interdisciplinare sulla progettazione e la strutturazione del curriculum di digital literacy durante l’età della socializzazione. Infatti, seppur la consapevolezza digitale non sia spontaneamente diffusa fra i preadolescenti, non è detto che non possa essere insegnata e condivisa formalmente con gli stessi all’interno di un percorso di educazione civica alla cittadinanza nell’era digitale in classe. 5. Verso la digital literacy. Note conclusive La consapevolezza, come competenza trasversale, non si sviluppa spontaneamente e automaticamente nell’individuo con l’aumentare dell’età attraverso la semplice esperienza diretta con il mondo circostante, essa necessita di stimolazioni culturali e sociali esterne, di dinamiche relazionali e trasmissive di natura culturale e sociale in grado di stimolare le capabilities interne di ciascun soggetto (M. Nussbaum, 2001) e trasformarle in comportamenti situati consapevoli (capabilities combinate), utilizzando le risorse di base (capabilities fondamentali) sui media e sulla comunicazione. In tal senso, la funzione del capitale sociale, con particolare riferimento a quello familiare e scolastico, diventa discriminante per lo sviluppo della consapevolezza digitale. Dal punto di vista normativo, scientifico e di dibattito pubblico, non solo di carattere nazionale, è ormai diffusa la convinzione che l’investimento sulla digital literacy in termini di implementazione di competenze digitali, soprattutto rispetto agli aspetti trasversali, rappresenti La questione della consapevolezza digitale nei minori 203 la strada più adeguata da intraprendere per sviluppare autonomia e responsabilità nei comportamenti digitali e sociali, che si avvalgono della mediazione delle tecnologie, e nell’analisi critica dei testi mediali. Il bambino può essere tutelato, nonostante la diversità dei processi di socializzazione che vive, se è adeguatamente informato e formato in modo progressivo a gestire i sistemi comunicativi quotidianamente. Tale formazione può essere svolta in modo formale all’interno delle istituzioni come la scuola, in modo informale attraverso il coinvolgimento dei sistemi mediali o altri enti territoriali, in modo costante, ripetitivo, innovativo, tenendo conto soprattutto dei rapidi cambiamenti che accompagnano la rivoluzione digitale. Non si tratta solo di un adeguamento normativo, politico e educativo, il cambiamento culturale nella scuola Italiana che preveda l’inclusione della digital literacy fra i sui obiettivi e la digital education fra i metodi didattici per una educazione progressiva e continua verso la cittadinanza digitale fin dai primi anni di scuola primaria, introduce una complessa e delicata questione sulle strategie di integrazione dei media digitali e delle pratiche relazionali e didattiche connesse alle abitudini quotidiane della maggior parte degli insegnanti. Al di là della dotazione infrastrutturale e tecnologica delle classi e della formazione di base dei docenti, che rappresentano il passaggio preliminare per lavorare a scuola e per cui il governo Italiano negli ultimi anni ha attivato investimenti economici importanti per abilitare gli istituti scolastici al digitale, il grosso lavoro da compiere è sulla pratica quotidiana degli stessi insegnanti tutti i giorni, nell’integrazione dei metodi di insegnamento, nella sperimentazione di percorsi di apprendimento differenti e adeguati alla diversità delle classi. Sembrerebbe proiettarsi un cambiamento di formae mentis dell’insegnante che naturalmente non può avvenire in modo repentino in tempi brevi, questo richiede pratica, sperimentazione e si deve avvalere della collaborazione di più attori: i colleghi ma anche e soprattutto gli stessi studenti per quanto concerne la loro propensione all’uso spontaneo della tecnologia. Alla scuola viene chiesto di assumersi il peso di una nuova responsabilità: quella di accompagnare i giovani alla scoperta e all’utilizzo consapevole delle tecnologie per favorire il passaggio dalla semplice conoscenza delle procedure di funzionamento tecnologico a un utilizzo più autonomo, responsabile, maturo e consapevole dei media (M. Lancini, 2019). Una prevenzione efficacie all’uso dei media può avvalersi dunque di alcune raccomandazioni socioculturali e educative: 204 The best interest of the child 1. Accompagnare il giovane e mediare culturalmente le esperienze vissute con i media, ascoltando le motivazioni alla base delle azioni, il carico emotivo celato dietro i comportamenti e lavorando sulle relazioni interpersonali e sulla comunicazione e condivisione delle esperienze; 2. Valorizzare il gruppo dei pari, come ad esempio il gruppo classe, quale soggetto collettivo in grado di incidere positivamente sui pensieri, i giudizi, gli affetti etc. dei ragazzi e, quindi, capace di orientare comportamenti o atteggiamenti in caso di potenziali pericoli con il digitale. 3. Lavorare a scuola sul pensiero critico, sulla condivisione e l’autoriflessione delle esperienze generazionali in Rete, sulle rappresentazioni mediali e sulla relazione personale dei ragazzi con i mezzi di comunicazione. 4. Guidare il ragazzo nel comprendere comportamenti e vissuti tipici del ciclo di vita che stanno vivendo. La sfida contemporanea in termini di tutela del minore nella prospettiva educativa si gioca sulla diffusione di una cultura comunicativa negli adulti, come nei giovani, caratterizzata da meno controllo e più condivisione e curiosità, in cui l’attività di prevenzione sia giocata sulle tre A di Tisseron (2013): autocontrollo, accompagnamento e alternanza. Bibliografia Aroldi P. (cur.), Il gioco delle regole. TV e tutela dei minori in sei paesi europei, Milano, 2003 Balzagette C. - Bevort E. - Savino J., New Directions. Media Education world wide, UNESCO, Paris, 1992 Bentivegna S., Le nuove forme di esclusione nella società dell’informazione, BariRoma, 2009 Buckingham D., Media Education. Alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea, Trento, 2006 Buckingham D., Media education. Literacy, learning and contemporary culture, London, 2003 Calvani A. - Fini A. - Ranieri M., La competenza digitale nella scuola, Trento, 2010 Celot P. - Perez Tornero J.M., Media Literacy in Europe. Leggere, scrivere, e partecipare nell’era mediatica, Roma, 2008 Commissione europea, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, Strasburgo, 2012 La questione della consapevolezza digitale nei minori 205 Cortoni I., Save the media. L’informazione sui minori come luogo comune, Milano, 2011 Cortoni I. - Lo Presti V., “Digital capabilities”, in S. Kotilainen - R. Kupiainen, Reflections on Media Education futures, Nordicom, Goteborg, 2015 Cortoni I., Lo Presti V., Digital literacy e capitale sociale. Una metodologia specifica per la valutazione delle competenze, Milano, 2018 Felini D. - Ceretti F. - Giannatelli R. (cur.), Primi passi nella media education, Trento, 2006 Gilster P., Digital Literacy, New York, p. 1007 Jenkins H., Convergence culture, New York, 2006 Gui M., Le competenze digitali. Le complesse capacità d’uso dei nuovi media e le disparità nel loro possesso, Napoli, 2009 Lancini M. (cur.), Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa, Milano, 2019 Lupton D., Digital Sociology, Routledge, 2015 (trad. it., Sociologia Digitale, edizione italiana. M. Santoro - F. Timeto, (cur.), Milano-Torino, 2018) Morcellini M., Passaggio al futuro, Milano, 1997 Morcellini M. - Cortoni I., Provaci ancora Scuola. Idee e proposte contro la svalutazione della scuola nel Tecnoevo, Trento, 2007 Nussbaum M., Women and Human Development: The Capabilities Approach, Cambridge, 2000 Tisseron, S., Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali, Brescia, 2013 Unesco, ICT competency standards for teachers. Competency Standards Modules, UK, 2008 Van Dijk J., The network Society. An Introduction to the social aspects of New Media, London, 1999 (trad. it, Sociologia dei nuovo media, Bologna, 2002) Responsabilità genitoriale e controllo Facebook Alessandra Gatto Sommario :1. Introduzione. – 1.1 I rischi connessi all’uso della rete telematica. – 2. Nascita e sviluppo del “Fenomeno Facebook”. – 3. Il caso affrontato dal Tribunale di Teramo. – 4. Responsabilità civile dei genitori per il danno cagionato dai figli minori attraverso Facebook. –5. Uso anomalo della rete telematica e apertura di un procedimento de potestate. – 6. Twenge e la iGeneretion. 1. Introduzione Gli sviluppi tecnologici hanno da un lato contribuito, senza dubbio, al progresso sociale e scientifico, e dall’altro posto nuove problematiche connesse ai pericoli scaturenti dall’uso delle stesse. Deve anzitutto sottolinearsi come l’uso di Internet e dei social networks consentano l’esercizio di un diritto di libertà, ossia del diritto di ricevere e comunicare informazioni e idee. Il diritto all’informazione e alla comunicazione, riconducibile alla libertà di espressione ai sensi del primo comma dell’art. 10 della Convenzione di Roma del 1950, costituisce un interesse fondamentale della persona umana. La norma in discorso, infatti, al primo comma riconosce a ciascun individuo il diritto alla libertà d’espressione, che comprende la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle Autorità Pubbliche e senza limiti di frontiera. Inoltre, viene riconosciuto agli Stati il potere discrezionale di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. La libertà di espressione, al livello sovranazionale, è altresì tutelata dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre del 2000. 208 The best interest of the child Nella Costituzione la libertà di comunicazione trova poi garanzia e riconoscimento nell’art. 21 che sancisce il diritto di ogni persona di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione; il diritto all’informazione, se pur non espressamente menzionato nella Carta costituzionale, viene ricondotto alla norma sopra citata. Della libertà di informazione e di comunicazione sono sicuramente titolari i minori i quali, raggiunto un adeguato sviluppo psicofisico, spesso si servono dei mezzi di comunicazione telematica per acquisire notizie e per esprimere i propri pensieri e le proprie opinioni. Trattandosi di mezzi di comunicazione il cui utilizzo può, in determinati casi, portare a conseguenze pregiudizievoli per i terzi e per gli stessi minori, si pone la necessità di una adeguata educazione di questi ultimi alla rete telematica. L’educazione si pone in funzione strumentale alla tutela dei minori al fine di prevenire che questi ultimi siano vittime dell’abuso di internet da parte di terzi. L’educazione deve essere altresì finalizzata a evitare che i minori cagionino danni a terzi mediante gli strumenti telematici. I minori sono infatti soggetti deboli e, in quanto tali, necessitano di apposita tutela, non avendo ancora raggiunto un’adeguata maturità ed essendo ancora in corso il processo relativo alla loro formazione. Inoltre l’art. 17 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo attribuisce agli Stati parti il dovere di riconoscere l’importanza della funzione esercitata dai mass-media, in quanto mezzi idonei a garantire una sana crescita e una corretta formazione del minore stesso. Ai fini dell’adempimento del suddetto dovere gli Stati sono tenuti a vigilare affinché il minore possa accedere a informazioni e materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, nonché la sua salute psicofisica. 1.1. I rischi connessi all’uso della rete telematica I pericoli ai quali il minore è esposto nell’uso della rete telematica rendono necessaria una tutela dello stesso, indipendentemente dalle competenze digitali maturate. Con riferimento ai rischi, per i minori, derivanti dall’uso dei social networks è bene distinguere il content risk, contact risk e conduct risk. Responsabilità genitoriale e controllo Facebook 209 Con riferimento al content risk (rischio di contenuto) l’attenzione viene concentrata sulla generale esposizione del minore ai possibili contenuti lesivi della rete telematica. Il contact risk (rischio da contatto) vede la partecipazione del minore a seguito dell’iniziativa dell’adulto: tale partecipazione non è sempre volontaria. Il conduct risk (condurre al rischio) ha ad oggetto invece i possibili pregiudizi connessi all’uso di Internet da parte del minore in un contesto relazionale con i propri pari. Più specificamente è proprio nell’ambito del conduct risk che si pone la problematica relativa ai danni cagionati dal minore attraverso l’uso di internet. Al conduct risk sono quindi riconducibili le conseguenze negative di un uso distorto da parte del minore dei social networks, tra cui Facebook: in questi casi il minore può ben essere sia protagonista che vittima dell’illecito. È bene porre in evidenza il possibile inadempimento dei doveri genitoriali nel caso di danno cagionato dal minore attraverso l’uso di Facebook, con conseguente responsabilità civile dei genitori derivante, in particolare, dall’inadempimento dell’obbligo di educazione e di vigilanza, di cui i genitori sono titolari nei confronti del minore ai sensi dell’art. 315 bis c.c. 2. Nascita e sviluppo del “Fenomeno Facebook” Occorre preliminarmente rilevare che l’accesso a Facebook – social network fondato nel 2004 da uno studente dell’Università di Harvard, Marc Zuckerberg – è consentito gratuitamente a chiunque dichiari di aver compiuto i tredici anni di età. Nonostante lo scopo iniziale di siffatta iniziativa fosse il mantenimento dei contatti tra studenti di università e di scuole superiori di tutto il mondo, in pochi anni Facebook ha in realtà assunto i connotati di una vera e propria rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti. Questi ultimi vi partecipano attraverso la creazione di “profili” contenenti dati anagrafici, fotografie, liste di interessi personali e lo scambio di messaggi (privati o pubblici), con la possibilità altresì di aderire gruppi virtuali o di c.d. “amici”. Facebook consente agli utenti di ricevere e inviare messaggi, di scrivere sulla bacheca di altri utenti e di impostare l’accesso ai vari contenuti 210 The best interest of the child del proprio profilo attraverso una serie di “livelli”, con la possibilità di limitare la visualizzazione dei propri dati. Agli utenti di Facebook è peraltro nota l’eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso. I gestori del sito, proprietari della piattaforma sulla quale si innestano i contenuti dei singoli utenti, avvertono, all’atto dell’iscrizione a Facebook, che ogni responsabilità civile e/o penale connessi agli stessi contenuti si potrà fare risalire unicamente a chi li abbia digitati. Pertanto risulta evidente che tutti coloro i quali decidano di diventare utenti di Facebook dovrebbero essere ben consci non solo delle grandi potenzialità relazionali offerte dal sito, ma anche dei possibili rischi e pericoli derivanti dall’utilizzazione dello stesso. 3. Il caso affrontato dal Tribunale di Teramo Una importante pronuncia giurisprudenziale relativa alla responsabilità civile dei genitori per l’illecito commesso dai figli minori attraverso l’uso dei social networks è quella del Tribunale di Teramo (cfr. Trib. Teramo, 16 gennaio 2012). Nel caso deciso dal Tribunale, un minore aveva costituito su Facebook un gruppo virtuale il cui titolo già evocava un chiaro disprezzo nei confronti di un’altra minore. Nella descrizione di tale gruppo emergeva infatti un forte spregio verso la vittima, espresso attraverso terminologia volgare e offensiva. Nel gruppo venivano altresì pubblicate frasi ingiuriose, di uguale tenore, da parte dello stesso minore e di altri minori appartenenti al medesimo gruppo. Il Tribunale di Teramo in particolare ha ritenuto condivisibile la preoccupazione della minore istante e dei suoi genitori, per la diffusione effettiva e potenziale che quelle offese poste in essere dall’altro coetaneo della ragazza, dirette nei confronti della minore stessa, avevano avuto e potevano ancora avere, stante la loro pubblicazione su quel sito web. È stato altresì osservato che qualora siffatta “rissa verbale” tra minori si fosse consumata in un qualsiasi luogo aperto al pubblico, probabilmente quell’episodio sgradevole si sarebbe potuto risolvere con un richiamo o al massimo con qualche richiesta di chiarimento rivolta ai genitori dei minori che avevano pronunciato quelle frasi. Tuttavia, Responsabilità genitoriale e controllo Facebook 211 essendosi verificato in quella che può essere definita una “piazza virtuale” che non conosce, come precedentemente osservato, limiti alla potenziale diffusione ed esondazione delle offese ivi pubblicate, si comprende la rilevanza dei possibili risvolti pregiudizievoli per la vittima. 4. Responsabilità civile dei genitori per il danno cagionato dai figli minori attraverso Facebook È bene osservare che genitori dei minori, capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all’art. 2048 c.c. sono tenuti a dimostrare di aver adempiuto al dovere educativo di cui all’art. 315 bis c.c. e di aver controllato che i figli abbiano assimilato l’educazione loro impartita. I doveri educativi hanno a oggetto non solo l’indicazione delle regole, delle conoscenze e dei moduli di comportamento ma anche la messa a disposizione, nei confronti della prole, di strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità. Inoltre, l’avvicinarsi per il minore del raggiungimento della maggiore età non comporta il venir meno della responsabilità genitoriale. Si possono, infatti, verificare casi in cui il minore pur essendo prossimo alla maggiore età presenti una personalità fragile e non abbia ancora sviluppato un’attitudine a frenare i propri istinti. Anche in questo caso è onere dei genitori provare di non aver potuto impedire il fatto mediante la dimostrazione di aver impartito una educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari e di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età. I principi giurisprudenziali dettati nella materia di riferimento devono rapportarsi con l’assoluta peculiarità dello strumento utilizzato per la diffusione delle frasi ingiuriose: ai fini della prova liberatoria di cui all’art. 2048 c.c. i genitori sono tenuti a dimostrare di avere impartito al loro figlio minore un’educazione consona alle proprie condizioni socio-economiche e di aver adempiuto a quell’attività di verifica e controllo sulla effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore (c.d. controllo a posteriori). L’attività menzionata da parte dei genitori, nel caso affrontato dal Tribunale di Teramo, è stata ritenuta non adempiuta, stante la presenza e la reiterazione del comportamento ingiurioso e diffamatorio, consumatosi sul web da parte del figlio. 212 The best interest of the child Deve essere poi posta in luce l’importanza del dovere di vigilanza dei genitori che è, inoltre, strettamente connesso all’estrema pericolosità di quel sistema e di quella potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti. Il dovere di vigilanza dei genitori si sostanzia, secondo quanto affermato dal Tribunale di Teramo, in una limitazione sia quantitativa che qualitativa di quell’accesso, al fine di evitare che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in modo non adeguato da parte dei minori. Senza dubbio devono essere condivise le osservazioni della pronuncia menzionata in relazione agli obblighi genitoriali che si concretizzano, nel caso di specie, in una limitazione di accesso al web. Nel momento in cui i genitori, consapevoli delle potenzialità e dei rischi di internet, acconsentono a un accesso del proprio figlio minore alla rete, quella doverosa attività di verifica a posteriori dell’educazione del proprio figlio «non potrà non fare i conti con l’estrema pericolosità di quel navigare e della già evidenziata potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti e delle proprie idee ivi manifestate». 5. Uso anomalo della rete telematica e apertura di un procedimento de potestate Riguardo all’uso distorto della rete telematica e alla responsabilità genitoriale, un caso è stato affrontato dal Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta (cfr. Trib. min. Caltanissetta, 10 luglio 2018), in un procedimento di Volontaria Giurisdizione, aperto a fronte del ricorso del Pubblico Ministero Minorile, ai sensi dell’art. 333 e 336 c.c., stante la pericolosità della condotta posta in essere da una minore con specifico riferimento all’anomalo utilizzo dei mezzi di comunicazione telematica. Dal predetto ricorso emergeva che la minore, quattordicenne al momento del fatto, aveva inviato, attraverso il proprio telefono cellulare mediante l’utilizzo di WhatsApp – applicazione di messaggistica istantanea per dispositivi mobili multipiattaforma che, attraverso la connessione internet, consente lo scambio tra uno o più utenti di messaggi di testo e file multimediali – alcune immagini che la ritraevano nell’intimità, al proprio fidanzato che a sua volta le aveva trasmesse ad altre utenze telefoniche. La suddetta situazione aveva poi provocato alla minore uno stato di ansia e angoscia. Responsabilità genitoriale e controllo Facebook 213 Il Tribunale conferiva quindi incarico al Servizio Sociale per lo svolgimento di un’attività di monitoraggio e supporto della minore e al Consultorio Familiare al fine di verificare le capacità educative e di accudimento dei genitori. Sotto tale profilo è stato osservato che l’anomalo utilizzo da parte del minore dei mezzi offerti dalla moderna tecnologia tale da lederne la dignità cagionando un serio pericolo per il sano sviluppo psicofisico dello stesso, può essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori i quali sono tenuti non solo ad impartire ai propri figli minori un’educazione consona alle proprie condizioni socio-economiche, ma anche ad adempiere a quell’attività di verifica e controllo sulla effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore. 6. Twenge e la iGeneretion Dobbiamo senz’altro essere consapevoli che viviamo nell’era della c.d. iGeneration, come affermato da Jean Twenge nel volume “Iperconnessi. Perché i ragazzi di oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti”, pubblicato dalla Casa Editrice Giulio Einaudi nel 2018. Twenge pone in luce che i nati dal 1995 in poi sono cresciuti con il cellulare in mano: le otto tendenze principali che definiscono la iGeneration sono da individuare nella • immaturità, ovvero la tendenza a prolungare l’infanzia oltre le soglie dell’adolescenza; • iperconnesione, ossia la scelta del cellulare come passatempo egemone a discapito di altre attività; • incorporeità, da intendere quale declino delle interazioni sociali personali; • instabilità, quale forte aumento dei problemi di salute mentale; • isolamento • incertezza • indefinitezza, da individuare nei nuovi modi di intendere le relazioni sentimentali; • inclusività quale tendenza ad accettare le differenze. L’Autore pone in evidenza che dopo il boom degli smartphone, ciò che distingue gli iGeneration dalla fascia di età precedente è soprattutto il modo di trascorrere il proprio tempo. In particolare è stato osservato 214 The best interest of the child che gli adolescenti, quando comunicano di persona, senza strumenti elettronici, hanno abilità sociali migliori, ad esempio quella di interpretare le emozioni sui volti altrui. Appare quindi fondamentale trasmettere ai giovani, sin da piccoli, i valori della civile convivenza e ciò non vuol dire vietare loro di star al passo con i tempi, impedendogli l’utilizzo dei social network tra cui Facebook, ma educarli al rispetto di sé stessi e degli altri anche attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione telematica. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori Paola Marsocci Sommario: 1. Discorsi d’odio e minori. Una premessa. – 2. Hate speech, alla ricerca di una definizione giuridica univoca. – 3. La vita privata dei minori, hate speech e media on line. – 4. Il nesso tra hate speech e fake news. Cenni sul ruolo della professione giornalistica. 1. Discorsi d’odio e minori. Una premessa Al tema dell’hate speech occorre accostarsi con particolare cautela, sia per la difficoltà di trovare un’interpretazione univoca del fenomeno che favorisca un inquadramento giuridico certo e condiviso (come, del resto, già nel mondo off line), sia per la sua potenziale assimilazione ai reati di opinione. Cautela ancora più giustificata, se ci si propone di dettare i confini della nozione in riferimento ai minori. In questo breve contributo saranno proposti alcuni spunti di riflessione, a partire da queste domande: quale è la definizione giuridica di hate speech? In riferimento ai minori, quale è il nesso tra discorso d’odio, vita privata, identità personale e sicurezza? Esiste un nesso tra hate speech e fake news? A conclusione, qualche osservazione sulla possibile relazione tra cyberbullismo e hate speech, anche osservata sotto il profilo del potenziamento del ruolo di mediazione giornalistica. Innanzitutto, anche se in modo molto sintetico, va detto che nella prospettiva della scienza giuridica tutte le problematiche connesse al tema del discorso d’odio possono essere sollevate anche in rifermento ai minori. Stiamo infatti parlando dell’esercizio della libertà di espressione, che l’art. 21 della Costituzione italiana riconosce e garantisce a tutti, indipendentemente dall’età, e in ogni forma, che sia scritta, parlata o 216 The best interest of the child comunque utile ad esprimere la propria personalità (il nesso è con l’art. 2 Cost.). Tale libertà ha molteplici contenuti (informare, informarsi, essere informati1), può essere esercitata attraverso i diritti di cronaca, di critica e di satira; può essere fatta valere entro i corrispondenti limiti, esplicitati nella Carta (buon costume) o individuati dalla giurisprudenza e dal legislatore (dignità umana; onore, reputazione e immagine; riservatezza, segretezza); si avvale di strumenti idonei alla diffusione verso gli altri (destinatari non precisamente individuabili, come invece accade quando si esercita la libertà garantita dall’art. 15 Cost.). La Corte costituzionale ha da tempo ribadito “l’imperativo costituzionale che il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 sia qualificato e caratterizzato (…) dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori”2. Tuttavia, è almeno opportuno individuare e studiare le specificità che il fenomeno del discorso d’odio presenta quando ad essere coinvolti sono i non maggiorenni, distinzione – come è chiaro – squisitamente giuridica, frutto di una pur necessaria generalizzazione riguardo ad una “categoria” al suo interno molto differenziata. In gioco evidentemente ci sono la questione della responsabilità delle condotte e della presupposta consapevolezza, entro un quadro di riferimento normativo che progressivamente ha introdotto e potenziato, in generale, le garanzie nei confronti dei minori. A livello sovranazionale, ci si può riferire alla Convenzione ONU sui Diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia nel 1991, con cui si specifica che il minore ha diritto a misure speciali di protezione e di assistenza e che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società e, per altri versi, all’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (diventata giuridicamente vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, a dicembre 2009), con cui si garantisce ai minori sia il diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, sia il diritto di poter esprimere liberamente la propria opinione3. 1 La Corte costituzionale ha più volte ribadito che l’art. 21 colloca tale libertà tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità e determina la traduzione diretta e immediata in diritti soggettivi dell’individuo di carattere assoluto, cfr. sentt. n. 153 del 1987 e n. 112 del 1993. 2 Cfr. Corte cost., sent. n. 112 del 1993. 3 Su questo specifico aspetto, l’Unione Europea nella seconda metà degli anni ‘90 inizia a prendere posizione con una serie di attività di tipo consultivo e non vincolante, quali la Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 217 In Italia, la legislazione a favore delle persone di minore età ha comunque via via introdotto, non senza difficoltà e contraddizioni, trattamenti diversificati per fasce di età distinte, tenuto conto che molte disposizioni costituzionali, riferendosi alla «persona», sono applicabili all’adulto come al minore (esercizio dei diritti civili, dei diritti sociali e in parte anche di quelli politici4). In ambito penale, anche alcune condotte propriamente criminali possono ovviamente esser fatte valere; l’infraquattordicenne non è imputabile e, tra i 14 e i 18 anni di età, è riconosciuta l’imputabilità solo nei casi in cui sia provata la capacità di intendere e volere, mentre la capacità processuale è considerata piena al compimento del quattordicesimo anno. In ambito civile, esistono orientamenti ancor più diversificati, tant’è che al minore vengono, in alcuni casi, riconosciuti diritti e capacità autonome di decisione, in altri, invece, gli viene preclusa la capacità di agire, ovvero di compiere autonomamente atti giuridici. Tornando al tema specifico, pur sempre in via preliminare, è utile ricordare che la diffusione dell’odio e dei sentimenti contrari alla dignità umana è un fenomeno conosciuto e studiato che si ripresenta nel tempo ed è particolarmente temibile, proprio perché tutti i termini del ragionamento che riguarda le peculiari caratteristiche di mezzi di diffusione usati per tali discorsi valgono per gli adulti come per i minori5. Oggi al centro dell’attenzione c’è il web, come dimostrano (anche) i diversi provvedimenti che interessano appunto la tutela dei minori, varati nel corso della XVII legislatura in tema di libertà di espressione6. Tuttavia, nonostante tutto quello che sta accadendo dall’avvento della risoluzione del Consiglio sulle informazione di contenuto illegale e nocivo su Internet (G. U. n. C 70 del 06 marzo 1997), il Libro verde sulla protezione dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di Internet della Commissione (COM (96) 483), il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet (Decisione n. 276/1999, in G. U. n. L 033 del 06 febbraio 1999). 4 Un quadro generale, in M. Bellocci - P. Passaglia, La tutela dei «soggetti deboli» come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale, quaderno disponibile nella sezione studi e ricerche del sito della Corte costituzionale, https:// www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU%20191_Tutela_soggetti_ deboli.pdf 5 F. Abbondante, Il ruolo dei social network nella lotta all’hate speech: un’analisi comparata fra l’esperienza statunitense e quella europea, in G. Conti - M. Pietrangelo F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017. 6 Cfr., M. Monti, La XVII legislatura e la libertà di espressione: un bilancio fra luci e ombre, in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2018. 218 The best interest of the child Rete internet e poi dei social network, in particolare, sia commentato ancora oggi come inusitato, in realtà i fenomeni prodotti dal loro uso – e dunque anche gli istituti giuridici che ad essi si riconnettono – sono assolutamente noti e consueti; ad essere differenti sono invece gli effetti potenziati di quelle pratiche e di riflesso le responsabilità giuridiche7. Quando si dice che le tecnologie sono neutrali e che dunque occorre valutare in concreto l’uso che se ne fa, si esprime un’opinione a mio avviso contestabile o, quanto meno, occorre precisare che ciascuna di esse con le proprie caratteristiche peculiari diviene il luogo specifico in cui quelle condotte vengono seguite, condizionando ed essendo condizionate da quei parametri strutturali8. L’istigazione on line all’odio è una forma di abuso dei diritti umani che ha conseguenze molto gravi, perché automaticamente e “facilmente” amplificabili, nello spazio e nel tempo, dalla tecnologia digitale. Inoltre, il tema può essere osservato da due prospettive: quella di chi agisce (allo scopo di analizzare le forme specifiche che assume il fenomeno quando a praticarlo sono minori) e quella di chi subisce (allo scopo di proporre le misure di contrasto e i rimedi che gli stessi minori possono sperimentare, dopo aver conosciuto e compreso il fenomeno). 2. Hate speech, alla ricerca di una definizione giuridica univoca In riferimento all’ordinamento giuridico internazionale, a quello dell’Unione europea e a quello di numerosi Stati, il concetto di hate speech trova riscontro in specifici riferimenti normativi9; tuttavia, ad oggi, è ancora problematico individuare una precisa ed univoca definizione 7 P. Marsocci, Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, n. 2/2011. 8 Condivisibilmente, osserva S. Quintarelli, Content moderation: i rimedi tecnici, in G. Pitruzzella - O. Pollicino - S. Quintarelli, Parole e potere. Libertà d’espressione, hate speech e fake news, Milano, 2017, p. 130, “Parlare di neutralità del motore di ricerca è un ossimoro”. 9 Nel diritto internazionale, cfr. l’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite, Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottata nel 1966 (in vigore dal 1976); l’articolo 4 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965; gli articoli 10 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950. Un altro importante strumento di diritto internazionale elaborato dal Consiglio d’Europa è la Convenzione sulla criminalità informatica (nota come Convenzione di Budapest, 2001), unico strumento internazionale giuridicamente vincolante in questo campo. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 219 giuridica di hate speech, specialmente perché tali forme di espressione sono spesso annoverate accanto ad altri comportamenti illeciti. In generale, si può dire che si tratta della diffusione di opinioni che possono costituire un incitamento, motivato da pregiudizio, alla violenza ovvero a crimini generati dall’odio, in contrasto con il rispetto della dignità umana e della solidarietà (principi costituzionali fondamentali, in Italia). In base alle ricerche anche statistiche, il pregiudizio si nutre di spinte ricorrenti – in Italia come all’estero – fondate su: appartenenza etnica che genera razzismo e xenofobia, differenze religiose, sessuali e di appartenenza di genere, discriminazioni nei confronti delle persone disabili. La definizione (compiutamente, una delle prime) del discorso di incitamento all’odio proposta dal Consiglio d’Europa nel 1997 si riferisce a “tutte le forme di espressione”, non solo discorsi, ma anche immagini o video diffusi off e on line ed è comprensiva “di tutte le forme di espressione miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa sotto forma di nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti e delle persone di origine immigrata”10. La Decisione quadro dell’Unione europea sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (2008/913/GAI) del 28 novembre 2008 aveva poi qualificato come reato: “l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica”. Una definizione più recente si trova nella Raccomandazione di politica generale n. 15 della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI) del 21 marzo 2016: il discorso d’odio viene definito come: “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, 10 Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, n. 20 del 30 ottobre 1997. 220 The best interest of the child l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”11. In Italia, il complesso di norme di maggiore organicità in materia di discriminazione razziale è costituito dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966 in cui l’articolo 3 punisce con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Con il decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (cd. legge Mancino): l’art. 2 punisce con la reclusione fino a tre anni (oltre che con una multa) chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la stessa norma punisce come contravvenzione (arresto da tre mesi ad un anno) l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con gli stessi emblemi o simboli. Il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero: l’articolo 43 definisce puntualmente la condotta discriminatoria per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, individuando cinque categorie di comportamenti perseguibili, mentre l’articolo 11 Su questa base, presso la Camera dei Deputati è stata istituita una Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (intitolata a Jo Cox) del 2017; nel testo della Relazione finale (disponibile in https://www.camera.it/application/xmanager/ projects/leg17/attachments/shadow_primapagina/file_pdfs/000/007/099/Jo_Cox_Piramide_ odio.pdf) si legge che “Il discorso d’odio deve essere tenuto distinto dai crimini d’odio, che sono definiti dall’OSCE come fatti penalmente rilevanti motivati da pregiudizi e intolleranza. È evidente che quando il discorso d’odio è perseguibile penalmente esso rientra tra i crimini d’odio. In ogni caso esiste un nesso tra i due fenomeni, così come tra discorso d’odio e discriminazione. Infatti, da una parte, il discorso d’odio è una forma estrema di intolleranza che se non contrastata può contribuire a creare un ambiente favorevole al verificarsi di crimini d’odio; dall’altra, esso segnala, il più delle volte, il radicamento di vere e proprie forme di discriminazione nei confronti dei soggetti colpiti. Per questo ragionare sui discorsi d’odio porterà inevitabilmente a interrogarsi sia sull’interpretazione e la dimensione del diritto di libertà di espressione, sia sulla declinazione del principio di uguaglianza”. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 221 44 introduce l’azione civile contro le discriminazioni, mentre i decreti legislativi 31 luglio 2005, n. 177 (testo unico della radiotelevisione), e 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo) che vietano le trasmissioni che contengano incitamenti all’odio comunque motivato o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, nonché le trasmissioni pubblicitarie e le televendite che comportino discriminazioni di razza, sesso o nazionalità. Da ultimo va citato il decreto legislativo 1° marzo 2018 n. 21, che ha introdotto gli artt. 604 bis e 604 ter c.p. L’art. 604 bis punisce qualsiasi condotta di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, nonché l’istigazione a commettere (o la diretta commissione di) atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Si sancisce inoltre il divieto di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale. L’art. 604 ter prevede una circostanza aggravante generica, applicabile a tutti i reati commessi con le finalità di discriminazione etnica, razziale e religiosa indicate, ovvero per agevolare le associazioni destinate al medesimo scopo. L’art. 604 ter prevede una circostanza aggravante generica, applicabile a tutti i reati commessi con le finalità di discriminazione etnica, razziale e religiosa indicate, ovvero per agevolare le associazioni destinate al medesimo scopo. Tale aggravante trova attuazione quando il reato base non sia punibile con l’ergastolo. Nonostante il complesso di norme esistente, restano di difficile soluzione i problemi che ne rendono complessa l’applicazione. Da un lato è impegnativo per gli operatori del diritto riconoscere i pregiudizi (bias cognitivi) che sono alla base del discorso d’odio, dall’altro sempre più spesso questa azione viene contrastata dall’invocazione alla libertà di espressione costituzionalmente tutelata. 222 The best interest of the child Se però, molto più frequentemente si attacca una persona per uno dei motivi appena elencati (perché appunto la si identifica come espressione di una “categoria specifica” e, a motivo di ciò, del tutto ingiustificatamente la si pregiudica o danneggia), chiunque altro e per qualsiasi altro motivo può essere vittima di espressioni di odio. Tuttavia, se esageratamente generalizzata, tale definizione non aiuta a delimitare con certezza le tutele che l’ordinamento giuridico è chiamato a predisporre, così come dove essere chiaro che ci si riferisce a “discorsi” (nella accezione ampia sopra ricordata) e non genericamente a “pratiche”, ossia azioni violente o aggressive, che casomai devono ritenersi conseguenza proprio della diffusione di parole, immagini, video ecc. Si pensi ad esempio al caso più estremo, quello dei discorsi incitanti all’odio legato all’espansione dei fenomeni eversivi: ad essere punita è la condotta comunicativa, rivolta peraltro non solo a soggetti individuati, ma a una collettività astratta e distinta dagli individui che la compongono. Infine, resta assolutamente necessario che l’hate speech sia inquadrato giuridicamente nell’ambito dei limiti costituzionalmente ammissibili alla libertà di manifestazione del pensiero, giustificati in questo particolare caso, dall’onore e dalla reputazione degli individui, nel rispetto ed in attuazione del principio di dignità della persona e, appunto, del libero sviluppo psichico e morale dei minori. 3. La vita privata dei minori, hate speech e media on line Come accennato in premessa, le tecnologie digitali – risultando mezzi (purtroppo) assolutamente adeguati a questi scopi – comportano, nel bene e nel male, estrema rapidità di diffusione, vastità e indistinzione di persone raggiunte o raggiungibili dal messaggio, possibile moltiplicazione incontrollata (viralità), possibile anonimizzazione. Queste caratteristiche vanno valutate con estrema attenzione ai minori, perché ciò che si fa e si dice nella “pubblicità” del cyberspazio ha un enorme impatto sulla loro vita privata. In questo senso si sono espresse anche la Corte europea dei diritti dell’uomo12 con la propria giurisprudenza e il Comitato dei Ministri 12 La Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 ha stabilito che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza” (articolo 8). La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 223 del Consiglio d’Europa. Quest’ultimo in particolare, a fronte dell’entità del problema, ha realizzato, nell’ambito del proprio Piano d’azione sulla lotta contro l’estremismo violento e la radicalizzazione che conduce al terrorismo, una campagna giovanile di sensibilizzazione contro l’istigazione all’odio on line, “Movimento contro il discorso dell’odio (No Hate Speech Movement)”, condotta nel periodo 2012-201713. L’Italia, condividendo le finalità del Consiglio d’Europa, aveva costituito nel 2013, presso il Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Tavolo Tecnico di coordinamento delle iniziative tese alla sensibilizzazione dei giovani in materia di lotta all’odio, all’intolleranza e alla violenza on line e ha realizzato una campagna nazionale con lo scopo di coinvolgere i giovani su questa tematica. Anche l’Autorità garante per le comunicazioni si è occupata molto del tema; nel Libro Bianco “Media e Minori” predisposto nel 2018 si legge: “Nel corso della navigazione i minori possono imbattersi in contenuti illeciti, inappropriati, violenti, pornografici e suscettibili di creare turbamento. Fenomeno emergente ed in crescita esponenziale è rappresentato dalla diffusione in Rete di contenuti generati dagli stessi utenti (UGC) che, se da un lato può potenziare capacità creative e processi partecipativi volti alla costruzione di una conoscenza condivisa, dall’altro, può esporre i minori a contenuti inadatti e potenzialmente lesivi del loro sviluppo. Tra gli altri quelli che incitano all’odio e alla discriminazione e alla violenza contro alcuni gruppi sociali e individui”. 1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) ha stabilito che “1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, né di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Ogni fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o affronti” (articolo 16). 13 Nel tempo estesa in 45 paesi in tutta Europa, ma anche in Messico, Marocco, Tunisia e Quebec, si tratta di una prima significativa iniziativa internazionale con lo scopo di contribuire a riconoscere il discorso dell’odio come abuso dei diritti umani. Si veda anche la Hate speech - Recommendation No. R(97)20 (2015). Il progetto si pone, tra l’altro, l’obiettivo di promuovere la partecipazione di giovani attivisti della Rete e blogger a difesa dei diritti umani. Il Consiglio d’Europa utilizza strumenti educativi quali i manuali, Bookmarks, sul tema cfr., in particolare, Bookmarks. A manual for combating hate speech on line through human rights education, edito dal Consiglio d’Europa nel 2018; Manual on Hate Speech, a cura di Anne Weber, edizioni del Consiglio d’Europa, Strasburgo 2009 e il successivo del 2014. 224 The best interest of the child L’attenzione delle istituzioni pubbliche nazionali e sovranazionali emersa progressivamente è ora tesa a prospettare come estremamente delicata ed urgente la questione specifica del nesso tra discorso d’odio, vita privata, identità personale e sicurezza dei minori. Nella loro vita (privata) i minori, come è banale osservare, usano massicciamente il web con conseguenze che riguardano la costruzione in contesti collettivi della propria personalità14. Ciò che viene preso di mira nei discorsi d’odio è appunto una o più caratteristiche della identità di un soggetto; questi dati personali sono tratti spesso dagli stessi messaggi privati che il minore invia e che altri minori inoltrano a terzi (tramite i servizi di messaggistica presenti negli smartphone), senza nessuna consapevolezza della violazione del principio della segretezza della comunicazione interpersonale (garantita dall’art. 15 della Costituzione) oppure sono informazioni che il minore “affida” alla Rete in spazi pubblici e accessibili a chiunque, senza consapevolezza del rispetto dei limiti all’esternazione del proprio pensiero. L’attenzione verso il trattamento delle informazioni relative ai minori rappresenta, in questa direzione, una delle novità rilevanti contenute nella nuova disciplina europea sul trattamento dei dati personali; nel Regolamento (UE) 2016/679, convenzionalmente GDPR, è prevista l’indicazione dell’età minima richiesta per l’accesso ai servizi da parte dei minori. La norma prevede che sia 16 anni, ma lascia agli Stati membri un margine di autonomia legislativa nell’indicare un’età diversa, comunque non inferiore a 13 anni. Il recente decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 ha fissato in Italia la soglia a 14 anni, ma è facile prevedere che si potrebbe in futuro arrivare ad abbassarla alla soglia statunitense dei 13 anni (l’unica realmente, quanto forse inopportunamente, “globale”)15. Ottenere (almeno) la collaborazione degli operatori del web è però l’altro obiettivo da perseguire. Su spinta della Commissione europea, nell’ambito dell’Internet Forum, i social network e le più importanti piattaforme che veicolano contenuti avevano sottoscritto (31 maggio 2016) un Codice di condotta, “Code of Conduct on illegal online hate speech”, con il quale si impegnavano a combattere la diffusione di forme illegali di 14 G. Pedrazzi, Minori e social media: tutela dei dati personali, autoregolamentazione e privacy, in Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017. 15 Sull’età del consenso digitale e il recepimento della nuova normativa europea, in senso critico circa l’eccessivo abbassamento dell’età si è espressa la Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, nel Rapporto su “La tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione”, 2017, p. 43. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 225 incitamento all’odio on line, anche tramite pratiche di controllo e rimozione di speech attraverso l’uso di algoritmi16. Nonostante non siano ad oggi giuridicamente responsabili come Internet Service Provider17, l’enorme espansione delle espressioni d’odio ha spinto poi i giganti del web (Facebook, Google, YouTube e Twitter) a inserire nei propri termini contrattuali regole volte a prevenire la diffusione di messaggi ripugnanti. Una scelta evidentemente determinata anche da ragioni di protezione della propria immagine commerciale, nel tempo deteriorata dal sospetto di non fare abbastanza per contribuire a contenere esplosione di violenza di matrice terroristica e non. Sul fronte degli Stati membri Ue, si può poi menzionare la “Network Enforcement Act” (NetzDG), conosciuta anche come “Facebook Law”, entrata in vigore in Germania ad ottobre 2017 che, come prevedibile, ha attivato un ampio dibattito sul rinnovato concetto di censura alla libertà di espressione in Rete. I principali social network tedeschi potrebbero dover pagare cospicue multe, nel caso non dovessero eliminare entro 24 ore contenuti ritenuti illegali, inclusi quelli legati appunto all’hate speech, alla diffamazione e all’incitamento alla violenza. Le aziende che gestiscono le piattaforme dovranno nominare un responsabile che gestisca i rapporti con il Governo tedesco che, dal canto suo, sta organizzando un apparato apposito con il compito di controllare e vigilare sulle reti social. Il rischio è che i meccanismi automatici di filtraggio si rivelino oltre che inefficaci, distorsivi per eccesso o per difetto: segnalando e eliminando il contenuto lecito, ignorando o mal interpretando quello che dovrebbe essere rimosso. Né, del resto, i provider che si avvalgono di persone fisiche risultano più garantisti o affidabili18. 4. Il nesso tra hate speech e fake news. Cenni sul ruolo della professione giornalistica Non meno importante è porre attenzione ai contenuti veicolati dei media, perché è dimostrato che è la disinformazione ad alimentare il pregiudizio e questo a potenziare fenomeni di devianza giovanile. 16 Sul punto criticamente, M. Cuniberti, Il contrasto della disinformazione in rete tra logiche di mercato e (vecchie e nuove velleità di controllo), in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017. 17 Cfr. diffusamente, M.R. Allegri, Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social network e profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano, 2018. 18 Cfr. S. Quintarelli, op. cit. 226 The best interest of the child A questo proposito è possibile citare l’Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento (delibera n. 424/16/CONS del 16 settembre 2016), con cui l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha richiamato i fornitori di servizi al più rigoroso rispetto dei principi fondamentali del sistema dei media audiovisivi e della radiofonia posti a garanzia degli utenti, con specifico riguardo per i soggetti a rischio di discriminazione. Da ultimo è intervenuta la delibera n. 403/18/CONS del 25 luglio 2018, per l’”Avvio del procedimento per l’adozione di un regolamento in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech e all’istigazione all’odio”. Nel già citato Libro Bianco “Media e Minori. 2.0”19, si mette in evidenza che: “La complessa e magmatica interazione tra programmi televisivi e social network e i giochi di reciproco rispecchiamento tra vecchi e nuovi media, accanto a preziose opportunità, in termini di accessibilità e fruibilità delle informazioni, possono generare pericolosi rischi connessi allo sviluppo di polarizzazioni e semplificazioni che, talvolta, trovano nella diversità il motivo di comportamenti violenti e discriminatori”. Nel testo si fanno l’esempio del “flaming”, caratterizzato dall’invio di messaggi ostili e insultanti prettamente mirati a scatenare battaglie verbali on line, e quello dell’“harassment”, che è invece configurabile laddove messaggi offensivi e volgari vengano inviati ripetutamente nel tempo alla vittima (comunemente l’individuo che invia messaggi provocatori di tale tipo, con il mero scopo di fomentare conflitti e flame war, è definito troll). A conclusione di questo contributo, sembra poi utile ricordare come il tema del discorso d’odio mostri alcuni punti di contatto con il fenomeno della diffusione virale di notizie false, le cosiddette fake news20, perché le falsità fomentano l’incomprensione e questa l’intolleranza e questa, poi, l’odio. Le pagine, il sonoro, le immagini e i video d’odio si nutrono dunque anche della diffusione di notizie prive di fondamento o comunque distorte e falsificate. Certo è che entrambi i fenomeni implicano lesioni della dignità umana e dei diritti fondamentali e favoriscono allarmanti radicalizzazione delle opinioni, rafforzando stereotipi e pregiudizi. 19 AGCOM, 2018, 43. 20 Come, tra gli altri, rilevato da F. Pizzetti, Fake news e allarme sociale: responsabilità, non censura, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017 e M. Bassini - G.E Vigevani, Primi appunti su fake news e dintorni. Fake News: an Introduction to the Italian Debate, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 227 L’uso delle tecnologie digitali ha offerto a tutti la possibilità di diffondere notizie e ciò, come è evidente, ha determinato la trasformazione del contesto comunicativo mediatico che non è più appannaggio esclusivo dell’informazione professionalizzata. Da queste brevi considerazioni, è chiaro come sia necessario continuare ad indagare a fondo sul ruolo e sulle responsabilità del giornalista, messo a dura prova – se non in competizione – dal fatto che chiunque (minori inclusi), pur non incontrando gli stessi oneri e obblighi, giuridici e deontologici, dei professionisti, può oggi compiutamente ed efficacemente esercitare il diritto di cronaca, proprio per la peculiarità di un mezzo, il web, perfettamente idoneo a tale scopo e molto più diffusamente accessibile. “Discorsi” d’odio veicolati attraverso la Rete possono diventare oggetto di notizia (cronaca) e quindi entrare nel discorso pubblico, non foss’altro che per essere stigmatizzati. Inoltre, come anche la più recente giurisprudenza ha messo in rilievo, quando ad attivare questo circuito sono minori, molti commenti offensivi e denigratori non sono affatto anonimi, anzi molte volte sono accompagnati da nome e cognome e foto. Gli aggressori non hanno la consapevolezza della gravità (a volte anche penale) dei loro comportamenti e si espongono a conseguenze gravi, considerato che attraverso i profili dei social network è possibile venire a conoscenza di una grande quantità di informazioni personali anche dei soggetti con cui le giovani vittime entrano in relazione. Infine, dunque, qualche spunto sulla relazione tra hate speech e cyberbullismo. Nel disporre che è pienamente considerabile atto che rientra in tale categoria solo quello posto in essere da minorenne nei confronti di altro minorenne, la recente legge 29 maggio 2017, n. 711, disciplinando il fenomeno a tutela dei minori, dispone che: “Ai fini della presente legge, per “cyberbullismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. 228 The best interest of the child Il disposto ricomprende chiaramente non solo alcune condotte classificabili come delittuose (anche se indicate con una terminologia non tecnica: è questo il caso del “furto d’identità”), ma anche tipologie di azioni prive di rilevanza penale21. Ciò a riconferma del fatto che non ogni condotta caratterizzabile come atto di cyberbullismo costituisce necessariamente reato22, ma anche che la normativa vigente pone sullo stesso piano tanti e (molto) differenziati comportamenti, tra gli altri quelli che più si prestano ad essere inclusi nei discorsi d’odio, come l’ingiuria, la denigrazione e la diffamazione se posti in essere allo scopo di discriminare. Il cenno al raffronto tra i due fenomeni ci permette in conclusione di porre l’accento sulla questione della responsabilità, accostando (pienamente consapevoli delle grandi differenze) quella dei giornalisti e degli altri professionisti che operano nei media a quella dei genitori. I ragazzi appaiono sempre più in grado di costruirsi in proprio (in autonomia) un “mondo” di notizie, che riescono a divulgare con un’ampiezza prima inconcepibile; così anche sembrano sempre meno in un rapporto subalterno rispetto ai genitori, autodeterminandosi nelle scelte esistenziali, tra cui quelle attinenti all’esercizio dei diritti di personalità del singolo, come il diritto all’immagine, alla reputazione e alla propria identità, nonché alla riservatezza intorno alla propria persona23. Se così stanno le cose, certo è che in riferimento a entrambi i “sistemi”, quello dell’informazione e quello degli adulti con ruolo di genitori, non viene meno la responsabilità di vigilanza sempre più onerosa da esercitare. Il primo comma dell’articolo 29 della Costituzione prescrive che “è diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”, dunque non solo non è auspicabile, ma è in contrasto con l’ordinamento una funzione genitoriale che non ricomprenda l’indicazione di regole, conoscenze o moduli di comportamento anche riferiti all’uso dei media (digitali o no), così anche norme giuridiche e regole deontologiche 21 Cfr. R.M. Colangelo, La legge sul cyberbullismo. Considerazioni informatico-giuridiche e comparatistiche, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017; M. Orofino - F. G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018. 22 Si ricorda che proprio un caso del 2006 che ha riguardato minori è quello italiano più noto in tema di diritti e Internet, si tratta di Vividown vs. Google arrivato fino in Corte di Cassazione nel 2014. 23 M. Rospi, Social media, minori e cyberbullismo: lo status quo della legislazione nazionale ed eurounitaria, in G. Conti - M. Pietrangelo -F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, 2017, n. 1-2. Discorsi d’odio on line e tutela costituzionale dei minori 229 impongono ai professionisti dei media un’attenzione specifica sia ai contenuti sia ai linguaggi destinati ai minori24; diviene quindi oggi indispensabile che entrambi potenzino la trasmissione di strumenti utili alla costruzione di relazioni umane significative per la migliore realizzazione della personalità delle giovanissime generazioni25, primi tra tutti gli strumenti della consapevolezza e della capacità critica. Bibliografia Abbondante F., Il ruolo dei social network nella lotta all’hate speech: un’analisi comparata fra l’esperienza statunitense e quella europea, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017 Allegri M.R., Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social network e profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano, 2018 Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, La tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione, 2017, p. 43 Bassini M. - Vigevani G.E., Primi appunti su fake news e dintorni. Fake News: an Introduction to the Italian Debate, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017 Bellocci M. - Passaglia P., La tutela dei «soggetti deboli» come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale, Colangelo R.M., La legge sul cyberbullismo. Considerazioni informatico-giuridiche e comparatistiche, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017 Cuniberti M., Il contrasto della disinformazione in rete tra logiche di mercato e (vecchie e nuove velleità di controllo), in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017 24 Si vedano le norme che prevedono obblighi specifici di riservatezza nell’esercizio dell’attività giornalistica quali quelle che vietano di diffondere notizie che riportano le generalità di minori coinvolti in procedimenti giudiziari, ex art. 13 c.p.p. “Ricostruzione di atti” e art. 50 Codice della privacy così come modificato dal D. Lgs. 101/2018 “Notizie o immagini relative a minori”. Si ricorda, inoltre che il Codice deontologico dei giornalisti (Art. 7 “Tutela dei minori”), nell’affermare che “il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca”, prevede un generale principio di preminenza dell’interesse del minore. È comunque affidata al giornalista la responsabilità di valutare quando, in presenza di motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, la pubblicazione di notizie o immagini riguardanti il minore sia davvero nell’interesse oggettivo dello stesso minore. Cfr. anche “La Carta di Treviso”, ossia il protocollo firmato il 5 Ottobre 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro con l’intento di disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia. 25 Sul punto si segnalano le considerazioni contenute nella sentenza del Tribunale di Teramo n. 18 del 16 gennaio 2012, relativa ad un caso di bullismo tramite Facebook. 230 The best interest of the child Marsocci P., Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, n. 2/2011 Monti M., La XVII legislatura e la libertà di espressione: un bilancio fra luci e ombre, in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2018 Orofino M. - Pizzetti F., Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018 Pedrazzi G., Minori e social media: tutela dei dati personali, autoregolamentazione e privacy, in Informatica e diritto, Vol. XXVI, 2017, n. 1-2 Pizzetti F., Fake news e allarme sociale: responsabilità, non censura, in MediaLaw - Rivista di diritto dei Media, n. 1/2017 Quintarelli S., Content moderation: i rimedi tecnici, in Pitruzzella G. - Pollicino O. - Quintarelli S., Parole e potere. Libertà d’espressione, hate speech e fake news, Milano, 2017 Rospi M., Social media, minori e cyberbullismo: lo status quo della legislazione nazionale ed eurounitaria, in G. Conti - M. Pietrangelo - F. Romano (cur.), Social media e diritti. Diritto e social media, Informatica e diritto, Vol. XXVI, n. 1-2, 2017 La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione Donatella Pacelli – Camilla Rumi Nel grande tema della tutela del minore, un posto di sicuro rilievo è occupato dall’attenzione verso i contenuti audiovisivi che riecheggiano nell’ecosistema dei media, creando contesti e modalità di fruizione differenti, nei quali l’età evolutiva sembra trovarsi particolarmente a proprio agio. La portata del tema e l’interesse guadagnato tanto nella letteratura scientifica quanto fra gli operatori del settore, lo qualifica come un ambito di ricerca e di intervento, capace di creare un dialogo proficuo fra diversi attori della società e promuovere cambiamenti culturali coerenti al clima dettato dall’era della convergenza mediale. Si inserisce in questa convergenza di interessi l’azione del Comitato Media e Minori (già Comitato Tv e Minori), guidata dall’impegno a migliorare la qualità delle trasmissioni dedicate ai soggetti in età evolutiva non solo attraverso il rispetto del Codice di autoregolamentazione1, ma anche facendo tesoro della produzione di conoscenza rispetto alla complessità del rapporto media e minori, a partire dal ruolo esercitato dal piccolo schermo. Come è noto, tale rapporto è stato interpretato soprattutto attraverso gli effetti – potenziali o effettivi – che il sistema mediale è in grado di determinare su questo particolare target, anche a livello educativo. Il solco tracciato dall’ormai ricca tradizione di studi di area nazionale 1 Sottoscritto nel 2002 come atto di natura privata, il Codice di autoregolamentazione è stato recepito in via legislativa dalla legge di sistema 112/04, divenendo vincolante per tutte le emittenti a prescindere dalla sottoscrizione dello stesso e dalla tipologia di piattaforma utilizzata (analogica, satellitare, digitale terrestre, Iptv). Per ulteriori approfondimenti si veda https://www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/ organismi/area-tutela-minori. 232 The best interest of the child (D. Pacelli, 1993; F. Casetti, 1995; M. Morcellini, 1997, 2004, 2005; A. Parola, 2009; P.C. Rivoltella, 2017; M. Marangi, 2018) e internazionale (L. Masterman, 1980; D. Morley, 1986; J. Lull, 1990; D. Buckingham, 1993, 1998, 2004; U. Carlsson, 2010; G. Mascheroni - K. Olafsson, 2015) va a riconoscere l’esistenza di fasce di popolazione più deboli di altre e, proprio per questo motivo, maggiormente bisognose di una specifica tutela (M. Gavrila, 2010; B. Carotti, 2014; M. Cappello, 2009, 2015; Agcom 2018). Tuttavia, la centralità assunta dal tema oggi si evince non solo da come esso venga elevato a caso esemplificativo delle difficoltà incontrate dall’interpretazione degli effetti generati dai media, ma anche delle possibilità che esso offre nel cogliere i cambiamenti in atto (M. Morcellini, 2005). Questa doppia prospettiva comporta rovesciare in positivo la sindrome apocalittica (U. Eco, 2003) per distanziarsi da interpretazioni deformate e pregiudizi ideologici, secondo cui la totalità dei media esercita un fascino ed un potere di manipolazione a tal punto incisivi da rendere inutili qualsiasi forma di difesa o di atteggiamento critico. Il presente contributo intende inserirsi in questa prospettiva e concorrere al consolidamento di una fase di discussione pubblica sul rapporto media e minori che tenga conto dei profondi mutamenti introdotti dalla rivoluzione digitale nel panorama dell’audiovisivo globale (P. Sigismondi, 2011) e della ridefinizione del ruolo delle agenzie di socializzazione nel promuovere l’inserimento nella società. Due grandi processi che impongono una strategia dell’attenzione congiunta da parte delle istituzioni e della società civile. Le ragioni che spingono a riconsiderare la problematica sono quindi molteplici. Nei nuovi contesti comunicativi, il video funge da vero e proprio motore del cambiamento e favorisce la diffusione di reti e servizi sempre più performanti, in grado di soddisfare le aspettative dei diversi pubblici, attraverso la diffusione dei nuovi servizi a richiesta (IT Media Consulting-Centro di Ricerca DREAM, 2016)2. Ad un’offerta lineare, fortemente vincolata dai criteri spazio-temporali del palinsesto, viene a sommarsi un’offerta non lineare, disponibile su molteplici piattaforme. Tale offerta, lontana dall’essere gestita progettualmente, 2 L’effetto dirompente determinato dall’incremento del traffico video sulla rete rappresenta ormai un tema centrale per lo sviluppo non solo del mercato dell’online entertainment (YouTube e Netflix su tutti), ma dell’intero sistema Internet. La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 233 porta con sé nuove sfide per tutti i soggetti interessati a garantire il corretto sviluppo sul piano fisico, morale e psicologico dei minori che interagiscono con media mainstream e social media. L’innovazione tecnologica impone, quindi, un ripensamento del consueto concetto di socializzazione. A fronte di un indebolimento delle tradizionali agenzie, le nuove generazioni hanno riversato gran parte dei propri bisogni comunicativi sui media, riconosciuti come interlocutori paritetici. L’utilizzo di questi ultimi ha determinato, a sua volta, la nascita di esigenze e problematiche relative ai processi di percezione e costruzione dell’identità e del legame sociale (P. Aroldi - G. Mascheroni - N. Vittadini, 2016), la cui risoluzione richiede un nuovo patto di corresponsabilità educativa. Ciò in funzione di come qualsiasi mezzo non sia soltanto una tecnologia applicata per la trasmissione di contenuti simbolici o per la connessione di diversi utenti, ma appaia diretto ad incarnare un insieme di relazioni sociali che interagiscono con il portato tecnologico (D. McQuail, 2007). Come gli studi di settore da tempo chiariscono (J. Bolter - R. Grusin, 2003), l’innovazione introdotta dalle tecnologie, pur non indebolendo il rapporto con i media tradizionali, ha concorso a modificare la natura dei processi comunicativi e delle relazioni sociali. Da qui la nascita di percorsi complessi e multiformi di socializzazione che vedono il progressivo rafforzamento della socializzazione immediata (I. Cortoni, 2012) e l’emergere di una autosocializzazione (M. Morcellini - S. Mulargia, 2012), processi legati all’uso sempre più frequente e precoce dei differenti media da parte delle nuove generazioni. Le più recenti ricerche sul tema (Agcom, 2018) ci informano infatti come, già nella fascia tra i 6-8 anni, la fruizione del mezzo televisivo sia accompagnata, in ben il 70% dei casi, dall’accesso al tablet dei genitori, con scarso controllo da parte di questi ultimi. Le condizioni di precaria tutela in cui si realizzano tali processi richiedono quindi che attori diversi della società civile non dismettano l’attenzione nei confronti dell’annosa questione media e minori, anche e soprattutto nell’epoca della cultura convergente (H. Jenkins, 2007). Un obiettivo strettamente connesso alla volontà di sviluppare misure di garanzia più adatte a definire un approccio alla tutela concettualmente coordinato e consono al contesto comunicativo digitale3. 3 Esemplificativa a questo proposito è la delibera n. 186/18/CONS recante il Regolamento in materia di classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei 234 The best interest of the child In questo scenario di grandi trasformazioni, contributi teorici, ricerche empiriche ed interventi di carattere regolamentare ed autoregolamentare convergono nel ritenere essenziale seguitare a monitorare il rapporto che la televisione intrattiene con l’universo minorile. Ciò in considerazione sia della vitalità con cui il mezzo continua a presentarsi nelle diverse forme (E. Pulcini, 2006; M. Centorrino, 2007; L. Tomassini, 2011; M. Gianotti, 2012; IT Media Consulting-Centro di Ricerca DREAM, 2016; Censis-Ucsi, 2017)4, sia dell’incisività su valori, stili di vita, modelli di comportamento potenzialmente adottabili dai minori. Una categoria estremamente vasta, comprendente bambini e ragazzi, i quali, oltre a possedere caratteristiche ed esigenze diverse da soddisfare, hanno ben poco a che vedere con i soggetti presi in esame nei primi studi relativi agli effetti che la televisione poteva determinare sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza (W. Veen - B. Vrakking, 2010; P. Ferri, 2011). I minori di oggi rappresentano la prima vera generazione interattiva e multitasking, capace di effettuare operazioni diverse in maniera simultanea su differenti piattaforme tecnologiche, di cui spesso conoscono le potenzialità meglio di genitori e insegnanti5. I nativi digitali appaiono dotati di una competenza mediatica spesso raffinata e risultano aperti ad un’ampia gamma di stimoli e sollecitazioni, grazie ad un modo di rapportarsi ai media che si distanzia profondamente dai coetanei che li hanno preceduti. La multimedialità introdotta dagli strumenti informatici ha infatti prodotto una domanda individuale di comunicazione, di socialità e di interazione significativa che si è palesata anche nei confronti del mezzo televisivo6. videogiochi, finalizzata ad assicurare il giusto equilibrio tra la tutela dei minori e la libertà di manifestazione del pensiero e dell’espressione artistica nei nuovi contesti. Il Regolamento è stato adottato nel rispetto del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, con particolare riferimento ai sistemi di classificazione maggiormente diffusi, tra i quali il PEGI, Pan European Game Information (https://www.agcom.it). 4 Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Ucsi, se la tv tradizionale cede qualche telespettatore, confermando comunque un seguito elevatissimo (il 92,2% di utenza complessiva), la tv satellitare raggiunge quasi la metà degli italiani (il 43,5% nel 2017), così come appare in crescita la tv via internet, per cui web tv e smart tv raggiungono il 26,8% di utenza (+ 2,4% in un anno), e la mobile tv, che in un anno ha raddoppiato i suoi utilizzatori, passati dall’11,2% al 22,1%. 5 Diversi studi, anche a carattere internazionale, mostrano che gli adulti hanno incrementato le proprie competenze rispetto ai nuovi strumenti tecnologici, ma soltanto in parte colmato il gap digitale che in passato li separava dai propri figli (G. Mascheroni - N. Olafsson, 2015). 6 Il Libro Bianco Media Minori 2.0 (2018) evidenzia a questo proposito come i ragazzi tra i 13 e 17 anni fruiscano online i contenuti televisivi nel 27% dei casi. I punti di forza La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 235 Il tempo trascorso dai minori davanti la televisione, facendo riferimento alle diverse modalità attraverso cui oggi il mezzo si presenta (tv digitale terrestre, satellitare, web tv, smart tv, mobile tv) resta un dato di assoluta rilevanza. I più recenti dati Auditel relativi al consumo televisivo di questo specifico target hanno fatto emergere che, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno investito il mondo dei media, i minori sono ancora affezionati al mezzo televisivo, pur con delle differenze di utilizzo da parte delle diverse fasce d’età (distinte dalla società di rilevazione degli ascolti in 4-7, 8-14, 15-18 anni). La diffusione di nuovi device e dei prodotti offerti da Internet ha infatti solo parzialmente scalfito il consumo della tv tradizionale, che mantiene un ruolo centrale soprattutto nella vita dei più piccoli. Le motivazioni che portano a preferire la visione tradizionale evidenziano la propensione verso esperienze di consumo connotate da qualità relazionale (la condivisione con la famiglia) e tecnica (la migliore definizione delle immagini), rimandando ad un’idea di televisione ancora capace di svolgere il ruolo di aggregatore intergenerazionale (Agcom, 2018). A fare la differenza rispetto ai diversi stili di fruizione non sono soltanto le diverse fasce d’età, comprese nella categoria che va a comporre l’universo minorile, ma anche la tipologia di contenuti fruiti, per cui alcuni generi (programmi e video musicali, eventi sportivi, telefilm, serial e sitcom) sembrano prestarsi maggiormente alla visione online (Ibidem). Un dato interessante da questo punto di vista è quello relativo ai cartoni animati che vengono fruiti indifferentemente e in maniera massiccia sulle diverse piattaforme disponibili, confermando la tesi secondo cui la programmazione per bambini costituisce una vera e propria killer application della tv del futuro, unitamente alla fiction e all’informazione (M. Gavrila, 2010). Negli ultimi anni la platea di quella che un tempo veniva chiamata la “tv dei ragazzi” è infatti cresciuta del 21%, attirando investimenti pubblicitari per oltre 100 milioni l’anno, elevando il target dei minori a principale influencer del mercato audiovisivo globale (Nielsen, 2016). La natura di industria del mezzo televisivo, volta a trattare il minore più come un consumatore che un soggetto portatore di diritti della rete vengono rintracciati nel più ampio ventaglio di opportunità concesse dalla fruizione via Internet e nella relativa sensazione di maggiore autonomia/libertà garantita da un consumo personalizzato, svincolato dai criteri spazio-temporali ordinatori del palinsesto televisivo. I giovani utenti che praticano la visione online sembrano inoltre apprezzare la possibilità di seguire i contenuti in lingua originale e l’assenza di interruzioni pubblicitarie. 236 The best interest of the child verso il quale orientare universi espressivi che possano garantire reali opportunità di crescita culturale, continua a destare significative preoccupazioni da parte del mondo adulto7. Un dato che assume proporzioni ancor più rilevanti se si considera quanto la fruizione dei contenuti televisivi da parte dei più giovani tenda a realizzarsi in una dimensione solitaria, al di fuori della cosiddetta “fascia protetta”8. La scarsa fiducia manifestata nei confronti di questa scelta di collocazione oraria, considerata di valenza più simbolica che reale e solo parzialmente diretta a trasmettere contenuti ad hoc per i minori, si accompagna ad una modesta incisività del parental control. Lo strumento di tutela che consente di attivare la funzione del televisore per bloccare la visione di alcune trasmissioni mediante l’inserimento di un codice, è infatti avvolta da un parere controverso. Inoltre, anche nella pratica, l’utilizzo del parental control non sembra aver attecchito e modesto è il numero di genitori che utilizza questo strumento per oscurare i contenuti considerati gravemente nocivi, sia nel caso della televisione in chiaro che in quello della televisione on demand9. Le sfide poste da uno scenario che evidenzia il ruolo svolto dai contenuti audiovisivi nell’interazione sociale e nella trasmissione culturale chiamano certamente in causa l’istituzione familiare, ma anche quella scolastica. Il sistema formativo non può, infatti, rimanere ancorato ai tradizionali sistemi di mediazione, esimersi dal confronto con i linguaggi mediali e dal chiedersi come abilitare i minori ad interagire nei nuovi ambienti in maniera riflessiva e responsabile. La media 7 I dati Agcom (2018) evidenziano come i genitori abbiano rilevato, nel 43% dei casi, l’esistenza di una tv pericolosa per minori per esperienza diretta o su segnalazione degli stessi figli, riconducendo le preoccupazioni alla trasmissione di scene violente, linguaggio scurrile, contenuti sessuali, incitamento alla violenza o a comportamenti trasgressivi. 8 Secondo quanto emerge dalla ricerca “Media consapevoli, genitori responsabili, tutela dei minori”, realizzata dal Censis per il Corecom Lazio (2015), il 70% dei bambini di 7 anni accede da solo alla tv e tale percentuale supera l’80% alle soglie dei 10 anni, raggiungendo la massima concentrazione di ascolti in prima serata, laddove non è garantita una programmazione attenta alle specifiche esigenze del pubblico più giovane. 9 A livello nazionale, solo il 27% dei genitori dichiara di utilizzare questa funzione per filtrare i contenuti televisivi (Agcom, 2018). E se alcuni di loro motivano il mancato utilizzo con la propria supervisione (soprattutto rispetto al target 4-6 anni), altri mostrano di non conoscere lo strumento, affermando che l’apparecchio posseduto non consente loro l’applicazione, che risulta valido soltanto per le tv a pagamento o di non sapere come attivarlo. È proprio a questo tipo di difficoltà che può essere ricondotta la campagna di sensibilizzazione svolta da alcune emittenti sul corretto utilizzo del parental control. La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 237 education, al centro delle raccomandazioni europee e della letteratura internazionale in qualità di media literacy, digital literacy, transliteracy (A. Hovious, 2018), ha da tempo intrapreso un percorso orientato a segnare il passaggio da una concezione pedagogica e scuola-centrica ad una socio-culturale e politico-civile. L’educazione ai media diviene, pertanto, compito di un sistema formativo allargato che comprende, oltre alla scuola, la famiglia e diversi attori sociali, ed un progetto diffuso che attraversa, con modalità ed obiettivi specifici, le diverse fasi evolutive del minore (D. Frau-Meigs, 2007). La dimensione politico-civile risulta strutturale per la media education, in considerazione di come la ricerca sia sempre trasformativa, implicando un coinvolgimento dei contesti, uno stile militante, il dialogo con le diverse dimensioni del contesto. Essa infatti può rappresentare un territorio di cambiamento solo nella misura in cui diventa un’azione concreta, mette in discussione la comunicazione mediale dal punto di vista etico e dei valori e interviene per reinvestire sull’educazione (M. Morcellini, 2004). In questa prospettiva, è la totalità delle istituzioni ad essere chiamata nel correggere il divario digitale e fornire ai bambini e ai ragazzi esperienze sociali, intellettuali, culturali che altrimenti andrebbero a incrementare – piuttosto che ridurre – le disuguaglianze nell’uso partecipativo delle tecnologie (H. Jenkins, 2007). La media literacy può così costituire non solo una forma di sapere, ma anche un espediente per favorire il processo di inclusione sociale del soggetto, diffondendo la comprensione dei meccanismi di produzione e fruizione, incoraggiando contesti di apprendimento stimolanti ed opportunità di crescita personale10. Una media education come educazione alla cittadinanza nell’era della convergenza digitale, che possa essere intesa, come previsto dagli orientamenti europei, non solo come una strategia di intervento, complementare o alternativa, ad una politica regolamentare per la tutela del minore rispetto all’universo mediale, ma come una delle competenze chiave da acquisire per il pieno sviluppo della sua persona nella società della conoscenza (D. Buckingham, 2013). 10 La fondamentale distinzione tra basic skills e soft skills, introdotta dalle raccomandazioni europee, fa sì che la competenza digitale legata alle soft skills, significhi anche imparare ad imparare, produzione creativa di contenuti, coinvolgimento sociale, spirito di iniziativa e imprenditorialità, sviluppo di un pensiero critico (I. Cortoni V. Lo Presti - P. Cervelli, 2015, p. 46-57). 238 The best interest of the child Da qui la convinzione, sottesa al presente contributo, che la tutela dei diritti dei minori negli attuali contesti dell’audiovisivo debba essere garantita da più attori attraverso la costruzione di ambienti in cui i bisogni di protezione ed empowerment dei soggetti in età evolutiva possano trovare adeguato soddisfacimento (Agcom, 2018). Tali presupposti implicano l’abbandono di visioni semplicistiche e lineari della tutela e l’elaborazione di piani di intervento e strategie diversificate che sappiano affiancare alla logica sanzionatoria una prospettiva di più ampio respiro per favorire un uso consapevole e responsabile dei media tra le nuove generazioni. È quanto tenta di fare il Comitato Media e Minori, sia con l’applicazione del Codice di autoregolamentazione, teso ad assicurare un livello di protezione ulteriore rispetto a quello già previsto sul piano legislativo, sia attraverso strategie rivolte ai contesti di produzione e di fruizione, al fine di incentivare tra le famiglie e il pubblico più giovane un uso corretto del mezzo televisivo. Questo compito è stato portato avanti sin dalla costituzione del Comitato, sotto la presidenza di Emilio Rossi, per garantire una programmazione rispettosa dell’infanzia e dell’adolescenza, un’offerta diretta in maniera specifica al target giovanile e, più in generale, per concorrere ad una tutela del minore che, pur partendo dall’applicazione del Codice, non si limitasse a tale modalità di azione e di intervento. Facendo tesoro di quanto sedimentato attraverso l’esperienza e le buone pratiche delle precedenti consiliature, il Comitato 2017-202011 si è insediato il 30 gennaio 2018 con l’esplicito intento di rafforzare l’obiettivo di rendersi parte attiva di un progetto culturale di educazione ai media e di rispetto dell’altro, che affianchi la mission di monitoraggio e di controllo. Le due aree di intervento individuate confluiscono verso la finalità di sensibilizzare tutti gli stakeholders interessati alla promozione di un uso consapevole dei media, fondamentale nella complessità sociale, informativa e tecnologica dei tempi attuali. Nel primo anno di attività è stata ribadita e condivisa la convinzione di affrontare la sempre più articolata questione della tutela dei minori con senso di responsabilità e trasparenza. Si è rivelato dunque fondamentale per il Comitato continuare ad avere quale focus l’attenzione 11 Il Comitato attualmente in carica è stato nominato con il decreto del 13 dicembre 2017 firmato dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, d’intesa con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 239 critica verso i contenuti, coltivando e valorizzando la consapevolezza della capacità educativa dei media, al fine di rispondere all’esigenza di un progetto formativo allargato. Obiettivo primario, infatti, è stato quello di portare avanti una strategia di ricerca e di disseminazione sui temi sensibili e sulle principali evoluzioni imposte dagli scenari tecnologici, sociali ed economici, come testimoniano le iniziative pubbliche delle quali il Comitato è stato promotore o che hanno visto la partecipazione di alcuni membri dello stesso12. Un altro principio alla base delle attività svolte è stata la convinzione che la comunicazione audiovisiva, a prescindere dalle piattaforme attraverso le quali viene veicolata e fruita, ha una chiara incidenza a medio-lungo termine sullo sviluppo, sui valori e sulle coscienze dei futuri giovani e adulti, che dovranno garantire crescita e progettualità alla società italiana e globale. Proprio per questo motivo, il Comitato si è posto quale priorità la riflessione su quella che potrebbe essere l’incidenza delle proprie attività sul miglioramento del clima comunicativo, soprattutto in relazione alle fasce più vulnerabili di fruitori, come i minori. Pertanto, oltre all’analisi e all’avvio delle istruttorie per le trasmissioni segnalate dagli utenti13, al fine di proteggere il pubblico dei minori dai rischi di un’offerta indiscriminata e non adatta a loro, i rappresentanti delle tre componenti presenti nel Comitato (Istituzioni, Utenti ed Emittenti) hanno lavorato sull’aggiornamento degli strumenti alla base dello stesso funzionamento del Comitato. In particolare, si è cercato di 12 Tra queste iniziative è possibile menzionare: la tavola rotonda, in occasione del Festival della Sociologia, “Una convivenza difficile: la solitudine dei minori nell’epoca della convergenza mediale” (Università di Perugia, 2 ottobre 2018); il panel “Giovani, Tecnologie, Innovazione” all’interno del Convegno “L’Italia che cambia. Le scienze sociali e della comunicazione di fronte all’accelerazione del mutamento sociale” (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale - La Sapienza Università di Roma, 18 ottobre 2018); le giornate di riflessione “Giovani e problemi sociali. Le sfide culturali di una realtà complessa” e “Etica della comunicazione e tutela dei minori” (Università Lumsa - Istituto Luigi Sturzo, Roma, rispettivamente in data 23 ottobre 2018 e 7 novembre 2018); il Convegno “Linguaggi giovanili: hate speech e hate words. Rappresentazioni, effetti, interventi” (Università Lumsa, Roma, 14 maggio 2019). Quest’ultimo evento, patrocinato dal Comitato Media e Minori, è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto Iard - Network di ricerca sulla condizione e le politiche giovanili. 13 Come riportato nella relazione sul primo anno di attività, nel 2018 il Comitato ha valutato 72 casi, disponendo archiviazioni in sede di istruttoria, raccomandazioni, avvii di istruttoria, anche d’ufficio. Si precisa che gli avvii di istruttoria che si sono conclusi con risoluzioni sono state inviati all’Agcom, come da regolamento (https://www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/organismi/area-tutela-minori/ atti-del-comitato). 240 The best interest of the child intervenire sul Codice di autoregolamentazione al fine di cogliere il senso del mutamento e delle evoluzioni che hanno investito il mondo dei media, sia nei contesti della produzione e dell’offerta sia in quelli della fruizione dei contenuti14. Nella consapevolezza che la tutela dei minori negli attuali contesti audiovisivi debba avvalersi dell’elaborazione di piani di intervento multistakeholders, guardando alle trasformazioni intervenute dentro e fuori lo schermo televisivo, il Comitato si è reso parte attiva di un progetto culturale di educazione ai media e di rispetto dell’alterità instaurando un proficuo dialogo con diversi soggetti istituzionali. Da qui la partecipazione al Tavolo tecnico di co-regolamentazione per l’adozione di linee-guida in materia di classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi (delibera n. 74/19/CONS), coordinato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni, e al Tavolo Tecnico interistituzionale istituito a seguito dell’entrata in vigore della legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, coordinato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche della Famiglia. In questa prospettiva, si colloca anche il contributo fornito al Ministero per lo Sviluppo Economico in tema di prevenzione e contrasto dei fenomeni di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, tratta dei minori ai fini dello sfruttamento sessuale e pedopornografia. Pur non svolgendo attività dedicate in maniera specifica alla prevenzione e al contrasto di tali fenomeni, il Comitato si fa parte attiva non solo nel rimarcare la nocività di contenuti televisivi che sconfinano nella pedofilia e pedopornografia, ma nell’individuare scelte di programmazione volte a tematizzare il problema e ad evidenziarne la drammaticità anche attraverso campagne di sensibilizzazione15. Le nuove esigenze di tutela del minore richiedono infatti la promozione di attività mirate, supportate da campagne sociali finalizzate a condividere il senso di responsabilità che il tema richiede. 14 La proposta di revisione del Codice, risultato del lavoro di aggiornamento effettuato dal Comitato Media e Minori, al fine di adeguare il testo in vigore alle modifiche intervenute in ambito normativo e tecnologico, è attualmente in fase di valutazione, secondo la procedura prevista all’art. 34, comma 6, d.lgs. n. 177/2005. 15 È questo il caso di Rai Gulp che ha prodotto, insieme alla società Stand by me, la serie “Jams”, la prima serie tv in Europa diretta ai ragazzi sul tema delle molestie sessuali, sostenuta dalla campagna #meglioparlarne. La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 241 In definitiva, l’orientamento che guida l’impegno di un organo come il Comitato tende a recuperare l’importanza di correggere quei difetti di conoscenza che sono alla base dei cattivi utilizzi dei media. Al tempo stesso, l’impegno è diretto a contrastare quel rischio di assuefazione verso modelli di comportamento e stili di comunicazione nocivi per i minori e per l’intera società. Basti pensare al fenomeno dell’hate speech la cui pericolosità si annida tanto nella forma quanto nel contenuto di una comunicazione aggressiva e inappropriata che, ancor più sui minori, può generare l’emulazione. Se l’epoca della convergenza mediale ha spostato molte preoccupazioni verso il web, la complicità tra le varie piattaforme e il radicamento culturale di stili di comunicazione, toni e linguaggi aggressivi o non adeguati ai temi trattati, invitano a non disperdere la riflessione sui media mainstream. Al tempo stesso, occorre evitare il rischio di depotenziare quanto ancora la produzione televisiva è tenuta a fare per diffondere una cultura comunicativa che sappia promuovere conoscenza, rispetto agli altri e al mondo, tutelando la particolarità dei pubblici minorili. Bibliografia Agcom - Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Libro Bianco Media Minori 2.0, gennaio 2018, https://www.agcom.it Agcom - Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Regolamento in materia di classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi, aprile 2018, https://www.agcom.it Aroldi P., Il gioco delle regole: Tv e minori in sei Paesi europei, Milano, 2003 Aroldi P. - Mascheroni G. - Vittadini N., Web Reputation e comportamenti rischiosi online. L’esperienza dei giovani lombardi, Milano, OssCom - Centro di Ricerca sui Media e la Comunicazione Università Cattolica, 2016 Bolter J., Grusin R., Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Alf@net, 2003 Buckingham D., Children and television: A critical overview of the research, in R. Dickinson - R. Harindranath - O. Linne (eds.), Approaches to audiences: a reader, London, 1998 Buckingham D., Children talking television: The making of Television Literacy, London, 1993 Buckingham D., Media Literacy per crescere nella cultura digitale, Roma, 2013 Buckingham D., Né con la Tv, né senza la Tv. Bambini, media e cittadinanza nel XXI secolo, Milano, 2004 Cappello G., Nascosti nella luce. Media, minori e media education, Milano, 2009 242 The best interest of the child Cappello M. (cur.), The protection of minors in a converged media environment, IRIS plus, European Audiovisual Observatory, Strasbourg, 2015 Carlsson U., Children and Youth in the Digital Media Culture, Gothenburg, 2010 Carotti B., La tutela dei minori, in Aa.Vv., La regolamentazione dei contenuti digitali, Roma, 2014 Casetti F. (cur.), L’ospite fisso. Televisione e mass media nelle famiglie italiane, Milano, 1995 Censis-Ucsi, XIV Rapporto sulla Comunicazione. I media e il nuovo immaginario collettivo, 2017 Centorrino M., La rivoluzione satellitare. Come Sky ha cambiato la televisione italiana, Milano, 2007 Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione Media e Minori, Codice di autoregolamentazione Tv e Minori, novembre 2002, https:// www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/organismi/area-tutela-minori Corecom Lazio-Censis, Media consapevoli, genitori responsabili, tutela dei minori, 2015, http://www.censis.it Cortoni I. - Lo Presti V. - Cervelli P., Digital Competence Assessment. A Proposal for Operationalizing the Critical Dimension, in Journal of Media Literacy Education, 7, 2015, p. 46-57 Cortoni I., Save the media. L’informazione sui minori come luogo comune, Milano, 2012 Di Mele L. Rosa A. - Cappello G., Video education, Trento, 2008 Eco U., Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 2003 EU Kids Online, EU Kids Online: findings, methods, recommendations, LSE Publishing, 2014 Ferri P., Nativi digitali, Milano, 2011 Frau-Meigs D., Media Education. A Kit for Teachers, Students, Parents and Professionals, UNESCO, 2007 Gavrila M., La crisi della Tv. La Tv della crisi. Televisione e Public Service nell’eterna transizione italiana, Milano, 2010 Gianotti M., La Tv al tempo del Web 2.0, Roma, 2012 Hovious A., Toward a socio-contextual understanding of transliteracy, in Reference Services Review, 1, 2018 IT Media Consulting-Centro di Ricerca DREAM Università Luiss Guido Carli, Il video e la terza rivoluzione di Internet. Tendenze di mercato e prospettive di policy, giugno 2016, http://www.itmedia-consulting.com Jenkins H., Cultura convergente, Santarcangelo di Romagna, 2007 Lull J., Inside family viewing. Ethnographic research on television audiences, London, 1990 Marangi M., Quale media education per l’infanzia?, maggio 2018, https://publicatt.unicatt.it Mascheroni G. - Olafsson K. - Net children go mobile - Il report italiano, Milano, 2015 La tutela del minore nell’ambito del Codice di autoregolamentazione 243 Masterman L., Teaching about television, London, 1980 McQuail D., Sociologia dei media, Bologna, 2007 Morcellini M. - Mulargia S., Giovani, tecnologia e formazione. Processi di autosocializzazione e segregazione del senso, in In-formazione. Studi e ricerche su giovani, media e formazione, V, 9, 7-14, 2012 Morcellini M., La scuola della modernità. Per un manifesto della media education, Milano, 2004 Morcellini M., La tv fa bene ai bambini, Roma, 2005 Morcellini M., Passaggio al futuro. Formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, Milano, 1997 Morley D., Family television: cultural power and domestic leisure, London, 1986 Nielsen, Nielsen Global Survey Report, Global Millenials, 2016, http://www. nielsen.com Pacelli D., I bambini e la televisione. Un percorso di socializzazione fra esperienze ed immagini, Roma, 1993 Pacelli D., Nuove espressioni di socialità. Dal reale al virtuale: il reticolo delle esperienze giovanili, Milano, 2004 Parola A., Le trappole del verosimile. Tv dei ragazzi e qualità: analisi e proposte, Milano, 2009 Pulcini E., Click tv. Come Internet e il Digitale cambieranno la Televisione, Milano, 2006 Rivoltella P.C., Media education: idea, metodo, ricerca, Brescia, 2017 Rumi C., Offerta televisiva e codici di regolamentazione: gli attori del controllo, in D. Pacelli (cur.), Contesti di comunicazione. Prospettive teoriche e campi di intervento, Roma, 2011, p. 129-146 Sigismondi P., La glocalizzazione digitale dell’audiovisivo. Nuovi paradigmi nel panorama mondiale, Milano, 2011 Tomassini L., Internet@TV. Dalla televisione alla retevisione, Milano, 2011 Veen W. - Vrakking B., Homo zappiens. Crescere nell’era digitale, Roma, 2010 Wolton D., Penser la communication, Paris, 1997 Il libro bianco Media e minori: l’età del consenso digitale tra consapevolezza e responsabilità Giulio Votano Come responsabile della linea di attività “tutela dei minori” dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonostante la mia formazione giuridica, a valle di un intervento più specificamente giuridico come quello del prof. Benedetti, sposterò l’asse dell’attenzione sull’incrocio fra il versante giuridico e il fenomeno socio psicologico, proprio attraverso l’illustrazione del Libro Bianco che dà il titolo al mio intervento. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che come denuncia il nome è l’autorità di regolazione e di garanzia dell’attività di comunicazione, è chiamata, dalla sua legge istitutiva, anche a vigilare e a garantire le norme a tutela dei minori nella comunicazione: in origine la competenza volgeva alla comunicazione radio-televisiva, perché la legge istitutiva è del ‘97. La legge istituisce un’autorità convergente, cioè parte dal presupposto dell’indifferenza tecnologica delle piattaforme rispetto all’attività di comunicazione, ma nello specifico limita in base alla formulazione della norma il campo di applicazione della funzione di tutela del minore alla comunicazione radio-televisiva. Con l’evoluzione tecnologica delle comunicazioni, tuttavia, questa limitazione sembra posta in discussione e l’Autorità si è interrogata già dal 2013 in che termini dovesse orientare questa attività di protezione del minore ad ampio raggio, anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione, rispetto alle nuove declinazioni della comunicazione. La panoplia normativa di cui dispone per svolgere le sue funzioni di garante e regolatore, infatti, è un apparato che risente fortemente della sua derivazione da un contesto comunicativo analogico, ossia di comunicazione unidirezionale, comunicazione sociale in senso tradizionale, svolta attraverso mezzi radio-televisivi, per l’appunto, analogici. 246 The best interest of the child Di fronte alla progressiva digitalizzazione, e alla conseguente progressiva interattività della comunicazione, anche soltanto radiotelevisiva, ci si è posti il problema dell’insufficienza, se non inadeguatezza, degli strumenti di tutela tradizionali e l’Autorità ha elaborato, mediante l’affidamento a un centro di ricerca sociale, già nel 2013 un primo Libro Bianco sul rapporto tra media e minori1. Da questa prima ricerca, nell’interlocuzione con minori – ed è opportuno sottolineare come sia non corretto utilizzare il termine “minore”, perché in realtà dovrebbe evidenziarsi la “maggiore” esigenza di tutela e protezione dei soggetti in età evolutiva – delle due grandi fasce di età, i bambini, intendendo come tali i soggetti fino a 12 anni, e gli adolescenti, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, sono emersi chiaramente, da un lato, uno stato di forte avanzamento nell’utilizzo delle tecnologie di comunicazione, con una propensione notevole all’impiego delle nuove tecnologie comunicative, con la famosa espressione “nativi digitali”, e d’altro lato l’inadeguatezza di un apparato di tutela basato esclusivamente sul controllo e la censura di comportamenti violativi da parte dei soli operatori di comunicazione radio-televisiva tradizionale. Ad esito del primo libro bianco, l’Autorità ha inteso riesaminare il tema del consumo mediatico dei soggetti in età evolutiva e il conseguente rapporto di essi con i media, e nel 2016 ha elaborato uno studio centrato su una analisi diversificata del consumo, basata sull’evidenza che se i bambini tendono ad essere più consumatori di comunicazione audiovisiva tradizionale, gli adolescenti diventano fruitori, consumatori, e, vedremo, anche produttori, di comunicazione sui nuovi media. Questo studio – che per tutti coloro che fossero interessati è disponibile sul sito istituzionale dell’Autorità www.agcom.it2 – si è articolato su una rassegna delle evidenze scientifiche tratte della letteratura scientifica internazionale, una analisi del quadro normativo e delle sue modificazioni, e una rappresentazione delle evoluzioni del contesto 1 Disponibile sul sito web di AGCOM all’indirizzo https://www.agcom.it/documentazione/ documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_ls3TZlzsK0hm&p_p_ lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_ ls3TZlzsK0hm_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_ ls3TZlzsK0hm_assetEntryId=923415&_101_INSTANCE_ls3TZlzsK0hm_type=document 2 Disponibile sul sito web di AGCOM all’indirizzo https://www.agcom.it/documentazione/ documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_ls3TZlzsK0hm&p_p_ lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_ ls3TZlzsK0hm_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_ ls3TZlzsK0hm_assetEntryId=9340369&_101_INSTANCE_ls3TZlzsK0hm_type=document Il libro bianco Media e minori 247 comunicativo, e infine sulla somministrazione di due questionari, uno ai genitori dei bambini dai 4 ai 12 anni, l’altro agli adolescenti dai 13 ai 17 anni. L’analisi della letteratura scientifica internazionale ha individuato tutta una serie di elementi critici, cioè il fatto che comunque gli adolescenti o i pre-adolescenti manifestano un comportamento caratterizzato da quello che si sintetizza nell’espressione “always on”, cioè una tendenza ad essere permanentemente connessi. In altri termini la trasformazione e la digitalizzazione dei contenuti, la progressiva possibilità di interazione, hanno socializzato la comunicazione, non in senso tradizionale di “comunicazione sociale”, ma in senso individuale, inducendo l’esigenza di essere ever connected, sempre connessi. Con la non irrilevante conseguenza dello sviluppo di patologie che noi, inguaribili anglofili, sintetizziamo nell’acronimo FOMO (Fear of Missing Out), che designa quelle patologie legate al terrore di perdere qualche cosa, attraverso la perdita della connessione. La letteratura scientifica, inoltre, identifica tutta una serie di emergenze come derivanti da questa evoluzione tecnologica, vale a dire la diffusione di comportamenti, che poi il legislatore ha in qualche modo e in alcuni casi provveduto a individuare e sanzionare: il cyberbullismo, con le sue declinazioni ulteriori tipo cyberstalking; i contenuti lesivi e la lesività esponenziale dei contenuti generati dagli utenti, users generated content che diventano fatalmente negative users generated content, e che, trovano un archetipo nell’hate speech, cioè in quella comunicazione offensiva, violenta e discriminatoria; ancora, una serie di pericoli legati all’attività sessuale, in quanto la socializzazione della comunicazione ha prodotto una serie di comportamenti legati alla sfera sessuale, come il sexting, lo scambio di comunicazioni a contenuto sessuale che resta virtuale e non si materializza, ossia una sorta di sessualizzazione della comunicazione online; il grooming, che è invece l’utilizzazione della comunicazione sociale per adescamento ed esercizio di abusi offline. Senza spingersi fino alla pedopornografia, che è chiaramente identificata, individuata e sanzionata dal sistema penale interno e internazionale, si danno molteplici graduazioni di comportamenti pericolosi che, nondimeno, risultano di difficoltosa individuazione, e di complessa repressione. Le evidenze della letteratura scientifica mostrano la necessità di superare il sistema tradizionale di tutela, cioè il sistema censorio: lo schema repressivo non può funzionare di fronte a una comunicazione fluida 248 The best interest of the child e tendenzialmente anarchica, qual è quella attraverso la rete. L’individuazione delle caratteristiche della comunicazione e dei conseguenti comportamenti ha comportato, attraverso l’analisi del quadro normativo, l’evidenziazione della pochezza degli strumenti a disposizione, limitando ovviamente la portata dell’affermazione all’ambito amministrativo, perché gli strumenti civilistici e penalistici esulano dall’ambito di inferenza e competenza dell’Autorità. L’insufficienza degli strumenti a disposizione dell’autorità che dovrebbe regolare e governare il settore della comunicazione, le sollecitazioni a livello transnazionale ed europeo, lo studio dell’efficacia di nuovi strumenti di protezione, che vadano oltre alle tutele in senso tradizionale, vale a dire gli strumenti dell’autoregolamentazione e della coregolamentazione, riconducono ai suggerimenti dell’intervento finale del professor Benedetti, educazione, sorveglianza, e quindi consenso digitale a quattordici anni; ma pongono insieme anche alcuni interrogativi: chi bisogna educare? Il genitore, il figlio, gli educatori? Di sicuro, le carenze del quadro normativo e degli strumenti attualmente a disposizione mostrano l’esigenza fondamentale di una educazione all’uso dei media; e qui è utile qualche cenno all’esito delle ricerche senza entrare nel merito e nel dettaglio dei dati che sono disponibili sul sito, per chi volesse approfondire. Le ricerche contenute nel Libro Bianco sull’uso e la fruizione della comunicazione sono due, una relativa ai bambini e l’altra agli adolescenti. Il questionario, somministrato attraverso un sistema di web survey, cioè di interlocuzione informatica, nel caso dei bambini è stato indirizzato ai genitori, quello sugli adolescenti invece direttamente agli adolescenti stessi. Cosa emerge da entrambe le ricerche? Anzitutto, si è sfumata la distinzione fra nativi digitali, i bambini e gli adolescenti, e immigranti digitali, gli adulti; gli adulti tendono ad essere più alfabetizzati, sono addirittura utenti essi stessi dei mezzi e anche dei social network. Il punto critico è che sia nell’analisi delle risposte che hanno fornito direttamente i genitori, sia nella percezione che ne hanno riportato gli adolescenti, questi genitori risultano paradossalmente sprovveduti: pongono delle regole, sicuramente più precettive per i bambini e più dialettiche per gli adolescenti, ma gli stessi genitori sono i primi a violare le norme che hanno stabilito. Per esemplificare: impongono di non comunicare con gli sconosciuti, la trasposizione contemporanea del “non accettare le caramelle dagli sconosciuti” delle vecchie generazio- Il libro bianco Media e minori 249 ni; di non diffondere le proprie immagini o postare fotografie proprie o della famiglia; e all’atto pratico, risulta che sono essi stessi i primi a postare sui social le fotografie dei propri figli. La controprova è nei dati raccolti: gli adolescenti rispondono: “posto le mie immagini per informare e divertire i miei amici”, “sono consapevole della visibilità del mio profilo Facebook”. Sono previsti successivi interventi sul tema, e sperando di non anticiparli o contraddirli, dalla ricerca del Libro Bianco emerge che gli adolescenti sono consapevoli di cosa significhi “profilo aperto”, di come graduare la privacy del proprio profilo; e al contempo, il 50% degli adolescenti è estremamente infastidito dal fatto che i propri genitori postino le fotografie che li ritraggono, ritenendolo pericoloso per il 25% e inopportuno per l’altro 25%. Altro dato fenomenico interessante è relativo al questionario per i bambini: i genitori rispondenti sanno che i bambini sono soggetti di età compresa tra i 4 e i 12 anni; per un complessivo 50%, i genitori sono al corrente del fatto che il limite di iscrizione a Facebook è 13 anni, oppure ritengono che il limite sia di 15 anni e contestualmente sono consapevoli che i propri figli tra i 9 e i 12 anni, in particolare, sono iscritti a Facebook con il proprio profilo, dando per scontato che il fatto sia chiaramente contrario a una regola. Ci si riferisce a una policy di cui si ignorano la verifica, l’applicazione e le conseguenze di applicazione, e sulla cui validità ed efficacia possono esprimersi le più ampie riserve; tuttavia, è un dato di fatto che la regola sia sistematicamente disattesa e con la consapevolezza di questi genitori. Genitori, appunto, che nel 64% dei casi del questionario dei bambini sono iscritti entrambi a Facebook, e tuttavia non sanno, ad esempio, che cosa significhi avere il profilo aperto. Che hanno posto una serie di prescrizioni, ma che si trovano molto più a loro agio nel prescrivere comportamenti di fruizione del mezzo televisivo, che del consumo mediale dei bambini costituisce quota cospicua ma non esclusiva. Il consumo televisivo dei bambini, infatti, va un po’ stabilizzandosi, in calo rispetto a un incremento del consumo dei new media: con un riferimento approssimativo, il 90% dei bambini vede la televisione tutti i giorni, ma gli stessi bambini, complessivamente dai 4 ai 12 anni, nel 65% dei casi si connettono a internet, e nella fascia 9-12 nel 46% fanno navigazione solitaria. A fronte di tale tipologia di consumo, l’utilizzo di strumenti di controllo ex post, come controllare la password o la cronologia, ha efficacia decisamente limitata rispetto all’impiego di app o dei programmi di filtraggio dei contenuti. 250 The best interest of the child Qualche ulteriore spunto sulle informazioni del Libro Bianco “Media e minori”. Come già detto, il “mondo bambini” si è concentrato sul media tradizionale con qualche incursione nell’ambito dei new media, mentre per gli adolescenti – considerato che il 98,9% è munito di smartphone fornito autonomamente fin dall’età di dodici anni, e il 97% fruisce di una connessione internet – è risultato interessante esaminare il tipo di approccio: a titolo di esempio, per quanto riguarda la ricerca di informazione gli adolescenti si informano sul media digitale per quasi la metà, nel senso che l’informazione la cercano o la controllano attraverso media esclusivamente digitali; soltanto il 20% fa fact checking sui media tradizionali, cioè cartacei o audiovisivi. Per quanto riguarda l’autopercezione del consumo dei media, il 53% si rende conto di rientrare in una definizione di asocialità della rete, nel senso che ha consapevolezza di avere dei comportamenti che denotano una socialità conseguente all’uso della rete, come preferire di essere online piuttosto che uscire con gli amici, nascondere ai genitori la durata del tempo di connessione, comunicare meglio online piuttosto che vis à vis, non sapere cosa fare senza internet, e emozionarsi di più attraverso la rete rispetto all’emozione fisica. E questo è un dato di evidenza sociopsicologica che però preoccupa, perché evidentemente sollecita delle risposte, sia in termini sociali, sia in termini giuridici. Rispetto al comportamento di fruizione dei media digitali, la survey mostra quattro categorie di adolescenti: la maggioranza, il 53%, con prevalenza del genere femminile, ha un tipo di approccio piuttosto conservativo, nel senso che subisce un po’ passivamente la comunicazione, utilizza il mezzo sociale per comunicare con gli amici e aggregare eventualmente le notizie. All’estremo opposto, si trova un 5% completamente fuori controllo, nel senso che non ha guida da parte degli adulti ed è autodeterminato e lasciato solo con lo smartphone; il residuo 42% circa si spartisce fra due categorie: i prosumer e i web addicted dei contenuti. I primi sono prevalentemente di genere maschile e sono i più attivi, nel senso che sono producer and consumer, cioè tendono a fare comunicazione attraverso il social e sono non proprio potenziali hacker, ma estremamente consapevoli del mezzo, dei limiti, dei pericoli. Per esempio, sono i maschi che sottovalutano il sexting, che viene percepito come pericoloso dal 59% delle donne, delle ragazze e dal 43% dei ragazzi invece. L’ultima categoria sono i web addicted dei contenuti, molto attivi, ma solo sul piano della gestione dei contenuti, user generated content e mes- Il libro bianco Media e minori 251 sa in linea e ricerca dei contenuti: sono quasi altrettanto consapevoli delle potenzialità e dei rischi del mezzo ma meno, diciamo meno preoccupati, i più avvertiti sono il 20% dei prosumer. E allora per concludere, il tema resta aperto: a fronte di questo panorama di consumo mediale, se è vero che il legislatore ha fissato in 14 anni la soglia di età per l’autodeterminazione digitale, a mio parere non è così netta l’affermazione per cui ormai la responsabilità si sposta esclusivamente sui ragazzi come utenti del social media system. Sussiste ancora, comunque, una responsabilità sociale, e insieme la necessità di individuare un sistema educativo, formativo, che coinvolga tutti, ossia non sia limitato ai soli genitori o ai soli minori. Grazie. parte iii L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia L’interesse del minore alla propria famiglia: un interesse ancora in attesa di piena tutela Cesare Massimo Bianca Sommario: 1. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia. – 2. L’interesse essenziale del minore al legame affettivo con i suoi genitori e la sua talvolta disconosciuta prevalenza rispetto ad altri interessi. – 3. L’allontanamento del minore motivato dalle condizioni di indigenza della famiglia quale violazione dal suo diritto fondamentale alla famiglia. – 4. L’obbligo di intervento dello Stato in aiuto dei genitori indigenti. – 5. Non azionabilità di fatto del diritto all’aiuto economico e necessità di una normativa di attuazione che renda operativo l’obbligo sancito a carico delle istituzioni pubbliche. 1. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia L’interesse del minore alla propria famiglia è oggetto del diritto sancito dalla legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, e solennemente riaffermato dalla legge di revisione del 24 aprile 2001, n. 150, rubricata Diritto del minore ad una famiglia. Il diritto è stato poi incluso dal codice civile nello statuto dei diritti del figlio (art. 315 bis2). Non si dubita che il diritto di crescere in famiglia sia un diritto soggettivo assoluto, tutelato nella vita di relazione contro qualsiasi fatto doloso o colposo che sottragga il minore al suo nucleo familiare. Ma oltre che nei confronti della generalità dei consociati il diritto di crescere nella propria famiglia è un diritto nei confronti dello Stato. Nei confronti dello Stato il diritto del minore si distingue in diritto di rispetto, cioè come diritto al rispetto del proprio rapporto familiare, e come diritto di solidarietà, cioè come diritto a ricevere l’assistenza necessaria per realizzare l’interesse a restare in famiglia. 256 The best interest of the child Che il diritto del minore nei confronti dello Stato sia un diritto soggettivo dev’essere riconosciuto con tutta fermezza. Si tratta, precisamente, di un diritto della personalità. 2. L’interesse essenziale del minore al legame affettivo con i suoi genitori e la sua talvolta disconosciuta prevalenza rispetto ad altri interessi Nella sua nuova rubrica la legge sull’adozione designa il diritto di cresecere in famiglia come diritto del minore ad una famiglia mentre nel testo lo designa come diritto del minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia (art. 1). In dottrina è stato puntualizzato che il minore ha diritto alla propria famiglia e subordinatamente, quando questo diritto non può realizzarsi, ha il diritto ad una famiglia, cioè il diritto ad un nuovo nucleo familiare, per ritrovare ciò che non ha potuto trovare nella propria famiglia1. Ma che cosa il minore deve ritrovare? Ossia, qual è l’interesse del minore alla propria famiglia? Già dall’esperienza della realtà sociale si evince che l’interesse del minore a crescere in famiglia è l’interesse al legame affettivo che lo unisce ai suoi genitori. Non a caso la normativa dell’adozione prescrive come necessario requisito degli adottanti e degli affidatari familiari la capacità affettiva: questo requisito è prescritto perché ciò che il minore deve ritrovare nel nuovo nucleo familiare è l’affetto dei suoi genitori. S’intende allora come il diritto del minore di crescere in famiglia sia un diritto della personalità, in quanto tutela un interesse essenziale dell’essere umano nel tempo della sua formazione, e come il legame con i genitori debba essere salvaguardato comunque fin che non s’imponga la tutela di un preminente interesse del minore, come l’interesse a non essere oggetto di violenza. Di ciò appare ben consapevole la giurisprudenza della Cassazione, che ammette l’allontanamento del minore dalla propria famiglia solo quale extrema ratio. Talvolta tuttavia qualche giudice non ha inteso che il migliore interesse del minore è quello di vivere l’amore dei genitori e ha dato prevalenza all’interesse del minore a non subire condizioni precarie e carenti capacità di cura dei genitori. In un noto caso una bambina fu 1 M. Bianca, Il diritto alla famiglia, in La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Roma 2019, p. 241. L’interesse del minore alla propria famiglia 257 tolta definitivamente ai suoi genitori giudicati inidonei per la loro età a curare adeguatamente la figlia. In motivazione la sentenza dichiarò di aver fatto leva su altre ragioni ma la Cassazione ebbe ad accertare che la ragione preminente presa in considerazione era quella dell’anzianità dei genitori2. È poi noto il caso della condanna subito dall’Italia da parte della CEDU per aver definitivamente tolto un figlio alla sua affezionata madre, colpevole di non essere in grado di prendersi piena cura di lui3. Questo caso è particolarmente significativo in quanto i nostri giudici nel decidere di levare il figlio alla madre avevano tenuto in conto anche la disagiata condizione economica di essa. * La relazione illustrativa della proposta di legge sulla prevenzione degli allontanamenti dei minori dalle loro famiglie, presentata il 31 luglio 2019 dai deputati Ascari e altri, riporta i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza in cui si rileva come sia stato osservato “che in un grande numero di casi l’allontanamento coattivo del minore è determinato dalla situazione di indigenza economica della famiglia”. 3. L’allontanamento del minore motivato dalle condizioni di indigenza della famiglia quale violazione dal suo diritto fondamentale alla famiglia L’allontanamento del minore dalla propria famiglia è giustificato e necessario solamente quando egli si trovi in una situazione di abbandono, quando cioè non riceve dai suoi genitori o dai parenti tenuti a provvedervi l’adeguata assistenza morale e materiale. La mancanza della sola assistenza materiale non integra la situazione di abbandono e l’adozione o l’affidamento familiare di un minore che abbia con i genitori un significativo rapporto affettivo costituiscono violazione del suo diritto di crescere nella propria famiglia e sono pertanto, oltre che illegittimi, illeciti. L’assistenza materiale è certamente una condizione necessaria di vita del minore ma la carenza di essa dovuta all’indigenza della famiglia non può essere rimediata togliendo il figlio ai suoi genitori. 2 Vedi Cass., 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro it. 2017, I, 317, con mia nota. 3 Sentenza del 21 gennaio 2014 (Zhou c. Italia), in Minori giustizia, 2014, p. 268, con n. di F.P. Occhiogrosso. 258 The best interest of the child Piuttosto, ai sensi della Costituzione, lo Stato deve intervenire, “anche con misure economiche” affinché la famiglia sia agevolata nell’adempimento dei suoi compiti (art. 301). Il dovere di intervento dello Stato, sanzionato dalla Costituzione, è stato ribadito e specificato dalla legge sull’adozione, che ha proclamato il principio secondo il quale “le condizioni di indigenza dei genitori […] non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”. Nell’ambito delle proprie competenze – prosegue la norma – sono lo Stato, le Regioni e gli enti locali che devono disporre, nei limiti delle riserve finanziarie disponibili, idonei interventi a favore dei nuclei familiari a rischio “al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia”4. 4. L’obbligo di intervento dello Stato in aiuto dei genitori indigenti In mancanza di una normativa di attuazione è tuttavia rimasto aperto il problema della sorte dei minori quando le famiglie non sono in grado di mantenerli. I tentativi di sminuire il problema o addirittura di negarne l’esistenza sono smentiti dai dati dell’esperienza, che depongono invece per una larga incidenza dell’indigenza della famiglia sui provvedimenti di affidamento familiare o di collocazione presso strutture di accoglienza5. Tenuti ad erogare alla famiglia l’aiuto economico occorrente per evitare l’allontanamento del minore, sono gli enti locali: ma se essi non provvedono i nostri giudici si astengono dall’adottare provvedimenti di condanna. 4 Di tale disposizione deve darsi merito all’allora Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco. 5 La realtà di molte famiglie che non sono in grado di mantenere i propri figli, è innegabile. Durante i lavori della Commissione nominata nel settembre 2006 dall’allora Ministro per le Politiche della famiglia, Rosy Bindi, un suo autorevole membro. Piercarlo Pazè, ebbe ad osservare: difficoltà materiali negate in teoria sono in concreto una delle cause dei ricoveri assistenziali così costosi per la collettività e così dannosi per i bambini. E la situazione oggi è in crescendo per: a) la presenza delle famiglie straniere, le più povere; b) l’aumento delle famiglie monogenitoriali (mamme che, per poter lavorare, si fanno mettere il figlio in istituto); c) il costo degli alloggi (molti ricoveri conseguono a situazioni abitative gravemente inadeguate)” (dai verbali della Commissione). L’interesse del minore alla propria famiglia 259 La mancata condanna degli enti locali è giustificata in dottrina in base all’assunto che la famiglia non ha un diritto soggettivo all’aiuto economico necessario per il mantenimento della prole6. In tal senso si trae argomento dalla generica formulazione della menzionata norma della legge sull’adozione, e dalla riserva, ivi contenuta, della disponibilità finanziaria. Per cui dovrebbe parlarsi di una disposizione meramente programmatica. In contrario è stata rilevato che l’obbligo di aiuto alla famiglia non è subordinato alla discrezionalità dell’Amministrazione, che può solo addurre la mancata disponibilità finanziaria7. Va poi osservato che l’interesse del minore, come si è visto, è un interesse essenziale della persona e come tale oggetto di un diritto fondamentale già ai sensi dell’art. 2 Cost. L’erogazione dell’aiuto alla famiglia per prevenire l’abbandono del figlio non è quindi un atto meramente discrezionale ma attuazione di un diritto fondamentale del minore. La tutela giurisdizionale di questo diritto può incontrare solo il limite della indisponibilità finanziaria degli enti locali. 5. Non azionabilità di fatto del diritto all’aiuto economico e necessità di una normativa di attuazione che renda operativo l’obbligo sancito a carico delle istituzioni pubbliche Come si è rilevato, la giurisprudenza nega tuttavia l’azionabilità del diritto all’aiuto economico. In mancanza di una disciplina di attuazione dell’art. 1 della legge sull’adozione l’obbligo ivi sancito a carico 6 G. Sciancalepore, Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino - P. Stanzione (cur.), Le adozioni nella nuova disciplina. L. 28 marzo 2001, n. 149, Milano, 2001, p. 36, il quale nega che si possa parlare di un diritto soggettivo del minore alla famiglia, considerate, tra l’altro, la “preoccupante ‘gestione’ del momento patologico e rimediale”, e la complessità della situazione del minore che “abbisogna di essere efficacemente raccordata al ruolo della potestà dei genitori”. Occorrerebbe piuttosto un “mutamento di prospettiva […] che dismetta una logica descrittiva, unicamente sensibile a profili strutturali, accedendo, così, ad una ricognizione dinamica, come tale rispettosa degli interessi sottesi alla singola ipotesi di fatto”. La configurabilità di posizioni di diritto soggettivo è messa in dubbio dalla A. Gorgoni, in Adozione nazionale. L. 28 marzo 2001, n. 14 (‘Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario a, in Nuove leggi civ., 2002, p. 775. 7 La Lombardia è l’unica Regione, per quanto mi consta, che ha emanato disposizioni di attuazione della norma della legge sull’adozione relativa al diritto del minore di crescere nella propria famiglia: cfr. la l. R. 14 dicembre 2004, n. 34. 260 The best interest of the child dell’istituzioni pubbliche è destinato a rimanere un’enunciazione astratta8. Al fine di rendere operativo tale obbligo occorre pertanto che la disciplina di attuazione venga emanata. Questa disciplina dovrà in primo luogo prevedere la costituzione di un fondo, che, meglio utilizzando le risorse disponibili, consenta agli enti locali di intervenire specificamente nei casi segnalati dai tribunali per i minorenni (v. l’art. 79 bis. l. adoz.). Bibliografia Bianca M., Il diritto alla famiglia, in La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Roma 2019, p. 241. Finessi A., Il ‘diritto del minore ad una famiglia’: per una prima lettura della nuova disciplina dell’affidamento e dell’adozione, in Studium iuris, 2001, p. 775 Gorgoni A., in Adozione nazionale. L. 28 marzo 2001, n. 14 (‘Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), in Nuove leggi civ., 2002, p. 775. Sciancalepore G., Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino - P. Stanzione (cur.), Le adozioni nella nuova disciplina. L. 28 marzo 2001, n. 149, Milano, 2001, p. 36 8 Sulla temuta inoperatività della legge riguardo al diritto del minore alla propria famiglia, in mancanza di norme di attuazione, vedi già A. Finessi, Il ‘diritto del minore ad una famiglia’: per una prima lettura della nuova disciplina dell’affidamento e dell’adozione, in Studium iuris, 2001, p. 775. Una riflessione su “l’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia” Enrico Quadri Sommario: 1. Interesse del minore e relazione familiare. – 2. Il problema degli assetti relazionali preferibili in vista della realizzazione dell’interesse del minore. – 3. Impianto della disciplina dell’affidamento e dell’adozione e prospettive di riforma. 4. I nuovi assetti relazionali e le esigenze di intervento legislativo. 1. Interesse del minore e relazione familiare Dalla lettura del programma del Convegno, risulta chiaro come l’obiettivo che si è inteso perseguire sia quello di fare il punto, per così dire a tutto tondo, sulla situazione del minore, quale emerge dall’attuale complessivo sistema ordinamentale, in una prospettiva, ad un tempo, nazionale e sovranazionale. E ciò, evidentemente, non a scopo meramente ricognitivo, ma al fine di verificare la reale adeguatezza del sistema stesso – ovviamente sempre da cogliere nella sua concreta operatività – a governare le tensioni che caratterizzano la nostra società e a soddisfarne le istanze emergenti, anche con la prospettazione di eventuali possibili correttivi di carattere normativo. In un simile contesto di enucleazione dei nodi problematici e delle criticità della materia, una posizione centrale è destinata inevitabilmente ad assumere l’indagine avente ad oggetto la realizzazione dell’interesse del minore in quella sua dimensione relazionale, il naturale luogo di sviluppo della quale, pare quasi inutile sottolinearlo, è rappresentato dall’esperienza di vita familiare. Il titolo stesso della sessione cui più immediatamente si riferiscono le presenti considerazioni sembra intenzionalmente evocare, al riguardo, l’ottica fatta dichiaratamente propria dal legislatore in sede di incisiva riforma dell’affidamento e dell’adozione nel 2001. Ottica sintetizzabile, appunto, in quel “diritto del minore ad una 262 The best interest of the child famiglia”,, significativamente senz’altro assunto, allora, quale intitolazione della disciplina dell’intera materia in questione: diritto che trova solido fondamento nell’art. 30 della nostra Costituzione, pure – sembra qui il caso di sottolinearlo – con esplicito riferimento alle situazioni patologiche eventualmente coinvolgenti l’esistenza della famiglia. La formula impiegata da chi ha organizzato il Convegno per individuare l’ambito tematico della sessione cui si è fatto dianzi cenno, che si esprime in termini di diritto del minore a crescere in famiglia, vale a delineare un programma di lavoro che pare, invero, collegare assai strettamente la sessione medesima soprattutto a quella, pure prevista, intitolata a l’interesse del minore e i nuovi modelli familiari. In effetti, se il perseguimento dell’obiettivo della realizzazione del diritto del minore a crescere in famiglia, impone di riflettere preliminarmente su quale sia la famiglia da reputare a ciò idonea, sembra necessario, ancor prima, fissare quello che deve essere assunto quale punto assolutamente fermo in materia. L’allusione, ovviamente, è alla prospettiva della centralità dell’interesse del minore, che ha finito col rappresentare, nello sfarfallamento se non, come talvolta si è detto, nella disarticolazione e frantumazione dell’idea medesima di famiglia, l’unico concepibile centro di gravità, intorno al quale far ruotare ogni tentativo di organizzare giuridicamente le dinamiche sociali in materia familiare. Non a caso, è ormai da tempo significativamente corrente parlare, anche da noi, di un diritto di famiglia divenuto puerocentrico, in quell’ordine d’idee, cioè, che Jean Carbonnier chiaramente già indentificava quale linea di tendenza dell’ordinamento commentando gli esiti delle riforme francesi degli anni 70, al contempo, peraltro, denunciando il pericolo di utilizzare il riferimento all’interesse del minore nei termini di una sorta di formula magica: con questo anticipando le non certo infondate perplessità che tendono a riproporsi riguardo ad una nozione, come sottolineava sempre l’autore, indubbiamente sfuggente, in quanto come, non si manca pure di recente diffusamente di evidenziare, circonfusa da una certa aura di indeterminatezza, se non, per dirla più crudamente, di confusa ambiguità di significati. Al di là di ogni possibile dubbio, comunque, su di una portata minima del senso da attribuire ad una simile angolazione sotto cui guardare all’insieme delle relazioni familiari nella loro complessità pare consentito convenire. Qualsiasi ipotetico diritto degli adulti al figlio, tanto nel contesto della filiazione biologica, quanto nella sua eventuale L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia 263 attuazione attraverso l’istituto dell’adozione o le potenzialità dischiuse dalla procreazione medicalmente assistita, non dovrebbe poter essere inteso se non quale strumento di opportuna realizzazione, appunto, dell’interesse del minore coinvolto nelle loro decisioni, attraverso la sollecitazione di comportamenti degli adulti stessi a ciò adeguatamente funzionali. 2. Il problema degli assetti relazionali preferibili in vista della realizzazione dell’interesse del minore Circa l’individuazione, poi, di quale sia la famiglia cui considerare riferito il diritto del minore a crescervi, il nostro legislatore, in armonia, del resto, con le direttive prevalenti in proposito anche a livello sovranazionale, non ha avuto dubbi ad indicare quale luogo elettivo di realizzazione dell’interesse del minore la propria famiglia, quella, cioè, di origine, eventualmente intesa anche in una dimensione allargata, secondo la condivisibile prospettiva che tende ad allargare la sfera soggettiva cui conferire rilevanza in materia familiare, quando si tratta di assicurare una migliore tutela ad interessi fondamentali legati allo sviluppo della personalità dei suoi membri e, in particolare, appunto, dei minori. Famiglia da promuovere, quindi, nella sua funzionalità e comunque da salvaguardare, nelle situazioni di difficoltà (e, forse, soprattutto in esse), nelle sue residue potenzialità formative. Di qui, quella gradualità degli eventuali interventi a salvaguardia dell’interesse del minore, la quale non può che costituire la prospettiva da privilegiare: gradualità che, nell’imporre, in prima battuta, come doverosi adeguati interventi di sostegno e di aiuto nei riguardi, appunto, della famiglia di origine, ha finito, purtroppo, col dover fin qui fare i conti, pare inutile nasconderlo trattandosi di questione anche troppo nota, con la concordemente lamentata inadeguatezza dei mezzi economici concretamente disponibili a tal fine. Peraltro, proprio in relazione all’attuazione di una tale ottica di gradualità degli interventi finalizzati alla migliore realizzazione dell’interesse del minore, non si può fare a meno di segnalare un aspetto talvolta trascurato della materia. Nella declinazione dell’interesse del minore, chi viene chiamato a delinearne i contenuti e gli strumenti realizzativi, sia esso il legislatore o il giudice, deve necessariamente (e doverosamente) operare sulla base di una ponderata riflessione circa 264 The best interest of the child gli apporti delle scienze relazionali. Ma proprio tali scienze non mancano, nel loro inevitabile rapportarsi con l’’incessante divenire delle dinamiche sociali, di prospettare ricostruzioni nel tempo via via (anche notevolmente) differenti del best interest del minore e delle relative più opportune modalità realizzative. Il senso di un simile assunto può essere esemplarmente verificato con riferimento alle risposte da dare alla questione della opportunità o meno della moltiplicazione dei riferimenti relazionali ed affettivi del minore stesso, anche al di là, quindi, del soddisfacimento della, indiscutibilmente difficilmente contestabile, esigenza di bigenitorialità. Bigenitorialità, peraltro, che non ha mancato di essere, a sua volta, significativamente intesa secondo curvature marcatamente differenti, in particolare con riguardo a problematiche per definizione delicate, come quella concernente la regolamentazione delle relazioni personali ed economiche in vista di una migliore realizzazione dell’interesse del minore coinvolto nella crisi familiare. E ciò, reiteratamente, pure in tempi vicini, come dimostra la persistentemente manifestata fondata o meno che voglia ritenersi insoddisfazione per la relativa disciplina vigente (e la sua applicazione), con la conseguente, anche insistente, invocazione, attraverso conseguenti iniziative legislative, di riforme ancora assai recenti. Anche se, in proposito, può ritenersi sussistente un generalizzato consenso sul ruotare la questione, in estrema sintesi, intorno alla necessità di garantire quella continuità del rapporto parentale che, già sicuramente imposta dall’art. 301 della nostra Costituzione, risulta fortemente valorizzata tanto dall’art. 93 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (ratificata con la l. 27 maggio 1991, n. 176), quanto dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea. E che, allora, la direttiva di fondo da seguire in materia non possa che consistere nel tentare di garantire ai figli, nonostante la rottura della compagine familiare, naturalmente nei limiti del possibile e comunque sempre in conformità al loro concreto ed esclusivo interesse, l’effettivo sostegno personale, oltre che ovviamente economico, di ambedue i genitori. La vera essenza del principio della bigenitorialità, insomma, essendo da individuare nella promozione in una prospettiva di superamento dell’ottica della conflittualità e della contesa di una comunità parentale che sopravviva al fallimento di quella coniugale (o paraconiugale) tra i genitori. L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia 265 3. Impianto della disciplina dell’affidamento e dell’adozione e prospettive di riforma Sembra chiaro, in effetti, come le diffuse istanze di revisione dell’attuale impianto normativo in materia di affidamento e adozione finiscano col ricollegarsi strettamente proprio al mutare degli atteggiamenti sul punto dell’individuazione di quale sia l’articolazione degli assetti relazionali da considerare preferibile per il minore. In una simile prospettiva, così, essendosi fatta specificamente avvertire una crescente tendenza a privilegiare e, con sempre maggiore decisione, l’adozione c.d. “mite” o “semplice”, rispetto a quella piena, per arrivare addirittura a concepire quest’ultima in termini di adozione aperta. Questo, invero, secondo modelli che dall’ambiente nordamericano, anche in dipendenza degli indirizzi via via emersi nella giurisprudenza sovranazionale europea, sono di recente rifluiti pure nella legislazione di paesi a noi vicini, come la Spagna nel contesto della riforma del 2015: riforma che, pare qui il caso di sottolinearlo, ha ribaltato tradizionali opinioni e conseguenti opzioni legislative in materia, perfino sdoganando e istituzionalizzando, come eventuale migliore via da battere nell’interesse concreto del minore, quella di un affidamento permanente. Del resto, non si dimentichi come proprio l’idea originaria di una, per così dire, naturale temporaneità dell’affidamento e del ruolo, di riflesso, da riconoscere agli affidatari sia stata da noi già posta in forse, nel nome della salvaguardia di una, reputata comunque da privilegiare, continuità affettiva, con la legge n. 173 del 19 ottobre 2015. Una riflessione pare meritare, allora, anche un problema destinato ad essere reso sicuramente più avvertito da una eventuale apertura dell’attuale istituto dell’adozione in casi particolari ad una portata tale da fare ad essa assumere il ruolo di vero e proprio modello generale di adozione, da porre accanto a quella piena e destinato, in sostanza, a riassorbire la c.d. adozione mite e le istanze poste a suo fondamento, in una prospettiva più convenientemente definibile in termini di adozione semplice. Si tratta della delicata questione concernente la definizione dei rapporti dell’adottato con la famiglia di origine, anche al di là del formale conferimento (e si veda l’attuale primo comma dell’art. 48 della l. 184/1983) all’adottante (o agli adottanti) della responsabilità genitoriale (e del relativo esercizio). L’attuale disciplina, in effetti, si presenta come del tutto muta sul punto, sembrando, invece, di indubbia opportunità che il legislato- 266 The best interest of the child re, eventualmente attraverso una puntuale delineazione dei poteri da riconoscersi al giudice in proposito, fornisca adeguate indicazioni al riguardo, nonché, allo stesso tempo, in ordine ai rapporti tra l’adottante (o gli adottanti) ed i genitori del sangue, circa gli atteggiamenti e le scelte concernenti la vita del minore (date le evidentemente ipotizzabili possibili situazioni di contrasto): ciò dal momento che proprio la conservazione di una significativa relazione tra l’adottato e la famiglia di origine finisce col rappresentare la dichiarata (ed auspicata) sostanza di un tale modello di adozione. In relazione ad una simile problematica, si ricordi come la conservazione di una qualche relazione personale con la famiglia di origine, nell’ottica di quella che viene indicata, secondo quanto dianzi accennato, come adozione aperta (dichiaratamente riecheggiante la c.d. open adoption dell’ambiente nordamericano), non manchi di essere, già allo stato, caldeggiata addirittura con riferimento all’adozione piena, evidentemente con analoghe, forse ancora più accentuate, esigenze di regolamentazione. Significativa, in proposito, si presenta, allora, la dianzi ricordata nuova disciplina spagnola dell’adozione: in essa, nel prevederne un modello unitario (peraltro, comunque differenziato, in taluni casi, sotto il profilo della conservazione dei vincoli giuridici con la famiglia di origine), si è appunto (esplicitamente e con adeguata attenzione ai profili operativi) inteso, ai sensi dell’art. 1784 código civil, consentire, sempre se conforme all’interesse del minore, il mantenimento di qualche forma di relazione o contatto per mezzo di visite o comunicazioni tra il minore, i membri della famiglia di origine e quella adottiva, venendosi così ad intrecciare, insomma, i relativi rapporti affettivi della famiglia di origine nei confronti del minore con quelli della famiglia adottiva (in quanto previamente dichiaratasi a ciò disponibile). Questione, questa dei rapporti tra i soggetti destinati a risultare comunque cointeressati alla vita del minore, che il legislatore attualmente affronta invero alquanto sommariamente con riferimento all’affidamento nell’art. 5 della l. 184/1983, pure al riguardo, non a caso, essendo stata avvertita l’esigenza di una più puntuale delineazione dei poteri degli affidatari, anche, appunto, nei rapporti con la famiglia di origine: questione, ovviamente, suscettibile di acquistare maggiore rilievo in considerazione del carattere non temporaneo che l’affidamento tende ad assumere nella realtà (se non, addirittura, attraverso la previsione esplicita di una simile sua possibile modalità, come ora in Spagna). L’interesse del minore e il suo diritto a crescere in famiglia 267 4. I nuovi assetti relazionali e le esigenze di intervento legislativo Non a caso, allora, le più recenti riforme in materia degli ordinamenti europei si sono impegnate nell’affrontare in una prospettiva assai diversa dal passato e nella complessità delle sue implicazioni in tema di esercizio, in genere, della responsabilità genitoriale le delicate problematiche poste dal fenomeno di quella c.d. ricomposizione familiare, la cui constatata innegabile diffusione rappresenta l’inevitabile riflesso della crescente fluidità degli assetti familiari nella nostra società. Indubbiamente, il rinnovato interesse per le questioni legate alla disciplina del fenomeno della ricomposizione familiare ha trovato terreno fertile nell’ottica di quelle situazioni come nell’ipotesi di coppie di persone dello stesso sesso caratterizzate dall’impossibilità del funzionamento dei più efficienti strumenti di tutela dell’interesse del minore, secondo il modello di una giuridicamente riconosciuta bigenitorialità. Ma pare significativo come, anche dove la possibilità della instaurazione di una vera e propria co-genitorialità da parte della coppia di persone dello stesso sesso è stata consentita, si sia avvertita l’esigenza di regolamentare compiutamente, in via generale, la relazione di vita tra il partner ed il figlio del soggetto con cui convive. Ciò, in particolare, è avvenuto, in Francia, con la novellazione dell’art. 371-4 code civil, proprio nel contesto della legislazione (legge 2013-404 del 13 maggio 2013) che ha consentito, quale riflesso dell’apertura dell’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso, l’adozione del figlio (pure adottivo) del congiunto, eventualmente (e sia pure in presenza di peculiari condizioni) anche nella forma dell’adozione piena. In tale disposizione, in effetti, in linea di principio, si affida senz’altro al giudice, ove ciò corrisponda all’interesse del minore, la determinazione delle modalità delle sue relazioni con un terzo, parente o meno, quando il terzo abbia risieduto in maniera stabile con lui e uno dei genitori ed abbia provveduto alle sue necessità, instaurando con lui legami affettivi durevoli. Né può trascurarsi come pure tutta la medesima animata discussione circa il diritto dell’adottato ad essere, nel tempo, informato circa tale sua condizione, fino alla prospettazione di un suo vero e proprio diritto alla conoscenza della identità dei genitori biologici, con i relativi noti recenti approdi giurisprudenziali e legislativi (de iure condito e de iure condendo), risulti palesemente condizionata dall’evoluzione degli atteggiamenti in ordine alla definizione, sempre da tale punto di vista, del best interest del minore. 268 The best interest of the child Non può certo dubitarsi, allora, come la progressiva, per così dire, normalizzazione della moltiplicazione dei riferimenti relazionali ed affettivi del minore finisca con l’imporre, ormai, di prendere in seria considerazione la necessità di una regolamentazione ben più adeguata, anche per ovvie esigenze di organicità, di quella attualmente da noi vigente diffusamente reputata troppo scarna al riguardo in ordine alla definizione della posizione, pure (e, forse, soprattutto) nei relativi rapporti reciproci, dei diversi soggetti di volta in volta concretamente coinvolti nella vita del minore, in dipendenza delle accennate, già attuali ed eventualmente future, aperture dell’ordinamento. Si tratta, peraltro, di un percorso tutt’altro che facile, anche se sicuramente utili possono essere considerati gli spunti deducibili dall’evoluzione, nella materia considerata, della quasi generalità degli ordinamenti a noi tradizionalmente più vicini (e spesso, di conseguenza, presi a modello dal nostro legislatore nell’elaborazione della disciplina delle relazioni familiari). Come non certo casualmente avvenuto nel contesto delle diverse sessioni di questo Convegno, sembra imporsi, inoltre, nel programma del futuro lavoro, l’opportunità di vedere equilibratamente affiancarsi a quella dei giuristi, e in termini tutt’altro che subordinati, la riflessione degli esperti delle scienze relazionali. Contributo, il loro, che, evidentemente, pare dover essere tenuto in privilegiata considerazione, particolarmente alla luce della necessità che le problematiche concernenti l’individuazione dell’interesse del minore, con le connesse esigenze di armonico sviluppo della sua personalità, siano affrontate nella prospettiva di quei nuovi modelli familiari, di cui, del resto, pure il nostro stesso legislatore, di recente, non ha mancato, anche se con i quasi unanimemente denunciati limiti imposti dalla necessità di operare difficili mediazioni ideologiche e politiche, di cominciare a tener conto. Il diritto del minore alla bigenitorialità ed il ruolo del terzo genitore nella prospettiva della famiglia ricomposta Enrico Al Mureden Sommario: 1. Il diritto alla bigenitorialità e la pluralità dei modelli familiari. – 2. Diritto alla bigenitorialità e famiglia ricomposta. – 3. La crescente rilevanza della “famiglia degli affetti”. – 4. “Genitorialità sociale” e bigenitorialità tra molteplicità di declinazioni e nuove dimensioni dell’interesse del minore. 1. Il diritto alla bigenitorialità e la pluralità dei modelli familiari I presupposti che hanno determinato l’affermarsi del diritto alla bigenitorialità possono essere individuati nelle riforme che tra il 1970 e il 1975 determinarono il passaggio da un sistema caratterizzato dall’indissolubilità del matrimonio ad uno nel quale “la stabilità della famiglia” è rimessa alle determinazioni di ciascun coniuge1. L’introduzione del divorzio e della separazione per cause oggettive, infatti, consentirono alla persona coniugata di porre fine al matrimonio in via unilaterale a prescindere dalla sussistenza di violazioni di doveri coniugali. In tempi più recenti la complessità e la durata che caratterizzavano l’iter necessario al fine di conseguire lo scioglimento del matrimonio sono state ulteriormente ridimensionate dagli interventi di riforma che hanno reso possibile conseguire la separazione ed il divorzio a prescindere da un ineludibile intervento giudiziale (d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014, n. 162)2 ed hanno 1 P. Donati, La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989, p. 49. 2 C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, p. 14 ss.; F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, in 270 The best interest of the child significativamente ridotto il periodo di separazione legale necessario al fine di proporre istanza per il divorzio (l. 6 maggio, 2015, n. 55)3. La sempre più accentuata fragilità del vincolo matrimoniale ha contribuito all’espandersi di nuove tipologie di relazioni familiari “destrutturate” nelle quali la rottura del vincolo che cementava l’unione dei coniugi coesiste con persistenti legami tra genitori e figli minori o non autosufficienti. Proprio l’indissolubilità del legame tra genitore e figlio minore o non autosufficiente costituisce l’essenza di quel principio della bigenitorialità divenuto un imprescindibile elemento di coesione del nucleo familiare in un contesto caratterizzato dall’instabilità delle relazioni di coppia e dalla pluralità dei modelli familiari. Indubbiamente le riforme che sotto questo profilo assumono la rilevanza più pregnante sono quelle che hanno condotto alla creazione di una condizione unica del figlio. Un simile obiettivo, a cui fu dato un decisivo impulso con la l. 8 febbraio 2006, n. 54, è stato definitivamente conseguito con la l. 10 dicembre 2012, n. 219 e con il d. lg. n. 28 dicembre 2013, n. 1544. A seguito di questo epocale intervento riformatore è stata resa unica la condizione dei figli attraverso il loro inserimento nelle relazioni di parentela dei genitori a prescindere dal matrimonio di questi ultimi (art. 74 c.c. e art. 258 c.c.)5 e si è affermata in termini generali la regola dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale a prescindere dal tipo di unione che lega i genitori e dalla sua sorte (artt. 316, comma 4, e 337-ter, comma 3, c.c.)6. Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, VI, Milano, 2015, p. 867 ss. 3 C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., p. 26 ss.; L. Lenti, Convivenza di fatto, gli effetti: diritti e doveri, in Fam. dir., 2016, p. 931. 4 Per un’esaustiva analisi della nuova disciplina introdotta M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014; M. Sesta - A. Arceri, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, III, Milano, 2016. 5 M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, p. 4; R. Campione, Sub art. 74 c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 1516. 6 M. Sesta, voce Filiazione (diritto civile), in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, p. 454; E. Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. dir., 2014, p. 466; E. Al Mureden - M. Sesta, Sub Art. 315 c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 1636; A. Morace-Pinelli, I provvedimenti riguardo ai figli. L’affidamento condiviso, in C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 687 ss., in part. p. 718 ss.; P. Sirena, Il diritto del figlio minore di crescere in famiglia, ivi, p. 119 ss.; A. Cianci, La nozione di responsabilità genitoriale, ivi, p. 579 ss.; G. De Cristofaro, Dalla potestà alla Il diritto del minore alla bigenitorialità 271 Le intervenute modifiche legislative, pertanto, hanno determinato il venir meno della necessaria corrispondenza tra famiglia e matrimonio in quanto l’instaurazione di legami di parentela dipende oggi esclusivamente dal fatto biologico della generazione7. Al tempo stesso la riforma ha introdotto una necessaria corrispondenza tra la generazione dei figli e la formazione di una famiglia, incidendo profondamente su situazioni che nel sistema previgente non assumevano rilievo giuridico8. Nel contesto delineato un ulteriore e rilevante impulso al riconoscimento della variegata pluralità di modelli familiari è stato fornito dalla legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) che, in linea con i moniti provenienti dalla giurisprudenza della CEDU ed interna, ha istituito le unioni tra persone dello stesso sesso e introdotto una disciplina organica delle convivenze sia tra persone di sesso diverso che tra persone dello stesso sesso9. responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove leggi civ., 2014, p. 782 ss. 7 M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 7, il quale osserva che la Riforma in materia di condizione unica dei figli ha radicalmente modificato “la nozione di famiglia legale, che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente prescindono da esso”. A questo proposito lo stesso A. condivide l’osservazione – espressa da G. Dalla Torre, Famiglia senza identità?, in Iustitia, 2012, I, p. 129 – secondo cui “sembra esservi una tendenza sempre più forte al superamento del matrimonio come luogo costitutivo degli status”. 8 In questo M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 5, osserva che in questo nuovo contesto anche in assenza di matrimonio tra genitori, il figlio si trovi “inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna, tra loro non comunicanti”. 9 M. Sesta, Sub art. 1, comma, 1, in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 169; Id., Unioni civili e convivenze: dall’unicità alla pluralità di legami di coppia, in P. Rescigno - V. Cuffaro (cur.), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giur. it., 2016, p. 1792 ss.; M. Trimarchi, Unioni civili e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 859; E. Quadri, «Unioni civili tra persone dello stesso sesso» e «convivenze»: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893; Id., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ, 2016, p. 255; L. Balestra, Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, p. 1780; G. Amadio, La crisi della convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1765; E. Al Mureden, Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del “genitore sociale”, in Nuova giur. civ. comm., II, 2016, p. 1699; E. Quadri, La tutela del minore nelle unioni civili e nelle convivenze, in Nuova giur. civ. comm., II, 2017, p. 566; G. De cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1° - 34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ., 2017, p. 119 ss., in part. p. 124. 272 The best interest of the child Nell’ambito dei modelli familiari che attualmente hanno trovato pieno riconoscimento nell’ordinamento giuridico la parentela e l’affinità si costituiscono secondo modalità differenziate, dando vita ad un quadro assai articolato e complesso10. Così, alla famiglia fondata sul matrimonio, che si caratterizza per il sorgere di legami di parentela necessariamente basati sul ricorrere dei due presupposti rappresentati dal matrimonio e dalla discendenza biologica e di legami di affinità scaturenti dal matrimonio, si affianca oggi un modello di famiglia fondata sulla generazione biologica del figlio nella quale i legami di parentela scaturiscono dalla sola “cogenitorialità”11 e non necessitano dell’elemento del matrimonio; una famiglia nella quale, al tempo stesso, proprio la mancanza del matrimonio determina l’assenza di vincoli di affinità tra i parenti dei partners. Infine, a seguito della riforma attuata dalla l. n. 76/2016, prendono corpo ulteriori modelli di famiglia fondati su un’unione giuridicamente rilevante della coppia (l’unione civile o la convivenza), che tuttavia non genera affinità tra i parenti della coppia stessa. Nel complesso quadro delineatosi reclama con intensità crescente un riconoscimento anche la c.d. famiglia degli affetti, la cui essenza può essere individuata in una rete di legami che, sebbene non cementati dal matrimonio di una coppia o dalla discendenza biologica, danno vita a relazioni che vengono percepite come significative, soprattutto se instauratesi tra un minore e il c.d. genitore sociale, ossia il partner del genitore biologico di quest’ultimo12. 2. Diritto alla bigenitorialità e famiglia ricomposta La rilevanza assunta dal principio della bigenitorialità impone di osservarne la portata anche avendo riguardo ad uno scenario più 10 Come è stato perspicuamente osservato, è stato attuato in modo complementare dalla riforma che ha introdotto la condizione unica dei figli (l. n. 219/2012 e dal d. legisl. n. 154/2013) e da quella operata dalla l. n. 76/2016 con le quali si è realizzato un ampliamento dei modelli familiari riconosciuti dal legislatore e, di conseguenza, una profonda modificazione delle regole di attribuzione dell’affinità e della parentela (M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, cit., p. 881). 11 M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., p. 1; Id., voce Filiazione (diritto civile), cit., p. 445 ss. 12 Sull’opportunità di ricostruire in termini organici le molteplici questioni scaturenti dalla assunzione del ruolo di genitore sociale si veda M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1475, la quale osserva che sul piano lessicale risulterebbe maggiormente appropriato l’utilizzo del termine “genitori di fatto”. Il diritto del minore alla bigenitorialità 273 complesso nel quale alla famiglia “destrutturata” possono sovrapporsi nuovi nuclei familiari generati da una successiva unione dei genitori. Il termine famiglia ricomposta evoca una pluralità di formazioni familiari la cui caratteristica comune può essere individuata nell’unione tra persone che abbiano già formato un nucleo familiare precedente13. È possibile, pertanto, includere in questa categoria non solo l’ipotesi della famiglia ricomposta da vedovi e da persone reduci da un divorzio, ma anche quella dell’unione tra persone che abbiano già vissuto un’esperienza familiare fondata sulla convivenza, o che, pur non avendo mai formato una coppia unita, abbiano generato un figlio con una persona diversa dal nuovo partner o, ancora, ricorrendo come singoli alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In prima approssimazione si può affermare che proprio l’espandersi delle tipologie di relazione di coppia e più in generale familiari alle quali il diritto riconosce forme di tutela differenziate costituisce il presupposto affinché possa ampliarsi l’ambito entro il quale emergono ed assumono rilevanza i problemi ascrivibili alla cosiddetta famiglia ricomposta. In effetti la situazione nella quale si verifica una sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari diversi formati da soggetti che provengano da una precedente esperienza familiare – che trovava un riconoscimento estremamente limitato prima dell’introduzione dei divorzio e della Riforma del ‘75 – si presenta con intensità crescente soprattutto quale conseguenza dell’instabilità coniugale ed ha assunto una dimensione sempre più significativa a seguito delle riforme che hanno attribuito rilevanza a rapporti familiari la cui costituzione prescinde dal matrimonio. Nel contesto delineato dal Codice civile nel 1942 l’eventualità di una sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari formati da persone reduci da precedenti unioni si limitava al secondo matrimonio dei vedovi. Al di fuori di quest’ipotesi, infatti, il principio dell’indissolubilità del matrimonio impediva la coesistenza della famiglia coniugale con altri consorzi familiari formati successivamente. In termini più generali, poi, le profonde discriminazioni che caratterizzavano la condizione 13 Sulla famiglia ricomposta o ricostituita P. Rescigno, Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, p. 1 ss.; G. Bilò, Famiglia ricostituita, in M. Sesta (cur.), Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, p. 2394; Ead., I problemi della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, p. 831; D. Buzzelli, La famiglia «composita». Un’indagine sistematica sulla famiglia ricomposta: i neo coniugi o conviventi, i figli nati da precedenti relazioni e i loro rapporti, Napoli, 2012. 274 The best interest of the child dei figli illegittimi rispetto a quelli legittimi rendeva particolarmente limitata la possibilità di costituire legami familiari al di fuori del matrimonio14. Il figlio illegittimo, infatti, non conseguiva legami di parentela con i parenti dei genitori; ancor più penalizzata era la condizione del figlio, adulterino il quale non poteva – salvo casi del tutto particolari – essere riconosciuto dal genitore già coniugato (art. 252 c.c.)15. Egli poteva essere riconosciuto solamente dal genitore che non fosse unito in matrimonio e, stante il tenore dell’art. 252 c.c., non entrava nelle reti di parentela di quest’ultimo e pertanto non conseguiva un legame giuridicamente rilevante con i nonni, gli zii e i cugini “naturali”; la potestà veniva esercitata in via esclusiva dall’unico genitore abilitato al riconoscimento al quale competeva anche il potere di rappresentare il minore ed amministrarne i beni, nonché l’usufrutto legale su di essi. Nel contesto attuale, invece, l’unificazione della condizione del figlio (l. 10 dicembre 2012, n. 219 e d. lg. n. 28 dicembre 2013, n. 154) ha reso possibile la coesistenza di più famiglie, tutte ugualmente “legittime”, le quali possono sovrapporsi nel tempo dando vita a trame di rapporti ai quali l’ordinamento giuridico riconosce piena efficacia ponendo all’interprete questioni caratterizzate da profili di assoluta novità le quali necessitano di essere risolte prescindendo dai paradigmi tradizionali. 14 Sul modello di famiglia “istituzionale”, la cui valorizzazione postulava necessariamente il sacrificio dei diritti dei figli nati fuori del matrimonio e una disuguaglianza di diritti e di poteri all’interno della famiglia matrimoniale A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, ristampa con lettura di M. Sesta, Bologna, 1978; P. Rescigno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 113 e in Matrimonio e famiglia: cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 6; A. Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo istituzionale, Milano, 2013, p. 3 ss.; A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008, p. 963. 15 Al riguardo l’art. 252 c.c., nella sua formulazione precedente la Riforma del ‘75, limitava la possibilità di riconoscimento del figlio adulterino al solo genitore che non era unito in matrimonio al tempo del concepimento. Per quanto concerneva il genitore unito in matrimonio, invece, il riconoscimento del figlio adulterino era possibile solo a seguito dello scioglimento del matrimonio per effetto della morte dell’altro coniuge ed a condizione che non fossero presenti figli legittimi, o legittimati, o loro discendenti legittimi. Nel caso in cui essi fossero stati presenti, la possibilità di riconoscimento era condizionata all’emissione di un decreto da parte del Presidente della Repubblica, che doveva essere preceduta da un parere del Consiglio di Stato e che, in ogni caso, presupponeva che i figli legittimi o legittimati avessero raggiunto la maggiore età e fossero stati sentiti (sul punto v. G. Azzariti, voce Filiazione legittima e naturale, in Nss. D. I., VII, Torino 1961, p. 324; Id., voce Adulterini e incestuosi (Figli), in Nss. D. I., I, Torino 1957, p. 309). Il diritto del minore alla bigenitorialità 275 3. La crescente rilevanza della “famiglia degli affetti” L’esigenza di attribuire rilievo a relazioni affettive che si instaurino all’interno di un nucleo familiare tra un minore e il partner del genitore biologico emerge sotto molteplici profili e si manifesta in modo sensibilmente differenziato a seconda che siano presenti entrambi i genitori biologici o uno soltanto di essi. Nella prima ipotesi l’aspirazione del genitore sociale a vedere riconosciuto il legame affettivo instaurato con il figlio del partner incontra un limite laddove il principio della bigenitorialità sancisce la preminenza della coppia dei genitori biologici16. Nelle ipotesi in cui sia presente un solo genitore biologico del minore, invece, il problema della rilevanza giuridica dei rapporti instaurati tra quest’ultimo e il genitore sociale può essere osservato “isolatamente”, ossia senza l’interferenza determinata dalla presenza di una coppia di genitori biologici. Una simile eventualità si concretizza nelle ipotesi in cui la coppia sia formata da un genitore “single” che abbia fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita o da un genitore che abbia perso il partner con cui generò il figlio. In queste fattispecie il problema di riconoscere una posizione giuridicamente rilevante al partner non legato da un rapporto biologico con il figlio generato dall’altro ha assunto rilievo, anzitutto, nell’orientamento che ha fornito un’interpretazione dell’art. 44 l. n. 184/1983 funzionale a consentire la c.d. stepchild adoption17. Sotto un diverso profilo la rilevanza assunta dal cosiddetto “genitore sociale” ha trovato un’ulteriore conferma in una decisione di legittimità di poco precedente nella quale è stato ammesso il diritto di quest’ultimo a conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa della perdita del figlio del partner18. 16 In proposito Cass., 10 maggio 2011, n. 10265, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 1206, con nota critica di M. Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la legge n. 54/2006: quale sorte dell’art. 317 bis c.c.?, con una soluzione non pienamente coerente rispetto alla disciplina positiva all’epoca vigente, ha escluso la “stepchild adoption” del marito della madre attribuendo preminente rilievo al diniego espresso da parte del padre biologico del minore. 17 Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in Nuova giur. civ. comm, 2016, p. 1213, con nota di G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner commento a prima lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 2016; in Fam. dir., 2016, p. 1025, con nota di S. Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption. In senso contrario Trib. Min. Milano, 17 e 20 ottobre 2017, con nota critica di G. Ferrando, A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 171 ss. 18 Cass., 21 aprile 2016, n. 8037, in Danno e Resp., 2017, p. 30, con nota di A. Garibotti, Il 276 The best interest of the child In quest’ottica conviene sottolineare anche che la rilevanza dei legami affettivi come elementi costitutivi di una relazione familiare tra il minore e il partner del genitore biologico – che trova riscontro nei principi sanciti dall’art 8 della CEDU, e ormai consolidatisi nell’ambito della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani – è stata riconosciuta nel nostro ordinamento dalla l. 19 ottobre 2015, n. 173, recante Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, con la quale il legislatore è intervenuto a regolare la coesistenza delle figure dei genitori biologici e di coloro che in virtù di periodi di affidamento temporaneo abbiano stretto rapporti significativi con il minore19. Sempre nella prospettiva indicata, appare estremamente rilevante l’articolata problematica sollevata con riferimento alla garanzia della continuità del rapporto tra il minore ed il c.d. genitore sociale in caso di rottura dell’unione con il genitore biologico. A tale riguardo è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale ad opera di un’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo che aveva posto in luce l’esigenza di operare una lettura dell’art. 337 ter c.c. orientata secondo il dettato della Costituzione e, soprattutto, secondo i principi stabiliti dall’art. 8 della CEDU20, funzionale a garantire la continuità della relazione affettiva tra il minore ed il partner del genitore anche in caso di rottura del rapporto di coppia. La Corte costituzionale da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nell’ambito delle famiglie ricostituite e nelle unioni civili e in Fam. dir., 2017, p. 329, con nota di L. La Battaglia, Il danno non patrimoniale da perdita del figlio del “partner”: variazioni sul tema della famiglia di fatto. Sul punto M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1480 – all’esito di una perspicua analisi della giurisprudenza che riconosce il diritto del genitore sociale al risarcimento del danno subito per la perdita del minore con il quale aveva instaurato un significativo legame affettivo – osserva che detto risarcimento può cumularsi con quello riconosciuto alla coppia dei genitori biologici dando così vita ad una situazione complessa nella quale alla morte del minore consegue un danno che interessa una pluralità di adulti a quest’ultimo legati da vincoli biologici (genitori biologici) e di natura meramente affettiva (genitore sociale). La stessa A. pone in evidenza un profilo di irragionevolezza laddove riscontra che non sussistono decisioni nelle quali sia riconosciuto un diritto al risarcimento nell’ipotesi speculare del danno derivante dalla interruzione del rapporto affettivo tra minore e genitore sociale dovuto al decesso di quest’ultimo. 19 M. Dogliotti, Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili, nell’interesse del minore, in Fam. dir., 2015, p. 1107 ss.; M. Cinque, La continuità affettiva nella legge n. 184/1983 e la posizione dei “parenti sociali”, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 673. 20 App. Palermo, 30 agosto 2015, in Fam. dir., 2016, p. 40 ss., con nota di A. Ardizzone, La convivenza omosessuale ed il ruolo del genitore sociale in caso di PMA. Il diritto del minore alla bigenitorialità 277 una parte ha dichiarato la questione infondata, ma, dall’altra, ha sottolineato l’opportunità di riconoscere rilevanza al legame fondato su una relazione affettiva tra minore e genitore sociale. In particolare è stato chiarito che “l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a “conservare rapporti significativi” con persone diverse dai genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337 ter cod. civ. deve intendersi esclusivamente riferito “a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale” e, quindi, ad “un contesto propriamente familiare”; cionondimeno l’esistenza di “un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti”, pur non potendo essere colmato adottando una lettura dell’art. 337 ter c.c. funzionale ad includere “anche l’ex compagna della genitrice biologica nell’area dei soggetti”, può trovare una forma di tutela laddove l’art. 333 c.c., attribuendo rilevo alla condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, consente al giudice di adottare “provvedimenti convenienti”21. La fondamentale rilevanza del diritto del minore alla conservazione dei legami affettivi successivamente alla crisi del rapporto che lega i genitori è stata ribadita anche con riferimento al cd. “nonno sociale” ossia ad un soggetto che, seppure non legato al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, “affianchi il nonno biologico del minore” e – sia esso il coniuge o il convivente di fatto – si sia dimostrato “idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico”22. 21 In questo senso si esprime la motivazione di Corte cost., 20 ottobre 2016, n. 225, in Fam. dir., 2017, p. 305, con nota di F. Tommaseo, La Corte Costituzionale sulla tutela degli affetti extrafamiliari del fanciullo, precisando che detto intervento potrebbe essere azionato su “ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 c.c.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione”. La fondamentale rilevanza assunta dall’esigenza di salvaguardare i rapporti affettivi instaurati dal minore anche in assenza di un legame biologico con l’adulto che abbia assunto il ruolo genitoriale è stata ulteriormente sottolineata in una decisione di merito recente (Trib. Como 13 marzo 2019, in Dejure) che riferendosi al rapporto tra una minore e colui che le indagini biologiche avevano escluso essere il padre, ha posto in evidenza la primaria rilevanza dell’interesse del minore “alla stabilità dei legami affettivi con le persone con cui hanno vissuto e alla costituzione di uno stato giuridico corrispondente al rapporto di fatto consolidato nel tempo”. Sul punto si veda anche M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1475. 22 Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, in DeJure. 278 The best interest of the child Nell’ambito delle decisioni che hanno attribuito rilievo alla figura del cosiddetto genitore sociale può essere osservata alla stregua di un autentico momento di svolta la pronuncia di legittimità che si è spinta sino a riconoscere l’efficacia in Italia di un atto di nascita formatosi all’estero, nel quale risultavano indicate a pieno titolo come madri sia colei che era biologicamente legata al figlio, sia colei che aveva volontariamente assunto il ruolo di genitore in quanto parte della coppia23. Nel solco tracciato da questa decisione si sono posti successivamente alcuni precedenti di merito che, analogamente, hanno riconosciuto un legame di piena genitorialità tra un minore ed il suo genitore sociale, ossia la persona che, d’intesa con il genitore biologico, abbia assunto nei confronti del minore quelle responsabilità parentale che si sostanzia nell’assunzione dei compiti di cura ed accudimento nell’ambito di un progetto condiviso24. Queste ultime decisioni, invero, portano ad estreme conseguenze il riconoscimento della c.d. famiglia degli affetti in quanto, fondando sulla sola relazione affettiva il riconoscimento di un rapporto di genitorialità piena tra il minore e il genitore sociale, si determina anche l’inserimento del nato nelle reti di parentela di una persona che, seppure affettivamente legata al minore, non ha con esso alcun vincolo biologico. Conseguenze che, invero, hanno ricevuto un parziale avallo dalla recente decisione delle Sezioni Unite che, da una parte, ha escluso la possibilità di attribuire efficacia in Italia ai provvedimenti costitutivi della genitorialità nelle ipotesi in cui sia stato fatto ricorso alla pratica della maternità surrogata25, ma, dall’altra, ha pienamente confermato la non contrarietà all’ordine pubblico dei provvedimenti stranieri con i quali viene riconosciuta una doppia genitorialità in capo a soggetti che abbiano intrapreso un progetto genitoriale comune ed assunto nei confronti di un minore la veste di “genitore intenzionale”26. 23 Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, p. 181, con nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli “status filiationis”. 24 App. Trento, 23 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017, p. 935, con nota di G. Ferrando, Riconoscimento dello status di figlio: ordine pubblico e interesse del minore; Trib. Napoli, 6 dicembre 2016, in Foro it., 2017, I, c. 309, con nota di G. Casaburi, In tema di adozione in casi particolari. 25 Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Fam. dir., 2019, p. 653, con nota di M. Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento. 26 A tale riguardo appare significativo il passo della decisione delle SU nel quale viene Il diritto del minore alla bigenitorialità 279 4. “Genitorialità sociale” e bigenitorialità tra molteplicità di declinazioni e nuove dimensioni dell’interesse del minore Il crescente affermarsi della rilevanza assunta dalla cosiddetta famiglia degli affetti e, in particolare, dalla figura del genitore sociale impone di operare una netta distinzione tra due fattispecie che, pur condividendo un rilevante elemento comune, si caratterizzano per la presenza di significative divergenze. Nella figura del genitore sociale, infatti, può essere racchiusa sia quella di colui che assume la veste di secondo genitore nell’ambito di una struttura familiare nella quale è presente una sola figura genitoriale unita da un vincolo biologico con il minore, sia quella di colui che, in una struttura familiare nella quale sono già presenti due genitori biologici, assuma un ruolo corrispondente a quello genitoriale in ragione di una relazione affettiva instaurata con il minore figlio biologico del partner. La relazione tra il minore e l’adulto a lui non legato da vincoli biologici può essere osservata nella prima fattispecie alla stregua di una modalità alternativa di attuazione del principio di bigenitorialità che – come la giurisprudenza ha in più occasioni ha avuto modo di chiarire – è concepito ed inteso muovendo dal paradigma inespresso di una coppia di genitori biologici. Nella seconda ipotesi, invece, la presenza di due genitori biologici impone di osservare il rapporto tra il minore ed il genitore sociale in una prospettiva assai più complessa nella quale diritto alla bigenitorialità e l’attribuzione di rilievo ai legami affettivi si pongono in una dialettica di potenziale antagonismo. In quest’ultimo caso, infatti, il diritto alla bigenitorialità dovrebbe trovare una attuazione piena nella trama di relazioni che intercorrono tra il minore ed i suoi genitori biologici. La presenza di una terza figura che, in virtù di un legame con uno dei genitori biologici, instauri una relazione significativa con il minore può essere osservata come un elemento che si aggiunge alle prerogative del genitore biologico creando una situazione chiarito che il principio espresso nella decisione Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit., ed in altre ad essa successive con riferimento ad ipotesi nelle quali una coppia di genitori dello stesso sesso era costituita da donne che non avevano fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata non risultava “suscettibile di estensione al caso” sottoposto alle Sezioni Unite nel quale il ricorso di una coppia di uomini alla maternità surrogata costituiva elemento di per sé solo idoneo a configurare un profilo di contrarietà all’ordine pubblico preclusivo dell’attribuzione di efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento costitutivo della genitorialità. 280 The best interest of the child assai complessa che potrebbe essere letta in prima approssimazione in termini di sovrapposizione ed interferenza. In definitiva, pertanto, la possibilità di attribuire rilievo a rapporti di genitorialità fondati su un legame affettivo appare maggiormente agevole nel primo genere di ipotesi in quanto le norme e gli orientamenti giurisprudenziali che si fondano sul paradigma della doppia figura genitoriale eterosessuale unita da un vincolo biologico con il figlio comune necessitano solamente di un “adattamento” che consenta di includere nella loro portata anche l’adulto che assuma nei confronti del minore una veste corrispondente a quella del genitore pur in assenza di un legame biologico. Quest’ultimo elemento appare invero destinato a essere posto in secondo piano rispetto all’esigenza di garantire al minore la presenza di una doppia figura genitoriale. Considerazioni diverse devono essere formulate con riferimento all’ipotesi in cui l’esigenza di attribuire rilievo alla relazione instauratasi tra un minore ed un adulto che abbia assunto nei suoi confronti la veste di genitore si inseriscono in una trama di rapporti della quale il diritto alla bigenitorialità è pienamente assolto dalla coppia di genitori biologici. L’esigenza di operare un “adattamento” del diritto vigente che consenta di attribuire rilievo a rapporti fondati su relazioni meramente affettive non si risolverebbe in questo caso in un allargamento del principio della bigenitorialità tale da consentire l’inclusione di una seconda figura genitoriale in assenza di legami biologici con il minore. Essa condurrebbe, in prima approssimazione, all’individuazione di regole funzionali ad istituire una gerarchia tra ruoli genitoriali inevitabilmente destinati a sovrapporsi. In realtà una diversa prospettiva di osservazione induce a ritenere che dalla presenza di un terzo genitore nella trama di rapporti familiari che convergono intorno al minore scaturisca una dimensione delle relazioni insolita e complessa rispetto alla quale l’interprete e il legislatore sono necessariamente chiamati ad elaborare soluzioni capaci di attuare l’interesse del minore in un contesto che presenta elementi di assoluta novità rispetto a quelli che hanno costituito i paradigmi in funzione dei quali si è formato l’attuale diritto vivente. La necessità di ampliare i confini entro cui è stata tradizionalmente attuata la condivisione della responsabilità genitoriale è efficacemente testimoniata dalle soluzioni adottate nell’ordinamento francese in cui sono contemplate forme di condivisione dei poteri tra genitore biologico e genitore di fatto che consentono di plasmare l’esercizio Il diritto del minore alla bigenitorialità 281 della responsabilità genitoriale secondo modalità conformi alla complessità che caratterizza l’attuale panorama delle relazioni familiari27. L’opportunità di prevedere soluzioni analoghe nell’ordinamento italiano – posta in luce da un disegno di legge risalente al 201428 – è riaffiorata in un recente provvedimento di merito nel quale il Tribunale ha confermato la conformità all’interesse del minore di un accordo intercorso tra genitori biologici e genitore sociale in virtù del quale è stato riconosciuto a quest’ultimo il diritto a continuare a mantenere rapporti significativi con il minore a suo tempo adottato mediante la previsione contenuta nell’art. 44, lettera b, l. 184/1983, nonché il dovere di contribuire parzialmente al suo mantenimento29. In definitiva l’esigenza di osservare in una prospettiva sistematica le molteplici questioni scaturenti dalla presenza di un genitore sociale nell’ambito delle relazioni che fanno capo al minore può apparire ormai indifferibile. In quest’ottica l’interprete nel ricostruire un quadro normativo e giurisprudenziale particolarmente frastagliato appare inevitabilmente chiamato ad elaborare soluzioni che riempiano di contenuto il principio generale dell’interesse del minore valorizzando la complessità e la flessibilità che caratterizzano l’attuale panorama delle relazioni familiari. Bibliografia Al Mureden E., La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. dir., 2014, p. 466 Al Mureden E., Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del “genitore sociale”, in Nuova giur. civ. comm., II, 2016, p. 1699 Al Mureden E., M. Sesta, Sub Art. 315 c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 1636 Amadio G., La crisi della convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1765 27 Sul punto M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1500, sottolinea la particolare idoneità della delégation classique e della delégation-partage del diritto francese quali strumenti capaci di attribuire una rilevanza giuridica al ruolo assunto dal genitore sociale. 28 In questo senso si veda il D.d.l. recante Modifiche al codice civile in materia di delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale presentato il 19 febbraio 2014 nel corso della XVII Legislatura dai Senatori Manconi, Palermo e Lo Giudice, i cui contenuti sono esaustivamente illustrati in M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, cit., p. 1498. 29 Bugetti, L’affidamento del figlio adottato ai sensi dell’art 44 lett. b) l. n. 184/1983 a seguito del divorzio, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1795. 282 The best interest of the child Ardizzone A., La convivenza omosessuale ed il ruolo del genitore sociale in caso di PMA, in Fam. dir., 2016, p. 40 ss. Azzariti G., voce Adulterini e incestuosi (Figli), in Nss. D. I., I, Torino 1957, p. 309 Azzariti G., voce Filiazione legittima e naturale, in Nss. D. I., VII, Torino 1961, p. 324 Balestra L., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, p. 1780 Bianca M. (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014 Bilò G., Famiglia ricostituita, in M. Sesta (cur.), Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, p. 2394 Bilò G., I problemi della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, p. 831 Bugetti, L’affidamento del figlio adottato ai sensi dell’art 44 lett. b) l. n. 184/1983 a seguito del divorzio, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1795, Buzzelli D., La famiglia «composita». Un’indagine sistematica sulla famiglia ricomposta: i neo coniugi o conviventi, i figli nati da precedenti relazioni e i loro rapporti, Napoli, 2012 Campione R., Sub art. 74 c.c., in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 1516 Casaburi G., In tema di adozione in casi particolari, in Foro it., 2017, I, c. 309 Cianci A., La nozione di responsabilità genitoriale, in C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 579 ss. Cicu A., Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, ristampa con lettura di M. Sesta, Bologna, 1978 Cinque M., La continuità affettiva nella legge n. 184/1983 e la posizione dei “parenti sociali”, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 673 Cinque M., Quale statuto per il “genitore sociale”?, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1475 Dalla Torre G., Famiglia senza identità?, in Iustitia, 2012, I, p. 129 Danovi F., Il processo di separazione e divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo-MengoniSchlesinger, La crisi della famiglia, VI, Milano, 2015, p. 867 ss. De Cristofaro G., Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove leggi civ., 2014, p. 782 ss. De Cristofaro G., Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1° - 34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ., 2017, p. 119 ss. Dogliotti M., Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri, in Fam. dir., 2019, p. 653 Dogliotti M., Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili, nell’interesse del minore, in Fam. dir., 2015, p. 1107 ss. Donati P., La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989, p. 49 Ferrando G., A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 171 ss. Il diritto del minore alla bigenitorialità 283 Ferrando G., Il problema dell’adozione del figlio del partner commento a prima lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 2016, in Nuova giur. civ. comm, 2016, p. 1213 Ferrando G., Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. dir., 2019, p. 653 Ferrando G., Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli “status filiationis”, in Corr. giur., 2017, p. 181 Ferrando G., Riconoscimento dello status di figlio: ordine pubblico e interesse del minore, in Corr. giur., 2017, p. 935 Garibotti A., Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nell’ambito delle famiglie ricostituite e nelle unioni civili, in Danno e Resp., 2017, p. 30 La Battaglia L., Il danno non patrimoniale da perdita del figlio del “partner”: variazioni sul tema della famiglia di fatto, in Fam. dir., 2017, p. 329 Lenti L., Convivenza di fatto, gli effetti: diritti e doveri, in Fam. dir., 2016, p. 931 Morace-Pinelli A., I provvedimenti riguardo ai figli. L’affidamento condiviso, in C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 687 ss. Nicolussi A., Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008, p. 963 Quadri E., «Unioni civili tra persone dello stesso sesso» e «convivenze»: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893 Quadri E., La tutela del minore nelle unioni civili e nelle convivenze, in Nuova giur. civ. comm., II, 2017, p. 566 Quadri E., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ, 2016, p. 255 Renda A., Il matrimonio civile. Una teoria neo istituzionale, Milano, 2013, p. 3 ss. Rescigno P., Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 113 Rescigno P., Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Matrimonio e famiglia: cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 6 Rescigno P., Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, p. 1 ss. Rimini C., Il nuovo divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, p. 14 ss. Sesta M. - Arceri M., La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, La crisi della famiglia, III, Milano, 2016 Sesta M., L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la legge n. 54/2006: quale sorte dell’art. 317 bis c.c.?, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 1206 Sesta M., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, p. 4 Sesta M., Sub art. 1, comma, 1, in M. Sesta (cur.), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2016, p. 169 284 The best interest of the child Sesta M., Unioni civili e convivenze: dall’unicità alla pluralità di legami di coppia, in P. Rescigno - V. Cuffaro (cur.), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giur. it., 2016, p. 1792 ss. Sesta M., voce Filiazione (diritto civile), in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, p. 454 Sirena P., Il diritto del figlio minore di crescere in famiglia, in C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 119 ss. Tommaseo F., La Corte Costituzionale sulla tutela degli affetti extrafamiliari del fanciullo, in Fam. dir., 2017, p. 305 Trimarchi M., Unioni civili e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 859 Veronesi S., La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, in Fam. dir., 2016, p. 1025 L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità Ettore Battelli Sommario: 1. L’affidamento e l’adozione: i mobili confini del diritto del minore ad una famiglia. – 2. Le situazioni di limbo: l’adozione mite. – 3. Considerazioni e obiezioni nella prospettiva del best interest of the child. – 4. Le prospettive. 1. L’affidamento e l’adozione: i mobili confini del diritto del minore ad una famiglia Può considerarsi un dato ormai definitivamente acquisito che la persona minore di età abbia bisogno di crescere in un ambiente e in un clima familiare1, idoneo ad un adeguato sviluppo della sua personalità individuale e sociale2. Il minore non ha però soltanto il diritto ad una famiglia, ma anche e soprattutto il diritto alla propria famiglia: l’attuale3 art. 315-bis, co. 1 Per tutti si richiamano le riflessioni di C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in commento a Cass., Sez. Un. Civ., 30 giugno 2016, n. 13435, in Il Foro italiano, 2017, 10, pt. 1, p. 3171 ss. 2 Cfr. per tutti A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, Bologna, 2014, p. 229 ss., il quale illustra anche gli effetti estremamente negativi che alcuni passati esperimenti di istituzionalizzazione dei minori hanno provocato sulla crescita dei medesimi. L’A. evidenzia come la coscienza comune si sia resa conto che “il migliore istituto può appagare in grado elevato solo il bisogno di protezione fisica del minore, il suo bisogno di cibo e di un ambiente salubre, il suo bisogno di apprendimento: ben poco può esaudire il bisogno primario del ragazzo di essere aiutato nella costruzione della sua personalità autonoma”. 3 Così come modificato a seguito della riforma della filiazione 2012-2013, che tra le direttrici seguite, ha perseguito l’esigenza di porre al centro dell’ordinamento la persona nella sua totalità, proprio nel suo essere persona, e ancor di più se minore di età: in questo senso C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1, p. 1 ss.; M. Bianca, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ. 286 The best interest of the child 2, c.c.4 rinforza e consacra il principio già in precedenza desumibile dall’art. 1, l. 184/1983 (così come modificato dalla l. 149/2001)5 e munito di un solido fondamento costituzionale (art. 30 Cost.)6 e sovranazionale (art. 8 CEDU)7. Si verifica una grave e delicata situazione di crisi qualora il nucleo familiare di origine del minore esista, ma sia concretamente inidoneo a svolgere le proprie funzioni educative8: il diritto di crescere nella propria famiglia e il diritto ad essere accompagnato nel proprio percorso formativo – normalmente complementari – entrano in contrasto fra di loro e si rivela necessaria un’ardua operazione di bilanciamento, che è stata realizzata attraverso gli istituti dell’affidamento e dell’adozione9. Nell’ottica del legislatore, l’adozione assurge al ruolo di rimedio estremo10, al quale ricorrere solo ed esclusivamente quando sia accertato comm., 2013, p. 507 ss.; C.M. Bianca, Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia, 2012, p. 238 ss. 4 L’art. 315 bis, co. 2, c.c. rappresenta, secondo la migliore dottrina, uno statuto ontologico della persona minore di età: v. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 363. 5 Cfr. C.M. Bianca, Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149 - “Modifiche alla l. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) - Commento alla l. 28 marzo 2001, n. 149 (Adozione nazionale). Titolo I - Diritto del minore alla propria famiglia. Art. 1 commi 1, 2 e 4, in Nuove leggi civili comm., 2002, 4-5, p. 909 ss. 6 Corte cost., 30 gennaio 2002, n. 1, in Giust. civ., 2002, I, p. 551 ss. 7 Di fondamentale importanza la pronuncia della Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia, ric. 3373/ 11, in Minori giust., 2014, II, 268 ss., sulla quale si ritornerà infra. 8 Sia consentito richiamare E. Battelli, Conflittualità familiare e adozione, in Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili, Milano, 2016, p. 391 ss. 9 Sui quali v. M. Dogliotti, voce Adozione (in generale), in Enc. giur., Agg., Treccani, Roma, 2003; P. Morozzo della Rocca, voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II agg., Torino, 2003; C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Adozione nazionale. Commentario alla legge 28 marzo 2009, n. 149, in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 908 ss.; M.R. Marella, voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I agg., Torino, 2000; M. Moretti, voce Affidamenti di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I agg., Torino, 2000; L. Rossi Carleo, voce Adozione dei minori, in Enc. dir., I agg., Milano, 1997; M. Dogliotti, Affidamento e adozione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1990; G. Cattaneo, voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987; Id., voce Affidamento di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987; M. Bessone - G. Ferrando, Adozione ordinaria, in Noviss. dig. it., App. I, Torino, 1980, p. 79 ss.; A.C. Moro, L’adozione speciale, Milano, 1976; I. Baviera, L’adozione speciale, Milano, 1968. 10 Di particolare rilievo quanto osservato da M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia2, Padova, 2007, p. 293: “Il legislatore del 2001, dopo oltre trent’anni di esperienza di adozione legittimante, sembra fare un passo indietro e rendersi conto che l’adozione rappresenta sì una soluzione per il fanciullo abbandonato, ma anche, in molti casi, una sconfitta per la società che non è stata in grado di conservargli l’ambiente familiare in cui era nato, causandogli comunque un trauma psichico non rimarginabile”. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 287 che la famiglia di origine non sia in grado, né per il presente né per il futuro, di offrire al minore tutte le cure e l’affetto necessari per il suo sviluppo, per costruire un progetto di vita che lo renda un adulto autonomo e responsabile, attraverso strumenti rispettosi della sua personalità “ unica ed irripetibile”: vale a dire quando si verifichi quella mancanza di assistenza morale e materiale che concretizza lo stato di abbandono11. Qualora le condizioni della famiglia di origine risultino precarie, sotto il profilo sia affettivo che economico12, e tuttavia il disagio non sia permanente, la risposta che l’ordinamento ha dato è invece quella dell’affidamento familiare13. Deve precisarsi che l’istituto dell’affidamento è stato sempre inteso come quello in grado di garantire al minore un’accoglienza, in famiglie disponibili, o da parte di soggetti singoli, ovvero in comunità14, idonei a consentire la continuità degli affetti, nonché per cercare di curare l’accertata temporanea carenza di strumenti adeguati, proprio da parte del nucleo familiare di origine, e di rispondere, o tentare di rispondere in modo soddisfacente, alle esigenze morali, economiche, materiali, sociali, scolastiche15, nell’ottica di favorire il ritorno del minore nella famiglia di origine16. 11 In termini T. Montecchiari, Adozione “mite”: una forma diversa di adozione dei minori od un affido senza termine?, in Dir. fam. pers., 2013, 4, p. 1581. Si veda anche Cass. civ., I, 21 settembre 2000, n, 12491, in Fam. dir., 2001, p. 45 ss., con nota di C.D. Fioravanti, Ancora sui presupposti dello stato di abbandono nell’adozione dei minori: “L’adozione è prevista dal legislatore come estremo rimedio ad una irreparabile situazione di abbandono del minore, e non già come mezzo per ovviare a carenze genitoriali o per procurare al minore condizioni di vita migliori di quelle che la famiglia di origine è in grado di offrirgli”. 12 C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, 1-2, p. 3 ss. 13 Ancora T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1582. 14 La scelta non è peraltro libera: la legge 149/2001 ha riformato la legge 184/1983 nel senso di dare preferenza assoluta all’affidamento in una famiglia, preferibilmente con figli minori, ovvero ad una persona singola, optando per l’inserimento in comunità di tipo familiare solo quando la prima strada non sia percorribile. Ciò nell’ottica di assicurare al minore l’instaurazione di rapporti personali e affettivi il più possibile vicini a quelli che normalmente vengono a crearsi nel nucleo familiare originario: A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 230. 15 Cfr. M. Moretti, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, IV, Torino, p. 3803 ss., per la quale il provvedimento di affidamento familiare “deve trovare applicazione tutte le volte in cui possa ravvisarsi un cosiddetto semi-abbandono: l’ambiente familiare, a causa di insufficienza di mezzi economici, mancanza di strutture sanitarie o carenze relative ai rapporti interpersonali, non garantisce al minore il mantenimento, educazione ed istruzione cui ha diritto, non apparendo quindi in grado di assolvere compiutamente ai propri compiti educativi, con la conseguenza che il minore stesso viene temporaneamente dato in affidamento”. 16 Non può d’altro canto sottacersi come vi sia un pregiudizio culturale verso l’istituto 288 The best interest of the child Affinché siffatto istituto possa trovare applicazione è necessario – per giurisprudenza costante – accertare l’insussistenza di una situazione di abbandono del minore, poiché sarebbe altrimenti doveroso dichiarare l’adottabilità del minore medesimo17. Lo scopo ultimo ed effettivo dell’affidamento è infatti – come poc’anzi accennato – il reinserimento del minore, nella propria famiglia, dopo che quest’ultima abbia superato, risolto, ridimensionato, le proprie difficoltà, che hanno reso necessario l’allontanamento iniziale18. dell’adozione (decisamente attenuato rispetto al passato, ma ancora latente). Appare emblematico, in questo senso, un certo orientamento giurisprudenziale rammentato da A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 268 s.: “In una sentenza della Corte d’appello di Palermo si leggeva: “la famiglia adottiva è un surrogato di quella naturale per cui nell’interesse del bambino e dell’ordine sociale è necessario assicurare l’affetto e l’assistenza morale e materiale dei genitori naturali… nulla e nessuno può integralmente sostituire i genitori nella vita affettiva dei figli e vi è un’esigenza imprescindibile, che è di natura, del figlio di crescere psichicamente e spiritualmente accanto a chi gli ha dato la vita” (7 febbraio 1970); il Tribunale ordinario di Firenze (12 maggio 1972) ha sostenuto: “si deve avere comprensione per chi, privato dalla natura maligna delle gioie della progenie, cerca nel rapporto artificiale dell’adozione il solacium filiorum amissorum, ma per soddisfare questa esigenza non si deve fare strame del vincolo di sangue e dei diritti che su tale vincolo, nelle società civili, sono fondati e che nella specie consistono nel diritto del minore di avere una madre vera e non posticcia”; la Corte d’appello di Palermo ha affermato: “è un controsenso pensare che chi abbia fondato industrie o commerci in qualche caso sul piano internazionale debba perdere il diritto alla continuità del cognome attraverso i discendenti perché il minore è rimasto completamente abbandonato a se stesso a seguito della morte dei genitori” (sent. del 26 giugno 1974); la Corte d’appello di Firenze (sez. min. del 28 luglio 1989) ha proclamato che: “il vincolo del sangue non è un concetto vuoto e vanamente ripetuto e, le perniciose conseguenze della sua mortificazione, essendo vincolo incompatibile, non tarderanno a manifestarsi””. 17 M. Moretti, voce Affidamenti di minori, cit., § 3: “Sorto per porre rimedio a situazioni di inidoneità temporanea della famiglia, [l’affidamento familiare] si propone come obiettivo primario quello di consentire al minore di ricevere le cure necessarie al suo mantenimento, educazione ed istruzione senza peraltro che vengano meno i legami, materiali e affettivi, con la propria famiglia di sangue: si tratta dunque di affidamenti necessariamente temporanei e che non hanno quale scopo quello, ben differente, di preludere all’adozione. Ne consegue che l’affidamento familiare deve essere disposto tutte le volte in cui si ritiene che l’inidoneità della famiglia sia suscettibile di modifica e, al contrario, che non può darsi luogo ad affidamento familiare ogniqualvolta tale inidoneità paia definitiva, dovendosi in tal caso procedere con la dichiarazione di adottabilità. Correttamente, dunque, si è affermato che la differenza tra adozione ed affidamento familiare deve consistere nella prognosi della situazione, relativamente alla possibilità che l’incapacità o l’impossibilità dei genitori di provvedere in modo adeguato al minore cessi”. 18 Deve infatti mettersi in evidenza come la mancanza di assistenza materiale e morale al minore dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio precluda la possibilità di dichiarare lo stato di adottabilità (legittimando quindi soltanto l’affidamento familiare nel periodo in cui permane la causa impeditiva): cfr. G. Morani, Ancora sull’abbandono del minore quale principale presupposto della declaratoria L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 289 Di fondamentale importanza si rivela, allora, la prospettiva diretta a privilegiare il più possibile la permanenza del minore nella famiglia di origine attraverso incentivi economici ai nuclei familiari in difficoltà19. Nei provvedimenti che si sono susseguiti (ancorché carenti sotto il profilo dell’effettività), si è prestata particolare attenzione alle ragazze madri e alle famiglie numerose20. Nel condivisibile auspicio del legislatore, l’art. 315-bis, co. 2, c.c., accompagnato da una serie interventi sociali (prima ancora che normativi), dovrebbe contribuire allo sviluppo di una vera cultura minorile, che, tuttora, si rivela deficitaria21. 2. Le situazioni di limbo: l’adozione mite Rispetto a quanto sinora illustrato, è necessario dare atto dell’esistenza di un divario fra l’astratto testo normativo e la sua concreta attuazione nella prassi: l’affidamento familiare, che non dovrebbe superare i ventiquattro mesi – fatta salva la possibilità di proroga da parte dell’autorità giudiziaria, qualora l’interesse del minore lo esiga – tende, invece, quasi fisiologicamente a protrarsi ben oltre tale limite22. Secondo un’autorevole ricostruzione, le difficoltà pratico-applicative sono emerse a causa dell’inidoneità dell’impianto normativo a far fronte a tutte le possibili situazioni di disagio familiare alle quali possono andare incontro le persone minori di età23. di adottabilità: l’ultima pronuncia della Corte di cassazione ribadisce sul tema un indirizzo ormai consolidato, in Giur. it., 2011, 2, p. 298 ss. 19 Da ultimo con la riforma della filiazione 2012-2013, il legislatore auspica che le difficoltà economiche della famiglia non debbano più esser considerati causa dello stato di abbandono; solo l’ingiustificato rifiuto delle misure di aiuto offerte dalle pubbliche autorità potrebbe concretizzare la definitiva carenza dell’assistenza materiale e morale dovuta al minore: cfr. G.E. Napoli, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 1115 ss., spec. 1120 ss. 20 C. Ingenito, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 284 ss., spec. p. 290 ss. 21 Necessario il richiamo a L. Fadiga (cur.), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006. 22 A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 238, segnala che: “Da una ricerca sull’affidamento familiare emerge che la durata media di un affidamento è di quattro anni per l’affidamento eterofamiliare e di cinque anni per l’affidamento ai parenti: la breve temporaneità dell’affido appare quindi più un auspicio del legislatore che una realtà”. 23 F. Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009; Id. L’adozione mite due anni dopo, in Minorigiust., 2005, 3, p. 149 ss. 290 The best interest of the child In particolare, la legislazione tiene conto delle seguenti tre tipologie di circostanze: “a) in caso di difficoltà modeste, soprattutto se la famiglia collabora, o comunque non si oppone, è previsto un sostegno dei servizi sociali, i quali aiutando in vario modo sia la famiglia, sia il bambino, fanno sì che il minore possa continuare a vivere nel proprio nucleo familiare; b) in caso di difficoltà rilevanti, ma temporanee e quindi considerate superabili in tempi sufficientemente brevi, il bambino può essere dato in affidamento familiare, o temporaneamente collocato presso case famiglia o istituti, per un periodo della durata massima di due anni; c) in caso di difficoltà gravi, in cui la famiglia pone in essere maltrattamenti rilevanti, o abbandona materialmente e moralmente il minore, e nel caso in cui la situazione risulta essere irreversibile, il bambino viene dichiarato adottabile e dato in adozione”24. È stato, invece, trascurato il frequente caso in cui la famiglia non sia in grado di rispondere alle esigenze educative del minore in modo parziale ma definitivo: trattasi del c.d. “semi-abbandono permanente”25. Il Tribunale per i Minorenni di Bari si è fatto carico del problema e ha proceduto – previa presa d’atto del Consiglio Superiore della Magistratura26 – a una forma di sperimentazione dell’adozione mite27: com’è stato emblematicamente sintetizzato, siffatta forma di adozione “può essere effettuata da una coppia o da persona singola e non prevede alcun limite massimo di differenza di età tra adottanti e adottando. Si realizza con il consenso del minore, se ultraquattordicenne, o dei genitori naturali, se esercitano la potestà su di lui, oppure del tutore, se i genitori, come non di rado accade, sono stati dichiarati 24 In questi termini esaustivi si esprimeva la relazione alla proposta di legge n. 5724, presentata alla Camera dei Deputati il 16 marzo 2005, a firma degli Onorevoli Bolognesi, Finocchiaro e altri (consultabile tramite il seguente indirizzo web: http://leg14.camera. it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0076061.pdf), poi decaduta per fine legislatura. 25 F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 155. V. anche S. Caffarena, L’adozione “mite” e il “semiabbandono”: problemi e prospettive, in Fam. dir., 2009, 4, p. 398 ss. 26 Cfr. atto n. P 13713/2003 del 4 luglio 2003. 27 Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, Pres. Rel. F. Occhiogrosso, in Fam. dir., 2009, 4, p. 393 ss., ove viene anche esplicato che “il richiamo alla mitezza di tale modello di adozione comporta che la normativa riguardante la sua applicazione debba essere attuata, basandosi sulla comunicazione da parte dei servizi e dei giudici con le persone, adulti e minori, avendo come caratteristica fondamentale l’ascolto e puntando ad ottenere il consenso e la collaborazione delle persone coinvolte, minore compreso, alle decisioni che si assumono”. Per l’impostazione ideologica e culturale di fondo si veda G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 291 decaduti dalla potestà genitoriale. Essa non interrompe il rapporto di filiazione (al contrario dell’adozione legittimante) tra minore e genitori di origine, ma ne aggiunge un secondo conseguente all’adozione. La potestà spetta all’adottante. Di fatto i rapporti interpersonali con la famiglia di origine sono rari e per lo più disciplinati dal tribunale nel provvedimento di adozione, se ciò viene fatto oggetto di specifica richiesta”28. Le situazioni fattuali alle quali si è reputato doveroso offrire una risposta giuridica adeguata si verificano quando “la famiglia del minore è più o meno insufficiente rispetto ai suoi bisogni, ma ha un ruolo attivo e positivo, che non è opportuno venga cancellato totalmente. Nello stesso tempo, non vi è alcuna ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo compito educativo in modo sufficiente, magari con un aiuto esterno curato dai servizi sociali”29. Alla luce della lacuna normativa, si è ritenuto di poter ricorrere ad un’interpretazione estensiva dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/198330, giacché la “costatata impossibilità di affidamento preadottivo” potrebbe essere intesa non soltanto come “impossibilità materiale”, ma anche come “impossibilità giuridica”: non sarebbe possibile procedere a dichiarare adottabile un minore tutte le volte in cui ciò implicherebbe la recisione di taluni significativi legami personali e affettivi. A livello pratico-operativo, è necessario pertanto – nell’impostazione volontaristica che, come accennato, caratterizza l’adozione mite – che la famiglia affidataria firmi un modulo mediante il quale dichiara la propria disponibilità a modificare il rapporto esistente con il minore da affidamento familiare ad adozione particolare31. Il giudice quindi è chiamato a compiere le seguenti valutazioni, nell’ottica di individualizzare l’intervento destinato ad ogni singola famiglia, che rappresenta indubbiamente una realtà a sé stante32. 28 F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 153. 29 Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, cit., p. 394. 30 In combinato disposto con i successivi artt. 45 e 46 i quali prevedono, rispettivamente, la necessità del consenso del minore adottando (se almeno quattordicenne) e l’assenso dei suoi genitori biologici: ciò a conferma della collaborazione che deve necessariamente caratterizzare l’istituto. Sul tema si veda anche L. Pepino, La virtù della mitezza e la nascita del diritto mite, in Minorigiust., 2015, 1, p. 15 ss. 31 V. Il foglio illustrativo dell’adozione mite e La circolare del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari ai servizi territoriali, in Minorigiust., 2003, 1. 32 In questo la magistratura minorile non può non tener conto anche delle concrete 292 The best interest of the child Innanzitutto, deve controllare se al termine del periodo di affidamento familiare siano mutate le condizioni che avevano reso necessario l’allontanamento del minore dalla sua famiglia di origine, per procedere al suo reinserimento in caso di esito positivo: in tale ipotesi, infatti, si ritiene che l’affido abbia raggiunto lo scopo previsto dalla legge. Nell’eventualità opposta, il giudice deve verificare se sussista una chiara intesa e collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, compreso il minore33, emettendo se del caso un provvedimento che disponga l’adozione mite, la quale, come rilevato, non fa venire meno il precedente legame familiare, ma ne costituisce uno nuovo e ulteriore34: ciò evita al minore lacerazioni e traumi irreversibili, dovuti alla separazione tanto dalla famiglia affidataria con cui aveva instaurato un solido rapporto, quanto dalla famiglia di origine che, non avendo superato i propri problemi, non è pronta a riaccoglierlo. Si scongiura, in altri termini, il fenomeno dei cc.dd. “bambini nel limbo”35. Soltanto qualora non vi sia davvero altra possibilità, potrà procedersi alla dichiarazione di adottabilità che rappresenta la prima fase del procedimento dell’adozione piena, la quale viene così davvero a rappresentare – com’è nelle intenzioni del legislatore – l’extrema ratio36, attesi gli effetti radicali e dirompenti che essa comporta, facendo cessare, ai sensi risorse che sono a disposizione nel singolo territorio, ed è anche per questo che si parla di “particolarismo giuridico” collegato ad un diritto regionale della famiglia, perché il contenuto dei percorsi di sostegno va modulato, così come si modificano le opportunità di ridefinizione del tessuto sociale (in quest’ottica, per la verità, talvolta anche un approccio regionale potrebbe non essere pienamente soddisfacente, attesa la forte disomogeneità che caratterizza le diverse aree di alcune Regioni): cfr. T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1586, nt. 12. 33 Avvalendosi dell’istituto, oggi disciplinato in via generale dall’art. 337-octies c.c., dell’ascolto, sul quale la bibliografia è molto ampia: si vedano L.A. Antonucci R. Cassibba - G. Castoro, La mitezza: saper parlare con un bambino, in Minorigiust., 2015, 1, p. 166 ss.; F. Astiggiano, Ascolto del minore (infra)dodicenne pel procedimento di adozione in appello, in Fam. dir., 2012, 3, p. 888 ss.; F. Tommaseo, Per una giustizia “a misura del minore”: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in Fam. dir., 2012, 1, p. 37 ss.; F.R. Fantetti, La facoltà dell’ascolto del minore e la Convenzione di Strasburgo, in Fam. pers. succ., 2010, 2, p. 353 ss.; G. Sergio, L’ascolto del minore e la giustizia, in Fam. dir., 1999, 2, p. 590 ss.; G. Manera, Brevi osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del minore nella procedura di adottabilità, in Dir. fam. pers., 1998, 3, p. 1383 ss. 34 M. Fiorini, Corsia preferenziale all’esigenza di garantire la continuità degli affetti, in Fam. min., 2008, 9, p. 19 ss. 35 F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, cit., p. 169. 36 E. Battelli, L’adozione, in A. Macrillò (cur.), I diritti del minore e la tutela giurisdizionale, Rimini, 2015, p. 249 ss. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 293 dell’art. 27, co. 3, l. 184/1983, “i rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine”37. La prassi del Tribunale per i Minorenni di Bari si è, dunque, andata consolidando negli anni, incontrando il favore di una parte degli interpreti, che in essa hanno visto un efficace tentativo di offrire un adeguato rimedio a tutte quelle situazioni – sempre più frequenti – di grave disagio familiare non sfocianti in un abbandono del minore38. 3. Considerazioni e obiezioni nella prospettiva del best interest of the child Non può tuttavia sottacersi che la prassi dell’adozione mite abbia suscitato anche una serie di serrate critiche39. In particolare, innanzitutto, si contesta la prospettata interpretazione dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/1983, in quanto ritenuta “forzata” e contraria allo spirito40 della legge, nonché foriera di un eccessivo 37 Attraverso la sentenza di adozione opera una fictio iuris, in forza della quale il diritto considera il minore come se fosse stato generato dai genitori adottivi: cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, cit., p. 485. Deve a questo proposito segnalarsi come una parte della giurisprudenza abbia optato per un’interpretazione restrittiva del richiamato terzo comma dell’art. 27 l. 184/1983, a mente della quale dovrebbero cessare senz’altro i rapporti giuridici tra famiglia di origine e adottato, ma non necessariamente quelli interpersonali: nell’interesse del minore, previa la determinazione di particolari cautele e la disponibilità e la collaborazione della famiglia adottiva, non sarebbe infatti preclusa la conservazione di contatti con membri della precedente cerchia famigliare. Si parla in tali casi di adozione aperta (che giuridicamente è e resta un’adozione legittimante, distinguendosi in questo in modo netto dall’adozione mite, benché talvolta i due sintagmi vengano confusi). Cfr. Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000, in Fam. dir., 2001, 1, p. 79 ss., con nota di A. Figone, Adozione legittimante e mantenimento di rapporti tra minore e famiglia di origine; Trib. min. Roma, 16 gennaio 1999, in Dir. fam. pers., 2000, 1, p. 144 ss.; App. Roma, 28 maggio 1998, ivi, 2001, 4, p. 1463 ss.; App. Torino, 3 febbraio 1994, ivi, 1995, 1, p. 152 ss.; Trib. min. Roma, 5 luglio 1988, ivi, 1990, 1, p. 105 ss. In dottrina v. L. Lenti, Vicende storiche e modelli di legislazione in materia di adozione, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, II. Filiazione2, Milano, 2012, p. 767 ss. 38 L. Laera, Chi ha paura dell’adozione mite?, in Minorigiust., 2007, 2, p. 151 ss. 39 F. Franco, Adozione mite: una “scorciatoia” giuridica o un istituto di nuovo conio?, in Il Civilista, 2010, 6, p. 35 ss.; A. Scalisi, L’adozione mite: una prospettiva non necessaria, né utile, in P. Cendon (cur.), www.personaedanno.it, 12 novembre 2008; F. Santanera, Preoccupante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino, in Prosp. ass., 2008, n. 162; L. Fadiga, Adozione aperta sì o no?, ivi, 2008, n. 161; F. Santanera, L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura, ivi, 2006, n. 154; Id., L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione, ivi, 2004, n. 147. 40 Affinché infatti possa verificarsi una “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” occorre che vi sia il presupposto per potersi procedere appunto 294 The best interest of the child margine di discrezionalità giudiziaria, ritenendosi che, se già il confine fra abbandono e non abbandono si presenta nel concreto labile (fatta salva l’ipotesi di scuola, o quantomeno residuale, del minore orfano di entrambi i genitori e del tutto privo di parenti), il confine fra abbandono, semi-abbandono e non abbandono diventerebbe oltre misura sfuggente41. In secondo luogo, l’adozione mite presenterebbe dei profili di criticità anche nei riguardi della famiglia di origine del minore, che si vedrebbe espropriata del proprio ruolo (costituzionalmente garantito) ancorché non ricorrano le condizioni previste dalla legge per la dichiarazione di adottabilità. Infatti, può essere pronunciata l’adozione particolare “anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7”42. Senza contare che, secondo l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa), essa potrebbe dar luogo ad un pericoloso effetto collaterale: le famiglie in difficoltà potrebbero essere particolarmente restie a chiedere la collaborazione o l’aiuto di altre famiglie o dei servizi sociali, in quanto frenate dal timore che l’affidamento potrebbe poi trasformarsi in adozione (sia pure non legittimante), magari finendo per aggravare definitivamente e irrimediabilmente delle situazioni di disagio, alle quali sarebbe all’affidamento preadottivo, vale a dire la dichiarazione di adattobilità del minore. Ove invece il minore non sia stato dichiarato adottabile, il problema della possibilità o meno dell’affidamento preadottivo neppure si pone: in questo senso, ad esempio, G. Collura, L’adozione in casi particolari, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, cit., p. 951 ss. Inequivocabilmente, la Corte di Cassazione, nella sentenza 27 settembre 2013, n. 22292, così si esprime: “In tema di adozione in casi particolari, il presupposto per l’adozione di cui all’art. 44, primo comma, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, va individuato nella impossibilità di affidamento pre-adottivo, nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, e non a quella del contrasto con l’interesse del minore, essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione”. 41 A.C. Moro, Manuale di diritto minorile5, cit., p. 311 ss. 42 M. Dogliotti, Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali della riforma del 2001, finalmente operative, in Fam. dir., 2009, p. 428, ritiene che sia “un pregiudizio da superare quello secondo cui nell’adozione in casi particolari non c’è lo scioglimento totale dei legami con la famiglia di origine. Dal punto di vista sostanziale, infatti l’adozione in casi particolari ha effetti notevolissimi rispetto ad essa: si aggiunge il cognome dell’adottante, la potestà dei genitori è esercitata dagli adottanti, è vero, non si sciolgono i legami, ma il genitore d’origine rimane estromesso, non ha possibilità di controllo: persino se cessa la potestà dell’adottante, non automaticamente rivive la potestà del genitore d’origine, ma è necessario un provvedimento del tribunale per i minorenni. Quindi gli effetti dell’adozione cosiddetta, “mite”, se sono più limitati rispetto a quelli dell’adozione legittimante, sono comunque estremamente, “forti” e “gravi””. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 295 stato invece possibile trovare una soluzione se si fosse intervenuti con la giusta solerzia43. In terzo luogo, l’adozione mite, si rivelerebbe frustrante nei confronti delle famiglie che aspirano ad adottare pienamente, perché la sua espansione renderebbe gradualmente recessiva l’applicazione dell’adozione legittimante44. Le famiglie affidatarie, dal canto loro, sarebbero poste in una situazione di forte incertezza circa il proprio ruolo, le proprie aspettative e la propria capacità educativa, non essendo in principio chiaro se il loro destino sia quello di ospitare il minore per un periodo di tempo (più o meno) limitato, ovvero di assurgere a punto di riferimento nel percorso formativo del minore medesimo45. Si porrebbe, inoltre, anche un problema di effettiva garanzia del diritto di difesa, posto che il procedimento di adozione in presenza di genitori o parenti che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore permette a tutti i soggetti coinvolti di essere previamente sentiti, sotto pena di nullità dell’intera procedura46. Nel caso dell’adozione mite essi finiscono invece per essere in qualche misura indotti a prestare il loro assenso o ad astenersi, perché spinti dalla convinzione che quella sia la migliore soluzione per il minore ovvero perché convinti di evitare un “male peggiore”, quale potrebbe essere l’adozione legittimante47. 43 Ne dà atto T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1591, spec. nt. 23. 44 Ancora T. Montecchiari, loc. ult. cit. A tale critica potrebbe obiettarsi che nell’attuale contesto normativo e interpretativo l’interesse delle aspiranti famiglie adottive non è tutelabile in sé e per sé, ma solo in via strumentale alla soddisfazione del best interest of the child. Sul punto, si osserva che “il nostro ordinamento conosce il diritto del figlio di crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura e prima ancora - il suo diritto ad avere una famiglia e, dunque, ad essere adottato, ove si trovi in stato d’abbandono. Non esiste, invece, un diritto dell’individuo ad avere figli e, più segnatamente, un diritto ad adottare, che - anche nella sua teorica postulazione - svilisce la posizione e la dignità del figlio, riducendo la sua persona ad oggetto di un diritto altrui. Ciò significa che l’interesse giuridicamente rilevante ad adottare, certamente configurabile, “può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato”” (così A. Morace Pinelli, Per una riforma dell’adozione, in Fam. dir., 2016, 7, p. 722 s.) 45 L. Francioli, Adozione: realtà e prospettive, intervento alla Tavola rotonda del 23 novembre 2005. 46 Cass. civ., I, 10 ottobre 2000, in Arch. civ., 2000, p. 1339 ss.; Cass. civ., I, 18 marzo 1997, n. 2404, in Giur. it., 1998, p. 445 ss. 47 F.F. Franco, Adozione mite, cit., p. 39. 296 The best interest of the child Infine, si evidenzia come non appaia affatto evidente che l’adozione mite garantisca pienamente l’interesse superiore del minore48: da un lato, la presenza di una duplice famiglia potrebbe generare problemi circa l’identità del minore che, a fronte di una pluralità di figure genitoriali, potrebbe non recepirne totalmente alcuna49; dall’altro, si configurerebbe il rischio di un doppio binario di modelli educativi, posto che questa specie di adozione postula la conservazione di un rapporto vivo, valido e intenso non solo sul piano meramente giuridico50, con la famiglia di origine51. 4. Le prospettive Deve comunque prendersi atto che l’adozione mite e il suo presupposto del “semi-abbandono” sono attualmente delle figure non conosciute 48 Significativo quanto affermato da E. Giacobbe, Adozione e affidamento familiare: ius conditum, “vivens”, condendum, in Dir. fam. pers., 2016, 1, p. 254: “Detta adozione […] non rappresenta affatto il best interest of the child, ma viene concepita come il “meglio che niente””. Da ultimo v. S. Sonelli, L’interesse superiore del minore. Ulteriori “tessere” per la ricostruzione di una nozione poliedrica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 4, p. 1373 ss.; M. Velletti, Interesse del minore e genitorialità, in Libro dell’anno del diritto 2018, Roma, Treccani, 2018, p. 3 ss.; G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss.; L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 1, p. 86 ss.; E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016. 49 Per tutti, sotto una molteplicità di profili, sul tema, di recente, si veda M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015. 50 Si pensi al mantenimento del cognome del minore a seguito dell’adozione mite. Se chiaramente nel caso dell’adozione legittimante è necessaria la sostituzione del cognome, quale naturale effetto della soppressione del precedente legame familiare, nell’adozione mite il minore può mantenere il proprio cognome, anteponendolo o aggiungendolo a quello dell’adottante: ciò in applicazione di un principio generale di cui all’art. 33 d.P.R. 396/2000 (che ha recepito quanto affermato da Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Fam. dir., 1996, 1, p. 412). Deve peraltro segnalarsi come una delle obiezioni mosse all’adozione mite (da F. Santanera, L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione, cit.), ovverosia che la possibilità di avere il doppio cognome sarebbe stato un “segno di riconoscimento” dello status di figlio adottivo (possibilità invece scongiurata in caso di adozione piena), sia oggi venuta meno a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale che consente di trasmettere ai figli anche il cognome materno, tale per cui il doppio cognome è ormai un’ipotesi ordinaria. 51 T. Montecchiari, Adozione “mite”, cit., p. 1592. V. anche L. Gennaro, Ancora sull’adozione cd. mite, in Dir. fam. pers., 2010, 1, p. 502: “l’“adozione mite”, consentendo il mantenimento del rapporto con la famiglia di origine, può essere causa di ambiguità relazionali, che si rifletteranno sull’armonico sviluppo della personalità dell’adottato, e di interferenze, da parte dei genitori biologici, che potranno turbare, anche gravemente, la serenità della famiglia adottante, situazioni tutte previste ed evitate dall’adozione legittimante attraverso l’elisione di ogni legame, il divieto di fornire notizie, informazioni o certificazioni, estratti o copia dai quali possa risultare il rapporto di adozione, nonché il segreto sull’identità dei genitori biologici, con le limitazioni ed i contemperamenti di cui all’art. 28 l. n. 184/1983 - art. 24 l. n. 149/2001”. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 297 dalla legislazione vigente e che tutte le iniziative parlamentari volte a dar loro una dignità normativa non sono giunte a destinazione52. Gli istituti che gli operatori hanno a disposizione per fronteggiare le diverse situazioni di disagio familiare restano pertanto l’affidamento familiare, l’adozione in casi particolari (che ha un campo di applicazione ben circoscritto e residuale53) e l’adozione legittimante. La realtà è tuttavia innegabilmente più complessa e più variegata rispetto alla rappresentazione avutane dal legislatore: gli affidi senza termine (o a termine ampiamente superiore di quello legalmente previsto) esistono e sono molto numerosi. Non può dunque prescindersi dall’offrire una risposta anche a quelle situazioni che non sono meno problematiche solo perché non risultano contemplate dalle previsioni di legge54. Vi è chi ritiene che, anche sulla base del fondamento sovranazionale, dovrebbe procedersi ad una modifica legislativa che riconosca l’adozione mite55: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti recentemente condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 8 della Convenzione, a seguito della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore senza aver preventivamente messo in atto alcuna misura volta a favorire il mantenimento del legame fra il genitore e il minore stesso56. In tale circostanza, la Corte di Strasburgo non ha mancato di far presente che essa fosse “ben consapevole del fatto che il rifiuto da parte dei tribunali di pronunciare un’adozione semplice risulta dall’assenza 52 C.M. Bianca, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Jus civile, 2018, 1, p. 5 ss. 53 A differenza di altri ordinamenti, come ad esempio quello francese, ove l’adoption simple non è concepita come una deroga alla regola generale dell’adoption plénière, ma ha un suo autonomo campo di applicazione: P. Malaurie - L. Aynès, Droit de la famille6, LGDJ, Paris, 2018, p. 643 ss.; A. Bénabent, Droit de la famille4, LGDJ, Paris, 2018, p. 417 ss. 54 J. Long, I confini dell’affidamento familiare e dell’adozione, in Fam. dir., 2007, 6, p. 1432 ss. 55 A. Morace Pinelli, Per una riforma dell’adozione, cit., p. 728. 56 Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia, cit., p. 278, ove viene affermato “che la necessità fondamentale di preservare per quanto possibile il legame tra la ricorrente – che si trovava peraltro in situazione di vulnerabilità – e il figlio non sia stata debitamente presa in considerazione. Le autorità non hanno messo in atto misure volte a preservare il legame familiare tra la ricorrente e il figlio e di favorirne lo sviluppo. Le autorità giudiziarie si sono limitate a prendere in considerazione alcune difficoltà, che avrebbero potuto essere superate per mezzo di un’assistenza sociale mirata. La ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di riallacciare dei legami con il figlio: di fatto, i periti non hanno valutato le possibilità effettive di un miglioramento delle capacità della ricorrente di occuparsi del figlio, tenuto conto anche del suo stato di salute”. 298 The best interest of the child nella legislazione italiana di disposizioni che permettano di procedere a questo tipo di adozione”, ma che ciononostante “alcuni tribunali italiani avevano pronunciato, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d), l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era abbandono” (§ 60)57. L’argomento potrebbe provare troppo: è vero che sussiste un obbligo convenzionale (vincolante ai sensi dell’art. 117, co. 1, Cost.) di offrire un adeguato strumento di tutela a queste situazioni, ma da ciò non può automaticamente dedursi che l’adozione mite sia l’unico strumento idoneo allo scopo58. Vi è infatti chi propone una soluzione alternativa, data dal rafforzamento dell’istituto dell’affidamento, regolando anche l’ipotesi nella quale esso sia – almeno potenzialmente – idoneo a protrarsi sino al raggiungimento della maggiore età dell’affidato, senza che vengano a sovrapporsi più legami familiari, attribuendo magari un maggior potere agli affidatari rispetto a quello loro spettante nel caso di affido temporaneo59. D’altra parte, la prassi dell’adozione mite si è sviluppata soltanto nel distretto barese, mentre gli affidi che superano il termine stabilito dalla legge sono diffusi – ancorché non omogeneamente – su tutto il territorio nazionale60, anche perché la proroga di siffatto termine, sebbene di certo illecito ove avvenga sostanzialmente in automatico e senza un’attenta valutazione dell’interesse del minore, rappresenta una forzatura molto meno evidente del sistema61. 57 Su questa pronuncia si veda A. Pasqualetto, L’adozione mite al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tra precedenti giurisprudenziali e prospettive de jure condendo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 2, p. 155 ss.; F. Occhiogrosso, Con la sentenza Cedu Zhou contro l’Italia l’adozione mite sbarca in Europa, in Minorigiust., 2014, 1, p. 268 ss. 58 Contra A. Pasqualetto, op. cit., p. 162, secondo la quale l’adozione mite sarebbe stata “in un qualche modo imposta” dalla Corte di Strasburgo. 59 M. Dogliotti, Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali della riforma del 2001, finalmente operative, cit., p. 428; Id., Adozione legittimante e adozione mite, affidamento familiare e novità processuali, in Prosp. ass., 2009 n. 165. Si rammenti tra l’altro come un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità riconosca agli affidatari il diritto di opporsi alla dichiarazione di adottabilità del minore: Cass. civ., I, 10 giugno 1996, n. 5351, in Fam. dir., 1996, 2, p. 584 ss.; Cass. civ., I, 20 novembre 1989, n. 4956, in Giust. civ. 1990, I, p. 678 ss.; Cass. civ., I, 10 gennaio 1979, n. 164, ivi, 1979, 3, I, p. 9 ss. 60 Cfr. il documento approvato dalla Commissione Parlamentare per l’infanzia nella seduta del 27 ottobre 2004 a conclusione dell’indagine conoscitiva deliberata nella seduta del 15 maggio 2003 su adozioni e affidamento, p. 16 (consultabile al seguente link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/121350.pdf). 61 La Corte di Cassazione ammette pacificamente, del resto, la prorogabilità del termine L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 299 Potrebbe allora essere opportuno riconoscere anche dal punto di vista normativo ciò che per necessità si è affermato nella prassi: anzi, forse ciò si rivelerebbe ancor più conforme alla giurisprudenza sovranazionale, che impone di non elidere il vincolo parentale ove ciò non si riveli assolutamente necessario62. È vero, tuttavia, che l’adozione mite formalmente non lo elide, ma è altrettanto vero – come si è già rilevato – che sostanzialmente la posizione del genitore biologico viene ad essere molto ridimensionata, se non addirittura mortificata63. Non ci si può allora esimere dalla predisposizione e dall’attuazione del miglior rimedio possibile che garantisca la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti in una vicenda di disagio familiare e sociale64: le malaugurate carenze di risorse che impediscano ai Servizi di svolgere pienamente le loro funzioni di supporto e di assistenza non devono infatti riversarsi a carico di coloro che sono più in difficoltà65. Bibliografia Antonucci L.A. - Cassibba R. - Castoro-G., La mitezza: saper parlare con un bambino, in Minorigiust., 2015, 1, p. 166 ss. Astiggiano F., Ascolto del minore (infra)dodicenne pel procedimento di adozione in appello, in Fam. dir., 2012, 3, p. 888 ss. Battelli E., Conflittualità familiare e adozione, in Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili, Milano, 2016, p. 391 ss. Battelli E., L’adozione, in A. Macrillò (cur.), I diritti del minore e la tutela giurisdizionale, Rimini, 2015, p. 249 ss. Baviera I., L’adozione speciale, Milano, 1968 Bénabent A., Droit de la famille4, Paris, 2018, p. 417 ss. per tutto il tempo necessario a soddisfare nel miglior modo possibile l’interesse del minore: Cass. civ., SS.UU., ord. 9 dicembre 2008, n. 22875, in Fam. pers. succ., 2009, 3, p. 702 ss., con nota di F. Tedioli, Affidamento temporaneo di minore e conflitto di competenza. 62 G. Ferrando, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, in Fam. dir., 2010, 3, p. 1174 ss. 63 A. Proto Pisani, Sulla c.d. giustizia minorile “mite”, in Foro it., 2010, V, p. 303 ss. 64 Per approfondimenti M. Ruotolo, Sicurezza, dignità e lotta alla povertà. Dal diritto alla sicurezza alla sicurezza dei diritti, Napoli, 2012. 65 La giurisprudenza più recente è oggetto di analisi da parte di C.M. Bianca, Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, nota a Cass. sez. I civ. 14 febbraio 2018, n. 3594; Cass. sez. I civ. 19 gennaio 2018, n. 1431, in Il Foro italiano, 2018, 3, pt. 1, p. 817 ss. 300 The best interest of the child Bessone M. - Ferrando G., Adozione ordinaria, in Noviss. dig. it., App. I, Torino, 1980, p. 79 ss. Bianca C.M. - Rossi Carleo L. (cur.), Adozione nazionale. Commentario alla legge 28 marzo 2009, n. 149, in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 908 ss. Bianca C.M., Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149 - Modifiche alla l. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) - Commento alla l. 28 marzo 2001, n. 149 (Adozione nazionale). Titolo I - Diritto del minore alla propria famiglia. Art. 1 commi 1, 2 e 4, in Nuove leggi civili comm., 2002, 4-5, p. 909 ss. Bianca C.M., Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 363 Bianca C.M., La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1, p. 1 ss. Bianca C.M., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, 1-2, p. 3 ss. Bianca C.M., Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Jus civile, 2018, 1, p. 5 ss. Bianca C.M., Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, nota a Cass. sez. I civ. 14 febbraio 2018, n. 3594 e 19 Gennaio 2018, n. 1431, in Foro it. 2018, 1827 e ss. Bianca C.M., Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in commento a Cass., Sez. Un. Civ., 30 giugno 2016, n. 13435, in Il Foro italiano, 2017, 10, pt. 1, p. 3171 ss. Bianca C.M., Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia, 2012, p. 238 ss. Bianca M., Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 507 ss. Caffarena S., L’adozione “mite” e il “semiabbandono”: problemi e prospettive, in Fam. dir., 2009, 4, p. 398 ss. Cattaneo G., voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987 Cattaneo G., voce Affidamento di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987 Collura G., L’adozione in casi particolari, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, II. Filiazione2, Milano, 2012, p. 951 ss. Corapi G., La tutela dell’interesse superiore del minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss. Dogliotti M., Adozione “forte” e “mite”, affidamento familiare e novità processuali della riforma del 2001, finalmente operative, in Fam. dir., 2009, p. 428 Dogliotti M., Adozione legittimante e adozione mite, affidamento familiare e novità processuali, in Prosp. ass., 2009 n. 165. Dogliotti M., Affidamento e adozione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1990 Dogliotti, voce Adozione (in generale), in Enc. giur., Agg., Treccani, Roma, 2003 Fadiga L. (cur.), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006. Fadiga L., Adozione aperta sì o no?, in Prosp. ass., 2008, n. 161 Fantetti F.R., La facoltà dell’ascolto del minore e la Convenzione di Strasburgo, in Fam. pers. succ., 2010, 2, p. 353 ss. L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità 301 Ferrando G., I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, in Fam. dir., 2010, 3, p. 1174 ss. Figone A., Adozione legittimante e mantenimento di rapporti tra minore e famiglia di origine, in Fam. dir., 2001, 1, p. 79 ss. Fioravanti C.D., Ancora sui presupposti dello stato di abbandono nell’adozione dei minori, in Fam. dir., 2001, p. 45 ss. Fiorini M., Corsia preferenziale all’esigenza di garantire la continuità degli affetti, in Fam. min., 2008, 9, p. 19 ss. Francioli L., Adozione: realtà e prospettive, intervento alla Tavola rotonda del 23 novembre 2005 Franco F., Adozione mite: una “scorciatoia” giuridica o un istituto di nuovo conio?, in Il Civilista, 2010, 6, p. 35 ss. Gennaro L., Ancora sull’adozione cd. mite, in Dir. fam. pers., 2010, 1, p. 502 Giacobbe E., Adozione e affidamento familiare: ius conditum, “vivens”, condendum, in Dir. fam. pers., 2016, 1, p. 254 Ingenito C., in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 284 ss. Laera L., Chi ha paura dell’adozione mite?, in Minorigiust., 2007, 2, p. 151 ss. Lamarque E., Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016 Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 1, p. 86. ss. Lenti L., Vicende storiche e modelli di legislazione in materia di adozione, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, II. Filiazione2, Milano, 2012, p. 767 ss. Long J., I confini dell’affidamento familiare e dell’adozione, in Fam. dir., 2007, 6, p. 1432 ss. Malaurie P. - Aynès L., Droit de la famille6, Paris, 2018, p. 643 ss. Manera G., Brevi osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del minore nella procedura di adottabilità, in Dir. fam. pers., 1998, 3, p. 1383 ss. Marella M.R., voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2000 Montecchiari T., Adozione “mite”: una forma diversa di adozione dei minori od un affido senza termine?, in Dir. fam. pers., 2013, 4, p. 1581 Morace Pinelli A., Per una riforma dell’adozione, in Fam. dir., 2016, 7, p. 722 s. Morani G., Ancora sull’abbandono del minore quale principale presupposto della declaratoria di adottabilità: l’ultima pronuncia della Corte di cassazione ribadisce sul tema un indirizzo ormai consolidato, in Giur. it., 2011, 2, p. 298 ss. Moretti M., in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, IV, Torino, p. 3803 ss. Moretti M., voce Affidamenti di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2000 Moro A.C., L’adozione speciale, Milano, 1976 Moro A.C., Manuale di diritto minorile5, Bologna, 2014, p. 229 ss. Morozzo della Rocca P., voce Adozione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2003 302 The best interest of the child Napoli G.E., in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 1115 ss. Occhiogrosso F., Con la sentenza Cedu Zhou contro l’Italia l’adozione mite sbarca in Europa, in Minorigiust., 2014, 1, p. 268 ss. Occhiogrosso F., L’adozione mite due anni dopo, in Minorigiust., 2005, 3, p. 149 ss. Occhiogrosso F., Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009 Pasqualetto A., L’adozione mite al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tra precedenti giurisprudenziali e prospettive de jure condendo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 2, p. 155 ss. Pepino L., La virtù della mitezza e la nascita del diritto mite, in Minorigiust., 2015, 1, p. 15 ss. Proto Pisani A., Sulla c.d. giustizia minorile “mite”, in Foro it., 2010, V, p. 303 ss. Rossi Carleo L., voce Adozione dei minori, in Enc. dir., Milano, 1997 Ruotolo M., Sicurezza, dignità e lotta alla povertà. Dal diritto alla sicurezza alla sicurezza dei diritti, Napoli, 2012 Santanera F., L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione, in Prosp. ass., 2004, n. 147 Santanera F., L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura, in Prosp. ass., 2006, n. 154 Santanera F., Preoccupante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino, in Prosp. ass., 2008, n. 162 Scalisi A., L’adozione mite: una prospettiva non necessaria, né utile, in P. Cendon (cur.), www.personaedanno.it, 12 novembre 2008 Sergio G., L’ascolto del minore e la giustizia, in Fam. dir., 1999, 2, p. 590 ss. Sesta M., Manuale di diritto di famiglia2, Padova, 2007, p. 293 Sonelli S., L’interesse superiore del minore. Ulteriori “tessere” per la ricostruzione di una nozione poliedrica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 4, p. 1373 ss. Stanzione M.G., Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015 Tedioli F., Affidamento temporaneo di minore e conflitto di competenza, in Fam. pers. succ., 2009, 3, p. 702 ss. Tommaseo F., Per una giustizia “a misura del minore”: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in Fam. dir., 2012, 1, p. 37 ss. Velletti M., Interesse del minore e genitorialità, in Libro dell’anno del diritto 2018, Roma, Treccani, 2018, p. 3 ss. Zagrebelsky G., Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992 Condizioni di indigenza dei genitori e diritto del minore di crescere nella propria famiglia Clorinda Ciraolo Sommario: 1. Premessa. – 2. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia. – 2. Gli aiuti alla famiglia indigente. – 3. Necessità di nuovi interventi legislativi. 1. Premessa Mirzia Bianca, che ringrazio sentitamente unitamente a tutti gli organizzatori del Convegno, mi ha affidato una relazione su un tema particolarmente caro al Maestro, Professor Cesare Massimo Bianca, da sempre giurista protagonista dell’evoluzione del diritto di famiglia e del diritto civile minorile. Non mi soffermo su tutto l’impareggiabile lavoro svolto dal Professor Bianca, come Presidente della Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia1. Devo, però, ricordare l’impegno con il quale Egli promuove l’emanazione di una normativa che attribuisca reale tutela all’interesse del minore di crescere nella propria famiglia, nonostante le condizioni di indigenza dei genitori: le fondamentali pagine del volume dedicato alla famiglia2 e i suoi ben noti saggi pubblicati su riviste3 e volumi col1 V., Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica della relativa disciplina, presieduta dal Prof. C.M. Bianca (“Commissione Bianca”), Relazione conclusiva, in http://www.ilcaso.it/documenti/118.pdf. 2 C.M. Bianca, 2.1 La famiglia, Milano, 2017, p. 369 s. 3 C.M. Bianca, Abbandono del minore e diritto di crescere in famiglia: spunti in tema di adozione speciale, in Giust. civ., 1980, p. 178 ss.; Id., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Giust. civ., 2001, parte II, p. 429 ss.; Id., La revisione normativa dell’adozione, in Familia, 304 The best interest of the child lettanei4 rappresentano soltanto una parte del contributo dato al tema. La constatazione che l’interesse del minore a crescere nella propria famiglia non è assistito da idonei dispositivi satisfattivi stimola non soltanto la riflessione del Prof. Bianca su possibili tecniche concretamente realizzative dell’interesse, ma anche la fattiva partecipazione dello stesso alle indagini conoscitive sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido, con l’obiettivo di ottenere l’introduzione nel sistema di norme a garanzia dell’effettività di un diritto da troppo tempo soltanto solennemente proclamato5. 2. Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia Nella legislazione nazionale l’interesse del minore di crescere nella propria famiglia trova espresso riconoscimento e tutela – come noto – con la legge n. 149 del 20016. L’articolo 1 di tale legge inserisce nelle norme in materia di adozione e affido, una regola particolarmente significativa per la tutela della vita familiare del minore. La disposizione non si limita a riconoscere al minore il diritto di crescere nella propria famiglia, ma precisa pure che le condizioni di indigenza dei genitori non possono condurre alla negazione e cancellazione del diritto, rappresentando piuttosto un 2001, p. 525 ss.; Id., La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam. per., 2006, p. 207, spec. p. 214-215; Id., Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia: un diritto ancora alla ricerca della propria identità e tutela, in Minorigiustizia, 2008, p. 27 ss.; Id., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, p. 3 ss.; Id., Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in Foro it., 2017, p. 3171 ss.; Id., Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, in Foro it., 2018, p. 817 ss. Per altri riferimenti, v. nota 7. 4 Da ultimo, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, in Complessità e integrazioni delle fonti nel diritto privato in trasformazione, Convegno in onore di Vincenzo Scalisi, Messina 27-28 maggio 2016, Milano 2017, p. 155 ss. 5 V., Camera dei deputati, Indagine conoscitiva, XVII legislatura — II Commissione — Seduta del 23 Maggio 2016, in http://www.camera.it/leg17/1102?id_ commissione=0&shadow_organo_parlamentare=0&sezione=commissioni&tipoDo c=elencoResoconti&idLegislatura=17&tipoElenco=indaginiConoscitiveCronologico &calendario=false&breve=c02_adozioni&scheda=true. 6 Il testo originario dell’art. 1, con il quale si apriva il titolo I, “Dell’affidamento dei minori”, della l. n. 184 del 1983, si limitava ad affermare il diritto del minore “di essere educato nell’ambito della propria famiglia”; la stessa disposizione, ora riformulata, introduce, tra i “Principi generali” anche il “diritto di crescere” nella famiglia naturale, diritto divenuto anche titolo della legge sull’adozione. Ad avviso di P. Morozzo Della Rocca, Adozione, in Digesto disc. priv., agg. II, Torino, 2003, (per la pagina v. nota 25) si tratta di principio “già fortemente scontato”, in sede giurisdizionale. Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia 305 impedimento da rimuovere con «idonei» interventi di sostegno e di aiuto dello Stato, delle Regioni e degli enti locali7. La finalità di siffatta tutela emerge ormai con chiarezza dall’art. 315 bis c.c. La norma evidenzia, invero, come il diritto dei figli di crescere in famiglia (ormai protetto, su piano generale, dal medesimo art. 315 bis, comma 2, c.c.) è legato al diritto dei figli stessi di ricevere “assistenza morale” dai genitori (art. 315 bis, comma 1, c.c.) e di mantenere rapporti significativi con i parenti (art. 315 bis, comma 2, c.c., ult. inciso). Il diritto del figlio di crescere in famiglia tende, così, a garantire il concreto godimento delle cure amorevoli dei genitori8 e dell’affetto dei parenti9. 7 Osserva, C.M. Bianca, Audizione, cit.: “Il diritto del minore a una famiglia vuol dire, anzitutto, diritto del minore a non essere tolto dalla sua famiglia. Si tratta di un diritto che va tenuto presente tutte le volte in cui si opta facilmente per la soluzione di collocare il minore al di fuori della sua famiglia.” V., pure, C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, cit., p. 429 ss.; Id., La revisione normativa dell’adozione, cit., p. 525 ss.; Id., Sub art. 1 (commi 1°, 2° e 4°), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario, Titolo I. Diritto del minore alla propria famiglia, in N.L.C.C., 2002, p. 909 ss.; M. Gorgoni, Sub art. 1 (comma 3°), ibidem, p. 914 ss.; F. Giardina, Sub art. 1 (comma 5°), ibidem, p. 922 ss.; A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Commento alla nuova disciplina (l. 28 marzo 2001, n. 149 e d.l. 24 aprile 2001, n. 150), Milano, 2001, p. 15 s.; G. Sciancalepore, Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino Stanzione, Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149, Milano 2001, spec. p. 30 ss.; Id., Il diritto del minore alla propria famiglia (note a margine della l. 28 marzo 2001, n. 149), in R. Favale - B. Marucci, Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, Napoli, p. 735 ss. In giurisprudenza, v., ex multis, Cass. 30 giugno 2016, n. 13435, punto 5.6, in Foro it., 2016, I, p. 2319 ss., con nota di G. Casaburi, La revocabilità delle sentenze (della Cassazione) di adottabilità dei minori tra giudici supremi interni e sovranazionali: le «liaisons dangereuses», nonché in Famiglia e dir., 2017, p. 319 ss., con nota di A. Figone, Accertamento dello stato di abbandono e revocazione di sentenze della Cassazione. La sentenza afferma “il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, sancito dalla l. n. 184 del 1983, art. 1, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono - la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come “extrema ratio” a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza”. Sul punto, cfr., C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, cit. 8 V., C.M. Bianca, 2.1. La famiglia, cit., p. 367. Ivi, l’A. chiarisce che la riforma della filiazione ha enunciato il diritto del figlio all’assistenza morale, intendendo “sancire il diritto del figlio ad essere amato dai suoi genitori. Assistere moralmente il figlio significa infatti averne cura amorevole”; P. Spaziani, Il diritto all’assistenza morale (art. 315 bis, come inserito dall’art. 1, comma 8, l. n. 219/2012) in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 67 ss. 9 Considerata l’importanza dei sentimenti affettivi derivanti da vincoli di sangue 306 The best interest of the child Una lettura unitaria delle disposizioni fin qui menzionate consente, pertanto, di ritenere che ai figli non possa essere sottratto l’amore dei familiari in generale e dei genitori in particolare, neppure al benemerito fine di conseguire migliori condizioni di vita materiale. Tali condizioni, quantomeno nella misura valutata necessaria per una vita dignitosa, possono e devono raggiungersi con un sistema di aiuti che impegna la solidarietà familiare ed extrafamiliare. per un’armoniosa crescita del minore, la giurisprudenza, anche in assenza di una specifica norma intesa a tutelare siffatti sentimenti, aveva escluso che si potesse vietare ai nonni ogni rapporto con i nipoti, senza un plausibile motivo relativo al preminente interesse dei nipoti stessi. V., Trib. Messina, decr. 19 marzo 2001, in Dir. fam. pers, 2001, p. 1522 ss. e, con riferimento all’ipotesi di intervenuta separazione tra i genitori, Cass., 25 settembre 1998, n. 9606. In dottrina, v., M. Bianca, Il diritto del minore all’«amore» dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, p. 155 ss. L’interesse del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti viene poi espressamente tutelato dall’art. 155 c.c., come modificato dalla l. n. 54/2006, ma in ipotesi di separazione dei genitori. V., App. Milano, 11 febbraio 2008, in Fam. dir., 2008, p. 357, con nota adesiva di F. Panuccio Dattola, Rapporti significativi e presenza affettiva dei nonni. Con la riforma della filiazione, l’interesse del minore a mantenere rapporti significativi con i parenti e specialmente con i nonni è tutelato non soltanto in ipotesi di separazione dei genitori (art. 337 bis c.c.) ma sul piano generale (art. 315 bis). V., P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in La riforma della filiazione, cit., p. 125 ss. Sulla speculare posizione dei nonni (art. 317 bis c.c.), v., P. Corder, Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis, come modificato dall’art. 42 del d. lgs. n. 154 del 2013), in La riforma della filiazione, cit., p. 95 ss. V. pure, Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, punto 4, (in Ilfamiliarista. it, 12 novembre 2018, con nota di R. Russo). La sentenza riconosce il diritto di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni non solo ai soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, “ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo posa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico”. Il diritto degli ascendenti, tuttavia – v., Cass., 25 luglio 2018, n. 19779, punto 2.2.1, in Ilfamiliarista.it, 9 ottobre 2018, con nota di S.A.R. Galluzzo – può considerarsi “un diritto pieno esclusivamente nei confronti del terzi; costituisce, invece, una posizione soggettiva recessiva di fronte al preminente interesse dei nipoti minorenni, che è, in ogni caso, destinato a prevalere”. In dottrina, v., G. Ballarani - P. Sirena, Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in M. Bianca (cur.), Filiazione, Commento al decreto attuativo, Milano 2014, p. 151. Sulla tutela dei legami affettivi tra fratelli e sorelle e sul diritto degli stessi di essere collocati presso il medesimo genitore, in caso di separazione personale dei coniugi, v., Cass., 24 maggio 2018, n. 12957, punto 8 (in Quotidiano giuridico, 30 maggio 2018, con nota di S. Guoli, Separazione: fratelli e sorelle devono restare insieme, in Guida al diritto, 28 luglio 2018, fasc. 32, p. 41 s., con nota di M. Finocchiaro, Deroga possibile solo se è dimostrato un grave pregiudizio) e Cass., 17 maggio 2019, n. 13409, punti 6-7, in Dejure. Sulla salvaguardia del vincolo tra fratelli, v., anche, C. eur. Pontes/Portogallo, ricorso n. 19554/09, 10 aprile 2012. Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia 307 3. Gli aiuti alla famiglia indigente La contribuzione di ciascuno dei componenti della famiglia, anche dei figli maggiorenni e conviventi, al soddisfacimento dei bisogni degli altri familiari [tra i quali, naturalmente, rientrano fratelli e sorelle minori, (art. 315 bis, comma 4)], il concorso degli ascendenti, quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, negli oneri di sostentamento dei discendenti (art. 316 bis, comma 1)10 e perfino l’obbligo dei fratelli e delle sorelle maggiorenni e non conviventi di prestare gli alimenti nella misura occorrente a coprire anche le spese per l’educazione e l’istruzione del minore (artt. 433 e 439 c.c.), rappresentano altrettanti strumenti per raggiungere un livello di vita materiale accettabile pur se non ottimale11. L’inesistenza o l’insufficienza di provvidenze familiari adeguate, però, non sottrae, almeno in linea teorica, forza realizzativa all’interesse del minore di crescere nella propria famiglia; muta piuttosto il comportamento dovuto dallo Stato e dalle altre istituzioni pubbliche: al dovere negativo di non ingerenza nella vita familiare si aggiunge, in tal caso, l’obbligo positivo di fornire ai genitori i mezzi per un idoneo sostentamento dei figli12. Così, dispongono la Costituzione, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il già citato art. 1 della l. n. 184/83 come modificato dalla l. n. 149/2001, e così dovrebbe essere a mente della legge quadro n. 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il diritto dei genitori di ricevere dalla società civile quanto occorre perché sia assicurata la permanenza dei figli nella famiglia esige, peraltro, 10 V., Trib. Pescara, 13 aprile 2015, in Ilfamiliarista.it, 24 luglio 2015. La sentenza chiarisce che l’insufficienza di mezzi deve essere accertata con riferimento ad entrambi i genitori. L’obbligazione degli ascendenti è pertanto sussidiaria rispetto a quella primaria dei genitori, e non opera quando uno di essi è inadempiente e l’altro sia in grado di mantenerli. In tal senso, v., anche, Cass., 30 settembre 2010, n. 20509, in Fam. dir., 2011, p. 467 ss., con il commento di E. Morganti, Il concorso degli ascendenti negli oneri di mantenimento della prole. La sentenza interpreta l’art. 148 c.c.; il d. lgs. 154/2013 ha trasferito il contenuto della disposizione nel nuovo art. 316 bis c.c. senza modificarne il testo, cosicché i principi già espressi con riferimento all’art. 148 c.c. conservano integra la propria importanza. 11 V., C.M. Bianca, 2.1. La famiglia, cit., p. 544. L’A. sottolinea come “anche tra fratelli e sorelle gli alimenti sono comunque dovuti nella misura che consenta una vita dignitosa”. 12 Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia è, infatti, un diritto fondamentale. V., C.M. Bianca, 2.1 La famiglia, cit., p. 369. 308 The best interest of the child interventi delle istituzioni pubbliche concretamente adeguati, tali, dunque, da consentire il ripristino di un ambiente familiare idoneo. Non è senza significato che l’art. 2 della l. n. 184/83 subordina l’affidamento familiare non al mancato conseguimento di un ambiente familiare idoneo tout court, ma al mancato conseguimento di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno “disposti” e, dunque, realmente messi a disposizione dei genitori dalle istituzioni pubbliche. Eppure, una tutela tanto vigorosa rischia di apparire vuota enunciazione normativa. Una proposizione incidentale dell’art. 1 della l. n. 184/83 sembra trasformare il comportamento dovuto dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti locali in una condotta discrezionale da adottare “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”, e, pertanto, delle risorse finanziarie previste, se previste, in bilancio. Così, le risorse finanziarie mancano sempre o quasi sempre; le condizioni di indigenza non consentono ai genitori di provvedere adeguatamente alla crescita e all’educazione dei propri figli; e i figli vengono allontanati dalla propria famiglia, in applicazione degli istituti previsti dalla legge n. 184. Ed è sempre in agguato anche il rischio di un provvedimento adottato in via d’urgenza dalla pubblica autorità, ai sensi dell’art. 403 c.c., motivato, magari, dalla circostanza che tale minore è allevato in «locali insalubri», anche se l’espressione è tanto generica da poter essere riferita a tutte le abitazioni malandate in cui vivono, loro malgrado, le famiglie povere13. Questo stato dell’arte, non degno di una società civile, viene periodicamente stigmatizzato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. La Corte non perde occasione per ribadire che le autorità devono adottare misure concrete per permettere al minore di vivere con i genitori, specificando – da ultimo con la sentenza Barnea e Caldararu c. Italia14 13 Va, altresì, ricordato che l’art. 2 della legge 184 ammette, in caso di necessità e urgenza, un affidamento disposto senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3. Per quanto la necessità e l’urgenza dovrebbero ravvisarsi soltanto quando siano accertati maltrattamenti, violenze o abusi sui minori e, cioè, soltanto quando i genitori appaiono ictu oculi veramente indegni, non vi alcuna certezza giuridica che la disposizione venga applicata soltanto in casi eccezionali. 14 C. eur., 22 giugno 2017, ricorso n. 37931/15, § 72, (trad. it., in https://www.giustizia. it/giustizia/it/mg_1_20.wp). Nello stesso senso, C. eur., 18 dicembre 2008, ricorso n. 39948/06, Saviny c. Ucraina, § 57, e 18 giugno 2013, ricorso n. 28775/12, R.M.S. c. Spagna, § 86. Sulla necessità che le autorità assicurino una particolare protezione Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia 309 – che è compito delle autorità pubbliche aiutare le persone in difficoltà, consigliarle sui diversi tipi di sussidi sociali disponibili, informarle sulla possibilità di ottenere un alloggio sociale o altri mezzi per superare le difficoltà. Non si può, tuttavia, non osservare che la Corte, quando ravvisa una violazione dell’art. 8 Cedu, condanna sì lo Stato, ma spesso quantifica il danno morale da risarcire ai familiari, con molta, forse troppa prudenza e oculatezza. L’esiguità di tali somme, a volte inferiori a quelle liquidate, sempre a titolo di danno morale, per la violazione dell’art. 1, prot. n. 1, in materia di proprietà15, per quanto giustificata dalla necessità di evitare la trasformazione della sofferenza dei figli e dei genitori in una ragione di profitto, ingenera il timore di una esecrabile assimilazione tra la sofferenza causata dalla illegittima perdita del diritto di proprietà su un bene e quella provocata dalla illegittima privazione del rapporto con i propri figli. Una maggiorazione delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno morale per la violazione del diritto alla vita familiare potrebbe, oltretutto, sollecitare, almeno indirettamente, l’introduzione di più soddisfacenti dispositivi di attuazione dell’interesse del minore di crescere nella propria famiglia. 4. Necessità di nuovi interventi legislativi L’interesse del minore di crescere nella propria famiglia richiede, invero, interventi in una pluralità di direzioni. È necessario anzitutto un regolamento di attuazione dell’art. 1 della legge n. 184 che contenga, oltre a norme di dettaglio sulla natura e sulla funzione delle misure di aiuto alla famiglia indigente, anche l’indicazione dei criteri e degli standard minimi di assistenza. È necessario, altresì, prevedere – come suggerisce il Prof. Bianca16 – l’istituzione di alle famiglie in difficoltà, v., C. eur., 13 gennaio 2009, ricorso n. 33932/06, Todorova c. Italia, § 75; 19 febbraio 2013, ricorso n. 1285/03, B. c. Romania (n. 2), §§ 86 e 114; 21 gennaio 2014, ricorso n. n. 33773/11, Zhou c. Italia, § 58; 16 luglio 2015, ricorso n. 9056/14, Akinnibosun c. Italia, § 82; 16/02/2016, ricorso n. 72850/14, Soares de Melo c. Portogallo, § 106. 15 Cfr., C. eur., 6 marzo 2007, ricorso n. 43662/98, Scordino c. Italia (violazione dell’art. 1, prot. n. 1), che riconosce 10.000 € per il danno morale subito da ciascuno dei ricorrenti e C. eur., 22 giugno 2017, ricorso n. 37931/15, cit., (violazione dell’art. 8 Cedu) che riconosce complessivi 40.000 € per il danno morale subito da 6 ricorrenti. 16 C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo 310 The best interest of the child un fondo nazionale di solidarietà che consenta agli enti locali di assolvere la funzione assistenziale in favore dei minori, un fondo nel quale esistano risorse sufficienti a coprire i bisogni delle famiglie in difficoltà. In questo modo si renderebbe ancor più significativa la disposizione dell’art. 79 bis della legge n. 184 che impone ai giudici di segnalare ai Comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per mantenere ed educare il minore nella famiglia. La disposizione, in presenza soprattutto di un fondo sociale adeguato, potrebbe stabilire un circuito virtuoso negli interventi pubblici. La segnalazione dei giudici stimolerebbe l’intervento del Comune e il Comune, sollecitato dall’autorità giudiziaria e non più scagionato dalla mancanza di fondi, incorrerebbe finalmente in responsabilità in caso di inadempimento totale o parziale dell’obbligo previsto dalla legge n. 184; l’autorità giudiziaria, a sua volta, non potrebbe né disporre affidamenti familiari, né tanto meno dichiarare l’adottabilità del minore, prima di aver accertato che l’aiuto, sebbene serio e adeguato, non ha raggiunto l’obiettivo di assicurare al minore un ambiente familiare idoneo. È necessario, infine, emendare l’art. 403 c.c. Nel corso della XVII legislatura era stata presentata una proposta di legge intesa a modificare l’articolo 403 c.c. sull’Intervento della pubblica autorità a favore dei minori”. La proposta non ha completato il proprio iter ma – come sostenuto dalla Professoressa Mirzia Bianca e dal Professor Enrico Quadri nelle audizioni alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 22 giugno 201717 – l’art. 403 c.c. deve essere modificato al fine di ridimensionare la discrezionalità dell’autorità che effettua l’intervento (da affidare preferibilmente agli organi di protezione dell’infanzia); di accentuare il carattere di eccezionalità del provvedimento; di imporre la valutazione, in via prioritaria, della possibilità di una collocazione del minore presso parenti entro il quarto grado. Ad oggi, tuttavia, nulla è concretamente mutato. Inadeguati appaiono sia la l. n. 4 del 2019, sia il d. lgs. n. 147 del 2017 (come modificato dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla succitata l. 28 marzo 2019, n. 26). I provvedimenti, adottati per contrastare gli effetti devastanti della disoccupazione all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, cit., p. 7. 17 Indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge C. 4299 Agostinelli, recante “Modifica dell’articolo 403 del codice civile, in materia di intervento della pubblica autorità a favore dei minori” in http://www.camera.it/leg17/203?idCommi ssione=02&calendario=false. Le condizioni di indigenza dei genitori e il diritto di crescere in famiglia 311 e, pertanto, a prescindere dalla presenza o meno nel nucleo familiare di figli minori, pur contenendo misure che potrebbero contribuire a realizzare il preminente interesse del minore di crescere nella propria famiglia, – riconoscimento di un reddito di cittadinanza (art. 1 l. n. 4/2019); valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo familiare (art. 5, d. lgs. n. 147/2017); predisposizione, all’occorrenza, di un progetto personalizzato di misure di sostegno (art. 6, d. lgs. n. 147/2017); determinazione della quota del fondo povertà da destinare a tale scopo (art. 7, d. lgs. n. 147/2017) – conferiscono ancora una volta diritti azionabili «nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente» (art. 6, comma 13, d. lgs. n. 147/2017), sicché non garantiscono l’effettivo godimento delle misure ideate per contrastare la povertà e favorire la crescita del minore nella propria famiglia. Bibliografia Ballarani G. - Sirena P., Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in M. Bianca (cur.), Filiazione, Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 151 Bianca C.M., Abbandono del minore e diritto di crescere in famiglia: spunti in tema di adozione speciale, in Giust. civ., 1980, p. 178 ss. Bianca C.M., Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia: un diritto ancora alla ricerca della propria identità e tutela, in Minorigiustizia, 2008, p. 27 ss. Bianca C.M., La famiglia 2.1, Milano, 2017, p. 369 s. Bianca C.M., La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam. per., 2006, p. 207 ss. Bianca C.M., La revisione normativa dell’adozione, in Familia, 2001, p. 525 ss. Bianca C.M., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Giust. civ., 2001, parte II, p. 429 ss. Bianca C.M., Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, p. 3 ss. Bianca C.M., Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, in Foro it., 2018, p. 817 ss. Bianca C.M., Sub art. 1 (commi 1°, 2° e 4°), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario, Titolo I. Diritto del minore alla propria famiglia, in N.L.C.C., 2002, p. 909 ss. Bianca C.M., Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in Foro it., 2017, p. 3171 ss. Bianca M., Il diritto del minore all’«amore» dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, p. 155 ss. 312 The best interest of the child Casaburi G., La revocabilità delle sentenze (della Cassazione) di adottabilità dei minori tra giudici supremi interni e sovranazionali: le «liaisons dangereuses», in Foro it., 2016, I, p. 2319 ss. Corder P., Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis, come modificato dall’art. 42 del d. lgs. n. 154 del 2013), in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione Padova, 2015, p. 95 ss. Figone A., Accertamento dello stato di abbandono e revocazione di sentenze della Cassazione, in Famiglia e dir., 2017, p. 319 ss. Finocchiaro A. - Finocchiaro M., Adozione e affidamento dei minori, Commento alla nuova disciplina (l. 28 marzo 2001, n. 149 e d.l. 24 aprile 2001, n. 150), Milano, 2001, p. 15 s. Giardina F., Sub art. 1 (comma 5°), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario, Titolo I. Diritto del minore alla propria famiglia, in N.L.C.C., 2002, p. 922 ss. Gorgoni M., Sub art. 1 (comma 3°), in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Commentario, Titolo I. Diritto del minore alla propria famiglia, in N.L.C.C., 2002, p. 914 ss. Guoli S., Separazione: fratelli e sorelle devono restare insieme, in Guida al diritto, 28 luglio 2018, fasc. 32, p. 41 s. Morganti E., Il concorso degli ascendenti negli oneri di mantenimento della prole, in Fam. dir., 2011, p. 467 ss. Morozzo Della Rocca P., Adozione, in Digesto disc. priv., agg. II, Torino, 2003 Panuccio Dattola L.F., Rapporti significativi e presenza affettiva dei nonni, in Fam. dir., 2008, p. 357 Sciancalepore G., Il diritto del minore alla propria famiglia (note a margine della l. 28 marzo 2001, n. 149), in R. Favale - B. Marucci, Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, Napoli, p. 735 ss. Sciancalepore G., Il diritto del minore alla propria famiglia, in G. Autorino Stanzione, Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149, Milano, 2001 Sirena P., Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 125 ss. Spaziani P., Il diritto all’assistenza morale (art. 315 bis, come inserito dall’art. 1, comma 8, l. n. 219/2012) in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 67 ss. Il bambino in una famiglia a confini variabili Paola Di Nicola Sommario: 1. Introduzione. – 2. I tentativi di regolamentare i cambiamenti. – 3. Le nuove (problematiche) proposte di regolamentazione. – 4. Le nuove costellazioni familiari: convivere con le incertezze. – 5. Che fare? 1. Introduzione La tutela dell’interesse del minore ha conosciuto in questo ultimi cinquanta anni una rivoluzione copernicana: si è passati dal diritto della famiglia ad avere un figlio (e spesso un erede), al diritto del bambino ad avere una famiglia. Il riferimento va alla legge del 1967 sulla cosiddetta adozione speciale. Tale rivoluzione ha prodotto rilevanti cambiamenti sociali che hanno comportato una ridefinizione ed ampliamento dello spazio sociale al cui interno si muove, prende corpo e si definisce la relazione minore - adulti di riferimento. In tale spazio sociale è tramontato il concetto di patria potestà ed è entrato il concetto di responsabilità genitoriale (P. Bosisio – P. Ronfani, 2015); la genitorialità biologica ha lasciato spazio alla genitorialità sociale a partire dall’assunto che genitori non si nasce ma si diventa; nelle pratiche educative si è passati dal modello adultocentrico al modello puerocentrico (il riferimento va al nuovo diritto di famiglia del 1975) (P. Di Nicola, 2017). In questa prima fase della rivoluzione copernicana la famiglia di riferimento a cui si pensava era la coppia coniugale con figli stabilmente costituita. Lo spazio sociale dell’interazione bambini-adulti di riferimento, ha cominciato, tuttavia, nel tempo, ad ampliarsi: sono cresciute le famiglie di fatto con figli, sono aumentate le famiglie ricomposte, sono entrati nella scena altri genitori sociali e, più recentemente per effetto del crescente ricorso alla procreazione medicalmente assistita nella 314 The best interest of the child versione eterologa e dell’utero in affitto si è assistito ad una moltiplicazione delle figure di adulti presenti sulla scena del parto (P. Di Nicola, 2017). Inoltre le tecniche di procreazione medicalmente assistita stanno segnando un ritorno alla filiazione biologica e stanno soppiantando l’adozione (e questo in tutti i Paesi europei). I cambiamenti della famiglia seguono alcune linee di sviluppo, che vanno nella direzione di un depotenziamento funzionale della famiglia, della sua de-istituzionalizzazione e privatizzazione, della radicalizzazione dei processi di individualizzazione delle biografie di vita, che penetrano dentro le strutture familiari. Affiorano ed acquisiscono uno spazio sociale crescente famiglie sempre più piccole e sempre più complesse nella loro configurazione sociale e relazionale (P. Di Nicola, 2017). In tali dinamiche di cambiamento, il conflitto coniugale, che può essere considerato causa ed effetto del nuovo clima familiare, rappresenta uno dei volani più significativi dei mutamenti in atto (P. Di Nicola, 2017; V. Iori, 2006; D. Sarchielli - R. Marinello, 2018; L. Todesco, 2009). 2. I tentativi di regolamentare i cambiamenti Rispetto a queste tendenze forte è stato ed è lo sforzo di giuristi e giurisprudenza a rispondere a queste nuove istanze di tutela dei minori: sono stati semplificati e ridotti i tempi delle procedure per separazioni e divorzi; i minori nati al di fuori del matrimonio sono stati totalmente equiparati ai figli nati da coppie coniugate; si è introdotto l’affidamento condiviso; è stato riformulato il diritto dei minori in caso di affidamento e adozione (legge n. 184 del 1983 e successive modifiche), si è introdotto anche il principio della tutela della “continuità affettiva”. Ma spesso gli sforzi sono stati vani e ad impatto ridotto per la persistente conflittualità coniugale e perché non sempre si è riusciti a “stare” dietro alle nuove configurazioni familiari. In altri termini non sempre si è tenuto conto che i nuovi assetti familiari sono in continua evoluzione e che non si può pensare alla tutela del minore avendo come riferimento la coppia coniugale con figli. Qualsiasi discorso sul diritto del minore ad una famiglia, deve tenere presente che attualmente i confini della famiglia sono variabili e noi spesso ci aspettiamo che i bambini siano in grado, abbiano le risorse per adattarsi, gestire e sopravvivere a tale variabilità. In particolare sono in atto processi di crescente variabilità intrafamiliare e inter-familiare per effetto del crescente conflitto coniugale che coinvolge anche le cosiddette nuove famiglie (famiglie di fatto e Il bambino in una famiglia a confini variabili 315 ricomposte) e in tempi più recenti le coppie sia etero che dello stesso sesso, che abbiano fatto ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e alla maternità surrogata. Inoltre, il frequente ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di coppie omosessuali, pone all’ordine del giorno il problema – sul quale la magistratura è chiamata ad esprimersi – del riconoscimento della responsabilità genitoriale a coppie dello stesso sesso, aprendo il fronte alla possibilità per un bambino di avere due padri o due madri, dei quali solo uno/a è in realtà il genitore biologico (P. Bosisio - P. Ronfani, 2015; C. Cavina - D. Danna 2009; P. Di Nicola 2016; P. Iagulli 2013; A. Lorenzetti, 2014; L. Trappolin - A. Tiano 2015)1. 3. Le nuove (problematiche) proposte di regolamentazione Le difficoltà formali (del diritto e della giurisprudenza) a trovare una regolamentazione per l’attribuzione delle responsabilità genitoriali all’interno di coppie in conflitto, siano esse omo o etero sessuali, hanno dato adito a proposte “retrotopiche”: sanare le situazioni complesse alla luce di orientamenti, norme e valori antecedenti alla riforma del diritto di famiglia del 1975. Su questa linea ‘retrograda’ si muove il disegno di legge n. 735 del 2018 (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia della bigenitorialialità)2 . Tale Disegno di legge (DL da questo momento in poi), offre interessanti stimoli per valutare come è “visto dagli adulti” l’interesse del minore e quale tipo di famiglia di riferimento si pensa sia la migliore per i bambini. 1 Per una panoramica sulle nuove famiglie a livello internazionale si veda S. Golombok 2016. 2 Anche se il disegno di legge non è stato discusso, ad esso si fa riferimento perché, nella sua formulazione, risente di quel ‘bisogno’ di ‘retrotopia’ (di cui parla Z. Bauman), come reazione alle nuove dinamiche sociali, politiche e culturali, alle quali non si riesce a dare una risposta. Di fronte alle nuove sfide della società complessa, alcuni volgono le spalle all’indietro, alla ricerca di un tempo perduto – e spesso mitico – in cui la società era ben integrata nelle sue parti e basso era il livello di dissenso nei confronti delle sue norme, valori e modelli di comportamento. È un bisogno molto bene interpretato da quanti - forze politiche di destra e movimenti reazionari - propongono un salto di civiltà all’indietro. Tali spinte all’indietro sono attualmente molto forti (e non solo in Italia), tanto è vero che il disegno di legge 735 è stato accantonato ma non ritirato. In realtà con la caduta del Governo, il D.L. è stato successivamente ritirato.. Sul concetto di retrotopia si veda: Z. Bauman, Retrotopia, Bari-Roma, 2017. 316 The best interest of the child Il DL parte dall’affermazione di Arturo Carlo Jemolo, secondo la quale la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire, essendo un organismo normalmente capace di equilibri e bilanciamenti che la norma giuridica deve sapere rispettare quanto più possibile. Rispetto a queste affermazioni sono necessarie alcune precisazioni. La famiglia è sempre stata oggetto di una normazione precisa e puntuale non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche e soprattutto giuridico: equilibri e bilanciamenti non sono dati in natura, ma sono l’esito di processi ampiamente normati; alcuni sostengono che nelle famiglie tradizionali lo sbilanciamento e il dis-equilibrio fossero più la norma che l’eccezione. Ma in quanto sanciti dalla legge erano considerati “normali e naturali”. Sbilanciamenti e dis-equilibri, tra i sessi e le generazioni, che tutta la normativa sulla famiglia e sui minori a partire dagli ‘70 del secolo scorso, ha tentato di superare. Se la famiglia è un organismo, la sua esistenza “sociale” e la sua rilevanza istituzionale dipendono dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti. Da questo punto di vista dobbiamo accettare che separazioni e divorzi non sono “eccezioni” che confermano la regola (del buon funzionamento di una ‘felice’ famiglia unita), ma sono evenienze, nelle biografie di vita individuali, altamente probabili. Lo sforzo presente in questo DL di “regolare” in maniera precisa e puntuale le relazioni tra coniugi in conflitto e tra genitori separati e figli, prevedendo specifiche figure professionali (mediatori, avvocati, coordinatori, giudici) ai quali compete il compito arduo di aiutare la coppia a giungere ad accordi condivisi, dimostra quanto sia anacronistica l’affermazione di Jemolo. Al di là dell’affermazione del diritto del bambino ad avere relazioni con ambedue i genitori, il DL ignora totalmente i bisogni dei bambini. Quali sono i bisogni del bambino, come affrontare le rotture biografiche? Per crescere il bambino ha bisogno di: - sviluppare costanti relazioni di affidamento; protezione fisica; esperienze modellate sulle differenze individuali; fidarsi degli adulti di riferimento; esperienze appropriate al grado di sviluppo; definire i limiti, elaborare una sua definizione di famiglia; comunità stabili di supporto e di continuità culturale; - salvaguardare il futuro delle comunità di appartenenza. Il bambino in una famiglia a confini variabili 317 Continuità, stabilità, fiducia sono termini ricorrenti in elenco, termini che rinviano ad un tempo “soggettivamente” lungo per il bambino, ma che si consuma nell’arco di pochissimi anni (l’infanzia): questo significa che non necessariamente tutte le famiglie “felici” sono in grado di soddisfare tali bisogni, che in caso di conflitto nella coppia genitoriale spesso tale capacità viene messa fortemente a rischio, che il conflitto spesso scoppia per il logoramento di relazioni di coppia che comunque coinvolgono un minore che è vissuto in quella famiglia e ne ha respirato il clima affettivo e relazionale ben prima dell’evento traumatico. Il conflitto familiare, indipendentemente dal tipo di famiglia in cui vive il figlio, rappresenta sempre un trauma, nella biografia di vita del bambino, una frattura biografica, un lutto. La letteratura ha messo in evidenza che il fattore critico non è dato dal fatto che i genitori litigano, ma da come litigano (S. Golombok, 2016). Sembra strano questo riferimento alla “qualità del conflitto”, ma si può litigare mettendo in campo le ragioni del contendere, le divergenze, le delusioni e le aspettative mancate ovvero si può litigare mettendo in campo rancori, risentimenti, minacce, violenze, recriminazioni, insulti. E tutto ciò è ampiamente percepito e respirato dai bambini, anche se molto piccoli. Inoltre, nel momento della separazione/divorzio comunque i figli hanno sperimentato particolari modelli di attaccamento, di autorità e di cura: posseggono un patrimonio, non importa se ricco o povero, di esperienze cognitive ed affettive che influenzano il modo con il quale si accingono a fronteggiare la separazione dei genitori. Ma accettare questo dato di fatto, non significa, per genitori e figli, fare finta che nulla sia successo e che il bambino ce la farà da solo a fronteggiare la situazione. Genitori e figli devono sviluppare competenze atte far sì che si acquisisca la consapevolezza che indietro non si torna e che il raggiungimento, auspicabile, di un nuovo equilibrio significa sempre muoversi in uno spazio relazionale e affettivo nuovo e diverso. E questo anche se la coppia alla fine si riappacifica. Prepararsi come coppia e preparare il bambino alla nuova transizione biografica significa riconoscere che nella fase della rottura dei legami familiari il bambino manifesta altri bisogni, sentimenti, emozioni (A. Dell’Antonio, 1993; V. Iori, 2006; C. Saraceno - M. Pradi, 1991; S. Vegetti Finzi, 2005). Bisogno di rassicurazione: che qualcuno si occuperà di lui, che non perderà i compagni di scuola, gli amici, i nonni e che in generale la ruotine quotidiana continua. Nostalgia per il 318 The best interest of the child genitore che si è allontanato. Non ritenersi responsabile (essere causa) delle liti tra i genitori. Rancore per il genitore che ritiene sia responsabile del conflitto coniugale. Capacità di crearsi una nuova immagine di famiglia, al cui interno sono presenti altri soggetti, mentre altri rimangono sullo sfondo. Adattarsi a nuove routine. Nell’elaborazione di una nuova immagine di famiglia, le cosiddette “nuove costellazioni familiari” (insieme di adulti, che non necessariamente vivono sotto lo stesso tetto, ma che convergono sull’attività di cura ed accudimento di bambini figli di separati/divorziati) entrano nuovi attori che dovrebbero consentire al bambino di trovare una risposta ai nuovi bisogni e di crearsi una nuova routine. Ma i confini delle nuove configurazioni familiari sono stabili, assicurano continuità, stabilità, fiducia? Se ci si pone nella prospettiva dei figli, soprattutto, se piccoli, ci si rende conto che nei nuovi immaginari sociali di questi piccoli entrano nuovi soggetti: il nuovo compagno della madre, la nuova “fidanzata” del padre, fratellastri, figure di riferimento sociali con le quali non è necessariamente detto che il minore possa/voglia stabilire una relazione affettiva. Può non volerlo il bambino stesso, il suo genitore biologico ma anche lo stesso genitore sociale. Alcuni legami si allentano: è frequente che si allentino i legami con i genitori e i fratelli o le sorelle del genitore biologico che si è allontanato, con i cugini; altri legami si rinsaldano, per es. con i nonni biologici del genitore con cui il minore vive; entrano nuove figure: i nonni sociali, i fratellastri, con i quali si può convivere, ma anche solo trascorrere le vacanze o i fine settimana. Sono figure che possono avere una loro stabilità, ma che possono anche scomparire ed apparire con un’alternanza che può essere fonte di crescente insicurezza e instabilità per i figli. Parlare di interesse del minore, significa avere consapevolezza delle nuove configurazioni relazionali dal quale il bambino si aspetta continuità, rassicurazione e verso le quali matura fiducia. Possiamo dire che il bambino, prima, durante e dopo la separazione dei genitori ha bisogno di “house” (ambiente di fiducia) e non solo di “home” (casa, appartamento, luogo in cui si mangia e si dorme). Il Disegno di legge 735 pone enfasi sulla “house”: in tale disegno i fattori di protezione del minore sono: • Poter stare 50% del tempo con la madre e 50% con il padre: sembra che basti per garantire il diritto dei figli ad avere accesso ai genitori. Siamo sicuri che un bambino piccolo acquisisca sicurezza non sapendo Il bambino in una famiglia a confini variabili 319 o non ricordando in quale casa mangerà e, soprattutto, dormirà. Duplichiamo camerette, lettini, ma anche giocattoli, peluche?; • Individuazione chiara e precisa di chi paga cosa e quanto (rimborso spese a piè di lista, paga chi in quel momento ha il minore in casa, valutazione del costo dei figli in base ai parametri ISTAT); • Formulazione di un piano genitoriale in ordine a: luoghi abitualmente frequentati dai figli; scuola e percorso educativo; eventualità attività extra-scolastiche sportive, culturali e formative; frequentazione parentali e amicali del minore; vacanze normalmente godute dal minore; • Rispetto del piano genitoriale. Il DL prevede che la coppia in conflitto prima della separazione ufficiale acceda alla mediazione familiare (che al momento è un servizio prevalentemente privato, vale a dire a pagamento) e accetti la presenza di una sorta di tutore con funzione di monitoraggio (controllo?) della sua capacità di attuare il piano genitoriale. Il DL di legge segna un netto ritorno ad un modello adultocentrico, che mira a tutelare gli interessi degli adulti e non del minore: si parla di casa, affitti, usufrutto, spese; si parla tanto di beni materiali, poco di beni relazionali, poco di “cura”. Il DL è centrato sulla tutela dei diritti soprattutto dei padri (contro le madri accusate di manipolare i figli e metterli contro il padre) e non si pone tante domande su come il figlio possa vivere la netta divisione fisica e materiale del proprio ambito di vita quotidiana. 5. Che fare? Come dice J. Habermas non esiste produzione di senso per via amministrativa: la legge, le norme sono utili come cornice di riferimento, ma un affidamento è veramente condiviso, la genitorialità diventa cogenitorialità solo se c’è “consenso” tra le parti: un sentire comune e condiviso su quale sia la strada migliore per favorire la crescita di figli, che comunque un trauma l’hanno avuto e non lo possono cancellare. Crescita di figli che comunque vivono di fatto in un nuovo spazio sociale di relazioni, di dipendenza, di appartenenza. A tale proposito la mediazione, nelle sue diverse forme, più che un obbligo di legge, una condizione per potere accedere alla separazione, dovrebbe diventare una strategia sempre più applicata a livello micro per ricostruire relazioni dialogiche che sappiamo affrontare il conflitto, senza pretendere di sconfiggere, mettere nell’angolo il contendente. 320 The best interest of the child Ricordando che il conflitto cambia inevitabilmente non è solo la relazione di coppia, ma anche la relazione genitore-figlio. In Italia la mediazione, nelle sue diverse forme, è una tecnica ampiamente utilizzata e studiata. Sul tema la letteratura e molto ampia, a conferma del fatto che da tempo è emersa la consapevolezza che il conflitto coniugale si gestisce non solo per via legale, ma perseguendo, prima di fare istanza di separazione, la strada del dialogo, della comunicazione, del confronto, per sviluppare nella coppia un sapere riflessivo che aiuti a fronteggiare i costi che il conflitto coniugale infligge ai genitori e ai figli (R. Ardone - S. Mazzoni, 1994; D. Bramanti, 2005; V. Cigoli - E. Scabini, 2003; R. Giommi, 2002; I. Bernardini - F. Scaparro, 1994; S. Castelli, 1996; M.G. Landuzzi, 2005; M. Malagoli Togliatti - G. Montinari, 1995; C. Marzotto – R. Telleschi, 1999; D. Mazzei, 2002). L’esercizio delle bigenitorialità presuppone che ambedue i genitori e soprattutto quello che “fatica” a mantenere una relazione stabile con il figlio e non sempre per colpa dell’altro coniuge, ma per effetto di un contesto culturale che ancora affida la responsabilità della “cura” in mani femminili sviluppi quell’attitudine alla cura, quella capacità ad assumere una sostanziale responsabilità genitoriale, che nessuna legge, tribunale, o accordo condiviso sulla carta potrà mai dare. Storicamente l’attitudine alla cura è stata lasciata in mani femminili: di questo le donne hanno tratto vantaggi (per es. essere considerate le figure che meglio rispondono ai bisogni dei bambini); di questo affidamento preferenziale le donne hanno avuto svantaggi: il non riconoscimento dell’importanza sociale e non solo economica del lavoro di cura, il sovraccarico funzionale, una maggiore debolezza nel mercato del lavoro. Di questa delega alla donna del lavoro di cura, gli uomini hanno tratto dei vantaggi: alleggerimento funzionale, poter partecipare a pieno titolo al mercato del lavoro, potersi permettere di “non pensare”’ ai figli perché tanto c’era qualcun altro che se ne occupava; gli uomini tuttavia, ne hanno pagato anche dei costi: difficoltà e spesso impossibilità a mantenere una relazione significativa con i figli dopo una separazione, scarsa consapevolezza dei reali bisogni dei figli, estraniazione rispetto alle pratiche della cura: la cultura della mediazione potrebbe diventare terreno per lo sviluppo di una cultura della cura che coinvolga uomini e donne e diventare la base per una ricucitura dialogica dei conflitti, che viene prima di qualsiasi decisione relativamente alla scelta di dove, come vive il minore e quanto costa. Il bambino in una famiglia a confini variabili 321 Bibliografia Ardone R. - Mazzoni S. (cur.), La mediazione familiare. Per una regolazione della conflittualità nella separazione e nel divorzio, Milano, 1994 Bernardini I. - Scaparro F. (cur.), Genitori ancora: la mediazione familiare nella separazione, Roma, 1994 Bosisio P. - Ronfani P., Le famiglie omogenitoriali, Roma, 2015 Bramanti D., Sociologia della mediazione, Milano, 2005 Castelli S., La mediazione. Teorie e pratiche, Milano, 1996 Cavina C. -Danna D. (cur.), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano, 2009 Cigoli V. - Scabini E. (cur.), Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie, in Studi Interdisciplinari sulla famiglia, Vita e Pensiero, Milano, 2003 Dell’Antonio A., Il bambino conteso. Il disagio infantile nella conflittualità dei genitori separati, Milano, 1993 Di Nicola P., “Babies are not Born under a Cabbage Leaf”, in Italian Sociological Review, 2016, Vol. 6, n. 2, p. 293-308. Di Nicola P., Famiglia: sostantivo plurale. Nuovi orizzonti e vecchi problemi. Seconda edizione aggiornata, Milano, 2017 Giommi R., La mediazione nei conflitti familiari, Firenze, 2002 Golombok S., Famiglie moderne. Genitori e figli nelle nuove forme di famiglia, Milano, 2016 Iagulli P., Diritti riproduttivi e fecondazione artificiale. Studio di sociologia dei diritti umani, Milano, 2013 Iori V., Separazioni e nuove famiglie. L’educazione dei figli, Milano, 2006 Landuzzi M.G., Sociologia della mediazione familiare, Verona, 2005 Lorenzetti A., Bilanciamento di interessi e garanzie per i minori nella filiazione da fecondazione eterologa e da maternità surrogata, in G.O. Cesaro - P. Lovati - G. Mastrangelo (cur.), La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, Milano, 2014 Malagoli Togliatti M. - Montinari G., Famiglie divise, Milano, 1995 Marzotto C. - Telleschi R., Comporre il conflitto generazionale, Milano, 1999 Mazzei D., La mediazione familiare. Il modello simbolico trigenerazionale, Milano, 2002 Righetti P.L. - Galluzzi M. - Maggino T. - Baffoni A. - Azzena A., La coppia di fronte alla Procreazione Medicalmente Assistita. Aspetti psicologici, medici, bioetici, Milano, 2009 Sarchielli D. - Marinello R., Separazioni conflittuali, Milano, 2018 Saraceno C. - Pradi M., I figli contesi. L’affidamento dei minori nella procedura di separazione, Milano, 1991 Todesco L., Matrimoni a termine. L’instabilità coniugale nell’Italia contemporanea, Roma, 2009 322 The best interest of the child Trappolin L. - Tiano A., Same-sex families e genitorialità omosessuale. Controversie internazionali e spazi di riconoscimento in Italia, in Cambio, anno V., 2015 n. 9, pp. 47-61 Vegetti Finzi S., Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Milano, 2005 La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil Nelson Rosenwald Sommario: 1. La primera travesía: del abandono afectivo al acto ilícito de omisión de cuidado. – 2. La segunda travesía: del acto ilícito a la responsabilidad civil. – 2.1. Los presupuestos de la responsabilidad civil por la omisión del cuidado. - 2.1.1. La culpa. – 2.1.2. Daño injusto. – 2.1.3. Nexo causal. - 3. Críticas a la responsabilidad civil por omisión de cuidado parental. – 4. Conclusión. 1. La primera travesía: del abandono afectivo al acto ilícito de omisión de cuidado La responsabilidad civil derivada de la omisión de cuidado ha sido prestigiada por la doctrina de derecho privado y por la jurisprudencia brasileñas, sobre todo después de la decisión del Superior Tribunal de Justicia en el REsp 1.159.242, de abril de 20121, que ofreció sólidas bases jurídicas para el deslinde de colisiones de derechos fundamentales que involucraran la libertad del genitor y la solidaridad familiar. En resumen, la Ministra Relatora Nancy Andrighi subrayó que, en los casos de responsabilidad civil por omisión de cuidado, no se discute el acto paterno de amar –que es una facultad–, sino la imposición biológica y constitucional de cuidar, que es un deber jurídico, corolario de la libertad de las personas de generar o de adoptar hijos. Por lo tanto, consideró el cuidado como un valor jurídico objetivo, en el que la omisión del genitor en el deber de cuidar a su prole alcanza un bien jurídicamente tutelado, en este caso el necesario deber de cuidado (deber de criar, educar y acompañar), que genera la posibilidad de que el hijo pleitee una compensación por daños morales. Asimismo, agrega que los padres asumen obligaciones jurídicas con respecto a su prole 324 The best interest of the child que van más allá de lo básico para su mantenimiento (alimento, amparo y salud), pues el ser humano necesita otros elementos inmateriales, igualmente necesarios para su formación adecuada, como educación, ocio, normas de conducta, etc. El cuidado, vislumbrado en sus diversas manifestaciones psicológicas, es un factor indispensable para la crianza y la formación de un adulto que tenga integridad física y psicológica, capaz de convivir en sociedad, ejerciendo plenamente su ciudadanía. No quedan dudas de que el mérito de dicha decisión consiste en ofrecer parámetros objetivos para la tensión entre los principios de la libertad y la solidaridad, así la ilicitud de la conducta paterna deja de apoyarse en un supuesto “deber de amar al hijo” y se convierte en una objetiva omisión de deberes de cuidado ante el hijo, como se señala en los incisos I y II del art. 1.634 del Código Civil2, concretamente consubstanciados en la violación de los deberes de crianza, educación, compañía y guarda. Se evidencia la equivocación en la adopción de la pionera expresión abandono afectivo por remitir la discusión al pantano de la subjetividad – por el propio hecho de que el afecto es incoercible –, con la necesaria sustitución por la expresión omisión de cuidado, que evidencia la intolerancia del sistema jurídico brasileño en cuanto a comportamientos demeritorios al deber de solidaridad de los padres ante los hijos. Si aceptamos el abandono afectivo como un ilícito y como un hecho generador de responsabilidad civil, paradójicamente – y siguiendo la lógica inversa – tendremos que admitir que un eventual exceso afectivo pueda ser fuente de una pretensión por reparación de daños de hijos mimados por deseos y caprichos, que desconocen límites, y a quienes nunca se les dijo un no. O bien la conducta tan en boga actualmente, de padres que fiscalizan la vida de sus hijos con demasiado rigor, a punto de que les sofocan su libertad, inculcándoles el miedo y suprimiendo la natural percepción del riesgo, necesaria para la adquisición de la confianza y el equilibrio emocional en la edad adulta. En definitiva, pueden llegar a ser adultos indolentes, exigentes, inseguros, arrogantes, egoístas, sin defensas psíquicas y siempre pegados especialmente 2 Art. 1.634. Les compete a ambos padres, cualquiera que sea su situación conyugal, el pleno ejercicio del poder familiar, que consiste en, en cuanto a los hijos: (Redacción dada por la Ley nº 13.058, de 2014) I - dirigirles la crianza y la educación; (Redacción dada por la Ley nº 13.058, de 2014), II - ejercer la guarda unilateral o compartida en los términos del art. 1584; (Redacción dada por la Ley nº 13.058, de 2014). La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 325 a la madre como una referencia segura donde se pueden apoyar. Esta es una clara forma de corrupción de las relaciones entre padres e hijos3. Todo ello recomienda el distanciamiento de la concepción del abandono afectivo como una fuente de responsabilidad civil. Hay que hacer referencia al cuidado. Sin lugar a duda, el cuidado es una forma de amor, pero no se trata del amor que vincula a una pareja por el afecto ni tampoco del sentimiento que los padres nutren por sus hijos. El cuidado es un amor construido con dispendio de tiempo y energía – el amor proactivo de la posmodernidad –, forjado en un proceso duradero de providencias y sacrificios; es decir, actos materiales perfectamente sindicables y objetivamente mensurables por un espectador privilegiado. En la privacidad de la relación filial el cumplimiento del cuidado es el hecho jurídico que interesa al ordenamiento jurídico. Asociar irresponsablemente el abandono afectivo a una mera negación de afecto propiciaría una elevada inseguridad jurídica, a punto de que los hijos tengan la aptitud de deducir pretensiones de responsabilidad civil en contra de sus padres, aunque vivan todos en el mismo hogar, por el hecho de que el genitor haya sido una persona poco cariñosa o amable, por más que nunca haya negligenciado el deber inmaterial de cuidado. Por eso compartimos nuestra preocupación por la precisión semántica. Dar a un modelo jurídico un nombre adecuado es fundamental para otorgarle precisión, eficacia y coherencia con el sistema jurídico. En el ámbito de la familia, enuncian Ana Carolina Brochado Teixeira y Renata De Lima Rodrigues4, los miembros de la familia deben responsabilizarse unos por otros cuando existe algún tipo de vulnerabilidad. Esta responsabilidad independe del afecto, pues se trata de deberes de conducta objetivos, cuya fuente es la filiación, y cuando los deberes no se ejercen de forma espontánea, el Estado interfiere e imputa tal responsabilidad para que se le garantice a la persona vulnerable una vida digna. 3 El cronista João Pereira Coutinho hace alusión a los llamados “padres-helicóptero”: “les dedican a sus hijos la misma atención obsesiva que un investigador les da a sus ratones de laboratorio. Están constantemente sobrevolando por sobre la existencia de los pequeños. La profusión de “padres-helicóptero” es una brutal amputación de la infancia y la adolescencia. Más allá de corromper la relación entre padres e hijos [...] es natural desearles lo mejor a los hijos, no es natural tener con los hijos la misma relación que existe entre un entrenador y su atleta, como si la vida fuera una minipuerto permanente” (Folha de S.Paulo, 29-6-2014). 4 A.C. Brochado Teixeira - R. de Lima Rodrigues, O direito das famílias entre a norma e a realidade, São Paulo, 2012, p. 107. 326 The best interest of the child Cabe aclarar que la omisión de cuidado es un acto ilícito que no solo viola los deberes de cuidados que están definidos en el Código Civil, sino que ofende directamente el derecho fundamental a la convivencia familiar (art. 227, CF)5 en la medida en que la propia Carta Constitucional, en su art. 229, asume que “los padres tienen el deber de asistir, criar y educar a sus hijos menores, y los hijos mayores tienen el deber de ayudar y amparar a sus padres en la vejez, la carencia o la enfermedad”. El prestigio al deber de cuidado también forma parte de la Convención Internacional sobre los Derechos del Niño, ratificada por Brasil por medio del Decreto n. 99.710/90, constando en su art. 3º que “los Estados Partes se comprometen a garantizar al niño la protección y los cuidados necesarios para su bienestar”. Es cierto que estos dispositivos tienen una fuerte connotación moral. Sucede que, en el paradigma del Estado Democrático de derecho, aunque un principio se base en elementos sociológicos, después de que está dictado, no se lo podrá corregir. Ahora bien, nadie niega que el Derecho sea un sistema compuesto de reglas y principios. En este contexto, los principios son normas, y cuando se aplica el derecho, no podemos olvidar los principios. Al contrario de lo que se comenta en la calle, los principios no son valores, son deontológicos. Por ende, funcionan a partir del binario lícito-ilícito. Si la Constitución dice que hay un deber de asistir, criar y educar, se asume que la negación a estos deberes representa no solo una conducta reprobable, sino antijurídica. La omisión de cuidado hiere la ética y el derecho. De hecho, la tradición del derecho de familia era la de conceder a los padres la privacidad de optar entre humanizar o cosificar a sus hijos, aunque la elección por la indiferencia pudiera impactar en la moral de muchos de nosotros. Afortunadamente, el derecho ya no puede ser escindido de la ética. Ya no se puede decir, como se hacía “antaño”, que una conducta es inmoral, sino legal. En virtud de deberes de convivencia entre padres e hijos, no se puede tergiversar con cualquier moral particular. Las cuestiones de principio se superponen a las cuestiones de política. Sería empobrecedor convertir el deber constitucional y objetivo de cuidado en una figura de retórica o un mero enunciado per5 Art. 227 CF. “Es deber de la familia, de la sociedad y del Estado asegurar al niño, al adolescente y al joven, con absoluta prioridad, el derecho a la vida, a la salud, a la alimentación, a la educación, al ocio, a la profesionalización, a la cultura, a la dignidad, al respeto, a la libertad y a la convivencia familiar y comunitaria, además de ponerlos a salvo de toda forma de negligencia, discriminación, explotación, violencia, crueldad y opresión.”. La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 327 formativo que quede a disposición del intérprete. La normatividad de los artículos 227 y 229 de la Constitución Federal solo no será fragilizada si, en un sesgo dworkiniano, nos tomamos estos principios en serio. Por consiguiente, el dato cultural de la personalización de la familia sometió al imperio de la ilicitud todo y cualquier comportamiento que indicara que el procreador no ejerce el derecho status de padre socioafectivo por dejar de adoptar a su propio hijo. La ausencia del vínculo de conyugalidad de los padres en nada afecta el vínculo de parentalidad. Si la pareja conyugal fracasó, el par parental quedará preservado. Este deber constitucional de solidaridad justifica la cualificación de la ilicitud del acto antijurídico por omisión del deber de cuidado6. Por último, si comprendemos el imprescindible papel emancipatorio de una familia estructurada en la formación de ciudadanos autónomos, también nos tomaremos en serio la advertencia de Tocqueville7, para quien la principal tarea de un gobierno virtuoso es permitir que las personas puedan vivir sin su ayuda. Para ello debe cultivarse el aprecio por la libertad, cuyo principal sustento reside en el cuidado de la familia. 2. La segunda travesía: del acto ilícito a la responsabilidad civil La responsabilidad civil no se agota en la constatación del acto ilícito. La demarcación del hecho de la antijuridicidad de la conducta omisiva del genitor que pospone el deber de cuidado es solo el primero entre los cuatro presupuestos de la responsabilidad civil. Se añade a la ilicitud la culpa, el daño injusto y el nexo causal. Es en la conjugación de estos presupuestos que se sostiene la responsabilidad subjetiva aplicable al derecho de familia. 2.1. Los presupuestos de la responsabilidad civil por la omisión del cuidado 2.1.1 La culpa Al abordar el ilícito culposo, conjugamos dos conceptos. Además de la contradicción del comportamiento a la norma, debe probarse que 6 N. Rosenvald, As funções da responsabilidade civil., 3., 2018, São Paulo, p. 27. 7 A. De Tocqueville., Da democracia na América, São Paulo, 1998, p. 38. 328 The best interest of the child hubo una violación deliberada del deber jurídico (dolo) o, como mínimo, un incumplimiento de ese deber de cuidado por una negligencia del agente (culpa stricto sensu). La contradicción del comportamiento a la norma ya está caracterizada por los arts. 227 y 229 de la Constitución Federal. La omisión de cuidado como conducta objetivamente antijurídica es un dato que deriva de los hechos constitutivos de la pretensión del autor. Conviene entonces avanzar en evaluar la culpa del agente. Actualmente, no existe un modelo general de comportamiento, sino diversos standards que conducen a una fragmentación de la culpa cada vez más nítida, según la sofisticación de cada sociedad. Al evaluar una pretensión de reparación de daños desde la óptica de la teoría subjetiva de la responsabilidad civil, bajo cualquier enfoque hay que sopesar el grado de cuidado adoptado por el agente con el que sea deseable para personas que se encuentren en parámetros específicos semejantes – ya sea este un conductor de vehículos, un médico, un abogado o incluso un padre –. Lo fundamental es identificar el actuar en el caso concreto con el proceder esperado de una persona con una base intelectual y socioeconómica similar, practicante de la misma actividad en determinado tiempo y lugar. Se considerarán los elementos externos e internos. Específicamente en el espacio reservado a la negligencia paterna en cuanto a los deberes de asistir, criar y educar, nos encontramos ante un agravante: se trata de un ilícito cualificado por haberse alargado durante años, a menudo sacrificando la juventud entera de un hijo. La omisión no consiste en un acto aislado, sino en una actividad que se renueva cada día, pudiendo repercutir en la paulatina desestructuración psíquica del hijo, durante su infancia y adolescencia. La desidia que se equipara a un “ilícito continuado” indudablemente no se refiere a lo que consideramos como una culpa ligera, sino a un comportamiento antijurídico doloso o impregnado por la culpa grave del genitor. En esta senda, para que el dolo se revele, es irrelevante la demostración de la conciencia del agente de que resulten perjuicios o se intencione provocarlos, por lo que basta el hecho de haber practicado el comportamiento antijurídico con la conciencia de faltar a su deber de cuidado. A la vez, la culpa grave se caracterizará por una conducta en la que hay una imprudencia o impericia extraordinaria e inexcusable, que consiste en la omisión de un grado mínimo y elemental de diligencia que todos los padres deben cumplir. Se equipara al dolo del ofensor la culpa grave, groseramente irresponsable e indicativa de un abierto La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 329 menoscabo del agente ante las necesidades emocionales del hijo. En suma, un desdén en cuanto al comportamiento social que debería seguir, pero que ignora. A nuestro viso, la razón para que se instale la culpa grave en el mismo nivel sancionador que el dolo es la naturaleza difusa de los daños producidos por los ilícitos que la sanción pretende retribuir. En ese punto debemos equiparar los comportamientos pautados por la indiferencia y la superficialidad ante la formación de los hijos a las conductas arrogantes de aquellos que se consideran inmunes al aparato jurídico-civil y desconsideran completamente la relevante función de la autoridad parental. En cuanto a la reiterada omisión de cuidado, señalados concretamente los actos caracterizadores de la negligencia a los deberes de asistir, criar y educar a los hijos menores, no ocasionalmente podrá el padre elidir la culpa en juicio, alegando la congénita y atávica imposibilidad de acercarse al hijo por el hecho de otrora también haber sido víctima de omisión de cuidado por parte de sus padres, o incluso por no haber soportado el dolor de haber sido abandonado por la esposa o compañera, hechos que impusieron una barrera psicológica al contacto con el hijo. En tesis, estas alegaciones son plausibles, aunque el ilícito esté configurado. La omisión de cuidado es un dato objetivo y se evidencia por la simple contradicción del comportamiento del padre a la exigencia normativa. No obstante, en los confines del derecho de familia, el dato subjetivo de la culpa no se puede ignorar. Hay que averiguar cuál es la estructura psíquica de aquel que descuidó los deberes convivenciales para que se evalúe si realmente se ha escapado conscientemente al deber de cuidado o si ni siquiera tendía condiciones de ejercer la autoridad parental por estar desprovisto del instrumental emocional necesario para hacerlo. Sin embargo, hay que contextualizar y demostrar correctamente las referidas excusas paternas para que el juzgador posea elementos objetivos para excluir la culpa por la completa imposibilidad del padre de atender al deber constitucional de convivencia. Además, el autor del acto ilícito puede justificar su comportamiento por la imposibilidad física de mantener la necesaria cercanía con su hijo o incluso por una dificultad económica que lo prive de participar en su formación. Sin embargo, la tecnología nos acerca bastante, e incluso los contactos virtuales pueden propiciar lo mínimo necesario 330 The best interest of the child que los niños y adolescentes demandan para su desarrollo psíquico. A nuestro sentir, las vicisitudes que acompañan la vida del genitor no le conceden un salvoconducto para ignorar la relevante función que es inherente a la autoridad parental a punto de eximirlo de la obligación de indemnizar. Ante un deber al que todos los padres están expuestos, no podrá el magistrado sencillamente dejar de imponer una condena sobre el que excusa un acto ilícito continuado por las vicisitudes de la vida – a las que todos, de un modo u otro, estamos expuestos –; eso sería sentimentalismo. No obstante, las peculiaridades del caso en concreto pueden materializar la aplicación del párrafo único del art. 944 del Código Civil: “Si hay una excesiva desproporción entre la gravedad de la culpa y el daño, podrá el juez reducir, equitativamente, la indemnización”. La equidad aconseja al magistrado a, ante la concreta medición de desproporción entre la severidad de los daños psíquicos sufridos por el hijo y la culpa leve o levísima del ofensor, mitigar el odio quantum compensatorio. Es una valoración adecuada de la responsabilidad civil, a partir de la técnica de la ponderación, apta para impedir que el autor del ilícito sea duramente alcanzado en su patrimonio cuando el daño derivó de una falla de comportamiento que, en alguna medida, pueda justificarse por circunstancias objetivas que difícilmente harían que el autor del ilícito, u otra persona que estuviera en sus circunstancias, pudiera impedir el resultado lesivo. 2.1.2. Daño injusto Con respecto al daño injusto, restringimos nuestro abordaje al daño moral derivado de la omisión de cuidado, o sea, el daño convivencial. El daño moral es una lesión a un interés existencial concretamente merecedor de tutela. Saber si un cierto interés es o no digno de protección por el ordenamiento jurídico es un dato que solo sumerge después de un análisis concreto y dinámico de los intereses contrapuestos en cada conflicto particular que no resulte en aceptaciones generales supuestamente válidas para todos los casos, pero que se limite a ponderar intereses a la luz de circunstancias peculiares. Hay una desviación de perspectiva cada vez que un tribunal asume que la configuración del daño moral requiere simplemente el evento de ofensa a la dignidad de la persona humana, dispensándose la comprobación de dolor y sufrimiento, traduciéndose, pues, en consecuencia La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 331 in re ipsa, intrínseca a la propia conducta que injustamente alcance la dignidad del ser humano. En otras palabras, la falta de necesidad de la demostración del dolor, la herida o cualquier otra forma de lesión a la susceptibilidad de la víctima no debe motivarse en el hecho de que el daño moral se presume por una lesión a la dignidad, sin embargo, por el hecho de que aquellos sentimientos no pasan de eventuales consecuencias de un daño moral, pues éste se traduce en la propia lesión a un interés existencial concretamente merecedor de tutela. Por lo tanto, el hecho de prescindir de la prueba del dolor o de la pena (¡lo que es correcto!) no justifica que se prescinda de la prueba en cuanto a la propia existencia del daño moral (¡eso sí es incorrecto!). En realidad, la investigación debe centrarse efectivamente en la ofensa concreta a un derecho de la personalidad o a un derecho fundamental del ofendido. Esto significa que el daño moral solo se puede presumir en el plano de las consecuencias sobre las variables subjetivas de la víctima, pero nunca en lo que concierne a la propia demostración de su existencia; por ende, para atribuirse un daño a la integridad psicofísica del hijo, no basta la sencilla afirmación que la omisión del deber de cuidado le afectó el desarrollo de la personalidad o que hubo un rechazo ante la figura paterna. Lo fundamental será la prueba por intermedio de laudos psicológicos y estudios sociales que determinen no solo la existencia del daño psíquico, sino también su extensión. Por el orden natural de las cosas, la tendencia es que, en mayor o menor grado, el daño se concrete, pues forma parte de la función paterna la introyección de la ley y de la interdicción, siendo fundamental para la constitución de la subjetividad y la estructuración del deseo del hijo. Sin embargo, la presencia de una sólida figura masculina como un abuelo o un padrastro puede suplir la función originariamente atribuida al padre. Consideramos también que la existencia de una figura materna fuerte y equilibrada también será un factor idóneo para la neutralización de daños psíquicos al infante, malgrado evidenciado el ilícito culposo paterno. Este examen objetivo del hecho, en la ponderación entre la conducta supuestamente lesiva y el interés supuestamente lesionado, es que seleccionará el interés existencial concretamente merecedor de tutela y evidenciará si, de hecho, se trata de daño injusto (y reparable). En conclusión: no se dispensa el autor de la carga probatoria en cuanto a los daños extrapatrimoniales. De este modo, ante una pretensión de reparación de daños no patrimoniales, no importa solo sopesar 332 The best interest of the child en concreto la tutela del perjudicado con el ejercicio de una eventual libertad contrapuesta, sino también legitimar caso a caso el derecho a la reparación de los daños concretamente sufridos. Solo así se evitan – en un campo extremadamente fluido y desnudo de enumeraciones taxativa – pretensiones compensatorias injustas y no razonables, incapaces de posibilitar una verdadera conjugación entre la afirmación de la dignidad con el deber de solidaridad. 2.1.3. Nexo causal El último de los presupuestos de responsabilidad civil es el nexo causal. Se trata de la “esfinge” de la responsabilidad civil. Los que no pueden responder a su enigma, si bien no sufren un destino bien típico de los cuentos e historicas mitológicas – o son muertos y devorados por esos monstruos voraces –, desafortunadamente serán excluidos de la posibilidad de proseguir en la trayectoria de esta materia para lo que propone la complejidad de nuestros tiempos. Actualmente, la causalidad ocupa un papel central en la teoría de la responsabilidad civil. Antes de buscar a un culpable, localizamos a un responsable. Podemos conceptualizar el nexo causal como la relación de causa y efecto entre el hecho (comportamiento) del agente y el daño. Solo se le podrá imputar al agente la obligación de indemnizar si el conjunto probatorio evidencia que necesariamente (o adecuadamente) la lesión patrimonial o extrapatrimonial se relaciona con su conducta o actividad. En la base de responsabilidad subjetiva, solo en un segundo momento se investigará si esa conducta también corresponde a un ilícito culposo. En el ámbito de la responsabilidad civil, el nexo causal ejerce dos funciones: la primera es la de otorgar la obligación de indemnizar a aquel cuyo comportamiento fue la causa eficiente para la producción del daño. La segunda, la de determinar la extensión de ese daño, a su medida. Es decir, por la relación de la causalidad podremos determinar quién repara el daño y en qué valor. En una demanda de reparación de daños por omisión de cuidado no será la culpabilidad la que determinará la medida de la responsabilidad, sino la causalidad. Antes de precisar si la conducta antijurídica paterna se calificó por la ligereza y manifiesta indiferencia por la figura filial, se hace necesario averiguar el nexo causal entre la omisión parental y los daños sufridos por el hijo. La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 333 De nada sirve la efectiva verificación del ilícito culposo paterno, así como del daño psíquico que afecta la salud del hijo, si no existe la constatación clara de que el hecho omitido del agente fue la causa necesaria del evento lesivo, sobre todo por no existir otra causa capaz de justificar la lesión. Esta certeza se puede desvanecer si, a la par de la desidia paterna, el contexto probatorio demuestra que hubo alienación parental por parte del otro genitor8. El proceso de descualificación de la persona o de la conducta del padre ante el hijo no solo perjudica la relación afectiva paterno-filial, sino que puede, a mediano y largo plazo, acarrear secuelas emocionales y comportamentales, a las que se confiere la denominación de síndrome de la alienación parental. En caso de que este proceso insidioso y continuado sea la causa inmediata del daño acarreado al niño o adolescente, quedará excluida la obligación de indemnizar por parte del padre al argumento de la exclusión del nexo causal por el hecho exclusivo de tercero. Además, en la trayectoria de la construcción de la subjetividad humana, otros factores pueden influir negativamente en el desarrollo psíquico de un joven, como el ambiente familiar y escolar. Ciertas vivencias negativas fatalmente competirán para potenciar el daño derivado de la omisión de cuidado. Ilustrativamente, la triste conjunción de un padre ausente con una madre igualmente distante o violenta, añadida a un entorno sin referencias estabilizadoras, será el telón de fondo para la formación de un ser humano disfuncional. En una demanda de reparación de daños, no podrá el magistrado ignorar el fenómeno de la causalidad concurrente, en virtud de la autoría plural. La consecuencia será un reparto de daños, con la condena del genitor a un importe proporcional a su participación para la causación 8 Ley n. 12.318/10: Art. 2º “Se considera acto de alienación parental la interferencia en la formación psicológica del niño o del adolescente promovida o inducida por uno de los genitores, por los abuelos o por los que tengan al niño o adolescente bajo su autoridad, guarda o vigilancia para que repudie o que cause perjuicio al establecimiento o al mantenimiento de vínculos con éste. Párrafo único. Son formas ejemplificativas de alienación parental, además de los actos así declarados por el juez o constatados por pericia, practicados directamente o con ayuda de terceros: I - realizar campaña de descualificación de la conducta del genitor en el ejercicio de la paternidad o la maternidad; II - dificultar el ejercicio de la autoridad parental; III - dificultar el contacto del niño o adolescente con el genitor; IV - dificultar el ejercicio del derecho regulado de convivencia familiar; V - omitir deliberadamente al genitor información personal relevante sobre el niño o adolescente, inclusive escolar, médica y alteraciones de dirección; VI - presentar falsa denuncia contra el genitor, contra familiares de éste o contra abuelos, para obstaculizar o dificultar su convivencia con el niño o adolescente; VII - cambiar el domicilio a lugar lejano, sin justificación, con el fin de dificultar la convivencia del niño o adolescente con el otro genitor, con familiares de éste o con abuelos”. 334 The best interest of the child del resultado lesivo. En este sentido y con una redacción pasible de críticas, dispone el art. 945 del Código Civil: “Si la víctima ha concurrido culposamente para el evento perjudicial, su indemnización se fijará teniendo en cuenta la gravedad de su culpa en relación con la del autor del daño”. 3. Críticas a la responsabilidad civil por omisión de cuidado parental Constatados los cuatro presupuestos acumulativos de la responsabilidad civil, surge la condena por el daño extrapatrimonial. El genitor que descuidó el derecho fundamental a la convivencia será condenado por los daños existenciales necesariamente derivados del ilícito. Inevitablemente, despuntan críticas a este desenlace. En primer lugar, se puede hablar de una “subasta”. En lugar de que el sistema jurídico inhiba el hecho jurídico de paternidad irresponsable, termina por tolerarla, siempre que sus consecuencias lesivas sean monetizadas. La condena pecuniaria funciona como una moneda de cambio para el cuidado descuidado. Con ello, se potencian las críticas a la subversión axiológica del derecho de familia, en la medida en que la patrimonialización de las demandas va en la dirección contraria del objetivo constitucional de refuerzo de la solidaridad familiar y protección integral de los vulnerables. Indudablemente, la buena doctrina9 podría argumentar que la transformación del daño injusto en dinero tendría el don de proporcionar al autor de la demanda la percepción de auxilio psicológico para tratar las secuelas oriundas de la falta de visita, del descuido, de la no orientación ética, moral e intelectual, etc. El argumento es válido, pues no hay como negar que, entre sus efectos, la compensación económica produce una especie de mitigación de daños, a través de experiencias y sensaciones favorables que el dinero pueda propiciar a la víctima, sobre todo cuando se trata de un acceso a un acompañamiento psicológico. Sin embargo, el objetivo primordial de las normas de los arts. 227 y 229 de la Constitución Federal no es el de conceder reintegración patrimonial por daños pasados, sino el de estimular conductas virtuosas que promuevan la dignidad del miembro de la familia en el estadio de desarrollo de su subjetividad. 9 En ese sentido, V. Silva Galdino Cardin, Dano moral no direito de familia, São Paulo, 2012, p. 161. La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 335 Si lo que el sistema tiene a ofrecer es una satisfacción pecuniaria capaz de propiciar tratamientos y medicamentos, desafortunadamente reconocemos que el proceso no actuó como instrumento de concreción de derechos fundamentales. Otra crítica consiste en prever el desenlace de la acción de responsabilidad civil como una “tumba”, en la cual la sentencia sepultará definitivamente las posibilidades de reconciliación entre agente y víctima. En el anecdotario popular se dice que, a diferencia de un “padre de santo”, el juez no dispone de poderes para traer a la persona amada de vuelta, ni en 48 horas ni mucho menos para siempre. El hecho es que con el tránsito en juzgado de la sentencia condenatoria se cierra el litigio, pero el conflicto prosigue. Por lo tanto, por mejor que sea la conducta y la resolución de un conflicto, no hay cómo evitar el deterioro de los vínculos que constituyen las relaciones de quienes se sometieron a la controversia. Un conflicto intersubjetivo y complejo llega a su final, representando aquello que la sociedad estimula: a ver el mundo bajo la óptica de lo correcto y lo incorrecto, del vencedor y del vencido. Por último, las condenas que alcanzan valores elevados no tienen un carácter preventivo general ni especial. Una pequeña parte de los sentenciados poseen condiciones económicas para hacer frente al pago de reparaciones que alcanzan cifras superiores a los R$ 200.000,00 (aproximadamente US$ 50.00,00). Se trata de una sanción financiera incapaz de disuadir a la gran mayoría de los genitores en el sentido de motivar una cultura de responsabilidad ante sus hijos, por el simple hecho de que no se desalentarán comportamientos hostiles al deber objetivo de cuidado por medio de decisiones aisladas que fijen montos reparatorios “impagables” para la mayor parte de la población brasileña. Estas breves consideraciones subrayan la insuficiencia de la responsabilidad civil y de su inherente mecanismo de la condena pecuniaria como medida capaz de reforzar la observancia del derecho fundamental a la convivencia y de represión a conductas que nieguen a niños y adolescentes la sana construcción de su personalidad. Además, consideramos completamente ineficaz la posibilidad de que se decrete la pérdida del poder familiar por el genitor que “deje al hijo en abandono”, tal como lo preconiza el art. 1.638, II, del Código Civil. La destitución de la autoridad parental será benéfica en aquellos casos en los que la presencia del genitor sea contraria a los intereses del menor y represente un riesgo a su incolumidad material o a su integridad psicofísica. Sin embargo, ante una reiterada omisión del deber 336 The best interest of the child inmaterial de cuidado – que no se haya conjugado con la práctica de otro ilícito –, lo que se demanda del padre es justamente lo contrario: es decir, la actitud legislativa razonable será aquella que lo remita a ejercer la autoridad parental en su plenitud. Según el diccionario Aurelio, mediación es “la interferencia destinada a provocar un acuerdo”. Un instituto orientado a maximizar la eficiencia jurisdiccional, por lo tanto, propone una solución a las partes en litigio, sin, no obstante, imponer, como ocurre en los procedimientos de arbitraje. Es decir, se trata de un sistema alternativo no excluyente de resolución de conflictos, en el que un tercero neutral orienta a las partes en el proceso de toma de decisiones con respecto a su desacuerdo. Las decisiones nacen del diálogo y se centran en el futuro, donde se enfatizan las necesidades reales de los participantes. En vez de desplazar el problema y echarle la culpa al otro, surge la autorresponsabilización. Este espacio dialéctico es especialmente importante en un área sensible como el derecho de familia, cuyo perfil es el de albergar conflictos continuados que comúnmente subsisten después del fin de la demanda, por lo que merecen un tratamiento cuidadoso e interdisciplinario. Antes de que el conflicto se instale en juicio y cuando la omisión de cuidado comienza a manifestarse, existe la oportunidad de la mediación extrajudicial y pre-procesal10 para vaciar la litigiosidad por la vía de la cooperación – sin la presencia institucionalizada del Estado –, permitiendo que cada sujeto se responsabilice y participe en un proceso de transformación de una familia desestructurada en un ambiente fisiológico de solidaridad. Ante el fenómeno de la judicialización de la vida – que señala una inversión de prioridades en las órdenes normativas haciendo que el Derecho, que debería ser la última ratio, se haya convertido en la primera 10 Como bien lo advierten Delton Meirelles y Giselle Marques, la mediación y la conciliación son institutos peculiares que tienen finalidades diversas y una reglamentación específica: “Por regla general, la conciliación se realiza en juicio – por el propio juez o por un conciliador entrenado –, con el proceso en curso, siempre buscando un acuerdo entre las partes, negándose el conflicto sin la preocupación de comprender su origen. Por otro lado, la mediación debería realizarse fuera de los Tribunales, antes del proceso judicial, y busca la deconstrucción y superación de la contienda, siendo el acuerdo una simple consecuencia del diálogo leal y de la comprensión de las partes involucradas en la relación conflictiva. La mediación, bajo el enfoque del enfoque del conflicto en sí –y no solo una solución para ello–, se muestra mucho más amplia que la conciliación” (A mediação no projeto do novo Código de Processo Civil, in o Novo CPC, Juspodivm, Salvador, 2015, p. 295). La responsabilidad civil por omisión de cuidado en Brasil 337 –, en la resolución de conflictos parentales estamos ante un dilema: o se hace un rescate ético y las desavenencias se revuelven de manera alternativa o la cultura de la litigiosidad basada en la coacción y el encubrimiento del otro terminará con las posibilidades de una jurisdicción eficaz, haciendo que el sistema jurídico se convierta en algo meramente simbólico. En vez de transformar el conflicto emocional en conflicto judicial y este en la inadecuada solución de la condenación pecuniaria, se busca la mediación para restaurar una convivencia armoniosa. 4. Conclusión Por más que respetemos el recurso al derecho de daños en el contexto de las familias, no nos olvidamos de que actúa subsidiariamente a través de las normas especiales fijadas en cada rama del derecho privado. Es decir, la eficacia reparadora de un hecho jurídico dañino repercutirá de manera específica en los diversos cuadrantes del ordenamiento. En un mundo ideal, el derecho de familia bastaría, incluso para sancionar la inobservancia de sus normas. Los ilícitos practicados en el interior del núcleo familiar repercutían en lo que respecta a alimentos, guarda, visitas, reparto de bienes e incluso en el derecho al nombre. Pero no se pensaba en una apelación a normas externas, excepto con respecto a los ilícitos con eficacia penal (v.g., lesiones corporales practicadas por el cónyuge), que demandaban una reacción más enérgica del sistema. La obsesión por sancionar al autor del hecho ilícito a través de las eficacias propias del derecho de familia podría explicarse por una ideología de inmunización de la familia como una institución orientada a su preservación, independientemente de la suerte de sus miembros. Si el desiderato del ordenamiento era estabilizar un modelo centrado en la conyugalidad indisoluble, de forma jerarquizada y patrimonializada, los comportamientos antijurídicos practicados contra los vulnerables – es decir, mujeres e incapaces – se administraban por las reglas integrantes del propio derecho de familia, formuladas a propósito con desprecio de los principios de la igualdad material y de la solidaridad. La necesidad de mantener en movimiento esa fabulosa unidad productiva y reproductiva no podría entablarse por meras “contingencias de la vida”, que se manejarían mejor por la discrecionalidad del marido – jefe de la sociedad conyugal y por el padre –, titular de la patria potestad. 338 The best interest of the child Esta armazón fue implosionada por la Constitución Federal de 1988. A lo largo de los últimos 27 años se ha discutido mucho sobre la paulatina reconstrucción del derecho de las familias, como un modelo plural, de amplio reconocimiento a la autonomía existencial y la valorización del afecto de sus integrantes. Sin embargo, en cuanto a los ilícitos practicados en la conyugalidad y en la parentalidad, la doctrina familiarista abdicó de la tarea del debate doctrinal, simplemente delegando las consecuencias dañinas de la vida familiar a las reglas generales de la responsabilidad civil. El renovado derecho de las familias ofreció un rol de modelos jurídicos y posibilidades amplias de realización afectiva y existencial de la persona en el interior de una pluralidad de entidades, pero en contrapartida se descuidó en concebir técnicas de control social hábiles en dar cuenta de todo orden de nuevos ilícitos que irrumpen en este complejo escenario de nuevas demandas sociales. La única salida para tutelar a estas víctimas fue tomar como préstamo el reglamento de la responsabilidad civil e introducir la compensación intrafamiliar de daños. Este es el panorama actual del derecho de familia brasileño. Bibliografia Brochado Teixeira A.C. - De Lima Rodrigues R., O direito das famílias entre a norma e a realidade, São Paulo, 2012, p. 107 De Tocqueville A., Da democracia na América, São Paulo, 1998, p. 38 Rosenvald N., As funções da responsabilidade civil., 3. Ed., 2018, São Paulo, p. 27 Silva Galdino Cardin V., Dano moral no direito de família, São Pualo, 2012, p. 161 parte iv L’interesse personale e patrimoniale del minore e la sua partecipazione all’attività negoziale Il minore e la relazione di cura Alessandra Bellelli Sommario: 1. Rifiuto di cure, Dat e il limite della maggiore età. – 2. Decisioni in materia sanitaria riguardanti il minore. I conflitti tra genitori e medici. – 3. La valorizzazione dell’autodeterminazione del minore. La sessione che ho l’onore di presiedere concerne una materia di vasto respiro “L’interesse personale e patrimoniale del minore e la sua partecipazione all’attività negoziale”; tuttavia, dai titoli delle singole relazioni si evince che la maggior parte di esse ruota intorno ai problemi dei trattamenti sanitari e del fine vita con riguardo al perseguimento del migliore interesse del minore “The Best Interest of the Child”, secondo la felice denominazione di questo Convegno. Proprio con riferimento a questi temi, vorrei, quindi, anticipare qualche mia riflessione di carattere generale, che analizzi la problematica per grandi linee, e, pertanto, le mie osservazioni saranno senza dubbio carenti sul piano dell’approfondimento, in una materia che è complessa, non puntualmente disciplinata e che presenta profili di estrema delicatezza data la minore età dei soggetti e la rilevanza degli interessi coinvolti. 1. Rifiuto di cure, DAT e il limite della maggiore età Prendo le mosse dalla recente legge 22 dicembre 2017, n. 219, che ha inteso regolare non solo le disposizioni anticipate di trattamento, colmando, in seguito ad un lungo iter legislativo, la lacuna sul testamento biologico che era assente nel nostro ordinamento a differenza di altri ordinamenti europei, ma che ha disciplinato anche, più in generale, la relazione di cura tra medico e paziente, la quale trova fondamento sul consenso informato. Il principio di autodeterminazione in materia 342 The best interest of the child sanitaria, inserito in un rapporto di collaborazione attiva e reciproca tra medico e paziente (cosiddetta alleanza terapeutica), costituisce il fulcro dell’intera normativa e traduce sul piano del diritto il riconoscimento del pluralismo etico e la garanzia della libertà decisionale di ciascuno con riguardo ai propri interessi squisitamente personali. Il potere di autodeterminarsi trova espressione sia nel consenso (o rifiuto) informato attuale al trattamento medico, sia nel consenso (o rifiuto) informato manifestato anticipatamente (DAT) per il tempo in cui il soggetto non sia più in grado di esprimerlo validamente a causa di una sopravvenuta incapacità di intendere e di volere. All’art. 1 della legge, si afferma, nel comma 1, che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata” e, nel comma 2, che “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato”. Queste disposizioni normative prescindono dall’età del paziente, del quale, se minore, come meglio si vedrà in seguito, deve essere valorizzata la capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei suoi diritti fondamentali alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione (art. 3, comma 1). Altre norme, invece, richiedono espressamente la maggiore età del paziente. Mi riferisco alla norma che prevede il diritto di rifiutare le cure o di revocare il consenso prestato, per il quale è richiesta la capacità di agire (art. 1, comma 5); ugualmente, per le disposizioni anticipate di trattamento, si statuisce che possano provenire solo da persona maggiorenne e capace di intendere e di volere (art. 4, comma 1). In questi casi il limite formale della capacità di agire, che, con riguardo all’esercizio di diritti fondamentali del minore, è stato superato dall’evoluzione dottrinale, giurisprudenziale ed anche legislativa1, viene 1 Cfr. di recente, F. Giardina, “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1611 ss., secondo la quale l’incapacità legale, avendo una vocazione patrimoniale, è uno strumento non idoneo a garantire i diritti del minore nella sfera delle relazioni personali e in questo ambito, dove le esigenze della persona sono prevalenti la capacità di agire, è superata “da un’effettiva condizione di discernimento, che la legge definisce capacità, attribuendo al termine un significato del tutto nuovo”. Per l’evoluzione dottrinale volta al riconoscimento di un autonomo esercizio dei diritti fondamentali da parte del minore che abbia raggiunto la capacità di discernimento e per la prevalenza delle sue scelte personalissime allorché si prospetti una situazione conflittuale con i genitori, v., in particolare, P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino, 1975; Id., Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 447 ss.; F. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984; M. Giorgianni, In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, p. 103 ss. Il minore e la relazione di cura 343 riaffermato per agganciare la piena maturità richiesta per decisioni particolarmente gravi al dato certo e incontrovertibile del compimento dei diciotto anni. Dunque, con riguardo ai principali problemi che il legislatore intendeva risolvere, ovvero quelli legati alle volontà espresse anticipatamente dal paziente, in particolare in relazione al loro valore vincolante per i medici, ora pienamente riconosciuto dalla legge (art. 4, comma 5)2, nonché quelli concernenti il rifiuto o la rinuncia alle cure, le soluzioni normative non possono trovare applicazione se si tratta di minori, e per essi non si rinvengono nella legge indicazioni univoche e chiare. Più ampi spazi sono concessi ora all’autodeterminazione: la legge, all’art. 1, comma 5, a differenza di quanto previsto in precedenti progetti legislativi3, considera espressamente quali trattamenti medici, come tali suscettibili di rifiuto o interruzione su richiesta del paziente, la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale4. Altro sostegno vitale è la ventilazione artificiale, che, sebbene non specificamente menzionata dalla norma, costituisce anch’essa un trattamento medico per il quale è quindi possibile esprimere il rifiuto o la rinuncia. Il dissenso può essere manifestato non solo attualmente, ma anche in via anticipata per il tempo futuro in cui la persona dovesse trovarsi in una situazione di incapacità di autodeterminarsi: attraverso le DAT, il soggetto, nella pienezza delle sue capacità mentali, decide “ora per allora” in materia di trattamenti sanitari sul proprio corpo. 2 Ai sensi di legge, “il medico è tenuto al rispetto delle DAT”, potendo disattenderle solo se superate dal progresso scientifico in medicina o non corrispondenti alla situazione clinica attuale del paziente o palesemente incongrue (art. 4, comma 5). È questo un importante risultato raggiunto dalla legge, che si discosta dall’impostazione dei precedenti progetti legislativi secondo i quali le decisioni di fine vita espresse anticipatamente dal paziente venivano soltanto prese in considerazione dal medico che non era ad esse vincolato. In senso critico contro tale impostazione cfr. A. Bellelli, Decisioni di fine vita e disposizioni anticipate di trattamento, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, p. 85 ss. 3 V., in particolare, il progetto di legge n. 2350 del 2009, che sembrava vicino al traguardo legislativo, essendo stato approvato in un testo unificato dal Senato il 26 marzo 2009. In questo disegno di legge (art. 3, comma 5) si escludeva la possibilità per il soggetto di decidere, nelle dichiarazioni di fine vita, con riguardo alla nutrizione e alla idratazione artificiale, in quanto questi atti venivano qualificati non come trattamenti medici, sottoposti al consenso-dissenso dell’interessato, ma come “forme di sostegno vitale” sottratte alla disponibilità del singolo. 4 Si precisa nella norma di cui all’art. 1, comma 5, che l’alimentazione e l’idratazione artificiale sono considerati trattamenti sanitari “in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. 344 The best interest of the child Queste disposizioni normative, che vengono ad espandere l’autonomia del soggetto, si collocano in un solco tra due opposte concezioni: la concezione della sacralità della vita, vista come bene assoluto da perseguire con ogni mezzo e che comporta la assoluta indisponibilità da parte dell’interessato, e la concezione laica, che invece affida alla libertà del soggetto le scelte esistenziali e le decisioni sul fine vita. Nelle ipotesi delineate dalla legge, è il soggetto che decide, e decide autonomamente, anche in contrasto con il parere dei medici. Il soggetto capace di agire può rifiutare un trattamento medico o interrompere un trattamento già iniziato, anche a costo della vita, e per le motivazioni più varie. Il medico, di fronte ad una volontà ferma e pienamente consapevole del paziente, dopo aver prospettato le conseguenze della scelta e le possibili alternative, non può fare altro che prendere atto del rifiuto o della rinuncia, anche se il trattamento sanitario è necessario per la sopravvivenza. E proprio per questo non è responsabile né in sede civile, né in sede penale, come espressamente si prevede all’art. 1, comma 6, della legge. Se le disposizioni normative menzionate richiedono, come si è detto, il raggiungimento della maggiore età o la capacità di agire del soggetto interessato, non potranno essere applicate allorché si tratti di minori. Pertanto, con riguardo ai minori, tutti i problemi etici, che sono stati risolti in modo certo attraverso queste norme sul fondamento del principio di autodeterminazione, risorgono e non trovano nella legge dei riferimenti sicuri per una soluzione. Ai minori e incapaci è dedicato un articolo della legge (art. 3), ma, come si vedrà, anche al di fuori delle ipotesi di rifiuto di cure, le disposizioni normative in esso contenute, pur affermando i principi della valorizzazione dell’individualità del minore e del rispetto dei suoi diritti fondamentali, non raggiungono pienamente l’obiettivo di garantirne l’autodeterminazione, apparendo talvolta addirittura contraddittorie. 2. Decisioni in materia sanitaria riguardanti il minore. I conflitti tra genitori e medici Se si tratta di un minore, il processo decisionale sul trattamento sanitario da applicare coinvolge necessariamente una pluralità di soggetti. Anzitutto il minore stesso, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità; in secondo luogo i rappresentanti legali, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale o il tutore, che dovranno prestare il consenso o il dissenso al trattamento medico; quindi, ma Il minore e la relazione di cura 345 non ultimi, i medici, che, quando il paziente è un minore, a mio avviso, partecipano con un ruolo di primo piano alla decisione in ragione delle loro conoscenze scientifiche e competenze professionali. Il medico è responsabile del best interest del minore e proprio stamattina il prof. Bianca, su questa stessa linea, ha detto espressamente che il medico deve perseguire non solo la tutela della vita del minore, ma la tutela della salute del minore. I medici, quindi, non potranno avallare decisioni dei genitori che siano in contrasto con il migliore interesse del minore inteso a tutto campo, ovvero decisioni riguardanti sia le cure necessarie per la sopravvivenza del minore, sia, anche, le cure utili per la sua salute. La norma di cui all’art. 3 prevede che il consenso viene espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore ed ha “come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore”, ma la decisione sui trattamenti da applicare, se il minore è infante, assolutamente privo di capacità di discernimento e non può esprimere, quindi, una propria volontà, non può essere demandata solo ed esclusivamente ai genitori. A decidere dovranno essere sempre i rappresentanti legali insieme ai medici. Proprio perché il processo decisionale è complesso, più sono gli attori, maggiore sarà la possibilità di conflitti. È apparso sulle cronache, negli ultimi anni, il caso, di grande risonanza, riguardante il piccolo Charlie Gard, al quale hanno fatto seguito altri casi inglesi di conflitti tra i medici e i genitori con riguardo alle cure su minori in tenerissima età, poco più che neonati. Si trattava di bambini gravemente malati, per i quali i medici avevano deciso di interrompere i sostegni vitali, ritenendo che la prosecuzione delle cure avrebbe costituito solo un accanimento terapeutico; i genitori, invece, erano di contrario avviso, volevano che il proprio figlio continuasse con ogni mezzo a vivere e che venissero applicati tutti i trattamenti esistenti, anche sperimentali, purché il figlio rimanesse in vita. I singoli casi sono stati decisi dalla High Court inglese, la quale, dopo aver preso atto delle condizioni gravissime del minore e che la prosecuzione delle cure sarebbe stata senza alcuna speranza, ha ritenuto che il miglior interesse del minore, in ragione della qualità di vita e al fine di porre termine alle sofferenze, fosse quello di interrompere le terapie e di continuare con le cure palliative. I conflitti tra genitori e medici sono presi in considerazione anche nella legge n. 219/2017, ma in una prospettiva opposta. L’ipotesi prevista nella norma (art. 3, comma 5) è quella dei rappresentanti legali del minore che rifiutano le cure, mentre i medici, invece, le ritengono “appropriate e necessarie”. 346 The best interest of the child Quando si tratta di un minore, i medici hanno un ruolo, a mio avviso, primario, che deve prevalere anche sulla decisione dei genitori, se questo corrisponde al migliore interesse del minore stesso. In caso di conflitto tra genitori e medici, secondo la legge (art. 3, comma 5), si dovrà far ricorso al giudice tutelare. È quello che prevede anche il codice deontologico medico5 all’articolo 37, comma 2, in cui si afferma che il medico, se c’è un’opposizione da parte del minore o da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale ad un trattamento ritenuto necessario, segnala all’Autorità competente. Ma non solo, il medico è obbligato comunque a praticare le cure indispensabili e indifferibili nell’interesse del minore. Di fronte a un problema di fine vita, però, quale significato assume l’espressione cure appropriate e necessarie? Le cure necessarie sono quelle volte a tenere in vita il minore o quelle che alleviano soltanto le sofferenze senza impedire il naturale decorso ed epilogo della malattia? Questo tema, quanto mai arduo e drammatico da affrontare, porta ad interrogarsi anche su chi deve decidere, in particolare quando il minore non abbia capacità di discernimento o sia divenuto a causa della malattia incapace di intendere e di volere, ovvero se a prendere le decisioni debbano essere i medici sulla base delle loro conoscenze scientifiche e della loro coscienza o i genitori che hanno la rappresentanza legale secondo il loro sentire oppure i giudici. Nei casi di fine vita non è facile dire quale sia la soluzione da intraprendere, ma certo è che la scelta deve sempre perseguire il miglior interesse del minore. Al fine di cercare di comprendere quali siano le cure migliori, l’espressione “cure appropriate e necessarie” va letta alla luce della disposizione normativa di cui al secondo comma dell’art. 3, la quale prevede che il consenso informato al trattamento sanitario del minore, espresso o rifiutato dai rappresentanti legali, deve avere “come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Ci si domanda allora se la tutela della vita, della salute psicofisica è un valore assoluto, che va perseguito sempre e comunque con riguardo a un minore, o se per vita deve intendersi, come sembra, anche una qualità di vita dignitosa, dato che la frase termina “nel pieno rispetto della sua dignità”. 5 Cfr. il codice deontologico medico nella versione approvata il 18 maggio 2014 dal Consiglio della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Il minore e la relazione di cura 347 Come si evince dalle osservazioni svolte, mentre con riferimento al soggetto capace di agire le soluzioni vengono date tutte nella legge, perché è il soggetto a decidere autonomamente, anche contro l’opinione dei medici, non cosi è quando si tratta di un minore. 3. La valorizzazione dell’autodeterminazione del minore La legge ha l’indubbio merito di tener conto, in relazione all’età e al grado di maturità, della volontà del minore e di valorizzare la sua capacità di comprensione e di decisione, anche attraverso un’adeguata e calibrata informazione da effettuare con le dovute cautele, ma che sia tale da mettere in grado il minore di esprimere consapevolmente le proprie scelte (art. 3, comma 1). Conformemente, il rispetto dei diritti del minore, richiamati nella norma stessa attraverso il rinvio all’art. 1, comma 1, non è limitato ai diritti alla vita e alla salute, ma comprende anche i diritti alla dignità e all’autodeterminazione. Questa norma costituisce svolgimento ed esplicazione di quel processo di valorizzazione della persona e dell’identità del minore, secondo le proprie capacità, inclinazioni naturali, aspirazioni, che emerge dalla riforma della filiazione, ma che non riguarda solo il rapporto genitori-figli. I diritti del minore, proclamati nell’art. 315 bis, inserito nel codice civile dalla legge di riforma della filiazione, si espandono, infatti, anche al di fuori della relazione parentale e del contesto familiare. In particolare, il diritto all’ascolto diviene un principio generale del nostro ordinamento, in virtù del quale il minore di anni dodici, e anche di età inferiore qualora sia capace di discernimento, deve essere ascoltato in tutti i procedimenti e per tutte le questioni che lo riguardano. Pertanto, il medico è tenuto non solo ad informare, ma anche ad ascoltare il minore che abbia capacità di discernimento, il che implica un rapporto diretto tra medico e paziente e l’instaurarsi della cosiddetta alleanza terapeutica direttamente con il minore interessato. Il minore, che raggiunga nella sua evoluzione una maturazione fisio-psichica tale da poter effettuare autonomamente scelte personalissime, dovrà esso stesso poter esercitare i suoi diritti fondamentali, e il suo progressivo sviluppo andrà anche a segnare i limiti della responsabilità genitoriale in materia di interessi di natura personale. In questo senso suscita qualche perplessità la disposizione normativa di cui al secondo comma dell’art. 3, che sembra in contraddizione con quanto affermato nel primo comma, in quanto il consenso al trattamento 348 The best interest of the child sanitario del minore viene sempre espresso dai genitori6 o dal tutore. Saranno costoro a dover tener conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità. Il rapporto diretto tra medico e paziente minore, anche quando si tratta di un minore che abbia raggiunto piena capacità di discernimento, sembra, così, dissolversi nel momento più rilevante, ovvero quello della manifestazione del consenso, richiedendo la legge la interposizione necessaria del rappresentante legale7. Sembra questo un punto debole della legge, ma che, in nome dell’autodeterminazione e dell’identità del minore, può essere superato in via interpretativa, sulla base, anche, di tutta la giurisprudenza e della dottrina che già da tempo hanno valorizzato la figura dei cosiddetti grandi minori, affermandone l’autonomia decisionale in materia di interessi di natura personale e, quindi, pure in ambito medico. Anche norme di legge hanno riconosciuto una piena autonomia con riguardo a specifici trattamenti sanitari: alla minore che voglia interrompere la gravidanza o che intenda assumere contraccettivi, oppure ai minori che desiderano iniziare un percorso di disintossicazione dagli stupefacenti. Tutto questo depone per una seria considerazione, da parte dei medici, della volontà del minore capace di discernimento in ogni fase della relazione di cura, sebbene tale volontà sia contrastante con quella dei genitori, ma sempre con l’obiettivo di perseguire il best interest del minore stesso e con il limite di evitare il grave pregiudizio. Concludo citando un libro, di I. McEwan, La ballata di Adam Henry. Si trattava di un minore quasi maggiorenne, poco più di 17 anni, affetto da leucemia, ma che rifiutava i trattamenti sanitari vitali, in particolare le trasfusioni di sangue, a causa del suo credo religioso, essendo testimone di Geova. La giudice, chiamata a decidere sul caso, con grande sensibilità e dopo un tormentato conflitto interiore, riesce, come si legge proprio nel libro, “a proteggere il giovane dalla sua stessa religione” e a convincerlo a sottoporsi ai trattamenti medici, evitando, così, il grave pregiudizio. 6 L’eventuale divergenza di decisioni tra un genitore e l’altro sul trattamento medico da consentire o da rifiutare andrà risolta applicando le norme in materia di responsabilità genitoriale (art. 316, commi 2 e 3, c.c.). 7 V. Per interessanti considerazioni critiche, P. ZATTI, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in BioLaw - Riv. Biodir. , 2017, p. 188 Il minore e la relazione di cura 349 Bibliografia Bellelli A., Decisioni di fine vita e disposizioni anticipate di trattamento, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, p. 85 ss. Giardina F., La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984 Giardina F., “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1611 ss. Giorgianni M., In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, p. 103 ss. Stanzione P., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino, 1975 Stanzione P., Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 447 ss. ZATTI, P., Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in Biolaw Journal, Riv. Biodir. , 2017, p. 188 Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona Vincenzo Barba1 Sumario: 1. Introducción. - 2. Actos entre vivos, actos de última voluntad y actos por causa de muerte. - 3. Testamento y sucesión. - 4. Actos de última voluntad diferentes del testamento. - 4.1. Capacidad para cumplir los actos de última voluntad diferentes del testamento. 1. Introducción En la literatura italiana es muy firme la idea, aunque no siempre expresada de manera inequívoca, de que el testamento es el único negocio mortis causa válido2. Como prueba de esta afirmación, a menudo implícita, se dice que cualquier acuerdo de sucesión contenido en un contrato o en un negocio unilateral entre vivos es nulo, precisamente debido a la prohibición de los pactos sucesorios3; con el corolario de que la mencionada prohibición, junto con las normas sobre el testamento y su contenido4, 1 Prof. Vincenzo Barba, Catedrático de Derecho civil de la Universidad de Roma “La Sapienza”. Correo electrónico: vincenzo.barba@uniroma1.it. Este trabajo es una parte de un ensayo más largo publicado en la revista “Derecho privado y Consituciòn”. 2 S. Delle Monache, 2005, p. 55 ss.; C.M. Bianca, 2015, p. 251 ss.; V. Cuffaro, 1994, p. 727 ss.; M.C. Tatarano, 2003, p. 37. 3 En Italia, vid. la norma establecida en el art. 458 c.c.; en España, vid. el art. 1271 c.c.; en Cuba, vid. la norma en el art. 467 c.c. En el curso de los trabajos hay algunas limitadas referencias a la doctrina española, que se hacen con el único propósito de destacar que, en muchos aspectos, a pesar de la presencia de diferentes disciplinas, la doctrina y la jurisprudencia se han enfrentado a problemas bastante similares. En este sentido, se debe considerar cualquier cita a la doctrina española que se encuentre en el resto del texto, sabiendo que estas citas son inadecuadas para dar una imagen completa de la doctrina española. 4 En Italia, vid. las normas establecidas en el art. 587 c.c. sobre la noción de testamento 352 The best interest of the child confiarían exclusivamente al último la regulación de los intereses post mortem de la persona. Se especifica, además, que el testamento es un negocio típicamente patrimonial y que la regulación de los intereses no patrimoniales constituye el contenido atípico del testamento. El complejo de estas declaraciones no solo ofrece una representación del fenómeno de la sucesión que me parece que no encaja perfectamente con el ordenamiento jurídico italiano, sino que, sobre todo, ha constituido, desde mi punto de vista, un fuerte límite a la autonomía privada post mortem, empujando al intérprete a creer que el único remedio para ofrecer una reconstrucción contemporánea del derecho hereditario fuera refugiarse en el mundo del contrato. Intentaré cuestionar esta idea básica, en la convicción de que la autonomía privada post mortem tiene y merece un espacio mucho más amplio de lo que parece a primera vista y que, a partir de este reconocimiento, derivan consecuencias significativas. Para cuestionar la idea de que el testamento es el único negocio mortis causa válido, en primer lugar, es necesario verificar el alcance de la categoría de los actos5 por causa de muerte y si esta categoría realmente se opone a la de los actos entre vivos y, finalmente, cuál es su relación con los actos de última voluntad6. En segundo lugar, es necesario meditar sobre la función que ha tomado el testamento en el sistema jurídico actual, también para comprender el significado de la prohibición de los pactos sucesorios y cuál es el límite efectivo de la autonomía privada. Por último, es necesario verificar si pueden darse en el ordenamiento jurídico italiano actos de última voluntad diferentes del testamento y, en el caso de respuesta afirmativa, cuál es su disciplina, advirtiendo, y el art. 588 c.c., sobre la institución de heredero y la ordenación de legado. En España, vid. las normas establecidas en el art. 667 c.c. sobre la noción de testamento y el art. 668 c.c., sobre la diferencia entre el heredero y el legado. En Cuba, vid. las normas establecidas en art. 476 c.c. sobre la noción de testamento y el art. 468 c.c., sobre institución de heredero y ordenación de legado. 5 A continuación, el término “acto” se utiliza en el sentido técnico de un acto jurídico en sentido amplio, es decir, como categoría que abarca tanto los actos jurídicos en sentido estricto como los negocios jurídicos. En el caso de que se pretenda hacer referencia específica a una de las dos categorías, incluida en la de “actos jurídicos en sentido amplio”, me referiré expresamente a “actos jurídicos en sentido estricto” o a negocios jurídicos o, simplemente negocios. 6 Ver, recientemente, para el desarrollo de esta idea, V. Barba, 2018, p. 3 ss., al que se hace referencia para un cuadro completo de las citas de la doctrina italiana. En este artículo las citas de la doctrina italiana se reducen a las esenciales. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 353 desde el principio, que cuando los intereses regulados son de naturaleza existencial, es demasiado obvio que la capacidad requerida para la validez de estos actos requiere un replanteamiento general, también en consideración de la Convención de las Naciones Unidas sobre los derechos de las personas con discapacidad7. 2. Actos entre vivos, actos de última voluntad y actos por causa de muerte A la categoría de los actos inter vivos, se suele, generalmente, oponer la categoría de los actos mortis causa, en la convicción de que un acto jurídico puede reducirse a uno u otro, con claridad y precisión. Partiendo de este supuesto, es fácil afirmar que el contrato de donación es un acto entre vivos y que el testamento es un acto por causa de muerte. Se dice, de hecho, que el testamento no solo es un acto por causa de muerte, sino el único acto por causa de muerte admitido por el ordenamiento jurídico italiano8. Sin embargo, esta clasificación se vuelve muy incierta cuando se trata de hipótesis consideradas fronterizas, como, por ejemplo, el contrato de sucesión o la división del caudal hereditario9. En tales casos, es difícil establecer, inequívocamente, si se trata de un acto entre vivos o de un acto por causa de muerte. Para superar esta dificultad, debemos socavar la idea de que la categoría de actos entre vivos debe establecerse en contraposición con la categoría de los actos por causa de muerte. Es necesario tomar conciencia, aprovechando la enseñanza de Giampiccolo10, de que la categoría de actos inter vivos no se puede establecer en contra de la categoría de actos mortis causa, sino en contra de la de actos de última voluntad. 7 Cabe considerar que Italia, aunque haya ratificado esta Convención, aún no ha procedido a adaptar las normas del derecho civil, de modo que la norma del art. 12 de la Convención se encuentra sustancialmente sin una implementación adecuada. 8 Véase la nota n. 2. 9 La hipótesis concierne, sobre todo, a la ley española, en la cual el contador-partidor puede hacer una división de su patrimonio no solo por acto de última voluntad (art. 735 c.c. it.; art. 1056 c.c. es.), sino también por acto inter vivos (art. 1056 c.c. es.). Al igual que en la ley española, también en la ley cubana, la división de la herencia puede realizarse mediante acto entre vivos (art. 534 c.c. cu). No es así en el derecho italiano. 10 G. Giampiccolo, 1954, p. 37 s. 354 The best interest of the child El par de categorías opuestas, tales que un acto sin duda pertenece a una u otra, es: actos entre vivos - actos de última voluntad. Por un lado, los actos entre vivos, es decir, esa clase de actos jurídicos identificados por su idoneidad para producir, desde su celebración, una relación jurídica, incluso si es un efecto preliminar (como en caso de negocio sometido al dies mortis, o a condición de premoriencia)11; por otro lado, los actos de última voluntad, que son actos jurídicos unilaterales y unipersonales, destinados a producir efectos solo después de la muerte de su autor12, sin que, antes de ese tiempo, produzcan ningún efecto13, incluso si son conocidos o están dirigidos a los mismos destinatarios. De esto derivan consecuencias extraordinariamente significativas de disciplina. Los actos entre vivos, unilaterales o bilaterales, precisamente por su idoneidad inmediata para producir un efecto jurídico, incluso si es un efecto preliminar, son capaces de generar una confianza legalmente relevante para el beneficiario del acto o efecto14. La confianza es máxima en el caso de un contrato, en el cual las partes están en el mismo plano y en posición opuesta, mientras que es mínima, pero aún relevante, en el caso de un negocio unilateral no recepticio, en el cual la contraparte es destinataria de un efecto, incluso si el acto es eficaz independientemente del conocimiento que el destinatario haya tenido. La interpretación de los actos entre vivos debe tener en cuenta, aunque 11 De hecho, es el único criterio capaz de identificar las características de esta figura, ya que la expresión “entre vivos” no puede, por supuesto, identificar estos actos en virtud de su cumplimiento por parte de los seres vivos. 12 M.V. De Giorgi, 2017, p. 418 s. 13 Podría objetarse que el testamento, como acto de última voluntad, producirá un efecto, al menos hacia su autor, ya que expresa un cierto conjunto de intereses que, en ausencia de revocación, pretende, después de la muerte de su autor, regular la sucesión de la persona. El hecho de que debería ser revocado sugeriría que produce, en cualquier caso, un cierto efecto. La circunstancia que debe revocarse y que, en ausencia de revocación, está destinada a regular la sucesión, no es una afirmación necesaria ni suficiente para decir que tal acto produce un efecto en el sentido técnico, es decir, una relación jurídica. La revocación, por lo tanto, no es un acto que carece de un efecto que ha producido algún efecto, sino un acto que impide la producción de un efecto que el acto aún no ha producido. Desde este punto de vista, parece necesario hablar sobre el acto de última voluntad, no de revocación, sino de retiro. 14 Ver las interesantes consideraciones de C. Caccavale, 2014, p. 17, 40, 49, 18 ss., quien señala la insuficiencia del instrumento testamentario cuando se hace la atribución con el fin de lograr un resultado, incluso si el mismo no debe interpretarse en términos de consideración, por una promesa de recompensa. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 355 con diferentes grados, según sean contratos o negocios unilaterales y, en este segundo caso, según sean recepticio o no, la voluntad de otra parte o la intención del destinatario del acto o del efecto. Por otro lado, están los actos de última voluntad, que son fisiológicamente incapaces de generar cualquier tipo de confianza en el destinatario del acto o efecto, incluso si este último puede tener conocimiento de ello. Debido a esto, tales actos son siempre libremente revocables15 y deben interpretarse teniendo en cuenta exclusivamente la determinación volitiva de su autor, dejando al margen las voliciones y determinaciones de otras partes16. Esto se explica porque, al carecer de una disciplina orgánica en la interpretación, fue necesario proceder a su difícil reconstrucción17, partiendo de las reglas sobre la interpretación del contrato. El razonamiento desde esta perspectiva, que quiere contraponer a la categoría de actos entre vivos, la de actos de última voluntad, llega a la conclusión de que la categoría de los actos mortis causa permanece independiente de la primera y la segunda. Su rasgo característico consiste en considerar la muerte del disponente, no solo como un mero acontecimiento al que solo se informan los motivos de acción o los efectos del acto, sino como un acontecimiento capaz de caracterizar el acto desde un punto de vista objetivo-funcional. Mientras que las categorías de actos entre vivos y los actos de la última voluntad encuentran su perfil de calificación en el momento de la eficacia, la de los actos por causa de muerte encuentra su rasgo característico en el perfil causal. Por lo tanto, la categoría de actos mortis causa se define por su capacidad de regular relaciones o situaciones jurídicas que, al fallecer el disponente, se constituyen de manera original o se derivan de una calificación autónoma. De modo que los dos índices reveladores de la naturaleza mortis causa del acto serían: a) que tiene por objeto el quod superest, o un solo bien 15 Recientemente, sobre la revocación del acto de última voluntad, G. D’Amico, 2017, p. 69 ss. 16 G. Giampiccolo, 1954, 114. 17 P. Rescigno, 1952, p. 3 ss. También puede ser útil mencionar algunas obras de la doctrina española que, aunque se refieren al derecho español, han abordado un problema similar y han sido consideradas por la doctrina italiana: J.B. Jordano Barea, 1958, p. 3 ss.; J.B. Jordano Barea, 1999, p. 3 ss.; J.B. Jordano Barea, 1991, p. 1697 ss.; D. Espin Canovas, 1991, p. 1680 ss.; A. Cañizares Laso, 2011a, p. 288 ss.; A. Cañizares Laso, 2011b, p. 307 ss.; J.M. Miquel González, 2002, p. 153 ss. 356 The best interest of the child en la medida en que sea superest18; b) y que tiene como beneficiario19 un sujeto considerado a condición de que sobreviva al disponente20. En esta perspectiva, la categoría de actos por causa de muerte no puede ser opuesta a la de los actos entre vivos, ya que no hay duda de que podemos asumir, independientemente de su validez, negocios que, al mismo tiempo, son a causa de muerte y entre vivos. En este sentido, es suficiente pensar en el contrato sucesorio (especialmente el que determina una institución de heredero), que es, por supuesto, un acto entre vivos, debido a su idoneidad para producir efectos desde su perfección, generando una expectativa legítima sobre lo que se ha pactado; pero es, también, un acto a causa de muerte, porque regula una relación jurídica que encuentra su causa en la muerte de una de sus partes. Dada la dicotomía entre los actos inter vivos y los actos de última voluntad, se deduce que la categoría de los actos mortis causa puede intersectar ambos, sin perjuicio de la reconstrucción teórica, precisamente porque cada una de estas categorías puede capturar ciertos perfiles estructurales, o algunos perfiles funcionales. Y dado que el ordenamiento jurídico italiano conoce actos que se pueden realizar bien inter vivos, bien por acto de última voluntad – como, es decir, por ejemplo, para la constitución de una fundación (art. 14 c.c. it.; similar el art. 7 Ley 30/94 es.), el nombramiento de un administrador especial para la administración de bienes donados o dejados con testamento (art 356 c.c. it.), el reconocimiento del hijo extramatrimonial (art. 254 c.c. it.; similar el 223 c.c. es.), el establecimiento de una servidumbre (art. 1058 c.c. it.), el establecimiento de una anualidad (art. 1872 c.c. it.) – es necesario verificar el alcance de la autonomía testamentaria y, mas generalmente, el alcance de la autonomía con respecto a los acto de última voluntad. 18 G. Giampiccolo, 1954, p. 41, “considerazione dell’oggetto dell’attribuzione come entità commisurata in tutti i suoi elementi (esistenza, consistenza, modo di essere) al tempo della morte dell’attribuente”. 19 G. Giampiccolo, 1954, p. 42, “considerazione della persona del beneficiario come esistente in quello stesso momento [quello della morte dell’attribuente]”. 20 Una aceptación completa de la teoría de Giampiccolo (1954) se puede leer en la decisión de Cass., 16 de junio de 1966, n. 1547, en Foro it., 1966, I, c. 1513 ss. y en Giust. civ., 1967, I, p. 1353 ss., sobre la calificación de una donación con una cláusula si praemoriar, en virtud de la cual, Tizia, un miembro fallido de una sociedad de facto que había tenido con su esposo había procedido a la división y la asignación a sus cuatro hijos de sus bienes, estableciendo que “las asignaciones y particiones tendrán efecto después de su muerte”. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 357 3. Testamento y sucesión La idea de que el testamento debe considerarse un negocio con contenido exclusivamente patrimonial no es tanto el resultado de la interpretación de una u otra disposición jurídica que define la figura, sino la consecuencia de la idea de que la sucesión mortis causa es un fenómeno típica y exclusivamente patrimonial. Moviéndose en este entorno cultural es fácil comprender por qué, históricamente, se ha dicho que el contenido típico o propio del testamento es el patrimonial (consistente, principalmente, en la institución de heredero u ordenación de legado), mientras que la regulación de los intereses no patrimoniales constituye el contenido atípico del testamento o, alternativamente, un contenido no testamentario que se limita a ser contenido en un acto que tiene solo la forma testamentaria21. Este enfoque cultural, que ciertamente era típico de los sistemas jurídicos legalistas de matriz principalmente productivista, está inevitablemente destinado a ser superado en los sistemas jurídicos contemporáneos, que colocan en la cima de sus valores la persona y la dignidad humana22. Aunque es incuestionable que, incluso hoy en día, la planificación de situaciones jurídicas patrimoniales post mortem constituye un perfil importante y decisivo de las sucesiones y que una gran parte de los institutos del derecho hereditario sirve para la atribución de riqueza a herederos y legatarios, debe tenerse en cuenta que el fenómeno jurídico 21 El problema me parece que se ha abordado de forma similar en España, especialmente si consideramos la fuerte interrelación, también en términos de citas entre italianos y españoles. Por todos, J.B. Jordano Barea, 1991, p. 1679, según el cual aceptar la idea de que las disposiciones son testamentarias en un sentido sustancial, “implicaría seguir una concepción ecléctica del testamento, cifrada en combinar o conciliar las dos concepciones del mismo en sentido sustancial, amplio y estricto, tal como hace Cicu. Pero las disposiciones de carácter no patrimonial que la ley consiente sean contenidas en un testamento, son eficaces cuando figuran en un acto que tiene la forma del testamento (testamento en sentido formal), aunque falten disposiciones de carácter patrimonial (arg. ex arto 741 CC, tras la reforma de 1981, y STS 12-XI-64, entre otras)”. 22 Es innegable que el valor normativo de nuestro ordenamiento jurídico es la persona humana y su dignidad. Para todos; P. Perlingieri, 2006, p. 566 ss. y 597 s.; P. Perlingieri, 1975, p. 826 ss.; P. Grossi, 2003, p. 48. La situación en España no parece diferente, si consideramos la obra de L. Prieto Sanchís, 2017, p. 3 ss., que ha sido traducida a Italia y que ha tenido una importante difusión en la doctrina italiana. Además, la homogeneidad de los temas y problemas que constituyen la base de la reflexión de Sanchìs nos permite considerar sus reflexiones, especialmente las metodológicas, perfectamente coherentes también con el derecho italiano. 358 The best interest of the child de la sucesión mortis causa ya no puede limitarse a realizar una modificación subjetiva de las relaciones jurídicas y, encima, económico-patrimoniales23. Tal planteamiento no solo es incapaz de captar el sentido moderno de la sucesión, no solo es inadecuado para responder a las necesidades de la persona24, sino que, sobre todo, traza una idea de sucesión mortis causa contraria al actual sistema jurídico italiano25. El proceso de revisión del concepto de sucesión está, inevitablemente, relacionado con el significativo cambio del sistema de fuentes jurídicas, con la consiguiente modificación de los valores de nuestro ordenamiento jurídico, el fenómeno bien conocido de la “des-patrimonialización”26 del derecho civil y la centralidad ganada por las situaciones jurídicas existenciales. Nos enfrentamos a una revolución cultural27 en la que seguir estudiando el derecho civil con nostálgicos esquemas formalistas o con la 23 Según L. Prieto Sanchís, 2017, p. 35, el verdadero desafío del neoconstitucionalismo al antiguo estado legislativo de la ley reside “no tanto en que exista una constitución que vertebre la organización política, ni siquiera en la presencia de un Tribunal Constitucional que controle la regularidad formal del ejercicio de los poderes públicos, sino más bien en el amplísimo abanico de principios sustantivos y de derechos a disposición de la jurisdicción ordinaria para ser utilizados en cualquier clase de proceso, y no ya solo en el recurso abstracto de inconstitucionalidad”. 24 P. Perlingieri, 1972, p. 25, “l’esigenza del rispetto della persona umana e del suo libero sviluppo incidono sulla nozione di ordine pubblico, sui limiti e la funzione dell’autonomia privata e sull’interpretazione degli atti che ne sono manifestazione, sull’individuazione dei confini dell’illecito e del suo fondamento, sulle configurazioni non soltanto dei rapporti familiari ma anche delle situazioni soggettive patrimoniali, sulla concezione e sulla tutela del rapporto di lavoro, sul giudizio di meritevolezza dell’associazionismo e dei suoi possibili scopi, indice, insomma, su tutto l’assetto del vivere in “comunità””. N. Lipari, 2004, p. 3 ss.; S. Rodotà, 2007, p. 3 ss. 25 P. Grossi, 2003, p. 29; P. Grossi, 2010, p. 408. 26 P. Perlingieri, 1983, p. 2, señala que, con la expresión, no muy elegante, “despatrimonializzazione” del derecho civil pretendemos referirnos a una tendencia normativo-cultural en la conciencia de que no se propone la expulsión ni la reducción cuantitativa del contenido patrimonial del sistema jurídico, ya que “il momento economico, quale aspetto della realtà sociale organizzata, è ineliminabile”. C. Donisi, 1980, p. 644 ss.; A. De Cupis, 1982, p. 482 ss. 27 Para una representación efectiva de las consecuencias de un neconstitucionalismo metodológico, L. Prieto Sanchís, 2017, p. 55, quien, de manera compartible, explica la relación entre la ley y la moral, para evitar la superposición del neoconstitucionalismo con el derecho natural en estos términos: “la moral social que encarna el Derecho debe mantenerse separada de la moral crítica, a veces simplemente porque se sitúa en sus antípodas y, en el mejor de los casos, porque los procedimientos de creación y aplicación del Derecho de ningún modo están en condiciones reales de reproducir el genuino dialogo moral, supuesto que la moral se funde en un diálogo”. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 359 ilusión de poder hacer una interpretación no-evaluativa, no solo es una opción inapropiada, sino, sobre todo, una lectura contraria al mismo sistema jurídico contemporáneo y, por tanto, ilegal e ilegítima. El advenimiento de constituciones largas y rígidas, el reconocimiento de los derechos inviolables de la persona28 y los principios de solidaridad y personalismo imponen un cambio radical en la teoría de la interpretación29. No hay un sector del derecho en el que el alcance de estos principios no haya sido perjudicial; más bien, hay juristas que aún se niegan a tomar conciencia de que el sistema actual de fuentes es complejo y abierto; que la Constitución no tiene valor programático sino preceptivo30; que toda regla debe encontrar un fundamento en un principio31; que la jerarquía axiológica prevalece sobre la jerarquía formal32; que la persona está en el centro del sistema jurídico33; que la teoría hermenéutica debe cambiar 28 Considérese la lectura lúcida y persuasiva ofrecida por L. Prieto Sanchís, 2017, p. 24, según el cual el estado constitucional de derecho, predominantemente en la versión que se desarrolla en Europa después de la Segunda Guerra Mundial, constituye la base común para el llamado neoconstitucionalismo, que tiende a convertirse en una respuesta global en una nueva cultura jurídico-política, presente en todas las discusiones. Las novedades que aporta este modelo cultural se resumen, según el Autor, en cuatro puntos fundamentales: el reconocimiento de la indiscutible fuerza normativa de la Constitución; la rematerialización constitucional, es decir, la incorporación al texto normativo no solo de normas formales, capaces de establecer quién manda y qué se manda, sino también normas sustanciales que pretenden trazar límites y restricciones a los poderes, a fin de establecer también lo que puede ser mandato y lo que debe ser mandado; la garantía judicial y la aplicación directa de la Constitución, asumiendo que el texto constitucional va más allá de los confines del mundo político y de la relación entre poderes, para invadir la articulación de todo el sistema, de modo que los derechos fundamentales tengan la vocación para regular todos los aspectos de la vida social, incluidas las relaciones entre individuos; la rigidez constitucional. 29 G. Pino, 2010, p. 84 ss., advierte, en forma aguda, que las consideraciones morales afectan la determinación de la validez material de las normas jurídicas. 30 G. Pino, 2010, p. 118 ss. 31 G. Pino, 2016, p. 73 ss. 32 Sobre el concepto de jerarquías normativas, R. Guastini, 1998, p. 121 ss.; G. Pino, 2016, p. 169 ss.; G. Pino, 2010, p. 40-50. Para todos, en la demostración de que, según el principio de legalidad, debe prevalecer el criterio axiológico, P. Perlingieri, 2010, p. 27. 33 L. Prieto Sanchís, 2017, p. 33, señala que a los ajustes filosóficos reducibles a los neocostituaionalismos, se plantea una objeción democrática, cuyo núcleo se resume de esta manera: “pretende encadenar al Ulises legislador al palo de una constitución rematerializada que tiene respuesta para (casi) todo y que, por si fuera poco, deja en manos de los jueces la última palabra sobre las cuestiones controvertidas”. Esta es, como se sabe, la disputa sobre la previsibilidad de la ley. Debe agregarse que la certeza del derecho no es un hecho predeterminado, sino un resultado de la interpretación y que lo que realmente es decisivo y significativo, al menos 360 The best interest of the child radicalmente34. El fenómeno de la llamada decodificación35 no puede entenderse o, lo que es peor, no puede resolverse en el mero reconocimiento de la pérdida de la centralidad de los códigos y en el establecimiento de una pluralidad de microsistemas autónomos e independientes, sino, exactamente al contrario, debe inducir al intérprete responsable a tomar conciencia de que los códigos ya no pueden ser expresión de los principios fundamental del sistema jurídico y que la unidad del último, aunque dividida en una vasta pluralidad de fuentes, encuentra su momento de síntesis y unidad exactamente en esos principios. Este cambio en la estructura cultural de los sistemas jurídicos europeos contemporáneos se refleja en todo el derecho36 y, por lo tanto, también en el derecho de sucesión mortis causa, imponiendo una superación de aquellas lecturas exclusivamente patrimonialistas, hasta ahora, ofrecidas. El concepto de sucesión por causa de muerte no solo conquista y atrae situaciones existenciales, sino que estas últimas también cobran mayor importancia que las patrimoniales. De modo que ya no sería plausible pensar que la sucesión mortis causa solo describe la sucesión en las situaciones económico-patrimoniales. En esta perspectiva, no se trata de comprender que la expresión “suceder” no pretende considerar solo los eventos de modificación subjetiva de las relaciones jurídicas, sino también los eventos de modificación objetiva, de constitución y de extinción37 (de modo que la expresión “sucesión” no puede tener valor técnico, sino solo descriptivo38), sino de entender que esta palabra expresa un fenómeno mucho más grande y complejo. Debemos ser conscientes de que los eventos involucrados en el sistema hereditario no solo conciernen a las relaciones jurídicas patrimosegún mi perspectiva, no es la repetición o la repetitividad de una decisión, sino la controlabilidad de esta. 34 P. Grossi, 2003, p. 46. Sobre la abrogación del art. 12 de las disposiciones sobre la ley en general (esta es la ley italiana sobre la interpretación de la ley) y su insuficiencia para expresar una hermenéutica consistente con el sistema actual de fuentes, para todos, por muchos años, P. Perlingieri, 1975, p. 826 ss.; P. Perlingieri, 1985b, p. 990. 35 Sobre la decodificación Irti, 1979, p. 3 ss. 36 Sobre la interconexión entre derecho y cultura, A. Falzea, 1996, p. 396 ss.; P. Grossi, 2003, p. 36; S. Rodotà, 1967, p. 83 ss. 37 Sobre los eventos de las relaciones jurídicas, por todos, M. Allara, 1950, p. 3 ss. 38 Sobre la complejidad de los eventos de las relaciones jurídicas relacionados con la sucesión hereditaria, ver G. Stolfi, 1949, p. 535 ss. Mas recientemente, V. Barba, 2011, p. 347 ss. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 361 niales, sino también y, sobre todo, a las existenciales39 y que se imponen importantes adaptaciones a la luz de la dimensión cada vez mayor asumida por Internet, las redes sociales y los bienes digitales40. Y es precisamente este motivo el que ha impuesto un replanteamiento de las categorías tradicionales, mostrando que incluso las disposiciones testamentarias de contenido patrimonial no pueden resolverse, exclusivamente, en la institución de heredero u ordenación de legado41. 4. Actos de última voluntad diferentes del testamento Afirmar que se puedan dar otros actos de última voluntad, diferentes del testamento, es una conclusión que se puede obtener, antes de una lectura sistemática de nuestro ordenamiento jurídico, del examen de numerosas disposiciones de la ley, en las que esta figura ha sido clara y inequívocamente regulada. Estas son disposiciones legales que atribuyen a la persona el poder de regular ciertos intereses post mortem sin la necesidad de un testamento; disposiciones en las que queda claro que el ordenamiento jurídico italiano conoce desde hace mucho tiempo actos de última voluntad diferentes del testamento. En el Código Civil hay amplia evidencia de actos de última voluntad diferentes del testamento, es decir, de actos unilaterales destinados no solo a regular un interés post mortem, sino también a producir sus efectos después de la muerte de su autor, sin la posibilidad de que se pueda producir ningún efecto, incluso solo preliminar, antes de ese momento. Basta con mencionar: la elección del tutor de un hijo, por la fecha posterior a la muerte del padre, que puede realizarse mediante escritura o escritura pública (artt. 348, párrafos 1, y 408, párrafos 1, c.c. it.); la “disposición escrita” con la que una persona puede ser excluida del oficio tutelar (art. 350, párrafo 1, número 2, c.c. it.); la revocación expresa del testamento y la revocación de la revocación del testamento (artt. 680, 681 c.c. it.), que también puede hacerse mediante escritura 39 V. Barba, 2015, p. 172 ss.; G. Perlingieri, 2016, p. 511. En un sentido parcialmente diferente, E. Bilotti, 2016, p. 351 ss. 40 Sobre el patrimonio digital, F. Mastroberardino, 2019, p. 169 ss. 41 En este sentido, a modo de mero ejemplo, consideremos la hipótesis de la disposición testamentaria de novación, o de renuncia al crédito o la disposición testamentaria de excepción de compensación. Para más aclaraciones y detalles, consulte a V. Barba, 2018, p. 238 ss., 260 ss., 269 ss. 362 The best interest of the child pública; la dispensa de la colación (art. 737 c.c. it.), que también puede estar contenida en el contrato de donación o en un acto separado y posterior con respecto a la liberalidad dispensanda42; la rehabilitación del indigno (art. 466, párrafo 1, c.c. it.), que puede hacerse mediante escritura pública; la designación del beneficiario del contrato de seguro a favor de tercero (art. 1920 c.c. it.), que puede hacerse mediante una declaración por escrito comunicada al asegurador43. Otras figuras, más problemáticas, pero, en mi opinión, capaces de testificar que el sistema jurídico le da a la persona el poder de regular ciertos aspectos de su sucesión, incluso con actos distintos del testamento, son la confesión extrajudicial (art. 2735, párrafo 1, c.c. it.), el pacto sobre la indivisibilidad de la obligación (art. 1295 c.c. it.) 44 y, sobre 42 Asì V. Barba, 2016, p. 1 ss. El efecto de la dispensación de la colación es, antes de la apertura de la sucesión del causante, subjetiva y objetivamente incierto, no pudiendo establecerse antes de ese momento e incluso antes de que se agote el mismo procedimiento de sucesión, si la dispensación puede ser, concretamente, capaz de producir algún efecto. Por lo tanto, es un acto que tiene una función sucesoria obvia, es decir, un acto que contribuye a la planificación de la sucesión de la persona. 43 Ver el análisis realizado por N. Alvarez Lata, 2002, p. 116 s., “entre estas declaraciones anómalas, previstas por la ley, se pueden citar las que siguen: el reconocimiento de hijo extramatrimonial (art. 120 CC); la designación de tutor para el hijo (art. 223 CC); disposiciones acerca de entierros y funerales del testador (arg. ex art. 902.1 CC); la designación de las personas que hayan de ejercitar ciertas acciones relativas a la protección del honor, intimidad y propia imagen de la persona fallecida (art. 4 LO 1/82) y a la divulgación, paternidad e integridad de la obra del autor fallecido (art. 15 LPI); el consentimiento para la fecundación post mortem (art. 9.2 L 35/88); y la constitución de una fundación (art. 7 Ley 30/94). Asimismo, y dentro del contenido estrictamente atípico, esto es, dentro del no previsto por la ley, se suele aludir al reconocimiento de deuda en testamento como uno de los ejemplos paradigmáticos; disposición de carácter confesorio del testador cuya admisibilidad jurídica no se cuestiona, sin perjuicio de que provoque algunos problemas relativos a su eficacia y validez, sobre todo en relación con la revocación del testamento en la que dicho reconocimiento se lleva a cabo”. 44 Según este pacto, el prestatario está obligado a reembolsar la suma prestada, por sí mismo y por sus causahabientes, excluyendo la aplicación de la disciplina general, que establece la parcialidad de las obligaciones de los co-herederos y la sustitución, debido a la apertura de la sucesión, de una obligación no solidaria. Sobre el tema, se dice que esta disposición, contenida en el acuerdo de préstamo, es una cláusula suya y no se duda de su naturaleza contractual. Sin embargo, si consideramos la función real de este acto, que es la de prevenir la aplicación de la regla contenida en el art. 752 c.c. it; si consideramos que, de esta manera, el deudor dicta una regulación sobre la responsabilidad por deudas hereditarias; si consideramos que esta disposición no puede producir, antes de la muerte del deudor, ningún efecto, ni siquiera preliminar; entonces la misma calificación en términos de acto entre vivos no convence en absoluto. Parece, más bien, un acto de última voluntad. Esta calificación preocupa mucho al acreedor y, en particular, a los bancos, porque de este modo, el deudor podría, en cualquier momento, revocar unilateralmente esta Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 363 todo, las escrituras de designación, revocación y nueva designación del beneficiario de un contrato en favor de tercero, cuya prestación debe realizarse después de la muerte del promitente (art. 1412 c.c. it.). De manera no diferente, algunas hipótesis están, expresamente, reguladas por la ley de derechos de autor, que, después de haber establecido los herederos a los que competen la decisión sobre el derecho a publicar trabajos inéditos del difunto (art. 24, párrafo 1, Ley 22 de abril de 1941, n. 633 it., art. 15, Ley PI es.), la decisión sobre el destino de las cartas, memorias familiares y recuerdos (art. 93, párrafo 4, Ley 22 de abril de 1941, n. 633 it.) y sobre el retrato de la persona (art. 96, párrafo 2, Ley 22 de abril de 1941, n. 633 it.), establece que, en cualquier caso, la voluntad del difunto debe ser respetada, cuando resulte de “escrito”, sin especificar nada más. Se aclara, por lo tanto, que esta decisión puede ser tomada por el causante con un simple acto escrito, por tanto, con un acto que no tiene la forma testamentaria, o la forma del acto público. Es necesario y suficiente un escrito cualquiera. Aún se considera la ley 30 de marzo de 2001, n. 130, que establece los principios regulatorios de la cremación y dispersión de las cenizas. Esta ley si, por un lado, establece que la elección sobre la cremación pertenece a la persona y que esta elección se puede hacer en el testamento, por otro lado, establece que la cremación no se puede realizar si hay una declaración autógrafa del difunto contraria a la disposición testamentaria y que la decisión sobre la cremación pertenece a la familia del fallecido solo en ausencia de la disposición testamentaria, o de cualquier otra expresión de voluntad del difunto. Por lo tanto, se confirma que cualquier decisión relacionada con la cremación del propio cuerpo puede ser tomada por el difunto con un acto de última voluntad diferente del testamento, para lo cual no parece necesario un requisito formal, siendo suficiente a este propósito, “cualquier expresión de voluntad” del difunto, cualquiera que sea su forma. Por lo tanto, parece que este interés puede ser regulado por una declaración escrita y una oral también. Esta disciplina, sin embargo, asume una importancia particular, ya que permite sacar consecuencias similares decisión. A pesar de esto, esa solución me parece plausible, en el entendimiento de que debe distinguirse entre el compromiso asumido por el prestatario con el banco, cuya validez sería confirmada por la ley en cuestión, y el acto por el cual el causante regula su sucesión. Por lo tanto, el prestatario podría revocar su decisión; pero si hubiera hecho tal compromiso directamente con el banco, podría estar expuesto, cuando se considere válido este compromiso, a una responsabilidad. 364 The best interest of the child para otras decisiones parecidas. Es plausible afirmar que cualquier decisión sobre el destino de sus restos mortales y sobre su propio funeral, que son menos incisivos que los de la cremación, puede ser manifestada por el difunto con “cualquier expresión de voluntad” y, por lo tanto, también por un acto de última voluntad diferente del testamento y no sujeto, ni siquiera, a requisitos de forma particulares. De hecho, sería extravagante que la decisión sobre la cremación pueda tomarse en cualquier forma y que la decisión sobre el destino de sus restos mortales y sobre su propio funeral requiera, bajo pena de nulidad, la forma testamentaria. En todas las hipótesis mencionadas, es precisamente la ley la que aclara que ciertos intereses post mortem de la persona pueden ser regulados por un acto diferente del testamento, es decir, por un acto de última voluntad. Debemos advertir, de inmediato, que no estamos tratando con dos categorías que se superponen exactamente, y que entre una y otra existe una brecha importante, al menos a nivel formal. El acto de última voluntad no está sujeto, de hecho, a las formas y formalidades prescritas para el testamento, con la aclaración de que incluso si un requisito de forma fuera prescrito expresamente (cuando la ley establece claramente que el acto debe hacerse por escrito), o implícitamente (cuando la forma escrita es necesaria, incluso en ausencia de una regla prescriptiva, en relación con la función del acto), seguirían siendo requisitos formales menos estrictos que los previstos por el testamento (sea ológrafo, o abierto, o cerrado). Así, un texto impreso (no manuscrito), firmado por su autor, si bien sería un testamento ológrafo inválido y, por lo tanto, un acto por el cual el sujeto no podría, válidamente, instituir heredero o nombrar legatario, podría ser un válido acto de última voluntad, cuando contuviera prescripciones sobre el derecho a publicar las obras inéditas del fallecido, o el destino de las cartas y las memorias de familia, y también cuando se retire la estipulación a favor de tercero que se debe ejecutar tras la muerte del contratante, o la designación del beneficiario del seguro a favor de tercero, o incluso decisiones sobre su propio funeral, entierro o cremación. Las figuras jurídicas mencionadas anteriormente son dignas de ser testigos del hecho de que nuestro ordenamiento jurídico, ha permitido desde hace algún tiempo, renovando esta opción incluso más recientemente, la planificación de ciertos intereses post mortem de la persona no solo por el testamento, sino también por el acto de última voluntad. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 365 Esto requiere que nos demos cuenta de que en nuestro sistema jurídico el testamento no es el único acto de última voluntad por causa de muerte, válido y efectivo, ya que tenemos muchos actos de última voluntad diferentes del testamento, adecuados para regular ciertos aspectos sucesores de la persona45. Una vez que se ha adquirido esta conciencia, es necesario determinar la relación entre uno y otro, para verificar si a los actos de última voluntad debe asignarse únicamente la función de regular solo los intereses que la ley explícitamente admite, o si tienen que ganar un espacio mayor y, en este último caso, identificar el principio que permite establecer qué intereses pueden ser regulados por actos de última voluntad diferentes del testamento y cuáles no. La relación entre el testamento y los actos de última voluntad diferentes del testamento no creo que pueda llevarse a cabo limitándose a considerar que ambos se utilizan para regular la sucesión de la persona, o limitándose a considerar que los requisitos formales establecidos para uno son mucho más estrictos que aquellos prescritos para los otros. La mera función de sucesión si es capaz de determinar los perfiles de una disciplina sustancial (por ejemplo, la revocabilidad)46 no es, por sí misma considerada, capaz de regular los límites de aplicación entre uno y otro; por otro lado, la disciplina sobre la forma y las formalidades prescritas para el testamento, sola o, más precisamente, desconectada de la función del acto y de la relación jurídica regulada, no puede explicar por qué el acto de la última voluntad está sujeto a requisitos de forma menos opresivos47. 45 La categoría de actos de última voluntad diferentes del testamento está claramente afirmada por J.B. Jordano Barea, 1991, p. 1679. Aunque el A. considera que el testamento es un acto de contenido exclusivamente patrimonial (cuya función es la institución de heredero y los legados), no excluye que podamos realizar actos de última voluntad diferentes del testamento, para la regulación de otros intereses. “Así concebido el testamento se nos aparece come el prototipo o arquetipo de los actos de última voluntad. Las restantes declaraciones o disposiciones anómalas, patrimoniales o no, que puedan figurar en forma testamentaria (el llamado contenido atípico del testamento), no son testamento en sentido técnico, sino otros actos de última voluntad , siempre que: a) se trate de negocios o actos jurídicos unilaterales de posible efecto post mortem; b) no hallen encuadramiento en las figuras típica de la institución de heredero o del legado; y c) no constituían disposiciones accesorias o complementarias de las mismas”. 46 Sin embargo, también permite identificar la disciplina aplicable a los actos entre vivos que regulan algunos perfiles sucesorios. 47 Consideremos el trabajo de A. Vaquer Aloy, 2018, p. 157 ss., que considera las 366 The best interest of the child Creo que el espacio reservado para el acto de última voluntad diferente del testamento no puede limitarse a la planificación de los intereses post mortem de la persona explícitamente permitidos por ley. En esta dirección, no solo se desarrollan las consideraciones con respecto a los entierros y el funeral, que son paradigmáticos, sino, sobre todo, una consideración más general que, teniendo en cuenta los principios y valores normativos vigentes, demuestra que nuestro ordenamiento jurídico pretende extender las prerrogativas sucesorias de la persona. Y recientemente, solo piénsese en el tema, muy discutido, de la fecundación post mortem, que tiene una regulación específica en algunos países48, mientras que en Italia la cuestión se ha resuelto, caso por caso, sobre la base de principios, llegando a la conclusión razonable de que el varón tiene la posibilidad de decidir sobre el uso de su material reproductivo para el momento posterior a su muerte49. Desde un punto de vista diferente, el hecho de que es admitido no solo por la literatura, sino también por nuestra jurisprudencia, que ciertos intereses post mortem de la persona, especialmente de naturaleza existencial, pueden ser regulados por el contrato y el acto unilateral, demuestra que no es siempre necesario el testamento. Por otro lado, la misma elaboración del mandato post mortem, de los cuales, incluso antes de la codificación actual y hasta hoy, la validez ha sido admitida cuando no impone una atribución de bienes (el mandato post mortem ad exequendum50) confirma este supuesto. formalidades requeridas para el testamento como una especie de limitación a la libertad de testar. El tema encuentra desarrollos similares en derecho italiano. 48 Ver. la Ley 14/2006 de 26 de mayo sobre técnicas de reproducción humana asistida; especialmente el art. 9. Sobre las cuestiones de la disposición sobre el consentimiento para la fecundación post mortem, ver N. Alvarez Lata, 2002, p. 124 ss. y L.B. Pérez Gallardo, 2007, p. 605 ss. 49 Recientemente, la sentencia del Tribunal Supremo italiano, Cass., 15 de majo 2019, n. 13000, en Leggi d’Italia. Esta sentencia ha afirmado este principio de derecho: “El artículo 8 de la Ley Núm. 40 de 2004, que tiene el estatus legal de nacido después de la aplicación de técnicas de procreación médicamente asistidas, también se refiere a la hipótesis de la fecundación homóloga post mortem ocurrida a través del uso de la semilla crio-preservada de la persona que, después de haber dado el consentimiento para acceder a técnicas de procreación médicamente asistidas, de conformidad con el artículo 6 de la misma ley, y sin aparece su posterior revocación, luego murió antes de que se formara el embrión, habiendo autorizado también, para después de su muerte, a su esposa o cohabitante, incluso cuando el nacimiento se produce más de trescientos días después de la muerte del padre” . 50 A. Amatucci, 1964, p. 290 ss.; -313; G. Bonilini, 2000, p. 1102; V. Putortì, 2014, p. 790 ss. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 367 Además, es cierto que las hipótesis cada vez más numerosas en las que el legislador, expresamente, admite que ciertos intereses post mortem de la persona pueden ser regulados por un acto de última voluntad, diferente del testamento, no solo excluyen cualquier evaluación o juicio de excepcionalidad de estas figuras normativas, sino también imponen regular de manera similar todos los casos similares, sabiendo que la aplicación analógica no es más que una forma de aplicar los principios, ya que esa no es otro que la aplicación del mismo principio a dos casos. Las hipótesis normativas analizadas están destinadas a una aplicación más extensa de lo que la mera letra de la ley podría, aparentemente, permitir. Este resultado es necesario tanto si, siguiendo el enfoque tradicional, queremos hablar de analogía legis como medio para integrar el sistema jurídico51, como si, más de acuerdo con el ordenamiento jurídico, consideramos que cada aplicación normativa es, en sí misma, analógica52. El discurso, en otras palabras, parece tener que ser volcado, ya que no se trata de identificar los intereses que el ordenamiento jurídico permite que se planifiquen mediante el acto de última voluntad, diferente del testamento53, sino de verificar los intereses post mortem que deben ser, por necesidad, regulados por testamento. Según esta perspectiva, la norma contemplada en el art. 588 c.c. it. (art. 668 c.c. es.), no sirve, justa y exclusivamente, para identificar el criterio discrecional entre disposiciones universales y particulares, sino, sobre todo, también en conexión profunda con el art. 587 c.c. it. (art. 667 c.c. es.), para identificar un contenido que la ley tiene, exclusivamente, reservado para el testamento, en sus formas tanto ordinarias, como especiales. La función nodal de la norma contemplada en el art. 588 c.c. it., que debe interpretarse en conexión profunda no solo con la que define 51 Para todos, R. Bobbio, 1938, p. 87 ss., que resuelve la similitud en la identidad de los casos, según el esquema A es B; S es similar a A; S es B. 52 Asì, G. Perlingieri, 2015, p. 27 ss. 53 El problema fue claramente percibido, aunque propuso una solución completamente diferente, por G. Giampiccolo, 1954, p. 71, que escribe: “se un problema c’è, esso è semmai proprio un problema di autonomia del concetto dell’atto di ultima volontà, tanto sul piano dogmatico che sul piano delle norme positive, anzitutto rispetto alla nozione di testamento. Non si disconosce ovviamente il peso che nella ricostruzione può esercitare il tipo testamentario, come quello che è oggetto di piú particolare disciplina di diritto positivo; ma ciò non conduce ad affermare l’identità delle due figure o a compiere me una affrettata assimilazione di sostanza”. 368 The best interest of the child el testamento (art. 587 c.c.), sino también con la que prohíbe los pactos sucesorios (art. 458 c.c. it.), es precisamente la identificación de un contenido “típico” del testamento, o, mejor dicho, del aquel contenido que, por diversas razones, nuestro ordenamiento jurídico establece que debe seguir confiando solo en el testamento, sin posibilidad que sea regulado por otros actos jurídicos. El legislador establece que los actos de disposición de la delación deben llevarse a cabo, exclusivamente, con el testamento, quedando excluida la posibilidad de su enajenación tanto con el acto entre vivos (ex art. 458 c.c. it.) como con el acto de última voluntad diferente del testamento (ex artt. 587, 588 c.c. it.). En otras palabras, se da no solo la existencia del principio que prohíbe la disposición de la delación por acto entre vivos54, sino también el principio que prohíbe la disposición de la delación por acto de última voluntad diferente del testamento. Más precisamente, del principio que reconoce en el testamento el único válido acto para disponer de la delación. Esto significa que cualquier interés post mortem que no implique una disposición de la delación puede ser regulado bien por un acto de última voluntad diferente del testamento bien por contrato. 4.1. Capacidad para cumplir los actos de última voluntad diferentes del testamento Es indiscutible que el testamento es válido solo si el testador es mayor de edad55 y si se halla en su cabal juicio (capacidad natural) cuando otorga el testamento. También indiscutible, que esta regla, contenida en el art. 591 c.c. it., ha sido sometida a un escrutinio crítico severo, especialmente en la parte en la que excluye la capacidad para testar al menor y a la persona sujeta a tutela56, sin permitir ni abrir la posibilidad de evaluar si, en el 54 V. Barba, 2015, p. 171 ss. 55 En Italia, la mayor edad es establecida al cumplimento del decimoctavo año. El menor de edad no puede hacer testamento, ni siquiera testamento público. 56 La regla en cuestión (art. 591 c.c. it.) no excluye la capacidad para testar a la persona sujeta a tutela. De lo contrario la norma contemplada en el art. 663 c.c. es., declara que están incapacitados para testar: los menores de catorce años y aquellos que “habitual o accidentalmente no se hallare en su cabal juicio”. Cabe recordar que la norma contenida en el art. 688, párrafo 1, c.c. es., establece que el testamento ológrafo solo podrá otorgarse por mayores de edad. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 369 caso concreto, uno u otro fueron capaces de entender y querer en el momento de otorgar el testamento. Privar al menor y a la persona sujeta a tutela de la capacidad para testar significa, de hecho, privar a ambos del poder de regular sus intereses post mortem. Les impide, queriendo permanecer en la función que, históricamente, ha sido asignada al testamento, disponer de sus bienes para después de su muerte, con la consecuencia de que no tienen el poder de establecer herederos, ni legados, con el resultado que su planificación hereditaria está, necesariamente, destinada a estar regulada por la ley (sucesión legítima), sin la posibilidad de desviarse de ese esquema. Es inútil recordar las razones detrás de esta elección normativa y su congruencia con los principios y valores normativos vigentes en el momento en que se estableció esta regla. Es, de hecho, una norma que se remonta a 1942 y, por lo tanto, coherente con el sistema, inspirado, exclusivamente, por una justicia retributiva, que colocaba en el centro del derecho civil la empresa, la producción y las relaciones patrimoniales, que consideraba el testamento un acto que tenìa solo la función atributivo-patrimonial, que consideraba al menor de edad incapaz de regular sus intereses patrimoniales, que consideraba la tutela la única protección del sujeto afectado por un deterioro de las capacidades intelectuales57. La limitación de la testamenti factio activa establecida por la persona sujeta a tutela se puede decir hoy, sustancialmente, sobrepasada. No porque esta ley haya dejado de ser válida en nuestro sistema jurídico, ni por las aceptables interpretaciones reprensibles que también han sido propuestas por la mejor doctrina58, sino por una superación concreta de la tutela. La aprobación en Italia de la disciplina sobre “la administración de apoyo” 59, una medida de protección de la persona que sufre una 57 P. Perlingieri, P., 1985°, p. 46 ss. “rispecchiano un clima culturale particolarmente attento al contenuto patrimoniale della tutela in senso ampio e non insensibile a considerare i malati di mente individui “disumani”, fare per la sanità della stirpe, entità inutili al sistema produttivo ed alla grandezza della Nazione”. 58 G.P., Lisella, 1984, p. 83 ss. 59 Esta disciplina se introdujo en Italia con la ley del 9 de enero de 2004, n. 6, que modificó las disposiciones de los artículos 404-413 c.c. it. En doctrina, G. Bonilini et al. 2008, p. 3 ss.; F. Anelli, 2005, p. 163 ss. El aspecto más interesante de esta disciplina es que, por primera vez en Italia, esta medida de protección permite el cuidado no solo de los intereses patrimoniales (como fue para la tutela y la curatela), 370 The best interest of the child enfermedad o un impedimento físico o mental que no le permite satisfacer sus propios intereses, tiene la aspiración de cubrir los espacios antes ocupados por la tutela y la curatela, haciendo las dos últimas medidas de protección residuales y básicamente no utilizadas. Hubiera sido deseable contar con una intervención legislativa más radical, que hubiera abrogado la tutela y la curatela, puesto que se volvieron, debido a la importancia adquirida por la situación existencial, inadecuadas para proteger el complejo de los intereses jurídicamente relevantes de la persona afectada por una enfermedad mental o por un impedimento físico o mental. En ausencia de una tal elección legislativa, se ha encomendado a la responsabilidad y sensibilidad de los intérpretes la tarea de recurrir predominantemente a la “administración de apoyo”, limitando, hasta eliminar, en la práctica, el uso de las dos medidas de protección anteriores. La drástica reducción en el uso de la tutela y el recurso cada vez más masivo a la “administración de apoyo” ha permitido superar, casi por completo, el problema de la testamenti factio activa de la persona afectada por una enfermedad mental o por un impedimento físico o psicológico. Excepto en los casos en que el juez, debido a las circunstancias del caso específico, ha privado al beneficiario de la “administración de apoyo” de la capacidad para testar, él conserva esta capacidad60, con la consecuencia de que su testamento es válido. Para anular el testamento, debe demostrarse, por parte de quienes estén interesados, que el sino también los intereses no patrimoniales. El administrador de apoyo no solo debe administrar el patrimonio de la persona, sino también atender sus necesidades personales. A pesar de que esta medida de protección de la persona marca un importante paso adelante, ciertamente no podemos decir que Italia haya cumplido la regla del art. 12 de la Convención de las Naciones Unidas sobre los derechos de las personas con discapacidad. El tema es muy relevante y llama la atención del legislador italiano, aunque la reciente ley delegada (la propuesta de ley n. 1151 de marzo de 2019), que contiene algunas pautas para una reforma del código civil, no ha proporcionado nada al respecto. 60 De acuerdo con el art. 411, último párrafo, c.c.it., el juez, en la sentencia con la que designa a la “administración de apoyo”, tiene el poder, teniendo en cuenta la real condición del sujeto admitido en beneficio de la medida y su interés, para disponer que ciertos efectos o limitaciones previstas por las reglas para la persona sujeta a tutela o curatela se extienden al beneficiario de la medida. Por lo tanto, entre otros, el juez podría decidir extender a la persona sujeta a “administración de apoyo” la norma establecida en el artículo. 591, párrafo 2, n. 2, c.c. it., que establece una incapacidad para testar de la persona sujeta a tutela. Debe, entonces, concluirse que la persona sujeta a “administración de apoyo” tiene plena capacidad para testar, si el juez tutelar, de conformidad con el art. 411 c.c. it, no ha expresamente previsto la extensión de la regla establecida en el art. 591, párrafo 2, n. 2, c.c. it. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 371 beneficiario de la “administración de apoyo” fue incapaz de comprender o querer cuando hizo testamento. En otras palabras, el solo hecho de estar sujeto a la “administración de apoyo” no priva al sujeto de la testamenti factio activa, con la consecuencia de que su testamento, en términos de capacidad, solo puede anularse cuando se prueba que la persona no se hallara en su cabal juicio (art. 591, párrafo 1, n. 3 c.c. it.). Queda, sustancialmente, el problema del menor de edad61. Creo que la regla debe ser reescrita en su totalidad, también con el fin de implementar la Convención de Nueva York sobre personas con discapacidad, de modo que se vea privada de la testamenti factio activa solo la persona que no se halle en su cabal juicio en la fecha del otorgamiento del testamento. Hasta entonces creo que es necesaria una interpretación parcialmente derogatoria de aquella regla, que me parece, por supuesto, plausible para sostenerse. Al reflexionar, de hecho, sobre la importancia del testamento, como un acto de expresión de libertad de la persona y de afirmación de su propia dignidad62, cabe considerar irrazonable la norma que somete el testamento del menor o de la persona sujeta a tutela, al mismo tratamiento reservado para cualquier contrato o, más precisamente, para cualquier negocio jurídico con contenido exclusivamente patrimonial. Los intereses que pueden justificar la anulación del contrato celebrado por la persona menor de edad o sujeta a tutela no son los mismos que los subyacentes al testamento. El tratamiento igualitario de los dos casos no cumple con el principio de igual dignidad y libre desarrollo de la persona63, sin mencionar el hecho de que, en nuestra contemporaneidad, por 61 Para una reconstrucción importante y muy interesante del tema, aunque con referencia al derecho español, el importante articulo de F. Oliva Blázquez, 2014, p. 28 ss., del que es posible desprender ideas críticas innovadoras. Sobre la posibilidad de reconocer la capacidad de un menor para contratar, v. M. Cinque, 2007, p. 19, 106 ss., 116 ss., quien propone aplicar al menor la norma contenida en el art. 409 c.c. it., con la consecuencia de reconocer al menor la capacidad para contratar cada vez que los contratos están destinados a satisfacer sus necesidades diarias. 62 T.F. Torres García - M.P. García Rubio, 2014, p. 41 ss. 63 P. Perlingieri, 1985a, p. 332, “in ordinamento giuridico come quello italiano in cui all’apice della gerarchia dei valori della persona umana alla quale garantito il pieno sviluppo nel rispetto della pari dignità di ciascuno il principio di eguaglianza senza distinzioni dovute a “condizioni personali”, (art. 2, 3, comma 1, cost.); in un ordinamento in cui è impegno della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti alla vita del paese (art. 3, comma 2, cost.) anche mediante l’esplicito riconoscimento ai “minorati” del diritto all’educazione (art. 38, comma 3, e 32 cost.), la tutela del minore in senso ampio, in particolare della sua dignità di uomo di cittadino, rappresenta un compito primario 372 The best interest of the child innumerables razones socioeconómicas y numerosas solicitudes culturales, los jóvenes adquieren, en promedio, una capacidad de discernimiento en un tiempo ciertamente anterior a lo que sucedió hace cincuenta años. A esto se debe agregar que hay signos importantes de la disciplina italiana más reciente, que apuntan a dar mayor importancia a las decisiones de los menores. Basta con pensar en la reciente reforma de la filiación de 2012 y 2013, que no solo ha reducido la edad en que el menor debe ser escuchado en todos los procedimientos que le conciernen desde los 16 a los 12 años (ver art. 315-bis, párrafo 2, 336-bis, 155-sexies, párrafo 1, 250, párrafo 4, 252, párrafo 5, 262, párrafo 4, 316, párrafo 3, 336, párrafo 2, 337-octies, párrafo 2, 348, párrafo 3, c.c. it.), sino también ha introducido sustancialmente el principio, de conformidad con la regla contenida en el art. 24 de la Carta de los Derechos Fundamentales de la Unión Europea y la Convención sobre los Derechos del Niño, que requiere que el juez escuche al menor de menos de doce años, que tiene capacidad de discernimiento, en todos los procedimientos relacionados con su status y estado existencial64. Todo esto requiere una reconsideración muy crítica de la regla literalmente clara que excluye la capacidad del menor para testar. Es de esperar que el legislador intervenga pronto, porque en ausencia de tal intervención es difícil afirmar la validez del testamento del menor. Otra y diferente cuestión es, sin embargo, la que afecta la capacidad para celebrar los actos de última voluntad diferentes del testamento. Una vez afirmada la existencia de la categoría de actos de última voluntad diferentes del testamento, surge el problema de establecer el requisito de capacidad para su validez. De acuerdo con una técnica de subsunción, se podría decir que tales actos se rigen por la norma mencionada en el art. 591 c.c. it., o por la disciplina general del contrato (art. 1425 c.c. it.). En un caso, como en el otro, el resultado no sería muy diferente, ya que tanto los actos de última voluntad del menor, como los de la persona sujeta a tutela no serían válidos. La diferencia afectaría solo a los actos de última voluntad de la persona sujeta a curatela, que deberían considerarse válidos e storico. Questi valori costituzionali sui quali è possibile ricostruire il sistema della tutela del minore in senso psico-fisico rappresentano non soltanto valori politici, simbolici paradigmatici, ma anche parametri normativi idonei a valutare le condotte e ad interpretare adeguatamente gli istituti di protezione e di tutela disciplinati dal codice civile del 1942”. 64 Cabe considerar, C. Cost., 11 marzo 2011, n. 83, en Fam. dir., 2011, p. 545. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 373 aplicando la disciplina del art. 591 c.c. it., mientras inválidos, aplicando las reglas comunes que rigen los contratos. Sin embargo, estos resultados no pueden satisfacer y merecen, también sobre la base de los argumentos que permiten una interpretación parcialmente derogatoria de la norma recogida en el art. 591 c.c. it., ser totalmente repensados. Suponer que el acto de última voluntad realizado por el menor debe considerarse inválido independientemente de una evaluación del caso concreto y del interés regulado, es una solución que no se puede compartir, también porque termina evaluando el hecho, centrándose en el tema abstracto, mientras que la realidad conoce al hombre, con sus peculiaridades, sus necesidades, sus intereses y su edad65. En primer lugar, es necesario distinguir entre los actos de última voluntad que regulan una situación existencial y los actos de última voluntad que regulan una situación patrimonial (que obviamente no afecta a la delación, ya que, de lo contrario, el acto debería tomar la forma del testamento) 66. Con respecto a los actos de última voluntad, diferentes del testamento, con contenido patrimonial, se puede decir que existe una afinidad sustancial con el testamento o, más precisamente, con la idea de testamento que tuvo el legislador en 1942. Por lo que podría parecer justificable, en algunos aspectos, la idea de que quería aplicar a estos actos de última voluntad la norma sobre la capacidad para testar. En la conciencia, sin embargo, que esta misma norma, recogida en el art. 591 c.c. it., merece una relectura, hasta el punto de que debe considerarse no solo plausible, sino también indispensable, una interpretación parcialmente derogatoria. 65 P. Stanzione, 1975, p. 299, “tutte le manifestazioni dell’essere e dell’agire umano devono confluire a comporre l’unitaria figura dell’uomo, che si esprime giuridicamente nel valore della personalità”. 66 P. Stanzione, 1975, p. 302, especifica a este respecto que “impedire al minore di compiere l’attività che è manifestazione dei fondamentali attributi della persona significa non solamente negargli la capacità giuridica, quanto provarlo della stessa soggettività”. El autor, de una manera muy compartible, sugiere, también después de una comparación con otros ordenamientos jurídicos y, especialmente, el alemán y el austriaco, que los actos reguladores de situaciones existenciales deben considerarse válidos si existe la sola capacidad de discernimiento, y que la limitación de capacidad según la edad debe quedar solo para los actos y contractos reguladores de situaciones patrimoniales. 374 The best interest of the child De lo contrario, el mismo discurso no puede hacerse en relación con los actos de última voluntad que regulan los intereses existenciales67. La necesidad de respetar la personalidad humana y su libre desarrollo, que constituye el valor fundamental de nuestro ordenamiento jurídico y está a en la base de una serie abierta de situaciones jurídicas subjetivas, afecta a toda la estructura de la vida en común y condiciona los límites, la función y la interpretación de la autonomía privada68. Suponer, entonces, que el acto de última voluntad diferente del testamento realizado por el menor es siempre inválido, independientemente de una evaluación de la concreta capacidad de discernimiento del sujeto y de un análisis del interés específicamente regulado, significa hipostasiar una regla incapaz de superar el control de compatibilidad, adecuación y congruencia. Dado que la personalidad humana es un valor fundamental, no es razonable aislar el aspecto de la titularidad de las situaciones existenciales del de su cumplimento, especialmente cuando se discute de la realización de los intereses post mortem. De hecho, se volvería completamente paradójico, precisamente en la perspectiva que reconoce a la personalidad humana como el valor fundamental del sistema jurídico, que el menor con plena capacidad de discernimiento tiene el derecho de profesar libremente su fe religiosa y expresar libremente sus propios pensamientos, pero no el poder de decidir el destino de sus restos mortales tras su muerte, el ritual de su propio funeral o la entrega de sus propios órganos. Esas son todas aquellas decisiones post mortem que, por supuesto, explican esas mismas libertades y, en su defecto, el reconocimiento en sí mismo de esas libertades no solo no puede considerarse implementado, sino que incluso debe considerarse comprometido. De lo contrario, sería paradójico que el menor con plena capacidad de discernimiento tenga el derecho de expresar libremente su propio pensamiento, pero no el poder de decidir sobre la publicación de sus obras. 67 En el derecho español donde el menor puede otorgar al testamento, el problema surge en términos que son parcialmente diferentes de aquellos en los que se encuentra en el sistema jurídico italiano. N. Alvarez Lata, 2002, p. 114. Cabe considerar que la lectura propuesta en el texto también podría ser útil en el derecho español. Según esta interpretación, seria válido el acto de última voluntad que regula los intereses no patrimoniales, realizado por el menor, aunque sin la forma del testamento publico. 68 P. Perlingieri, 2006, p. 720, 724 ss. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 375 La regla debería tener un contenido exactamente opuesto: el acto de última voluntad realizado por el menor que tiene la capacidad de discernimiento es válido, excepto que se demuestre que él era incapaz de entender o querer cuando realizó el acto. En otras palabras, la validez del acto de última voluntad, diferente del testamento, no debe reclamar la capacidad de obrar sino la capacidad natural (pues, que el sujeto se hallara en su cabal juicio), con la consecuencia de que el menor que tuviese una capacidad adecuada para el discernimiento podría hacer un válido acto de última voluntad. Si es verdad que la relación jurídica es, estructuralmente, una relación entre dos situaciones jurídicas subjetivas y que su fundamento es el interés protegido por el orden jurídico, entonces no se puede dudar de que la regulación de los intereses depende precisamente de su función. Los intereses que constituyen el fundamento de las situaciones existenciales son los que deben guiar la identificación del reglamento, es decir, la elección de la disciplina aplicable al caso concreto. Si razonamos de otra manera, terminamos privando al menor, que tiene plena capacidad de juicio, de la posibilidad de otorgar, después de su muerte, una regulación de sus situaciones existenciales de acuerdo con sus convicciones y su voluntad. En esta perspectiva, por lo tanto, deben ser criticados e imponen, sobre la base de los argumentos presentados, una interpretación derogatoria tanto la ley en materia de dispersión de cenizas, como la de trasplante de órganos, en la parte en que aparecen, expresamente, excluir la validez del acto de última voluntad realizado por el menor (ver art. 3, párrafo 1, letra a), no. 4, Ley it. 30 de marzo de 2001, n. 130; art. 4, párrafo 3, Ley it. 1 de abril de 1999, n. 91). Las decisiones sobre el propio retrato, la correspondencia, la publicación de obras, los procedimientos de entierro, la cremación, los funerales, el account digital (Facebook69, Twitter, correo electrónico, etc.), 69 Recientemente, Facebook ha identificado nuevas reglas que serán válidas por un tiempo después de la muerte, especificando cómo el titular de la cuenta las puede completar. El usuario, en cualquier momento, puede elegir el destino de su cuenta, para el momento posterior a su muerte, estableciendo si ésta y todos sus contenidos se eliminarán de forma permanente, o si se debe hacer en memoria, de modo que permita que los “amigos” recojan y compartan los recuerdos de la persona fallecida. El usuario tiene también la posibilidad de nombrar al “contacto de legado”. Lo cual, “es la persona que eliges para que administre tu cuenta si esta se convierte en conmemorativa”. No hay duda de que el nombramiento de un contacto de legado, así como la decisión de eliminar la cuenta o hacerla conmemorativa, deben considerarse verdaderos actos de última voluntad, en virtud de los cuales el titular elige, para después de su muerte, el destino de su cuenta digital. Con el entendimiento de que el patrimonio digital existente 376 The best interest of the child afectan a las convicciones privadas de la persona y constituyen explicaciones de libertades fundamentales, de modo que sería inimaginable pensar que nuestro derecho haya atribuido al menor la titularidad exclusiva de ellos, excluyendo el poder de la actuación y, en particular, el de la actuación post mortem. Un derecho que se ponga al servicio del hombre y, sobre todo, que quiera garantizar e implementar el respeto por la personalidad humana y su libre desarrollo requiere una consideración renovada del menor, que sepa privilegiar las opciones de vida que él puede expresar, reconociéndole el poder de realizar válidamente todos los negocios jurídicos no patrimoniales o, más bien, existenciales, ya sean actos entre vivos o actos de última voluntad. Bibliografía Allara M., Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici (Rist. con prefacio de N. Irti, 1999), Torino, 1950 Alvarez Lata N., Algunas cuestiones sobre el contenido atípico del testamento, en Anuario da Facultade de Dereito da Universidade da Coruña, 6, 2002, p. 113-132 Amatucci A., Osservazioni sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, en Rivista di diritto commerciale, 1964, p. 290-313 Anelli F., Il nuovo sistema delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, en Jus, 2005, p. 163-231 Barba V., Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, Napoli, 2018 Barba V., I patti successori e il divieto di disposizione della delazione. Tra storia e funzioni, Napoli, 2015 Barba V., La dispensa dalla collazione, en Diritto delle successioni e della famiglia, 2016, p. 1- 46 Barba V., Note per uno studio intorno al significato della parola eredità, in Rassegna diritto civile, 2011, p. 347-399 Bianca C.M., Diritto civile, II. 2, Le successioni, Milano, 2015 Bilotti E., Interesse della famiglia e interesse dell’impresa nella successione ereditaria, en Diritto delle successioni e della famiglia, 2016, p. 351-370 en Facebook requiere una reflexión cuidadosa, ya que es un instrumento que identifica a la persona y con respecto al cual el horizonte de los problemas que plantea no parece abordarse adecuadamente de acuerdo con la lógica del modelo propietario, sino de acuerdo con una lógica y perspectiva típicamente personalista. El nombramiento o la elección del contacto de legado, así como la opción de eliminar la cuenta, se pueden revocar o modificar en cualquier momento, garantizando así la reconsideración (rectius: la revocación de la disposición) hasta el último momento de la vida. Tal acto tiene todas las características de los actos de última voluntad. Señalo que esta solución no me parece que se ajuste a las disposiciones de la reciente ley de Cataluña 10/2017. Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 377 Bobbio N., L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1938 Bonilini G. - Tommaseo F., Dell’amministratore di sostegno, en Codice civile. Commentario Schlesinger, Milano, 2008 Bonilini G., Una valida ipotesi di mandato post mortem, en Contratti, 2000, p. 1101-1103 Caccavale C., Trasferimento di azienda mediante cessione post mortem a corrispettività condizionale, Napoli, 2014 Cañizares Laso A., Comentario al Art. 668, en A. Cañizares Laso - P. De Pablo Contreras - J. Orduña Moreno - R. Valpuesta Fernández (cur.) Código Civil comentado, (Vol. 2), 2011a, p. 288-290 Cañizares Laso A., Comentario al Art. 675, en A. Cañizares Laso - P. De Pablo Contreras - J. Orduña Moreno - R. Valpuesta Fernández (cur.) Código Civil comentado, (Vol. 2), 2011b, p. 307-312. Cinque M., Il minore contraente, Padova, 2007 Cuffaro,V., Il testamento in generale: caratteri e contenuto, en P. Rescigno (dir.) Successioni e donazioni, I., Padova, 1994, p. 727 D’Amico G., Revocazione delle disposizioni testamentarie e disciplina applicabile, en Aa.Vv., Libertà di disporre e pianificazione ereditaria. Atti del 11° Convegno Nazionale 5-6-7 maggio 2016, Napoli, 2017, p. 69-90. De Cupis A., Sulla «depatrimonializzazione» del diritto privato, en Rivista di diritto civile, 1981, p. 482-517 De Giorgi M.V., Patti successori, compatibilità della legge straniera con l’ordine pubblico e tutela dei legittimari, en Aa.Vv., Libertà di disporre e pianificazione ereditaria. Atti del 11° Convegno Nazionale 5-6-7 maggio 2016, Napoli, 2017, p. 411- 422 Delle Monache S., Testamento. Disposizioni generali, Milano, 2005 Donisi C., Verso la «depatrimonializzazione» del diritto civile, en Rassegna diritto civile, 1980, p. 644-706 Espin Canovas D., Comentario al Art. 668., en Comentario del Código Civil, Ministerio de Justicia, (Vol. 1), 1991, p. 1680 Falzea A., Introduzione alle scienze giuridiche. I Il concetto di diritto, Milano, 1996 Giampiccolo G., Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954 Grossi P., Il diritto civile alle soglie del terzo millennio, en F. Macario - M. Lo Buono (cur.), Il diritto civile nel pensiero dei giuristi. Un itinerario storico e metodologico per l’insegnamento. Padova, 2010, p. 405-420 Grossi P., La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento metodologico, en Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 32 (1), 2003, p. 25-53 Guastini R., Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1988 Jordano Barea J.B., Comenterio al Art. 675, en Comentario del Código Civil, Ministerio de Justicia, (Vol. 1), 1991, p. 1967, Jordano Barea J.B., El testamento y su interpretación, Granada, 1999 378 The best interest of the child Jordano Barea J.B., Interpretación del testamento, Barcelona, 1958 Lipari, N. (2004). Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona Roma: Studium. Lisella G.P., Interdizione “giudiziale” e tutela della persona. Gli effetti dell’incapacità legale. Napoli, 1984 Mastroberardino F., Il patrimonio digitale, Napoli, 2019 Miquel González J.M., Notas sobre la voluntad del testador, en Revista Juridica Universidad Autonma Madrid, 6, 2002, p. 163-190 Oliva Blázquez F., El menor maduro ante el derecho, en Eidon, n. 41, 2014, p. 28-52 Pérez Gallardo L.B., Inseminación artificial y transferencia de preembriones post mortem: procreación y nacimiento más allá de los limites de la existencia humana (Algunas glosas al articulo 9 de la ley 14/2006, de mayo, sobre técnicas de reproducción humana asistida, de España), en Revista general de legislación y jurisprudencia, 2007, p. 605-630 Perlingieri G., La disposizione testamentaria di arbitrato. Riflessioni in tema di tipicità e atipicità nel testamento, en Rassegna diritto civile, 2, 2016, p. 459-516 Perlingieri G., Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015 Perlingieri P., «Depatrimonializzazione» e diritto civile, en Rassegna diritto civile, 1983, p. 1- 4 Perlingieri P., Fonti del diritto e “ordinamento del caso concreto”, en Rivista di diritto privato, 4, 2010, p. 7-28 Perlingieri P., Gli istituti di protezione e di promozione dell’«infermo di mente». A proposito dell’andicappato psichico permanente, en Rassegna di diritto civile, 1985a, p. 46-61. Perlingieri P., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italocomunitario delle fonti, Napoli, 2006 Perlingieri P., Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, en Diritto e giurisprudenza, 1975, p. 29 Perlingieri P., L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica. Il brocardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, en Rassegna diritto civile, 1985b, p. 990-1017 Perlingieri P., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972 Pino G., Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna, 2010 Pino G., Teoria analitica del diritto I. La norma giuridica, Pisa, 2016 Prieto Sanchís L., El constitucionalismo de los derechos. Ensayos de filosofía jurídica, Madrid, 2017 Putortì V., Disposizioni mortis causa a contenuto non patrimoniale e potere di revoca da parte degli eredi, en Rassegna di diritto civile, 2014, p. 787-830 Rescigno P., Interpretazione del testamento, Napoli, 1952 Rodotà S., Dal soggetto alla persona, Napoli, 2007 Autonomía negocial de última voluntad y capacidad de la persona 379 Rodotà S., Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, en Rivista di diritto commerciale, 3-4, 1967, p. 83-96 Stanzione P., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino - Napoli, 1975 Stolfi G. Note sul concetto di successione, en Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1949, p. 535 Tatarano M.C., Il testamento, Napoli, 2003 Torres García T.F. - García Rubio M.P., La libertad de testar. El principio de igualdad, la dignidad de la persona y el libre desarollo de la personalidad en el derecho de sucesiones, Madrid, 2014 Vaquer Aloy A., Libertad de testar y libertad para testar, Argentina, 2018 Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori Marco Bellinvia Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le disposizioni anticipate di trattamento ed il minore. – 3. Il consenso ai trattamenti sanitari. – 4. Il consenso informato e la volontà del minore. 1. Introduzione Il legislatore ha recentemente introdotto la legge 14 dicembre 2017, n. 219 (pubblicata in G.U. il 16 gennaio 2018), rubricata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. L’approvazione di una disciplina legislativa sul tema del consenso ai trattamenti sanitari (soprattutto cd. salva-vita) e sulla possibilità di una sua predeterminazione “ora per allora”, tramite apposita dichiarazione formale, è stata oggetto di un iter parlamentare senza subbio lungo e travagliato, considerando le implicazioni morali e sociali sottese a detta materia. Il prodotto di questo iter è una legge sulla cui bontà i primi commentatori sono già divisi. Taluni hanno valutato con favore la nuova disciplina che colma un gap del nostro ordinamento rispetto ai principali Paesi europei e soprattutto offre una risposta, sia pure perfettibile, ad un’esigenza di tutela avvertita nel contesto sociale. Altri, invece, hanno contestato la frettolosa approvazione di una legge, resa immodificabile con lo strumento della fiducia parlamentare ed il cui contenuto normativo pone e porrà diversi problemi ermeneutici e applicativi. Lungi dal voler in questa sede esprimere giudizi sulla qualità o utilità della nuova legge, cercherò di elaborare qualche considerazione sul ruolo del minore e sul rilievo della sua volontà nella delicata materia del consenso ai trattamenti sanitari, per come di recente disciplinata, 382 The best interest of the child con uno sguardo al tema del conflitto di interessi tra i soggetti deputati alla cura ed alla tutela del minore (in primis, i genitori ed il medico). Vogliate perdonarmi se in queste rapide valutazioni trasparirà quell’approccio teorico-pratico che connota la mia quotidiana attività professionale. Come già attentamente osservato in dottrina1, la nuova disciplina ruota intorno a tre cardini: il consenso informato ai trattamenti sanitari (artt. 1-3); le disposizioni anticipate di trattamento (art. 4); la pianificazione condivisa delle cure (art. 5). Nella prospettiva del minore sembra tuttavia possibile considerare unitariamente il primo ed il terzo punto, in quanto il tema della formazione e manifestazione della sua volontà si pone negli stessi termini. Per deformazione professionale muoverò l’analisi dal secondo (le DAT), in quanto di più diretto interesse notarile. 2. Le disposizioni anticipate di trattamento ed il minore L’art. 4 della L. 219/2017 stabilisce che “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie”. La DAT è dunque la manifestazione di volontà di una persona con la quale, in previsione di un’incapacità di intendere e di volere futura ed eventuale, la stessa individua i trattamenti sanitari a cui intende o non intende essere sottoposta, ovvero attribuisce ad un terzo (cd. fiduciario2) il compito di prendere le decisioni terapeutiche in sua vece. Sotto il profilo formale, il citato art. 4 prevede al comma 6 che le DAT possono essere redatte 1) per atto pubblico o per scrittura privata autenticata; 2) per scrittura privata consegnata personalmente dal di1 C. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento: l’ultrattività del volere e il ruolo del notaio, in Notariato, 2018, 1, p. 16. 2 Sul ruolo del fiduciario quale titolare di un ufficio di diritto privato v. C. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 22; A. Arfani, Disposizioni anticipate di trattamento e ruolo del fiduciario, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 819 ss. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 383 sponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, ovvero presso le strutture sanitarie ma solo ove la regione adotti modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale; 3) attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare, nel solo caso in cui le condizioni fisiche del paziente non consentano il ricorso alle forme in precedenza indicate. Sia consentito sottolineare le utilità che l’attività professionale del notaio apporta nel momento in cui egli sia chiamato a ricevere o autenticare le DAT. La forma pubblica o autentica garantisce la certezza della data del documento, nonché la provenienza della dichiarazione dal suo autore, elementi entrambi fondamentali rispetto ad un atto di estrema delicatezza ed importanza quale quello in esame. Nel contempo, il notaio verifica la capacità di agire del dichiarante (anch’essa elemento essenziale delle DAT per la loro stessa funzione), assicura l’adeguata ponderazione delle scelte e, non da ultimo, verifica l’acquisizione da parte del dichiarante di quelle “adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte”, individuate dal legislatore quale presupposto delle DAT3. L’intervento del notaio, dunque, rafforza, sotto il profilo formaledocumentale, tramite la sua funzione di certificazione4, il valore delle DAT in cui sia consacrata la volontà della persona quale espressione del principio di autodeterminazione, garantendo la certezza della riferibilità di quella volontà ad un soggetto capace di intendere e di volere, l’adeguata informazione preventiva, l’accurata conservazione del documento e la possibilità di rilasciarne copie autentiche5. 3 Cfr. C. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 19, per il quale sarebbe possibile il richiamo o l’allegazione alle DAT di documenti medici; R. Bono, Prime note sulla nuova legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, in www.federnotizie.it. Osserva A. Torroni, Il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento: un rapporto essenziale ma difficile. Commento alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Riv. Not., 2018, 2, p. 433 ss., che, al di fuori del notaio, non è prevista alcuna garanzia sull’assunzione di adeguate informazioni mediche da parte del disponente, a differenza del precedente disegno di legge in materia (cd. d.l. Calabrò) e a differenza di quanto previsto dalle legislazioni di altri Stati europei (es. Austria), in cui si prevede la sottoscrizione delle DAT da parte del medico. 4 M. Laffranchi, Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), autonomia professionale e convinzioni etiche, in www.federnotizie.it. 5 Può osservarsi che già nel parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 18 dicembre 2003 si sottolineava per le dichiarazioni anticipate l’essenzialità della certezza sulla 384 The best interest of the child Sotto il profilo pubblicitario, il legislatore non ha previsto un registro unico nazionale in cui le DAT siano inserite, consultabile dal medico (ovunque presente sul territorio nazionale). È questo senza dubbio uno dei principali punti critici della disciplina. L’assenza di adeguata pubblicità e quindi la difficoltà di accesso tempestivo da parte del medico potrebbe, difatti, finire per vanificare la funzione stesse delle DAT. L’art. 4 prevede al comma 7 la possibilità di creazione di una banca dati regionale, a certe condizioni, che tuttavia non consente di soddisfare la suddetta esigenza di pubblicità tempestiva, almeno laddove il soggetto sia in cura in una regione diversa da quella di residenza. Chiaramente la soluzione preferibile sarebbe la creazione di un registro nazionale. In mancanza, può essere utile sottolineare che il Consiglio Nazionale del Notariato ha da tempo iniziato a creare e gestire telematicamente appositi registri sussidiari, senza costi per la collettività, con il fine proprio di sopperire alla mancanza di registri nazionali (come ad es. per gli atti di designazione di amministratore di sostegno, in cui l’esigenza pubblicitaria è per certi versi simile a quella delle DAT). Ad oggi mi risulta in fase di studio la creazione di un apposito registro sussidiario anche per le DAT, che potrebbe pertanto sopperire al deficit del legislatore o ad eventuali difficoltà tecniche o finanziarie di costituzione di un registro nazionale. Sotto il profilo della capacità del disponente, la disposizione in commento prevede che le DAT possano essere redatte da una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. È quindi espressamente esclusa la possibilità per il minore di accedere a tale strumento6. “identità, sulla capacità di chi le sottoscrive, sulla loro autenticità documentale, sulla data di sottoscrizione”, auspicandosi la predisposizione di “una procedura di deposito e/o registrazione presso un’istituzione pubblica delle dichiarazioni anticipate”. 6 Cfr. AA.VV., Questioni in tema di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e attività notarile, in www.federnotizie.it: “Ci si potrebbe, infine, domandare se le DAT perfezionate da persona minorenne o incapace siano da considerarsi radicalmente nulle, quindi assolutamente inefficaci, oppure se siano solo annullabili secondo le regole generali di cui agli artt. 322, 377, 412 e 428 codice civile, quindi pienamente efficaci fino alla eventuale pronuncia di annullamento. Sembra preferibile ritenere che, dalla espressa richiesta contenuta nella nuova Legge che il disponente sia maggiorenne e capace di intendere e volere, richiesta che non sarebbe necessaria se si fossero ritenute applicabili le norme generali che disciplinano gli atti conclusi dagli incapaci, derivi la necessità di dover considerare affette da nullità assoluta ed insanabile le DAT concluse dal minorenne o dall’incapace di intendere e volere”. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 385 Si tratta di una scelta che, ad avviso di chi scrive, appare ragionevole e non in contrasto con i recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali volti a valorizzare i diritti del minore (in primis, il diritto all’ascolto) e la sua autonomia in funzione del raggiunto grado di maturità. Tali approdi hanno senza dubbio la loro eco anche nella normativa in commento nella parte relativa al consenso del minore ai trattamenti sanitari, ma nulla avevano a che vedere con la fissazione di un limite relativo alla capacità (di agire) richiesta per la redazione di un atto di estrema delicatezza giuridica e sostanziale. Tale limite, in quanto presupposto di validità, non poteva che essere determinato in maniera univoca e oggettiva e ciò mal si conciliava con un eccezionale riconoscimento di capacità al minore, in quanto, come si vedrà, la valorizzazione della volontà del medesimo, nei vari ambiti in cui viene in rilievo (compreso quello del consenso ai trattamenti sanitari) non è assoluta, ma graduata in concreto in funzione del grado di maturità raggiunto dal minore stesso. Né appare decisivo il richiamo ad altri istituti in cui è riconosciuta la capacità negoziale del minore, come nel caso del riconoscimento del figlio (art. 250 c.c.), in quanto ispirata da ragioni specifiche, in questo caso centrate sulla tutela dell’interesse del figlio riconosciuto (come dimostra la possibilità di un’autorizzazione giudiziale al riconoscimento da parte del genitore infraquattordicenne, proprio avuto riguardo all’interesse del figlio). La scelta del legislatore in questo ambito appare quindi coerente e, peraltro, conforme alla soluzione adottata dai legislatori dei principali Paesi europei (Spagna7, Francia8, Germania9, Regno Unito10). 3. Il consenso ai trattamenti sanitari Escluso, dunque, che in base alla disciplina attualmente vigente il minore possa esprimere la sua volontà “ora per allora” sulle scelte terapeutiche tramite la redazione delle DAT, occorre soffermarsi sull’altro elemento cardine della legge 219/2017, ossia il consenso informato ai trattamenti sanitari al fine di verificare se e quale spazio possa essere riconosciuto alla volontà della persona minore di età. 7 Ley de autonomia del paciente, art. 11. 8 Code de la santé publique, art. L. 1111-11. 9 BGB, paragrafo 1901a. 10 Mental Capacity Act 2007, art. 24. 386 The best interest of the child L’espressione di un consenso consapevole e informato è, nell’impianto della legge che qui si commenta, l’elemento centrale del rapporto tra medico e paziente. È il “tessuto” stesso di tale relazione11, espressione di un mutamento di approccio evolutosi dal paternalismo medico all’alleanza terapeutica fino all’esaltazione dell’autonomia decisionale12 del paziente, cui spetta, nel rispetto dell’autonomia professionale del medico, l’ultima parola sui trattamenti cui essere o meno sottoposto. L’art. 1 della legge 219 prevede che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Al secondo comma si aggiunge che la relazione di cura e fiducia tra paziente e medico “si basa” sul consenso informato del paziente “nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”. Appare quindi manifesta, già dai primi due commi dell’art. 1, la centralità del consenso informato e la volontà del legislatore di valorizzarlo in quanto espressione del principio di libera autodeterminazione della persona13, riconosciuto e tutelato quale diritto fondamentale dalla nostra Costituzione (artt. 2, 13 e 32) e da fonti sovranazionali (art. 5 della Convenzione di Oviedo; art. 3 della Carta di Nizza). Il principio del consenso rappresenta quindi, come sostenuto dalla Corte Costituzionale14, la sintesi tra il diritto alla salute ed il diritto alla libertà personale. 11 L’espressione è di P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, p. 248, secondo il quale “il consenso è uno stato, non un atto: come tante volte si è detto, un processo che precipita, in taluni momenti, in una concentrazione che è l’atto di consenso – o di rifiuto”. 12 Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica e il mandato di cura, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 794. 13 Osserva R. Calvo, La nuova legge sul consenso informato e sul c.d. biotestamento, in Studium iuris, 2018, 6, p. 690, che “la scelta fatta con piena coscienza diventa un’espressione concreta del diritto alla libertà individuale, giacché ogni persona è titolare del diritto indisponibile a decidere se sottoporsi o non sottoporsi agli interventi medici sul corpo umano e alle molteplici tipologie di terapie”. Cfr. anche G. Ferrando, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi, problemi e linee di tendenza, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 43 ss.; A. Ricci, La disciplina del consenso informato all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il D.M. 28 dicembre 2016, n. 265: novità e vecchi problemi, in Nuove leggi civili commentate, 2018, 1, p. 48. 14 Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438, in Giornale dir. amm., 2009, p. 297: “La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 387 Perché possa esplicare tale delicata funzione occorre, tuttavia, che il consenso (o il rifiuto) sia preceduto da una adeguata informazione del paziente, senza la quale la scelta da questo compiuta non potrebbe ritenersi veramente libera. A tale riguardo può essere utile rammentare che già il codice di deontologia medica del 2014 ha riconosciuto grande rilievo all’informazione del paziente, stabilendo all’art. 33 che “Il medico garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura”. È interessante notare che tale esigenza di adeguata informazione sia valorizzata anche nel caso del paziente minore. Il comma 4 del citato art. 33 prevede infatti che “Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”. Il legislatore del 2017, dunque, dopo aver affermato che il consenso fonda la relazione medico-paziente, si è occupato del profilo informativo, aggiungendo nel comma 3 che “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”. 4. Il consenso informato e la volontà del minore Chiarita la rilevanza del principio del consenso informato nell’ambito della relazione di cura, occorre chiedersi come questo possa esplicarsi nei confronti dei soggetti minori di età. che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute”. 388 The best interest of the child I problemi che si pongono riguardano il soggetto deputato ad esprimere il consenso e l’esistenza di eventuali limiti alla sua discrezionalità laddove si tratti di una persona diversa dal diretto interessato (ossia il minore). Come è noto, con riferimento ai rapporti patrimoniali15 l’ordinamento affida il potere di rappresentanza legale del minore ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale (o al tutore). Occorre pertanto verificare se identica soluzione sia applicabile alla materia del consenso ai trattamenti sanitari16. La complessità della questione appare chiara considerando che, nell’ambito in esame, vengono in rilievo, come si è visto, diritti fondamentali della persona. Nel contempo, la categoria dei minori non è unitaria, ma composita, ricomprendendo anche soggetti che possono aver acquisito un grado di maturità sufficiente ad esprimere un consenso su aspetti così rilevanti della vita (cd. grandi minori)17. Basti pensare che, in taluni ambiti, il legislatore riconosce uno spazio di autonomia al minore (tendenzialmente ultrasedicenne), consentendogli di compiere atti rilevanti quali il matrimonio (art. 250 c.c.), l’esercizio dei diritti di autore (art. 108, L. 633/1941), l’interruzione volontaria di gravidanza (art. 12, comma 2, L. 194/1978), il consenso alla pubblicazione delle generalità e dell’immagine laddove sia testimone in un procedimento penale, persona offesa o danneggiata dal reato (art. 114, comma 6, c.p.p.), la donazione di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale (art. 3, L. 219/2005); la richiesta di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma 15 Cfr. L. Mengoni, Osservazioni generali, in P. Cendon (cur.), Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli, 1988, p. 360, secondo il quale l’impianto codicistico in materia di protezione dell’incapace sia il risultato di una composizione degli interessi, prevalentemente patrimoniali. 16 P. Stanzione, Persona minore di età e salute, diritto all’autodeterminazione, responsabilità genitoriale, in www.comparazionedirittocivile.it, p. 5 ss. Secondo F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. dell’informazione e dell’informatica, 2018, 1, p. 27 ss., con riferimento al consenso del minore al trattamento dei dati personali, se “tale manifestazione di volontà è espressione del potere di autodeterminazione del singolo nelle scelte che concernono attributi indisponibili della persona, la sua disciplina non può essere apoditticamente mutuata da norme nate per regolamentare atti ed interessi di natura eminentemente patrimoniale, ma deve seguire la disciplina degli atti e dei diritti di natura personalissima”. 17 Cfr. L. D’Avack, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una analisi della recente legge approvata in senato, in Dir. fam. pers., 2018, 1, p. 179 ss. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 389 terapeutico e socio-riabilitativo nel caso di uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 120, comma 2, D.P.R. 309/1990). Per contro, in altri contesti, alcuni dei quali si avvicinano per affinità di materia a quello che ci interessa, il legislatore ha confermato la regola generale che vuole attribuito ai genitori il potere decisionale nell’interesse del minore. Si pensi alla donazione degli organi, la cui decisione compete ai genitori ed è preclusa in caso di contrasto tra i medesimi (art. 4, L. 91/1999); alla donazione di sangue, di emocomponenti e di cellule staminali, possibile col consenso dei genitori (art. 3, L. 219/2005); alla sperimentazione clinica, anch’essa consentita previo consenso informato dei genitori (art. 4, d.lgs. 211/2003); alla interruzione di gravidanza, che normalmente richiede il consenso dei genitori (art. 12, L. 194/1978). Anche le legge 219/2017 affida ai genitori il compito di esprimere il consenso ai trattamenti sanitari che interessino il minore18. L’art. 3, comma 2, stabilisce infatti che “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla 18 Può notarsi che una soluzione parzialmente diversa è stata accolta dal legislatore comunitario con riferimento al trattamento dei dati personali. L’art. 8 del GDPR prevede infatti che “Qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni”. Prima della recente legge osservava P. Stanzione, Persona minore di età e salute, cit., p. 15, che “L’accertata maturità di giudizio della prole restringe, in altri termini, le aree di eterodeterminazione e restituisce al suo titolare il diritto di partecipare alle scelte esistenziali che lo riguardano ovvero di assumerle personalmente. Il punto di equilibrio tra le prerogative del minore dotato di discernimento e quelle dei genitori deve essere, allora, fissato attraverso il richiamo alle regole ed ai principi generali. Il sillogismo che relega la minore età in una condizione di completa incapacità e che, prima facie, legittima l’agire del medico solo sulla base del consenso manifestato in nome e per conto del figlio dai legali rappresentanti (artt. 2 e 320 c.c.) deve cioè essere superato per effetto di una rilettura costituzionalmente orientata del sistema, cui si combini la considerazione del preciso dettato di norme e convenzioni internazionali e deontologiche che impongono di giudicare l’opinione del minore “come fattore sempre più determinante” (art. 6, comma 2, Convenzione di Oviedo) o che gravano il medico, compatibilmente con l’età e con la maturità del soggetto, del dovere di “dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà” (art. 38, comma 2, cod. deont. med.). La capacità naturale necessaria per esprimere un valido consenso non è, infatti, “necessariamente la maggiore età, che corrisponde appunto alla capacità legale, bensì una maturità sufficiente a comprendere la natura e le conseguenze del trattamento sanitario”. 390 The best interest of the child sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Nel contempo, il legislatore chiarisce che il potere decisionale19 non è assoluto, ma condizionato e finalizzato ad uno scopo. Quanto a quest’ultimo il citato comma 2 chiarisce che la scelta dei genitori deve mirare alla tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità. Quanto ai condizionamenti, sulla scia dei recenti provvedimenti legislativi che valorizzano l’autonomia del minore, tutelando il diritto all’ascolto (in primis, la riforma della filiazione del 201220), anche la disciplina in commento attribuisce rilievo alla volontà del minore21, tenuto conto del suo grado di maturità, imponendo che di essa i genitori tengano conto nell’esercitare il potere sostitutivo loro affidato. Il comma 1 del citato art. 3 prevede, infatti, che “La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”. Il comma 2 puntualizza poi che la decisione dei genitori (o del tutore) deve tener conto22 della volontà del minore in relazione alla sua età e al suo grado di maturità. Il legislatore del 2017 si preoccupa, dunque, di garantire l’informazione del minore, adeguata al suo status, al fine della espressione della sua volontà, la quale deve essere tenuta in considerazione se non orientare23 (laddove, in concreto, il minore abbia la capacità di valutare 19 Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit., p. 799, che definisce i genitori o il tutore come “decisori sostitutivi”. 20 Cfr. l’art. 315-bis, comma 3, c.c., il quale prevede che “Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. 21 Cfr. Cass. 5 marzo 2014, n. 5237, in Dir. fam. pers., 2014, p. 1346, la quale evidenzia “la sempre maggiore rilevanza attribuita dalla normativa nazionale, comunitaria ed internazionale alla volontà del minore”. 22 Secondo F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27 ss. l’espressione “tenendo conto” sarebbe un passo indietro del legislatore rispetto alla riforma della filiazione che con riferimento alle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni dei figli, ad essa ha sostituito la formula più pregnante “nel rispetto”. 23 Secondo F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27 ss., “un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della disposizione induce a sostenere che i genitori non possano disattendere la volontà del minore, ogniqualvolta egli abbia sufficiente capacità di discernimento e la sua decisione Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 391 con serietà la propria situazione medica) la scelta dei genitori nell’assentire o rifiutare un trattamento sanitario. Tale soluzione appare coerente con i principi già espressi, a livello sovranazionale, dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, il cui art. 12 prevede che “le opinioni del fanciullo vengano prese in considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”, nonché dalla Convenzione di Oviedo, che prevede, all’art. 6, che “il parere del minore è considerato elemento determinante in funzione dell’età e del suo livello di maturità” e, all’art. 24, che i minori “possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”. Anche il codice deontologico medico, come si è visto, si pone sulla stessa lunghezza d’onda, prevedendo il comma 4 del citato art. 33 che “Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale” e il successivo art. 35 che “Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano”. Sotto il profilo del contenuto, i genitori sono chiamati ad esprimere, in nome e per conto del minore, il consenso o il rifiuto al trattamento sanitario indicato dal medico. Vale ovviamente anche per essi la regola generale che esclude la possibilità di richiedere cure contrarie alle best practices. L’art. 1 della legge in commento prevede, infatti, che non sia possibile esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Uno degli aspetti certamente più delicati attiene alla possibilità di rifiuto del trattamento (soprattutto nei casi in cui si tratti di trattamenti salva-vita). Trattandosi di una scelta che va a incidere in maniera diretta su diritti fondamentali del minore (in primis, il diritto alla vita), è forte qui l’esigenza che si tenga massimamente in considerazione la volontà di quest’ultimo, ove sia capace di esprimerla. Diversamente, la scelta dovrebbe comunque essere orientata alla tutela della vita e della salute del bambino, coerentemente con lo scopo previsto dal legislatore all’art. 3 sopra indicato, potendo rifiutarsi solo trattamenti che in concreto si presentino di dubbio beneficio24. Il appaia conforme al suo interesse, come del resto il combinato disposto degli artt. 1 e 3, comma 1, della stessa l. n. 219/2017 appare confermare”. 24 D. Carusi, La legge “sul biotestamento”: una luce e molte ombre, in Corr. Giur., 2018, 3, 392 The best interest of the child criterio ispiratore dovrebbe essere, quindi, il best interest del paziente minore di età25. Potrebbe inoltre discutersi se la decisione dei genitori nell’ambito in esame, e soprattutto in caso di rifiuto di cure, sia o meno soggetta al controllo del giudice. Con riferimento ai rapporti patrimoniali, l’art. 320 c.c. richiede l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento in nome e per conto del minore di atti di straordinaria amministrazione. Potrebbe quindi pensarsi che, a fortiori, in un contesto in cui si tratta di esercitare un diritto fondamentale della persona e in cui siano in gioco valori di primaria rilevanza come la vita o la salute, la valutazione compiuta dai genitori debba essere sottoposta al vaglio del giudice. Tale pensiero in effetti ha ispirato, sia pure con riferimento al beneficiario di amministrazione di sostegno, il Tribunale di Pavia26 nel sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 219/2017 per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost., nonché per irragionevolezza, laddove consentono all’amministratore di sostegno di rifiutare le cure per il beneficiario, senza autorizzazione del giudice tutelare. A tale prospettazione si è efficacemente obiettato27 che la ricostruzione della volontà dell’incapace non può che competere al suo rappresentante legale, come chiarito dalla nota pronuncia della Corte di Cassazione sul caso Englaro28. Spetta a quest’ultimo ricercare e attuare la volontà, presunta o effettiva, dell’incapace, soprattutto in materia di fine vita. Una ricostruzione giudiziale di tale volontà è ammissibile unicamente in caso di contrasto (ad es. tra il rappresentante ed il medico o p. 295, il quale osserva che l’opposizione dei genitori a cure oggettivamente indicate può esporli alla perdita della responsabilità genitoriale. In giurisprudenza risultano casi di decadenza dalla potestà (oggi responsabilità) per il rifiuto di vaccinazioni o di emotrasfusioni. V. in particolare Cass., 26 giugno 2006, n. 14747, in Giust. civ. Mass., 2006, 6; Cass., 13 agosto 1999, n. 8633, in Giust. civ. Mass., 1999, 1806. 25 Può essere utile, al riguardo, il richiamo all’art. 6 della Convenzione di Oviedo laddove prevede che “un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio dello stesso”. 26 Trib. Pavia, ord. 24 marzo 2018, in Il familiarista, 9 maggio 2018. 27 R. Masoni, Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l’intervento del GT: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità, in Il familiarista, 9 maggio 2018. Critica anche la posizione di P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit., p. 799. 28 Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748, in Nuova giur. civ., 2008, I, p. 83; in Giust. civ., 2008, I, 1725; in Dir. famiglia, 2008, p. 77. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 393 tra il primo e i familiari dell’incapace), in quanto solo in questa ipotesi specifica può cogliersi l’utilità dell’intervento del giudice, chiamato a dirimere un conflitto tra più soggetti al fine di individuare la effettiva (o più verosimile) volontà dell’incapace. In assenza di conflitti, invece, nulla potrebbe aggiungere il giudice, il quale non avrebbe elementi per sindacare la valutazione del rappresentante legale, quale persona tendenzialmente molto vicina all’incapace (al di fuori di un generico criterio di ragionevolezza). Quanto detto vale a maggior ragione per il minore di età soggetto alla responsabilità dei genitori, che meglio di tutti possono verificare la volontà del figlio e adottare scelte nel suo migliore interesse. In assenza di contrasti, dunque, deve escludersi un intervento autorizzativo del giudice. Detta conclusione trova anche una conferma normativa nell’art. 357 c.c., il quale affida ai genitori, senza intervento del giudice, la “cura della persona” del figlio minore, espressione ampia in cui può ricomprendersi anche il consenso ai trattamenti sanitari. Diversamente, l’intervento del giudice è possibile, rectius necessario, nel caso in cui insorgano dei contrasti tra i soggetti coinvolti nella relazione di cura chiamati a perseguire l’interesse del minore. La nuova legge si occupa, in verità, solo del caso di contrasto tra rappresentanti legali e medico. Ma prima ancora di ciò, può accadere che vi sia un conflitto tra i genitori. In tale ipotesi, la soluzione appare essere quella ordinaria prevista dall’art. 316 c.c., che consente il ricorso al giudice, senza formalità, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza29. Può essere utile sottolineare, così ricollegandosi a quanto detto sopra sulla necessità di tener conto della volontà del minore sui trattamenti sanitari, che lo stesso art. 316 c.c. impone al giudice di disporre l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento. Anche il 29 In tal senso si esprime anche Trib. Mantova, 13 aprile 201, in www.ilcaso.it. Cfr. anche P. Stanzione, Persona minore di età e salute, cit., p. 10: “La delicatezza degli interessi coinvolti, peraltro, se giustifica l’assenza di soluzioni precostituite, induce, al tempo stesso, a dubitare della possibilità per il giudice di avvalersi in presenza di un rifiuto alle cure, dei tradizionali strumenti previsti per le situazioni di carattere patrimoniale, quali, ad esempio, la nomina di un curatore speciale (v. art. 321 c.c.). La lettura combinata della disposizione con il precedente art. 320 c.c. suggerisce, infatti, di prediligere le più duttili maglie dell’art. 333 c.c., che, rimettendo ogni valutazione al prudente apprezzamento del giudice, consente di individuare il “rimedio” maggiormente aderente alle peculiarità del caso concreto”. 394 The best interest of the child giudice, dunque, come ordinariamente i genitori, dovrà considerare la volontà del minore. In caso di separazione o divorzio, la norma di riferimento è invece l’art. 337-ter c.c., il quale nel riconoscere ad entrambi i genitori la responsabilità genitoriale, prevede esplicitamente che le decisioni di maggiore interesse per i figli relative, tra l’altro, alla salute siano assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Anche in questo caso, poi, in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. L’art. 3, comma 5, della legge 219/2017 si occupa, invece, del contrasto che può insorgere tra genitori e medico, stabilendo che laddove “il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria”. Già il codice di deontologia medica aveva previsto all’art. 37, ultimo comma, che “Il medico segnala all’Autorità competente l’opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”. Il legislatore ha quindi disposto l’intervento del giudice per risolvere un conflitto tra medico e genitori nel caso forse più delicato (il rifiuto di cure), in cui massimamente sono coinvolti i diritti del minore alla vita ed alla salute, al fine di verificare che la scelta compiuta dai genitori sia effettivamente orientata dallo scopo della “tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Può osservarsi, al riguardo, che tale intervento giudiziale è previsto non in tutti casi di rifiuto di un trattamento, ma solo ove tale rifiuto determini un conflitto con il medico, il quale, contrariamente ai genitori, ritenga il medesimo trattamento “appropriato e necessario”, ossia proporzionato allo stato della persona e indispensabile alla sua cura30. 30 Cfr. P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, cit., p. 250: “Al requisito di appropriatezza delle cure (oltre che di necessità) si fa riferimento per il caso di disaccordo tra medico e rappresentante dell’incapace (art. 3, comma 5°). Dunque le cure devono essere appropriate e perciò proporzionate. Il che significa che devono essere “a misura” della persona e non solo della catalogazione clinica della sua patologia. La valutazione di sofferenza, svantaggi e rischi deve includere la prospettiva del singolo paziente”. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 395 Al di fuori di questo caso, dunque, non appare possibile per il medico il ricorso al giudice31. Sotto il profilo procedurale, si tratterà di un procedimento di volontaria giurisdizione che si svolge con rito camerale ai sensi degli art. 737 ss. c.p.c. (non essendo previsto il rito ordinario davanti al giudice tutelare), senza intervento obbligatorio del pubblico ministero e che si conclude con decreto motivato32. La competenza del giudice, nel silenzio della legge, dovrebbe ricavarsi in base al principio generale della volontaria giurisdizione per il quale si fa riferimento, in mancanza di diverse indicazioni, al luogo di domicilio del soggetto interessato33. Dovendosi risolvere un conflitto dovrà darsi spazio al contraddittorio, per quanto semplificato34, e sarà possibile per il giudice una istruttoria della causa, anche ricorrendo ad ausiliari ed informatori tecnici35 (art. 738, comma 3, c.p.c.). 31 Cfr. P. Borsellino, “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica, cit., p. 799: “È solo nel caso di rifiuto, da parte del decisore sostitutivo, di un trattamento reputato, invece, appropriato e necessario dal medico, che il quinto comma dell’art. 3 prevede che la decisione sia rimessa al giudice tutelare, e non in tutti i casi di rifiuto di trattamento, e in particolare di rifiuto di trattamento salvavita, riguardo ai quali pur in assenza di espresse disposizioni anticipate di trattamento, non si profilino tra il rappresentante/amministratore di sostegno da una parte e i curanti dall’altra divergenti valutazioni relative al miglior interesse del paziente. Una mancata previsione, quella relativa all’intervento del giudice tutelare anche in questi casi, che, a parere di chi scrive, non si espone a censura di incostituzionalità, non confliggendo con l’intento di tutelare, per quanto possibile, la volontà anche dei soggetti incapaci, e rispondendo, per contro, alla logica, che impronta la legge, di mantenere, in via di regola, le decisioni all’interno della relazione di cura”. 32 In tal senso v. R. Masoni, Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l’intervento del GT, cit. 33 Cfr. Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit. 34 Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., ammette la possibilità di un “ricorso congiunto sottoscritto dal medico e dal soggetto in conflitto - nel quale dovranno essere riportate le ragioni di ciascuna parte, salva restando la possibilità per il Giudice Tutelare di sentire gli interessati ovvero di disporre ulteriori approfondimenti istruttori”. 35 Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., il quale aggiunge che “ove ricorra una situazione di emergenza ovvero anche di urgenza (la cui sussistenza è opportuno risulti dalla cartella clinica), costituisce preciso dovere del sanitario quello di intervenire, senza previamente acquisire la autorizzazione da parte del Giudice Tutelare. […] In proposito va osservato che l’emergenza ricorre quando l’intervento sanitario è indifferibile mentre per urgenza deve intendersi la situazione di pericolo attuale e cioè imminente, non essendo tale un pericolo eventuale o futuro - di un danno grave alla persona, nozione che non è pertanto limitata al pericolo di vita atteso che vi rientra anche quello di gravi menomazioni alla salute (come ad es. perdita di un arto o di un organo) nonché di grave pregiudizio circa la possibilità di effettuare utilmente in un momento successivo un accertamento sanitario indispensabile per la cura della persona; occorre precisare che l’attualità della situazione di urgenza deve 396 The best interest of the child Non può non sottolinearsi, per concludere, la complessità della valutazione rimessa al giudice in un ambito così delicato, considerando sia la “lontananza” di questo dalla persona del minore nell’ottica della ricostruzione della sua volontà, sia la mancanza di competenza tecnica per valutare i requisiti sopra indicati di appropriatezza e necessità delle cure, cui il giudice potrà sopperire evidentemente con una consulenza tecnica (con il relativo allungamento dei tempi), finendo forse per spostare la valutazione su un medico diverso da quello che ha in cura il minore. Bibliografia AA.VV., Questioni in tema di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e attività notarile, in www.federnotizie.it Arfani A., Disposizioni anticipate di trattamento e ruolo del fiduciario, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 819 ss. Bono R., Prime note sulla nuova legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, in www.federnotizie.it Borsellino P., “Biotestamento”: i confini della relazione terapeutica e il mandato di cura, in Fam. e dir., 2018, 8-9, p. 794 Calvo R., La nuova legge sul consenso informato e sul c.d. biotestamento, in Studium iuris, 2018, 6, p. 690 Carusi D., La legge “sul biotestamento”: una luce e molte ombre, in Corr. Giur., 2018, 3, p. 295 D’Avack L., Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una analisi della recente legge approvata in senato, in Dir. fam. pers., 2018, 1, p. 179 ss. Ferrando G., Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi, problemi e linee di tendenza, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 43 ss. Laffranchi M., Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), autonomia professionale e convinzioni etiche, in www.federnotizie.it. Masoni R., Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l’intervento del GT: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità, in Il familiarista, 9 maggio 2018 Mengoni L., Osservazioni generali, in P. Cendon (cur.), Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli, 1988, p. 360 Naddeo F., Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. dell’informazione e dell’informatica, 2018, 1, p. 27 ss. essere valutata ex ante e cioè al momento del ricovero o comunque dell’intervento sanitario sicché, ove ricorra tale ipotesi e la corretta pratica medica lo preveda, andranno immediatamente assicurate alla persona le cure necessarie”. Le DAT del minore e il conflitto di interessi dei genitori 397 Ricci A., La disciplina del consenso informato all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il D.M. 28 dicembre 2016, n. 265: novità e vecchi problemi, in Nuove leggi civili commentate, 2018, 1, p. 48 Romano C., Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento: l’ultrattività del volere e il ruolo del notaio, in Notariato, 2018, 1, p. 16 Stanzione P., Persona minore di età e salute, diritto all’autodeterminazione, responsabilità genitoriale, in www.comparazionedirittocivile.it Torroni A., Il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento: un rapporto essenziale ma difficile. Commento alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Riv. Not., 2018, 2, p. 433 ss. Zatti P., Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, p. 248 Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie Alberto Giulio Cianci Sommario: 1. Il D.L. 73/2017 (L. 119/2017) e la nuova regolamentazione delle vaccinazioni obbligatorie. – 2. La normativa previgente e i modelli di vaccinazione obbligatoria: caratteristiche. Il principio di condizionalità tra vaccinazioni obbligatorie ed inclusione nella comunità scolastica e nelle altre collettività infantili e giovanili. Ragioni. La normativa regolamentare (D.p.r. 1518/1967). Le sanzioni. La rilevanza dell’inottemperanza ai fini del controllo giudiziale sulla potestà genitoriale. – 3. Il nuovo regime delle vaccinazioni obbligatorie, e l’affermazione del principio di non condizionalità (D.p.r. 355/1999). La posizione della giurisprudenza sull’osservanza degli obblighi. – 4. I principi generali della nuova normativa. – 5. La responsabilità genitoriale e il dovere di cooperazione all’obbligo di legge. Profili del controllo giudiziale. La possibilità di intervento nel caso di contrasto tra i genitori. – 6. Le competenze delle autorità scolastiche. La reintroduzione del principio di condizionalità per le sole scuole dell’infanzia. – 7. La posizione dei terzi: l’inadempimento degli obblighi e le possibili conseguenze a carico dei genitori per il contagio dei terzi in conseguenza della malattia dei figli. – 8. La conformità della legge alle previsioni in tema di libertà personale (art. 13 Cost.). – 9. Rilievi conclusivi. 1. Il D.L. 73/2017 (L. 119/2017) e la nuova regolamentazione delle vaccinazioni obbligatorie Il D.L. 7 giugno 2017, n. 73, convertito dalla L. 31 luglio 2017, n. 119 è intervenuto sulla disciplina delle vaccinazioni obbligatorie, con una nuova regolamentazione organica della materia. Le nuove norme hanno previsto l’obbligatorietà di dieci vaccinazioni (anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti-Haemophilus 400 The best interest of the child influenzae tipo B; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella) (art. 11, 1-bis), estendendo così la copertura assicurata dalla normativa previgente. L’ambito di applicazione soggettiva dell’obbligo è molto ampio, comprendente tutti i minori infrasedicenni – si assume, residenti in Italia, dato il carattere necessario di un legame stabile con il territorio italiano, presupposto del carattere necessario della vaccinazione – e tutti i minori non accompagnati che si trovino sul territorio nazionale (art. 11, 1-bis). La finalità della nuova normativa consiste quindi nell’estensione della copertura vaccinale, in modo da assicurare, nel tempo, l’immunità da gravi malattie di ampie fasce della popolazione, soggette all’obbligo vaccinale in base all’età, e destinate a restare immuni in seguito all’adempimento dell’obbligo. 2. La normativa previgente e i modelli di vaccinazione obbligatoria: caratteristiche. Il principio di condizionalità tra vaccinazioni obbligatorie ed inclusione nella comunità scolastica e nelle altre collettività infantili e giovanili. Ragioni. La normativa regolamentare (D.p.r. 1518/1967). Le sanzioni. La rilevanza dell’inottemperanza ai fini del controllo giudiziale sulla potestà genitoriale. La legge apporta delle modifiche rilevanti al preesistente tessuto normativo, rappresentato da una serie di provvedimenti specifici sulle singole vaccinazioni obbligatorie1: anti-difterica (L. 6 giugno 1939, n. 891), originariamente prevista per i minori da due a dieci anni (art. 11), di regola da eseguirsi nel secondo anno di età (art. 12); in via di disposizione transitoria, essa era obbligatoria per tutti gli studenti delle scuole (art. 4), in via stabile condizione di accesso alle scuole primarie ed alle “altre collettività infantili” (art. 3); anti-tetanica (L. 5 marzo 1963, n. 292), inizialmente obbligatoria per specifiche tipologie di lavoratori esposti (“a partire dalle nuove leve di lavoro”) e sportivi, al momento di affiliazione alle federazioni C.O.N.I. (art. 1) e facoltativa per minori e madri gestanti (art. 2), successivamente resa obbligatoria per tutti i minori nel secondo anno di vita (L. 20 marzo 1968, n. 419, art. 1; art. 1, lettera c), L. 292/1963) e posta come condizione di accesso alle scuole primarie e secondarie ed alle altre comunità infantili e giovanili (art. 1 L. 1 Cfr. sul tema S. Panunzio, Vaccinazioni, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 1. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 401 419/1968; art. 3-bis L. 292/1963; anti-poliomielitica (L. 4 febbraio 1966, n. 51), obbligatoria all’origine per i bambini entro il primo anno di età (art. 1), anch’essa condizione di accesso alla scuola dell’obbligo (art. 42) ed alle varie comunità per minori (convitti, colonie climatiche) (art. 43); queste tre vaccinazioni sono state oggetto di un successivo intervento normativo di raccordo (L. 27 aprile 1981, n. 166), teso ad armonizzare i termini delle tre vaccinazioni; anti-epatite B (L. 27 maggio 1991, n. 165), prevista nel primo anno di vita (art. 1), necessaria per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo e per l’ammissione all’esame di licenza media (art. 23), nonché per la frequentazione di comunità infantili (art. 24). Ulteriore modello di vaccinazione obbligatoria era quello della vaccinazione anti-vaiolosa (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 266), da effettuarsi entro i primi sei mesi di vita, successivamente entro i primi due anni, in raccordo con la vaccinazione antidifterica (L. 891/1939, art. 13); a causa dell’efficacia del vaccino per il contrasto alla malattia, essa è stata prima sospesa per quattro anni (L. 7 giugno 1977, n. 323; D.L. 19 giugno 1979, n. 210; L. 8 agosto 1979, n. 210) successivamente abrogata (D.L. 26 giugno 1981, n. 334; L. 6 agosto 1981, n. 457), salvi la possibilità di reintroduzione con specifico D.M. Sanità per esigenze di tutela della salute pubblica o persone esposte al rischio di contagio (art. 2 D.L. 334/1981; L. 457/1981) ed il dovere di mantenimento di scorte (art. 3 D.L. 334/1981; L. 457/1981). Dall’esame di questo articolato complesso normativo è possibile trarre alcuni principi di massima. I modelli considerati avevano tutti come ambito di applicazione soggettiva i minori – salvo l’anti-tetanica prima della L. 419/1968 – e prevedevano, in numerose ipotesi, la vaccinazione quale condizione di accesso alla scuola e, negli stessi casi, alle comunità infantili: anti-difterica (L. 891/1939, art. 3) anti-tetanica (art. 3-bis L. 292/1963); anti-poliomielitica (L. 51/1966, art. 4); anti-epatite B (L. 165/1991, art. 2). Istruzione e momenti di socialità dei minori erano assoggettati al medesimo regime che imponeva le vaccinazioni come condizione di accesso. Come può evincersi dall’esame dei vari testi normativi, la scuola veniva posta sul medesimo piano delle altre “collettività infantili”, termine ricorrente2 nei vari modelli presi in considerazione. Tale equiparazione consente di affermare che il rapporto di condizionalità 2 Ad es., art. 3 L. 891/1939 (vaccinazione anti-difterica); art. 3-bis L. 292/1963 (antitetanica), con un riferimento anche alle “collettività […] giovanili di qualsiasi specie”; art. 4 L. 51/1966 (anti-poliomielitica). 402 The best interest of the child tra vaccinazione e fruizione del servizio scolastico non era specificamente motivato da una funzione di controllo correlata all’obbligo scolastico – basata sulla verifica dell’adempimento all’obbligo vaccinale in occasione della presentazione dei documenti necessari all’iscrizione3 – ma dall’inserimento del minore in una comunità sociale, al pari delle altre, nelle quali avrebbero potuto esservi occasioni di trasmissione nel gruppo (ad es., per la difterite e la poliomielite) o di contrarre l’infezione nelle normali attività sportive o ludiche (per il tetano). La soluzione del legislatore, nel porre sullo stesso piano scuola e altre comunità, escludeva una specifica rilevanza dell’istituzione scolastica ai fini della verifica dell’adempimento dell’obbligo, assegnando invece la prevalenza all’elemento comune della socialità come occasione di contagio o per contrarre la malattia. La condizionalità, pertanto, assolveva ad una diretta finalità di prevenzione. Il rilievo presenta una sua specifica attualità per l’esame comparativo della normativa vigente e sarà oggetto, più oltre (v. par. 9), di considerazioni conclusive. Il principio di condizionalità tra adempimento degli obblighi vaccinali ed accesso alla scuola ed alle altre comunità infantili e giovanili, nel contesto normativo antecedente al D.L. 73/2017, può agevolmente individuarsi a livello di interpretazione letterale dei testi legislativi. Non sembra poter destare alcun dubbio la formulazione che imponeva l’acquisizione della documentazione relativa all’adempimento dell’obbligo “tra i documenti prescritti per la prima ammissione alle scuole primarie” e “alle altre collettività infantili di qualsiasi specie” (anti-difterica: art. 3 L. 891/1939); “tra i documenti prescritti per l’ammissione alle scuole primarie e secondarie” e “alle altre collettività infantili e giovanili di qualsiasi specie” (anti-tetanica: art. 3-bis L. 292/1963; art. 15 L. 419/1968); tra i “documenti prescritti per la prima ammissione alla scuola d’obbligo” e “per l’ammissione dei bambini nei convitti, nelle colonie climatiche da chiunque organizzate, negli asili nido, nei brefotrofi e in qualunque altra collettività infantile” (anti-poliomielitica: art. 4 L. 51/1966); analogo significato deve attribuirsi all’espressione secondo cui “la certificazione dell’avvenuta vaccinazione è presentata all’atto della prima iscrizione alla scuola dell’obbligo” 3 Una funzione esclusiva di controllo sull’adempimento dell’obbligo può invece ravvisarsi nella soluzione che prevedeva l’acquisizione della documentazione relativa alla vaccinazione anti-epatite B per l’iscrizione all’esame di licenza media (art. 23 L. 165/1991). L’adempimento, posto a conclusione del ciclo scolastico, non poteva considerarsi come necessario per l’inserimento del minore nella comunità scolastica, mentre il rilevante interesse ad iscriversi per poter sostenere l’esame avrebbe senz’altro concorso ad assicurare l’osservanza dell’obbligo. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 403 e “per l’ammissione a comunità infantili permanenti o transitorie, aperte o chiuse, compresa la scuola materna” (anti-epatite B: art. 2 L. 165/1991). Se il documento comprovante la vaccinazione era indicato tra quelli “prescritti” per l’iscrizione a scuola, o il dovere giuridico si evinceva dall’uso comune dell’indicativo presente nei testi normativi – “la certificazione […] è presentata”, è evidente che l’iscrizione e la frequenza scolastica non potessero avvenire in mancanza della produzione del documento, senza che fosse necessaria un’ulteriore specificazione tesa a ribadire il principio di condizionalità. Se il documento era necessario per l’iscrizione a scuola, il minore non poteva essere iscritto in mancanza del documento, e non poteva quindi frequentare le lezioni, come qualunque altro soggetto non iscritto a scuola. È peraltro significativo notare che la L. 165/1991, nel consentire l’autocertificazione (art. 22; art. 18 L. 7 agosto 1990, n. 241), imponeva come suo requisito contenutistico “l’indicazione della unità sanitaria locale o del presidio del Servizio sanitario nazionale che ha effettuato la vaccinazione”, per rendere possibile un’agevole verifica della sua veridicità, a conferma dell’essenziale importanza dell’adempimento. Il principio di condizionalità era peraltro coerente con l’interpretazione teleologica: la disposizione, finalizzata ad una prevenzione diretta, tendeva ad escludere l’ingresso del minore nella comunità scolastica ed in tutte le altre collettività per evitare la trasmissione della malattia nel gruppo ed evitare la contrazione dell’infezione nelle attività ivi svolte. Pertanto, la mancata vaccinazione doveva necessariamente costituire un elemento ostativo all’ammissione nel gruppo. In coerenza con il principio di condizionalità, sancito da fonte legislativa (art. 3 L. 891/1939; art. 3-bis L. 292/1963; art. 4 L. 51/1966; art. 2 L. 165/1991), la normativa regolamentare prevedeva che “I direttori delle scuole e i capi degli istituti di istruzione pubblica o privata non possono ammettere alla scuola o agli esami gli alunni che non comprovino, con la presentazione di certificato rilasciato ai sensi di legge, di essere stati sottoposti alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie” (D.p.r. 22 dicembre 1967, n. 1518, art. 471), stabilendo inoltre la necessità di indicazione dei dati cronologici delle vaccinazioni (art. 472) e la conservazione dei certificati di vaccinazione nel fascicolo personale degli studenti, con obbligo di controllo del medico scolastico (art. 473). La normativa regolamentare generalizzava così il principio di condizionalità previsto in via legislativa per la frequenza scolastica, estendendolo così, tra i presupposti, alla vaccinazione anti-vaiolosa 404 The best interest of the child dove non era espressamente previsto; e, tra le attività condizionate all’adempimento dell’obbligo vaccinale, agli esami scolastici4, introducendo così in via generale una funzione di controllo, da espletarsi in tale occasione, non ravvisabile a livello di fonti legislative, con i relativi problemi di compatibilità costituzionale: vertendosi in materia coperta da riserva di legge (artt. 322, 13 Cost.), la fonte secondaria introduceva in via generale modalità di controllo, assistite dal meccanismo di condizionalità, non previste dalla normativa primaria – che legava invece la condizionalità alla sola frequenza scolastica, in ragione dell’inserimento nella comunità – e quindi non conformi alla riserva di legge. Il dovere di cooperazione del genitore all’adempimento dell’obbligo era oggetto di due previsioni specifiche; nella vaccinazione anti-poliomielitica veniva espressamente stabilita la responsabilità dell’esercente l’allora patria potestà, con la previsione di un’ammenda in caso di inottemperanza (art. 3 L. 51/1966); anche nel regime della vaccinazione anti-epatite B veniva sancita la responsabilità del genitore per l’effettuazione della vaccinazione (art. 71 L. 165/1991), con il relativo obbligo assistito da una sanzione amministrativa (art. 72 L. 165/1991). La giurisprudenza evidenziava come il dovere gravasse su entrambi i genitori, ciascuno di essi destinatario in via autonoma delle relative sanzioni5. Al riguardo, può senz’altro evidenziarsi che pur in mancanza di questi due elementi – la previsione specifica di un dovere del genitore o di una sanzione a suo carico in caso di inadempimento – la stessa configurazione della patria potestà, potestà genitoriale e responsabilità genitoriale (artt. 147, 315-bis c.c.) come dovere di provvedere alle esigenze di vita del figlio comprendeva sicuramente l’attivarsi per assolvere gli obblighi vaccinali, trattandosi di una forma elementare di protezione della sua salute. 3. Il nuovo regime delle vaccinazioni obbligatorie, e l’affermazione del principio di non condizionalità 4 Si richiama che la condizionalità rispetto agli esami era prevista, in via legislativa, soltanto per la vaccinazione anti-epatite B (art. 23 L. 165/1991) e solo per l’esame di licenza media (v. nota 3). 5 Cass. 1° giugno 2010, n. 13346, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 64, con nota di L. Klesta Dosi; in Ragiusan, 2010, n. 317-318, p. 169; analogamente, Cass. 30 giugno 2006, n. 15088. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 405 (D.p.r. 355/1999). La posizione della giurisprudenza sull’osservanza degli obblighi Un generale superamento del principio di condizionalità è stato sancito dal D.p.r. 26 gennaio 1999, n. 355, che ha sostituito l’art. 47 D.p.r. 1518/1967, prevedendo, assieme all’obbligo di verifica “all’atto dell’ammissione alla scuola o agli esami” (art. 471), la sola conseguenza della comunicazione all’ASL e al Ministero della Sanità della mancata presentazione della certificazione, con l’affermazione dell’opposto principio di non condizionalità: “La mancata certificazione non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami” (art. 472). Sul superamento in via regolamentare del principio di condizionalità, in tutte le ipotesi nelle quali esso era previsto da una fonte legislativa, valgono rilievi analoghi formulati in precedenza sull’estensione dell’obbligo da parte del D.p.r. 1518/1967, non conforme alla riserva di legge (art. 322, 13 Cost.), nel senso del contrasto tra fonte legislativa e regolamentare, con la conseguente illegittimità di quest’ultima. La normativa regolamentare in esame, infatti, risultava in evidente contrasto con obblighi di fonte legislativa6; la tesi favorevole ad “una interpretazione coordinata, condotta in chiava evolutiva, della normativa vigente in materia di vaccinazioni obbligatorie”, tesa ad “affermare che la mancata presentazione del certificato attestante la effettuazione di vaccinazioni previste dalla legge non rappresenta più un requisito assolutamente ostativo all’iscrizione della scuola dell’obbligo”7 non sembra affatto in linea con il contenuto estremamente dettagliato delle norme legislative che prevedevano il principio di condizionalità (art. 3 L. 891/1939; art. 3-bis L. 292/1963; art. 4 L. 51/1966; art. 2 L. 165/1991). Esso non poteva essere né esteso (D.p.r. 1518/1967), né eliminato (D.p.r. 355/1999), in conformità con la riserva di legge (art. 322, 13 Cost.) e con il criterio gerarchico di primazia della fonte legislativa. Nonostante tali rilievi, la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno portato al superamento del principio di condizionalità, con la conseguente affermazione della possibilità di inclusione del minore nell’ambito della comunità scolastica indipendentemente dall’adempimento degli obblighi vaccinali, in evidente contrasto con gli obiettivi di 6 Come esattamente rilevato da C. Conti, sez. contr., 1° giugno 1999, n. 37, in Cons. Stato, 1999, II, 1541. 7 C. Conti, sez. riun., 4 ottobre 1999, n. 33/e, in Riv. Corte Conti, 1999, n. 5, 1. 406 The best interest of the child tutela sottesi alle norme legislative che stabilivano la condizionalità. Il carattere cogente delle norme risultava così fortemente indebolito sul piano dell’effettività8. A fronte dell’eliminazione del principale presidio teso ad assicurare l’effettività delle vaccinazioni, non più necessarie per l’iscrizione del minore a scuola, il meccanismo previsto dalla nuova normativa (art. 472 D.p.r. 1518/1967; D.p.r. 355/1999), nel senso dell’obbligo di segnalazione del fatto alle autorità sanitarie, attribuiva una rinnovata centralità all’intervento di queste ultime ed alla possibile controversia in sede giurisdizionale per l’osservanza degli obblighi vaccinali. La giurisprudenza aveva in precedenza assunto una posizione nettamente favorevole all’intervento dello Stato a fronte dell’inottemperanza dei genitori, affermando la possibilità di ricorrere a rimedi estremi quali la decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 c.c.)9, già disposta a condizione del persistente inadempimento, con fissazione di un termine brevissimo per provvedere alla vaccinazione ed evitare gli effetti sanzionatori; stabilendo la legittimità, in base alla normativa amministrativa, dell’ordine di presentazione del minore per l’effettuazione delle vaccinazioni emesso dal sindaco10, con l’esclusione dell’applicabilità della sanzione penale in caso di inadempienza ai sensi dell’art. 650 c.p.11. Il rimedio generale veniva individuato nella sospensione della potestà genitoriale (art. 333 c.c.) e nei provvedimenti a tutela del minore (art. 336 c.c.)12, con l’intervento del Tribunale per i minorenni teso anche ad assicurare – prima del D.p.r. 355/1999 – il diritto all’istruzione in ragione del principio di condizionalità13, dato per presupposto: se 8 Su un tentativo di reintroduzione del meccanismo di condizionalità mediante una delibera comunale in tema di accesso alle scuole dell’infanzia, v. TAR FriuliVenezia Giulia 16 gennaio 2017, n. 20, in Resp. civ. prev., 2017, p. 1318, con nota di G. Citarella. 9 Trib. min. Brescia 13 gennaio 1984, in Giur. it., 1985, I, 2, p. 96, con nota di Dogliotti. 10 TAR Friuli-Venezia Giulia 12 aprile 1989, n. 141, in Foro amm., 1989, p. 2146. 11 Cass. pen. 12 dicembre 1990, in Mass. Cass. pen., 1991, n. 3, 50 (m.). 12 C. App. min. Perugia 21 giugno 1997; C. App. min. Perugia 5 marzo 1998, in Rass. giur. umbra, 1998, p. 665; C. App. min. Perugia 13 dicembre 1996, in Rass. giur. umbra, 1997, p. 17; Trib. min. Perugia 20 giugno 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, p. 630, con nota di E. Bagianti; C. App. Torino 12 ottobre 1993, in Dir. fam., 1994, p. 623; Trib. min. Venezia 18 ottobre 1993, in Gius., 1994, n. 17, p. 91, con nota di V. Fellah; C. App. Torino 3 ottobre 1992, in Dir. fam., 1993, p. 571, con nota di M. Dogliotti. 13 In tal senso, v. C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit.: “Nel caso di specie […] i genitori pregiudicano altresì il diritto del minore all’istruzione, poiché il non essere stato vaccinato preclude al bambino l’accesso alla scuola elementare”. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 407 le vaccinazioni non venivano effettuate, non poteva esservi frequenza scolastica, ad ulteriore pregiudizio della posizione del minore. Nel merito, la giurisprudenza successiva al D.p.r. 355/1999 confermava, almeno secondo una tendenza evolutiva, la possibilità di intervento del Tribunale per i minorenni mediante la sospensione della potestà genitoriale e i provvedimenti a tutela del minore (artt. 333, 336 c.c.)14. A fronte dell’obbligatorietà della vaccinazione, legislativamente prevista15, la massima ricorrente escludeva la legittimità che il genitore contravvenisse a tale obbligo “per propria diversa convinzione o per ignoranza (da intendersi nel senso di omissione di ogni diligenza volta ad acquisire le necessarie informazioni)”, dovendo allegare le “specifiche ragioni che, nel caso singolo, rendono la vaccinazione sconsigliata o pericolosa”, fornendo la prova “di sussistenza, quantomeno fondatamente putativa, di specifiche controindicazioni”16. In riferimento a tale regola di giudizio, si è ravvisata la necessità di una prova specifica della “particolare condizione sanitaria” della persona, tale da sconsigliare la vaccinazione17, mediante un previo accertamento sanitario18, senza l’obbligatorietà generale di indagini preventive19; è stata specificamente esclusa la rilevanza dell’esistenza, in famiglia, di casi di sclerosi multipla ed allergie20. La Corte Costituzionale ha confermato la compatibilità di queste soluzioni con il diritto alla salute (art. 32 Cost.), con particolare riferimento all’esclusione della necessità di indagini preventive21. In questo contesto, la ritenuta temporaneità dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni (artt. 333, 336 c.c.)22 e la conseguente esclusione del ricorso per cassazione come mezzo di impugnazione23 non 14 C. App. Bari 6 febbraio 2002; C. App. Bari 12 febbraio 2003, in Familia, 2003, p. 548, con nota di A. De Simone. 15 Sull’importanza della previsione legislativa, tale da equiparare, sul piano sistematico, le vaccinazioni obbligatorie all’intervento salvavita, cfr. C. App. Venezia 16 settembre 2004, in Giur. mer., 2005, P. 361. 16 Cass. 18 luglio 2003, n. 11226, in Riv. it. med. leg., 2003, p. 1157, con note di F. Buzzi e B. Magliona. 17 C. App. min. Perugia 5 marzo 1998, cit. 18 C. App. min. Perugia 13 dicembre 1996, cit. 19 C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit. 20 C. App. Bari 12 febbraio 2003, cit. 21 C. Cost. 23 giugno 1994, n. 258, in Foro it., 1995, I, C. 1451; in Giur. cost., 1994, p. 2097. 22 C. App. Torino 3 ottobre 1992, cit. 23 Cass. 15 luglio 2003, n. 11022, in Foro it., 2004, I, c. 2485; Cass. S.U. 15 ottobre 1999, 408 The best interest of the child risultano affatto conformi alla tutela della libertà personale (artt. 13, 1117 Cost.), bene sul quale incidono gli obblighi vaccinali in ragione della loro afferenza alla sfera dell’integrità del corpo, prima ed essenziale dimensione tutelata dalla norma costituzionale, che impone, in caso di contenzioso, il controllo di legittimità24. 4. I principi generali della nuova normativa Il D.L. 73/2017 si colloca a conclusione del percorso, così descritto nella sua parte iniziale, in una fase storica nella quale sono emerse tre criticità: l’emersione di movimenti contrari alla vaccinazione, che hanno comportato un decremento delle coperture, particolarmente in alcune regioni25; gli effetti del D.p.r. 355/1999 sul principio di condizionalità, tali da limitare fortemente la garanzia di effettività delle vaccinazioni obbligatorie, privando l’autorità amministrativa di un meccanismo di controllo automatico – strumentale rispetto alla finalità di prevenzione diretta – che vietava, in mancanza dell’adempimento dell’obbligo, l’accesso del minore alla comunità scolastica; la posizione assunta da alcuni Tribunali per i minorenni che escludevano – ravvisando il difetto di giurisdizione – la possibilità di adottare provvedimenti ablativi, limitativi o specifici sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.)26 in caso di inadempimento agli obblighi vaccinali. Quest’ultima tendenza giurisprudenziale – in contrapposizione ai precedenti27 citati in precedenza (v. par. 3) – escludeva la possibilità di un controllo giurisdizionale sull’esercizio della responsabilità genitoriale, sulla base del fatto che, in forza della predeterminazione legislativa dell’obbligo di vaccinazione, non sussistevano margini di n. 729, in Giur. it., 2000, p. 1150; Cass. 4 marzo 1996, n. 1653; Cass. 15 luglio 1995, n. 7744; Cass. 8 febbraio 1994, n. 1265, in Dir. fam., 1994, p. 871. 24 Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 1117 Cost. su tutti i provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale, v. A. Cianci, Diritto privato e libertà costituzionali, I, Libertà personale, Napoli, 2016, 80 ss., 93 s., 97 ss. 25 Per i dati del Ministero della Salute, v. http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/ p6_2_8_3_1.jsp?lingua=italiano&id=20. 26 Sui provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale, con riferimento al precedente istituto della responsabilità genitoriale, v. C. Cossu, Potestà dei genitori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 125 ss.; A. Bucciante, Potestà dei genitori, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 791 ss.; A.C. Pelosi, La patria potestà, Milano, 1965, p. 301 ss.; E. Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, p. 43 s. 27 V. ad es. C. App. Bari 6 febbraio 2002; C. App. Bari 12 febbraio 2003, cit. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 409 discrezionalità dei genitori per esercitare la responsabilità genitoriale in senso ostativo, restando in capo all’autorità amministrativa l’adozione dei provvedimenti necessari per assicurare l’adempimento degli obblighi vaccinali28. In particolare, le due tendenze ultimamente indicate risultavano particolarmente dannose nella prospettiva di assicurare l’effettività di tali obblighi. Infatti, al forte depotenziamento dell’azione dell’autorità amministrativa, derivante dal venir meno del principio di condizionalità, si accompagnava il self-restraint dell’autorità giudiziaria preposta al controllo, ispirato da discutibili assiomi, quali l’assunto che “se il Tribunale per i minorenni accetta di ingerirsi nella questione, viene ad esercitare una supplenza la cui rischiosità, sul piano igienistico e ordinamentale, è palese”29: di evidente inconsistenza, dato che non è certo il Tribunale stesso a stabilire la sussistenza o meno della propria giurisdizione, potendo liberamente accettare o non accettare di pronunciarsi sulle questioni devolute alla sua cognizione. Il concorso di questi fattori – un’autorità amministrativa resa debole dal D.p.r. 355/1999 e un’autorità giudiziaria che, in determinati casi, abdica illegittimamente ed inspiegabilmente al suo ruolo nel controllo giudiziale sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.) – ha condotto a dati statistici ritenuti insoddisfacenti per la protezione dei minori, proprio per la possibilità di contagio ed infezione nell’ambito scolastico e nelle altre collettività infantili a causa dell’aumento della percentuale dei non vaccinati; possibilità che sarebbe stata evitata, qualora il principio di condizionalità, legislativamente sancito (art. 3 L. 891/1939; art. 3-bis L. 292/1963; art. 4 L. 51/1966; art. 2 L. 165/1991), fosse stato operante anche nella prassi, senza l’adozione di una normativa regolamentare in contrasto con la legge (D.p.r. 355/1999), ed adeguatamente tutelato da una giurisprudenza che non avesse preteso di rendersi sovrana della proprie competenze. In presenza di un quadro simile, l’intervento del legislatore, con il D.L. 73/2017, non poteva che prefiggersi tre obiettivi essenziali: la creazione di un sistema efficiente per assicurare l’osservanza del precetto, in via amministrativa e giurisdizionale; la possibilità di agevole accertamento di eventuali controindicazioni in casi specifici; l’adozione 28 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, in Dir. fam., 1994, 1292; in Gius., 1994, n. 17, p. 85, con nota di V. Fellah; Trib. min. Messina 28 marzo 2000, in Dir. fam., 2000, p. 1176. 29 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. 410 The best interest of the child delle garanzie giurisdizionali dovute alla libertà personale, in ragione dell’afferenza degli obblighi vaccinali alla sfera del corpo della persona (art. 13 Cost.). La normativa in esame (D.L. 73/2017; L. 119/2017) ha individuato, oltre alle quattro vaccinazioni già precedentemente obbligatorie (anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B), altre sei vaccinazioni (anti-pertosse; anti-Haemophilus influenzae tipo B; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella) (art. 11, 1-bis). L’originario testo del D.L. 73/2017, prima della conversione in legge, prevedeva anche l’obbligatorietà di ulteriori due vaccinazioni (antimeningococcica B e C), successivamente indicate tra quelle oggetto di offerta “attiva e gratuita” (art. 11-quater) unitamente all’anti-pneumococcica e all’anti-rotavirus. La legge prevede la possibilità di eliminazione dell’obbligatorietà di alcune vaccinazioni con D.M. Salute, da adottarsi eventualmente a scadenze triennali; qualora ciò non dovesse avvenire, è comunque obbligatoria la presentazione alle Camere di una relazione “recante le motivazioni della mancata presentazione”, corredata dai dati epidemiologici e di copertura vaccinale (art. 11-ter). Tale soluzione è stata adottata in sede di legge di conversione, al fine di rendere maggiormente duttile l’intero sistema. Si noti come la fonte regolamentare non può operare estendendo le vaccinazioni obbligatorie, ma è solo autorizzata dalla legge stessa a ridurne l’ambito: l’obbligatorietà, infatti, deve essere sempre prevista dalla fonte legislativa, in ragione della riserva di legge caratteristica della materia (art. 322, 13 Cost.). La legge prevede, in via di stretta interpretazione, quale deroga ad un regime generale di obbligatorietà (art. 14 prel.), le due ipotesi nelle quali essa non opera: la previa immunizzazione a seguito di malattia, oggetto di comunicazione da parte del medico curante o di analisi sierologica (art. 12), con la conseguente possibilità di ricorso a vaccini in formulazione monocomponente o parzialmente combinata (art. 12, 2bis); il “caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta” (art. 13), che consente il differimento o l’omissione della vaccinazione. Questa disposizione presenta un’assoluta centralità nel sistema, delineando un criterio legislativo di valutazione dell’eccezione. Occorre che vi sia un pericolo per la salute, derivante da condizioni cliniche soggette a due requisiti: l’essere “specifiche” – ossia riferibili a singoli Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 411 elementi caratteristici della persona interessata – e “documentate”, oggetto quindi di un previo accertamento medico. La legge prevede inoltre che sia un medico – di libera scelta – a dover fornire l’attestazione della loro sussistenza, illustrando nella relativa certificazione i due predetti requisiti. Sono previste dalla legge varie iniziative di comunicazione e informazione sulle vaccinazioni (art. 21), anche con specifico riferimento all’ambito scolastico (art. 22). Vengono istituite un’anagrafe nazionale dei vaccini (art. 4-bis), preposta al monitoraggio dell’attuazione degli obblighi previsti dalla legge e un’unità di crisi permanente, che realizza il coordinamento tra le amministrazioni interessate (art. 4-ter). Vengono introdotte delle norme in tema di indennizzo da vaccinazione obbligatoria (L. 25 febbraio 1992, n. 210), che individuano nelle “lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica” l’evento da cui scaturisce la prestazione indennitaria (art. 5-quater), escludendo così ogni stato di malattia temporaneo successivo alla vaccinazione e privo di esiti permanenti; prevedono il litisconsorzio necessario dell’Agenzia Italiana del Farmaco (art. 5-bis) in tutti i giudizi introdotti dopo il 1 giugno 2018; destinano personale amministrativo nell’ambito del Ministero della Salute alla definizione stragiudiziale delle relative controversie (art. 5-ter). 5. La responsabilità genitoriale e il dovere di cooperazione all’obbligo di legge. Profili del controllo giudiziale. La possibilità di intervento nel caso di contrasto tra i genitori La legge ha delineato il rapporto tra vaccinazioni obbligatorie e responsabilità genitoriale secondo un meccanismo (art. 14) che affida il controllo all’autorità amministrativa (ASL) e si articola in due fasi, necessariamente consequenziali: la convocazione dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale per un colloquio informativo e di sollecito, e l’irrogazione di una sanzione amministrativa – di entità oggettivamente modesta rispetto al bene protetto, consistente nella tutela della salute di un minore (da euro 100,00 ad euro 500,00) – in caso di persistente inadempienza, oltre il termine fissato dalla ASL. Il D.L. 73/2017 prevedeva inizialmente l’obbligo per la ASL di “segnalare l’inadempimento dell’obbligo vaccinale alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per gli eventuali adempimenti di competenza” 412 The best interest of the child (art. 15, nel testo in vigore all’emanazione del D.L. 73/2017); tale previsione è stata quindi soppressa dalla L. 119/2017. L’esclusione dell’obbligo di segnalazione costituisce una soluzione fortemente criticabile, che rileva l’inidoneità della nuova normativa ad assicurare il primo dei suoi obiettivi essenziali, la creazione di un sistema integrato, teso a garantire l’osservanza degli obblighi vaccinali anche mediante il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria secondo procedure delineate dalla legge. Nella giurisprudenza minorile in precedenza criticata, si rilevava che “identificare […] il Tribunale per i minorenni quale strumento attuativo dei trattamenti sanitari obbligatori sui bambini incapaci di intendere e di volere spalancava il vuoto nelle previsioni riservate ai minori in età di ragione e agli adulti cui somministrare trattamenti obbligatori diversi da quello psichiatrico. E ciò a prezzo dello svilimento di un Tribunale ridotto a braccio esecutivo dell’Amministrazione sanitaria, in una dinamica delegittimante fra due autorità separate, giudiziaria e amministrativa, fatte dipendere circolarmente l’una dall’altra senza costrutto. Perché il giudice minorile non può che fare capo, al fine attuativo, a quei Servizi comunali cui l’art. 23 d.P.R. 616/77 attribuisce “gli interventi in favore dei minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza amministrativa e civile”. Ossia agli stessi Servizi a disposizione del sindaco, che si vedono così restituire la patata bollente”30. Questo ragionamento deve essere rigettato nel modo più netto, ed avrebbe anzi richiesto un intervento legislativo, teso a regolamentare nel dettaglio le modalità di intervento della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, organo preposto al controllo giudiziale sull’esercizio della responsabilità genitoriale in caso del persistente inadempimento all’obbligo vaccinale. A prescindere dalle modalità di attuazione dell’obbligo stesso, e della possibilità di ricorrere – secondo modalità necessariamente predeterminate dalla legge e soggette a riserva di giurisdizione (art. 13 Cost.) a forme di coazione fisica – il comportamento del genitore che rifiuti l’adempimento di un obbligo, previsto dalla legge a tutela dell’integrità psicofisica del figlio costituisce un fatto di per sé rilevante e meritevole di rigorosa valutazione dell’autorità giudiziaria, nel sistema dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.). 30 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 413 Affermare, infatti, che “il comportamento omissivo o rifiutante dei genitori in ordine alla vaccinazione obbligatoria non può […] comportare di per sé pronuncia sulla potestà. Lo potrebbe, invece, come elemento sintomatico congiunto con altri elementi rivelatori di inidoneità genitoriali”31 significa trascurare alcuni dati che dovrebbero invece risultare di immediata evidenza agli occhi del giudice minorile: dalla mancata effettuazione della vaccinazione obbligatoria risulta immediata l’esposizione del minore al pericolo di una malattia, evento che non può non rilevare come “grave pregiudizio del figlio” (art. 330 c.c.); da ciò, potrebbe derivare anche la morte; la condotta inadempiente del genitore viene posta in essere nell’esercizio della responsabilità genitoriale, e quindi in violazione del diritto alla salute del minore, a presidio del quale la legge ha previsto le vaccinazioni obbligatorie (art. 11, 1-bis D.L. 73/2017; L. 119/2017). Sul fatto poi, che la mancata vaccinazione in sé – fatto potenzialmente idoneo ad incidere sul diritto alla vita del figlio (art. 2, 32 Cost.) – non potrebbe rilevare ai fini dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale, è appena il caso di evidenziare che essi sono stati sovente assunti, persino ai fini della decadenza dalla stessa (art. 330 c.c.), in situazioni di ben minor pregiudizio per il minore, addirittura relativi ad una non meglio precisata “complessiva incapacità non emendabile di comprendere quali siano i bisogni emotivo-affettivi e pratici” del minore, quando, nella stessa vicenda, l’unico episodio di abbandono era stato escluso dal giudicato penale32. Mettere a rischio la vita del minore non vaccinandolo, in presenza di un obbligo di legge, viene considerato irrilevante ai fini del controllo giudiziario sulla responsabilità genitoriale; nello stesso sistema, la dichiarazione di stato di adottabilità (L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8) è ritenuta possibile e persino non revocabile anche qualora il fatto che vi abbia dato luogo sia stato negativamente accertato da una sentenza penale passata in giudicato, sulla base di impalpabili valutazioni soggettivistiche. Un grave limite della legge in commento consiste, dunque, nell’aver escluso l’istituto dell’obbligo di segnalazione alla Procura della Repubblica davanti al Tribunale per i Minorenni, che avrebbe consentito – se 31 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. 32 Cass. 14 febbraio 2018, n. 3594; sulla stessa vicenda, v. Cass. 8 novembre 2013, n. 25213, in Foro it., 2014, I, p. 59, con nota di G. Casaburi; in Fam. dir., 2015, p. 816, con nota di D. Morello Di Giovanni; Cass. 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro it., 2016, I, c. 2319, con note di G. Casaburi e di C.M. Bianca, ivi, 2017, I, p. 3171; nella rassegna a cura di A. Batà e A. Spirito, in Fam. dir., 2016, p., 1082, e, per esteso, ivi, 2017, p. 319, con nota di A. Figone; C. App. Torino 11 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, c. 1184, con nota di G. Casaburi. 414 The best interest of the child legislativamente previsto – un immediato raccordo tra procedimento amministrativo ed intervento dell’autorità giudiziaria in caso di inadempienza. L’esclusione di quest’obbligo sembra difficilmente comprensibile. Da una parte, la previsione dell’obbligo avrebbe messo in grado l’organo requirente di conoscere l’inadempimento, e di compiere al riguardo le proprie valutazioni, secondo un canone che lo stesso ufficio avrebbe potuto adottare, tra la sua irrilevanza ai fini dell’adozione di provvedimenti sulla responsabilità genitoriale in mancanza di ulteriori elementi33 – secondo l’indirizzo in precedenza criticato – oppure partendo dal principio – del resto coerente con il carattere primario del bene della salute (art. 32 Cost.). – per cui l’inosservanza dell’obbligo espone il minore stesso ad un potenziale grave pregiudizio per la sua salute. A fronte di questa possibilità, non sembra affatto condivisibile la scelta del legislatore, che priva l’organo preposto al controllo sull’esercizio della responsabilità genitoriale – la Procura della Repubblica davanti al Tribunale per i Minorenni – di un efficace strumento di conoscenza. Peraltro, sembra che l’autorità amministrativa, venuta a conoscenza di un elemento potenzialmente pregiudizievole per la salute del minore, debba comunque procedervi in base al dovere giuridico di impedire l’evento potenzialmente lesivo (art. 402 c.p.). Dal momento che l’autorità amministrativa, nell’esercizio delle proprie funzioni, viene a conoscenza di un’omissione del genitore esercente la responsabilità genitoriale che possa comportare grave danno alla salute del minore o persino la morte, in base ai dati statistici sulla malattia per cui la vaccinazione non è stata realizzata, sembra necessario che, oltre all’attività di convocazione dei genitori ed all’attivazione del procedimento sanzionatorio, espressamente previste dalla legge (art. 14 D.L. 73/2017; L. 119/2017), si realizzi comunque una segnalazione diretta ad impedire l’evento lesivo che rientra nella diretta responsabilità dell’autorità sanitaria (art. 402 c.p.). Alla responsabilità penale si accompagnano le varie conseguenze risarcitorie civilistiche a favore del minore eventualmente danneggiato. Questa soluzione sembra, peraltro, imposta da un singolare paradosso della normativa in commento. Esso consiste nel fatto che i rimedi previsti dalla legge in caso di inadempienza – convocazione dei genitori ed irrogazione delle sanzioni – non sono affatto in grado di tutelare, salvo che come blando deterrente, la salute del minore; egli, anche in seguito al loro diligente esperimento, resta pienamente esposto al rischio 33 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 415 derivante dalla mancata vaccinazione. Ne consegue che, esperendo gli stessi, il funzionario preposto alla funzione di controllo non può affatto escludere il pericolo di grave pregiudizio alla salute del minore che ha il dovere di evitare, quale autorità sanitaria preposta alla verifica (artt. 590, 589, 402 c.p.). Sembra dunque conseguente la necessità di un dovere di comunicazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per le opportune valutazioni, in quanto solo questo intervento, in quanto esplicato, potrebbe evitare l’evento pregiudizievole per la persona del minore, dando luogo ad una successiva fase giurisdizionale, a seguito dell’adozione delle prescritte sanzioni amministrative. Sotto questo profilo, sembra di poter agevolmente concludere che la legge, oltre a prevedere un raccordo tra funzione amministrativa ed intervento dell’autorità giudiziaria, avrebbe dovuto delineare, in conformità con i principi costituzionali in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), “casi” e “modi” di limitazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale e di intervento sulla persona del minore per poter realizzare la vaccinazione in mancanza della cooperazione dei genitori. Senza questa disciplina di dettaglio, l’attuale quadro legislativo si limita a misure del tutto inefficaci rispetto al fine di assicurare l’osservanza degli obblighi vaccinali; l’intervento del giudice minorile, ove dovesse realizzarsi pur in mancanza dell’obbligo di segnalazione dell’autorità amministrativa, risulterebbe privo della disciplina legislativa di dettaglio, costituzionalmente necessaria per poter incidere sulla libertà personale del minore (art. 13 Cost.), e non potrà dunque esplicarsi. In quest’ottica, il necessario ricorso allo strumento legislativo non potrà essere superato mediante provvedimenti atipici in tema di controllo giudiziale della responsabilità genitoriale (artt. 333, 336 c.c.), in quanto la genericità di tali previsioni non sarebbe compatibile con l’essenzialità del bene protetto, rappresentato dal corpo e dall’autodeterminazione fisica della persona, su cui i provvedimenti del giudice sarebbero destinati ad incidere: non sono, infatti, previsti “casi” e “modi” in cui l’intervento dell’autorità giudiziaria possa esplicarsi (art. 13 Cost.), ed in conseguenza ogni soluzione tesa ad effettuare la vaccinazione mediante lo strumento dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale (artt. 333, 336 c.c.) non potrà ritenersi costituzionalmente legittima. In mancanza di ciò, l’intervento sostitutivo dello Stato a tutela del minore in caso di negligente esercizio della responsabilità genitoriale – nella dottrina anglosassone, principio del parens patriae – non potrà 416 The best interest of the child realizzarsi mediante un intervento che assicuri al figlio l’effettuazione della vaccinazione. Gli unici rimedi possibili, per questa specifica finalità, saranno quelli indicati dalla legge, consistenti nella convocazione dei genitori e nell’irrogazione di sanzioni amministrative; il vigente quadro legislativo non prevede ulteriori conseguenze. Al riguardo, si segnala che il carattere necessario di un intervento legislativo di dettaglio sarebbe risultato ancor più necessario alla luce della tendenza giurisprudenziale, già criticata in precedenza, favorevole ad escludere la rilevanza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale ai fini del controllo sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.): l’ipotesi di disporre, in tali casi, l’affidamento a soggetti diversi dai genitori “per lo stretto tempo occorrente alle vaccinazioni e previ accertamenti strettamente finalizzati ad esse” è stata esclusa, in quanto ciò “non sarebbe neppure un affidamento: sarebbe un mero atto esecutivo dell’obbligo di legge”34. Come già visto, questa posizione è il frutto di un evidente errore concettuale: l’inadempimento arreca al minore un grave pregiudizio, che rappresenta il fatto rilevante per i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale ed impone, di conseguenza, l’intervento del giudice minorile. Circa gli obblighi di legge, è anche agevole osservare che essi sussistono nell’intero campo di operatività dell’intervento del giudice minorile, correlato alla violazione di un diritto del figlio (art. 315-bis c.c.), che rappresenta a sua volta un dovere del genitore. Non soltanto, in siffatta ipotesi, vi è la piena sussistenza della giurisdizione, ma il controllo giurisdizionale è anzi imposto dalla disciplina costituzionale in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), che affida all’autorità giudiziaria funzioni e poteri che l’autorità amministrativa non può invece esercitare, in forza della riserva di giurisdizione che connota la materia in esame. Risulta dunque impossibile risolvere la questione sul piano amministrativo, e proprio per questa ragione la norma in tema di segnalazione obbligatoria, originariamente prevista dal D.L. 73/2017, quindi espunta per effetto della L. 119/2017, risultava quanto mai opportuna, anche se avrebbe dovuto essere accompagnata da una dettagliata previsione delle modalità di intervento del giudice minorile in caso di persistente inadempienza all’obbligo vaccinale. 34 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 417 La posizione del genitore resta potenzialmente soggetta al controllo sull’esercizio della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.), anche se i relativi provvedimenti non potranno, in forza della riserva di legge in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), prevedere forme di limitazione della responsabilità che tendano alla vaccinazione coattiva, per la mancanza di “casi” e “modi” previsti dalla legge che renderebbero illegittima questa specifica tipologia di intervento. Sarà invece possibile la valutazione della rilevanza dell’inadempimento ai fini dei provvedimenti di decadenza e limitazione della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333 c.c.), in considerazione del pregiudizio e del pericolo derivanti dall’inadempimento. Va evidenziato, al riguardo, che la libertà personale è bene protetto in capo al minore35, e che la responsabilità genitoriale non comprende affatto un diritto del genitore di opporsi all’obbligo vaccinale; trattandosi di un potere funzionalizzato nell’interesse del minore, la responsabilità genitoriale deve essere esercitata in conformità della legge, che impone la vaccinazione obbligatoria, a prescindere dalle convinzioni soggettive del genitore, del tutto irrilevanti in quanto incidano sulla sfera giuridica di una persona diversa, titolare di una sfera autonoma di tutela della salute (art. 32 Cost.), che non può essere compromessa in ragione delle opinioni e delle scelte di vita del genitore. Sotto questo profilo, il genitore non può essere ritenuto “custode” esclusivo del corpo del minore; l’intervento dello Stato in funzione sostitutiva per l’effettuazione della vaccinazione – secondo la dottrina del parens patriae – sarebbe senz’altro compatibile con la tutela costituzionale della libertà personale (art. 13 Cost.), data la preminente necessità di tutela della vita e della salute (art. 32 Cost.); tuttavia, il vigente quadro legislativo non lo consente, per le ragioni già esaminate in precedenza. Resta tuttavia ferma la possibilità di valutare negativamente la condotta del genitore ai fini dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333 c.c.), ed al riguardo la tesi che nega autonoma rilevanza alla mancata vaccinazione36 deve rigettarsi nei termini più netti. È l’espressione più evidente di una deviazione del sistema dai suoi principi fondamentali: si interviene sulla responsabilità genitoriale in presenza 35 La sussistenza di una sfera protetta di libertà personale del minore si evince dalla giurisprudenza penale che lo qualifica come soggetto passivo del delitto di sequestro di persona, anche in tenera età: v. Cass. pen. 6 dicembre 2011, in Riv. pen., 2012, p. 281; Cass. pen. 4 novembre 2010, in Foro it., 2011, II, c. 566, con nota di G. Leineri. 36 Trib. min. Bologna 15 gennaio 1994, cit. 418 The best interest of the child di un potenziale pregiudizio psicologico al minore37, e non qualora l’omissione del genitore possa comportare l’insorgenza di gravi malattie e potenzialmente la morte (art. 32 Cost.). Qualora la malattia o la morte insorgano in conseguenza della mancata vaccinazione, altre conseguenze a carico del genitore consistono nelle sanzioni penali per lesioni colpose ed omicidio colposo (artt. 590, 589 c.p.). In questo caso, è evidente che il genitore, stante il suo dovere di cooperazione legislativamente previsto (art. 11, 1-bis, 4 D.L. 73/2017; L. 119/2017), risponde in ragione dell’obbligo di impedire l’evento (402 c.p.). Anche in questo caso, dalla responsabilità penale derivano varie conseguenze risarcitorie civilistiche a favore del minore eventualmente danneggiato. In caso di contrasto tra i genitori, la giurisprudenza ravvisa l’esperibilità di due rimedi: il procedimento previsto dall’art. 709-ter c.p.c.38, nel presupposto che il comportamento del genitore rappresenti una violazione del regime di affidamento, in ragione del dovere giuridico di attuare le vaccinazioni, sancito dalla fonte legislativa che integra, evidentemente, il contenuto del complesso di doveri connesso alla responsabilità genitoriale; il procedimento ex 333 c.c.39, nell’evidente necessità di adozione di provvedimenti sull’esercizio della responsabilità genitoriale stessa, consistenti nell’ordine di effettuare la vaccinazione e nelle conseguenze in caso di inadempimento. 6. Le competenze delle autorità scolastiche. La reintroduzione del principio di condizionalità per le sole scuole dell’infanzia Uno specifico settore della nuova disciplina attiene alle competenze degli istituti scolastici ed all’inserimento del minore nella comunità scolastica in relazione all’adempimento degli obblighi vaccinali (artt. 3 ss., D.L. 73/2017; L. 119/2017). È previsto, infatti, l’obbligo dei dirigenti scolastici e dei responsabili delle scuole per l’infanzia di richiedere “idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie […], ovvero l’esonero, 37 Cass. 14 febbraio 2018, n. 3594; Cass. 8 novembre 2013, n. 25213, cit.; Cass. 30 giugno 2016, n. 13435, cit.; C. App. Torino 11 marzo 2017, cit. 38 Trib. Milano 9 gennaio 2018, in www.ilfamiliarista.it. 39 C. App. Napoli 30 agosto 2017, in www.ilfamiliarista.it, con nota di L. Dell’Osta. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 419 l’omissione o il differimento delle stesse […], o la presentazione della formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale territorialmente competente”. Il termine per la produzione di tale documentazione viene indicato nello stesso termine di scadenza per l’iscrizione; per la sola effettuazione delle vaccinazioni, non per esoneri, omissioni, differimenti o richieste, può essere assolto mediante un’autocertificazione; la successiva documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” – che non può, dunque, consistere in un’autocertificazione, stante il tenore letterale della norma – deve essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno, a conclusione del ciclo vaccinale (art. 31). La normativa reintroduce il principio di condizionalità tra vaccinazioni ed iscrizione solo per la scuola dell’infanzia, con una formulazione che non lascia adito a dubbio alcuno: “Per i servizi educativi per l’infanzia e per le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso”; mentre, anche qui senza dar luogo a dubbi interpretativi, “Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola, al centro ovvero agli esami” (art. 33). La Corte Costituzionale40 ha ritenuto infondata una questione di legittimità costituzionale, promossa dalla Regione Veneto circa il principio di condizionalità (in riferimento all’art. 117 Cost.), sulla base del fatto che le disposizioni legislative, afferenti alla categoria delle “norme generali sull’istruzione”, “mirano a garantire che la frequenza scolastica avvenga in condizioni sicure per la salute di ciascun alunno, o addirittura (per quanto riguarda i servizi educativi per l’infanzia) non avvenga affatto in assenza della prescritta documentazione. Pertanto, queste norme vengono a definire caratteristiche basilari dell’assetto ordinamentale e organizzativo del sistema scolastico”. Anche tutti gli operatori scolastici sono stati chiamati a fornire, entro il 6 novembre 2017, un’autocertificazione relativa alla propria situazione vaccinale (art. 33-bis). Tra le norme transitorie, il termine per la presentazione della documentazione all’atto dell’iscrizione è stato fissato al 10 settembre 201741 per la scuola dell’infanzia ed al 31 ottobre 2017 per le altre istituzioni 40 C. Cost. 18 gennaio 2018, n. 5. 41 Termine che, essendo a scadenza in giorno festivo, è prorogato di diritto all’11 settembre 2017. 420 The best interest of the child scolastiche, resa possibile – solo per tale regime provvisorio – anche nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; in tal caso, il termine per la documentazione relativa all’effettuazione delle vaccinazioni per l’anno scolastico 2017-2018 è stato fissato al 10 marzo 2018 (art. 51). La facoltà di avvalersi dell’autocertificazione è stata estesa all’anno scolastico 2018-2019 e l’ultimo termine è stato prorogato al 10 marzo 2019 da un successivo intervento normativo42. Sembra evidente che, sia in caso di omessa presentazione della documentazione entro i rispettivi termini prescritti, nella scuola dell’infanzia, dove opera il principio di condizionalità, venendo meno il “requisito di accesso”, la frequenza scolastica non possa iniziare o proseguire, ove in precedenza iniziata, ferma restando la possibilità di ripresa in seguito alla produzione attestante l’adempimento dell’obbligo43. Alcune mozioni presentate a livello di enti locali, tra i quali il Comune di Roma, tese ad evitare la sospensione dalla frequenza scolastica oltre il termine del 10 marzo 201844 sono semplici atti di indirizzo politico, privi di qualsiasi valore giuridico in presenza di una disciplina legislativa dettagliata, cui tutte le pubbliche amministrazioni devono necessariamente attenersi. Sembra corretta la prassi del Ministero della Salute consistente nel considerare assolto l’obbligo mediante un’idonea documentazione della ASL che attesti la fissazione delle vaccinazioni a data successiva alla scadenza di tale termine45, consentendo la frequenza fino all’effettuazione delle stesse, data l’incolpevole impossibilità di assolvimento dell’obbligo. La Circolare congiunta del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 5 luglio 201846, ha stabilito che “per il solo anno scolastico ed il calendario annuale 2018/2019, in ipotesi di prima iscrizione alle istituzioni scolastiche, formative ed educative, nel caso in cui i tutori non presentino entro il 10 luglio 2018 la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni ai sensi del penultimo periodo 42 D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (art. 63-quater); L. 21 settembre 2018, n. 108. 43 Circolare Ministero della Salute-Direzione Generale della prevenzione sanitaria, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca-Dipartimento per il Sistema educativo di istruzione e di formazione 1° settembre 2017, Prot. Ministero della Salute 26382/DGPRE, al sito www.trovanorme.salute.gov.it. 44 V. la Mozione ex art. 109 Regolamento del Consiglio Comunale di Roma approvata in data 30 gennaio 2018, al sito http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato619747.pdf. 45 Nota Ministro della Salute 3 febbraio 2018, Prot. 8221/BL/SPM/P, al sito www. trovanorme.salute.gov.it. 46 Al sito http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato4306713.pdf. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 421 del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 73 del 2017”, “i dirigenti scolastici […] potranno ammettere i minorenni alla frequenza sulla base delle dichiarazioni sostitutive presentate entro il termine di scadenza per l’iscrizione, fatte salve le verifiche […] sulla veridicità delle predette dichiarazioni”. Si tratta di un regolamento in evidente contrasto con la legge, che non consente affatto l’autocertificazione – con il riferimento alla documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L. 73/2017) – soggetto quindi, secondo i principi generali, a disapplicazione da parte del giudice ordinario, annullamento da parte del giudice amministrativo, che non deve essere osservato dalla pubblica amministrazione, stante la prevalenza della fonte legislativa sul piano gerarchico. In presenza di un’evidentissima illegittimità di una circolare che pretende di derogare ad un obbligo previsto da una fonte primaria (art. 31 D.L. 73/2017) – in materia soggetta, peraltro, ad una riserva di legge rinforzata (art. 13 Cost.), nella quale la fonte legislativa deve contenere tutti gli aspetti, anche di dettaglio, della regolamentazione del fenomeno: essa non può dunque essere in alcun modo derogata da un atto dell’autorità governativa, nemmeno regolamentare, che può costituire solo un’indicazione della mera prassi amministrativa. Tale soluzione è stata quindi adottata da una posteriore fonte legislativa (D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (art. 63-quater); L. 21 settembre 2018, n. 108), rilievo che nulla toglie all’evidente illegittimità dell’azione amministrativa realizzata fino a tale nuovo testo. A prescindere da questo profilo, lo strumento stesso dell’autocertificazione risulta strutturalmente inadatto a sostituirsi alla documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L. 73/2017), da fornire nel termine del 10 luglio di ogni anno. La soluzione adottata in via transitoria già dal D.L. 73/2017 (art. 51) e quindi prorogata (art. art. 63-quater D.L. 91/2018) non sembra affatto compatibile con il carattere essenziale del bene protetto: se la vaccinazione è stata già effettuata, i genitori esercenti la potestà saranno senz’altro in possesso della relativa documentazione e, quindi, possono certamente produrla anziché procedere ad un’autocertificazione. L’obiettivo della norma è infatti quello di verificare l’effettivo adempimento dell’obbligo, per evidenti finalità di controllo sottese alla tutela della salute (art. 32 Cost.), e questa finalità non è affatto assicurata, stante la possibilità che, pur in presenza di conseguenze penali, venga resa una falsa autocertificazione. Per ricorrere ad un esempio, così come di certo non sarebbe immaginabile sostituire il controllo aeroportuale 422 The best interest of the child sul possesso di armi mediante metal detector con un’autocertificazione, allo stesso modo, data la pericolosità anche per la salute altrui della diffusione di malattie soggette ad una previsione imposta da un obbligo di legge, non può affatto ritenersi sufficiente l’autocertificazione per il perseguimento di tali finalità. Del resto, il principio generale secondo cui “i certificati medici, sanitari […]” “non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore” (art. 49 D.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445) è un’importante indicazione nel senso dell’eccezionalità della soluzione adottata in via transitoria e della sua incoerenza rispetto all’essenzialità dell’obiettivo della norma. Sotto un altro profilo, a fronte della necessità di una rapida implementazione dell’anagrafe vaccinale (art. 4-bis D.L. 73/2017; L. 119/2017), che consente una verifica in tempo reale da parte delle scuole sulla banca dati a ciò preposta, la stessa consegna della documentazione “comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” (art. 31 D.L. 73/2017) potrebbe risultare inutile, trattandosi di un dato che la pubblica amministrazione può e deve accertare direttamente. I tentativi di alcune leggi regionali di intervenire sulla materia (v. ad es. L.R. Toscana 14 settembre 2018, n. 51) presentano un limite intrinseco di grande rilievo, non potendo questa fonte normativa incidere su alcun profilo oggetto della riserva di legge rinforzata di cui all’art. 13 Cost. 7. La posizione dei terzi: l’inadempimento degli obblighi e le possibili conseguenze a carico dei genitori per il contagio dei terzi in conseguenza della malattia dei figli Ulteriore profilo di interesse attiene alla posizione dei terzi che possano ricevere un pregiudizio dall’inadempimento degli obblighi vaccinali. Infatti, nove delle dieci malattie soggette a prevenzione obbligatoria mediante gli obblighi vaccinali – tutte tranne il tetano – sono suscettibili di essere trasmesse da persona a persona in ragione delle occasioni di interazione nelle scuole e nelle comunità infantili, o con il contatto con fluidi corporei o attraverso il sangue, secondo eventi che possono verificarsi in molti modi nell’ambito, ad esempio, del gioco o dell’attività sportiva. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 423 Al riguardo, l’inadempimento degli obblighi vaccinali da parte dei genitori di un minore può comportare le medesime conseguenze, anche di ordine penale, per l’obbligo giuridico di impedire l’evento (art. 402 c.p.) del contagio dei terzi, che non si verificherebbe se, a seguito dell’acquisita immunizzazione, il minore non possa sviluppare la malattia e trasmetterla ai terzi. In particolare, questo fenomeno può comportare gravi conseguenze nelle ipotesi di soggetti immunodepressi o che, per altre ragioni, non possono sottoporsi alle vaccinazioni obbligatorie; in altri minori, che pur in mancanza di tali controindicazioni, non siano stati vaccinati per un analogo inadempimento dei loro genitori; o anche negli stessi minori vaccinati, nelle ipotesi, statisticamente rilevabili seppur residuali, di mancata efficacia vaccinale. In presenza di questa articolata casistica, ai fini di una valutazione sul piano del nesso di causalità (artt. 40 s. c.p.), va rilevato che l’inadempimento all’obbligo vaccinale, pur in presenza di un concorso di cause – per gli altri minori, la controindicazione, l’analogo inadempimento posto in essere dai loro genitori o la mancata efficacia del vaccino loro somministrato – rileva comunque sul piano causale, in quanto tali tre ipotesi non risultano da sole sufficienti alla determinazione dell’evento (art. 412 c.p.). Su base statistica, infatti, la mancata vaccinazione ha aumentato in modo evidente la possibilità di sviluppo della malattia nel minore, creando quindi un’occasione di contagio che sarebbe stata evitata qualora l’obbligo fosse stato rispettato. In presenza di tali elementi, le conseguenze non sembrano differenti dall’ipotesi in cui le lesioni o la morte, in conseguenza del mancato rispetto dell’obbligo vaccinale, colpiscano il figlio dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale (artt. 590, 589, 402 c.p.) 8. La conformità della legge alle previsioni in tema di libertà personale (art. 13 Cost.) La Corte Costituzionale47, nel pronunciarsi sulla legittimità della normativa in commento, ha confermato integralmente la stessa, dichiarando inammissibili o infondate varie questioni sollevate dalla Regione Veneto, accertando la cessazione della materia del contendere per alcuni profili relativi alla precedente versione del D.L. 73/2017, modificate dalla L. 119/2017. 47 C. Cost. 18 gennaio 2018, n. 5. 424 The best interest of the child In termini generali, la sussistenza della competenza legislativa dello Stato (art. 1173 Cost.), in riferimento ai “principi fondamentali in materia di “tutela della salute”” è stata ravvisata in base al fatto che “La profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale. Secondo i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo”. La legittimità costituzionale (art. 32 Cost.) delle vaccinazioni obbligatorie, con specifico riferimento al rapporto tra genitore esercente la responsabilità genitoriale e figlio minore, è stata positivamente accertata in base al principio per cui “i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore”. Quanto alla valutazione complessiva in termini di ragionevolezza, si è affermato che, in relazione ad “una inversione di tendenza – dalla raccomandazione all’obbligo di vaccinazione”, “la scelta del legislatore statale non può essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti”; conseguentemente, è stato ritenuto che l’assetto legislativo, in base al quale “il vincolo giuridico si è fatto più stringente”, è costituzionalmente legittimo, in ragione della non rilevante differenza, sotto il profilo medico, della distinzione tra vaccinazione obbligatoria e raccomandata, e della presenza di istituti – quali la convocazione dei genitori – idonei “alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole”, solo in mancanza delle quali potranno operare le sanzioni previste. Di conseguenza, viene ritenuta legittima la scelta del legislatore, che “ha ritenuto di dover rafforzare la cogenza degli strumenti della profilassi vaccinale, configurando un intervento non irragionevole allo stato attuale delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche”. Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 425 La pronuncia risulta ampiamente condivisibile nell’affermare la legittimità costituzionale della normativa in commento, sulla base del preminente rilievo della tutela della salute della collettività (art. 32 Cost.). Non sono ravvisabili specifici rilievi circa la disciplina in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), in quanto essi non erano presenti nel ricorso della Regione Veneto. Non sembra invece corretto il richiamo alla “libera autodeterminazione individuale”, in ragione della diversità tra la persona dei genitori e quella del figlio, in relazione all’assolvimento degli obblighi vaccinali. Infatti, come precedentemente evidenziato, la scelta dei genitori di non adempiere a tale obbligo non può affatto rilevare ai fini della propria autodeterminazione soggettiva – uno dei valori tipicamente tutelati, sul piano privatistico, dalla disciplina sulla libertà personale (art. 13 Cost.)48 – in quanto la responsabilità genitoriale non viene esercitata nel proprio interesse ed in base alle proprie convinzioni soggettive, ma nell’esclusivo interesse del figlio. Non rileva, dunque, l’autodeterminazione, perché nell’esercizio della responsabilità non si determinano le proprie scelte di vita, ma si agisce sulla sfera giuridica di un altro soggetto, a sua volta portatore di un’autodeterminazione soggettiva. Da questa distinzione derivano significative conseguenze anche sul piano processuale. Nell’ambito di una possibile controversia sull’esercizio della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.), sarebbe evidente la necessità di nomina di un curatore speciale, atteso l’evidente conflitto di interessi tra il genitore ed il figlio minore49. Sul piano sostanziale, non sono ravvisabili i presupposti per l’obiezione di coscienza del genitore, ancora in ragione dell’incidenza del suo comportamento sulla sfera giuridica di un altro soggetto, portatore di autonomi interessi e soggettività. 9. Rilievi conclusivi In via conclusiva, può pervenirsi ai seguenti rilievi, in ordine all’efficacia del complesso normativo nell’originaria configurazione del D.L. 73/2017, delle modifiche apportate dalla L. 119/2017 in sede di 48 A. Cianci, Diritto privato e libertà costituzionali, I, Libertà personale, cit., p. 70 ss. 49 C. Cost. 30 gennaio 2002, n. 1, in Foro it., 2002, I, c. 3302, con note di A. Proto Pisani e G. Sergio, ivi, 2003, I, c. 423; in Giur. it., 2002, p. 1812; in Giust. civ., 2002, I, p. 551, con note di A. Cianci e G. Tota, p. 1467 ss. 426 The best interest of the child conversione, e del successivo intervento, pur relativo ad un aspetto minore, del D.L. 91/2018 (L. 108/2018). Gli obiettivi della normativa, in ragione dei principali problemi ad essa sottesi, consistevano nella creazione di un sistema idoneo ad assicurare l’osservanza della previsione in tema di vaccinazioni obbligatorie; la possibilità di valutare in modo agevole eventuali controindicazioni; il rispetto delle garanzie dovute alla libertà personale (art. 13 Cost.). Il primo profilo è stato realizzato secondo un modello – già previsto nell’originaria configurazione del D.L. 73/2017 – con il meccanismo di condizionalità correlato alla frequenza della sola scuola dell’infanzia. La legge di conversione (L. 119/2017) ha quindi fortemente limitato l’importo delle sanzioni amministrative (art. 14 D.L. 73/2017; L. 119/2017) ed esclusa la previsione espressa di un obbligo di segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni competente per territorio (art. 15 D.L. 73/2017, nel testo originario, prima delle modifiche apportate con la L. 119/2017). L’azione congiunta di questi due elementi di depotenziamento non rende ottimale gli assetti del sistema per l’effettiva osservanza degli obblighi vaccinali, in ragione della possibilità di frequenza scolastica – salvo che nel ciclo dell’infanzia – e di limitare a sanzioni amministrative le conseguenze dell’inadempimento. La tesi favorevole ad assicurare un’osservanza spontanea dell’obbligo, mediante istituti quali la convocazione presso la ASL (art. 14 D.L. 73/2017) non sembra in linea con l’essenzialità del bene protetto, non suscettibile di essere rimesso ad una soluzione dialogica tra istituzioni e famiglia: del resto, è sufficiente pensare alle conseguenze penali dell’inadempimento in caso di morte o lesione del minore (artt. 590, 589 c.p.), ed alle caratteristiche della disciplina penalistica in tema di causalità per la mancata previsione dell’evento (art. 402 c.p.) per affermare la necessità di sanzioni più rigide anche al solo fine di prevenire tali eventi e le relative conseguenze. Sembra invece che il principio di condizionalità avrebbe dovuto costituire l’elemento essenziale del sistema, in ragione della sua diretta finalità di prevenzione del contagio per larga parte delle malattie oggetto di prevenzione obbligatoria, anche nei confronti di altri minori che non possono, per controindicazioni specifiche, sottoporsi alle vaccinazioni obbligatorie. Tali funzioni rendono poco comprensibile la scelta del legislatore di limitare la condizionalità alla sola scuola Responsabilità genitoriale e vaccinazioni obbligatorie 427 dell’infanzia, dal momento che identiche finalità di profilassi sono ravvisabili anche nelle ulteriori fasi dell’istruzione. Sul secondo punto, non sembra che la normativa abbia fornito uno strumento utile per l’accertamento di eventuali controindicazioni, in una forma idonea ad assicurare una verifica celere da parte dell’autorità amministrativa. Infatti, oltre alla generica convocazione presso la ASL (art. 14 D.L. 73/2017), non è stato previsto – in via dettagliata, in coerenza con le norme costituzionali di riferimento (artt. 13, 32 Cost.) – un meccanismo teso all’accertamento in sede medica delle ipotesi di controindicazione o esclusione. Peraltro, risulterebbe opportuno assicurare, in sede di anagrafe vaccinale, la pubblicità di eventuali pregresse malattie immunizzanti, sullo stesso piano dei dati relativi alle eseguite vaccinazioni. Il terzo profilo è stato realizzato, in ragione della specificità della normativa adottata, idonea alla dettagliata previsione di “casi e modi” di intervento sul corpo della persona oggetto dell’obbligo vaccinale. La particolarità del coinvolgimento di terzi – i genitori – e del loro dovere di cooperazione nell’esercizio di un potere affidato dalla legge nell’esclusivo interesse del minore rafforza l’impossibilità che essi possano opporsi per convinzioni personali, morali o religiose all’atto medico previsto dalla legge in termini di obbligatorietà, in quanto destinato ad incidere sulla posizione di un altro soggetto. Non vi può essere scelta di autodeterminazione soggettiva o atto di esercizio di libertà morale (art. 13 Cost.) nello schema del potere da esercitare nell’interesse altrui, in adempimento di un obbligo legale che realizza l’interesse del minore mediante l’opzione legislativa dell’obbligo vaccinale. Sul punto, occorre ribadire che l’interesse del minore non può rappresentare, in una materia coperta da riserva di legge (art. 13 Cost.), un canone che consenta soluzioni interpretative difformi dal dato legislativo, come se fosse, ricorrendo alla metafora del giurista inglese, un “loose cannon destroying all else around it”50. Esso è una tecnica di decisione, che non può di certo sostituire la predeterminazione legislativa di “casi e modi” dell’obbligatorietà delle vaccinazioni, previste proprio a tutela di tale interesse dalle soluzioni individuate dal legislatore. Sull’eliminazione della norma relativa all’obbligo di segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni (art. 15, nel testo in vigore all’emanazione del D.L. 73/2017), disposta dalla 50 Lord Nicholls, in Re L (minors) (Police investigation: Privilege) [1997] AC 16, 33 B. 428 The best interest of the child legge di conversione (L. 119/2017), è stato già osservato in precedenza (par. 5) che tale espressa previsione non esclude la sussistenza dell’obbligo in base ai principi generali del diritto penale sull’obbligo giuridico di impedire l’evento pregiudizievole per la salute del minore (art. 402 c.p.), in ragione delle finalità specifiche dell’intervento dell’autorità amministrativa. Il D.L. 91/2018 (L. 108/2018) è invece intervenuto sulla proroga dei termini del regime transitorio, nel senso di rendere possibile l’autocertificazione fino al prossimo anno scolastico e differendo il termine per la consegna della documentazione comprovante l’avvenuta vaccinazione al 10 marzo 2019. Questa soluzione deve del pari ritenersi inopportuna, attesa la dubbia compatibilità dell’autocertificazione con le finalità di profilassi, già segnalata in precedenza (v. par. 6) anche in ragione del principio generale che la esclude, salvo specifiche disposizioni di legge, in materia sanitaria (art. 49 D.p.r. 445/2000). Del resto, il regime transitorio, basato sull’autocertificazione, è destinato a perdere utilità pratica con l’implementazione dell’anagrafe vaccinale, che consente un controllo rapido ed efficiente da parte dell’autorità amministrativa. Bibliografia Bucciante A., Potestà dei genitori, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 791 ss. Cianci A., Diritto privato e libertà costituzionali, I, Libertà personale, Napoli, 2016 Cossu C., Potestà dei genitori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 125 ss. Lord Nicholls, in Re L (minors) (Police investigation: Privilege) [1997] AC 16, 33 B. Panunzio S., Vaccinazioni, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 1. Pelosi A.C., La patria potestà, Milano, 1965, 301 ss. Roppo E., Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, p. 43 s. La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore Attilio Gorassini Sommario: 1. Delimitazione dello spazio di discussione: la pseudo autodeterminazione del minore. – 2. I territori di rilevanza giuridica in cui si alloca il c.d. consenso informato nella pratica medica. – 3. Minore e consenso medico: deviazione di sistema. – 4. Esperimento mentale di pro-vocazione. 1. Delimitazione dello spazio di discussione: la pseudo autodeterminazione del minore Prima di iniziare a discutere vorrei fare alcune precisazioni per essere certo di parlare della stessa cosa, non solo usare gli stessi termini, e posizionarmi così in questa discussione nel giusto spazio del problema da discutere. Il tema generale del convegno è “The Best Interest of the Child”. Il significato dell’espressione è peculiare nell’ordinamento inglese; per noi si declina con un sintagma diverso, “interesse del minore”, sintagma utilizzato nelle diverse realtà fenomeniche evidenziate peraltro nei vari workshops del Convegno e che hanno lo scopo, se ho ben intuito il disegno complessivo, di sciogliere la formula (riempendola di contenuto semantico) nella tavola rotonda finale. Questo intervento si colloca nel terzo workshop, dedicato all’interesse del minore negli atti negoziali; si tratta dell’interesse personale e patrimoniale; più precisamente io debbo parlare della dimensione dell’interesse personale, anzi di un particolare interesse personale del minore messo in evidenza nei fatti di vita collegati con malattia e possibilità di morte, di cui peraltro si è già occupato in altra prospettiva altro relatore evidenziando come molto spesso questi fatti 430 The best interest of the child e tipologie di fatti vengano percepiti in modo diverso dai minori adolescenti1. Malattia e morte che, passando per la fenomenologia del testamento biologico, approdano alla evidenziazione di quale possa essere il miglior interesse del bambino/ragazzo minore in condizione terminale. Il mio intervento, si colloca nello spazio della disciplina di cui alla legge 22 dicembre 2017 n. 219. Della struttura della disciplina, con la peculiare scansione procedurale della possibile dimensione negoziale per accordi intercorsi, si occuperà come giusto e consono il notaio in un’altra relazione. Io mi limiterò a mettere in evidenza il ruolo assegnato al soggetto minore in questa realtà per come manifestato dalla legge. Centrato l’argomento, osservo che due sono le tematiche di cui si occupa la legge osservata in questa direzione: le “disposizioni anticipate di trattamento” e il “consenso informato”. Rispetto al minore l’art. 3 della legge 219 si occupa del consenso informato; l’art. 4, invece, esclude per il minore la possibilità delle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Non mi occuperò di questo ultimo profilo (giustezza o legittimità dell’esclusione): se ne occuperà credo sempre il giurista notaio, dopo di me. Stringendo ancora il campo di osservazione, rilevo solo che a proposito del consenso informato del minore, non viene mai in gioco formalmente (come formula di legge) né l’interesse del minore, né tantomeno the Best Interest. Le formule linguistiche sono diverse: si ritrovano espressioni complesse, come quella al comma 2° ove si legge un “tenendo conto della volontà della persona minore in relazione alla sua età e al suo grado di maturità” da declinare per mezzo della formula magica di scopo della “tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. L’evocazione dell’interesse del minore la si fa, cioè, collegandosi con la declamazione del diritto del minore contenuto nel comma 1° dell’art. 3 in cui si evidenzia: a) il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione; b) il diritto a ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue 1 Ma ormai anche persone maggiorenni vivono la morte come un evento oggetto di spettacolarizzazione da posizionare in internet: basta vedere l’articolo di D. Sisto, La morte si fa social in un recente numero della rivista Mind (n. 165 del 29 agosto 2018) per capire di cosa si stia parlando. La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore 431 capacità per essere messo nelle condizioni di esprimere la sua volontà (comma 1° cpv.). Entrambi i diritti sembrano però definiti nel contenuto e nelle modalità di esatta esecuzione, non dal minore come soggetto titolare di diritto ma, per il profilo a), tendenzialmente considerando soggetto legittimato chi ha la responsabilità genitoriale o la tutela, e per il profilo b) dando mandato al medico. Ho detto tendenzialmente per il profilo a) perché in questo profilo il medico può interferire rispetto al genitore responsabile o al tutore, perché in definitiva è il medico che definisce e può definire le vere capacità del minore di comprendere e decidere, e dunque dare accesso o meno alla figura del genitore o tutore. E se c’è un contrasto tra tutore o esercente la responsabilità e medico – come nel caso espressamente previsto nel comma 5° dell’art. 3, per il rifiuto alle cure ritenute appropriate e necessarie – spetta al GT decidere sia il contenuto sia l’esecuzione, sostituendo così ogni altro soggetto. In questa sequenza di descrizione di fatti previsti nel documento normativo si possono evidenziare tutti i paradossi celati dalla semantica delle parole viste nella semiotica complessiva dell’interpretazione possibile del testo di legge. 2. I territori di rilevanza giuridica in cui si alloca il c.d. consenso informato nella pratica medica Il problema evidenziato (eccedendo un po’ in paradosso) riguarda l’intera legge, come ho cercato di renderlo palese in altro scritto2 e ciò mi esime da un esame approfondito della fenomenologia complessiva (rinviando, per chi interessato, ad esso anche per la bibliografia essenziale), e limitandomi in questa sede a riportare i risultati di sintesi rilevanti per la discussione nella particolare prospettiva assunta. Sotto il profilo della rilevanza giuridica, il consenso informato dei trattamenti sanitari, ormai da tempo si posiziona nello spazio sovrapposto di territori autonomi (di rilevanza giuridica) che hanno esteso i loro confini partendo da lontano, sovrapponendosi e pretendendo sovranità assoluta sul nuovo territorio occupato, peraltro appartenente ad altri fenomeni ancora. 2 A. Gorassini,Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento nella dimensione della vulnerabilità esistenziale, in Annali Sisdic, 2/2018, p. 23 ss. 432 The best interest of the child Esiste un livello a) generale di rilevanza della problematica: quello della prestazione sanitaria nel mondo giuridico post-moderno, collegato con il fenomeno della responsabilità medica. Esiste un livello b) di specifica rilevanza: la tutela del diritto fondamentale alla salute della persona, dove proprio questa presenza, la persona, lo trasforma in rilevanza di consenso alla prestazione e soprattutto in con-senso informato, cioè modo in cui la persona interessata ne percepisca il senso; la persona, cioè, deve essere informata con senso per poter scegliere liberamente in autonomos. Esiste poi il livello c) di rilevanza, ulteriore ma in realtà di genesi, quello della vita e della morte, quello dei cosiddetti fatti giuridici necessari, ove la rilevanza giuridica è assioma o non può esistere. Tutti e ciascuno di questi tre livelli di rilevanza giuridica hanno il proprio Grundwert di riferimento che dovrebbe condizionare la direzione dell’attuazione spontanea o coattiva degli effetti giuridici, anche in adattamento alla peculiarità dei fatti: nel primo, livello a), è la relazione assiologica fondante il binomio libertà/responsabilità; nel secondo, livello b), è il valore assoluto della Persona con i suoi necessari spazi di autonomia identitaria; nel terzo, livello c), c’è la dignità della Persona umana, il mistero del suo valore come valore vivente e da cui derivano tutti valori vissuti dall’uomo (anche oltre la vita propria dei singoli), sul piano oggettivo dell’etica sociale non egoitaria, con valore assiomatico alla Gődel, dell’impossibilità per il diritto di una sua giustificazione fuori dai fatti. Nella legge il piano del livello b) – che a noi interessa – si evidenzia in declamazione nel 1° comma dell’art. 1 ma anche e soprattutto nel contenuto dell’art. 3 sul consenso della persona minore di età o incapace (già richiamato), attraverso il suo cercare di creare le condizioni necessarie per esercitare in modo consono alle capacità possedute il diritto assoluto alla salute, quanto più possibile in autonomos anche da parte del soggetto incapace, “nel rispetto della sua dignità” (si legge alla fine del comma 2°), ma chiaramente si intende della sua egoità, altrimenti si sarebbe detto della dignità umana (non della sua dignità)3. Nella realtà complessiva di realtà giuridica considerata, occorre evidenziare però, che non in tutti e tre i piani profilati si coglie nella fisiologia dei fenomeni debolezza e vulnerabilità esistenziale della Persona, tale da richiedere specifici strumenti di tutela. 3 Ma ormai molto spesso si confonde la dignità umana con la egoità assoluta e solipsista. La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore 433 Paradossalmente, sia pure con diverso contenuto, l’esigenza di specifica tutela si trova nel primo e nel terzo livello di rilevanza giuridica; non si trova quasi per niente nel secondo, ove è il soggetto a decidere come essere persona nell’esercizio del suo diritto assoluto alla salute, con pochi limiti – tutti tipizzati in legge (come ribadisce la seconda parte dell’art. 1 comma 1° della L. 219/2017: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”) – e dove la principale tutela dell’ordinamento è quella di garantire “cure gratuite agli indigenti” (come dice l’articolo 32 della Costituzione). In questa dimensione la tutela ordinamentale coerente dovrebbe essere la garanzia della libertà, con una particolarmente attenta giustificazione dei limiti, null’altro. Ma esistono fattispecie tipologiche particolari, tra cui quelle che coinvolgono minori. Per il minore, ed è questa la peculiarità, la debolezza e l’esigenza di tutela si manifestano pure su questo piano. 3. Minore e consenso medico: deviazione di sistema Quanto osservato sembra evidenziare il fulcro del vero problema giuridico rispetto alla salute come diritto della persona, nella dialettica mai sopita tra titolarità ed esercizio del diritto assoluto: non vi è vera titolarità senza reale esercizio; persa in fatto la capacità di autodeterminazione, il diritto assoluto personale implode per carenza di potenza di autonomos definente il concetto stesso di salute non meramente biologica del soggetto/persona, secondo le definizioni correnti dell’OMS. L’unico modo per uscire dall’impasse è stato allora prevedere giuridicamente una pianificazione ex ante, allora per ora, in cui si consuma la autodeterminazione come diritto assoluto del titolare attraverso un suo esercizio per mezzo di un atto destinato ad operare condizionato (sottoposto ad una condizione sospensiva di efficacia) nel caso di futura incapacità di esercizio e che tocca il suo minimo (di possibile soluzione sistemica) nella possibilità di scelta (come diritto) di un fiduciario, come (comunque) manifestazione di esercizio alternativo collegato con la titolarità del diritto, che non fa implodere il diritto assoluto (come non lo fa implodere il mancato cosciente esercizio dello stesso come scelta). Attraverso le DAT la assunta dignità si coniuga con la egoità della vergogna dell’essere malato e la debolezza dell’essere di-sperato (senza 434 The best interest of the child speranza) si consuma nella paura della sofferenza. Ma al minore, per assioma, questa scelta è negata perché potrebbe diventare speculare alla vergogna di nascere e vivere malato, divenendo fonte dell’apoptosi dell’umano imperfetto e del sorgere di un nuovo valore da considerare come “bene comune” (nascere sani e perfetti) da garantire, con la soppressione e la selezione degli embrioni considerati imperfetti, per cui in principio il confine con l’eutanasia sparisce!! E questa situazione rende superato o poco proponibile la ricerca di un bilanciamento tra dignità ed egoità, in cui anzi si manifesta tutto il limite intrinseco della tecnica assiologica 4, ove non c’è scelta reale della persona ma solo scommessa sulla migliore soluzione nella morte rispetto alla vita (ma le scommesse, tendenzialmente, non sono né possono essere garantite dal diritto negli ordinamenti giuridici postmoderni come diritti assoluti, rischiandosi altrimenti l’intero sistema ordinamentale che sarebbe esso stesso scommessa). Ma proprio il tentativo di bilanciamento del non bilanciabile apre la strada al manifestarsi di una costante assiologica nascosta propria del mondo giuridico post-moderno, destinata ad emergere ai confini dell’assiologia etica con fattezze nuove, quelle del denaro e della valutazione economica dei fatti: il costo delle cure (da garantire agli indigenti secondo la Costituzione, si ricordi) e la confinazione necessaria di ciò che la egoità non può chiedere e che non le può essere ufficialmente concesso, anche se il soggetto avesse la disponibilità economica (ribadita con pudore di parole nel comma 6° secondo inciso dell’art. 1 della L. 219). Non si può permettere che una vita “troppo costosa” per necessità di cure sia considerata degna di essere vissuta senza alcuna possibilità di bilanciamento…. Emblematici i casi di Charlie Gard e di Isaiah, i due bimbi disabili inglesi per i quali la spina è stata staccata per ordine del giudice. E così, sia pure in entanglement di paradigma di struttura normativa, siamo pervenuti alla evidenziazione del cortocircuito assiologico della fattispecie descritta e al paradosso inevitabile contenuto nel range del possibile adattamento dell’effetto al fatto5. 4 Evidenziato bene in sintesi da M.V. Ballestrero - R. Guastini, Dialogando su principi e regole, in Materiali per una cultura giuridica, 2017, p. 127 ss. 5 Secondo la metodica della teoria generale di Pugliatti e di Falzea, tipica della scuola giuridica messinese: sull’adattamento come principio di convenienza dell’effetto al fatto v. soprattutto A. Falzea, Efficacia giuridica, in A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Milano, 1997. La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore 435 Qui il discorso diventa complicato, specialistico e condizionato dai miei studi e dalle mie convinzioni sulla natura del fenomeno giuridico, per cui mi astengo dal continuare, proponendovi solo un esperimento mentale che prescinde dall’analisi della tecnica utilizzata per la ricerca scientifica nel diritto ma che potrebbe essere esplicativo e esemplificativo del problema reale nascosto. 4. Esperimento mentale di pro-vocazione Nel prefigurare questo esperimento, considerando la massima ampiezza dei fenomeni in cui è coinvolto il concetto di salute della persona che può assumersi come minore incapace, abbiamo diverse posizioni rilevanti da tenere presenti come protagoniste della scena giuridica dei fatti: A) il non nato, per il quale decide la madre e dopo un certo tempo, forse, anche il medico B) il nato, ma privo ancora di capacità di comprensione, per il quale decidono i genitori ma tendenzialmente anche il medico (come evidenziato in fatto proprio con il caso Alfie) C) il minore piccolo ma con una qualche capacità di comprensione D) il minore grande ormai vicino alla capacità per legge d’età In C e D giocano delle variabili sulle scelte legate alla persona perché si può applicare l’art. 316 c.c. e sceglie comunque uno dei genitori se c’è la famiglia; ovvero l’art. 337 ter e sceglie il giudice ordinario; ma se si arriva al consenso medico e c’è contrasto tra genitori e il medico, sceglie sempre il giudice tutelare per cui qui il giudice tutelare diventa quasi un nume tutelare. Il limite di variabile è rappresentato dal grande minore maturo, di cui bisogna tener conto della volontà in ragione della sua capacità, e rispetto al quale nume tutelare diventa in fatto uno dei medici, uno di quelli che definisce ed è legittimato a definire la esistenza e portata della maturità e capacità del soggetto minore; ma la variabile perde di rilevanza se il grande minore non è comunque in grado di esprimersi perché la malattia glielo impedisce e anche se in precedenza ha manifestato la sua volontà, perché per legge le DAT non valgono. E vale quanto previsto per il minore non grande. Se guardiamo il fenomeno nella sua interezza e recuperiamo in sintesi i piani A e B, la costante di presenza soggettiva (nella fenome- 436 The best interest of the child nologia giuridica) che possiamo rintracciare è quella del medico, che assume una posizione centrale per ruolo sociale, badate forse anche rispetto al non nato: se infatti il medico ritiene che per le sue condizioni il feto non debba proseguire la sua crescita, la gravidanza deve essere interrotta perché è il miglior interesse del nascituro (Charlie Gard docet); ovvero anche il contrario, che l’interruzione della gravidanza pur richiesta dalla madre sia contraria alla salute della donna (e/o del nascituro?) e dunque non può essere effettuata per buone pratiche clinico-assistenziali come sembra ora permettere il comma 6° dell’art. 1 della legge. È sempre la sua opinione di medico che alla fine prevale. Ma pur lasciando fuori il piano A (che coinvolge tutta la problematica del valore del non nato e orienta verso altri orizzonti assiologici la discussione giuridica), nella rimanente fenomenologia pur continuandosi a parlare di consenso informato e di dichiarazioni anticipate del paziente, in realtà tutto sembra gravitare comunque intorno alle decisioni del medico o dei medici coinvolti, soprattutto quando da loro stessi dipende la determinazione finale sulla capacità di discernimento del paziente minore. E ciò è per necessità dei fatti di vita: la patologia rappresenta il fatto primordiale di tutti i fatti giuridicamente rilevanti “per conseguenza”; e la patologia è definita dalla medicina e dal medico e rappresenta onticamente il centro gravitazionale di tutta la fenomenologia rilevante. Il resto delle presenze soggettive in orbite di rilevanza di fatti di vita sono come elettroni che gravitano intorno a questo nucleo e le loro orbite (o livelli energetici di rilevanza determinante) non possono sempre essere in un continuo spostamento fuzzy rispetto ai fatti contingenti delle fattispecie concrete, ma devono essere orbite predefinite o spariscono in lampi di luce lontani dal nucleo del fenomeno … Si badi non può essere un generico bilanciamento o una generica proporzionalità perché senza il nucleo non può esserci attuazione spontanea dell’effetto e sparirebbe dunque anche l’orizzonte della normatività morale dei soggetti. Ma anche e soprattutto nel continuo fuzzy, i fatti diventano rilevanti solo se rilevati e fatti rilevare da uno dei protagonisti sulla scena, ma questo di certo per assioma di legge non è il minore che non può rivolgersi direttamente al giudice o chiamare il telefono azzurro… Sembra che, come nella realtà quantistica, la rilevanza giuridica dei fatti esista solo se c’è un osservatore esterno che la rileva: e qualcuno La nuova legge italiana sul testamento biologico e il ruolo del minore 437 dei miei colleghi, sia pure in chiave diversa, lo ha già rilevato disquisendo sulla possibile incostituzionalità sollevata dal Tribunale di Pavia con ord. 24.3.2018 rispetto a questa legge6. Ma perché ci sia una garanzia reale anche sul piano dell’eguaglianza tra soggetti minori, l’osservatore esterno dovrebbe essere un soggetto pubblico particolarmente competente, un garante dell’infanzia malata con poteri superiori a quelli di un semplice pm o GT… ma… sarebbe l’apoptosi del tutto: serve un medico educatore di Stato che abbia il potere della decisione finale tra volontà del minore e necessità di sanità pubblica dell’intervento programmato. E badate nei fatti spesso è proprio così, come è stato evidente nelle vicende relative alle vaccinazioni dei minori7 e in generale in tutte le vicende che hanno fatto parlare giustamente di trasformismo della Corte Cedu8, in quelle fattispecie in cui l’autodeterminazione sparisce e l’identità diventa dignità sociale per ragioni di Stato (il velo islamico a scuola rispetto all’integrazione sociale come interesse prioritario docet…). Ed ecco il plausibile risultato dell’esperimento mentale condotto: The Best interest of the child o è egoitario o è sociale. Tertium non datur (né per delega né per assioma di legge). Ciò che si assume stia in mezzo credo sia solo altamente arbitrario senza una prefigurazione di quanti normativi che identifichino esattamente orbite predefinite di possibili gravitazioni di interessi assiologicamente giustificabili che impediscano l’implosione in un enorme buco nero di post-valori incontrollabili. Bibliografia Ballestrero M.V. - Guastini R., Dialogando su principi e regole, in Materiali per una cultura giuridica, 2017, p. 127 ss. Falzea A., Efficacia giuridica, in A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Milano, 1997 Gorassini A., Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento nella dimensione della vulnerabilità esistenziale, in Annali SISdIC, 2/2018, p. 23 ss. 6 M.A. Piccinni, Decidere per il paziente: rappresentanza e cura della persona dopo la L. n. 219/2017, in NGCC, 2018, n. 7/8. 7 Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5 8 L. Lenti, L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: espansione o trasformismo, in NGCC, 2016, II, p. 148 ss. 438 The best interest of the child Lenti L., L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: espansione o trasformismo, in NGCC, 2016, II, p. 148 ss. Piccinni M.A., Decidere per il paziente: rappresentanza e cura della persona dopo la L. n. 219/2017, in NGCC, 2018, n. 7/8, p. 1118 ss. Sisto D., La morte si fa social, in Mind, n. 165, 29 agosto 2018 Persona minore di età e libertà di autodeterminazione Claudia Irti Sommario: 1. Profili “normativi” dell’autodeterminazione della persona minore di età nei più recenti interventi legislativi. – 1.1. L’“autodeterminazione informativa” della persona minore di età. – 1.2. L’ “autodeterminazione terapeutica” in relazione alla persona minore di età. – 2. La persona minore di età nel processo evolutivo: dal discernimento all’autodeterminazione 1. Profili “normativi” dell’autodeterminazione della persona minore di età nei più recenti interventi legislativi Due recenti interventi normativi – destinati a disciplinare settori molto diversi, che involgono e coinvolgono scelte auto-determinative rilevanti e solitamente ricondotte nell’area delle “situazioni esistenziali”1 – hanno preso in considerazione la persona minore di età stabilendo, tuttavia, regole non omogenee rispetto alla riconosciuta capacità di autodeterminarsi. Ci riferiamo, da un lato, al nuovo Regolamento europeo sulla privacy (Reg. UE 2016/679) entrato in vigore il 25 maggio del 2018 e, dall’altro, alla l. n. 219 del 2017, c.d. legge sul “fine vita”. 1.1. L’”autodeterminazione informativa” della persona minore di età L’art. 8 del Regolamento europeo sulla Privacy (Reg. 2016/679) prevede che i minori di età che abbiano compiuto anni sedici possano validamente prestare il loro consenso al trattamento dei dati personali avendo riguardo all’ipotesi dell’“offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori”, 440 The best interest of the child mentre per il minore infra sedicenne il consenso sarà valido solo se prestato o autorizzato dai genitori o comunque dal titolare della responsabilità genitoriale. Si tratta di un limite di età che lo stesso regolamento stabilisce possa scendere fino alla soglia di anni tredici, qualora gli Stati membri decidano di derogarvi con una specifica disposizione di legge, come è in effetti avvenuto in Italia con il decreto n. 101, del 10 agosto 2018 di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali2, che ha fissato il limite di età a quattordici anni3. Per il caso in cui il limite non operi, perché il minore è infra sedicenne (o da noi infra quattordicenne), la norma dispone che il consenso possa essere prestato solo dall’avente responsabilità genitoriale. Per meglio comprendere quali siano i risvolti sistematici di tali previsioni normative è opportuno soffermarsi ad analizzare la situazione giuridica soggettiva sottesa alla tutela della disciplina in materia di diritto alla privacy, ormai da tempo evoluto dalla versione originale del “right to be let alone”4 – riconoscimento e inviolabilità della sfera personale5 – all’autonoma veste di “diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni” e determinare, per questa via, le “modalità di costruzione della propria sfera privata”6. Come asserito dall’art. 8 della 2 Entrato in vigore il 19 settembre 2018. 3 L’art. 2, comma II, dell’aggiornato Codice della Privacy rubricato “Consenso del minore in relazione ai servizi della società dell’informazione” è così formulato “1. In attuazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento, il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione. Con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni, fondato sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento, è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale. 2. In relazione all’offerta diretta ai minori dei servizi di cui al comma 1, il titolare del trattamento redige con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo, le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi”. 4 S. Warren - L. Brandeis, The right to privacy, 1890, 4 Harvard Law Review, p. 193. 5 Al suo primo apparire il diritto alla privacy è declinato al “negativo”, quale libertà (negativa) di non subire interferenze nella propria vita privata; nel panorama giuridico italiano i primi autori che si sono occupati dell’argomento lo hanno qualificato quale “diritto alla illesa intimità privata”, “diritto ad essere lasciati soli”, “diritto al rispetto della vita privata”, “diritto alla riservatezza” etc. (cfr. per una ricostruzione sistematica T. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978); in giurisprudenza riconosce per la prima volta un tale diritto la Cassazione nella sentenza del 27 maggio 1975, n. 2129, in Mass. Giur. it., 1975, 594. 6 S. Rodotà, Privacy e costruzione della sfera privata, in Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 101 ss. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 441 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea7, e confermato da tutta la disciplina di settore8, il diritto alla protezione dei dati personali può certamente ascriversi al novero dei diritti della personalità, meritevole di ricevere tutela ex art. 2 della Carta Costituzionale9. L’atto mediante il quale il soggetto autorizza il trattamento dei propri dati personali, il consenso informato10, è di conseguenza un atto mediante il quale il soggetto manifesta il potere di autodeterminarsi rispetto alla divulgazione e all’utilizzo da parte di terzi d’informazioni che riguardano la sua sfera più personale e che non a caso il garante alla privacy ha qualificato quale “diritto all’autodeterminazione informativa”11. Se questo è il corretto inquadramento sistematico della situazione giuridica oggetto di tutela, ben si comprende come le recenti previsioni normative introdotte a livello comunitario12, e recepite a livello statale, 7 Art. 8 CEDU, “Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano”. 8 Il primo considerando del nuovo Regolamento UE 2016/679 (GDPR) afferma “La protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale”; l’art. 1 comma 2 dello stesso riconosce tra le finalità del regolamento quella di proteggere “i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali”. Tra i primi commenti analitici al regolamento G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017. Attenzione specifica alla tutela dei dati personali del minore la rivolgono G. Spoto, Disciplina del consenso e tutela del minore, in S. Sica - V. D’Antonio - G.M. Riccio, La nuova disciplina della privacy, Milano-Padova, 2016, p. 112 ss.; V. Montaluri, La protezione dei dati personali e il minore, in V. Cuffaro - R. d’Orazio - V. Ricciuto (cur.), I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2019, p. 275 ss. 9 Il precetto costituzionale “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”; ampio è stato il dibattito in dottrina circa l’opportunità di distinguere i diritti inviolabili dell’uomo – che trovano espresso riconoscimento nella Carta costituzionale – dal (più ampio) catalogo dei diritti fondamentali quali i diritti della personalità, categoria nella quale si tende a far rientrare diritti e libertà molto eterogenei. Ritiene necessario mantenere distinte le due categorie P. Rescigno, voce Personalità (diritti della), in Enc. gir. Treccani, vol. XXVI, p. 1 ss., a p. 3. 10 G. Marini, Il Consenso dell’avente diritto, in Noviss. dig. ital, Appendice, II, Torino, 1981, p. 402 ss. 11 Pronuncia del 28 maggio 1997, in Foro it., 1997, III, c. 317. 12 La direttiva 95/46/CE, meglio nota come Direttiva madre in materia di dati personali, non conteneva alcun riferimento alla persona minore di età (né ad altri soggetti privi della capacità di agire). La previsione di specifiche regole dirette a disciplinare le modalità di espressione del consenso informato da parte di tali soggetti era rinviata alla regolamentazione statuale, situazione che aveva comportato l’assunzione di una eterogeneità di soluzioni nei diversi Stati nazionali, destinate nel loro insieme a non garantire adeguata tutela proprio a quei soggetti più bisogni, in ragione della continua espansione di una società digitalizzata sempre meno geo-localizzata. Un primo tentativo di armonizzazione è stato tentato dal Working Party ex art. 29, composto da un rappresentante per ciascuna Autorità nazionale di protezione dei 442 The best interest of the child tornino a sollevare l’attenzione degli studiosi13 circa la natura giuridica da attribuirsi al “consenso informato”, anche e soprattutto al fine di stabilire la ratio seguita dal legislatore nel fissare i requisiti di capacità minimi per l’espletamento del relativo atto, e il potere di rappresentanza comunque attribuito ai titolari della responsabilità genitoriale in assenza della età minima prevista per prestare il consenso. In passato il silenzio della normativa sul punto aveva condotto la dottrina a dibattere14 circa l’inquadramento dell’atto di manifestazione del consenso al trattamento dei dati personali tra gli atti c.d. “personalissimi”15 – attinenti l’esercizio di diritti fondamentali della persona che come tali devono essere prestati direttamente dalla persona minore di età (non delegabili), in relazione alla propria capacità di intendere e di volere – ovvero tra gli atti di natura negoziale con finalità dispositiva16, che dunque richiederebbero l’applicazione dell’art. 2, comma I del c.c., a norma del quale “con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilità un’età diversa” e, rispetto ai quali, è ammesso l’esercizio per rappresentanza. Il più recente intervento normativo – nello stabilire che il consenso al trattamento dei dati personali che riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione alle persone minori di età possa essere prestato da colui che abbia compiuto sedici anni di età (quattordici in Italia), e che, ove il minore abbia un’età inferiore, il trattamento dei dati è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale – farebbe ritenere dati, che in più interventi successivi ha cercato di individuare delle linee guida comuni in materia. In argomento, anche per specifici rinvii bibliografici, M. Orofino, Minori e diritto alla protezione dei dati personali, in M. Orofino - F.G. Pizzetti (cur.), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018, p. 1 ss. 13 Sorte all’indomani dell’approvazione del Codice della Privacy. 14 Il dibattito sull’astratta riconducibilità del consenso alla categoria dell’atto o del negozio giuridico è stato molto ampio; per un’esaustiva ricostruzione, con ampi riferimenti bibliografici, si veda F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2018, p. 27 ss. 15 Tra i primi S. Patti, Commento all’art. 23, in C.M. Bianca - F.D. Busnelli (cur.), La protezione dei dati personali. Commento al D. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice della Privacy”), Padova, 2007, p. 543 ss., il quale definisce il consenso al trattamento dei dati personali come un elemento della fattispecie legale cui la legge attribuisce “l’effetto di far venire meno il carattere dell’antigiuridicità che altrimenti presenterebbe l’attività relativa ai dati personali”. 16 Anche in questo caso tra i primi V. Zeno-Zencovich, Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, in V. Cuffaro - V. Ricciuto - V. ZenoZencovich (cur.), Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, p. 168 ss. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 443 che il legislatore abbia introdotto una “eccezione” alla regola generale statuita dall’art. 2, comma I c.c., fissando per il compimento di alcuni atti un’età diversa dai diciotto anni, una sorta di “maggiore età digitale” per il consenso al trattamento dei dati17. Tale previsione ha, tuttavia, una portata limitata, rimanendo circoscritta dal punto di vista oggettivo alle sole ipotesi di offerta diretta di servizi della società dell’informazione, ossia quei soli servizi che specificamente consentono l’accesso alle informazioni (banche dati, newsletter, ecc.) o comunicazioni (servizi di posta elettronica, FB e gli altri social network)18, rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto di venire incontro alle esigenze dei gestori, tenuto conto dell’utilizzo assai diffuso di tali servizi da parte di persone minori di età che sono soliti rilasciare il consenso senza che ci sia alcun intervento autorizzativo di chi esercita la responsabilità genitoriale. Come è stato correttamente rilevato19, la ratio sembra quella di allargare il più possibile le ipotesi di liceità del trattamento dei dati, piuttosto che quella di tutela dei minori20. Da altro punto di vista, tuttavia, non si può dimenticare che l’accesso alle piattaforme d’informazione e 17 Lo stesso regolamento si preoccupa di precisare che la norma riguarda soltanto la legittimità del consenso al trattamento di dati personali, ma non incide sulla validità del contratto sottostante, il cui regime giuridico rimane disciplinato dalla legislazione nazionale o da quella del foro competente a decidere eventuali controversie relative al servizio. 18 Per servizi della società dell’informazione si intendono – secondo l’art. 1, par. 1, lett. b) della dir. UE 2015/1535, richiamato dall’art. 4, n. 25) del GDPR – i servizi prestati “normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”. La precisazione che essi devono essere offerti direttamente ai minori vale, inoltre, a escludere dall’ambito di applicazione della disposizione tutti i servizi che il fornitore dichiari di offrire solo a utenti maggiori di diciotto anni, a meno che il contenuto del sito o il “market plain” non dimostrino che in realtà il target del servizio sia un minorenne. 19 F. Bravo, Il consenso e le altre condizioni di liceità, in G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017, p. 167 ss. 20 Da non trascurare il problema dell’accertamento, da parte del titolare del trattamento, dell’esistenza dei requisiti di validità dello stesso, sia per quanto riguarda il caso in cui sia il minore sedicenne (o quattordicenne) ad aver rilasciato il consenso, sia nel caso che sia stato rilasciato dall’esercente la responsabilità genitoriale. Rispetto al primo caso la normativa non offre indicazioni, mentre rispetto al secondo il par. 2 dell’art. 8 pone espressamente in capo al titolare del trattamento l’obbligo di adoperarsi “in ogni modo ragionevole per verificare in tali casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle tecnologie disponibili” senza tuttavia che sia data alcuna indicazione circa le modalità pratiche per acquisire il consenso dei genitori o per accertare l’identità di questi ultimi. 444 The best interest of the child comunicazione rappresenta oggi un diritto per i minori21, che utilizzano questi strumenti come forme di socializzazione, di rappresentazione e finanche di realizzazione della loro identità personale; ne consegue che il condurre i gestori dei servizi on line a escludere le persone minori di età dall’utilizzo di tali strumenti in ragione di una previsione normativa “restrittiva” avrebbe finito per infliggere “un evidente vulnus ai diritti fondamentali di questi ultimi”22. La prestazione del consenso al trattamento dei dati personali non deve, peraltro, essere confusa con la prestazione del consenso ai fini della conclusione del contratto per la prestazione del servizio. Tale affermazione è pienamente in linea con la previsione di cui al par. 3 dell’art. 8 del Regolamento UE, a norma del quale le disposizioni contenute al paragrafo 1 non pregiudicano “le disposizioni generali del diritto dei contratti degli Stati membri, quali le norme sulla validità, la formazione o l’efficacia di un contratto rispetto a un minore”23. Pertanto, laddove il consenso al trattamento dei dati personali sia inserito all’interno di un contratto – come ad esempio nel caso in cui, per accedere a un servizio fornito online, sia richiesto il consenso al trattamento dei 21 Il diritto delle persone minori di età di usufruire dei servizi messi a loro disposizione dagli strumenti telematici è confermata dal considerando 38 del Regolamento che specifica come “il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non deve essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente ai minori”, ossia quei servizi di tutela dei minori quali quelli previsti in materia di cyberbullismo o in genere di sostegno all’infanzia. Sul tema, in generale, G. Boccia Alieri, Privacy dei minori sui social, con il GDPR: così tuteliamo i loro interessi, in www.agendadigitale. it, 26 aprile 2018, a parere del quale abbassare l’età di accesso a questi servizi a 13 anni, come l’art. 8 del GDPR consente di fare agli Stati, è il modo migliore per tutelare il best interest dei minori, così come la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza richiede: “quello che oggi, infatti, viene richiesto è un atteggiamento più radicale che ha a che fare con una serie di diritti degli adolescenti da rispettare a sostenere all’insegna del best interest of the child. Tra i più rilevanti, accanto al diritto a informarsi ed intrattenersi, diritti che più direttamente – in linea con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – hanno a che fare con la cittadinanza di domani: il diritto a trovare una propria voce nella dimensione digitale, il diritto a costruire connessioni con gli altri, il diritto a contribuire all’opinione pubblica attraverso la libertà di espressione, di potere fornire pareri, di commentare”. 22 F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 35. 23 Per E. Lucchini Guastalla, “la precisazione è certamente opportuna alfine di tenere separati i due piani – che certo si intersecano, ma senza interferenze di carattere sostanziale – del rapporto tra le parti contrattuali, che si instaura con l’accordo negoziale e si muove lungo le linee del relativo regolamento, e del rapporto tra interessato e titolare del trattamento, che si instaura con il consenso del primo e si muove lungo le linee di una disciplina di fonte prevalentemente legale e di carattere essenzialmente imperativo”, che si esprime in questi termini in Il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali: i principi ispiratori, in Contr. Impr., 2018, p. 106 ss., a p. 117. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 445 dati personali per finalità promozionali –, la disciplina sui requisiti del consenso deve “interagire” con quella, stabilita dalla legge nazionale applicabile, che concerne i presupposti di validità ed efficacia del contratto. Se, dunque, il minore ha compiuto l’età per prestare il consenso digitale ma non quella per concludere il relativo contratto, l’invalidità di quest’ultimo comporta, nonostante liceità del trattamento, che esso debba cessare qualora venga vittoriosamente esperita l’azione di annullamento del contratto stesso”24. La questione – apparentemente ovvia – è resa assai complessa dalla circostanza fattuale che vuole una serie di servizi offerti sul web – servizi di posta elettronica, utilizzo di social network, etc. – basati sullo “scambio” tra la fruibilità di tali servizi e i dati personali forniti dagli utenti: sebbene il servizio venga apparentemente offerto come “gratuito”25 (nel senso che non è prevista la prestazione di un corrispettivo in denaro per il relativo utilizzo) l’utente aderendo al servizio acconsente a che i suoi dati personali (sia quelli inseriti al momento dell’accesso sia quelli raccolti in ragione dell’utilizzo che l’utente fa del servizio) siano utilizzati dal gestore per scopi estranei alla fornitura del servizio stesso, scopi tipicamente commerciali, generalmente ceduti a soggetti terzi a fini pubblicitari. Il consenso al trattamento dei dati personali diviene, di fatto, “merce di scambio”26 per la fornitura del servizio27, senza che sia davvero possibile nella prassi distinguere tra l’atto di adesione all’offerta del servizio 24 F. Naddeo, op. loc. cit., p. 36. 25 S. Rodotà, Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzionali, in A. Galasso - S. Mazzarese (cur.), Il principio di gratuita, Milano 2008, p. 104 ss.; la dottrina ha ripetutamente sottolineato che il prestatore del servizio ha in realtà un interesse economico a offrire il servizio “gratuitamente”, se ne è parlato come di “contratti gratuiti interessati”, cfr. F. Astone, Il rapporto tra gestore e utente: questioni generali, in Aida, 2011, p. 114 ss.; R. Caterina, Cyberspazio, social network e teoria generale del contratto, ivi, 2011, p. 96 ss. 26 S. Simitis, Il consenso giuridico e politico della tutela della privacy, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 575 ss.; C. Camardi, Mercato delle informazioni e privacy, riflessioni generali sulla L. n. 665/1996, in Eur. dir. priv., 1998, p. 1061. Attribuisce natura contrattuale allo scambio tra il gestore del sito del social network e l’utente C. Perlingeri, in Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 88, nella stessa direzione A. De Franceschi, La circolazione dei dati personali tra privacy e contratto, Napoli, 2017, p. 85 ss.; tale ultimo autore afferma: “i dati personali rivestono un valore economico sempre maggiore e il consumatore/utilizzatore è in misura crescente abituato a ‘pagare’ mediante in consenso al trattamento die propri dati personali piuttosto che per mezzo di denaro”; si veda anche V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 689 ss. 27 Sebbene il Garante escluda espressamente che il consenso al trattamento possa essere posto quale condizione per poter accedere a un bene o un servizio. 446 The best interest of the child (ad es. iscrizione al social network)28 e la prestazione del consenso al trattamento del dato. Il dibattito che si è animato attorno alla legittimità di tali nuove, diffuse, forme di scambio sembra aver (positivamente) superato la questione del se gli attributi immateriali della persona possano formare o meno oggetto di commercializzazione29, ma solo di recente si è arrivati a teorizzare che il consenso dell’interessato al trattamento possa essere a tutti gli effetti considerato come “consenso negoziale, manifestazione di volontà in ordine alla circolazione dei dati”, con il che la prestazione del consenso al trattamento dei dati personali finirebbe con il coincidere con la prestazione del consenso ai fini della conclusione del contratto per la prestazione del servizio, dovendo diversamente non potersi comprendere “perché un minore debba prestare il proprio consenso al trattamento dei dati personali, se non per ottenere in cambio un servizio o un’utilità”. La disposizione di cui al par. 3 dell’art. 8 del Regolamento UE, è conseguentemente “considerata alla stregua di una disciplina delle specificità del negozio avente ad oggetto i dati personali stipulato dal minore, ponendo per esso una capacità di agire speciale comune a tutti gli Stati membri ma diversa da quella operante, a livello di regola generale, nei vari ordinamenti” 30. Una ricostruzione del fenomeno in chiave squisitamente negoziale lascia aperti numerosi problemi, soprattutto di “coordinamento” con quell’insieme di disposizioni della disciplina di settore31 che continuano – a nostro modo di vedere correttamente – a considerare il dato personale quale attributo della identità personale del soggetto che ne è titolare32, 28 In argomento, diffusamente, C. Perlingieri, Profili civilistici dei social networks, cit. passim; S. Thobani, Il consenso al trattamento dei dati come condizione per la fornitura dei servizi on line, in C. Perlingieri - L. Ruggeri (cur.), Atti del convegno Internet e diritto civile, (Camerino, 26-27 settembre 2014), Napoli, 2015; Id. Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018, passim. 29 Per tutti G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, passim. 30 V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali, cit., p. 722 -724. 31 Alcuni dei quali sono accuratamente affrontati da S. Thobani Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, cit., passim. 32 In quest’ottica va letto l’intervento con il quale il Garante europeo per la protezione dei dati personali (Opinion 4/2017 on the Proposal for a Directive on certain aspects concerning contracts for supply of digital content, 14 marzo 2017) ha contestato la qualifica dei dati personali come “controprestazione”, qualifica contenuta al § 1 dell’art. 3 della prima Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale, 9.12.2015, COM(2015) Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 447 come tale bisognoso di essere tutelato con strumenti più pervasivi di quelli di matrice contrattuale33. Il problema ci appare non tanto quello di “sdoganare” l’idea che i dati personali abbiano un valore economico in quanto merce di scambio34 – elemento che potremmo dire acquisito in ragione dell’ampia diffusione di business model che offrono servizi in cambio del consenso 634, che prevede la sua applicabilità ai “contratti in cui il fornitore fornisce contenuto digitale al consumatore, o si impegna a farlo, e in cambio del quale il consumatore corrisponde un prezzo oppure fornisce attivamente una controprestazione non pecuniaria sotto forma di dati personali o di qualsiasi altro dato”; anche a seguito delle osservazioni del Garante il 22 gennaio 2019 il testo originario è stato modificato e il testo definitivo della nuovissima Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, al paragrafo 1 dell’art. 3, rubricato “Ambito di applicazione”, stabilisce: “La presente direttiva si applica a qualsiasi contratto in cui l’operatore economico fornisce, o si impegna a fornire contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si impegna a corrispondere un prezzo. 2. La presente direttiva si applica altresì quando il professionista fornisce o si impegna a fornire contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista per fornire il contenuto digitale o il servizio digitale a norma della presente direttiva o per adempiere l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto l’operatore economico e quest’ultimo non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti”. Al successivo paragrafo 8 si legge altresì: “Il diritto dell’Unione in materia di dati personali si applica a qualsiasi dato personale trattato in relazione ai contratti di cui al paragrafo 1. In particolare, la presente direttiva fa salvo il regolamento (UE) 2016/679 e la direttiva 2002/58/CE. In caso di conflitto tra le disposizioni della presente direttiva e del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, prevale quest’ultimo”. Di tenore analogo i considerando 37, 38, 39, 69. 33 Sui limiti della regolamentazione contrattuale del flusso dei dati personali O. Ben-Shahar - L. Strahilevitz, Contracting Over Privacy: Introduction, in Journal of Legal Studies, Vol. 43, No. S2, 2016; si vedano anche le riflessioni di F. Piraino, Il regolamento generale sulla protezione dei dati personali e i diritti dell’interessato, in Nuov. leg. civ. comm., 2, 2017, p. 369 ss., spec. p. 409. 34 Si rinvia alle acute e precorritrici osservazioni di C. Camardi, Mercato delle informazioni e privacy, riflessioni generali sulla L. n. 665/1996, cit., p. 1057. Sebbene nella citata Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, il legislatore europeo – avendo accolto le sollecitazioni del Garante europeo per la protezione dei dati personali (la citata Opinion 4/2017 on the Proposal for a Directive on certain aspects concerning contracts for supply of digital content, 14 marzo 2017) – senta la necessità di precisare al considerando 24 che “…la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale e che tali dati non possono dunque essere considerati merce…”, non si può ragionevolmente negare il “valore economico” oggi riconosciuto ai dati personali e sotteso all’ampia diffusione di modelli commerciali che si fondano sullo scambio tra dati personali e servizi digitali, riconoscimento che tuttavia non può e non deve sminuire il “valore non economico” dei dati personali; si vedano in proposito le lucide riflessioni di G. Resta circa le situazioni soggettive astrattamente ricomprese nella categoria dei diritti della personalità – categoria cui può oggi si ritengono ascritti anche l’insieme dei dati che contribuisco a definire l’identità personale –qualificati quali “diritti a contenuto misto e natura complessa, combinandosi al loro interno facoltà di natura personale e patrimoniale (queste 448 The best interest of the child al trattamento dei dati35 – ma “ricordare” ai loro titolari, soprattutto se minorenni, che i dati personali sono e restano “patrimonio identitario” della persona36, di cui si deve evitare l’indiscriminata e incontrollata circolazione e utilizzazione da parte di terzi37. Chi sia invitato a rilasciare il consenso, specie se persona minore di età, dovrebbe avere la consapevolezza di stare compiendo un atto mediante il quale autorizza38 il gestore a raccogliere i suoi dati (tanto quelli rilasciati all’atto di iscrizione alla piattaforma, quanto quelli che egli vada successivamente a fornire mediante l’utilizzazione del servizio, quali condivisione di foto, video etc.), essendo stato di ciò “debitamente informato” e avendovi “liberamente”39 acconsentito. Nella prospettiva del regolamento il consenso è libero “solo se si presenta come manifestazione dell’autodeterminazione informativa, e dunque al riparo da qualsiasi pressione”40; il relativo rilascio non deve, dunque, delinearsi quale condizione per la fruizione del servizio da parte dell’utente, a meno che “il trattamento dei dati risult(i) ultime prive di autonoma attitudine traslativa)”, così in Dignità, persone, mercati, Torino, 2014, p. 73 e ss. 35 G. Resta - V. Zeno-Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi di rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss.; ancora V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali, cit., p. 707. 36 Per L. Floridi (La quarta rivoluzione, cit. p. 135) “la nostra sfera informazionale e la nostra identità personale (hanno) il medesimo contenuto, ovvero (sono) due lati della stessa medaglia”; se consideriamo “ogni persona come costituita dalle proprie informazioni” ogni violazione della privacy informazionale è “come una forma di aggressione rivolta alla propria identità personale”. 37 Il “vendere se stessi” attraverso l’oggettivazione delle informazioni in dati personali può determinare conseguenze negative non solo sul singolo, ma anche sulla collettività, soprattutto quando questi dati ove processati possano comportare “profilazioni di massa” anche destinate all’assunzione di comportamenti discriminatori; cfr. A. Montelero, Il costo della privacy tra valore della persona e ragioni d’impresa, Milano, 2007, p. 318 ss.; R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, in Dir. inf., 2013, p. 587 ss. 38 Sulla natura autorizzativa del consenso si veda in particolare F. Bravo, Il consenso e le altre condizioni di liceità, cit., p. 142 e ss.; più di recente in Lo scambio di dati personali nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contr. impr., 1, 2019, p. 34 ss. 39 Il consenso è definito dall’art. 4. par. 1, n. 11 del GDPR come “qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile”. 40 Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento del 28 maggio 1997, Istituti di credito Criteri generali in materia di informativa e richiesta del consenso dell’interessato, in Corr. giur., 1997, VIII, p. 915-917, con commento di V. ZenoZencovich, Il Consenso informato e la autodeterminazione informativa nella prima decisione del garante. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 449 strettamente connesso e funzionale all’attività svolta da chi richiede il consenso” 41 nel qual caso “potrebbe considerarsi legittimo il rifiuto di concludere il contratto in caso di mancata prestazione del consenso”42. In tutti gli altri casi, al momento dell’adesione al servizio, l’utente (anche quattordicenne) dovrebbe essere messo in grado di distinguere chiaramente tra l’atto di adesione all’utilizzazione del servizio (ad es. iscrizione ad una newsletter) e la prestazione del consenso al trattamento del dato per fini diversi (ad es. invio di messaggi promozionali), senza che il rifiuto del secondo comprometta l’utilizzazione del primo, anche nelle ipotesi in cui l’utente decida in un secondo momento di revocare il consenso43. Si dubita, altresì, che il consenso possa dirsi effettivamente libero se le modalità con le quali viene richiesto integrano gli estremi di una sollecitazione aggressiva, urgente o ingannevole ovvero se, in ragione della tecnologia adottata e le procedure richieste, la scelta di prestare il consenso si manifesti molto più agevole rispetto a quella di negarlo44. 41 Così S. Patti, Il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir. civ., 1999, p. 461 ss. Avendo fatto tesoro delle indicazioni della più attenta dottrina il GDPR dedica ora una specifica disposizione a tale tema, l’art. 7, par. 4 ove si afferma che “nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato si tiene nella massima considerazione l’eventualità, tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione del contratto”. 42 Si veda a tal proposito quanto affermato di recente dai giudici della Cassazione: “Nulla, impedisce al gestore del sito – beninteso, si ripete, in un caso come quello in questione, concernente un servizio né infungibile, né irrinunciabile –, di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali, mentre ciò che gli è interdetto è utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia effettivamente manifestato la volontà di riceverli. Insomma, l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno e in nessun modo coartato”, così Cass., sez. I, 2 luglio 2018, n. 17278, par. 2.5 delle motivazioni, massimata in Corriere giur., 2018, 11, p. 1459. Si vedano in merito le osservazioni di F. Bravo, Lo scambio di dati personali nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, cit., p. 34 ss. 43 Si tratta di una delle novità più rilevanti del GDPR (art. 7, par. 3), il diritto dell’interessato di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento senza che occorra esplicitare motivi giustificativi o sottostare ad altre condizioni; la revoca deve poter essere rilasciata “con la stessa facilità” con cui il consenso è accordato. Sul tema della revoca al consenso prima della recente modifica G. Resta, Revoca del consenso ed interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 299 ss.; S. Mazzamuto, Il principio del consenso e il problema della revoca, in R. Panetta (cur.), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano, 1996, p. 994 ss. 44 S. Thobani, Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al 450 The best interest of the child Pur assumendo che i gestori dei servizi della società dell’informazione adottino procedure in grado di attuare tali garanzie, resta il problema di come accertare che l’utente, specie se quattordicenne, sia effettivamente informato delle modalità di raccolta e di utilizzazione dei dati che egli va ad autorizzare rilasciando il consenso esplicito e sia – in ultima istanza – consapevole del valore, non solo economico45, dei suoi dati personali. Il sistema di tutela fondato sul consenso informato è ispirato, sotto il profilo teorico, dal principio di autodeterminazione che, tuttavia, perché possa operare come strumento atto a gestire e garantire la salvaguardia di interessi di assoluta rilevanza, necessita della compresenza di alcuni presupposti indispensabili, quali la piena consapevolezza del soggetto agente rispetto alle conseguenze che discendono dalle sue scelte e condizioni “oggettive” che consentano una effettiva possibilità di scelta (vere alternative possibili). La nuova normativa sembra porsi l’obiettivo di meglio garantire entrambi i presupposti: il primo avendo rafforzato il principio di trasparenza che si estrinseca in specifici doveri di informazione gravanti sul titolare del trattamento (gli articoli 12, 13 e 14 del GDPR individuano il contenuto minimo di tali obblighi) tenuto a rilasciare per iscritto (o con altri mezzi anche elettronici) informazioni concise, trasparenti, intellegibili e facilmente accessibili, trasmesse con un linguaggio chiaro e semplice, idoneo a essere compreso da chiunque, in particolare ove destinate a una persona minore di età46, al fine di “rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo”; il secondo avendo introdotto una serie previsioni specifiche che dovrebbero garantire una effettiva possibilità di scelta all’utente – ci riferiamo alla previsioni di cui ai paragrafi tre e quattro dell’art. 7 del GDPR47 – ma che dal punto trattamento in massa dei dati personali, cit., p. 168-169. 45 Sul valore economico dei dati personali cfr. V. Caridi, La tutela dei dati personali in internet: la questione dei Logs e dei Cookies alla luce delle dinamiche economiche dei dati personali, in Dir. inf., 2001, p. 763 ss.; lo studioso Luciano Floridi nel volume La quarta rivoluzione (Milano, 1917, p. 113) ricorda come nel 2013 per “il Financial Times, le informazioni relative al profilo della maggior parte delle persone (un aggregato di età, genere, storia lavorativa, malattie, attitudini al credito, reddito, tendenze di acquisto, indirizzi e così via) siano state vendute per meno di un dollaro a persona”; quando l’autore ha provato a svolgere la simulazione online offerta dal giornale ha ottenuto come risultato “che i professionisti del marketing pagherebbero all’incirca 0,3723 dollari per i (suoi) dati … più o meno un terzo di una canzone su iTunes”. 46 Si veda anche il considerando 58 del Regolamento. 47 Art. 7.3: “L’interessato ha il diritto di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento. La revoca Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 451 di vista dell’attuazione concreta lasciano ampio spazio di manovra ai gestori dei servizi48, non sempre così solerti nell’adottare procedure in grado di attuare tali garanzie. A prescindere dalla doverosa implementazione di queste tutele, non si può negare che la società dell’informazione, e la nostra dipendenza da essa, abbiano in larga parte mutato la considerazione che i cittadini hanno della propria privacy, soprattutto le nuove generazioni per le quali, come recenti studi hanno rilevato, la privacy non è reputata (o definita) sempre come un “bene” e il rivelare informazioni personali non è necessariamente rischioso o problematico49. Condivisibile ci appare, dunque, il dubbio di chi si chiede se il modello di tutela fondato sul consenso sia davvero il più efficiente, soprattutto quando si tratta di autorizzare “decisioni basate su inferenze derivate dall’incrocio di migliaia di dati raccolti da svariate fonti”50, che possono comportare rischi significativi per i diritti e le libertà delle persone fisiche51. del consenso non pregiudica la liceità del trattamento basata sul consenso prima della revoca. Prima di esprimere il proprio consenso, l’interessato è informato di ciò. Il consenso è revocato con la stessa facilità con cui è accordato”; art. 7.4 “Nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato, si tiene nella massima considerazione l’eventualità, tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto.”. 48 Si è già rilevato, da parte della dottrina, come il comma IV, dell’art. 7 non introduca in verità un divieto, bensì fissi un semplice parametro di valutazione, così G. Resta - Z. Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi di rete, cit., p. 15-16; parametro di valutazione che la Cassazione ha tuttavia dimostrato di voler interpretare in modo estensivo, cfr. Cass., 2 luglio 2018, n. 17278, cit. 49 A.E. Marwick - D. Murgia Diaz - J. Palfrey, Youth, Privacy and Reputation, in Literature Review of Berkman Center and Harvard Law School, 29 marzo 2010, reperibile on line. 50 F. Di Porto, Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR 101/2018, in www. agendadigitale.it., per la quale “è difficile immaginare che l’interessato, per giunta minore, comprenda che la sua profilazione derivi non solo da dati che egli ha fornito direttamente, ma anche da quelli derivati o desunti da altri dati”. Più in genarle, tra coloro che si dichiarano scettici circa un sistema di tutela basato sul consenso S. Rodotà, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 72 ss.; Id. Protezione dei dati e circolazione delle informazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 600 ss.; S. Patti, Commento all’art. 23, cit., p. 555-556; G. Finocchiaro, Il quadro d’insieme sul Regolamento europeo, in Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, cit. p. 3.; si vedano anche i più recenti studi che analizzano i limiti cognitivi degli utenti con riguardo alle scelte in materia di privacy, fra gli altri L. Gatt - R. Montanari - I. Caggiano, Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico comportamentale. Spunti di una riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Pol. Dir., 2017, p. 363 ss. 51 Alcuni rischi sono concretamente segnalati da A.E. Marwick - D. Murgia Diaz - J. Palfrey, Youth, Privacy and Reputation, cit.,:“The more comprehensive the data 452 The best interest of the child L’attenzione si concentra sullo strumento della c.d. “profilazione”52 – l’analisi di informazioni complesse ottenute dall’aggregazione automatica di dati raccolti all’interno della rete – una “modalità di raccolta dei dati” particolarmente “subdola”, in quanto generalmente attuata senza che l’interessato ne abbia piena consapevolezza53. L’art. 22, par. 1 del Regolamento riconosce il diritto degli utenti a “non essere sottoposti a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”; ma, il successivo par. 2, legittima le decisioni automatizzate e le profilazioni nel caso in cui esse siano necessarie ai fine della concludere un contratto (lett. a), siano autorizzate da una norma nazionale o europea (lett. b) o si basino sul consenso espresso (lett. c). Nonostante il considerando 38 del Regolamento54 affermi che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli aggregation, the more attention such aggregation deserves because of potential privacy risks. Although data brokers have the ability to gather personal information without the Fourth Amendment restrictions placed on the government, they work closely and share information with the government and with virtually anyone who pays for it, including medical, financial and insurance industries. Problematically, the information in these digital dossiers might be used to discriminate against individuals. Imagine “if health-insurance premiums were calculated based on data from online food orders, or if an online merchant’s pricing system discriminated among customers based on their income or spending patterns”. Digital dossiers present other problems: unauthorized access to this cache of personal information may result in cases of identity theft, stalking, harassment, and other invasions of privacy); si veda anche R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, cit., passim; peraltro l’autrice rileva l’utilità, ma anche i limiti, della “autoregolamentazione” attuata dai gestori dei servizi on line (piattaforme e imprese) mediante l’adozione di specifici codici di condotta; strumento al quale anche il recente GDPR sembra delegare il compito di attuare policy idonee a rendere consapevoli gli utenti delle effettive conseguenze delle loro scelte, specie se minori di età, senza introdurre specifici limiti o divieti alla tecnica della profilazione. 52 Definita all’art. 4, n 4) del GDPR come “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica”. 53 R. De Meo, Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, cit., p. 591, la quale ben sottolinea i vari rischi legati al trattamento automatizzato dei dati, persino il rischio di una “profilazione di massa”. 54 Sulla rilevanza dei considerando e sull’irrinunciabile ruolo esegetico dell’interprete nella lettura e applicazione della nuova disciplina in materia di trattamento dei dati personali cfr. V. Cuffaro, Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali, in Contratto e impresa, 3, 2018, p. 1098 ss. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 453 dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”, che “tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore”, e il considerando 71 dichiari che le decisioni e profilazioni “non dovrebbero applicarsi ai minori”, la citata norma (l’art. 22 GPDR) non distingue tra soggetti adulti e soggetti minori, finendo per legittimare (liceizzare) le decisioni automatizzate e le profilazioni “autorizzate” mediante il rilascio del “consenso espresso” anche da parte del quattordicenne55. Emerge con tutta chiarezza l’esigenza che si addivenga a formalizzare modelli alternativi (o aggiuntivi) di tutela56 che consentano un passaggio “dal riconoscimento dell’autodeterminazione informativa a un’effettiva ridistribuzione del potere in rete”57; modelli non esclusivamente di natura autoregolamentare o giuridica, ma anche tecnologica58. L’indefinita molteplicità di modalità di “trattamento” dei dati in grado di “invadere”, o comunque “incidere” a vari livelli sulla sfera personale di ciascun cittadino, restano sconosciute, estranee alla dimensione della consapevolezza dei più, a prescindere dal raggiungimento o meno del compimento della maggiore età; un gap di conoscenza scientifica e tecnologica, quella che divide i titolari del trattamento dall’utente, che può essere “compensato” solo addossando ai “detentori del sapere” l’onere di apprestare strumenti idonei a identificare e correggere anche le meno palesi violazioni della privacy59. 55 Diffusamente sul tema F. Di Porto, Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR 101/2018, cit., passim. 56 “Si cercano altri modelli, rafforzando la sicurezza e la responsabilizzazione di chi tratta i dati, e di questi si vede una prima realizzazione con l’introduzione del principio della accountability, di cui nei prossimi anni verificheremo l’applicazione concreta”, così G. Finocchiaro, Il quadro d’insieme sul Regolamento europeo, cit. p. 3. 57 “La tutela non è più solo individualistica, ma coinvolge una specifica responsabilità pubblica. Siamo così di fronte anche a una ridistribuzione di poteri sociali e giuridici”, così S. Rodotà, Il mondo nella rete, quali i diritti e quali i vincoli, Roma -Bari, 2014, p. 32 ss., a p. 72. 58 Come opportunamente suggerisce L. Floridi, La quarta rivoluzione, cit., p. 131. 59 Per ora il legislatore comunitario sembra essersi affidato al principio dell’accountability, quel principio che non solo esige che il titolare del trattamento garantisca il rispetto delle disposizioni normative in materia di trattamento dei dati, ma richiede anche la concreta dimostrazione dell’adozione di adeguate misure legali, organizzative e tecniche a garanzia della tutela delle posizioni individuali da parte dei titolari del trattamento; in argomento A. Montelero, Il nuovo approccio alla valutazione del rischio 454 The best interest of the child Vista l’opzione normativa adottata dal nostro legislatore, indispensabile permane, medio tempore, per la tutela delle persone minori di età, lo svolgimento di un corretto ruolo parentale, attento e consapevole. Un ruolo che si permea di doveri di protezione e di controllo60, fintanto che al genitore (o altro titolare della responsabilità genitoriale) è attribuito dalla legge il potere di rappresentanza in merito al rilascio del consenso per il trattamento dei dati personali (minore infra-quattordicenne), ma che muta allorquando la persona minore di età è chiamata a prestare in autonomia il consenso61, dovendo da tal momento il genitore rispettare le scelte compiute dall’adolescente con il quale – si auspica – egli riesca a istaurare una rapporto di tipo relazionale, di confronto, basato su di un reciproco scambio di informazioni. Avere fissato la soglia per il rilascio del consenso informato al compimento dei quattordici anni di età dovrebbe comportare che non siano solo i genitori a creare un discrimine sulla consapevolezza dei figli ma che l’intera società62 – mercato incluso – si attivi per garantire un ambiente digitale “sicuro” in termini di contenuti, di policy, di uso dei dati personali, e altro, affinché ai giovani di questa età sia acconsentito “realizzare la propria personalità” on line senza correre eccessivi rischi63. 1.2. L’ “autodeterminazione terapeutica” in relazione alla persona minore di età Di tenore diverso, almeno dal punto di vista del dato letterale, sono le norme che si occupano di definire gli spazi di autodeterminazione nella sicurezza dei dati, in Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, cit. p. 287 ss. spec. p. 306 ss. 60 Doveri che si estrinsecano anche nell’assunzione d’informazioni circa i reali rischi che le persone minori di età corrono in ragione della divulgazione dei loro dati personali. 61 Non appena compiuto il quattordicesimo anno di età l’adolescente potrà revocare il consenso eventualmente prestato dal genitore o altro suo rappresentante. 62 “Il recupero di un più equilibrato dosaggio tra intimità e diffusione delle informazioni personali non può più essere rimesso esclusivamente alle scelte individuali di vita, ma deve essere impostato come un problema istituzionale” così F. Piraino, Il regolamento generale sulla protezione dei dati personali e i diritti dell’interessato, cit., p. 409 ss. 63 G. Boccia Alieri, Privacy dei minori sui social, con il GDPR: così tuteliamo i loro interessi, in www.agendadigitale.it, cit. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 455 del minore in seno al recente intervento normativo in materia di consenso informato al trattamento sanitario64. Il comma quinto dell’art. 1 della legge del 22 dicembre 2017 n. 219 attribuisce a “ogni persona capace di agire” il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento diagnostico o sanitario proposto dal medico, nonché il diritto di revocare il consenso in precedenza prestato. Il successivo art. 3, dopo aver declamato (al primo comma) che la persona minore di età (o incapace) “ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’art. 1, comma I” e “deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alla sua capacità per essere messa in condizioni di esprimere la sua volontà” aggiunge (al II comma) che “il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”65. Il potere di rappresentanza nella espressione del consenso è, dunque, attribuita al titolare della responsabilità genitoriale per tutti i minori di diciotto anni, a prescindere dallo stadio evolutivo e dalla reale capacità di discernimento del singolo. Una scelta molto “conservativa”, 64 L’argomento delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) non è reso oggetto di trattazione nel presente lavoro, posto che l’art. 4 della Legge n. 219 del 2017 non si applica ai minori di età, che pertanto non possono redigere né in proprio, né per mezzo di un rappresentante disposizioni sul fine vita. 65 Tra i primi commenti alla normativa che si soffermano sulla citata disposizione, si segnalano, senza pretesa di esaustività, R. Clarizia, Autodeterminazione e dignità della persona: una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, in Dir. fam. pers., 2017, p. 952 ss.; P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civile comm., 2018, p. 247 ss.; M. Bianca, La legge 22 dicembre 2017 n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento, in Familia, 2018, p. 109 ss.; M. Foglia, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018; G. Ferrando, Rapporto di cura e disposizioni anticipate nella recente legge, in Riv. crit. dir. priv., 2018, p. 47 ss.; M. Azzalini, Legge n. 219/207: la relazione medico-paziente irrompe nell’ordinamento positivo tra norme di principio, ambiguità lessicali, esigenze di tutela della persona, incertezze applicative, in Resp. civ. prev., 2018, p. 8 ss.; G. Baldini, Prime riflessioni a margine della legge n. 219/17, in Riv. di BioDiritto, n. 2, 2018, p. 97 ss.; R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, 4, p. 1318 ss.; G. Giaimo, Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario, in Europa e dir. priv., 2018, p. 1261 ss.; C. Di Costanzo, La tutela del diritto alla salute del minore. Riflessioni a margine della legge n. 219/2017, in Riv. di BioDiritto, n. 1, 2019, p. 299 ss.; M.N. Bugetti, La disciplina del consenso informato nella legge 219/2017, in Riv. dir. civ., 1, 2019, p. 106 ss. 456 The best interest of the child solo in parte temperata dalla previsione con cui s’invita il rappresentante legale (o il tutore) a “tener conto”66 della volontà del rappresentato “in relazione alla sua età, e al suo grado di maturità”, nonché in ragione dello scopo perseguito dall’esercizio del potere dispositivo, la tutela della salute psicofisica e della vita di un soggetto diverso da colui che tale potere è chiamato dalla legge a esercitare. Scontenta la specifica opzione normativa accolta dal nostro legislatore67 che, nell’addivenire a disciplinare una materia così “problematica” dopo lunghe attese68, ci consegna un testo legislativo che per il resto appare tendenzialmente conforme a quel “telaio di principi” già da tempo elaborato dalla giurisprudenza sulla relazione di cura69, sapientemente ordito sulla base delle preziose indicazioni della Carta Costituzionale70, della Carta di Nizza71 e di altri imprescindibili documenti nazionali72 e 66 “La valorizzazione della capacità di scelta in materia di corpo e salute del minore o del maggiorenne incapace degrada alla formula ‘tenendo conto della volontà’” così, efficacemente, P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in Riv. di BioDiritto, 1, 2017, p. 185 a p. 188. 67 Nel contesto europeo i legislatori hanno, perlopiù, abbassato il limite di età dei 18 anni ai fini del rilascio del consenso al trattamento medico sanitario: in Inghilterra e Spagna hanno optato per una presunzione relativa di capacità del sedicenne, senza che sia preclusa la possibilità di attribuite tale capacità anche al di sotto di detta soglia, ove sia possibile accertare il “sufficiente discernimento” della persona minore di età; in Francia e in Germania è invece superato il criterio della indicazione di età minima, essendo rimessa al personale medico ogni valutazione circa la concreta capacità di intendere e di volere del paziente in merito; in argomento S. Cacace, Autodeterminazione in salute, Torino, 2017 p. 243 ss.; si veda anche S. Negri (cur.), Self-Determination, Dignity and End-of-life care, Regulating Advance Directives in International and Comparative Perspective, 2011, passim. 68 P. Zatti, La via (crucis) verso un diritto della relazione di cura, Riv. crit. dir. priv., 2017, 1, p. 3 ss. a p. 5 osserva come la nuova disciplina “non nasce in un nuovo vuoto normativo, ma solo in un vuoto legislativo; e non è affatto la stessa cosa. I lunghi anni di attesa sono stati di elaborazione graduale e sofferta di un diritto vigente della relazione di cura: è il diritto dei principi che ha la sua fonte nella Costituzione, nella Carta dei diritti UE, nelle convenzioni internazionali”. 69 In alcuni casi facendo ricorso anche a fonti del tutto prive di efficacia e di incidenza formale nell’ordinamento italiano (vedi Cass., 16 ottobre 2007, meglio noto come “caso Englaro”), così C. Camardi, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1140. 70 Gli artt. 2, 13 e 32 della Carta Costituzionale, citati all’art. 1 della legge. 71 Gli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea. 72 L’art. 37 del Codice di deontologia medica del 2014, ma anche l’art. 4 del d.lg. 24 giugno 2003, n. 211 – attuativo della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico e l’art. 3, l. 21 ottobre 2005, n. 219, contenente la nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 457 sovrannazionali73 che raccolgono regole giuridiche, bioetiche, scientifiche e deontologiche, indispensabili all’interprete per compiere ponderate scelte operazionali in materia. Partendo dall’ineludibile presupposto che il consenso (o rifiuto) informato alle cure mediche è l’atto di autonomia mediante il quale l’individuo esercita il diritto, non solo al governo del corpo, ma in senso più completo al dominio del sé, alla propria libertà morale e fisica, e dunque, in ultima istanza, allo svolgimento della propria personalità e all’affermazione della propria identità74, resta da comprendere come si concilia la dicotomia tra titolarità e esercizio di tali fondamentali diritti per le persone minori di età, ove, come nel caso che ci riguarda, il legislatore abbia deciso di demandare all’istituto della capacità di agire – e dunque della rappresentanza legale – la soluzione del problema. L’opzione normativa accolta, presa nella sua assolutezza formale, sembra relegare gli spazi di autodeterminazione della persona minore di età alle dinamiche relazionali familiari, a quel “tener conto” della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità75, che i titolari della responsabilità genitoriale, nell’espletamento del diritto-dovere di realizzare l’interesse del figlio, avranno l’onere di valorizzare andando a manifestare l’atto di volontà altrui, tanto più se si tratta di una persona che possa essere giudicata capace di intendere e di volere. La singola disposizione non può, tuttavia, essere letta avulsa dal contesto valoriale espresso dall’intero intervento normativo76 che, nel 73 La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina firmata a Oviedo il 4 aprile 1997, che all’art. 6 stabilisce “quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità”. 74 G. Marini, Il Consenso, in S. Rodotà - M. Tallacchini (cur.), Ambito e Fonti del biodiritto, in S. Rodotà - P. Zatti (cur.) Trattato di biodiritto, Milano, 2010, p. 361 ss.; R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p. 1318 ss. a p. 1327. 75 Sulla questione inerente l’opportunità di individuare per via legislativa delle “fasce di età” all’interno della categoria dei “minorenni” si veda G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del c.d. grande minore, in L. Palazzani (cur.), L’interesse del minore tra bioetica e biodiritto, Roma, 2010. 76 Sul “contesto valoriale ordinamentale” si concentra R. Senigaglia (op. loc. cit., passim) allo scopo di interpretare e sistematizzare lo spazio di autonomia decisionale riservato al minore dalla legge in commento, altrimenti “delineato in termini confusi”. 458 The best interest of the child porsi come scopo la tutela della vita, della salute, della dignità e della autodeterminazione della “persona” (maggiore o minore di età che sia) (art. 1), individua nel consenso (rifiuto) informato non il mero atto di volontà formale e burocratico77, ma il risultato di un “processo” 78 i cui protagonisti – paziente minore di età, genitori e personale medico – sono chiamati a interagire e relazionarsi (di “relazione di cura” parla il dettato normativo)79 nell’ambito di un rapporto di fiducia che si fonda, in primo luogo, sullo scambio di informazioni e comunicazioni rilevanti ai fini delle scelte da compiere80. Nel prendere atto che la capacità di decisione autonoma nelle scelte esistenziali non è l’effetto di una fattispecie astratta81, ma si realizza in una condizione personale frutto della interazione di elementi soggettivi e oggettivi, proprio nella distanza tra capacità formale e capacità effettiva deve trovare il dovuto spazio l’intervento del personale sanitario preposto alla cura del paziente. Il medico82 non è solo tenuto a trasferire al paziente minore di età, nel rispetto delle sue capacità di comprensione e del suo reale ed effettivo desiderio di essere informato83, le necessarie conoscenze attinenti il suo stato di salute e lo specifico trattamento sanitario, ma sarà colui che dopo aver “suggerito”84 il 77 V. Calderai, voce Consenso informato, in Enc. dir., annali VIII, p. 225 a p. 244. 78 P. Zatti, Maschere del diritto, volti della vita, Milano, 2009, p. 124. 79 Si sofferma sul ruolo che svolgono “gli attori del contesto di prossimità” G. Di Rosa, La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, in Responsabilità medica, 1, 2019, p. 49 ss. 80 “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico e della rinuncia ai medesimi”, art. 1 comma III, legge sul fine vita. 81 V. Calderai, op. loc. cit., p. 244. 82 In argomento M.A. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, Padova, 2007, p. 278 ss. 83 Fondamentale è il riconoscimento normativo del diritto del paziente di rifiutare di ricevere le informazioni, in tutto o in parte (art. 1, comma III). 84 Abbandonato il “paternalismo professionale” che per lungo tempo ha caratterizzato la relazione medico paziente (cfr. M. Graziadei, Autodeterminazione e consenso all’atto medico, in I diritti in medicina, in S. Rodotà - P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto, in L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011, p. 191 ss.) per ricondurre alla volontà dell’interessato, mediante la manifestazione dell’atto di consenso (rifiuto) al trattamento medico, il dominio del proprio corpo e della propria integrità psicofisica, non può significare relegare il ruolo del medico a mero “esecutore obbligato di prestazioni”, rimanendo comunque il sanitario il “polo Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 459 trattamento ritenuto più adeguato in ragione delle conoscenze scientifiche85, della esperienza professionale, nonché della condizione psicofisica del paziente, dovrà confrontarsi con il minore e i suoi genitori e monitorare che l’atto formale di scelta sia effettivamente il frutto di quel processo decisionale condiviso che mira a soddisfare il suo primario interesse86. Ancora una volta, dunque, non si tratta tanto di riconoscere alla persona minore la libertà di “decidere” in merito alla sua sfera privata, ma di metterla nelle condizioni – soggettive e oggettive – di partecipare alla formazione di un “consenso consapevole” che, nel caso delle decisioni inerenti i trattamenti medici, necessariamente implicano l’intervento di soggetti terzi qualificati, il personale sanitario, che in ragione delle proprie conoscenze scientifiche e capacità professionali sia in grado di offrire al paziente un quadro chiaro delle sue opzioni di scelta e delle conseguenze che esse possano comportare. Il riferimento all’essenzialità dell’aspetto comunicativo nella relazione tra medico e paziente non presenta un’esclusiva caratterizzazione duale ma coinvolge tutti i soggetti cui il dettato normativo rinvia (art. 1, comma 2°, l. n. 219/2017) e nel caso di soggetto minore di età, necessariamente, i titolari della responsabilità genitoriale; un’opzione normativa, quella che sottolinea la natura plurale della menzionata relazione comunicativa, strettamente funzionale alla formazione di un consenso “nutrito di consapevolezza”87. di riferimento” del paziente nella relazione di cura; cfr. in proposito le osservazioni di A. Nicolussi, Testamento biologico e problemi del fine-vita: verso un bilanciamento di valori o un nuovo dogma della volontà?, in Eur. e dir. priv., 2013, p. 468 ss. 85 Si condivide l’opinione di chi sostiene che sempre più “la libertà di autodeterminarsi … è una variabile dipendente dal progresso scientifico”, A. Gusmai, Il diritto all’autodeterminazione: una libertà “perimetrata” dal sapere scientifico?, cit., p. 1; si vedano anche le osservazioni di F. Azzarri, Diritti della persona e interventi delle corti: dalla fonte costituzionale alle regole civilistiche, in E. Navarretta (cur.) Effettività e drittwirkung nelle discipline di settore, Torino, 2017, p. 3 ss. a p. 8 e p. 18. 86 Anche se la legge stabilisce il ricorso al giudice tutelare nella sola ipotesi di contrasto tra il medico e i rappresentati del minore in caso di rifiuto da parte di questi ultimi delle cure proposte, si ipotizza che se il titolare della responsabilità genitoriale non dovesse tener conto della volontà del minore dotato di un sufficiente grado di discernimento (ossia nei casi in cui si prospetta una situazione di conflitto tra genitori e figlio minorenne) il medico possa “richiedere, l’intervento dell’autorità giudiziaria, eventualmente per il tramite della segnalazione alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni” così R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p. 1349. 87 Parafrasando S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2015, p. 279. 460 The best interest of the child Il ragionamento appena svolto non può prescindere dall’essere condotto sino all’estrema conseguenza di valutare se, una volta messa nelle condizioni di comprendere il proprio stato di salute e i possibili interventi terapeutici, alla persona minore di età dotata di un sufficiente grado di discernimento sia riconosciuto il diritto di rifiutare le cure proposte, potendo per questa via arrivare a compromettere, anche irrimediabilmente, il proprio stato di salute, posto che il rifiuto può comportare anche la rinuncia a trattamenti necessari alla sopravvivenza (quali la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale)88. Il nostro impianto normativo si trincera dietro lo schermo formale della richiesta capacità di agire, finendo con l’attribuire al legale rappresentante la gravosa scelta quando si tratti di manifestare un rifiuto al trattamento, sebbene ci sia chi ritiene che la lettera della legge – avendo “selezionato” quali unici criteri vincolanti che devono guidare scelte assunte nell’interesse del minore “la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità” 89, quasi che il best interest dell’incapace non possa includere altri valori90 – escluda la possibilità che i legali rappresentanti possano opporre un rifiuto ai trattamenti necessari alla sopravvivenza della persona minore di età91, anche nell’ipotesi in cui i titolari della responsabilità genitoriale intendano, 88 A norma del comma 5, art. 1 della Legge 219/2017 “Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. (…) Ai fine della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.” 89 Corsivi nostri. 90 Così P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, cit., p. 189, il quale aggiunge “l’arbitrarietà della scelta è evidente, perché nelle gravi decisioni terapeutiche non sono in gioco solo i due valori indicati: vi è l’habeas corpus anzitutto (integrità), vi è l’autodeterminazione che non è prerogativa esclusiva dei maggiorenni capaci di agire”. 91 M. Bianca, La legge 22 dicembre 2017 n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento, cit., p. 111. Si segnala che in merito è stata già sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4° e 5°, della legge nella parte in cui prevedono che il rappresentante legale della persona interdetta oppure inabilitata, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento di cui all’art. 4, della stessa legge, o il rappresentante legale del minore possano rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato (ordinanza del Trib. Pavia, 24.3.2018, in www.ilcaso.it). In argomento G. Di Rosa, La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del 2017, cit., p. 50. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 461 ciò facendo, manifestare “formalmente” la volontà del rifiuto delle cure espressa dal minore dotato di sufficiente grado di discernimento. A noi sembra, tuttavia, che il comma quinto dell’art. 3 della legge nello stabilire che “nel caso in cui … il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare”, finisca – in verità – con l’attribuire al medico il potere di valutare se il rifiuto del trattamento sia o meno contrario all’interesse del minore, dal momento che solo nell’ipotesi in cui il parere del medico non coincida con quello espresso dai legali rappresentanti potrà essere coinvolto il giudice tutelare il quale, prima di decidere, sarà tenuto ad ascoltare il minore dotato di un certo grado di discernimento92, valorizzando la volontà adesiva o dissenziente del minorenne rispetto al programma terapeutico suggerito dal medico93. Interessante, in merito, rilevare come anche in quegli ordinamenti dove il legislatore ha ritenuto di svincolare il rilascio del consenso informato dal raggiungimento della maggiore età94, il “rifiuto” delle cure continui ad essere una prerogativa del solo maggiorenne “senza che il differente trattamento riservato all’assenso e al rifiuto sia, peraltro, in alcun modo giustificato”95. Scelta che, a ben vedere, riduce il “consenso” della persona minore di età a mero riconoscimento della sua capacità di poter direttamente interagire con il medico ed essere informato del suo stato di salute, senza che tuttavia allo stesso sia attribuito alcun 92 Nel rispetto dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che riconosce ad ogni persona minore di età il diritto di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. 93 Nello scritto di G.C. Turri, Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in Quest. Giust., 2000, p. 3 ss. (reperibile on line), l’autore esamina alcune sentenze di merito della magistratura minorile chiamata ad occuparsi del conflitto tra i medici, che ritenevano doversi attuare determinati programmi terapeutici, e i genitori, che si rifiutavano di sottoporre i figli alla cure prescritte, ove i giudici al fine di decidere fanno espresso riferimento alla volontà espressa dai minori (anche di 9 e 10 anni) che, nei casi esaminati, si pone in linea con quella manifestata dai genitori. Nei casi esaminati i giudici hanno ritenuto di valorizzare la volontà dei minori ai fini della decisione, quale manifestazione di un principio di “autodeterminazione” che l’autore definisce “debole”, distinguendola da quella che s’identifica con il diritto di manifestare formalmente il consenso (dissenso) informato all’atto medico, che in assenza di una norma giuridica che lo preveda espressamente è da escludersi. 94 Si veda sopra nota 63. 95 S. Cacace, Autodeterminazione in salute, cit., p. 243 e ss. 462 The best interest of the child formale potere di dissentire dal piano terapeutico, nel senso di rinunciare al trattamento sanitario consigliato, scelta per la quale si torna a richiedere – formalmente – il compimento della maggiore età96. L’osservazione ci porta a rivalutare, in definitiva, l’opzione normativa prescelta dal nostro legislatore che, nel riconoscere espressamente alla persona minore di età il diritto a “ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” – rendendolo soggetto attivo della relazione di cura – tiene fermo il criterio generale della raggiunta capacità di agire come soglia per la manifestazione tanto del consenso quanto del rifiuto al trattamento medico – formalmente rilasciato o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale – senza cadere nella contraddizione di attribuire al minore di età una capacità “speciale” in materia, che tuttavia si esaurisce nella sola possibilità riconosciuta al soggetto di aderire “al programma terapeutico” che viene lui consigliato, ma non nel rifiutarlo, nonostante sia del tutto evidente che il rifiuto non è altro che l’atto di contenuto negativo in cui si formalizza l’esito del percorso di autodeterminazione del soggetto97, uguale e contrario al consenso. Il corretto espletamento del processo decisionale che coinvolge paziente, genitori e personale medico nell’ambito della “relazione di cura”98 è e resta il presupposto indefettibile dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione terapeutica da parte della persona minore di età, a prescindere dalla veste “burocratica” in cui esso troverà espressione nel rispetto di quel “formalismo protezionistico” cui si fa appello non tanto a tutela del “soggetto debole”, quanto a tutela del personale 96 In dottrina sono molti coloro che sostengono che il livello di consapevolezza necessario per il rifiuto, in ragione della possibile compromissione degli interessi fondamentali della persona che una tale opzione potrebbe comportare, implica la necessaria piena capacità del disponente, si veda L. Lenti, Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, in S. Rodotà - P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto, in L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011, p. 453; T. Pasquino, Autodeterminazione e dignità della morte, Milano, 2009, p. 98; G. Giaimo, Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario, cit., p. 1235. 97 R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, cit., p. 1339. 98 F.D. Busnelli, Premessa agli Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, cit., p. 3 e ss. magistralmente definisce la relazione di cura come “una linea, lungo la quale si svolge, e si evolve, la volontà del paziente, assunta non come punto di partenza, ma come punto di arrivo”. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 463 medico e della struttura sanitaria, preoccupati di mettere il loro agire al riparo da eventuali responsabilità civili e penali99. 2. La persona minore di età nel processo evolutivo: dal discernimento all’autodeterminazione Il breve excursus che ci ha visto indagare ampiezza e limiti della riconosciuta capacità di autodeterminazione della persona minore di età in seno a due recenti interventi normativi, rappresenta l’occasione per riflettere sulla condizione del minore di età nel nostro sistema ordinamentale, a distanza ormai di diversi anni dall’avviamento di quel processo di promozione della persona umana100 – nella pluralità delle condizioni fenomenologiche in cui essa si sviluppa e in relazione alle quali è possibile riconoscere la sua unità e unicità101 – che prende le mosse a far data dalla promulgazione della Carta Costituzionale102. Per quanto concerne la persona umana minore di età103 tale processo ha significato, in un primo momento, il passaggio dalla condizione di soggezione – propria del paradigma della potestà – alla condizione di protezione104, cui fa da contraltare l’assunzione di responsabilità 99 S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., pp. 277-278; M. Graziadei, Dal consenso alla consensualità nelle relazioni di cura, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, cit. p. 37 ss. il quale pragmaticamente rileva “il consenso è manifestazione dell’autonomia della persona, ma è anche il mezzo per traslare sul quest’ultima il rischio inevitabile connesso al trattamento. Mi riferisco all’eventuale evento avverso che si può materializzare pur in presenza di trattamento eseguito secondo la lex artis. Nessun paziente ha forse davvero ben chiaro che, tanta più informazione riceve, tanto è più probabile che l’evento avverso rimanga a suo carico, qualora si verifichi”. 100 A. De Cupis, La persona umana nel diritto privato, in Foro it., 1956, IV, c. 77 ss.; S. Rodotà, Dal soggetto alla persona, Napoli, 2007, p. 24-25; P. Zatti, Persona giuridica e soggettività., Padova, 1975, p. 178 ss. 101 R. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, 1990, p. 66 ss.; F. Viola, I diritti e le età della vita, in Lavoro sociale, vol. 13, 2013; V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018 p. 8. 102 P. Perlingeri, La persona e i suoi diritti. Problemi di diritto civile, Milano, 2005. 103 Come si è avuto modo di vedere la recente Legge n. 219, del 22 dicembre 2017, recante Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, all’art. 3, rubricato Minori e incapaci, compie una specifica scelta linguistica riferendosi alla “persona minore di età”, una scelta mediante la quale si prende (finalmente) atto della situazione giuridica soggettiva del minore quale “persona”. 104 Ricostruisce in modo chiaro questo passaggio E. La Rosa, La disciplina della responsabilità genitoriale, sub art. 316, in G. Di Rosa (cur.), Della famiglia, vol. II, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, Milano, 2018, p. 625 ss.; Id., Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, passim. 464 The best interest of the child dell’adulto (in primis, ma non solo, il genitore) quale soggetto investito, in virtù della legge o di altro atto che gli riconosce una tale condizione, di un complesso di diritti e doveri riguardanti la persona e i beni del minore105. Un passaggio che ha portato con sé la valorizzazione della situazione giuridica attiva della persona minore e dei suoi interessi che, in virtù della relazione intersoggettiva che attribuisce all’adulto un ruolo di responsabilità, devono trovare soddisfacimento, innanzi tutto, in funzione dei comportamenti posti in essere dal soggetto responsabile106. Si è imposto con forza il richiamo all’“interesse del minore” quale principio guida107 nella individuazione e promozione dei diritti riconosciuti alla persona minore di età la cui tutela, tuttavia, continua a essere “radicata nella logica del soggetto debole da proteggere in quanto incapace”108. Il fulcro di questa concezione è da ricercare nella perentoria assertività dell’art. 2 c.c., norma che, tuttavia, – come da tempo messo in luce dalla più attenta dottrina109 – non è atta a regolamentare per intero la capacità di agire della persona minore di età e sembra, piuttosto, limitata agli atti patrimoniali110. Se, invero, ci si muove a indagare nell’ambito dei diritti di natura personale111, si riscontra l’attribuzione all’infra diciottenne – da parte 105 L’espressione «responsabilità genitoriale» la troviamo nella Dichiarazione di N.Y. sui diritti del fanciullo del 1959; utilizzata e definita in ambito europeo nel Regolamento del 27 novembre 2003, n. 2201 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e appunto in materia di responsabilità genitoriale è definita all’art. 2 come l’insieme dei «diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore». La nota formula ha avuto pieno riconoscimento all’interno del nostro sistema ordinamentale in ragione della attuta riforma in materia di filiazione, cfr. C.M. Bianca (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015. 106 M. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, cit., p. 89 ss. 107 Tra i molti scritti in argomento si vedano V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405; nonché L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86. 108 E. La Rosa, La disciplina della responsabilità genitoriale, cit., p. 627; cfr. anche G. Palmeri, Diritti senza poteri, la condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 61. 109 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., 1982, p. 54 ss. 110 In argomento M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, Padova, 2007. 111 G. Anzani, Capacità di agire e interessi della personalità, in Nuov. giur. civ. comm., 2009, p. 509 ss.; sui diritti della personalità in genere A. De Cupis, Diritti della personalità, II, in A. Cicu - F. Messineo (dir.), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1959, Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 465 di tutti i formanti del diritto, pur anche quello legislativo112 – di una crescente capacità di autodeterminazione, in rapporto al crescere della naturale capacità di intendere e di volere113. Considerazioni che si possono trarre indagando, altresì, nell’ambito dell’illecito extracontrattuale ove il principio cardine della imputabilità, anche del soggetto minore di età, è – per l’appunto – la capacità di intendere e di volere114, e la responsabilità di altri soggetti, quali genitori e insegnanti, è per ciò stesso concorrente e non sostitutiva115. Emerge con chiarezza la stretta correlazione esistente tra l’esercizio del diritto di autodeterminarsi e la concreta capacità di intendere e di volere del suo titolare, intesa quale la capacità del soggetto agente di essere consapevole del valore delle sue scelte e delle conseguenze che da esse discendono, a prescindere dalla piena attribuzione allo stesso della capacità di agire116, nel rispetto di quel principio ormai acquisito p. 86 ss.; P. Rescigno, voce Personalità (diritti della), cit., p. 1 ss.; V. Zeno-Zencovich, voce Personalità (diritti della), Dig. disc. priv., sez. civ., 1995, vol. XIII, p. 340 ss. 112 Si fa riferimento a una serie di previsioni di leggi speciali quali: quella sull’interruzione volontaria della gravidanza della minorenne (art. 12, l. 22 maggio 1978, n. 194); sull’accesso ai mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile (art. 2, ultimo comma, l. n. 194 del 1978); relativa alla richiesta del minore tossicodipendente di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo (art. 120, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309); alla scelta dello studente minorenne di scuola secondaria di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica (art. 1, comma 1, l. 18 giugno 1986, n. 281). 113 A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro - A. Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 321 ss. 114 In argomento C. Rusconi, Minore età e responsabilità dei genitori e degli insegnanti, in Jus civile, 3, 2014, p. 105 ss., il quale rileva come “il sistema incorre in una singolare discrasia circa la capacità di assumere obbligazioni: preclusa in radice dall’art. 2 c.c., quando deriva da contratti (salvi gli atti della vita quotidiana) e presidiata dal rimedio dell’annullamento nell’interesse dell’incapace, è invece piena se deriva da accadimenti dannosi sol che il minore sia capace di discernimento, anzi, potendo il minore essere esposto più frequentemente e con maggior aggravio economico alle obbligazioni da fatto illecito rispetto a quelle di origine contrattuale”. Cfr. S. Patti, Famiglia responsabilità civile, Milano, 1984, p. 232 ss.; P. Marozzo della Rocca, Responsabilità civile e minore di età, Napoli, 1994. 115 L’obbligo di risarcimento del danno posto a carico dei genitori ha chiaramente la funzione di attribuire una garanzia patrimoniale effettiva al terzo danneggiato, cfr. S. Patti, Famiglia responsabilità civile, cit., p. 258; F. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, p. 136-137. Cfr. in giurisprudenza su un recente caso di divulgazione di immagini di un soggetto minorenne da parte di suoi coetanei Tribunale di Sulmona, 9.04.2018, in Nuov. giur. civ. comm, 2018, 11, p. 1618 ss. con nota di A. Thiene, Ragazzi perduti on line: illeciti dei minori e responsabilità dei genitori. 116 In verità neanche l’ambito patrimoniale rimane del tutto estraneo a questa logica: l’art. 1389 c.c. riconosce valido il contratto concluso da un rappresentante che abbia la 466 The best interest of the child che vuole attribuita “la piena capacità di ogni soggetto di esercitare i propri diritti personali appena abbia acquisito una sufficiente maturità di giudizio”117. Il presupposto della “indissociabilità” tra la titolarità dei diritti e delle libertà fondamentali e il relativo esercizio non esclude che, fin tanto che la persona minore di età non abbia acquisito piena capacità di intendere e di volere, coloro che se ne assumono la responsabilità – in primis i genitori – siano chiamati a porre in essere comportamenti “protettivi”118, finalizzati a salvaguardare i diritti fondamentali dei loro “protetti”. Quegli stessi diritti che, con l’avanzare del processo evolutivo, la persona minore di età capace di intendere e di volere sarà chiamata a esercitare in autonomia119, mutando in via relazionale il ruolo del soggetto investito della responsabilità genitoriale da una posizione di protezione a una posizione di confronto120. I doveri di protezione discendenti dalla responsabilità genitoriale ci appaiono oggi, in certa misura, ampliati, avendo i genitori il preciso dovere di salvaguardare diritti fondamentali delle persone minori di età non ancora perfettamente capaci di intendere e di volere, quali il diritto all’immagine e alla riservatezza (accolti nel concetto moderno di privacy)121, dai maggiori rischi di “lesione” cui gli stessi risultano esposti per la incontrollata diffusione di dati personali, spesso dati sensibili, in ragione dell’utilizzo delle moderne tecnologie di comunicazione e socializzazione122. Potendo comportare il mancato capacità di intendere e di volere (sempre che sia legalmente capace il rappresentato); l’azione di annullamento di un contratto concluso da persona minore di età, non solo non è azionabile se l’agente ha con raggiri occultato la sua vera età – il che presuppone una certa capacità di intendere e volere del soggetto medesimo – ma deve altresì essere sottoposta al vaglio del giudice tutelare che ne deve valutare in via preventiva la “necessità o utilità evidente”. Si veda poi la possibilità del minore emancipato di esercitare l’attività di impresa ex art. 397 c.c. 117 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 69 ss. 118 Ibidem; si veda anche E. La Rosa, La disciplina della responsabilità genitoriale, cit., p. 780 ss. 119 P. Stanzione, Capacità e minore di età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 360 ss.; F. Ruscello, Potestà genitoriale e capacità dei figli minori: dalla soggezione all’autonomia, in Vita notarile, 2000, p. 57 ss. 120 P. Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in L’autonomia dei minori tra famiglia e società, cit., p. 189 ss. 121 C. Camardi, Relazione di filiazione e privacy, brevi note sull’autodeterminazione del minore, in Jus Civile, 6, 2018, p. 831 ss.; A. Thiene, Riservatezza e autodeterminazione del minore nelle scelte esistenziali, in Fam. dir., 2017, p. 172 ss. 122 G. Ramaccioni, La protezione dei dati personali e il danno non patrimoniale, Napoli, 2017, passim. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 467 adempimento di questi doveri, tanto in via omissiva quanto, e soprattutto, in via commissiva, finanche l’assunzione di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale123. Da altro punto di vista il genitore ha un dovere di controllo sull’accesso alle nuove tecnologie da parte del minore non dotato di sufficiente grado di discernimento, in ragione del fatto che un utilizzo prematuro e incontrollato alle stesse rischia di esporli a informazioni e sollecitazioni emotive non proporzionate alle loro capacità cognitive, potendo ciò incidere molto negativamente su una personalità in formazione124. Tali doveri di protezione mutano con l’evolversi del processo evolutivo che coinvolge le persone minori di età, cessando di manifestarsi in attività unilaterali di tutela e controllo per assumere sempre più, con il passare del tempo, la connotazione di attività di natura relazionale125, in cui la funzione di “protezione” si estrinseca, prevalentemente, mediante il trasferimento alla persona minore di età capace di intendere e di volere di indicazioni comportamentali in linea con un modello valoriale socialmente condiviso126, sufficienti a farle compiere scelte autodeterminative 123 M. Nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale, in Fam. Dir., 4, 2018, p. 392 ss.; F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., p. 27 ss. 124 Lo strumento digitale può essere utilizzato come veicolo pedagogico, ma allo stesso tempo può essere un veicolo di disinformazione (attraverso la diffusione di fake news e informazioni scorrette o approssimative) sino anche a tramutarsi in uno strumento di diffusione di odio, razzismo, bullismo e quant’altro. La recente legge n. 71 del 2017 ha inteso introdurre specifici strumenti di contrasto al fenomeno del c.d. “cyberbullismo”, definito come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. La legge introduce una serie di strategie integrate di contrasto e di prevenzione che coinvolgo una pluralità di soggetti, oltre lo stesso minore ultraquattordicenne e i di lui genitori, quali le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado sollecitate dall’azione combinata del Ministero dell’istruzione e dello stesso Garante. Cfr. R. Bocchini - M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove leggi civili commentate, 2018, p. 340; M. Orofino - F.G. Pizzetti (cur.), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018, 125 R. Senigaglia, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013. 126 Tema di estremo interesse, che tuttavia esula dall’economia della presente trattazione, è quello che sollecita una riflessione su quelli che dovrebbero essere i contenuti concreti del progetto educativo perseguito dai titolari della responsabilità genitoriale: ci si chiede, in particolare, se la previsione normativa che impone 468 The best interest of the child consapevoli. Del resto, se l’accesso al mondo digitale costituisce oggi uno strumento di rappresentazione – se non anche in una certa misura di realizzazione – della identità personale di ciascun individuo127 il negare alla persona minore di età adolescente l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali può concretamente rappresentare una violazione dei suoi diritti. La tutela dell’interesse del minore in questa fase della crescita non si ferma alla dinamica negativa della protezione, intesa come difesa da tutto ciò che possa pregiudicare la sfera psico-fisica del protetto, ma deve necessariamente essere declinata in positivo, finalizzata a garantire all’adolescente il diritto all’accesso e al godimento di beni che favoriscano il suo benessere psico-fisico, nonché a garantire lui la possibilità di esprimere le sue opinioni, a ricevere informazioni sulle questioni che più strettamente lo riguardano (come il suo stato di salute) e a essere coinvolto nelle decisioni che intimamente coinvolgono la sua persona. Ciò premesso non si può prescindere dal considerare che il proces128 so che conduce il singolo individuo – maggiore o minore di età – a “autodeterminarsi” è, nella realtà fenomenologica in cui esso si estrinseca, quanto mai complesso129 e non si riduce al “mero solipsismo della concreta possibilità di determinarsi”130, ma si manifesta sempre più nei termini di una variabile dipendente dalla compresenza di alcuni ai genitori di assistere moralmente i figli “nel rispetto delle loro capacità, delle aspirazione e delle inclinazioni naturali” non possa rischiare di svuotare di contenuti la funzione educativa riducendola al “rispetto meramente permissivo e formale di inclinazioni e aspirazioni, qualunque esse siano”. Il rischio che si paventa è che “in ragione del pluralismo delle visioni di vita” il diritto finisca con l’astenersi dall’indicare qualunque valore direttivo privando il progetto educativo di contenuti concreti, si veda F. Viola, Nell’interesse del minore tra sfide vecchie e nuove, Relazione al Convegno internazionale “prendiamoci cura di me. Servizi, scuole, famiglie per la tutela dei minori, tenutosi a Rimini, 9-10 novembre 2018. 127 Già l’articolo 17 della Convenzione di N.Y. del 1989 sui Diritti del fanciullo espressamente riconosce “l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale”. 128 È necessario “guardare alle decisioni non come ad atti, ma come a processi, in cui domina l’interazione tra i protagonisti e il contesto”, P. Zatti, Maschere del diritto, volti della vita, Milano, 2009, p. 124. 129 “L’autodeterminazione si presenta come espressione ed esito di dinamiche complesse” così S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., p. 274. 130 A. Gusmai, Il diritto all’autodeterminazione: una libertà “perimetrata” dal sapere scientifico?, in www.dirittifondamentali.it, 3 marzo 2019; anche V. Calderai, voce Consenso informato, cit., p. 227. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 469 presupposti indispensabili, quali la piena consapevolezza del soggetto agente rispetto alle conseguenze che discendono dalle sue scelte e condizioni “oggettive” che consentano un’effettiva possibilità di scelta. Non si tratta, dunque, solo di riconoscere alla persona minore la libertà di “decidere” in merito alla sua sfera privata, ma di metterla nelle condizioni – soggettive e oggettive – di assumere decisioni consapevoli131. In una società ormai caratterizzata da un progresso tecnico-scientifico che il più delle volte ci coglie impreparati dinanzi alla necessità di comprendere e gestire fenomeni destinati a modificare la realtà che ci circonda e ci coinvolge, potendo interferire con la percezione del sé oltre che il rapporto con gli altri132, viene, peraltro, da chiedersi chi siano i detentori delle informazioni in grado di “fare la differenza”, dove vada ricercata la “fonte della conoscenza” in grado di condurre alla consapevolezza e, per quel che qui rileva, quale sforzo possa oggi legittimamente richiedersi al “buon padre di famiglia”, così come “alla buona madre”, nell’espletamento di quella responsabilità genitoriale che li vede schierati in prima linea nella frontiera che conduce la persona minore di età dal discernimento all’autodeterminazione. Nel condividere l’idea che sia compito irrinunciabile delle istituzioni “mettere ciascuno nella possibilità di disporre delle informazioni necessarie per un adeguato governo di sé”, creare le “condizioni di una comprensione pubblica della scienza” 133 che possano condurre il singolo all’assunzione di scelte consapevoli, indispensabile resta individuare strumenti atti a garantire, in relazione alla peculiarità delle scelte da effettuare, strumenti differenziati che tengano conto del “contesto”, del tempo e della qualità delle decisione, e identificare, ove possibile, quei soggetti che possono svolgere ruoli collaborativi utili a finalizzare il processo di autodeterminazione. La scelta del legislatore di privilegiare soluzioni differenziate, qualificando la persona minore di età come soggetto più o meno “capace” in relazione alle circostanze della sua vita concreta nella famiglia, nella scuola, 131 “La regola giuridica non può risolvere il problema di che cosa significhi essere pienamente liberi nel momento delle scelte. Ma certamente può anzi deve, costruire l’insieme delle condizioni necessarie perché il processo di decisione si svolga in modo tale da assicurare alla persona consapevolezza di ogni sua scelta, controllo di ogni fase del processo di decisione, chiarezza nell’approdo finale”, S. Rodotà, op. loc. cit., p. 276; G. Marini, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, p. 359 ss., p. 382-383. 132 L. Floridi, La quarta rivoluzione, cit., passim. 133 S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit. p. 279 ss. 470 The best interest of the child nella società, si palesa – in definitiva – quale conseguenza inevitabile della intrinseca poliedricità delle relazioni che oggi, più di ieri, coinvolgono in via diretta soggetti in fase evolutiva sicché appare anacronistico, se non anche sconveniente, riferirsi alla persona del minore in modo “unitario”. Bibliografia A. De Cupis, Diritti della personalità, II, in A. Cicu - F. Messineo (dir.), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1959, p. 86 ss. Anzani G., Capacità di agire e interessi della personalità, in Nuov. giur. civ. comm., 2009, p. 509 ss. Astone F., Il rapporto tra gestore e utente: questioni generali, in Aida, 2011, p. 114 ss. Auletta T., Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978 Azzalini M., Legge n. 219/207: la relazione medico-paziente irrompe nell’ordinamento positivo tra norme di principio, ambiguità lessicali, esigenze di tutela della persona, incertezze applicative, in Resp. civ. prev., 2018, p. 8 ss. Azzarri F., Diritti della persona e interventi delle corti: dalla fonte costituzionale alle regole civilistiche, in E. Navarretta (cur.) Effettività e drittwirkung nelle discipline di settore, Torino, 2017, p. 3 ss. Baldini G., Prime riflessioni a margine della legge n. 219/17, in Riv. di BioDiritto, n. 2, 2018, p. 97 ss. Ballarani G., La capacità autodeterminativa del c.d. grande minore, in L. Palazzani (cur.), L’interesse del minore tra bioetica e biodiritto, Roma, 2010 Belvedere A., L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro - A. Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 321 ss. Ben-Shahar O. - Strahilevitz L., Contracting Over Privacy: Introduction, in Journal of Legal Studies, Vol. 43, No. S2, 2016 Bianca C.M. (cur.), La Riforma della filiazione, Padova, 2015. Bianca M., La legge 22 dicembre 2017 n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento, in Familia, 2018, p. 109 ss. Bobbio R., L’età dei diritti, Torino, 1990, p. 66 ss. Bocchini R. - Montanari M., Le nuove disposizioni a tutela dei minori ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove leggi civili commentate, 2018, p. 340 Boccia Alieri G., Privacy dei minori sui social, con il GDPR: così tuteliamo i loro interessi, in www.agendadigitale.it, 26 aprile 2018 Bravo F., Il consenso e le altre condizioni di liceità, in G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017, p. 167 ss. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 471 Bravo F., Il consenso e le altre condizioni di liceità, Lo scambio di dati personali nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contr. impr., 1, 2019, p. 34 ss. Bugetti M.N., La disciplina del consenso informato nella legge 219/2017, in Riv. dir. civ., 1, 2019, p. 106 ss. Busnelli F.D., Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., 1982, p. 54 ss. Busnelli F.D., Premessa agli Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, in Responsabilità medica, 1, 2019, p. 3 ss. Cacace S., Autodeterminazione in salute, Torino, 2017 p. 243 ss. Calderai V., voce Consenso informato, in Enc. dir., annali VIII, p. 225 ss. Camardi C., Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1140. Camardi C., Mercato delle informazioni e privacy, riflessioni generali sulla L. n. 665/1996, in Eur. dir. priv., 1998, p. 1061. Camardi C., Relazione di filiazione e privacy, brevi note sull’autodeterminazione del minore, in Jus Civile, 6, 2018, p. 831 ss. Caridi V., La tutela dei dati personali in internet: la questione dei Logs e dei Cookies alla luce delle dinamiche economiche dei dati personali, in Dir. inf., 2001, p. 763 e ss. Caterina R., Cyberspazio, social network e teoria generale del contratto, in Aida, 2011, p. 96 ss. Clarizia R., Autodeterminazione e dignità della persona: una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, in Dir. fam. pers., 2017, p. 952 ss. Cuffaro V., Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali, in Contratto e impresa, 3, 2018, p. 1098 ss. De Cupis A., La persona umana nel diritto privato, in Foro it., 1956, IV, c. 77 ss. De Franceschi A., La circolazione dei dati personali tra privacy e contratto, Napoli, 2017, p. 85 ss. De Meo R., Autodeterminazione e consenso nella profilazione dei dati, in Dir. inf., 2013, p. 587 ss. Di Costanzo C., La tutela del diritto alla salute del minore. Riflessioni a margine della legge n. 219/2017, in Riv. di BioDiritto, n. 1, 2019, p. 299 ss. Di Porto F., Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR 101/2018, in www.agendadigitale.it Di Rosa G., La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, in Responsabilità medica, 1, 2019, p. 49 ss. Ferrando G., Rapporto di cura e disposizioni anticipate nella recente legge, in Riv. crit. dir. priv., 2018, p. 47 ss. Finocchiaro G. (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017 Floridi L., La quarta rivoluzione, Milano, 1917 472 The best interest of the child Foglia M., Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018 Gatt L. - Montanari R. - Caggiano I., Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico comportamentale. Spunti di una riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Pol. Dir., 2017, p. 363 ss. Giaimo G., Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario, in Europa e dir. priv., 2018, p. 1261 ss. Giardina F., La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, p. 136-137 Graziadei M., Autodeterminazione e consenso all’atto medico, in I diritti in medicina, in S. Rodotà - P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto, in L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011, p. 191 ss. Graziadei M., Dal consenso alla consensualità nelle relazioni di cura, in Atti del convegno Un nuovo diritto per la relazione di cura? Dopo la legge 2019 del /2017, in Responsabilità medica, 1, 2019, p. 37 ss. Gusmai A., Il diritto all’autodeterminazione: una libertà “perimetrata” dal sapere scientifico?, in www.dirittifondamentali.it, 3 marzo 2019 La Rosa E., La disciplina della responsabilità genitoriale, sub art. 316, in G. Di Rosa (cur.), Della famiglia, vol. II, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, Milano, 2018, p. 625 ss. La Rosa E., Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005 Lenti L., Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, in S. Rodotà P. Zatti (dir.), Trattato di biodiritto, in L. Lenti - E. Palermo Fabbris - P. Zatti (cur.), I diritti in medicina, Milano, 2011, p. 453 Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 Lucchini Guastalla E., Il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali: i principi ispiratori, in Contr. Impr., 2018, p. 106 ss. M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, Padova, 2007 Marini G., Il Consenso dell’avente diritto, in Noviss. dig. ital, Appendice, II, Torino, 1981, p. 402 ss. Marini G., Il Consenso, in S. Rodotà - M. Tallacchini (cur.), Ambito e Fonti del biodiritto, in S. Rodotà - P. Zatti (cur.) Trattato di biodiritto, Milano, 2010, p. 361 ss. Marini G., La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, p. 359 ss. Marozzo della Rocca P., Responsabilità civile e minore di età, Napoli, 1994 Marwick A.E. - Murgia Diaz D. - Palfrey J., Youth, Privacy and Reputation, in Literature Review of Berkman Center and Harvard Law School, 29 marzo 2010 Mazzamuto S., Il principio del consenso e il problema della revoca, in R. Panetta (cur.), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano 1996, p. 994 ss. Montaluri V., La protezione dei dati personali e il minore, in V. Cuffaro - R. d’Orazio - V. Ricciuto (cur.), I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2019, p. 275 ss. Montelero A., Il costo della privacy tra valore della persona e ragioni d’impresa, Milano, 2007, p. 318 ss. Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 473 Montelero A., Il nuovo approccio alla valutazione del rischio nella sicurezza dei dati, in G. Finocchiaro (dir.), Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017, p. 287 ss. Naddeo F., Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2018, p. 27 ss. Negri S. (cur.), Self-Determination, Dignity and End-of-life care, Regulating Advance Directives in International and Comparative Perspective, 2011 Nicolussi A., Testamento biologico e problemi del fine-vita: verso un bilanciamento di valori o un nuovo dogma della volontà?, in Eur. e dir. priv., 2013, p. 468 ss. Nitti M., La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale, in Fam. Dir., 4, 2018, p. 392 ss. Orofino M. - Pizzetti F.G. (cur.), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018 Orofino M., Minori e diritto alla protezione dei dati personali, in M. Orofino - F.G. Pizzetti (cur.), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018, p. 1 ss. Palmeri G., Diritti senza poteri, la condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 61 Pasquino T., Autodeterminazione e dignità della morte, Milano, 2009, p. 98 Patti S., Commento all’art. 23, in C.M. Bianca - F.D. Busnelli (cur.), La protezione dei dati personali. Commento al D. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice della Privacy”), Padova, 2007, p. 543 ss. Patti S., Famiglia responsabilità civile, Milano, 1984, p. 232 ss. Patti S., Il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir. civ., 1999, p. 461 ss. Perlingieri C., Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 88 Perlingieri P., La persona e i suoi diritti. Problemi di diritto civile, Milano, 2005 Piccinni M.A., Il consenso al trattamento medico del minore, Padova, 2007, p. 278 ss. Piraino F., Il regolamento generale sulla protezione dei dati personali e i diritti dell’interessato, in Nuov. leg. civ. comm., 2, 2017, p. 369 ss. Ramaccioni G., La protezione dei dati personali e il danno non patrimoniale, Napoli, 2017 Rescigno P., voce Personalità (diritti della), in Enc. gir. Treccani, vol. XXVI, p. 1 ss. Resta G. - Zeno-Zencovich V., Volontà e consenso nella fruizione dei servizi di rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss. Resta G., Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005. Resta G., Dignità, persone, mercati, Torino, 2014, p. 73 e ss. Resta G., Revoca del consenso ed interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 299 ss. Ricciuto V., La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 689 ss. Rodotà S., Dal soggetto alla persona, Napoli, 2007, pp. 24-25 474 The best interest of the child Rodotà S., Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzionali, in A. Galasso - S. Mazzarese (cur.), Il principio di gratuita, Milano, 2008, p. 104 ss. Rodotà S., Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2015, p. 279 Rodotà S., Il mondo nella rete, quali i diritti e quali i vincoli, Roma-Bari, 2014, p. 32 ss. Rodotà S., Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 72 ss. Rodotà S., Privacy e costruzione della sfera privata, in Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 101 ss. Rodotà S., Protezione dei dati e circolazione delle informazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 600 ss. Ruscello F., Potestà genitoriale e capacità dei figli minori: dalla soggezione all’autonomia, in Vita notarile, 2000, p. 57 ss. Rusconi C., Minore età e responsabilità dei genitori e degli insegnanti, in Jus civile, 2014, 3, p. 105 ss. Scalisi V., Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 Scalisi V., L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018, p. 8. Senigaglia R., Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, 4, p. 1318 ss. Senigaglia R., Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013 Simitis S., Il consenso giuridico e politico della tutela della privacy, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 575 ss. Spoto G., Disciplina del consenso e tutela del minore, in S. Sica - V. D’Antonio G.M. Riccio, La nuova disciplina della privacy, Milano-Padova, 2016, p. 112 ss.; Stanzione P., Capacità e minore di età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 360 ss. Thiene A., Ragazzi perduti on line: illeciti dei minori e responsabilità dei genitori, in Nuov. giur. civ. comm, 2018, 11, p. 1618 ss. Thiene A., Riservatezza e autodeterminazione del minore nelle scelte esistenziali, in Fam. dir., 2017, p. 172 ss. Thobani S., Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018 Thobani S., Il consenso al trattamento dei dati come condizione per la fornitura dei servizi on line, in C. Perlingieri - L. Ruggeri (cur.), Atti del convegno Internet e diritto civile, (Camerino, 26-27 settembre 2014), Napoli, 2015 Turri G.C., Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in Quest. Giust., 2000, p. 3 ss. Urciuoli M.A., Situazioni esistenziali ed autodeterminazione della persona, Napoli, 2018 Persona minore di età e libertà di autodeterminazione 475 Viola F., I diritti e le età della vita, in Lavoro sociale, vol. 13, 2013 Viola F., Nell’interesse del minore tra sfide vecchie e nuove, Relazione al Convegno internazionale “prendiamoci cura di me. Servizi, scuole, famiglie per la tutela dei minori, Rimini, 9-10 novembre 2018 Warren S. - Brandeis L., The right to privacy, 1890, 4 Harvard Law Review, p. 193. Zatti P., Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in Riv. di BioDiritto, 1, 2017, p. 185-188. Zatti P., La via (crucis) verso un diritto della relazione di cura, Riv. crit. dir. priv., 2017, 1, p. 3 ss. Zatti P., Maschere del diritto, volti della vita, Milano, 2009, p. 124. Zatti P., Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, p. 178 ss. Zatti P., Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civile comm., 2018, p. 247 ss. Zeno - Zencovich, V. voce Personalità (diritti della), Dig. disc. priv., sez. civ., 1995, vol. XIII, p. 340 ss. Zeno-Zencovich V., Il Consenso informato e la autodeterminazione informativa nella prima decisione del garante, in Corr. giur., 1997, VIII, p. 915-917 Zeno-Zencovich V., Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, in V. Cuffaro - V. Ricciuto - V. Zeno-Zencovich (cur.), Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, p. 168 ss. Il migliore interesse del bambino in condizione terminale: i rischi della sottovalutazione degli aspetti psicologici durante l’ospedalizzazione Giovanna Leone Sommario: 1. Introduzione. – 2. Spitz e Bowlby: due rivoluzioni teoriche nella comprensione dei bisogni primari del bambino. –3. La deprivazione delle cure materne e la minaccia ai legami di attaccamento: l’ospedalizzazione vista con gli occhi del bambino. – 4. Un messaggio dal fronte: le riflessioni degli operatori della oncologia pediatrica. – 5. Il peggior interesse del bambino: l’esplodere del conflitto tra adulti nelle situazioni di malattia terminale. 1. Introduzione Nel ringraziare per l’invito a contribuire a un volume così importante, vorrei offrire il mio punto di vista di psicologa sociale su un tema che, sia pure di rilevanza cruciale, mi sembra attualmente ancora non completamente esplorato in tutta la sua complessità: cioè l’attenzione ai bisogni psicologici del bambino in condizione terminale. Questi bisogni sono parte integrante dell’ampia definizione degli interessi del bambino malato, proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), che sottolinea come fondamentali non solo il controllo del dolore e dell’insorgenza di nuovi sintomi, ma anche la consapevolezza dei problemi psicologici, sociali e spirituali che il bambino deve affrontare quando si trova in una condizione terminale (WHO, 1998). Malgrado questo alto riconoscimento, tuttavia, il tema dei bisogni psicologici del bambino in condizione terminale va affrontato nella sua concretezza. Da una parte, sembra indispensabile tenere conto delle importanti conoscenze teoriche che la psicologia dello sviluppo ha ormai raggiunto nella comprensione dell’esperienza di malattia del bambino; dall’altra parte, molto si può apprendere dalla riflessione di 478 The best interest of the child coloro che, lavorando da decenni con i bambini malati e con le loro famiglie, sono divenuti osservatori privilegiati della sensibilità dimostrata ai bisogni psicologici dei bambini nelle corso delle cure che vengono loro effettivamente prestate – sensibilità che, se non tradotta in pratiche operative concrete, rischia di rimanere nell’algido e irrilevante ambito delle sterili evocazioni di principio. Lo scopo di questo mio breve intervento è rendere conto per sommi capi della complessità di questo tema, per sua natura campo elettivo di ricerca-azione della psicologia, proponendo alcuni spunti di riflessione del modo in cui il principio basilare di difesa del miglior interesse del bambino si incarna in questo tipo specifico di esperienza di vita. Per raggiungere per quanto mi è possibile questo scopo, ricorderò in primo luogo alcuni avanzamenti teorici classici, che hanno segnato un punto di svolta nello studio della psicologia del bambino ospedalizzato. Questi studi hanno modificato definitivamente la consapevolezza dei principali bisogni del bambino di cui è indispensabile tener conto, quando si organizza e si realizza una prassi di cura rivolta a bambini che si trovano in situazioni cliniche critiche. In secondo luogo, mi riferirò ad alcune recenti pubblicazioni basate sulle esperienze degli operatori, che hanno deciso di comunicare le loro riflessioni su quell’apprendimento nato dall’esperienza che è proprio solo di chi si confronta su questi temi dalla “prima linea” della clinica giornaliera (M.M. Stevens et al., 2010). Alla luce di questa brevissima rassegna di questi aspetti della più vasta letteratura psicologica esistente su questi temi, cercherò infine di considerare i gravi problemi giuridici ed etici emersi in alcuni recenti episodi di cronaca, rileggendoli alla luce delle raccomandazioni di azione desumibili dalle teorie classiche e dalla riflessione degli operatori. A mio avviso questi episodi evidenziano quanto ancora ci sia da fare per tradurre gli imperativi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in prassi consolidate di protezione psicologica del bambino che si confronta con l’esperienza della sofferenza e della morte. 2. Spitz e Bowlby: due rivoluzioni teoriche nella comprensione dei bisogni primari del bambino Per sintetizzare quanto di fondamentale è stato affermato dalla ricerca psicologica nel campo del rapporto tra bambino e cure ospedaliere, appare indispensabile richiamare in primo luogo – sia pure per sommi capi – il contributo classico dei lavori di Spitz e di Bowlby. Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 479 L’impatto dirompente delle pionieristiche osservazioni che Spitz condusse negli USA sui bambini ospedalizzati, immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è ben noto. L’innovatività di tali studi non può essere disgiunta dalle circostanze eccezionali che caratterizzarono la vita dell’Autore. Spitz era un medico ungherese che aveva studiato con Freud. Per strutturare il suo rapporto con questo giovane ed eccezionale collega, il fondatore della psicoanalisi scelse di adottare per la prima volta la formula della cosiddetta “analisi didattica”, che in seguito riservò ai suoi collaboratori più promettenti (J. Palombo - B.J. Koch – H.K. Bendicsen, 2009). Dopo aver trascorso una prima parte della sua formazione e della sua carriera clinica a fianco di Freud, a somiglianza del suo mentore anche Spitz dovette abbandonare Vienna a causa delle persecuzioni razziali. Dopo un periodo di attività in Francia nel 1938, con il dilagare della minaccia nazista in Europa, Spitz si trasferì negli USA. In questo nuovo contesto lavorativo, fu per decenni analista supervisore e membro di Facoltà del New York Psychoanalytic Institute, diventando un punto di riferimento sul tema dei danni causati nel bambino dalla deprivazione precoce di cure materne. A partire dalla sua lunga e accurata osservazione dei bambini separati dalla madre perché ospedalizzati, Spitz (1945) era infatti giunto ad individuare con precisione i gravissimi danni originati da questa separazione, non solo a livello dello sviluppo psicologico del bambino, ma anche relativamente al suo stato biologico complessivo. Spitz comprese in tal modo come la deprivazione di cure materne in ospedale giungesse a causare ritardi accentuati nella crescita e nello sviluppo e, in casi estremi, anche la morte del bambino. Gli studi di Spitz fornirono la prima, drammatica evidenza empirica del grado in cui lo sviluppo psicologico e la salute fisica del bambino dipendano dall’esperienza sensoriale insostituibile provata giornalmente nelle tenere interazioni con i genitori, e nelle vivaci interazioni sociali assicurate dal contesto familiare. Questa evidenza scientifica incontrovertibile fece nascere negli operatori e decisori da cui dipendeva la gestione concreta degli ospedali la consapevolezza di dover cambiare in profondità l’organizzazione ospedaliera, per consentire al bambino di continuare per quanto possibile a sperimentare le cure materne e genitoriali anche durante il ricovero. Approfondendo e ampliando gli studi pionieristici sui rischi legati alla deprivazione precoce delle cure materne, a partire dagli anni ‘50 Bowlby ideò e perfezionò nel tempo la sua fondamentale teoria dell’attaccamento, 480 The best interest of the child forse uno dei più maestosi edifici teorici di comprensione del modo in cui le primissime relazioni tra neonato e figure di accudimento (in primo luogo, ma non esclusivamente, la madre) strutturino tutte le relazioni sociali successive. Infatti, attraverso il modo ripetuto in cui, fin dalle sue prime interazioni con il neonato, la madre risponde ai richiami (vagiti, pianti, proteste) emessi dal figlio in difficoltà, si strutturano gradualmente nel tempo i Modelli Operativi Interni (MOI) che guideranno da allora in poi, nel corso di tutta la sua vita, ogni nuovo individuo a prevedere cosa potrà aspettarsi dalle relazioni intime e, più in generale, in tutte quelle situazioni in cui ha bisogno di essere aiutato. I MOI sono altamente stabili perché, essendo acquisiti in età precocissima, non sono stati sottoposti a quel controllo consapevole che può emergere solo nelle fasi successive dello sviluppo mentale, con l’acquisizione del linguaggio e della capacità di riflessione critica cosciente sulle proprie esperienze. Il carattere in larga parte irriflesso di tale influenza precoce è tanto più importante, se si considera quanto i MOI costruiscano non solo la rappresentazione delle relazioni con gli altri e del mondo sociale più in generale, ma anche l’immagine che la persona sviluppa di sé. A seconda delle primissime esperienze relazionali con la madre, infatti, ognuno apprende a vedersi come persona degna di attenzione e di cura, oppure come persona che si trova a confrontarsi con un ambiente incerto e imprevedibile, o infine come un individuo isolato che deve far conto solo su di sé e sulle proprie forze. Grazie alla loro precocità, centralità e difficoltà di autocritica cosciente, infine, i MOI si trasmettono frequentemente alla generazione seguente, così che ognuno tenderà a ripetere gli stili di attaccamento che ha vissuto nell’infanzia nel rapporto con i propri figli. Per arrivare a questa teorizzazione complessa, il lavoro di Bowlby, ispirandosi alle opzioni metodologiche dell’etologia, prese le mosse dall’osservazione diretta dei comportamenti di esplorazione che i bambini compiono spontaneamente, in presenza della madre, negli ambienti in cui si svolge la loro vita (la casa, gli spazi giochi, la scuola). Bowlby si accorse in tal modo che alcuni bambini esplorano attivamente l’ambiente, ritornando dalla madre solo in caso di bisogno, ad esempio se si spaventano o si fanno male. Altri, invece, si allontanano con difficoltà dalla madre, e cercano frequenti rassicurazioni anche quando non devono affrontare particolari difficoltà ambientali. Infine, altri bambini sembrano del tutto indifferenti alla presenza materna, e non vi ricorrono in caso di bisogno, affrontando da soli l’ambiente senza chiedere mai l’aiuto della madre. Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 481 Da queste prime osservazioni, e tenendo conto dello stato di completa inettitudine alla nascita del neonato umano, Bowlby avanzò l’ipotesi che la madre, e le altre figure che si prendono stabilmente cura del bambino, siano evolutivamente portate a rispondere immediatamente ai richiami emessi in modo innato dal bambino. Questa continua interazione tra adulto e neonato struttura nel tempo una relazione specifica tra il bambino e chi si occupa di lui (in genere prevalentemente, sia pure non esclusivamente, la madre), che l’Autore definì relazione di attaccamento. Contributi successivi (M.D.S. Ainsworth et al, 1978; M.D.S. Ainsworth - B.A. Witting, 1969) chiarirono meglio come la figura di attaccamento possa costruire la sua relazione con il bambino attraverso diversi stili di attaccamento. Se la madre è sensibile al richiamo di aiuto del bambino e risponde tempestivamente, ciò consolida un attaccamento sicuro. Il bambino saprà di poter essere sempre aiutato se richiede vicinanza e supporto dalla madre e dalle altre figure che possono svolgere un ruolo di attaccamento (il padre, i nonni, i fratelli maggiori…). Ciò lo porterà a esplorare con intraprendenza e coraggio l’ambiente in cui vive, sapendo di poter contare su una base sicura cui tornare in caso di bisogno. Tuttavia, un genitore che abbia vissuto nell’infanzia una relazione di attaccamento insicuro ansioso con le proprie figure di riferimento tenderà ad avvicinarsi al bambino non solo a seguito dei suoi richiami, ma anche per una propria rassicurazione, cioè in assenza di bisogno del neonato; questa interazione, che all’inizio serve per placare l’ansia materna, in seguito diviene anche il modello relazionale del bambino, che richiede continue rassicurazioni e vicinanza pur in assenza di bisogno, diminuendo il raggio di un’esplorazione spontanea che lo allontanerebbe dalle figure di accudimento. Infine, il genitore di un neonato può essere stato allevato in una situazione in cui le sue figure di accudimento hanno ignorato i suoi segnali spontanei, timorosi di seguirne e incrementarne i “capricci”. Questo stile di educazione, diffuso spesso tramite consigli dati in buona fede ai neo-genitori, rallenta la tendenza spontanea degli adulti ad accorrere prontamente al segnale del bambino, incitandoli a fornire assistenza al piccolo solo quando appare adeguato farlo (ad esempio, nutrendolo secondo orari prefissati e non su richiesta). In questo caso, l’adulto orienta il suo piccolo verso una seconda forma di attaccamento insicuro, definita evitante, in cui il bambino impara ad aspettare l’iniziativa dell’adulto, evitando di chiedere attivamente aiuto. Spesso il comportamento evitante è lodato 482 The best interest of the child dagli adulti, in quanto il bambino è apparentemente indipendente in tutte le situazioni; ma si tratta di un’indipendenza forzata, che rende molto difficile per il bambino esprimere in caso di bisogno una richiesta spontanea di vicinanza e conforto, riducendo così la sua capacità di resistenza nelle situazioni difficili e rischiose. Come si vede, gli adulti tendono dunque a ripetere inconsapevolmente con i figlio le esperienze di relazione avute con i propri genitori, appunto tramite i Modelli Operativi Interni di strutturazione relazionale acquisiti nell’infanzia. Tuttavia, questa tendenza a ripetere uno stile di attaccamento ansioso o evitante può essere corretta dal tipo di relazione instaurato con il partner – ma solo se il partner ha ricevuto un attaccamento sicuro nell’infanzia e replica questa sua esperienza anche nelle sue relazioni intime adulte. 3. La deprivazione delle cure materne e la minaccia ai legami di attaccamento: l’ospedalizzazione vista con gli occhi del bambino Ho richiamato per sommi capi le teorie classiche di Spitz e Bowlby perché spiegano molto bene i rischi psicologici cui è esposto un bambino ospedalizzato; rischi che si moltiplicano quando la situazione è molto seria e richiede cure prolungate e dolorose, che il bambino vede con sconcerto come inspiegabilmente “autorizzate” dai suoi genitori. Se sottovalutata dalla struttura ospedaliera, la deprivazione della vicinanza continua e affettuosa dei familiari, il ridursi degli spazi di tenerezza e d’intimità garantiti da quella convivenza familiare quotidiana che l’ospedalizzazione interrompe, possono portare il bambino nello stato di “depressione anaclitica” ben descritto per la prima volta da Spitz (1945). D’altro canto, l’allontanamento dalla base sicura delle sue figure di attaccamento proprio nei momenti più critici e dolorosi dei trattamenti ospedalieri provoca nel bambino disorientamento, ansia, rabbia e tristezza, minacciandone anche l’immagine interiore di bambino degno di cura e attenzione, e portandolo a dubitare della sua amabilità. La convinzione di essere amabile, infatti, nel corso dell’infanzia va continuamente riconfermata dalla vicinanza giornalmente esperita con la propria figura di attaccamento. Al contrario, questa convinzione di essere prezioso e degno di attenzione e protezione può smentirsi dolorosamente se, agli occhi del bambino, il genitore sembra essere diventato inspiegabilmente insensibile e non accorre più in sua Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 483 difesa, quando il bambino manifesta con il suo pianto e il suo richiamo il bisogno di essere sottratto a situazioni che lo sovrastano in modo minaccioso e doloroso. Con la sua noiosa routine giornaliera, tanto diversa dalla vita quotidiana precedente fatta di vivaci relazioni con i familiari, a scuola, e di rapporti con gli amici, l’ospedale spinge ogni bambino in uno stato di deprivazione di cure materne, che va attentamente contrastato consentendo quanto più possibile l’interazione prolungata e costante del bambino con i propri cari, a partire in primo luogo dai genitori. Ma, quando la malattia minaccia la sopravvivenza del piccolo, le imposizioni del trattamento ospedaliero hanno il sopravvento su questa fragile ricostruzione di quotidianità, e il bambino rischia di vivere la sua sofferenza all’interno di quella che per lui è la più grande e definitiva catastrofe, cioè la separazione dalle figure di attaccamento. A partire dalla consapevolezza dei risultati di queste grandi ricerche classiche che abbiamo ricordato per sommi capi, gli operatori che lavorano con i bambini affetti da malattie che ne minacciano la sopravvivenza riflettono da decenni su come sia possibile organizzare praticamente il proprio lavoro, in modo da contenere al massimo questi gravi rischi psicologici per il bambino, che minano alla base le possibilità stesse di resistenza e di reazione vitale del loro piccolo paziente. Passeremo ora brevemente in rassegna la riflessione dei clinici rispetto a queste situazioni difficili, soffermandoci sul caso forse più informativo, relativo alla cura dei bambini in condizioni terminali; un momento in cui, deposta ogni illusione di invincibilità medica, operatori e familiari si trovano di fronte al compito più difficile di tutti – accompagnare nel modo più sensibile, competente e affettuoso possibile il bambino a loro affidato verso la fine della sua vita. 4. Un messaggio dal fronte: le riflessioni degli operatori della oncologia pediatrica Nel 2010, un gruppo di operatori di lunga esperienza del reparto di oncologia pediatrica dell’Ospedale di Westmead a Sydney, in Australia, ha deciso di condensare nel capitolo di un libro dedicato al modo in cui i bambini incontrano la morte la propria lunga esperienza di intervento clinico (M.M. Stevens - R.J. Sytmeister - M.T. Proctor - P. Bolster, 2010). Presenterò con qualche dettaglio il loro scritto, perché a mio avviso è un interessante esempio di come i problemi teorici evidenziati nelle 484 The best interest of the child teorie classiche, relative alle conseguenze per i bambini di esperienze di separazione traumatica dalle figure di attaccamento, si colleghino alla rielaborazione concreta di operatori posti giornalmente di fronte a questo tipo di problemi. Nel loro reparto, questi clinici avevano incontrato in decenni di esperienza più di 3600 pazienti. Di questi, circa 2600 erano sopravvissuti; ma 997 erano deceduti, a volte dopo pochi giorni dal ricovero, a volte dopo un periodo di cura che si era prolungato anche per anni. Nella sintesi della loro esperienza, gli operatori propongono in primo luogo di distinguere le situazioni estreme in cui si trovano i loro piccoli pazienti in due grandi categorie: le malattie che minacciano la vita e le malattie che limitano la vita. Le prime sono malattie “potenzialmente curabili, ma che possono rivelarsi fatali se i trattamenti falliscono o se si verificano complicazioni fatali durante il trattamento”. Le seconde sono “gravi malattie infantili di natura progressiva e infine minacciosa per la vita, per cui non sono ancora disponibili al momento cure adeguate e per cui il team dei curanti non si aspetta che il paziente possa sopravvivere oltre la prima età adulta” (M.M. Stevens - R.J. Sytmeister - M.T. Proctor - P. Bolster, 2010, p. 147-148). In sintesi, la differenza sta nel fatto che nelle malattie di minaccia della vita (lifethreathning) esiste una possibilità di cura, che appare invece irrealistica nelle malattie che mettono un limite alla vita (life-limiting) (S. Liben D. Papadatou - J. Wolfe, 2008, p. 852). Malgrado questa fondamentale differenza, l’aspetto che accomuna queste due categorie di diagnosi è il bisogno di sostenere il bambino nel suo far fronte alla possibilità di poter morire. Questo comune obiettivo, tuttavia, assume connotazioni diverse se lo si guarda dal punto di vista del bambino, della sua famiglia o dei suoi curanti. E ogni prassi operativa concreta nasce dunque dalla continua negoziazione tra questi tre diversi punti di vista. Sebbene con molti punti di sovrapposizione reciproci, infatti, le preoccupazioni (concerns) di questi tre protagonisti possono essere anche molto diverse ed entrare talvolta in frizione tra loro. Per considerare più in profondità le differenze tra le diverse prospettive del bambino, dei suoi familiari e dei suoi curanti dobbiamo analizzare la complessità delle dimensioni che modellano queste prospettive. Noteremo allora che la diversa percezione dei rischi creati dalla malattia può essere riferita a tre diversi livelli di cause: legate ad aspetti strettamente personali, o a posizionamenti sociali, o infine al più ampio dibattito culturale che investe la rappresentazione del fine vita. Commentando Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 485 tale complessità in un loro contributo di discussione sul tema, esperti in cure palliative pediatriche hanno elencato cause riferibili a “fattori personali come personalità, valori (che comprendono valori spirituali, religiosi, e culturali), abilità cognitiva, benessere, storia personale, ed esperienza; fattori socio-demografici, che comprendono l’età, il livello di educazione, e lo status economico; fattori contestuali che vanno dall’influenza dei pari alla disponibilità di risorse, o eventi salienti al momento, quali la forte attenzione dei media alla controversia sul fine vita” (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008, p. 853). È evidente tuttavia che questa tripartizione in cause personali, socio-demografiche e contestuali riguarda la prospettiva degli adulti. Al contrario, lo spazio di esperienza vitale del bambino, come abbiamo già in parte discusso in precedenza, è ancora totalmente centrato sulle relazioni con le figure di attaccamento e sull’esperienza della tenerezza genitoriale, e la rilettura della propria situazione può essere perciò profondamente diversa da quella degli adulti che lo circondano. Ogni sforzo fatto per agire nel migliore interesse del bambino dovrebbe tenere in conto in primo luogo di questa originalità del punto di vista del piccolo paziente; tuttavia, sono ancora relativamente poche le ricerche che si sono incaricate di studiarne la specificità. Certamente, questa scarsa esplorazione empirica può essere compresa alla luce della giusta preoccupazione di non sovraccaricare ulteriormente la già difficile situazione che il bambino si trova a vivere (S.A. Sartain - C.L. Clarke - R. Heyman, 2000). Tuttavia, esistono alcuni studiosi che hanno deciso di approfondire il punto di vista del bambino, arrivando a risultati sorprendenti. Queste ricerche sono basate su metodi di ricerca tipici dello studio di queste fasi precoci dell’evoluzione personale, quali l’uso di giochi, vignette e narrazioni, e usano forme di interrogazione diretta solo quando queste possono essere adattate al livello di comprensione e all’età del bambino. I loro risultati ben complementano quelli, basati ovviamente solo sull’osservazione diretta, dei bambini malati in fasi precocissime e pre-linguistiche, in cui si può usare solo l’osservazione del comportamento del bambino, costruendo le proprie griglie di osservazione a partire dalle previsioni teoriche classiche di Spitz e Bowlby. I dati di tipo verbale raccolti dallo studio della prospettiva da cui il bambino considera la sua situazione di malattia hanno mostrato che, quando vengono interrogati in modo adatto alla loro età, a partire dai 10 anni tutti i bambini sono non solo in grado, ma anche desiderosi di parlare della loro esperienza e delle decisioni che riguardano la possibile 486 The best interest of the child fine della loro vita (P.S. Hinds et al., 2005). Poiché si accetta ormai nella letteratura psicologica l’evidenza dell’esistenza di una consapevolezza della morte sia nei bambini malati che in quelli sani, non è più oggetto di controversia il fatto che anche il bambino sia un soggetto da tenere presente nelle pratiche attuali di consenso informato (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008). Inoltre, studi condotti con tecniche semiproiettive (giochi, invenzione di favole, commento di vignette) con bambini di età inferiore a 10 anni gravemente ammalati hanno dimostrato che l’esperienza personale è molto più importante della capacità cognitiva acquistata per il semplice avanzare dell’età nell’elaborare una riflessione sulla propria malattia. “Così, un bambino di 3 o 4 anni può comprendere ben di più della sua prognosi di un bambino intelligentissimo di 9. I bambini in condizione terminale non solo comprendono di stare per morire ben prima dell’imminenza della morte; mantengono anche segreta questa loro conoscenza, per evitare di causare ulteriore dolore nei loro genitori e per ridurre il rischio di essere abbandonati da chi amano e da chi ha cura di loro a causa dell’ansia causata da questa loro rivelazione. Invece, i bambini, così come i loro genitori e chi si occupa delle cure, elaborano un minuzioso rituale di mutuo inganno, nel quale ognuno dei partecipanti ritiene che il paziente stia morendo, ma agisce come se il paziente debba sopravvivere” (M.M. Stevens - R.J. Sytmeister - M.T. Proctor - P. Bolster, 2010, p. 155). Se lo studio dei bambini che sono padroni del linguaggio, condotti con tecniche adeguate alla loro età, ha portato a concludere sulla presenza di una consapevolezza precoce dei piccoli in situazioni cliniche estreme, molto invece deve essere ancora capito delle fasi precedenti, in cui i bambini si trovano ancora in stadi pre-linguistici. È quindi molto raro che, nella definizione di ciò che può essere considerato l’interesse migliore di bambini di questa età in situazione terminale, venga tenuta presente non solo la reazione dei genitori e della famiglia, ma anche la reazione psicologica dei bambini stessi, sia pure riferita a situazioni in cui il bambino è ancora incapace di verbalizzare e simbolizzare le proprie esperienze. Eppure, quanto abbiamo appreso dagli studi sulle fasi più precoci dello sviluppo grazie all’apporto classico di Spitz e Bowlby e ai ricchissimi contributi di ricerca empirica che questi contributi pionieristici hanno ispirato, ci invita a riflettere su quali siano i rischi psicologici di fronte a una presa di decisione clinica che, se dibatte molto su tutti gli aspetti che riguardano il corpo del bambino, molto spesso Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 487 trascura la sua gravissima sofferenza psicologica. Questa mancata comprensione degli adulti espone il bambino a una sofferenza ulteriore, che il piccolo non sarà in grado di esprimere verbalmente e di rappresentarsi simbolicamente, ma che tuttavia proverà sicuramente, se sarà allontanato da quelle figure da cui dipende filogeneticamente ogni suo benessere psico-fisico. Anche il bambino che non sa ancora parlare e rappresentarsi mentalmente la sua angoscia, non può infatti non reagire alla carenza di cure materne e genitoriali, e al distacco dalle figure di attaccamento. La difficoltà di decidere in situazioni che già si configurano come e veri e propri dilemmi etici può essere dunque acuita in modo molto grave da questa sottovalutazione di una soggettività che, non potendo ancora comunicare compiutamente con padronanza linguistica il suo vissuto, rischia spesso di essere semplicemente ignorata. Abbiamo assistito in passato alla sottovalutazione sistematica degli adulti delle conseguenze della deprivazione della tenerezza materna, considerata irrilevante negli ospedali e negli orfanotrofi “scientifici” studiati nel dopoguerra da Spitz. Abbiamo dovuto lottare teoricamente contro la confusione tra una generica dipendenza infantile da qualsiasi adulto in grado di nutrirlo e curarlo accettabilmente e il bisogno psicologico di base del bambino di mantenere l’attaccamento con almeno un’altra persona con cui possa essere stabilmente legato – confusione che gli studi inaugurati da Bowlby hanno definitivamente risolto. Analogamente, per i bisogni psicologici del bambino piccolissimo, che non è ancora in grado di parlare e che si trova in situazione di malattia terminale, dobbiamo riconoscere di essere in presenza di un campo di indagine poco esplorato e sottovalutato. Se molto resta ancora da comprendere, le conoscenze sistematizzate da Spitz e Bowlby forniscono certamente una fondamentale traccia da cui partire, anche grazie alle tecnologie attuali che consentono di eseguire osservazioni molto più dettagliate di quelle possibili all’epoca di questi studi classici (si pensi solo, per citare alcuni esempi, alla possibilità attuale di tracciare il contatto oculare, o di riconoscere i micro-movimenti facciali che indicano le principali emozioni). Tuttavia, anche se ancora moltissima ricerca deve essere condotta per cercare di accompagnare un bambino nelle primissime fasi di sviluppo nell’esperienza del fine vita, alcune considerazioni possono certamente essere avanzate già da ora, per descrivere ciò che non bisogna fare per aggravare questi momenti già così dolorosi con un’ulteriore minaccia ai bisogni psicologici di base del bambino. 488 The best interest of the child 5. Il peggior interesse del bambino: l’esplodere del conflitto tra adulti nelle situazioni di malattia terminale Esistono purtroppo diversi casi recenti di cronaca che ci mostrano come il momento straziante del congedo precoce di un bambino dalla vita possa essere complicato da quella che è di sicuro una situazione nel peggiore interesse del bambino in condizioni di malattia terminale. Mi riferisco al conflitto che può esplodere tra gli adulti che si occupano di lui con diverse funzioni: funzioni di cura genitoriale e di attaccamento, e funzioni cliniche. Questo conflitto può arrivare fino al punto da richiedere l’arbitrato di un giudice; mentre la malattia che minaccia la vita del bambino continua inesorabilmente il suo corso. È nella memoria di tutti il caso del piccolo Charlie Gard. Anche se i suoi genitori chiedevano di poterlo accogliere a casa per i suoi ultimi giorni, dopo che i fondi raccolti dalla generosità popolare per tentare una cura sperimentale in America si erano rivelati inutili a causa del protrarsi della disputa con l’ospedale di Londra in cui era ricoverato, la giustizia inglese si è schierata con la volontà dei medici e ha ordinato la sospensione delle cure, perché il piccolo Charlie non poteva certamente guarire dalla sua malattia. Molto è stato discusso su questo scivolamento semantico tra inguaribilità e incurabilità, aspramente contestato da chi si occupa di cure palliative e di assistenza ai bambini chi vivono in una condizione terminale (S. Liben - D. Papadatou - J. Wolfe, 2008). L’impossibilità della Corte inglese di trovare una composizione accettabile tra tutti gli adulti coinvolti nella controversia, che è stata risolta con una decisione netta che ricorda la spada che Salomone usò come minaccia per concludere la disputa tra due donne che si dichiaravano entrambe madri di un bambino conteso, getta un’ombra inquietante sull’incapacità degli adulti di armonizzare senza violenza le proprie diverse prospettive nella gestione delle fasi terminali della vita di un bambino. Senza entrare nello specifico di una situazione così drammatica, che richiederebbe un lungo esame critico, l’esempio di questo caso recente dimostra che gli psicologi hanno ancora molto lavoro da fare per sottolineare che l’interesse di base del bambino non è solo evitare al massimo la sofferenza fisica, ma anche mantenere fino alla fine il legame e la convivenza con le figure di attaccamento, il cui equilibrio interiore va per quanto possibile preservato, perché da esso dipende quello del figlio. Solo ampliando e approfondendo le nostre ricerche Il migliore interesse del bambino in condizione terminale 489 sull’ambiente relazionale di base necessario al bambino in condizioni terminali, a partire dalle primissime fasi di sviluppo in cui il bambino non può ancora esprimere verbalmente né concettualizzare compiutamente i suoi vissuti, potremo dire come psicologi di aver contribuito a dare sostanza alla massima che dovrebbe muovere tutti gli adulti che si prendono cura di queste situazioni: Maxima debetur puero reverentia. Bibliografia Ainsworth M.D.S. - Blehar M.C. - Waters E., Wall S., Patterns of attachment: a psychological study of the Strange Situation, Hillsdale, , 1978 Ainsworth M.D.S. - Witting B.A., Attachment and exploratory behavior of oneyear olds in a Strange Situation, in B.M. Foss (cur.): Determinants of infant behavior, London, 1969, vol. 4., p. 11-136 Bowlby J., Attachment and loss: Vol 2. Separation, anxiety and anger, London, 1973 Bowlby J., Attachment, in R.L. Gregory (Ed.), The Oxford companion to the mind, Oxford, 1987, p. 57-58 Hinds P. S. - Drew D. - Oakes L.L. - Fouladi M. - Spunt S.L. - Church C. - Furman W.L., End-of-life care preferences of pediatric patients with cancer. Journal of Clinical Oncology, 2005, 23(36), p. 9146-9154 Liben S. - Papadatou D. - Wolfe J., Paediatric palliative care: challenges and emerging ideas. The Lancet, 371(9615), 2008, p. 852-864 Palombo J. - Koch B. J. - Bendicsen H.K., Rene Spitz (1887–1974), in Guide to Psychoanalytic Developmental Theories, New York, 2009, p. 81-94 Sartain S.A. - Clarke C.L. - Heyman R., Hearing the voices of children with chronic illness, in Journal of Advanced Nursing, 2000, 32, p. 913-921 Spitz R.A., Hospitalism: An inquiry into the genesis of psychiatric conditions in early childhood. Psychoanalytic Study of the Child, 1 1945, p. 53-74 Stevens M.M. - Sytmeister R.J. - Proctor M.T. - Bolster P, Children Living with Life-Threatening or Life-Limiting Illnesses: A Dispatch from the Front Lines. Children’s encounters with death, bereavement, and coping, 2010, p. 147-168 The best interest of the child tra persona e contratto Roberto Senigaglia Sommario: 1. Il superamento del dogma della capacità d’agire. – 2. Diritto all’ascolto e attività patrimoniale del minore di età. – 3. Capacità di discernimento, autodeterminazione e autonomia del minorenne. – 4. Segue. Dagli atti della vita quotidiana agli atti della vita corrente. – 5. Responsabilità genitoriale e interessi patrimoniali del figlio. – 6. Consenso al trattamento dei dati personali e consenso contrattuale. 1. Il superamento del dogma della capacità d’agire Gli itinerari teorici sull’interesse del minore di età sovente si imbattono nella questione della capacità di agire, del momento dell’esercizio dei diritti solennemente riconosciuti al soggetto, e dunque dello spazio di autodeterminazione al medesimo accordato dall’ordinamento. Si tratta di questioni fondamentali che la scienza giuridica domestica ha affrontato, in modo approfondito, già a partire dalla seconda metà del secolo scorso con importanti contributi1 volti a mettere in dubbio la tenuta del dogma della totale incapacità di agire del minore di età2, della sua inidoneità a esercitare i propri diritti con la conseguente esclusione dall’attività giuridica. 1 Il riferimento è principalmente a P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, rist. dell’edizione del 1975, Napoli, 2018, passim; F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, in Dir. fam., 1982, p. 61; F. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, passim; G. Palmeri, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 15 ss. 2 Il quadro storico e ideologico in cui tale concezione prende forma è ben tratteggiato da F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 5 ss., spec. p. 49 ss. V. inoltre F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, IX ed., Milano, 1957, p. 236. 492 The best interest of the child Il superamento del dogma, tuttavia, è riuscito soltanto in parte e principalmente facendo leva su un altro assioma dogmatico: quello della distinzione tra atti patrimoniali e atti non patrimoniali3. Questa la sintesi del ragionamento è: atteso che la capacità di agire è un istituto di diritto patrimoniale, sì come la rappresentanza associata allo stato di incapacità4, il criterio per definire l’idoneità del minorenne ad esercitare i propri diritti personali (non patrimoniali) va rintracciato in un altro ambito problematico, diverso da quello della capacità di agire5. Sull’onda del personalismo costituzionale e nella prospettiva metodologica dell’interpretazione costituzionalmente orientata, presi a referenti normativi principalmente gli artt. 2 e 3 Cost., si è così giunti a riconoscere in capo al minorenne munito della capacità di discernimento, ovvero della maturità che consente di distinguere ciò che è conforme da ciò che è contrario al proprio interesse, il potere di autodeterminarsi in ordine ai propri interessi di natura personale. Considerato, infatti, che rispetto ai diritti posti a tutela di tali interessi intimamente legati alla persona – che trovano la loro sintesi assiologica nell’identità personale – titolarità ed esercizio sono per definizione inseparabili – poiché l’uno si svolge nell’esplicazione della personalità del soggetto cui fa capo l’altra – nel momento in cui nell’individuo prende forma la sua identità l’esercizio dei diritti personali non può che spettare direttamente a lui soltanto. Di qui la lettura delle singole previsioni normative, contenute nel e fuori dal codice civile6, le quali riconoscono al minorenne margini di autonomia decisionale (come nell’ipotesi di matrimonio, riconoscimento del figlio, consenso al riconoscimento del genitore, interruzione volontaria della gravidanza, accesso ai mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile, richiesta del tossicodipendente di essere sottoposto ad accertamenti 3 Si veda, in proposito, S. Thobani, Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018, p. 54 ss. 4 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 61. 5 P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 67 ss. 6 Una rassegna di queste ipotesi in P. Vercellone, Gli aspetti personali della potestà dei genitori, in G. Collura - L. Lenti - M. Mantovani (cur.), Filiazione, in P. Zatti (dir.) Tratt. dir. fam., vol. II, II ed., Milano, 2012, p. 1245 ss.; M. Piccinni, I minori di età, in C.M. Mazzoni - M. Piccinni, La persona fisica, in G. Iudica - P. Zatti (cur.), Tratt. dir. priv., Milano, 2016, p. 404 ss.; A.C. Moro, in M. Dossetti - C. Moretti - M. Moretti - P. Morozzo della Rocca - S. Vittorini Giuliano (cur.), Manuale di diritto minorile, VI ed. Bologna, 2019, p. 380 ss. The best interest of the child tra persona e contratto 493 diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo, scelta dello studente di scuola secondaria di secondo grado di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, ecc.), non più in termini di eccezioni alla regola generale dell’incapacità totale d’agire, bensì come espressioni specifiche del principio generale espresso dall’art. 2 Cost. 7. Il quale si riferisce all’uomo in quanto tale, senza distinzioni di età, riconoscendogli i diritti inviolabili “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; l’articolo seguente, poi, indica, quale compito della Repubblica, quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2, Cost.). Svolgimento della personalità e sviluppo della persona umana implicano il dinamismo relazionale, che si attua nella realizzazione, senza interruzioni, degli interessi individuali, identitari. In definitiva, al soggetto minore di età che sia passato dalla fase di etero-edificazione (specie ad opera dei genitori) dell’identità personale alla fase di auto-affermazione della stessa, e dunque alla maturazione della capacità di discernimento, deve essere ragionevolmente riconosciuto il potere di attuare i propri diritti personali, quelli cioè posti a tutela dell’essere identitario. Sì che, anche nelle ipotesi in cui la legge prevede che la volontà debba essere espressa (recte manifestata) dal genitore, come nel caso del consenso/rifiuto ai trattamenti sanitari (art. 3, legge n. 219/2017), il ruolo genitoriale è quello di trasmettere, in senso formale, la volontà liberamente esternata nella relativa scelta dal figlio capace di discernimento. In breve, il ruolo del genitore non coincide tanto con quello tecnicamente assegnato al rappresentante, in funzione cioè sostitutiva, bensì si inscrive nel senso della cura, della partecipazione al best interest sì come individuato dal figlio, di assistenza in funzione di controllo della libertà decisionale8. 7 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 61. V. inoltre F. Giardina, I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 1390; L. Tafaro, L’età per l’attività, Napoli, 2018, p. 241 ss.; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, p. 20 ss.; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, Padova, 2007, p. 23 ss.; A. Nicolussi, voce Autonomia privata e diritti della persona, in Enc. dir., Annali 2007, Milano, 2011, p. 149 ss.; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, Torino, 2012, p. 27 ss. 8 Ci sia consentito rinviare in proposito al nostro “Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, p. 1318 ss. 494 The best interest of the child A fronte di tale approdo ermeneutico, riguardante il profilo dell’esercizio dei diritti personali, più critico e comunque meno diffuso è l’approccio al margine di autonomia contrattuale del minore di età, più in generale alla sfera degli interessi patrimoniali facenti capo al medesimo, la cui attinenza all’ambito applicativo della capacità di agire ha condotto, in prevalenza, a limitare quello spazio di autonomia agli atti della vita quotidiana o agli atti giuridici in senso stretto. Per il resto, il minorenne è ritenuto incapace di contrarre, proprio perché incapace di agire; tant’è che il contratto da lui eventualmente concluso è da considerarsi affetto da “invalidità”, sub specie di annullabilità. Ebbene, al cospetto del sistema assiologico che attualmente ordina il diritto minorile, tale assunto esige di essere sottoposto a una critica ricostruttiva: è proprio nel dialogo ermeneutico tra principi, regole e realtà sociale9 che è dato cogliere in capo al soggetto minorenne munito della capacità di discernimento l’idoneità a realizzare i propri interessi patrimoniali e quindi a concludere contratti. 2. Diritto all’ascolto e attività patrimoniale del minore di età La conclusione appena abbozzata richiede argomenti a supporto nonché la definizione dei limiti, per lo più procedurali, dell’ambito operativo della capacità contrattuale, resi necessari dalla situazione (sia pure residuale) di vulnerabilità in cui il soggetto minorenne comunque versa e dalle esigenze di tutela della sicurezza dei traffici giuridici. Ora, la inter-comunicazione della rete delle fonti multilivello10, le quali considerano il minore di età nella sua dimensione relazionale e istituiscono principi che reclamano l’adeguamento delle relative regole11, proietta l’immagine di un soggetto la realizzazione dei cui diritti soggettivi è presidiata da una trama valoriale che ordina il sistema 9 Su tale approccio metodologico si rinvia, in particolare, a L. Mengoni, Il “diritto vivente” come categoria ermeneutica, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 149 ss.; V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio “personalista” in Italia e nell’Unione europea, in Riv. dir. civ., 2010, p. 146 ss. 10 Il riferimento è principalmente ai principi espressi dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali UE, dalla Convenzione EDU, ma anche dalle fonti internazionali più strettamente dedicate al minorenne, vale a dire alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176) e alla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 (ratificata dall’Italia con l. 20 marzo 2003, n. 77). 11 In proposito v. F. Giardina, “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1611 ss.; C. Camardi, Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo, The best interest of the child tra persona e contratto 495 delle relazioni con soggetti minori di età e le cui coordinate sono: a) la considerazione preminente dell’interesse superiore del fanciullo in tutte le decisioni che lo riguardano; b) il diritto del minorenne, munito della capacità di discernimento, di esprimere liberamente la propria opinione sulle questioni che lo interessano; c) la necessaria considerazione dell’opinione così espressa, tenendo conto dell’età e del grado di maturità dell’interessato; d) il diritto del minore di essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano. Un impianto fondativo, questo, che oltre a veicolare l’attività ermeneutica in funzione della realizzazione del superiore interesse del minore, esige un mutamento di prospettiva nella ricostruzione del tipo di problema di cui ci stiamo occupando: non più quella dell’adulto ma quella, appunto, del best interest of the child12. Da questo punto di vista, l’art. 2 c.c. si presta di più a una lettura “in positivo”, che veda nel compimento del diciottesimo anno di età non tanto il passaggio fulmineo da uno stato di incapacità a uno di capacità bensì il momento in cui il soggetto acquisisce la pienezza del potere di autodeterminarsi, di “compiere tutti gli atti”, senza tuttavia escludere che prima di questo istante, strettamente anagrafico, egli possa porre in essere autonomamente atti di esercizio dei propri diritti13. La prospettiva del superiore interesse del minore è stata pervasivamente assunta anche dal legislatore della riforma del diritto della filiazione, il quale ha inserito nel codice civile una norma che esprime la direttiva di ogni percorso valutativo concernente il rapporto genitori-figli, strutturato non più all’insegna del binomio potere-soggezione bensì di quello cura-partecipazione14; si tratta dell’art. 315 bis c.c., il cui inserimento Torino, 2017, p. 184 ss.; E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, p. 168 ss. 12 Cfr. E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, p. 80 ss.; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 5 ss.; M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente legge n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, II, p. 205 ss.; L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss.; E. Lamarque, Prima di bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, passim, spec. p. 64 ss.; G. Recinto, Il superiore interesse del minore tra prospettive interne “adultocentriche” e scelte apparentemente “minorecentriche” della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., I, 2017, p. 3669 ss.; V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss. 13 Cfr. A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 24. 14 F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 64, già alla luce dei significati introdotti dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, è giunta a ritenere essersi 496 The best interest of the child nell’impianto del codice e nel titolo dedicato alla responsabilità genitoriale assume un valore simbolico e politico di portata sistematica e sistemica, nonostante recepisca significati già affermati in altri luoghi normativi. Ed è specialmente il riconoscimento al figlio minorenne che abbia compiuto i dodici anni di età o anche di età inferiore purché sia capace di discernimento del diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, che attiva i meccanismi di resilienza di cui è munito il sistema al fine di superare gli steccati dogmatici eretti all’insegna della capacità di agire, tra cui l’incapacità a contrarre del minore di età. Il diritto di ascolto, in quanto generato dalla capacità di discernimento dell’interessato, si traduce nel diritto del minorenne di far valere il proprio interesse nei percorsi valutativi che lo riguardano15. È un diritto il cui ambito operativo si estende a “tutte le questioni”, senza alcuna distinzione basata sul carattere patrimoniale o personale delle stesse; d’altronde, la stessa collocazione della norma nel Titolo dedicato alla responsabilità genitoriale e ai diritti e doveri del figlio, non può giustificare una distinzione sì fatta16. Ebbene, il riconoscimento del diritto all’ascolto fa sì che nel minore di età munito della capacità di discernimento si scorga l’interprete autentico del proprio best interest; sì che nel momento in cui tale soggetto esprime il proprio interesse nell’indirizzarsi a scelte personali o patrimoniali, queste scelte non possono che essere recepite. La questione sull’autodeterminazione e autonomia del minorenne ha senso dunque porsi con riguardo ai c.d. “grandi minori”, a quei soggetti cioè che sono muniti della capacità di discernimento17; la quale, nel attuata una modificazione della condizione giuridica del minore nella famiglia: “Non più soggezione ma protezione che, col maturare del soggetto, tende a divenire partecipazione alla vita del nucleo familiare”. Si veda, inoltre, P. Ronfani, Dal bambino protetto al bambino partecipante. Alcune riflessioni sull’attuazione dei “nuovi” diritti dei minori, in Soc. dir., 2001, p. 77 ss. 15 Sul diritto all’ascolto si rinvia a P. Ronfani, op. cit., p. 79 ss.; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 40 ss.; C.M. Bianca, Il diritto del minore all’ascolto, in Leggi civ. comm., 2013, p. 546 ss.; P. Virgadamo, L’ascolto del minore in famiglia e nelle procedure che lo riguardano, in Dir. fam., 2014, p. 1656 ss.; G. Ballarani, Il diritto all’ascolto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 129 ss.; I. Bitonti, Perenne attualità dell’istituto dell’ascolto del minore, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 1069 ss.; R. Pesce, L’ascolto del minore tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Fam. dir., 2015, p. 252 ss. 16 Si veda F. Ruscello, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Familia, 2002, p. 933 ss. 17 Cfr. F. Ruscello, Minori di età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a The best interest of the child tra persona e contratto 497 nostro ordinamento si presume conseguita al dodicesimo anno di età, potendo però essere dimostrata sussistere in un periodo antecedente. Per di più, rispetto alla realizzazione degli interessi patrimoniali, il diritto reclama un cambiamento, a fronte di una fenomenologia che conosce soggetti infradiciottenni attori del mercato, specialmente nel ruolo di consumatori18; e in ragione di ciò, in quanto sistema dinamico, attiva i suoi congegni autocorrettivi. Nella pratica avviene, infatti, che i soggetti della fascia di età coperta dalla presunzione di capacità di discernimento acquistano beni e servizi, sia on line sia off line, costituendo un vero e proprio mercato del consumo minorile; e per l’acquisto utilizzano risorse pecuniarie messe a loro disposizione e mezzi di pagamento a loro intestati, come ad esempio carte prepagate19. Strumenti, questi, che comunque garantiscono il controllo (nella specie preventivo) del genitore20; il quale stipula il contratto di conto corrente al quale è collegato il mezzo di pagamento oppure il contratto relativo al collocamento di un libretto di risparmio o al rilascio della carta pre-pagata, decidendo anche la disponibilità massima giornaliera, settimanale e mensile o anche l’ambito geografico (attraverso la geolocalizzazione) entro il quale consentire l’utilizzo dello strumento (di pagamento e/o di prelievo) elettronico21. Verso l’esterno però il mezzo di pagamento, intestato al minorenne, consente a quest’ultimo di concludere direttamente contratti con i terzi. A questo dato di fatto, se ne aggiunge un altro più di taglio antropologico: pur essendo in media aumentata la disponibilità di risorse di cui godono gli adolescenti di oggi rispetto a quelli di ieri, è evidente “supernorme”, in Fam. dir., 2011, p. 404 ss.; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, cit., p. 43 ss. 18 Così D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, in Riv. dir. impr., 2011, p. 76. V. anche E. Andreola, Il regime degli acquisti on line del minore quale consumatore “debole”, in Familia, 2017, p. 687. 19 Si veda M. Cinque, Il minore e la contrattazione telematica tra esigenze del mercato e necessità di apposite tutele, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 24 ss.; A A.C. Moro, in M. Dossetti - C. Moretti - M. Moretti - P. Morozzo della Rocca - S. Vittorini Giuliano (cur.), Manuale di diritto minorile, VI ed. Bologna, 2019, p. 367. 20 Cfr. P. Longo, L’attività negoziale del minore nei rapporti con le banche, in Contratti, 1999, p. 716. 21 A tutto questo si aggiunge che in molti settori dell’e-commerce per portare a compimento un’operazione è richiesto di utilizzare il proprio account Facebook, in alternativa alla registrazione, e di effettuare il pagamento utilizzando anche una carta prepagata o altro strumento di pagamento. 498 The best interest of the child che tali risorse (anche finanziarie) mutano da soggetto a soggetto in base alle condizioni sociali, familiari, culturali ed economiche e con esse mutano anche le aspirazioni individuali e i relativi interessi. Va aggiunto, inoltre, che, per la realizzazione dei propri interessi (anche) patrimoniali, il minorenne capace di discernimento, come ogni altro soggetto, può pure disporre di risorse non pecuniarie, cedendo un proprio bene materiale, ma anche disponendo, come meglio diremo, di un proprio “bene” personale. Ebbene, tale scenario non si presta, evidentemente, a essere governato con criteri rigidi, che segnino il confine tra ciò che è consentito e ciò che non lo è. Peraltro, la fenomenologia richiamata riguarda un’attività (patrimoniale) che senz’altro eccede gli atti della vita quotidiana, il cui compimento, come accennato, è generalmente riconosciuto dalla scienza giuridica a tali soggetti, anche in forza della estensione analogica della previsione dell’art. 409 c.c. 22; il quale riconosce al beneficiario (dell’amministrazione di sostegno) il potere di “compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”, vale a dire quegli atti (normalmente esemplificati nell’acquisto di un libro, di un gelato, di una bibita, ecc. 23 ) che, se negati al soggetto incapace, si finirebbe col far degenerare gli strumenti di protezione in strumenti di emarginazione sociale. 22 In proposito, si veda E. Calò, L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, in Corr. giur., 2002, p. 780; S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, p. 46; M. Dossetti, Effetti dell’amministrazione di sostegno, in M. Dossetti - M. Moretti C. Moretti, L’amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, Assago, 2004, p. 78. Considera invece “azzardata” l’estensione analogica D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 86. L’A. ritiene tuttavia affascinante un’interpretazione evolutiva delle norme sull’incapacità che muovendo dal senso della disciplina dell’amministrazione di sostegno “qualifichi l’incapacità non come uno stato giuridico del soggetto da cui deriva inesorabilmente la preclusione dell’agire, bensì una condizione da valutare in riferimento a singoli atti”. 23 Si veda M. Cinque, Il minorenne contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 99, la quale segnala che la visione tradizionale pare ancorata al parametro della “minutezza”, al fatto che l’atto sia di modesta entità. V. anche F. Ferrara, Diritto delle persone e di famiglia, Napoli, 1941, p. 50; P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 292 ss.; R. Pescara, I provvedimenti di interdizione e inabilitazione e le tecniche protettive dei maggiorenni incapaci, in P. Rescigno (dir.), Tratt. dir. priv., 3, Persone e famiglia, IV, Torino, 1982, p. 764; P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 52 ss.; P. Stanzione, I contratti del minore, in Eur. dir. priv., 2014, p. 1237 ss.; A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, cit., p. 366. The best interest of the child tra persona e contratto 499 L’attività patrimoniale del minorenne munito di capacità di discernimento si spinge oltre questi atti; anzi, si tratta proprio della fascia di età in cui, nella dinamica evolutiva dell’autonomia, il soggetto passa dalla dimensione routinaria degli atti della vita quotidiana – quelli ripetitivi, che scandiscono la vita di tutti i giorni – agli atti di maggiore rilevanza economica. Ora, è evidente che dinanzi alla tipizzazione sociale di tale attività24, penetrata a pieno titolo nel mercato, una soluzione normativa che contempla una sorta di miracolo della maggiore età – che apre le porte del mercato a un soggetto reputato, irragionevolmente, qualche istante prima del tutto incapace di accedervi25 – appare indubbiamente avulsa dalla realtà, alla quale peraltro il diritto non può non rendere conto cogliendo gli stimoli innescati dai suoi mutamenti26. Da tutto ciò discende che anche la tenuta della visione unitaria della categoria dell’incapacità legale viene meno, poiché la situazione del minore di età va distinta dalle altre figure: nel primo caso, si è in presenza di una situazione dinamica, in divenire27, di un soggetto in cammino verso la piena capacità, connotato da diverse cromature della maturità razionale (oltre che fisica) mano a mano destinate a sfumare28; negli altri casi, invece, la situazione è statica e può mutare generalmente per effetto di un provvedimento giudiziario di segno contrario29. 24 Cfr. D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 77-78. 25 Si veda D. Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, in Dir. succ. fam., 2015, p. 700. 26 P. Grossi, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. 27 ss.; C. Camardi, Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo, cit., p. 43 ss. 27 Cfr. G. Ballarani, La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e principi), in P. Perlingieri - S. Giova (cur.), Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità, Napoli, 2019, p. 324. 28 Già nel diritto romano, in relazione all’età, si distingueva tra soggetti impuberes e puberes (con Giustiniano l’inizio della pubertà è fissato per le donne in dodici anni, per gli uomini in quattordici anni). Nell’ambito dell’età impuberes, si distingueva l’età dell’infantia nel Digesto giustinianeo il limite dell’infantia è fissato nel compimento del settimo anno di età); così A. Burdese, voce Età (dir. rom.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 79. V. anche F. Viola, I diritti e le età della vita, in Lavoro sociale, 13, 2013, p. 7 ss. 29 G. Arena, voce Incapacità (diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 909 ss. 500 The best interest of the child 3. Capacità di discernimento, autodeterminazione e autonomia del minorenne Nell’ambito patrimoniale la questione dell’autonomia da riconoscere al soggetto minore di età, privo della capacità di agire, riguarda principalmente gli atti di natura negoziale, posto che per quelli non negoziali la scienza giuridica teorica e pratica ha già da tempo chiarito che rileva tutt’al più la capacità naturale anziché quella legale30, sempre a condizione che l’atto non sia pregiudizievole per il minorenne31. Peraltro, dovendo tutelare il superiore interesse del minore, quello della vantaggiosità non può che assurgere a criterio generale della definizione dello spazio di autodeterminazione e di autonomia da accordare al minore di età. Ebbene, ammessa generalmente l’idoneità al compimento diretto dei c.d. atti della vita quotidiana e degli atti non negoziali vantaggiosi per l’interessato, il profilo di interesse riguarda il riconoscimento, in capo all’infradiciottenne, della capacità contrattuale per ciò che va oltre la “quotidianità”. In proposito, infatti, diversamente dalle conclusioni a cui è giunta la scienza giuridica con riguardo alle previsioni tipiche di esercizio dei diritti personali, relativamente alle norme che riconoscono al minore di età autonomia patrimoniale – in materia di contratto di lavoro, emancipazione, esercizio e tutela del diritto d’autore, tutte accomunate dal riferimento a un soggetto minorenne, in età coperta dalla presunzione di idoneità a discernere32 – si continua a intenderle come eccezioni alla regola generale della incapacità contrattuale. La quale, pertanto, tende a essere ancora legata alla categoria della capacità di agire, accompagnata dal regime rimediale delineato dagli artt. 1425 e 1426 c.c.: il contratto 30 Cfr. V.M. Trimarchi, Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940, p. 102 ss.; F. Santoro Passarelli, voce Atto giuridico, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 204 ss., il quale segnala che per alcuni atti in senso stretto è richiesta la capacità di agire, segnatamente “per quegli atti in senso stretto dai quali deriva o può derivare indirettamente una disposizione” (op. cit., 212); P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 152-153; C.M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica i soggetti, II ed., Milano, 2002, p. 233 ss. 31 Così, Cass., 13 ottobre 2017, n. 24077, in Foro it., 2018, p. 601, con nota di S. Stefanelli, Verso la capacità di agire del minore: il caso degli atti giuridici in senso stretto. 32 Particolarmente esplicita, in questi termini, è la l. n. 977/1967 sulla tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti, così come modificata dal d. lgs. 4 agosto 1999, n. 345. Si veda anche il d. lgs. 1° dicembre 2009, n. 179. The best interest of the child tra persona e contratto 501 concluso dal soggetto incapace di contrattare, perché incapace di agire, è annullabile, fatta salva l’ipotesi in cui il minore abbia occultato con raggiri la sua minore età33. Aspetto senz’altro significativo nell’ordine dei nostri ragionamenti è che si tratta comunque di un rimedio, quello dell’annullabilità, che non attiene alla zona normativa dell’atto bensì dell’effetto34 e che quindi dà luogo a un atto provvisoriamente efficace e destinato a divenirlo definitivamente a seguito dell’esecuzione o della prescrizione della relativa azione (ferma restando la sopravvivenza dell’eccezione ex art. 1442, comma 4)35. Ebbene, muovendo dalla cornice assiologica, dianzi tracciata, che ordina il diritto minorile – sintetizzabile nel binomio valoriale a) tutela prevalente del best interest of the child, b) diritto di ascolto del minore munito della capacità di discernimento in tutte le questioni che lo riguardano – l’approccio ermeneutico alla previsione dell’art. 2 c.c., secondo la quale “con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa”, senza che quest’ultimo rinvio sia associato a un principio di tassatività, porta a ricostruire, nel dialogo tra regole e principi, l’intenzione del legislatore nel senso di riconoscere nel minorenne capace di discernimento l’idoneità a partecipare (nei termini che andremo a spiegare) al compimento degli atti. Il riferimento, peraltro, pare essere proprio agli atti patrimoniali se è vero che la categoria della capacità è tipicamente riferita a tale ambito problematico36. 33 Cfr. M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 9 ss.; F. Giardina, L’art. 1426 c.c. tra annullabilità del contratto a tutela del minore e validità del contratto come “rimedio” a favore dell’altro contraente, in E. del Prato (cur.), Studi in onore di Antonino Cataudella, t. II, Napoli, 2013, p. 1073 ss. Sul carattere eccezionale e di stretta applicazione della previsione di cui all’art. 1426 c.c., si veda Cass., 4 luglio 2012, n. 11191, in Dir. fam. pers., 2014, 39, con nota di A. Venchiarutti, Raggiri dell’inabilitato per occultare la propria incapacità: il contratto non sarà annullabile? 34 A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17 e 21. 35 Cfr. M. Prosperetti, Contributo alla teoria dell’annullabilità, Milano, 1973, p. 74 e ss.; U. Majello, La patologia del contratto annullabile, in Riv. dir.civ., 2003, p. 339 e ss. L. Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 231 ss. 36 Così A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17; P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 154 il quale esprime la convinzione che “la previsione della capacità di agire si deve rinvenire nel contesto della regolamentazione legislativa afferente a ciascun gruppo di atti e, qualora disciplina positiva non vi sia, si deve dedurre dalla natura del singolo atto”. Su questa possibilità v. anche L. Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 229 ss. Una diversa convinzione è espressa da M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 54-57. 502 The best interest of the child Ora, l’impatto del binomio valoriale suddetto nel nostro ordinamento va inteso non soltanto alla luce della rete di fonti interne, sovranazionali e internazionali più volte evocate, ma anche delle soluzioni adottate da altri ordinamenti, specie da quelli della nostra stessa tradizione giuridica37. Le aperture espresse da questi ultimi all’autonomia contrattuale del minore fungono da efficace supporto, in chiave comparatistica, alla definizione dei criteri e dei limiti che presiedono la capacità contrattuale del minorenne nel contesto normativo interno38. Peraltro, in quest’ottica ricostruttiva, guardando alle fonti internazionali, è forte l’impulso partente dalla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996, ove, nel delineare l’oggetto dell’intervento normativo, sancisce che esso è volto a “promuovere nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionali e facilitarne l’esercizio”. L’idea, in sintesi, è che proprio per effetto del carattere “insaziabile” 39 del diritto all’ascolto (inscindibilmente legato alla capacità di discernimento), quale diritto fondamentale, si genera la capacità del “minore grande” di autodeterminarsi in ordine ai propri interessi, anche di carattere patrimoniale. Difatti, se è vero che la capacità di agire, da un lato, e il rimedio dell’annullabilità dall’altro, sono posti a protezione della libertà individuale dell’interessato nonché della tutela del patrimonio suo e della sua famiglia40, con riguardo al soggetto minorenne, ma prossimo alla maggiore età, la soluzione di accordargli codesta libertà al compimento del diciottesimo anno41 stride con la realtà razionale dell’interessato, ormai valorizzata dal diritto nella forma della capacità di discernimento e in termini di partecipazione diretta alle 37 Si rinvia ad A. Gambaro, La tradizione giuridica occidentale, in A. Gambaro - R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, IV ed., in R. Sacco (dir.) Tratt. dir. comp., Torino, 2018, p. 31 ss. 38 In quest’ottica si sono posti pure G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, in I Contratti, 2004, p. 520 ss.; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 140 ss.; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, cit., passim; E. Andreola, Gli acquisti online del minore tra invalidità dell’atto e responsabilità dei genitori, in Contratto e impresa, 2018, p. 961 ss. 39 Si veda, in proposito, V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018, p. 48. V. anche E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 205 ss.; A. Pintore, Diritti insaziabili, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Roma-Bari, 2008, p. 179 ss.; L. Antonini (cur.), Il traffico dei diritti insaziabili, Catania, 2008, p. 86 ss. 40 A. Falzea, voce Capacità (teoria gen.), cit., p. 17. 41 Si veda C. Ruperto, voce Età (dir. priv.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 86. The best interest of the child tra persona e contratto 503 scelte. Una realtà che, come dicevamo, conosce cromature differenti nelle varie stagioni della minore età; sì che, proprio con riguardo a tale soggetto, pare più corretta non una soluzione generale e astratta, ma una che guardi agli assetti del singolo atto e alle condizioni reali in cui versa la persona42. 4. Segue. Dagli atti della vita quotidiana agli atti della vita corrente Un tentativo di superare la netta distinzione tra atti personali e atti patrimoniali è stato operato dalla dottrina nel momento in cui ha riconosciuto la capacità contrattuale del minore di età con riguardo agli atti funzionali alla realizzazione di interessi di carattere personale. È senz’altro ragionevole, in effetti, ritenere che se si accorda al minorenne munito della capacità di discernimento l’esercizio diretto dei suoi diritti personali, allo stesso debba essere pure riconosciuto il potere di compiere gli atti patrimoniali necessari alla realizzazione degli interessi protetti da quei diritti, pena la loro negazione (ne è un esempio il contratto di associazione)43. Ma nel senso dell’art. 2 e 3 Cost. e della cornice assiologica dello statuto giuridico del “minore grande” si immettono pure quei contratti che costituiscono uno strumento di esplicazione della personalità, quelli cioè che si inseriscono in un orizzonte funzionale identitario e la cui individuazione, perciò, cambia in ragione dell’età e delle condizioni familiari, sociali, culturali ed economiche dell’interessato. Non si tratta degli atti della vita quotidiana44, quelli cioè routinari che scandiscono la vita di tutti i giorni e neppure, stando alle tradizionali classificazioni basate sulla portata dell’impatto patrimoniale, degli atti di ordinaria amministrazione, così come rigidamente individuati anche dalla giurisprudenza45. 42 Cfr. L. Tafaro, L’età per l’attività, cit., p. 222 ss. 43 In questo senso F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità del minore, cit., p. 68; P. Stanzione, Scelte esistenziali e autonomia del minore, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1151; M. Giorgianni, In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, I, p. 107; G. Palmeri, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, cit., p. 80; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, cit., p. 65. 44 M. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, p. 297 ss. riferisce la categoria agli atti di scarso valore patrimoniale, che appartengono alla vita di relazione che ciascuno conduce tutti i giorni. 45 Cfr, ex multis, Cass., 15 maggio 2003, n. 7546, in banca dati De jure. Si veda, inoltre, D. 504 The best interest of the child L’inidoneità di queste categorie a garantire l’effettività46 del best interest del minorenne sta nel fatto che esse guardano alla tipologia di atto e non alle condizioni della persona; la tutela prevalente del superiore interesse del minore esige, viceversa, di assumere il punto di vista del soggetto che pone in essere l’atto e non tanto e soltanto quella della natura e della portata economica dell’atto che è stato compiuto. Una categoria più appropriata, perché flessibile e porosa, è piuttosto quella di conio francese degli “atti della vita corrente”, capace di legare l’atto alla persona, agli interessi propri di un soggetto di quella fascia di età selezionati tenendo conto delle condizioni personali. Si tratta evidentemente di un concetto indeterminato, di un “concetto valvola”, presidiato da coordinate organizzate all’insegna di una cifra identitaria e che opera un inevitabile rinvio alla prassi47. Ebbene, assumendo il lume della “tavola dei valori” costituzionali48, la negazione al soggetto infradiciottenne munito della capacità di discernimento dell’autonomia contrattuale rispetto a questi atti contrasterebbe evidentemente con gli artt. 2 e 3 Cost., atteso che si tradurrebbe in un ostacolo allo svolgimento e allo sviluppo della personalità individuale49: trattandosi di atti a connotazione identitaria, è chiaro che il loro compimento è ontologicamente legato all’affermazione della personalità. Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, cit., 725, la quale ritiene “che il minore possa generalmente essere considerato capace di porre in essere atti di ordinaria amministrazione, salvo che i genitori, nell’esercizio della loro funzione genitoriale e sulla base della valutazione che essi meglio di chiunque altro sono in grado di fare circa la capacità di discernimento del proprio figlio, intervengano espressamente avocando a sé il compimento degli atti o impedendone l’esecuzione”. 46 Sul profilo problematico dell’effettività si rinvia a E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, cit., passim. 47 Si veda J. Carbonnier, Droit civil. Les personnes. Personnalité, incapacités, personnes morales, XVII éd., Paris, 1990, p. 143 ss. La regola ora contenuta nell’art. 388-1-1 era già espressa dall’art. 389-3, poi abrogato dall’Ord. 2015-1288 del 15 ottobre 2015. Il riferimento agli atti consentiti dagli usi era inteso, soprattutto dalla giurisprudenza, come autorizzazione al compimento di quegli atti non economicamente importanti, che possono essere necessari, utili, e che sono frequenti come il contratto di trasporto pubblico, l’acquisto di generi alimentari o di materiale scolastico, ma pure atti economicamente più importanti finalizzati però a soddisfare bisogni personali (spese informatiche, sportive, ecc.). Cfr. anche F. Terré - C. Goldie-Genicon - D. Fenouillet, Droit civile. La famille, IX éd., Dalloz, Paris, 2018, p. 941. 48 A. Baldassare, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 1991, p. 639 ss. 49 Cfr. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, cit., p. 316-318; F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, in Riv. dir. civ., 2000, p. 282, il quale sottolinea che la Carta Costituzionale ha reciso il nesso tra capacità e personalità; G. Mattucci, Lo statuto costituzionale del minore di età, Padova, 2015, p. 3 ss. The best interest of the child tra persona e contratto 505 In conclusione, il carattere definitivo degli effetti ha ragione di essere riconosciuto ai contratti posti in essere dal minorenne capace di discernimento, con mezzi messi a sua disposizione e concernente beni o servizi offerti dal mercato usualmente frequentato da soggetti che versano nelle medesime condizioni personali. Si tratta di quanto disposto espressamente dal Code civil, il quale riconosce l’autonomia del soggetto minore di età rispetto agli atti a carattere personale e ai c.d. atti sicuri (les actes dépourvus de danger), che comprendono gli atti conservativi, di amministrazione non pregiudizievoli e gli atti consentiti dagli usi, tra cui, appunto, gli atti della vita corrente. Segnatamente, l’art. 1148 Cod. civ., modificato dall’Ordonnance 2016-131 del 10 febbraio 2016, sancisce che tutte le persone incapaci di contrarre possono comunque compiere direttamente “les acts courants”, autorizzati dalla legge o dagli usi, purché siano conclusi a “conditions normales”, non risultino cioè pregiudizievoli per l’incapace; in questi stessi termini si pone l’art. 1149 – nel testo pure novellato dall’Ordonnance 2016-131 – il quale dispone che “les actes courants” compiuti da un soggetto minorenne possono essere annullati per semplice lesione. Ma pure nel diritto tedesco è fatto salvo il contratto concluso dal minore con risorse messe a sua disposizione dal rappresentante legale o, con l’approvazione di questi, da un terzo, per quello specifico scopo o per un utilizzo libero (§ 110 BGB). È la cosiddetta regola della “paghetta”, che comunque fa salvo, in origine, il consenso del rappresentante legale50. Mentre nel diritto inglese sono considerati validi i contratti del minore aventi a oggetto beni definiti necessaries, da individuare in base alle condizioni di vita del soggetto nel momento in cui conclude il contratto51, all’esito cioè di una valutazione da operarsi in concreto e non secondo le rigidità proprie della logica formale, della generalità e dell’astrattezza52. In sostanza, la categoria si riferisce a quegli atti aventi 50 Cfr. G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, cit., p. 525; G. Capilli, La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, cit., p. 67 ss. 51 Si veda la Section 3 del Sale of Goods Act 1979, dedicata alla Capacity to buy and sell. Si rinvia a G.H. Treitel, The law of contract, VIII ed., London, 1991, p. 482 ss., il quale osserva che la tendenza della giurisprudenza è di ampliare le categorie di beni che possono definirsi necessaries. V. anche A. Venchiarutti, L’attività contrattuale dell’incapace nel diritto inglese. I “contracts for necessaries” e i “beneficial contracts of service”, in P. Cendon (cur.), Scritti in onore di R. Sacco. La comparazione giuridica alle soglie del 3° millennio, I, Milano, 1994, p. 1143 ss.; G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, cit., p. 521. 52 Cfr. A. Venchiarutti, op. cit., p. 1145 ss., il quale precisa che, stando alla giurisprudenza britannica, “le caratteristiche proprie del bene vengono comparate, 506 The best interest of the child ad oggetto beni o servizi funzionali a mantenere e sviluppare il singolare stato di vita dell’interessato, che muta quindi da minore a minore; sì che uno stesso bene (anche di valore economico non trascurabile) può risultare necessary per un certo soggetto mentre per un altro no53. 5. Responsabilità genitoriale e interessi patrimoniali del figlio L’architettura valoriale e concettuale che struttura il diritto minorile contemporaneo si imprime pure sui significati delle procedure che scandiscono l’esercizio della responsabilità genitoriale rispetto agli interessi patrimoniali del figlio minorenne. Il nostro codice, anche se non articola una definizione della responsabilità genitoriale, inserendo la relativa disciplina nel senso della tutela prevalente del best interest of the child, fa cogliere un significato consistente nell’insieme dei diritti e dei doveri riconosciuti al genitore, il cui fine è la realizzazione dell’interesse del figlio minorenne54. Questo profilo funzionale, che indica nel best interest la prospettiva da assumere nelle decisioni genitoriali riguardanti il figlio, ha delle importanti ricadute sul rapporto di filiazione, specialmente sul ruolo dei genitori; il quale muta mano a mano che il figlio cresce, che prende forma la sua identità personale: fino a questo momento, infatti, l’esercente la responsabilità genitoriale è chiamato a interpretare l’interesse del figlio, sostituendolo nell’attività giuridica, in breve sceglie il genitore per il (nell’interesse del) figlio; emersa la sua identità personale e maturata la capacità di discernimento, ovvero di saper selezionare ciò che è conforme al proprio interesse e determinarsi di conseguenza, decide il figlio con l’assistenza del genitore o – nei casi previsti dalla legge per gli atti personali e per gli atti patrimoniali che eccedono la vita corrente – agisce il genitore con l’ascolto del figlio minorenne. In sostanza, in quest’ultima fase dell’età evolutiva minorile, la “rappresentanza” da un lato, con il livello di vita del contraente incapace e, dall’altro, con la situazione quale si presenta al momento in cui figura concluso il contratto”; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 142 ss. 53 G.H. Treitel, The law of contract, cit., p. 481. A logiche analoghe è ispirata, ad esempio, la soluzione del diritto scozzese dettata dagli artt. 1-3 dell’Age of legal capacity (Scotland) Act 1991 nonché, con riguardo alle fonti persuasive, dall’art. 150, comma 1, del Code européen des contrats, avant-projet. 54 È questo il significato che l’art. 371-1 Code civil, modificato dalla Loi n. 2013-404 del 17 marzo 2013, attribuisce all’autorité parentale. The best interest of the child tra persona e contratto 507 dei genitori si traduce sempre – come ben definisce, ancora una volta, il legislatore francese – nell’associare il figlio alle decisioni che lo riguardano, in ragione (appunto) della sua età e maturità55. In ultima istanza, la capacità di discernimento fonda l’idoneità del soggetto di determinarsi, senza ingerenze esterne, in ordine ai propri interessi giuridicamente tutelati, sia di carattere personale sia di carattere patrimoniale. Sì che anche quando si tratta di atti che eccedono la vita corrente, la cui stabilità effettuale richiede che siano posti in essere “rappresentante legale”, costui non riveste il ruolo di rappresentante in senso tecnico, ovvero di sostituto del rappresentato, bensì deve farsi portatore (recte “curatore”) della volontà liberamente manifestata da quest’ultimo, ritenuto ormai capace di identificare e realizzare i propri interessi. Si assiste, in definitiva, al passaggio dalla logica autoritaria a quella partecipativa, dalla rappresentanza all’assistenza/cura, in cui il rapporto di filiazione si svolge all’insegna di un principio di “democrazia parentale” 56. Da tutto ciò discende un mutamento del paradigma di riferimento della capacità contrattuale: specie con riguardo al minore di età, l’elevata densità assiologica del diritto di ascolto del minorenne munito della capacità di discernimento, che si traduce nel potere di far valere il proprio interesse nei processi decisionali che lo riguardano, indipendentemente dal carattere patrimoniale o non patrimoniale dei “beni” implicati, fa assurgere la capacità di discernimento a referente categoriale per l’affermazione della capacità contrattuale del minorenne57. Il mutamento di paradigma può dunque sintetizzarsi nel passaggio dalla capacità di agire alla capacità di discernimento. 55 Così si esprime l’art. 371-1, comma 3, Code civil, anche se la dottrina francese ritiene che la norma, in base alla sua collocazione topografica, riguardi soltanto le questioni di carattere personale e non quelle di carattere patrimoniale; si veda, in proposito, F. Terré - C. Goldie-Genicon - D. Fenouillet, Droit civile. La famille, cit., p. 950. 56 Cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, cit., p. 408, il quale osserva che “solo la reale partecipazione dello stesso minore alla individuazione dei propri interessi oltre che all’attuazione dei correlativi diritti può garantire il pieno e integrale soddisfacimento degli uni e degli altri, perché non vi è migliore tutore dei propri interessi e diritti all’infuori dello stesso soggetto portatore dei medesimi”. V. anche L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 111. 57 Cfr. A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro - A. Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 319 ss.; R. Caterina, Ai confini dell’autonomia, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 459 ss. 508 The best interest of the child Conclusione, questa, a cui si è giunti agendo direttamente sul sistema, attivando i suoi congegni autocorrettivi, senza mettere in atto tentativi teorici di edificazione dell’autonomia contrattuale del minorenne tutt’altro che idonei allo scopo; il riferimento è alla nota teoria che ravvisa nel minorenne che stipula un contratto di scarsa importanza economica il ruolo di rappresentante dei genitori, con la conseguenza di far ricadere gli effetti dell’atto sui genitori e non sulla sua sfera giuridica58. Ora, stando ai significati recepiti dal nostro ordinamento, specie nell’art. 315 bis c.c., al dodicenne o anche al soggetto di età inferiore purché munito della capacità di discernimento deve riconoscersi il potere di concludere direttamente contratti della vita corrente, che riguardano cioè beni o servizi offerti nel mercato del consumo minorile, parametrati alle sue condizioni di vita e acquistati con mezzi messi a sua disposizione59. Ma il radicamento della capacità contrattuale nella capacità di discernimento conduce pure a ridefinire il senso e il significato dei meccanismi sostituivi e autorizzativi di cui all’art. 320 c.c. nonché del sistema dei rimedi di cui agli artt. 322, 1425 e 1441 c.c. Da un lato, infatti, se la ratio della regola dell’incapacità di agire/ incapacità contrattuale del minorenne nonché del rimedio dell’annullabilità è sempre stata ravvisata nella necessità di tutelare la sua libertà decisionale – sulla base della precomprensione che si tratti di un soggetto che, per la sua età, non è in grado di svolgere valutazioni razionali in conformità al proprio interesse – e il patrimonio suo e della sua famiglia60, questa finalità non ha ragione di essere perseguita nei riguardi di un minorenne capace di discernimento, di valutare e decidere conformemente al proprio interesse, che acquista beni o servizi con mezzi messi a sua disposizione. 58 In proposito v. G. Palmeri, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, cit., p. 76; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, III ed., Milano, 2019, 0, p. 93 ss.; G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, cit., p. 517 ss.; M. Cinque, Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, cit., p. 107 ss.; D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 83; E. Andreola, Il regime degli acquisti on line del minore quale consumatore “debole”, cit., p. 693. 59 Si veda D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 84. 60 Così F.D. Busnelli, Il diritto delle persone, in I cinquant’anni del codice civile. Atti del convegno di Milano, 4-6 giugno 1992, I, Milano, 1993, p. 30. The best interest of the child tra persona e contratto 509 D’altro canto, se il criterio limite61 della rappresentanza dell’esercente la responsabilità genitoriale è costituito dalla “necessità o utilità evidente” (art. 320 c.c.)62 dell’atto per il figlio, vale a dire dalla manifesta funzionalità al suo interesse63, l’infradiciottenne capace di discernimento che contrae per soddisfare (quello che egli ritiene liberamente essere) il proprio interesse non arreca alcun pregiudizio a sé e al suo patrimonio, anzi si procura un vantaggio quale “miglior giudice dei propri interessi”64, con la conseguente stabilità dei relativi effetti. Tant’è che anche volendo immaginare, rispetto a un contratto sì fatto, un possibile giudizio di annullamento promosso dai genitori, la loro carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. emergerebbe chiaramente all’esito del necessario ascolto del figlio interessato da parte del giudice dell’annullamento; il quale dovrebbe peraltro accertare, anzitutto, che i genitori abbiano assunto la decisione di far caducare gli effetti dell’atto con il figlio, dopo averlo ascoltato. Allo stesso modo, a sostegno del fatto che la rappresentanza si atteggia ora (sempre con riguardo al c.d. “minore grande”) come assistenza/cura, anche per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (art. 320, comma 3, c.c.) l’ascolto del minore – sempre dovuto in base alla previsione di cui all’art. 315 bis (“in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”) e volto a confermare se l’atto è conforme alla “necessità o utilità evidente” del figlio – sarebbe in grado di paralizzare l’autorizzazione del giudice al compimento dell’atto o anche all’esercizio dell’azione per il suo annullamento. Anche in tal caso, comunque, l’ascolto dovrà essere reiterato nel giudizio di annullamento con possibili esiti valorizzanti la volontà del minorenne65. 61 Superato il quale possono anche essere attivati i rimedi di cui agli artt. 330-337 c.c. In particolare, la decadenza dalla responsabilità genitoriale può essere pronunciata anche quando il “grave pregiudizio del figlio” è di carattere patrimoniale. Si è osservato, in proposito, che si tratta “di una norma di chiusura, valida sia per i profili personali sia per i profili patrimoniali dell’esercizio” della responsabilità genitoriale; così F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 54, la quale precisa ulteriormente che in caso di cattiva amministrazione opera l’art. 334, mentre l’art. 333 per non sovrapporsi all’ambito operativo del primo, pare doversi limitare ai profili personali della responsabilità genitoriale. 62 Cfr. F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, cit., p. 292. 63 Si veda, in proposito, Cass., 29 maggio 2014, n. 12117, in Foro it., 2014, I, 2498, con nota di C. Bona, L’annullamento parziale del contratto e l’”eterointegrazione del contraente”. 64 R. Caterina, Ai confini della autonomia, cit., p. 466. 65 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 67; F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 97. 510 The best interest of the child Insomma, il giudice sia in sede di autorizzazione all’esercizio dell’azione ex art. 320, comma 3, c.c. sia in sede di giudizio di annullamento, sussistendone i presupposti di cui all’art. 315 bis, deve esperire l’ascolto66; a meno che non motivi che esso è contrario all’interesse del minore o manifestamente superfluo (art. 336-bis); e se all’esito dovesse emergere che è interesse del minore mantenere in vita l’atto, perché a lui non pregiudizievole, “necessario o utile”, il giudice dovrebbe (a seconda del tipo di procedimento) non autorizzare l’azione o dichiarare, anche d’ufficio, la carenza di interesse ad agire67. Dal principio dell’ascolto in uno con la categoria della capacità di discernimento discende, pertanto, l’affermazione dell’autonomia decisionale dell’interessato anche in ordine ai suoi interessi patrimoniali, nel senso che le relative scelte devono essere espressione della sua volontà, pur se attuate per mezzo di procedure differenti, in ragione dell’importanza economica dell’atto parametrata al margine di vulnerabilità che comunque residua anche in capo al “minore grande”68. In questo senso si diceva che mentre per gli atti eccedenti la vita corrente è il genitore a porli in essere con l’ascolto del minore (e nei casi previsti dalla legge con l’autorizzazione – avente funzione di controllo – del giudice) 69; per quelli che rientrano nella vita corrente è il minore a porli in essere con l’assistenza (la cura) del genitore, non in senso formale ma sostanziale, avente funzione di controllo della libertà del figlio. 66 Alla luce dei principi da ultimo affermatisi, prende pieno vigore quanto acutamente affermato in dottrina negli anni ‘80 del secolo scorso, ritenendo “non azzardato ipotizzare che il giudice debba valutare l’opportunità dell’iniziativa del genitore alla luce non solo di un generico interesse del minore, ma anche, quando ciò sia possibile, delle intenzioni di quest’ultimo”, così F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., p. 97. 67 F. Giardina, op. cit., p. 102, giunge così a constatare “una sorta di non impugnabilità ex post, da parte dei genitori, dei contratti conclusi dal minore, in mancanza di ragioni di “necessità o utilità evidente” per il figlio, o anche – si potrebbe aggiungere – in assenza della dimostrazione, da parte dei genitori, di un interesse del minore all’annullamento dell’atto”. 68 Si veda R. Caterina, Ai confini dell’autonomia, cit., p. 467, il quale riferisce che almeno per i “minori grandi” sembra “crescere l’opinione della tendenziale vincolatività delle volontà espresse (salvo che specifiche circostanze mettano in discussione la capacità di discernimento del minore, per una sua generale immaturità o per le pressioni psicologiche a cui è sottoposto)”. 69 Cfr. F. Bocchini, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, cit., p. 306. L’A. ritiene più corretto operare la distinzione in funzione della personalità del minore, nel senso di considerare di ordinaria amministrazione quegli atti che non incidono su di essa, mentre di straordinaria amministrazione quelli che incidono (ivi, 303). The best interest of the child tra persona e contratto 511 In ogni caso, rispetto al figlio minorenne con capacità di discernimento il ruolo genitoriale non consiste in quello tecnicamente proprio della rappresentanza bensì nell’assistenza, nell’associarsi all’interesse del figlio così come dallo stesso affermato70. Un’assistenza/associazione che soltanto per taluni atti assume carattere formale, di controllo preventivo, per quelli cioè che devono essere posti dal genitore con l’ascolto del figlio; invece, per gli atti della vita corrente, il ruolo assistenziale dei genitori perde ogni connotato formale per sostanziarsi in un controllo a posteriori dell’attività del figlio al fine di tutelare la sua libertà. Ora, un possibile rilievo critico al riconoscimento al minorenne della capacità contrattuale rispetto agli atti della vita corrente potrebbe riguardare, come è spesso avvenuto, la tutela dell’affidamento di chi contrae con il minore. Pare, tuttavia, che si tratti di un falso problema. Anzitutto perché la questione della stabilità degli effetti del contratto concluso nell’interesse del minore, e dunque la certezza delle situazioni giuridiche acquisite, si presenta anche quando l’atto sia stato compiuto dai genitori e siano state seguite tutte le procedure, anche autorizzative, previste dal codice. Chi contrae con i genitori, regolarmente autorizzati, ad esempio per acquistare un immobile di proprietà del figlio, potrebbe comunque vedersi annullare il contratto per “abuso della rappresentanza”, anche su ricorso del minore una volta raggiunta la maggiore età71. Peraltro, rispetto agli atti della vita corrente del minore pare difficile non ritenere giustificato, e dunque tutelato, l’affidamento del terzo contraente alla stabilità degli effetti. Atteso, infatti, che si tratta di atti usualmente conclusi da soggetti minorenni capaci di discernimento, in mercati dagli stessi frequentati, a condizioni standard, con mezzi messi a loro disposizione (spesso con mezzi di pagamento a loro intestati) 72, nella piena consapevolezza e approvazione non soltanto sociale, ma anche giuridica (basti pensare ai riferimenti del codice del consumo a informa70 Su tale concetto si rinvia al nostro, Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, cit., p. 1329. 71 F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, cit., p. 69, osserva che tale conclusione “può, indubbiamente, nuocere alla certezza dei traffici e indebolire la tutela dei terzi contraenti. Ma è l’unica conclusione che consenta di non tradire l’opzione di fondo imposta all’interprete dai principi costituzionali, nel senso dell’attribuzione di un’assoluta priorità alla protezione dell’interesse del minore”. 72 Si veda, in proposito, F. Giardina, L’art. 1426 c.c. tra annullabilità del contratto a tutela del minore e validità del contratto come “rimedio” a favore dell’altro contraente, cit., p. 1073 ss. 512 The best interest of the child zioni rivolte ai minori, come nella previsione dell’art. 31, che attestano la raffigurazione legislativa del minorenne come potenziale contraente73), l’affidamento riposto sulla loro validità ha ragione di essere tutelato, se non altro sulla base della prassi radicata74. 6. Consenso al trattamento dei dati personali e consenso contrattuale La capacità contrattuale del minore di età capace di discernimento rispetto agli atti della vita corrente pare oggi trovare una conferma formale nella disciplina sulla protezione dei dati personali (Reg. UE n. 2016/679) coordinata con quella dei contratti di fornitura di contenuti o di servizi digitali, di cui alla Dir. UE n. 2019/770/UE. Ebbene, a fronte di quanto sancito dall’art. 8, par. 1, del Regolamento privacy, che riconosce al minorenne che abbia compiuto (almeno) sedici anni il potere di esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione75, consentendo agli Stati membri di fissare un’età diversa, ma non inferiore ai tredici anni76; a fronte di ciò, dicevamo, la questione ermeneutica che si pone concerne il significato da attribuire al par. 3, il quale dispone che la regola sul consenso del sedicenne non pregiudica “le disposizioni generali del diritto dei contratti degli Stati membri, quali le norme sulla validità, la formazione o l’efficacia di un contratto rispetto a un minore”. Alla luce di quanto abbiamo cercato sin qui di ricostruire in termini di capacità a contrarre nell’orizzonte di senso della capacità di discernimento, giungendo all’articolazione della regola generale che riconosce 73 Cfr. D. Di Sabato, Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, cit., p. 77. 74 È stato inoltre giustamente osservato che “se il genitore affida al minore una certa somma di denaro o gli mette a disposizione una carta di credito o una postazione internet cui è collegata una carta di credito accreditata per i pagamenti, egli si assume il rischio del compimento di atti che rientrino nel valore delle risorse affidate”; così D. Di Sabato, Le relazioni economiche del minore, cit., p. 714. 75 L’articolo continua disponendo che “ove il minore abbia un’età inferiore ai sedici anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”. In proposito v. C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, in Rass. dir. civ., 2016, p. 1332 ss. Il legislatore italiano con il d. lgs. n. 101/2018 ha, quindi, inserito nel codice della privacy (d.lgs. n. 196/2003) l’art. 2 quinquies, che fissa il limite di età anzidetto in quattordici anni. 76 The best interest of the child tra persona e contratto 513 nel minorenne munito di quest’ultima capacità (presuntivamente il dodicenne) il potere di autodeterminarsi, in pienezza, in ordine ai propri interessi personali (salvo i casi previsti dalla legge) o patrimoniali della vita corrente, la predetta clausola di salvaguardia conduce razionalmente a qualificare in termini di regola speciale la previsione sulla capacità del minorenne (almeno) sedicenne di prestare il consenso al trattamento dei dati personali77. In effetti il Regolamento, nel disciplinare il consenso del minorenne, deroga alla regola generale costruita muovendo dal referente normativo della capacità di discernimento, nel senso che si discosta dal criterio presuntivo, soggettivo e flessibile preposto a individuare tale forma di capacità, per affidarsi invece a un criterio rigido, legato all’età. Segnatamente, per gli atti di “disposizione” dei dati personali nell’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, il legislatore euronitario fissa un’età (almeno sedici anni), raggiunta la quale è generalmente ritenuto che l’interessato abbia conseguito quella maturità razionale (ma anche valoriale) necessaria per determinarsi a scegliere in quel particolare ambiente. Un regime speciale, dunque, dettato dal carattere particolarmente insidioso della rete in uno col margine di vulnerabilità che ancora residua nell’infradiciottenne che abbia conseguito la capacità di discernimento. Ora, l’idea che il riconoscimento al minorenne della capacità di esprimere il consenso al trattamento dei dati personali non possa implicare anche il riconoscimento, in capo allo stesso, della capacità contrattuale di “disporre” di quei dati, pare difficilmente difendibile. Il processo di commodification che ha interessato i dati personali, come altri diritti della persona78, nella quasi totalità dei casi inserisce funzionalmente il consenso al trattamento dei dati in una logica di scambio con altri beni o servizi79. Tant’è che il riferimento all’”offerta diretta di servizi della società dell’informazione” è a “quei servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”80, come, ad esempio, quelli di cui gode l’utente che ha dato il consenso al trattamento dei propri dati personali all’atto dell’iscrizione a un social network. 77 Cfr. V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 723. 78 Su tale profilo problematico si rinvia a G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, passim. 79 Cfr. C. Perlingieri, Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 13 ss. 80 Così art. 1, par. 1, lett. b, Dir. UE 2015/1535, richiamato dall’art. 4, n. 25, Reg. 2016/679. 514 The best interest of the child In queste situazioni, dimensione personale (il diritto al bene) e dimensione patrimoniale (il diritto sul bene)81 si intersecano, sì che l’una diviene funzionale all’altra. Si assiste, con riguardo allo specifico ambito problematico, a una circolarità funzionale tra il profilo personale e quello patrimoniale del bene, in cui l’uno si lega all’altro per effetto dell’utilità che assume l’informazione personale (il dato), rendendola “bene di scambio” che l’interessato/consumatore può fornire o impegnarsi a fornire all’operatore economico in cambio di un contenuto o servizio digitale, come testualmente previsto dall’art. 3, par. 1, Dir. UE n. 2019/770/UE82. Che poi in questi casi consenso al trattamento e consenso contrattuale debbano dare luogo a due atti distinti tra loro collegati83 o a un 81 Sul rapporto tra i due profili, si rinvia a P. Perlingieri, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 332. 82 Si tratta della direttiva relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali. L’art. 3, par. 1 della Proposta del 9 dicembre 2015 COM (2015)634, disponeva che la direttiva si applica “ai contratti in cui il fornitore fornisce contenuto digitale al consumatore, o si impegna a farlo, e in cambio del quale il consumatore corrisponde un prezzo oppure fornisce attivamente una controprestazione non pecuniaria sotto forma di dati personali o di qualsiasi altro dato”. E nel Considerando 13 specificava che “nell’economia digitale, gli operatori del mercato tendono spesso e sempre più a considerare le informazioni sulle persone fisiche beni di valore comparabile al denaro. I contenuti digitali sono spesso forniti non a fronte di un corrispettivo in denaro ma di una controprestazione non pecuniaria, vale a dire consentendo l’accesso a dati personali o altri dati. Tali specifici modelli commerciali si applicano in diverse forme in una parte considerevole del mercato. Introdurre una differenziazione a seconda della natura della controprestazione significherebbe discriminare alcuni modelli commerciali e incoraggerebbe in modo ingiustificato le imprese ad orientarsi verso l’offerta di contenuti digitali contro la messa a disposizione di dati. Vanno garantite condizioni di parità eque. Inoltre, è possibile che una cattiva prestazione del contenuto digitale fornito in cambio di una controprestazione non pecuniaria abbia ripercussioni sugli interessi economici dei consumatori. L’applicabilità delle disposizioni della presente direttiva non dovrebbe pertanto dipendere dal pagamento o meno di un prezzo per il contenuto digitale in questione”. Apertamente contrario alla qualificazione in termini di “corrispettivo non pecuniario” si è dimostrato il Garante europeo per la protezione dei dati personali, il quale nell’Opinion 4/2017 on the Proposal for a Directive on certain aspects concerning contracts or the supply of digital content del 14 marzo 2017 raccomandava di evitare l’indicazione dei dati personali come possibile controprestazione poiché “personal information is related to a fundamental right and cannot be considered as a commodity”. Su tale profilo problematico si rinvia a V. Ricciuto, Nuove prospettive del diritto privato dell’economia, in E. Picozza - V. Ricciuto, Diritto dell’economia, II ed., Torino, 2017, p. 357 ss.; G. Resta, Dignità, persone, mercati, Torino, 2014, passim; G. Resta - V. Zeno Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi in rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss. 83 Così F. Bravo, Lo “scambio di dati personali” nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contratto e impresa, 2019, p. 39; il quale afferma che “il consenso in materia di protezione dei dati personali e il (consenso dato per la conclusione del) contratto la cui esecuzione comporti la The best interest of the child tra persona e contratto 515 unico atto84, è questione che comunque non tocca l’evidente l’unicità dell’operazione economica85 nella quale si compie lo “scambio di dati personali” che “l’ordinamento non vieta”86. È proprio dalla constatazione, prima ancora che dalla ricostruzione, di questa prospettiva funzionale che la negazione al minorenne (almeno) sedicenne della possibilità di “disporre” dei propri dati personali per l’acquisto di contenuti o servizi digitali – sia pure con tutti i limiti discendenti dalla disciplina del tipo di “bene” implicato, intimamente legato alla persona – si tradurrebbe in un impedimento al soggetto di realizzare la propria personalità, e quindi nella privazione di effettività dello stesso diritto personale alla protezione dei dati, la cui patrimonializzazione implica la “scambiabilità” nel mercato. Bibliografia Alpa G., I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, in I Contratti, 2004, p. 520 ss. Andreola E., Gli acquisti online del minore tra invalidità dell’atto e responsabilità dei genitori, in Contratto e impresa, 2018, p. 961 ss. Andreola E., Il regime degli acquisti on line del minore quale consumatore “debole”, in Familia, 2017, p. 687 Antonini L. (cur.), Il traffico dei diritti insaziabili, Catania, 2008, p. 86 ss. Arena G., voce Incapacità (diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 909 ss. Baldassare A., Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 1991, p. 639 ss. Ballarani G., Il diritto all’ascolto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 129 ss. necessità del trattamento di dati personali sono due condizioni distinte di liceità del trattamento, non sovrapponibili, in quanto volte a soddisfare esigenze diverse, di autodeterminazione informativa affidata alle scelte dell’interessato, la prima, e di realizzazione degli interessi congiuntamente stabiliti dal titolare e dall’interessato nell’ambito delle dinamiche contrattuali, la seconda”. 84 Si veda V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, cit., p. 728. 85 Si rinvia a E. Gabrielli, voce Contratto e operazione economica, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento ******, Torino, 2011, p. 243 ss. 86 Cass., 2 luglio 2018, n. 17278, in Dir. giust., 2018, 2 luglio, la quale precisa che nulla impedisce al gestore del sito, in caso di fornitura di un servizio né infungibile né irrinunciabile, “di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali, mentre ciò che gli è interdetto è utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia effettivamente manifestato la volontà di riceverli. Insomma, l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno ed in nessun modo coartato”. 516 The best interest of the child Ballarani G., La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e principi), in P. Perlingieri - S. Giova (cur.), Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità, Atti del 13° Convegno Nazionale della Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile, Napoli, 2019, p. 324 Barba V., La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale (Parte prima), in Riv. trim. dir e proc. civ. 2008, pag. 791 e ss.; ID., La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale (Parte seconda), ivi, pag. 1167 e ss.; Belvedere A., L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro - A. Belvedere (cur.), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 319 ss. Bianca C.M., Diritto civile, 1, La norma giuridica i soggetti, Milano, 2002, p. 233 ss. Bianca C.M., Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2019, p. 93 ss. Bianca C.M., Il diritto del minore all’ascolto, in Leggi civ. comm., 2013, p. 546 ss. Bianca M., L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente legge n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, II, p. 205 ss. Bitonti I., Perenne attualità dell’istituto dell’ascolto del minore, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 1069 ss. Bocchini F., L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, in Riv. dir. civ., 2000, p. 282 Bona C., L’annullamento parziale del contratto e l’”eterointegrazione del contraente”, in Foro it., 2014, I, p. 2498 Bravo F., Lo “scambio di dati personali” nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contratto e impresa, 2019, p. 39 Burdese A., voce Età (dir. rom.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 79 Busnelli F.D., Capacità ed incapacità del minore, in Dir. fam., 1982, p. 61 Busnelli F.D., Il diritto delle persone, in I cinquant’anni del codice civile. Atti del convegno di Milano, 4-6 giugno 1992, I, Milano, 1993, p. 30 Calò E., L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, in Corr. giur., 2002, p. 780 Camardi C., Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo, Torino, 2017, p. 184 ss. Capilli G., La capacità negoziale dei minori. Analisi comparata e prospettive di riforma, Torino, 2012, p. 27 ss. Carbonnier J., Droit civil. Les personnes. Personnalité, incapacités, personnes morales, Paris, 1990, p. 143 ss. Caterina R., Ai confini dell’autonomia, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 459 ss. Cinque M., Il minore contraente. Contesti e limiti della capacità, Padova, 2007, p. 23 ss. Cinque M., Il minore e la contrattazione telematica tra esigenze del mercato e necessità di apposite tutele, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 24 ss. Delle Monache S., Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, p. 46 The best interest of the child tra persona e contratto 517 Di Sabato D., Il contratto del minore tra incapacità di contrarre e capacità di consumare, in Riv. dir. impr., 2011, p. 76 Di Sabato D., Le relazioni economiche del minore, in Dir. succ. fam., 2015, p. 700 Dossetti M., Effetti dell’amministrazione di sostegno, in M. Dossetti - M. Moretti - C. Moretti, L’amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, Assago, 2004, p. 78. Falzea A., voce Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 24 Ferrara F., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli, 1941, p. 50 Forchielli P., Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 52 ss Gabrielli E., voce Contratto e operazione economica, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 2011, p. 243 ss. Gambaro A., La tradizione giuridica occidentale, in A. Gambaro - R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, IV ed., in R. Sacco (dir.), Tratt. dir. comp., Torino, 2018, p. 31 ss. Giardina F., “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1611 ss. Giardina F., I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 1390 Giardina F., L’art. 1426 c.c. tra annullabilità del contratto a tutela del minore e validità del contratto come “rimedio” a favore dell’altro contraente, in E. del Prato (cur.), Studi in onore di Antonino Cataudella, t. II, Napoli, 2013, p. 1073 ss. Giardina F., La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984 Giorgianni M., In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, I, p. 107 Grossi P., Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. 27 ss. La Rosa E., Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, p. 20 ss. Lamarque E., Prima di bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016 Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss. Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 111 Longo P., L’attività negoziale del minore nei rapporti con le banche, in Contratti, 1999, p. 716 Maggiolo M., Il contratto predisposto, Padova, 1996, p. 297 ss. Majello, U., La patologia del contratto annullabile, in Riv. dir. civ. 2003, pag. 339e ss. Mattucci G., Lo statuto costituzionale del minore di età, Padova, 2015, p. 3 ss. Mengoni L., Il “diritto vivente” come categoria ermeneutica, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 149 ss. Messineo F., Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Milano, 1957, p. 236 Moro A.C., in M. Dossetti - C. Moretti - M. Moretti - P. Morozzo della Rocca - Vittorini Giuliano S. (cur.), Manuale di diritto minorile, Bologna, 2019, p. 380 ss. 518 The best interest of the child Navarretta E., Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, p. 168 ss. Nicolussi A., voce Autonomia privata e diritti della persona, in Enc. dir., Annali 2007, Milano, 2011, p. 149 ss. Palmeri G., Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 15 ss. Perlingieri C., La tutela dei minori di età nei social networks, in Rass. dir. civ., 2016, p. 1332 ss. Perlingieri C., Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, p. 13 ss. Perlingieri P., L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 332. Pescara R., I provvedimenti di interdizione e inabilitazione e le tecniche protettive dei maggiorenni incapaci, in P. Rescigno (dir.), Tratt. dir. priv., 3, Persone e famiglia, IV, Torino, 1982, p. 764 Pesce R., L’ascolto del minore tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Fam. dir., 2015, p. 252 ss. Piccinni M., I minori di età, in C.M. Mazzoni - M. Piccinni, La persona fisica, in G. Iudica - P. Zatti (cur.) Tratt. dir. priv., Milano, 2016, p. 404 ss. Pintore A., Diritti insaziabili, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Roma-Bari, 2008, p. 179 ss. Quadri E., L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, p. 80 ss. Recinto G., Il superiore interesse del minore tra prospettive interne “adultocentriche” e scelte apparentemente “minorecentriche” della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., I, 2017, p. 3669 ss. Resta G. - Zeno Zencovich V., Volontà e consenso nella fruizione dei servizi in rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 411 ss. Resta G., Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005 Resta G., Dignità, persone, mercati, Torino, 2014 Ricciuto V., La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. inf., 2018, p. 723. Ricciuto V., Nuove prospettive del diritto privato dell’economia, in E. Picozza - V. Ricciuto, Diritto dell’economia, Torino, 2017, p. 357 ss. Ronfani P., Dal bambino protetto al bambino partecipante. Alcune riflessioni sull’attuazione dei “nuovi” diritti dei minori, in Soc. dir., 2001, p. 77 ss. Ruperto C., voce Età (dir. priv.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 86 Ruscello F., Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Familia, 2002, p. 933 ss. Ruscello F., Minori di età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Fam. dir., 2011, p. 404 ss. Santoro Passarelli F., voce Atto giuridico, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 204 ss. Scalisi V., Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio “personalista” in Italia e nell’Unione europea, in Riv. dir. civ., 2010, p. 146 ss. The best interest of the child tra persona e contratto 519 Scalisi V., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss. Scalisi V., L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018, p. 48 Senigaglia R., “Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, p. 1318 ss. Senigaglia. R., Minore età e contratto. Contributo alla teoria della capacità, Torino, 2020. Stanzione P., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, con la prefazione di R. Pane, rist. dell’edizione del 1975, Napoli, 2018 Stanzione P., I contratti del minore, in Eur. dir. priv., 2014, p. 1237 ss. Stanzione P., Scelte esistenziali e autonomia del minore, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1151 Stefanelli S., Verso la capacità di agire del minore: il caso degli atti giuridici in senso stretto, in Foro it., 2018, p. 601 Tafaro L., L’età per l’attività, Napoli, 2018, p. 241 ss. Terré F. - Goldie-Genicon C. - Fenouillet D., Droit civile. La famille, Paris, 2018, p. 941 Thobani S., Diritti della personalità e contratto: dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018, p. 54 ss. Treitel G.H., The law of contract, London, 1991, p. 482 ss. Trimarchi V.M., Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940, p. 102 ss. Venchiarutti A., L’attività contrattuale dell’incapace nel diritto inglese. I “contracts for necessaries” e i “beneficial contracts of service”, in P. Cendon (cur.) Scritti in onore di R. Sacco. La comparazione giuridica alle soglie del 3° millennio, I, Milano, 1994, p. 1143 ss. Venchiarutti A., Raggiri dell’inabilitato per occultare la propria incapacità: il contratto non sarà annullabile?, in Dir. fam. pers., 2014, p. 39 Vercellone P., Gli aspetti personali della potestà dei genitori, in G. Collura - L. Lenti - M. Mantovani (cur.), Filiazione, in P. Zatti (dir.) Tratt. dir. fam., vol. II, Milano, 2012, p. 1245 ss. Viola F., I diritti e le età della vita, in Lavoro sociale, 13, 2013, p. 7 ss. Virgadamo P., L’ascolto del minore in famiglia e nelle procedure che lo riguardano, in Dir. fam., 2014, p. 1656 ss. parte v L’interesse del minore all’accertamento dello stato filiale L’incidenza dell’interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale Tommaso Auletta Sommario: 1. L’interesse del minore: considerazioni generali. – 2. Criteri di individuazione dei genitori quale strumento di attuazione dell’interesse del minore. – 3. segue: le problematiche del riconoscimento. – 4. segue: Genitorialità sociale ed interesse del minore. – 5. Bigenitorialità ed eterosessualità. – 6. L’interesse del minore a vivere nella propria famiglia ed a coltivare rapporti con i congiunti. – 7. La rilevanza dell’interesse del minore nel quadro delle azioni volte a costituire lo status. – 8. segue: … ed in quelle volte a rimuoverlo. 1. L’interesse del minore: considerazioni generali. Secondo gli orientamenti di pensiero più recenti la tutela dell’interesse del minore rappresenta un valore indiscusso e di fondamentale rilevanza. Detta tutela costituisce un criterio che deve guidare le scelte del legislatore nella formulazione delle norme e l’interprete nella risoluzione delle controversie. La centralità della posizione assunta peraltro dal figlio (anche se non minorenne) nell’ambito del moderno diritto di famiglia è ormai generalmente ed incondizionatamente riconosciuta, in particolar modo, dalla normativa interna, dopo la Riforma del diritto della filiazione introdotta dalla legge 219/2012 e dal decreto attuativo 154/2013 per un verso e dalla legge del 76/2016 sulle unioni civili e le convivenze, per altro verso. Mentre infatti i modelli familiari sono divenuti ormai plurali (passando cioè dall’unità alla molteplicità) il fenomeno inverso si è verificato riguardo alla filiazione, mediante l’introduzione dello stato unico di figlio (dalla molteplicità all’unità). Sul figlio si è in particolar modo concentrata l’attenzione dell’ordinamento, accentuando l’ambito dei suoi diritti e al conseguente perseguimento degli interessi di cui costituiscono l’obiettivo. 524 The best interest of the child Pur tuttavia, a giudizio di molti, trattasi di un principio dal significato oscuro o comunque particolarmente controverso riguardo al significato, anche per la diversità delle espressioni che vi fanno richiamo, e ancor più per la difficoltà di individuare criteri oggettivi volti ad assicurarne l’attuazione senza doversi cioè affidare all’arbitrio dell’interprete; di non semplice collocazione nelle gerarchia dei valori e nel rapporto con interessi di cui altri soggetti possono di volta in volta rendersi portatori. Particolarmente felice mi sembra dunque l’intuizione di Mirzia Bianca di dedicare un convegno molto articolato negli aspetti considerati, volto ad affrontare problematiche di così vasta complessità. Da parte mia cercherò di apportare un modesto e circoscritto contributo esaminando la ricostruzione del significato e la conseguente applicazione che la giurisprudenza interna ha fatto dell’interesse del minore riguardo a tre profili che mi sembrano per varie ragioni particolarmente significativi: la ricostruzione dei criteri di individuazione della genitorialità, i criteri di costituzione dello status e le implicazioni che ne derivano, gli interessi tutelati nel contesto delle azioni volte a costituire o ad eliminare lo status medesimo. Prima di passare all’esame dei punti enunciati vorrei partire tuttavia da alcune brevi considerazioni introduttive. La necessità di riservare al minore particolare tutela costituisce un principio che è stato proclamato da importanti documenti internazionali a partire dagli inizi del secolo scorso: dalla Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo del 1924 e da quella ONU del 1959. Più precisamente in uno dei considerando del preambolo di quest’ultima si sottolinea che “il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale ha bisogno di una particolare protezione, compresa una particolare protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita”. Il richiamo più specifico all’interesse del minore quale criterio di risoluzione normativa e giurisprudenziale dei conflitti comincia a trovare spazio, invece, in documenti di data posteriore di cui si dirà tra breve. Ma frequenti specifici riferimenti all’interesse in oggetto si rinvengono anche in numerosi documenti di data posteriore: la Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, (e, per alcuni profili specifici, anche il regolamento CE 2201/2003) i quali hanno indubbiamente influenzato l’evoluzione successiva della normativa interna. Ma un ruolo Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 525 di non minore importante bisogna riconoscere anche alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, quantunque in questi documenti non si rinvengano richiami espliciti all’interesse del minore. Secondo la traduzione italiana del testo, la Convenzione di Strasburgo indica come obiettivo generale la promozione dell’interesse superiore del fanciullo (art. 1) e come dovere del giudice assumere la decisione alla luce del medesimo superiore interesse (art. 6). Similmente la Convenzione di New York stabilisce all’art. 3 che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli (…) l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente” e l’art. 21 richiede agli Stati di garantire che, ai fini dell’adozione, “l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia”. Analoga formula si ritrova nell’art. 24 della Carta fondamentale dell’Unione europea con riferimento agli atti compiuti da autorità pubbliche o private relativi ai bambini. E nel preambolo della Convenzione di Strasburgo del 2003 sulle relazioni personali, la versione inglese parla di best interests of the children, quella francese di intérêt supérieur des enfants e quella italiana (non ufficiale) di interesse considerato prioritario. Dal tenore letterale di queste ultime sembrerebbe emergere una precisa indicazione rivolta al legislatore degli Stati membri dell’Unione o firmatari delle Convenzioni menzionate di riconoscere comunque preminenza, nella formulazione delle norme, all’interesse del minore e alla giurisprudenza di adottare il medesimo criterio nella risoluzione delle controversie che lo riguardano, onde in presenza di un conflitto di interessi quello di cui si rende portatore il minore dovrebbe avere tendenzialmente il sopravvento. In realtà, come la dottrina non ha mancato di rimarcare, una conclusione siffatta portata alle estreme conseguenze rischierebbe di distorcere l’esatto significato delle norme, a causa di una discutibile traduzione dei testi in lingua originaria. Esempio particolarmente significativo al riguardo è costituito dalla Convenzione di New York i cui artt. 3 e 21 stabiliscono, nella versione inglese, che the best interests of the child shall be a primary consideration mentre nella versione in lingua francese si dice che l’intéret supérior de l’enfant doit être una considération primordiale (art. 3), oppure (art. 21) est la considération primordiale. Ben diversi appaiono allora i significati dalle due versioni. Mentre secondo quella inglese il legislatore o il giudice devono optare per la soluzione che meglio persegue l’interesse del minore fra quelli di cui egli è 526 The best interest of the child portatore, nella versione francese l’interesse (al singolare) del minore dovrebbe considerarsi sempre superiore, con prevalenza rispetto agli altri in conflitto e ricevere dunque preminente considerazione. Proprio quest’ultima è la versione che è stata recepita nella traduzione in lingua italiana ma che, se intesa alla lettera, rischierebbe di stravolgere l’equilibrio dei valori, riconoscendo sempre e comunque prevalenza all’interesse del minore sugli altri in conflitto. Tale versione è stata ripresa anche dal nostro legislatore nella formulazione di alcune norme ed applicata, con pari rigidità, da alcuni arresti giurisprudenziali (su questi ultimi si ritornerà peraltro nei §§ successivi). Riguardo alla legislazione nazionale, secondo una corrente di pensiero1, detto interesse è già immanente nella Costituzione repubblicana, anche se non espressamente enunciato. Si richiama in particolare il complessivo impianto degli artt. 29, 30, 31 nonché l’art. 2 sulla protezione della persona all’interno delle formazioni sociali “ove si svolge la sua personalità”, proprio perché il minore è da considerare soggetto debole quale persona in via di formazione2. Tale ricostruzione appare fondamentale al fine di individuare nell’interesse del minore un valore di rilevanza costituzionale e, per le ragioni che si diranno, preminente – secondo alcuni – rispetto ad altri valori presi in considerazione dalla Carta con cui dovesse entrare eventualmente in conflitto. Ma anche a opinare diversamente, è certo che nella Costituzione trova conferma l’assunto (peraltro non controverso nel contesto degli ordinamenti di civil law e proclamato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo) secondo il quale il minore è da considerarsi persona al pari degli adulti, titolare dei medesimi diritti, ed a questo riguardo nessuna rilevanza assume il fatto che egli non sia in grado di esercitarli. Particolarmente significativa è l’elencazione di alcuni di essi contenuta nell’art. 30, 1° comma Cost. ed il riferimento alla protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù (art. 31, 2° comma)3. Nella legislazione ordinaria il principio suddetto trova spazio, a partire dal 1967, con l’introduzione dell’adozione speciale (l. 5 giugno n. 431) per proseguire poi con la Riforma del diritto di famiglia del 1 E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, 37. 2 Cfr. in proposito C. Cost., 10 febbraio 1981, n. 11 nella quale si afferma che, alla luce del combinato disposto degli artt. 2 e 30 cost. costituisce valore primario la promozione della personalità del soggetto umano in formazione. 3 Ma essi vengono menzionati anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo (art. 25). Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 527 1975 (l. n. 151). Ma un’indicazione significativa della sua rilevanza può rinvenirsi anche all’interno della legge n. 898/1970 sul divorzio riguardo al profilo dell’affidamento (art. 5). L’intero impianto della legge sull’adozione speciale si fonda sulla tutela del preminente ed esclusivo interesse del minore (di otto anni) di contare sul sostegno di una famiglia, quando viene a trovarsi in situazione di abbandono. Detta normativa introduce, come è noto, un totale mutamento di prospettiva rispetto all’originario modello codicistico, nel cui contesto l’adozione riguardava essenzialmente i maggiorenni ed era volto a soddisfare soprattutto l’interesse degli adottanti ad attribuire in eredità il loro patrimonio ed a perpetuarne il nome4. Specifici riferimenti alla rilevanza dell’interesse del minore si rinvenivano in alcune norme introdotte nel codice dall’art. 4 della legge del 1967: l’art. 314/6 secondo il quale il tribunale, ricevuta informazione dello stato di abbandono, adotta temporaneamente i provvedimenti più opportuni nell’interesse del minore; alla luce del medesimo interesse il giudice può, pronunziato lo stato di adottabilità, formulare prescrizioni ulteriori oltre alla sospensione della potestà (art. 314/16), disporre la sospensione del procedimento (art. 314/10) o la revoca dello stato di adottabilità (art. 314/18), individuare la coppia nei confronti della quale predisporre l’affidamento preadottivo (art. 314/20)5, prorogare la durata di detto affidamento (art. 314/24). Proprio nel contesto di detta materia è formulato il primo richiamo da parte della giurisprudenza alla tutela del preminente interesse del minore: esso si rinviene nella sentenza n. 11/1981 della Corte Costituzionale la quale dichiara illegittima la norma (art. 314/17) che faceva venir meno lo stato di adottabilità nel caso di una pronunzia di adozione ordinaria del minore, per contrarietà all’art. 30, 1° e 2° comma Cost. La l. n. 151/1975 non richiama mai esplicitamente l’interesse in esame ma numerosi sono i riferimenti a quelli riguardanti il figlio, concernenti situazioni in cui può venire a trovarsi esclusivamente il minore di età. Significativo al riguardo è l’art. 147 cc. secondo il quale i coniugi (ma la regola si applica in realtà più generalmente ai genitori) “sono tenuti ad adempiere i loro doveri verso la prole tenendo conto delle capacità, 4 A volte gli adottanti erano anche mossi dall’intento di assicurarsi l’assistenza da parte dell’adottato nel periodo della vecchiaia. 5 Trattasi dell’unica norma della legge nella quale l’interesse viene considerato preminente, al fine di sottolineare che nessuna comparazione può essere operata rispetto all’interesse di cui si rendono portatrici le coppie disponibili all’adozione (bisogno di genitorialità e di assistenza). 528 The best interest of the child dell’inclinazione morale e delle aspirazioni dei figli”. In particolare il dovere di educazione ed istruzione, secondo l’opinione più diffusa almeno sino alla Riforma della filiazione, si riferisce solo ai minori, essendo collegati con l’esercizio della potestà, che si estingue, secondo il dettato dell’art. 316 cc. nella versione previgente, con il raggiungimento della maggiore età. Nel caso di contrasto fra i genitori si stabilisce inoltre che il giudice “suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio”. Tali regole appaiono già a quell’epoca significative dell’evoluzione della potestà da una concezione “adulto-centrica” propria del codice del 1942 ad “ufficio” volto a tutelare in maniera preminente, se non esclusiva, gli interessi dei minori. Ed infine, l’art. 6 nella versione originaria della l. n. 898/1970 già disponeva che “l’affidamento e i provvedimenti riguardanti i figli avranno come esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale degli stessi”. Ben più numerosi sono i richiami introdotti nelle norme di epoca posteriore: di superiore o preminente interesse del minore parlano, ad esempio, gli artt. 32, 35, 57 l. adoz del 1983; mentre l’art. 337 sexies cc. considera tale interesse quale criterio prioritario ai fini dell’assegnazione della casa familiare. Esso assume rilevanza esclusiva secondo gli artt. 317 bis e 337 ter cc. nonché secondo gli artt. 11, comma 1, 25 comma 5, 33 comma, 4 l. adoz. Individuano invece nella contrarietà all’interesse del minore un ostacolo ad una certa determinazione giudiziale, gli artt. 158, 252, 337 octies cc. Ancor più numerose sono le norme il cui impianto è volto a perseguire l’interesse suddetto. Il quadro che emerge consente dunque di affermare che l’interesse del minore costituisce, alla luce della normativa sovranazionale ed interna, principio fondamentale che deve essere preso in debita considerazione dal legislatore nella formulazione delle norme che lo riguardano e dall’interprete nella ricostruzione del loro significato non solo in quanto la persona interessata costituisce un soggetto debole (e dunque meritevole di particolare protezione al pari degli altri6) ma anche in via di formazione, di un progetto umano in itinere il cui adeguato sviluppo incide non solo sulla promozione della persona ma anche sull’assetto futuro della società. Ciò premesso, più delicato diviene però il discorso volto a stabilirne il rapporto quando esso entri in conflitto con altri interessi ugualmente tutelati dall’ordinamento: se debba sempre prevalere o essere oggetto 6 In generale con riferimento alle problematiche riguardanti le persone deboli cfr. P. Cendon, I diritti dei più fragili, Milano, 2018. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 529 di contemperamento con i medesimi e persino di totale sacrificio, a seconda delle circostanze. Quest’ultima è la soluzione che si rivela più soddisfacente, in conformità ai principi dell’ordinamento per le ragioni che si diranno. Il riferimento all’interesse “superiore” deve dunque essere correttamente inteso come richiamo alla sua particolare importanza ed all’esigenza che il legislatore e l’interprete gli riservino attenta considerazione, ma non come interesse che debba comunque prevalere e giustificare la violazione della legge. Se così non fosse ci troveremmo al cospetto dell’unico caso in cui un interesse viene privilegiato non in virtù del suo valore, della sua rilevanza, bensì del soggetto che se ne rende portatore. Un interesse che, diverrebbe “tiranno”, assumendo un ruolo che, a detta di recenti decisioni della Corte costituzionale7, non trova alcun plausibile fondamento. L’esigenza di contemperare l’interesse del minore con altri con i quali possa entrare in conflitto è stata anche chiaramente messa in luce dalla Cassazione la quale, nel ricostruire il senso dei richiami al best interests of child così puntualizza: «ciò non significa tuttavia che la tutela del predetto interesse non possa costituire oggetto di contemperamento con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione può ben incidere sull’individuazione delle modalità più opportune da adottare per la sua realizzazione»8. Sulla base di tali considerazioni spetta al legislatore il compito di indicare i criteri di bilanciamento degli interessi in conflitto ed al giudice individuare il modo di perseguirne il soddisfacente risultato9. 7 V. in proposito C. cost., 9 maggio 2013, n. 85 nella quale si precisa che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (…) Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette». Analogamente, C. cost., 12 aprile 2017, n. 76, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 1172, con nota di L. Marzialetti, afferma che «l’elevato rango dell’interesse del minore a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne, tuttavia, non lo sottrae in assoluto ad un possibile bilanciamento con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono quelli di difesa sociale, sottesi alla necessaria esecuzione della pena». 8 Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, in Familia, 2019, 345, con commento di M. Bianca; in Giustiziacivile. com, 2019, con nota di U. Salanitro; in Famiglia e dir., 2019, 653, con note di M. Dogliotti e G. Ferrando; in Corr. giur., 2019, 1198, con note di D. Giunchedi e M. Winkler. Ed in precedenza, Cass., 11 novembre, 2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 235, con nota di C. Benanti, (riportata nella rivista con la data 26 settembre 2014), con riferimento all’operatività del divieto di surrogazione maternità, quantunque in possibile contrasto con l’interesse del minore al riconoscimento della genitorialità sociale. 9 Emblematico al riguardo è il bilanciamento operato da C. cost., 10 giugno 2014, n. 530 The best interest of the child È quel che accade infatti in innumerevoli ipotesi riguardo alle disposizioni normative: si pensi ad esempio, all’impianto della legge sull’aborto, nella quale l’interesse alla vita ed alla salute della madre, tutelati costituzionalmente, sono considerati prevalenti rispetto all’interesse alla vita del feto (anch’esso di rilevanza costituzionale); ed ancora con riferimento all’interesse del presunto padre (e della madre) di esercitare (tempestivamente) l’azione di disconoscimento (per rimuovere una paternità non conforme alla derivazione genetica) sacrificando, rispettivamente, l’interesse del minore alla conservazione del rapporto o alla bigenitorialità nel caso di fecondazione eterologa praticata senza il consenso del marito o del convivente (essendo comunque esclusa la genitorialità del donatore); all’interesse del coniuge di non accogliere nella propria casa il figlio dell’altro generato al di fuori del matrimonio sacrificandone l’eventuale interesse di cui quest’ultimo si renda portatore; all’interesse della madre all’anonimato in contrapposizione a quello del figlio di conoscere le proprie origini. Se così non fosse le regole menzionate non potrebbero altrimenti trovare applicazione o non dovrebbero operare ogni volta in cui si pongano in contrasto con l’interesse del minore. Pur ricondotti alla prospettiva indicata, i richiami a quest’ultimo hanno suscitato critiche e perplessità riguardo alla difficoltà di stabilire i criteri per giungere alla sua individuazione senza lasciare spazio all’arbitrio dell’interprete. Problema che in certa misura si pone in tutte le ipotesi in cui il legislatore ricorre a clausole generali, ma forse in questo caso detta clausola è dotata di particolare “impalpabilità” per mancanza di attendibili criteri di riferimento a cui l’interprete possa ispirarsi. Ed in particolare non manca di destare forte preoccupazione il rischio che il giudice invochi detto interesse per sovvertire il bilanciamento dei valori su cui si fonda il nostro ordinamento, per far prevalere il proprio convincimento e la propria sensibilità. Proprio per la sua accentuata indeterminatezza vi è chi ha parlato, del best interests of the child, in modo non lusinghiero, di una scatola vuota che può essere riempita di qualsiasi contenuto10, di un’icona 162, in Corr. giur., 2014, 1062, con nota di G. Ferrando, nel rimuovere il divieto di fecondazione eterologa fra gli interessi delle coppia impossibilitata a procreare naturalmente e quelli del figlio. 10 P. Ronfani, L’interesse del minore nella cultura giuridica e nella pratica, in Cittadinanza dei bambini e costruzione sociale dell’infanzia, a cura di C. Maggioni e C. Baraldi, Urbino, 1997, 254. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 531 linguistica, cioè di una clausola a cui non è dato ascrivere un contenuto perché la sua funzione è di non averne uno11, dell’araba fenice12, di formula magica13, di un abito buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni14, di clausola generale a contenuto vago e indeterminato15 utilizzato dalla giurisprudenza per esimersi dall’argomentare rigorosamente la soluzione prescelta o, ancor peggio, per sovvertire i valori privilegiati dall’ordinamento. Infatti il principio in questione riveste nel nostro ordinamento e negli altri di matrice comune (civil law) un ruolo ben diverso da quello originario proprio degli ordinamenti di common law. In questi ultimi esso tendeva ad individuare i doveri morali a carico degli adulti verso i minori in mancanza del riconoscimento di diritti in capo ai medesimi in quanto soggetti non in grado di esercitarli. Nel nostro ordinamento, ove il riconoscimento di diritti del minore non è stato mai posto in discussione (analogamente a quanto stabilito dalla maggioranza dei documenti internazionali innanzi ricordati), il principio enunciato nella legislazione serve ad individuare la soluzione generale ed astratta volta ad assicurare la miglior tutela ai minori che vengano a trovarsi nella situazione descritta dalla norma e che il giudice è chiamato ad applicare al caso concreto. In tal senso opera sovente la giurisprudenza quando si muove all’interno dei confini tracciati dalla norma, pur con l’ampia discrezionalità innanzi rilevata, per la difficoltà di individuare fra gli interessi di cui è portatore il minore quale debba prevalere al fine di garantirgli maggiore benessere, e quando è chiamata ad assicurare un bilanciamento tra gli interessi in conflitto di cui altri soggetti si rendano portatori. La scelta rimessa al minore od il ricorso all’ascolto costituiscono gli strumenti appropriati per l’individuazione di tale interesse almeno quando egli sia in grado di compiere una cosciente valutazione priva di condizionamenti. 11 P. Zatti, Le icone linguistiche: discrezionalità interpretative e garanzia procedimentale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, suppl. (Atti del convegno Giustizia minore?. La tutela giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti), 4 s. 12 L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 86. 13 F.D. Busnelli, Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, 1463. 14 E. Lamarque, op. cit., 64. 15 R. Senigaglia, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013, 167 ss. 532 The best interest of the child A detto interesse ha fatto anche richiamo la Corte costituzionale nella ricostruzione del significato delle norme ordinarie onde assicurarne conformità al dettato della Carta. È quanto accaduto in passato, ad esempio riguardo all’età massima richiesta dalla legge riguardo agli adottanti, che la giurisprudenza ha inteso superare ove la negazione dell’adozione nei confronti di una certa coppia non rispondesse all’interesse di “quel” minore in situazione di abbandono16. Ma detto interesse viene anche a volte richiamato dai giudici di legittimità e di merito al fine di sovvertire i principi posti dal legislatore a tutela generale dei minori, per privilegiare altra soluzione più rispondente al concreto interesse di “quel” minore, cioè la soluzione che assicura il suo maggiore benessere: è quanto accaduto di recente, ad esempio, col superamento del principio di eterosessualità dei genitori, per tutelare un presunto diritto alla genitorialità della coppia omosessuale (v. § 5) che ha indotto gli aspiranti genitori a ricorrere a pratiche vietate dal nostro ordinamento, nella convinzione che poi la situazione sarebbe stata sanata dalla giurisprudenza per tutelare il bambino ormai venuto alla luce. In effetti tale considerazione è risultata vincente, in quanto, almeno a mio parere, non è stata riservata la giusta considerazione all’interesse generale dei bambini di avere dei genitori di sesso diverso. All’operato della giurisprudenza in alcuni settori significativi della materia sarà appunto dedicato il discorso che segue per individuare le soluzioni adottate in nome dell’interesse del minore onde valutarne la condivisibilità. 16 C. cost., 1 aprile 1992, n. 148, in Foro it., 1992, I, 1628 che ha consentito il superamento dell’età richiesta per adottare onde favorire l’adozione di più fratelli quando la separazione degli stessi avrebbe cagionato loro un grave pregiudizio. C. cost., 24 luglio 1996, n. 303, in Giust. civ., 1996, I, 2175 la quale ha ritenuto possibile il superamento dell’età prescritta riguardo ad uno solo degli adottanti purché «sussista quella differenza di età che può solitamente intercorrere tra genitori e figli». C. cost., 9 luglio 1999, n. 283, ivi, 1999, I, 2587 quando l’età è superata anche da entrambi, nel caso di adozione ai sensi della lett. b) dell’art. 44; C. cost., 9 ottobre 1998, n. 349, in Foro it., 1999, I, 1754 con riferimento, nella medesima ipotesi, alla mancanza del limite minimo di differenza di età di 18 anni. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 533 2. Criteri di individuazione dei genitori quale strumento di attuazione dell’interesse del minore. Come attestato anche dal significato etimologico del termine, è principio non controverso ampiamente desumibile dalle norme17 e consolidato in tutti gli ordinamenti, che nel caso di fecondazione naturale, genitore (dal punto di vista sostanziale) è colui che dà la vita mediante il proprio contributo genetico18 (ciò non significa naturalmente che l’ordinamento in alcune circostanze non possa optare per criteri diversi). Riguardo alla individuazione della madre si dà rilevanza al parto ed infatti, sotto il profilo probatorio, l’art. 269, 3° comma cc. richiede che sia dimostrata l’identità fra colui che pretende essere figlio e il bambino partorito dalla donna19. Risponde generalmente all’interesse e dunque al diritto del minore avere la possibilità di crescere nella propria famiglia genetica per gli aspetti normalmente positivi costituiti dalla maturazione nel contesto delle proprie “radici”, anche se non costituisce, come afferma costantemente la giurisprudenza20, una famiglia ottimale se posta a confronto con altre. Soluzione che tutela nel contempo il diritto dei genitori di esercitare le proprie funzioni, entrambi costituzionalmente tutelati anche se non in maniera assoluta21, essendo consentito al legislatore porre limiti alla ricerca della verità biologica e dunque considerare genitori anche coloro da cui il bambino non derivi geneticamente. In molteplici decisioni la Cassazione22 ha sottolineato in particolare, con riferimento al padre, che nessuna rilevanza al riguardo assume la 17 Ciò è testimoniato ad esempio dagli artt. 244, 2° comma e 263 cc. secondo i quali, rispettivamente, le azioni di disconoscimento e impugnazione del riconoscimento possono esercitarsi ove nel periodo del concepimento il presunto padre risulti impotente e quindi impossibilitato a generare. 18 V. in proposito ad es., Cass., 18 novembre 1992, n. 12350, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 933, con nota di M. Maggiolo: «la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo l’elemento biologico». 19 V. ad es., Trib. Messina, 20 marzo 2017, in Banca dati Pluris. 20 Affermazione ricorrente in materia di adozione al fine di escludere lo stato di abbandono del minore il quale riceva un’assistenza non ottimale ma pur sempre accettabile da parte dei propri genitori biologici. V. ad es., Cass., 8 febbraio 1989, n. 793, in Dir. fam., 1989, 519; Cass., 20 novembre 1989, n. 4956, in Giur. it., 1990, I, 1, 933; Cass., 11 novembre 1996, n. 9861, in Famiglia e dir., 1997, 250; Cass., 22 novembre 2013, n. 26204. 21 V. ad es., Cass., 24 marzo 2000, n. 3529, in Dir. fam., 2001, 128, con nota di A. Di Sapio ed ivi ulteriori citazioni. 22 Cass., 18 novembre 1992, n. 12350; Cass., 25 settembre 2013, n. 21882, in Famiglia e 534 The best interest of the child volontà di procreare e dunque il profilo dell’assunzione di “responsabilità”, in quanto le genitorialità trova fondamento nel fatto obbiettivo del compimento di atti idonei a rendere possibile la procreazione; irrilevante è anche la volontà dell’atto sessuale o la consapevolezza che esso sia volto a rendere possibile la generazione, onde non riveste alcuna incidenza l’erronea convinzione da parte dell’uomo circa l’infertilità della donna al momento dell’atto o che essa faccia uso di anticoncezionali (fatta salva tutt’al più la possibilità di agire nei suoi confronti nel caso in cui l’erroneo convincimento dipenda da dolo23) perché, a propria volta, egli è in condizione di utilizzare gli accorgimenti atti ad impedire il concepimento24. Analogo principio vale anche riguardo alla donna la quale, sia rimasta incinta accidentalmente o sia stata costretta all’atto sessuale ma abbia deciso di non interrompere la gravidanza. In questo caso è l’interesse del figlio alla genitorialità ad assume prevalenza rispetto a quello del genitore che intendesse sottrarsi ai propri compiti. L’irrilevanza della volontà nell’attribuzione del ruolo genitoriale sembra incontrare però una importante eccezione nella facoltà concessa alla donna dall’art. 30 DPR n. 396/2000 di manifestare, al momento del parto, volontà di non essere nominata, al fine di renderne estremamente problematico l’accertamento o addirittura al fine di sottrarsi alle proprie responsabilità (come si dirà tra breve). Facoltà che sembrerebbe contrastare con l’interesse innanzi menzionato del minore ancor più ove si tenga conto che tale scelta rende difficile anche al padre di assumere il proprio ruolo – ove intendesse farlo – perché potrebbe non essere a conoscenza della gravidanza, celatagli dalla donna, e comunque, non avendo diritto di accedere al certificato di assistenza al parto ed alla cartella clinica, non essere in grado di individuare il proprio figlio in vista del riconoscimento, onde il minore verrebbe a trovarsi in situazione di abbandono25. È da osservare che la scelta dell’anonimato si verifica nella pratica quasi esclusivamente nel caso di nascita al dir., 2014, 10, con nota di F. Farolfi; Cass., 15 marzo 2002, n. 3793; Cass., 13 dicembre 2018, n. 32308. 23 Ma anche questa possibilità è stata esclusa da Cass., 5 maggio 2017, n. 10906. 24 Analogamente si è pronunziata in Francia Cass., 12 luglio 2007, in Droit fam., 2007, 9, 26 con nota di S. Rouxel. 25 Non è detto infatti che la decisione della donna sia conseguenza del rifiuto del padre di assumere il proprio ruolo ma anche, soprattutto in tempi più remoti, del disonore derivante da un concepimento in assenza di matrimonio o, ancor più, da un concepimento con persona diversa dal marito. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 535 di fuori del matrimonio pur non essendo tale facoltà circoscritta dalla norma a tale ipotesi, ma spetta anche alla donna coniugata il cui figlio sia stato concepito col marito26. Essa è stata esercitata ad esempio dalla donna in un caso in cui alla nascita era stata riscontrata una grave malformazione del neonato27. Il riconoscimento del diritto della madre all’anonimato non sembrerebbe porsi in contrasto con l’interesse del minore ad acquisire lo stato ove si tenga conto che altrimenti il bambino rischierebbe la vita in quanto la donna potrebbe essere indotta ad optare per l’aborto o per l’infanticidio ove intendesse celare la maternità anche al fine, ad esempio, di tutelare la propria onorabilità. In tale prospettiva la Cassazione innanzi ricordata28 ha ritenuto infondato, proprio per la diversa posizione in cui vengono a trovarsi il padre e la madre, il problema di costituzionalità circa la diversità di trattamento riservata loro dalle legge riguardo alla incidenza della volontà nell’attribuzione del ruolo genitoriale. La questione inerente alla rilevanza della volontà incide in realtà sulla attribuzione della titolarità formale del rapporto genitoriale, cioè in sede di formazione dell’atto di nascita in quanto il padre biologico non può impedire che venga indicato il suo nome se coniugato con la madre, mentre tale possibilità è riconosciuta a quest’ultima mediante esercizio del diritto all’anonimato. Se invece il figlio è generato fuori del matrimonio il mancato riconoscimento potrebbe non bastare al padre per sottrarsi alle proprie responsabilità, in quanto è dato al figlio comunque reclamare giudizialmente lo stato a cui ha diritto, mentre altrettanto non varrebbe per la donna che ha scelto l’anonimato. In realtà, certamente vera la prima affermazione, uguale 26 È in tal senso l’opinione maggioritaria. V. per tutti, M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia9, Milano8, 2021, 372; G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Milano6, 2014, 315; C. Ciraolo, Contestazione e reclamo dello stato di figlio, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, 72. Ma in senso contrario M.N. Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 cc. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in Famiglia e dir., 2016, 487, in quanto non sussisterebbe la preminente esigenza di evitare la formazione di un atto di nascita contrario a verità. 27 Più precisamente trattavasi di bambina il cui fratello gemello era morto precocemente a seguito di aborto spontaneo, nata, dopo solo 25 settimane di gestazione, in condizioni fisiche assai precarie e con notevoli probabilità, in caso di sopravvivenza, d’essere gravemente minorata (cieca) o, comunque, priva di autonomia e d’ogni capacità di relazione: Trib. Parma, 17 ottobre 1998, in Nuova giur civ. comm., 1999, I, 46, con nota di G. Bonilini. La donna peraltro quasi immediatamente si era pentita della propria scelta ed intendeva, con l’azione in giudizio, assumere la maternità (ed analogamente il padre che inizialmente aveva condiviso la scelta della moglie). 28 V. nota 22. 536 The best interest of the child certezza non sussiste riguardo alla correttezza della seconda. In giurisprudenza infatti (e limitando le considerazioni a quest’ultima, dati gli obiettivi del presente contributo) la soluzione non è pacifica. In un arresto della Suprema Corte29 ed in un altro del Tribunale di Parma30 si afferma infatti che il figlio è legittimato ad agire verso ciascuno dei genitori (ivi compresa la madre che ha scelto l’anonimato) per reclamare lo stato, dovendo peraltro fornirne la prova; in senso opposto però si è espressa altra decisione di merito sostenendo che se si consentisse l’azione al figlio si frustrerebbe la finalità del diritto (quello all’anonimato) che la legge intende tutelare anche nell’interesse del minore31. Quest’ultima affermazione non convince in quanto il diritto all’anonimato garantisce l’interesse alla segretezza della donna rendendo la prova della maternità ben più complessa in assenza della possibilità di accedere al suo nome indicato nel certificato di assistenza al parto, in quanto secretato. Se nonostante ciò il figlio è in possesso di prove volte a dimostrare la maternità della partoriente non sussiste previsione che ne impedisca l’utilizzo. Non ne fa menzione infatti l’art. 269 cc. il quale dispone perentoriamente, e senza eccezioni, che anche la maternità (oltre che la paternità) può essere dichiarata nei casi in cui il riconoscimento è ammesso32. Il criterio genetico consente di raggiungere altri due obiettivi: la tutela dell’interesse del figlio alla bigenitorialità ed alla eterosessualità dei genitori. 29 Cass., 23 aprile 2010, n. 9727, in Dir. fam., 2011, 24. 30 17 ottobre 1998, cit., con riferimento all’azione di reclamo dello stato di figlio nato nel matrimonio il quale ha riconosciuto la legittimazione ad agire del curatore speciale nell’interesse del minore. 31 «Se la decisione della donna non fosse assistita dalla garanzia della sua perdurante validità per l’intero corso della vita, e se non fosse escluso il rischio per la stessa, in un imprecisato futuro e su richiesta di un figlio mai conosciuto e già adulto, di essere disvelata o di essere soggetta agli obblighi genitoriali ai quali aveva inteso sottrarsi manifestando la facoltà, espressamente riconosciuta dalla legge, di rimanere anonima»: Trib. Milano, 14 ottobre 2015, in Famiglia e dir., 2016, 476, con nota di M.N.Bugetti. 32 V. in tal senso ad es., in dottrina, C.M. Bianca, Diritto civile. 2.1., La famiglia6, Milano, 2017, 427 il quale precisa che «l’accertamento dello stato di figlio può ritenersi proponibile solo se il figlio sia venuto a conoscenza della identità della madre»; M.N. Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 cc. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, cit., 481 ss. Diversamente, nel senso che occorre la rinunzia della donna all’anonimato, C. Ciraolo, op. cit., 72. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 537 Esso trova applicazione anche in caso di fecondazione artificiale omologa in quanto i gameti provengono dalla coppia che vi fa ricorso. Dal criterio genetico l’ordinamento si distacca eccezionalmente in due ipotesi: trattasi della adozione legittimante e della fecondazione artificiale eterologa. Nel primo caso infatti, ai sensi dell’art. 27 l. adoz., si stabilisce che “l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti” (dovendo questi ultimi essere uniti in matrimonio). Trattasi di ipotesi singolare in cui l’interesse a crescere nella propria famiglia genetica risulta in concreto irrealizzabile a causa della sua mancanza o della assoluta inidoneità. Aspetto certamente drammatico per il minore, che ha indotto il legislatore a muoversi con estrema cautela nel determinare i requisiti dei possibili aspiranti all’adozione, riservandola solo a coppia coniugata la quale risulti in concreto la più idonea, rispetto ad altre che hanno presentato domanda, dal punto di vista morale e materiale a provvedere alla cura di “quel” minore, richiedendo anche che l’unione sia adeguatamente consolidata nel tempo. Uguale affidabilità non assicura invece, secondo il legislatore, la coppia convivente, considerata per principio più instabile, valutazione che suscita perplessità in una realtà ormai profondamente mutata in cui è tutt’altro che scontato che la coppia coniugata sia da considerare in astratto comunque più solida rispetto a quella non fondata sul matrimonio. Trattasi di un pregiudizio che andrebbe superato mediante una riforma normativa in quanto le motivazioni che inducono la coppia a non contrarre matrimonio sono così varie da non poterne dedurre un’indole incline al disimpegno e più fragile, sol perché la legge (n. 76/2016) ne rende più facile la dissoluzione rispetto a quella unita in matrimonio. I medesimi effetti (acquisto del ruolo proprio dei genitori genetici) non è in grado di assicurare la c.d. adozione particolare in quanto l’adottato diviene figlio sì, ma adottivo, con effetti più limitati rispetto a quelli propri della adozione legittimante33. L’art. 44 l. adoz. la prevede in ipotesi tassative in alternativa a quest’ultima, consentendo al giudice di stabilire se risulti in concreto più rispondente all’interesse del minore. L’adozione particolare infatti non interrompe i rapporti con la famiglia di origine e può essere pronunziata anche se gli adottanti non 33 Ad es., i genitori adottivi non hanno l’usufrutto legale sui suoi beni e non partecipano alla sua successione; è dubbio se si instaurino rapporti di parentela fra l’adottato ed i parenti dell’adottante, non si interrompono i rapporti con la famiglia di origine e pertanto l’adottato ne conserva il cognome. 538 The best interest of the child hanno i requisiti per l’adozione legittimante ma appaiono più indicati all’accudimento di “quel” minore o non è opportuno porli in competizione con altre coppie aspiranti all’adozione in quanto si rischierebbe di interrompere un rapporto felicemente sperimentato34. E proprio al fine di ampliare la duttilità della soluzione, parte della giurisprudenza ha ormai adottato un’interpretazione estensiva dell’art. 44 l. adoz., ricorrendovi quando il minore si trova in stato di semiabbandono onde non si ritiene rispondente al suo interesse recidere radicalmente i rapporti con la famiglia d’origine mentre al contempo sussiste un rapporto consolidato con altro soggetto in grado di assicurarle il supporto di cui ha bisogno (c.d. adozione mite)35; quando non appare opportuno interrompere i rapporti con la famiglia d’origine in quanto influiscono positivamente sul minore36 o al fine di consentire al convivente eterosessuale del genitore genetico di dare veste giuridica al rapporto che lo lega al minore e da questi vissuto positivamente37 ma anche nel caso di convivenza o matrimonio celebrato all’estero fra persone del medesimo sesso il quale non venga riconosciuto in Italia38. A detto risultato si perviene ampliando, in via interpretativa, il dettato della lett. d), in virtù della quale è consentito il ricorso all’adozione particolare quando vi sia stata la constatata impossibilità di affidamento 34 V. in proposito Trib. min. Milano, 7 febbraio 2007, in Famiglia e minori, 2007, 8, 84 il quale non ha considerato ostativa all’adozione la separazione intervenuta fra i richiedenti proprio per la solidità del rapporto instaurato col minore. 35 App. Bologna, 4 gennaio 1984 e App. Bologna, 27 febbraio 1985, in Dir. fam., 1985, 545; Trib. Roma, 18 marzo 1985, ivi, 1985, 620; App. Bologna, 15 aprile 1989, in Giur. merito, 1991, 93; Trib. min. Perugia, 22 luglio 1997, in Dir. fam., 1998, 1479; Trib. Roma, 20 luglio 2001 e Trib. Roma, 8 gennaio 2003, in Giur. merito 2003, 1122; Trib. min. Salerno, 19 luglio 2002, in Famiglia e dir., 2003, 606; Trib. min. Bologna, 7 febbraio 2003, ivi, 2003, 605; Trib. min. Roma, 8 febbraio 2003, in Giur. merito, 2003, 1122; Cass., 12 gennaio 2010, n. 260; Trib. min. Brescia, 21 dicembre 2010, in Famiglia e minori, 2011, 4, 61; Cass., 16 aprile 2018, n. 9370, in Foro it., 2018, I, 1536. Per gli opportuni ragguagli al riguardo v. in dottrina, F.P. Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009. 36 Cfr. Trib. min. Bari, 7 maggio 2008, in Famiglia e dir., 2009, 393; Trib. Genova, 14 ottobre 1995, ivi, 1996, 349; App. Genova, 1 dicembre 1995, in Dir. fam., 1996, 147. 37 Trib. Bologna, 29 maggio 1988, in Dir. fam., 1989, 139; Trib. Trieste, 3 aprile 1987, ivi, 1988, 1392. Ma in senso contrario si è espressa Cass., 27 settembre 2013, n. 22292, in Guida al dir., 2013, 46, 34 in base alla considerazione che il legislatore privilegia l’adozione piena rispetto a quella non legittimante sul presupposto che realizza meglio l’interesse del minore. 38 V. citaz. alle note 99, 100, 146. Diversa è la posizione assunta da Trib. Bologna, 10 novembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 387, con nota di D. Ferrari, la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale del divieto di adozione da parte del coniuge del medesimo sesso acquisita sulla base di un matrimonio celebrato all’estero. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 539 preadottivo, intendendola anche come impossibilità di diritto e non solo di fatto (come sembrerebbe invece suggerire il riferimento all’affidamento preadottivo quale provvedimento legato all’esistenza dello stato di abbandono39) rendendo sostanzialmente inutile, in maniera inaccettabile il dettato della lett. b)40. A tutela dell’interesse del minore alcuni giudici hanno prospettato anche la possibilità di un modello di “adozione aperta” con la quale si consente alla famiglia di origine, nonostante l’opzione per l’adozione legittimante, di mantenere i rapporti con il proprio figlio in deroga al principio posto dall’art. 27, 3° comma l. adoz.41. Le suddette soluzioni pur lodevoli negli intenti, sollevano a mio parere non pochi dubbi. Nel primo caso perché non sussiste “un’impossibilità” bensì una situazione che sconsiglierebbe il ricorso all’adozione legittimante42. Nel secondo caso perché si finisce con lo svuotare di contenuto il riferimento alla lett. b) della medesima norma che consente l’adozione da parte del coniuge del genitore genetico, la quale rientrerebbe comunque nel dettato della lett. d) come inteso dalla giurisprudenza. Nell’ultima ipotesi poi risulta ancor più evidente il contrasto con il dettato normativo, in quanto il legislatore ritiene pericoloso per il buon andamento dell’adozione legittimante il permanere dei rapporti con la famiglia di origine, fermo restando che al raggiungimento della maggiore età il figlio potrà liberamente decidere di riallacciare i rapporti con essa. 39 A. Aragno, L’utilizzo dell’art. 44 lett. d) nei casi di omogenitorialità: le ragioni del no, in Minorigiustizia, 2017, 146 ss., la quale pone in luce altresì l’anomalia di una norma che regolamenterebbe un’ipotesi di “impossibilità giuridica”. Inoltre l’A. ritiene che l’interesse del minore può realizzarsi solo in presenza delle circostanze previste dalla norma puntualmente enumerate e che l’interprete non può forzare facendo perdere alla regola giuridica “il suo originario ed intrinseco rigore”. G. Miotto, Adozione del convivente e diritto positivo: un matrimonio impossibile, in Familia, 2017, 251 ss. 40 V. in proposito le puntuali e condivisibili critiche avanzate da G. Miotto, op. loc. cit. 41 V. ad es., App. Roma, 28 maggio 1998, in Dir. fam., 2005, 653; Trib. min. Roma, 16 gennaio 1999, ivi, 2000, 144; Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000, in Famiglia e dir., 2001, 79; Trib. min. Emilia Romagna, 28 novembre 2002, in Minorigiustizia, 2003, 1, 274; Trib. min. Milano, 15 novembre 2004, in Famiglia e dir, 2005, 653. Trib. min. Torino, 12 marzo 2008, in Minorigiustizia, 2008, 4, 333. In dottrina, cfr. M. Casonato, Adozione e mantenimento dei legami: una revisione della letteratura psicologica sull’adozione aperta, ivi, 2014, 4, 41. 42 In senso contrario all’interpretazione estensiva della lett. d) si pronunzia infatti una corrente giurisprudenziale. V. ad es., Trib. min. Potenza, 15 giugno 1984, in Dir. fam., 1984, 1039; Trib. Roma, 22 dicembre 1992, in Giur. merito, 1993, 924; App. Torino, 9 giugno 1993, in Dir. fam., 1994, 165; Trib. min. Ancona, 15 gennaio 1998, in Giust. civ., 1998, I, 1711. In dottrina v. tra gli altri, F. Tommaseo, Sul riconoscimento dell’adozione piena avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale, in Famiglia e dir., 2016, 275 ss. ; M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, Milano, 2002, 808 ss. 540 The best interest of the child Trattasi in realtà di ipotesi emblematiche in cui il giudice richiama “l’interesse del minore” in contrapposizione agli “interessi dei minori” così come delineati dal legislatore il quale, a torto o a ragione, non ha ritenuto di rimettergli tale discrezionalità. Una revisione di detta scelta non appare irragionevole perché in effetti in entrambe le ipotesi gli interessi dei minori potrebbero essere ben tutelati lasciando maggiore discrezionalità al giudice, ma la maniera più appropriata di pervenire a questo risultato sarebbe, a mio avviso, quella di una revisione normativa. Come accennato, l’altra ipotesi in cui la genitorialità può essere attribuita col ricorso al criterio volitivo è costituita dalla fecondazione artificiale eterologa. Soluzione – come è noto – già prevista nell’impianto originario della l. n. 40/2004 la quale, nel vietare tale pratica (art. 4, comma 3), disponeva che, in caso di violazione del divieto, genitori dovevano considerarsi a tutti gli effetti coloro che erano ricorsi alla donazione dei gameti (uno o entrambi) ai quali era altresì precluso impugnare l’automatica costituzione dello status (mediante azione di disconoscimento della paternità o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità) negando qualsiasi obbligo o diritto da parte del donatore (art. 9) ed escludendo inoltre il diritto della donna all’anonimato43. Da questo punto di vista la Corte costituzionale44, nel dichiarare illegittime le norme che ponevano il divieto, non ha introdotto alcuna novità ma ha reso lecito quanto in precedenza vietato, consentendo la pratica in Italia. La soluzione normativa tutelava l’interesse del minore, ormai venuto alla luce, alla bigenitorialità su base volontaria, negando alcun ruolo al donatore, quantunque artefice del concepimento. Non era chiaro però se detto interesse fosse considerato comunque prevalente rispetto ad altro, di cui può rendersi portatore il minore e da lui considerato prevalente: quello di rifiutare una genitorialità non fondata sulla derivazione genetica, rimanendo il dubbio, nel silenzio normativo, se egli potesse agire per la rimozione dello stato, prevedibilmente nel caso in cui i richiedenti non si rivelassero adeguati (tenuto anche conto che l’azione può essere ormai proposta dal figlio senza 43 Prima dell’introduzione della legge n. 40 la giurisprudenza si era mostrata incerta sulla soluzione da adottare. Per l’ammissibilità della rimozione dello stato si erano pronunziati, ad esempio, Trib. Cremona, 17 febbraio 1994, in Giust. civ., 1994, I, 1687 e App. Brescia, 14 giugno 1995, in Dir. fam. 1996, 116. In senso contrario, C. cost., 26 settembre 1998, n. 347, in Foro it., 1998, I, 3042 e Cass., 16 marzo 1999, n. 2315, in Famiglia e dir., 1999, 233. 44 Cass. 10 giugno 2014, n. 262, in Corr. giur., 2014, 1062 con nota di G. Ferrando. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 541 limiti tempo)45. La rilevanza di tale interesse non trova spazio nella motivazione della Corte la quale ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto. Essa infatti prende quasi esclusivamente in considerazione l’interesse alla genitorialità della coppia sterile, censurando il divieto di ricorso alla fecondazione eterologa in quanto esso comporta un irragionevole bilanciamento di interessi. In particolare riguardo al figlio non viene menzionato l’interesse alla genitorialità genetica ma solo quello alla conoscenza delle proprie origini, già adeguatamente tutelato dal dettato dell’art. 28 l. adoz. e l’interesse alla bigenitorialità. Si potrebbe ritenere allora che l’interesse menzionato (peraltro del tutto teorico) non trovi alcuna considerazione, avendo il legislatore sancito la prevalenza dell’interesse della coppia di divenire genitori mediante opzione a favore del criterio volontaristico ed abbandono di quello genetico in quanto ritenuto più idoneo alla tutela del minore. L’azione volta a rimuovere lo stato sarebbe da negare al figlio perché, si è detto, egli «non può disconoscere genitori che sono tali per legge, come lo sono i genitori adottivi46». Sia la legge n. 40/2004, nel vietare il ricorso alla maternità surrogata nel contesto delle pratiche di PMA, sia la Corte Costituzionale nel confermarne la illegittimità, risolvono il problema dell’attribuzione della maternità quando vi è dissociazione fra madre genetica e madre biologica (la gestante) a favore di quest’ultima, in conformità al dettato dell’art. 269, 3° comma, non modificato dalla recente Riforma del 2012 sulla filiazione. Infatti la legge n. 40 non prevede che, nel caso di violazione del divieto, la maternità venga attribuita alla donna da cui proviene l’ovulo ove sia ricorsa a maternità surrogata, non solo per il particolare disvalore insito in tale pratica47. Infatti tale opzione a favore della gestante è confermata anche quando detto disvalore non si profila, in quanto la dissociazione tra maternità genetica e biologica dipenda da accidentale scambio di embrioni, onde può affermarsi che il principio della prevalenza della gestante sulla madre genetica è 45 Per la legittimazione del figlio ad esperire le relative azioni si è espressa Cass., 11 luglio 2012, n. 11644, in Foro it., 2012, I, 3348. 46 M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir. fam., 2015, 191. 47 Nel processo di gestazione il contributo fornito dalla gestante viene dunque considerato da una corrente dottrinaria, prevalente rispetto a quello fornito dalla madre genetica, quando si pone un conflitto fra le due donne: per tutti v. C.M. Bianca, op. cit., 445. 542 The best interest of the child applicabile sia nella fecondazione naturale che in quella artificiale48. Anche perché la soluzione non dovrebbe mutare ove la pratica fosse stata compiuta all’estero e successivamente venga avanzata richiesta di riconoscimento in Italia del provvedimento straniero (v. § 5). Resta tuttavia il dubbio, ove la madre biologica non intendesse assumere il proprio ruolo, optando dopo la nascita per l’anonimato49, se sia possibile riconoscerlo alla madre genetica. Una indicazione puntuale al riguardo manca nelle norme; la soluzione positiva potrebbe però probabilmente trovare fondamento nell’interesse del minore alla bigenitorialità, in un contesto in cui alla donna deve ricondursi la genitorialità genetica che, quantomeno, attenua il disvalore della sua scelta50. Ritornando alla ipotesi iniziale, è ampiamente noto il caso, singolare e sofferto, verificatosi di recente in Italia dello scambio accidentale di embrioni avvenuto da parte della struttura sanitaria nella quale due coppie si erano sottoposte a pratiche di PMA. In detta circostanza peraltro non era configurabile il ricorso a maternità surrogata per l’evidente differenza della fattispecie51, bensì la dissociazione tra madre genetica e madre gestante; la giurisprudenza ha risolto il problema della individuazione della madre dando prevalenza a quest’ultima. Tale soluzione è stata ritenuta maggiormente conforme all’interesse del minore, valorizzando il ruolo della madre biologica52 e richiamando l’esigenza di non mutare la sta48 M. Bianca, op. cit., 203. 49 In quanto il diritto alla maternità deve considerarsi indisponibile, onde risulterebbe nulla una rinuncia preventiva alla nascita. 50 V. in tal senso C.M. Bianca, op. cit., 446 il quale osserva inoltre che la soluzione è da applicare anche nel caso in cui successivamente la madre biologica abbandoni il minore, così evitando il ricorso all’adozione. 51 “Maternità surrogata e fecondazione eterologa per errore” definisce la situazione venutasi a creare, Trib. Roma, 8 agosto 2014, in Famiglia e dir., 2014, 929, con nota di M.N. Bugetti, Scambio di embrioni ed attribuzione della genitorialità. Nella decisione si mettono bene in luce le differenze fra la fattispecie in oggetto e le pratiche di fecondazione eterologa e surrogazione di maternità. E per tali aspetti v. altresì M. Bianca, op. cit., 186 ss. 52 Si afferma infatti nella decisione del Trib. Roma, 8 agosto 2014, cit., che «la letteratura scientifica è unanime nell’indicare come sia proprio nell’utero che si crea il legame simbiotico tra il nascituro e la madre. D’altro canto è solo la madre uterina che può provvedere all’allattamento al seno del bambino. Non può, pertanto, non ritenersi sussistente un interesse dei minori al mantenimento di tale legame, soprattutto alla luce del fatto che i bambini sono già nati e nei loro primi giorni di vita deve ritenersi abbiano già instaurato un significativo rapporto affettivo con entrambi i genitori e sono già inseriti in una famiglia». Le argomentazioni del tribunale sono condivise da M.N. Bugetti, cit. alla nota precedente. L’orientamento volto a valorizzare il ruolo della madre uterina è ribadito da Trib. Roma, 10 maggio 2016, ivi, 2016, 677, con nota Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 543 bilità dei rapporti già instaurati con la coppia composta da quest’ultima e dal marito (quantunque entrambi non fossero autori del concepimento). Si sottolinea peraltro che il criterio della genitorialità genetica (verità biologica) è sì costituzionalmente tutelato ma non in maniera assoluta, essendo consentito al legislatore porvi dei limiti, onde non sussistono i presupposti per considerare incostituzionale la norma (art. 243 bis) che esclude la legittimazione all’azione da parte dei genitori biologici. Difficilmente praticabile sarebbe apparsa anche una soluzione volta a configurare una plurigenitorialità da riconoscersi in capo ai componenti di entrambe le coppie53, per il rischio di insorgenza di situazioni conflittuali, pregiudizievoli per il minore54; principio della plurigenitorialità che non è comunque senz’altro da considerare contrario agli interessi del minore, ove tali rischi non sussistano, in seguito al contemporaneo riconoscimento di una genitorialità genetica e di una sociale fra di loro non sovrapponibili (v. § 4). Quelle esaminate sin qui sono le soluzioni adottate in base alle regole vigenti nel nostro ordinamento, le quali potrebbero tuttavia subire variazioni ove la nascita sia avvenuta in Paese straniero il quale segua criteri differenti da quelli vigenti in Italia nell’attribuzione della genitorialità, purché compatibili con i principi di ordine pubblico (dei riflessi dei provvedimenti assunti in Stati stranieri nell’ambito dell’ordinamento interno ci si occuperà al § 5). di M.N. Bugetti. Infatti il tribunale afferma che «per la determinazione dello stato di filiazione, la gestazione resta un fattore decisivo, anche al di là della provenienza dei gameti». Analogamente è a dirsi per la rilevanza del rispetto della continuità del rapporto già instaurato tra la coppia ed il figlio, quale soluzione che tutela nel modo migliore i suoi interessi. La lettura delle norme che regolano la filiazione consente di apprezzare «la tensione del legislatore verso la stabilità della relazione umana e familiare costituita attraverso la gestazione, il parto e l’inserimento dei nati in un preciso nucleo familiare, che merita di essere particolarmente apprezzata e valorizzata quale criterio ermeneutico, proprio in quanto nitidamente espressa nello specifico contesto della legge sulla PMA». Soluzione a favore della madre biologica condivisa da M. Bianca, op. cit., 199, in base alla considerazione «che è solo nella madre uterina che il patrimonio genetico si trasforma in frutto del concepimento attraverso l’impianto». 53 Si pensi ad es., alla regola in materia di adozione legittimante in base alla quale vengono recisi i legami con la famiglia di origine ed al mancato riconoscimento del ruolo genitoriale in capo al donatore o alla donatrice di gameti nella fecondazione eterologa. 54 V. in proposito le considerazioni di M.N. Bugetti, Fecondazione accidentalmente eterologa e tutela dell’interesse del minore, in Famiglia e dir., 2016, 680 ss. e di M. Bianca, op. cit., 186 ss., la quale rileva che anche il bambino nato da PMA ha diritto ad una famiglia “normale” costituita solo da due genitori giuridicamente riconosciuti. 544 The best interest of the child Altro risvolto su cui concentrare l’attenzione è quello legato alla formalizzazione del rapporto (c.d. genitorialità formale). Come è noto, infatti, occorre a tal fine procedere alla formazione dell’atto di nascita, le cui risultanze dovrebbero essere conformi, in linea di principio, ai criteri sostanziali innanzi menzionati. Alle azioni di stato è demandato il compito di ristabilire la verità ove dovessero emergere divergenze. La recente Riforma della filiazione del 2012/2013 ha confermato la diversificazione dei criteri riguardanti la formalizzazione dello stato di figlio nato nel matrimonio e di figlio nato al di fuori di esso onde, sotto tale aspetto, si è discostata dall’obbiettivo fondamentale di realizzare la piena unificazione di detto stato. Riguardo al primo è stato dunque confermato il consolidato criterio di attribuzione automatica della genitorialità in capo alla partoriente coniugata ed al marito, peraltro il più idoneo a soddisfare l’interesse del minore a vedersi riconosciuto in maniera semplice lo stato a cui ha diritto, essendo normale, in tale situazione, che autori del concepimento siano entrambi i coniugi (principio del favor matrimonii). Esso risulta tuttavia attenuato non solo dal ricordato diritto all’anonimato della madre ma anche per il fatto che si permette alla donna di rendere una dichiarazione di nascita nella quale venga precisato che il marito non è il padre del bambino, e il conseguente riconoscimento del figlio in quanto nato al di fuori del matrimonio. Detta possibilità è generalmente ammessa infatti dalla giurisprudenza55 senza che l’ufficiale di stato civile possa rifiutarsi di accogliere la dichiarazione della donna, quantunque si ponga in apparente contrasto con la presunzione di paternità, così assicurando pari diritti all’uomo e alla donna nel procedere al riconoscimento di un figlio adulterino56. Si consente peraltro in tal modo anche al padre naturale di procedere, contestualmente alla donna, al riconoscimento del proprio figlio, con acquisizione del relativo status (possibilità altrimenti preclusa dalla formazione di un atto di 55 V. ex multis, Trib. Milano, 25 gennaio 2012, in Banca dati Pluris; Trib. min. Cagliari, 2 ottobre 2009, in Famiglia e minori, 2010, 2, 86; Cass., 5 aprile 1996, n. 3194, in Foro it., 1997, I, 2996; Cass., 10 ottobre 1992, n. 11073, in Dir. fam., 1993, 468; Cass., 2 aprile 1987, n. 3184, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 702; Trib. Milano, 12 dicembre 1984, in Foro it., 1986, I, 2918; Trib. Trapani, 1 marzo 1982, in Giur. merito, 1984, 587; App. Genova, 16 ottobre 1982, in Vita not., 1983, 639; Trib. Genova, 1 giugno 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 372; Pret. Genova, 11 gennaio 1978, in Dir. fam., 1978, I, 1231. 56 È ricorrente infatti in giurisprudenza l’affermazione che la presunzione non opera in mancanza della formazione dell’atto di nascita: v. ad es., Trib. Salerno, 4 agosto 2008, in Banca dati Pluris. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 545 nascita all’interno del matrimonio il quale non potrebbe essere rimosso per sua iniziativa) o anche, a certe condizioni, in un momento successivo (secondo riconoscimento: v. § 3). Ma tale soluzione potrebbe sacrificare l’interesse del marito ove la dichiarazione non fosse rispondente a verità, costringendolo ad agire per impugnare il falso riconoscimento prima, e reclamare lo stato che gli spetta poi, precludendogli la possibilità di esercitare immediatamente il ruolo paterno nonostante essa si ponga in contrasto col favor veritatis. La soluzione adottata – che dunque penalizza il marito – potrebbe giustificarsi verosimilmente proprio in relazione all’improbabilità di una falsa attestazione della madre e all’interesse del figlio all’acquisizione dello stato a cui ha diritto senza dover esperire l’azione di disconoscimento, ove fosse precluso alla madre rendere tale dichiarazione. Possibilità di esperire l’azione peraltro ormai riconosciutagli dalla legge senza limiti di tempo ove fosse stato comunque formato un atto di nascita all’interno del matrimonio non conforme a verità. Di converso una falsa dichiarazione della donna non solo comporterebbe sanzioni penali a suo carico ma non dovrebbe generalmente precludere al marito di far emergere la verità in giudizio (ma facendo ricadere su di lui il conseguente onere anche sotto il profilo probatorio). È da sottolineare peraltro che, in virtù della prevalenza dell’interesse del minore alla stabilità dello stato, l’interesse del marito potrebbe risultare irrimediabilmente sacrificato ove egli avesse scoperto tardivamente (oltre 5 anni dalla nascita) che la donna non aveva commesso adulterio. Di converso occorre considerare che egli è generalmente in condizione di assumere più rapidamente l’iniziativa nella formazione dell’atto di nascita rispetto alla madre onde la sua inerzia deriva per lo più dalla consapevolezza dell’adulterio della moglie. Non sembra rispondere invece all’interesse del figlio di ricevere cura dai genitori biologici il criterio privilegiato dalla legge nel caso di nascita al di fuori del matrimonio, in base al quale si esige che ciascuno di essi proceda al suo riconoscimento, ponendoli in tal modo sullo stesso piano, quantunque generalmente non sussistano incertezze riguardo alla identità della madre. Pertanto la formazione dell’atto di nascita recante il nome della donna può formarsi solo sulla base della sua dichiarazione resa innanzi all’ufficiale di stato civile o espressa comunque in atto pubblico. La Riforma della filiazione non ha inteso dunque privilegiare – come avvenuto in altri ordinamenti – il criterio, più favorevole al minore, di attribuzione automatica della maternità 546 The best interest of the child nei confronti della partoriente57 ed altresì, con riferimento alla paternità, introdurre la relativa presunzione nel caso di generazione nel contesto di una stabile convivenza, onde anche per il padre opera il principio secondo il quale per la costituzione dello stato occorre il riconoscimento. In sua mancanza il figlio sarà dunque costretto ad agire mediante l’azione di dichiarazione della paternità o della maternità per ottenere l’attribuzione dello stato a cui ha diritto. 3 segue: le problematiche del riconoscimento. Due sono pertanto le strade mediante le quali il figlio può conseguire lo stato a cui ha diritto quando è nato al di fuori del matrimonio: il riconoscimento da parte del genitore o il ricorso all’azione giudiziale volta ad ottenerlo coattivamente Trattasi di percorsi alternativi che contemperano diversamente gli interessi in gioco. Il riconoscimento infatti, quale atto spontaneo del genitore, sta ad attestare formalmente l’essere autore della generazione e il suo interesse all’assunzione ed al presumibile esercizio fattivo del proprio ruolo, a cui ha diritto sulla base dell’art. 30 Cost. Questa è la ragione per la quale il figlio non può in linea di principio opporsi o frapporvi ostacoli (fatte salve le eccezioni di cui si dirà), anche al cospetto di un genitore, per avventura, carente di qualità positive. L’azione giudiziale spetta invece unicamente al figlio e per lo più presuppone la contrarietà o il disinteresse del genitore ad assumere il proprio ruolo onde spetta al titolare dell’azione (o a chi ne cura gli interessi) valutare l’opportunità di acquisire lo status in circostanze siffatte o quando il genitore risulti inadeguato58. Riguardo al riconoscimento, occorre innanzitutto porre in luce come un’efficace tutela dell’interesse del minore dipenda in larga parte dalla sua tempestività, per l’ovvia considerazione che fin dalla nascita il bambino è bisognoso di cure. Anzi l’ordinamento consente ai genitori di procedervi fin dal concepimento (art. 254, 1° comma), soluzione di fondamentale rilevanza, in quanto rende loro possibile fin 57 Soluzione che secondo G. Bonilini, op. cit., 318, si giustifica per il fatto che detta automaticità potrebbe tradursi anche in un pregiudizio per il figlio piuttosto che in un vantaggio. 58 Occorre tenere conto infatti che al genitore a cui è precluso il riconoscimento (ad es., per opposizione del figlio che ha compiuto quattordici anni o del genitore che vi ha provveduto per primo e sempre che ricorrano fondate ragioni) non è consentito l’esercizio dell’azione giudiziale volta a conseguire lo status. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 547 dallo sbocciare della vita l’esercizio della relativa responsabilità – ed al figlio di acquisire i conseguenti diritti – senza dover attenderne la nascita e scongiurando l’eventuale pregiudizio che potrebbe derivare a quest’ultimo dal fatto che il genitore sia morto prima di aver potuto procedere al riconoscimento. L’art. 44 DPR n. 396/2000 pone però un limite nei confronti del padre, in quanto stabilisce che il riconoscimento può essere fatto solo contestualmente a quello della gestante o dopo quest’ultima. Il fondamento del limite suddetto viene individuato nel dettato dell’art. 258 cc. in base al quale “il riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore”, mentre invece la menzione della madre si renderebbe necessaria per l’identificazione del nascituro che il padre intendesse riconoscere, in assenza di analoga decisione da parte della donna. Questa soluzione si pone però non solo in evidente contrasto con i diritti del padre stesso in quanto il conseguimento dello stato dipenderebbe dalla discrezionalità della madre (la quale tra l’altro potrebbe provvedere al riconoscimento a sua insaputa, relegandolo – come si vedrà tra breve – nella scomoda posizione di genitore che riconosce per secondo) ma anche con gli interessi del nascituro, anch’essi costituzionalmente tutelati, i quali verrebbero sacrificati senza una reale giustificazione, in contrasto col principio del best interest of child. In realtà la dichiarazione del padre non comporta necessariamente la menzione del nome della madre nell’atto di nascita onde la regola posta dall’art. 258 cc. rimarrebbe comunque salvaguardata. Ove si opinasse altrimenti, sorgerebbe il problema di costituzionalità dell’art. 44 del DPR menzionato per violazione del principio di uguaglianza a causa dell’ingiustificata discriminazione a cui il padre verrebbe sottoposto59. Ferma restando l’esigenza di rapidità del riconoscimento, la legge non pone tuttavia un limite temporale per il suo intervento onde i genitori potrebbero provvedervi anche a distanza di tempo60. Ma occorre tenere presente che la giurisprudenza considera per lo più in stato di abbandono il bambino che non sia stato riconosciuto da nessuno dei due genitori, onde il riconoscimento non potrebbe avvenire se è stata 59 V. in tal senso, C.M. Bianca, op. cit., 404. Non individua nell’indicazione della donna un ostacolo al riconoscimento anche G. Bonilini, op. cit., 324. 60 C. cost., 16 giugno 1988, n. 686, in Giust. civ., 1988, I, 3134 ha giudicato inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 250 cc. che non demanda al rappresentante legale del minore il controllo sulla convenienza del primo riconoscimento, trattandosi di soluzione rimessa alla competenza del legislatore. 548 The best interest of the child nel frattempo pronunziata l’adozione. La procedura è però rinviata, anche d’ufficio, fino al raggiungimento da parte del genitore del sedicesimo anno di età, purché sussistano le condizioni per un adeguato accudimento del figlio, e, su richiesta del primo, può essere sospesa per altri due mesi (art. 11, comma 3, l. adoz). La rilevanza dell’interesse del figlio minore ad ottenere quanto prima il riconoscimento è attestata anche dalla modifica introdotta al 5° comma dell’art. 250 cc. il quale consente ormai al genitore infrasedicenne di procedere al riconoscimento, previa autorizzazione del giudice, concessa propria sulla base di tale interesse e, si aggiunge, di ulteriori circostanze nell’ambito delle quali rientra certamente la valutazione della maturità e consapevolezza del genitore circa le conseguenze dell’atto che si accinge a compiere. In assenza di detta autorizzazione l’atto deve considerarsi annullabile (e non nullo o addirittura inesistente), soluzione che tutela in maniera più appropriata rispetto alle altre gli interessi in gioco (del genitore e del figlio)61. La mancanza di un termine per procedere al primo riconoscimento si giustifica con una scelta del legislatore di considerare comunque favorevole al minore l’acquisizione di almeno un genitore che possa provvedere alle sue esigenze ed il mutamento della situazione in atto non si considera foriera di pregiudizi per il minore; in questa prospettiva non si fa menzione di un’eventuale ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se in grado di esprimere la propria opinione, quantunque tale iniziativa coinvolga i suoi interessi (dunque non trova applicazione la regola generale posta dall’art. 315 bis, 3° comma cc.). Diversamente è a dirsi ove il minore abbia compiuto quattordici anni in quanto è previsto che egli manifesti previamente il proprio assenso62 (art. 250, 2° comma cc.) onde in tal caso solo a lui spetta valutare la conformità al suo interesse dell’iniziativa assunta dal genitore anche a causa dei conseguenti oneri che il figlio assume verso quest’ultimo. L’interesse del minore assume inoltre un ruolo centrale nel caso di riconoscimento da parte del genitore il quale si sia reso responsabile di incesto. Come è noto la l. n. 219/2012 (Riforma della filiazione) ha 61 C. M. Bianca, op. cit., 437 s.; S. Troiano, Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Milano, 2015, 229 s.; G.F. Basini, Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, Milano, 2016, 3571 s. 62 Non si parla di consenso in quanto il riconoscimento resta un atto unilaterale del genitore. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 549 rimosso il divieto di riconoscimento nei confronti del genitore (o dei genitori) incestuoso(i) in mala fede (art. 251 cc.), mentre sotto la previgente versione della norma il riconoscimento era consentito solo se questi fosse(ro) stato(i) in buona fede (al quale doveva ritenersi equiparato il genitore che aveva subito violenza). In entrambe le discipline il riconoscimento è subordinato ad una valutazione del giudice circa la convenienza del riconoscimento per il minore, al fine di evitargli un pregiudizio. Occorre tenere conto infatti che il discredito derivante dallo svelamento delle origini potrebbe comportare svantaggi di gran lunga superiori agli effetti favorevoli derivanti dall’acquisizione dello status. Non è agevole comprendere quali siano esattamente le valutazioni compiute dalla giurisprudenza nella ricostruzione di tale interesse per la comprensibile esiguità delle pronunzie in materia. Pur tuttavia occorre ricordare almeno una recente decisione con la quale il giudice ha autorizzato il successivo riconoscimento da parte della madre che aveva generato una figlia, in seguito alla violenza subita dal proprio padre (e da esso già riconosciuta), in quanto era l’unica che in concreto provvedeva all’accudimento della bambina, col conseguente suo interesse a poterla acquisire come genitore anche dal punto di vista giuridico63. Il pregiudizio derivante dal disvelamento dell’incesto generalmente non sussiste ove il riconoscimento provenga da un solo genitore in quanto è solo con l’individuazione del secondo che emerge l’incestuosità del concepimento. Ciò nonostante anche in tale ipotesi l’art. 42, 2° comma DPR n. 396/2000 impone al richiedente di presentare l’autorizzazione giudiziale al riconoscimento in quanto egli è tenuto, più in generale, ad attestare innanzi all’ufficiale di stato civile che nulla osta al riconoscimento. Ove egli tacesse la generazione incestuosa si renderebbe responsabile del reato di falsa attestazione (art. 495 c.p.). La necessità dell’autorizzazione giudiziale anche nel caso del primo riconoscimento si giustifica per il fatto che proprio a causa della grave irregolarità della generazione si rende necessaria una valutazione del giudice circa l’idoneità del genitore ad acquisire il relativo status. Al di fuori di tale ipotesi, rilevanza fondamentale in vista del perseguimento dell’interesse del minore viene attribuita dall’art. 250 cc. nel caso in cui il riconoscimento non intervenga contestualmente da parte dei due genitori in quanto è richiesta una verifica riguardo alla convenienza del secondo riconoscimento. La valutazione viene rimessa al 63 Trib. min. Caltanissetta, 20 dicembre 2013, in Guida al dir., 2014, 8, 66. 550 The best interest of the child figlio stesso che abbia compiuto quattordici anni, altrimenti occorre il consenso del genitore che ha riconosciuto per primo, fermo restando che, secondo la norma, esso non può venire rifiutato se risponde a detto valore64. La ricostruzione del suddetto interesse costituisce problematica particolarmente controversa alla luce della copiosa giurisprudenza in materia, la quale ne ha elaborato nel tempo i criteri di valutazione i quali non sempre appaiono soddisfacenti. Poiché l’acquisto dello status costituisce un diritto per entrambi i soggetti coinvolti nella vicenda (genitore che aspira al riconoscimento e figlio) compito precipuo del giudice (oggi il tribunale ordinario) è quello di individuare il punto di equilibrio degli interessi in gioco65; la norma infatti non ne stabilisce una gerarchia ma si limita a precisare la necessità del consenso del genitore che abbia già operato il riconoscimento, il quale deve però decidere alla luce dell’esclusivo interesse del minore66 onde il proprio interesse non assume rilevanza nel contesto di tale vicenda. Pertanto il giudice non potrebbe respingere la richiesta perché il primo genitore è in cattivi rapporti con l’altro o intende difendere la propria serenità (ragione che non di rado è proprio alla base della sua opposizione). Solo due sono dunque gli ordini di interessi che devono essere presi in considerazione dal giudice: quelli di cui è portatore l’istante e gli interessi del minore. Il diritto alla genitorialità, garantito dall’art. 30 Cost. è la premessa da cui muovono quasi tutte le decisioni nell’affrontare il problema67, pre64 Spetta dunque al primo genitore tutelare gli interessi del figlio in giudizio. Quest’ultimo è considerato parte in senso sostanziale: ad es., Cass., 27 marzo 2017, n. 7762; Trib. Vicenza, 17 settembre 2017, in Banca dati Pluris.; Cass., 7 ottobre 2014, n. 21101, in Famiglia e dir., 2015, 324, con nota di F. Tommaseo; App. Napoli, 17 aprile 2013, in Corr. merito, 2013, 595; Cass., 21 ottobre 2009, n. 22238. 65 V. Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763, cit. 66 Discusso in giurisprudenza è se tale potere dipenda dalla titolarità della responsabilità genitoriale o dallo status già acquisito e dunque spettante anche in caso di decadenza dalla medesima. A favore di quest’ultimo fondamento, Cass., 30 luglio 2014, n. 17277, in Foro it., 2015, I, 2134; a favore del primo, Trib. Perugia, 24 agosto 1989, in Dir. fam., 1990, 1242. 67 Frequente a tal proposito è il richiamo al diritto soggettivo del genitore, costituzionalmente garantito, di acquisire lo status. V. ex multis, Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763; Cass., 27 marzo 2017, n. 7762, cit.; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, in Famiglia, pers. e succ., 2008, 777, con nota di P. Di Stefano; Cass., 11 gennaio 2006, n. 395; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, in Giur. it., 2005, 1614; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949; Cass., 10 maggio 2001, n. 6470, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 294, con nota di B. Lena; Cass., 28 dicembre 1994, n. 11263, in Giur. it., 1995, I, 1, 1472; Cass., 6 giugno 1990, n. 6093, in Giust. civ., 1990, I, 2286. La giurisprudenza non ritiene necessaria una verifica sulla veridicità del riconoscimento se non in via incidentale al Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 551 cisando che il relativo sacrificio può trovare giustificazione solo in presenza di ragioni volte a tutelare interessi del figlio di pari rilevanza68, la cui lesione viene individuata essenzialmente nella compromissione del suo sviluppo psico-fisico. Ricorrente è infatti, nel corpo delle decisioni, l’affermazione secondo la quale la richiesta deve essere respinta solo in presenza di «motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità69». L’interesse del genitore sembra dunque, a stretto rigore, prendere il sopravvento su quello del figlio, il quale rileverebbe solo se totalmente sacrificato. Si aggiunge non di rado che «il mancato riscontro di un interesse ulteriore del minore non costituisce ostacolo all’esercizio del diritto del genitore richiedente70». La soluzione sembrerebbe costituire in realtà, nella visione della giurisprudenza, criterio di contemperamento e definizione degli interessi in gioco71 (senza profilare una prevalenza dell’interesse del genitore che intende riconoscere) sulla base della constatazione che per lo più è anche interesse del figlio l’acquisizione del secondo genitore72 fine di verificare la legittimazione all’azione: v. ad es., Cass., 7 ottobre 2014, n. 21101, cit.; Cass., 23 febbraio 1999, n. 1958; Cass., 23 febbraio 1991, n. 1958; Cass., 13 marzo 1987, n. 2654, in Giur. it., 1988, I, 1, 1025. 68 Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit. 69 Espressione questa riscontrabile ripetutamente nelle decisioni. Cfr., Cass., 10 maggio 2001, n. 6470, cit.; Cass., 22 ottobre 2002, n. 14894; Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, in Famiglia e dir., 2003, 445, con nota di A. Figone; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit.; Cass., 16 novembre 2005, n. 23074, in Giust. civ., 2006, I, 1212; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.; Cass., 3 febbraio 2011, n. 2645; Trib. Taranto, 7 maggio 2014, in Banca dati Pluris. Il grave pregiudizio del minore per compromissione dello sviluppo psico-fisico è richiamato anche da Cass., 11 febbraio 2005, n. 2878; Cass., 29 aprile 2004, n. 8209; Cass., 16 giugno 1990, n. 6093. Parlano, analogamente, di “motivi seri e specifici”, Cass., 5 febbraio 1985, n. 790; Cass., 26 novembre 1998, n. 12018. 70 Trib. Taranto, 7 maggio 2014, cit.; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit.; Cass., 16 marzo 1999, n. 2338, in Giust. civ., 1999, I, 1601. 71 Ricorrente infatti è l’affermazione che l’interesse del genitore richiedente non si pone in contrapposizione con quello del minore: v. per tutte Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, cit.; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit.; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit. 72 Cass., 16 dicembre 1982, n. 6660, in Giust. civ., 1982, I, 626; Cass., 5 febbraio 1985, n. 790; Cass., 27 maggio 2008, n. 13830, in Foro it., 2008, I, 2457. Ma nel senso che il giudice non possa limitarsi a valutare in via presuntiva l’interesse del minore a fare affidamento su entrambi i genitori, Cass., 24 gennaio 1991, n. 687. Ne consegue che la nomina di un curatore speciale a tutela del minore si renda necessaria solo ove possa configurarsi un conflitto di interessi fra il primo genitore ed il figlio: v. ad es., Trib. Vicenza, 17 settembre 2017, cit.; Cass., 7 ottobre 2014, n. 21101, cit.; App. Napoli, 17 aprile 2013, cit. In questa prospettiva C. cost., 11 marzo 2011, n. 83, in Riv. 552 The best interest of the child (interesse alla bigenitorialità) per gli apporti educativi ed economici che può garantirgli e in quanto la conseguente acquisizione contribuisce alla fedele rappresentazione della sua identità73, senza che debba andarsi alla ricerca del perseguimento di ulteriori interessi74. Valore della bigenitorialità indubbiamente privilegiato e posto in particolare risalto dalla normativa più recente nelle enunciazioni riguardanti i diritti dei figli anche nel caso di crisi dei genitori75. Nelle enunciazioni della giurisprudenza non si intende necessariamente configurare in senso tecnico una presunzione76 ma fare riferimento ad un astratto principio desumibile dal contesto delle norme, e conforme anche ad esperienza, in virtù del quale generalmente poter contare su entrambi i genitori costituisce interesse del minore, la cui sussistenza non si nega debba poi essere verificata in concreto77. Principio che trova verosimilmente conferma nella recente opzione compiuta dal legislatore nel contesto della disciplina sull’unificazione dello stato filiale mediante modifica della procedura prevista nel caso di opposizione da parte del genitore, ai sensi del 4° comma dell’art. 250 cc. Alla luce della precedente disciplina il giudice era infatti chiamato comunque a pronunziarsi sul relativo fondamento, previo ascolto del minore, in contraddittorio con l’opponente e con l’intervento del pubblico ministero. Attualmente invece detto giudizio potrebbe non avere luogo ove il genitore convenuto non proponga opposizione (entro trenta giorni) alla richiesta formulata dall’altro genitore ed a lui notificata, onde, secondo l’opinione prevalente, il giudice dovrebbe senz’altro accoglierla senza compiere ulteriori accertamenti (ivi compresa la conformità all’interesse del minore). Mentre a detta valutazione dovrebbe procedere, previo ascolto del minore, solo nel caso di opposizione78. dir. proc., 2012, 802, con nota di A. D’Alessio, ha ritenuto infondata la questione di legittimità dell’art. 250 cc. in relazione agli artt. 2, 3, 24, 30, 31, 111 Cost. proprio per le garanzie offerte dalla possibilità di questa nomina. 73 Cass., 5 giugno 2009, n. 12984. 74 Trib. min. Palermo, 13 marzo 2012, in Banca dati Pluris; Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit.; Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit. 75 Quantunque in questo caso esso non verrebbe invocato con riferimento alla regolamentazione di un rapporto già costituito ma al conseguimento dello status che il richiedente intende conseguire. 76 Così sembrerebbero invece ritenere Cass., 30 luglio 2014, n. 17277, cit.; Cass., 27 maggio 2008, n. 13830, cit.; Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, in Dir. fam., 2001, 536, con nota di A. Galoppini; Cass., 11 marzo 1998, n. 2669, in Famiglia e dir., 1998, 388. 77 V. da ultimo, Cass., 27 marzo 2017, n. 7762, cit. 78 S. Troiano, op. cit., 204 ss.; G. F. Basini, op. cit., 3583. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 553 La soluzione peraltro non appare tutto sommato contraddittoria in quanto muove dall’idea che il genitore che ha provveduto al riconoscimento sia in grado di valutare nel miglior modo l’interesse del minore onde così come potrebbe senz’altro assecondare inizialmente la richiesta, alla stesso modo, convintosi della infondatezza dell’opposizione manifestata al di fuori del giudizio, desistere dal riproporla. Nel caso in cui, invece, confermi la sua opposizione, tenuto fermo il principio astratto di probabile convenienza del secondo riconoscimento, il giudice dovrà verificarne in concreto l’esistenza “in positivo”poiché il criterio astratto potrebbe rilevarsi fallace, in considerazione delle circostanze. Questo diviene allora il nodo cruciale del problema: individuare, almeno in via di prima approssimazione, i criteri in base ai quali il giudice dovrebbe orientare il proprio convincimento. Primo fra tutti quanto potrà emergere dall’ascolto del minore, ove sussistano le condizioni previste dalla legge per ricorrervi79. Sulla rilevanza delle sue risultanze non sussistono ormai significative riserve da parte della dottrina e della giurisprudenza onde – tenuto conto dei limiti del presente contributo – sembra sufficiente rammentare che anche in questo caso l’immotivata omessa audizione costituisce un vizio del procedimento e che il giudice, nel discostarsi dalle richieste del minore, dovrà adeguatamente motivare, ed altresì valutare se esse non siano frutto di condizionamento da parte di uno dei genitori. Tale rischio sussiste in maniera più accentuata nel caso in esame in quanto il genitore che ha riconosciuto per primo e che normalmente vive col minore potrebbe con maggiore facilità condizionarne la volontà, per ragioni in realtà sottilmente incentrate su propri interessi (più o meno commendevoli) che poco hanno a che vedere con quelli del minore80. La giurisprudenza tende a valorizzare le scelte del minore ritenendo che, in caso di espressione della volontà contraria al riconoscimento, l’interesse in tal modo manifestato debba tendenzialmente prevalere su quello del genitore che intende procedere al secondo riconoscimento81. 79 Cfr. Cass., 13 aprile 2012, n. 5584, in Famiglia e dir., 2012, 653, con nota di V. Carbone. 80 Trattasi di profilo preso in considerazione dalla giurisprudenza con riferimento ai possibili condizionamenti che un genitore può esercitare sul figlio, al momento in cui egli deve essere sentito dal giudice nel contesto della crisi, al fine di stabilire tipologia e modalità dell’affidamento. V. in proposito Cass., 8 agosto 2016, n. 6919, in Foro it., 2016, I, 1655. 81 V. Trib. min. Reggio Emilia, Bologna, 23 aprile 2005, in Banca dati Pluris; Cass., 27 554 The best interest of the child Altro elemento rilevante può essere costituito dalla tempestività o meno, rispetto alla nascita, della richiesta di riconoscimento e le ragioni di un eventuale ritardo (quali, ad es., la mancata conoscenza della nascita stessa o i dubbi sull’essere l’autore del concepimento, la giovane età del richiedente al momento della nascita del figlio82 e le pressioni in negativo esercitate dai suoi familiari, il suo stato di salute83, gli impedimenti frapposti dall’altro genitore84). Non vi è dubbio che in mancanza di siffatte giustificazioni un ripensamento tardivo ingenera sospetto, anche se non può escludersene in linea di principio l’apprezzabilità. È più facile inoltre che un ripensamento tardivo rischi di incidere in negativo su una situazione familiare ormai consolidata di cui non si può non tenere conto, ivi compreso il fatto che il minore viva ormai nella nuova famiglia che il genitore ha costituito85. Ancora occorre considerare l’indole del richiedente, alla luce della vita pregressa86, tenuto conto anche dei comportamenti avuti nei confronti del minore e dei rapporti eventualmente intrattenuti col medesimo87; riscontri che tuttavia potrebbero non essere sempre decisivi ove marzo 2017, n. 7762 cit., la quale ha cassato con rinvio una decisione di merito che, accogliendo la richiesta di riconoscimento, non ha preso in adeguata considerazione la volontà contraria espressa dalla minore, quantunque ne avesse accertato l’adeguata maturità. 82 Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit. 83 Quale ad es., il ricovero a causa di tossicodipendenza, che non aveva consentito al genitore di procedere al riconoscimento tempestivo: Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit. 84 Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, cit. 85 Numerosa è la giurisprudenza che ha dovuto decidere nel contesto di situazioni siffatte. V. in proposito Cass., 13 novembre 1986, n. 6649, in Giur. it., 1987, I, 1, 1837, con nota di F.M. Cirillo, sentenza che va segnalata per l’accuratezza delle argomentazioni volte a ritenere in concreto prevalente l’interesse del minore alla stabilità familiare ormai raggiunta all’interno della nuova famiglia del genitore rispetto all’interesse dell’istante ad ottenere l’autorizzazione al secondo riconoscimento. Nello stesso senso App. Genova, 21 aprile 1980, in Giur. merito, 1982, 888; Trib. min. Genova, 25 gennaio 1979, in Foro it., 1980, I, 819. Diversamente, Trib. min. Palermo, 13 marzo 2012, cit. 86 Peraltro Cass., 22 febbraio 2000, n. 1990 non ritiene sufficiente per negare il riconoscimento «una condotta morale del genitore non esente da censure» (nel medesimo senso Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763, cit.). Analogamente è a dirsi per la pendenza di un procedimento penale (Cass., 3 febbraio 2011, n. 2645 ). Indubbie perplessità solleva la decisione adottata da Cass., 14 febbraio 2019, n. 4526, in Foro it., 2019, I, 1171 la quale non ha individuato ostacolo al riconoscimento da parte del genitore gravato da numerose condanne per reati quantunque non violenti. 87 Ad es., il comportamento aggressivo e violento. V. in proposito Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763, cit. A tal fine è certamente inappropriato limitarsi a verificare che il genitore non abbia tenuto una condotta tale da giustificare una dichiarazione di Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 555 la situazione preesistente abbia subito una svolta negli anni successivi, sia in senso positivo sia in negativo88. Ben più significativo appare allora un giudizio prognostico sugli influssi che il genitore istante possa esercitare in futuro sul minore, sull’affetto che sarà in grado di dimostrargli89 e, più in generale, sulle motivazioni che lo inducono al riconoscimento, sulla incondizionata piena accettazione degli effetti che ne deriveranno90, sulla capacità91 e sulla mancanza di riserve sul fattivo esercizio del proprio ruolo92. Di per sé non decisiva è invece la condizione economica ed abitativa del richiedente e l’esercizio di attività lavorativa93 a meno che detta precarietà dipenda in realtà da una sostanziale inaffidabilità del richiedente. Certamente irrilevanti sono poi tutti gli aspetti, caratterizzanti la persona del richiedente che costituiscono espressione dell’esercizio di suoi diritti come ad es., la religione94 o le idee politiche professate, l’essersi decadenza dalla responsabilità parentale, come affermato in qualche decisione riguardante l’individuazione dell’interesse del minore al fine di richiedere (mediante iniziativa di chi tutela i suoi interessi) la costituzione giudiziale del rapporto di filiazione: v. in proposito Cass., 19 aprile 2010, n. 9300; Cass., 11 settembre 2012, n. 15158, in Famiglia e dir., 2013, 306, la quale precisa altresì che potrebbe operare in negativo «l’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale»; analogamente Cass., 11 dicembre 2013, n. 27729; App. Roma, 27 maggio 2009, in Banca dati Pluris. Non pochi dubbi solleva anche l’affermazione di Cass., 3 novembre 2004, n. 21088, cit., secondo la quale l’avere preteso l’aborto e non essersi occupato della minore non risulti decisivo al fine di escludere il suo interesse al riconoscimento. 88 In questa prospettiva Cass., 8 agosto 2003, n. 11949, cit., ha autorizzato il riconoscimento da parte del genitore che si era sottoposto con profitto alla cura, uscendo dallo stato di tossicodipendenza. 89 La mancanza di affectio è stata ritenuta invece insufficiente da Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, cit. e Cass., 11 settembre 2012, n. 15158, cit., per escludere l’interesse del minore ad ottenere l’accertamento giudiziale dello status. 90 A tal proposito certamente negativa è la valutazione da farsi riguardo ad un padre che manifesti riserve sull’acquisto da parte del figlio del suo cognome: v. in proposito App. Palermo, 4 settembre 1981, in Dir. fam., 1982, 801, nonché nei confronti dello straniero mosso dall’esigenza di porre le premesse per ottenere il permesso di soggiorno, quantunque diversamente abbia ritenuto Cass., 14 febbraio 2019, n. 4526, cit. 91 Cass., 28 febbraio 2018, n. 4763. 92 Contra, con riferimento all’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale della paternità, Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, cit. 93 Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, cit., ha ritenuto non decisivo il fatto che il richiedente risiedeva in località lontana rispetto a quella del minore, era sprovvisto di stabile attività lavorativa, di autonoma abitazione e la propria condizione non presentava margini di miglioramento. 94 Per un caso al riguardo v. Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, cit. 556 The best interest of the child formato una nuova famiglia95, ecc. aspetti che potrebbero incidere, tutt’al più (ma non sempre), sulla tipologia dell’affidamento o sulle modalità del suo esercizio. 4 segue: Genitorialità sociale ed interesse del minore. Per genitore sociale o terzo genitore si intende comunemente la persona legata affettivamente e convivente con uno dei genitori che lo “affianca” nell’adempimento dei doveri verso i suoi figli. Trattasi dunque di persona che non è genitore né sotto il profilo genetico né sotto quello giuridico. Sono invece genitori in senso giuridico, come si è detto, sia gli adottanti con adozione legittimante (pur non essendolo sotto il profilo genetico) sia coloro che risultano tali dall’atto di nascita anche se non hanno generato il bambino in quanto non sono state esercitate le relative azioni volte a rimuovere lo stato non rispondente a verità. Il genitore sociale può esercitare una funzione particolarmente rilevante nella crescita e dunque nell’interesse del minore, la cui posizione è alquanto incerta alla luce della legislazione vigente; anche la giurisprudenza si trova in difficoltà nell’individuazione delle regole che la disciplinano. Detta genitorialità può nascere sulla base di due diverse situazioni: a) l’esistenza di una famiglia monogenitoriale evolutasi in bigenitoriale in seguito al matrimonio o alla convivenza con il genitore sociale96; b) la formazione di una nuova famiglia (c.d. rinnovata o ricomposta) sulle ceneri di una precedente, dissoltasi per la morte di uno dei membri della coppia originaria, per separazione o divorzio; situazioni dalle quali può nascere un complesso intreccio di rapporti di non semplice ricostruzione e regolamentazione. Date le finalità del presente contributo ci si limiterà ad esaminare le problematiche legate alla ricostruzione del rapporto tra genitore sociale e i figli dell’altro. A tal fine occorre distinguere innanzitutto le situazioni in cui il rapporto sorge sulla base di fattispecie disci- 95 Ma di diverso avviso si è mostrata Cass., 14 maggio 1991, n. 5386 la quale ha cassato con rinvio la decisione del giudice d’appello che, nell’accogliere la richiesta di riconoscimento, non aveva adeguatamente valutato l’interesse del minore alla luce del fatto che il richiedente si era formato una nuova famiglia. 96 V. ad es., App. Salerno, 25 febbraio 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 177 con riferimento alla nascita da madre surrogata anonima ed adozione da parte della moglie del padre naturale. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 557 plinata dalla legge da quello di mero fatto, in cui l’adulto si trova ad esercitare funzioni genitoriali in quanto componente della famiglia del proprio coniuge o del convivente. Le uniche norme di riferimento riguardanti la prima ipotesi si rinvengono nell’ambito della disciplina della c.d. adozione particolare, nel contesto della quale – come è noto – il genitore adottivo non viene equiparato a quello genetico, pur assumendo un ruolo non secondario nella cura del minore, in quanto l’art. 48 l. adoz. gli riconosce l’esercizio della responsabilità genitoriale e l’obbligo di concorrere al suo mantenimento, mentre il minore acquista nei suoi confronti anche diritti successori (al pari dei figli genetici)97. Norma fondamentale è l’art. 44 lett. b) il quale contempla espressamente la possibilità per il coniuge del genitore di adottare i figli, anche adottivi, dell’altro. Occorre prendere in considerazione tuttavia anche la lett. d) della medesima norma che, secondo interpretazione estensiva ormai diffusa, avallata dalla Cassazione, ritiene possibile l’adozione da parte del convivente del genitore98 (anche del medesimo sesso99: v. § 5) salvo a vedere se 97 Certamente inappropriata sarebbe la soluzione accolta in altri ordinamenti di far conseguire la genitorialità sociale mediante adozione legittimante in quanto si interromperebbero i rapporti con la famiglia di origine. 98 Trib. min. Milano, 28 marzo 2007, in Famiglia e minori, 2007, 83; App. Firenze, 26 settembre 2012, in Banca dati Pluris. Contra, Trib. min. Milano, 17 ottobre 2016 e Trib. min. Milano, 20 ottobre 2016, in Famiglia e dir., 2017, 994, con nota di E. Bilotti e in Familia, 2017, 245, con nota di G. Miotto; Trib. Milano, 30 giugno 2016, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 188. 99 Tale riferimento è stato sfruttato negli ultimi anni da una copiosa giurisprudenza proprio per avallare la soluzione volta a riconoscere veste giuridica ai rapporti instaurati fra il coniuge o il convivente omosessuale del genitore mediante il riconoscimento di situazioni maturate all’estero non ricomprese sotto la lett. b) dell’art. 44 in quanto il nostro ordinamento non riconosce effetti giuridici interni al matrimonio omosessuale e dunque non considera coniuge il genitore che voglia procedere all’adozione dei figli dell’altro, ma unito civilmente: cfr. ex multis, App. Napoli, 4 luglio 2018, in www.art29.it ; Trib. min. Bologna, 4 gennaio 2018, ivi; Trib. min. Bologna, 31 agosto 2017, in Foro it., 2018, I, 1536; Trib. min. Bologna, 6 luglio 2017, in Corr. giur. 2018, 1396, con nota di C. Giorgi; Trib. min. Venezia, 15 giugno 2017, in Banca dati De Jure; App. Torino, 22 aprile 2017, ivi, 2061; App. Milano, 22 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, 2061; App. Milano, 9 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017, 798; con nota di C. Ciraolo; Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, ivi, 2016, 1203, con nota di P. Morozzo della Rocca; App. Torino, 27 maggio 2016, ivi, 1910; Trib. min. Roma, 30 dicembre 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 969, con nota di M. Farina; Trib. min. Roma, 23 dicembre 2015, in Famiglia e dir., 2016, 584; Trib. min. Roma, 29 ottobre 2015, in Banca dati Pluris; Trib. min. Roma, 22 ottobre 2015 e App. Milano, 10 dicembre 2015, in Foro it., 2016, I, 338; Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 109, con nota di J. Long e in Famiglia e dir., 2014, con nota di M.G. Ruo. In senso contrario, Trib. min. Piemonte e V. d’Aosta, 11 settembre 2015, in Nuova giur. 558 The best interest of the child gli effetti che ne scaturiscono siano i medesimi rispetto a quelli previsti dalla fattispecie contemplata dalla lett. b). Importanti norme di riferimento sono costituite inoltre dagli artt. 45 e 46 l. adoz. le quali stabiliscono, rispettivamente, che per procedere all’adozione occorre il consenso dell’adottante e dell’adottando che ha compiuto quattordici anni, mentre in caso di età inferiore egli deve essere sentito, purché in grado di esprimere una propria valutazione (o altrimenti deve essere sentito il suo rappresentante legale). Richiesto è altresì l’assenso del coniuge dell’adottando e dell’altro genitore i quali risultano indispensabili, rispettivamente, ove il coniuge sia convivente o il genitore eserciti la responsabilità genitoriale; nelle altre ipotesi il giudice può autorizzare l’adozione se il rifiuto dell’assenso è ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando. Sulla base del disposto enunciato svariati sono i profili che meritano di essere posti in luce: 1) la genitorialità sociale riconosciuta giuridicamente si configura quale genitorialità adottiva diversa da quella legittimante che potrà essere acquisita previa valutazione di idoneità dell’adottante e dell’esistenza dell’interesse dell’adottato; 2) detto genitore non è equiparato a quello di sangue, onde nell’ambito della coppia sussisterà una situazione di squilibrio riguardo alla posizione loro riconosciuta100; 3) la genitorialità sociale può essere acquisita a prescinciv. comm., 2016, I, 205; Trib. min. Milano, 17 ottobre 2016, ivi, 2017, I, 177. V. anche Trib. min. Palermo, 30 luglio 2017, in Foro it., 2018, I, 1537 il quale, pur ritenendo possibile l’adozione, l’ha esclusa perché non rispondente all’interesse del minore, per altro sull’erroneo presupposto che il genitore naturale verrebbe privato della responsabilità genitoriale. A sua volta la l. n. 76/2016, all’art. 1, comma 20 si limita ad affermare che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Poiché l’art. 44 non menziona la possibilità di adozione del figlio del convivente, precipua rilevanza finisce con l’assumere il termine “consentito” il quale sembra rimandare proprio agli arresti della giurisprudenza. Data allora l’interpretazione estensiva della lett. d) ecco avallata la soluzione del riconoscimento della genitorialità sociale da parte del convivente del medesimo sesso del genitore. 100 Pur tuttavia è da ricordare anche la posizione assunta da una parte della giurisprudenza che ha ritenuto potersi riconoscere e dunque trascrivere un provvedimento straniero di adozione legittimante nei confronti del partner del medesimo sesso del genitore in quanto gli effetti che ne conseguono sono più favorevoli al minore: Cass., 31 maggio 2018, n. 14007; App. Bologna, 8 maggio 2018, in www.art29.it; App. Milano, 16 ottobre 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 725, con nota di C. Benanti, in Corr. giur., 2016, 1211, con nota di P. Morozzo della Rocca, in Famiglia e dir., 2016, 271, con nota di F. Tommaseo. In altro contesto anche Trib. min. Genova, 8 settembre 2017, in Famiglia e dir., 2018, 149, con nota di E. Pesce, ha ritenuto potersi riconoscere un provvedimento straniero di adozione legittimante a favore di persona singola in quanto assicura continuità dello status e risponde all’interesse del minore. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 559 dere dalle forme e dalle modalità dell’affidamento previste nell’ambito dei rapporti fra i genitori genetici101; 3) non si interrompono i rapporti con l’altro genitore genetico; 4) la posizione di genitore sociale è riservata al coniuge del genitore genetico o, secondo la giurisprudenza, anche al convivente; 5) essa non può conseguirsi se mancano i consensi o gli assensi innanzi menzionati (di particolare rilievo è quello dell’altro genitore esercente la responsabilità genitoriale). Quest’ultimo requisito non è dunque richiesto se manca l’altro genitore (ipotesi a) o ipotesi b) prima parte, innanzi formulate). Semplificate risultano anche le soluzioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale (v. oltre). Il mancato assenso del genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale, o che non la eserciti in concreto102, può essere ovviato dall’autorizzazione giudiziale ove l’acquisto della genitorialità sociale da parte del coniuge del genitore (ma secondo la giurisprudenza – come si è detto – anche del convivente) risponda all’interesse del minore inserito nella nuova famiglia. Di converso, problemi non si pongono ormai neppure nei casi in cui l’altro genitore esercente la responsabilità genitoriale si opponga all’adozione in quanto, in base al chiaro dettato dell’art. 46, 2° comma l. adoz., l’interesse di quest’ultimo prevale su quello del minore alla formalizzazione del rapporto. Approdo a cui la giurisprudenza è finalmente pervenuta in base ad una chiara pronunzia della Cassazione103, successiva all’introduzione dell’affidamento condiviso, ma precedente all’avvento della Riforma del 2012/13 (che ha espressamente abrogato l’art. 217 bis), nella quale si afferma che «l’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori ricorre tanto nell’affidamento condiviso, quanto in quello esclusivo»104 (quantunque l’infelice formulazione dell’art. 337 quater, 3° comma cc., riferendosi all’affidatario nel 101 D. Buzzelli, , La famiglia “composita”, Napoli, 2012, 172; 180. 102 Cass., 21 settembre 2015, n. 18576, in Giur. it., 2016, 319; Cass., 16 luglio 2018, n. 18827, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 5, con nota di J. Long. 103 10 maggio 2011, n. 10265, in Corr. giur., 2012, 91, con nota critica di G. Ferrando. 104 Occorre sottolineare infatti che anche dopo l’approvazione della l. n. 54/2006, in qualche pronunzia si continuava ad avallare l’interpretazione precedente (peraltro ugualmente ingiustificata anche alla luce della precedente disciplina) secondo la quale solo il genitore affidatario doveva considerarsi esercente la (allora) potestà: il riferimento è ad App. Roma, 21 aprile 2010, in Banca dati Pluris; ma anche a Trib. Pisa, 20 ottobre 2009, in Fam. pers. succ., 2011, 502, con nota di S. Dimasi; Trib. Genova, 28 ottobre 2010, ivi, secondo il quale il genitore non affidatario doveva considerarsi sollevato dall’obbligo di mantenimento del figlio in seguito all’adozione particolare da parte del coniuge dell’altro genitore. 560 The best interest of the child caso di affidamento monogenitoriale continui ad indicarlo come esercente esclusivo della responsabilità genitoriale105). In passato infatti la costante giurisprudenza106 aveva sostenuto che il mancato assenso del genitore non affidatario fosse superabile in quanto non doveva considerarsi esercente la potestà, onde elemento prevalente doveva considerarsi l’interesse del minore. La soluzione si fondava su una controversa distinzione fra titolarità ed esercizio della potestà formulata da una parte della dottrina con riferimento ai genitori non conviventi107, a mio parere erronea in quanto già in passato al non affidatario erano riconosciuti poteri nell’assunzione delle decisioni di maggiore rilevanza per il minore mentre gli venivano precluse solo le decisioni su questioni di minore importanza; peraltro appariva del tutto ingiustificato sacrificare i diritti riconosciutigli dall’art. 30 Cost. in mancanza di ragioni così gravi da comportare la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Pertanto occorre ribadire chiaramente che anche nel caso di affidamento monogenitoriale l’opposizione del non affidatario non rende possibile l’acquisto da parte del coniuge (o del convivente) del genitore del ruolo di genitore sociale con i conseguenti diritti, doveri e poteri derivanti 105 Nel senso del testo v. D. Buzzelli, op. cit., 156. 106 Cass., 28 ottobre 1992, n. 11604, in Giur. it., 1993, I, 1, 2150, in base al rilievo che «solo la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono rilevante il dissenso»; Cass., 5 ottobre 1996, n. 7137, in Dir. fam., 1997, 558; App. Torino, 3 dicembre 1994, ivi, 1996, 992; Trib. min. Perugia, 10 ottobre 1995, in Riv. giur. umbra, 1996, 28; Trib. min. Sassari, 14 novembre 2002 e App. Genova, 9 luglio 2003, in Famiglia e dir., 2003, 453, con nota di E. Ravot. Contra, Trib. min. Roma, 30 ottobre 1991, in Giur. merito, 1991,736. Problematica appariva inoltre l’individuazione dei criteri per stabilire la ragionevolezza o meno del rifiuto e per ricostruire l’interesse del minore. Cfr. al riguardo Trib. min. Sassari, 14 novembre 2002, in Famiglia e dir., 2003, 452, con nota di E. Ravot. 107 Ad es., C. Grassetti, Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi, in Comm. al dir. it. della famiglia, a cura di Cian-Oppo-Trabucchi, Padova, 1992, II, 698 ss.; P. Zatti-M. Mantovani, La separazione personale, Padova, 1983, 244; A.C. Pelosi, Potestà dei genitori sui figli, in Noviss. Dig. It. App., Torino, 1984, 1126; G. Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini e G. Cattaneo, III, Torino, 1997, 277 ss. Ma in senso contrario, M. Giorgianni, Della potestà dei genitori, in Comm. al dir. it. della famiglia, cit., IV, 335 ss.; L. Mengoni, Affidamento del minore nei casi di separazione e divorzio, in Jus, 1983, 248 s.; C.M. Bianca, Diritto civile, II, Milano3, 2001, 209 ss.; A. Finocchiaro-M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984, I, 561 ss; F. Ruscello, La potestà dei genitori, in Il codice civile commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1996, 214 ss.; F. Finocchiaro, Matrimonio, in Comm. del cod. civ. Scialoja e Branca (artt. 84-158), Bologna-Roma, 1993, 397 ss.: M. Sesta, La filiazione, in Il diritto di famiglia, III, del Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Torino, 1999, IV, 3, 235 ss. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 561 dall’adozione108. Soluzione che trova piena giustificazione nel fatto che quest’ultimo acquista e concorre nell’esercizio della responsabilità genitoriale e quindi nell’assunzione delle decisioni relative al minore. Anche la mancanza dell’assenso del coniuge convivente dell’adottando preclude l’adozione, ma trattasi di situazione marginale essendo limitata all’ipotesi di matrimonio celebrato dal sedicenne previa autorizzazione giudiziale. Analoga preclusione è prevista nel caso in cui manchi l’assenso del genitore coniuge (o convivente) dell’adottante, situazione confinata, ma per altra ragione, ad ipotesi alquanto circoscritte essendo normale che l’iniziativa dell’aspirante genitore sociale sia stata preventivamente concordata dalla coppia. Residuano pur sempre i casi in cui nel tempo intercorrente fra la prestazione dell’assenso e la conclusione della procedura sia sopravvenuta la crisi della coppia109 o la morte del genitore110. 108 Ma in senso contrario G. Ferrando, L’adozione in casi particolari del figlio naturale del coniuge, in Corr. giur., 2012, 93 ss., la quale, con riferimento ad una fattispecie in cui era ancora in vigore l’art. 317 bis, pur ammettendo che anche il genitore naturale con cui il figlio non convive era da considerarsi esercente la potestà, riteneva possibile superarne l’opposizione all’adozione in quanto detto esercizio non era paritario e comunque alla luce del prevalente interesse del minore. Argomentazioni che in astratto potrebbero ancora essere riproposte nel caso di affidamento esclusivo. Entrambe le ragioni non mi sembrano però decisive: come si è detto al § 1, dare sempre e comunque prevalenza all’interesse del minore a prescindere dalla ponderazione con gli interessi in conflitto comporta una distorsione circa il significato da attribuire a tale valore (da intendersi solo come significativa rilevanza). Neppure mi sembra che detta sistematica prevalenza possa fondarsi sulla funzione della responsabilità genitoriale (come affermato dall’A. Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Politica del diritto, 1998, 167 ss.). 109 Trib. L’Aquila, 10 febbraio 1995, in Dir. fam., 1995, 1501 ha negato l’adozione nel caso di separazione di fatto dei coniugi. A conclusione diversa è pervenuta, in altra circostanza, Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651, in Famiglia e dir., 2012, 727, con nota di D. Morello Di Giovanni, e in Dir. fam. succ., 2012, con nota di M. Gorini, la quale, pur ritenendo in astratto ammissibile l’adozione in caso di separazione della coppia, ha accolto il ricorso presentato in appello dal genitore genetico volto ad evitare l’adozione a causa della conflittualità in atto fra i coniugi, soluzione che, a parere della Corte, era quella che meglio tutelava l’interesse del minore. Detto ricorso andava verosimilmente inteso come revoca dell’assenso, la cui ammissibilità non è peraltro pacifica in dottrina. Per alcune indicazioni in proposito si rinvia a L. Olivero, L’adozione del figlio del coniuge tra crisi coniugale ed interesse del minore, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 282 ss. La revoca del consenso da parte dell’adottante o dell’adottando è ammessa dall’art. 47, 1° comma l. adoz. fino all’emanazione della sentenza. 110 C. cost., 20 luglio 2007, n. 315, ha ritenuto infatti infondata la questione di costituzionalità dell’art. 44 lett. b) secondo il quale i requisiti richiesti devono necessariamente essere presenti al momento di presentazione della domanda. In dottrina, escludono l’adozione da parte del coniuge del genitore defunto M. Dogliotti, Affidamento e adozione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1990, 315; D. 562 The best interest of the child Infine ostacolo, non superabile, all’adozione è senz’altro costituito dal mancato consenso da parte dell’adottando che ha compiuto quattordici anni; ma anche l’opposizione manifestata in sede di ascolto ove egli abbia una età inferiore e sia in grado di esprimere la propria opinione costituisce ragione non agevolmente superabile proprio per la ragione, in precedenza rilevata, in virtù della quale uno dei criteri fondamentali per ricostruire l’interesse del minore è costituito, pur con le dovute cautele, dall’espressione della sua volontà. La ricostruzione di detto interesse assume un ruolo determinante non solo al fine dell’accoglimento o meno della domanda di adozione111 ma anche della scelta del coniuge o convivente del genitore a cui attribuire il ruolo di genitore sociale. Trattasi di un problema nuovo, il quale non trova riscontro in giurisprudenza, che si pone a partire dal 2006 in seguito all’introduzione dell’affidamento condiviso. In passato infatti aspirante genitore sociale poteva essere solo il coniuge del genitore affidatario per le ragioni esposte in precedenza. L’inserimento del minore nella famiglia dell’affidatario era infatti l’ineludibile presupposto in base al quale poteva profilarsi l’esigenza di consolidare il rapporto con il figlio del genitore, in vista del perseguimento del migliore interesse del minore, mentre il diritto di visita riservato al non affidatario non solo depotenziava il suo ruolo ma ancor meno consentiva di conferire rilevanza all’apporto fornito dal suo coniuge. Oggi non è più così, almeno nelle ipotesi di affidamento condiviso, in quanto è dovere del giudice e dei genitori assicurare, nell’interesse del minore, una significativa frequentazione con entrambi (e di riflesso con i rispettivi coniugi o conviventi) che potrebbe, a seconda delle circostanze, essere predisposta in maniera (pressoché) paritaria. Ma anche nel caso in cui si ricorra, come di sovente, all’individuazione di un genitore collocatario, non è detto che il suo coniuge o convivente risulti la figura di riferimento più significativa per il minore. Il giudice pertanto potrebbe trovarsi al cospetto di due domande di adozione ai sensi della lett. b) (o secondo la giurisprudenza anche ai sensi della lett. d) dell’art. 44. In tali ipotesi si rende necessaria una scelta nell’esclusivo Buzzelli, op. cit., 174 ss. In senso favorevole G. Cattaneo, voce Adozione, in Digesto civ., I, Torino, 1987, 117. 111 As es., molto rilevanti sono le motivazioni che inducono il coniuge o il convivente del genitore a presentare la domanda. Significativa al riguardo è la decisione del Trib. min. Torino, 6 ottobre 1988, in Dir. fam., 1988, 1731 che ha respinto la domanda in quanto mossa dal prevalente intento di emarginare l’altro genitore naturale. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 563 interesse del minore, volta ad individuare la figura più significativa a cui conferire il ruolo di genitore sociale mediante l’adozione; non ad entrambi, in quanto, secondo il combinato disposto degli artt. 294 cc. e 55 l. adoz. “nessuno può essere adottato da più di una persona”. Ove una problematica del genere dovesse presentarsi nella pratica, è probabile che il giudice opti per il coniuge (o convivente) del collocatario essendo questo il rapporto più diffuso nei tempi di frequentazione ma non necessariamente, potendo non risultare l’apporto più significativo riguardo alla formazione del minore in confronto a quello instaurato col coniuge (o convivente) del non collocatario112. Un secondo profilo che merita di essere preso in considerazione riguardo alle caratteristiche dell’aspirante genitore sociale è quello relativo al convivente, in virtù dell’interpretazione giurisprudenziale più volte menzionata. Come è noto, con l’avvento della legge n. 76/2016 la convivenza rilevante giuridicamente deve avere i connotati ivi previsti; pertanto a questi ritengo debba farsi riferimento per ammettere il convivente all’adozione ai sensi della lett. d). Altro profilo che merita di essere posto in luce è quello relativo agli effetti che scaturiscono dall’assunzione della genitorialità sociale giuridicamente riconosciuta. In base al presupposto secondo il quale l’adottante acquisisce la responsabilità genitoriale, come in precedenza accennato, l’art. 48 stabilisce, a dire il vero in maniera non del tutto limpida, che essa – ed il relativo esercizio – spettano anche al coniuge del genitore; nulla si dice riguardo al convivente proprio perché l’estensione della possibilità di adottare ai sensi della lett. d) deriva da interpretazione giurisprudenziale. Condivisa tale premessa, la soluzione positiva appare obbligata in virtù della ratio caratterizzante l’istituto (accrescere la coesione familiare riconoscendo un ruolo giuridico anche al terzo genitore). La norma nulla stabilisce con riferimento all’altro genitore genetico non decaduto dalla responsabilità. Deve ritenersi che la nuova situazione derivante dall’adozione non comporti il venir meno delle sue prerogative (in quanto non può trovare certamente giustificazione 112 Maggiori dubbi si pongono riguardo al coniuge del genitore non affidatario, al quale spetta solo il c.d. diritto di visita. Per la soluzione contraria v. M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, in Comm. Schlesinger, Milano, 2002, 806. In senso favorevole L. Ruggeri, in AA.VV., Commentario alla l. 28 marzo 2001, n. 149, a cura di C.M. Bianca-L. Rossi Carleo, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 1032 ss. 564 The best interest of the child nell’esigenza di consolidare l’unità della nuova famiglia)113, verrebbe altrimenti leso il diritto del minore a fruire dell’apporto di entrambi i genitori; soluzione da privilegiare anche quando fosse stato disposto l’affidamento esclusivo a favore del genitore componente la coppia rinnovata114. Il genitore sociale, a sua volta potrà collaborare con i genitori naturali anche assumendo le decisioni della vita quotidiana e concorrendo nelle scelte più rilevanti per la vita del figlio. Infatti che la responsabilità genitoriale sia attribuita alla coppia rinnovata, come indicato dall’art. 48 l. adoz., non significa anche che essa le spetti in maniera esclusiva. Pur tuttavia, in virtù della ratio della norma, il ruolo del genitore sociale non può considerarsi, a mio parere, del tutto paritario rispetto a quello riservato ai genitori genetici. Sulla base del dettato dell’art. 30 Cost., solo a questi ultimi viene riservato l’esercizio dei compiti educativi fondamentali, onde solo a loro spettano le scelte di indirizzo generale della vita del minore caratterizzanti il c.d. “piano genitoriale”. I poteri conferiti al genitore sociale sono invece più limitati, in quanto devono esercitarsi all’interno di detto quadro di riferimento. Fermo restando che, in caso di disaccordo riguardante le decisioni di maggiore rilevanza, spetterà al giudice determinare quella più rispondente all’interesse del minore115. Il ruolo del genitore sociale è dunque di supporto, ma non per questo di minore rilevanza, rispetto a quello riservato dalla legge ai genitori genetici, ai quali spetta l’esercizio della responsabilità genitoriale alla luce delle regole previste dagli artt. 337 ter e quater cc. Non è escluso pertanto che egli possa configurarsi in concreto per il minore come figura di riferimento più solida rispetto al genitore naturale di ugual sesso. Ripartiti sono anche gli oneri economici in quanto il genitore sociale è tenuto a concorrere al mantenimento del minore insieme ai genitori naturali, secondo il criterio di proporzionalità alle rispettive condizioni economiche116 non sussistendo fondata ragione per sollevare ciascun genitore naturale dai suoi doveri, a prescindere dalla ti113 In dottrina esistono tuttavia differenze di opinione. Esclude la decadenza D. Buzzelli, op. cit., 181. Per ulteriori indicazioni al riguardo v. L. Olivero, op. loc. cit. 114 L’art. 337 quater cc. stabilisce infatti che anche quando il giudice opta per l’affidamento esclusivo deve fare salvi, per quanto possibile, i diritti del minore alla bigenitorialità. Condivide la lettura proposta nel testo, D. Buzzelli, op. cit., 181 ss. 115 Per analoghe ragioni il piano genitoriale non può essere stabilito dal giudice. 116 Ma a differenza di questi non è titolare dell’usufrutto legale. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 565 pologia e dalle modalità dell’affidamento117. È da respingere pertanto l’interpretazione giurisprudenziale risalente nel tempo118, ma ribadita in epoca non lontana119, secondo la quale il dovere di mantenimento grava principalmente sulla coppia che si è giovata dell’istituto dell’adozione mentre l’altro genitore genetico è chiamato a contribuire solo nel caso in cui essa non risulti in grado di provvedervi. Rimane da stabilire quale sia la posizione del genitore sociale nelle ipotesi in cui manchino le condizioni per formalizzarla mediante l’adozione particolare (ad es., mancanza dei consensi o degli assensi richiesti, rigetto della domanda perché la soluzione non si considera rispondente all’interesse del minore, ecc.) o il coniuge del genitore non avanzi domanda. In tali ipotesi, dunque, la posizione del genitore sociale si fonda sul mero fatto, egli non acquista la responsabilità genitoriale e non sorge a suo carico il dovere di mantenimento del minore, ad eccezione del caso in cui l’obbligazione venga contemplata nel contesto degli accordi volti a disciplinare il rapporto di coppia120. Sotto il profilo dei rapporti personali (istruzione, educazione, assistenza del minore) il genitore sociale è legittimato ad esercitare i compiti che gli vengono affidati dal genitore naturale alla stregua di quanto consentito nei confronti di qualsiasi congiunto o anche estraneo il quale venga delegato all’esercizio di determinate funzioni, in osservanza delle direttive ricevute (ad es., custodirlo durante la sua assenza, andarlo a prendere o ad accompagnare a scuola o in altri luoghi, portarlo in gita, ecc.). Non si tratta di una delega in senso proprio all’esercizio della responsabilità genitoriale non essendo tale possibilità prevista dal nostro ordinamento121, bensì di un fattivo interessamento per i figli del genitore, riconducibile al dovere di collaborazione previsto per la coppia 117 Condivide questa soluzione D. Buzzelli, op. cit., 186 ss. 118 Cass., 30 gennaio 1998, n. 978, in Giust. civ., 1998, I, 1955; App. Perugia, 25 maggio 1992, in Dir. fam., 1994, 154, il quale precisa che in capo al genitore non affidatario permane solo l’obbligo alimentare. 119 Trib. Genova, 28 ottobre 2010, cit. 120 Condivide questa impostazione D. Buzzelli, op. cit., 243. 121 Delega che, a certe condizioni, è prevista invece dall’ordinamento francese sulla base del dettato dell’art. 277 cc. il quale stabilisce che “Le père et la mère, ensemble ou séparément, peuvent, lorsque les circonstances l’exigent, saisir le juge en vue de voir déléguer tout ou partie de l’exercice de leur autorité parentale à un tiers, membre de la famille, proche digne de confiance, établissement agréé pour le recueil des enfants ou service départemental de l’aide sociale à l’enfance”. Cfr. sul tema M.G. Stanzione, Filiazione e “genitorialità”. Il problema del terzo genitore, Torino, 2010, 111 s. 566 The best interest of the child sposata alla luce degli accordi intervenuti in sede di determinazione dell’indirizzo di vita ex art. 144. Il genitore sociale non ha dunque il potere di assumere alcuna decisione. Riguardo alla coppia convivente, pur non configurandosi un dovere siffatto, non ne è certamente precluso lo spontaneo adempimento da parte della coppia, il quale assume rilevanza in quanto, alla luce della l. n. 76/2016, contribuisce a determinare il configurarsi della fattispecie. Esso può venire puntualizzato nei contenuti nel contesto di un accordo volto a disciplinare la convivenza, il quale deve considerarsi ammesso dall’ordinamento122. Solo in parte coincidenti sono le soluzioni a cui perviene altra opinione secondo la quale in capo al genitore sociale sorgerebbe un obbligo di protezione e di mantenimento del minore in virtù del contatto sociale instaurato col medesimo, sulla base di un consenso «da ricavarsi implicitamente dalla decisione di stabilire un’unione familiare con un soggetto che ha seco figli minori conviventi123». Trattasi in realtà di soluzione decisamente da respingere in quanto comporta ingiustificati limiti alla libertà matrimoniale o di convivere perché non sarebbe possibile sottrarsi a tali obblighi, onde il convivente non avrebbe altra scelta che non costituire o interrompere la relazione col genitore. Perplessità si profilerebbe anche nell’ipotesi in cui si intendesse configurare l’esistenza di una presunzione di consenso all’assunzione dei doveri genitoriali in quanto priva di adeguato fondamento124 e che porrebbe, tra le altre cose, problemi sul modo in cui debba formularsi l’eventuale dissenso. Lo strumento dell’accordo consente anche di porre a carico del genitore sociale, in concorso con i genitori genetici, l’obbligazione di mantenimento. In mancanza del medesimo a me sembra che possa 122 A tale conclusione perviene C.M. Bianca, op. cit., 348 ss. differenziando il “patto di convivenza” quale contratto atipico, già previsto prima della l. 76/2016, mediante il quale le parti si obbligano ad assistersi moralmente e materialmente, dal tipico “contratto di convivenza”, volto a disciplinare solo i rapporti economici. A mio parere tuttavia la limitazione ai soli rapporti patrimoniali del contenuto del contratto di convivenza non è del tutto convincente (basti pensare al riferimento alla fissazione della residenza che può costituire il contenuto (anche esclusivo) del medesimo) la quale troverebbe più che altro riscontro nel termine (contratto) utilizzato dal legislatore. Elemento non decisivo ove si consideri il rigore tutt’altro che impeccabile con cui le disposizioni contenute nella legge 76/2016 sono state formulate. 123 P. Laghi, «Genitorialità di fatto» ed obblighi di assistenza materiale della prole unilaterale nelle famiglie «ricomposte», in Dir. successioni e fam., 2017, 815 ss. 124 Nello stesso senso D. Buzzelli, op. cit., 242 il quale rileva che «l’accordo sulla convivenza non implica necessariamente anche quello concernente la collaborazione nella cura e nell’educazione del minore». Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 567 configurarsi a suo carico solo un’obbligazione naturale. A conclusione diverse perviene la tesi innanzi menzionata secondo la quale a carico del genitore sociale sorgerebbe sempre l’obbligo di concorrere al mantenimento del figlio del coniuge o del convivente per aver accettato di dare vita alla famiglia ricomposta125. La crisi della coppia ricomposta, non dovrebbe incidere, in linea di principio, sull’affidamento dei figli dell’altro coniuge o convivente, il quale rimane disciplinato dalle regole adottate per regolare la crisi della prima unione126. Tuttavia, nel caso in cui i genitori genetici non fossero ritenuti idonei all’affidamento e il giudice dovesse disporlo pertanto a favore di un terzo, l’idoneità del genitore sociale andrebbe presa in adeguata considerazione a detto fine127. Diverso potrebbe essere il discorso ove mancasse l’altro genitore genetico. In tal caso occorre stabilire se gli artt. 337 ter e quater cc. siano applicabili anche nel caso di famiglia ricomposta, onde nei confronti del genitore sociale potrebbe essere predisposto anche l’affidamento esclusivo o se invece le norme possano applicarsi solo nel caso di crisi dei genitori naturali. Le norme richiamate non pongono limiti al riguardo; a favore della soluzione positiva128 nei confronti del genitore sociale giuridicamente riconosciuto mediante l’adozione, può deporre il fatto che questi esercita la responsabilità genitoriale al pari di quello genetico e che la medesima non viene meno in seguito alla crisi della famiglia rinnovata (e parimenti non costituisce neanche causa di estinzione dell’adozione). Analogamente è a dirsi per l’obbligazione di mantenimento. Ma tutto sommato più convincente è la soluzione contraria, perché in assenza di una specifica disposizione normativa occorre tenere conto delle ragioni del riconoscimento della genitorialità sociale (cementare l’unità familiare), ragione che viene meno con la crisi della famiglia e dunque non sembrerebbe giustificare l’affidamento condiviso129. Si è ritenuto comunque possibile fondare un diritto (affievolito) del genitore sociale a mantenere rapporti col minore mediante interpretazione estensiva dell’art. 337 ter, 1° comma, riconducendo nel novero 125 P. Laghi, op. cit., 834 ss. In senso critico D. Buzzelli, op. cit., 251, il quale ritiene discutibile «l’ipotizzata riconducibilità dell’obbligo di mantenimento del figlio dell’altro coniuge ai doveri coniugali derivanti dal nuovo matrimonio». 126 Nello stesso senso D. Buzzelli, op. cit., 233. 127 Nello stesso senso, D. Buzzelli, op. cit., 296 ss. 128 Sostenuta da L. Olivero, op. cit., 282 s. 129 In tal senso Trib. min. Milano, 2 novembre 2007, in www.art29.it. 568 The best interest of the child dei parenti anche gli affini (in quanto il coniuge del genitore diviene affine dei suoi figli130). La soluzione solleva dubbi, in quanto rischia di ampliare arbitrariamente l’ambito dei soggetti il cui ruolo è considerato dal legislatore normalmente meritevole di particolare considerazione131. Essa inoltre non sarebbe applicabile alla coppia convivente dal cui rapporto non scaturisce affinità col figlio del convivente. Tale interesse può eventualmente trovare soddisfacimento nel contesto più generale secondo il quale il giudice è legittimato ad adottare ogni “provvedimento relativo alla prole” anche al fine di consentire al genitore sociale l’esercizio della responsabilità parentale. Rimane ferma in ogni caso la possibilità per il giudice di predisporre, anche in un momento successivo alla crisi della coppia, la frequentazione del minore col genitore sociale mediante il ricorso al dettato dell’art. 333 cc. in base al quale, ove il genitore naturale si opponga al compimento di un atto rispondente all’interesse del minore, esso può venire autorizzato dal giudice132. In una singolare pronuncia il Tribunale di Palermo ha individuato invece il fondamento della medesima soluzione nell’estensione dell’art. 337 ter cc. quale strumento più appropriato per la tutela dell’interesse del minore, onde assicurare un rapporto equilibrato tra il genitore genetico e quello sociale in una fattispecie in cui non esisteva peraltro altro genitore biologico133, facendo riferimento all’interpretazione della Corte EDU volta a garantire tutela alla vita familiare ex art. 8 CEDU. Stranamente, il giudice ha invocato l’art. 337 ter non al fine di disporre l’affidamento condiviso nei confronti di entrambi genitori (e dunque risolvendo in senso positivo l’interrogativo innanzi proposto) ma di fondare solo un diritto “di mantenere un rapporto stabile e significativo” con il genitore sociale, adottando una soluzione non coerente con la premessa (applicazione della norma a prescindere dal fondamento 130 D. Buzzelli, op. cit., 253 ss. 131 Ed infatti l’art. 337 ter cc. prevede solo la possibilità che il giudice assuma provvedimenti al fine di assicurare il diritto del minore a mantenere in vita i rapporti con i parenti di ciascun ramo genitoriale. 132 V. in tal senso, C. cost., 20 ottobre 2016, n. 225, in Famiglia e dir., 2017, 205, con nota di F. Tommaseo; Trib. min. Milano, 2 novembre 2007, in Banca dati Pluris. 133 Trib. Palermo, 6 aprile 2015, in Famiglia e dir., 2016, 40, con nota di A. Ardizzone ed in Corr. giur., 2015, 1549, con nota di S. Veronesi. Nel caso di specie si trattava della richiesta della madre sociale di mantenere rapporti con i minori, figli della convivente, con i quali fin dalla nascita aveva costituito un solido rapporto provvedendo alla loro cura ed assistenza. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 569 del rapporto genitoriale); nel riformare la decisione di primo grado la Corte di appello ha sollevato questione di costituzionalità della norma perché non consentirebbe di tutelare l’interesse del minore a mantenere i rapporti col genitore sociale134. La Corte costituzionale135 ha dichiarato la questione infondata in quanto sussiste già a tal fine uno strumento appropriato (l’art. 333 cc. innanzi menzionato), soluzione condivisibile in quanto si può discutere circa le modalità del provvedimento da adottare per salvaguardare detto rapporto, ma non certamente della sua esistenza. Riguardo al dovere di mantenimento del figlio da parte del genitore sociale esso non è configurabile se non è stato inserito nell’ambito dell’accordo volto a disciplinare i rapporti tra i coniugi od i conviventi. Può configurarsi peraltro un’obbligazione naturale in tal senso. È infine da precisare che, ove il genitore intendesse formare una terza famiglia, il rapporto col coniuge o il convivente del genitore non potrà essere formalizzato mediante l’adozione in quanto anche in questa ipotesi si profila l’ostacolo costituito dall’art. 294 cc. (divieto di adozione da parte di più soggetti). 5. Bigenitorialità ed eterosessualità. I criteri di determinazione della genitorialità previsti dal nostro ordinamento ed in precedenza esaminati (§§ 2 e 3) garantiscono in linea di principio il soddisfacimento dell’interesse del minore alla bigenitorialità ma assicurano anche il raggiungimento di un altro risultato: la eterosessualità dei genitori. Tale valore risulta assicurato ovviamente in tutte le ipotesi in cui il criterio di riferimento è quello biologico o nel caso in cui il favor veritatis ceda nei confronti del favor legitimitatis o di stabilità del rapporto; ed altresì nelle ipotesi di adozione legittimante e di procreazione assistita eterologa, alla luce della disciplina vigente. L’adozione legittimante presuppone infatti, come è noto, che gli adottanti siano coniugati (ed il matrimonio è riservato a coppie eterosessuali) e la 134 App. Palermo, 30 agosto 2015, in Famiglia e dir., 2016, 44, con nota di A. Ardizzone ed in Corr. giur., 2015, 1555, con nota di S. Veronesi a causa della sua rigida formulazione. Essa si porrebbe pertanto in contrasto con gli artt. 2, 3, 30, 31, 117 cost. e con l’art. 8 CEDU per violazione dell’interesse del minore a mantenere un rapporto solidamente instaurato con il genitore sociale (nella specie del medesimo sesso). È da sottolineare comunque che il problema si sarebbe posto nei medesimi termini anche se si fosse trattato di coppia di sesso diverso. 135 20 ottobre 2016, n. 225, cit. 570 The best interest of the child legge n. 40/2004 ammette alla pratica solo coppie formate da persone di sesso diverso. Ugualmente è a dirsi riguardo all’adozione particolare, ai sensi della lett. b) dell’art. 44 l. adoz. e dell’interpretazione estensiva privilegiata dalla giurisprudenza a favore del convivente di sesso diverso ai sensi della lett. d) della medesima norma. L’impianto normativo così delineato appare del tutto coerente e configura un principio generale caratterizzante la filiazione il quale garantisce al minore l’apporto di cura ed assistenza da parte di due genitori dotati di peculiarità diverse le quali si ripercuotono verosimilmente nel relativo esercizio (come si dirà tra breve). Tale principio non sembra incontrare eccezioni a livello normativo perché non può considerarsi tale, a rigore, il caso di figli nati da genitori di sesso diverso uno dei quali lo abbia mutato in un secondo tempo, in quanto può ritenersi che assuma rilevanza solo il contesto originario nel quale il progetto di filiazione è maturato (peraltro è dato incontestabile che mentre il vincolo matrimoniale – in quanto dissolubile – può venire meno, il rapporto di filiazione è invece indissolubile). L’eterosessualità dei genitori potrebbe mancare invece applicando in via interpretativa la lettera d) dell’art. 44 l. adoz. alle coppie conviventi del medesimo sesso o agli uniti civilmente (art. 1, comma 20 l. n. 76/2016) riguardo ad adozioni pronunziate in Italia o all’estero, nonché in tutte le ipotesi in cui venga eventualmente riconosciuta efficacia agli atti di nascita redatti in Paesi stranieri nei quali viene attribuita la genitorialità alla coppia del medesimo sesso, a prescindere dalla derivazione genetica o biologica, conseguente a pratiche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo a cui si sono sottoposte o mediante ricorso a maternità surrogata ivi consentite136. Analogamente è a dirsi ove la coppia del medesimo sesso sia ammessa all’estero all’adozione legittimante. Come si vedrà tra breve la giurisprudenza tende a dare efficacia a detti provvedimenti, ma diversità di posizioni si registrano nei casi in cui la coppia del medesimo sesso abbia fatto ricorso o meno alla maternità surrogata, anche se la ragione di intrascrivibilità del provvedimento non risiede in tal caso in un eventuale interesse del minore ad essere allevato da genitori di sesso diverso, bensì al fine di salvaguardare i diritti fon136 Il principio generale di eterosessualità dei genitori non rende possibile invece formare ex novo un atto di nascita in Italia con l’indicazione come padre e madre di due genitori del medesimo sesso (ipotesi evidentemente diversa dal riconoscimento di un atto di nascita siffatto formato all’estero): Trib. Agrigento, 15 maggio 2019, in Foro it., 2019, I, 3346. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 571 damentali della gestante. Il mancato riconoscimento della sua maternità si porrebbe infatti in contrasto con la tutela della dignità della donna, la quale verrebbe privata del proprio status e con le regole che disciplinano l’adozione. L’interesse della partoriente prevarrebbe in questo caso, a parere della giurisprudenza (trattasi di una recente pronunzia della Cassazione137), sull’eventuale interesse del minore alla conservazione di uno status che consente di mantenere in vita il rapporto instaurato con i genitori i quali sono ricorsi a tale pratica. Proprio per questa ragione nelle maggior parte delle decisioni in cui la coppia del medesimo sesso non abbia fatto ricorso a maternità surrogata, il provvedimento straniero si ritiene trascrivibile in Italia, senza affrontare, con le cautele e gli approfondimenti necessari, il problema della sua rispondenza in concreto all’interesse del minore a crescere all’interno di una famiglia formata da genitori di sesso diverso, alla luce delle peculiarità che contraddistinguono l’uomo e la donna nell’esercizio di detta funzione. Tuttavia, la mancanza di pregiudizi per il minore nel fare parte di una famiglia omogenitoriale non costituisce approdo così scontato secondo gli esperti in materia, onde quantomeno discutibile risulta affrontare il problema solo nella prospettiva del diritto alla non discriminazione della coppia del medesimo sesso (presupponendone l’idoneità all’esercizio del ruolo genitoriale) rispetto a quella di sesso diverso, come accade in quasi tutte le decisioni, sulle quali hanno verosimilmente esercitato influenza alcune decisioni della Corte EDU volte a stigmatizzare eventuali discriminazioni nei confronti di coppie omosessuali138; esse infatti non prendono per lo più in adeguata considerazione l’interesse concreto del minore ad una bigenitorialità eterosessuale e, di conseguenza non affrontano il problema di individuare i criteri per stabilire la prevalenza degli eventuali interessi in conflitto. A volte, in maniera alquanto sommaria, ci si limita infatti ad escludere l’ipotizzato interesse mediante affermazioni in cui si sostiene che «le acquisizioni delle scienze di settore, principalmente la neuropsichiatria infantile e la psicologia dell’età evolutiva, hanno evidenziato che la qualità dell’attaccamento dei figli e del loro sviluppo cognitivo e relazionale non dipende dalla compresenza di genitori di sesso diverso ma dalla pregnanza della relazione affettivo – genitoriale»139. 137 Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit. 138 Cfr., ad esempio, Corte Edu, 19 febbraio 2013 ric. 19010/07, X c. Austria, in Giur. it., 2013, 1764 e Corte Edu, 22 gennaio 2008, E.B. c. Francia, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 667. 139 Trib. Palermo, 6 aprile 2015, cit. il quale inappropriatamente richiama un passaggio 572 The best interest of the child Privo di competenza nell’individuare la soluzione da privilegiare mi limito ad osservare che dalla letteratura non emerge una posizione così netta che consenta di concludere per l’inesistenza del problema. Certamente vero è che secondo una corrente di pensiero, probabilmente maggioritaria – alla quale evidentemente la giurisprudenza fa riferimento – il sesso dei genitori risulta irrilevante al fine di assicurare il benessere dei figli. Riprendendo sinteticamente qualche passaggio di alcuni contributi, si osserva infatti che «non si evidenzia alcun elemento per sostenere che i genitori omosessuali a causa del loro orientamento sessuale possano essere genitori meno adeguati»; e che dunque non ha senso differenziare «genitori, omo o etero familiari ma buoni o cattivi genitori»140. Detta corrente di pensiero constata infatti che le pratiche educative sono simili, anche se – ad esempio – nelle coppie costituite da due madri una certa differenziazione rispetto alla coppia eterosessuale si riscontra nella maggiore flessibilità nei ruoli e nei modelli relazionali, viene tendenzialmente riconosciuta maggiore libertà ai figli, si ricorre raramente alle punizioni, il modello della genitorialità è più democratico in quanto caratterizzato dal dialogo e dalla negoziazione con i figli, la responsabilità di cura viene più equamente suddivisa141. Ma incontra consensi anche la corrente di pensiero contraria che non considera indifferente l’eterosessualità dei genitori, la quale mette in luce innanzitutto il radicamento nella cultura umana che il rapporto di filiadi una decisione di Cass., 11 gennaio 2013, n. 601 in cui si afferma che in assenza di certezze scientifiche o dati di esperienza costituisce un mero pregiudizio l’asserzione che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, poiché in tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per la crescita e lo sviluppo dei figli. Ma l’affermazione della Corte non appare significativa in quanto resa al fine di risolvere il problema riguardante la migliore soluzione da adottare riguardo alle modalità di affidamento di un minore i cui genitori sono comunque di sesso diverso. Pertanto l’affidamento al genitore convivente con partner del medesimo sesso non lo priverebbe della figura dell’altro genitore di sesso diverso e costituisce la soluzione che nel caso concreto realizzava in maniera migliore l’interesse del minore. Maggiore cautela occorrerebbe osservare ove si pretendesse di accettare la soluzione proposta come regola di attribuzione della genitorialità poiché spetterebbe a chi la sostiene dimostrare che l’omosessualità dei genitori è priva di alcuna incidenza sulla crescita del minore (non il contrario essendo l’eterosessualità la regola derivante dalla natura). 140 F. Vitrano, Coppie omosessuali e genitorialità: quali gli interessi preminenti delle persone di minore età?, in Minorigiustizia, 2017, 130 ss. 141 Cfr. R. Bosisio-P. Ronfani, Omogenitorialità. Relazioni familiari, pratiche della responsabilità genitoriale e aspettative di regolazione, in Minorigiustizia, 2014, 22 ss.; F. Vitrano, op. loc. cit. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 573 zione è espressione della bipolarità maschile e femminile, sviluppatasi costantemente secondo questo modello142. Si afferma inoltre che nelle coppie formate da due genitori del medesimo sesso è non raramente riscontrabile il disagio del minore per la mancanza di una delle figure di riferimento con le caratteristiche dell’appartenenza, rispettivamente, al sesso maschile e femminile nel quale identificarsi. Inoltre una percentuale rilevante di minori si rende conto di vivere una situazione familiare diversa dalle altre rispetto ai propri coetanei ed in alcuni casi lamenta di aver subito dileggio, patito discriminazioni e violenza dai propri compagni per essere figlio di genitori omosessuali143. Nelle coppie caratterizzate dalla doppia maternità si evidenziano difficoltà nella crescita dei minori che rischiano di rimanere eternamente adolescenti in quanto il padre è l’unica figura in grado di opporsi alla dipendenza dalla madre ed anche guida nella crescita, modello a cui ispirarsi per il futuro (i maschi) o da ricercare da grandi nello sposo o nel compagno (le femmine). Pur da questi brevi cenni sembra dunque emergere la complessità di un problema che necessiterebbe di un approccio che si discosti dalla prospettiva adultocentrica e che non si limiti, nel considerare l’interesse del minore, a fare leva esclusivamente sul valore costituito dalla salvaguardia dei rapporti già instaurati ma si faccia carico anche di valutare le difficoltà che il minore potrebbe incontrare in futuro in vista di una serena crescita anche alla luce della “diversità” della sua famiglia rispetto alla maggior parte delle altre144 e del suo inserimento nel contesto sociale. Occorrerebbe altresì tenere in maggiore considerazione che, nonostante tutto, nella visione del legislatore la genitorialità eterosessuale è ancor oggi la soluzione considerata più favorevole al perseguimento dell’interesse generale dei minori (se così non fosse occorrerebbe modificare l’impianto normativo che sin qui non ha subito mutamenti) 145. 142 G. Sergio, Adozione gay e diritto del fanciullo di preservare la propria identità, in Minorigiustizia, 2017, 109 ss. 143 R. Rosnati-E. Canzi-E. Scabrini, Adozione e omogenitorialità: uno sguardo critico alla ricerche, in Minorigiustizia, 2017, 123 ss. 144 Valutazione che occorre fare con particolare attenzione soprattutto quando bisogna procedere all’adozione. Vero è dunque che, come afferma F. Tommaseo, Sul riconoscimento dell’adozione piena avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale, in Famiglia e dir., 2016, 281, l’omosessualità non comporta sempre e comunque un pregiudizio per gli interesse del minore ma detto esame richiede particolare prudenza, senza per questo far aleggiare intenti di discriminazione verso la coppia in quanto in questo caso è in gioco l’interesse del minore e non quello degli adulti. 145 Per alcune critiche rivolte ad un approccio siffatto del problema si rinvia a M.G. Ruo, A proposito di omogenitorialità adottiva e interesse del minore, in Famiglia e dir., 2015, 580 574 The best interest of the child Quest’ultima interpretazione è autorevolmente avvalorata dalla recente pronuncia della Corte costituzionale (23 ottobre 2019 n. 221)146 la quale, chiamata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 commi 2 , 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 che ammettono alla pratica di PMA solo coppie del medesimo sesso, ritiene la questione infondata. Nel contesto di un convincente ragionamento si fanno alcune affermazioni importanti, a mio avviso, anche al di là della questione portata al giudizio della Corte. Premesso, afferma la Corte, che «la legge prevede, una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla PMA, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre … di certo, non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. In questa prospettiva, l’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sè arbitraria o irrazionale». L’interesse del minore alla doppia figura genitoriale di sesso diverso emerge prepotentemente sul piano giuridico. Tali affermazioni non portano però a sconfessare la linea giurisprudenziale che consente la genitorialità adottiva delle coppie del medesimo sesso sulla base della considerazione concernente la diversità delle due situazioni (creazione di un figlio mediante PMA e adozione da parte della coppia del medesimo sesso) perché nel secondo caso si dovrebbe incidere su una situazione ormai consolidata, ma pur sempre sulla base della violazione di una regola di primaria importanza posta a tutela di tutti i minori, presenti e futuri. La Corte aggiunge comunque, al fine di sgombrare il campo da ogni dubbio, che «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione». ss.; I. Barone, La legge n. 40 del 2004 al vaglio della Corte costituzionale per l’accesso alla PMA da parte di una coppia formata da due donne, in Famiglia e dir., 2018, 1097 ss. 146 In Corr. giur. 2019, 1460 con nota di G. Recinto. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 575 Finalmente viene messo in rilievo, con l’autorevolezza che deriva dalle parole della Corte, l’interesse del minore di crescere nella propria famiglia ma formata da genitori di sesso diverso quale interesse da prendere in seria considerazione perché costituisce «la migliore condizione di partenza», dice la Corte, e a mio avviso sin qui trascurato; esso deve prevalere su quello degli adulti ad una generazione che forza la natura, in quanto la coppia omosessuale non è infertile per caso, come a volte quella eterosessuale, ma è infertile in ogni caso. Tenendo conto delle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza ordinaria, l’esistenza di una doppia figura genitoriale del medesimo sesso (e dunque l’esigenza di affrontare il problema rilevato) si può configurare in circostanze diverse. Si è già accennato alle numerose decisioni nelle quali si è ammessa l’adozione da parte del convivente del medesimo sesso del genitore, ai sensi della lett. d) dell’art. 44 l. adoz. Nella maggior parte dei casi si configura una doppia maternità (genetica una, sociale l’altra)147, ma non mancano esempi in cui viene riconosciuta detta possibilità al convivente (o al coniuge sposato all’estero) di sesso maschile del padre genetico148. Come in precedenza sottolineato, in seguito all’adozione particolare, al genitore naturale ne viene affiancato uno sociale (il c.d. genitore d’intenzione). Ammessa in Italia dalla giurisprudenza, non sussistono per tale ragione neanche difficoltà alla trascrizione di un provvedimento che sia stato adottato all’estero e produttivo di effetti analoghi. Ostacoli non vengono posti neppure quando detto provvedimento produce gli effetti dell’adozione legittimante (quantunque non ammessa in Italia) con conseguente equiparazione di entrambi i genitori (genetico ed adottivo)149. Altra ipotesi assai ricorrente è quella di doppia maternità – una biologica ed una genetica – resa possibile in quei Paesi in cui la procreazione assistita è consentita anche a coppie del medesimo sesso, con ricorso a seme di donatore. Il riconoscimento (trascrivibilità) dell’atto di nascita di un bambino con doppia maternità, per lo più avversato dall’autorità amministrativa, non ha trovato ostacolo da parte della 147 V. citaz. a nota 99. 148 Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit., la quale, nel negare la paternità al marito del padre genetico sulla base di un matrimonio contratto all’estero, ha ritenuto possibile però, in astratto, formalizzare il rapporto mediante adozione particolare ai sensi della lett. d) dell’art. 44 l. adoz. 149 V. citaz. a nota 100. 576 The best interest of the child prevalente giurisprudenza sia di merito150 sia di legittimità151. L’atto di nascita è trascrivibile in Italia in quanto il progetto di genitorialità maturato all’interno di una relazione di coppia (fondata sul matrimonio o su una stabile convivenza) si ritiene non solo conforme all’interesse del minore ma anche non contrastare con l’ordine pubblico. In particolare, la Cassazione152 ha ritenuto che, quantunque la pratica sia vietata nel nostro Paese, ciò non comporti di per sé ostacolo al riconoscimento di un atto formato all’estero, nel rispetto delle norme di quel Paese, in quanto non si profila contrasto con il c.d. ordine pubblico internazionale. Esso si sostanzia nel «complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati ad un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria», il quale risulta violato solo se l’atto in questione «contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Si tratta, in particolare, della tutela dell’interesse superiore del minore, anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, valori questi già presenti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale». In una decisione più recente si precisa che nell’operare detta ricostruzione occorre anche tenere conto del modo in cui i principi costituzionali e sovranazionali «sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti»153. Nel caso di specie si tratta della disciplina interna sulla PMA che risulta violata (art. 5) per il fatto che fruitrice della pratica è la coppia del medesimo sesso. Pur tuttavia si ritiene che detta violazione, essendo presidiata solo da una sanzione di carattere amministrativo, rive150 App. Torino, 4 dicembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 441, con nota di L. Franco; App. Perugia, 9 febbraio 2018, in www.articolo 29.it.; App. Perugia, 7 agosto 2018, ivi ; App. Perugia, 22 agosto 2018, ivi. 151 Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, ex multis, in Corr. giur., 2017, 181, con nota di G. Ferrando. 152 Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit. 153 Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 577 sta minore rilievo rispetto a quella riguardante il divieto di maternità surrogata (il quale comporta irrogazione di una sanzione penale)154 e dunque non si pone in contrasto con l’ordine pubblico, a differenza di quest’ultima. La soluzione peraltro salvaguarderebbe l’interesse del minore alla bigenitorialità la quale, a buona ragione, può essere riconosciuta ad entrambe le donne, da considerate madri allo stesso titolo, avendo ciascuna apportato il proprio contributo (rispettivamente, biologico e genetico) alla generazione. Grande assente è però il padre in quanto il donatore del seme non riveste giuridicamente alcun ruolo; egli non acquista infatti alcun diritto né assume alcun dovere verso il minore. Assenza che non si registra nella pratica di fecondazione eterologa da parte di coppia di sesso diverso (la sola ammessa dal nostro ordinamento) in quanto il ruolo paterno è assunto dal genitore che ha accettato di divenire tale, pur non essendolo sotto il profilo genetico. L’interesse del minore ad avere una madre ed un padre è dunque assicurato, nella fecondazione eterologa da parte di due donne no. Ciò puntualizzato, a mio parere è verosimile che la diversità sessuale dei genitori incarni un principio fondamentale in materia di filiazione, costituzionalmente tutelato (quantunque non espressamente enunciato ma implicito nel fatto che nella realtà esistente all’epoca di approvazione della Carta la generazione era necessariamente frutto di un rapporto fra l’uomo e la donna) e dunque che esso vada ricondotto ai principi di ordine pubblico la cui lesione giustificherebbe l’intrascrivibilità dell’atto sulla base della ricostruzione compiuta di recente dalla citata decisione 221/2019 della Corte costituzionale, problema su cui essa non ha tuttavia inteso pronunziarsi verosimilmente perché non oggetto del giudizio di rimessione. In questa prospettiva la maternità naturale andrebbe attribuita alla gestante quale soggetto che ha apportato il contributo considerato dall’ordinamento più rilevante nella generazione (v. art. 269, 3° comma), mentre la madre genetica andrebbe considerata come madre sociale, sul presupposto che la prima presti il consenso all’adozione. Soluzione questa che appare più corretta, fermo restando che il minore è privato comunque della figura paterna onde l’ammissibilità di detta pratica presenta ugualmente le rilevate criticità. La medesima soluzione può applicarsi al caso in cui l’atto di nascita straniero equipari la madre sociale a quella biologica e gestante ad un 154 Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit. e Cass. SU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit. 578 The best interest of the child tempo. Quantunque quest’ultimo caso si differenzi dal precedente per la mancanza da parte di una delle donne del contributo sotto il profilo della generazione si ritiene che detta mancanza possa essere supplita dall’assunzione di responsabilità all’interno di un comune progetto di filiazione e dall’effettivo instaurarsi di un rapporto stabile con il minore155. Infine un comune progetto di maternità da parte di due donne – con criticità anche maggiori di quelle sin qui registrate – si può realizzare, all’estero, nell’ipotesi in cui una delle due fornisca il proprio contributo genetico (l’ovulo) ricorrendo però ad una gestante ed alla donazione di seme maschile, nonché nel caso in cui le due donne non forniscano alcun contributo sotto il profilo della generazione ed intendano divenire madri sulla base di una comune decisione. In tali ipotesi, come si vedrà tra breve, il ricorso a maternità surrogata, che accomuna le due fattispecie, può costituire comunque un ostacolo alla trascrizione dell’atto di nascita straniero che riconoscesse loro la maternità. Ormai numerosi sono anche i casi in cui un progetto comune di genitorialità matura all’interno di una coppia composta da due uomini. Il figlio avrebbe pertanto due padri ma sarebbe privo di una madre. Tale progetto, per potersi realizzare, richiede necessariamente, come è ovvio, il ricorso ad una gestante, alla quale può eventualmente appartenere o meno anche l’ovulo ed, in caso contrario, anche il ricorso ad una donatrice (è il caso più frequente che si riscontra nelle decisioni in materia). Per lo più la fecondazione avviene mediante il seme proveniente da uno dei due uomini. Ma potrebbe darsi anche il caso in cui la coppia sia ricorsa ad un donatore. Sul presupposto della rilevanza dell’interesse del minore alla bigenitorialità ed alla salvaguardia dell’identità personale nonché all’interesse della coppia alla procreazione in un contesto familiare (si tratta infatti di aspiranti padri coniugati all’estero o conviventi) una ormai diffusa giurisprudenza di merito ha ritenuto trascrivibile l’atto di nascita formato all’estero, non ravvisandovi alcun contrasto con l’ordine pubblico (internazionale) in quanto tale pratica riceve ormai ampio riconoscimento all’estero e trova fon- 155 Trib. Bologna, 6 luglio 2018, in Foro it., 2018, I, 2883; Trib. Pistoia, 5 luglio 2018, www. art29.it.;; Cass., 15 giugno 2017, n. 14878, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1718, con nota di G. Palmeri; Trib. Torino, 11 giugno 2018, in www.art29.it.; Trib. Napoli, 11 novembre 2016, ivi. Ma in senso contrario Trib. Venezia, 3 aprile 2019, in Foro it., 2019, I, 1994 ritenendo che si finisce col disattendere in tal modo il dettato dell’art. 20 l. 76/2016 e nel contempo ha sollevato questione di costituzionalità della norma. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 579 damento anche nei Trattati e nelle Convenzioni europee156. Anche in queste decisioni assente è un serio esame riguardo all’interesse del minore ad avere due genitori di sesso diverso, dando per scontato che salvaguardare la situazione di una doppia paternità comunque esistente in concreto, realizza l’interesse del minore. D’altra parte adottare soluzioni diverse con riferimento alla coppia formata da due padri rispetto a quella formata da due madri (impedendo il primo progetto e ammettendo il secondo) appare difficilmente condivisibile almeno se si guarda all’interesse del minore ad essere curato ed assistito da genitori di sesso diverso. Ad una conclusione difforme può pervenirsi invece ove si riconosca rilevanza al percorso seguito per il raggiungimento dell’obbiettivo. È il ragionamento sviluppato dalla Corte di Cassazione mediante due decisioni dall’esito opposto: la prima, quelle delle due madri innanzi ricordata, in cui si è ritenuto trascrivibile l’atto straniero riguardante la doppia maternità non ravvisandovi contrasti con l’ordine pubblico157 ed intrascrivibile invece l’atto col quale viene riconosciuta la doppia paternità per la configurabilità di detto contrasto158. La ragione risiede essenzialmente nel fatto che nella seconda ipotesi la coppia ha fatto ricorso alla surrogazione di maternità, che mancava nella prima, per l’intrinseco disvalore della pratica la quale comporta uno sfruttamento della gestante e la lesione della sua dignità derivante dalla rinuncia al 156 Trib. Livorno, 12 dicembre 2018 e Trib. Milano, 24 ottobre 2018, in Famiglia e dir., 2019, 494, con nota di I. Barone; Trib. Pisa, 23 luglio 2018, App. Venezia, 16 luglio 2018, Trib. Roma, 11 maggio 2018, App. Venezia, 28 giugno 2018, tutte in www. articolo29.it.; Trib. min. Firenze, 8 marzo 2017 e App. Trento, 23 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017, 935, con nota di G. Ferrando e in Familia, 2018, 163, con nota di S. Sandulli; App. Milano, 28 giugno 2016, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 657, con nota di G. Cardaci. Mentre Cass., 22 febbraio 2018, n. 4382, in Famiglia e dir., 2018, 837, con nota di M. Dogliotti, ha rimesso la decisione alle Sezioni unite cit. alla nota 158. In senso contrario,Trib. Roma, 27 luglio 2018, in Famiglia e dir., 2019, 496, con nota di I. Barone. Trib. Pisa, 15 marzo 2018, in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, 1569 con nota di A.G. Grasso, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità della regola, desumibile da un insieme di norme, che non consente di formare in Italia un atto di nascita di cittadino straniero, avente genitori del medesimo sesso. 157 Cass., 30 settembre 2016 n. 19599, cit. 158 Cass. S.U. 8 maggio 2019, n. 12193, cit. Da tale ricostruzione si discosta in parte Trib. Roma, 27 luglio 2018, cit., il quale afferma che «l’ordine pubblico internazionale … è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna; dunque non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili». 580 The best interest of the child diritto all’acquisizione dello status materno159. Situazione non ricorrente nella prima ipotesi in quanto la gestante non rinunziava alla propria maternità ma acconsentiva a condividerla con la madre genetica, accettando di far sviluppare al proprio interno un embrione non proprio sotto il profilo genetico. Come in precedenza accennato, nella seconda decisione la Corte precisa ulteriormente il contenuto dell’ordine pubblico internazionale al quale intende ispirarsi, sottolineando che la compatibilità dell’atto da trascrivere «dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati dalla giurisprudenza nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico». Esso risulta violato dal ricorso alla maternità surrogata «in quanto (il divieto è) posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione». Nella caso di specie, mentre si riconosce la paternità del genitore genetico, si esclude quella del c.d. genitore di intenzione fermo restando che, a parere della Corte, detto rapporto può essere recuperato «mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dalla l. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)». I limiti del presente contributo non consentono di analizzare la fondatezza delle argomentazioni sviluppate dalla Corte160; purtroppo essa non ha dato risposta ad un profilo di illegittimità sollevato dal p.m. 159 Disvalore suffragato anche da una pronunzia della Corte costituzionale (18 dicembre 2017, n. 272, in Corr. giur., 2018, 446, con nota di G. Ferrando; in Giur. It., 2018, 1830 nota di E. Falletti; in Nuova giur. civ., 2018, I, 547 con nota di A. Gorgoni; in Familia, 2018, 59, con nota di S. Sandulli; nonché il commento di V. Sciarrino in Nuove leggi civ. comm., 2019, 510 ss.) nella quale si afferma che al fine di consentire l’impugnazione del riconoscimento occorre anche tenere conto del fatto che quest’ultimo, compiuto dalla donna, riguardava un bambino concepito mediante ricorso alla surrogazione di maternità. 160 Si rinvia in proposito alle accurate riflessioni di M. Bianca, La tanto attesa decisione Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 581 avendone considerata inammissibile l’impugnazione, nel quale si osservava che «la nozione di genitori da quest’ultima emergente (cioè la Costituzione) non può infatti considerarsi gender neutral, trovando specificazione nei concetti di paternità e maternità risultanti dall’art. 30, u.c., e 31 e nell’istituto del matrimonio previsto dall’art. 29, che postula l’unione tra persone di sesso diverso»; si aggiungeva che «la bigenitorialità fondata sulla diversità di genere costituisce inoltre il presupposto dell’intera disciplina civilistica dei rapporti di famiglia e delle successioni, nonché di quella della procreazione medicalmente assistita, consentita soltanto a coppie di sesso diverso». La rilevanza della diversità sessuale dei genitori emerge invece dalle considerazioni sviluppate da una decisione del Tribunale di Roma del 27 luglio 2018161 nel corso della quale si sottolinea condivisibilmente che «le norme del nostro sistema giuridico in materia di filiazione trovano fondamento nella “bigenitorialità” fondata sulla diversità di genere» in mancanza della quale «si creerebbe artificiosamente e per via giurisprudenziale una nuova forma di genitorialità e di filiazione, che non rientra in nessuna delle ipotesi disciplinate dalla legge». Infatti «non esistono altri tipi di filiazione. Non esiste in rerum natura la possibilità di una filiazione biologica tra persone dello stesso sesso. Non esiste, per espresso divieto di legge, la possibilità di accedere alla filiazione adottiva o medicalmente assistita, e, quindi, un rapporto di filiazione senza legame biologico, tra persone dello stesso sesso»162. Appaiono evidenti i limitati effetti della decisione della Cassazione volta a sancire l’intrascrivibilità dell’atto di nascita riguardo al riconoscimento della paternità da parte del genitore che non ha apportato alcun contributo in una realtà in cui la partoriente è in concreto impossibilitata ed esercitare il ruolo che le compete. Occorre prendere atto comunque in prospettiva futura che, alla luce della presente pronunzia della Corte Suprema, non potranno ricevere riconoscimento da parte del nostro ordinamento i provvedimenti stranieri mediante i quali si attribuisce la genitorialità naturale alla coppia (omosessuale od eterosessuale) la quale sia ricorsa alla surrogazione di delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore, in Familia, 2019, 369 ss. 161 Cit. alla nota 156. 162 Per analoghe considerazioni v. Trib. Pisa, 15 marzo 2018, cit. 582 The best interest of the child maternità, fatta eccezione per il padre genetico163. Principio quest’ultimo già affermato in una precedente decisione riguardante le vicende relative a due persone di sesso diverso le quali erano ricorse ad una madre surrogata per generare il proprio figlio. Situazione questa che trova fondamento solo nella riprovazione verso la maternità surrogata e nella tutela dell’interesse del minore a vedersi riconosciuta come madre la gestante e non la c.d. madre sociale (mentre non ricorreva violazione dell’interesse alla bigenitorialità eterosessuale)164. Dal complesso intreccio delle questioni emerge l’esigenza di un intervento normativo volto a dare risposta a tutte le questioni alle quali si è accennato. 6. L’interesse del minore a vivere nella propria famiglia ed a coltivare rapporti con i congiunti. La difficoltà generale di adottare una equilibrata lettura riguardante l’interesse del minore con quelli in conflitto viene in parte stemperata con riferimento al tema relativo al diritto del minore a vivere in famiglia, nella propria famiglia e ad intrattenere rapporti con i propri parenti il quale è certamente da considerare un diritto fondamentale del minore ove riferito alla propria famiglia d’origine. Mentre il diritto a crescere nell’ambito di quest’ultima è da considerarsi prioritario, quello a crescere in una famiglia, diversa dalla prima, costituisce soluzione di ripiego pur sempre da tutelare ove quella genetica risulti inidonea e dunque soluzione da adottare solo qualora si riveli realmente indispensabile (di qui le cautele da applicare nella ricostruzione dello stato di abbandono). In tal senso depongono numerosi documenti internazionali: La Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo prevede tale diritto al principio 6, nel quale si stabilisce che “il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d’affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre”. Ma, si aggiunge, “la società e i poteri pubblici hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o 163 Ma non, verosimilmente, nel caso in cui la madre genetica sia ricorsa ad una gestante. 164 Cass., 26 settembre 2014, n. 24001, cit. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 583 di quelli che non hanno sufficienti mezzi di sussistenza. È desiderabile che alle famiglie numerose siano concessi sussidi statali o altre provvidenze per il mantenimento dei figli”. La Convenzione delle Nazioni Unite non contiene un riferimento espresso riguardo al diritto ad una famiglia ed a crescere nella propria famiglia ma esso è desumibile da numerose norme: artt. 3, 7, 8, 9, 10, 18, 27 (diritto alla propria famiglia) e poi 20, 21 (diritto alla famiglia). Diritto invece enunciato dall’art. 8 della CEDU e dall’art. 7 della Carta di Nizza. Tali principi trovano puntuale ed ampia applicazione nelle norme interne. Particolarmente significativi sono l’art. 30 Cost., l’art. 147 cc. oltre agli artt. 315 bis cc., e alle norme successive riguardanti la responsabilità genitoriale, l’art. 1 l. adoz. e le norme che ne disciplinano lo stato di abbandono. L’interesse del minore si sostanzia in un diritto a cui è correlativo un dovere dei genitori: l’interesse del primo prevale indiscutibilmente sull’interesse dei secondi. Sono lontani infatti i tempi in cui era consentito al padre allontanare il figlio dalla famiglia a causa della sua cattiva condotta. Vivere in famiglia rappresenta tuttavia anche un dovere del figlio fino al raggiungimento della maggiore età come stabilito dall’art. 318 cc. che gli vieta di abbandonare la casa familiare. Ma è da ritenere che il suo diritto a vivere in famiglia venga meno col raggiungimento della maggiore età165. Diritto che non si limita alla mera collocazione, ma che si configura anche alla luce dei doveri dei genitori di cura che sono analiticamente espressi nel primo comma dell’art. 315 bis (assistenza, educazione, istruzione). Di qui il dovere dei medesimi di esercitare effettivamente ed efficacemente il proprio ruolo, (il diritto alla bigenitorialità) che trova conferma nelle norme che disciplinano la crisi della famiglia in relazione appunto ai rapporti fra genitori e figli. È opportuno altresì osservare che a tutela del diritto del minore a crescere nella propria famiglia d’origine sono previste alcune norme volte a favorire il ricongiungimento fra i genitori e il minore: l’art. 10 della Convenzione Onu, l’art. 4 della Convenzione sulle Relazioni personali riguardanti i minori (Strasburgo 15 maggio 2003) il quale stabilisce che “un minore ed i suoi genitori devono avere il diritto di 165 Cfr. in tal senso P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Milano, 2015, 122 s. 584 The best interest of the child ottenere e mantenere regolari relazioni personali tra loro. Tali relazioni personali possono essere limitate o impedite solo nel caso ciò si renda necessario per il bene del minore”. Nell’assicurare applicazione a tali principi il decreto legislativo sulla immigrazione (286/1998) prevede che questi, se convivente col genitore (o con i genitori) straniero regolarmente soggiornante, ha diritto di essere iscritto nel suo permesso di soggiorno fino a 14 anni. Ed inoltre, da tale età fino a 18 anni, a ricevere permesso di soggiorno per motivi familiari. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e, tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alla normativa sull’immigrazione. Controversa in giurisprudenza è l’individuazione della gravità dei motivi (ad es., lo sradicamento da un contesto di rapporti costituiti in Italia in cui è sempre vissuto per inserirsi in una nuova realtà all’interno dello stato di origine del genitore ivi espulso)166. Ad una posizione della Cassazione167 in cui prevale un’interpretazione ingiustamente restrittiva, sul presupposto che l’art. 31 non tutela l’unità della famiglia che può realizzarsi col rimpatrio anche del minore ma solo la sua salute psicofisica168, si contrappone una lettura più aperta e condivisibile da parte di altra pronuncia della Corte169 e della prevalente giurisprudenza di merito170. A sua volta il genitore straniero può chiedere il ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del decreto al fine di prestare assistenza al proprio figlio minore di età o al figlio del proprio coniuge nonché al figlio adottivo o a lui affidato. 166 Soluzioni contrastanti sono state assunte da App. Bari sez. min., 31 dicembre 2001 e Trib. min. Bari, 6 agosto 2001, in Familia, 2002, 549 con nota di G. Tucci. 167 La quale esige la presenza di situazioni del tutto eccezionali: v. per tutte Cass., 10 marzo 2010, n. 5856, in Famiglia e dir., 2010, 794. 168 Cass., 17 settembre 2001, n. 11624. 169 La quale fonda l’autorizzazione anche soltanto sulla tenera età del minore: v. per tutte Cass., 19 gennaio 2010, n. 823, in Famiglia e dir., 2010, 793. 170 Cfr. in proposito, App. Roma, 19 aprile 2004, in Fam. e dir., 2004, 492, con nota di A. Liuzzi ed ivi ulteriori citazioni. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 585 In particolare richiamando l’esigenza di protezione del minore la giurisprudenza di legittimità171 e di merito172 hanno ritenuto equiparabile all’affidamento la kafalah, istituto di diritto islamico173 in virtù della quale un minore abbandonato può essere accolto da un kafil (persona singola o coniugata) che si impegna a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un figlio proprio, fino alla maggiore età, senza però che l’affidato (makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia che lo accoglie. L’applicazione della norma che disciplina l’istituto del ricongiungimento familiare in virtù della quale è consentito l’ingresso in Italia del minore viene giustificata al fine di realizzare «l’equo bilanciamento di tali superiori interessi, alla luce anche della scala di valori presupposta dal Costituente» ed «in funzione della tutela del rapporto instaurato nel segno di una tendenziale prevalenza del valore di protezione del minore, anche in relazione al minore straniero, rispetto a quelli di difesa del territorio e contenimento dell’immigrazione174». Inoltre, l’interesse del minore assume fondamentale rilevanza nella configurazione del diritto, di cui è titolare, di mantenere rapporti significativi con i parenti di ciascuno dei genitori. L’art. 5 della Convenzione di Strasburgo del 2003 stabilisce al riguardo che, “fatto salvo il bene del minore, può venir instaurata una relazione tra il bambino e altre persone che non siano i suoi genitori aventi legami familiari con il minore. I Paesi contraenti sono liberi di estendere il provvedimento ad 171 Cfr. ex pluribus, Cass., 20 marzo 2008, n. 7472, in Famiglia e dir., 2008, 765, con nota di R. Gelli; Cass., 2 luglio 2008, n. 18174, in Fam., pers. e succ., 2008, 891; Cass., 17 luglio 2008, n. 19734, ivi, 2009, 481, con nota di E. De Feis; Cass., 2 febbraio 2015, n. 1843, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 707, con nota di M. Di Masi. Contra, Cass., 1 marzo 2010, n. 4868, ivi, 2010, I, 831; Cass., 23 settembre 2011, n. 19450, in Corr. giur., 2012, 197. 172 Ad es., Trib. Biella, 7 marzo 2000, in Dir. immigraz. e cittad., 2000, 3, 121; Trib. Milano, 12 marzo 2000, ivi, 2, 127; Trib. Firenze, 9 novembre 2006, ivi, 2007, 1, 169; Trib. Torino, 26 giugno 2009, ivi, 2009, 2, 216; Trib. min. Reggio Calabria, 10 ottobre 2006, in Famiglia e minori, 2006, 2, 86; Trib. Firenze, 9 novembre 2006, ivi, 2007, 1, 169; Trib. Biella, 26 aprile 2007, in Dir. fam., 2007, 1810, con nota di J. Long; App. Torino, 18 luglio 2007, ivi, 2008, 143; App. Torino, 28 giugno 2007, in Dir. immigraz. e cittad., 2008, 3, 142; App. Torino, 30 maggio 2007, ivi, 1, 181; App. Firenze, 2 febbraio 2007, ivi, 2007, 4, 139. 173 Dalle molteplici discipline a seconda del Paese straniero che l’adotta, le quali possono presentare criticità in quanto è consentito che la kafalah si costituisca anche in base ad un mero atto di autonomia privata al di fuori di un controllo del giudice o di altra autorità chiamata a verificare le ragioni poste a fondamento dell’accordo: Cass., 2 febbraio 2015, n. 1843, cit. Mentre per la riconoscibilità solo della kafalah predisposta da pubblica autorità si è pronunziata Cass. S.U., 16 settembre 2013, n. 21108, in Foro it., 2013, I, 2766. 174 Cass., 20 marzo 2008, n. 7472, cit. 586 The best interest of the child altre persone oltre a quelle citate nel comma 1, ed in presenza di tale estensione, i Paesi possono liberamente decidere quale tipo di relazione”. L’art. 8 della Convenzione ONU parla di un diritto del fanciullo di preservare “le sue relazioni familiari” e di vita familiare – come si è detto – parlano sia la Convenzione sui diritto dell’uomo (art.8) sia la Carta di Nizza (art. 7). Diritto del minore, che trova riscontro nella normativa interna ed emerge ancor più chiaramente rispetto al passato dalla Riforma del 2012/2013, la quale ha introdotto l’art. 317 bis che contempla anche un diritto, limitato ai soli ascendenti (non si menzionano infatti in questo caso tutti gli altri parenti), di mantenere detti rapporti, riconoscendo loro legittimazione ad agire in giudizio per ottenere che vengano adottati i provvedimenti più idonei a tal fine in vista del perseguimento dell’esclusivo interesse del minore. Due le novità principali introdotte dalla Riforma suddetta: 1) l’esplicita previsione da parte della legge della rilevanza dell’interesse di tutti i parenti di mantenere rapporti significativi col minore a prescindere dall’esistenza di una crisi della famiglia; 2) la configurazione di un diritto in capo agli ascendenti, tutelato nella misura in cui coincida con l’interesse del minore, il quale assume pertanto prevalente rilevanza rispetto al primo. La norma menzionata completa il quadro delineato dal legislatore a partire dal 2006 (legge n. 54) con l’introduzione dell’art. 155 (oggi riversato nell’art. 337 ter) nel quale si contemplava il diritto del minore di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale nel caso di crisi della coppia, a prescindere dal tipo e dalle modalità dell’affidamento disposte dal giudice, senza peraltro prevedere analogo diritto nel contesto della famiglia unita che dunque poteva considerarsi solo implicitamente presupposto. Prima del 2006, in assenza di specifiche previsioni, la tutela di detto interesse era stata riconosciuta da larga parte della giurisprudenza175, configurando un abuso nell’esercizio della (allora) potestà da parte dei 175 Cfr. Cass., 25 settembre 1998, n. 9606, in Famiglia e dir., 1999, 17; Trib. Taranto, 19 aprile 1999, in Dir. fam., 1999, 373; Trib. Torino, 11 maggio 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 234; Trib. Roma, 7 febbraio 1987, in Dir. fam., 1987, 739; Trib. Roma, 8 settembre 1986, ivi, 1987, 247; Pret. Roma, 11 febbraio 1982, in Nuovo dir., 1982, 393; Cass., 24 febbraio 1981, n. 1115, in Foro it., 1982, I, 1144. Trib. Messina, 19 marzo 2001, in Dir. fam., 2001, 1523, individuava in capo ai nonni un interesse legittimo. Invece per la configurabilità di un diritto in loro favore si pronunciavano, Trib. L’Aquila, 4 luglio 1995, in Nuovo dir., 1996, 45; Trib. Catania, 7 dicembre 1990, in Dir. fam., 1991, 652; Trib. Napoli, 18 giugno 1990, in Giur. merito, 1991, 15. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 587 genitori i quali avessero posto, senza validi motivi, ostacoli al minore, nella frequentazione degli altri parenti, partendo dal presupposto che il loro apporto può costituire per lui fonte di arricchimento spirituale. Nei contenuti esso richiamava in certo qual modo il c.d. diritto di visita allora spettante al genitore non affidatario. Oggi il quadro normativo di riferimento è sensibilmente mutato sotto diversi aspetti. Innanzitutto l’art. 315 bis, 2° comma cc., nel configurare il diritto del minore a mantenere rapporti significativi con i parenti, considera detta relazione normalmente vantaggiosa, salva prova contraria. La norma tende dunque a valorizzare la funzione educativa ed assistenziale spesso esercitata nella realtà da alcuni componenti della c.d. famiglia “allargata” (si pensi in particolare ai nonni ed agli zii) a completamento e supplenza dei compiti esercitati dai genitori loro riconosciuti dalla legge. Non si tratta certamente di un ritorno al vecchio modello della famiglia patriarcale ma della valorizzazione delle potenzialità insite nella famiglia allargata, per lo più in collaborazione con i genitori (ma a volte anche supplendo alle loro mancanze e persino in certi casi, come si dirà, contro la loro volontà). Il termine “mantenere” deve essere considerato come sinonimo di “intrattenere” in quanto l’interesse del minore potrebbe sussistere anche riguardo alla costituzione di rapporti con i congiunti subito dopo la nascita176 o in momenti successivi (si pensi al caso di un parente residente all’estero che solo dopo un considerevole lasso di tempo è in grado di instaurare rapporti significativi col minore ove i genitori intendessero impedirglielo). Nei contenuti, poi, il riferimento a rapporti significativi (anche se non necessariamente continuativi come per i genitori177) introduce un parziale mutamento di prospettiva, volto ad ampliare il ruolo ricoperto dai parenti178 – pur nel quadro generale di formazione del minore predisposto dai genitori – riconoscendo loro anche compiti educativi e di 176 Ove la crisi fosse intervenuta nel corso del periodo di gestazione del minore: v. al riguardo G.F. Basini, I provvedimeni relativi alla prole, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 2016, 3129 e nota 114, il quale sottolinea l’improprietà del testo normativo. 177 Per sottolineature sulla diversità della formula normativa utilizzata in questo caso rispetto a quella relativa ai rapporti fra genitori e figli, v. A. Arceri, L’affidamento condiviso, Milano, 2007, 118 s. 178 Cfr. in tal senso le considerazioni di P. Corder, Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis c.c. come modificato dall’art. 42 del d. lgs. N. 154 del 2013), in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 103 ss. 588 The best interest of the child assistenza; pertanto il diritto del minore ai rapporti parentali potrebbe essere violato anche se i genitori non ne impedissero la frequentazione (che comunque si differenzia dal precedente diritto di visita179) ma ostacolassero senza ragione i congiunti nella cura del minore. La norma attribuisce al giudice un compito particolarmente delicato nella ricostruzione in concreto dell’interesse del minore e nell’accertamento della violazione del suo diritto da parte dei genitori; egli è chiamato infatti a stabilire se i medesimi abbiano posto ostacoli ingiustificati alla relazione in oggetto, sterilizzando la funzione riconosciuta dalla legge ai parenti in vista di una collaborazione volta ad arricchire il minore. Infatti, in un quadro in cui i fondamentali compiti educativi e di indirizzo sono riconosciuti in via principale ai genitori è pur vero che all’interno di tale contesto il contributo dei parenti può essere particolarmente utile nel fornire quell’apporto che i genitori stessi non sono in grado di assicurare. Si pensi ad esempio al sostegno nell’istruzione ove i genitori ne risultino carenti, nella cura della salute e nel materiale accudimento nel caso in cui i genitori fossero ancora molto giovani ed inesperti. Come ritenuto prima della Riforma sulla filiazione dall’opinione prevalente, le norme non riconoscono ai parenti un diritto a mantenere od instaurare una relazione siffatta con il minore, quantunque essa corrisponda al suo interesse, fatta eccezione per gli ascendenti ai quali è riconosciuto oggi dall’art. 317 bis un ruolo privilegiato rispetto agli altri congiunti. In passato tutti questi soggetti erano posti sul medesimo piano in quanto considerati portatori di interessi giuridicamente rilevanti180 ma solo in via indiretta, cioè a condizione che coincidessero 179 In quanto non si giustificherebbe una rigida predeterminazione dei tempi di frequentazione: v. P. Corder, op. cit., 108 ss. 180 V. in tal senso G.F. Basini, La nonna, Cappuccetto Rosso e le visite: del c.d. ‘diritto di visita’ degli avi, in Fam. pers. e succ., 2006, 433 ss..; Id., Violazione del c.d. ‘diritto di visita dei nonni’ ed ingiustizia del danno, in Resp. civ. e prev., 2006, 614 ss.; C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 35; B. De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 89; L. Napolitano, L’affidamento dei figli nei giudizi di separazione divorzio, Torino, 2006, 108; M.A. Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, 1072; F. Danovi, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam., 2007, 1914; A. Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 118 ss.; S. Mezzanotte, Il rapporto nonni-nipoti: una relazione affettiva giuridicamente rilevante, in Giur. merito, 2008, 1918 ss.; Cass., 21 aprile 2015, n. 8100, in Famiglia e dir., 2016, 153, con nota di A. Arceri (in riferimento a fattispecie rientrante sotto l’art. 155 prev.); Trib. Reggio Emilia, 17 maggio 2007, in Fam. pers. succ., 2008, 227 ss., con nota di F. Tedioli; App. Perugia, 27 settembre 2007, in Giur. merito, 2008, 1913 ss., con nota di S. Mezzanotte; Trib. min. Bari, 16 luglio 2008, in Dir. e giustizia, 2008. Per la configurabilità del diritto di visita si pronunziava Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 589 con gli interessi del minore. Tale considerazione aveva indotto a risolvere in senso negativo il problema se la violazione dei medesimi, per opera dei genitori (o di uno di essi) avrebbe potuto legittimare pretese risarcitorie (per avere arrecato un danno per lo più non patrimoniale) da parte di questi181 in seguito al pregiudizio subito per la privazione del rapporto affettivo col minore. Ai congiunti era però consentito invocare tutela nel quadro delle regole volte ad ovviare all’esercizio abusivo della potestà (oggi responsabilità genitoriale) ove se ne riscontrassero i presupposti. Diversa è invece, come si è detto, la posizione oggi riservata agli ascendenti ai quali viene riconosciuto un diritto, sia pur affievolito182, per la cui tutela gli interessati possono agire innanzi al tribunale minorile183. È da sottolineare che una recente interpretazione della Cassazione184 ha privilegiato un’interpretazione estensiva della norma – sulla base del dettato dell’art. 8 della CEDU il quale assicura tutela alla vita familiare – volta a ricomprendere fra gli ascendenti anche il coniuge in seconde nozze o il convivente dell’ascendente. Con richiami al diritto effettivo si è prospettata anche l’ipotesi in dottrina di estendere la medesima tutela ai fratelli M. Bianca Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in L’affidamento condiviso, a cura di Patti-Rossi Carleo, Giuffrè, Milano, 2006, cit., 163 ss. Si limitava ad auspicare l’accoglimento dell’interpretazione che configurava un diritto di visita dei congiunti, S. Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. succ., 2006, 301. Sull’argomento v. anche P.M. Putti, Il diritto di visita degli avi: un sistema di relazioni affettive che cambia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 897 ss. 181 G.F. Basini, Violazione del c.d. ‘diritto di visita dei nonni’ ed ingiustizia del danno, cit., 614 ss.; F. Tedioli, Il diritto di visita dei parenti: interesse legittimo o diritto soggettivo condizionato, ma pur sempre non azionabile da parte dei nonni, in Fam. pers. succ., 2008, 227 ss. 182 Si parla di un diritto recessivo nei confronti dell’interesse del minore, pieno solo nei confronti dei terzi: Cass., 25 luglio 2018, n. 1979 e 1980, in Corr. giur., 2018, 1591, con nota di F. Danovi. Riguardo a tale diritto v. le considerazioni di P. Corder, op. cit., 105 ss., secondo il quale si configurerebbe un correlativo obbligo degli ascendenti che mi lascia perplesso al di là dell’intervento relativo al mantenimento del minore nei limiti configurati dall’art. 316 bis cc. 183 Soluzione sulla cui funzionalità può esprimersi qualche dubbio in quanto non è previsto che l’azione venga esercitata innanzi al giudice ordinario quando è in corso un procedimento relativo alla crisi familiare. Si profila pertanto il rischio che le soluzioni adottate in materia da ciascun giudice, riguardo alla propria competenza, possono risultare contrastanti. Cfr. in proposito i rilievi avanzati da P. Corder, op. cit., 109 ss. ma di diverso avviso è A. Morace Pinelli, Provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 714 ss., secondo il quale la competenza si sposterebbe in capo al giudice ordinario nei tempi in cui è in corso un giudizio riguardante la crisi familiare. 184 Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, cit. 590 The best interest of the child e alle sorelle del minore, quali congiunti i cui rapporti sono considerati dall’ordinamento particolarmente rilevanti al fine del perseguimento dei suoi interessi185. Oggi pertanto sembra caduta ogni incertezza circa il diritto degli ascendenti (ma la regola andrebbe applicata anche ai soggetti ad essi assimilati) di ottenere il risarcimento del danno conseguente ove la violazione provenga dai genitori o da terzi estranei al nucleo familiare186. La disciplina della materia viene completata, come accennato, dall’art. 337 ter cc. il quale contempla il diritto innanzi considerato anche nel caso di crisi della famiglia, quale prosecuzione di quello originario. Anche in questo caso si fa riferimento all’interesse del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Alla luce del termine utilizzato dall’art. 315 bis cc. assume un diverso significato anche il dettato della norma menzionata (già riscontrabile nell’art. 155 prev.) perché questo, in assenza di un riferimento alla famiglia unita, avrebbe potuto intendersi come diritto alla conservazione di rapporti significativi già esistenti, con conseguente irrilevanza della mera intenzione di costituirli ex novo187 nel caso di crisi della famiglia. Anche nel contesto della crisi la posizione degli ascendenti e degli altri parenti viene diversificata sulla base di quanto già indicato nel caso di violazione del diritto del minore nella famiglia unita. Infatti mentre gli ascendenti possono contare sull’azione diretta prevista dall’art. 317 bis cc., quando l’interesse in gioco è quello di altri congiunti in capo ai quali la legge non prevede uno specifico diritto, la sua protezione si colloca nell’ambito dei provvedimenti che il giudice può assumere – anche d’ufficio – oltre che su richiesta di uno dei genitori, nel contesto del provvedimento volto a regolamentare la crisi, nonché all’interno dei provvedimenti relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale188. Riguardo agli ascendenti, l’esistenza di apposita azione rafforza la posizione assunta in passato dalla giurisprudenza la quale escludeva la legittimazione degli ascendenti ad un intervento autonomo all’in185 P. Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, cit., 125 ss. 186 V. in proposito G.F. Basini, Ascendenti, diritto di mantenere rapporti significativi con i figli minorenni, e risarcimento del danno. Il così detto, «diritto di visita» degli avi dopo il d.lgs. 154 del 2013, in Studi in onore di Iudica, Milano, 2014, 139 ss.; Id., I diritti e i doveri dei genitori e dei figli, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini, cit., 4064, nota 116. 187 F. Danovi, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, cit., 1915; A. Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 120 s. 188 Per un caso al riguardo v. Cass., 5 marzo 2014, n. 5097, in Foro it., 2014, I, 1067. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 591 terno del giudizio di separazione sul presupposto che parti del procedimento relativo alla crisi sono solo i genitori189, ma consente anche di escludere la legittimazione ad un intervento adesivo sul quale erano emerse opinioni contrastanti190. Alla luce della posizione assunta dalla Cassazione più recente, rivedendo un precedente indirizzo contrario, anche i provvedimenti riguardanti la frequentazione del minore con i congiunti, pur essendo assunti rebus sic stantibus, sono suscettibili di ricorso in sede di legittimità in quanto immodificabili se non si verificano mutamenti nella situazione di fatto191. 7. La rilevanza dell’interesse del minore nel quadro delle azioni volte a costituire lo status. In mancanza dello stato a cui ha diritto il soggetto interessato può agire per ottenerne l’accertamento. Come è noto la Riforma della filiazione del 2012/2013 ha mantenuto a detto fine azioni differenziate per i figli nati nel matrimonio e per quelli nati al di fuori di esso: nel primo caso il reclamo dello stato (art. 239 cc.), nel secondo la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità (art. 269 cc.). Lo stato di figlio nato nel matrimonio può mancare per diverse ragioni enunciate dalla legge con elencazione non tassativa; più esattamente quando: vi sia stata supposizione di parto o sostituzione di neonato, il figlio è stato iscritto nell’atto di nascita come nato da genitori ignoti, o da madre che si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata, vi sia stato un riconoscimento in contrasto con la presunzione di paternità, ivi compresa l’ipotesi in cui la madre abbia dichiarato di avere concepito il figlio con persona diversa dal marito, il figlio sia stato iscritto in 189 A. Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 123 s.; Trib. Reggio Emilia, 17 maggio 2007, cit. 190 In senso favorevole alla legittimazione, Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Famiglia e dir., 2006, 291; App. Perugia, 27 settembre 2007, cit.; F. Tedioli, op. cit., 233; A. Figone, Profili processuali, in AA.VV., Affidamento condiviso e diritti dei minori, a cura di M. Dogliotti, Torino, 2008, 228. Contra, Cass., 27 dicembre 2011, n. 28902, in Foro it., 2012, I, 779; Cass., 16 ottobre 2009, n. 22081, in Giust. civ., 2010, I, 2817, con nota di C. Ingenito; C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, cit., 35; A. Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 123; Trib. min. Potenza, 23 aprile 2008, in Famiglia e minori, 2008, 9, 84 ha ammesso la costituzione in giudizio dei nonni. In senso contrario a quanto sostenuto nel testo, v. C. Lazzaro, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di G. Di Rosa, Milano2, II, 2018, 712. 191 Cfr. Cass., 29 gennaio 2016, n. 1743 e n. 1746; Cass., 21 novembre 2016, n. 23633; Cass., 25 luglio 2018, n. 19779, cit.; Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, cit. 592 The best interest of the child contrasto con altra presunzione di paternità (in seguito alla violazione del divieto di nuove nozze previsto dall’art. 89 o nel caso di bigamia), l’iscrizione sia avvenuta erroneamente come figlio dei propri genitori non uniti in matrimonio mentre essi lo sono; il figlio, quantunque nato dopo trecento giorni dalla separazione, divorzio, nullità del matrimonio è stato concepito durante il matrimonio per una più lunga durata della gravidanza nonché nell’ipotesi in cui sia stato concepito dai coniugi durante il periodo della separazione. Peraltro quando l’interessato intende agire in presenza di uno stato già esistente verso altri genitori deve ottenerne preventivamente la rimozione, ai sensi dell’art. 239, 4° comma, cc. prima di reclamare con successo quello rispondente a verità (fornendone la prova)192. L’azione spetta al figlio maggiorenne o ad un curatore, la cui nomina può essere richiesta dal figlio che abbia compiuto quattordici anni nell’ipotesi in cui – secondo il suo esclusivo giudizio – sia interessato a conseguire lo status verso i genitori genetici; per il minore di età inferiore la richiesta può provenire dal pubblico ministero193. In tal caso è demandata al curatore speciale la valutazione dell’interesse del minore al perseguimento dello stato, che dovrà considerarsi esistente, in linea di principio, in vista della tutela del diritto all’identità personale. Tutt’al più esso potrebbe fare difetto se l’interessato risulti figlio di ignoti, pur essendo nato da genitori coniugati o di madre che non intenda essere nominata. Potrebbe ritenersi infatti che il ricorso all’adozione si palesi in concreto soluzione preferibile piuttosto che conseguire lo stato verso genitori che dimostrino disinteresse nei suoi confronti. È da rilevare peraltro che la giurisprudenza, nel caso di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità del secondo genitore (e dunque in presenza di riconoscimento da parte dell’altro) ritiene – come si dirà tra breve – che ben difficilmente possa ricorrere l’interesse del minore a non acquisire 192 V. in tal senso da ultimo riguardo al rapporto tra disconoscimento e dichiarazione giudiziale della paternità, Cass., 3 luglio 2018, n. 17392, in Giur. it., 2019, 836, con nota di A. Ronco. Ingiustificatamente in senso contrario M. Dossetti, La presunzione di paternità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3411 ss. la quale non sembra prendere nella dovuta considerazione il dettato degli artt. 239, 4° comma e 253 cc. Resta ferma la possibilità di riunione delle due questioni in un unico giudizio ma ciò non toglie che la decisione sulla rimozione dello stato esistente debba precedere quella di costituzione di un nuovo stato. 193 Mentre secondo E. Bilotti, Commento all’art. 249, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, II, cit., 160, il rinvio operato dall’art. 248, 5° comma cc. a quanto disposto dall’art. 245, comma 2° cc. non troverebbe applicazione per legittimare la richiesta da parte del genitore (o di entrambi). Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 593 il relativo stato nei suoi confronti. Se tale posizione viene assunta quando il minore può contare già su un genitore può facilmente dedursi che, ove una siffatta ipotesi dovesse presentarsi in futuro (non risultano infatti precedenti in merito), la soluzione adottata avrebbe esito scontato. Ove nell’ipotesi prospettata non si fosse dato corso all’adozione, il figlio, raggiunti i quattordici anni, potrebbe compiere una diversa valutazione e richiedere al giudice la nomina di un curatore speciale per reclamare lo stato a cui ha diritto essendo l’azione non soggetta a prescrizione. La tutela dell’interesse del figlio è potenziata dal fatto che può essere da lui esercitata, o da chi lo rappresenta, senza limiti di tempo, mentre dopo la sua morte dai suoi discendenti, ma entro due anni194. Il figlio nato al di fuori del matrimonio – come accennato – può reclamare lo stato che gli spetta mediante l’azione di dichiarazione giudiziale di maternità o paternità, previa eventuale rimozione di uno stato non rispondente al vero, mediante impugnazione del falso riconoscimento195. Se trattasi di un minore, l’azione, ai sensi dell’art. 237 cc. può essere promossa, nel suo interesse, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale196, ma occorre il consenso dell’interessato ove questi abbia compiuto quattordici anni, vi compresa l’ipotesi in cui si ponga il problema di proseguire l’azione già iniziata in quanto egli abbia raggiunto l’età prevista in corso di giudizio197. Esclusivamente a lui è rimessa dunque la valutazione circa la convenienza dell’esercizio e del conseguente acquisto dello stato verso il secondo genitore. 194 Controversa, nel silenzio normativo, è la legittimazione dei genitori. La soluzione positiva appare più convincente (ancor più, secondo C. Ciraolo, op. cit., 75 s., alla luce della Riforma della filiazione) ma si prospetta allora il problema dei tempi dell’azione, i quali per il figlio non hanno limiti ma che, in funzione del suo interesse alla stabilità dello stato, dovrebbero porsi per i genitori, in analogia con quanto previsto per l’azione di disconoscimento e di impugnazione del riconoscimento. V. in proposito G. Chiappetta, L’azione di reclamo dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C. M. Bianca, cit., 493; C. Garlatti, La prescrizione delle azioni di stato, ivi, cit., 429. Per ulteriori citaz. favorevoli e contrarie si rinvia a E. Bilotti, op. cit., 156, nota 4, il quale, pur considerando più soddisfacente la soluzione positiva, ritiene che non possa introdursi in via interpretativa bensì mediante un giudizio di costituzionalità o un nuovo intervento legislativo. 195 Diversamente, R. Rosetti, Azione di reclamo dello stato di figli, in Modifiche al codice civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014, 32 ritiene possa agirsi direttamente mediante dichiarazione giudiziale. 196 Cass., 13 dicembre 2018, n. 32309. 197 Cass., 28 giugno 1994, n. 6217, in Foro it., 1996, I, 251. 594 The best interest of the child Nei confronti del minore di età inferiore la valutazione è invece rimessa al genitore che ha già provveduto al riconoscimento198 (o del tutore). Egli ha il potere di agire nell’interesse del medesimo con una duplice conseguenza: non è titolare dell’azione ma rappresenta il figlio nell’esercizio; solo l’interesse di quest’ultimo assume rilevanza al fine della pronunzia del giudice. Come già attestato in precedenza dalla Corte costituzionale199, l’interesse del figlio non sussiste per il solo fatto che l’accertamento risponde alla verità biologica ma occorre altresì verificare se risulti vantaggioso anche alla luce di altre possibili ragioni. Tale accertamento deve precedere quello relativo alla fondatezza nel merito, all’interno di un procedimento che, in virtù di una successiva pronunzia della Corte Costituzionale200, risulta semplificato perché ridotto ad un’unica fase, a differenza di quanto previsto in precedenza (essendo contemplata, anteriormente al 1990, una prima fase volta ad accertare prima facie la verosimiglianza cioè la non manifesta infondatezza dell’azione, ed una seconda destinata a verificarne la sussistenza sulla base delle prove addotte)201. Come si è detto esaminando i profili connessi al secondo riconoscimento (v. § 3) problemi analoghi si pongono circa l’individuazione dei criteri volti a stabilire la sussistenza dell’interesse del minore al conseguimento dello stato verso il secondo genitore. Peraltro nel caso di azione giudiziale ci si trova normalmente al cospetto di un genitore che non intendere assumere il proprio ruolo, con conseguenti maggiori riserve circa il concretizzarsi dell’interesse del minore. Anche in virtù delle menzionate pronunzie della Corte Costituzionale, la giurisprudenza ha in parte attenuato la posizione assunta in precedenza in cui veniva prospettata la sussistenza di una presunzione assoluta circa l’interesse del minore all’acquisto dello stato verso il 198 Generalmente vi si riconnette la legittimazione ad agire, in qualità di sostituto processuale : v. per tutti, A. Gorgoni, Commento all’art. 273, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, II, cit., 315 ss. Egli, a differenza del tutore, non necessita di alcuna autorizzazione giudiziale onde il legislatore si rimette esclusivamente alla sua valutazione. 199 C. Cost., 20 luglio 1990, n. 341. 200 C. Cost., 10 febbraio 2006, n. 50, in Famiglia e dir., 2006, 237, con nota di M. Sesta. 201 Avendo ritenuto inutile la prima fase volta ad impedire pretese temerarie, in un contesto di segretezza venuto meno, in seguito alla posizione assunta dalla Cassazione che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio, facendo così venir meno la segretezza delle indagini. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 595 secondo genitore202, configurando invece una presunzione relativa203, la quale, si afferma, è «destinata a cadere di fronte ad una condotta assai pregiudizievole, tale da dar luogo alla decadenza della potestà parentale, ovvero in presenza di fondati e gravi rischi per gli equilibri affettivi e psicologici dei minori, senza che l’eventuale pregiudizio del minore o il giudizio sul mancato accertamento dello stesso possano costituire l’usbergo per poter realizzare quel rifiuto di paternità messo in pericolo dal proposto giudizio di dichiarazione giudiziale della paternità naturale204»; interesse la cui esistenza è da sottoporre comunque a verifica innanzitutto mediante l’ascolto del minore ed inoltre sulla base di ulteriori elementi concreti, non solo apparenti o presunti205 quali, ad esempio, il benefico ampliamento della sfera affettiva sociale ed economica del minore. Esso è però da escludere, si ribadisce ancora una volta, sulla base «dell’accertata condotta del presunto padre gravemente pregiudizievole al figlio e tale da motivare la decadenza dalla potestà sullo stesso ovvero dalla provata esistenza di gravi e fondati rischi per gli equilibri affettivi e patologici del minore, per la sua educazione e per il suo inserimento nel contesto lavorativo e sociale»206 i quali devono risultare «da fatti emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre». In mancanza dei medesimi, «l’interesse del minore va ritenuto di regola sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto genitore e dalla dispo202 Cass., 21 marzo 1990, n. 2350. 203 Cass., 14 maggio 1991, n. 5386. 204 Cass., 23 febbraio 1996, n. 1444 e Cass., 24 settembre 1996, n. 8413. 205 Cass., 25 maggio 1993, n. 5865; Cass., 28 giugno 1994, n. 6216; Cass., 9 giugno 1995, n. 6550. In quest’ultima sentenza si afferma ad esempio che la sussistenza dell’interesse del minore può ricondursi a molteplici ragioni: alle condizioni economiche del genitore (tali da consentirgli di provvedere adeguatamente ai bisogni di vita e di educazione del figlio); «alla più favorevole considerazione, nell’ambiente sociale, per colui che risulti figlio naturale di un genitore moralmente stimato rispetto a chi sia destinato a rimanere vita natural durante ... figlio di padre ignoto; all’argomentata esclusione della possibilità che il convenuto, per spirito di irragionevole ritorsione nei confronti del figlio “incolpevole” ponga in essere “comportamenti riprovevoli” o sotto qualsiasi aspetto pregiudizievoli per il minore. Alla luce di tali elementi appare tutt’altro che apodittico o “assurdo” il giudizio prognostico ovviamente fondato su criteri logico-probabilistici, e non di certezza assoluta – circa un positivo evolversi dei rapporti, anche affettivi, tra padre e figlio, favorito dal passare del tempo e dallo stemperarsi delle tensioni ora esistenti, nella ragionevole previsione che un uomo di onore, quale è certamente (il convenuto) sappia adeguatamente osservare i doveri ed esercitare i diritti derivanti dalla paternità, superando le reazioni connesse all’attuale possibile perdita dell’equilibrio familiare». 206 Cass., 23 febbraio 1996, n. 1444, e Cass., 24 settembre 1996, n. 8413, cit. 596 The best interest of the child nibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne derivano per il preteso padre», anche qualora egli non fosse disponibile ad assumere i doveri morali inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale207. Soluzione, a dire il vero che, espressa in questi termini, non appare per nulla convincente in quanto appare soprattutto influenzata dall’intento di assicurare al minore il rispetto dei doveri di ordine economico da parte del secondo genitore, i quali però non possono assumere una prevalenza tale da indurre a trascurare i rischi connessi al conseguimento dello stato ed in particolare all’acquisto dell’esercizio della responsabilità genitoriale in capo al secondo genitore eventualmente inadeguato. Se dunque può condividersi l’idea che un modesto interesse o l’assoluto disinteresse al conseguimento dello stato, dimostrato fino a quel momento dal convenuto col mancato riconoscimento, non può avere decisiva rilevanza in sede di accertamento giudiziale, pur tuttavia non deve essere sottovalutata la pericolosità circa la creazione dello stato verso un genitore il quale si dimostri decisamente ostile verosimilmente anche per il futuro. Sentimento che potrebbe – di conseguenza – creare rilevanti problemi nell’esercizio della responsabilità genitoriale, col fondato rischio di conflitti destinati ad incidere sulla serenità del minore e che dovrebbero risolversi col frequente ricorso al giudice. Inconvenienti che non verrebbero di certo del tutto superati ricorrendo all’affidamento esclusivo a favore del primo genitore e che richiederebbero una pronunzia di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Non può trascurarsi tuttavia che la giurisprudenza è molto cauta ove si tratta di adottare una misura siffatta, circoscritta a situazioni estremamente gravi. Un’appropriata soluzione per risolvere il problema appare quella di privilegiare un’interpretazione estensiva dell’art. 279 cc., volta a garantire al figlio il sostegno economico al fine di conseguire il mantenimento, l’istruzione e l’educazione, oltre ai diritti successori, in ipotesi in cui non ricorra una impossibilità all’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale, e pur tuttavia detta pronunzia non risulti conforme all’interesse del minore ad acquisire il relativo stato. È vero che in 207 V. Cass., 11 dicembre 2012, n. 15158, cit.; Cass., 21 giugno 2018, n. 16356 e le altre decisioni cit alla nota 87. Nella medesima direzione sembra muoversi in dottrina A. Gorgoni, op. cit., 319 s. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 597 tal modo quest’ultimo finisce col sottrarsi ai doveri nei confronti del genitore, ma comporta di converso a suo carico la perdita dei pieni diritti successori208. Dall’inapplicabilità della norma muove invece chi critica la giurisprudenza per il fatto che l’aver tenuto il genitore comportamenti che potrebbero cagionare la decadenza dalla responsabilità parentale non giustificherebbe la mancata insorgenza dei doveri patrimoniali posti a suo carico e dei diritti successori a favore del figlio209. Raggiunta la maggiore età il figlio può decidere autonomamente di esercitare l’azione volta all’acquisto dello stato. Occorre infine ricordare che l’interesse del minore all’esercizio dell’azione in esame assume rilevanza nell’ipotesi di filiazione incestuosa; infatti, come in precedenza ricordato, così come il giudice potrebbe negare il riconoscimento del figlio da parte del genitore che si è reso colpevole di incesto, ove il conseguimento dello stato non risponda all’interesse del medesimo, allo stesso modo potrebbe impedire che il medesimo effetto venga raggiunto per via giudiziale (art. 278)210. 8. segue: … ed in quelle volte a rimuoverlo. L’interesse del minore incide in maniera significativa anche sulle azioni volte a rimuovere lo stato risultante formalmente, quantunque uno specifico riferimento in proposito non sia riscontrabile nelle norme. Infatti la Riforma della filiazione ha inciso innanzitutto significativamente sui tempi per l’esercizio delle diverse azioni, uniformando la disciplina riguardo al figlio (anche se non necessariamente minore di età211): a differenza di altri legittimati egli può agire per la rimozione 208 Per ulteriori considerazioni in proposito ci si permette di rinviare alle considerazioni esposte nel nostro La filiazione derivante da incesto, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 252 ss. ed alle indicazioni bibliografiche ivi contenute. Ancor più di recente analoga soluzione è prospettata da M. Mantovani, Azioni di stato e interesse del minore, in Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale, relazione al Convegno tenutosi a Catania dal 27 al 29 settembre 2018, Pisa, 2019, 373 ss. 209 G.F. Basini, La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3624 s. 210 Anche in questo caso egli può ottenere però, previa autorizzazione del giudice, quanto necessario per il suo mantenimento, istruzione, educazione nei confronti del genitore incestuoso nonché (limitati) diritti successori. 211 Onde, osserva G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento della paternità, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 397, nessuno spazio è riservato 598 The best interest of the child dello stato non rispondente a verità senza limiti di tempo onde tutelare il suo interesse all’identità personale212. Come è noto infatti in precedenza doveva esercitare l’azione di disconoscimento entro un anno dal raggiungimento della maggiore età pena la decadenza dalla medesima onde l’interesse alla stabilità dello status (legitimitatis) prevaleva, per scelta normativa, su quello alla verità. Più in generale solo al figlio (o a chi ne tutela gli interessi) viene attribuito il potere di decidere in merito alla prevalenza dei due interessi. Infatti, in linea di principio gli altri legittimati devono agire, entro specifici limiti temporali di decadenza, trascorsi i quali il loro interesse alla rimozione dello stato non riceve più tutela proprio a vantaggio dell’interesse del figlio alla sua stabilità213. Occorre tenere presente infatti che il disconoscimento della paternità, volto a superare la relativa presunzione nel caso di nascita da donna coniugata, non è ammesso per la madre oltre sei mesi dalla nascita del figlio o entro un anno dalla conoscenza dell’impotenza del marito. Per quest’ultimo entro un anno, il quale decorre dagli stessi momenti oppure dal giorno in cui ha avuto certezza dell’adulterio della moglie214 (e non anche del fatto di non essere autore del concepimento215). Se poi egli era lontano il termine decorre dal suo ritorno nel luogo della all’accertamento della situazione di vulnerabilità del medesimo. Per tale ragione non si può condividere l’affermazione di C. Garlatti, op. cit., 421 s., secondo la quale la norma si pone dalla parte del minore, pur essendo innegabile che l’interesse del figlio (di qualunque età) alla stabilità dei rapporti assume il sopravvento. Per la medesima ragione non può sostenersi che la prescrittibilità per gli altri legittimati si fondi sulla tutela dell’interesse del minore, pur concorrendo a realizzarlo. 212 In senso critico verso questa scelta si esprime G. Chiappetta, op. ult. loc. cit., in quanto egli può sottrarsi a proprio piacimento ai relativi obblighi derivanti dalla filiazione, in contrasto con il dovere di solidarietà familiare; argomentazioni richiamate anche nel commento agli artt. 263, 264 e 267 cc., in L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sempre in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 507. 213 Peraltro la giurisprudenza ha affermato più volte la legittimità costituzionale dell’introduzione di un termine per l’esercizio dell’azione, sulla base di quanto stabilito dall’art. 30, 4° comma Cost. V., ad es., Cass., 19 settembre 2006, n. 20254. 214 La giurisprudenza non ritiene infatti sufficiente un mero sospetto: v. da ultimo Cass., 6 marzo 2019, n. 6517, in Foro it., 2019, I, 1171, nonché Cass., 30 maggio 2013, n. 13638. Dubbio è poi se l’azione possa essere esercitata nel caso in cui la donna abbia subito violenza. A nostro avviso appare preferibile la soluzione negativa. Ma in senso contrario v. G. Bonilini, op. cit., 306. 215 Sottolinea infatti Cass., 10 aprile 2012, n. 5653 che esigere tale certezza rischierebbe di allungare eccessivamente i tempi dell’azione, col conseguente sacrificio dell’interesse del figlio alla stabilità dello stato. Esigenza peraltro ormai ridimensionata dall’introduzione del termine “tombale” del quinquennio. Fonte di incertezze potrebbe invece rivelarsi l’assolvimento dell’onere della prova. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 599 nascita o di residenza della famiglia o, se non ne ha avuto notizia in tali giorni, dalla conoscenza della nascita. La Riforma della filiazione ha poi introdotto un termine “tombale” – di cui è stato posto in dubbio da alcuni la legittimità costituzionale o almeno l’opportunità216 – di cinque anni entro il quale l’azione deve comunque essere iniziata dai legittimati diversi dal figlio, scaduto il quale l’azione non può più comunque essere esercitata anche se i medesimi non erano in possesso degli elementi richiesti (si pensi al caso ad es., in cui il marito ha conoscenza dell’adulterio o della propria impotenza dopo tale termine), né si applicherebbe la sospensione del termine previsto dall’art. 245 cc.217. È evidente che in tal caso l’interesse del figlio alla stabilità dello stato viene considerato normativamente prevalente rispetto al contrapposto interesse degli altri legittimati alla sua rimozione. Unica eccezione sembra costituita dalle ipotesi disciplinate dal 3° comma dell’art. 244 cc. (lontananza del marito dal luogo di nascita) il quale prevede il decorso del termine di un anno per l’esercizio dell’azione dal suo ritorno o dal momento successivo in cui abbia avuto notizia della nascita, in quanto il 4° comma che introduce il termine “tombale” fa riferimento solo alle ipotesi previste dal 2° comma e non anche a quelle contenute nel 3° comma218. Sussiste pertanto una “falla” nel sistema giustificata dal fatto che altrimenti al marito sarebbe negata ogni possibilità di agire219. Essa costituirebbe dunque l’unica eccezione in 216 Serrata è la critica mossa al riguardo da M. Sesta, op. ult. cit., , 365 ss. il quale osserva che già in passato la Corte costituzionale si era espressa per l’illegittimità di un termine decadenziale che possa operare in caso di mancanza degli elementi volti a rendere consapevole il marito di una generazione a lui estranea, con conseguente violazione del diritto all’identità personale. Ingiustificatamente sacrificato sarebbe anche l’interesse della madre se la decadenza potesse operare nonostante ella avesse ignorato l’impotenza del marito. Si ritiene pertanto molto incerta la “resistenza” in futuro della norma ad un giudizio di costituzionalità. La soluzione normativa viene anche giudicata inopportuna perché l’impossibilità di agire potrebbe provocare risentimento nel marito, con conseguente crisi della famiglia, che andrebbe a discapito anche del figlio per la possibile difficoltà dei genitori di gestire l’affidamento condiviso. In senso critico v. altresì G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento della paternità, cit., 391 ss.; M. Dossetti, L’azione di disconoscimento della paternità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3502 ss. 217 In quanto la sua scadenza comporta l’improponibilità dell’azione: R. Rosetti, in Modifica della disciplina del disconoscimento e limiti all’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, cit., 55. 218 M. Dossetti, op. cit., 3506; C. Garlatti, op. cit., 424. 219 R. Rosetti, op. cit., 52. 600 The best interest of the child cui, trascorso un ampio lasso di tempo l’interesse del figlio alla stabilità dello stato dovrebbe cedere rispetto all’interesse contrario del padre. Analoga disciplina è prevista per la rimozione dello stato di figlio nato al di fuori del matrimonio anche in questo caso frutto delle modifiche introdotte dalla Riforma della filiazione all’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ivi compresa l’ipotesi di supposizione di parto o sostituzione di neonato rispetto a genitori non coniugati220. Ferma l’imprescrittibilità dell’azione per il figlio, legittimato all’impugnazione è chiunque vi abbia interesse, ivi compreso naturalmente l’autore del riconoscimento. Quest’ultimo deve agire entro un anno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita o dalla conoscenza della sua impotenza. Le medesime regole si applicano nel caso di riconoscimento da parte della madre221, mentre per gli altri legittimati il termine è di cinque anni a partire dall’annotazione suddetta. Il decorso resta sospeso nei casi di incapacità del soggetto legittimato all’azione, ai sensi dell’art. 245 cc. Anche in questo caso è comunque previsto per tutti i legittimati, escluso il figlio, un termine “tombale” di cinque anni dall’annotazione del riconoscimento trascorso il quale lo stato non può più essere posto (da loro) in discussione onde l’interesse del figlio alla sua stabilità assume il sopravvento222. È controverso, nel silenzio normativo, se l’autore del riconoscimento sia legittimato ad agire anche nel caso in cui, al momento della dichiarazione, sia consapevole della sua falsità. La Cassazione223 è orientata in senso favorevole, in contrasto con alcune decisioni delle corti 220 Diversamente M. Sesta, op. ult. cit., 370 ritiene che esigenze di omogeneità di trattamento giustifichino l’applicazione della relativa disciplina prevista per i genitori coniugati, onde l’azione di tutti i legittimati non sarebbe sottoposta a decadenza. Si amplierebbe di conseguenza l’ambito delle ipotesi in cui l’eventuale interesse del figlio alla stabilità del rapporto verrebbe sacrificata, in contrasto con le scelte operate nel contesto della Riforma della filiazione. 221 M. Dossetti, op. cit., 3602, nota 189 critica tale soluzione con riferimento al decorso del tempo dalla conoscenza dell’impotenza del partner da parte della donna, in quanto tale notizia non può incidere sulla veridicità del proprio riconoscimento. Occorre però tenere conto che sulla sua decisione potrebbe incidere il fatto di avere generato o meno il figlio, con una determinata persona (ad es., con il proprio convivente). 222 S. Albano, Omogeneità sostanziale dell’azione di disconoscimento della paternità e dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, cit., 68. In senso critico verso tale scelta si esprime G. Chiappetta, L’impugnazione per difetto di veridicità, cit., 507 ss. 223 Cass., 21 febbraio 2019, n. 5242, in Foro it., 2019, I, 1610; Cass., 24 novembre 2015, n. 23974, in Famiglia e dir., 2017, 251. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 601 di merito224. Anche in dottrina si registrano opinioni diverse. Alcuni autori optano per la soluzione negativa225 con diverse argomentazioni: ora richiamando il principio di buona fede226, ora quello di apparenza del diritto in virtù del quale «chi crea l’apparenza di una condizione di diritto o di fatto è assoggettato alle conseguenze di tale condizione nei confronti di chi vi abbia fatto ragionevole affidamento»227 e si è anche invocato il controverso istituto dell’abuso del diritto228. Argomentazioni che altri autori non considerano soddisfacenti229. Peraltro la giurisprudenza ammette la tutela risarcitoria ove un danno, anche non patrimoniale si sia verificato per tale ragione230. L’esclusione dall’azione assumerebbe veste sanzionatoria e peraltro non sarebbe corretto rimettere all’arbitrio dell’autore del riconoscimento la caduta degli effetti ove non si rivelino per lui favorevoli. La rilevanza del problema è tuttavia ormai ridimensionata dalla brevità dei tempi concessi per esercitare l’azione ed in particolare dal termine “tombale” comunque operante. Non è detto peraltro che le finalità del riconoscimento siano necessariamente deplorevoli essendo possibile ad es., che il convivente vi proceda per salvaguardare la stabilità della famiglia di fatto, decisione che potrebbe risultare conforme all’interesse del minore231. L’interesse del figlio alla stabilità dello stato non viene invece tutelato nelle ipotesi in cui è ammessa la sua contestazione ove nato nel matrimonio. L’azione infatti è imprescrittibile per tutti i legittimati individuati dalla legge nelle persone che risultano genitori nonché, più genericamente, in coloro che siano portatori di un interesse meritevole di tutela. 224 Ad es., Trib. Firenze, 30 luglio 2015, in Foro it., 2015, I,3113; Trib. Napoli, 11 aprile 2013, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Roma, 17 ottobre 2012, in Foro it., 2012, I, 3350 e in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 149, con nota di M.G. Stanzione; Trib. Civitavecchia, 23 febbraio 2009, in Giur. it., 2009, 2205, con nota di E. Carbone. 225 V. ad es., C. Garlatti, op. cit., 426 s. 226 F.D. Busnelli, La disciplina dei vizi del volere nella confessione e nel riconoscimento dei figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, 1262 ss. 227 C.M. Bianca, op. cit., 434 s. 228 P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 239. 229 V. in proposito ad es., G. Bonilini, op. cit., 329; A. Scalera, Commento all’art. 263, in Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli, cit., 255 ss. a cui si rinvia per ulteriori citazioni. 230 Trib. Trieste, 5 giugno 2018, in Banca dati Pluris; Cass., 31 luglio 2015, n. 16222, in Famiglia e dir., 2016, 238, con nota di A.Thiene. L’azione potrà essere allora proposta dal curatore. 231 Il quale peraltro non è rilevante ove ad agire siano altri legittimati diversi dal figlio stesso: v. oltre nel testo. 602 The best interest of the child L’azione, come è noto, ha carattere residuale rispetto a quella di disconoscimento e può essere esercitata nel caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato nonché nell’ipotesi di nascita dopo trecento giorni dall’annullamento, scioglimento del matrimonio o separazione ove, in assenza della presunzione di paternità, il nato sia stato iscritto come figlio del marito232. L’art. 240 cc., nel fare rinvio all’art. 239, 2° comma cc., contempla anche l’ipotesi di iscrizione nell’atto di nascita come figlio di ignoti233. Riguardo alla scelta compiuta dalla Riforma della filiazione, la dottrina non ha mancato di rilevare l’inopportunità di mantenerla in vita invece di unificare sotto un’unica azione tutte le ipotesi in cui si pone in discussione lo stato di figlio nato nel matrimonio. Ancor meglio, l’unificazione dello stato avrebbe giustificato la previsione di una azione unica per tutte le situazioni volte a rimuoverlo, a prescindere dal fatto che il figlio sia nato o meno nel contesto del matrimonio. Criticità presenta anche il fatto che i termini di impugnazione non siano stati unificati per tutti gli altri legittimati diversi dal figlio, prevedendone l’imprescrittibilità solo per quest’ultimo (regola dalla quale si discosta – come si è detto – l’azione di contestazione dello stato). Una specifica disciplina volta a tutelare gli interessi del minore è invece prevista riguardo alla legittimazione ad agire per la rimozione dello stato. In questa prospettiva la Corte costituzionale234 ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell’art. 263 – sollevata riguardo all’impugnazione del riconoscimento – ritenendo che, a prescindere da una specifica previsione, il giudice debba prendere in considerazione l’interesse del minore alla rimozione dello stato e quindi che il medesimo non sia mai privo di rilevanza. A dire il vero un’affermazione così netta, come è stato puntualmente rilevato in dottrina235, 232 Cass., 21 febbraio 2018, n. 4194. 233 In realtà in questa ipotesi l’iscrizione non origina alcuno stato che debba essere rimosso, ma eventualmente da reclamare mediante le relative azioni. 234 18 dicembre 2017, n. 272, cit. La questione era stata sollevata da App. Milano, 25 luglio 2016, in Foro it., 2016, I, 3258. 235 U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, 552 ss. il quale osserva che quando ad agire siano soggetti diversi dal figlio «l’assoluta prevalenza dell’interesse del minore sarebbe sovversivo, rispetto al sistema positivo, porsi un problema di bilanciamento, perché la tutela dell’interesse del minore sacrificherebbe integralmente l’interesse contrapposto, patrimoniale o morale. Il sacrificio dell’interesse contrapposto sarebbe certamente in contrasto con la disciplina vigente». Per ulteriori critiche V. Sciarrino, Mater semper certa o mater semper incerta? La maternità è fluida ma l’art. 263 non si tocca, in Nuove leggi civ. comm., 2019, I, 510 ss. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 603 rischierebbe di portare ad effetti non condivisibili se applicata anche nel caso in cui l’azione spetti a soggetti diversi dal figlio, portatori di propri interessi considerati meritevoli di tutela, che potrebbero contrastare con quello di quest’ultimo alla conservazione dello stato236. Se così non fosse prenderebbe corpo quell’interesse “tiranno”, di cui si è parlato in precedenza, in quanto l’interesse del figlio avrebbe comunque il sopravvento anche su altri costituzionalmente tutelati. Verosimilmente detta affermazione va dunque ricondotta alla sola ipotesi in cui l’azione dovrebbe essere esercitata dal curatore speciale che tutela gli interessi di quest’ultimo. Se il minore ha compiuto quattordici anni l’esercizio dell’azione spetta ad un curatore speciale nominato dal giudice previa richiesta dell’interessato (artt. 244, 4° comma; 248, 5° comma; 264 cc.)237. Spetta dunque solo a quest’ultimo valutare238 l’interesse a mantenere lo stato di cui è titolare o ottenerne la rimozione non rispondente a verità (sempre che ve ne siano i presupposti239), eventualmente al fine di reclamare poi quello a cui ha diritto nei confronti dei genitori genetici. Al curatore che accetti l’incarico non spetta dunque alcuna discrezionalità. Ove il minore sia di età inferiore la richiesta di nomina è affidata al pubblico ministero o all’altro genitore, con la precisazione che trattasi di colui che ha già riconosciuto il figlio nel caso di impugnazione del riconoscimento. Controverso è chi debba intendersi per “altro genitore” nelle ipotesi riguardanti il figlio nato nel matrimonio. Nel caso di disconoscimento, secondo la dottrina prevalente, trattasi solo della madre quale genitore il cui stato non viene posto in discussione240 ma secondo altri il genitore nei confronti del quale fossero scaduti i 236 Ma il fondato dubbio è giustificato da un ulteriore passaggio della decisione nella quale si afferma: «Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo». 237 Il maggiorenne può invece esercitare autonomamente l’azione. 238 Mette in luce la necessità che il figlio sia pienamente libero nella scelta e consapevole degli effetti che essa comporta, R. Senigaglia, Commento all’art. 244, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, cit., 125. 239 Il giudice potrebbe dunque negare tale nomina ove, in base ad un accertamento sommario, la domanda risultasse palesemente infondata: M. Dossetti, op. cit., 3491; R. Senigaglia, op. ult. cit., 124 s. 240 In tal senso R. Senigaglia, op. ult. cit., 126; G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento della paternità, cit., 400 s.; R. Rosetti, op. cit., 53 s.; M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 363. 604 The best interest of the child termini per esercitare l’azione241. Quest’ultima soluzione presuppone una visione distorta della vicenda in quanto il genitore è legittimato ad agire nel proprio interesse mentre l’iniziativa di nomina del curatore viene presa al fine di perseguire l’interesse del figlio, onde la decadenza dall’azione volta a rimuovere lo stato nel proprio interesse non comporta anche che il medesimo si configuri in capo al figlio e dunque una sorta di rimessione in termini. Vero è invece che se per altro genitore si intenda solo la madre il presunto padre verrebbe comunque privato della possibilità di chiedere l’intervento del giudice in vista della valutazione dell’interesse del minore, con possibile pregiudizio per il medesimo. Ma in questa prospettiva la dizione più corretta avrebbe in realtà dovuto fare riferimento a “ciascuno dei genitori”. D’altra parte a favore di questa seconda interpretazione depone anche il rinvio all’art. 244, comma 6 cc. nel caso di contestazione dello stato in quanto l’azione è volta a rimuoverlo nei confronti di entrambi i genitori. Non sarebbe dunque possibile individuare nell’altro genitore colui nei cui confronti lo stato non viene meno. Anche in questo caso pertanto la legittimazione riconosciuta a ciascuno dei genitori potrebbe giustificarsi in vista della maggior tutela dell’interesse del figlio242. La domanda presentata dal p.m.243 o dal genitore è sottoposta alla valutazione del giudice circa la rispondenza all’interesse del minore dell’eventuale rimozione dello stato244. Il curatore tuttavia potrebbe convincersi del contrario e rifiutare l’incarico o, qualora la nomina fosse già avvenuta, addurre ragioni che ne giustifichino la revoca o, ancora, dimettersi ove nel corso dell’azione fosse emerso un interesse contrario. La giurisprudenza prevalente ritiene inoltre che il provvedimento di nomina non abbia carattere definitivo245 e dunque possa esse241 M. Dossetti, op. cit., 3482 s.; nello stesso senso M. Mantovani, Commentario breve al codice civile Cian-Trabucchi, a cura di G. Cian, Padova12, 2016, 349. 242 In senso contrario M. Dossetti, L’azione di contestazione dello stato di figlio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 3539, la quale ritiene non pertinente il richiamo all’altro genitore in quanto già titolare in proprio dell’azione onde la domanda di nomina del curatore speciale spetterebbe solo al p.m. In realtà anche in questo caso non si tiene nel dovuto conto la differenza che intercorre tra l’esercizio dell’azione nel proprio interesse rispetto a quella volta a tutelare gli interessi del figlio. 243 La cui richiesta potrebbe anche essere sollecitata da chi non è legittimato ad agire “in proprio”, come nel caso del genitore naturale riguardo al disconoscimento di paternità. 244 C. cost., 27 novembre 1991, n. 429. 245 V. ad es., Cass., 19 settembre 2003, n. 13892; Cass., 25 novembre 1998, n. 11947. Contra, Cass., 6 aprile 1995, n. 4035. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 605 re riconsiderato anche durante lo svolgimento del giudizio di merito246 (ivi compreso lo svolgimento dell’appello) alla luce dell’interesse del minore247. La richiesta potrebbe provenire dal minore ove nel frattempo abbia compiuto quattordici anni. Riguardo all’individuazione di detto interesse, il giudice dovrà valutare in concreto se esso viene conseguito privilegiando il c.d. favor veritatis ove il genitore titolare dello status non sia anche il genitore genetico e dunque il diritto all’identità personale nonché la possibilità di costituire un costruttivo rapporto con il padre biologico oppure, all’opposto, l’interesse alla stabilità dei rapporti interpersonali ed affettivi eventualmente già costituiti in maniera positiva con il presunto genitore248. Anche in questo caso l’ascolto del minore in grado di 246 V. al riguardo le perentorie affermazioni di Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767: «Vale bene, a questo punto, sgombrare il campo dalla suggestione che il giudice investito della domanda proposta dal curatore speciale sia esonerato dalla valutazione della rispondenza o meno degli effetti del disconoscimento all’interesse del minore, perché già effettuata in relazione all’istanza del pubblico ministero in relazione alla nomina del curatore speciale stesso. (…). Appare di intuitiva evidenza come il giudizio circa la valutazione dell’interesse del minore, ove si consideri anche la rilevanza del principio del contraddittorio e la delicatezza della materia, non possa non conseguire all’esito di un giudizio di cognizione piena, e non possa essere affidato alle valutazioni, all’esito di “sommarie informazioni”, inerenti all’opportunità o meno di procedere alla nomina del curatore speciale, vale a dire al promovimento dell’azione di disconoscimento in nome e per conto del minore». Detta decisione si discosta dall’indirizzo contrario sostenuto, ad es., da Cass., 5 gennaio 1994, n. 71, in Famiglia e dir., 1994, 293, con nota di F. Tommaseo e, più di recente, da Cass., 15 febbraio 2017, n. 4020, secondo il quale la valutazione dell’interesse del minore nel corso del giudizio di merito «rappresenterebbe un’inutile duplicazione di una indagine già compiuta e sottoposta al vaglio del giudice ai fini della nomina del curatore». 247 Cass., 3 aprile 2017, n. 8617, in Corr. giur., 2018, 619, con nota di D.M. Locatello, onde la nomina è un provvedimento privo di definitività. 248 V. al riguardo l’eloquente passaggio contenuto in C. Cost., 18 dicembre 2017, n. 272, cit., in cui si afferma che «pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, (…) l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza di tale accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti. In tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame». Ed ancora, Cass., 6 marzo 2019, n. 6517, cit., la quale, nel ribadire che il favor veritatis non assurge a valore tutelato costituzionalmente (v. in tal senso numerose pronunce fra le quali Cass., 10 aprile 2012, n. 5653), afferma «l’assenza di ogni automatismo nel cogliere l’interesse del minore rispetto al principio di verità biologica della filiazione» e «la necessità di un attento bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo, peraltro imposta non 606 The best interest of the child esprimere la propria opinione potrà fornire elementi particolarmente significativi in tal senso. Peraltro, come si è detto, il figlio, raggiunta la maggiore età potrà comunque agire per la rimozione dello stato senza limiti di tempo, soluzione che testimonia comunque la rilevanza che il legislatore riserva al suo diritto all’identità personale. Bibliografia Albano S., Omogeneità sostanziale dell’azione di disconoscimento della paternità e dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 68 Aragno A., L’utilizzo dell’art. 44 lett. d) nei casi di omogenitorialità: le ragioni del no, in Minorigiustizia, 2017, p. 146 ss. Arceri A., L’affidamento condiviso, Milano, 2007, p. 118 ss. Auletta T., La filiazione derivante da incesto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 252 ss. Barone I., La legge n. 40 del 2004 al vaglio della Corte costituzionale per l’accesso alla PMA da parte di una coppia formata da due donne, in Famiglia e dir., 2018, p. 1097 ss. Basini G.F., Ascendenti, diritto di mantenere rapporti significativi con i figli minorenni, e risarcimento del danno. Il così detto, «diritto di visita» degli avi dopo il d.lgs. 154 del 2013, in Studi in onore di Iudica, Milano, 2014, p. 139 ss. Basini G.F., I diritti e i doveri dei genitori e dei figli, in G. Bonilini (cur.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 4064, nota 116. Basini G.F., I provvedimeni relativi alla prole, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 3129 e nota 114 Basini G.F., Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 3571 s. Basini G.F., La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 3624 s. Basini G.F., La nonna, Cappuccetto Rosso e le visite: del c.d. ‘diritto di visita’ degli avi, in Fam. pers. e succ., 2006, p. 433 ss. Basini G.F., Violazione del c.d. ‘diritto di visita dei nonni’ ed ingiustizia del danno, in Resp. civ. e prev., 2006, p. 614 ss. Bianca C.M. (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 252 ss. Bianca C.M., Diritto civile, II, Milano, 2001, p. 209 ss. Bianca C.M., Diritto civile. 2. La famiglia, Milano, 2017, p. 427 solo dalle fonti interne, ma anche da quelle sovranazionali». Ma in senso diverso, App. Napoli, 10 ottobre 2017, in Banca dati Pluris. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 607 Bianca M. Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 163 ss. Bianca M., Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir. fam., 2015, p. 186 ss. Bianca M., La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore, in Familia, 2019, p. 369 ss. Bilotti E., Commento all’art. 249, in E. Gabrielli (dir.) Commentario del codice civile, II, Milano, 2018, p. 160 Bonilini G., Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2014, p. 315 Bosisio R. – Ronfani P., Omogenitorialità. Relazioni familiari, pratiche della responsabilità genitoriale e aspettative di regolazione, in Minorigiustizia, 2014, p. 22 ss. Bugetti M.N. Scambio di embrioni ed attribuzione della genitorialità, in Famiglia e dir., 2014, p. 929 Bugetti M.N., Fecondazione accidentalmente eterologa e tutela dell’interesse del minore, in Famiglia e dir., 2016, p. 680 ss. Bugetti M.N., Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c.c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in Famiglia e dir., 2016, p. 487 Busnelli F.D., Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1463. Busnelli F.D., La disciplina dei vizi del volere nella confessione e nel riconoscimento dei figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, p. 1262 ss. Buzzelli D., La famiglia “composita”, Napoli, 2012, p. 172 ss. Casonato M., Adozione e mantenimento dei legami: una revisione della letteratura psicologica sull’adozione aperta, in Minorigiustizia, 2014, 4, p. 41 Cattaneo G., voce Adozione, in Digesto civ., I, Torino, 1987, p. 117 72 Cendon P., I diritti dei più fragili, Milano, 2018. Chiappetta G., L’azione di disconoscimento della paternità, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 391 ss. Chiappetta G., L’azione di reclamo dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 493; Chiappetta G., L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in C.M. Bianca (cur.),La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 507 ss. Ciraolo C., Contestazione e reclamo dello stato di figlio, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 72 Corder P., Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis c.c. come modificato dall’art. 42 del d. lgs. N. 154 del 2013), in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015 p. 103 ss. Danovi F., L’affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam., 2007, p. 1914 s. 608 The best interest of the child De Filippis B., Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, p. 89 Dogliotti M., Adozione di maggiorenni e minori, Milano, 2002, p. 808 ss. Dogliotti M., Affidamento e adozione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1990, p. 315 Dossetti M., L’azione di contestazione dello stato di figlio, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 3539, Dossetti M., L’azione di disconoscimento della paternità, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, p. 3482 ss. Dossetti M., La presunzione di paternità, in G. Bonilini (dir), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2016, 3411 ss Ferrando G., Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Politica del diritto, 1998, p. 167 ss. Ferrando G., L’adozione in casi particolari del figlio naturale del coniuge, in Corr. giur., 2012, p. 93 ss. Figone A., Profili processuali, in AA.VV., Affidamento condiviso e diritti dei minori, a cura di M. Dogliotti, Torino, 2008, p. 228. Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Diritto di famiglia, Milano, 1984, I, p. 561 ss. Finocchiaro F., Matrimonio, in Comm. del cod. civ. Scialoja e Branca (artt. 84-158), Bologna-Roma, 1993, p. 397 ss C. Garlatti, La prescrizione delle azioni di stato in C. M. Bianca, (cur.) La riforma della filiazione, Milano, 2015, 429. Giorgianni M., Della potestà dei genitori, in G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi (cur.), Comm. al dir. it. della famiglia, Padova, 1992, IV, p. 335 ss. Gorgoni A., Commento all’art. 273, in E. Gabrielli (dir.) Commentario del codice civile, II, Milano, 2018, p. 315 ss. Grassetti C., Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi, in G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi (cur.), Comm. al dir. it. della famiglia, Padova, 1992, II, p. 698 ss. Laghi P., «Genitorialità di fatto» ed obblighi di assistenza materiale della prole unilaterale nelle famiglie «ricomposte», in Dir. successioni e fam., 2017, p. 815 ss. Lamarque E., Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, p. 37 ss. Lazzaro C., in G. Di Rosa (cur.), Della famiglia, in E. Gabrielli (dir.) Commentario del codice civile, Milano, II, 2018, p. 712 Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86. Lupoi M.A., Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, p. 1072 Mantovani M. in G. Cian (cur.), Commentario breve al codice civile CianTrabucchi, Padova, 2016, p. 349. Interesse del minore nella costituzione e rimozione dello stato filiale 609 Mantovani M., Azioni di stato e interesse del minore, in Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale, relazione al Convegno tenutosi a Catania dal 27 al 29 settembre 2018, Pisa, 2019, p. 373 ss. Mengoni L., Affidamento del minore nei casi di separazione e divorzio, in Jus, 1983, p. 248 s. Mezzanotte S., Il rapporto nonni-nipoti: una relazione affettiva giuridicamente rilevante, in Giur. merito, 2008, p. 1918 ss. Miotto G., Adozione del convivente e diritto positivo: un matrimonio impossibile, in Familia, 2017, p. 251 ss. Morace Pinelli A., Provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 714 ss. Napolitano L., L’affidamento dei figli nei giudizi di separazione divorzio, Torino, 2006, p. 108 Occhiogrosso F.P., Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009 Olivero L., L’adozione del figlio del coniuge tra crisi coniugale ed interesse del minore, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, p. 282 ss. Padalino C., L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, p. 35 Patti S., L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. succ., 2006, p. 301 Pelosi A.C., Potestà dei genitori sui figli, in Noviss. Dig. It. App., Torino, 1984, p. 1126 Putti P.M., Il diritto di visita degli avi: un sistema di relazioni affettive che cambia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, p. 897 ss. Rescigno P., L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 239. Ronfani P., L’interesse del minore nella cultura giuridica e nella pratica, in C. Maggioni – C. Baraldi (cur.), Cittadinanza dei bambini e costruzione sociale dell’infanzia, Urbino, 1997, p. 254 Rosetti R., Azione di reclamo dello stato di figli, in Modifiche al codice civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014, p. 32 Rosetti R., in Modifica della disciplina del disconoscimento e limiti all’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 53 ss. Rosnati R. – Canzi E. – Scabrini E., Adozione e omogenitorialità: uno sguardo critico alle ricerche, in Minorigiustizia, 2017, p. 123 ss. Ruggeri L., in AA.VV., Commentario alla l. 28 marzo 2001, n. 149, a cura di C.M. Bianca-L. Rossi Carleo, in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 1032 ss. Ruo M.G., A proposito di omogenitorialità adottiva e interesse del minore, in Famiglia e dir., 2015, p. 580 ss. Ruscello F., La potestà dei genitori, in P. Schlesinger (dir.), Il codice civile commentario, Milano, 1996, p. 214 ss. 610 The best interest of the child Salanitro U., Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, p. 552 ss. Scalera A., Commento all’art. 263, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, Milano, II, 2018, p. 255 ss. Sciarrino V., Mater semper certa o mater semper incerta? La maternità è fluida ma l’art. 263 non si tocca, in Nuove leggi civ. comm., 2019, I, p. 510 ss. Senigaglia R., Commento all’art. 244, in E. Gabrielli (dir.) Commentario del codice civile, Milano, II, 2018, p. 125 Senigaglia R., Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013, p. 167 ss. Sergio G., Adozione gay e diritto del fanciullo preservare la propria identità, in Minorigiustizia, 2017, p. 109 ss. Sesta M., La filiazione, in M. Bessone (dir.), Il diritto di famiglia, III, del Trattato di diritto privato, Torino, 1999, IV, 3, p. 235 ss. Sesta M., Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2019 Sirena P., Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, 122 s. Stanzione M.G., Filiazione e “genitorialità”. Il problema del terzo genitore, Torino, 2010, p. 111 s. Tedioli F., Il diritto di visita dei parenti: interesse legittimo o diritto soggettivo condizionato, ma pur sempre non azionabile da parte dei nonni, in Fam. pers. succ., 2008, p. 227 ss. Tommaseo F., Sul riconoscimento dell’adozione piena avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale, in Famiglia e dir., 2016, p. 275 ss. Troiano S., Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Milano, 2015, p. 229 s. Villa G., Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in G. Bonilini – G. Cattaneo (cur.), Trattato di diritto di famiglia, III, Torino, 1997, p. 277 ss. Vitrano F., Coppie omosessuali e genitorialità: quali gli interessi preminenti delle persone di minore età?, in Minorigiustizia, 2017, p. 130 ss. Zatti P. – Mantovani M., La separazione personale, Padova, 1983, p. 244 Zatti P., Le icone linguistiche: discrezionalità interpretative e garanzia procedimentale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, suppl. (Atti del convegno Giustizia minore? La tutela giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti), p. 4 s. L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari Massimo Paradiso Un cordialissimo e grato ringraziamento a Mirzia Bianca per l’organizzazione di questo mega-convegno: un appuntamento di studio e di riflessione che, per la ricchezza dei contenuti e la vastità degli orizzonti evocati, ben coglie quello che deve ritenersi il dato più significativo della inesausta opera di Riforme che ha investito il diritto di famiglia nell’arco dell’ultimo cinquantennio: la centralità dell’interesse del minore. La sessione di studi che ci è stata affidata è focalizzata sulla configurazione che tale interesse assume, o può assumere, in relazione al “modello familiare” nel quale il minore è collocato: è dunque di particolare attualità, atteso che le due Riforme più recenti in ordine di tempo hanno riguardato per un verso lo status di figlio e per l’altro i nuovi rapporti di coppia, le nuove modalità dello “stare insieme”, come anche si dice. D’altra parte, il tema riveste un rilievo assolutamente centrale nelle odierne dinamiche familiari: a parte il ricordato intervento legislativo su unione civile e convivenze di fatto, tutte le novità normative succedutesi dopo la Riforma generale del 1975 hanno riguardato il rapporto di filiazione quanto all’oggetto e, quanto al “contenuto”, hanno sancito la progressiva consacrazione dell’interesse dei figli, che si accredita ormai quale punto di riferimento, quale autentico fulcro del diritto di famiglia. Credo allora opportuno richiamare brevemente il senso complessivo delle ultime Riforme e il quadro d’insieme che ne emerge. Il dato più significativo concerne l’antitesi tra l’unicità dello stato di figlio e la pluralità dei modelli familiari: antitesi, che comporta un radicale ribaltamento dell’assetto complessivo consegnatoci dalla tradizione: questa conosceva un’unica forma di convivenza socialmente e giuridicamente accettata, quella fondata sul matrimonio, e una pluralità di status di figli: 612 The best interest of the child addirittura otto (legittimi e illegittimi, naturali e legittimati, affiliati e adottivi, adulterini e incestuosi). Oggi, lo stato di figlio è unico e, per contro, sono ormai numerosi – quasi una decina! – i modelli normativi o sociali dei rapporti di coppia: matrimonio, unione civile, convivenza registrata, convivenza “contrattualizzata”, convivenza tra persone dello stesso sesso, oltre a famiglia monogenitoriale e a famiglia ricomposta che sono ormai una significativa realtà sociale, per tacere poi delle convivenze “di mero fatto” (e cioè non risultanti all’anagrafe) e delle famiglie poligamiche (queste però, allo stato, soltanto tollerate). Ma dalla disciplina oggi vigente emerge poi un ulteriore ribaltamento nell’assetto tradizionale della materia a proposito del ruolo dell’autonomia privata: l’ampio rilievo che la volontà dei singoli rivestiva in ordine alla costituzione del rapporto di filiazione si ritira da tale campo e refluisce in un ambito dal quale era finora radicalmente escluso: la costituzione e il contenuto delle relazioni di coppia e, inoltre, le condizioni e le modalità per la loro cessazione che oggi restano largamente affidate all’autonomia delle parti. 2. Il rapporto di filiazione, per contro, è ormai caratterizzato da una nutrita serie di disposizioni inderogabili che assumono come principale o esclusivo punto di riferimento l’interesse dei figli. Di ciò è indice esemplare già la riconfigurazione della potestà, oggi denominata “responsabilità genitoriale”: con ciò mettendosi in evidenza che tratto specifico e caratterizzante di essa è l’assunzione di responsabilità verso la prole e che, ai poteri direttivi che comunque l’accompagnano – indispensabili per una efficace tutela dei minori –, residua soltanto una funzione servente. In breve, almeno quando vi sia, la prole diviene perno della comunità familiare e l’interesse dei figli è la nuova formulazione con cui si ripresenta oggi il vecchio “interesse superiore della famiglia”: cacciato dalla porta del matrimonio, rientra dal portone riservato ai figli, tanto da essere ormai qualificato come “valore apicale e principio organizzatore” di tutto il diritto di famiglia. E si tratta di qualificazione, che ricorre ormai anche testualmente in molti documenti legislativi – insieme a quella di “preminente”, “prioritario” o “esclusivo”. Tra i tanti documenti normativi che impiegano l’espressione basterà richiamare la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 3), la Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori (artt. 1, c. 2, e 6 lett. a), la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 24, c. 2), la Convenzione di Oviedo sui L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari 613 diritti umani e la biomedicina, oltre a una serie pressoché sterminata di disposizioni di legge ordinaria che a detta formula fanno esplicito riferimento quando si tratti di questioni o della assunzione di decisioni che riguardino interessi dei minori. È altrettanto noto come non sono mancate critiche a tale principio, accusato di essere “nozione ambigua e confusa” – una sorta di araba fenice della quale nessuno può dire di sapere ove e che cosa sia – “formula magica” e “passe-partout per ogni ideologismo”, “principio polivalente e polimorfo” suscettibile di più interpretazioni fino a costituire soltanto una “scatola vuota” che può significare tutto e il contrario di tutto. Critiche, che certo evidenziano la difficoltà di conferire contenuto concreto alla formula, ma forse ingenerose nel loro semplicismo: omettono infatti di considerare che qui non si tratta di una indeterminatezza “subita” – quell’inevitabile tasso di vaghezza, di indeterminazione proprio di tutti i principi – quanto piuttosto di una genericità o flessibilità specificamente voluta al fine di meglio adeguare la disciplina alle specifiche peculiarità dei singoli casi. 3. Sul punto d’altra parte occorrerebbe ampliare il discorso alla considerazione di quelle che sono le nuove configurazioni assunte dalla giuridicità, che si vuole trascorra ormai dall’atto al rapporto e abbandoni il giuspositivismo con i suoi tratti di rigidità, di statalismo, di formale predeterminazione delle fattispecie aprendosi alla pluralità degli ordinamenti: si determina così l’ingresso nel mondo del diritto di interessi, istanze, esigenze non filtrati da una previa formalizzazione giuridica bensì mutuati direttamente dalla realtà dei rapporti in un sistema complessivo che diviene flessibile e aperto. Si tratta di processo in atto da tempo – ma particolarmente incisivo nell’ambito del diritto di famiglia – e che si ritiene riceva nuova linfa dall’introduzione del principio di sussidiarietà che, come ben è stato detto, costituisce manifestazione della transizione in atto “da un diritto prodotto in forma gerarchica a un diritto scritto e riscritto da soggetti diversi: legislatore, giudice, autorità indipendenti, dottrina, privati”, col conseguente corollario del declino della certezza del diritto e della “sistematicità precostituita” del nostro ordinamento. In quest’ambito, in particolare, va segnalato il ruolo ormai determinante assunto dalla giurisprudenza, che non si limita più a individuare la norma applicabile in base alle scelte operate dal legislatore ma concorre a produrre il diritto applicabile. Non è più il legislatore cioè a 614 The best interest of the child fissare una volta per tutte gli interessi rilevanti e il loro bilanciamento: a lui, al più, spetterà di stabilire quali siano gli interessi in gioco; al giudice invece il bilanciamento tra di essi e l’individuazione del rimedio più adeguato al caso concreto. Ed è proprio questo – per limitarci alla questione qui rilevante – il punto centrale della questione e lo snodo attorno al quale si saldano insieme preminente interesse del bambino e nuova concezione della giuridicità: quale sia questo interesse si vuole che non sia stabilito a priori, sulla base del vecchio schema della fattispecie astratta, bensì deciso solo “a posteriori”, caso per caso, con un giudizio (e un criterio di decisione) che non tollera nessun tipo di predeterminazione se non la stella polare dell’“esclusivo interesse del minore”. 4. Impostato in termini così radicali, tuttavia, emerge la fragilità di un approccio che, rinunziando a un qualsiasi criterio di orientamento, finisce col determinare la radicale inutilità di ogni discorso giuridico, di ogni interpretazione. Come instaurare un discorso giuridico senza condivisi punti di riferimento? E come e su che cosa svolgere l’attività di interpretazione se il diritto emerge solo dal fatto specifico che reclama (chissà perché) tutela: e dico “chissà perché” per la ragione che, mancando anche elementari parametri di riferimento, non si vede alla luce di quali principi valutare positivamente quel “fatto” che, in ipotesi, reclama tutela. È un fatto che determinate etnie rifiutano i modelli di vita da noi consueti – dall’istruzione al lavoro, dalla solidarietà al rispetto della proprietà altrui. Quale sarà dunque in tal caso il “miglior interesse del minore”: quello che agevola la sua integrazione nella comunità ristretta in cui concretamente vivrà o quello imposto da una cultura “esterna”? Ma altresì, vanno diffondendosi idee e modelli di vita peculiari che accomunano gruppi sociali o singoli individui, ad es. nel rifiuto di vaccinazioni o nell’adozione di diete “vegane” o “fruttariane”: convinzioni di cui saranno naturalmente partecipi i minori così educati dalle famiglie. Quale sarà, in tal caso, la regola “emergente dal caso concreto” che dovremo applicare? Né, a conferire concretezza, possono bastare i riferimenti allo scopo di assicurare al minore il “pieno e integrale sviluppo della persona umana” o il “miglior tipo di esistenza realmente possibile”, o ancora “la sua crescita armonica ed equilibrata, libera e indipendente sebbene fondamentalmente relazionale” come pure si propone. Chi mai potrebbe non volere tutto questo? Il difficile è invece individuare gli strumenti L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari 615 concreti per realizzare tali scopi. Non è allora la certezza del diritto, quella che viene meno; il rischio è piuttosto che sbiadisca il diritto tout court, come regola oggettiva sottratta al soggettivismo, e all’arbitrio, di chi è chiamato ad applicarla. Dimostrazione ne sia il fatto che ormai molti scritti “dottrinali” si limitano a riportare le tante sentenze o provvedimenti giudiziali registrando senza battere ciglio i più diversi e contraddittori provvedimenti. Così, talora si dà prevalenza «alla reale discendenza genetica del minore anziché al mantenimento della relazione familiare con l’asserito genitore non biologico» (Corte Edu 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia, ric. N. 3955/12), talaltra si dà prevalenza a questa a scapito della prima (Corte Edu 5 novembre 2002, Yousef c. Olanda, ric. 33711/96; Corte Edu 22 marzo 2012, Abrens c. Germania, ric. 45071/09). In alcuni casi si sottrae il figlio alla famiglia (ad es., Corte Edu 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia, ric. 52557/14), in altri si deroga tranquillamente all’applicazione di sanzioni penali (Corte cost., n. 76/2017, n. 239/2014, n. 90/2017) e si disapplica il principio di bigenitorialità ove uno dei genitori sia rifiutato dal minore, ovvero non vi sia garanzia di una educazione aliena da modelli valoriali criminosi, fino a determinare l’affidamento esclusivo del minore (Corte Edu 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, ric. 76823/12; Cass. 11 gennaio 2013 n. 601); E ancora, talvolta viene negato il ricongiungimento familiare che pur spetterebbe a norma di legge (CGUE 6 dicembre 2012, cause riunite C-356/11 e C-357/11), talaltra il ricongiungimento viene ammesso pur quando lo vieterebbero i precedenti penali di uno dei genitori (CGUE 13 settembre 2016, causa C-165/14, Cass. 16 settembre 2013 n. 21108), fino a vietare l’esecuzione di provvedimenti d’espulsione del genitore che sia immigrato irregolare (Cass. 25 ottobre 2010 n. 21799, 22 settembre 2016 n. 18627). D’altra parte, è stato testualmente teorizzato che l’interesse del minore può e deve svolgere una “funzione correttiva del principio di legalità... fino a determinare, se necessario, la disapplicazione” di talune norme o principi del diritto minorile e del diritto di famiglia e fino a consentire di “oltrepassare il principio di legalità... in nome di una giuridicità non legale che trae diretto fondamento e legittimità dall’interesse del minore”: così, legami familiari intrecciati in via di fatto possono precludere l’esecuzione di provvedimenti di adozione legittimamente emessi (Corte Edu 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia, ric. 16318/07; 13 gennaio 2009, Todorova c. Italia, ric. 33932/06), tanto da legittimare la sottrazione internazionale di minori, quando sia 616 The best interest of the child il minore stesso a opporsi al ritorno (Cass. 5 marzo 2014 n. 5237), e la disapplicazione delle norme sulla decadenza dalla potestà quando sia accertata l’idoneità del genitore a tutelare l’interesse della prole (Cass. 23 febbraio 2012 n. 31). E taccio qui delle tante sentenze che hanno legittimato operazioni di compravendita di bambini camuffate da maternità surrogata e dei provvedimenti che hanno dato via libera alla cd. stepchild adoption. Sembra chiaro allora che in tal modo si legittima tutto e il suo contrario. E le sentenze saranno magari “giuste”, o almeno opportune o utili, chissà. Certo si è che è forte lo spaesamento che esse creano e l’istituzionale incertezza in cui in tal modo sono costretti a vivere i cittadini. Ancora una volta, non è la certezza del diritto, quella che viene meno; è piuttosto il diritto tout court. 5. È questa l’unica strada? Non credo. E ne abbiamo conferma dalla poderosa iniziativa di studio promossa da Mirzia Bianca, la cui ricchissima articolazione in diversi giorni e in concorrenti sessioni di lavoro, conferma che “il miglior interesse del bambino” può e deve essere studiato, analizzato e riempito di contenuto concreto evitando un approccio esclusivamente casistico che lo abbandonerebbe al regno del fortuito quando non del capriccio dell’interprete. Agli illustri relatori di oggi, dunque, il compito di contribuire ad analizzarlo. Per parte mia mi permetterei di suggerire che proprio il principio di sussidiarietà richiamato all’inizio, e ormai consacrato in Costituzione, può fornire utili spunti di riflessione e di orientamento. Com’è noto, per sussidiarietà s’intende un principio organizzativo dei pubblici poteri e dell’azione sociale in base al quale l’organo o ente che si trova più in basso, più prossimo al cittadino e alla realtà dei problemi locali, è senz’altro legittimato a provvedere senza essere intralciato dalle autorità sovraordinate: queste ultime perciò hanno anzitutto il dovere di astenersi dall’interferire nell’azione dell’organo inferiore, ma altresì l’obbligo di intervenire nei settori (o nei casi) in cui le minori si dimostrino inadeguate al compito. In breve, le autorità centrali e in genere quelle gerarchicamente sovraordinate mantengono una competenza soltanto residuale. “Non è lecito infatti sottrarre ai privati per affidarlo alla comunità ciò che essi possono compiere con le proprie iniziative e con la propria industria; così, è un’ingiustizia, un grave danno e un turbamento del giusto ordine attribuire a una società maggiore e più elevata quello che possono L’interesse del minore e i nuovi modelli familiari 617 compiere e produrre le comunità minori e inferiori. Infatti, qualsiasi opera sociale, in forza della sua natura, deve aiutare i membri del corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli” (così Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, 1931). Oggi, il principio si inserisce nella dialettica tra libertà e autorità, facendosi interprete dell’esigenza di partecipazione e, più in generale, di rispetto dell’autonoma capacità organizzativa e di autoregolazione dei privati, singoli e associati; ed è superfluo aggiungere che si tratta di un principio che da sempre trova la sua massima estrinsecazione nell’ambito dei rapporti familiari, imponendo il rispetto dei modi d’essere di ciascuna compagine, dei suoi peculiari moduli organizzativi, della sua capacità di autodisciplinarsi. Oggi, del tramonto delle concezioni pubblicistiche nel diritto di famiglia è testimone esemplare la scomparsa, in pedissequa sequenza, di potestà maritale, potestà paterna, potestà dei genitori. Le autorità private così – e secondo il pioneristico insegnamento del Maestro di tanti di noi, C. Massimo Bianca – se non sono totalmente scomparse si sono almeno ridefinite: perdono ogni carattere impositivo per trasformarsi in uffici o funzioni al servizio degli altri componenti e delle “esigenze preminenti della famiglia”, per dirla con l’art. 144 c.c. Non v’è dunque una autorità da esercitare, magari quale espressione o portato dell’autonomia del gruppo, come ci ha abituato a pensare lo statalismo formale. V’è piuttosto una responsabilità da assumere nella libertà, nella libera e consapevole scelta di impegnarsi in rapporti familiari. Può dirsi allora che la dialettica autonomia-autorità, propria del principio di sussidiarietà orizzontale, assume una specifica curvatura in famiglia, articolandosi nei termini del binomio, non alternativo ma concorrente, libertà-responsabilità. In altre parole, il principio di sussidiarietà chiamando i gruppi ad autodisciplinarsi – e dunque conferendo da un lato il potere, dall’altro il dovere – non può che trovare a sé consentanei, come intrinsecamente costitutivi, due principi o regole d’azione tra loro complementari e interdipendenti: la libertà e la responsabilità. Resta così fissata l’idea che spetta alle comunità familiari la competenza ad autodisciplinarsi: una competenza che non può essere ad esse sottratta in alcun modo, spettando alle istanze superiori l’intervento correttivo o il sussidio specifico se, e solo se, essi si rivelino necessari. C’è allora un punto cruciale sul quale vorrei richiamare l’attenzione nel chiudere questa ormai lunga introduzione. L’interesse del minore che giustifica interventi invasivi dell’autonomia delle singole famiglie 618 The best interest of the child (affidamenti, adozioni, allontanamenti dalla casa familiare, “provvedimenti convenienti”, decadenze dalla responsabilità genitoriale, etc.) non può consistere in un benessere, in una educazione, in una istruzione semplicemente “migliori” di quelli goduti nella propria famiglia. L’ormai sancito diritto a una famiglia, e il parallelo diritto a vivere in famiglia, depongono univocamente nel senso che il «miglior interesse del minore» consiste in linea di principio nel crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 legge adoz.). Pertanto, ove si tratti di provvedimenti che incidono sul diritto dei genitori di allevare i figli in prima persona o comunque sulla loro convivenza in seno alla famiglia, requisito indefettibile dev’essere l’esigenza di porre fine e/o rimediare a significativi pregiudizi per il minore o, almeno, l’esigenza di scongiurare il rischio che si ripetano detti eventi. Ma altresì, determinati provvedimenti – penso in particolare alla decadenza dalla responsabilità genitoriale – comprimendo un diritto costituzionalmente garantito, potranno assumersi solo in caso di condotta dolosa o gravemente colposa del genitore: non può trascurarsi invero che l’art. 330 c.c. subordina detti provvedimento alle ipotesi di violazione dei doveri o abuso dei poteri con grave pregiudizio per il figlio; anche perché, in caso di violazioni non imputabili, non è detto non possano bastare gli altri “provvedimenti convenienti” di cui è parola nell’art. 333 c.c. Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche Davide Achille Sommario: 1. Monogamia e poligamia tra valori ordinamentali e realtà sociale. – 2. Matrimonio poligamico, ricongiungimento familiare e tutela della genitorialità. – 3. I rapporti poligamici di fatto. – 3.1. (Segue). Patologia del rapporto poligamico e filiazione. – 3.2. (Segue). Responsabilità genitoriale, regime personale e obblighi di protezione. – 4. Il superiore interesse del minore quale imprescindibile regola di tutela per le formazioni familiari. 1. Monogamia e poligamia tra valori ordinamentali e realtà sociale È ormai un dato ampiamente acquisito che i rapporti familiari, al di là delle specifiche regole giuridiche vigenti in un determinato ordinamento, siano conformati dalla realtà sociale1, tanto da meritare piena condivisione la formula secondo la quale “la famiglia, lungi dall’essere estranea al diritto, finisce per essere paradigma della giuridicità”2. Tale rilievo comporta, per quanto in questa sede interessa, che modelli familiari differenti 1 I rapporti tra realtà sociale e diritto di famiglia in generale sono evidenziati con particolare attenzione da D. Kennedy, Three Globalizations of Law and Legal Thought: 1850-2000, in D. Trubek – A. Santos (cur.), The New Law and Economic Development. A Critical Appraisal, Cambridge, 2006, p. 19 ss.; nonché, più di recente, nella nostra letteratura, da M.R. Marella – G. Marini, Di cosa parliamo quanto parliamo di famiglia, Bari, 2014, p. 19 ss. 2 Così N. Lipari, I rapporti familiari tra autonomia e autorità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 937, il quale afferma che “il diritto prende atto della sua inadeguatezza nell’àmbito dei rapporti familiari e riconosce uno spazio sempre più ampio all’autonomia della persona, al rispetto dei sentimenti, all’autenticità dei modi in cui la vita privata e familiare si viene svolgendo secondo modalità sempre nuove” (p. 931). 620 The best interest of the child rispetto a quelli tipizzati sono destinati a rapportarsi con il diritto positivo vigente in un determinato ordinamento, il che pone un duplice ordine di problemi, vale a dire, da un lato e in via principale, quello di accertare la compatibilità rispetto alla disciplina dimestica dei modelli familiari alieni3 e, dall’altro lato e in via subordinata, quello della individuazione della disciplina in concreto applicabile ai modelli familiari atipici. Si tratta di profili che per quanto comuni a tutti gli ambiti giuridici, nel contesto che ci occupa, vale a dire quello della vita familiare, assumono peculiare rilevanza rispetto ad altri settori dell’ordinamento, non fosse altro che con riguardo ai rapporti familiari trova applicazione un principio generalissimo, espressione di un diritto fondamentale della persona ed in quanto tale inderogabile, vale a dire quello al rispetto della vita familiare e personale, come sancito dall’art. 8 Cedu nonché, più di recente, dall’art. 7 della Carta di Nizza. Un principio, questo, ricco di implicazioni sostanziali, che in ultima e generale istanza conduce ad accordare una certa approvazione per i modelli familiari atipici, specie nella parte in cui, secondo l’interpretazione che ne ha tradizionalmente fatto la Corte di Strasburgo, mira a tutelare l’individuo da arbitrarie ingerenze del pubblico potere, giustificabili unicamente a fronte di esigenze di carattere generale, in cui assume rilevanza una nozione di vita familiare ampia4, tale da ricomprendervi qualsiasi legame affettivo personale dotato di specifiche caratteristiche relazionali quali la coabitazione o i rapporti frequenti5. 3 L’espressione riprende con ogni evidenza la formula autorevolmente coniata in dottrina con riguardo al fenomeno contrattuale (G. De Nova, Il contratto alieno2, Torino, 2010, passim), volendo con ciò indicare la fattispecie, nello specifico negoziale, plasmata in base ad una normativa tendenzialmente differente rispetto a quella in cui è destinata a trovare applicazione. 4 Rileva V.A. De Gaetano, La giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul diritto al rispetto della vita familiare, in P. Perlingieri – G. Chiappetta (cur.), Questioni di diritto della famiglia e dei minori, Napoli, 2017, p. 70, che “cominciando dalla metà degli anni ottanta, la CEDU ha dato un’interpretazione sempre più ampia – alcuni direbbero liberale – della nozione di vita familiare”. 5 Vd. Corte EDU, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X, Y e Z c. Regno Unito, dove si è fatto rientrare nella nozione di vita familiare il rapporto tra transessuale, compagna e figlio di quest’ultima concepito con tecniche di fecondazione artificiale; Corte EDU, 13 luglio 2000, ric. n. 39221/98 e 41963/98, Scozzarini e Giunta c. Italia, ove si è ricompreso nella nozione in questione il rapporto nonni-nipoti; Corte EDU, 24 giugno 2010, ric. n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria, laddove la Corte, mutando la pregressa opinione secondo cui le unioni omossessuali sarebbero da ricondurre alla tutela della vita privata, ha ritenuto di includere queste nella nozione di vita familiare. Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 621 Tale ultimo profilo impone di ricordare che nel nostro ordinamento il rapporto familiare è tradizionalmente improntato alla monogamia6, scelta questa ribadita dal legislatore nazionale anche con la legge sulle unioni civili e le convivenze, dove si prevede che i vari modelli sono incompatibili con la mancanza di stato libero, potendosi quindi ben dire che l’unicità e l’esclusività del rapporto coniugale costituisce l’elemento aggregante tutti i modelli legislativamente tipizzati7. Ciò posto, seppure la monogamia costituisce, secondo quanto si è detto, il dato che caratterizza sul piano formale tutti i modelli familiari tipici, occorre parimenti precisare che, come opportunamente rilevato in dottrina, il dato in parola non è in grado di supportare l’idea che i rapporti familiari non caratterizzati dalla monogamia siano assolutamente irrilevanti8, rilievo questo che impone di confrontarsi con quel fenomeno non troppo frequente ma neppure ipotetico costituito della poligamia9. Si tratta di un fenomeno a cui da tempo è stata rivolta l’attenzione dei giuristi10, rinvenendosi un non trascurabile 6 Come opportunamente rilevano M.R. Marella – G. Marini, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, cit., p. 114, “ad essere punita è la bigamia sincronica, non quella diacronica, non essendo più il matrimonio monogamico indissolubile ed essendo quindi possibile contrarre nuove nozze dopo il divorzio”. 7 Il disvalore nei confronti di rapporti familiari non caratterizzati dalla bigamia si evince anche dalle applicazioni giurisprudenziali, vd. App. Roma 28 novembre 2017, n. 7487, inedita, secondo la quale la bigamia, sussistendo il nesso causale con la crisi del matrimonio, è circostanza di tale gravita da fondare, di per sé sola, l’addebito della separazione. 8 Il dato è evidenziato da G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, in Dir. succ. fam., 2019, p. 821 ss. e spec. p. 825, il quale si afferma che “in caso di pluralità di atti matrimoniali, quello formalizzato per secondo non è inesistente, ma invalido. Ciò vuol dire che il matrimonio con la seconda moglie o con il secondo marito, sia pur nullo, conserva comunque rilevanza giuridica e non è del tutto improduttivo di effetti, sia per le conseguenze che produce sul piano penale, sia per la tutela accordata alla eventuale prole (ormai equiparata nello status alla filiazione legittima), sia per la potenziale produzione di effetti successori in forza delle regole sul matrimonio putativo”. 9 Riferendosi alla poligamia si allude a differenti ed eterogenei fenomeni, come la poliginia vale a dire la relazione poligamica che si instaura tra un individuo di sesso maschile e due o più individui di sesso femminile) e la poliandria ossia la che si instaura tra un individuo di sesso femminile e due o più individui, della stessa specie, di sesso maschile). 10 Uno dei primi contributi sul tema è quello di G. Cassoni, Considerazioni sugli istituti della poligamia e del ripudio nell’ordinamento italiano, in Riv. not., 1987, p. 233 ss. In prospettiva generale, sulla poligamia con riguardo alle implicazioni giuridiche collegate per lo più al fenomeno migratorio, vd. V. Petralia, La dimensione culturale e religiosa dei modelli familiari. Il caso dei matrimoni poligamici, in Dir. fam. pers., 2016, p. 607 ss. 622 The best interest of the child numero di contributi che si sono occupati dell’argomento11, leggendo i quali, tuttavia, si riscontra un prevalente per non dire esclusivo interesse nei confronti di quelli che sono i profili problematici che riguardano i partner del rapporto familiare poligamico, con riferimento ai quali si è soliti disquisire dell’insanabile o meno contrasto con l’ordine pubblico che i modelli familiari in questione presentano rispetto al nostro ordinamento. In particolare, anche per effetto del crescente fenomeno migratorio ed in ragione del fatto che in altri ordinamenti, sull’influsso di differenti culture e religioni, i rapporti matrimoniali poligamici sono ammessi, l’attenzione si è concentrata essenzialmente sulla possibilità di estendere determinate prerogative che sono riconosciute alla famiglia monogamica anche ai rapporti familiari poligamici, con riguardo ai quali, come accennato, il limite generalmente opposto è stato quello della loro contrarietà all’ordine pubblico12. In questo senso, interrogandosi sulla possibilità di attribuire i diritti successori a due o più coniugi, oppure la pensione di reversibilità a due o più coniugi, l’eccezione che si è tradizionalmente posta tanto nel nostro ordinamento quanto in altri ordinamenti è stata appunto quella della contrarietà all’ordine pubblico, affermando che un riconoscimento di determinati diritti avrebbe comportato inevitabilmente un riconoscimento ancorché indiretto dei rapporti familiari poligamici, da ciò derivando la necessità di negare la possibilità di estendere a questi ultimi i diritti attribuiti ai partner dei rapporti monogamici13. Tuttavia, a fronte di tale tradizionale impostazione del problema, non si possono non rilevare più recenti aperture in favore dell’estensione anche ai rapporti poligamici di determinate prerogative riconosciute ai partner del rapporto familiare monogamico. In tal senso, ad esempio, si è espresso di recente il Tribunale Supremo di Madrid, il quale ha 11 Tra questi, a livello monografico, si segnala, soprattutto per la ricostruzione storica, il lavoro di M. Rizzuti, Il problema dei rapporti familiari poligamici. Precedenti storici e attualità della questione, Napoli, 2016, passim. 12 Questo profilo, con riguardo alla poligamia, è di recente ampiamente approfondito da G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, cit., p. 839 ss. 13 Parzialmente diversa è la prospettiva recentemente offerta da quella parte della dottrina che tramite una analisi della ratio delle tutele e delle prerogative già riconosciute ai conviventi, oltre che ai coniugi, giunge a ipotizzare una loro estensione anche ai rapporti poligamici (in questo senso A. Vercellone, Più di due. Verso uno statuto giuridico della ‘famiglia poliamore’, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 607 ss. e spec. p. 613 ss., il quale in questo modo giunge a delineare “lo statuto giuridico delle famiglie poliamorose nel nostro ordinamento”). Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 623 riconosciuto che pure a fronte della dubbia compatibilità con l’ordine pubblico dei rapporti poligamici si deve affermare il diritto a ricevere la pensione di reversibilità anche al secondo coniuge, con ciò estendendo a tale formazione familiare quanto previsto con riguardo ai rapporti matrimoniali monogamici14. Si tratta di una soluzione che a bene vedere trova un peculiare precedente nella giurisprudenza europea, la quale ha confermato la decisione della competente autorità amministrativa di assegnare a due coniugi in concorso e in parti uguali tra loro la pensione di reversibilità percepita da un funzionario del Parlamento europeo15. La decisione, pur peculiare nella fattispecie che vi risulta sottesa, come anche nella motivazione, presenta un indubbio interesse laddove afferma che “la circostanza che […] un’istituzione dell’Unione riconosca a due persone la qualità di coniuge superstite di un’unica ex funzionaria deceduta, ai fini della concessione di un vantaggio economico, non rappresenta affatto accettazione fosse anche implicita, a livello dell’Unione, della poligami” (§ 87). Non dissimile è l’impostazione che più recente16 è emersa nella nostra giurisprudenza, la quale, con specifico riguardo alla tutela risarcitoria per morte del congiunto, ha affermato che “neppure […] assume rilevanza il fatto che la poligamia costituisca istituto contrario a norme imperative dell’ordinamento interno, come desumibile dalla natura di fatto penalmente illecito della bigamia, dal momento che il rapporto di coniugio non rappresenta l’oggetto della richiesta di tutela giurisdizionale ma […] costituisce il presupposto di tale insorgenza del diritto 14 Tribunal Supremo, 24 gennaio 2018, n. 84, consultabile all’indirizzo www.poterjudicial. es. In precedenza, una vicenda analoga è stata portata all’attenzione della Corte costituzionale belga nell’arrêt n. 96/2009 del 4 juin 2009, consultabile all’indirizzo const-court.be. 15 Si tratta di Tribunale Funzione Pubblica UE, Sed. Plenaria, 1° luglio 2010, F-47/05, W. Mandt c. Parlamento europeo, ECLI:EU:F:2010:72. 16 Con riguardo ai profili successori viene spesso richiamato un precedente di legittimità il quale ha affermato che la “circostanza che la legge islamica consente la poligamia e prevede l’istituto del ripudio non impedisce, sotto il profilo dei limiti dell’ordine pubblico e del buon costume di cui al previgente art. 31 disposizioni sulla legge in generale, che la cittadina somala, che abbia contratto matrimonio in Somalia secondo le forme previste dalla lex loci, faccia valere dinnanzi al giudice italiano i diritti successori derivanti dal matrimonio medesimo” (Cass. 2 marzo 1999, n. 1739, in Foro it., 1991, I, c. 1458 ss. e in Giust. civ., 1999, I, p. 2695 ss). Dovendosi tuttavia rilevare che nel caso di specie si trattava di un matrimonio poligamico potenziale, in quanto ammesso dalla normativa straniera, ma non anche effettivo, visto che in concreto i coniugi non avevano contratto matrimonio con più persone (questo profilo è opportunamente evidenziato da M. Grondona, Il matrimonio poligamico, in G. Ferrando (dir.), Il nuovo diritto di famiglia, I, Bologna, 2007, p. 501 s.). 624 The best interest of the child al ristoro per il caso di perdita del rapporto parentale”17, con ciò manifestando evidenti aperture in favore di un riconoscimento, senz’altro parziale, di alcuni effetti al matrimonio poligamico18. In altri e più generali termini, la tendenza più recente ha indubbiamente manifestato una certa apertura nei confronti dei rapporti poligamici, diversificando a tal fine il riconoscimento diretto del fenomeno, che continua ad essere escluso, rispetto a quello indiretto, vale a dire quello avente ad oggetto prerogative e diritti già riconosciuti agli altri rapporti familiari di tipo monogamico ed applicati estensivamente ai rapporti poligamici in via interpretativa. Tuttavia è agevole rilevare che tale ultima impostazione, pur perseguendo l’apprezzabile intento di individuare una soluzione al problema dei diritti e delle tutele nelle formazioni familiari poligamiche, risulta difficilmente condivisibile, basandosi sull’erroneo convincimento che il riconoscimento indiretto non comporti un riconoscimento del rapporto familiare poligamico, impostazione questa che a ben vedere costituisce una finzione che non consente di togliere concretezza al dato sostanziale, vale a dire che il riconoscimento indiretto presuppone necessariamente un riconoscimento19, senza che possa assumere rilevanza il dato formale o nominalistico in luogo di quello sostanziale20. 17 App. Brescia 3 febbraio 2017, n. 182, in DeJure. 18 In questo senso sembrano da accogliere i rilievi di G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, cit., p. 833, secondo il quale “l’applicazione di una norma in tema di matrimonio a una famiglia non fondata sul matrimonio (e semmai anche poligamica) non dipende dalla sussunzione nel tipo negoziale, ma dall’analisi della ratio della singola norma al fine di valutare se la determinata disposizione […] sia comunque adeguata a soddisfare interessi i concreto meritevoli di tutela perseguiti dalle parti del rapporto e, nella specie, dai membri del nucleo familiare, sia pure poligamico”. 19 Sembra muoversi in questo senso, pur con una certa cautela, M. Grondona, Il matrimonio poligamico, cit., p. 511, il quale, con formula suggestiva e ricca di implicazioni, parla di “disponibilità recettiva, che altro non è se non la risultante di quella competizione valoriale pregiuridica a partire dalla quale il diritto prende corpo”. 20 In senso contrario si è tuttavia espressa la dottrina internazionalprivatistica, laddove, con riguardo al riconoscimento della filiazione derivante dal matrimonio poligamico, ma con impostazione che sembra generalizzabile, ha affermato che il giudice, nell’accertare l’esistenza del rapporto poligamico e nel valutare la legittimità della filiazione, “pur applicando le norme straniere, non fa suo l’istituto della poligamia, ma ne tiene conto per farne derivare effetti che, presi in sé e per è, sono perfettamente ammissibili. La questione non è di avvallare un istituto che è profondamente contrario ai nostri principi, ma di non deludere le giuste aspettative di soggetti che nel paese d’origine hanno la qualifica di figli legittimi” (così G. Badiali, Ordine pubblico e diritto straniero, Milano, 1963, p. 210; nello stesso senso, peraltro, sembra muoversi Cass. 2 marzo 1999, n. 1739, cit., la quale, ai fini che ci occupano, Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 625 2. Matrimonio poligamico, ricongiungimento familiare e tutela della genitorialità Si è dinnanzi detto che il fenomeno dei rapporti poligamici non è stato certamente ignorato dalla dottrina, pur dovendosi riconoscere una attenzione privilegiata nei confronti dei profili riguardanti i partner del rapporto. Diversamente, pressoché inesplorato è invece il tema per quanto riguarda il profilo della posizione dei figli e dei minori all’interno della famiglia poligamica, dovendosi rilevare che in tal caso il fenomeno in questione assume connotati totalmente differenti, facendo emergere criticità peculiari che per certi versi risultano agevolate nelle soluzioni facendo opportuno riferimento, come si avrà modo di dire, alla fondamentale tutela della genitorialità e al superiore interesse del minore. Al riguardo, seguendo un approccio diffuso negli studi che si sono occupati dei rapporti poligamici, è opportuno distinguere il caso in cui si tratti di valutare e individuare la normativa applicabile a quei rapporti che sono disciplinati da norme di altri ordinamenti che ammettono o comunque disciplinano, anche tramite una tolleranza passiva21, la poligamia (il c.d. matrimonio poligamico), dal caso in cui invece i rapporti presi in considerazione siano sottratti ad una normativa permissiva ma siano fattualmente costituiti (la c.d. poligamia ha ritenuto di dover “distinguere la regolamentazione del rapporto giuridico controverso dalla rilevazione dei suoi presupposti, la regolamentazione della questione principale da quella pregiudiziale o preliminare”). Tale impostazione, per quanto suggestiva, induce una certa insoddisfazione laddove non chiarisce come sia possibile riconoscere specifiche prerogative giuridiche al fine di non deludere determinate aspettative, secondo la formula cui si è detto, senza riconoscere nella sostanza il presupposto per il riconoscimento di quella determinata prerogativa, vale a dire, nel caso di specie, il rapporto poligamico. 21 In particolare in quegli ordinamenti retti contemporaneamente anche da precetti religiosi, i quali vanificano il tentativo di limitare la poligamia ad opera della legislazione ordinaria, pur potendosi rilevare che “quanto all’Islam deve evidenziarsi […] il forte ridimensionamento del diritto alla poligamia realizzato con lo sforzo esegetico teso a liberare i versetti coranici dalle incrostazioni dovute a precedenti sforzi interpretativi, prevalentemente di epoca medioevale e non più rispondenti alle mutate condizioni della stessa società islamica” (così N. Colaianni, Poligamia e principi del “diritto europeo”, in Quad. di dir. e pol. eccl., 2002, p. 228). In questo senso è significativo quanto recentemente dichiarato dal Grande Imam di al Azhar, Sheikh Ahmed al-Tayeb, il quale, nel ritenere che il fenomeno in esame sia “spesso una ingiustizia per le donne e i figli”, ha chiarito che tale pratica è il risultato di “una mancanza di comprensione del Corano e della tradizione del Profeta” (notizia del 7 marzo 2019, consultabile all’indirizzo https://www.iodonna.it/attualita/costume-esocieta/2019/03/07/la-poligamia-rivista-dallimam-su-twitter-e-dalla-giudice-puo-esserecausa-di-ingiustizie-verso-donne-e-bambini/). 626 The best interest of the child di fatto), analizzando le due fattispecie chiaramente nella prospettiva del rapporto di filiazione che può senz’altro afferire alla relazione familiare poligamica. Con riferimento al primo dei suddetti profili, il problema che si è tradizionalmente posto con riguardo al matrimonio poligamico è stato come noto quello del ricongiungimento familiare, generalmente negato ricorrendo anche in questo caso alla contrarietà all’ordine pubblico che verrebbe a concretizzarsi per effetto del richiesto ricongiungimento familiare. In altri termini, a fronte della richiesta di ricongiungimento familiare presentata in favore di un altro coniuge, si è di regola rigettata tale istanza opponendo la contrarietà all’ordine pubblico della formazione familiare poligamica. A ben vedere, proprio il problema del ricongiungimento familiare dei rapporti poligamici è caratterizzato da peculiarità non secondarie in presenza di figli, come si evince anche dalle questioni affrontate in altri ordinamenti. Emblematico in questo senso è un caso inglese, nel quale, facendo applicazione della relativa normativa nazionale, che in verità risulta è decisamente meno permissiva di quella italiana, si è negato ad un minore proveniente dal Nepal il diritto al trasferimento nel Regno Unito, paese in cui si era stabilito il padre assieme alla seconda moglie e alla di lei figlia in forza dei diritti attribuiti ai cittadini nepalesi arruolati nella Brigata Ghurka22. Per quanto in questa sede interessa, la decisione è stata assunta ritenendo legittima e non contrastante con l’art. 8 della Cedu la normativa nazionale che impedisce il ricongiungimento familiare al figlio nel caso in cui nel paese di origine sia presente un familiare che si prenda cura di lui, in ciò affermando che non è sufficiente a giungere ad opposta conclusione l’assunto che risponderebbe al superiore interesse del minore proseguire gli studi nel Regno Unito piuttosto che in al Nepal. Il caso, per quanto peculiare e legato alla legislazione sull’immigrazione vigente nel Regno Unito, consente di interrogarsi anche sulla normativa vigente nel nostro ordinamento, posto che la nostra legislazione, proprio in tema di ricongiungimento familiare, preclude – ai sensi dell’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione – il ricongiungimento familiare agli ulteriori coniugi del soggetto che legalmente risiede nel 22 Si tratta della decisione dell’Upper Tribunal – Immigration and Asylum Chamber, S.G. (child of polygamous marriage) Nepal [2012] UKUT 00265(IAC), pubblicata il 27 luglio 2012, consultabile all’indirizzo https://tribunalsdecisions.service.gov.uk/ utiac/37472. Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 627 nostro territorio. La previsione, adottata in forza della Direttiva 2003/86/ CE del 22 settembre 2003, che espressamente attribuisce agli Stati membri la facoltà di impedire o meno il ricongiungimento familiare per tutti i componenti del matrimonio poligamico23, presenta evidenti criticità proprio nel caso in cui sia presente un figlio e, ancor più, un figlio minore24, come dimostra una recente decisione della nostra giurisprudenza di legittimità, la quale ha negato il ricongiungimento familiare richiesto non dal coniuge ma dal figlio nato all’interno di un rapporto familiare poligamico sul presupposto che ammettendo il ricongiungimento familiare si sarebbe per l’effetto costituito un rapporto poligamico nel nostro territorio. In particolare, in tale occasione la giurisprudenza ha affermato che l’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione, “stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando a evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche costituzionale”25. In altri termini, la decisione da ultimo riferita comporta che, indipendentemente dal soggetto che presenta la richiesta di ricongiungimento familiare, nel caso in cui nel territorio nazionale sia già presente il coniuge con un altro coniuge, il secondo o l’ulteriore coniuge non 23 Nel Considerando n. 10 si legge infatti che “Dipende dagli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, partners non coniugati o la cui relazione sia registrata, nonché, in caso di matrimoni poligami, i figli minori di un altro coniuge. L’autorizzazione al ricongiungimento familiare concessa da uno Stato membro a tali persone non pregiudica la facoltà per gli Stati membri che non riconoscono l’esistenza di legami familiari nei casi contemplati dalla presente disposizione, di non concedere a dette persone il trattamento riservato ai familiari per quanto attiene al diritto di risiedere in un altro Stato membro, quale definito dalla pertinente legislazione comunitaria”. 24 Prima dell’introduzione dell’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione ad opera dell’art. 1, co. 2, lett. s), della l. 15 luglio 2009, n. 94, si registravano contrapposte posizioni dottrinali, da un lato contrarie al ricongiungimento delle famiglie poligamiche (M. Galoppini, Ricongiungimento familiare e poligamia, in Dir. fam. pers., 2000, p. 739 ss.), dall’altro favorevoli al ricongiungimento (C. Campiglio, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 43 ss.; P. Morozzo Della Rocca, Alterità nazionali e diritto alla differenza, in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 77; G. Badiali, Ordine pubblico (dir. int. priv. proc.), in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, p. 5). 25 Il riferimento è a Cass. (ord.) 28 febbraio 2013, n. 4984, Foro it., 2013, I, c. 2519 ss. 628 The best interest of the child può ricongiungersi, potendo però ottenere il ricongiungimento il figlio, il quale quindi si ricongiungerebbe unicamente con uno dei genitori. Così impostati i termini della questione, sembra lecito domandarsi se questa interpretazione sia compatibile con il superiore interesse del figlio e del minore in generale laddove finisce per negare il diritto alla bigenitorialità, atteso che il risultato pratico cui si perviene è quello di negare al figlio di avere rapporti effettivi con entrambi i genitori e ciò, si badi bene, in ragione di una condizione riguardante unicamente i genitori, destinata a ripercuotersi in negativo sulla sfera personale del figlio. In siffatta prospettiva, la normativa nazionale, come anche quella europea, sembra ingenerare più di qualche interrogativo laddove la privazione del diritto al ricongiungimento familiare, già di per sé di dubbia compatibilità con i principi fondanti il nostro sistema costituzionale, risulta lesiva dei diritti fondamentali della persona nel momento in cui vi siano dei figli nati all’interno del rapporto familiare poligamico, posto che come si è detto consentire ai figlio il ricongiungimento familiare ma impedirlo al genitore nel caso in cui il coniuge risieda già nel territorio nazionale con un altro coniuge integra una inammissibile lesione del diritto alla bigenitorialità26. Né a diversa conclusione può giungersi richiamando la normativa europea, in particolare in ragione dell’opinabile rilievo secondo cui il legislatore europeo “ha codificato una soluzione di netta chiusura nei confronti del matrimonio poligamico”27, dovendosi di contro considerare che l’apparente assolutezza dell’art. 4, par. 4, della Direttiva 2003/86/CE è mitigato dal Considerando n. 10 il quale induce a ritenere che il legislatore europeo non ha affatto imposto agli Stati membri di escludere il ricongiungimento familiare con riguardo ai rapporti poligamici ma si è limitato ad attribuire una mera possibilità di escludere tale ricongiungimento familiare, con ciò ammettendo, di conseguenza, anche la soluzione permissiva, in linea con la legislazione nazionale di alcuni Stati occidentali che in base alla propria legge di diritto internazionale privato riconoscono i matrimonio poligamici28. 26 Questa impostazione sembra essere quella già seguita dalla giurisprudenza prima della l. 15 luglio 2009, n. 94 che ha introdotto l’art. 29, co. 1-ter, Testo unico sull’immigrazione (vd. App. Torino, 18 aprile 2001, in Dir. fam. pers., 2001, p. 1492; Trib. Bologna, 12 marzo 2003, in Dir. imm. citt., 2003, p. 140). 27 Così M. Rizzuti, Il problema dei rapporti familiari poligamici, cit., p. 149. 28 Il riferimento è in particolare alla legislazione svizzera, la quale all’art. 45 della Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 629 Peraltro, a ben vedere, l’apertura verso il ricongiungimento familiare in parola risulta conforme ai principi più di recente affermati dalla Corte EDU, laddove se è senz’altro vero che in passato quest’ultima ha manifestato una certa diffidenza verso i modelli familiari atipici29, più di recente sembra potersi registrare, come detto, una maggiore apertura riconoscendo una tutela a tali modelli, che vengono ricondotti alla nozione di vita familiare30. In tale contesto, non sembra pertanto da escludere che, pure a fronte della richiamata legislazione europea in tema di ricongiungimento familiare, gli Stati membri31, tra cui il nostro paese, che vietano incondizionatamente il ricongiungimento familiare ai membri di un rapporto familiare poligamico, siano giudicati responsabili dinnanzi alla Corte EDU, non essendo nel caso di specie così evidenti quelle esigenze di carattere generale che sole giustificano una ingerenza e una limitazione del rispetto della vita familiare come tutelato dall’art. 8 CEDU, oltre che dall’art. 7 della Carta di Nizza. Ne deriva che è del tutto inaccettabile, al di là di ogni fondamento semantico o linguistico da cui si vogliono prendere le mosse, l’affermazione per cui “la contrarietà degli effetti del ricongiungimento al principio monogamico, dotato di forza assiologicamente fondamentale, giustifica la negazione dell’autorizzazione, anche se ciò implica il sacrificio di diritti fondamentali”32, dovendosi piuttosto ribadire che i diritti fondamentali in quanto tali non possono essere compromessi, specie quanto si tratta diritti riconosciuti in capo a soggetti terzi, come avviene con riguardo ai figli nati all’interno di matrimoni poligamici nel cui interesse viene chiesto il ricongiungimento familiare. legge federale di diritto internazionale privato del 18 dicembre 1987 prevede che “Il matrimonio celebrato validamente all’estero è riconosciuto in Svizzera”. 29 Proprio con riferimento ai rapporti poligamici, vd. Corte EDU, 13 dicembre 1979, ric. n. 7114/75, Stanley c. Royaume-Uni; Corte EDU, 10 luglio 1980, ric. n. 8186/78, Draper c. Royaume-Uni; Corte EDU, 18 dicembre 1986, ric. n. 9697/82, Johnston ed altri c. Irlanda; Corte EDU, 6 gennaio 1992, ric. n. 14501/89, A. e A. c. Paesi Bassi. 30 Corte EDU, 24 giugno 2010, ric. n. 30141/2004, cit. 31 È al riguardo noto che – secondo la Corte EDU – l’Unione Europea, non avendo ratificato la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, non può essere parte nel giudizio dinnanzi alla Corte di Strasburgo, rispondendo per le relative violazioni gli Stati membri dell’Unione (vd. Corte EDU, 9 dicembre 2018, ric. 73274/01, Connolly c. Stati membri dell’Unione europea). Sul punto, sia consentito il rinvio a D. Achille, Primato del diritto europeo e tutela dei diritti fondamentali nel sistema ordinamentale integrato, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1894 ss. 32 Così R. Senigaglia, Il significato del diritto al ricongiungimento familiare nel rapporto tra ordinamenti di diversa “tradizione”: i casi della poligamia e della kafala di diritto islamico, in Eur. e dir. priv., 2014, p. 564. 630 The best interest of the child In questo senso è quindi da rifiutare ogni possibilità di negare il ricongiungimento familiare in ragione del principio monogamico, il quale quand’anche venisse enfatizzato quale principio di ordine pubblico non sarebbe in ogni caso in grado di sacrificare i diritti fondamentali – come tutelati primariamente anche dalle fonti sovranazionali cui si è dinnanzi fatto riferimento – al rispetto dell’unita familiare e della vita privata e familiare, contrastando se del caso, ed in ciò anticipando quanto sarà detto nel prosieguo, anche con la necessaria tutela del superiore interesse del minore. 3. I rapporti poligamici di fatto La prospettiva finora ultimo considerata, vale a dire quella del ricongiungimento familiare dei componenti del matrimonio poligamico contratto all’estero, non esaurisce come accennato il tema dei modelli familiari monogamici, dovendosi rilevare che non secondarie implicazioni si connettono a quelli che possono essere chiamati rapporti poligamici di fatto, vale a dire quei rapporti poligamici che, al di là di una loro formalizzazione, si realizzano nella realtà sociale. In tale contesto, prescindendo anche qui da quelle che possono essere valutazione prettamente soggettive e personali riguardanti il rapporto poligamico in generale, si deve riconoscere che il fenomeno in esame è tutt’altro che ipotetico, posto che secondo le statistiche in Italia ci sarebbero tra le quindicimila e le ventimila famiglie poligamiche. Tra queste una parte non afferisce al fenomeno del matrimonio poligamico contratto all’estero, ma nasce dal fatto, come testimoniato da una lettera inviata ad un noto quotidiano nazionale dal titolo emblematico, “Io, lei, l’altro (e nostro figlio): la mia famiglia poliamorosa”, null’altro che la testimonianza di due coniugi, dalla cui unione era nato un figlio, che ad un certo punto della loro vita matrimoniale hanno deciso di diventare una famiglia poliamorosa, laddove il terzo componente dell’unione, che viveva stabilmente nella casa familiare, veniva visto dal figlio della coppia come uno zio33. A fronte di tale dato sono troppo note per essere diffusamente ricordate le pagine della nostra migliore dottrina civilistica sulla rilevanza del fatto nel diritto di famiglia34, essendo sufficiente in questa sede 33 Corriere della sera, 27 aprile 2018. 34 Il riferimento è alla riflessione della dottrina sul rapporto fatto-effetto giuridico Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 631 evocare la vicenda della convivenza, la quale dimostra che, pur a fronte dalla regolamentazione di cui all’art. 1, co 36 ss., l. 20 maggio 2016, n. 76, la fattispecie può senz’altro essere costituita in forza di un fatto cui il diritto attribuisce giuridicità dovendone definire la disciplina applicabile e dovendo fornire risposta agli interrogativi che di volta in volta si presentano all’interprete. Un fatto, si badi bene, che nel caso di specie, analogamente a quanto già chiarito con riguardo alla famiglia di fatto in generale35, deve essere caratterizzato da una serietà ed una vocazione affettiva assimilabile a quella che si instaura tra i familiari, elemento questo che esclude qualsivoglia rilevanza per le convivenze volubili o strumentali36. 3.1. (Segue). Patologia del rapporto poligamico e filiazione In questo contesto, una specifica rilevanza, dovuta alle criticità che vi risultano sottese, assume il momento patologico del rapporto familiare poligamico, posto che la rottura del rapporto, una volta venuta meno la comunione familiare, consente l’emersione di contrapposizioni e contrasti cui l’ordinamento è tenuto a fornire una risposta. A tale riguardo, per quanto in questa sede interessa, si prenda il caso di un rapporto poligamico costituito, ad esempio, tra un uomo e due donne (c.d. poliginìa), una delle due unita in matrimonio con il partner di sesso maschile, il quale ha un figlio con l’altra donna facente parte del rapporto. In un caso del genere si può ad esempio porre un problema quale paradigma dell’efficacia (si allude, in particolare, ad A. Falzea, Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 941 ss.; nonché, con specifico riferimento al diritto di famiglia, Id., Problemi attuali della famiglia di fatto, in Aa. Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 135 ss. Sul tema, sono parimenti fondamentali le riflessioni di P. Rescigno, La comunità familiare come formazione sociale, già in Rapporti personali nella famiglia, Roma, 1980, p. 348 ss. e successivamente in Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 361 ss.; P. Perlingieri, La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e l’equiparazione alla famiglia legittima, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto?, cit., p. 144 ss., in particolare laddove si ha cura di precisare che personalismo, solidarismo e associazionismo si impongono anche ai membri della famiglia di fatto). 35 Tale profilo è opportunamente evidenziato da P. Rescigno, Le formazioni sociali intermedie, in Id., Persona e comunità, III, Padova, 1999, p. 16; nonché, più di recente, da A. Zoppini, Tentativo d’inventario per il “nuovo” diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in E. Moscati – A. Zoppini (cur.), I contratti di convivenza, Torino, 2002, p. 1 ss. 36 Così, con riferimento alle famiglie poligamiche, A. Vercellone, Più di due, cit., p. 630 s., che richiama la giurisprudenza della Corte EDU la quale parla di “intima comunione di vita”. 632 The best interest of the child di assegnazione della casa familiare, in relazione al quale, facendo applicazione delle regole codicistiche, dovrebbe senz’altro affermarsi che l’interesse del figlio consente l’assegnazione al genitore presso cui il figlio viene collocato37. In quest’ultimo senso è risolutivo il rilievo che al figlio il cui genitore sia parte di un rapporto familiare poligamico, per effetto del principio di unicità dello stato di figlio, come oggi consacrato dall’art. 315 cod. civ., sarà integralmente applicabile lo statuto dei diritti del figlio38, con riconoscimento di tutti i diritti spettanti ai figli in generali, senza distinzioni di sorta. Ne deriva che anche nel caso di rapporti familiari poligamici, il semplice fatto di essere figlio impone il riconoscimento dei relativi diritti essendo venuta meno la distinzione, o meglio discriminazione, tra differenti rapporti di filiazione39, con la conseguenza 37 In tal senso è quantomeno l’interpretazione giurisprudenziale consolidata (vd. Cass. 21 gennaio 2011, n. 1491, inedita ma consultabile in CED-Cassazione (rv. 616350), la quale afferma che “In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione di cui all’art. 155, quarto comma, cod. civ. (nella formulazione previgente), che attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, ha carattere eccezionale ed è dettata nell’esclusivo interesse della prole; pertanto, detta norma non è applicabile al coniuge, ancorché avente diritto al mantenimento, in assenza di figli affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi, potendo, in tal caso, il giudice procedere all’assegnazione della casa coniugale unicamente nell’ipotesi di comproprietà dell’immobile”; Cass. 22 novembre 2010, n. 23591, in Corr. giur., 2011, p. 1100, secondo la quale “In tema di separazione, l’assegnazione della casa familiare postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti; in assenza di tale condizione non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l’eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, se i figli sono affidati all’altro coniuge in quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico”), pur dovendosi segnala che la dottrina non esclude, in virtù della formulazione letterale della norma, che possa “rilevare anche l’interesse del coniuge” (C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 208). 38 Si tratta di quelle disposizioni normative inserite negli artt. 315 ss. cod. civ. che costituiscono l’insieme dei diritti della personalità riconosciuti al figlio per il solo fatto della nascita (sul punto, per tutti, C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 363). Prima della riforma della filiazione del 2012-2013, interessanti spunti si rinvengono in R. Carrano, Lo stato giuridico del figlio e il nuovo statuto dei diritti del figlio, in Giust. civ., 2011, II, p. 183 ss. 39 La vicenda, in quanto nota, consente di limitare i riferimenti alla dottrina che con forza ha da tempo e per prima ha evidenziato l’illegittimità di ogni distinzione tra i figli, in particolare tra figli legittimi e naturali (C.M. Bianca, La filiazione in generale, in La riforma del diritto di famiglia (Atti del I Convegno di Venezia), Padova, 1967, p. 183, ove si legge che “Una delle più pressanti esigenze morali che reclamano un mutamento della disciplina e della concezione dei diritti familiari è quella della equiparazione dello stato di figlio naturale allo stato di figlio legittimo”; successivamente Id., I parenti Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 633 che anche il figlio nato dalla relazione poligamica, o meglio il genitore del figlio nato da una relazione poliamorosa, ha diritto di chiedere l’assegnazione della casa coniugale, nell’interesse del figlio stesso, ai sensi dell’art. 337-sexies cod. civ. In altri termini, se come noto l’assegnazione della casa familiare al genitore costituisce prerogativa a tutela dell’interesse del figlio a non subire pregiudizi di tipo esistenziale per effetto della crisi familiare, si dovrà ammettere che anche nei rapporti familiari poligamici, indipendentemente dall’assetto proprietario, troveranno applicazione le generiche norme in tema di assegnazione della casa familiare. Mantenendo l’esempio preso da ultimo, si può rilevare che il problema è inevitabilmente destinato a complicarsi, ed è di difficile soluzione, nel caso in cui sia presente un altro figlio, nato questa volta dalla relazione coniugale. In un caso del genere, è evidente che il soddisfacimento dell’interesse di un figlio a permanere nella casa familiare può comportare il necessario sacrificio del concorrente ed analogo interesse dell’altro figlio a permanere nella stessa casa familiare. In questo caso, l’assegnazione della casa coniugale nell’interesse di un figlio finisce necessariamente per sacrificare l’interesse dell’altro figlio, laddove è inevitabile che assegnando la casa familiare ad un genitore nell’interesse del relativo figlio si finirebbe per compromettere l’interesse dell’altro figlio a continuare a vivere nel medesimo ambiente domestico. È questo un caso di sicura emersione, con ciò anticipando quanto sarà detto nel prosieguo, dell’imprescindibile rilevanza che assume il superiore interesse del minore quale regola che consente al giudice la migliore decisione del caso concreto40, costituendo quella regola di giudizio elastica che permette di offrire la soluzione più efficiente e in ogni caso preferibile che, nel caso di specie, potrebbe ad esempio suggerire e supportare la scelta di collocare i figli presso il genitore comune, con ciò evitando anche la separazione tra i fratelli. naturali non sono parenti? La parola torna alla Corte Costituzionale, in Giust. civ., 2000, I, p. 2743 ss.; Id., I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, ivi, 2001, I, p. 591 ss.), tanto da essere creatrice della Riforma della filiazione del 2012-2013, non a caso denominata “Riforma Bianca”. 40 Non sembra superfluo ricordare che con riguardo alla perdita del diritto al godimento della casa familiare per effetto del nuovo matrimonio contratto da coniuge assegnatario, si è escluso ogni automatismo ritenendo “che l’assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto […] ma che la decadenza della stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore” (Corte Cost., 30 luglio 2008, n. 308, in Foro it., 2008, I, c. 3031 ss.). 634 The best interest of the child 3.2. (Segue). Responsabilità genitoriale, regime personale e obblighi di protezione Pur senza guardare alla fase patologica del rapporto familiare ma restando alla fase fisiologica del rapporto, si pongono peculiarità non secondarie nel caso in cui siano presenti minori, posto che in quest’ultima ipotesi emergono tratti comuni a tutti i rapporti familiari, i quali indipendentemente dalla conformazione strutturale, e quindi anche nella famiglia poligamica, sono disciplinati da regole generali che ne costituiscono lo statuto giuridico minimo. In tale contesto, volgendo lo sguardo ai rapporti personali, intesi quale insieme degli obblighi a contenuto non direttamente patrimoniale che derivano dal rapporto familiare, in particolare, per quanto in questa sede interessa, nei confronti del figlio, non sembra seriamente dubitabile che anche nella famiglia poligamica l’esercizio della responsabilità genitoriale sia destinato a rimanere, salvo il caso della decadenza, in capo ai genitori, quali titolari dell’ufficio privato di cura personale e patrimoniale del minore41. Se quindi l’esercizio della responsabilità genitoriale non può che competere ai genitori, non potendosi pretendere di estendere la titolarità della responsabilità genitoriale anche oltre al rapporto genitoriale, ci si può chiedere se in capo al soggetto che fa parte del rapporto poligamico sorgano, per effetto dell’essere parte di un nucleo familiare e, se si vuole, per effetto della coabitazione, degli obblighi nei confronti del minore figlio degli altri componenti del nucleo familiare. La risposta a tale interrogativo non può che giungere all’esito di una attenta e scrupolosa indagine volta ad individuare gli obblighi relazionali all’interno della comunità familiare e la loro fonte. Al riguardo, una recente analisi ha evidenziato che, nei rapporti familiari, dal principio di buona fede, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo non sia espressamente enunciato dalla normativa di diritto di famiglia, originano obblighi di lealtà e, per quanto in questa sede interessa, di salvaguardia che risultano “radicati nelle relazioni familiari”42. Su tale base, si può a nostro avviso affermare che nei rapporti familiari, stante la forte componente fiduciaria, l’affidamento reciprocamente generato tra 41 Si tratta sostanzialmente della nozione di responsabilità genitoriale offerta da C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 377. 42 In questo senso M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in P. Sirena – A. Zoppini (cur.), I poteri privati e il diritto della regolazione, Roma, 2018, p. 168. Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 635 i componenti della famiglia fa sorgere specifici obblighi che trovano costante applicazione in tutti i modelli familiari, siano essi tipici o atipici. Proprio in virtù di tale rilievo si deve riconoscere, in linea con la ricostruzione già offerta in dottrina con riguardo ad altro contesto43, che tra i componenti del rapporto familiare si costituisce, per effetto di quello che è il contatto sociale qualificato che si crea tra le parti della comunità familiare, un affidamento qualificato, dal quale originano specifici obblighi di protezione44. In virtù di tale rilievo, non potendosi paragonare il non genitore che sia stabilmente parte del nucleo familiare ad un terzo estraneo al rapporto familiare, si deve ammettere che, proprio in virtù del contatto sociale qualificato cui si è fatto riferimento, giudicato dalla coscienza sociale indubbiamente rilevante, sorgono in capo ai membri della famiglia degli obblighi di cura e di provvedere alle esigenze morali e materiali del minore stesso che, è opportuno precisarlo, non si cumulano con quelli dei genitori, ma svolgono una funzione suppletiva e sussidiaria, che consente di tutelare il minore nel momento del bisogno. Quanto da ultimo detto consente quindi di affermare che nel momento in cui si decide di far parte volontariamente di una comunità familiare instaurando uno stabile legame con un soggetto debole del rapporto, creando quindi un contatto sociale qualificato con il minore, originano a carico dei soggetti che fanno parte del rapporto familiare degli obblighi di cura e salvaguardia che si concretizzano nel dovere di intervenire in favore del minore, non potendosi legittimare comportamenti che diano luogo ad un disinteresse o una mancanza di cura nei confronti di tale soggetto, posto che anche in tale contesto deve essere perseguito il superiore interesse del minore. 43 Il riferimento è a C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 244, secondo il quale, in merito alle famiglie ricomposte, ed in particolare circa il rapporto che si instaura tra minore e nuovo coniuge o compagno del genitore nell’ambito del nucleo familiare ricostruito per effetto della convivenza, si genera l’obbligo di prendersi cura del minore e provvedere alle sue esigenze morali e materiali. 44 Tale impostazione non contraddice il convincimento che il semplice contatto sociale non consenta di configurare una generica responsabilità contrattuale per violazione dei doveri di protezione anche in mancanza di un rapporto obbligatorio, posto che tale soluzione si giustifica a nostro parere unicamente nel contesto familiare, laddove l’intensità del rapporto che si costituisce anche tramite la coabitazione è tale da assumere connotati peculiari che giustificano la configurazione dei menzionati obblighi di protezione il cui inadempimento viene tutelato mediante il risarcimento del danno secondo le corrispondenti regole. Al di fuori di tale specifico contesto è nostra opinione che non sia possibile configurare una analoga responsabilità per effetto del mero contatto sociale, posto che quest’ultimo elemento non è consente, da solo, di individuare il presupposto proprio del rapporto obbligatorio costituito dalla necessità. 636 The best interest of the child Siffatta impostazione, in uno con la responsabilità che consegue alla violazione degli obblighi di protezione cui si è fatto riferimento, implica che questi ultimi, da un lato, escono dalla sfera del dover essere approdando all’essere del rapporto familiare e, dall’altro lato, si emancipano dal qualunquismo dell’illecito aquiliano45. In particolare, la natura qualificata del rapporto che costituisce la fonte degli obblighi di protezione connota di quella doverosità propria del rapporto obbligatorio gli obblighi in questione, facendo afferire la relativa violazione alla responsabilità per inadempimento. 4. Il superiore interesse del minore quale imprescindibile regola di tutela per le formazioni familiari Quanto si è sin qui detto, pur essendo tutt’altro che esaustivo rispetto alla reale portata del fenomeno in esame, lascia emergere che l’eterogeneità delle fattispecie e delle problematiche che possono in concreto porsi di fronte ai rapporti familiari poligamici non consentono di avvallare soluzioni che acriticamente, innalzando la scure dell’ordine pubblico, peraltro declinato in molteplici varianti di dubbia consistenza giuridica46, si limitano a etichettare i rapporti poligamici come contrari ai principi fondanti l’ordine giuridico nazionale. 45 Questi profili sono opportunamente e chiaramente evidenziati in termini generali da A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008, p. 936 ss., il quale afferma che “la responsabilità aquiliana sposta l’accento dagli obblighi, e quindi dalla relazione, ai beni tutelati, mettendo in ombra lo stesso vincolo familiare” (p. 942), ritenendo che “la responsabilità aquiliana, quale responsabilità tra distinti e non tra parti di un rapporto, e quale reazione al danno anziché alla violazione di un rapporto, si rivela in ambito familiare spuria e tendenzialmente equivoca” (p. 959). 46 Si allude alla opinabile distinzione tra ordine pubblico internazionale e ordine pubblico interno, per non considerare altre varianti, come l’ordine pubblico attenuato, laddove è nostra convinzione che l’ordine pubblico sia uno, similmente all’ordine giuridico, laddove l’eterogeneità è unicamente delle fonti che concorrono a formarlo, il che non consente in ogni caso di superare il suo carattere unitario che si fonda sulla prospettiva dell’unicità del sistema ordinamentale integrato. Sul tema, particolarmente interessante, anche per la prospettiva privatistica che viene privilegiata, è l’analisi di G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso e concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019, spec. p. 15-90, laddove si rileva che “quanto si discorre di ordine pubblico nel diritto internazionale privato si fa solitamente riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale come concetto squisitamente interno, il quale si comprende dei princìpi fondamentali dell’ordinamento di volta in volta rilevanti (alla luce delle circostanze storiche e del caso concreto), la cui applicazione è considerata dall’ordinamento essenziale in ogni rapporto giuridico al punto da far cedere la volontà di apertura dell’ordinamento Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 637 Di contro, è imprescindibile una valutazione in concreto degli interessi coinvolti nella vicenda familiare di volta in volta presa in considerazione, e ciò al fine di accertare se i suddetti principi di ordine pubblico debbano cedere il passo di fronte ai diritti fondamentali che risultano sottesi alla concreta dinamica familiare. In quest’ultimo senso, con specifico riguardo ai rapporti poligamici, la opportuna valorizzazione della tutela del figlio e, ancor più, del minore impone un atteggiamento remissivo, non potendosi ammettere una prevalenza di altri valori e principi a discapito dei diritti fondamentali di quest’ultimo soggetto47. Proprio in questa prospettiva, il superiore interesse del minore assume un ruolo dirimente, operando, da un lato, quale clausola generale che consente la migliore decisione del caso concreto48 e, dall’altro stesso al riconoscimento degli effetti di leggi e atti stranieri (nonché la comunemente avvertita necessità di favorire gli scambi internazionali)” (p. 82). 47 In contrasto con quanto si è detto sembra porsi la recente giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento degli atti di nascita formati all’estero utilizzando tecniche di maternità surrogata (Cass., Sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, c. 1951 ss., in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 741 ss., con nota di U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Fam. e dir., 2019, p. 653 ss. con nota di M. Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento ed in Familia, 2019, p. 369 ss., con nota di M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore), laddove, sostenendo opportunamente una (ri)valutazione del ruolo da attribuire ai valori domestici nella individuazione dell’ordine pubblico, si è affermato inopportunamente che la tutela del superiore interesse del minore può “costituire oggetto di contemperamento con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione può ben incidere sull’individuazione delle modalità più opportune da adottare per la sua realizzazione” (§ 13.3). Si tratta di una conclusione non condivisibile (così anche G. Ferrando, I bambini prima di tutto. Gestazione per altri, limiti alla discrezionalità del legislatore, ordine pubblico, in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 819 s.), che peraltro si pone in contrasto con l’advisory opinion della Corte di Strasburgo (Corte EDU, Grande camera, 10 aprile 2019, ric. P16-2018-001, in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 764 ss., con commento di A.G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale), laddove afferma che “In sum, given the requirements of the child’s best interests and the reduced margin of appreciation, the Court is of the opinion that […] the right to respect for private life, within the meaning of Article 8 of the Convention, of a child born abroad through a gestational surrogacy arrangement requires that domestic law provide a possibility of recognition of a legal parent-child relationship with the intended mother, designated in the birth certificate legally established abroad as the “legal mother”“ (§ 46). 48 È ormai un dato acquisito che il superiore interesse del minore, dapprima, intesto come criterio interpretativo, si è più di recente evoluto assumendo al contempo anche il ruolo di principio generale del sistema di tutela del minore idoneo a 638 The best interest of the child alto, costituendo esso stesso un principio di ordine pubblico49. Viene in tal modo definitivamente sconfessato l’assunto per cui il superiore interesse del minore sarebbe una nozione inafferrabile da vedere criticamente50, dovendosi piuttosto ribadire la centralità di tale concetto51, in grado di offrire l’unica soluzione del caso concreto che sia giuridicamente accettabile secondo giustizia, attribuendo effettività alle imprescindibili istanze di tutela dei diritti fondamentali in ambito familiare52. Proprio in contesti come quello in esame, e più in generale in quelle forme estreme di rapporti familiari che la realtà sociale presenta all’attenzione dell’interprete, emerge la rilevanza del principio del superiore interesse del minore, dovendosi emarginare e combattere con forza quelle opinioni secondo le quali si tratterebbe di una formula vuota, priva di significato e finanche pericolosa per la decisone del caso concreto. Quest’ultima è una impostazione irreale e dannosa, sconfessata dalla necessità di fornire una soluzione a interrogativi concreti, come quello del ricongiungimento familiare, della effettiva attuazione del costituire un autonomo parametro in base al quale fondare le decisioni assunte con riguardo al minore. 49 Erronea si rivela pertanto l’impostazione secondo cui “il preminente interesse del minore […] vale dunque ad integrare lo stesso concetto di ordine pubblico” come anche l’affermazione per cui “il principio del superiore interesse del minore opera necessariamente come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine pubblico” (entrambe gli assunti si trovano in Cass. 31 maggio 2018, n. 14007, in Foro it., 2018, I, c. 2717 ss.), atteso che sotto questo punto di vista il superiore interesse del minore, lungi dal costituire in Giano bifronte, che nel contempo integra e limita l’ordine pubblico, è esso stesso, come detto, principio di ordine pubblico. 50 In questo senso, di recente, L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss. 51 Tra i contributi dedicati al superiore interesse del minore in una prospettiva di sistema, cfr. G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1604 ss.; G. Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Pol. dir., 1998, p. 167 ss.; E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. e dir., 1999, p. 80 ss. Più di recente, un quadro per lo più ricognitivo è offerto da G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss. 52 Sembra quindi da approvare quella impostazione che evidenzia l’impossibilità di intendere il superiore interesse del minore come concetto astratto, dovendosi piuttosto fare riferimento ad una valutazione caso per caso, che esalti le peculiarità del caso concreto (in questo senso v. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 346; nonché Id., Interesse del minore e “statuto” dei suoi diritti, in Studi in memoria di Gino Gorla, II, Milano, 1994, p. 1767, dove si afferma che “l’apprezzamento dell’interesse del minore dev’essere lasciato alla valutazione casistica delle circostanze presenti nell’ipotesi concreta, sì da individuare di volta in volta l’effettiva tensione di sviluppo”). Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 639 diritto alla bigenitorialità e, ancora della tutela dei bisogni del minore stesso, a fronte dei quali solo tramite un precetto elastico come quello del superiore interesse del minore sembra possibile dare una risposta efficiente alle istanze di tutela di quel soggetto debole che è il minore. Bibliografia Achille D., Primato del diritto europeo e tutela dei diritti fondamentali nel sistema ordinamentale integrato, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1894 ss. Badiali G., Ordine pubblico (dir. int. priv. proc.), in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, p. 5 Badiali G., Ordine pubblico e diritto straniero, Milano, 1963, p. 210 Bianca C.M., Diritto civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 208 Bianca C.M., I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, in Giust. civ., 2001, I, p. 591 ss. Bianca C.M., I parenti naturali non sono parenti? La parola torna alla Corte Costituzionale, in Giust. civ., 2000, I, p. 2743 ss. Bianca C.M., La filiazione in generale, in La riforma del diritto di famiglia (Atti del I Convegno di Venezia), Padova, 1967, p. 183 Bianca M., La buona fede nei rapporti familiari, in P. Sirena – A. Zoppini (cur.), I poteri privati e il diritto della regolazione, Roma, 2018, p. 168 Bianca M., La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore, in Familia, 2019, p. 369 ss. Campiglio C., Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 43 ss. Carrano R., Lo stato giuridico del figlio e il nuovo statuto dei diritti del figlio, in Giust. civ., 2011, II, p. 183 ss. Cassoni G., Considerazioni sugli istituti della poligamia e del ripudio nell’ordinamento italiano, in Riv. not., 1987, p. 233 ss. Colaianni N., Poligamia e principi del “diritto europeo”, in Quad. di dir. e pol. eccl., 2002, p. 228 De Gaetano V.A., La giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul diritto al rispetto della vita familiare, in P. Perlingieri – G. Chiappetta (cur.) Questioni di diritto della famiglia e dei minori, Napoli, 2017, p. 70 De Nova G., Il contratto alieno2, Torino, 2010 Dogliotti M., Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri, in Fam. e dir., 2019, p. 653 ss. Dosi G., Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1604 ss. Falzea A., Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 941 ss. Falzea A., Problemi attuali della famiglia di fatto, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 135 ss. 640 The best interest of the child Ferrando G., Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Pol. dir., 1998, p. 167 ss. Ferrando G., I bambini prima di tutto. Gestazione per altri, limiti alla discrezionalità del legislatore, ordine pubblico, in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 819 s. Ferrando G., Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. e dir., 2019, p. 653 ss. Galoppini M., Ricongiungimento familiare e poligamia, in Dir. fam. pers., 2000, p. 739 ss. Grasso A.G., Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 764 ss. Grondona M., Il matrimonio poligamico, in G. Ferrando (dir.), Il nuovo diritto di famiglia, I, Bologna, 2007, p. 501 s. Kennedy D., Theree Globalizations of Law and Legal Thought:1850-2000, in D. Trubek – A. Santos (cur.), The New Law and Economic Development. A Critical Appraisal, Cambridge, 2006, p. 19 ss. Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss. Lipari N., I rapporti familiari tra autonomia e autorità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 937 Marella M.R. – Marini G., Di cosa parliamo quanto parliamo di famiglia, Bari, 2014, p. 19 ss. Morozzo Della Rocca P., Alterità nazionali e diritto alla differenza, in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 77 Nicolussi A., Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008, p. 936 ss. Perlingieri G. – Zarra G., Ordine pubblico interno e internazionale tra caso e concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019 Perlingieri G., In tema di rapporti familiari poligamici, in Dir. succ. fam., 2019, p. 821 ss. Perlingieri P., La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e l’equiparazione alla famiglia legittima, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 144 Petralia V., La dimensione culturale e religiosa dei modelli familiari. Il caso dei matrimoni poligamici, in Dir. fam. pers., 2016, p. 607 ss. Quadri E., L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, p. 80 ss. Rescigno P., La comunità familiare come formazione sociale, in Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 361 ss. Rescigno P., La comunità familiare come formazione sociale, in Rapporti personali nella famiglia, Roma, 1980, p. 348 ss. Rescigno P., Le formazioni sociali intermedie, in P. Rescigno, Persona e comunità, III, Padova, 1999, p. 16 Rizzuti M., Il problema dei rapporti familiari poligamici. Precedenti storici e attualità della questione, Napoli, 2016 Profili della filiazione nelle famiglie poligamiche 641 Salanitro U., Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Fam. e dir., 2019, p. 653 ss. Senigaglia R., Il significato del diritto al ricongiungimento familiare nel rapporto tra ordinamenti di diversa “tradizione”: i casi della poligamia e della kafala di diritto islamico, in Eur. e dir. priv., 2014, p. 564. Sicchiero G., La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss. Stanzione P., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 346 Stanzione P., Interesse del minore e “statuto” dei suoi diritti, in Studi in memoria di Gino Gorla, II, Milano, 1994, p. 1767 Vercellone A., Più di due. Verso uno statuto giuridico della “famiglia poliamore”, in Riv. crit. dir. priv., 2017, p. 607 ss. Zoppini A., Tentativo d’inventario per il “nuovo” diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in E. Moscati – A. Zoppini (cur.), I contratti di convivenza, Torino, 2002, p. 1 ss. The same-sex parented family option. An outlook of the Italian case law Gianni Ballarani Summary – 1. Introduction – 2. The superiority of the child’s interest – 3. The superiority of the child’s interest in comparison with constitutional principles: the dignity-solidarity binomial – 4. The superiority of the child’s interest in the normative framework: the relationship between parents and children from the child-centric perspective of the Italian Family Law – 5. The judicial paths toward same-sex parenting, between rules and principles – 6. The same-sex parenting option in the regulatory context: what rights are denied to the child? – 7. Problematic issues concerning the misalignment between the legislative and judicial approach – 8. A more systemic problem: antithetical results, recursive balancing, and the risk of “positivization” of the precedent in a civil law context – 9. The particular system problem: contra legem actions, ex post evaluation of the child’s interest, and legitimation of expectations – 10. Conclusion. 1. Introduction Nowadays the complex context of dynamics of affections and the issue of same-sex parenting allow for an investigation of the relationship between the adult freedom of self-determination in the family sphere and the (best) interest of the children, whose emerging personalities are affected and influenced, in their developmental dynamics, by the choices of the adults. These include the adults who are, or are assumed to be, or want to be, their parents; as well as those who are legislators, legal scholars, and judges. This topic represents an important challenge for 644 The best interest of the child the “argumentation by principles” 1 and for the subsidiary role of the regulatory institutions2 (the legislator and courts), with regards to the freedom of self-determination of adults and the position of the child. 1 It is important to recall the path that has led to affirmation of the Drittwirkung of constitutional principles: it began with the reflections of those who first promoted a constitutionally-oriented reading of civil law as necessary, stimulating a radical renewal of traditional dogmatic tools and calling for a legislative technique founded on constitutional principles, through which society’s needs can penetrate into the legal order: S. Rodotà, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, p. 83 ff. P. Barcellona, Gli istituti fondamentali del diritto privato, Napoli, 1970, passim; Id., L’uso alternativo del diritto, I, Scienza giuridica e analisi marxista, II, Ortodossia giuridica e pratica politica, Roma-bari, 1973, passim; N. Lipari, Diritto privato. Una ricerca per l’insegnamento?2, Roma-Bari, 1974, p. XVI; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1983, passim). In this context, a fundamental role is played by the interpreter – the judge – who, as the guarantor of a new balance between legal regulation and reconstruction of reality, and through the persuasiveness of the argumentation, restores the connection with the social reality from which s/he draws value criteria, only apparently summarized in the elasticity of constitutional formulas, verifying the compliance of the rule with hierarchically superior principles: supranational, international and constitutional ones: N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 5 ff.; E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, passim; P. Femia (Ed.), Drittwirkung: principi costituzionali e rapporti tra privati, Napoli, 2018, passim; P. Perlingieri, Il diritto come discorso? Dialogo con Aurelio Gentili, in Rass. dir. civ., 2014, p. 781; Id., I principi giuridici tra pregiudizi, diffidenza e conservatorismo, in Annali Sisdic 1/2017, Napoli 2017, p. 1 ff. In this line of work, Constitutional and European principles are the new criteria to be taken as a reference point for decisions leveraging on the direct applicability (Drittwirkung) of the values that they express in the application processes of law (N. Lipari, Costituzione e diritto civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 1260). 2 The subsidiary function of the legal system, reflected in the principle of horizontal subsidiarity, aims to contain the intervention of the State within the limits of the efficiency of the action of private people. It expresses “the vicarious function of law with respect to the determinations of private people”: E. Del Prato, Principio di sussidiarietà sociale e diritto privato, in Giust. civ., 2014, p. 381 ff. The principle of subsidiarity can be understood, both as a principle of legitimacy for the interpreter to protect concrete situations not directly envisaged in specific regulatory provisions, but marked by interests worthy of protection, as well as a criterion of legitimization for the legislator to define the limits within which the action of private persons can be allowed. Although the natural soil giving rise the principle of subsidiarity was that of a patrimonial relationship (based on the Ordoliberal doctrine elaborated by the Friborg School: among many, L. Di Nella, La Scuola di Friburgo, o dell’ordoliberalismo, in N. Irti (Ed.), Diritto ed Economia, Padova, 1999, p. 171 ff.), the model is now extending itself into the family context. However, it should be noted that this can hardly be applied in the context of relationships between adults and children, due to the legal duty of child protection: R. Giampetraglia, Il principio di sussidiarietà nel diritto di famiglia, in M. Nuzzo (Ed.), Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, I, Torino, 2014 p. 329 ff.) G. Ballarani, La mediazione familiare alla luce dei valori della costituzione italiana e delle norme del diritto europeo, in Giust. civ., 2012, p. 495 ff. The same-sex parented family option 645 The essay attempts to offer a critical look at the recent Italian case law on same-sex parenting. First, it investigates the formula of the best interests of the child, as it has been interpreted in the Italian legal system. This section will begin to address the constitutional foundation of the (allegedly) superiority of the child’s interest. After identifying this foundation for the personality-solidarity binomial, the essay moves on to examine the superiority of the child’s interest in the normative framework. In this context, the analysis deals with how case law on same-sex parenting is applying the child’s interests standard. Here, it will focus on whether courts have tended to keep the child’s interest as a primary and preventive criterion, acting to limit the wishes of adults and their choices within a very narrow perimeter of rules, in harmony with current regulatory provisions, or whether, on the contrary, courts have adopted an adult-centric trajectory with regard to the freedom of self-determination of adults, consequently applying the child’s best interests in a secondary and remedial way. Finally, the essay focuses on whether the rights of children have been sacrificed in same-sex parenting rulings. The first aspect to be analysed is the legal meaning of the formula “the best interests of the child” (to a healthy and harmonious psychophysical development) in the way in which the Italian legal system has interpreted it 3. Considering that this formula plays a fundamental role both from the regulatory perspective, and from the judicial one, it is necessary to investigate its scope and the concrete meaning under which it must be accepted in the legal context. The purpose of this analysis is 3 On the legal concept of the best interests of the child, see among many, P. Stanzione, Minori (condizione giuridica dei), in Enc. dir., Annali IV, Milano, 2011, 725 ff.; G. Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Pol. dir., 1998, p. 169 ff.; F. Ruscello, La potestà dei genitori. Rapporti personali (artt. 315-319), in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1996, 78 ff.; E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, 80 ff.; M. Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, VI, t. 2, Milano, 2007, 93 ff.; P. Perlingieri, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli, 1979, 95 ff.; G. Ballarani, La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e princìpi), in P. Perlingieri, S. Giova (Eds.), Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità (Atti del 13° Convegno nazionale della SISDIC – Napoli 3-5 maggio 2018), Napoli, 2019, p. 317 ff.; Id., Diritti dei figli e della famiglia: antinomia o integrazione?, in Studi Giacobbe, II, Milano, 2010, p. 473 ff. 646 The best interest of the child to avoid the risk of degrading the expression to a mere style clause4 that can be easily used to justify contradictory situations and can be interpreted in a subjective and discretionary way. The analysis leads into a consideration of the function that the legal system as a whole (legislator and courts) is called to perform (as a mediator) between the need to guarantee proper protection of children and the need to respect the spaces of self-determination of adults who are partners in an affective relationship. In this perspective, the starting point is represented by the art. 3, paragraph 1, of the UN Convention on the Rights of the Child (UNCRC)5: “In all actions concerning children, whether by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration”. The best interests of the child formula is the basic element underlying the entire legal framework concerning children in the Italian, European and international legal systems. It is a general and flexible clause that commits the legal system and every institution to the protection of children, in general, and to the protection of a specific child in particular6. The concept of the superior interest of the child is, in 4 The principle of the best interests of the child has been strongly criticized in legal scholarship, due to its excessive vagueness, which allows for the risk of conflicting readings based on subjective discretion: Cf. Y. Benhamou, The New York Convention, le droit international et le juge français, in 2, La Semaine Juridique Edition Générale, 11 Janvier 1995, 321. It has induced scholars to define it as a “fairy-tale” concept (P. Ronfani, L’interesse del minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Soc. dir., 1997, 1, p. 55, where the Author takes up the famous expression of J. Carbonier, Note sous cour d’appel de Paris, 30 avril 1959, D. 1960, pp. 673 ff., spéc. p. 675.), or magic potion (I. Thery, New droits de l’enfant, the potion magique ?, in 2, Esprit , 1994.), or having an empty tautology (M. Dogliotti, Cos’è l’interesse del minore, in Dir. fam. pers., 1992, 1093), or again as a sort of discretionary passepartout (G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore, in Dir. fam. pers., 1995, 1604.); see also, among many, J. Eekelaar, Interests of child and child’s wishes: The Role of Dynamic Self-Determinism, in P. Alston (eds), The best interests of the child, Oxford, 1994, p. 57; I. Gaber, J. Aldridge, In the Best Interests of the Child: Culture, Identity, and Transracial Adoption, London, 1994, passim; C. Breen, The Standard of the Best Interests of the Child, The Hague, 2002, passim; M. Freeman, Article 3, Leiden – Boston, 2007, passim; Id., Why it remains important to take Children’s rights seriously, in The International Journal of Children’s Rights, 2007, p. 5 ss .; T. Buck, International Child Law, London, 2014, passim. 5 The Convention on the Rights of the Child, adopted by the General Assembly of the United Nations on November 20, 1989 with resolution 44/25, was then ratified in Italy with Law n. 176 of 27 May 1991. 6 G. Ballarani, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336 bis c.c.: il legislatore riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, in Dir. fam. pers., 2014, II, p. 841 ff.; A. Nicolussi, La filiazione nella cultura giuridica europea, in Id. (Ed.), Diritto civile della famiglia, Milano, 2012, 341 ff. The same-sex parented family option 647 fact, aimed at considering the specificity of the childwood as a broad temporal space, characterized by a presumptively continuous evolutionary path, in which the personality and identity of a person grow7. This is why the formula is projected towards the healthy and harmonious psychophysical development of the child8. 2. The superiority of the child’s interest The Italian legal system has accepted the formula of the “best interests of the child” in terms of the “superior” (or sometimes “prominent”) interest of the child. It has done so using comparative and relational words, which invoke the comparison with the interests of other people with their respective legal positions. This, however requires the identification of a constitutional justification in order to assess its acceptability and consequences. If the superiority of the child’s interest applies in relation to the interests of other subjects, the axis of reflection shifts towards balancing operations9 because the horizontal geometry10 of the constitutional “table of values” 11 does not allow for the abstract primacy of one value over another12. Indeed, balancing criteria must be applied every time that, 7 C. Ruperto, voce Età (diritto privato), in Enc. dir., XVI, Milano, 1977, vol. XVI, p. 85 ff. 8 P. Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 22; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti3, t. I, Napoli, 2006, p. 717 ff.; P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 127 ff.; V. Scalisi, Il valore della persona umana e i nuovi diritti della personalità, Milano, 1990, p. 43; G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, 2008, p. 5 ff. 9 Ex pluribus, ECHR, Odièvre vs. Francia, 13 February 2003, ric. 42326/1998, in www. hudoc.echr.coe.int; J. Long, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il parto anonimo e l’accesso alle informazioni sulle proprie origini: il caso Odièvre c. Francia, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 283 ff.; Corte cost. 16 November 2005 n. 425, in Fam., 2006, 161; ECHR, Godelli vs. Italia, 25 September 2012, ric. 33783/09, in www.hudoc.echr.coe.int; Corte cost. 18 November 2013 n. 278, in Fam. dir., 2014, 11 ff.; Cass. 21 July 2016 n. 15024 and Cass. 9 November 2016 n. 22838; Cass. S.U., 25 January 2017 n. 1946, www.italgiureweb.it. 10 R. De Stefano, Assiologia, cit., p. 377 ff.; V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto, cit., p. 1 ff. 11 A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 1991, p. 639 ff. 12 A. Baldassarre, Op. cit., p. 657 ff. 648 The best interest of the child between values, interests and principles (that are equal to each other13) “a simple coordination without sacrifice or subordination of one to the other is not possible ” 14. 3. The superiority of the child’s interest in comparison with constitutional principles: the dignity-solidarity binomial Since, as stated above, it is necessary to analyse the assumed superiority of the child’s interest in light of constitutional principles, the analysis must be oriented primarily under the “open-scheme case”15 of Article 2 of the Italian Constitution16, according to which the personalist principle is linked to that of solidarity. The main element that allows the superiority of the child’s interest to be affirmed derives from the constitutional provision that includes children in the concept of human person (Article 2) – the primary value in the constitutional framework17 – but with their own, unique specificity (Articles 30, 31 and 37 of the Constitution). The anthropocentric vision on which the architecture of the constitutional principles rests18 is revealed by the connection between the personalist principle and that of solidarity, set in Article 2 of the Constitution. Individual and community interests, like an inseparable hendiadys, merge together to form the indissoluble binomial 13 R. De Stefano, Assiologia (Schema di una teoria generale del valore e dei valori), Reggio Calabria, 1982, passim, now published in Id., Scritti sul diritto e sulla scienza giuridica, Milano, 1990, p. 353 ff.; Id., Il problema del diritto non naturale, Milano, 1955, passim; V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto (Rileggendo Rodolfo De Stefano), in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 1 ff. 14 G. Oppo, L’esperienza privatistica, in Atti del Convegno Linceo I principi generali del diritto (Roma, 27-29 maggio 1991), Roma, 1992, p. 220. 15 N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1265. 16 C.M. Bianca, Diritto civile, I, cit., Milano, 2002, 136 ff.; S. Cotta, voce Soggetto di diritto, cit., 1225 ff.; G. Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, cit., p. 185. 17 P. Perlingieri, La personalità umana, cit., p. 22; V. Scalisi, Complessità e sistema delle fonti di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2009, I, p. 147 ff.; C.M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 136 ff.; S. Cotta, voce Soggetto di diritto, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 1225 ff.; G. Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, in Opere di Giuseppe Capograssi, V, Milano, 1959, p. 185. 18 V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio «personalista» in Italia e nell’Unione Europea, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 145 ff.; Id., Il diritto naturale e l’eterno problema del diritto giusto, in Eur. dir. priv., 2010, p. 448 ff.; L. Mengoni, Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 5 ff.; L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2002, p. 35). The same-sex parented family option 649 dignity-solidarity19, which forms the axiological foundation of the constitutional system20 and represents the principal inspiration and criterion for every other constitutional principle21. This reveals the anti-individualistic tenor of the constitutional system, which prevents the human person from being considered an “entity” detached from the social system itself, as if it were an absolute monad22. Therefore, in a system that aims to govern interpersonal relations through the link between personhood and solidarity, the superiority of the child’s interests is rooted in the State’s primary function, such as protecting the weak23. The State has to assure that the physical and mental integrity of people will be protected (Article 32 of the Constitution), especially in the moments of greatest weakness and fragility in human life, such as childhood, the period of maximum development of the personality. 4. The superiority of the child’s interest in the normative framework: the relationship between parents and children from the child-centric perspective of the Italian Family Law As the family law framework has adapted to constitutional requirements24, the link between the superiority of the child’s interest and the 19 F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali e nuovi principi: sussidierietà, autodeterminazione, ragionevolezza, in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 18. 20 P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, II, cit., p. 433 ff. 21 F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali, cit., p. 9 ff.; R. Nicolò, voce Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 248; G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della famiglia, Napoli, 2018, p. 79 ff. 22 F.D. Busnelli, Idee-forza costituzionali, cit., p. 18; S. Cotta, Il diritto naturale e l’universalizzazione del diritto, in Iustitia, 1991, p. 1; G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della famiglia, cit., p. 79 ff. 23 D. Poletti, Soggetti deboli, in Enc. dir., Ann. VII, Milano, 2014, p. 962 ff. 24 The constitutionally oriented reading of the civil law has led to the gradual move beyond the concept of parental authority, establishing the conditions for a radical inversion of the trend in analyzing the legal position of the parents vis-à-vis that of the child: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, I, cit., p. 114 ff.; Id., Depatrimonializzazione e diritto civile, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1 ff.; C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 329 ff.; G. Giacobbe, Le nuove frontiere della giurisprudenza, Milano, 2001, pp. 461 ff., 581 ff., 629 ff.; G. Ballarani, Sub art. 155 c.c., in S. Patti, L. Rossi Carleo (Ed.), Provvedimenti riguardo ai figli, art. 155 – 155-sexies, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2010, p. 28 ff.; Cf., among many, Cass. 17 April 2008, n. 10094; Cass. 11 January 1978 n. 83; Cass. 2 June 1983 n. 3776, in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 39 ff.; Corte cost. 27 March 1992, n. 132, in Quad. dir. pol. eccl., 1993, 3, p. 685 ff. 650 The best interest of the child personalist and solidarity principles has stimulated a redetermination of the normative paradigms that apply to the relationship between adults and minor-age people (especially parents and children), with child-centricity dominating (an outcome neatly summarized in the “favor minoris” formula). These principles, codified into legislations, were then given concrete application in case law. This child-centred, constitutional-based approach to the relationship between adults and children has made it possible for a plurality of new concepts to emerge, in both the regulatory and judicial fields, which aim to supplement the available tools for governing situations involving a child, as well as to orient the action of the interpreter in the solidarity-based and altruistic perspective of constitutional principles: - the right of the child to grow up in his or her family, pursuant Article 1 of the adoption law (Law no. 184/1983)25; - the right of an adopted child to know his or her origins, as a direct corollary of the inviolable right to personal identity, established by the adoption reform (Law no. 149/2001); - the concept of “affective continuity” as derived from the reform of the Italian family custody law in relation to adoption26 (Law no. 173/2015); - the child’s right to have (the affectionate and educational contribution of) two parents (“bi-parenting”) in the context of the crisis of couple relationships27, established by Law no. 54/2006 and confirmed most recently by Legislative Decree no. 154/2013; - the affirmation, in the same above regulatory context described above, of the child’s right to be heard during legal proceedings28; and, finally, the definitive affirmation, under the reform of the children’s Law no. 219/201229, of the child having homogeneous sta25 G. Ballarani, L’adozione che verrà, in L’adozione che verrà (Atti del Convegno Nazionale del CIAI, Università di Milano Bicocca, 14 novembre 2016), Milano, 2016, p. 11 ff. 26 M. Dogliotti, Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili, nell’interesse del minore, in Fam. dir., 2015, p. 1107 ff. 27 G. Ballarani, Sub art. 155 c.c., cit., p. 28 ff.; A. Morace Pinelli, I provvedimenti riguardo ai figli. L’affidamento condiviso, in C.M. Bianca (Ed.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 687 ff. 28 G. Ballarani, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto, cit., p. 841 ff. 29 Ex pluribus C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1 ff.; E. Giacobbe, Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni sulla Riforma “Bianca”, in Dir. fam. pers., 2014, p. 817 ff.; G. Ferrando, La legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in www.juscivile.it, 2013, 2, p. 132 ff.; M. Bianca (Ed.), The same-sex parented family option 651 tus30(whether born to married couples or not), and a related remodulation of the traditional concept of parental authority in the new terms of parental responsibility31, as provided by the new statute on children’s rights32. This reform, in keeping with a move toward harmonization with European legal standards33, included affirmation of the concept of “social parenting”, which extends liability to anyone (including both individuals and organizations) who takes care of the child. The flexibility of all these concepts allows for divergent interpretations, depending on the perspective (child-centric or adult-centric) that is chosen, consequently leading to opposite results in the case law. From the child-centric perspective, the child’s interest is always taken as a primary criterion, aimed at preventing the production of a vulnus. On the contrary, from an adult-centric perspective, the child’s interest can be taken as a secondary criterion, applied to a vulnus which, however, has already been produced. Although initially lawmakers and courts converged in applying a child-centric perspective, more recently an intrinsically adult-centric approach seems to be emerging as dominant in the matter of same-sex parenting. Courts, making recourse to the plurality of the new con- Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, passim; M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 231 ff. 30 G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, cit., pp. 4 ff. and 38 ff.; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, t. II, cit., Napoli, 2006, pp. 735 ff. and 944 ff.; C.M. Bianca, Diritto civile, I, cit., pp. 157 ff., 233 ff., 236 ff.. 31 C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, cit., p. 3; G. Ballarani, P. Sirena, Il diritto dei figli di crescere in famiglia, cit., p. 534 ff.; G. Recinto, Genitori e figli tra tendenze interne “adultocentriche” e spinte “minorecentriche” della Corte EDU, in F. Dell’Anna Misurale, F.G. Viterbo (Ed.), Nuove sfide del diritto di famiglia. Il ruolo dell’interprete (Atti del Convegno di Lecce del 7-8 aprile 2017), Napoli, 2018, p. 75 ff., spec. p. 86; Id., Le genitorialità, 2016, p. 11 ff. 32 M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 231 ff.; G. Ballarani, P. Sirena, Il diritto dei figli di crescere in famiglia, in Nuove leggi civ. comm., 2010, p. 534 ff.; G. Giacobbe, G. Frezza, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato dir. fam., diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, G. Ferrando, M. Fortino and F. Ruscello (Ed.), t. 2, Separazione e divorzio, Milano, 2002, p. 1325. 33 European Council, Reg. November 27, 2003 no. 2201/2003; G. Ballarani, Diritti dei figli e della famiglia: antinomia o integrazione?, cit., p. 473 ff.; J. Long, L’impatto del Regolamento CE 2201/2003 sul diritto di famiglia italiano: tra diritto internazionale privato e diritto sostanziale, in Fam., 2007, p. 1127 ff.; Cass., 20 dicembre 2006 n. 27188, in Fam. dir., 2007, p. 697 ff. 652 The best interest of the child cepts referred to above, disregard the preventive criteria34, invoking constitutional and European principles in order to adapt the legal system to social changes, offering the results that they believe to be embraceable by society35. The individual self-determination of adults in the context of affective relationships have claimed and obtained ever greater recognitions in the European legal context, effecting a true Copernican revolution the effects of which extend from the family law system to that of children’s rights, opening the way for an implicit adult-centric view of the relationship between adults and children in the field of reproductive and parenting choices. The Italian legal system’s acceptance of the legitimation of homosexual loving relationships36 has led to the propagation of the related effects in the context of reproductive freedom (made concrete, beyond any ontological impediment, with the help of reproductive techniques). The now achievable desire to be parents and the related desire to be considered a parental couple are starting to be intend in the social context as an actual existential right, with resulting reflections on the pre-existing life, on the one hand, and on the nascent life, on the other. Taking the perspective of presumed unquestionability of the reproductive self-determination, legal scholarship and case law have been making the following deductions, through the propensity to argue by principles in the case law according to the Drittwirkung of constitutional values: 34 F. Di Giovanni, Il «diritto dei giuristi» e la complessità della realtà, in Rass. dir. civ., 2014, fasc. 3, p. 981 ff.; G. Doria, Pluralismo e verità della legge, in Giust. civ., 2014, fasc. 2, p. 394 ff.; P. Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un ripensamento metodologico, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 32 (2003), Milano, 2004, p. 26; V. Scalisi, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005, spec. p. 57; G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, pp. 16 ff. e 86 ff.; N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., pp. 21 s. 28 s.; Id., Costituzione e diritto civile, cit., p. 1272; P. Perlingieri, La «grande dicotomia» diritto positivo-diritto naturale, in P. Sirena (Ed.), Oltre il «positivismo giuridico» in onore di Angelo Falzea, Napoli, 2011, p. 87 ff., spec. p. 89; Id., Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Scirtti in onore di V. Buonocore, I, Milano, 2005, p. 635; A. Falzea, Complessità giuridica, in Enc. dir., Agg. I, Milano, 2007, p. 201 ff.; P. Grossi, L’identità del giurista oggi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 1089 ff., spec. p. 1095; 35 N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 24 f. 36 Ex multis, G. Ballarani, La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto. Una prima lettura critica, in Dir. succ. fam., 2016, p. 623 ff..; Id., Verso la piena autonomia privata in ambito familiare?, in Dir. succ. fam., 2019, p. 27 ff.; G. Perlingieri, Interferenze fra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in Rass. dir. civ., 2018, p. 101 ff.; Id., Discriminazione di coppie eterosessuali?, in Dir. succ. fam., 2019, p. 1 ff. The same-sex parented family option 653 the child’s right to grow up in a family37, derived from the child’s right to grow up in his or her own family38; - the adult’s right to have children, derived from the child’s right to have a family39; and, - the couple’s right to be considered parents, derived from the adult’s right to have children. The fundamental principles invoked to support these positions, presumed to derive from them, are principles that were initially part of the child-centric perspective, under which they were assumed to place limits upon the free determination of adults, such as: - parental responsibility40; - the related concept of “social parenting”; - the “affective continuity”41; and, - a child’s right to have two parents (“bi-parenting”). Thus, the results achieved by the case law through the argumentation by principles allow to verify if the original legal order aimed at the superiority and pre-eminence of the child’s interest has given way to an adult-centric path. - 5. The judicial paths toward same-sex parenting, between rules and principles Here, a preliminary look at the main case law in the field of samesex parenting is necessary in order to identify the most critical issues. The first case concerns a couple of women. After one of them gave birth to a child through in vitro fertilization (IVF), her partner asked (with the other’s consent) to be recognized as a parent under the “adoption in particular cases” provision (Article 44, paragraph 1, letter d) of Law no. 184/1983), which governs adoptions in cases where pre-adoptive custody is not possible. Although the impossibility of pre-adoptive custody had been consistently understood as the “factual impossibility”42 to implement cus37 Art. 315 bis c.c. 38 Art. 1, Law no. 184/1983. 39 Art. 1, comma 4, Law no. 184 del 1983; Corte cost., 6 July 1994, n. 281. 40 European Conuncil, Reg. November 27, 2003 n. 2201/2003. 41 Law no. 173/2015. 42 In the traditional reconstruction, in fact, the formula refers to the factual impossibility, 654 The best interest of the child tody, the court43 allowed the request by interpreting it broadly as a “legal impossibility”. More specifically, the court connected the lack or impossibility of a declaration of adoptability to the non-existence of a prior state of abandonment. In its decision, the court then relied on the need to guarantee the child’s right to “affective continuity”. The theory put forward by the court was then confirmed by the Italian Supreme Court of Cassaction (S.C.)44, which held that Article 44, paragraph 1, letter d) can be applied in cases where the pre-condition of a child’s abandonment does not exist (Article 7, paragraph 1, Law no. 184/1983). It was the view of the S.C. that the need to consolidate the emotional relation between the child and the parent’s partner should be emphasized. This interpretation of the legislative provision has been subjeted to various criticisms, first of all based on the exceptional nature of the provision regarding adoption in particular cases, which prevents its analogical interpretation (Article 14 of the Preliminary Provisions of the Civil Code45), as well as the risk of indiscriminately opening the way for distorted or abusive uses of the law, in accordance with what the S.C. has established in its decision46. referring to those hypotheses in which, besides the abandonment situation, there are de facto obstacles (particular character elements of the child, age of the child, disabled child) that prevent pre-adoption custody and full adoption. In this perspective, unfailing conditions remain the state of abandonment and the declaration of adoptability: T. Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014, p. 399; M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 2002, p. 807 ff.; L. Rossi Carleo, L’affidamento e le adozioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, p. 397 ff.; P. Vercellone, La filiazione legittima, naturale, adottiva e la procreazione artificiale, in Tratt. dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, 1987, p. 194. Cf. G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, Napoli, 2018, p. 17 ff. 43 Trib. min. Roma, 30 July 2014 n. 299, among many in Rass. dir. civ., 2015, p. 679 ff. In the same sense, cf. Trib. min. Roma, 22 October 2015, among many in Foro it., 2016, p. 339 ff.; Trib. min. Roma 23 December 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 969,. 44 Cass. 22 June 2016, n. 12962, among many in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1218 ff., with annotation by G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento a prima lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016. In this case law, the S.C. recall two precedents of ECHR: 27 April 2010, ric. 16318/2007, Moretti and Benedetti vs. Italia, in www.hudoc.echr.coe.int, and 19 February 2013, ric. 19010/2007, X and others vs. Austria, in Giur. it., 2013, 1764 ff.; in Nuova giur. civ. comm., I, 2013, 519 ff. 45 Cass. 2 February 2015, n. 1792. Upon the exceptional nature of a rule, see, among many, P. Perlingeri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 102; 46 Cf. Cass. 27 September 2013, n. 22292, in Guida dir., 2013, fasc. 46, p. 34 ff.; Cass. 2 February 2015, n. 1792, cit.; Trib. Min. Piemonte e Valle d’Aosta, 11 September 2015, nn. 258 e 259, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 205 ff.; Trib. Min. Milano 17 October 2016, n. 261; Trib. Min. Milano 20 October 2016, n. 268, in Nuova giur. civ. comm., 2017, The same-sex parented family option 655 The second case involved a couple of men who made use of surrogacy in a country where it was lawful. After obtaining a birth certificate from that country which indicated the two men as parents of the child, they requested registration of the birth in Italy, and the Public Official refused to produce it. This case differs from the erlier one, due to the prohibition (with criminal repercussions) of surrogacy and similar practices in Italy, established by Article 12, paragraph 6 of Law no. 40/2004. In this regard, the court47 stated that, despite of the prohibition of surrogacy under Law no. 40/2004, the best interest of the child in the continuity of his or her status must prevail over the international public order, in accordance with the definition recently handed down by the S.C. 48. As some scholars have pointed out, “according to a correct balance of values, there can be no axiological prevalence of the punitive logic towards the parents, over the logic of protecting the child, as the child itself is a person worthy of special protection”49. This interpretation is only acceptable if we carry out an analysis under an exclusively adult-centric perspective. After all, the “logic of the child’s protection as a person worthy of special protection” is precisely the same logic which underlies the criminal prohibition of surrogacy (Article 12, paragraph 6 of Law 40/2004) and which justifies the punishment established by this article. Furthermore, adhering to the proposed reconstruction also means legitimizing behaviour that is contrary to the law, transforming the decision to violate the prohibition into an act triggering a reward procedure. If it is true that the consequences of the illegal actions of adults should be managed in a way as not to prejudice the child50, when a reproductive procedure (in addiction to disposing, monetizing and objectifying on the mother’s body) ends with the act of transferring the child (like transferring a good), and the practice is subject to criminal p. 171; Trib. min. Potenza, 15 May 1984, in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 1039 ff.; Trib. Roma 22 December 1992, in Giur. merito, 1993, p. 924 ff.; App. Torino, 9 June 1993, in Dir. fam. pers., 1994, I, p. 165 ff.; Trib. min. Ancona, 15 January 1998, in Giust. civ., 1998, I, p. 1711 ff.; G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 21 ff. 47 App. Trento 23 February 2017, in Foro it., 2017, p. 1034. 48 Cass. 30 September 2016 n. 19599, among many in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 372 ff. 49 G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 72; A. Valongo, Nuove genitorialità nel diritto delle tecnologie riproduttive, Napoli, 2017, p. 91 ff. 50 P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale3, II, cit., p. 780. 656 The best interest of the child sanctions in Italy51 and condemned by the European Union52, a failure to recognize that the dignity of the human being (the dignity of the woman and that of the child) has been violated appears excessive53. The case was recently examined by the United Divisions of the S.C.54, which established that granting legal effect to the foreign jurisdictional measure establishing the relationship between a child born abroad by surrogacy and the intended parent (who has, it bears underscoring, no genetic connection with the child) is impermissible, due to the prohibition of the surrogacy provided by Article 12, paragraph 6 of Law no. 40/2004. This Article is the expression of the public order principle that safeguards adoption and the fundamental values of the human dignity of pregnant women. The protection of these values, not unreasonably considered to prevail over the interests of the child, in the context of a balancing carried out directly by the legislator – and which courts cannot replace with their own evaluation – does not mean that the intented parent cannot be recognized through other legal instruments, such as adoption in particular cases, provided by Article 44, paragraph 1, letter d) of Law no. 184/1983. The third case concerned a child born abroad to two women through IVF, one of whom donated the egg and the other carried the pregnancy. The women requested that Italy register the foreign birth certificate, which listed them both as mothers55 (under Article 28, paragraph 2, letter b) of Decree of the President of the Republic no. 396 ot 3 November 2000). This case, again, differs from the previous one because of the genetic link between the women and the newborn. 51 Cass. 11 November 2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 235 ff. 52 Cf. ECHR, Grand Chambre, 24 gennaio 2017, n. 25358/12 Paradiso and Campanelli vs. Italia, cit.: G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 74. On this, see the Report of the European Parliament of 17 December 2015 n. 115: “The Union expressly condemns the practice of surrogacy of maternity”, as well as the rejection of the “De Sutter” Report of the Children’s Rights related to surrogacy on 11 October 2016 by the Council of Europe (Doc. 14140 of 26 September 2016 ), condemning the practice as detrimental to human dignity. 53 It doesn’t seem to be possible to argue otherwise, including in reference to what the Constitutional Court has laid down (Corte cost. 10 June 2014, n. 162, in Corr. giur., 2014, p. 1062 ff.) in order to consider the rules of Law no. 40/2004 with its nonconstitutionally bound content. 54 Cass., United Divisions, 8 May 2019, n. 12193, in www.italgiure.giustiza.it. 55 Cf. Trib. Torino 21 October 2013 and App. Torino 29 October 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 441; then cf. Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.; in the same sense, in reference to public order, Cass. 15 June 2017, n. 14878, in Foro it., 2017, p. 2280. The same-sex parented family option 657 The matter concerns the concept of public order again, and the distinction between internal56 and international57 public order, in cases involving parental relationships based on rules that do not exist under the Italian legal system. According to the S.C, courts have to evaluate the international public order on the bases of fundamental constitutional principles and, “where compatible, [of] those [...] inferable from the Treaties and from the Charter of Fundamental Rights of the European Union, as well as from the European Convention of Human Rights” 58. So, “a contrast with the public order cannot be recognized merely for the fact that the foreign law is different from one or more provisions of the national law, because the standard of reference is not constituted by [...] rules by which the ordinary legislator exercises (or has exercised) its discretion in a determined area, but exclusively from the fundamental principles which are binding on the ordinary legislator”59. In this regard, the United Divisions of the S.C., in the more recent ruling mentioned above60, has specified that, when it comes to recognition of the effectiveness of a provision from a foreign jurisdiction, the compatibility with the public order (required by Articles 64 et seq. of Law no. 218/1995), must be assessed, not only in light of the fundamental principles of the Constitution and those enshrined in International and Supranational Sources, but also in light of how they have been adopted by the lawmaker in specific areas, as well as in the interpretations provided by the Constitutional and Supreme Courts. The work of synthesis and reconstruction of these Courts, indeed, gives shape to that “living law” (as a sort of Italian law of precedent) which cannot be ignored in the reconstruction of the notion of public order. All these standards as a whole express, infact, the set of values forming the foundation of the system at a given historical moment. 56 Which refers to mandatory internal rules as a limit on private autonomy: Cass. 15 June 2017, n. 14878, in Foro it., 2017, p. 2280, and Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit. 57 Cf. G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, in Corr. Giur., 2017, p. 190, and V. Barba, L’ordine pubblico internazionale, in Rass. dir. civ., 2018, p. 403 ff. 58 Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit. 59 Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit. 60 Cass., United Divisions, 8 May 2019, n. 12193, cit. 658 The best interest of the child Thus, in the case of a genetic link with the child, as established by the Supreme Court with the aforementioned judgment61, the failure to register the foreign birth certificate in Italy would entail non-recognition of the parental relationship in Italy, resulting in prejudice to the child, both in terms of the right to personal identity, as well as in terms of heredity, and inflicting upon the child a “lame legal position (...) bestowed by the decision of those who have followed a reproductive procedure that is not allowed in Italy” 62. In this context, the Supreme Court also invokes the child’s right to have two parents (“bi-parenting”), the right to “affective continuity”, the right to the continuity of the child’s status (with an argument related to Articles 13, paragraph 3, and Article 33, paragraphs 1 and 2 of Law no. 218/1995) and the right to personal identity. It failed to consider how this reproductive choice is, however, exactly contrary to the personal identity of the child himself. Likewise, the Supreme Court held that Article 269 of the Civil Code, according to which a child’s mother is the person who gives birth to that child, is no longer a fundamental principle of the Italian legal system, now that the genetic motherhood can be separated from biological motherhood. It further held that the heterosexual paradigm of parenthood is, likewise, not based on a fundamental principle63. Some further reflection on the relationship between favor veritatis, favor minoris, and favor affectionis is necessary. A recent ruling by the Constitutional Court64 on the constitutionality of Article 263 of the Civil Code, insofar as it failed to provide that challenging a person’s recognition of a child on falsehood grounds is only permissible when it is in line with the interest of the child, with reference to Articles 2, 3, 61 Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit. 62 Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit.; G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore, cit., p. 193; M. Porcelli, Il rapporto tra favor veritatis e favor affectionis nelle relazioni familiari, in F. Dell’Anna Misurale, F.G. Viterbo (Ed.), Nuove sfide del diritto di famiglia, cit., p. 139 ff.; G. Salvi, Percorsi giurisprudenziali in tema di omogenitorialità, cit., p. 67 ff. 63 Cass. 30 September 2016 n. 19599, cit., p. 53, states that “It is not possible to support the existence of a fundamental constitutional principle – in the sense of public order and, therefore, unalterable by the ordinary legislator – that could prevent registration of the birth certificate in Italy (omissis) by reason of an alleged ontological foreclosure [my italics] for same sex couples (linked by a stable emotional relationship) to welcome, nurture and even generate children”. 64 Corte cost. 18 December 2017, n. 272, in Dir. quest. pubb., 2018, 2, p. 191 ff.; see, also, Corte cost. 15 November 2019, n. 237, in www.cortecostituzionale.it. The same-sex parented family option 659 30, 31, 117 of the Constitution and article 8 of the ECHR, is illustrative. The Court held that it was unconstitutional for the search for truth in the parent-child relationship to prevail automatically over the interest of the child. After all, the necessary balancing entailed a comparative judgment between the interests underlying the verification of the truth of the status, and the potential consequences of this verification for the legal position of the child. The case concerned a married, heterosexual couple who resorts to a surrogacy practice abroad, by an hypothesis of so-called “total surrogacy of maternity”, in which the expectant mother has no biological connection with the child, while both clients are genetically linked to him or her. The Constitutional Court65 initially gave precedence to favor veritatis, considering it essential for the identity of the child, and removed the status that did not correspond to the biological truth. Later, however, it took a different approach, taking into consideration the child’s interest in relation to parenting, in accordance with the positions of the European Court of Human Rights66. Under the latter view, the personal identity of the child must be connected to his or her growth, and so, if the criterion of biological truth is not an absolute guarantee of protection of identity67, the false status filiationis must prevail over favor veritatis, as it is less harmful to the interest of child. The Constitutional Court adopted this approach, noting that a comparative evaluation of the truth against the concrete interest of the child was necessary, and gave priority to the genetic link of the child with the presumptive parents given the total surrogacy, notwithstanding the «high degree of negative value that our legal system reconnects to the surrogacy, prohibited by a specific penal provision»68. 65 Corte cost., 22 April 1997, n. 112, in Giur. cost., 1997, p. 1073 ff. 66 ECHR, Grand Chambre, 24 January 2017, n. 25358/12 Paradiso and Campanelli vs. Italia, cit.; ECHR, 26 June 2014, n. 65192/11, Mennesson vs. Francia, in Foro it., 2014, p. 561 ff.; ECHR, 26 June 2014, n. 65941/11, Labassee vs. Francia, in Resp. civ. e prev., 2014, p. 2041 ff. The same Court, adhering to the European position contrary to surrogacy and the indiscriminate exercise of the right to become parents, considers the removal of the child from the family nucleus already constituted only against a non-genuine relationship (short-term cohabitation) legitimated either in the absence of formalized constraints, or to avoid a concrete risk of injury to the physical or moral integrity of the child (instability of the relationship): ECHR, Grande Chambre, 24 January 2017, ric. n. 25358/12, par. 148. 67 Cf. Cass., 31 July 2015, n. 16222, in Dir. fam. pers., 2016, p. 119 ff. 68 Corte cost. 18 December 2017, n. 272, in www.cortecostituizionale.it. 660 The best interest of the child On the basis of these considerations, the Constitutional Court rejected the question challenging the constitutionality of Article 263 of the Civil Code, and held that the truth principle must be reconciled with the principle of the concrete interest of the child; so that, given the superiority of the child’s interest, a pre-established bond of affection must be preserved. According to the Court, the case was similar to adoption in particular cases regulated by Article 44, lett. b) of Law no. 184/1983, by reason of the marriage between the father of the child and the woman (in this case, only a genetic mother) and in accordance with the approach followed by the Supreme Court69, according to which Article 44 is “a system rule, which allows the adoption as often as it is necessary to safeguard the affective and educational continuity of the relationship between the adopter and the child”70. 6. The same-sex parenting option in the regulatory context: what rights are denied to the child? With reference to court rulings, it seems evident that the problem does not arise from the individualistic (i.e. non-solidaristic) desires of adults who resort to reproductive techniques prohibited in our legal system, but rather from the tenor of the answer provided by the interpreter in relation to the effects that these rulings produce on the interest (or, more properly, on the rights) of the child and on the desires of the adults. The question is resolved, in fact, in the answer provided by the interpreter: accepting requests for parental recognition from people “forced” to resort to reproductive practices abroad that are prohibited in Italy means granting ex post legitimisation of an unlawful action in a regulatory context that is markedly contrary. However, in order to correctly classify the problem, two phases need to be distinguished in the comparison between the interest of the child and the free reproductive determination of adults: the first is linked to the pre-reproductive choice as a couple’s elaboration; the second is linked to the effects of a court’s acceptance of this choice in relation to the child. The first phase, in which there is a desire for a future life, seems to fall into a (apparent) normative grey area, in which a sort of “pre-reproductive responsibility” cannot be identified due to the absence of 69 Cass., 22 June 2016, n. 12962, cit. 70 Cf. L. Cucinotta, La difficile ricerca dell’identità, cit., p. 191 ff. The same-sex parented family option 661 the individual bearing potentially opposing interests. In the Italian constitutional system, the protection of the person starts with conception71, and so, before conception has occurred, it seems, prima facie, that there are no obstacles to any particular reproductive determination. Thus, to see whether the Italian legal system prevents some choices of adult parenting projects, if we consider Article 1, paragraph 20 of Law no. 76/201672, and Article 573 and 12, paragraph 674 of Law no. 40/2004, a statutory pattern is revealed: one that (at the moment) prevents any same-sex parenting option, deeming it contrary to the interest of the child and aiming at preventing injury to born child. With reference to the second phase, during which attention shifts to the born child, the couple’s request to be considered a parental couple is highlighted. Such requests, made by couples in the interest of the child, need to be considered in light of the provisions indicated above, in order to verify whether the legal system’s traditional child-centric approach is being maintained unaltered by the courts vis-à-vis the reproductive self-determination of adults, or whether it is, rather, being sacrificed on the altar of the adult’s utilitarianism75. This creates a need to evaluate the 71 See, among many, Corte cost. 18 February 1975 n. 27, in Foro it., 1975, I, c. 515 ff.; Corte cost. 10 February 1997 n. 35, ex pluribus in Giur. cost., 1997, I, p. 281 ff. Cf. G. Ballarani, Nascituro (soggettività del), in Enc. bioetica, IX, Napoli, 2015, p. 136 ff. 72 Paragraph 20 of the Article 1, Law no. 76/2016 excludes access to legitimizing adoption (Law no. 184/1983) to same-sex couples: cf. G. Ballarani, La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto, cit., p. 638. 73 In establishing the requirements for access the IVF, the law establishes that “Without prejudice to the provisions of Article 4, paragraph 1, couples of adults of different sex, married or cohabiting, potentially of legal age, may have access to medically assisted reproduction techniques if fertile and both living”. 74 This article establishes that “Anyone, in any form, who realizes, organizes or advertises the marketing of gametes or embryos or maternity surrogacy is punished with imprisonment from three months to two years and with a fine from 600,000 to one million euros”. Cf. E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione umana al dominio volontaristico sul corso della vita, in Dir. fam. pers., 2016, p. 590 ff. 75 In this sense, cf. G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della famiglia, cit., p. 79 ff.; Id., La responsabilità genitoriale e l’interesse del minore (tra norme e princìpi), cit, p. 317 ff. Recently similar considerations was followed by the Constitutional Court 23 October 2019, no. 221 (available on www.cortecostituzionale. it) which rejected the question of constitutional legitimacy of some provisions of Law no. 40 of 2004 which limit access to PMA procedures to different-sex couples (including, especially, Articles 4, 5 and 12), stating that those limitations does not represent a sort of discrimination on the basis of sexual orientation. According to the Court, this Law is based on two fundamental ideas. The first is expressed by Article 1 which, in addition to providing that the law must “assures the rights of all the subjects involved, including the conceived”, stipulates that “recourse to PMA 662 The best interest of the child validity of the reasoning adopted by courts in effecting their balancing operations, as well as the conformity of the judgments to the concrete, existential interest of the child, who is endowed with the same dignity and the same personal rights of those who desire to be parents. Since balancing always leads to a loss, it is necessary to identify which existential rights of the child are being sacrificed: - the right to the certainty of maternity established by Article 269, paragraph 3 of the Italian Civil Code and the right to search for paternity, established by Article 30, paragraph 4 of the Constitution. Although it is possible to renounce one’s parenthood or claim to be a parent, it is not possible to prevent the child from searching for the missing or effective parent (Articles 269 and 279 of the Civil Code), and maternal anonymity may also yield under certain conditions76; is permitted for purposes of favouring a solution to reproductive problems stemming from human sterility or infertility” (paragraph 1) and provided that “there are no other treatment options that can effectively eliminate the cause of the sterility or infertility” (paragraph 2)”. “The second concept concerns the structure of the family unit that stems from the techniques in question. Indeed, the law stipulates a series of subjective limitations on access to PMA, rooted in the transparent intent to ensure that the family unit in question follows the family model characterized by the presence of a mother and father (Article 4, paragraph 3, which, in order to ensure the existence of a biological link between the would-be parents and their offspring, stipulates a ban (which was, originally, absolute) on accessing heterologous PMA methods (that is, techniques that use one or more gametes from an “external” donor); Article 5 of Law no. 40 of 2004 establishes, in particular, that only “couples of persons over the age of eighteen, of opposite sex, who are married or cohabiting, of potentially fertile age, [and who are] both living” may have access to PMA.)” In the interpretation offered by the Court, those limitations does not represent a sort of discrimination on the basis of sexual orientation: “In general terms, legislative concern for guaranteeing respect for the conditions considered best for the development of the child’s personality certainly may not be considered irrational or unjustified. In light of this, the idea underlying the provisions under review, that a family ad instar naturae (with two parents, of different sexes, who are both living and of potentially childbearing age) represents, as a matter of principle, the most suitable “place” to welcome and raise the newborn, cannot be considered, in turn, to be arbitrary or irrational per se. And this has nothing to do with the capacities of a single woman, a homosexual couple, or a heterosexual couple advanced in age to effectively perform parental functions, if need be. By, in particular, requiring sexual diversity of the members of the couple, in order to have access to PMA – a condition that is, moreover, clearly an underlying assumption of the constitutional provisions on the family – the legislator also took stock of the level of acceptance of the phenomenon of so-called “omogenitorialità” [same-sex parenting] within the societal community, and concluded that, at the time the law was passed, there was no sufficient consensus on the matter”. 76 ECHR, Godelli vs. Italia, 25 September 2012, ric. 33783/09, in www.hudoc.echr.coe.int; Corte cost. 18 November 2013 n. 278, in Fam. dir., 2014, 11 ff.; Cass. 21 July 2016 n. The same-sex parented family option - - - 663 consequently, the child’s right to know his or her origins as an essential trait of his or her personal identity77, guaranteed by Article 28 of Law n. 184/198378; the child’s right to grow up in his or her own family, established by Article 1 of Law n. 184/1983, and the resulting conclusion that adoption is an extreme measure to resort to only after having ascertained that a child has been definitively abandoned79; and, the right to have two parents (“bi-parenting”), guaranteed by Article 337-ter of the Civil Code, in terms of the opposite genders of the parents80. 7. Problematic issues concerning the misalignment between the legislative and judicial approach To evaluate the conformity of the same-sex parenting option with the child’s interest, as well as the validity of the arguments used in the case law, investigating the balancing operation is of major importance. In order to establish the prevalence of one interest over another, this operation is done by resorting to interpretative criteria based on axiological principles81, interpreted according to the changeable indicia of the historical and social context. 15024 and Cass. 9 November 2016 n. 22838; Cass. S.U., 25 January 2017 n. 1946, www. italgiureweb.it. 77 M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in P. Sirena, A. Zoppini (Ed.), I poteri privati e il diritto della regolazione, I poteri privati e il diritto della regolazione. A quarant’anni da ‘Le autorità private’ di C. M. Bianca. Atti del Convegno Roma Tre (27 October 2017) – Bocconi (9 November 2017), Roma, 2018, p. 159 ff. 78 Corte cost. 18 November 2013 n. 278; Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272; Cass. 21 luglio 2016 n. 15024; Cass. 9 novembre 2016 n. 22838; Cass., United Divisions, 25 gennaio 2017 n. 1946; Cf. G. Ballarani, Modifiche all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184 e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita (ddl n. 1978), in Dir. fam. pers., 2017, p. 965 ff. 79 Corte cost. 6 July 1994, n. 281; G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della famiglia, cit., p. 100 ff. 80 As a parameter expressed by the law states on the shared custody of children in case of crisis of parental cohabitation, the right of the child to “bi-parenting” reflects implicitly the need for the child to have two parental referents of different sex because of the different contribution to the growth of a child in relation to his healthy and harmonious mental and psycal development (Art. 30, 31 and 37 Cost.): G. Ballarani, Sub art. 155 c.c., cit., p. 28 ff. 81 V. Scalisi, Assiologia e teoria del diritto, cit., p. 6; Id., Ermeneutica dei diritti fondamentali, cit., p. 147 s.; P. Perlingieri, La «grande dicotomia» diritto positivo-diritto naturale, cit., p. 92 s. 664 The best interest of the child However, to evaluate instances of recognition of same-sex parenting, balancing operations may have opposite results depending on whether an adult-centric or child-centric criterion is given precedence, although the same interpretative criteria based on the same axiological principles is used. This shows that the contrast between the legislative prohibition of same-sex parenting and the judicial tendency to allow it is explained by the contrast between the traditional child-centric orientation of the legislator and the adult-centric perspective of some judges who, in balancing operations, detach from or disregard the statutory provisions. 8. A more systemic problem: antithetical results, recursive balancing, and the risk of “positivization” of the precedent in a civil law context The statutory framework described above reveals a clear misalignment between the legislative and judicial tendencies in this area. In the framework of the Drittwirkung of constitutional and European principles, this misalignment is justified by the fact that the written law is only one of the standards82 that courts must evaluate, consider, and analyse in terms of reasonableness83 to provide a “socially acceptable”84 ruling. However, in these cases, in which the rulings justify openly unlawful actions by considering them compliant with the interest of the child, the hermeneutical investigation appears fragile, especially in light of the fact that the opposite conclusion could easily be reached on the basis of the selfsame principles85. 82 N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1264 s. 83 The principle of reasonableness is understood as “a criterion of argumentation inherent in the «very idea of ​​law», which operates (...) regardless of an express reference by the legislator” and also “in the absence of a specific provision that contemplates for the case itself or that solves it”: G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, cit., p. 15 and 96. 84 N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., p. 1271; Id., Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 24; contra, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza, cit., p. 22; for a different perspective, cf. P. Perlingieri, ius positum o ius in fieri: una falsa alternativa, in Rass. dir. civ., 2019, p. 1039 ss. 85 This demonstrates how the relationship between rule and principle, even if alternative, is not exclusive (nor dichotomous), being able to converge in the solution of the concrete case, guaranteeing the coherence of the system considered as a whole, as well as legal certainty: P. Perlingieri, Il diritto come discorso?, cit., p. The same-sex parented family option 665 In general, the cases in this area all reach nearly identical conclusions, despite the fact that balancing operations often naturally give rise to different outcomes. Although these cases can be read as the guarantee of a new legal certainty, they highlight the risk of “positivization” of judicial precedent, and of the interpretative procedure with which it is reached86, replacing the rigidity of the law with the rigidity of interpretative argumentation by principles and turning precedent into a new, judicial source of law87, even in a civil law context. 9. The particular system problem: contra legem actions, ex post evaluation of the child’s interest, and legitimation of expectations After having analysed the results of the case law from the perspective of the relationship between the self-determination of adults and the child’s best interest, it is necessary to take into account the compact statutory system which, from a child-centric perspective, currently prohibits any technique to prospectively achieve a samesex parenting option. With the birth of the child, however, according to the current legislative provisions, the prejudice to the child has already been produced. This reveals how, in the case law, the interest of the child is considered through an intrinsically secondary perspective, with a decidedly remedial nature. The courts evaluate this interest exclusively ex post, after the conduct has taken place. In this regard, it is necessary to consider how: 777 f.; A. Gentili, Il diritto come discorso, cit., p. 374; N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 28 f. 86 The risk is far from uncertain if we consider, on the one hand, the binding force of the precedent expressed by the United Divisions of the Court of Cassation for Simple Divisions (Legislative Decree no. 40 of 2 February 2006, and Article 374 of Code of Civil Procedure) and, on the other hand, the exclusionary force on the right of action of the art. 366 of Code of Civil Procedure: in legal scholarship it is not lacking to observe, in fact, how “the precedent adopted by the Constitutional Court or by the Supreme Court of Cassation, in their respective functions of centralized control of constitutional legitimacy and nomofilachia, have a persuasive value, due to the authority of the Courts and (...) a preclusive value for the purposes of the exercise of the right of action”: P. Perlingieri, I principi giuridici, cit., p. 23. Not by chance, “living law assumes the outcome of precedents as a presupposition of its analysis”: N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 29. 87 N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, cit., p. 3 and 28 f. 666 - The best interest of the child on a legislative basis, the conduct of adults is prohibited because it is detrimental to the child; - the case law moves from the need to resolve a conflict between divergent interests initially assumed to be equal (those of the adults and that of the child) and reaches the point of affirming the definitive prevalence of one person’s interest (the adult’s) over that of another (the child’s); and, - any outcome of the judgment (whether granting victory to one party or to the other), and of the balancing operation (giving precedence to the adult’s interest or to the child’s) fails to resolve the injury effected ab initio by the conduct of the adults to the detriment of the child (under current Italian law). Although the need to adopt a ruling according to justice must be oriented towards the concrete protection of the superior interest of a specific child in a given situation, the need to provide an answer (even a coherent and reasonable one) highlights a problem: in these cases, it seems that the preventive protection of the child’s interest (guaranteed by specific regulatory prohibitions applicable to adults), is not taken into primary consideration. In these cases, the child’s interest is invoked in a secondary way as a specific remedy for unlawful behaviour by adults. Therefore, if the cause is forbidden (because the legislator wants to prevent it from having any effect) but the judge legitimises the effect, the cause itself is also, implicitly, legitimised, generating expectations which are deemed legitimate, in the hope of being able to legalise them ex post through the work of the judge. In this way, attention is shifted from the conduct of the adults to the need to protect the interest of the child, at the same time downgrading that interest to the level of a mere tool, which may be used to legalise the conduct itself. In the context of same-sex parenting, making the self-determination of adults prevail over the interest of the child, the latter returns to a state of subjection, passively and irreversibly suffering the choice of adults and being injured in some of his or her existential rights, which are inviolable by definition. This injury takes place with the endorsement, not of the legal system as a whole, but of part of it: that part which is entrusted with the function of guaranteeing protection in concrete cases and which, regardless of being detached from the regulatory context and operating by principles, proceeds by implicitly adhering to an adult-centric reading of fundamental principles. The same-sex parented family option 667 Thus, the misalignment described is not between the law as rule and the principle as instrument, but rather between the ordering function of the law and the servant function of the interpreter which, in these cases, seems to swap the end with the means. The initial end was, is, and must remain the need to protect and guarantee the assumed superiority of the child’s interest in a healthy and harmonious mental and physical development; and the means to ensure its effectiveness were, are, and must remain the entire legal system, made up of rules based on principles, and of the axiological interpretation of the one through the other. 10. Conclusion In light of these considerations, it is finally necessary to observe that, when the story ends with the choice to deprive a child of a parental figure (replacing them surreptitiously with the partner of the parent) and of the contribution (mental and emotional) of a parent of the opposite sex, the object of verification cannot be the parenting ability or the suitability of a given adult or couple, but rather the conduct of the adults in relation to the interest of a specific child. This requires considering how, when court’s acquiesce to the requests of the adults, an injury to the child, beyond that predetermined by the choice of the adults, is produced in terms of the denial rights. The child is, in fact, in all such cases, deprived of the possibility of having two parental references of opposite sex (a mother and a father). Moreover, it is clear that refusal by a court may appear, in the concrete, to be contrary to the specific interest of that child; but the injury to the child is not determined by the court with its decision, but rather by the prior, unlawful conduct of the adults. The arduous task that falls to judges is not that of being kind, but that of being just in applying the law, and to distribute justice also through judgments that, paradoxically, today tend to go against the child, who is deprived of existential rights and of fundamental contributions to his or her healthy and harmonious development. Moreover, when debating the legitimisation of an adult or adult couple’s choice to irreversibly deprive a child, ab initio, of a parenting figure of one of the two sexes (a mother or a father), deeming the “figure” superfluous, or irrelevant, or in any case replaceable indifferently with a father-mother (parent 1) or with a mother-father (parent 2), and 668 The best interest of the child presuming that this corresponds to the child’s interest, a final thought emerges: would it be licit to acknowledge (beyond the political correctness, but within the bounds common sense) that the achieved results, even though rationally reasoned, appear substantially unfair? Have we not perhaps exceeded that invisible boundary line beyond which the right, however well reasoned, and founded, and placed, becomes unreasonable88? Abstract The essay offers a critical look at the recent Italian case law on same-sex parenting, investigating the relationship between the adult freedom of self-determination in the family sphere and the best interests of the child. After investigating the legal meaning of this formula as it is understood under the Italian legal system, the essay examines whether the original legislative framework aimed at the superiority of the child’s interest has given way, in the case law, to an adult-centric path. Moreover, this topic represents an important challenge for the “argumentation by principles” and for the subsidiary role of the legal institutions (Legislator and Courts), with regards to the freedom of self-determination of adults and the position of the child. 88 Moreover, the task of a system of regulation (both on the normative and on the interpretative front) must remain, at the same time, serving the value of the human person in a solidarity manner and ordering the conduct of people, marking a boundary between the lawful and the illicit, between the allowed and the interdict, even over what science and technology can allow: cf. G. BALLARANI, Nascituro, cit., p. 136 ff.; so that a recovery of convergence between lawmakers and judges would be necessary, as long as the normative datum is so connoted, without prejudice to the due solicitation by the interpreter to the legislator. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti Mirzia Bianca Sommario: 1. Premesse. – 2. La conferma del divieto della surrogazione di maternità quale strumento lesivo della dignità umana della donna e dell’istituto dell’adozione. – 3. L’eliminazione dell’automatismo della genitorialità e del giudizio in ordine al Best interest of the child. – 4. Il Best interest del nato da surrogazione di maternità e l’ordine pubblico. Riflessioni de jure condendo. – 5. La decisione della Corte Costituzionale n. 221 del 2019. 1. Premesse La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite che qui si commenta affronta l’annoso problema della contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione di un provvedimento straniero che attribuisce la qualità di genitore di due gemelli nati all’estero da surrogazione di maternità ad un soggetto privo di alcun legame biologico con i bambini (c.d. genitore di intenzione)1. Prima delle premesse, può essere utile per il lettore indicare sinteticamente i principali punti di diritto sostanziale della decisione che si commenta. Essi sono i seguenti: 1) Per ordine pubblico si intende “l’insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato periodo storico”, da intendersi come “il complesso delle norme della nostra Costituzione e dei principi consacrati nelle fonti nazionali e internazionali, nel modo in cui gli stessi principi sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria”, nell’opera di costruzione del c.d. diritto vivente; 2) il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata 670 The best interest of the child ed il genitore di intenzione si pone in contrasto con l’ordine pubblico “ in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione”; 3) La tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, “non esclude peraltro di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44 lett. d) della legge n. 184 del 1983. Nella decisione che si commenta, la trascrizione del provvedimento straniero viene ritenuta contraria all’ordine pubblico, in quanto lesiva della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione e tali valori vengono posti in posizione sovraordinata rispetto all’interesse del minore2. Nonostante questa affermazione di principio, ci si preoccupa dell’interesse del minore a mantenere un rapporto con il genitore di intenzione e si indica lo strumento dell’adozione in casi particolari3. Come chiarirò più chiaramente nelle pagine successive, non sono convinta che l’ordine pubblico che qui si afferma si ponga in competizione e quindi in contrasto con il best interest del minore nato da surrogazione di maternità, anche perché ritengo che il superiore interesse del minore, sebbene concetto indeterminato4, sia esso stesso principio di ordine pubblico5. La via indicata dell’adozione in casi particolari si presenta come tentativo di recuperare un interesse (del minore) di cui si è declamata la subordinazione rispetto al principio di ordine pubblico. Diverso problema è se l’adozione in casi particolari, nell’applicazione 2 Significativo al riguardo un passaggio della decisione in commento: “La tutela di tali valori [dignità umana della gestante e istituto dell’adozione], non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari”. 3 V. al riguardo M. Acierno – S. Celentano, La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla rivista telematica Questione giustizia in cui si rileva che così le Sezioni unite si pongono in linea con l’orientamento della Corte volto a tutelare la genitorialità omoaffettiva. 4 Lo considera concetto pericolosamente indeterminato G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, Nota a Corte cost. n. 272 del 2017, in Foro it. 2018, I, c. 21. 5 V. § il § 4 del testo. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 671 italiana della c.d. Stepchild Adoption, sia lo strumento più idoneo e in generale quali potrebbero essere gli strumenti alternativi6. I piani di lettura di questa decisione sono tanti: il contenuto dell’ordine pubblico7, tema che interessa ed avrà corollari significativi per altri istituti del diritto civile tradizionale; il rapporto tra ordine pubblico e interesse del nato da surrogazione di maternità; il tema della rilevanza della genitorialità di intenzione. Di questi ho deciso di non trattare il primo e di concentrarmi con varie riflessioni sugli altri. Il commento a questa decisione ha rappresentato sicuramente l’occasione per affrontare il significato oscuro del superiore interesse del minore8 con riferimento allo strumento della surrogazione di maternità e per fare riflessioni generali de jure condendo sui modi di instaurazione della genitorialità oggi, con un particolare focus sulla genitorialità di intenzione. A questi temi sono dedicate le pagine che seguono. Tra i risultati da salutare con favore vi è sicuramente la conferma della riprovazione sociale della surrogazione di maternità e il rilievo della dignità umana9. Altro importante risultato è l’aver sottratto il procedimento di instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore ad ogni automatismo e ad ogni presunzione, riportando quest’ultimo nel corretto binario della valutazione di concretezza10. Altro risultato di metodo e di impostazione assiologica è non aver considerato solo ed esclusivamente il profilo della violazione dell’ordine pubblico ma aver considerato e valutato la possibile realizzazione dell’interesse del minore. Tale interesse, se pure ritenuto recessivo rispetto all’ordine pubblico, non è stato dimenticato. Quanto questo gioco di equilibri sia stato raggiunto emergerà in queste pagine. Sicuramente nel mettersi in gioco la nostra Corte di Cassazione ha affrontato una delicata tematica che contiene in sé un ossimoro di fondo: la contrapposizione tra un giudizio di riprovazione verso un’attività che si pone in contrasto con i valori dell’ordinamento e la necessaria assunzione di responsabilità dell’ordinamento verso la soluzione della 6 Si rinvia al riguardo alle riflessioni contenute nel § 4 del testo. 7 Su questo profilo rinvio alla nota di G. Casaburi, cit. 8 Al best interest of the child è stato dedicato il Convegno internazionale e interdisciplinare che si è tenuto all’Università di Roma La Sapienza nei giorni 2022 settembre 2018, i cui atti sono pubblicati in questo volume. Una sintesi di quelle giornate è ben illustrata nella rivista Giudicedonna n. 1/2019. 9 V. il § 2 del testo. 10 V. il § 3 del testo. 672 The best interest of the child tutela del prodotto di questa attività illecita. Tale prodotto è un essere umano in carne ed ossa e come tale non è equiparabile al mondo delle cose11. In una relazione inedita ad un Convegno tenutosi qualche anno fa all’Università degli Studi di Roma Tre dedicato a questa delicata problematica12, avevo rilevato la tensione tra questi piani di analisi del problema, pur evidenziando la necessità di separare il giudizio sulla illiceità del contratto di maternità surrogata dalla valutazione sul migliore interesse del minore. Avvertivo allora la necessità di non considerare esaustiva la questione della contrarietà all’ordine pubblico e della repressione della maternità surrogata come si legge invece oggi in alcuni progetti di riforma13, abbandonando la questione principale che è da ritenersi la tutela del prodotto del contratto14. Al tempo stesso avvertivo la necessità di non farsi suggestionare dalla bella formula 11 Nel diritto romano che conosceva la schiavitù, sebbene la questione fosse stata vivacemente dibattuta, era prevalsa la tesi che negava la qualifica di frutto del parto della schiava e Gaio ne dà una spiegazione fondata sulla dignità umana che impediva l’equiparazione ai frutti delle cose: D. 22.1.28: absurdum enim videbatur hominem in fructu esse, cum omnes frutus rerum natura hominum gratia comparaverit (assurdo sembrava intendere l’uomo come frutto quando tutti i frutti delle cose sono stati considerati tali in funzione della natura dell’uomo). Non può che rinviarsi alle parole suggestive del compianto Maestro Giorgio Oppo, Diritto di famiglia e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 335: “Fecondazione e procreazione possono essere attuate in violazione di altri divieti posti dalla l. n. 40… La violazione di regole per cosi dire procedimentali non può mettere in forse lo stato del nato, stato che per quanto possibile, dovrebbe adeguarsi al suo interesse di uomo, protetto nella sua individualità”; sulla tutela del nascituro da procreazione assistita ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Vario diritto. Scritti giuridici VII, Padova, 2005, p. 45 ss., in cui l’argomentazione viene condotta attraverso l’individuazione di 7 quesiti e della risposta ad essi. 12 Si tratta della Relazione al Convegno: “Vita umana e mercato: la dignità del nascere”, tenutosi l’8 settembre 2016 presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il Convegno si inseriva nel ciclo di Seminari del XIII Simposio internazionale dei docenti universitari dedicato al tema: Diritti, Giustizia, Misericordia. Il video della relazione è stato pubblicato nella rivista telematica www.DIMT.it il 15 settembre 2016. 13 Vedi il disegno di legge Pillon sul turismo riproduttivo n. 1024 presentato il 25 gennaio 2019, Disposizioni contro il turismo riproduttivo. In tale disegno di legge, pur condividendo la ragione di fondo, ovvero l’esigenza di vietare l’abuso del turismo riproduttivo, trovo incredibile che non vi sia nemmeno una disposizione dedicata ai casi in cui il soggetto è già nato! 14 Deve al riguardo sottolinearsi che un ordinamento che si preoccupasse unicamente di sanzionare il fenomeno della maternità surrogata senza al contempo preoccuparsi di risolvere il problema del soggetto nato contribuirebbe a creare bambini in stato di abbandono tradendo il diritto del soggetto minore di età, riconosciuto a livello internazionale, ad avere una famiglia. Si rinvia al riguardo al mio contributo: Il diritto alla famiglia, pubblicato nel volume dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza dedicata ai 30 anni della Convenzione di New York sull’infanzia e l’adolescenza. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 673 del Best interest of the child per legittimare ex post le scelte degli adulti, a prescindere da una valutazione in concreto di quello che è realmente l’interesse del soggetto nato a seguito di maternità surrogata. Sicuramente è allora da salutare con favore la scelta delle Sezioni unite di non limitarsi a trattare la questione della violazione del principio di ordine pubblico e di affrontare il tema della sorte del soggetto nato. Questa scelta pone il nostro ordinamento in piena coerenza con gli altri Paesi del contesto europeo e con i principi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che da tempo evidenzia il problema, pur sottolineando la discrezionalità degli Stati membri nella scelta degli strumenti idonei a realizzare questo obiettivo15. Tale discrezionalità è stata di recente ribadita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel primo parere consultivo dato in materia (si trattava della medesima questione affrontata dalle Sezioni Unite) in applicazione del 16° Protocollo della Convenzione e sollecitato dalla Corte di Cassazione francese16, parere in cui, pur ritenendosi contrario al diritto alla vita privata (art. 8) del nato da surrogazione di maternità il mancato riconoscimento del genitore di intenzione, si è affermato, proprio in ragione della delicatezza della materia e della diversità di discipline, che gli Stati non sono vincolati a scegliere la via della trascrizione della nascita, pur essendo vincolati a dare una soluzione rapida ed efficiente al problema. La differenza è che, mentre la Corte europea afferma la lesione dell’interesse del minore, la Corte italiana, pur suggerendo il rimedio dell’adozione in casi particolari, sembra aver negato, almeno in linea di principio, la lesione del superiore interesse del minore al riconoscimento del genitore di intenzione17. Rimane da capire in generale quale 15 Tale discrezionalità emerge nell’orientamento costante della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dedicata a questa tematica. 16 V. Avis consultatif relatif à la reconaissance en droit interne d’un lien de filiation entre un enfant né d’une gestation pour autrui pratiquée à l’étranger et la mère d’intention du 10 avri 2019; si rinvia all’attenta analisi di H. Fulchiron, Premier avis consultatif de la Cour européenne des droits de l’homme: un dialogue exemplaire?, in Recueil Dalloz, 23 Mai 2019, n° 19. 17 V. al riguardo un passaggio significativo della decisione che si commenta, in cui, diversamente dalla Corte europea che afferma la lesione del diritto alla vita privata, cosi si esprime “Le predette violazioni non sono pertanto configurabili nel caso in cui, come nella specie, non sia in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d’intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l’inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale né l’accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell’altro genitore”. In generale la discontinuità rispetto al parere della Corte europea dei diritti dell’uomo, M. Acierno – S.Celentano, La 674 The best interest of the child è il superiore interesse del minore nato da maternità surrogata, se esso sia sempre quello ad avere i genitori intenzionali18 e se comunque l’ordine pubblico sia da ritenere contrastante con il superiore interesse del minore, come se fossero due principi contrapposti. 2. La conferma del divieto della surrogazione di maternità quale strumento lesivo della dignità umana della donna e dell’istituto dell’adozione Come si è detto, uno dei punti di grande positività di questa decisione è la conferma del disvalore della tecnica della surrogazione di maternità, considerata lesiva del principio di dignità umana della gestante. La Corte al riguardo non fa alcuna distinzione tra surrogazione a titolo oneroso e surrogazione a titolo gratuito. La riprovazione di questa tecnica è un risultato che emerge a livello di principi interni e internazionali e risulta confermata dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale19, in conformità con quella nozione complessa di ordine pubblico che la decisione richiama quale presupposto. La Corte di Cassazione in un’importante decisione a sezioni semplici del 201420 aveva già manifestato la contrarietà all’ordine pubblico e la lesione della dignità umana di questa pratica e la Corte Costituzionale ha confermato la riprovazione di questa tecnica confermandone il divieto21. La stessa Corte Costituzionale in una decisione riguardante il problema della legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, ha confermato la riprovazione di questa tecnica e la lesione della dignità umana della donna gestante22. Nella decisione che si commenta la contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla rivista telematica Questione giustizia, cit. 18 V. il § 4 del testo. 19 V. al riguardo l’importante contributo di M. Acierno, Le nuove genitorialità. Fonti e orientamenti giurisprudenziali, pubblicato sul n. 1/2017 della rivista Giudicedonna, contributo ricco di riferimenti di diritto interno e di diritto comparato. 20 V. Cass. 11 novembre 2014, n. 24001. 21 V. Corte cost. n. 162 del 2014. 22 V. Corte Cost. 18 dicembre 2017, n. 272 del 2017. Tale decisione è stata annotata in Foro it. 2018, I, c. 21 da G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, cit. v. anche i contributi di U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. comm., 2018, p. 552, S. Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 e ss. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 675 della nascita di bambini nati all’estero viene ricondotta alla lesione della dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione. La Corte non fa invece alcun riferimento alla dignità del nascituro23, riferimento che avrebbe determinato qualche corollario nel bilanciamento tra il principio di ordine pubblico e l’interesse del minore24. Il duplice riferimento alla contrarietà all’ordine pubblico per lesione della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione non è nuovo ma riproduce le argomentazioni che già la citata Corte di Cassazione a sezioni semplici nel 2014 aveva sostenuto a proposito di una questione analoga25. In particolare in quella decisione si era rilevato che la lesione dell’adozione veniva a concretizzarsi in fattispecie come questa, nel rilievo che il riconoscimento di una genitorialità non fondata su alcun dato biologico o genetico, trovava fondamento non già “nell’istituto dell’adozione, realizzata con le procedure proprie del procedimento giurisdizionale, ma sul semplice accordo delle parti”. Allora come oggi si affronta il tema della genitorialità disgiunta dal legame biologico per negare rilevanza all’atto di autonomia privata e al suo eventuale riconoscimento, individuando nel solo strumento dell’adozione la forza di creare una genitorialità disgiunta da qualsiasi legame biologico. In quelle riflessioni e in quelle attuali emerge un tema di assoluta importanza, ovvero la necessità di evitare che il figlio nato da maternità surrogata e privo di legami biologici con uno dei genitori sia trattato in maniera diversa rispetto al bambino sottoposto ad un procedimento di adozione. Inoltre la mancanza del legame biologico pone in termini generali il rischio dell’abuso di questa pratica26. E l’abuso di questa pratica, tralasciando atteggiamenti sanzionatori nei confronti di chi abbia alterato lo stato, incide inevitabilmente sul superiore interesse del minore alla veridicità e alla certezza del proprio stato di filiazione27. L’automaticità della 23 Il riferimento alla lesione della dignità del nascituro emerge complessivamente nell’ordinamento spagnolo sia dalla giurisprudenza (Tribunal supremo, 6 fev. 2014) sia nel Parere del Comitato di Bioetica del 2017. Per questi riferimenti preziosi, v. J. Ramon de Verda y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestion en el derecho espanol, Relazione al Convegno “The best interest of the child” in questo volume. 24 V. oltre nel testo. 25 V. la decisione citata alla nota 21 del testo. 26 Tali rischi sono evidenziati nel parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo, citato alla nota 15 del testo. Nel parere al punto 41 si fa esplicito riferimento alla decisione della Grande Chambre Paradiso Campanelli. 27 Per queste importanti riflessioni si rinvia alla relazione di G. Palmieri al Convegno 676 The best interest of the child trascrizione del provvedimento straniero, ove accolta, avrebbe creato uno statuto speciale del figlio nato da surrogazione di maternità28, sottraendo la procedura ad ogni indagine in ordine alla valutazione del reale e concreto interesse del minore. Senza contare che, come dirò a breve, l’automatismo della trascrizione di un provvedimento straniero di nascita da surrogazione di maternità tralascia il problema principale che in passato aveva interessato e animato il dibattito dei civilisti in ordine alla disarticolazione del titolo di maternità e del conflitto tra madre uterina e madre genetica29, problema che viene da tempo abbandonato e accantonato, quasi come si desse per scontato che la madre gestante sia esclusa dal rapporto di genitorialità. Quanto alla lesione della dignità umana della gestante, si tratta di principio la cui affermazione riveste un importante valore assiologico, anche se manca tuttavia nella decisione che si commenta una specificazione del perché sia stato lesa la dignità umana della gestante. Solo la risposta a tale quesito avrebbe reso più agile la distinzione tra la procedura di surrogazione di maternità e la fecondazione eterologa che, affermata in linea di principio, risulta tuttavia dai contorni incerti e piuttosto fumosi. Ma proprio la ricerca sulla ragione della lesività fa emergere l’elemento caratterizzante la surrogazione di maternità che è, per l’appunto, la gestazione (per altri), a prescindere dalle diverse tipotenutosi in Cassazione il giorno 13 Giugno 2018 “Genitori dello stesso sesso: interesse del minore e ordine pubblico nel riconoscimento di atti di nascita formati all’estero” e citato alla nota 1 del testo. 28 La necessità di evitare discriminazioni tra i figli è stata rilevata dalla dottrina non solo con riferimento alle famiglie in cui il figli nasce ma anche alle tecniche che vengono utilizzate per farli venire al mondo, v. già C.M. Bianca, Stato delle persone, in Procreazione artificiale e interventi sulla genetica umana, Atti del Convegno di Verona, 2, 3, 4 e 25 ottobre, Padova, 1987, p. 104 ss., ora pubblicato in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, Milano, 2002, p. 680, il quale, oltre a rilevare il problema dell’emarginazione del figlio nato da fecondazione artificiale, avvertiva della necessità di ricondurre queste tematiche alla centralità del codice civile. 29 V. al riguardo le riflessioni di Alberto Trabucchi, Cesare Massimo Bianca, Nicola Coviello, tutti volti a dare la prevalenza alla madre uterina. Indicazioni preziose su questo dibattito si trovano in C.M. Bianca, Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam., 1987, p. 955 e pubblicato ora in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, cit., p. 693 ss. Posizione autorevole e fuori dal coro quella del Maestro Giorgio Oppo, il quale riteneva prevalente la madre genetica committente: G. Oppo, Diritto di famiglia e procreazione assistita, cit., p. 334: “La partoriente dovrà “restituire il nato” a coloro che le hanno affidato l’embrione mentre nessun rapporto familiare di costituisce tra questi soggetti e la surrogata”. ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 50 ss. Sulla prevalenza della madre genetica, v. P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 193 ss. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 677 logie di maternità surrogata che rinviano alla utilizzazione di materiale genetico della gestante o di terzi30. Tale dato consente di marcare una sicura distinzione con il diverso strumento della fecondazione eterologa, dove l’attributo si riferisce evidentemente alla estraneità del materiale genetico e quindi al solo dato dell’utilizzazione del materiale genetico di altri e non già alla gestazione. La distinzione tra le due figure ha consentito alla Corte Costituzionale31 di provvedere contestualmente e nella medesima decisione alla rimozione del divieto di fecondazione eterologa e al mantenimento del divieto di maternità surrogata, operazione che presuppone, evidentemente, una distinzione assiologica e tecnica tra i due strumenti. Questa distinzione ci ha consentito in passato di rilevare le diverse problematiche giuridiche sottese alle due figure. Mentre la fecondazione eterologa riguarda il problema degli atti di disposizione del proprio corpo, la surrogazione di maternità attiene al diverso problema della disposizione degli status32. La principale ragione di lesione della dignità umana della donna gestante va quindi individuata nella commercializzazione o strumentalizzazione della maternità e nella considerazione della sua persona quale macchina per fare figli, riproponendo una forma moderna di schiavitù. Questo dato di lesione della dignità umana è stato evidenziato dal Comitato di Bioetica33, dalla dottrina34 e stigmatizzato in letteratura nel bel libro “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood35, racconto fantastico sulle donne ridotte in schiavitù e costrette a fare figli. La commercializzazione della maternità e quindi la rinuncia alla maternità è la causa principale della lesione della dignità umana della gestante e deve essere affermata a prescindere dalla natura onerosa o gratuita del contratto36 (questione 30 Correttamente e con la sua consueta lucidità G. Luccioli, La maternità surrogata, in Giudicedonna n. 1/2017, la quale rileva che “è soltanto con riferimento alla gravidanza ed al parto, e non alla provenienza del materiale genetico, che è ravvisabile un fatto di maternità surrogata”. 31 Corte cost. n. 162 del 2014. 32 V. la già citata relazione inedita citata alla nota 13 del testo. 33 V. Parere del Comitato di Bioetica del 18 marzo 2016, anche se si tratta di parere riguardante la surrogazione di maternità a titolo oneroso. 34 Ci si riferisce al bel saggio di A. Ruggeri – C. Salazar, “Non è lecito separarmi da ciò che è mio”: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in Consulta Online, n. 1/2017, p. 143. Riflessioni interessanti nel saggio di E. Lamarque, Navigare a vista: il giurista italiano e la maternità surrogata, pubblicato sulla rivista Giudicedonna n. 1/2017. 35 Apparso nella sua prima edizione nel 1985. 36 Alcuni Paesi, come di recente il Portogallo, hanno invece legalizzato solo forme di 678 The best interest of the child che correttamente non viene affrontata dalla Corte) e dal consenso della gestante al contratto di maternità surrogata, stante l’indisponibilità del principio di dignità umana, che si pone prima e al di sopra di ogni diritto fondamentale. La questione potrebbe avere diversa soluzione ove si ritenesse che la surrogazione di maternità, piuttosto che essere uno strumento di sfruttamento dell’utero di una donna, fosse concepito come un progetto condiviso37. Secondo questa impostazione, la surrogazione della maternità non sarebbe di per sé lesiva della dignità umana della donna, ma sarebbe anzi a tutela della sua dignità, intesa nella diversa accezione di libertà di autodeterminazione38. Non condivido questa nozione liquida di dignità, in quanto ritengo che la dignità, quale diritto dei diritti sia irrinunciabile, indipendentemente dalla volontà e da un progetto che potrebbe astrattamente avere anche un contenuto solidale39. Il profilo di commercialità che, come si è detto, specifica e legittima la contrarietà di questa pratica e la lesività della dignità della donna gesurrogazione di maternità connotate dalla gratuità. V. al riguardo la decisione del Tribunale meritevolezza della surrogazione solidale, v. anche in dottrina V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1097 ss.; ID., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, ivi, 2018, p. 405 ss. 37 Si è parlato di “patto di gravidanza”. V. il disegno di legge Disposizioni in materia di regolamentazione della surrogazione di maternità presentato da un gruppo di studiosi e reperibile sul sito della rivista www.art.29.it.: M. Gattuso – A. Schillaci, Un sasso nello stagno: uno schema di legge di articolo 29 per la regolamentazione della surrogazione di maternità. All’art. 2 della relazione si legge: “Finalità della presente legge è garantire il diritto ad una procreazione responsabile per le coppie italiane sterili o infertili, assicurando tuttavia, al contempo, il pieno esercizio del diritto della donna alla autodeterminazione, in condizioni di libertà e di spontaneità della scelta. Vietare ad una donna di autodeterminarsi in relazione alla propria capacità di procreare… appare in fin dei conti pregiudizievole della stessa dignità della donna”. In questo progetto colpisce un diritto di ripensamento della donna gestante che può ripensare sulla sua scelta di rinuncia alla maternità. Colpisce altresì il diritto di visita che viene accordato alla madre gestante in caso di rinuncia alla maternità e quindi di rispetto del patto di gravidanza. Si tratta di strumenti che inevitabilmente ledono il diritto del nato non solo ad una identità ma alla serenità familiare. 38 Sembra accogliere questa accezione la decisione del Tribunale costituzionale portoghese n. 225/2018 a proposito del problema di costituzionalità della legge portoghese sulla surrogazione di maternità. Sul tema, v. C. Cersosimo, La legalizzazione della surrogazione di maternità in Portogallo, articolo pubblicato sulla rivista Familia, 19 novembre 2018. In questo parere viene citata la dottrina italiana e la posizione autorevole di V. Scalisi. 39 V. al riguardo la mia relazione inedita citata alla nota 13 del testo. La nostra giurisprudenza di merito, in un’unica decisione ha affermato la meritevolezza di una surrogazione di maternità di carattere solidale, v. T. Roma, 17 febbraio 2000. Sulla illiceità ma non sulla immoralità di questo accordo, v. in dottrina C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., La famiglia6, Milano, 2017, p. 446. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 679 stante, non attiene tanto alla prestazione ma allo status di madre e tale profilo riguarda anche il nascituro40. Nella decisione che si commenta, come si è detto, non è tuttavia fatto alcun riferimento alla dignità del nascituro, diversamente da quanto espresso dal Comitato di bioetica41. Tale profilo è tuttavia essenziale per spostare l’asse del problema sull’interesse del minore e per fare valutazioni concrete e complessive sul suo migliore interesse che, altrimenti, rimane formula bella ma vuota. La dignità del nascituro appare lesa, non solo in quanto egli è trattato al pari di una res, ma anche perché la progettazione della sua nascita lo espone al rischio di incertezza in ordine alla sua identità filiale. La lesione della dignità del nascituro deve essere affermata indipendentemente dal problema (peraltro già risolto) del riconoscimento della sua soggettività e del suo essere persona. La dignità, in quanto Kern, ovvero nucleo di tutti i diritti fondamentali, prescinde anche dal riconoscimento della soggettività e della capacità giuridica, secondo le riflessioni teoriche e filosofiche più avanzate42. Quindi la dignità spetterebbe al nascituro e all’embrione, indipendentemente dalla opinione che si voglia accogliere in ordine alla sua soggettività. Queste riflessioni contribuiscono ad integrare il giudizio sul migliore interesse del minore nato da surrogazione di maternità. Se si accoglie l’idea che la surrogazione di maternità determina al contempo la lesione della dignità della madre e del nascituro, ci si avvede che ordine pubblico e interesse superiore del minore, almeno inteso in questa specifica accezione, non risultano in contrasto, non potendosi affermare che l’uno sia prevalente rispetto all’altro. Sempre con riferimento al superiore interesse del minore, da intendersi anche come interesse alla certezza del suo status filiale vorrei accennare ad altra questione. Le Sezioni Unite in questa decisione, come enunciato nelle premesse, accolgono una nozione di ordine pubblico diversa da quella contenuta nella decisione del 2016 sul caso delle due madri43 e scelgono la nozione 40 V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., p. 445: “Del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro”. Su questo aspetto v. la relazione di J. Ramon de Verda y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestion en el derecho espanol, cit. 41 V. il già citato parere del Comitato di Bioetica. 42 Per queste riflessioni, si rinvia alla mia relazione inedita sulla dignità citata alla nota 13 del testo. 43 Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, pubblicata in Foro it., 2016, I, c. 3329 con nota di 680 The best interest of the child di ordine pubblico contenuta nella decisione a S.U sui danni punitivi44, anche se con un’argomentazione talvolta ambigua che sembra voler celare il contrasto ed evidenziare linee di continuità. Al di là del linguaggio utilizzato, è infatti evidente che, diversamente dalla soluzione data nel 2016 (nel caso delle due mamme), in cui l’ordine pubblico rinviava al complesso di principi “desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in questa decisione si mette l’accento sul “modo [in cui gli stessi principi] “sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dall’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria”. Tuttavia, forse anche allo scopo di non smentire del tutto quanto deciso dalla prima sezione45, pur discostandosi dal contenuto dell’ordine pubblico enunciato in quella decisione, si riproduce la medesima distinzione tra fecondazione eterologa che si verificherebbe in quella ipotesi (caso di due donne l’una che dona il suo ovulo all’altra che porta avanti la gravidanza all’altra) e il la surrogazione di maternità che caratterizzerebbe la presente questione della doppia genitorialità maschile. In particolare si afferma in motivazione che “le due fattispecie hanno in comune il fatto che il concepimento e la nascita del minore hanno avuto luogo in attuazione di un progetto genitoriale maturato nell’ambito di una coppia omosessuale, con l’apporto genetico di uno solo dei partner, differenziandosi invece per il numero di terzi estranei (due anziché uno) che hanno cooperato al predetto scopo, e soprattutto per il contributo fornito da uno di essi, che risulta però determinante ai fini della disciplina applicabile”. Ora come allora mi sembra che appaia dubbia la distinzione in quella fattispecie della nozione di fecondazione eterologa e di surrogazione di maternità, distinzione che certamente non può fondarsi sul numero di soggetti altri (uno o due) che partecipano al progetto di nascita. Potrebbe infatti ritenersi che si abbia surrogazione di maternità anche in quella ipotesi, se pure di tipo solidale e affettivo, in quanto una delle due donne rinuncia alla gestazione e alla maternità. Si potrebbe ritenere invece che nel caso dei due papà si ha surrogazione G. Casaburi, ivi, c. 3349. Per un costante sviluppo di quell’orientamento v. Cass. 16 giugno 2017, n. 14987 annotata da G. Casaburi, in Foro it., 2017, I, c. 2280. 44 Cass. S.U. 16601/2017. 45 Paventava il rischio di una grave delegittimazione della sezione semplice G. Casaburi, nella nota all’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite 22 febbraio 2018, n. 4382, in Foro it., 2018, I, c. 791. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 681 di maternità solo in quanto si tratta di un soggetto estraneo alla coppia? L’insieme di questi quesiti fanno emergere la debolezza di questa distinzione ma soprattutto il paradosso che essa disvela sotto il profilo ordinamentale. Ma al di là di queste riflessioni, occorre affermare che per il nostro diritto vigente delle due donne l’unica che può considerarsi madre è colei che ha portato avanti la gravidanza, dato che la legge 40 dà l’accesso alla fecondazione assistita, sia essa omologa che eterologa, alle sole coppie di sesso diverso affette da sterilità. Qui mancherebbero entrambi i presupposti per poter inquadrare la fattispecie nell’ambito della fecondazione: la diversità di sesso della coppia che accede e la mancanza di sterilità, elemento che legittima il ricorso a tale pratica. Il riconoscimento della doppia genitorialità femminile, oltre a non essere fondato sul sistema vigente, porterebbe inoltre a creare una discriminazione all’interno delle coppie omoaffettive in quanto per quelle maschili vi sarebbe sempre una violazione del divieto di surrogazione di maternità e un genitore di intenzione, fattispecie da ritenersi eccezionale per le coppie omoaffettive femminili. Il paradosso, di per sé fondato su natura, sarebbe irrilevante se non si considerasse il diverso trattamento che si riserva al nato. Nel caso di due donne (con donazione dell’ovulo da parte dell’una e gravidanza da parte dell’altra), il bambino avrebbe automaticamente sempre due genitori, mentre nel caso di due uomini ne avrebbe sempre e sicuramente solo uno, che è quello biologico ed eventualmente altro attraverso l’adozione non piena! Sembra in definitiva che il problema della dignità del nato da intendersi anche quale diritto alla certezza del proprio status filiale e alla bigenitorialità, sarebbe soddisfatto in maniera diversa a seconda del genere della coppia omoaffettiva. Questi rilievi contribuiscono ad aggrovigliare la matassa dei criteri di instaurazione della filiazione, rendendo evidente il ruolo prevalente che, almeno in questa decisione, si attribuisce al dato biologico, nonostante il rimedio dell’adozione in casi particolari. Risulta invece decisamente ridimensionato il ruolo della genitorialità di intenzione che assume pertanto una posizione recessiva46. 3. L’eliminazione dell’automatismo della genitorialità e del giudizio in ordine al Best interest of the child 46 Si rinvia al § 4 del testo. 682 The best interest of the child Altro sicuro merito di questa decisione è quello di aver evitato un automatismo in ordine alla genitorialità e in ordine alla valutazione del migliore interesse del minore. Quanto all’automatismo relativo alla genitorialità, è chiaro che la trascrizione immediata di un provvedimento straniero di un bambino nato da surrogazione di maternità che indica come genitore colei o colui che è privo di qualsiasi legame biologico con il nato, oltre alla già rilevata questione di ordine pubblico, determinerebbe un automatismo nella instaurazione della genitorialità senza legame biologico difficilmente giustificabile47, anche volendo ammettere che il nostro ordinamento ha progressivamente attenuato la primazia del favor sanguinis48. Ritorna quindi operativo il modello tradizionale dell’adozione che è stato quello prescelto per giustificare la genitorialità con legame biologico assente, in presenza di precisi presupposti e di adeguati controlli da parte del giudice. Al più potrebbe concedersi che il genitore di intenzione, proprio per la volontà che ha espresso di partecipare al progetto di nascita del bambino possa assumere una posizione privilegiata rispetto ad altri soggetti che concorrono all’affidamento familiare, in quanto soggetto estraneo ma che ha concorso intenzionalmente al progetto di nascita49. Ma si tratta di questioni che andrebbero valutate con attenzione de jure condendo in una riforma dell’adozione e dell’affidamento, senza abdicare ad una valutazione complessiva che dovrebbe tendenzialmente portare al contemperamento tra tutela del nato da surrogazione di maternità ed esigenza di disincentivare il ricorso a questa tecnica. L’eliminazione dell’automatismo in ordine alla genitorialità consente inoltre di eliminarne un altro ovvero quello in ordine alla realizzazione del Best interest of the child. Come accennavo in apertura, rispetto al dibattito degli anni ‘80 che ha interessato animatamente i civilisti, si è completamente dimenticato che il primo interesse del minore sarebbe, in un mondo ideale degli adulti, quello di non interrompere il rapporto con la donna che lo ha portato in grembo per nove 47 V. C.M. Bianca, op ult cit., p. 447, il quale a proposito del problema della trascrizione del certificato di nascita del soggetto nato da surrogazione di maternità così si esprime: “Se manca il nesso biologico è difficile giustificare l’accertamento del rapporto di filiazione adducendo l’interesse del minore”. 48 V. il § 4 del testo. 49 Si rinvia alle riflessioni de jure condendo contenute nel § 4 del testo. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 683 mesi, contribuendo in maniera fattiva alla sua nascita50. Ma di questo problema e della necessaria prevalenza della madre uterina ci siamo completamente dimenticati e in queste decisioni viene omesso ogni riferimento, dando per scontato che chi partorisce dietro contratto, sia tenuta a restituire il prodotto del parto, non avendo nessun rapporto con il nato. Si dimentica tuttavia l’unica regola certa in tema di genitorialità che è quella stabilita dall’art. 269, terzo comma, regola che stabilisce che è madre colei che partorisce. Credo che si tratti di regola di grande civiltà che non è stata toccata nel corso delle varie riforme (problema di per sé non dirimente e risolvibile con una legge che ne sancisca l’abrogazione) in quanto traduce in regola giuridica un legame di fatto tra il nato e colei che lo partorisce. Si tratta di quelle poche norme del sistema che, pur essendo il retaggio del modello tradizionale della filiazione biologica, mantengono vigore in quanto riguardano un fatto di natura che difficilmente potrebbe cambiare, a meno che non si arrivi un giorno a fare figli attraverso un robot. Il fatto che la madre gestante sia da considerare la madre, al di là del contratto che ha stipulato, determina corollari tecnici significativi, ove si accolga la soluzione dell’adozione, sia piena che particolare, in quanto sarebbe comunque necessario un suo consenso all’adozione o una rinuncia alla sua maternità, anche esprimibile nella forma del parto anonimo. Tutte queste questioni non solo non sono state mai affrontate ma sono state superate dall’automatismo del riconoscimento del provvedimento straniero, dando per scontato che il superiore interesse del minore sia sempre e indipendentemente da una valutazione in concreto, quello ad avere, oltre al genitore biologico, il partner dello stesso, anche in assenza di alcun legame biologico. La rimozione di questo automatismo riapre il dibattito e mette tutte le questioni nuovamente sul piatto. In motivazione il tema della possibile prevalenza della madre uterina non risulta tuttavia neanche sfiorato. Altro punto in cui si rileva una contraddizione nella motivazione della decisione è che, pur negandosi in via di principio un interesse 50 C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, cit., p. 445: “… è la gestazione che crea l’essenziale e concreto rapporto materno in cui si realizza l’accoglimento dell’essere umano. La forzata sottrazione del minore alla madre uterina appare quindi inammissibile in ragione del preminente interesse del minore a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto”. L’A. Si era espresso in questi termini già nel contributo Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam., 1987, p. 955 e pubblicato ora in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, cit., p. 709. 684 The best interest of the child del minore a veder riconosciuto il rapporto di filiazione con il genitore di intenzione, a differenza della Corte europea che nel citato parere consultivo evoca la lesione del diritto alla vita privata, si indica genericamente la via della adozione in casi particolari. Quella sarebbe stata l’occasione per argomentare sulla necessità di valutare in concreto tale interesse e di concedere lo strumento dell’adozione in casi particolari solo e quando (e mi si voglia scusare per la ripetizione) in concreto sia dato riscontrare un rapporto di affettività tra il genitore di intenzione e il nato, come affermato dalla Corte Europea nel citato parere consultivo51. Quanto alla indicazione dello strumento giurisprudenziale della cd. Stepchild Adoption, ritengo che, benché modello ormai operante nel diritto effettivo delle corti di merito e di legittimità52, esso sia il frutto di una geniale ma sicura forzatura del dettato della legge. L’interpretazione della costatata impossibilità di affidamento, attraverso il suo eloquente aggettivo, rinvia inevitabilmente ad una impossibilità di fatto e non all’escamotage della impossibilità di diritto53. La questione della valutazione in concreto del legame affettivo tra genitore di intenzione andrebbe più opportunamente collocata in una riforma della legge delle adozioni che si faccia carico di estendere l’ipotesi indicata alla lett. b) dell’art. 44 della legge sulle adozioni, ovvero l’adozione del figlio del coniuge, ipotesi normativa che, già in seno al dibattito in ordine alla introduzione della legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto si era proposto di estendere al convivente e all’unito civile. Si tratta infatti di adeguare il sistema delle adozioni al mutato assetto familiare. Si potrebbe anche pensare ad un affidamento familiare che sarebbe spurio in quanto non connotato dall’impossibilità della famiglia di origine. Esso potrebbe tuttavia essere uno strumento utile per evitare l’abbandono materiale e morale del bambino e per avere un adeguato periodo di tempo per controllare effettivamente la capacità affettiva del genitore di intenzione. Ove invece si accolga la bontà del ricorso all’art. 44 lett. d) della legge sulle adozioni, come indicato dalla Corte, e quindi al modello giurisprudenziale della Stepchild Adoption, 51 V. il Parere citato alla nota 17 del testo: “Ce que requiert l’intérêt supérieur de l’enfant – qui s’apprécie avant tout in concreto plutôt qu’in abstracto – c’est que ce lien, légalement établi à l’étranger, puisse être reconnu au plus tard lorsqu’il s’est concrétisé. Il appartient en principe non pas à la Cour mais en premier lieu aux autorités nationales d’évaluer, à la lumière des circonstances particulières de l’espèce, si et quand ce lien s’est concrétisé”. 52 V. al riguardo C. 22 giugno 2016, n. 12692. 53 V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., p. 504. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 685 andrebbe comunque richiesto un consenso di colei che per il nostro diritto positivo è la madre, ovvero la donna gestante, ovvero una formale rinuncia alla maternità anche attraverso lo strumento del parto anonimo. D’altra parte e con riferimento all’ ipotesi dell’adozione in casi particolari del figlio del coniuge (art. 44, lett. b), la giurisprudenza richiede sempre il consenso del genitore54. 4. Il Best interest del nato da surrogazione di maternità e l’ordine pubblico. Riflessioni de jure condendo Esaurite queste questioni posso dedicarmi al tema che ritengo principale, ovvero il rapporto tra ordine pubblico e interesse del minore. Il tema farà emergere riflessioni di carattere più generale sulla complessità dei modelli di instaurazione della filiazione e sulla necessità di un intervento del legislatore. Quanto al primo tema, la Corte ha affermato in maniera generica la prevalenza dell’ordine pubblico sull’interesse del minore. Non so se di prevalenza può parlarsi dato che entrambi, il valore della dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione da un lato e l’interesse del minore dall’altro appartengono al complesso dei valori interni e condivisi a livello internazionale e quindi sono diverse accezioni del medesimo concetto di ordine pubblico. Occorre poi intendersi su che cosa debba intendersi per interesse del minore del nato da surrogazione di maternità. Come si è cercato di evidenziare in queste pagine, la fascia degli interessi del minore non sono riducibili alla sola questione del riconoscimento della genitorialità di intenzione, ma ricomprendono una serie di interessi tutti essenziali e tutti richiedenti una adeguata selezione, operazione che è demandata, come correttamente indica la stessa Corte, al legislatore. Nel caso di fecondazione eterologa, la legge ha deciso chi è il padre e chi è la madre, operando scelte bene precise. La legge n. 40 stabilisce che colui che ha dato il consenso alla fecondazione eterologa non può disconoscere il nato e la madre che ha dato il consenso non può esercitare il diritto di anonimato. Ha anche stabilito che il donatore o la donatrice non sono genitori. Tuttavia queste regole certe non impediscono che il problema della dignità del nato alla certezza delle sue figure genitoriali sia leso, anche in situazioni non perfettamente coincidenti con la fattispecie della surrogazione della maternità. Basta evocare al riguardo il problema 54 V. Cass. 16 luglio 2018, n. 18827. 686 The best interest of the child della procreazione medicalmente assistita post mortem55 o il problema dello scambio degli embrioni che si è posto tragicamente nella vicenda dell’ Ospedale romano Sandro Pertini56. Si tratta di vicende che scoprono il vaso di Pandora e denunciano la necessità di una riforma che possa dare regole certe per queste vicende della vita umana un tempo non immaginabili né prevedibili57. Per il nato da maternità surrogata il problema risulta più complesso ed urgente in quanto contaminato da altre questioni, tra le quali la necessità di scoraggiare l’uso di una tecnica barbarica e spesso strumento di sfruttamento della povertà. Deve al riguardo ritenersi che, nonostante l’autorevole intervento delle sezioni unite, il problema della certezza sulle figure genitoriali non possa ritenersi risolto. Tra i vari quesiti che affollano l’interprete e che chiedono una pronta soluzione, vi è quello della necessaria selezione che occorre fare tra i vari criteri che concorrono a individuare il rapporto di genitorialità (verità, sangue, affettività e cura)58. In passato un grande Maestro, Giorgio Oppo ne aveva formulati due che si attagliano perfettamente alla questione qui trattata: “Quale legame può intercorrere, anche nel rispetto dell’interesse del nascituro, tra coloro che concorrono alla fecondazione? Qual è il ruolo della responsabilità di chi, a uno o altro titolo, interviene nel processo della procreazione? Quale in particolare il rapporto tra responsabilità per il concepimento o per la fecondazione e vita futura?”59 55 V. le numerose decisioni pubblicate in Foro it. In particolare Corte di appello Ancona, 12 marzo 2018; Trib. Bologna 25 agosto 2018; Trib. Messina, 28 settembre 2017 con nota di G. Casaburi, in Foro it. 2019. Dello stesso autore e nella stessa rivista 2019 v. la nota a Trib. Roma, 8 maggio 2019 e Cass. 15 maggio 2019, n. 13000. 56 V. Trib. Roma, 20 agosto 2014 con mia nota di commento Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir. fam., 2015, p. 186. In quel commento avevo cercato di ipotizzare delle soluzioni de jure condendo, come la prevalenza della madre genetica in caso di rinuncia della madre uterina; Trib. Roma 10 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, c. 2925, con nota di G. Casaburi. 57 Per queste riflessioni si rinvia alle sempre acute osservazioni di G. Casaburi, Le nuove forme di genitorialità: alla ricerca di fondamenta normative differenziate, Nota a Trib. Pisa, 15 marzo 2018 e Trib. Milano, 18 aprile 2017, in Foro it 2018, I, c. 1810. 58 Sulla maternità surrogata si rinvia allo scritto di M. Acierno, Le nuove genitorialità. Fonti e orientamenti giurisprudenziali, cit.; sulla complessità dei vari modelli di genitorialità, v. G. Casaburi, “Grande è la confusione sotto il cielo”: genitorialità affettiva, biologica, genetica, sociale; incertezze e fluidità della giurisprudenza, Nota a Cass. 29 novembre 2016, n. 24292, in Foro it., 2017, I, c. 167. 59 Cosi testualmente G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 47, quesiti VI e VII. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 687 È solo il legislatore che può stabilire quale criterio sia da ritenere prevalente. Dalla decisione che qui si commenta sembra che, nonostante tante riflessioni importanti sulla genitorialità sociale, testimoniate sia dalla giurisprudenza che dal legislatore, la prevalenza sia attribuita al dato biologico, inteso in senso unitario sia come sangue e come dato genetico. Per questo motivo si afferma la legittimità del riconoscimento delle due madri nel caso deciso nel 2016 mentre la si nega qui per il genitore di intenzione. Emerge tuttavia in tutta la sua portata l’esigenza di stabilire il rilievo che l’ordinamento deve e vuole assegnare alla genitorialità di intenzione. In questa riflessione occorre considerare che la genitorialità di intenzione non sempre coincide con quella sociale, in quanto nella prima, a differenza della seconda, l’elemento caratterizzante non è appunto la socialità del rapporto affettivo, ma la volontà e quindi l’intenzione di diventare genitori, partecipando a vario titolo al procedimento di nascita, pur in mancanza del dato biologico. Le due nozioni possono talvolta sovrapporsi quando si attribuisce rilevanza al genitore di intenzione solo quando è diventato sociale in quanto ha instaurato un consolidato legame affettivo con il nato. Nella fecondazione eterologa l’intenzione del padre biologico è ritenuta tale da superare il dato dell’assenza del legame biologico perché è la legge a dirlo. Il tema rimane scoperto per il nato da surrogazione di maternità, tema che richiede una necessaria gradazione degli interessi in gioco. In questa sede possono essere date solo alcune suggestioni. Al riguardo mi sembra che il primo interesse che andrebbe privilegiato è l’interesse del minore a mantenere il rapporto con la madre che lo ha partorito. Solo ove la madre gestante rinunciasse alla maternità riemergerebbe il diritto del minore ad una famiglia. In primo luogo, come affermato dalla Corte, questo diritto potrebbe essere soddisfatto attraverso il riconoscimento del genitore biologico, ove esistente. Ritorna poi il problema della rilevanza del genitore di intenzione, partner del genitore biologico. Non si tratta di risolvere il problema del diritto del minore ad una famiglia, in quanto in questo caso il bambino ha già una figura genitoriale di riferimento, ma di dare voce al legame affettivo che lega il genitore di intenzione al nato. La genitorialità di intenzione assume in questo caso rilevanza solo in quanto affiancata dalla genitorialità biologica dell’altro partner e dal legame di affettività del genitore intenzionale con il bambino, legame di cui deve accertarsi la concretezza del vissuto. In buona sostanza il genitore di intenzione acquista rilevanza solo in quanto è diventato anche genitore sociale. 688 The best interest of the child Si tratta della fattispecie oggetto della decisione che si commenta e dell’orientamento che emerge dalla lettura del recente parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo60. E se mancasse il legame biologico per entrambi i soggetti, pur essendo presente la sicura intenzione di diventare genitori? Si tratta del caso deciso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017 (caso Paradiso Campanelli)61. Devo subito rilevare che in casi di questo tipo, oltre ai possibili rischi di abuso, siamo completamente al di fuori della fattispecie della surrogazione di maternità, la cui parola surrogazione indica la gestazione di una donna per altri, e quindi o per la figura maschile che fornisce il materiale genetico o per la figura femminile che fornisce il proprio materiale genetico. In caso di mancanza assoluta di legame biologico si tratta di una mera ipotesi di “programmazione di nascita”. Correttamente la Grande Camera della Corte europea ha escluso ogni rapporto di genitorialità, giudizio corroborato anche dalla assenza di un consolidato rapporto affettivo tra i genitori di intenzione e il nato. Rimane da chiedersi se, in luogo di mettere il bambino in stato di abbandono, l’ordinamento se la senta di attribuire una qualche rilevanza a chi, sia pure illecitamente, ha contribuito a programmare la nascita di un essere umano. Ritorna qui il quesito posto tanti anni fa da Giorgio Oppo. A quel quesito ne aggiungerei altro: chi deve pagare il prezzo di questa operazione? Sicuramente occorrerebbe evitare il più possibile pregiudizi al minore e quindi il collocamento per anni in istituti, in attesa di una famiglia. Solo avendo come faro questo interesse, l’ordinamento potrebbe valutare la scelta di ammettere i genitori di intenzione all’affidamento familiare. Tale strumento, che non richiede particolari requisiti soggettivi potrebbe assolvere ai requisiti di celerità ed efficienza indicati dalla Corte europea nel citato parere consultivo, senza condurre all’automaticità dell’attribuzione della genitorialità. L’affidamento 60 Importante al riguardo un passaggio di quel parere: “l’intérêt supérieur de l’enfant comprend aussi l’identification en droit des personnes qui ont la responsabilité de l’élever, de satisfaire à ses besoins et d’assurer son bien-être, ainsi que la possibilité de vivre et d’évoluer dans un milieu stable, la Cour considère toutefois que l’impossibilité générale et absolue d’obtenir la reconnaissance du lien entre un enfant né d’une gestation pour autrui pratiquée à l’étranger et la mère d’intention n’est pas conciliable avec l’intérêt supérieur de l’enfant, qui exige pour le moins un examen de chaque situation au regard des circonstances particulières qui la caractérise.”. 61 Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera decisione del 24 maggio 2017, in Nuova. g. civ., 2017, I, p. 501 ss. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 689 consentirebbe, attraverso il decorso del periodo biennale, di controllare l’idoneità affettiva dei soggetti e la loro capacità genitoriale. Qualunque sia la scelta del legislatore, un buon legislatore dovrebbe evitare in ogni caso di dare voce al diritto degli adulti e ad un inesistente diritto alla filiazione62, ma al diritto del nato ad essere trattato come tutti gli altri nati, indipendentemente dalle vicende che hanno causato la sua nascita. Si tratterebbe così di dar voce ad una nuova prospettiva del principio di uguaglianza che tenga conto dell’uguale diritto dell’individuo ad avere e a sapere chi sono i suoi genitori. Con specifico riferimento alla surrogazione di maternità occorrerebbe trovare una composizione non facile tra l’esigenza di disincentivarne la pratica e l’individuazione di soluzioni adeguate per risolvere il problema del diritto del nato. Nella ricerca di questa difficile opera di composizione degli interessi in gioco, è chiaro che un legislatore attento dovrebbe considerare il problema a tutto tondo e non limitarsi a prevedere la sanzione per la pratica di surrogazione della maternità, ma preoccuparsi di individuare degli strumenti che possano disincentivare il riscorso a tale strumento. Tale problema è sicuramente da affrontare perché la sanzione penale è stata di fatto depenalizzata e non rappresenta più un disincentivo. Forse l’idea di prevedere un reato universale o un’illiceità del contratto a carattere universale63, al di là della connotazione negativa in senso repressivo, potrebbe essere un tentativo per fermare il turismo riproduttivo. Non credo che la previsione di una rilevante sanzione pecuniaria potrebbe essere un vero disincentivo, tenendo in considerazione che coloro che ricorrono a questa pratica di solito sono persone molto benestanti. Occorre piuttosto volgere lo sguardo al di là di questa specifica tematica e rendersi conto che uno dei problemi più urgenti da risolvere è quello di dare una famiglia a tutti i minori in stato di abbandono, problema che non può ritenersi subordinato rispetto a quello del minore nato da surrogazione di maternità. Sono arrivati i tempi per una tanto auspicata riforma delle adozioni che possa porsi nel futuro quale sicura alternativa alla maternità surrogata e che non lasci più alcun alibi a chi vuole un figlio. 62 Si rinvia al riguardo a A. Morace Pinelli, Verso una riforma delle adozioni, in Fam e dir 2016, p. 719 ss. 63 Suggerimento dato dal Comitato di bioetica spagnolo nel citato parere del 2017. 690 The best interest of the child Occorrerebbe potenziare tale procedimento rendendolo più snello ed efficiente. Sarebbe altresì necessario aprire l’adozione alle coppie conviventi, siano esse omosessuali che eterosessuali, nonché alle persone singole. Questa riforma delle adozioni 64, oltre a risolvere il problema dei minori senza famiglia, potrebbe temperare e arginare il fenomeno della surrogazione di maternità, evitando che il desiderio di filiazione possa tradursi in un dato di illiceità per il sistema e di incertezza per il nato. L’adozione, per la sua innegabile natura solidarisitica65, consentirebbe di essere genitori e di compiere un grande dono: dare ad un minore la famiglia che non ha66. 5. La decisione della Corte Costituzionale n. 221 del 2019 Il tema della ricerca del best interest of the child ha ricevuto una compiuta e direi completa definizione a seguito della recente pronuncia della Corte costituzionale n. 221 di ottobre scorso (2019). Con tale pronuncia che riguarda il problema della illegittimità della legge n. 40 laddove prevede l’accesso alla procreazione medicalmente assistita delle coppie dello stesso sesso, la fumosa problematica della individuazione del best interest of the child ha ricevuto la c.d. quadratura del cerchio. La Corte, nel ritenere non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della legge n. 40, nella parte in cui escludono l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie dello stesso sesso, ha enunciato in termini generali una distinzione fondamentale tra il migliore interesse del minore in astratto e in concreto, distinzione che appariva alquanto fumosa nelle recenti questioni che sono state portate all’attenzione della giurisprudenza. Dovendosi occupare della questione della legittimità costituzionale della legge n. 40, nelle disposizioni che ne regolano l’accesso, la Corte ha avuto 64 V. al riguardo la proposta di legge Rosato n. 630, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 e delega al Governo per la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento e l’adozione di minori, presentata il 15 maggio 2018. Tale proposta è il risultato di un’importante indagine conoscitiva della Commissione Giustizia della Camera, condotta nella precedente legislatura sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozione ed affido. Il documento conclusivo è del 7 marzo 2017. 65 Mi ero espressa in questi termini nel corso dell’Audizione alla Commissione Giustizia della Camera del 16 maggio 2016 relativa all’indagine conoscitiva sulla riforma della legge sull’adozione citata alla nota precedente del testo. 66 Commovente è l’esperienza di Luca Trapanese raccontata nel libro L. Trapanese – L. Mercadante, Nata per te, Torino, 2018. Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 691 modo di porre una netta distinzione tra la situazione riguardante la creazione di un essere umano che ancora non esiste e quella riguardante un minore già nato. La contrapposizione netta tra le due situazioni ha consentito alla Corte di affermare per la prima volta la distinzione tra due diversi piani di indagine, individuando una distinta valutazione del migliore interesse del minore. Quanto al primo piano di indagine, la Corte, confermando il divieto della maternità surrogata, afferma che fondamento unico ed esclusivo per poter accedere alla procreazione medicalmente assistita è uno stato di infertilità accertato. Tale stato permette alla Corte di escludere quella che correttamente viene denominata come “infertilità fisiologica” della coppia omosessuale. Il fondamento normativo della ratio della legge n. 40 porta ad escludere che il mancato accesso delle coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita possa essere ritenuta espressione di una discriminazione. Questo primo piano di indagine consente di negare in termini generali l’esistenza di un diritto a procreare, che non può essere facilmente confuso con il desiderio di diventare genitori. Qui emerge l’individuazione del Best interest of the child in astratto e tale interesse che, riguarda la scelta in ordine alla procreazione di un minore (chiaramente ancora non nato) è quello di avere una famiglia composta da una mamma e da un papà. Il riferimento alla eterosessualità quale modello di famiglia ideale non è tuttavia affermata come premessa di tipo ideologico ma è il risultato di una riflessione sistematica67 e di un ragionamento che pone al centro di ogni questione il minore e il suo migliore interesse, abbandonando la prospettiva adultocentrica che, riconoscendo un presunto diritto a diventare genitori sposta l’asse dell’attenzione sull’interesse degli adulti. Questo primo piano di indagine viene nettamente distinto dal secondo, che attiene alla valutazione del migliore interesse del minore già nato. Qui la Corte riconosce la validità di strumenti come l’adozione legittimante che possono risolvere il problema della conservazione delle relazioni affettive del minore con il genitore sociale, relazioni che vengono considerate meritevoli, se pure sempre bisognose di una valutazione in concreto. Si afferma significativamente “che vi è una differenza essenziale tra l’adozione e la PMA. L’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una 67 Si rinvia al riguardo allo scritto di S. Sandulli, L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori, in questo volume. 692 The best interest of the child coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo… L’interesse de minore a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate va valutato in concreto. La PMA di contro serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza… il bambino deve ancora nascere: non è perciò irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”. Mi sembra che questa pronuncia della Corte Costituzionale rivesta un’importanza istituzionale molto importante che pone le basi per una migliore comprensione del Best interest of the child. Si tratta di valutazione che pone due diversi livelli di indagine. Quella in astratto spetta al legislatore, quella in concreto ai giudici. Si tratta di distinzione necessaria e utile. L’abbandono di prospettive adultocentriche volte al riconoscimento di un presunto diritto alla genitorialità ci restituisce il senso di una dimensione più umana della procreazione sottratta al mito dell’autodeterminazione e all’esasperato gioco della presunta violazione del principio di non discriminazione. Con ragionevolezza si punta nuovamente il faro sul minore e sui suoi diritti, spazzando via tutto quanto è fuori da questo cono di luce. Bibliografia Acierno M. – Celentano S., La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, in Questione giustizia Acierno M., Le nuove genitorialità. Fonti e orientamenti giurisprudenziali, in Giudicedonna, n. 1/2017 Bianca C.M., Diritto civile 2.1.6, Milano, 2017, p. 444 ss. Bianca C.M., Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam. 1987, p. 955 e in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, Milano, 2002, p. 693 ss. Bianca C.M., Stato delle persone, in Procreazione artificiale e interventi sulla genetica umana, Atti del Convegno di Verona, 2,3, 4 e 25 ottobre, Padova, 1987, p. 104 ss., e in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, Milano, 2002, p. 680 Bianca M., Il diritto alla famiglia, in La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione (mettere il titolo in corsivo!!!!!!!), Roma, 2019, p. 241 Il best interest of the child nel dialogo tra le Corti 693 Bianca M., Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir fam., 2015, p. 186 Casaburi G., “Grande è la confusione sotto il cielo”: genitorialità affettiva, biologica, genetica, sociale; incertezze e fluidità della giurisprudenza, Nota a Cass. 29 novembre 2016, n. 24292, in Foro it., I, 2017, c. 16 Casaburi G., Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, Nota a Corte cost. n. 272 del 2017, in Foro it., 2018, I, c. 21. Casaburi G., Le nuove forme di genitorialità: alla ricerca di fondamenta normative differenziate, Nota a Trib. Pisa, 15 marzo 2018 e Trib. Milano, 18 aprile 2017, in Foro it., 2018, I, c. 1810 Cersosimo C., La legalizzazione della surrogazione di maternità in Portogallo, in Familia, 19 novembre 2018 Fulchiron H., Premier avis consultatif de la Cour européenne des droits de l’homme: un dialogue exemplaire?, in Recueil Dalloz, 23 Mai 2019, n° 19 Gattuso M. – Schillaci A., Un sasso nello stagno: uno schema di legge di articolo 29 per la regolamentazione della surrogazione di maternità, in www.art.29.it. Lamarque E., Navigare a vista: il giurista italiano e la maternità surrogata, in Giudicedonna n. 1/2017 Luccioli G., La maternità surrogata, in Giudicedonna, n. 1/2017 Morace Pinelli A., Verso una riforma delle adozioni, in Fam. e dir., 2016, p. 719 ss. Oppo G., Diritto di famiglia e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 335 Oppo G., Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Vario diritto. Scritti giuridici VII, Padova, 2005, p. 45 ss. Ruggeri A. – Salazar C., “Non è lecito separarmi da ciò che è mio”: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in Consulta Online, n. 1/2017, p. 143 Salanitro U., Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. comm., 2018, p. 552 Sandulli S., Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 ss. Scalisi V., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss. Scalisi V., Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1097 ss. Trapanese L. – Mercadante L., Nata per te, Torino, 2018 Zatti P., Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 193 ss. Due non è uguale a uno più uno. Bigenitorialità e rapporti omoparentali* Emanuela Giacobbe Sommario: 1. Posizione del tema: 1+1. – 2. Bigenitorialità è eterogenitorialità. – 2.1 – Le coppie omosessuali non sono bigenitoriali. – 3. Inidoneità dei genitori e omogenitorialità adottiva. – 4. Una conseguenza poco consequenziale. – 5. Il diritto non discrimini. Ma la natura differenzia. 1. Posizione del tema: 1+1 – È affermazione sufficientemente consolidata, in linea tendenziale, ed altrettanto condivisibile, che un minore abbia diritto – sin dove possibile – ad avere entrambe le figure genitoriali1, le quali si identificano, o dovrebbero identificarsi, nella mamma e nel papà. Nella sua evidenza, tuttavia, tale affermazione merita di essere rettificata: il minore non tanto ha diritto ad avere una mamma ed un papà, quanto piuttosto il minore ha una mamma ed un papà, che poi possono anche essere viventi o defunti, noti o ignoti, buoni o cattivi, ma pur sempre la sua mamma ed il suo papà, nella misura in cui un uomo ed una donna, o quanto meno un gamete maschile (detto negli animali spermatozoo) e femminile (detto negli animali ovocita o cellula uovo)2 sono indispensabili al fine di generare una nuova vita. Si è detto che l’argomento naturalistico è rozzo3, ma, piaccia o non piaccia, il diritto qualifica i fatti, non li crea4. 1 Cfr. M. Dogliotti, F. Astiggiano, Le adozioni, Milano, 2014, 42, ancorché la affermazione verrà significativamente ridimensionata in M. Dogliotti, Davanti alle sezioni unite della cassazione i “due padri” e l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione assai discutibile, in www.articolo29.it 2 Dal greco γαμέτης gametes “marito” / γαμετή gameté “moglie” 3 G. Mastrangelo, L’affidamento, anche eterofamiliare, di minori ad omosessuali. Spunti per una riflessione a più voci, in Fam e dir., 2014, 351 s., 4 R. G. Pothier, Trattato del contratto di matrimonio, III, Milano, 1813, 282 ss., ove si 696 The best interest of the child Padre viene dal greco π α ω, che significa nutro, ed individua colui che “si occupa” del bambino e che – in taluni casi presumibilmente – dovrebbe o potrebbe averlo generato. Madre, invece, è colei che genera e nutre, ed infatti colei che nutre senza generare è la nutrice/balia5. Madre si identifica, nel vocabolario scientifico, con l’instrumento dentro cui si forma checchessia, da mater, cioè cagione, da cui matrice. È scientificamente inesatto, oltre che probabilmente inappropriato, utilizzare “arguzie bibliche” al fine di confutare tale assunto e nobilitare una genitorialità non generativa6: senza andare a quelle esemplificazioni che potrebbero rasentare il blasfemo, basti osservare che Rachele non era la madre dei figli che Giacobbe concepì con Bila, la quale era una schiava (Genesi 30,3); Rachele sarà la mamma di Giuseppe, da lei partorito. Esattamente nei medesimi termini in cui Sarah non è la mamma del figlio che Abramo ha avuto con Agar, ancora una evidenziava la legge non poter cangiare la natura, né il destino degli uomini. Con ciò non si vuole affermare che il diritto abbia la mera funzione di “registrare” i fatti, poiché, partendo dai fatti, il diritto sceglie qualificazioni e regole, secondo l’itinerario indicato da M. Costantino, L’identità del bambino e del concepito, voglie individuali di anonimato e di rifiuto, in Riv. dir. civ., 2008, I, 747. Non crediamo di poter concordare con V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, 405 ss., secondo cui anche i fatti sono portatori di una prescrittività normativa, al fine di superare confliggenti prescrizioni normative non più al passo con i tempi, invocando una nuova giuridicità non legale, salente dai fatti della vita, senza neppure i tratti genetici dello ius di formazione consuetudinaria. I fatti non creano norme, e la consuetudine, che più che un fatto è un comportamento, non può comunque essere né contraria né abrogante la legge. I fatti, certamente, possono denotare che la norma non è più aderente al nuovo contesto sociale, ma, in tal caso, spetterà al legislatore modificarla o alla Corte Costituzionale dichiararla incostituzionale. 5 Osserva L. D’avack, Il diritto alle proprie origini tra segreto, anonimato e verità nella PMA con donatori/trici di gameti, in Dir. fam., 2012, 815 ss. come l’idea di nascere da qualcuno non può essere assorbita, fittiziamente, nella idea di essere educati da qualcuno. 6 Cfr., per l’utilizzazione M. C. De Tommasi, Riconoscibilità dei c.d. “parental order” relativi ad un contratto di maternità surrogata concluso all’estero prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2004, in Fam e dir., 2010, 251 in una nota di commento ad App. Bari, 13 febbraio 2009, onde approvarne la affermazione che nella determinazione dello “status filiationis”, e quindi nell’attribuzione della maternità legale sul figlio partorito a seguito di un procedimento di surrogazione di maternità, il c.d. “favor veritatis” è recessivo rispetto al c.d. “favor filiationis, con la conseguenza che sono riconoscibili nell’ordinamento dello Stato italiano i provvedimenti di attribuzione della maternità legale alla madre “committente”, emessi dall’autorità giudiziaria del Regno Unito (c.d. parental orders), a seguito del compimento di un procedimento di surrogazione di maternità. Spiace osservare, sia consentito, che un Maestro del diritto – v. V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, I, 1097 – faccia propria e riproponga analoga “facezia”. Due non è uguale a uno più uno 697 volta una schiava, tant’è che quando Sarah partorirà Isacco, questo sì suo figlio, farà scacciare Agar ed il di lei figlio Ismaele (Genesi 16,2), con buona pace, potremmo dire oggi, di volontà, autodeterminazione, responsabilità genitoriale e del c.d. best interest of the child7. Mater, dunque, semper certa est, pater numquam, ed è per questo che il comma 4 art. 30 Cost. dispone che la legge detta le norme ed i limiti per la ricerca della paternità, e non già della maternità8. La maternità è infatti dimostrata, ex comma 3 art. 269 cod. civ., provando la identità di colui che pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume essere madre, individuandosi, con tale previsione, l’oggetto della prova, prova che, ai sensi del comma 2 art. 269 cod. civ., può essere data con ogni mezzo. Norma sulla prova è allora il comma 2 del citato art. 269, in virtù del quale la menzionata identità può essere dimostrata con ogni mezzo9 e non già il comma 3, il quale individua il fatto da provare – identità del nato con chi fu partorito – attraverso il quale si determina chi è la madre di chi si dichiara essere figlio10. 7 Critica a detto argomento si è già mossa in E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione umana al dominio volontaristico sul corso della vita, in Dir. fam., 2016, 590 8 Si vedano, sul punto, le puntuali osservazioni di M. N. Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c. c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in Fam. e dir., 2016, 476. 9 V. Trib. Parma 17 ottobre 1998, Dir. fam., 1999, 221; Cass. 26 febbraio1983, n. 1465, secondo la quale in materia di dichiarazione giudiziale di maternità naturale, la dimostrazione diretta dell’identità di colui che pretende di essere il figlio e colui che fu partorito dalla donna che si assume essere la madre, dà la certezza assoluta del rapporto di filiazione, ma non costituisce l’unica prova ammissibile al predetto fine, potendo, in mancanza di quella dimostrazione, la prova della filiazione essere data con ogni altro mezzo, anche presuntivo, ed in particolare attraverso altra sentenza civile o penale da cui la maternità indirettamente risulti, salva restando la prova contraria da parte del controinteressato. 10 Nel senso di cui nel testo Cass. 11 novembre 2014 n. 24001, Nuova giur. civ. commentata, 2015, I, 241 con nota di C. Benanti, La maternità è della donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, e in Corr. giur. 2015, 471 con nota di A. Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali e interesse del minore, e in Vita not., 2015, 674 con nota di A. Mendola, L’interesse del minore tra ordine pubblico e divieto di maternità surrogata; Trib. Forli’, 25 ottobre 2011, Dir. fam. 2013, 532; A. La Torre, Maternità “surrogata” e gravidanza “di urgenza”, in Giust. civ., 2000, II, 267. In senso contrario Cass. 30 settembre 2016 n. 19599, in Corr. giur. 2017, 190, con nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, e in Vita not. 2017, 131 con nota di s. di gesù, La tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale, e in Dir. fam. 2017, 298, con nota di P. Di Marzio, Figlio di due madri? e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 362 con nota di G. Palmieri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex., e 698 The best interest of the child Significativa, in tal senso, è la circostanza che non esiste una azione di disconoscimento della maternità11, il reclamo e la contestazione dello stato di figlio essendo previsti solo in caso di sostituzione di neonato o supposizione di parto, ex artt. 239 ss. cod. civ12. Se così non fosse, anche in ambito giuridico, sarebbe rimasta irrisolta, ed irrisolvibile, la triste vicenda dello scambio di provette13. Solo 1 (uomo) + 1 (donna) possono generare un figlio, ed è per questo che ogni bambino deve avere una mamma ed un papà14. Vero è che, tra le righe della motivazione, in un pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione15 si legge che non vi è una preclusione in Giur. it. 2017 2075 con nota di c. fossà, Filiazione. Il paradigma del best interest of the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno; Cass. 15 giugno 2017 n. 14878, Fam. e dir. 2018, 5 con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico, e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 1708 con nota di G. Palmieri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di coppia same sex, e in Guida al dir., 2017, 28, 54 con nota di M. Finocchiaro, Quel “vizio” ricorrente di anticipare le scelte devolute al legislatore. 11 Notazione già evidenziata in E. Giacobbe, Dell’insensata aspirazione umana al dominio volontaristico sul corso della vita, cit., 590 ss. Per la differente scelta compiuta da taluni Paesi stranieri, cfr. A. Diurni, Storia e attualità della filiazione in Europa, in Dir. fam., 2007, 1397 ss. 12 Talune considerazioni già in M. Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, 488 ss.. Impostazione differente, ma che merita attenzione, è quella di A. Renda, La surrogazione di maternità ed il diritto della famiglia al bivio, in Europa e dir. priv., 2015, 415 ss. 13 Come più volte evidenziato da Trib. Roma 2 ottobre 2015, Foro it. 2016, 2926 con osserv. di G. Casaburi; caso su cui, come è noto, già era intervenuto, con medesima soluzione, Trib. Roma 8 agosto 2014, Dir. fam., 2015, 186 con nota di M. Bianca, Il diritto del nato ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del Tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, le puntuali osservazioni della quale, strettamente ancorate al dato positivo, scongiurando considerazioni di stampo “emotivo”, difficilmente possono essere messe in forse; e Trib. Roma 22 aprile 2015, 14 Un solo padre ed una sola madre (ignota) hanno anche i bambini nel caso sottoposto alla attenzione di App. Milano 28 dicembre 2016, Foro it., 2017, I, 722, che si potrebbe identificare con il più classico “due al prezzo di uno”: si era fatto ricorso alla pratica della maternità surrogata, in California; i due bambini, gemelli dizigoti, erano nati a mezzo della fecondazione di due distinti ovuli di una terza donatrice, ciascuno con il seme di uno dei due ricorrenti, con impianto degli embrioni così ottenuti nell’utero di un’unica donna che li ha poi partoriti; la corte d’appello ha ritenuto non contrari all’ordine pubblico e conformi al vero, sicché il giudice può disporne la trascrizione, gli atti di nascita stranieri dei due bambini, indicati come gemelli (twin) in quanto nati nella stessa data e dalla stessa donna, che non li ha riconosciuti, mentre, per ciascuno di essi, è indicato come genitore (parent), senza connotazione di genere, un diverso cittadino italiano di sesso maschile. 15 Cfr. Cass. 30 settembre 2016 n. 19599, Giust. civ.com 1/2017 con nota di c. Cersosimo, L’omogenitorialità e il c.d. superiore interesse del minore, e in Corr. giur., 2017, 190 con Due non è uguale a uno più uno 699 ontologica per le coppie omosessuali di generare figli, affermazione, quanto meno “incauta”, tuttavia, che costringerà al correttivo, doveroso ma anch’esso singolare, che non esiste divieto per le coppie omosessuali di generare un figlio16. 2. Bigenitorialità ed eterogenitorialità – 1 + 1 (una mamma ed un papà), dunque, è ciò che concreta il diritto del bambino alla doppia figura genitoriale. Sono i due genitori, anche se non uniti in matrimonio, che hanno il dovere, prima che diritto, di istruire, educare e mantenere i figli ex art. 30 comma 1 Cost., e questi due genitori sono la madre ed il padre. La genitorialità è una dimensione di ruoli, e di ruoli differenti, i quali, ai sensi del comma 2 art. 29 Cost., sono ordinati sulla eguaglianza morale e giuridica proprio perché differenti17. Tutto il sistema normativo individua e presuppone, come situazione fisiologicamente ottimale e giuridicamente naturale, la bigenitorialità eterosessuale quale luogo ottimale di sviluppo per il bambino. L’art. 31 comma 2 Cost. protegge la maternità, l’infanzia la gioventù, alla quale protezione si ricollega l’art. 37 Cost. che, anche in ambito lavorativo, e ferma restando la uguaglianza tra uomo e donna, vuole tutelata la essenziale funzione familiare della donna. La essenziale funzione familiare della donna, le concede un trattamento appositamente di favore nel contesto del diritto penale18. nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, e in Vita not., 2017, 131 con nota di S. Di Gesu, La tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale, e in Dir. fam., 2017, 298 con nota di P. Di Marzio, Figlio di due madri?, e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 362 con nota di G. Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex. 16 Così Trib. Bologna 3 luglio 2018, il cui pdf è reperibile su www.articolo29.it; osservazione acuta (?) che in A. Dami, Diritto all’identità genetica del nascituro e diritto alla genitorialità in tema di surrogazione della maternità. Quale interesse preminente del minore?, in Giust. civ.com, 9/2017, diviene assenza, a livello costituzionale, di un divieto per gli omosessuali di generare figli. 17 Cfr. F. D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, I, 1447 ss. relativamente al nesso tra l’art. 29 con gli artt. 30 e 31 Cost. 18 Cfr. art.146 cod. pen. ai sensi del quale l’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita: 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta; 2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno; si precisa, però, al comma 2, che il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il 700 The best interest of the child Tutto l’impianto del nostro codice civile, passato indenne, sotto questo profilo, dalle varie riforme, è fondato sul presupposto che i due genitori siano un padre ed una madre19. figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi; ai sensi del successivo art. 147 l’esecuzione di una pena può essere differita se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni, ma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre. Ai sensi dell’art. 578 cod. pen. la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni, pena più mite rispetto a quanto stabilito dall’art. 575 cod. pen. ai sensi dell’art. 21 bis L. 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall’articolo 5 della legge 8 marzo 2001, n. 40, le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall’articolo 21. La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. 19 Ex art. 231 cod. civ. l’uomo in tanto può essere presunto padre, in quanto è il marito della donna che ha partorito, presunzione avverso la quale la madre ed il di lei marito possono agire con il disconoscimento della paternità ex art. 243 bis cod. civ., per esperire la quale azione, l’art. 244 cod. civ., assegna un termine più breve alla madre, rispetto al padre, osservazione, quest’ultima, tratta dalla relazione della dott.ssa S. Sandulli, L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori, svolta nel medesimo convegno dal quale le presenti riflessioni sono state originate. Ancora il padre e la madre, unitamente al figlio, sono litisconsorti, ex art. 247 cod. civ., nell’azione di disconoscimento. Ex art. 250 cod. civ. il figlio nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto dalla madre e dal padre. Tendenzialmente il figlio, ex art. 262 cod. civ., assume il cognome del padre, regola, con tutte le controversie che ne sono conseguite, che non può avere senso ove, accanto ad un padre, non ci sia anche una madre. Come è noto, C. Cost. 21 dicembre 2016, n. 286, Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 818 con nota di C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori e identità dei figli, e in Le nuove leggi civ. comm, 2017, 626 con nota di C. Fioravanti, Sul cognome della prole: nel perdurante silenzio del legislatore parlano le corti, e in Foro it., 2017, I, 6 con nota di G. Casaburi, la Corte Costituzionale apre al cognome materno, ma restano molte questioni irrisolte, e in Corr. giur. 2017, 167 con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo, e in Fam. e dir., 2017, 218 con nota di E. Al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio., ha dichiarato in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 262 cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno, in una vicenda dalla quale, ci sembra, ben traspaia la tensione uomo – donna all’interno della famiglia. Ex comma 1 art. 269 cod. civ. la paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate. Ancora il padre o la madre rientrano tra i soggetti che, preferibilmente, ex art. 408 cod. civ., possono essere scelti dal giudice quale amministratore di sostegno. Al padre ed alla madre i Due non è uguale a uno più uno 701 Anche la legislazione ordinaria, relativamente alla regolamentazione dei numerosi profili inerenti alla relazione genitoriale, fa costante riferimento al padre ed alla madre20. figli succedono in parti uguali ex art. 566 cod. civ., così come sempre il padre e la madre succedono al figlio morto senza lasciare prole, fratelli o sorelle ex art. 568 cod. civ.. padre e madre vengono considerate persone interposte ai fini di cui all’art. 599 cod. civ.. Sempre padre e madre amministrano i beni ereditari del figlio concepito secondo il disposto del comma 2 art. 643 cod. civ.. Padre e madre rispondono del danno cagionato dal figlio ex art. 2048 cod. civ.. Al padre ed alla madre si riferiscono, dunque, le restanti, e numerose, norme del codice ove si parta di entrambi i genitori. 20 Solo per fare taluni esempi, v. la legge 11 dicembre 2016, n. 232 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019, il cui art. 1 comma 353, dispone che a decorrere dal 1º gennaio 2017 è riconosciuto un premio alla nascita o all’adozione di minore dell’importo di 800 euro. Il premio, che non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, è corrisposto dall’INPS in unica soluzione, su domanda della futura madre, al compimento del settimo mese di gravidanza o all’atto dell’adozione; secondo il successivo comma 354, l’applicazione delle disposizioni concernenti il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, introdotte in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015 dall’articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92, nonché, per l’anno 2016, dall’articolo 1, comma 205, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è prorogata anche per gli anni 2017 e 2018. La durata del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente è aumentata a due giorni per l’anno 2017 e a quattro giorni per l’anno 2018, che possono essere goduti anche in via non continuativa; al medesimo congedo si applica la disciplina di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 22 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 13 febbraio 2013. Per l’anno 2018 il padre lavoratore dipendente può astenersi per un periodo ulteriore di un giorno previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. Il d.m. salute 2 novembre 2015 Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti, all’art 9 dispone che per la donazione di sangue di cordone ombelicale la madre e il padre, prima di fornire i loro dati personali, sottoscrivono il consenso al trattamento dei dati, previa informativa ai sensi dell’art. 13 del d.lgs 196 del 2003; la madre e il padre, presa visione del materiale informativo prestano il loro consenso alla donazione di cui al comma 1, mirato alla rinuncia alla conservazione del sangue cordonale ad esclusivo beneficio del neonato in qualsiasi momento della sua vita; sempre la madre e il padre esprimono il loro consenso informato all’uso delle unità di sangue cordonale, non idonee per il trapianto, per studi e ricerche. L. 29 settembre 2015 n.162 Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dei casi di apolidia, fatta a New York il 30 agosto 1961 sulla base del cui art. 1 ogni Stato Contraente è tenuto a concedere la cittadinanza a una persona nata nel proprio territorio che sarebbe altrimenti apolide; in particolare, un figlio nato nel matrimonio nel territorio dello Stato Contraente, la cui madre ha la cittadinanza di detto Stato, dovrà acquisire tale cittadinanza alla nascita nel caso in cui sia altrimenti apolide. Il d.p.r.52/2009 di recepimento del provvedimento di concertazione per le Forze armate predispone la tutela delle lavoratrici madri all’art. 17, ai sensi del quale è possibile concedere esonero, per la madre o, alternativamente, per il padre, dal servizio notturno sino al compimento del terzo anno di età del figlio; esonero, 702 The best interest of the child In linea tendenziale, dunque, il bambino ha una madre ed un padre, o, ancora meglio, ha quella madre e quel padre, e, nella fisiologia del rapporto genitoriale, questa duplicità di figure genitoriali corrisponde a ciò che, oggi, si definisce the best interest of the child. Il diritto del bambino ad avere quella madre e quel padre, non ha nulla a che vedere con – asseriti – pregiudizi omofobi, invocare i quali serve, unicamente, a sviare l’attenzione dall’interesse del bambino a quello degli adulti21. È certamente vero che l’abilità di essere genitori non è legata all’orientamento sessuale22, ma di genitori deve trattarsi. Nessun dubbio, allora, in merito alla “bontà” di quegli orientamenti giurisprudenziali che in sede di affidamento della prole, nei giudizi di separazione dei coniugi, non hanno considerato rilevante, come in effetti non lo era, la relazione omosessuale che un genitore, aspirante affidatario, intratteneva con persona del suo stesso sesso23, ma ciò a domanda, sino al compimento del terzo anno di età del figlio, per la madre dal servizio notturno o da turni continuativi articolati sulle 24 ore, o per le situazioni monoparentali da turni continuativi articolati sulle 24 ore; possibilità per le lavoratrici madri e per i lavoratori padri vincitori di concorso interno, con figli fino al dodicesimo anno di età, di frequentare il corso di formazione presso la scuola più vicina al luogo di residenza, tra quelle in cui il corso stesso si svolge; divieto di impiegare la madre o il padre che fruiscono dei riposi giornalieri, in servizi continuativi articolati sulle 24 ore. D.lgs 206/2007 di attuazione della direttiva 2005/36/ CE all’art. 48 prevede tra le funzioni dell’ostetrica quella di assistere la partoriente, sorvegliare il puerperio e dare alla madre tutti i consigli utili affinchè possa allevare il neonato nel modo migliore. L. 23 dicembre 1992, n. 523 Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, fatta a Dublino il 15 giugno 1990, all’art. 4 comma 2 considera membro della famiglia esclusivamente il coniuge del richiedente l’asilo, i figli di età inferiore ai 18 anni, non sposati, oppure il padre o la madre se il richiedente l’asilo è egli stesso minore di età inferiore ai 18 anni non sposato. D’altro canto è la cittadinanza del padre e della madre che ex art. 4 l. 91/1992 determina la cittadinanza italiana del figlio, ma gli esempi, si potrebbero protrarre quasi all’infinito. 21 Cfr. G. Berti De Marinis, Maternità surrogata e tutela dell’interesse superiore del minore: una lettura critica alla luce di un recente intervento della Corte EDU, in Actualidad juridica iberoamericana, 2015, 3, 307; R. Carrano, M. Ponzani, L’adozione del minore da parte del convivente omosessuale tra interesse del minore e riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali, in Dir. fam., 2014, 1550 ss. 22 Così C. Cersosimo, L’omogenitorialità e il c.d. superiore interesse del minore, in Giust. civ. com, 1/2017 23 Cfr Trib. Napoli, 28 giugno 2006, 2007, 1677 con nota di G. Manera Se un’elevata conflittualità trai genitori (uno dei quali tacciato di omosessualità) escluda l’applicazione in concreto dell’affidamento condiviso, e in Giur. merito 2007, 1581 con nota di G. Fava, La (presunta) omosessualità del genitore non è di ostacolo all’affido esclusivo del figlio; Trib. Bologna, 15 luglio 2008, Dir. fam. 2009, 251, ivi 689 con nota di D. Bianchini, Omosessualità ed affidamento condiviso: nulla quaestio se non vi è contrasto con l’interesse del minore; Tribunale Nicosia, 14 Due non è uguale a uno più uno 703 non può significare avere diritto ad essere genitore – men che meno di un figlio non proprio – sol perché si è omosessuale. Il c.d. favor veritatis, il perseguimento del quale è stato invocato, nel corso degli anni, al fine di superare il c.d. favor legittimitatis24 ed affermare il diritto all’identità del bambino, continua a rappresentare l’essenza stessa dell’interesse del minore, quale inviolabile diritto alla sua identità personale25, ancorché ciò non significhi rinnegare l’esigenza di un bi- dicembre 2010, Giur. merito 2013, 5, 1049 con nota di R. Russo L’affidamento condiviso dei figli minori; Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, Giur. it.2013, 1036 con nota di M. M. Wonkler, La cassazione e le famiglie ricomposte: il caso del genitore convivente con persona dello stesso sesso, e B. Paparo, Omosessuali e affidamento dei figli, e in Nuova giur. civ. commentata, 2013, I, 432 con nota di C. Murgo, Affidamento del figlio naturale e convivenza omosessuale dell’affidatario: l’interesse del minore come criterio esclusivo, e in Fam. e dir., 2013, 570 con nota di F. Ruscello, Quando il pregiudizio ... è una valutazione del pregiudizio! A proposito dell’affidamento della prole alla madre omosessuale, e in Corr. giur., 2013, 436 con nota di V. Carbone, Separazione e affidamento del minore alla madre convivente con la compagna. 24 Cfr. C. Cost. 1 aprile 1982, n. 64, Foro it. 1982, I, 2127 ove ancora si sosteneva che pur avendo la riforma del diritto di famiglia ha spostato l’accento dal “favor legitimitatis” al “favor veritatis, il legislatore ha posto un limite al “favor veritatis” giustificato dai pericoli ed inconvenienti dello svolgimento dei rapporti familiari protrattisi per lungo tempo, ricercando il punto di equilibrio fra il “favor legitimatis” ed il “favor veritatis”, contro il quale, in sede di censura di costituzionalità, non può essere valorizzato in assoluto il secondo, la cui misura di prevalenza è stata concretamente circoscritta dal legislatore medesimo. Detta impostazione verrà superata, di lì a poco, da C. Cost. 6 maggio 1985 n. 134, Giust. civ. 1985, I, 2142 con nota di A. Finocchiaro, Adelante, pedro, con juicio, ovvero: l’evoluzione della coscienza collettiva e l’incostituzionalità dell’art. 244 cod. civ., e in Foro it., 1985, I, 2532 con nota di a. Amatucci, Disconoscimento per adulterio: effetti della sentenza additiva della corte costituzionale, e in Giur. it. 1985, I, 1, 1153 con nota di A. De Cupis, Adulterio e decorrenza dell’azione di disconoscimento della paternità; e da C. Cost. 14 maggio 1999 n. 170, Corr. giur., 1999, 1097 con nota di V. Carbone Anche la madre può disconoscere il figlio da quando sa che il padre non è il marito che considerò contrastare con gli art. 3 e 24 comma 1 cost. l’art. 244 comma 2 cod. civ., nella parte in cui non prevedeva che il termine dell’anno per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità nell’ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata dall’art. 235 n. 2 stesso codice, decorresse per il marito dal giorno in cui fosse venuto a conoscenza della propria impotenza di generare, consentendo così un’irrazionale decadenza contro il “favor veritatis” anche quando durante il termine fosse mancata la conoscenza di quel tipo di impotenza. 25 Cfr. Corte Costituzionale, 22 aprile 1997, n. 112, Dir. fam. 1997, 842 con nota di F. Cosentino, Impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c. e tutela del figlio minore, e in Giur. Cost. 1997, 1073 con nota di D. Vincenzi Amato L’interesse del minore è sempre interesse alla veridicità del suo status filiationis?. Lungo questa medesima impostazione si muove Cass. 28 marzo 2017, n. 7965, che ha considerato la disciplina dell’art. 235 c.c. applicabile anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito della L. 19 febbraio 2004, n. 40, come interpretabile alla luce del favor veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento che si aggiunge a quelle previste dalla disciplina codicistica. 704 The best interest of the child lanciamento degli interessi in gioco, tenuto conto, altresì, della necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status26. I termini decadenziali, introdotti dalla riforma della filiazione per l’esperimento delle azioni di stato da parte dei genitori, ma non per il figlio, manifestano la chiara volontà del legislatore di realizzare tale bilanciamento. 2.1. Le coppie omosessuali non sono bigenitoriali – La bigenitorialità è concetto che non può essere adattato alle coppie omosessuali. La “genitorialità” nelle coppie same sex implica sempre e necessariamente la presenza di un terzo soggetto: a due donne deve aggiungersi un uomo, a due uomini deve aggiungersi – quanto meno – una donna. 26 Cfr. Cass. 3 aprile 2017, n. 8617, Fam. e dir. 2017, 848 con nota di M. N. Bugetti, “Favor veritatis, favor stabilitatis, favor minoris”: disorientamenti applicativi, e in Corr. giur. 2018, 619 con nota di D. M. Locatello, Favor minoris e azione di disconoscimento della paternità: lo strumento dell’ascolto, secondo cui in tema di azione di disconoscimento della paternità l’accertamento della verità biologica non costituisce un valore di assoluta rilevanza costituzionale, in quanto il giudice è comunque chiamato ad una valutazione comparativa, in concreto e all’attualità, degli interessi in gioco, soprattutto di quello del minore, in primo luogo alla conservazione dello status acquisito. Si tratta del convincimento che ha indotto C. Cost., 18 dicembre 2017, n. 272, Nuova giur. civ. commentata, 2018, I, 540, con nota di A. Gorgoni, Art. 263 c.c.: tra verità e conservazione dello status filiationis, ivi, 552 con nota di U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, e in Corr. giur., 2018, 446 con nota di G. Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, e in Foro it., 2018, I, 5 con nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso. Il giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternità surrogata, osserva la Consulta, è sempre tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra interesse alla verità e interesse del minore. Nel medesimo senso si era, sostanzialmente, espressa anche C. Cost. 12 gennaio 2012, n. 7, che ha considerato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non sottopone ad un termine annuale di decadenza il diritto del genitore di esperire l’azione di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità. Il potere di stabilire la natura, la durata e la modulazione del termine per la proposizione dell’impugnazione spetta al legislatore, afferma la Corte, al quale solo è consentito di operare, anche in ragione dell’evolversi della coscienza collettiva, il necessario bilanciamento del rapporto tra tutela della appartenenza familiare e tutela della identità individuale, che nella presente realtà sociale è orientato verso la tendenziale corrispondenza tra certezza formale e verità naturale. La crescente considerazione del favor veritatis, infatti, non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico. Due non è uguale a uno più uno 705 Anche nelle coppie eterosessuali, ovviamente, può esserci un, per così dire, “terzo incomodo”, ma in un momento dato si ha ugualmente una madre, semper certa, ed un padre, numquam, cioè, in ipotesi, non genitore. Per le coppie eterosessuali, in sostanza, vi è sempre la presenza di madre e padre, ancorché, chi crede di essere o vuole essere padre, potrebbe non essere l’autore del concepimento. Proprio per la possibilità che colui che risulta padre non sia – volente o nolente – l’autore dell’atto generativo, per essere stato, tale “atto”, posto in essere da un altro soggetto, è stata predisposta a regola di cui all’art. 253 cod. civ., per la quale in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova, salvaguardando il principio – o pregiudizio che dir si voglia – che i genitori devono essere sempre e solo uno più uno27. Tale principio, o pregiudizio che dir si voglia, non viene affatto messo in forse dalla fecondazione eterologa, la quale, in effetti, nell’impianto originario della L. 40/2004, era vietata, con una certa coerenza rispetto al sistema occorre riconoscere, divieto che, comunque, oggi certamente non sussiste più, essendo stato dichiarato incostituzionale28. La fecondazione eterologa, però, non cambia i numeri: sempre 1 padre (numquam genitore in tal caso) + 1 madre semper certa. Ai sensi dell’art. 5 legge 40/2004, infatti, possono accedere alle tecniche di procreazione 27 Fuori dal matrimonio il problema non si pone, mancando la “coppia” alla quale rapportare la intromissione del terzo, fermo restando che anche in tal caso chi ha dichiarato di essere padre potrebbe non esserlo, da cui la operatività, anche in tal caso, del principio di cui all’art. 253 cod. civ. 28 Cfr. C. Cost. 10 giugno 2014, n. 162, Dir pen. e proc.2014, 825 con nota di A. Vallini, Sistema e metodo di un biodiritto costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa, e in Dir. fam., 2014, 973 con nota di L. D’Avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, ivi 1289 con nota di C. Cicero, E. Peluffo, L’incredibile vita di Timothy Green e il giudice legislatore alla ricerca dei confini tra etica e diritto, ovverosia, quando diventare genitori non sembra (apparire) più un dono divino, e in Foro it., 2014, I, 2343 con nota di G. Casaburi, “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, e in Corr. giur., 2014, 1062 con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, e in Giur. it., 2014, 2827 con nota di E. La Rosa, Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili, e in Riv. it. dir. proc. pen, 2014, 1473 con nota di L. Risicato, La Corte costituzionale supera le esitazioni della CEDU: cade il divieto irragionevole di fecondazione eterologa, e in Europa e dir. priv., 2014, 1117 con nota di C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, e in Fam. e dir., 2014, 753 con nota di V. Carbone, Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia, e in Giur. Cost., 2014, 2563 con nota di C. Tripodina, Il “diritto al figlio” tramite fecondazione eterologa. La Corte costituzionale decide di decidere. 706 The best interest of the child medicalmente assistita – oggi anche eterologa – solo coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. L’uomo, ex art. 9 comma 1 L. 40, non può disconoscere la paternità ex art. 243 bis cod. civ., né impugnare il riconoscimento ex art. 263 cod. civ., ove abbia prestato il consenso alla fecondazione eterologa29 e dunque è padre anche senza essere genitore, ma pur sempre il padre, del bambino partorito dalla sua consorte/compagna. Lo stesso, del resto, può avvenire anche nel caso di marito o compagno di “donna fedigrafa”, ove non vengano osservati i termini di cui agli artt. 244 e 263 cod. civ. Del resto, la stessa ragionevolezza del consentire l’impugnazione del riconoscimento a chi, consapevolmente, lo abbia posto in essere conoscendo la non veridicità del medesimo, è stata posta in dubbio, per quel principio generale di buona fede che dovrebbe operare anche all’interno delle relazioni familiari 30. 29 Cass. 18 dicembre 2017, n. 30294 la quale giustifica il divieto sulla base della considerazione che la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale non costituisce valore di rilevanza costituzionale. L’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota. Ove, tuttavia, l’uomo non abbia prestato il suo consenso, l’azione di disconoscimento, come pure l’impugnazione del riconoscimento, resta ammissibile, cfr. Cass. 28 marzo 2017, n. 7965, cit. 30 Cfr. M. Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in Nuova giur. civ. commentata, 2018, II, 910 ss.. In tal senso si è espresso Trib. Firenze 30 luglio 2015, Foro it., 2015, I, 3113 con nota di G. Casaburi, L’impugnativa per difetto di veridicità: una sentenza “ancien régime” della Cassazione, che ha considerato inammissibile, anche se proposta da terzi interessati, l’azione di impugnazione per difetto di veridicità di un riconoscimento effettuato da chi era consapevole di riconoscere come proprio un figlio altrui; conforme Trib. Napoli, 11 aprile 2013, Foro it. 2014, I, 2040; Trib. Roma 17 ottobre 2012, Dir. fam., 2013, 705 con nota di E. Restivo, Sul riconoscimento non veridico di un figlio naturale, ivi 973 con nota di A. Prinzi, Sulla legittimazione all’impugnazione del riconoscimento del figlio consapevolmente falso e sulla interpretazione assiologica e sistematica dell’art. 263 c.c., e in Foro pad., 2013, 309 con nota di V. Santarsiere, Impugnazione del riconoscimento di figlio per diritto di veridicità. Domanda rigettata; Trib. Civitavecchia 19 dicembre 2008, Giur. merito 2010, 1250 con nota di M. Di Nardo, Venire contra factum proprium: applicabilità del principio in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Contra, Cass. 14 febbraio 2017 n. 3834, Foro it., 2017, 832 con nota di G. Casaburi, Filiazione, impugnazione per difetto di veridicità, azione non promossa dal figlio, decadenza quinquennale, giudizi pendenti inapplicabilità; Cass. 24 maggio 1991 n. 5886, Giust. civ., 1992, I, 775. Una “via di mezzo” è intrapresa da Cass. 31 luglio 2015 n. 16222, Resp. civ. prev., 2016, 193 con nota di L. Gaudino, Riconoscimento del figlio “per compiacenza” impugnazione ex art. 263 c.c. e risarcimento del danno, e in Fam. e dir., 2016, 238 con nota di A. THIENE, Figli, finzioni e responsabilità civile, la quale, premesso che il diritto all’identità personale e sociale costituisce un diritto della persona Due non è uguale a uno più uno 707 Tale preclusione, però, non significa affatto che si possa essere figli di chi non è il nostro genitore, come è dimostrato dalla circostanza che le azioni di stato tutte, ivi compreso il disconoscimento di paternità e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sono per il figlio imprescrittibili, e dunque sempre esperibili, anche nelle ipotesi ricadenti nel citato art. 9 L. 40/2004. La madre, poi, resta colei che ha partorito, anche nell’ipotesi di fecondazione eterologa ex latere matris, escludendo, il citato art. 9, solo la sua facoltà di non essere nominata. I genitori, dunque, restano 1 (la madre) + 1, (il padre), quest’ultimo certamente … numquam. Nelle coppie same sex, per contro, le figure genitoriali solo fittiziamente sono 2, in realtà sono 1 – 1 + 1, il cui risultato, matematicamente parlando, in tutta evidenza non può essere uguale a 1 + 1. La omogenitorialità, allora, per definizione lede il migliore interesse del minore, di qualsivoglia minore, perché ab origine lo priva o della mamma o del papà, ledendo il suo diritto fondamentale alla doppia figura genitoriale31 . Il bambino “” nato “” in una famiglia omoparentale, allora, avrà sempre il diritto di far dichiarare la genitorialità mancante ex art. 269 cod. civ. e, in subordine, ex art. 279 cod. civ., non ostandovi neanche la dichiarazione della madre di non voler essere nominata, di cui al comma costituzionalmente garantito, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., ha considerato la sua lesione, per effetto di un riconoscimento della paternità consapevolmente falso e, come tale, in seguito disconosciuto, implicare il risarcimento del danno non patrimoniale così arrecato, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o meno reato. 31 Trattandosi di minori, sia consentito un esempio tratto dalla infanzia. Nella versione di Peter pan, animata da Walt Disney, sull’isola che non c’è vivono inconsapevoli e felici i bimbi sperduti. Arriva Wendy, che Peter pan vorrebbe facesse loro da mamma, ed allora i bimbi sperduti chiedono: cosa è una mamma? Sentita la risposta abbandoneranno l’isola che non c’è per tornare sulla terra alla ricerca della loro mamma. 708 The best interest of the child 1 art. 30 dpr 396/2000, richiamato dal comma 7 art. 28 l. 184/198332, ma non dall’art. 274 cod. civ. sulle condizioni di ammissibilità dell’azione33 Il bambino “” nato “” in una famiglia omoparentale avrà comunque sempre diritto di conoscere le proprie origini, e dunque il genitore mancante, ex art. 7 della Convenzione di New York 20 novembre1989, ai sensi del quale il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi; diritto ribadito dall’art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori, del 19 ottobre 1996, ai sensi del quale le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all’identità della madre e del padre, assicurando l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato34. 32 Dichiarato, peraltro, incostituzionale da C. Cost. 22 novembre 2013, n. 278, Fam. e dir., 2014, 15 con nota di V. Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno, e in Dir. fam., 2014, 27 con nota di G. Lisella, Volontà della madre biologica di non essere nominata nella dichiarazione di nascita e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, e in Corr. giur. 2014, 473 con nota di T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, e in Foro it., 2014, I, 8 con nota di G. Casaburi, Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini, e in Nuova giur. civ. commentata, 2014, I, 285 con nota di v. marcenò, Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivare incertezze, ivi, 289 con nota di J. Long, Adozione e segreti: costituzionalmente illeggittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto. 33 Ampie ed ineccepibili argomentazioni, sul punto, in M. N. Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c. c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, cit., 476 ss., ove si ricorda, oltre tutto, come l’art. 30 comma 4 Cost. ponga una riserva di legge per i limiti alla ricerca della genitorialità, riserva non soddisfatta dal d.p.r. 396/2000. Lo studio viene elaborato in nota a Trib. Milano, 14 ottobre 2016 che, per contro, ha considerato inammissibile la dichiarazione giudiziale di maternità nei confronti di una donna che ha dichiarato di non voler essere nominata 34 Sul diritto del minore a conoscere le proprie origine, dovrebbe essere superflua qualsivoglia citazione. Ciò nondimeno, onde fugare sospetti di indicazioni “ideologiche”, si rinvia a C. EDU 25 settembre 2012 n. 33783/09, Giust. civ., 2013, I, 1608 con nota di C. Ingenito, Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e in Minori e giust., 2013, 340 con nota di A. Margaria, Parto anonimo e accesso alle origini, e in Fam. e dir., 2013, 537 con nota di G. Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento, e in Quad. Cost. 2012, 908 con nota di E. Vigato, Godelli c. Italia: il diritto a conoscere le proprie origini. Da tale intervento è poi “originata” C. cost., 22 novembre 2013, n. 278, cit.. Da qui Cass. 21 luglio 2016, n. 15024, Nuova giur. civ. commentata, 2016, I, 1484 con nota di G. Autorino Stanzione, Il diritto del figlio di Due non è uguale a uno più uno 709 Solo garantendo, o quanto meno non impedendo a priori, la presenza della mamma e del papà si realizza l’interesse superiore del minore, di ogni minore. 3. Inidoneità dei genitori e omogenitorialità adottiva – La mamma e il papà del bambino, naturalmente e purtroppo, possono, però, essere inidonei, perché cattivi, defunti, malati ecc.35. Proprio per questo il conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti, e in Corr. giur. 2017, 29 con nota di V. Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto, e in Fam. e dir., 2017, 24 con nota di E. Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima; Cass.7 giugno 2017, n. 14162; Cass. S.U, 25 gennaio 2017, n. 1946, Foro it., 2017, I, 492 con nota di N. Lipari, Giudice legislatore, ivi, 494 con nota di G. Amoroso, Pronunce additive di incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, e in Fam. e dir. 2017, 740 con nota di P. Di Marzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini, e in Corr. giur., 2017, 618 con nota di M. N. BugettI, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, secondo cui in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte cost. n. 278 del 2013, ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte suddetta, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna; Cass. 20 marzo 2018, n. 6963, Foro it., 2018, I, 1141 con nota di G. Casaburi, Privilegia ne inroganto. La Cassazione/legislatore riconosce e insieme limita il diritto alle origini nei confronti delle sorelle e dei fratelli biologici; Cass. 7 febbraio 2018, n. 3004. Già prima dell’intervento della Consulta Trib. Min. Perugia, 4 dicembre 2001, Rass. Giur. Umbra, 2002, 417 nota di C. Neri, R. Prelati Salute e riservatezza: due diritti a confronto, aveva avuto modi di osservare che la tutela del diritto alla salute, in quanto diritto fondamentale costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost., ha prevalenza sul diritto alla privacy di cui alla L. n. 675 del 1996, con la conseguenza che il soggetto interessato ha diritto a conoscere le proprie origini (nel caso di specie, in applicazione di detto principio, il giudice aveva autorizzato il ricorrente a prendere visione del fascicolo relativo alla omologazione dell’affiliazione, nonché della copia integrale dell’atto di nascita, e la direzione sanitaria e/o il responsabile amministrativo dell’ospedale civile a fornire al ricorrente stesso le informazioni relative, sia ai dati genetici e/o sanitari risultanti dalle cartelle cliniche del bambino e della puerpera che lo ha dato alla luce, sia all’identità personale della puerpera madre naturale del neonato). 35 Ad onor del vero lo potrebbero essere anche due mamme e due papà, così come la “seconda” mamma o il “secondo” papà, onde non si comprende bene per quale ragione a morire debba sempre essere il genitore biologico e mai quello c.d. sociale; v., ad es., le argomentazioni di F. Bilotta, Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare, in Dir. fam. 2011, 1375; L. Carota, La tutela del rapporto con il genitore sociale nelle coppie dello stesso sesso e l’orientamento della corte costituzionale sulle modalità di conservazione del rapporto una volta cessata la convivenza, in Nuova giur. civ. commentata, 2018, I, 270; G. Ferrando, A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 171; punta molto sul decesso del genitore biologico al fine di 710 The best interest of the child comma 2 art. 30 Cost. statuisce che nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti36 La legge, vale a dire la 184/1983, vi provvede dando al minore un’altra mamma ed un altro papà, e non una mamma e papà purchessia, ma mamma e papà sposati – anche se il costituente sa benissimo che i figli si fanno anche fuori dal matrimonio – non separati, di età superiore di 18 ed entro i 45 anni rispetto all’adottato, due genitori, cioè, che corrispondano a quel modello ideale in cui, fisiologicamente, ciascun minore dovrebbe nascere e crescere. C’è, però, nella legge sull’adozione, il “famigerato” art. 44, che non a caso si chiama adozione in casi particolari, il che la dovrebbe dire lunga, quanto meno, sulla legittimità di farne un principio generale, stante l’art. 14 disp. prel. cod. civ.37 La controversia, ormai neanche troppo controversa38, riguardante l’interpretazione della lett. d) art. 44, relativa della impossibilità di dimostrare la ragionevolezza della adottabilità del figlio di costui da parte del partner dello stesso sesso, V. BARBA, Unione civile e adozione, in Fam. e dir., 2017, 381 ss. 36 Si può, in proposito osservare, che la legge provvede a che siano assolti i compiti dei genitori, in caso di incapacità dei genitori medesimi, e non in caso di incapacità a diventare genitori. 37 Si vedano, sul punto, le osservazioni di P. Morozzo Della Rocca, Le adozioni in casi particolari ed il caso della step child adoption. Forse sfiorata dal dubbio, parla di interpretazione “estensiva” App. Milano, 9 febbraio 2017, Fam. e dir. 2017, 998 con nota di E. Bilotti, L’adozione del figlio del convivente. A Milano prosegue il confronto tra i giudici di merito, ove si afferma che l’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184 del 1983, costituisce istituto suscettibile di interpretazione estensiva al fine di evitare discriminazioni a danno delle coppie formate da persone dello stesso sesso. 38 La giurisprudenza che oggi potremmo definire maggioritaria, se non proprio unanime, afferma che l’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 183 del 1994 integri una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui sia necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità “di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo e non di impossibilità “di fatto”; cfr., tra le più recenti, Cass. 16 aprile 2018, n. 9373; Trib. Min. Venezia, 15 giugno 2017, n. 90; Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, Foro it. 2016, I, 2342 con nota di G. Casaburi, L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra, e in Corr. giur., 2016, 1203 con nota di P. Morozzo Della Rocca, Le adozioni in casi particolari ed il caso della stepchild adoption e L. Attademo, La “stepchild adoption” omoparentale nel dettato dell’art. 44, comma 1, lett. D), L. n. 184/1983 e nella L. n. 218/1995, e in Fam. e dir. 2016, 1034 con nota di S. Veronesi, La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, e in Nuova giur. civ. commentata, 2016, I, 1213 con nota di G. Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner, e in Giur. it. 2016 2573 con nota di A. Spadafora, Due non è uguale a uno più uno 711 affidamento preadottivo, cioè se si tratti di una impossibilità di fatto oppure di impossibilità di diritto, è pretestuosa: l’art. 44, interamente considerato, è contenuto nella L. 184/1983, il cui art. 1, premesso al comma 1 che il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, statuisce, al comma 4, che quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge, tra cui, sembrerebbe, anche l’art. 44. Il comma 1 art. 44, dispone, a sua volta, che i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 739, il quale comma 1 art. 7 prevede che l’adozione sia consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti. Quella che può mancare, dunque, è la dichiarazione di adottabilità, non lo stato di abbandono, e può mancare, come prevede espressamente l’art. 11 della medesima legge, proprio perché è stata presentata una istanza ai sensi dell’art. 4440, a dimostrazione che si può essere dichiarati adottabili solo se abbandonati, ma si può essere abbandonati senza che si venga dichiarati adottabili. Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, ivi 2580 con nota di I. Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore; App. Torino, 27 maggio 2016, Foro it. 2016, I, 1910 con nota di G. Casaburi L’”Unbirthday” secondo il legislatore italiano: la “non” disciplina delle adozioni omogenitoriali nella l. 20 maggio 2016 n. 76; App. Roma, 23 dicembre 2015, Foro it. 2016, 2, 699. Isolate voci contrarie, negli ultimi tempi, sono quelle di Cass. 27 settembre 2013 n. 22292, secondo la quale il presupposto per l’adozione di cui all’art. 44, primo comma, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, va individuato nella impossibilità di affidamento pre-adottivo, nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione; Trib. Min. Torino 11 settembre 2015, f.t. 2016, 1911, con nota di G. Casaburi, cit., il quale ha rilevato che la fattispecie di cui all’art. 44 lett. d) presuppone esclusivamente l’impossibilità di fatto, non anche di diritto, di affidamento preadottivo, quindi lo stato di abbandono del minore; Trib. Min. Milano, 20 ottobre 2016 n. 268 che ha escluso che il convivente more uxorio non possa ottenere “in casi particolari”, prevista dall’art. 44 l. n. 184 del 1983, del figlio della compagna, né con riferimento alla lettera b) (relativa al caso in cui il minore sia figlio dell’altro coniuge), mancando il rapporto di coniugio, né con riguardo alla lettera d) (che concerne la constatata impossibilità di affidamento preadottivo), allorché il minore non sia privo dell’assistenza morale e materiale da parte dei genitori. 39 E non già i presupposti stessi dell’adozione, di cui all’art. 1 della medesima legge. 40 Onde evitare ripetizioni, rinviamo a E. Giacobbe, Adozione e affidamento familiare: ius conditum, “vivens”, condendum, in Dir. fam., 2016, 237 anche per ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza 712 The best interest of the child Non si dimentichi che la adozione è ammissibile solo quando i genitori si sono mostrati particolarmente indegni41, e dunque rappresenta e deve rappresentare, la extrema ratio. La sensazione è che attraverso la lett. d) art. 44 L. 184/1983 si voglia affermare il diritto delle coppie omosessuali di adottare quei figli che – ontologicamente – i medesimi, come coppia, non possono avere, e non già tutelare il minore per il caso di decesso del proprio genitore. Ed invero, data la morte del genitore del bambino, ben può soccorrere la lett. a) del medesimo art. 44, la quale consente di addivenire alla adozione in casi particolari a persone (ex comma 3 art. 44 anche non coniugate) unite al minore da preesistente rapporto stabile e duraturo, rapporto stabile e duraturo intercorso, si badi, con il minore medesimo, senza che abbia nessuna rilevanza il rapporto – eventualmente anche affettivo – che l’aspirante adottante abbia avuto con il genitore defunto del 41 È la raccomandazione di C. EDU 21 gennaio 2014, n. 33773, Foro it. 2014, I, 173 con nota di G. Casaburi, La Corte europea dei diritti dell’uomo “impone” l’introduzione dell’adozione “mite”, secondo cui l’adozione di un minore, recidendo ogni legame con la famiglia d’origine, costituisce misura eccezionale, gli Stati membri della convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno l’obbligo di assicurare che le proprie autorità giudiziarie e amministrative adottino preventivamente tutte le misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento tra genitori biologici e figli e a tutelare il superiore interesse di questi ultimi, evitando per quanto possibile l’adozione. Dovrebbe, allora, far riflettere App. Torino 11 marzo 2017, con la quale si è inteso (forse) porre termine – malamente – alla tristissima vicenda dei c.d. genitori/nonni. La corte d’appello di torino, a fronte della dichiarazione di adottabilità della figlia nata (non si sa bene come) da due genitori un po’ attempati, dichiarazione passata in giudicato a seguito di sentenza poi revocata da Cass. 30 giugno 2016, n. 13435 per errore di fatto in quanto, nel confermare la declaratoria dello stato di adottabilità assunta dal giudice di merito, si era fondata su di una specifica circostanza supposta esistente, la cui verità era stata, invece, limitatamente all’evento, positivamente esclusa, giudica la valutazione fatta dalla Cassazione errata, confermando, nonostante la revoca, l’adottabilità a suo tempo dichiarata e la adozione di conseguenza disposta, sull’assunto – che potremmo chiamare pregiudizio gerontofobo – dell’essere l’età anagrafica dei genitori fatto oggettivo (al momento della nascita della bambina la mamma aveva 57 anni e il padre 69) che li renderebbe inidonei allo svolgimento delle mansioni loro proprie. Certamente si potrebbe anche osservare che si sia trattato di genitori “grandicelli”, ma che dire, allora di Charlie Chaplin ha fatto figli fino a 73 anni ?, in ambito nostrano, per rimanere nell’ambito di ipotesi che, per essere apparse sui giornali, non violano la privacy degli interessati, Briatore e Montenzemolo, sono diventati ancora papà rispettivamente a 59 e 63 anni; Michele Placido ha avuto il quarto figlio a 60; 54 anni aveva Gianna Nannini, quando, in perfetta “solitudine”, ha generato il proprio figlio; l’icona nostrana Monica Bellucci a 46 anni ha avuto la secondogenita, Carmen Russo, è diventata mamma per la prima volta all’età di 53 anni ed il suo compagno, il coreografo Enzo Paolo Turchi, ne aveva 63. Nessuno ha mai – e per fortuna – pensato di togliere i figli a tutti questi genitori “attempatelli”. Due non è uguale a uno più uno 713 minore, a riprova che gli interessi coinvolti sono quelli del bambino e non già degli adulti, omo o etero-sessuali che dir si voglia. Quale che voglia essere l’interpretazione da darsi all’art. 44 lett. d) l. 184/1983, non dovrebbe, proseguento su questa direzione, essere trascurata la circostanza che, ai sensi del il comma 20 art. 1 l.76/2016, al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, ecc., si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Le disposizioni che si riferiscono ai coniugi, si applicano alle parti dell’unione civile, al fine di assicurare l’effettività dei loro (cioè delle parti dell’unioni civili) diritti42, laddove se si parla di adozione i diritti sono – o dovrebbero essere – solo quelli del bambino. Il medesimo comma 20 chiarisce, però, o forse di conseguenza, che la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge43, nonchè alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, tra cui si colloca anche l’art. 4444. 42 Si veda, sul punto, M. Bianca, Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova disciplina delle unioni civili nel sistema, in Le unioni civili e le convivenze, a cura di C. M. Bianca, Torino, 2017, 266 secondo la quale il riferimento al rinvio automatico di leggi speciali, ecc., se evidenzia la esigenza di evitare la diversità tra uniti civilmente e coniugi, limita la portata precettiva di tale principio alle sole leggi che siano volte ad assicurare l’effettività della tutela. Esclude che l’inciso abbia un reale valore normativo V. Barba, Unione civile e adozione, cit., 381. 43 Cosa di cui Trib. Bologna 3.7.2018, il cui pdf è rinvenibile su articolo29.it, non si dà gran peso perché, a suo dire, si tratta di norme vecchie di settanta anni. Per una diversa visione L. Bozzi, La legge 76 del 2016: istituzione delle unioni civili e disciplina delle convivenze di fatto. Prime brevissime riflessioni, in www.dpce.it, Diritto pubblico comparato ed Europeo, 2016, 8 ss. 44 Secondo App. Napoli 4 luglio 2018, www.studiolegale.leggiditalia.it, ciò non esclude, però, l’interpretazione analogica. In via di “mera ipotesi interpretativa” del comma 20 art. 1 L. 76/2016, insinua la possibilità di una interpretazione analogica L. Pascucci La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2017, 219; si allinea, con minore titubanza, a questa impostazione, nella sostanza, con argomentazioni molto ben elaborate, ma non per questo condivisibili, V. Barba, Unione civile e adozione, cit., 381, secondo cui il comma 20 non pone una norma negativa di applicazione delle norme del codice civile e della legge sull’adozione, facendo “solo” divieto di applicare il meccanismo descritto nella sua prima parte, meccanismo definito normo-genetico. A detta dell’Autore, comunque, l’analogia legis non potrebbe essere astrattamente essere inibita, in quanto non sarebbe possibile né negare l’esistenza di una lacuna, né 714 The best interest of the child Il comma 20 art. 1 L. 76/2016 contiene, però, l’ultimo inciso: “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Tale inciso è obiettivamente poco felice45, eppure, come con la consueta onestà intellettuale è stato osservato46, per stabilirne la portata si può “scegliere” solo tra due alternative possibili. Se per norme vigenti intendiamo quelle di diritto positivo, occorre avere il coraggio di riconoscere che esse non prevedono e, soprattutto, non consentono alcunché47 affermare l’esistenza di una deliberata scelta del legislatore volta ad evitare una tale applicazione, dovendosi definitivamente superare il disposto dell’art. 12 disp. prel. cod. civ. in quanto inadeguato. Il primo argomento, tuttavia, è del tutto sganciato dall’evidenza dell’iter che ha condotto alla approvazione della legge, mentre il secondo, ragionevole o meno che sia, urta con la constatazione che l’art. 12 cit. non risulta essere stato abrogato. Reputa, per contro G. De Cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2017, , 101 che “delle disposizioni del codice civile diverse da quelle espressamente richiamate e dichiarate applicabili alle unioni civili dall’art. 1 l. n. 76/16, nessuna trova applicazione (a rigore, nemmeno in via analogica) all’istituto delle unioni civili; altrettanto deve dirsi di tutte le disposizioni della l. 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione. Lo si desume inequivocabilmente dalla statuizione contenuta nella seconda proposizione del comma 20° dell’art. 1, che esclude esplicitamente l’applicabilità, al codice civile e alla l. adozione, del precetto dettato dalla prima proposizione del medesimo comma, che sancisce l’applicabilità alle parti delle unioni civili di tutte le disposizioni contenute in provvedimenti normativi vigenti (diversi dal c.c. e dalla l. n. 184/83) che contengano le parole “coniuge/i” o termini equivalenti”; che, in virtù del comma 20 l.76/2016, si sia esclusa la possibilità di applicare all’unione civile non solo l’adozione legittimante, ma anche quella ex art. 44 è riconosciuto da M. Trimarchi, unioni civili e convivenze, in Fam. e dir., 2016, 859 ss.; nel medesimo senso M. N. Bugetti, Il cognome comune delle persone unite civilmente, in Fam. e dir., 2016, 911 ss.; M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. e dir. 2016, 881. 45 Previsione dai contenuti non poco ambigui, viene definita da L. Balestra, Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it. 2016, 1771 ss.; di vero e proprio ambiguo trionfo delle riserve mentali delle forze politiche parla E. Quadri, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?, in Giust. civ.com, 1 aprile 2016. 46 Cfr. M. Bianca, Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova disciplina delle unioni civili nel sistema, cit., 272 47 Ancora M. Bianca, op. loc. cit. Tale dato, secondo App. Napoli 4.7.2018, www.studiolegale. leggiditalia.it, non deve destare troppi problemi, in quanto, per il superiore interesse del minore, le norme vigenti – anche penali – possono essere disapplicate, con buona pace degli artt. 54 e 101 Cost. Sul punto ci si limita a replicare – con una sintesi della cui pochezza ci scusiamo con l’Autore – riportando un breve brano tratto da C. Castronovo, Diritto privato e realtà sociale. Sui rapporti tra legge e giurisdizione a proposito di giustizia, in Europa e Diritto Privato 1 settembre 2017, 3, 764; “L’aderenza alla dimensione positiva del diritto non è frutto di una concezione più o meno condizionata dallo spirito del tempo, ma una necessità imposta dall’aporia fondamentale (4) che sta da sempre di fronte al giurista: « la questione sul “giusto”, alla quale il giurista positivo deve rispondere è… Due non è uguale a uno più uno 715 Se per norme vigenti intendiamo il diritto vivente, la situazione è più complessa, perché, come è noto l’art. 44 lett. d) viene tranquillamente – inutile, a questo punto, chiedersi se a torto o a ragione – applicato al compagno/compagna same sex del genitore48. “quale tra le possibili soluzioni del caso da decidere, compatibili con la lettera della legge e con la logica complessiva dell’ordinamento, si approssima maggiormente alla giustizia” » . Ove è chiaro che tra la lettera della legge, pur ermeneuticamente elaborata, e la giustizia è la prima a risultare meno incerta, in quanto comunque in grado di esibire un dato al quale ancorare la decisione. Questo décalage non è superato neppure dall’idea contemporanea di un riguadagnato legame tra diritto e morale: ove si ritenga che quest’ultima sia annidata nei valori costituzionali, l’adeguamento ad essa passa attraverso l’interpretazione della legge in senso conforme alla Costituzione, interpretazione che tuttavia conferma l’applicazione della legge; ove invece la si ritenga limite trascendentale del diritto, ugualmente non autorizza la disapplicazione della regola positiva fino a che questa non sia espunta dall’ordinamento mediante il giudizio di legittimità costituzionale, anche nel caso del superamento di « una soglia estrema di ingiustizia, quando da una legge sia violato un diritto dell’uomo in modo evidente e intollerabile da ogni punto di vista etico-razionale » . Se l’ordinamento ha previsto tale rimedio, di esso ci si dovrà avvalere”. 48 Tralasciando C. EDU grande chambre, 19/02/2013, n. 19010, Europa e Dir. Priv. 2014, 1, 271 con nota di R. ROSSI Second-parent adoption e omogenitorialità, che – quantunque discutibile – riguardava una disparità di trattamento tra coppie non coniugate di sesso diverso e coppie dello stesso sesso, e Trib. Min. Bologna, 31 ottobre 2013, Foro it. 2014, 1, 59 con nota di G. Casaburi, Dai diversi modelli di adozione di minore nella giurisprudenza alla novellazione legislativa della nozione di stato di abbandono, che esclude l’adozione ma ammette l’affido, alla quale si allinea Trib. Min. Palermo, 9 dicembre 2013, Fam. e dir. 2014, 351 con nota di G. Mastrangelo, L’affidamento anche etero familiare di minori ad omosessuali. Spunti per una riflessione a più voci, si veda Tribunale Roma, 30 luglio 2014, Dir. fam. 2014, 176 con nota di N. Cipriani, La prima sentenza italiana a favore dell’adozione nelle famiglie omogenitoriali, ivi, 1550 con nota di R. Carrano, M. Ponzani, L’adozione del minore da parte del convivente omosessuale tra interesse del minore e riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali; Trib. Min. Roma, 22 ottobre 2015, n. 291Giur. Cost., 2016, II, 1169 con nota di S. Niccolai, Diritto delle persone omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna? Trib. Min. Roma, 23 dicembre 2015, Dir. fam.2016, 806 con nota di S. Menichetti, Una sentenza che allinea l’Italia a Strasburgo; App. Torino, 27 maggio 2016, Foro It., 2016, I, 1910; Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, cit.; App. Milano, 9 febbraio 2017, Foro it. 2017, I, 2061; Trib. Min. Bologna, 6 luglio 2017, Foro it. 2017, I, 2852; Trib. Min. Bologna, 4 gennaio 2018, Ilfamiliarista.it 5 gennaio 2018, che l’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 applica alle coppie omosessuali proprio in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1 comma 20 l. n. 76/2016. Ormai isolate voci contrarie quelle di Trib. Min. Torino, 11 settembre 2015, Foro it. 2016, I, 1911 secondo cui non può essere disposta l’adozione in casi particolari di un minore da parte della compagna dello stesso sesso della madre biologica, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b) o lett. d), l. n. 184 del 1983 in quanto la prima fattispecie è riservata esclusivamente al coniuge del genitore del minore, cui non è equiparabile, in via interpretativa, il partner omosessuale, mentre la seconda presuppone esclusivamente l’impossibilità di fatto, non anche di diritto, di affidamento preadottivo, quindi lo stato di abbandono del minore, nella specie insussistente; conforme Trib. Min. Milano, 17 ottobre 2016, n. 261, Foro it. 2017, 1, 309. Inutile ricordare che, se possono adottare in Italia, a maggior ragione si può riconoscere il provvedimento di adozione formato all’estero. 716 The best interest of the child 4. Una conseguenza poco consequenziale – Se il compagno same sex più adottare il figlio dell’altro, perché non riconoscerlo genitore (del figlio dell’altro) ab origine? La domanda, così come se la è posta il diritto vivente, vuole essere retorica. Ed invero, visto che comunque anche nella adozione in casi particolare si deve passare al vaglio – che l’art. 57 l. adoz. vuole incisivo – del Tribunale, le coppie omosessuali – ma per onestà occorre evidenziare che anche le coppie eterosessuali ricorrono ad analogo espediente – il figlio lo fanno, o se lo fanno fare, all’estero, ivi formano, in qualche modo, l’atto di nascita che indica entrambi i componenti la coppia come genitori, e poi ne chiedono la trascrizione in Italia. Soluzione più rispondente all’interesse del minore, si è detto49, in quanto la adozione ex art. 44 l. 184/1983 è, comunque, richiesta ad istanza di parte50. Qui si disvela un universo parallelo ove chi più ne ha più ne mette. Vuoi ex artt. 64, 65, 66 l. 218/1995, vuoi ex art. 18 d.p.r. 396/2000, infatti, tutto ciò che proviene dall’estero (atti, sentenze leggi ecc.) deve passare al vaglio della non contrarietà all’ordine pubblico. La diatriba tra ordine pubblico interno ed internazionale è nota e nel dubbio la relativa definizione è stata rimessa alle SS.UU.51 49 Cfr. App. Bologna 3.7.2018 cit. 50 Inutile rilevare che ex artt. 250 e 254 cod. civ. anche il riconoscimento del figlio sarebbe atto volontario 51 Cfr. Cass. 22 febbraio 2018, n. 4382 che ha disposto la rimessione all’esame del primo presidente della Corte di cassazione, perché valuti l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, le questioni di massima di particolare importanza attinenti: a) la legittimazione del sindaco, quale ufficiale di stato civile, e del ministro dell’interno ad essere parti del procedimento ex art. 67 l. n. 218/95, per conseguire l’accertamento del riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giudiziario straniero; b) la legittimazione del pubblico ministero, almeno quando si verta in tema di ordine pubblico, a ricorrere in Cassazione avverso il relativo provvedimento (nella specie, la statuizione impugnata ha riconosciuto l’efficacia in Italia, escludendone il contrasto con l’ordine pubblico, quale delineato da Cass. 19599/16, del provvedimento giudiziario straniero che ha disposto la rettifica dell’atto di nascita di due bambini, nati da una pratica di maternità surrogata, i quali hanno acquisito così lo status di figli di due uomini, quello già indicato come padre e quello di cui il provvedimento aveva accertato la genitorialità); c) la sussistenza, al riguardo, della giurisdizione ordinaria; d) in ogni caso la conformità della richiamata statuizione con l’ordine pubblico, anche atteso che la nozione di questo, fatta propria da Cass. 19599/16, non appare in linea con quella espressa da Cass. sez. un., 16601/17. Pe runa nota di commento M. Dogliotti, Davanti alle sezioni della Cassazione di “due padri” e l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione assai discutibile, in www.articolo29.it. Il Due non è uguale a uno più uno 717 Ma se si può disapplicare il diritto positivo, perché attendere quello vivente? Sulla base di questa “ovvia” constatazione, un giudice di merito52 assume essere certo che la genitorialità omosessuale corrisponde all’interesse del minore, ergo non contrasta con l’ordine pubblico, quale che sia, ergo non serve attendere le SS.UU.53 Nessuno, in questo acceso dibattito, ha osservato che con l. 18.6.2015 n. 101 è stata ratificata la Conv. Aja 19.10.1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, la quale, confermato che il superiore interesse del minore è fondamentale, all’art. 23, in tema di riconoscimento delle misure adottate in uno stato contraente, espressamente dispone che “il riconoscimento può essere negato quando sia manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato richiesto”. 5. Il diritto non discrimini. Ma la natura differenzia – A questo punto, comunque, il diritto vivente, per non discriminare, volente o nolente, si trova a dover differenziare le coppie di donne e le coppie di uomini, che, in natura, ancora una volta volenti o nolenti, uguali non sono. pronunciamento delle sezioni unite, con tutta probabilità, giungerà prima della pubblicazione delle presenti osservazioni. 52 Così App. Perugia 22 agosto 2018, il cui pdf è reperibile su www.articolo29.it 53 Il risultato di un diritto vivente autoreferenziato, che rinnega la funzione nomofilattica demandata alle sezioni unite, per vero, è in parte imputabile alla medesima Corte di cassazione – Il riferimento è a Cass. 22 giugno 2016 n. 12962, cit. – la quale, già richiesta dal PG, in identica questione, di andare alle SSUU ha risposto picche in quanto anche le sezioni semplici fanno nomofilachia. D’altro canto, vi è una più che nutrita schiera di pronunciamenti giurisprudenziali che il contrasto con l’ordine pubblico del riconoscimento, vuoi dei provvedimenti di adozione, vuoi degli atti di nascita, formati all’estero e sorreggenti la omogenitorialità, esclude; a campione, e senza nessuna pretesa di completezza, cfr. Trib. Perugia, 26 marzo 2018, de Jure; Trib. Livorno, 12 dicembre 2017, Foro it. 2018, I, 1039; Cass. 15 giugno 2017, n. 14878, Fam. e dir. 2018, 5 con nota di F. Longo, Le “due madri” e il rapporto biologico, e in Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 1708 con nota di G. Palmeri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex, e in Guida al dir. 2017, 28, 54 con nota di M. Finocchiaro, Quel “vizio” ricorrente di anticipare le scelte devolute al legislatore; Trib. Min. Firenze, 8 marzo 2017, De jure; App. Trento, 23 febbraio 2017, Dir. fam. 2017, 364; App. Milano, 28 dicembre 2016, n. 3390, Guida al dir., 2017, 13, 62; Trib. Napoli, 6 dicembre 2016, Foro it. 2017, 1, 309; App. Napoli, 5 aprile 2016, Ilfamiliarista.it 2016; App. Milano, 1 dicembre 2015, n. 2543, Guida al dir. 2016, 3, 22; App. Torino, 4 dicembre 2014, Dir. fam. 2015, 129. 718 The best interest of the child Per le coppie di donne il gioco, si potrebbe dire, è facile: una delle due partorisce, e quindi è mamma, l’altra, nei casi presentatisi all’attenzione dei nostri giudici, talvolta “dona” l’ovulo talvolta no. Se vi è donazione dell’ovulo da parte di una delle componenti la coppia, e successivo impianto nell’utero dell’altra, il riconoscimento della bimaternità sembrerebbe non rinvenire ostacoli di sorta. Ci sarebbe, ad onor del vero, l’art. 9 u.c. L.40/2004, secondo cui in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto nè essere titolare di obblighi, ma l’ostacolo è stato, dal diritto vivente, superato con la asserzione che la richiamata previsione opera solo per il donatore esterno rispetto al progetto familiare54. In tal caso, si è detto non si può negare l’importanza del legame genetico, perché il minore ha diritto di accertare la propria discendenza genetica, componente essenziale della sua identità personale alla luce del favor veritatis più volte invocato dalla Consulta55. L’attribuzione della genitorialità, nell’evenienza prospettata, non desta, peraltro, remore di carattere etico/morale, perché, si premura di sottolineare il diritto vivente56, si è in presenza di una sorta di pma eterologa, ben distante dalla maternità surrogata . In tutto ciò non si dà peso all’art. 5 l. 40/2004, vuoi perché si osserva non essere richiamato dall’art. 8 della medesima legge57, vuoi perché lo si considera abrogato dal c. 20 art. 1 L. 76/201658, vuoi perché si reputa evidente che quando l’art. 5 dice “di sesso diverso”, intenda dire “anche dello stesso sesso”59. A questo punto, se si ritiene doversi riconoscere l’atto di nascita formato all’estero, tanto vale consentirne la formazione direttamente in Italia. La Corte di cassazione60, per vero, lo aveva escluso, ma secondo un giudice di merito61 non le si deve dare soverchio rilievo, in quanto 54 In tal senso App. Perugia 22 agosto 2018, cit. 55 Cfr. Cass. 30.9.2016 n. 19599, cit. 56 Ancora Cass. 19599/2016, ma il distinguo è consueto. 57 Un certo peso glielo riconosce, per contro, Trib. Pordenone 2 luglio 2018, De jure, che solleva questione di legittimità costituzionale del citato art. 5. 58 In tal senso App. Napoli 4 luglio 2018. 59 In tal senso Trib. Pistoia 5 luglio 2018 60 Cass. 19599/2016, che pure aveva fatto trascrivere l’atto spagnolo 61 Trib. Bologna 3.7.2018 Due non è uguale a uno più uno 719 accenno privo di sufficiente motivazione, con la conseguente affermazione che l’atto di nascita si possa formare direttamente Italia62. In sintesi, usando le parole tratte dal diritto vivente63, per il solo fatto di essere amato da due donne, il figlio deve essere riconosciuto dalle due mamme che lo hanno voluto, secondo un concetto già espresso da dalla Suprema Corte64. Se non proprio fonte di un – improbabile – diritto affettuoso, l’affetto diviene, ove protratto nel tempo (già ma quanto tempo? 65), fonte di status. 62 Trib. Pisa 20.12.2017, Ilfamiliarista.it 27 marzo 2018 con nota di G. Cardaci, Formazione in Italia di un atto di nascita recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso, in effetti, su questo punto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 44 d.p.r. 396/2000 e 250 e 449 ss. cod. civ., riconoscendo che, per il diritto italiano, è escluso che i genitori possano avere lo stesso sesso: l’art. 30 Cost, si osserva, tutela la filiazione, ma questo non comporta che vada attribuito lo status di figlio di chi non è genitore. Tale il rilievo viene convenientemente superato con la osservazione che, ormai, anche i sindaci italiani provvedono direttamente alla formazione dell’atto indicante come genitori ora due mamme ora due papà, onde non serve neanche attendere il pronunciamento della Consulta. 63 Trib. Pistoia 5 luglio 2018 64 Cass. 19599/2016, cit., rel. Lamorgese, lo stesso rel. di Cass. 26 marzo 2015, n. 6131 relativa alla impugnazione posta in essere dalla madre avverso la dichiarazione di adottabilità della propria figlia, emessa nonostante il riscontrato suo sincero attaccamento affettivo alla figlia medesima, che non poteva supplire alla capacità genitoriale mancante; in un’intervista relativa all’indicato pronunciamento il relatore ebbe a dichiarare: “per essere genitore non basta voler bene ad un figlio”. 65 “Un’ ora solati vorrei, io che non so scordarti mai, per dirti ancor nei baci miei, che cosa sei per me” cantava nel 1938 Fedora Mingarelli, e da allora il brano è stato riproposto dai migliori artisti italiani, ma per quanto i fenomeni musicali e dell’arte in genere siano strettamente legati alle dinamiche sociali che caratterizzano i contesti in cui essi si esprimono, ancora non sono fonte del diritto, neanche vivente. Un’ora sola per esprimere il proprio affetto non basta a creare una comunità di affetti, ed allora sorge l’arduo dilemma di individuare il tempo necessario affinché l’affetto possa essere considerato fondativo dell’acquisizione dello status. Nel – tristemente – famoso caso Paradiso-Campanello c. Italia, una delle argomentazioni di C. EDU grande Camera del 24 gennaio 2017 n. 25358, Nuova giur. civ. commentata, 2017, I, 495 con nota di L. Lenti, Ancora sul caso Paradiso e Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera, è stata quella per cui 8 (o sei) mesi sono un lasso tempo insufficiente per costituire una vita familiare; App. Perugia 22 agosto 2018 stabilisce che siano i primi due anni di vita a porre le basi per un attaccamento sicuro; nel caso posto all’attenzione di App. Napoli 4 luglio 2018, di anni ne erano passati sei, durante i quali la aspirante mamma adottiva compagna della madre biologica, unitamente a quest’ultima, aveva acquistato una casa in comproprietà tramite mutuo cointestato, circostanze, codeste, che, agli occhi del giudice, confermano che il bambino era stato voluto da entrambe le madri; ancora sei anni erano trascorsi nel caso di cui ad App. Trento 23 febbraio 2017, Dir. fam., 2017, 364; ad un, piuttosto vago, “molti anni”, fa riferimento Trib. Roma 30 dicembre 2015, www.studiolegale.leggiditalia.it.. Da non trascurare che, quanto meno nelle ipotesi in cui si richiede la formazione dell’atto direttamente in Italia, ma non solo, si tratta quasi sempre di un neonato. Evidentemente si potrebbe andare avanti all’infinito, ma quale che voglia essere il tempo della affettività, questa non può essere 720 The best interest of the child Due donne, due mamme …. E se si tratta di due uomini? Nell’ipotesi della maternità rivendicata da due donne, quanto meno nel caso di “mescolanza” tra genetica e biologia, la giurisprudenza ha avuto, come osservato, gioco, parzialmente, facile, ancorando la riconosciuta bimaternità al diritto del minore a conoscere le proprie origini. Ma quando si tratta di due uomini il discorso necessariamente cambia: qui genetica e biologia non aiutano perché, di necessità, con almeno uno dei due uomini il legame biologico è certo che non esista, mentre è, altrettanto necessariamente, presente una maternità surrogata. Anche il rinvio all’ordine pubblico internazionale, in tal caso, non aiuta, poiché, quanto meno il consesso “internazionale” a noi più vicino aborre, è il caso di dire, la maternità surrogata: dalla Risoluzione del Parlamento Europeo “sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel monto nel 2014 e sulla politica dell’Unione europea in materia” del 17.12.2015 n. 115, che “espressamente condanna la pratica della surrogazione di maternità”, al Consiglio d’Europa 11.10 2016, che ha bocciato il c.d. rapporto De Sutter che della maternità surrogata voleva una regolamentazione, con implicito riconoscimento66, la pratica è, in linea generale, decisamente malvista. La stessa Corte Edu, dai casi Menneson, Labasse c. Francia del 2014, D. e altri c. Belgio del 2014, Paradiso Campanelli, sia del 2015 che del assunta alla stessa stregua di un possesso che, con il trascorrere del tempo, fa maturare l’usucapione. Jaycee Dugart, fu rapita da piccola e rimase per 18 anni segregata dal suo aguzzino; Natascha Maria Kampusch di anni di segregazione ne ha fatti 8; 15 anni in una caverna ha passato una piccola indonesiana con il proprio rapitore e purtroppo, pare che gli esempi potrebbero aumentare; possiamo considerare i rapitori genitori solo perché hanno perpetrato la loro barbarie per tanto tempo? Fuor di paradosso, in questi terrificanti fatti di cronaca, della più nera, i rapitori abusavano delle bambine, il relativo comportamento, nel nostro ordinamento, concretando, unitamente, purtroppo, ad altre ipotesi di reato, gli estremi del reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, ex art. 600 cod. pen.. Gli estremi di tale reato, invece, non sono ritenuti, dai nostri giudici, integrati nel caso di compravendita di essere umano al fine del suo inserimento come figlio nel nucleo familiare degli acquirenti, poiché il delitto di cui all’art. 600 cod. pen. implica la reificazione della vittima, mentre nel caso in questione la condotta è finalizzata ad inserire la vittima in una famiglia uti filius; cfr. Cass. pen. 22 luglio 2015 n. 34460 Diritto & Giustizia 2015, 30, 52 con nota di C. Bossi, ‘Acquistare’ un figlio; Cass. pen.14 luglio 2015 n. 1797; Cass. pen.14 luglio 2015 n. 1795; Cass. pen.6 giugno 2008 n. 32986, Cass.pen., 2009, 3872; Cass. pen. 10 settembre 2004 n. 39044, Cass. pen. 2007, 160 con nota di A. Rossetti, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibili, e in Giur. it. 2005, 1708D. Martinelli, Cessione di neonato “uti filius”. I bimbi compravenduti avranno acquistato lo status di figli grazie al favor filiationis che impone la continuità degli affetti? 66 Bocciatura, tuttavia, che secondo V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, cit., 1097 ss. ha segnato una battuta d’arresto per la salvaguardia dei diritti dei bambini. Due non è uguale a uno più uno 721 2017, non ha mai considerato la donna committente, non biologicamente legata al figlio da altri partorito, come mamma67. Perché, allora, lo dovrebbe essere il padre committente, altrettanto non biologicamente legato con il figlio? Per superare l’imbarazzo si invoca un non meglio specificato favor minoris, da cui conseguirebbe il diritto alla continuità degli status68, senza contare che, per invocare la continuità dello status, uno status bisogna pur averlo acquisito. Trapela, allora, di sfuggita69 che in caso di bipaternità non c’è contrasto con l’ordine pubblico (internazionale) perché la trascrizione dell’atto di nascita indicante due padri garantisce il diritto delle persone di autodeterminarsi, disvelando quelli che sono i reali interessi sottesi che si vogliono tutelare. Quelli degli adulti omosessuali70. In tal modo, occorre francamente riconoscere, non si realizza, neanche nel concreto, l’interesse del minore, che del contratto di maternità surrogata (contratto traslativo) è nulla più che l’oggetto. In ogni caso, sempre e comunque, il minore è oggetto per appagare i desideri di genitorialità degli adulti71. In una delle sue ultime interviste Rita Levi Montalcini invocò il diritto di indignarsi. È giunto il momento di esercitare questo diritto. 67 68 Cfr. Corte EDU 26 giugno (26 settembre) 2014 n. 65192/11, Nuova giur. civ. commentata 2014, I, 1122 con nota di C. Campiglio, Il diritto all’identità personale del figlio nato all’estero da madre surrogata (ovvero la lenta agonia del limite dell’ordine pubblico), e in Quaderni Cost. 2014, 953, con nota di M. M. Giungi, Mennesson c. Francia e Labasse c. Francia: le molteplici sfumature della surrogazione di maternità, e in Foro it. 2014, I, 561 con nota di G. Casaburi, La Corte europea apre (con riserve) alla maternità surrogata; Corte EDU 26 giugno 2014, n. 65941, Resp. civ. prev., 2014, 2041; C. EDU 8 luglio 2014, n. 29176; Corte EDU 27 gennaio 2015 n. 25358/12, Foro it., 2015, IV, 117 con nota di G. Casaburi, La Corte europea dei diritti dell’uomo e il divieto italiano (e non solo) di maternità surrogata: un’occasione mancata, e in Nuova giur. civ. commentata 2015, I, 828 con nota di A. Schuster, Gestazione per altri e Conv. Eur. Dir. uomo: l’interesse del minore non deve mai essere un mezzo, ma sempre e solo il fine del diritto; C. EDU 24 gennaio 2017 n. 25358, cit. Così Trib. Torino 24 febbraio 2017, senza citare una sola norma; secondo App. Venezia 28 giugno 2018 non serve la verità del rapporto di filiazione, perché il divieto dell’art. 12 l. 40/2004 non è di ordine pubblico, ma scelta discrezionale del legislatore, ma si è visto che la conformità della gestazione per altri all’ordine pubblico ancorché internazionale è più che discutibile 69 L’osservazione “scappa” a Trib. Roma 11 maggio 2018 70 Più che bastevole il rinvio a F. D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, cit., 1447 ss. il quale denuncia come si sia trasformato il desiderio in diritto. 71 E dire che Cenerentola per far avverare i desideri chiamava la fata smemorina 722 The best interest of the child Bibliografia Al Mureden E., L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio., in Fam. e dir.,2017, p.218 Amatucci A., Disconoscimento per adulterio: effetti della sentenza additiva della corte costituzionale, in Foro it.,1985,I, p. 2532 Amoroso G., Pronunce additive di incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, in Foro it.,2017, I,p. 494 Andreola E., Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima,in Fam. e dir., 2017, p.24 Attademo L., La “stepchild adoption” omoparentale nel dettato dell’art. 44, comma 1, lett. D), L. n. 184/1983 e nella L. n. 218/1995, in Corr. giur., 2016, p.1203 Auletta T., Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur.,2014,p. 473 Autorino Stanzione G., Il diritto del figlio di conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti,in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p.1484 Balestra L., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it.,2016, p.1771 ss. Benanti C., La maternità èdella donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p.241 Berti De Marinis G., Maternità surrogata e tutela dell’interesse superiore del minore: una lettura critica alla luce di un recente intervento della Corte EDU, in Actualidad juridica iberoamericana, 2015, III, p. 307 Bianca M., Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova disciplina delle unioni civili nel sistema, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017,p. 266 Bianca M., Il diritto del nato ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del Tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, in Dir. fam., 2015, p.186 Bianca M., La buona fede nei rapporti familiari, in Nuova giur. civ. comm., 2018, II, p.910 ss. Bianchini D., Omosessualità ed affidamento condiviso: nulla quaestio se non vi è contrasto con l’interesse del minore,in Dir. fam., 2009, p.689 Bilotta F., Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare, in Dir. fam., 2011,p. 1375 Bilotti E., L’adozione del figlio del convivente, in Fam. e dir., 2017, p.998 Bossi C., Acquistare un figlio,in Dir. & Giust.,2015,p.30 ss. Bozzi L., La legge 76 del 2016: istituzione delle unioni civili e disciplina delle convivenze di fatto. Prime brevissime riflessioni, in www.dpce.it, Diritto pubblico comparato ed Europeo,2016,p.8 ss. Bugetti M.N., Il cognome comune delle persone unite civilmente, in Fam. e dir.,2016, p.911 ss. Due non è uguale a uno più uno 723 Bugetti M.N., “Favor veritatis, favor stabilitatis, favor minoris”: disorientamenti applicativi,in Fam. e dir., 2017, p. 848 Bugetti M.N., Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, in Corr. Giur.,2017,p.618 Bugetti M.N., Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c. c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in Fam. e dir., 2016, p. 476ss. Busnelli F.D.,Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ.,2016, I, p.1447ss. Campiglio C., Il diritto all’identità personale del figlio nato all’estero da madre surrogata (ovvero la lenta agonia del limite dell’ordine pubblico),in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p.1122 Carbone V., Anche la madre può disconoscere il figlio da quando sa che il padre non è il marito, in Corr. giur.,1999, p.1097 Carbone V., Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto,in Corr. giur., 2017,p. 29 Carbone V., Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo, in Corr. giur., 2017, p.167 Carbone V., Separazione e affidamento del minore alla madre convivente con la compagna, in Corr. giur.,2013, p.436 Carbone V., Sterilità della coppia: fecondazione eterologa anche in Italia,in Fam. e dir., 2014, p.753 Carbone V., Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno,in Fam. e dir., 2014, p.15 Cardaci G., Formazione in Italia di un atto di nascita recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso,in Il familiarista.it ,2018 Carota L., La tutela del rapporto con il genitore sociale nelle coppie dello stesso sesso e l’orientamento della corte costituzionale sulle modalità di conservazione del rapporto una volta cessata la convivenza, in Nuova giur. civ. comm.,2018, I,p. 270 Carrano R.- Ponzani M., L’adozione del minore da parte del convivente omosessuale tra interesse del minore e riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali, in Dir. fam.,2014, p.1550 ss. Casaburi G., La Corte europea dei diritti dell’uomo e il divieto italiano (e non solo) di maternità surrogata: un’occasione mancata, in Foro it.,2015, IV,p. 117 Casaburi G., “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, in Foro it., 2014, I, p.2343 Casaburi G., Dai diversi modelli di adozione di minore nella giurisprudenza alla novellazione legislativa della nozione di stato di abbandono, in Foro it. ,2014, I, p.59 Casaburi G., Filiazione, impugnazione per difetto di veridicità, azione non promossa dal figlio, decadenza quinquennale, giudizi pendenti inapplicabilità,in Foro it., 2017,p. 832 Casaburi G., Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini,in Foro it.,2014, I,p. 8 724 The best interest of the child Casaburi G., L’”Unbirthday” secondo il legislatore italiano: la “non” disciplina delle adozioni omogenitoriali nella l. 20 maggio 2016 n.76 ,in Foro it.,2016, I, p.1910 Casaburi G., L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra, in Foro it., 2016, I, p. 2342 Casaburi G., L’impugnativa per difetto di veridicità: una sentenza “ancien régime” della Cassazione,in Foro it., 2015, I, p.311 Casaburi G., La Corte Costituzionale apre al cognome materno, ma restano molte questioni irrisolte, in Foro it., 2017, I, p.6 Casaburi G., La Corte europea apre (con riserve) alla maternità surrogata, in Foro it.,2014, I, p.561 Casaburi G., La Corte europea dei diritti dell’uomo “impone” l’introduzione dell’adozione “mite”,in Foro it., 2014, I, p.173 Casaburi G., Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, in Foro it.,2018, I, p.5 Casaburi G., Privilegia ne inroganto. La Cassazione/legislatore riconosce e insieme limita il diritto alle origini nei confronti delle sorelle e dei fratelli biologici, in Foro it., 2018, I, p.1141 Castronovo C., Diritto privato e realtà sociale. Sui rapporti tra legge e giurisdizione a proposito di giustizia, in Eur. e dir. priv. ,2017, p. 764 Castronovo C., Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. e dir. priv., 2014,p.1117 Cersosimo C., L’omogenitorialità e il c.d. superiore interesse del minore, in Giust. civ.comm., I, 2017 Cicero C.,- Peluffo E., L’incredibile vita di Timothy Green e il giudice legislatore alla ricerca dei confini tra etica e diritto, ovverosia, quando diventare genitori non sembra (apparire) più un dono divino,in Dir. fam., 2014,p. 1289 Cipriani N., La prima sentenza italiana a favore dell’adozione nelle famiglie omogenitoriali,in Dir. fam., 2014,p. 176 Cosentino F., Impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c. e tutela del figlio minore,in Dir. fam.,1997, p. 842 Costantino M., L’identità del bambino e del concepito, voglie individuali di anonimato e di rifiuto, in Riv. dir. civ., 2008, I, p.747. Currò G., Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento,in Fam. e dir., 2013, p.537 D’Avack L., Il diritto alle proprie origini tra segreto, anonimato e verità nella PMA con donatori/trici di gameti, in Dir. fam., 2012, p .815 ss. D’Avack L.,Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare,in Dir. fam.,2014,p. 973. Dami A., Diritto all’identità genetica del nascituro e diritto alla genitorialità in tema di surrogazione della maternità. Quale interesse preminente del minore?, in Giust. civ.comm., IX, 2017 Due non è uguale a uno più uno 725 De Cristofaro G., Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°- 34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ. comm., 2017, p.101 De Cupis A., Adulterio e decorrenza dell’azione di disconoscimento della paternità, in Giur. it., 1985, I, p.1ss. De Tommasi M.C., Riconoscibilità dei c.d. “parental order” relativi ad un contratto di maternità surrogata concluso all’estero prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2004, in Fam e dir., 2010, p. 251 Di Gesù S., La tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale, in Vita not. ,2017,p.131 Di Marzio P., Figlio di due madri? in Dir. fam.,2017,p.298 Di Marzio P., Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini, in Fam. e dir., 2017, p.740 Di Nardo M., Venire contra factum proprium: applicabilità del principio in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità,in Giur. mer., 2010, p.1250 Diurni A., Storia e attualità della filiazione in Europa, in Dir. fam., 2007, p.1397 ss. Dogliotti M .- Astiggiano F.,Le adozioni, Milano ,2014,p.42 Dogliotti M., Davanti alle sezioni della Cassazione di “due padri” e l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione assai discutibile, in www.articolo29.it. Fava G., La (presunta) omosessualità del genitore non è di ostacolo all’affido esclusivo del figlio, in Giur. mer., 2007, p.1581 Favilli C., Il cognome tra parità dei genitori e identità dei figli, in Nuova giur. civ. comm.,2017, I, p.818 Ferrando G ., Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, in Corr. giur., 2017,p. 190 Ferrando G., A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I,p.171 Ferrando G., Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore,in Corr. giur.,p.2018 Ferrando G., Il problema dell’adozione del figlio del partner,in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p.1213 Ferrando G., La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”,in Corr. giur., 2014, p.1062 Ferrando G., Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, in Corr. giur.,2017, p.190 Finocchiaro A., Adelante, pedro, con juicio, ovvero: l’evoluzione della coscienza collettiva e l’incostituzionalità dell’art. 244 cod. civ.,in Giust. civ.,1985, I, p.2142 Finocchiaro M.,Quel “vizio” ricorrente di anticipare le scelte devolute al legislatore, in Guida al dir.,2017, p.28 ss. Fioravanti C., Sul cognome della prole: nel perdurante silenzio del legislatore parlano le corti, in Le nuove leggi civ. comm.,2017, p. 626 726 The best interest of the child Fossà C., Filiazione. Il paradigma del best interest of the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno, in Giur. it.,2017,p.2075 Gaudino L., Riconoscimento del figlio “per compiacenza” impugnazione ex art. 263 c.c. e risarcimento del danno,in Resp. civ. prev., 2016, p.193 Giacobbe E., Adozione e affidamento familiare: ius conditum,“vivens”,condendum, in Dir. fam., 2016, p.237 Giacobbe E., Dell’insensata aspirazione umana al dominio volontaristico sul corso della vita, in Dir. fam.,2016, p.590 Giungi M., Mennesson c. Francia e Labasse c. Francia: le molteplici sfumature della surrogazione di maternità, in Quad. Cost., 2014, p.953 Gorgoni A., Art. 263 c.c.: tra verità e conservazione dello status filiationis,in Nuova giur. civ. comm.,2018, I, p.540 Ingenito C., Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giust. civ., 2013, I, p.1608 La Rosa E., Il divieto irragionevole di fecondazione eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili,in Giur. it.,2014, p. 2827 La Torre A., Maternità “surrogata” e gravidanza “di urgenza”, in Giust. civ., 2000, II, p.267 Lenti L., Ancora sul caso Paradiso e Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera,in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p.495 Lipari N., Giudice legislatore, in Foro it.,2017, I, p.492 Lisella G., Volontà della madre biologica di non essere nominata nella dichiarazione di nascita e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini,in Dir. fam., 2014,p. 27 Locatello D.M., Favor minoris e azione di disconoscimento della paternità: lo strumento dell’ascolto, in Corr. giur., 2018, p.619 Long J., Adozione e segreti: costituzionalmente illeggittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto,in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p.289 Longo F., Le “due madri” e il rapporto biologico, in Fam. e dir., 2018, p. 5 Marcenò V., Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivare incertezze,in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p.285 Margaria A., Parto anonimo e accesso alle origini,in Minori e giust., 2013, p.340 Martinelli D., Cessione di neonato “uti filius”, in Giur. it., 2005, p. 1708 Mastrangelo G., L’affidamento anche etero familiare di minori ad omosessuali, Spunti per una riflessione a più voci, in Fam. e dir.,2014, p.351ss. Mendola A., L’interesse del minore tra ordine pubblico e divieto di maternità surrogata, in Vita not.,2015, p. 674 Menichetti S., Una sentenza che allinea l’Italia a Strasburgo,in Dir. fam.,2016,p. 806 Morozzo Della Rocca P., Le adozioni in casi particolari ed il caso della stepchild adoption, in Corr. giur.,2016, p.1203 Murgo C., Affidamento del figlio naturale e convivenza omosessuale dell’affidatario: l’interesse del minore come criterio esclusivo, in Nuova giur. civ. comm.,2013, I, p.432 Due non è uguale a uno più uno 727 Neri C.- Prelati R.,Salute e riservatezza: due diritti a confronto, in Rass. Giur. Umbra, 2002, p.417 Niccolai S., Diritto delle persone omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna?,Giur. Cost.,2016, II, p.1169 Palmeri G., (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p.1708 Palmeri G., Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex., in Nuova giur. civ. comm,2017, I, p.362 Paparo B., Omosessuali e affidamento dei figli,in Giur. it.,2013, p.1036 Pascucci L.,La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 219 Pothier R. G., Trattato del contratto di matrimonio, III, Milano, 1813, p.282 ss. Prinzi A., Sulla legittimazione all’impugnazione del riconoscimento del figlio consapevolmente falso e sulla interpretazione assiologica e sistematica dell’art. 263 c.c.,in Dir. fam.,2013, p.973 Quadri E., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?, in Giust. civ.comm., 2016 Renda A.,La surrogazione di maternità ed il diritto della famiglia al bivio, in Eur e dir. priv.,2015, p.415 ss. Renda A.,La surrogazione di maternità tra principi costituzionali e interesse del minore, in Corr. giur.,2015, p.471 Restivo E., Sul riconoscimento non veridico di un figlio naturale,in Dir. fam.,2013, p.705 Risicato L., La Corte costituzionale supera le esitazioni della CEDU: cade il divieto irragionevole di fecondazione eterologa,in Riv. it. dir. proc. pen, 2014, p.1473 Rivera I., La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore, in Giur. it.,2016, p.2580 Rossetti A., Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibili, in Cass. pen. 2007, p.160 Rossi R., Second-parent adoption e omogenitorialità,in Eur. e Dir. Priv.,2014, I,p. 217 Ruscello F., Quando il pregiudizio ... è una valutazione del pregiudizio! A proposito dell’affidamento della prole alla madre omosessuale, in Fam.e dir.,2013,p. 570 Russo R., L’affidamento condiviso dei figli minori, Giur.mer.,2013,V,p.1049 Salanitro U., Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati,in Nuova giur. civ. comm.,2018, I, p.552 Santarsiere V., Impugnazione del riconoscimento di figlio per diritto di veridicità. Domanda rigettata,in Foro pad., 2013,p. 309 Scalisi V., Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, p. 405 ss. Scalisi V., Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, I, p.1097 728 The best interest of the child Schuster A., Gestazione per altri e Conv. Eur. Dir. uomo: l’interesse del minore non deve mai essere un mezzo, ma sempre e solo il fine del diritto,in Nuova giur. civ. comm.,2015, I,p.828 Sesta M ., La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, p.488 ss. Sesta M., La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam.e dir., 2016, p.881. Spadafora A., Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa,in Giur. it., 2016, p.2573 Thiene A., Figli, finzioni e responsabilità civile, in Fam. e dir.,2016,p. 238 Trimarchi M., Unioni civili e convivenze, in Fam. e dir., 2016, p.859 ss. Tripodina C., Il “diritto al figlio” tramite fecondazione eterologa. La Corte costituzionale decide di decidere,in Giur. Cost., 2014, p.2563 Vallini A.,Sistema e metodo di un biodiritto costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa,in Dir. pen. e proc.,2014,p. 825 Veronesi S., La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption,in Fam. e dir., 2016, p. 1034 Vigato E., Godelli c. Italia: il diritto a conoscere le proprie origini, in Quad. Cost., 2012, p.908 Vincenzi Amato D., L’interesse del minore è sempre interesse alla veridicità del suo status filiationis?,in Giur. Cost.,1997, p.1073 Wonkler M.M., La cassazione e le famiglie ricomposte: il caso del genitore convivente con persona dello stesso sesso, in Giur. it.,2013, p.1036 Maternità surrogata e tutela del minore: quale il best interest of the child? Emanuele Lucchini Guastalla Il tema della maternità surrogata ha generato problemi derivanti soprattutto dalle differenze tra la legislazione italiana e quelle, più permissive, vigenti in altri Paesi1. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, infatti, il divieto di maternità surrogata non è stato intaccato dalle varie pronunce della giurisprudenza costituzionale2 che hanno modificato l’impianto originario della legge 40/20043. 1 Prendendo in considerazione i Paesi europei, si può notare che la maternità surrogata è consentita in un numero limitato di Stati (Albania, Georgia, Grecia, Portogallo, Regno Unito, Russia ed Ucraina) e ognuna delle discipline nazionali presenta peculiarità in relazione ai soggetti ammessi all’utilizzo di tale tecnica procreativa e in ordine alla gratuità od onerosità della stessa. 2 Si fa riferimento, innanzitutto, a Corte cost., 10.6.2014, n. 162, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 802, con nota di G. Ferrando. Con tale pronuncia, la Corte costituzionale ha posto fine al divieto di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo originariamente previsto dall’art. 4, comma 3°, l. 40/2004, dichiarando incostituzionale la disposizione citata, così come la norma sanzionatoria (di carattere complementare) di cui all’art. 12, comma 1°, l. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.; per alcuni commenti alla sentenza, v.: V. Carbone, Sterilità della coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia, in Fam. e dir., 2014, p. 753; C. Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. e dir. priv., 2014, p. 1105; L. D’Avack, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, in Dir. fam. e pers., 2014, p. 1005; G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, in Corr. giur., 2014, p. 1068. Un’altra pronuncia da ricordare è Corte Cost., 5.6.2015, n. 96, in www.cortecostituzionale.it, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della l. 40/2004 nella parte in cui vietava l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto alle coppie con gravi patologie genetiche trasmissibili al nascituro (art. 1, commi 1° e 2°, e art. 4, comma 1°, l. 40/2004). Ancora, vanno citate Corte Cost., 18.12.2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, p. 21, sulla quale ci si soffermerà infra nel testo, e Corte Cost., 23.10.2019, n. 221, in www. cortecostituzionale.it, alla quale si farà riferimento nella nota conclusiva. 3 Come è noto, l’art. 12, comma 6°, della legge in questione continua a sanzionare con 730 The best interest of the child Sia nel caso di “surrogazione omologa” – ovvero qualora la “madre gestazionale” ospiti un embrione formato da gameti provenienti dai genitori che commissionano la surrogazione – sia nell’ipotesi di “surrogazione eterologa” – che si verifica qualora si faccia ricorso alla donazione di ovociti in combinazione con la gravidanza nell’interesse della “committente”4 – possiamo individuare una molteplicità di figure in potenziale contrapposizione: il “genitore genetico”, il “genitore sociale”, la “madre gestazionale” e il figlio generato a seguito delle predette tecniche5. la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di Euro “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. È da ritenersi che, in mancanza di una definizione legislativa della surrogazione di maternità, nel divieto ricadano “sia l’ipotesi in cui una donna metta a disposizione l’utero per ricevere un oocita fecondato altrui, sia l’ipotesi in cui metta a disposizione, oltre all’utero, anche un proprio oocita, in entrambi i casi impegnandosi a cedere il bambino subito dopo il parto”: così G. Losappio, Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione assistita, in C. Palazzo – C.E. Paliero (cur.), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, sub art. 12, p. 2062, ripreso da E. Dolcini, La procreazione medicalmente assistita: profili penalistici, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni – S. Rodotà – P. Zatti, Il governo del corpo, II, nel Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà – P. Zatti, Milano, 2011, p. 1551. 4 Ad esempio: si feconda l’ovocita della “madre surrogata” con il seme dell’uomo della coppia committente; oppure, è una donna diversa dalla “madre sociale” e dalla “madre gestazionale” a fornire l’ovocita, che viene fecondato con il seme dell’uomo della coppia committente; ancora, è possibile che l’ovocita sia estraneo alle due donne e il seme maschile provenga da un soggetto estraneo alla coppia committente. 5 Per la distinzione tra maternità surrogata omologa ed eterologa, v. G. Casaburi, Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, in Foro it., 2014, I, p. 3414. In dottrina si riscontra, però, l’impiego di termini differenti per indicare le varie fattispecie. Ad esempio, vi è chi parla di “surrogazione totale” per indicare la donna che porta a termine la gravidanza dopo avere ricevuto l’ovulo fecondato di un’altra donna (tale ovulo può appartenere alla madre committente o ad una donatrice), distinguendola dalla “surrogazione parziale”, in cui la madre sostituta è anche madre genetica, in quanto si incarica di fornire l’ovulo e di condurre la gravidanza (così I. Corti, La maternità per sostituzione, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni – S. Rodotà – P. Zatti, Il governo del corpo, II, cit., p. 1480). Altra dottrina ritiene che, per questioni di chiarezza, occorrerebbe qualificare come maternità surrogata “quella tecnica in base alla quale una donna si impegna su commissione (con o senza corrispettivo) a portare a termine una gravidanza e a consegnare il figlio dopo il parto ai “committenti” (in questa ipotesi la donna incaricata “presta”, per così dire, sia il materiale genetico che la funzione di gestazione)”; diversamente, sarebbe una “locazione d’utero” “quella fattispecie in cui la donna in questione si limita a portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico impiegato è dei soggetti “committenti”“ (G. Cassano, Maternità “surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordi di solidarietà, in Fam. e dir., 2000, p. 151 ss., il quale riprende G. Baldini, Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, p. 96). Maternità surrogata e tutela del minore 731 La giurisprudenza italiana ha dovuto affrontare, negli ultimi anni6, le questioni attinenti al riconoscimento del rapporto di filiazione tra bambini nati da maternità surrogata e coppie che hanno utilizzato tale tecnica al di fuori del nostro Paese. Negli Stati (soprattutto europei, ma non solo) ove la maternità surrogata è consentita, accade normalmente che – dopo la nascita del bambino e in conformità alla legislazione del luogo in cui avviene il parto – il certificato di nascita viene formato con l’attribuzione dello status di padre e madre del neonato ai genitori committenti. Una volta formato il certificato di nascita, i “genitori sociali” richiedono all’autorità consolare straniera di trasmetterlo al proprio comune di residenza, solitamente non specificando di avere fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero, per ottenerne la trascrizione nei registri dello stato civile. Non sempre, tuttavia, l’omessa menzione della maternità surrogata passa inosservata: in tali casi, si generano contrasti tra autorità italiane e coppia committente che giungono all’esame delle corti. Limitando l’esame alle sentenze più recenti e di maggiore rilievo, occorre ricordare la pronuncia Cass. 24001/2014, che ha qualificato il divieto di maternità surrogata come principio di ordine pubblico, anche internazionale7. 6 La prima pronuncia in tema di maternità surrogata è Trib. Monza, 27.10.1989, in Nuova giur. civ. comm., 1990, I, p. 355, con nota di G. Liaci, che ha affermato la nullità del contratto con cui una donna consente, verso compenso, a ricevere il seme di un uomo e a portare a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di madre. Bisogna però dare atto che il ricorso a forme di surrogazione di maternità – pur senza l’intervento medico e l’utilizzo delle moderne tecniche (che, come si è già osservato, hanno generato una diversificazione tra varie tipologie di surrogazione, a seconda della provenienza dei gameti impiegati nella tecnica procreativa) – è antichissimo: per una ricognizione storica, v. E. Cantarella, Il paradosso romano: la donna tra diritto e cultura, in M.T. Guerra Medici (cur.), Orientamenti civilistici e canonistici sulla condizione della donna, Napoli, 1996, p. 14 s.; si veda, inoltre, il richiamo all’episodio biblico di Abramo (che fu convinto da Sara ad avere un figlio dalla schiava Agar) nel contributo di A. Vallini, La schiava di Abramo, il giudizio di Salomone e una clinica di Kiev: contorni sociali, penali e geografici della gestazione per altri, in Dir. pen. e proc., 2017, p. 896 ss. 7 Cass., 11.11.2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 235, con nota di C. Benanti, in Foro it., 2014, I, p. 3414, con nota di G. Casaburi e in Corr. giur., 2015, p. 471, con nota di A. Renda. In proposito, è nota la distinzione tra ordine pubblico “interno” e “internazionale”, quest’ultimo inteso “come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria” (Cass., ord. 16.5.2016, 732 The best interest of the child Nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte, una coppia eterosessuale italiana aveva fatto ricorso alla maternità surrogata in Ucraina. L’atto di nascita, formato all’estero, indicava quali genitori i componenti della coppia, ma il bambino non era figlio biologico né dell’uomo né della donna italiana. Ciò costituiva, tra l’altro, una violazione anche della legge ucraina, la quale richiede, per la stipula di una convenzione di maternità surrogata, che almeno metà del materiale genetico provenga dai committenti: pertanto, uno di loro deve necessariamente essere genitore biologico. Nell’occasione, la Cassazione ha precisato che l’ordine pubblico internazionale è da intendersi quale “limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna”: pertanto, esso non può essere ridotto “ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili”. Partendo da questa osservazione, la Suprema Corte ha richiamato i principi espressi dall’art. 269, comma 3°, c.c., per il quale è madre colei che partorisce, nonché dall’art. 12, comma 6°, legge 40/2004, che, come si è ricordato, sancisce il divieto di maternità surrogata. Secondo la Corte, tale divieto è da considerarsi di ordine pubblico – anche tenuto conto della previsione di una rilevante sanzione penale – in quanto è posto a presidio della dignità umana della gestante. n. 9978, in Foro it., 2016, I, p. 1973). Sul punto v. pure Cass., 15.6.2017, n. 14878, in banca dati Italgiure (per la quale, “quanto alla nozione di ordine pubblico, si distingue correntemente tra ordine pubblico internazionale e interno, costituendo il primo un limite all’applicazione del diritto straniero” e il secondo “un limite all’autonomia privata, indicato dalle norme imperative di diritto interno”). Recentemente, le Sezioni Unite della Cassazione, proprio in relazione al divieto di maternità surrogata, hanno evidenziato che “la compatibilità con l’ordine pubblico” (richiesta dagli artt. 64 ss. l. 218/1995 per il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero), deve essere “valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico” (così Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193, in Foro it., 2019, p. 2003, che verrà ripresa infra, nella nota conclusiva). Maternità surrogata e tutela del minore 733 Inoltre, la surrogazione di maternità si pone in conflitto con la scelta legislativa di consentire “la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato” solo all’istituto dell’adozione, governato da regole poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non dal mero accordo delle parti. L’interesse del minore deve essere considerato preminente “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi” ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 1768. Secondo la Cassazione, il superiore interesse del bambino viene tutelato dal legislatore italiano proprio attribuendo la maternità alla donna che partorisce e affidando la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico all’istituto dell’adozione, dotato delle garanzie proprie del procedimento giurisdizionale. Un’interpretazione relativa al limite dell’ordine pubblico si rinviene, poi, nella sentenza Cass. 19599/2016, la quale – occorre subito precisare – non concerneva un’ipotesi di maternità surrogata9. Il caso riguardava la trascrizione dell’atto di nascita spagnolo dal quale, conformemente alla lex loci, risultava la nascita di un figlio da due donne: una (spagnola) che l’aveva partorito e l’altra (italiana) che aveva donato l’ovulo. Nella pronuncia del 2016, la Cassazione ha sottolineato come il proprio precedente del 2014 riguardasse una fattispecie differente per “almeno due ragioni”: infatti, nel caso deciso nel 2014, “non esisteva alcun legame biologico tra i coniugi, aspiranti genitori, e il nato”; inoltre, “l’atto di nascita era invalido secondo la stessa legge del paese (Ucraina) nel quale esso era stato formato”, poiché “falsamente attestava che il nato era figlio di quei coniugi”. La Suprema Corte è giunta, quindi, ad affermare che il limite dell’ordine pubblico non può impedire il riconoscimento dell’efficacia 8 Oltre che sulla Convenzione, citata dalla Suprema Corte, il principio della superiorità dell’interesse del bambino poggia, a livello internazionale, anche sull’art. 23 del reg. CE n. 2201/2003 e sull’art. 24 della Carta dir. UE, nonché, a livello di diritto interno, sugli artt. 316, 317-bis, 330, 336-bis, 337-ter, 337-quater, 337-sexies, c.c. 9 Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 372 ss., con nota di G. Palmeri, in Foro it., 2016, I, p. 3329, con nota di G. Casaburi e in Giur. it., 2017, p. 2082, con nota di C. Fossà. 734 The best interest of the child in Italia di un atto di stato civile straniero quando questo sia semplicemente espressione di una disciplina normativa contrastante con disposizioni anche imperative o inderogabili di diritto interno. Il limite opera, invece, solo quando il diritto straniero di riferimento sia incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, che, con una certa facilità, si desumono dalla Costituzione, dai Trattati costitutivi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, non collide con l’ordine pubblico la circostanza che venga utilizzata, nel caso concreto, una tecnica riproduttiva non contemplata nella legge 40/2004. Nemmeno osta al riconoscimento dell’atto straniero il principio ricavabile dall’art. 269, comma 3º, c.c., secondo cui è madre solo colei che ha partorito, trattandosi di norma in tema di prova della filiazione. Infine, irrilevante è il fatto che la coppia sia composta da persone dello stesso sesso, unite da stabile legame affettivo: occorre, infatti, tutelare l’interesse superiore del minore, che si sostanzia anche nel suo diritto alla continuità dello status di filiazione nei confronti di due donne, validamente acquisito all’estero. I principi espressi in questa decisione della Cassazione hanno, così, sostanzialmente avallato l’orientamento assunto da quella parte della giurisprudenza di merito che tendeva ad ammettere in Italia la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero in base a normative disciplinanti tecniche procreative non consentite dall’ordinamento italiano10. Non ha stupito, quindi, il contenuto dell’ordinanza della Corte d’appello di Trento del febbraio 2017, la quale ha consentito la trascri10 V., ad es.: App. Bari, 13.2.2009, in Fam. e dir., 2010, p. 257 ss.; Trib. Forlì, 25.10.2011, in Dir. fam. e pers., 2013, p. 532; Trib. Napoli, 1.7.2011, in Giur. merito, 2011, p. 2695: Trib. Milano, 12.6.2015, in ilfamiliarista.it. Successivamente alla pronuncia della Cassazione, la giurisprudenza di merito ha affermato che non sono contrari all’ordine pubblico e sono conformi al vero – e pertanto il giudice può disporne la trascrizione – gli atti di nascita stranieri di due bambini, indicati come gemelli (twins) in quanto nati nella stessa data e dalla stessa donna, che non li ha riconosciuti, mentre, per ciascuno di essi, è indicato come genitore (parent), senza connotazione di genere, un diverso cittadino italiano di sesso maschile (App. Milano, decr. 28.12.2016, in Foro it., 2017, I, p. 722; nella specie, una coppia omosessuale aveva fatto ricorso, in California, alla pratica della maternità surrogata; i due bambini, gemelli dizigoti, erano nati a mezzo della fecondazione di due distinti ovuli di una terza donatrice, ciascuno con il seme di uno dei due ricorrenti, con impianto degli embrioni così ottenuti nell’utero della donna che li ha poi partoriti; per un commento, v. G. Cardaci, La trascrizione dell’atto di nascita straniero formato a seguito di gestazione per altri, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 657 ss.). Maternità surrogata e tutela del minore 735 zione di un provvedimento straniero che emendava gli atti di nascita di due minori al fine di indicare due uomini quali genitori11. La coppia omosessuale in questione, infatti, aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero12; il legame genetico con i figli era sussistente solo per uno dei committenti13, ma entrambi erano riusciti ad ottenere giudizialmente, in conformità alla lex loci, il riconoscimento dello status di genitori. A testimonianza del rilievo primario che deve essere riconosciuto alla posizione dei bambini, la Corte d’Appello, pur ammettendo che “il principio del best interest dei minori a vedere riconosciuto lo status di figli non ha valenza assoluta”, ha affermato che esso può “cedere unicamente di fronte ad altri interessi e valori di rilevanza costituzionale primaria e vincolanti per il legislatore ordinario”. Nel caso di specie, il mancato riconoscimento dello status filiationis nei confronti del padre non biologico avrebbe determinato “un evidente pregiudizio per i minori”, poiché essi non avrebbero visto riconosciuti in Italia i loro diritti nei confronti di tale soggetto. Essi, poi, sarebbero stati pregiudicati “anche sotto il profilo della perdita dell’identità familiare legittimamente acquisita”. La circostanza che l’Italia non consenta il ricorso alla maternità surrogata non è stata, quindi, ritenuta sufficiente per negare effetti, nel 11 App. Trento, 23.2.2017, in Foro it., 2017, I, 1034. Si veda, però, l’esito della vicenda giudiziaria, sfociata nella pronuncia delle Sezioni Unite del 2019, che verrà ricordata nella nota conclusiva, alla quale pertanto si rimanda. 12 Più specificamente, i ricorrenti avevano contratto matrimonio in Canada; come è noto, l’art. 1, comma 28°, lett. b), l. 76/2016 ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per la modifica e il riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo. L’art. 1, comma 1°, d.lgs. 7/2017 ha inserito l’art. 32bis nella l. 218/1995, che così dispone: “Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”. In tempi recenti, la Suprema Corte ha stabilito che il matrimonio omosessuale tra persone dello stesso sesso contratto all’estero tra un cittadino italiano ed uno straniero, ai sensi dell’art. 32-bis l. 218/1995, può essere trascritto nel nostro ordinamento come unione civile, essendo trascrivibile come matrimonio solo quello contratto all’estero da due cittadini stranieri (così Cass., 14.5.2018, n. 11696, in banca dati Italgiure). 13 Tale legame genetico era stato riconosciuto da un provvedimento emesso dalla Superior Court of Justice dell’Ontario (Canada). La tecnica procreativa utilizzata nel caso di specie era stata quella della surrogazione di maternità eterologa, con una prima donna donatrice di ovociti ed una seconda che aveva assunto il ruolo di “madre gestazionale”. 736 The best interest of the child nostro ordinamento, al provvedimento straniero che, in applicazione della legge ivi vigente, ha riconosciuto un rapporto di filiazione tra il padre non biologico ed i due minori nati facendo ricorso alla maternità surrogata. La decisione si fonda sul rilievo che la disciplina positiva della procreazione medicalmente assistita debba essere considerata non come espressione di principi fondamentali immodificabili, ma piuttosto come il punto di equilibrio raggiunto a livello legislativo nella tutela dei differenti interessi fondamentali che vengono in considerazione nella materia14. Da segnalare anche la sentenza della Corte Costituzionale 18.12.2017, n. 27215. La vicenda riguarda un caso di surrogazione di maternità, attraverso ovodonazione, realizzata all’estero. Il certificato di nascita del bambino, riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, era stato regolarmente trascritto in Italia. La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni aveva avviato delle indagini nel corso delle quali era emerso il ricorso alla gestazione per altri e aveva quindi avviato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, conclusosi con una dichiara14 Si è fatto notare che “tra le varie argomentazioni spese in favore della trascrizione degli atti di nascita [...] ve ne è una che appare dirimente: quella relativa alla necessità [...] di promuovere il best interest of the child”: quando il diniego alla trascrizione rischia di pregiudicare gli interessi e i diritti del minore (o dei minori), “la clausola dell’ordine pubblico, di per sé aperta a molteplici interpretazioni, non può non venire “illuminata” [...] dal principio del best interest of the child” (G. Cardaci, op. loc. cit.). Si deve poi registrare un’altra importante pronuncia del 2017 (successiva all’ordinanza della Corte d’Appello di Trento), con la quale la Cassazione, richiamando il proprio precedente del 2016, ha ribadito che non è contraria all’ordine pubblico internazionale la trascrizione richiesta da due cittadine italiane, residenti e coniugate all’estero, affinché l’atto di nascita del minore (figlio di una delle due, a seguito di fecondazione assistita) rechi l’indicazione di entrambe come genitori, pur non avendo una di loro alcun rapporto biologico con lui (cfr.: Cass., 15.6.2017, n. 14878, in banca dati Leggi d’Italia). 15 () Corte cost., 18.12.2017, n. 272, in Foro it., 2018, 1, p. 21 ss.; per alcuni commenti a tale pronuncia, v.: G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, in Foro it., 2018, 1, p. 21 ss.; O. Clarizia, Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: interesse del minore alla conservazione dello stato di figlio in seguito a violazione del divieto di maternità surrogata, in Foro nap., 2018, 1, p. 244 ss.; S. Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 ss.; U. Salanitro, “Favor minoris”, impugnazione del riconoscimento e maternità surrogata. Per un’interpretazione costituzionalmente orientata, in www.giustiziacivile.com, 2018, 2, p. 9 ss. Maternità surrogata e tutela del minore 737 zione di non luogo a provvedere, avendo il test genetico confermato la paternità biologica di colui che aveva effettuato il riconoscimento. Su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale per i minorenni di Milano aveva autorizzato poi l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale e nominato un curatore speciale del minore. La decisione che ha dichiarato che il minore non è figlio della donna che lo aveva riconosciuto si è fondata sulla disposizione di cui all’art. 269, terzo comma, c.c. e sulla contrarietà all’ordine pubblico della legge straniera che prevedeva il contratto di surrogazione. Nel giudizio d’appello, la Corte solleva questione di legittimità costituzionale: il dubbio di costituzionalità attiene, in particolare, all’art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente all’interesse del minore. La Corte Costituzionale dichiara la questione infondata, ma sottolinea come la tutela dell’interesse del minore rappresenti principio immanente in tutto il sistema normativo sia nazionale che internazionale e rimette, quindi, al giudice di merito pieno potere decisionale rispetto al caso specifico. In questo quadro giurisprudenziale16 non si può fare a meno di ricordare, seppur in modo sintetico, gli interventi da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di rapporto tra maternità surrogata e art. 8 della Convenzione. Nelle sentenze gemelle Mennesson c. Francia (CEDU, 26.6.2014, ric. 65192/11) e Labassée c. Francia (CEDU, 26.6.2014, ric. 65941/11)17, la Corte ha ritenuto contrario all’art. 8 il rifiuto da parte delle autorità nazionali francesi di riconoscere valore legale alla relazione tra un padre e il figlio biologico nato all’estero facendo ricorso alla maternità surrogata. 16 Quadro giurisprudenziale che si è ora arricchito anche della pronuncia delle Sezioni Unite del 2019, richiamata nella nota conclusiva, alla quale si rinvia. 17 Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 1122, con nota di C. Campiglio. Trattasi di pronunce in cui la Corte si è pronunciata all’unanimità e che sono state considerate decisioni “senza precedenti” e “di grandissimo rilievo”, in quanto la Corte eur. dir. uomo ha mostrato un’apertura alla maternità surrogata “con riferimento all’ordinamento francese, ma evidentemente con riflessi su quelli degli altri paesi che pure vietano tale tecnica procreativa, compresa l’Italia” (G. Casaburi, Nota a Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, in Foro it., 2014, IV, p. 561, il quale rinvia anche a Id., Osservazioni a Trib. Milano 8.4.2014 e 15.10.2013, in Foro it., 2014, II, p. 389 e Id., Nota a Cass. 11 novembre 2014, n. 24001, ivi, I, p. 3408). 738 The best interest of the child I casi concreti riguardavano maternità surrogate commissionate negli Stati Uniti da coppie eterosessuali francesi e in cui i padri erano anche genitori biologici dei figli. In particolare, la Corte non ha considerato violato da parte dello Stato francese il diritto della coppia al rispetto della vita familiare, bensì il diritto del minore nato da maternità surrogata al rispetto della propria vita privata. Infatti, il rispetto per la vita privata include il primario interesse a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio o di figlia di una coppia di genitori. La vicenda che ha avuto maggiore rilievo mediatico nel nostro Paese è, però, quella dei coniugi Paradiso e Campanelli. Costoro si erano rivolti ad una clinica specializzata russa per ricorrere alla tecnica della maternità surrogata. Una volta rientrati nel nostro Paese con il minore, a seguito di segnalazione alle autorità italiane, veniva accertata l’assenza di un legame genetico tra i genitori committenti ed il bambino. Pertanto, le autorità riconoscevano lo stato di abbandono del minore, non avendo questi alcun legame biologico o giuridico (secondo la legge italiana) con i coniugi: il minore veniva dichiarato in stato di adottabilità e affidato prima ad una casa famiglia e, infine, ad una nuova coppia. A seguito del ricorso da parte dei signori Paradiso e Campanelli, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronunciava dapprima con la sentenza 27.1.2015, ritenendo violato l’art. 8 della Convenzione18. La Corte riconosceva, infatti, l’esistenza di una famiglia de facto tra la coppia e il bambino, di modo che la sua sottrazione ai coniugi ricorrenti e l’affido si presentavano come un’illegittima interferenza dello Stato italiano nella vita privata e familiare. La questione veniva, successivamente, affrontata dalla Grande Chambre, la quale, con sentenza del 24.1.2017, a maggioranza di undici componenti contro sei, ha ribaltato il giudizio di primo grado, affermando la legittimità delle misure adottate dalle autorità italiane19. 18 Corte eur. dir. uomo, 27.1.2015, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 828, con nota di A. Schuster. 19 Corte eur. dir. uomo, 24.1.2017, in Foro it., 2017, IV, p. 105, con nota di G. Casaburi. Per un’approfondita analisi della sentenza v. anche L. Lenti, Ancora sul caso Paradiso & Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 495. Maternità surrogata e tutela del minore 739 La Corte ha ribadito l’orientamento per cui, in materie delicate quali la maternità surrogata, i singoli Stati godono di ampia discrezionalità e il giudizio, ai fini della valutazione del rispetto dell’art. 8 della Convenzione, non può che riguardare il caso concreto. Nella motivazione fornita dalla Grande Chambre assume un ruolo preminente l’interesse generale alla difesa dell’ordine ed alla protezione dei minori, mentre l’interesse dei ricorrenti alla realizzazione del proprio progetto genitoriale si configura come necessariamente subordinato. La Corte prende atto che lasciare il bambino con i ricorrenti avrebbe condotto alla legalizzazione di una situazione creatasi a seguito della violazione di importanti regole dell’ordinamento italiano. La breve durata della coabitazione del minore con i coniugi aveva, del resto, impedito la costituzione di una vera e propria vita familiare e la precarietà di tale condizione era stata causata proprio dal comportamento dei ricorrenti, che avevano violato le leggi del proprio Paese. Per tali ragioni, le autorità italiane, considerando l’illegalità della condotta dei ricorrenti e l’urgenza di giungere a soluzioni adeguate per il minore, hanno adottato misure pertinenti e proporzionate all’obiettivo perseguito. Dall’esame della normativa e della giurisprudenza in tema di maternità surrogata si rileva un contrasto inevitabile tra il divieto presente nel nostro paese e l’utilizzo, nella prassi, di tale tecnica procreativa all’estero da parte di committenti italiani. Tuttavia, al di là delle affermazioni di principio che si leggono nelle pronunce, pare che, nell’adozione delle decisioni concrete, abbia spesso avuto un rilievo non trascurabile il fatto che vi fosse o meno un “contributo biologico” da parte di almeno uno dei committenti20. Sia nella vicenda di cui si è occupata Cass. 19599/2016, sia in quella oggetto dell’ordinanza App. Trento 23.2.2017, uno dei “genitori sociali” era anche il “genitore biologico”, mentre nel caso deciso da Cass. 24001/2014 mancava tale legame biologico21. 20 () Si riferisce a “un contributo biologico minimo”, “un legame biologico minimo” e “un substrato biologico minimo” M. Di Masi, Maternità surrogata: dal contratto allo “status”, in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 615 ss., spec. p. 627 ss., il quale critica tale impostazione giurisprudenziale ritenendo che “la distinzione sin qui tracciata, fondata sulla presenza o meno di contributo biologico minimo, pare però non conformarsi al supremo interesse del minore quale espressione del diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU”. 21 Sul ruolo del legame genetico con almeno uno dei genitori v. già S.L. Tiller, 740 The best interest of the child Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le sentenze Mennesson c. Francia (CEDU, 26.6.2014) e Labassée c. Francia (CEDU, 26.6.2014) riguardavano casi in cui era presente un legame genetico tra uno dei committenti e il figlio. Diversamente, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia (CEDU, Grande Chambre, 27.1.2017), si era impiegata una surrogazione di maternità di tipo eterologo, nella quale entrambi i gameti provenivano da soggetti esterni alla coppia. Quando è presente il legame genetico, l’interesse del minore conduce ad una tutela ampia delle relazioni instaurate, a seguito della maternità surrogata, con la coppia committente. Il collegamento biologico con uno dei genitori committenti favorisce, di fatto, il riconoscimento giuridico anche del rapporto tra figlio e “genitore sociale” che non sia anche “genitore biologico”. Quando, invece, manca ogni legame genetico con i committenti, il superiore interesse del minore alla conservazione della relazione familiare instaurata con soggetti a lui geneticamente estranei viene valutato sulla base dei caratteri di tale relazione, primo fra tutti la durata della stessa. Ne è testimonianza la citata sentenza della Grande Chambre, la quale, pur considerando inopportuna la fissazione di una durata minima, ha ritenuto non idonea a creare legami stabili la convivenza di soli sei mesi del minore con i coniugi committenti. L’affermazione della priorità dell’interesse del minore22 nelle decisioni che lo riguardano lascia, però, sempre sullo sfondo il problema – difficilmente risolvibile qualora si faccia ricorso a tecniche di maternità surrogata – della tutela del bambino con riguardo al rapporto tra lo stesso e la madre gestante23, con la quale si genera un legame fisico Note, Litigation, Legislation and Limelight: Obstacles to Commercial Surrogate Mother Arrangements, in 72 Iowa Law Review, 1987, p. 415. 22 Non è mancato chi abbia messo in guardia sull’utilizzo della clausola generale di tutela dei best interests of the child, la quale, “di per sé confusa e ambigua” rivelerebbe “un profilo sconcertante: quello di servire da immagine pietosa e irresistibile, e al tempo stesso da complemento inesorabile e vincente, di uno dei più inquietanti nuovi “dogmi”: il c.d. diritto alla genitorialità, che si esprime in una libera “autodeterminazione procreativa”“ (F.D. Busnelli, I diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1447 ss.; anche M. Di Masi, op. cit., p. 634, riconosce “l’ambivalenza del best interest of the child, che si mostra [...] strumento quanto mai complesso e volubile”). 23 Proprio la figura della madre gestante viene valorizzata nella recente Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193, cit. (per la quale v. soprattutto la nota seguente), la quale afferma Maternità surrogata e tutela del minore 741 nelle prime fasi della vita, ma che, una volta terminata la gravidanza, appare sacrificato nel contemperamento complessivo degli interessi di cui sono portatori gli adulti. Adulti che forse dimenticano che i figli dovrebbero essere considerati un dono e non un diritto24. che, nel divieto di surrogazione di maternità sancito dalla l. 40/2004 “vengono […] in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”. Inoltre, si noti che viene confermato dalla Cassazione quanto già evidenziato supra nel testo, ovvero che, tendenzialmente, qualora manchi il predetto legame biologico, un progetto di genitorialità trova maggiori ostacoli ad essere riconosciuto da parte dell’ordinamento italiano, giacché occorre tutelare il minore e non dare prevalenza alle aspirazioni dei “genitori sociali”. 24 A questo proposito, emblematica è la sentenza Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193, cit. (pronunciata a seguito dell’ordinanza di rimessione Cass., 22.2.2018, n. 4382, in Foro it., I, 2018, p. 782, con nota di G. Casaburi; per un commento sull’ordinanza, v. M. Dogliotti, I “due padri” e l’ordine pubblico… Tra sezioni semplici e Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2018, p. 843 ss.), in relazione alla vicenda di cui si era occupata App. Trento, 23.2.2017, cit. La Suprema Corte ha osservato innanzitutto che “la compatibilità con l’ordine pubblico […] dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria”. Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite si sono mosse in controtendenza rispetto al filone giurisprudenziale più permissivo, statuendo che “il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983” (per un commento, v. G. Recinto, La decisione delle Sezioni unite in materia di c.d. maternità surrogata: non tutto può e deve essere “filiazione”, in Dir. succ. e fam., 2019). Proprio con riferimento al tema dell’adozione, è da registrarsi l’ordinanza Cass., 11.11.2019, n. 29071, in banca dati Italgiure, con cui la Prima Sezione civile ha rimesso al Primo Presidente della Cassazione, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la risoluzione della questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374, comma 2°, c.p.c., ovvero: “se sia contrario all’ordine pubblico e quindi non trascrivibile nei registri dello stato civile italiano il provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera, che abbia disposto l’adozione di un minore in favore di una coppia dello stesso sesso, ove nessuno 742 The best interest of the child Bibliografia Baldini G., Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, p. 96 Busnelli F.D., I diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1447 ss. degli adottanti risulti legato da vincoli genitoriali biologici con l’adottato”. Con ordinanza del giugno 2017 la Corte d’Appello di Milano aveva accolto la richiesta di una coppia omosessuale volta alla trascrizione dell’Order of Adoption pronunciato dalla Surrogate’s Court dello Stato di New York, Contea di New York, ritenendo che “l’adozione di un minore da parte di partner dello stesso sesso, pronunciata in altro stato, non fosse contraria all’ordine pubblico internazionale”, considerato l’interesse superiore del minore. Va notato che il caso che ha originato l’ordinanza di rimessione è differente da quello di cui la Suprema Corte si era occupata nella pronuncia Cass., ord. 31.5.2019, n. 14007, in banca dati Italgiure. Infatti, il precedente del maggio 2019 riguardava due donne omossessuali francesi coniugate all’estero, residenti in Italia, le quali avevano richiesto al giudice italiano il riconoscimento di una sentenza francese che aveva disposto a favore di ciascuna l’adozione del figlio biologico dell’altra, mentre la vicenda attualmente oggetto di giudizio concerne due soggetti adottanti che non risultano legati da vincoli genitoriali biologici con l’adottato. Si ripresenta, quindi, l’eventualità di differenti soluzioni, in ragione della sussistenza o meno di un collegamento biologico con uno dei “genitori sociali”. Infine, va pure ricordato che, anche se non concerne direttamente il divieto di surrogazione di maternità ma altre disposizioni della l. 40/2004, la recente pronuncia Corte Cost., 23.10.2019, n. 221, in www.cortecostituzionale.it, si pone nella medesima prospettiva di quella delle Sezioni Unite sopra citata (Cass., Sez. Un., 8.5.2019, n. 12193, cit.); infatti, i Giudici lasciano intendere piuttosto chiaramente che la posizione del minore non può essere sacrificata per soddisfare gli interessi degli adulti. La sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato – in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 32, 11 e 117, comma 1°, Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, all’art. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e agli artt. 5, 6, 22, 23 e 25 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della l. 40/2004 nella parte in cui escludono l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) per le coppie formate da due donne e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso, poiché l’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive. In particolare, osserva il Giudice delle Leggi, che una tale conclusione “non è inficiata dai più recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali e del riconoscimento in Italia di atti formati all’estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori dello stesso sesso”: ciò perché vi è “una differenza essenziale tra l’adozione e la PMA. L’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo. […] La PMA, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole – come si è detto – che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza””. Maternità surrogata e tutela del minore 743 Cantarella E., Il paradosso romano: la donna tra diritto e cultura, in M.T. Guerra Medici (cur.), Orientamenti civilistici e canonistici sulla condizione della donna, Napoli, 1996, p. 14 s. Carbone V., Sterilità della coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia, in Fam. e dir., 2014, p. 753 Cardaci G., La trascrizione dell’atto di nascita straniero formato a seguito di gestazione per altri, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 657 ss. Casaburi G., Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, in Foro it., 2018, 1, p. 21 ss Casaburi G., Nota a Cass. 11 novembre 2014, n. 24001, in Foro it., I, p. 3408 Casaburi G., Nota a Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, in Foro it., 2014, IV, p. 561 Casaburi G., Osservazioni a Trib. Milano 8.4.2014 e 15.10.2013, in Foro it., 2014, II, p. 389 Casaburi G., Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, in Foro it., 2014, I, p. 3414 Cassano G., Maternità “surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordi di solidarietà, in Fam. e dir., 2000, p. 151 ss. Castronovo C., Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. e dir. priv., 2014, p. 1105 Clarizia O., Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: interesse del minore alla conservazione dello stato di figlio in seguito a violazione del divieto di maternità surrogata, in Foro nap., 2018, 1, p. 244 ss. Corti I., La maternità per sostituzione, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni – S. Rodotà – P. Zatti, Il governo del corpo, II, nel Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà – P. Zatti, Milano, 2011, p. 1480 D’Avack L., Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, in Dir. fam. e pers., 2014, p. 1005 Di Masi M., Maternità surrogata: dal contratto allo “status”, in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 615 ss. Dogliotti M., I “due padri” e l’ordine pubblico… Tra sezioni semplici e Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2018, p. 843 ss. Dolcini E., La procreazione medicalmente assistita: profili penalistici, in S. Canestrari – G. Ferrando – C. Mazzoni – S. Rodotà – P. Zatti, Il governo del corpo, II, nel Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà – P. Zatti, Milano, 2011, p. 1551 Ferrando G., La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”, in Corr. giur., 2014, p. 1068 Lenti L., Ancora sul caso Paradiso & Campanelli c. Italia: la sentenza della Grande Camera, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 495 Losappio G., Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione assistita, in C. Palazzo – C.E. Paliero (cur.), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, sub art. 12, p. 2062 Recinto G., La decisione delle Sezioni unite in materia di c.d. maternità surrogata: non tutto può e deve essere “filiazione”, in Dir. succ. e fam., 2019 Salanitro U., “Favor minoris”, impugnazione del riconoscimento e maternità surrogata. Per un’interpretazione costituzionalmente orientata, in www.giustiziacivile.com, 2018, 2, p. 9 ss. Sandulli S., Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, p. 77 ss. Tiller S.L., Note, Litigation, Legislation and Limelight: Obstacles to Commercial Surrogate Mother Arrangements, in 72 Iowa Law Review, 1987, p. 415 Vallini A., La schiava di Abramo, il giudizio di Salomone e una clinica di Kiev: contorni sociali, penali e geografici della gestazione per altri, in Dir. pen. e proc., 2017, p. 896 ss. La determinación de la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida: problemas y perspectivas José Ramón de Verda y Beamonte Sumario: 1. Consideraciones preliminares. – 2. Usuaria casada con un varón: necesidad de consentimiento del marido e imposibilidad de impugnación de la presunción de paternidad. – 3. Usuaria casada con otra mujer. – 3.1. Posibilidad de que la cónyuge pueda consentir ante el Registro Civil la inscripción a su favor del hijo concebido artificialmente. – 3.2. Sobre si para efectuar la inscripción es necesaria la prueba de haberse realizado la reproducción asistida: posición de la Dirección General de los Registros y del Notariado y crítica de la misma. – 3.3. El riesgo de fomentar la reproducción asistida al margen de la Ley: las inseminaciones artificiales domésticas. – 3.4. Valor jurídico del consentimiento previo de la mujer de la usuaria a la práctica de la reproducción asistida. – 4. Usuaria conviviente de hecho con un varón. – 4.1. El consentimiento voluntario del varón a la reproducción asistida como escrito indubitado a efectos registrales. – 4.2. Consentimiento previo voluntario y acción de reclamación de la paternidad. – 5. Usuaria conviviente de hecho con otra mujer: consentimiento previo a la práctica de la reproducción asistida y posesión de estado. 1. Consideraciones preliminares La filiación plantea cuestiones específicas, cuando es fruto del uso de las técnicas de reproducción asistida, materia ésta, que actualmente está contemplada por la Ley 14/2006, de 26 de mayo, la cual deroga la anterior Ley 35/1988, de 22 de noviembre, que había sido parcialmente modificada por la Ley 45/2003, de 21 de noviembre. Ante todo, hay que observar que, como prevé el art. 7.1 de la Ley 14/2006, “La filiación de los nacidos con las técnicas de reproducción asistida 746 The best interest of the child se regulará por las leyes civiles, a salvo de las especificaciones establecidas en los tres siguientes artículos” (en materia de determinación legal de la filiación, fecundación póstuma o gestación por sustitución), precisando el precepto que, “En ningún caso, la inscripción en el Registro Civil reflejará datos de los que se pueda inferir el carácter de la generación”. Por lo demás, hay que recordar que en materia de filiación es comúnmente aceptada por la doctrina la distinción entre título constitutivo y título de determinación: el título constitutivo se refiere al hecho previo que crea la filiación, que, desde el punto de vista del Código civil, es la generación (en la filiación por naturaleza) o la adopción (en la filiación adoptiva); el título de determinación es, en cambio, el modo legal de constatarla, que, en el caso de la filiación por naturaleza, presupuesto el hecho de la generación, ha de ser uno de los contenidos en los arts. 113 y ss. CC, que tienen siempre carácter declarativo, pues se basan en la idea de que la verdad legal que de ellos resulta coincide con la verdad bilógica (que opera como realidad previa) determinada por la generación1. Es parecer mayoritario de la doctrina (que comparto) que, ni la Ley 35/1988 (primero), ni la Ley 14/2006 (después), pretendieron crear un nuevo título constitutivo basado en la voluntad de procrear, sino que se limitaron a regular ciertas peculiaridades para el caso de que la generación tuviera lugar mediante el uso de las técnicas de reproducción asistida, presuponiendo siempre que estábamos ante una filiación por naturaleza (aunque, sui generis)2; y tampoco se propusieron establecer nuevos títulos de determinación distintos a los regulados en el Código civil, al que claramente se remite el ya citado art. 7.1 de la Ley 14/2006, cuyo tenor no deja lugar a dudas: “La filiación de los nacidos con las técnicas de reproducción asistida se regulará por las Leyes civiles, a salvo de las especificaciones establecidas en los tres siguientes artículos”3. 1 Cfr. por todos R. Verdera Server, Determinación y acreditación de la filiación, Barcelona, 1993, p. 15 ss. 2 J.J. Iniesta Delgado, La filiación derivada de las formas de reproducción humana asistida, en Tratado de Derecho de familia, dirs. M. Yzquierdo Tolsada – M. Cuena Casas, vol. V, Las relaciones paterno-filiales (I), Cizur Menor, 2011, p. 747, observa, así, que la Ley 14/2006, “no se plantea como un sistema alternativo al de la filiación natural o adoptiva, sino como un sistema complementario de la misma”. 3 No creo que la Propuesta de Código Civil elaborada por la Asociación de Profesores de Derecho Civil parta de una idea distinta. Es cierto que en ella se incluye en el Código la regulación de la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida, a las que se dedican los arts. 223-1 a 223-6. Sin embargo, es claro que no se contempla un nuevo tipo de filiación basado en la voluntad de procrear: el nº La determinación de la filiación artificial 747 Una vez hecha esta precisión, estudiaremos la cuestión de la determinación legal de la filiación en el caso de la reproducción asistida en la que existen peculiaridades, para cuya explicación deben distinguirse diferentes supuestos, en atención a la situación familiar de la usuaria. 2. Usuaria casada con un varón: necesidad de consentimiento del marido e imposibilidad de impugnación de la presunción de paternidad Si está casada con un varón, cuando éste (tal y como exige el art. 6.3 de la Ley 14/2016) haya prestado “su consentimiento formal, previo y expreso” a que aquélla sea fecundada con gametos propios o de tercero anónimo, ni él, ni su mujer, “podrán impugnar la filiación matrimonial del hijo nacido como consecuencia de tal fecundación” (art. 8.1). Por lo tanto, en el caso de fecundación heteróloga, no se podrá discutir la paternidad del marido, a pesar de existir una disociación entre la verdad legal y la biológica4. 1º del art. 221-1 recoge, así, la clasificación actual, según la cual “La filiación puede tener lugar por naturaleza o adopción”. A continuación, añade que “La filiación derivada de técnicas de reproducción asistida se determina con arreglo a las disposiciones especiales previstas en el Capítulo III de este Título”. Sin embargo, en ellas no se prevén títulos de determinación de la filiación distintos a los regulados a propósito de la filiación por naturaleza: no lo es el consentimiento del marido a que su mujer se someta a las técnicas de reproducción asistida, que sigue jugando como una causa de exclusión de la impugnación de una paternidad determinada en virtud de la presunción de paternidad del marido (art. 223-4, nº 1º y 2º); ni tampoco el consentimiento del varón no casado respecto a su conviviente more uxorio, que, en sí mismo no determina la filiación paterna, por lo que, en defecto de reconocimiento, seguirá siendo necesario acudir al expediente gubernativo, considerándose el consentimiento como un escrito indubitado (art. 223-5, nº 2º). Por cuanto concierne a la determinación de la maternidad de la mujer de la usuaria, sí que creo que el art. 223-3 regula un tipo de filiación basado en la voluntad de aquélla de querer ser madre, pero esto es algo que, a mi entender, ya hace el nº 3 del art. 7 de la Ley 14/2006, añadido por la Ley 3/2007, de 15 de marzo, cuya redacción actual se debe a la Ley 19/2015, de 13 de julio. 4 El art. 235-8.1 del Libro II del CC de Cataluña dispone que “Los hijos nacidos a consecuencia de la fecundación asistida de la mujer, practicada con el consentimiento expreso del cónyuge formalizado en un documento extendido ante un centro autorizado o en un documento público, son hijos matrimoniales del cónyuge que ha dado el consentimiento”. Con anterioridad, los arts. 92.1 y 97.1 del Código de Familia de Cataluña de 1998 exigían que dicho consentimiento se prestara en documento público. Sin embargo, la jurisprudencia flexibilizó este requisito formal, entendiendo que bastaba que fuera dado en el documento firmado ante el centro autorizado. V. en este sentido STSJ, Cataluña, 27 noviembre 2007, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2007, 8520, como también AAP, 12 julio 2011, JUR, 2011, 373587. 748 The best interest of the child Este precepto no crea un nuevo título constitutivo de la filiación matrimonial distinto de la generación5, y tampoco establece un nuevo título de determinación de la misma, que sigue siendo la presunción de paternidad del art. 116 CC6: se limita a establecer una causa de exclusión de impugnación, basada en la voluntad de ambos cónyuges de atribuir al hijo que nazca la filiación del marido, con independencia de quien sea su padre biológico7. Por ello, la falta de este consentimiento previo no impide la inscripción de la filiación paterna en favor del marido, conforme al art. 44, 4, III, a) de la Ley del Registro Civil de 2011 (acreditado el matrimonio de los progenitores y la procedencia de la presunción de paternidad del marido), sino que lo que sucede es que se excluye la aplicación del art. 8.1 de la Ley 14/2006, por lo que la filiación podrá ser impugnada, por no corresponderse con la verdad biológica8. 3. Usuaria casada con otra mujer Si la usuaria está casada con otra mujer, según se ha dicho, no se exige que ésta consienta previamente que aquélla acuda a las técnicas de reproducción asistida, lo que se explica porque en este supuesto no juega el art. 116 CC, por lo que el hijo que nazca, en ningún caso, se presumirá matrimonial. 5 Sin embargo, A. Sánchez Hernández, Ad art. 3 LTRHA. Condiciones personales de la aplicación de las técnicas, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre Técnicas de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J. Inhiesta Delgado, Cizur Menor, 2007, p. 53, mantiene una posición contraria, al entender que el consentimiento del marido a que su mujer se someta a las técnicas de reproducción asistida “se erige aquí en fundamento de la paternidad”. 6 La situación es distinta en Cataluña, pues el art- 235-3 235-8.1 del Libro II del CC expresamente considera un título de determinación de la paternidad “el consentimiento a la fecundación asistida de la mujer”. 7 V. en este sentido J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., pp. 757-758; M. Navarro Castro, Ad art. 44 LRC, Inscripción de nacimiento y filiación, en Comentarios a la Ley del Registro Civil, dirs. J.A. Cobacho Gómez – A. Leciñena Ibarra, Cizur Menor, 2012, p. 690-692; y R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, Filiación de los hijos nacidos mediante técnicas de reproducción asistida, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre Técnicas de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J. Inhiesta Delgado, Cizur Menor, 2007, pp. 266-267, 272. 8 En el mismo sentido se orienta el art. 223-4, núms. 1º y 2º PCC. La determinación de la filiación artificial 749 3.1. Posibilidad de que la cónyuge pueda consentir ante el Registro Civil la inscripción a su favor del hijo concebido artificialmente No obstante, el art. 7.3 de la Ley 14/2006 (introducido por la Disposición Adicional Primera de la Ley 3/2007, de 5 de marzo) prevé que, si no está separada legalmente o de hecho, pueda, “manifestar conforme a lo dispuesto en la Ley del Registro Civil que consiente en que se determine a su favor la filiación respecto al hijo nacido de su cónyuge”. La razón de ser de la norma es clara: posibilitar que el hijo tenga dos progenitores. La redacción actual del precepto se debe a la Disposición Adicional Quinta de la Ley 19/2015, de 13 de julio, de medidas de reforma administrativa en el ámbito de la administración de Justicia y del Registro Civil. Con anterioridad, el precepto decía que la mujer casada con la usuaria, no separada, legalmente o de hecho, “podrá manifestar ante el Encargado del Registro Civil del domicilio conyugal, que consiente en que cuando nazca el hijo de su cónyuge, se determine a su favor la filiación respecto del nacido”. Se planteaba, pues, el problema de la usuaria sometida a las técnicas de reproducción asistida, incluso con el consentimiento escrito de su mujer, sin que esta última hubiera tenido la precaución de acudir al Registro Civil antes del nacimiento del hijo, manifestando su voluntad de que el niño se inscribiera como matrimonial cuando naciera9. Con el fin de posibilitar dicha inscripción, la jurisprudencia afirmó que no era necesario que la declaración previa se hubiera hecho ante el Encargado del Registro, bastando con que se hubiera prestado ante la clínica, lo que servía para acreditar “adecuadamente el voluntario consentimiento para la técnica de reproducción asistida y la voluntad concorde de las partes de concebir un hijo”10. 9 La SAP, Islas Baleares, 5 diciembre 2012, in Tol 2724548, estimó, así la demanda de impugnación de la filiación de la mujer de la usuaria, porque el consentimiento para que el niño nacido fuera inscrito como hijo de ambas había sido prestado, después del nacimiento del mismo (no antes), habiéndose celebrado el matrimonio pocos días después del alumbramiento. 10 STS, 5 diciembre 2013, Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2013, 7566. La solución propugnada por esta sentencia es la que ha sido acogida por el art. 223-3 PCC, cuyo nº 2 se manifiesta en los siguientes términos: “El consentimiento debe prestarse antes del nacimiento del hijo. Puede formalizarse en el documento de consentimiento del tratamiento de fecundación asistida, ante el encargado del Registro Civil o en documento público”. 750 The best interest of the child Este problema ya no se plantea: ahora basta con que la mujer de la usuaria consienta en el momento de practicarse la inscripción del nacimiento que quede determinada la filiación del hijo respecto de ella. 3.2. Sobre si para efectuar la inscripción es necesaria la prueba de haberse realizado la reproducción asistida: posición de la Dirección General de los Registros y del Notariado y crítica de la misma Sigue existiendo una controversia consistente en determinar si, además de manifestar dicho consentimiento, deberá acreditarse que el hijo que se desea inscribir ha sido concebido mediante las técnicas de reproducción asistida. No lo ha considerado necesario una reciente resolución de la Dirección General de los Registros y del Notariado11, con el argumento de que del actual tenor del art. 7.3 de la Ley 14/2006 (coincidente con el del art. 44 de la Ley del Registro Civil de 2011, redactado también por la Ley 19/2015), “cabe colegir que la intención del legislador ha sido facilitar la determinación de la filiación de los hijos nacidos en el marco de un matrimonio formado por dos mujeres, independientemente de que hayan recurrido o no a técnicas de reproducción asistida”12. Esta posición no me convence: no existiendo una presunción de maternidad de la mujer de la usuaria semejante a la que el art. 166 CC establece respecto del marido, parece mucho más razonable exigir la prueba de que la gestación del niño ha tenido lugar mediante dichas técnicas13. Podría argumentarse que el art. 44 de la Ley del Registro Civil de 2011 permite que, aun faltando la presunción de paternidad del marido, se haga constar la filiación paterna con el consentimiento de ambos cónyuges. Sin embargo, este precepto debe ponerse en relación con el 11 RDGRN 8 febrero 2017 (1ª). G. Muñoz Rodrigo, La reproducción asistida y la filiación. Especial referencia al caso de las parejas de mujeres homosexuales, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018, p. 392-396, analiza extensamente, desde una perspectiva crítica, la mencionada Resolución. 12 Revoca, así, el AJPI Denia, 22 agosto 2017, en JUR, 2016, 228396, que había sostenido la posición contraria. 13 V. en este sentido R. Verdera Server, La reforma de la filiación. Su nuevo régimen jurídico, Valencia, 2016, p. 112, que argumenta esta posición en la ubicación del art. 7.3 de la Ley 14/2006, el cual “permite presuponer que su ámbito de aplicación está supeditado a esa circunstancia, pese a que su tenor literal tampoco matice la cuestión”. V. también en el mismo sentido M. Navarro Castro, Ad art. 44, cit., p. 694. La determinación de la filiación artificial 751 art. 118 CC, de modo que su concreta finalidad es permitir inscribir la filiación matrimonial de los hijos nacidos, constante el matrimonio, cuando falte la presunción de paternidad, “por causa de la separación legal o de hecho de los cónyuges”. Estamos, pues, ante una declaración de voluntad semejante al reconocimiento de una filiación matrimonial, que, dado el carácter heterosexual del matrimonio, es plausible y que, además, si resulta no ser cierta, podrá ser impugnada conforme a los arts. 136 y 137 CC (el título constitutivo es la generación). Por el contrario, en el caso de dos mujeres casadas, desde un punto de vista biológico, la filiación que se pretende inscribir es claramente, inverosímil, por lo que la única manera cabal de explicarla es acreditar la práctica de la reproducción asistida. En realidad, no parece aventurado afirmar que el consentimiento de la cónyuge de la usuaria es un título constitutivo de una filiación distinto de la generación, que no se basa en la verdad biológica, sino en la voluntad de aquélla de querer asumir la maternidad del hijo concebido por su cónyuge a través de las técnicas de reproducción asistida; y, de ahí, que no sea susceptible de impugnación una vez establecida (ello, sin perjuicio de que pudiera impugnarse el consentimiento para la inscripción, si éste no hubiera sido prestado libremente, de la misma manera que cabe impugnar el reconocimiento ex art. 141 CC)14. 14 E. Farnós Amorós, La filiación derivada de reproducción asistida: voluntad y biología, en Anuario de Derecho Civil, 2015, fasc. 1º, p. 13, afirma que “el consentimiento es el único elemento que ‘crea’ la filiación. Una vez otorgado, el mismo es vinculante, a diferencia de lo que sucede con un sistema de presunciones, susceptible de destrucción si se prueba la ausencia de base biológica”. J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 801-802, observa que el art. 7.3 de la Ley 14/2016, “introduce una importante alteración de los criterios fundantes de la relación de filiación que sitúan la figura aquí recogida en un ‘terreno de nadie’ entre la filiación por naturaleza y la adopción”; más adelante, añade: “aquí no hay más criterio que justifique la filiación que el consentimiento prestado por la madre consorte y es totalmente diferente a la filiación por naturaleza”. G. Muñoz Rodrigo, La reproducción, cit., p. 382, expone también que el precepto “creó, al margen del régimen general del Código Civil, un nuevo título de atribución de la filiación que no se sustenta en ninguno de los dos tipos de filiación que recoge el Código Civil, ya que no es puramente por naturaleza, ni tampoco por adopción. Más matizada es la opinión de M.S. Quicios Molina, Determinación e impugnación de la filiación, Cizur Menor, 2014, p. 47, quien dice que el art. 7.3 de la Ley 14/2006 ha establecido un “nuevo título de determinación legal de la maternidad”, si bien añade que con dicho título “el legislador da entrada en nuestro ordenamiento a una maternidad que no es en puridad, ni natural, ni adoptiva, y por ello escapa de los dos tipos de filiación a los que se refiere el art. 108 CC”. Por lo tanto, en realidad, de lo que parece estar hablando es de un nuevo título constitutivo de la filiación. 752 The best interest of the child 3.3. El riesgo de fomentar la reproducción asistida al margen de la Ley: las inseminaciones artificiales domésticas Además, hay que tener en cuenta que la solución que propugna la Dirección General de los Registros y del Notariado fomentará, sin duda, el uso de técnicas de reproducción asistida distintas de las previstas por la Ley; y, más concretamente, las auto-inseminaciones artificiales con gametos de varones anónimos comprados a distancia a bajo precio en países extranjeros. De hecho, una recentísima sentencia15 ha contemplado ya un supuesto de una inseminación artificial doméstica, precedida de un documento en el que el varón donante de semen renunciaba a todo “derecho de paternidad que pudiese tener sobre la menor que naciera de dicha inseminación”. Nació una niña, que fue inscrita como hija matrimonial de dos mujeres, casadas entre sí. Sin embargo, posteriormente, el donante se “arrepintió” de lo que había firmado y ejercitó una demanda de reclamación de paternidad, que fue estimada en primera instancia, sin que prosperara el recurso de apelación interpuesto por las demandadas, quienes pretendían que se aplicara analógicamente el art. 7.3 de la Ley 14/2006, con el fin de que no pudiera impugnarse la maternidad del cónyuge de la usuaria. La Audiencia, con buen criterio, rechazó la aplicación analógica del precepto, afirmando que, más que “ante un supuesto análogo al previsto por la ley, ante lo que nos encontramos es una infracción o soslayamiento de la propia norma”, que debe llevar a la declaración de la paternidad extramatrimonial del actor, “con respeto a la verdad biológica, conforme al artículo 39-2 de la Constitución Española”. También, muy certeramente, negó valor contractual al documento firmado por el donante, al no ser conforme al art. 1255 CC, considerándolo contrario “al interés y al orden público, pues la fijeza y seguridad del estado civil es una exigencia de ese interés, así como la correspondencia con la verdad biológica dentro de los límites y requisitos legales”. Consideró, en fin, que la decisión judicial que reconocía la paternidad del demandante no era contraria al interés de la menor, porque no implicaba ningún perjuicio para ella, “más allá de la reorganización del grupo familiar como consecuencia de la declaración relativa a la filiación, que en sí mismo no aparece como negativa para 15 SAP Valencia 27 noviembre 2017, en JUR 2018, 56440. La determinación de la filiación artificial 753 los intereses de la hija, máxime cuando se trata de una niña de muy corta edad, abierta por lo tanto a la fijación y consolidación de nuevos vínculos familiares”. 3.4. Valor jurídico del consentimiento previo de la mujer de la usuaria a la práctica de la reproducción asistida Cabe plantearse una última cuestión: ¿qué valor tendría (de haberse dado) el consentimiento previo de la cónyuge de la usuaria a que la misma se sometiera a una fecundación artificial? Pues creo que, a efectos de atribución de la filiación, ninguno, aunque dicho consentimiento previo puede ser un indicio de que el posteriormente dado para la inscripción ha sido dado de manera libre. Es interesante el supuesto resuelto por una sentencia16, que ha rechazado que el consentimiento de la usuaria para que el niño se inscribiera como hijo de su mujer estuviese viciado, al haber sido prestado (según la demandante) por su debilidad de carácter y por el dominio que sobre ella ejercía su cónyuge. Frente a ello, la Audiencia resalta que las dos mujeres (todavía no casadas) habían consentido en la clínica que la otra fuera inseminada artificialmente; que, tras nacer un niño de una de ellas, la otra había hecho reserva de semen del mismo donante, para que el hijo que de ella pudiera nacer tuviera el mismo padre; posteriormente, se habían casado e inscrito el niño nacido como hijo de las dos. Deduce, así, “la existencia de una voluntad concorde de ambas litigantes de formar una familia”, destacando también que la demandante es licenciada en Educación Física y tenía 33 años cuando se quedó embarazada, sufriendo entonces una decepción “pensando que el trato recibido de la demandada no era adecuado, pero no se aprecia vicio alguno invalidante del consentimiento”. 4. Usuaria conviviente de hecho con un varón Si la usuaria no está casada, sino unida de hecho con un varón, no necesita el consentimiento de éste para ser fecundada con los gametos de un tercero o para que se le implante un embrión no creado a partir de su material reproductor, sin perjuicio de que, no obstante, pueda darlo con carácter voluntario. 16 SAP, Islas Baleares 31 marzo 2014, en Aranzadi Civil, 2014, 654. 754 The best interest of the child 4.1. El consentimiento voluntario del varón a la reproducción asistida como escrito indubitado a efectos registrales El art. 8.2 de la Ley 14/2006 considera que el documento en el que se recoja dicho consentimiento, si es prestado con anterioridad a la utilización de las técnicas de reproducción asistida ante el centro en las que se realicen, será considerado como un escrito indubitado a los efectos de iniciar el expediente gubernativo del art. 44.7º, II de la Ley del Registro Civil de 2011, para la inscripción de la filiación no matrimonial respecto del conviviente17. En mi opinión, el consentimiento del varón conviviente no es un título de determinación de la filiación no matrimonial (no parece que formalmente pueda ser calificado como un reconocimiento de un hijo que ni siquiera ha sido todavía concebido), como tampoco lo es el del marido respecto de la filiación matrimonial, por lo que la inscripción de la filiación paterna del conviviente sólo será posible en virtud de expediente gubernativo o de reconocimiento18, así como en virtud del nuevo modo de determinación previsto por el art. 120.1º CC, que tras la reforma llevada a cabo por la disposición final 2ª de la Ley 19/2015, de 13 de julio, se refiere a la “declaración conforme realizada por el padre en el correspondiente formulario oficial a que se refiere la legislación del Registro Civil”. A mi parecer, el consentimiento para la fecundación homóloga o heteróloga de la usuaria (o para que le sea implantado un embrión de un tercero) dado en las condiciones previstas en el art. 8.2 de la Ley 14/2006, impedirá la impugnación de la filiación determinada, que no podrá ser atacada con el argumento de que no se corresponde con la verdad biológica19. Es cierto que en este caso no existe una previsión semejante a la establecida el art. 8.1 de la Ley respecto de la filiación 17 La STSJ Cataluña, 22 diciembre 2008, en Tol 1548432, entiende que basta con que el consentimiento del varón a la fecundación de su compañera pueda deducirse de actos inequívocos, aunque no se haya firmado el documento ante el centro autorizado. 18 V. en este sentido J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 777-778; y R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit., p. 290-291. Esta es también la posición asumida por el art. 223-5, núms. 1º y 2º, PCC, 19 V. a este, respecto de un caso de fecundación heteróloga con gametos de donante anónimo, SAP Zaragoza, 27 octubre 2015, en JUR, 2015, 259702; y, respecto de un caso de implantación de un embrión de tercero, SAP Sevilla, 22 diciembre 2014, en Aranzadi Civil, 2015, 272. La determinación de la filiación artificial 755 matrimonial20, pero entiendo que se puede pensar en una aplicación analógica del precepto, basándose en la buena fe y en la doctrina de los actos propios21. No creo que esta tesis sea incoherente con la posición actual de la jurisprudencia, que, como es sabido, admite la impugnación de la paternidad en los casos de reconocimientos de complacencia, cuando la filiación reconocida no se corresponda con la verdad biológica22, pues, como ya he dicho, el consentimiento para la fecundación no es un reconocimiento, el cual tiene lugar (en la forma establecida en el art. 120.2º CC) respecto de un hijo ya nacido (o al menos concebido), sino una manifestación de voluntad del varón no casado (plasmado en un documento privado firmado en la clínica), que implícitamente comporta un acto de responsabilidad, consistente en asumir como propio el posible hijo que se conciba (aunque biológicamente no lo sea) en el marco de una decisión compartida respecto a la consecución de un proyecto familiar común23. En este caso, la usuaria no quiere acudir, sin más, a las técnicas de reproducción asistida, sino que quiere hacer20 En cambio, el art. 223-1, nº 3, PCC sí contiene una norma general, que también es aplicable al supuesto del consentimiento dado por varón no casado: “La filiación determinada no puede ser impugnada por quienes han prestado su consentimiento formal, previo y expreso a la fecundación asistida origen de dicha filiación”. 21 V. así, J. J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 790-791, quien atribuye al consentimiento del varón conviviente el simple valor de renuncia previa a la acción de impugnación, incidiendo en la idea de que no estamos ante un nuevo título de determinación de la filiación paterna no matrimonial, como demuestra el hecho de que pueda impugnar la filiación quien no renunció a impugnarla, refiriéndose, concretamente al hijo, a cualquier perjudicado, si no hay posesión de estado y a los herederos forzosos que vean afectada su participación en la herencia, si la hay (art. 140 CC). 22 V. en este sentido STS (Pleno), 15 julio 2016, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2016, 3196, y STS, 28 noviembre 2016, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2016, 5636. 23 Me parece que es en esto en lo que está pensando la norma, aunque, ciertamente, no lo diga expresamente. Es cierto que, como observa J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 799, pueden existir, casos de “donante encubierto” o “donante identificado”, esto es, de convivientes falsos, que simulan convivir more uxorio con la usuaria para que ésta pueda ser fecundada con su semen, en vez de con el de un tercero desconocido, eludiendo, así, la prohibición de selección de gametos establecida por el art. 6.4 de la Ley 14/2016. En estos casos, podría teóricamente plantarse si el hecho de que la convivencia fuera fingida sería un motivo para excluir la causa de impugnación de la paternidad; y, digo que el problema es teórico, porque, en estos supuestos, el varón que hubiera prestado el consentimiento sería el padre biológico del hijo, razón por la cual se impondría su paternidad. Lo que en la práctica se han planteado son supuestos en los que, ejercitada una acción de reclamación de paternidad por parte del varón (padre biológico) o de la madre (en representación del hijo), la demandada argumentaba que no había existido convivencia de hecho al tiempo de prestarse el consentimiento para la fecundación homóloga, argumento que no ha impedido 756 The best interest of the child lo para concebir un hijo que legalmente sea considerado como de su conviviente: de ahí que, ni uno, ni otro, puedan impugnar la filiación paterna, una vez establecida24. 4.2. Consentimiento previo voluntario y acción de reclamación de la paternidad Más dudoso es el alcance del inciso final del 8.2 de la Ley 14/2006, que añade: “Quedará a salvo la acción de reclamación de paternidad”. La interpretación de la norma es discutible, pero una cosa es clara: en el caso de que la fecundación haya sido heteróloga, el donante no podrá en ningún caso, ejercitar esta acción, pues ello iría en contra del carácter anónimo de la donación de gametos25. En su momento, defendí que el precepto debía interpretarse en el sentido de que el hijo (o la madre, representándolo) podía ejercitar la acción, cuando el demandado no lo hubiese reconocido y se hubiese opuesto a la inscripción en el expediente gubernativo, con el argumento de que su consentimiento previo a la fecundación de la usuaria con gametos de un tercero constituía un acto de responsabilidad, que debía asimilarse al de la generación por vía natural; y, que, por la misma razón, también el varón podía ejercitar la acción, cuando quien se hubiera opuesto a la inscripción hubiese sido la madre (sin cuya previa aquiescencia aquél no hubiera podido consentir)26. En contra de esta posición podría replicarse que, si el consentimiento para la práctica de la reproducción asistida no es un título de deter- prosperar la acción. V. en este sentido SAP La Coruña, 15 febrero 2006, en JUR, 2006, 84103, y SAP Alicante, 23 diciembre 2014, en Aranzadi Civil, 2015, 275. 24 J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 791, afirma que sí podrá impugnar la filiación el hijo, pues no puede negársele legitimación “con el solo argumento de que sus progenitores renunciaron ejercitarla”. 25 V. en este sentido claramente, R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit., p. 302-303. 26 J.R. De Verda y Beamonte, Libertad de procreación y libertad de investigación (Algunas reflexiones a propósito de las recientes leyes francesa e italiana sobre reproducción asistida), en Diario La Ley, nº 6161, 4 enero 2005, p. 4. La SAP Alicante, 23 diciembre 2014, en Aranzadi Civil, 2015, 275, estimó la acción de reclamación de paternidad no matrimonial ejercitada por la madre de un hijo concebido con el semen del varón con el que convivía. Parece que la estimación del fallo, se basa en la existencia del previo consentimiento del varón a que su conviviente se sometiera a las técnicas de reproducción asistida. Ahora bien, lo cierto es que el demandado era el padre biológico del hijo, al tratarse de una fecundación homóloga. La determinación de la filiación artificial 757 minación de la filiación, es difícil de explicar que, por sí mismo, pueda fundamentar una acción de reclamación de paternidad27; por lo que quizás fuese más seguro entender que la acción no puede basarse en dicho consentimiento, sino que habría de fundamentarse, exclusivamente, en la verdad biológica, esto es, en el hecho de que el conviviente fuese el padre biológico del hijo, cosa que, claro está, sólo podría tener lugar en la fecundación homóloga28. Sin embargo, hay que tener en cuenta que, en virtud del art. 767.3 LEC, puede declararse la filiación que resulte, no sólo de un título de determinación de la misma, sino también de “otros hechos de los que se infiera la filiación de modo análogo”, hechos éstos, entre los que cabría, quizás, incluir el consentimiento del art. 8.1 de la Ley 14/2016. 5. Usuaria conviviente de hecho con otra mujer: consentimiento previo a la práctica de la reproducción asistida y posesión de estado. La Ley 14/2006 no contempla el supuesto de que la mujer que conviva de hecho con la usuaria hubiera consentido previamente que ésta se sometiera a las técnicas de reproducción asistida29: no contiene una previsión semejante a la recogida en el art. 8.2 respecto del conviviente varón, lo que parece ser una opción consciente del legislador30. No obstante, la jurisprudencia ha admitido que dicho consentimiento pueda ser considerado como un indicio de posesión de estado, en orden a la reclamación de la maternidad, ex art. 131 CC. Concretamente, el Tribunal Supremo31 ha confirmado una sentencia que había admitido la reclamación de filiación por posesión de estado presentada por la 27 Sostiene, sin embargo, esta posición R. Verdera Server, Ad arts. 7 y 8 LTRHA, cit., pp. 302-303, con total claridad. 28 V. las reflexiones que sobre este punto realiza J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 797-799. 29 Tampoco lo hace la Propuesta de Código Civil de la Asociación de Profesores de Derecho Civil. 30 Por supuesto, no es aplicable a este supuesto el art. 7.3 de la Ley 14/2006, que exige que las mujeres estén casadas. V. así J.J. Iniesta Delgado, La filiación, cit., p. 805; y M. Navarro Castro, Ad art. 44, cit., p. 695. 31 STS, 5 diciembre 2013, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2013, 7566. V. también el fallo en Revista Boliviana de Derecho, n. 18, 2014, p. 400-419, con nota de J. Alventosa del Río, Doble maternidad. Reclamación de filiación matrimonial por posesión de Estado. Maternidad biológica y maternidad por ficción legal: concurrencia y simultaneidad. 758 The best interest of the child excónyuge de la madre (contra la oposición de ésta), entendiendo que el consentimiento prestado a la inseminación artificial por las entonces convivientes (antes de casarse) era “de particular significación porque constituye la voluntad libre y manifestada por ambas litigantes del deseo de ser progenitoras mediante consentimiento expreso, hasta el punto de que en casos como este dicho consentimiento debe ser apreciado aunque la posesión de estado hubiera sido escasa o no suficientemente acreditada como de ordinario se exige”. En cualquier caso, la sentencia recurrida había afirmado que la posesión de estado se deducía también de las actuaciones judiciales llevadas a cabo por la demandante para mantener contacto con las menores (había pedido el establecimiento de un régimen de vistas a su favor y había iniciado un procedimiento de adopción). Había valorado también declaraciones testificales en las que se afirmaba que durante un año la demandante había compartido su vida con las menores “en calidad de madre, hasta que la ruptura de la pareja produce también la ruptura de la relación con las niñas”. Posteriormente, el Pleno del Tribunal Supremo32 ha confirmado la posibilidad de que pueda prosperar la acción de reclamación de la maternidad del hijo concebido con el consentimiento de la conviviente de la usuaria, basada en la posesión de estado. Dice, así, que “los consentimientos prestados con ocasión del empleo de las técnicas de reproducción asistida, claramente acreditados de los hechos obrantes y que llevó a la madre biológica a poner como segundo nombre del niño el primer apellido de su pareja, como antecedente o causa de la filiación reclamada, integran y refuerzan la posesión de estado de la mujer homosexual tanto en el plano de su función legitimadora del ejercicio de la acción, como en su faceta de medio de prueba de la filiación reclamada”. Más adelante, añade: “En efecto, en el presente caso, probado el propósito común de ambas mujeres para recurrir a la técnica de reproducción asistida, así como la existencia de una posterior unidad familiar entre las dos convivientes y el hijo biológico de una de ellas, el consentimiento prestado en su momento, por la conviviente que no es la madre biológica del menor, vino investido por un claro interés moral o familiar plenamente legitimado en su aspiración de ser madre, cuya efectividad depende, precisamente, del éxito de la acción entablada”. 32 STS (Pleno), 15 enero 2014, en Repertorio Aranzadi de Jurisprudencia, 2014, 1265. La determinación de la filiación artificial 759 No comparto esta posición jurisprudencial que, a mi parecer, desnaturaliza la figura de la posesión de estado, que es una situación de hecho, dada la cual es posible presumir que quien es tratado como hijo realmente lo es; y, de ahí que el art. 113 CC le atribuya el carácter de título de determinación subsidiario de una filiación que se considera probable33. Por ello, por definición, no existe posesión de estado (en el sentido del art. 113 CC), cuando, como sucede en el caso de uniones del mismo sexo, la filiación que se reclama es claramente contradicha por la verdad biológica, la cual permite establecer, con absoluta certeza, que quien pretende ser progenitor, claramente, no lo es34. Cabe hacer una reflexión final: como he dicho, la Ley 14/2006, al menos, en su redacción originaria, parte de la idea de que la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida es una especie sui géneris de filiación por naturaleza, pero lo cierto es que esta premisa (ya rota por el art. 7.3 de la misma) nos lleva a tener que forzar continuamente las categorías construidas en torno a ella para dar solución a problemas que sólo se plantean cuando la generación tienen lugar de modo artificial. Me pregunto si no sería más práctico reconocer un nuevo tipo de filiación, distinta de la natural, cuyo título constitutivo fuese la mera voluntad de procrear, expresada en la forma legalmente prevista35. 33 V. a este respecto las certeras críticas de R. Verdera Server, La reforma, cit., p. 199. 34 Observa E. Farnós Amorós, La filiación, cit., p. 27, que “el TS convierte erróneamente a la posesión de estado en título de atribución de la filiación”. M. S. Quicios Molina, Determinación, cit., p. 62, se manifiesta igualmente en sentido crítico: “En un proceso de reclamación de una determina filiación la posesión de estado de dicha filiación funciona como indicio de la filiación natural reclamada, pero la posesión de estado no es la última causa de pedir, pues la causa de pedir es la existencia de una filiación natural que se quiere jurídica”. 35 Véanse a este respecto las interesantes reflexiones de R. Verdera Server, Ser padre, en Derecho Privado y Constitución, nº 30, enero/diciembre 2016, p. 112-117, que le llevan a afirmar “la necesidad de (re)construir el régimen de la filiación derivada de las técnicas de reproducción asistida desde bases distintas al de la filiación por naturaleza”. G. Muñoz Rodrigo, La reproducción, cit., p. 397, habla, por su parte, de una “posible reforma podría fundarse en reconocer un nuevo tipo de filiación basado en el uso de técnicas de reproducción asistida y, al mismo tiempo, crear un nuevo título de determinación de la filiación que gire en torno al consentimiento prestado en la clínica por el hombre o la mujer”. 760 The best interest of the child Bibliografía De Verda y Beamonte J.R., Libertad de procreación y libertad de investigación (Algunas reflexiones a propósito de las recientes leyes francesa e italiana sobre reproducción asistida), en Diario La Ley, nº 6161, 4 enero 2005 Farnós Amorós E., La filiación derivada de reproducción asistida: voluntad y biología, en Anuario de Derecho Civil, 2015, fasc. 1º Iniesta Delgado J.J., La filiación derivada de las formas de reproducción humana asistida, en Tratado de Derecho de familia, dirs. M. Yzquierdo Tolsada – M. Cuena Casas, vol. V, Las relaciones paterno-filiales (I), Cizur Menor, 2011 Muñoz Rodrigo G., La reproducción asistida y la filiación. Especial referencia al caso de las parejas de mujeres homosexuales, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, 2018 Navarro Castro M., Ad art. 44 LRC, Inscripción de nacimiento y filiación, en Comentarios a la Ley del Registro Civil, dirs. J.A. Cobacho Gómez – A. Leciñena Ibarra, Cizur Menor, 2012 Quicios Molina M.S., Determinación e impugnación de la filiación, Cizur Menor, 2014 Sánchez Hernández A., Ad art. 3 LTRHA. Condiciones personales de la aplicación de las técnicas, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre Técnicas de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J. Inhiesta Delgado, Cizur Menor, 2011 Verdera Server R., Ad arts. 7 y 8 LTRHA, Filiación de los hijos nacidos mediante técnicas de reproducción asistida, en Comentarios a la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre Técnicas de Reproducción Humana Asistida, dir. J.A. Cobacho Gómez, coord. J.J. Inhiesta Delgado, Cizur Menor, 2007 Verdera Server R., Determinación y acreditación de la filiación, Barcelona, 1993 Verdera Server R., La reforma de la filiación. Su nuevo régimen jurídico, Valencia, 2016 Verdera Server R., Ser padre, en Derecho Privado y Constitución, nº 30, enero/ diciembre 2016 Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità Ugo Salanitro Sommario: 1. La cornice tradizionale. – 2. I presupposti per una lettura evolutiva. – 3. Le ragioni ostative alla lettura evolutiva. – 4. Una proposta di disarticolazione: gli interessi privati concordanti –5. (segue): gli interessi privati contrapposti. – 6. Qualche breve considerazione sulla rilevanza degli interessi pubblici. 1. La cornice tradizionale Il tema che mi è stato assegnato dall’organizzatrice del convegno è riferito a uno di quei settori del diritto di famiglia in cui i principi derivanti dal diritto internazionale, nella mediazione della giurisprudenza, tendono a sovvertire il sistema delle regole organizzato nel codice civile, ponendosi in contrasto con le stesse direttrici emergenti dalle recenti riforme della disciplina della filiazione. Sono perciò particolarmente grato a Mirzia Bianca per la fiducia a me concessa, ma al contempo sono consapevole che la mia relazione1, nella misura in cui prova a disegnare un modello razionale e coerente della materia, sia destinata a scontrarsi con un percorso giurisprudenziale altrimenti orientato, vocato ad affermare la preminenza del principio dell’interesse del minore anche in ambiti che possono rivelarsi eccentrici. Per comprendere la portata innovativa della rilettura giurisprudenziale, occorre illustrare la cornice nella quale si pone. 1 La quale riprende e sviluppa una prima riflessione pubblicata, con il titolo Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in N. giur. civ. comm., 2018, II, p. 552 ss. 762 The best interest of the child L’interesse del minore ha tradizionalmente rivestito un ruolo rilevante nella materia delle azioni di stato sotto due diversi versanti2. Per un verso, l’interesse del minore deve essere preso in esame ogni qualvolta occorre decidere se proporre in suo nome una domanda giudiziale in materia di stato, e in particolare nelle procedure regolate dagli artt. 244, ultimo comma, e dall’art. 264 c.c., nonché in quella che trova fondamento nell’art. 273 in connessione con il principio che era contenuto nell’art. 274 c.c. prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Non potendo essere rimessa al minore, la decisione di nominare un curatore che agisca nel suo interesse, richiede una valutazione, nelle sedi dedicate e secondo le procedure di legge, da parte del pubblico ministero che propone l’istanza e dell’organo giudiziale che decide sul suo accoglimento. L’interesse del minore, in questo caso, non differisce dall’interesse di un qualsiasi incapace e assume rilevanza solo perché l’azione deve essere proposta da un terzo, il curatore, che lo rappresenta in giudizio. Ciononostante è proprio in quest’ambito che i principi affermati dalla Convenzione di New York, come si vedrà più avanti, sono stati valorizzati dalla giurisprudenza. Per altro verso, l’interesse del minore costituisce il parametro per la decisione in caso di contrasto tra interessi di terzi. È questo il ruolo che tale interesse assume ogni qualvolta, nella filiazione fuori dal matrimonio, taluno intenda costituire il rapporto attraverso una dichiarazione di riconoscimento del figlio incestuoso, ai sensi dell’art. 250 c.c., ovvero voglia ostacolare il riconoscimento successivo dell’altro genitore, ai sensi dell’art. 251 c.c.: in entrambi i casi, l’interesse del terzo si rivela meritevole di tutela soltanto nella misura in cui coincida con l’interesse del minore, svolgendo una funzione ancillare e strumentale. Discipline siffatte sono emersioni locali, originarie e risalenti, del modello operativo tipico espresso anche dalla Convenzione di New York, nella misura in cui considera preminente l’interesse del minore nelle decisioni sulle controversie tra privati. 2 Cfr., per talune osservazioni utili, anche se non sempre in linea con la posizione che esprimo nel testo, E. Camilleri, Interesse del minore e disconoscimento di paternità. Spunti critici per un riallineamento al sistema delle azioni di stato, in Familia, 2011, p. 619 ss.; rilievi sintetici ma incisivi, si trovano, da ultimo, in L. Lenti, La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus civile, 2019, I, p. 7 s., p. 20 s., p. 23 ss. Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 763 2. I presupposti per una lettura evolutiva La sentenza della Corte costituzionale 18.12.2017 n. 2723 tende a sovrapporre queste due differenti concezioni di interesse del minore: traspone infatti l’interesse del minore quale modello di risoluzione delle controversie nell’ambito di procedure in cui aveva sino quel momento assunto rilevanza al fine esclusivo di decidere se promuovere il giudizio. L’interesse del minore si trasforma perciò da criterio per valutare se proporre l’azione di stato, o resistere all’azione proposta da un terzo, a criterio orientativo della decisione per risolvere, nell’uno o nell’altro senso, il conflitto tra i contrapposti interessi pubblici e privati e il conseguente accoglimento, o rigetto, delle azioni di stato, in conformità alla Convenzione di New York. È quanto emerge da quel passaggio della sentenza, di cui è discussa la natura di ratio decidendi o di obiter dictum, in cui i giudici costituzionali si chiedono se “l’interesse a far valere la verità (…) prevalga sull’interesse del minore”. La trasformazione di senso, nella rilevanza dell’interesse del minore, ha trovato fondamento nel superamento delle precedenti opinioni giurisprudenziali riguardo due diversi profili. In primo luogo, si è ormai affermata l’opinione secondo la quale l’interesse del minore non coincide con l’accertamento della verità biologica e/o genetica. Trattasi di un’acquisizione ormai consolidata e abbastanza risalente, derivante dalla consapevolezza che il minore potrebbe avere interesse alla conservazione dello status, ancorché non veritiero4. È la prospettiva da cui muove la stessa Corte costituzionale, la quale ove fosse convinta della coincidenza tra la veritas e l’interesse del minore, non avrebbe avuto bisogno di contrapporre a quest’ultimo l’interesse pubblico alla deterrenza delle pratiche di maternità surrogata. In secondo luogo, è divenuto prevalente negli ultimi anni un orientamento giurisprudenziale, ancora contrastato, secondo il quale la competenza a decidere sulla sussistenza e sulla persistenza dell’interesse del minore ad agire spetta anche al giudice che deve decidere la 3 Pubblicata in Corr. giur., 2018, p. 446 ss., con nota di G. Ferrando, in N. giur. civ. comm., 2018, p. 540 ss., con commento di A. Gorgoni, e in Familia, 2018, p. 59 ss., con nota di S. Sandulli. 4 In tema di rapporto tra favor veritatis e interesse del minore cfr., tra i tanti, F. Giardina, Interesse del minore: gli aspetti identitari, in N. giur. civ. comm., 2016, p. 159 ss. 764 The best interest of the child controversia e non solo al giudice che ha nominato il curatore5. La tesi non sembra conforme al modello del codice di rito, perché la valutazione originaria della sussistenza dell’interesse del minore all’azione è riservata al giudice della volontaria giurisdizione ed è in quella sede che deve essere eventualmente contestata; inoltre, una volta che l’azione è stata incardinata, l’eventuale carenza di interesse del minore al mutamento dello status potrebbe trovare riscontro, piuttosto, in un nuovo mandato al curatore per la rinunzia al diritto6. Si può avanzare l’idea che il revirement giurisprudenziale trovi giustificazione in esigenze pratiche, non essendo sicuro che i soggetti interessati e il pubblico ministero si attivino nella sede della volontaria giurisdizione per contestare la sussistenza e/o verificare la persistenza dell’interesse del minore: risultando pertanto più efficace che l’interesse ad agire sia valutato nelle fasi conclusive del giudizio di merito, preliminarmente alla decisione sul contenzioso. 3. Le ragioni ostative alla lettura evolutiva In realtà, dietro l’apparente ricorso a un istituto tradizionale del codice di rito, che consente la valutazione dell’interesse ad agire del minore, la Corte costituzionale ha legittimato l’applicazione di un nuovo criterio di soluzione dei conflitti, che sembra trovare fondamento nella conformità all’interpretazione dei parametri della Convenzione di New York. Nel ragionamento della Corte, la rilevanza dell’interesse del minore è data per presupposta, perché la preoccupazione dei nostri giudici era di evitare che il criterio potesse essere considerato ostativo a una decisione caducatoria del rapporto filiale. Piuttosto, l’interesse del minore non assume un ruolo assolutamente prevalente, poiché può essere sacrificato nel bilanciamento con gli interessi pubblici, volti a sanzionare il ricorso alla surrogazione di maternità. 5 In tal senso: Cass. 3.4.2017, n. 8617, in Foro it., 2017, I, 119 con nota di G. Casaburi, in Fam e dir., 2017, p. 845 ss., con nota di M.N. Bugetti e in Corr. giur., 2018, p. 619 ss., con nota di D.M. Locatello; Cass. 22.12.2016, n. 26767, in Foro it., 2017, I, p. 119 ss., con nota di G. Casaburi e in N. giur. civ. comm., 2017, p. 851 ss., con commento di F. Scia. 6 In tal senso M. Sesta, La filiazione, in Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, IV, Torino, 2011, p. 196. In giurisprudenza da ultimo Cass. 15.2.2017, n. 4020, in Foro it., 2017, I, p. 1237 ss., con nota di G. Casaburi; già Cass. 5.1.1994, n. 71, in Fam. e dir., 1994, p. 293 ss., con nota di F. Tommaseo. Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 765 Ciononostante, vi sono fondate ragioni per ritenere che siffatta decisione, per l’autorevolezza della Corte e del Relatore, Giuliano Amato, finisca per incidere sull’interpretazione giurisprudenziale ed è muovendo da questa constatazione che occorre chiedersi in che senso ed entro quali limiti vada condivisa. In primo luogo va osservato che nelle azioni di stato il bilanciamento tra interesse alla verità e interesse alla stabilità dei rapporti consolidati trova, dopo la riforma, una disciplina a livello legislativo: disciplina che pone limiti di legittimazione per il disconoscimento della paternità nella filiazione nel matrimonio e limiti di decadenza quinquennale decorrenti dalla nascita sia per il disconoscimento di paternità, sia per l’impugnazione del riconoscimento nella filiazione fuori dal matrimonio7. Limiti di decadenza che non si applicano al figlio, che può sempre far valere il proprio interesse all’accertamento della verità genetica. Alla presenza di siffatti limiti, che individuano in astratto l’interesse del minore e lo bilanciano con gli interessi contrapposti, occorre individuare qualche specifica ragione, eccentrica a quelle tipicamente considerate in sede legislativa, per consentire al giudice di introdurre un diverso bilanciamento in concreto: se così non fosse, e se fosse imposta un’interpretazione della Convenzione di New York nel senso che il giudice sia sempre libero di valutare in concreto l’interesse del minore e di adottare il bilanciamento di interessi che ritenesse appropriato, si svaluterebbe il senso dell’intervento legislativo, pur riconosciuto e salvaguardato dalla stessa Convenzione8. Tanto più, ed è questo il secondo rilievo, che la disciplina delle azioni di stato non ha una rilevanza specificamente rivolta ai minori, perché gli effetti della costituzione o della perdita dello status sono tendenzialmente definitivi e si riflettono su profili, non solo relazionali, ma anche patrimoniali, che assumono rilevanza anche quando il soggetto, della cui condizione di figlio si discute, è ormai divenuto maggiorenne9. La 7 Per una efficace sintesi della riforma M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 3 ss. 8 Preoccupazione che già emerge, in termini generali, dalle analisi di L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss., spec. p. 93 ss., e di F.D. Busnelli, Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, ivi, 2016, p. 1463 ss. In altra prospettiva, aperta a un ruolo correttivo della giurisprudenza, si cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss., sp. p. 418 ss. 9 Valorizza la distinzione tra interesse del minore e interesse del figlio, L. Lenti, La costituzione del rapporto filiale, cit., p. 1 ss. 766 The best interest of the child rilevanza patrimoniale delle azioni di stato e la loro incidenza in materia successoria suggeriscono l’idea che l’interesse del minore non possa assumere il medesimo ruolo che riveste nella valutazione dei profili relazionali: da qui potrebbe derivare l’idea di una disarticolazione della disciplina delle azioni e di una frammentazione dello status che consenta, ove lo richieda l’interesse del minore, di modificare gli effetti relazionali, tenendo fermi quelli patrimoniali, o viceversa. 4. Una proposta di disarticolazione: gli interessi privati concordanti Proprio la particolare natura delle azioni di stato giustifica una disarticolazione della rilevanza dell’interesse del minore: disarticolazione che potrebbe collocarsi sul crinale non solo degli effetti, distinguendo tra profili relazionali e patrimoniali, ma anche delle finalità di chi ha proposto la domanda, distinguendo tra posizioni coincidenti o concordanti e posizioni conflittuali o comunque contrapposte a quella del minore. In primo luogo, l’interesse del minore assume la massima rilevanza quando l’azione è proposta in suo nome, ossia proprio nelle situazioni prese in esame dalla giurisprudenza. Non vi sono, infatti, ragioni decisive per negare che l’interesse del minore, una volta riconfigurato in conformità con la Convenzione di New York, assuma un valore preminente – salvi gli interessi pubblici considerati superiori – e debba essere considerato anche in sede di giudizio di merito. Il giudice può quindi valutare, anche ove l’azione corrisponda all’interesse del minore alla verità e all’identità genetica (interesse in astratto), se non sia preminente l’interesse alla stabilità del rapporto familiare (interesse in concreto), tanto più che è possibile, anche se non frequente, che la domanda giudiziale, non soggetta ai termini di decadenza, sia proposta nonostante la presenza di relazioni consolidate. Un ragionamento analogo può essere sostenuto nel giudizio in cui l’azione di stato sia stata formulata da un soggetto che, pur non agendo in suo nome, si faccia portatore di istanze che assumono rilevanza in quanto concordanti con l’interesse del minore: si pensi a chi, sostenendo di essere il vero genitore, impugni l’altrui riconoscimento per difetto di veridicità, ovvero alla madre che agisca in disconoscimento di paternità al fine di consentire al padre naturale di riconoscere il minore. Anche in questi casi mancano ragioni decisive per fare prevalere Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 767 siffatti interessi nella misura in cui non si rivelino rispettosi degli interessi del minore. Piuttosto, negli uni e negli altri giudizi, occorre chiedersi alla presenza di quali elementi il giudice possa ritenere sussistente l’interesse del minore. Sul piano procedimentale, è ormai consolidata l’idea che il giudice debba attribuire una particolare rilevanza allo strumento dell’ascolto del minore, al fine di accertare quale sia in concreto il suo interesse10. Sul piano del contenuto, sorge il dubbio se il criterio che rinvia all’interesse del minore sia idoneo a prevalere sulla verità genetica solo nel caso in cui la condizione che deriverebbe dall’accoglimento dell’azione di stato sia di serio pregiudizio per il minore, ovvero ogni qualvolta, in base alla comparazione con la condizione originaria, il minore ricadrebbe in una condizione comparativamente peggiore. Non è scontato l’accoglimento della prima opzione11, alla quale si fa regolarmente ricorso in situazioni diverse da quelle in esame, quando si decide per l’affidamento esclusivo o per la limitazione dell’esercizio della responsabilità: al riguardo, va ricordato che in giurisprudenza si è negata la nomina di un curatore per proporre l’azione di disconoscimento comparando la posizione del padre naturale, divorziato e senza esperienze genitoriali, con quella del coniuge della madre, anche alla luce dell’accertato superamento della crisi familiare e della volontà di continuare la comune esperienza genitoriale12. 5. (segue): gli interessi privati contrapposti Le particolari caratteristiche delle azioni di stato – l’intreccio di legami relazioni e di conseguenze economiche – spiegano invece perché sussistono fondati dubbi a considerare prevalente l’interesse del mi10 Sulla rilevanza dell’audizione del minore cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, cit., p. 408 ss.; anche G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss. e G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del minore, in DSF, 2017, p. 777 ss., sp. p. 797 ss. 11 Che mi era sembrata preferibile in Azioni di stato, cit., p. 555, dove mettevo in dubbio che si potesse decidere, ad esempio, con una comparazione della solidità economica del genitore reale con quello sociale. 12 Il caso è riportato e commentato da M.N. Bugetti, Nomina del curatore per l’esercizio del disconoscimento della paternità tra verità genetica e tutela dell’interesse del minore, in Fam. e dir., 2017, p. 161 ss. 768 The best interest of the child nore, almeno di regola, ogni qualvolta l’azione sia proposta da un soggetto portatore di interessi contrapposti a quelli del minore: lo status, infatti, pone degli obblighi di mantenimento/alimentari e delle conseguenze successorie che non sono collegati alla sussistenza delle situazioni relazionali che ricorrono tipicamente tra genitori e figli. Si può avere interesse a mantenere uno status filiale, per ragioni patrimoniali, anche quando non sussiste alcun rapporto rilevante; per altro verso, si può avere interesse a contestare uno status filiale, per ragioni economiche, anche quando il genitore è in grado di esercitare egregiamente il ruolo che gli compete. Vi sono casi in cui gli interessi di cui è portatore l’attore non appaiono meritevoli e possono essere considerati recessivi rispetto all’interesse, anche solo patrimoniale, del minore: ad esempio, alla presenza di un riconoscimento del minore da parte di un soggetto consapevole del difetto di veridicità della filiazione13. Fattispecie in cui l’azione del soggetto che ha riconosciuto in mala fede potrebbe essere accolta, stando al dato normativo, quantomeno se letto alla luce del silenzio delle disposizioni della riforma su un tema ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza; salvo a ritenere che la medesima azione debba essere respinta, nel bilanciamento di interessi giurisprudenziale, facendo valere l’interesse del minore alla stabilità economica derivante dal rapporto genitoriale. In alternativa, si potrebbe imporre a chi ha riconosciuto in mala fede l’obbligo di corrispondere il mantenimento, a titolo indennitario o di risarcimento del danno, sino al raggiungimento dell’autonomia economica. Vi sono invece casi in cui gli interessi dell’attore appaiono meritevoli di tutela: in un ordinamento in cui la Corte costituzionale ammette che l’interesse del minore possa essere superato da interessi pubblici, vi sono fondate ragioni per sostenerne la recessività anche in caso di contrasto con determinati interessi privati14. È la situazione in cui chi risulta formalmente genitore venga a scoprire la mancanza del rapporto biologico o genetico e agisca tempestivamente in giudizio per contestare lo status filiale: anche qui si può presumere, dallo stesso comportamento processuale dell’attore, il ve13 In tema F. Quarta, Volontà e consolidamento sociale della filiazione. A proposito del controllo di meritevolezza sull’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso, in Rass. dir. civ., 2016, p. 978 ss. 14 In generale, sull’interesse del minore e il bilanciamento con altri interessi, cfr. L. Lenti, Note, cit., p. 100 ss. e V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, cit., p. 430 ss. Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 769 nir meno del profilo relazionale, ma potrebbe persistere un interesse del figlio di natura patrimoniale. Ritengo tuttavia che, in sede di bilanciamento, l’interesse patrimoniale del minore sia tipicamente recessivo, a fronte degli interessi relazionali e patrimoniali dell’attore. Più delicata, e controversa, è la situazione in cui agisca un soggetto terzo, che sarebbe ad esempio beneficiario di lasciti successori, ove fosse accertata la mancanza del rapporto tra il de cuius e il figlio sociale: situazione che può ricorrere non solo nella filiazione fuori dal matrimonio (dove è legittimato ad agire qualsiasi soggetto interessato), ma anche nella filiazione nel matrimonio (non solo per la contestazione di stato, ma anche seppure con molti limiti per il disconoscimento di paternità). Al riguardo, a mio avviso, assume rilevanza la posizione di chi ha sino a quel momento rivestito la posizione di genitore, perché può essere decisivo sapere se costui intenda comunque proseguire il rapporto relazionale o – ove la controversia fosse instaurata dopo il decesso – l’avrebbe proseguito qualora fosse stato consapevole dell’insussistenza del rapporto filiale. Va tenuto presente, infatti, che l’interesse del minore sarebbe salvaguardato ove il genitore sociale esprima la volontà di accedere all’istituto dell’adozione in casi particolari: siffatta possibilità – propugnata dalla Corte costituzionale in caso di maternità surrogata – comporta effetti patrimoniali e successori sostanzialmente equivalenti a quelli della filiazione (almeno per l’adottato in caso di decesso dell’adottante), idonei a ledere gli interessi confliggenti, ancorché passibili di risultare vittoriosi nel giudizio di stato. Ma proprio perché il genitore sociale potrebbe fare ricorso a questo istituto, pregiudicando comunque la posizione del terzo controinteressato, di ciò si può tenere conto in sede di giudizio di stato: o per negare che il giudice possa considerare rilevante l’interesse del minore, stante la possibilità per il genitore sociale di adottare successivamente il figlio sociale (secondo il modello argomentativo della Corte costituzionale); o per rigettare la domanda, proprio in forza dell’interesse del minore, in quelle ipotesi in cui il genitore dichiari di volere continuare altrimenti il rapporto e soprattutto in quelle situazioni in cui si reputi che il de cuius – se non fosse deceduto prima di sapere dell’insussistenza del rapporto filiale – avrebbe costituito un rapporto sostanzialmente equivalente attraverso l’adozione in casi particolari. In mancanza di elementi da cui emergano scelte dei genitori sociali a sostegno della permanenza del rapporto, l’interesse attoreo del controinteressato, se meritevole di tutela, dovrebbe di regola prevalere 770 The best interest of the child sull’interesse del minore15. A diversa soluzione si potrebbe pervenire in quelle fattispecie in cui manchi un bilanciamento in sede legislativa tra l’interesse del minore e la ricerca della verità: o perché la controversia è stata avviata in data antecedente la riforma della filiazione, non essendo considerato retroattivo il termine di decadenza; o perché l’azione non è tuttora soggetta a termine di decadenza, come nel caso di contestazione dello stato di figlio. Nell’uno e nell’altro caso si può ritenere che, in assenza di un bilanciamento legislativo, il giudice debba compiere una valutazione in concreto che tenga conto del tempo tra la nascita e l’avvio dell’iniziativa giudiziaria, nonché della situazione in cui verrebbe a trovarsi il minore ove l’azione del controinteressato fosse coronata da successo. In questa prospettiva, andrebbe escluso comunque che l’azione del controinteressato possa essere rigettata ove il figlio sociale sia nel frattempo divenuto maggiorenne e autonomo: ponendo in evidenza un effetto paradossale dell’estensione dell’interesse del minore alle azioni di stato, ossia che l’interesse alla stabilità del rapporto che si contrappone all’interesse alla ricerca della verità – e che anche in questa riflessione è stato presentato quale espressione tipica dell’interesse del minore – in ultima analisi trova più forti ragioni di tutela, essendo il rapporto ancor più consolidato, proprio per quei soggetti che stanno abbandonando la minore età (salvaguardandone interessi patrimoniali che presumibilmente faranno valere in età adulta). 6. Qualche breve considerazione sulla rilevanza degli interessi pubblici L’analisi è stata volutamente condotta lontano dagli ambiti più controversi, perché fortemente caratterizzati da contrasti ideologici, nella contrapposizione tra valori pubblicistici e interesse del minore: dimostrando che il tema è in sé stesso complesso, e addirittura contraddittorio, anche quando si tenta un bilanciamento tra interessi di rilevanza privata, relazionale e/o patrimoniale. Non intendo tuttavia sottrarmi alle questioni che più impegnano dottrina e giurisprudenza, riservando alle stesse alcune brevi notazioni conclusive e augurandomi che non sia su di esse a concentrarsi l’attenzione, più o meno fondata su precomprensioni, dei lettori. 15 Riformulo in questo senso la posizione, meno articolata, illustrata in Azioni di stato, cit., p. 556. Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 771 Ritengo equilibrata la posizione della Corte costituzionale16, che nega la prevalenza dell’interesse del minore a mantenere il rapporto filiale costituito a seguito di maternità surrogata commerciale o comunque nel caso in cui entrambi i genitori intenzionali non abbiano un rapporto genetico con il minore: la lesione del valore della dignità della donna e il rischio di porsi sul crinale del commercio di minore costituiscono forti ragioni di ordine pubblico che si impongono sull’interesse alla stabilità dei rapporti. Tanto più che la stessa Corte costituzionale ritiene che l’interesse del minore – e oggi la Corte di Strasburgo propone un’opinione simile per la salvaguardia dell’interesse alla vita privata e familiare17 – possa trovare tutela attraverso le forme dell’adozione, anche nella variante dell’adozione in casi particolari18. Sono tuttavia convinto che le argomentazioni a sostegno del bilanciamento della Corte costituzionale non siano estensibili alla fattispecie della maternità surrogata solidale in cui almeno uno dei membri della coppia intenzionale abbia un rapporto genetico con il minore, nonostante il diverso avviso delle Sezioni Unite19: per cui si impone una soluzione di segno opposto nel bilanciamento che il giudice di merito dovrà effettuare in sede di giudizio di stato, anche ove non si acceda alla tesi di chi ha argomentato l’idea della legittimità della pratica anche nel nostro ordinamento20. Mi sembra infine che l’interesse del minore debba essere considerato prevalente, ove la coppia abbia avuto accesso alla procreazione assistita in mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi stabiliti dalla legislazione italiana, ivi compreso quello, sul quale si appuntano i contrasti, della diversità di sesso della coppia21: in tal senso si è chia16 Che riprende Cass. 11.11.2014, n. 24001, in Corr. giur. 2015, p. 471 ss., con nota di A. Renda. Critica invece G. Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, in Corr. giur., 2017, p. 935 ss. 17 È quanto si ricava dalla opinion della Corte EDU, 10.4.2019, in N. giur. civ. comm., 2019, I, 757 ss., con commento di A.G. Grasso. 18 Osserva che tale forma di rapporto possa incidere negativamente sull’interesse del minore e del figlio, in quanto soggetta a revoca, L. Lenti, La costituzione del rapporto filiale, cit., p. 13 s. 19 Sembra essere di chiusura la posizione di Cass., S.U., 8.5.2019, n. 12193, in N. giur. civ. comm., 2019, I, p. 737 ss., con commento di U. Salanitro, e in Fam. e dir., 2019, p. 653 ss., con note critiche di M. Dogliotti e G. Ferrando, anche perché riferita proprio a un caso di maternità surrogata solidale. 20 Per la quale si rinvia alla recente analisi di A.G. Grasso, Per una interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di maternità surrogata, in TCRS, 2018, 2, p. 151 ss. 21 Sulla questione si vedano le rassegne di D. Muscillo, Best interest del minore: 772 The best interest of the child ramente espressa – in sede di definizione dell’ordine pubblico internazionale – la nostra giurisprudenza anche nel consesso più elevato22. Siffatta valutazione va condivisa, a mio avviso, anche qualora l’azione di stato fosse soggetta alla legislazione italiana: traendo argomento da considerazioni sistematiche fondate sulle regole a tutela del minore, poste in sede di fecondazione eterologa (ex art. 9 l. 40/04), nonché dalla riferibilità dei requisiti ex art. 5, l. 40/04, al momento della fecondazione dell’embrione e non al successivo momento dell’impianto23. Bibliografia Bianca M., L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 3 ss. Bugetti M.N., Nomina del curatore per l’esercizio del disconoscimento della paternità tra verità genetica e tutela dell’interesse del minore, in Fam. e dir., 2017, p. 161 ss. Busnelli F.D., Il diritto di famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1463 ss. Camilleri E., Interesse del minore e disconoscimento di paternità. Spunti critici per un riallineamento al sistema delle azioni di stato, in Familia, 2011, p. 619 ss. Corapi G., La tutela dell’interesse superiore del minore, in DSF, 2017, p. 777 ss. Ferrando G., Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, in Corr. giur., 2017, p. 935 ss. Giardina F., Interesse del minore: gli aspetti identitari, in N. giur. civ. comm., 2016, p. 159 ss. Grasso A.G., Per una interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di maternità surrogata, in TCRS, 2018, 2, p. 151 ss. Lenti L., La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus civile, 2019, I, p. 7 ss. Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss. Muscillo D., Best interest del minore: l’applicazione giurisprudenziale nelle famiglie omosessuali, in Familia, 2016, p. 233 ss. Quarta F., Volontà e consolidamento sociale della filiazione. A proposito del controllo di meritevolezza sull’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso, in Rass. dir. civ., 2016, p. 978 ss. l’applicazione giurisprudenziale nelle famiglie omosessuali, in Familia, 2016, p. 233 ss. 22 È la posizione sostenuta da Cass. 30.9.2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con nota di G. Ferrando, che è stata di recente confermata da un obiter dictum di Cass., S.U., 8.5.2019, n. 12193, cit. 23 Si consenta il rinvio a U. Salanitro, Art. 5 – Legge 19 febbraio 2004 n. 40, in Commentario Gabrielli, Della Famiglia, III, Torino, 2018, p. 1704 ss. Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità 773 Salanitro U., Art. 5 – Legge 19 febbraio 2004 n. 40, in Commentario Gabrielli, Della Famiglia, III, Torino, 2018, p. 1704 ss. Salanitro U., Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in N. giur. civ. comm., 2018, II, p. 552 ss. Scalisi V., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, p. 405 ss. Sesta M., La filiazione, in Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, IV, Torino, 2011, p. 196 Sicchiero G., La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, p. 72 ss. L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori Susanna Sandulli Il tema oggetto del presente lavoro riguarda l’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori, ma poiché questioni di questo tipo rischiano di far cadere in grossolane banalità e discriminazioni, ritengo che la prospettiva da adottare sia una sola, ossia quella di verificare quale sia in concreto il best interest of the child. Per tale ragione, intendo partire da un concetto estremamente semplice e, se vogliamo, naturale, ossia il ruolo della madre all’interno della famiglia, valutando quale considerazione tale ruolo trovi nel diritto. L’importanza della figura materna nell’istituzione familiare non costituisce una “scoperta” moderna, in quanto già nell’ambito dei lavori preparatori alla Costituzione, grazie soprattutto ai preziosi contributi di Nilde Iotti1 e di Teresa Noce, si comprese che la valorizzazione giuridica della donna avesse inizio attraverso la sua tutela nella famiglia2; un esempio è rinvenibile nell’art. 37 della carta costituzionale, il quale prevede che l’attività lavorativa della donna debba essere svolta in modo da consentirle di adempiere alla funzione familiare che le è propria. Ciò è desumibile, altresì, dal combinato disposto degli artt. 29, 30 e 31 Cost., da cui emerge un concetto di famiglia quale società naturale, preesistente allo Stato e che non può essere frutto di un’unione priva di impedimenti derivanti da vincoli di sangue o di età e, soprattutto, senza distinzione di ruoli sessuali; viene, così, delineato un modello di relazioni familiari improntato sull’eterogenitorialità, che diviene presupposto relazionale della filiazione. Sono numerosi, infatti, i riferimenti al ruolo “materno” e “paterno” all’interno del diritto di famiglia. L’eterogenitorialità è evidente nella filiazione nel matrimonio, dato che coniugi possono essere soltanto persone di sesso diverso (art. 147 e 776 The best interest of the child artt. 231 ss. c.c.); nel riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio (art. 250 c.c.), per cui il figlio può essere riconosciuto “dalla madre e dal padre”; nelle azioni di stato, relative alla paternità e alla maternità; nella disciplina relativa alla scelta dell’amministratore di sostegno, per cui il giudice darà preferenza alla madre e al padre ai sensi dell’art. 408 c.c.; nelle norme sulla successione mortis causa dei figli al “padre ed alla madre” e viceversa (artt. 566 e 568 c.c.); da quanto disposto in materia di responsabilità del padre e della madre per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore non emancipato (art. 2048 c.c.); o ancora, in tema di responsabilità genitoriale, la quale è esercitata dal padre e dalla madre di comune accordo (art. 316 c.c.) Al di “fuori” del Codice civile, troviamo riferimenti in materia di adozione, consentita soltanto alla coppia coniugata, per definizione eterosessuale (art. 6, legge n. 184 del 4 maggio 1983); nella pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza, in cui il riferimento è alla “madre” e al “padre” del concepito (art. 5, legge n. 194 del 22 maggio 1978); nell’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, infine, che è ammesso soltanto per le coppie “di sesso diverso, coniugate o conviventi” (art. 5, legge n. 40 del 19 febbraio 2004). La medesima prospettiva è stata fatta propria anche dal legislatore internazionale. Facciamo riferimento, ad esempio, alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, la quale prevede che, salvo eccezioni, il minore in tenera età non dovrebbe mai essere separato dalla madre; alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna del 1979, il cui preambolo sottolinea l’importanza del ruolo sociale della maternità e di entrambi i genitori nella famiglia e nell’educazione dei figli, prevedendo una suddivisione di responsabilità; alla Risoluzione del Parlamento europeo su una Carta europea dei diritti del fanciullo del 1992, il cui art. 8.17 contempla il diritto del minore di vivere con il padre e la madre, mentre l’art. 8.23 stabilisce la necessità di garantire al minore una certezza giuridica. Possiamo, dunque, affermare che il nostro ordinamento è improntato sulla distinzione dei ruoli all’interno della famiglia e sulla presa d’atto che ogni membro di questa comunità si caratterizza per talune peculiarità: ognuno di essi è insostituibile. Emerge chiaramente un quadro giuridico in cui l’ordinamento, da una parte, protegge la maternità, pur non garantendo la possibilità di L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori 777 divenire madre3, e, dall’altra, esalta l’importanza dell’eterogenitorialità, la quale, sebbene non venga espressamente enucleata fra i principi fondamentali della Costituzione, ne costituisce espressione, tutelando il preminente interesse del minore. Alla luce di quanto sinora detto, si dovrebbe ritenere che l’eterogenitorialità sia espressione del principio dell’ordine pubblico4, in quanto finalizzata alla tutela di diritti individuali e relazionali e, soprattutto, del best interest of the child, rendendolo intangibile anche rispetto alla normativa straniera; infatti, sebbene sia necessario un confronto costante con gli altri ordinamenti, il nostro sistema di diritto non può automaticamente omologarsi alle soluzioni normative adottate altrove, in quanto l’unico percorso possibile per la decisione del singolo caso è quello di un raffronto con i principi fondamentali del nostro ordinamento5. Inoltre, l’art. 9 della Carta di Nizza e l’art. 12 della CEDU rinviano esplicitamente alla legislazione nazionale in materia di famiglia e, dunque, non potrebbe neppure ipotizzarsi una violazione della disciplina europea. 3 Come evidenziato da autorevole dottrina, il diritto alla procreazione non è contemplato fra i diritti fondamentali dell’uomo, né come singolo né nelle formazioni sociali e, dunque, anche qualora fosse riconosciuto, potrebbe essere esercitato, al pari di tutti gli altri diritti, esclusivamente nei casi e secondo le modalità previsti dall’ordinamento. In tal senso, A. Finocchiaro, Non basta prospettare l’evoluzione scientifica per ritenere lecito l’accordo tra le parti, in Guida dir., 2009, 9, p. 80. Anche la giurisprudenza si è espressa per un’inesistenza del diritto dell’individuo ad avere figli; così CEDU, Grande Camera, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c. Italia, la quale ha stabilito espressamente che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo “non sancisce alcun diritto di diventare genitore”. 4 Sul tema della nozione di ordine pubblico si è pronunciata di recente la Cass., SU, 8 maggio 2019, n. 12193, la quale ha affermato che “la (…) nozione di ordine pubblico (…) va desunta non solo dai valori consacrati nelle norme costituzionali, ma anche dagli altri principi e regole che, pur non trovando collocazione nella Carta fondamentale, informano l’intero ordinamento, in quanto immanenti ai più importanti istituti giuridici ed emergenti dal complesso delle norme inderogabili che caratterizzano l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato momento storico”; e ancora che “Tra gli stessi va senz’altro incluso il principio, chiaramente desumibile dalle norme inderogabili in materia di filiazione, che postula, quale requisito imprescindibile per il riconoscimento del relativo rapporto, la differenza di sesso tra i genitori, avendo quest’ultima influito significativamente su tutta la legislazione nazionale introdotta nel tempo, ivi compresa quella concernente le diverse tecniche di fecondazione assistita”. 5 Come giustamente sottolineato dalla dottrina, “l’emotività non può farci dimenticare i principi di diritto”. R.E. Guidorzi, Le nuove unioni civili, il conflitto genitoriale e la tutela del minore, in G. Cassano (cur.), Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle “Unioni civili”, Milano, 2016, p. 627. 778 The best interest of the child Certo, la famiglia, più di qualsiasi altra comunità, risente fortemente dell’evoluzione della società e della coscienza giuridica, è una delle più alte espressioni di diritto vivente e non può ancorarsi a rigidi schemi. Come noto, infatti, la famiglia è stata oggetto di una profonda evoluzione, in ultimo con la c.d. Riforma Bianca del 20126, mediante la quale si è introdotto il concetto di “famiglia dei figli7” e con la quale non solo si è giunti a una completa equiparazione giuridica dei coniugi, ma soprattutto si è ribadito fermamente che la disciplina debba essere improntata esclusivamente sull’interesse del minore. Quindi, se i nuovi modelli familiari8 debbono certamente trovare un riconoscimento e una tutela giuridica, in quanto la tradizione non può divenire alibi per perpetuare ingiustizie e discriminazioni, non si può sottacere il rischio che si vengano a creare situazioni potenzialmente lesive del best interest of the child. Il timore principale è che si finisca non per tutelare l’interesse del minore ad avere una famiglia, ma che si proceda soltanto al riconoscimento giuridico, anche se indiretto, di una nuova genitorialità. E proprio da questo punto dobbiamo affrontare il tema dell’eterogenitorialità. Infatti, nel momento in cui si parla di “famiglia”, l’unico interesse da tutelare è quello del minore e l’omosessualità non può far certo dubitare dell’idoneità genitoriale, perché non si può pensare ad una normativa che 6 La legge n. 219 del 10 dicembre 2012, come noto, ha sancito l’unificazione dello stato di figlio, espressione con la quale si intende dire che “la legge conosce solo figli” (C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1), ponendo fine alla tradizionale ed anacronistica distinzione fra figli legittimi e naturali; nel Codice civile tale principio è stato introdotto mediante la riformulazione ex novo dell’art. 315 c.c., il quale stabilisce che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, fungendo da criterio interpretativo nelle ipotesi in cui sorgano dubbi sull’effettivo significato da attribuire alla norma. Questa unicità corrisponde alla nuova visione della famiglia, la quale non viene più posta al centro del sistema in quanto istituzione, ma si basa sui diritti della persona “anche nella famiglia”; in altre parole, l’attuale concezione della famiglia non tollera più discriminazioni legate alla nascita ovvero alle vicende che riguardano i rapporti fra genitori. Così M. Dossetti, L’unicità dello stato di figlio e i modi diversi di accertamento dello status, in M. Dossetti – M. Moretti – C. Moretti, La nuova filiazione, Bologna, 2017, p. 2. Tra i contributi più significativi sul tema, M. Bianca, L’ uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012 (*) The Equality of the Legal Status of Children under the Recent Law No. 219 of 2012, in Giust. civ., 2013, fasc. 5-6, p. 205 e ss. 7 L. Rossi Carleo, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, p. 1462. 8 Modelli di famiglia quali quella fondata sulla convivenza, anche fra persone dello stesso sesso, e quella ricomposta, la cui complessità è acuita dalla necessità di coordinare le fonti interne con quelle europee. L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori 779 differenzi in base all’orientamento sessuale, non solo perché in contrasto con il principio di uguaglianza ed eticamente inaccettabile, ma anche in ragione del fatto che nel nostro ordinamento il concetto di genitorialità non è legato all’orientamento sessuale, bensì al sesso degli individui. Occorre, dunque, partire dal dettato normativo, ossia dalla legge sulle unioni civili. Legge tanto attesa9, ma al contempo criticata, in quanto “prospetta all’interprete scenari non privi di ombre”; infatti, la disciplina della filiazione non viene menzionata, mentre è esclusa l’applicabilità di quella dell’adozione e ciò induce a ritenere che le coppie omosessuali non siano chiamate a svolgere una funzione genitoriale. A prescindere dal carattere politico che tale scelta legislativa possa aver avuto, non si può nascondere il timore del legislatore che l’estensione generalizzata della c.d. stepchild adoption avrebbe potuto legittimare il ricorso alla maternità surrogata; infatti, quasi sempre il progetto genitoriale delle coppie formate da due individui di sesso maschile viene perseguito attraverso la maternità surrogata, che sappiamo essere vietata dalla legge, non solo perché in contrasto con il principio dell’ordine pubblico, trattandosi di una pratica che lede profondamente la dignità della donna10, ma anche e soprattutto perché non rispecchia il diritto del minore all’identità filiale e a conoscere le proprie origini11. 9 L’iter legislativo è stato molto travagliato, se si pensa che la prima proposta venne fatta nel 1986 e al cui rigetto hanno fatto seguito anni di silenzio. Per tale ragione, la dottrina ha affermato che “la «battaglia» per il riconoscimento dei diritti delle coppie same sex si è svolta principalmente, fino a ieri, nelle aule dei Tribunali non solo delle Corti nazionali ma soprattutto europee, ove si sono succedute svariate pronunce che hanno ripetutamente censurato il legislatore italiano”. Così T. Auletta, Ammissibilità nell’ordinamento vigente del matrimonio fra persone del medesimo sesso, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 656. Per un approfondimento si rinvia a R. Villani, L. 19 febbraio 2004 n. 40, in A. Zaccaria (cur.), Commentario breve al diritto di famiglia, Padova, 2008, p. 1828 e ss.; U. Salanitro, Commento alla l. 19 febbraio 2004 n. 40, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, L. Balestra (cur.), Della famiglia, Torino, 2010, p. 509 ss. 10 La maternità surrogata è ritenuta dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. 11 Anche la giurisprudenza ha affrontato numerose volte tale questione; ci riferiamo, ex multis, al caso Godelli c. Italia, nel quale la CEDU, con la sentenza n. 33783 del 25 settembre 2012, ha stabilito che “La legislazione italiana, vietando l’accesso alle informazioni sulla propria nascita nel caso di parto anonimo, viola l’art. 8 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, poiché, senza bilanciare i contrapposti interessi della madre (all’anonimato) e del figlio (alla conoscenza) impedisce alla persona di sapere da chi è nato”. La Corte costituzionale, invece, con la sentenza n. 278 del 22 novembre 2013 ha affermato che “Come ha osservato la Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 8 della convenzione 780 The best interest of the child Questa è la medesima ratio che caratterizza la disciplina delle azioni di stato12, la quale è incentrata sul preminente interesse del minore; tuttavia, occorre chiedersi cosa accada in situazioni in cui, sebbene vi sia stata una violazione di legge, è nato un essere umano e la cui tutela non può in alcun modo essere inferiore a quella dei figli nati “naturalmente”. Dunque, per quanto riguarda lo status del figlio, uno dei problemi che si pone riguarda il ruolo del partner del genitore biologico, in quanto bisogna valutare l’applicabilità dell’istituto dell’adozione di cui all’art. 44, lett. d), della legge n. 183 del 1984, ma la situazione pare diversa a seconda che il minore abbia già vissuto o meno con la coppia, essendo necessaria una valutazione case by case, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 272 del 18 dicembre 2017. Infatti, nel caso in cui il minore abbia trascorso con la coppia un lasso di tempo “ragionevole” e instaurato con il partner del proprio genitore biologico un legame solido ed affettivo, è necessario tutelare il suo diritto a mantenere tale situazione di stabilità affettiva, facendo riferimento al concetto di genitore sociale; potrebbe, quindi, ritenersi applicabile la disciplina della stepchild adoption in virtù del diritto alla continuità degli affetti13, concetto statuito con la riforma della disciplieuropea, è eccessivamente rigida la disciplina dell’art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituito dall’art. 177, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata. Non appare ragionevole, ed è quindi in contrasto con gli art. 2 e 3 Cost., che la scelta sia necessariamente e definitivamente preclusa sul versante dei rapporti relativi alla «genitorialità naturale», e non invece eventualmente revocabile, in seguito alla richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza”. 12 Le azioni di stato, come noto, sono volte a garantire un accertamento dello stato di filiazione e costituiscono espressione di quello definito come il diritto all’identità filiale, ossia il diritto ad avere certezza in merito alla propria situazione genitoriale; pertanto, la ratio sottostante tali azioni è di ottenere una pronuncia sullo stato della persona. Come evidenziato da P. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, p. 212, la nozione di status esprime “l’idea di una condizione personale destinata a durare, capace di dar vita a prerogative e doveri, e di giustificare vicende molteplici dell’attività ed è la vita della persona”. 13 Il best interest of the child, invero, si sostanza anche nel diritto alla continuità dei legami affettivi, tanto che esso costituisce la ratio della legge 19 ottobre 2015, n. 173, che, come noto, ha modificato la legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozioni, al fine di limitare le conseguenze traumatiche subite dai minori in affido per lungo tempo e successivamente adottati da una famiglia diversa da quella a cui erano stati assegnati. Con la legge n. 173 del 2015, il legislatore ha, dunque, voluto rimarcare l’indissolubile legame fra il benessere del minore ed il contesto familiare in cui si sviluppa la sua personalità; sul tema, v. G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Napoli, 2016, p. 44 ss. L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori 781 na dell’affidamento, che ha fatto emergere altresì il diritto del minore alla bigenitorialità14. Pare, tuttavia, lecito chiedersi se tale riconoscimento giuridico della genitorialità sociale vada a realizzare in concreto il supremo interesse del minore; egli, infatti, non trovandosi in uno stato di abbandono, vedrebbe tutelate pienamente le sue esigenze e non avrebbe la necessità di formalizzare a livello giuridico una situazione di fatto già esistente. Nell’ipotesi in cui, invece, suddetto legame non sussista, l’istituto dell’adozione in casi particolari non sembra poter trovare applicazione: non solo si sostanzierebbe, invero, nell’attribuzione ex novo di un diritto prima inesistente per tutelare una situazione contra legem che le parti hanno coscientemente realizzato, ma soprattutto perché non corrisponde ad un interesse concreto ed effettivo del minore, in quanto la vita familiare non si è ancora instaurata. E proprio con riferimento alla figura del genitore sociale bisogna, poi, sottolineare una delle maggiori problematiche che caratterizza l’unione civile. Trattandosi di un’unione fragile15, posta la semplicità delle modalità con cui interromperla, occorre chiedersi cosa accade rispetto al genitore sociale, in quanto l’art. 337 ter c.c., in caso di separazione, prevede 14 Ossia il diritto alla doppia figura genitoriale riconosciuto come preminente dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ed espressamente sancito all’art. 337 ter c.c. nel caso di crisi del rapporto che lega i genitori. La dottrina ha affermato che “Le nozioni di bigenitorialità e famiglia sono inscindibili, nel senso che il contenuto del diritto del figlio non va valutato in termini quantitativi (è preferibile avere due genitori anziché averne uno solo), ma qualitativi, apprezzando il diverso, essenziale contributo che i due genitori sono in grado di fornire alla sua formazione e crescita”. Così A. Morace Pinelli, Il problema della filiazione nell’unione civile, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civile e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, p. 313. 15 Ad esempio, manca del tutto il richiamo alla disciplina della separazione e, infatti, il comma 23 stabilisce che “L’unione civile si scioglie altresì nei casi previsti dall’articolo 3, numero 1) e numero 2), lettera a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898”; dunque, per lo scioglimento dell’unione non è necessario né il provvedimento di omologazione della separazione consensuale, né il passaggio in giudicato della sentenza relativa alla separazione giudiziale. Inoltre, diversamente da quanto sancito all’art. 151 c.c., non viene richiesta un’adeguata motivazione e ciò, indubbiamente, rende molto facile la cessazione dell’unione civile. Per un esame critico della questione, si rinvia a G. De Cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche alla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ. comm., 2017, p. 135 ss. 782 The best interest of the child il diritto al mantenimento di un rapporto affettivo solamente con il genitore e non anche con il partner dell’unione civile. L’attuale disciplina, infatti, che prevede come regola generale quella dell’affidamento condiviso, fa esclusivamente riferimento agli effetti per i figli in caso di separazione, divorzio, cessazione della convivenza more uxorio, annullamento e nullità del matrimonio; si tratta, dunque, di casi che presuppongono la presenza di due genitori di sesso diverso. Non è, pertanto, contemplata l’ipotesi di scioglimento dell’unione civile e la situazione che si potrebbe verificare nel caso concreto non sarebbe in alcun modo disciplinata, facendo venir meno le relative forme di tutela per il minore. Un ulteriore caso in cui il mancato riconoscimento legislativo della genitorialità omoaffettiva farebbe sorgere diversi problemi riguarda il congedo di paternità e di maternità, in quanto la disciplina in questione fa esclusivamente riferimento alla possibilità da parte della madre o del padre di ottenere un periodo da trascorrere con il figlio dopo il parto; in particolare, nel caso di una duplice paternità, la possibilità per il padre di usufruire del congedo spetterebbe solo nell’ipotesi in cui si ritenga che, a seguito della maternità surrogata, la madre abbia abbandonato il figlio, come previsto dall’art. 28 del TU (d.lgs. n. 151 del 26 marzo 2001), ma è incerto se tale fattispecie risulti effettivamente applicabile. Ancora, numerose perplessità si presentano relativamente alla disciplina del cognome, elemento identificativo fondamentale nella formazione dell’identità personale del minore. L’art. 262 c.c., infatti, stabilisce che ai figli nati al di fuori del matrimonio venga assegnato il cognome paterno e, a seguito della sentenza n. 286 del 21 dicembre 2016 della Corte costituzionale, anche quello materno16; si presuppone, dunque, una diversità di sesso. Nel caso di due madri, andrebbe, dunque, assegnato il cognome della madre partoriente ex art. 269, comma 3, c.c., essendo essa considerata dall’ordinamento come unica madre e non potendosi attribuire 16 Nella sentenza si legge “Va dichiarata l’illegittimità costituzionale di quel complesso di norme vigenti nell’ordinamento italiano, in virtù del quale al figlio di genitori coniugati è attribuito automaticamente il cognome paterno, nella parte in cui non consente ai genitori – di comune accordo – di trasmettere al figlio, all’atto della nascita, anche il cognome materno. Altresì, va dichiarata l’illegittimità costituzionale di quelle norme che non consentono di trasmettere, in virtù di accordo tra i genitori, anche il cognome materno al figlio adottivo ed al figlio di genitori non coniugati riconosciuto alla nascita da entrambi”. L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori 783 anche il cognome della seconda mamma, neppure qualora abbia donato l’ovulo. Nel caso, invece, di una coppia formata da individui di sesso maschile, se si attribuisse il cognome del padre biologico, non si andrebbe, in qualche misura, a “sminuire” la figura del secondo padre? A prescindere, però, dalle modalità attraverso cui il progetto di genitorialità delle coppie omosessuali venga perseguito e dagli evidenti vuoti normativi, l’interrogativo che occorre porsi è se abbandonare l’impostazione eterogenitoriale finora seguita coincida con il best interest of the child. Le opinioni favorevoli si basano sull’assunto per cui la dannosità del contesto familiare privo di genitori di sesso differente poggerebbe su di un mero pregiudizio17, ma se una situazione non è dannosa non vuol dire che sia la migliore. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che sono numerosi gli studi che dimostrano l’importanza delle diverse figure genitoriali all’interno della vita familiare, anche con riferimento alla formazione dell’identità sessuale, che è un diritto fondamentale tutelato dall’ordinamento nazionale ed europeo. È necessario, infatti, soprattutto durante l’età adolescenziale, un confronto costante con il genitore del proprio sesso, ma anche con quello di sesso opposto, che mancherebbe nelle famiglie omoaffettive18. In questi termini si è pronunciata anche la giurisprudenza (Tribunale per i minorenni di Palermo, decreto 4 dicembre 2013) la quale, pur essendosi espressa positivamente per l’affidamento preadottivo a favore di una coppia omosessuale, ha sottolineato la differenza fra l’inserimento di un minore di tenera età e quello di un giovane con un orientamento sessuale già definito19. 17 Per un esame critico della questione, si rinvia a S. Niccolai, Diritto delle persone omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna?, in Giur. cost., 2016, fasc. 3, p. 1169 ss. 18 Non si dovrebbe, in sostanza, privare i minori della possibilità di avere un rapporto con genitori di sesso differente. In tal senso si è espresso U. Salanitro, Il divieto di fecondazione eterologa alla luce della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: l’intervento della Corte di Strasburgo, in Fam. e dir., 2010, p. 991. 19 Il Tribunale si è espresso, invero, nel senso che “Non può negarsi, invero, che l’inserimento di un minore in tenera età all’interno di una coppia di persone dello stesso senso potrebbe attivare dinamiche ben diverse rispetto all’inserimento di un giovane con una personalità strutturata e con orientamenti sessuali già ben definiti. Occorre dunque solidamente ancorare le argomentazioni fin qui svolte alle peculiarità del caso concreto, e dunque alle conoscenze acquisite sulla condizione psicologica, sulle risorse personali e sulla qualità delle relazioni intrafamiliari di, 784 The best interest of the child Non si può, inoltre, sottacere, sebbene risulti cinico e sgradevole, che le famiglie omosessuali costituiscono ad oggi una netta minoranza e i bambini si troverebbero, immancabilmente, in una posizione di diversità rispetto ai loro coetanei, potendo subire ripercussioni sociali e discriminazioni20; occorre, pertanto, che le scelte legislative e giurisprudenziali siano incentrate sul benessere attuale dei bambini. In conclusione, a prescindere, dalle opinioni personali, che inevitabilmente contraddistinguono ciascuno di noi, ciò che deve davvero costituire oggetto di primaria attenzione è l’interesse dei minori, abbandonando la visione “adultocentrica”21: la necessità è quella di fissare regole sicure per evitare che il rapporto di genitorialità possa essere strumentalizzato e, proprio per questo, un intervento legislativo che chiarisca le criticità rilevate e che non lasci esclusivamente alla magistratura l’arduo compito di colmare le lacune evidenziate è sicuramente un passo imprescindibile per garantire un’effettiva tutela del best interest of the child. Bibliografia Auletta T., Ammissibilità nell’ordinamento vigente del matrimonio fra persone del medesimo sesso, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 656 Bianca C.M., La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1 Bianca M., L’ uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012 (*) The Equality of the Legal Status of Children under the Recent Law No. 219 of 2012, in Giust. civ., 2013, fasc. 5-6, p. 205 e ss. nonché alle informazioni esistenti in merito alla coppia presso cui egli dovrebbe proseguire il percorso di accoglienza già intrapreso”. 20 Nella sentenza n. 4382 del 22 dicembre 2018, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha sostenuto che “l’affermazione di una genitorialità in capo a persone dello stesso sesso e che a tanto si possa pervenire «per via giudiziaria», dandosi luogo ad una soluzione che: a) contrasterebbe con i principi fondamentali della Carta costituzionale; b) scardinerebbe l’intero sistema del diritto di famiglia italiano; c) ignorerebbe il comune sentire, ossia il modo in cui la stragrande maggioranza degli italiani concepisce maternità e paternità; d) cancellerebbe uno degli elementi fondanti la stessa identità nazionale; e) intaccherebbe la stessa sovranità dello Stato”. 21 Come è stato correttamente osservato, “l’evoluzione dell’ordinamento può avere un senso però solo se non finisce per anteporre il diritto degli adulti a quello dei minori”. Così L. Spina, Nuove famiglie e circolazione dei nuovi status familiari: la risposta del diritto interno tra interesse del minore ed ordine pubblico”, in G.O. Cesaro – P. Lovati – G. Mastrangelo (cur.), La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, Milano, 2014, p. 135-136. L’eterogenitorialità nel sistema del diritto dei minori 785 D’Amico M. – Leone S. (cur.), La donna dalla fragilitas alla pienezza dei diritti? Un percorso non ancora concluso, Milano, 2017 De Cristofaro G., Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche alla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ. comm., 2017, p. 135 ss. Dossetti M., L’unicità dello stato di figlio e i modi diversi di accertamento dello status, in M. Dossetti – M. Moretti – C. Moretti, La nuova filiazione, Bologna, 2017, p. 2 Finocchiaro A., Non basta prospettare l’evoluzione scientifica per ritenere lecito l’accordo tra le parti, in Guida dir., 2009, 9, p. 80 Guidorzi R.E., Le nuove unioni civili, il conflitto genitoriale e la tutela del minore, in G. Cassano (cur.), Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle “Unioni civili”, Milano, 2016, p. 627 Iacometti M., Il contributo delle donne dell’Assemblea costituente all’elaborazione della Costituzione italiana, in M. D’Amico – S. Leone (cur.), La donna dalla fragilitas alla pienezza dei diritti? Un percorso non ancora concluso, Milano, 2017, p. 169 ss. Manfredini M.G., La posizione giuridica della donna nell’ordinamento costituzionale italiano, Padova, 1979 Morace Pinelli A., Il problema della filiazione nell’unione civile, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civile e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, p. 313 Niccolai S., Diritto delle persone omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna?, in Giur. cost., 2016, fasc. 3, p. 1169 e ss. Recinto G., Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Napoli, 2016, p. 44 ss. Rescigno P., Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, p. 212 Rossi Carleo L., La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, p. 1462 Russo F., La Costituzione e le costituenti, in http://www.fondazionenildeiotti.it/ iniziative_1.php?eventi_id=194 Salanitro U., Commento alla l. 19 febbraio 2004 n. 40, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, L. Balestra (cur.), Della famiglia, Torino, 2010, p. 509 ss. Salanitro U., Il divieto di fecondazione eterologa alla luce della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: l’intervento della Corte di Strasburgo, in Fam. e dir., 2010, p. 991. Spina L., Nuove famiglie e circolazione dei nuovi status familiari: la risposta del diritto interno tra interesse del minore ed ordine pubblico”, in G.O. Cesaro – P. Lovati – G. Mastrangelo (cur.), La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, Milano, 2014, p. 135-136 Villani R., L. 19 febbraio 2004 n. 40, in A. Zaccaria (cur.), Commentario breve al diritto di famiglia, 2008, p. 1828 ss. 786 The best interest of the child parte vi L’interesse del minore ad una crescita serena: responsabilità genitoriale, relazioni familiari e conflitti Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età Filippo Romeo Sommario: 1. Pluralità dei modelli familiari, conflittualità della coppia genitoriale e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso. – 2. Bigenitorialità e collocamento paritetico dei figli. Rilievi critici. – 3. Genitori conflittuali e misure di sostegno alla genitorialità. La mediazione familiare e la coordinazione genitoriale. – 4. Esigenze di “sdrammatizzazione” della crisi familiare: quali prospettive? 1. Pluralità dei modelli familiari, conflittualità della coppia genitoriale e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso Preliminarmente occorre prendere atto che nell’attuale fase evolutiva del diritto di famiglia emergono una pluralità di modelli familiari continuamente rimodulabili. Ciascun individuo risulta titolare del diritto soggettivo di sposarsi, di separarsi, di divorziare e di costituire una nuova famiglia fondata sul matrimonio ovvero di dare luogo ad una relazione affettiva non matrimoniale socialmente diffusa o regolata dalla legge1. Le molteplici e mutevoli relazioni di coppia – grazie al 1 Il pluralismo dei modelli familiari trova oggi conferma nella legge n. 76/2016. In argomento, tra gli altri, T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 367; M. Paradiso, Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 ss.; M.C. Venuti, La regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze in Italia, in Pol. dir., 2016, p. 95 ss.; M. Sesta, Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, p. 1792; E. Al Mureden, Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 966; E. Quadri, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze: il non facile ruolo che la legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893 ss. Si segnalano, inoltre, G. De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?, 790 The best interest of the child ruolo sempre più pervasivo dell’autonomia privata – si liberalizzano nelle modalità di costituzione e nel contenuto. Ma non solo. Si liberalizzano nelle modalità di scioglimento2. In questo scenario si registra una crescente instabilità e conflittualità della coppia genitoriale. Conseguentemente, risulta concreto il rischio che la separazione personale dei coniugi, il divorzio, la cessazione della convivenza (di mero fatto o normativizzata) incidano negativamente nell’ambito della complessa relazione “genitori-figli”. Invero, proprio nell’ottica di salvaguardare il c.d. “best interest of the child”, occorre ricordare che l’articolato normativo tracciato dagli artt. 337 bis ss. c.c. ha puntualizzato quali siano i diritti dei figli nel caso di intervenuta crisi della coppia genitoriale3. Paradigmatica, al riguardo, risulta la previsione contenuta nell’art. 337 ter, comma 1°, c.c. laddove si sancisce il diritto del figlio minore di età a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Altrettanto rilevante, inoltre, risulta il comma 2° dell’art. 337 ter c.c. che impone al giudice, nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole, di fare riferimento esclusivo all’interesse morale e materiale dei figli. In questa prospettiva, per attuare al meglio l’interesse del minore, il giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che la prole resti affidata ad entrambi i genitori4. Al riguardo nell’elaborazione dell’affiin Familia, 2019, p. 299 ss.; G. Perlingieri, Interferenze tra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in F. Romeo (cur.), Nuovi modelli familiari e autonomia negoziale, Napoli, 2018, p. 77 ss. Sia, altresì, consentito rinviare a F. Romeo, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», in Comm. Gabrielli, 3, II ed., Torino, 2018, p. 1985 ss. 2 Peraltro, le compagini familiari si connotano per essere sempre più ristrette nel numero e brevi nel tempo: si riscontra, infatti, un progressivo affievolimento dell’intensità del vincolo che ben si spiega alla luce di una pluralità di regole, soprattutto processuali. Eloquenti, in questa direzione, appaiono le novità introdotte dalla legge n. 55/2015 sul “divorzio breve” nonché le modalità di separazione e divorzio alternative al processo introdotte dalla legge n. 162/2014. 3 Gli artt. 337 bis ss. c.c. costituiscono, a ben vedere, la proiezione della responsabilità genitoriale, intesa quale attuazione del rapporto “genitori-figli” nella fase patologica della vita della coppia genitoriale. In questa direzione spunti di sicuro interesse si rinvengono in S. Stefanelli, Responsabilità genitoriale e affidamento, in A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Le persone e la famiglia, 4, II ed., Torino, 2018, p. 672. 4 L’affidamento condiviso assurge a regola generale. Viceversa, si ricorre all’affidamento esclusivo solo in casi eccezionali. Paradigmatiche conferme si rinvengono in Cass. 11 luglio 2017, n. 17137, in www.osservatoriofamiglia.it, in base alla quale i comportamenti Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 791 damento condiviso si coglie un concetto di interesse del minore profondamente innovato. Prioritario è il perseguimento del benessere del figlio che passa attraverso la salvaguardia delle relazioni affettive ivi comprese quelle con i componenti della “famiglia allargata”. Elementi caratterizzanti dell’affidamento condiviso sono essenzialmente due. Un primo elemento attiene all’esercizio in comune della responsabilità genitoriale, che postula un profondo rispetto dei ruoli e un’adeguata capacità collaborativa; un secondo elemento riguarda i tempi di frequentazione e di cura del figlio, i quali devono essere sufficientemente equilibrati per entrambi i genitori. Tuttavia, nella logica del legislatore ciò che realmente assume rilievo non è tanto la distribuzione paritaria del tempo quanto la partecipazione affettiva, morale e materiale alla vita del minore. Ciò detto, occorre prendere atto che nella corrente legislatura si è materializzata un’intensa attività parlamentare finalizzata ad introdurre significative modifiche alla disciplina della “crisi familiare”. In particolare, l’attenzione del legislatore si è focalizzata sul rapporto “genitori-figli” e, segnatamente, sul tema dell’affidamento condiviso. Paradigmatico, al riguardo, risulta il d.d.l. S/735 (c.d. disegno di legge Pillon, dal nome del Senatore primo firmatario) che tanto sta facendo discutere gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica. Il richiamato disegno di legge, nell’ambito di una riscrittura dell’istituto dell’affidamento condiviso, muove dall’idea che l’interesse materiale e morale del figlio passa attraverso la concretizzazione di un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. In quest’ottica, con particolare riferimento ai “tempi di frequentazione” si ritiene necessario assicurare la permanenza del figlio con “tempi paritari” tra i genitori, rivalutando inevitabilmente il “mantenimento in forma diretta” e l’abrogazione dell’istituto della “casa familiare”. Numerose appaiono le critiche mosse al disegno di legge da parte degli operatori del diritto e degli studiosi del diritto di famiglia5. Non di dubbia moralità della madre non giustificano l’affidamento esclusivo dei figli al padre; Cass. 3 gennaio 2017, n. 27, in www.quotidianogiuridico.it, in base alla quale la spiccata conflittualità tra i genitori non giustifica l’affido esclusivo; Trib. Velletri 15 gennaio 2018, in www.quotidianogiuridico.it, che – agli esiti della CTU e tenendo in debita considerazione la volontà dei coniugi – ha ritenuto la sindrome da disturbo bipolare della madre non incompatibile con l’affidamento condiviso delle figlie. 5 Per una lettura critica d.d.l. S/735 sia consentito rinviare a F. Romeo, Responsabilità genitoriale, conflitti e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso (d.d.l. S/735 del 1° 792 The best interest of the child a caso, in questi mesi, sia pur con alcuni distinguo, è emerso un fronte quanto mai compatto a difesa dell’attuale Capo II del Titolo IX del Libro I del codice civile e delle corrispondenti norme di diritto processuale6. Da più parti si è evidenziata l’esigenza di emendare, se non addirittura di accantonare, il testo del d.d.l. S/735. Viceversa, si è consolidata la convinzione che la legge n. 54/2006 abbia contribuito, in modo significativo, a diffondere una cultura della “bi-genitorialità” nelle relazioni tra genitori e figli dopo la crisi della coppia genitoriale7. In quest’ottica, non è dato dubitare che la legge sull’affidamento condiviso – lungi dal prediligere una visione “adultocentrica” – ha rappresentato una conquista culturale e giuridica di non poco momento: la tutela del figlio, soprattutto quello minorenne, viene infatti collocata al centro della disciplina inerente la disgregazione della coppia genitoriale8. 2. Bigenitorialità e collocamento paritetico dei figli. Rilievi critici Ciò premesso, non si può disconoscere che la disciplina sull’affidamento condiviso abbia presentato (e continui a presentare) alcune criticità applicative. Invero, tradendo lo spirito originario della legge n. 54/2006, la giurisprudenza ha sovente optato per la soluzione agosto 2019), in Nuove leggi civ. comm., 2019, p. 528 ss. In argomento si segnalano, altresì, M.R. Marella, Fra pulsioni punitive e rigurgiti proprietari. I molti pasticci del d.d.l. Pillon, in Riv. critica dir. priv., 2019, p. 109 ss.; C. Rimini, Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, in Fam. dir., 2019, p. 67 ss.; T. Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso, in Familia, 2018, p. 581 ss. 6 Al riguardo, appare utile sottolineare che sia il Consiglio Nazionale Forense – grazie anche al lavoro svolto dalla Commissione “Diritto di famiglia” – sia le Associazioni specialistiche familiariste hanno elaborato dei documenti ufficiali molto critici rispetto al d.d.l. S/735. 7 Grazie alla legge n. 54/2006 si è affermata la pari dignità dei genitori, dopo il fallimento della loro unione, nell’assumere decisioni rilevanti per la crescita e l’educazione dei figli. Inoltre, sono stati fatti passi in avanti con riferimento ai tempi di frequentazione di ciascun genitore con i figli: superando le strettoie del passato, in diversi tribunali si riconosce oggi il diritto del genitore non collocatario di trascorrere con il figlio sei notti su un ciclo di due settimane durante il periodo scolastico e la metà di tutti i periodi di vacanza. In tema di affidamento condiviso, tra gli altri, C.M. Bianca, La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso: prime riflessioni, in Fam. dir., 2006, p. 676; S. Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. success., 2006, p. 300 ss.; F. Ruscello, La tutela dei figli nel nuovo affido condiviso, in Familia, 2006, p. 625 ss. 8 Sul punto v. Auletta, Art. 337 ter c.c., in Comm. Gabrielli, 2, II ed., Torino, 2018, p. 1008. Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 793 “bi-genitoriale” nella forma e per quella “mono-genitoriale” nella sostanza. Tuttavia, non si può pensare di realizzare effettivamente la “bigenitorialità” – così come pervicacemente sostenuto dal già richiamato d.d.l. S/735 – attraverso la permanenza del figlio minore, in misura paritetica, con entrambi i genitori, attribuendo loro i medesimi poteri e prevedendo corrispondenti modalità di adempimento dei doveri9. Invero, con riferimento ai “tempi di frequentazione” ciò che assume realmente rilievo non è tanto la distribuzione paritaria del tempo quanto la concreta partecipazione affettiva, morale e materiale alla vita del minore. Personalmente, non penso che i tempi di permanenza dei figli minori con ciascuno dei genitori possano essere predeterminati dal legislatore. La regolamentazione dei tempi di permanenza dipende, infatti, dalle peculiari caratteristiche di ciascun caso concreto. Sarà quindi il giudice (auspicabilmente con maggiore cautela rispetto a quanto avvenuto in passato) a parametrare l’interesse del figlio minore di età in relazione alla situazione contingente10. Invero – come palesato da alcune recenti sentenze di merito – vi sono casi in cui la distribuzione paritaria del tempo risulta essere la soluzione ideale, con pieno giovamento per tutti. Occorre tenere sempre presente, infatti, che il regime condiviso della responsabilità genitoriale in ragione della peculiarità del caso concreto può prevedere particolari declinazioni e, tra queste, anche quella dei tempi paritetici di frequentazione con i due genitori11. 9 Più precisamente, l’art. 11 del d.d.l. S/735 – attraverso la riscrittura dell’art. 337 ter c.c. – prevede il diritto del figlio minore di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di “impossibilità materiale” (i.e. ragioni logistiche; indisponibilità da parte di uno dei genitori di un luogo idoneo per ospitare il figlio). In ogni caso occorre garantire alla prole “la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di 1) violenza, 2) abuso sessuale, 3) trascuratezza, 4) indisponibilità di un genitore, 5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore”. 10 Del resto, capita sovente che, durante la vita di coppia, uno dei genitori faccia scelte ovvero sia costretto, per motivi lavorativi, a fare scelte che lo portano ad occuparsi dei figli con un impegno (perlomeno quantitativamente) inferiore rispetto all’altro. In tali ipotesi è prassi che il medesimo modello – sia pur con diverse modalità attuative – si riproduca dopo la crisi della famiglia. 11 Paradigmatica appare Trib. Firenze 2 novembre 2018, n. 2945, in www. quotidianogiuridico.it, con nota di A. Scalera, Il Tribunale di Firenze anticipa il Ddl Pillon? La richiamata pronuncia, valorizzando la volontà espressa dal minore durante l’ascolto disposto dal Giudice istruttore, declina il regime condiviso della responsabilità genitoriale in termini di domiciliazione del minore a settimane alterne 794 The best interest of the child La soluzione da ultimo richiamata, tuttavia, non può assurgere a regola generale. La stessa Cassazione in una recente ordinanza ha avuto modo di chiarire che il “principio di bigenitorialità” si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in misura significativa nella vita del figlio, ma ciò non comporta necessariamente l’applicazione di una proporzione matematica in termini di tempi paritari di frequentazione del minore: l’esercizio del diritto, infatti, deve essere armonizzato con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore12. In buona sostanza, il giudice nel ripartire i tempi di permanenza del bambino con ciascuno dei genitori dovrà valutare, caso per caso, le singole realtà familiari senza stabilire a priori tempi uguali di permanenza del minore con ognuno dei genitori. Del resto, il fenomeno del “nomadismo del minore”, non garantendo un riferimento stabile legato al luogo degli affetti, potrebbe riverberarsi negativamente riverberarsi13. Non è pensabile che il “colpresso il padre e presso la madre. La decisione adottata dal Tribunale fiorentino trova ampia giustificazione nella particolarità della fattispecie concreta. Nel caso in esame, infatti, il minore ormai quindicenne – così come emerso in sede di ascolto – ha mostrato di non soffrire la distanza tra la scuola, sita in Firenze, vicino alla casa materna, e l’abitazione del padre, sita in un paesino della provincia (significativa, inoltre, risultava la disponibilità del padre ad accompagnare e riprendere il figlio dagli amici fiorentini). Un simile assetto, viceversa, in altri casi, può rivelarsi pregiudizievole per il minore: emblematica, al riguardo, risulta Trib. Civitavecchia 9 aprile 2018, in www.ilcaso.it, ove il giudice – in sede di modifica delle condizioni di separazione e permanenza del figlio minore presso ciascun genitore – a seguito del trasferimento della madre in un comune diverso da quello in cui si trovava la casa coniugale, ha riscontrato l’inidoneità del collocamento a settimane alterne a causa dei tempi troppo lunghi di spostamento per frequentare la scuola e rendere difficoltosa la pratica dello sport che, se gradita, deve essere incentivata, in quanto produce effetti positivi sullo stato di salute e dell’interazione sociale con i coetanei. Altra peculiare declinazione del regime condiviso della responsabilità genitoriale si coglie in Trib. Matera 29 novembre 2018 che, in sede di separazione consensuale, ha omologato – ritenendolo congruo all’interesse del minore – l’accordo dei genitori con cui si conviene che “il figlio continuerà a vivere nella casa coniugale mentre i genitori, a turno e per una settimana ciascuno si prenderanno cura di lui trasferendosi nella casa coniugale” e che “nei periodi di rispettiva permanenza, i genitori provvederanno personalmente al mantenimento del figlio, fermo restando che le spese straordinarie saranno suddivise tra entrambi i genitori nella misura del 50%”. 12 Cfr. Cass., ord., 10 dicembre 2018, n. 31902, in www.rivistafamilia.it, con nota di L. Vizzoni, Affidamento condiviso di figli minori e bigenitorialità. Nella medesima direzione si muovono: Cass. 8 aprile 2016, n. 6919, in www.rivistafamilia.it, con nota di M. Carai, Affidamento condiviso del figlio minore e bigenitorialità; Cass. 23 settembre 2015, n. 18817 in www.aiaf-avvocati.it. 13 Una simile situazione, peraltro, si pone in palese contrasto con i principi che ispirano la “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori” varata nel settembre del 2018 dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 795 locamento paritetico” trasformi i figli – come sottolineato da attenta dottrina – “in persone in costante movimento con una agenda che li vede spostarsi continuamente fra le case dei genitori, la scuola, i luoghi delle attività parascolastiche”14. La vera essenza dell’affidamento condiviso, pertanto, non si coglie nei tempi paritari di permanenza bensì nel pieno coinvolgimento di entrambi i genitori nella determinazione delle linee guida del progetto educativo riguardante il minore, nell’assunzione delle decisioni fondamentali per la sua vita, nel riconoscimento di tempi di frequentazione tali da consentire loro di essere realmente presenti nella vita del figlio. Ciò che realmente rileva – come già sottolineato – è la “significatività” della frequentazione. Mentre l’interesse del figlio si realizza, in maniera ottimale, individuando un genitore presso il quale egli dimorerà stabilmente15. Muovendosi in questa direzione la giurisprudenza ha correttamente affermato che l’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di un affidamento condiviso, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore. Peraltro, non si può escludere che quando le residenze dei genitori sono lontane ovvero uno dei genitori, per ragioni lavorative, è costretto a trascorrere molto tempo in un altro paese, la moderna tecnologia può venire in aiuto: in tali casi, infatti, sia pur provvisoriamente, i contatti tra genitore e figlio potrebbero avvenire tramite sistemi di video chiamata. A tal riguardo, tuttavia, è importante sottolineare che l’utilizzo giornaliero, ad esempio, di Skype non può giustificare la totale inosservanza da parte del genitore del calendario degli incontri annuali fissati dal giudice con il figlio16. Appare evidente che l’interazione tra 14 Cfr. C. Rimini, Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, cit., p. 69. La richiamata dottrina, tuttavia, rileva criticamente come alcuni tribunali mostrano ancora una prudenza eccessiva nel definire i diritti di frequentazione del genitore non collocatario, generalmente il padre. 15 In questa direzione v. anche T. Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso, cit., p. 591. I minori in tenera età – come emerge anche da molteplici studi di psicologia dell’età evolutiva – hanno bisogno di “stabilità” e di “ritualità”. 16 Cfr. Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, in www.quotidianogiurico, laddove si prevede l’affido esclusivo del figlio al padre atteso che la madre – residente all’ estero – intratteneva contatti con il figlio esclusivamente via Skype (nel caso specifico la madre nel corso di un anno non aveva mai fatto ritorno in Italia). 796 The best interest of the child genitori e figli non può essere esclusivamente “virtuale”17. Al riguardo, non è dato dubitare che una crescita sana del figlio minore di età deve necessariamente passare da costanti momenti di “reale” condivisione e confronto. 3. Genitori conflittuali e misure di sostegno alla genitorialità. La mediazione familiare e la coordinazione genitoriale Come già evidenziato, occorre ricordare che il primo elemento caratterizzante dell’affidamento condiviso è l’esercizio in comune della responsabilità genitoriale. A tal proposito, occorre mettere in rilievo l’importanza che assume la “capacità collaborativa” dei genitori nell’interesse dei figli. In quest’ottica, infatti, la conflittualità tra i genitori dovrebbe cedere il passo ad un profondo senso di responsabilità: fondamentale appare l’esigenza di tenere un atteggiamento maturo, conciliante ed equilibrato laddove i genitori sono chiamati ad adottare delle decisioni nell’interesse dei figli. Del resto, i diritti garantiti al minore dall’art 337 ter, comma 1°, c.c. risultano “tanto più effettivi quanto maggiore sia la capacità dei genitori di cooperare tra loro riducendo al minimo la conflittualità”. Invero, sempre più spesso, ci si trova davanti a genitori incapaci di assumere, di comune accordo, decisioni nell’interesse dei figli. Ne consegue il ricorso – ex art. 709 ter c.p.c. – all’autorità giudiziaria non solo per le determinazioni relative a questioni di primario interesse per la prole, ma anche, per questioni di microconflittualità inerenti la mera quotidianità dei figli. In quest’ottica, il già richiamato d.d.l. S/735 – nel quadro di una progressiva opera di “de-giurisdizionalizzazione” delle controversie – rintraccia nella mediazione familiare obbligatoria l’istituto idoneo a tutelare l’interesse dei figli nella gestione (rectius nella risoluzione) del conflitto fra i coniugi18. Conseguentemente, fatti salvi i casi in cui venga avanzata istanza consensuale di risoluzione della crisi, i coniugi 17 I contatti giornalieri via Skype non possono surrogare la prolungata ed ininterrotta assenza del genitore che, pertanto, non potrà assolvere compiutamente ai suoi doveri educativi ed affettivi. 18 Il dato pone non pochi problemi. In primo luogo, la previsione a carico dei coniugi che intendono separarsi e divorziare di nuovi ed ulteriori costi che, in talune circostanze, potrebbero indurre una delle parti a rinunciare alla proposizione dell’azione ovvero a costituirsi nel procedimento. Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 797 che intendono separarsi o divorziare devono intraprendere, a pena di improcedibilità, un percorso di mediazione familiare. Tale iter appare funzionalizzato, non solo, al raggiungimento di un accordo, ma anche, alla messa a punto del c.d. “piano genitoriale”. Quest’ultimo – in base a quanto previsto dall’art. 11 del d.d.l. S/735, nel più generale quadro di riscrittura dell’art. 337 ter c.c. – deve comprendere i futuri assetti relativi al mantenimento, all’istruzione e all’educazione del figlio19. La mediazione familiare, invero, non può essere obbligatoria20. Per poter funzionare deve essere volontaria. L’autodeterminazione, infatti, come meglio vedremo, è la pre-condizione per la riuscita di qualsiasi intervento di sostegno alla genitorialità. Può essere ragionevole che il giudice inviti le parti ad intraprendere un percorso di mediazione familiare, senza che ciò costituisca un obbligo. Ciò detto, va altresì sottolineato che – sempre alla luce di quanto previsto dal d.d.l. S/735 – in caso di conflitto sulla modifica del “piano genitoriale” in precedenza concordato il giudice può nominare un “coordinatore genitoriale”21. Quest’ultimo, inoltre, come meglio vedremo, 19 In base a quanto previsto dall’art. 7 del d.d.l. S/735, il nuovo testo dell’art. 706 c.p.c. sancisce che il piano genitoriale sia approntato dai genitori, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e l’aiuto dei loro legali, già nel corso del procedimento di separazione giudiziale e sottoposto all’omologazione del giudice. Quest’ultimo può negare l’omologazione qualora il piano genitoriale non sia in linea con l’interesse del minore (cfr. art. 11 d.d.l. S/735, ed in particolare, la previsione contenuta nel nuovo art. 337 ter, comma 8°, c.c.). In assenza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice sentite le parti, “recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce comunque il piano genitoriale, determinando i tempi e le modalità di della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, […] indicando le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa”. 20 Occorre in questa sede ricordare che la mediazione familiare non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui, alla base della crisi della coppia vi siano state ipotesi di violenza intrafamiliare. Una diversa soluzione sarebbe in chiaro contrasto con la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. 21 L’art. 5 del d.d.l. S/735 istituzionalizza la “coordinazione genitoriale” quale “processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore e volto a ricercare l’accordo tra i genitori fornendo loro suggerimenti o raccomandazioni e assumendo – previo consenso dei genitori – anche funzioni decisionali” (art. 5, comma 1°). Il disegno di legge, inoltre, precisa che il coordinatore genitoriale – esperto qualificato con funzione mediativa – ha il compito “di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale” (art. 5, comma 3°). In base a tale previsione l’attività del coordinatore genitoriale è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della bigenitorialità con l’obiettivo di: assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attuazione del piano genitoriale; monitorare l’osservanza del piano genitoriale, 798 The best interest of the child potrà intervenire anche nel caso in cui sorgano questioni in ordine all’attuazione del piano genitoriale22. Invero la previsione di tale figura – oltre a comportare un ulteriore costo a carico delle parti – pone, come meglio vedremo, non pochi problemi. Al riguardo, può essere utile ricordare che – ben prima del d.d.l. S/735 – la nostra giurisprudenza ha evocato la figura mutuata dagli ordinamenti di Common law del coordinatore genitoriale23. Quest’ultimo (normalmente uno psicologo o un mediatore familiare) comincia ad operare dopo la fine del processo, dietro invito del giudice, accettato dalle parti, al fine di assicurare (rectius agevolare) la corretta attuazione del piano genitoriale24. In particolare, la giurisprudenza – sulla scia del “parent coordinator” statunitense – ha ravvisato nel coordinatore genitoriale un valido strumento di sostegno ai genitori nella gestione dei conflitti che dovessero insorgere nell’esercizio della responsabilità genitoriale in regime di affidamento condiviso della prole. In questa prospettiva, si comprende la peculiare valenza dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 29 luglio 2016 che, pur in presenza di una coppia altamente conflittuale, atteso il consenso delle parti a risolvendo tempestivamente le controversie; preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori. 22 Cfr. art. 13 d.d.l. S/735. Molto critico sulla previsione di un “piano genitoriale” appare C. Rimini, Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, cit., p. 69. L’A., in particolare, nel sottolineare l’inutilità di tale strumento, evidenzia come il processo civile non sia un tavolo di mediazione. Nel processo civile, si osserva, le parti formulano domande e le argomentano: non espongono piani. Peraltro, a mio avviso, lo strumento del “piano genitoriale” mal si presta ad incasellare in maniera rigida i bisogni e le esigenze di un bambino nel delicato e complesso percorso di crescita. 23 Sulla figura del “coordinatore genitoriale” utili spunti di riflessione si rinvengono in A. La Spina, La coordinazione genitoriale quale tecnica di gestione del conflitto genitoriale, in Nuova Giur. civ. comm., 2018, p. 794 ss., ove si rammenta che la coordinazione genitoriale è strumento molto utilizzato dalle Corti statunitensi per ridurre le richieste di giudizio da parte di genitori separati soprattutto nella gestione quotidiana dei figli. Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo di gestione e risoluzione del conflitto della coppia genitoriale inerente l’attuazione del piano genitoriale concordato dai genitori ovvero dal giudice in sede di scioglimento del rapporto di coppia, operato fuori dal giudizio con l’ausilio di un esperto, nominato dal giudice onde evitare successive istanze all’autorità giudiziaria. 24 Il coordinatore genitoriale – il cui compito è essenzialmente quello di ridurre il conflitto tra i genitori attraverso un sostegno qualificato – può trovare il suo fondamento normativo nell’art. 337 ter, comma 2°, c.c. nella parte in cui attribuisce al giudice il potere di adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole” nonché nell’art. 333 c.c. ove si prevede la possibilità di assumere provvedimenti atipici nei confronti dei genitori. Sul punto v. A. La Spina, op. ultima cit., p. 755. Sul punto v. anche A. Gorgoni, Filiazione e responsabilità genitoriale, Padova, 2017, p. 194. Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 799 farsi supportare da un coordinatore genitoriale, ha ritenuto possibile disporre un affidamento condiviso sulla base di un giudizio prognostico positivo fondato sulle buone capacità genitoriali della coppia25. Al riguardo, appare utile sottolineare che il Tribunale di Milano ha assegnato al coordinatore genitoriale un ruolo di mero “sostegno” alla genitorialità26. Nessun potere decisorio – contrariamente al modello statunitense e, almeno in parte, a quanto previsto oggi dall’art. 13 del d.d.l. S/735 – viene, a mio avviso opportunamente, attribuito al professionista27. Quest’ultimo è chiamato solo a vigilare sull’attuazione da parte dei genitori degli interventi disposti dal giudice, nonché a condurre la coppia genitoriale ad una proficua gestione della “bigenitorialità” – magari dando utili consigli in ordine alle determinazioni della vita quotidiana – ma senza mai potersi sostituire ai genitori nell’assunzione delle decisioni. Diversamente, in una successiva ordinanza del Tribunale di Mantova del 5 maggio 2017 si ricorre al coordinatore genitoriale con modalità fortemente limitative dell’autonomia privata. Il giudice, infatti, nel provvedimento conclusivo del procedimento – senza aver acquisito il preventivo consenso delle parti – nomina un coordinatore genitoriale attribuendogli il potere di assumere “le opportune decisioni nell’interesse dei figli in caso di disaccordo dei genitori”28. 25 Cfr. Trib. Milano, ord., 29 luglio 2016, in www.ilcaso.it. In base alla richiamata ordinanza il coordinatore genitoriale deve: verificare che gli interventi disposti a carico dei genitori (i.e. percorsi terapeutici) siano concretamente attuati; svolgere la funzione di raccordo tra tutti gli operatori che interverranno a sostegno del nucleo familiare, compresi gli insegnanti ed il medico di famiglia; salvaguardare e preservare la relazione tra i genitori, anche attraverso interventi correttivi; coadiuvare i genitori nelle scelte relative alla salute, all’educazione ed all’istruzione dei figli; guidare i genitori ad accordarsi sul tempo da trascorrere ciascuno col proprio figlio; segnalare all’autorità giudiziaria ogni disagio psicosomatico che i figli dovessero mostrare. 26 Nell’ordinanza del tribunale meneghino il coordinatore genitoriale interviene a seguito di espresso consenso scritto delle parti e assolve ad una funzione extraprocessuale e non già di ausilio all’autorità giudiziaria. Sul punto sia consentito rinviare F. Romeo, Genitori e figli nel quadro del pluralismo familiare, Napoli, 2018, p. 140 s. 27 La figura del coordinatore genitoriale così come tratteggiata dall’ordinanza in esame, si differenzia – nonostante i continui richiami – dal “parent coordinator” statunitense. La scelta di non attribuire nessun potere decisorio al coordinatore genitoriale, priva la figura della sua caratteristica peculiare e, cioè, di quell’attributo che – come sottolineato in dottrina – “consente al meccanismo di assolvere la funzione propria dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie” (cfr. A. La Spina, op. ultima cit., p. 751). 28 Venendo meno la formalizzazione dell’incarico, le parti non potranno incidere sul contenuto dello stesso; viceversa, saranno obbligate – in linea con quanto previsto dal d.d.l. S/735 – al pagamento dei compensi a favore del coordinatore genitoriale. 800 The best interest of the child Rispetto al provvedimento da ultimo richiamato, colpisce – e per certi versi preoccupa – la pervasività dell’intervento del coordinatore genitoriale. Quest’ultimo, infatti, sia pur attraverso una nomina giudiziale, viene investito di ampi poteri decisori in ordine alle scelte da compiere nell’interesse del minore in caso di incapacità dei genitori di trovare un accordo. Non pochi dubbi, inoltre, pone una più recente pronuncia del Tribunale di Roma del 4 maggio 2018 laddove il coordinatore genitoriale, in funzione di ausiliario del CTU, fornisce supporto alla famiglia per cercare di riorganizzare le relazioni triadiche “padre-madre-figlia” al fine di addivenire all’affidamento condiviso29. Nella prospettiva ricostruttiva dei giudici capitolini l’autorizzazione alla nomina del coordinatore si innerva nel quadro degli interventi finalizzati a superare le cause di “disfunzionalità genitoriale” attraverso provvedimenti non “stereotipati” ed attenti alle esigenze del caso concreto. Invero, per quanto possa risultare apprezzabile il tentativo di fornire soluzioni e interventi finalizzati al corretto mantenimento delle relazioni familiari, il provvedimento in questione presta il fianco ad alcune critiche. In linea di principio, non persuade l’idea di un “consulente del consulente” chiamato a fornire al CTU – attraverso lo svolgimento della propria azione a stretto contatto (anche domiciliare) con la coppia genitoriale – elementi utili a compiere le sue valutazioni. Non convince, più in generale, l’idea di una “medicalizzazione delle relazioni familiari”. Per quanto forte possa apparire l’esigenza di gestire il conflitto tra i genitori, per quanto sentita possa risultare la necessità di mettere al riparo i figli minori di età dalle continue liti dei genitori non si può disconoscere che le funzioni attribuite al coordinatore genitoriale dalla giurisprudenza e dal d.d.l. S/735 appaiono connotate da significativa Cfr. Trib. Mantova 5 maggio 2017, in Familia, 2018, p. 355, con nota di F. Novello, Il coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano? 29 Cfr. Trib. Roma 4 maggio 2018, in www.quotidianogiuridico.it. Il tribunale capitolino, in particolare, nell’ambito di un procedimento di separazione, ha ritenuto ammissibile l’istanza presentata dal C.T.U. di avvalersi di un ausiliario con funzioni di “pedagogista/educatore di prossimità”, per attuare un intervento di coordinazione genitoriale attraverso un’azione di supporto alla famiglia, nel tentativo di avviare un processo di riorganizzazione delle relazioni triadiche “padre-madre-figlia”. Compito del “pedagogista/educatore”, sarebbe quello di svolgere la propria azione a diretto contatto con la coppia genitoriale rilevando le criticità legate ai momenti più conflittuali, suggerendo e attuando, ove possibile, modificazioni relazionali tra i genitori ed educative nei confronti della figlia, riferendo poi al C.T.U. ogni elemento utile di valutazione. Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 801 disomogeneità. Ad ulteriore conferma di ciò basti pensare che, in alcuni casi, la coordinazione genitoriale viene attuata – in linea di continuità con la nostra tradizione – attraverso la nomina di un assistente sociale in servizio presso una ASP: si ricorre, pertanto, ad un soggetto pubblico che interviene, con la funzione di guidare i genitori nell’attuazione del piano dagli stessi elaborato30. Viceversa, in base al d.d.l. S/735 il coordinatore genitoriale sarà sempre un soggetto privato pagato dalla coppia. Anche alla luce di quanto evidenziato, peraltro, la separazione e il divorzio sembrano trasformarsi in istituti per coppie benestanti. Basti pensare che il d.d.l. S/735 pone a carico della coppia una serie di “costi fissi” (i.e. costi per la mediazione familiare; costi per la coordinazione familiare) che, in taluni casi, potrebbero incidere significativamente sulla decisione stessa di separarsi o di divorziare. 4. Esigenze di “sdrammatizzazione” della crisi familiare: quali prospettive? Avviandomi alla conclusione, occorre operare una prima riflessione di carattere generale. Oggi più che in passato, ritengo fondamentale intraprendere un percorso finalizzato alla “normalizzazione” e alla “sdrammatizzazione” della “crisi familiare”. La separazione, il divorzio la rottura di un rapporto di convivenza (di fatto o normativizzata) dovrebbero essere percepiti e vissuti come evoluzione possibile (ancorché dolorosa) della vita di due persone31. Indubbiamente, la richiamata esigenza di “sdrammatizzazione” si scontra con non pochi ostacoli. Paradigmatiche conferme emergono, ad esempio, dal richiamato d.d.l. S/735. Il provvedimento – rischiando di esacerbare il conflitto – travalica continuamente il principio di autodeterminazione dei coniugi incidendo negativamente sul percorso di 30 Cfr. Trib. Civitavecchia 20 maggio 2015, in Foro it., 2016, I, p. 1655. 31 Non si può ignorare che i provvedimenti e le procedure scaturenti dalla crisi della coppia genitoriale si riflettono ed incidono marcatamente sulla vita degli individui condizionandone le future scelte esistenziali. Analoga esigenza di “sdrammatizzazione” si coglie con riferimento alla delicata e controversa materia dell’assegno divorzile. A tal riguardo, autorevole dottrina ha ben sottolineato la necessità di “superare un orientamento giurisprudenziale insensibile all’evoluzione del rapporto matrimoniale, alla sdrammatizzazione del divorzio, alla successiva instaurazione di nuovi rapporti familiari” (cfr. S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? Nota a Cass. S.U., 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, p. 474 ss.). 802 The best interest of the child “normalizzazione” della separazione. Peraltro, il provvedimento – e la circostanza, come già sottolineato, non appare irrilevante – tende ad allungare i “tempi della crisi”, ad imporre nuovi costi a carico delle parti, dando vita ad una “genitorialità burocratizzata” gestita da figure di esperti (i.e. mediatore familiare e coordinatore genitoriale) che si insinuano pervasivamente nella vita delle persone32. Inoltre, in linea con quella che appare una tendenza assai diffusa in questa fase evolutiva del diritto di famiglia, anche il d.d.l. S/735 mette a punto alcuni percorsi di sostegno alla genitorialità latu sensu terapeutici che lasciano molto perplessi. Il problema si pone tutte quelle volte che il giudice, guardando alla “coordinazione genitoriale” quale strumento di supporto nella gestione extraprocessuale dei conflitti tra genitori “co-affidatari”, provveda alla nomina di un professionista privato e la scelta ricada (cosi come previsto anche dall’art. 5 del d.d.l. S/735) su uno psichiatra, su un neuropsichiatra o su uno psicoterapeuta. Invero, occorre tenere presente che anche a fronte di una conclamata immaturità dei genitori e di una grave ed intrinseca incapacità di dialogo nell’interesse del figlio, il giudice non può ritenersi legittimato ad imporre percorsi terapeutici individuali di sostegno alla genitorialità. A tal riguardo, appare corretta la strada imboccata, anche recentemente, dalla giurisprudenza: l’imposizione di un percorso di sostegno alla genitorialità integrerebbe, infatti, una lesione del diritto alla libertà personale garantito dall’art. 13 cost. e dalla disposizione che pone una riserva di legge per l’imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, comma 2°, cost.). Ben si comprende, pertanto, come l’interesse preminente del figlio non possa travalicare l’argine dell’art. 13 Cost.; conseguentemente, il rifiuto dei genitori di sottoporsi a percorsi psicoterapeutici per superare le loro problematiche comportamentali non può incidere sull’esercizio della responsabilità genitoriale33. 32 Inoltre occorre rilevare come queste misure di sostegno alla genitorialità a favore delle sole coppie abbienti. A nulla, infatti, vale osservare che le coppie meno abbienti possono fare ricorso agli assistenti sociali in funzione di coordinatore genitoriale, perché il ruolo dei servizi alla persona è altro. Inevitabile quindi, in violazione dell’art. 3 Cost., la creazione di una sorta di “doppio binario”: professionisti specializzati (i.e. coordinatore genitoriale) per le coppie conflittuali benestanti e servizio pubblico per le coppie conflittuali non benestanti. 33 Cfr. Cass. Cass., 1° luglio 2015, n. 13506, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 18 con nota di M. Mantovani, Immaturità, fragilità dei genitori e affidamento dei figli: sul lettino di Freud e di M. Casonato, “Psicoterapie, percorsi, e altra psicologia spicciola cassati dalla prima sezione civile”). Da ultimo, in questa direzione vedi la recentissima Cass., 5 luglio 2019, n. 18222, in www.quotidiano giuridico.it, ove si ribadisce a chiare Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 803 Infine, non si può fare a meno di ricordare che, sempre nell’ottica del “sostegno alla genitorialità”, emergono oggi nuovi strumenti tecnologici finalizzati a favorire il dialogo tra genitori altamente conflittuali e ciò nell’ottica di salvaguardare la bigenitorialità e tutelare il minore. A tal riguardo – proiettandoci così nell’epoca del “divorzio 4.0” – risulta paradigmatica la sentenza del Tribunale di Modena del 28 dicembre 2017 che, per la prima volta in Italia, ha accolto un ricorso congiunto per lo scioglimento del matrimonio con il quale una coppia ha deciso di aderire al c.d. “Progetto Anthea” per gestire al meglio tutti gli aspetti riguardanti la regolamentazione dell’affido condiviso dei figli minori di età. Il progetto – presentato anche in Parlamento alla Commissione bicamerale per l’infanzia – si sostanzia in un’applicazione per smartphone e tablet, che include una piattaforma di comunicazione virtuale sulla quale i genitori, separati o divorziati, possono veicolarsi una molteplicità di informazioni che riguardino la vita e le esigenze dei figli. L’applicazione, inoltre, consente ad una delle parti di creare “mini-eventi” (i.e. partecipazione del bimbo ad un evento ludico-ricreativo) e verificare l’adesione dell’altra. I singoli eventi danno vita ad un database, che consente di valutare l’andamento del rapporto genitoriale con il fine di evitare che un genitore possa sottrarsi al rispetto degli accordi presi con l’altro. Tramite password, è possibile l’accesso ai dati da parte del giudice e degli assistenti sociali che potranno così monitorare la situazione. Attraverso l’applicazione è possibile consultare gli assistenti sociali. Decidendo di aderire al progetto, gli ex coniugi si sono impegnati, ad utilizzare l’applicazione telematica “in modo esclusivo” per ogni comunicazione riguardante le figlie minorenni con la consapevolezza che tutte le comunicazioni scambiate sulla piattaforma potranno essere oggetto di produzione documentale in caso di insorta conflittualità tra i genitori (appare concreto il rischio che una parte possa facilmente precostituirsi delle prove da utilizzare contro l’altra). Fermo restando che l’adesione al progetto non può essere imposta dal giudice, permangono non pochi dubbi sull’idoneità dello strumento informatico ad essere realmente in grado di agevolare il dialogo tra i genitori nell’ambito del conflitto post coniugale. A mio sommesso avviso, concreti appaiono i rischi – soprattutto in una fase lettere che la valutazione circa l’opportunità o meno di intraprendere un precorso terapeutico di sostegno alla genitorialità è rimessa esclusivamente in capo ai genitori e non può essere imposta giudizialmente. 804 The best interest of the child conflittuale – di affidare il dialogo ad una piattaforma informatica: le distanze tra i genitori e tra questi e i figli, infatti, traslando il rapporto in una “dimensione virtuale”, potrebbero aumentare. Anche al fine di porre un freno ai molteplici e pervasivi interventi a “sostegno alla genitorialità”, che – a ben vedere – sconfinano sovente in discutibili forme di “medicalizzazione della famiglia”, sarebbe opportuno ricordare che il perseguimento del c.d. “best interest of the child” passa attraverso un corretto e maturo esercizio della responsabilità genitoriale nonché, come già sottolineato, attraverso un profondo rispetto dei ruoli e una capacità collaborativa. Del resto, occorre sempre ricordare che la disciplina dell’affidamento condiviso – almeno fino ad oggi – non è “adultocentrica”: al centro della disciplina inerente la disgregazione della coppia genitoriale si pone il preminente interesse del figlio. Bibliografia Al Mureden E., Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 966 Auletta T., Art. 337 ter c.c., in Comm. Gabrielli, 2, II ed., Torino, 2018, p. 1008 Auletta T., Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 367 Auletta T., Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso, in Familia, 2018, p. 581 ss. Bianca C.M., La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso: prime riflessioni, in Fam. dir., 2006, p. 676 Carai M., Affidamento condiviso del figlio minore e bigenitorialità, in www.rivistafamilia.it Casonato M., “Psicoterapie, percorsi, e altra psicologia spicciola cassati dalla prima sezione civile” in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 18 De Cristofaro G., Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?, in Familia, 2019, p. 299 ss. Gorgoni A., Filiazione e responsabilità genitoriale, Padova, 2017, p. 194 La Spina A., La coordinazione genitoriale quale tecnica di gestione del conflitto genitoriale, in Nuova Giur. civ. comm., 2018, p. 794 ss. Mantovani M., Immaturità, fragilità dei genitori e affidamento dei figli: sul lettino di Freud, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 18 Marella M.R., Fra pulsioni punitive e rigurgiti proprietari. I molti pasticci del d.d.l. Pillon, in Riv. critica dir. priv., 2019, p. 109 ss. Novello F., Il coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano?, in Familia, 2018, p. 355 Genitori conflittuali e tutela dei figli minori di età 805 Paradiso M., Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 ss. Patti S., Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? Nota a Cass. S.U., 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, p. 474 ss. Patti S., L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. success., 2006, p. 300 ss. Perlingieri G., Interferenze tra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in F. Romeo (cur.), Nuovi modelli familiari e autonomia negoziale, Napoli, 2018, p. 77 ss. Quadri E., Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze: il non facile ruolo che la legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893 ss. Rimini C., Sul disegno di Legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, in Fam. dir., 2019, p. 67 ss. Romeo F., Genitori e figli nel quadro del pluralismo familiare, Napoli, 2018, p. 140 s. Romeo F., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in Comm. Gabrielli, 3, II ed., Torino, 2018, p. 1985 ss. Romeo F., Responsabilità genitoriale, conflitti e prospettive di riforma dell’affidamento condiviso (d.d.l. S/735 del 1° agosto 2019), in Nuove leggi civ. comm., 2019, p. 528 ss. Ruscello F., La tutela dei figli nel nuovo affido condiviso, in Familia, 2006, p. 625 ss. Scalera A., Il Tribunale di Firenze anticipa il Ddl Pillon? in www.quotidianogiuridico.it Sesta M., Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, p. 1792 Stefanelli S., Responsabilità genitoriale e affidamento, in A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Le persone e la famiglia, 4, II ed., Torino, 2018, p. 672 Venuti M.C., La regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze in Italia, in Pol. dir., 2016, p. 95 ss. Vizzoni L., Affidamento condiviso di figli minori e bigenitorialità, in www.rivistafamilia.it Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali Daniela Cremasco Sommario: 1. Una riflessione di contesto. – 2. Elementi distintivi. 1. Una riflessione di contesto La tutela dei minori è e deve restare un intervento di salute pubblica. Sono, infatti, numerose le ricerche che confermano un legame diretto fra esperienze sfavorevoli infantili e l’insorgenza di diversi disturbi più o meno gravi in età adulta1. Una ricerca svolta da Terres des hommes insieme al CISMAI e all’Università Bocconi nel 2014 ha stimato in 13 miliardi di euro la cifra spesa dall’Italia nel 2010 per una mancata prevenzione verso il maltrattamento e l’abuso all’infanzia. Una cifra calcolata tenendo conto, sia dell’impatto sul bilancio pubblico degli interventi di cura e protezione e sia della successiva perdita di produttività2. Sul versante degli interventi previsti dalla nostra normativa per garantire l’interesse di tutti i minori ad una crescita sana ed equilibrata c’è anche l’affidamento civile di minori al servizio sociale. Un provvedimento che affonda la sua origine nel lontano 1956 e attualmente trova il suo fondamento giuridico negli artt. 330 e 333 del Codice Civile3. 1 Sul tema ci si riferisce, in campo internazionale ad autori come Felitti, Herman, Benjamin, in Italia alla ricerca prospettica pubblicata dall’istituto degli Innocenti di Firenze “Vite in Bilico” del 2006 e ad autori come Cirillo, Malacrea, Cancrini). 2 Cfr. la ricerca Università Bocconi – Cismai – Terre Des Hommes, Tagliare sui bambini è davvero un risparmio?” Milano, 2014. 3 Per quanto attiene alla data del 1956, ci si riferisce alla legge n. 888 che aveva riformato il funzionamento del Tribunale per i minorenni e per la prima volta previsto applicazione dell’istituto dell’affidamento di minore anche in ambito civile 808 The best interest of the child 2. Elementi distintivi “(…) gli obiettivi prioritari dell’affidamento al servizio sociale in materia civile sono la salvaguardia dei diritti dei minori e il sostegno e la promozione dell’esercizio delle responsabilità genitoriali. Nei casi di inadeguato esercizio della potestà, di utilizzo patologico dei figli nelle conflittualità di coppia e nelle situazioni di marginalità con scarse prospettive di cambiamento, l’affidamento al servizio sociale si rivela una misura primaria per monitorare e gestire questioni delicate e prolungate nel tempo”4. Il provvedimento di affidamento civile di minori al servizio sociale ha conosciuto nel corso degli anni un’interessante evoluzione, infatti, gli interventi in materia civile, che determinavano la pronuncia di un provvedimento di affidamento al servizio sociale, erano, una volta, prerogativa quasi esclusiva del Tribunale per i Minorenni. Mentre, attualmente, questo provvedimento viene preso sempre più spesso anche da parte del Tribunale Ordinario sez. Civile all’interno dei contenziosi separativi quanto sia presente una patologica conflittualità famigliare. In questo modo il provvedimento ha assunto, per gli operatori dei servizi sociali che poi lo devono applicare al caso concreto ulteriori livelli di complessità. Facendo riferimento ad una ricerca effettuata nel 2014, commissionata dai Garanti Regionali per l’infanzia e l’adolescenza di Emilia Romagna, Lazio e Veneto, sul tema specifico dell’affidamento civile di minori al servizio sociale venivano segnalate le seguenti criticità: - Era applicato a una casistica sempre più eterogenea e complessa. - Veniva utilizzato a volte anche come escamotage per superare difficoltà organizzative dei servizi sociali. Per esempio nel campo dell’integrazione fra sociale e sanitario, a volte per superare delle liste di attesa, in alcuni situazioni per garantirsi la concessione di interventi di sostegno specifici. - Mostrava maggiori criticità nella sua applicazione concreta nei piccoli comuni, specie in quelli in cui non vi era stata una delega delle funzioni sociali e assistenziali attribuite ai comuni direttamente alle ASL (aziende sanitarie locali). - Presentava una difficoltà nell’individuazione dei ruoli e nella distribu- come misura di protezione da una cattiva gestione delle responsabilità genitoriali da parte dei genitori. 4 Cfr. I. Bernardi, L. Castelfranchi, Affidamenti, Roma, 2007, p. 39. Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali 809 zione dei poteri decisionali quando vi erano coinvolte anche famiglie collocatarie, comunità di accoglienza per minori o quando, oltre all’affidamento, l’Autorità Giudiziaria aveva disposto anche una tutela. - Non era limitato ai soli provvedimenti provvisori, ma in alcune circostanze veniva anche utilizzato come provvedimento definitivo. - Nel caso del suo utilizzo come provvedimento definitivo poteva poi presentare dei problemi di cronicizzazione in quanto il provvedimento è reclamabile solo dalle parti e non dal servizio sociale affidatario che ha facoltà di farlo solo in caso di peggioramento della situazione attraverso una segnalazione alla Procura delle Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Sul versante dell’autorità giudiziaria i magistrati evidenziavano che il livello di dettaglio del provvedimento era strettamente connesso non solo alla fase procedurale del processo, ma anche alla qualità delle informazioni che i servizi forniscono al Giudice. Mentre gli operatori evidenziavano che il problema della concreta gestione dell’intervento si amplificava quando l’applicazione dell’istituto dell’affidamento veniva utilizzato all’interno delle conflittualità famigliari, in modo particolare nelle procedure di separazione in quanto l’operatore si trovava spesso costretto fra accuse di inadempienza o di travalicare il mandato5. In linea generale si può affermare che l’affidamento civile di minori al servizio sociale è sempre un intervento molto complesso perché si trova ad essere sospeso fra: “mandato autoritario e responsabilità di cura”6. Per le caratteristiche più sopra evidenziate è un provvedimento che ha un alto rischio di cronicità. Ma, quando l’affidamento è disposto all’interno di conflittualità famigliari, occorre tenere presente che si possono incontrare delle difficoltà aggiuntive. Infatti, si tratta di interventi in cui la fatica che si deve affrontare è amplificata dal fatto che la presenza dell’assistente sociale viene percepita non solo come imposta e intrusiva, ma anche vissuta come una controparte, spesso avvertita come schierata con l’altro/a, a secondo delle decisioni che prende. In una condizione tanto difficile e delicata accade molto spesso che l’operatore si senta incastrato e/o tirato da una parte e dall’altra. È un po’ 5 Cfr. “L’affidamento al servizio sociale. Percezione, diffusione e interpretazione dell’istituto giuridico tra gli operatori delle istituzioni deputate alla protezione, cura e tutela dell’infanzia” ricerca svolta nelle regioni: Emilia Romagna, Lazio e Veneto, 2014. 6 I. Bernardi, L. Castelfranchi, Affidamenti, cit. 810 The best interest of the child come se sperimentasse le stesse emozioni del minore che si trova a tutelare. Tutto questo fa si che l’intervento sia contraddistinto non solo da forti emozioni, ma anche da rapide oscillazioni, in cui la possibilità di collaborazione con i genitori è sempre a rischio e può mutare molto rapidamente e l’effettiva possibilità di instaurare relazioni di fiducia è scarsa. Inoltre, ci si trova di fronte a minori spesso particolarmente chiusi e sofferenti. Per fronteggiare una tale complessità dal lato del/i servizio/i sarebbe importante: - Che vi fosse sempre una finalizzazione dell’intervento, con un progetto di affido possibilmente scritto, comunque chiaro e condiviso in cui sia previsto il coinvolgimento in maniera diretta dei genitori e, quando l’età lo consenta, anche dello stesso minore. - Un progetto di affido dinamico e rinegoziabile, in cui di volta in volta siano definiti obiettivi specifici, tarati sulle difficoltà individuate e su quello che viene ritenuto l’interesse di quel particolare minore in quella fase specifica della sua vita. Un progetto di affido in cui: - siano esplicitati degli indicatori secondo i quali verrà successivamente valutato l’andamento - dell’intervento. - Sia individuata la rete di operatori e servizi di sostegno all’affidamento. Infatti, nei casi di affidamento all’interno di conflittualità patologiche, l’efficacia dell’intervento è maggiore se viene gestito in equipe multidisciplinari. - Sia prevista una supervisione finalizzata al contenimento del senso di impotenza degli operatori spesso molto forte nei casi di conflittualità famigliari e ad evitare da parte del/dei servizio/i affidatario/i degli schieramenti. - Siano previsti dei tempi, almeno indicativi, dentro i quali si ritiene utile contenere il provvedimento che non dovrebbe diventare «sine die» Dal lato dei provvedimenti: - Si dovrebbero evitare provvedimenti troppo ampi. Si ritiene, infatti, che l’affidamento al servizio sociale non dovrebbe mai avere l’ampiezza di un potere tutorio7. - Non si dovrebbe chiudere una procedura con un affidamento al servizio sociale. 7 Su questo tema già Lamberto Sacchetti nel 1987 sottolineava questa delicata linea di demarcazione. Cfr. L. Sacchetti, Il diritto minorile e dei servizi sociali, gli interventi civili, Roma, 1987. Conflittualità familiari e affidamento di minori in servizi sociali 811 - Sarebbe auspicabile individuare delle procedure che nei casi in cui la conflittualità è particolarmente alta che rendano possibile un confronto maggiormente agevole e diretto fra Giudice e servizio sociale affidatario. Sicuramente diverso da quello esistente oggi. Infine, occorre ricordare che ci sono alcuni passaggi propedeutici alla definizione del progetto di affidamento civile di minori al servizio sociale molto delicati, fra questi ricordiamo i seguenti: - Da chi e come viene svolta la valutazione? Tramite CTU? Con disposizione di un’indagine psico/socio ambientale, attraverso una valutazione delle competenze genitoriali? - Quali sono i quesiti formulati dal Giudice? - Da chi e come viene ascoltato il minore? - In che modo si mantiene la connessione fra procedimenti penali e civili, nelle procedure in cui vi siano denunce relative a maltrattamento in famiglia, abusi, violenza assistita? Rispetto al primo punto occorre riflettere sul fatto che il modo, i tempi e le professionalità attraverso le quali viene svolta la valutazione delle competenze genitoriali è di particolare importanza perché incide in maniera molto importante, sia sull’orientamento delle decisioni del Giudice e sia sulla effettiva possibilità di rendere il provvedimento realmente efficace alla protezione del minore dal conflitto genitoriale8. Ovviamente la qualità della valutazione e i livelli di approfondimento sono anche strettamente connessi con il tipo di quesiti che il Giudice ritiene giusto proporre. Occorre ricordare che la modalità con le quali si decide di procedere all’ascolto del minore9 diventano particolarmente importanti quando sia presente una forte conflittualità famigliare perché ci si trova di fronte a minori molto sofferenti, spesso fortemente inibiti e coartati in quanto incastrati in un lacerante conflitto di lealtà10. 8 Solo a scopo esemplificativo si ricorda che le modalità di svolgimento di una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) sono molto differenti da quelle di una valutazione svolta all’interno dei servizi pubblici. Fra le differenze una fra tutte è sicuramente la possibilità per i genitori all’interno della CTU di avvalersi di un consulente di parte CTP. Possibilità che non è invece prevista per le valutazioni svolte nei servizi pubblici. 9 Si ricorda che la giurisprudenza più recente ha rafforzato il diritto del minore all’ascolto diretto in tutte le procedure che lo interessano e questo quindi rende sempre estremamente necessario riflettere sui tempi e sulle modalità con cui questo diritto viene poi effettivamente reso esigibile. 10 Sul tema del conflitto di lealtà e sulla posizione del minore all’interno di conflittualità famigliari patologiche si rimanda, in modo particolare, al testo di L. Cancrini, La cura delle infanzie infelici, Milano, 2012, p. 163-181. 812 The best interest of the child Altrettanto delicato e molto attuale è il tema relativo all’importanza di discriminare fra conflittualità famigliare e violenza assistita, una mancata attenzione a questa distinzione può, infatti, pregiudicare l’intero intervento di protezione e tutela del minore11 A chiusura di questo breve intervento si ricorda che nonostante l’estrema delicatezza del provvedimento di affidamento civile di minore al servizio sociale e le difficoltà di portarlo avanti più sopra evidenziate gli operatori coinvolti nel lavoro sul campo continuano a ritenerlo un provvedimento di grande importanza duttile, utile ed efficace12. Bibliografia Bernardi I – Castelfranchi L., Affidamenti. Mandato autoritario e responsabilità di cura, Roma, 2007 Bianchi D. – Moretti E., Vite in bilico Indagine retrospettiva su maltrattamenti e abusi in età infantile, in Quaderni del Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze ,2006 Cancrini L., La cura delle infanzie infelici, Milano, 2012 Cismai – Terre des Hommes, Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia. Risultati e prospettive a cura del Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, 2015 Dellavalle M. – Long J., La cooperazione fra servizio sociale e giudici in un processo giusto, in Minorigiustizia, 2009 Sacchetti L., Il diritto minorile e dei servizi sociali, gli interventi civili, Roma, 1987 Turci D., Affidamento ai servizi: significato, risorsa criticità, Responsabilità dei servizi e dei genitori nelle scelte decisionali per i minori, in AIAF , 2010/3 Università Bocconi – Cismai – Terre Des Hommes, Tagliare sui bambini è davvero un risparmio?, 2014 11 Sull’argomento si rimanda a quanto evidenziato nel documento del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) del 2018 dal titolo “Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri” e a quanto stabilito nella Convenzione di Istanbul ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 77/2013. 12 Sul tema della posizione degli operatori dei servizi sociali rispetto all’affidamento civile di minori ci si riferisce ai dati forniti dalla già citata ricerca svolta dai garanti per l’infanzia delle regioni Lazio, Emilia Romagna e Veneto del 2014 in cui si evidenzia che, con percentuali un po’ differenti fra le tre Regioni, comunque la valutazione del provvedimento da parte degli operatori sociali deputati ad applicarlo è positiva. L’affidamento, infatti, è ritenuto utile ed efficace in oltre il 70% dei casi. Dati a p. 60. L’interesse del minore alla bigenitorialità Lorenzo Delli Priscoli Sommario: 1. Il rischio che la volontà di attribuire al coniuge debole un assegno costituisca una spinta a riconoscergli il collocamento prevalente del figlio – 2. L’artificiosa distinzione tra “affidamento” e “collocamento”. – 3. La persistente tendenza ad un collocamento prevalente del minore presso la madre. – 4. L’uguglianza tra madre e padre. 1. Il rischio che la volontà di attribuire al coniuge debole un assegno costituisca una spinta a riconoscergli il collocamento prevalente del figlio A seguito della sentenza della Cassazione a sezioni unite 11 luglio 2018, n. 18287, confermata successivamente da varie sentenze a sezioni semplici e il cui insegnamento può dirsi dunque oggi sufficientemente consolidato, l’assegno di divorzio non deve necessariamente rispondere all’esigenza di garantire al coniuge economicamente più debole (che ancora oggi è nella maggior parte dei casi la donna e sarà quindi questa l’ipotesi che, per comodità, sarà oggetto del mio approfondimento) lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sicché, qualora la donna non sia riuscita a dimostrare di aver apportato durante il matrimonio alla famiglia in generale e all’ex marito un significativo contributo e qualora la stessa goda di una indipendenza economica, ben può accadere che, anche in presenza di un assai significativo squilibrio patrimoniale a favore del marito, quest’ultimo non debba essere tenuto a pagare alcun assegno alla moglie1. 1 Cfr., ad esempio, Cass. 30 agosto 2019, n. 21926, la quale dopo aver rilevato che la donna – nel caso di specie – può contare su un cospicuo patrimonio formatosi grazie all’intervento dell’ex marito, che le consente un elevato tenore di vita e che ciò nonostante esiste un rilevante squilibrio economico patrimoniale e reddituale 814 The best interest of the child Tale orientamento giurisprudenziale, associato ad una consolidata tradizione che, pur non godendo di alcuna base normativa né nelle fontra le parti a favore dell’uomo, afferma che l’assegno di divorzio ha non solo una funzione assistenziale ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa. Può, pertanto, ritenersi che, anche alla luce della nuova elaborazione ermeneutica dell’art. 5, comma 6, ad opera delle Sezioni unite del 2018 deve essere riconosciuto il diritto all’assegno divorzile, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati gli altri criteri, ancorché equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari. Secondo la Cassazione risulta essenziale procedere all’accertamento delle cause della sopravvenuta situazione di disparità economico patrimoniale tra le parti al fine di verificare se possano e debbano operare i criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio fondati sugli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, ed in particolare quelli che ne evidenziano la funzione perequativa e compensativa. Pur non essendo in discussione che la ricorrente abbia assunto un ruolo prevalente se non esclusivo nella conduzione della vita familiare, in particolare esplicata nella funzione educativa oltre che di cura ed assistenza dei figli, e che questo sia stato il frutto della comune volontà dei coniugi di differenziazione dei ruoli all’interno del nucleo familiare, deve escludersi l’inferenza causale prevalente o decisiva di questa comune determinazione sulla condizione economico patrimoniale della donna con la conseguenza che l’oggettivo squilibrio fotografato dal quadro comparativo delle due situazioni non discende dall’impostazione della vita coniugale e familiare, godendo l’uomo di una condizione di enorme ricchezza personale acquisita ben prima del matrimonio e non influenzata dalla conduzione della vita familiare. Le varie acquisizioni economico patrimoniali pervenute alla donna durante il matrimonio hanno – secondo la Cassazione – compensato anche il sacrificio delle aspettative professionali della donna. Una situazione per certi versi specularmente opposta è stata affrontata da Cass. 18 settembre 2019, n. 23283, in cui è stato riconosciuto un cospicuo assegno di mantenimento a favore della moglie, una volta preso atto delle capacità patrimoniali, economiche e imprenditoriali dell’uomo. A differenza del caso descritto in precedenza però la donna aveva raggiunto gli 80 anni di età e aveva sacrificato la propria vita sull’altare del matrimonio (durato oltre cinquant’anni), dedicandosi esclusivamente alla casa e alla famiglia; analogamente si è espressa Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882, secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima parte della norma, i quali costituiscono, in posizione equiordinata, i parametri cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione della Corte di merito che, attenendosi ai criteri di cui sopra, ha considerato, nella determinazione dell’assegno, sia il presupposto assistenziale derivante dalla mancanza di attività lavorativa della moglie, sia quello perequativo, valutandone l’apporto al ménage familiare riconnesso alla cura del figlio autistico). L’interesse del minore alla bigenitorialità 815 ti nazionali né in quelle sovrannazionali, tende a privilegiare la donna nell’affidamento dei figli, rischia di far sì che il giudice, nell’intento di tutelare la donna, non potendo in molti casi in virtù della sovra ricordata giurisprudenza riconoscerle un assegno di mantenimento, ritenga di “collocare in via prevalente” il figlio o i figli minori presso di lei per poter da un lato assegnare alla donna la casa coniugale2 (quand’anche di proprietà esclusiva dell’ex marito) e dall’altro disporre il versamento a carico dell’uomo di un assegno a favore della donna per il mantenimento dei figli sovradimensionato rispetto alle reali necessità di quest’ultimi, con il duplice micidiale effetto da una parte di eludere nella sostanza il ricordato indirizzo giurisprudenziale relativo all’assegno di divorzio e dall’altra – e soprattutto – di limitare notevolmente il diritto del figlio o dei figli ad avere un forte e continuativo rapporto con il padre nonché il corrispondente diritto-dovere del padre ad avere un forte e continuativo rapporto con il figlio o i figli. In effetti, il tema dell’affidamento e del collocamento dei figli nel divorzio è scarsamente approfondito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie di legittimità. Eppure da un lato le decisioni giurisprudenziali di merito sono estremamente frequenti e dall’altro vengono in rilievo rilevantissimi interessi e diritti fondamentali sia dei minori che dei genitori. Secondo l’art. 337-ter cod. civ. (Provvedimenti riguardo ai figli), “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”3. Si tratta del c.d. principio di 2 Cfr. Cass. 17 giugno 2019, n. 16134, secondo cui la nozione di convivenza rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare ex art. 337-sexies c.c. comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione, quindi, dell’ipotesi di rarità dei ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso, invece, un rapporto di mera ospitalità; deve pertanto sussistere un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché vi faccia ritorno appena possibile e l’effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese). (Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto di revoca dell’assegnazione della casa coniugale basato sull’accertato rientro della figlia, iscritta all’università in altra città, nell’abitazione del genitore divorziato solo per pochi giorni durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive). 3 Art. 317-bis cod. civ. (Rapporti con gli ascendenti). Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è 816 The best interest of the child bigenitorialità, che a sua volta costituisce, nella prospettiva dei genitori ad avere con sé più tempo possibile i figli, espressione del principio indicato dall’art. 30 Cost., secondo cui “è dovere4 e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio5” nonché del più generale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., secondo cui “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso…”. L’essere uomo o donna dunque, secondo la Costituzione e le norme aventi rango di legge ordinaria, non rileva ai fini dell’affidamento dei figli. È importante altresì osservare che il secondo comma dell’art. 30 Cost. cit., nello stabilire che “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”, sembra limitare la separazione dei genitori dai figli (id est il collocamento esclusivo dei figli presso uno solo dei genitori) alle sole ipotesi di reale inidoneità dei genitori6, non anche, come invece pure spesso accade, per ragioni economiche o logistiche superabili. impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. 4 Cfr. Cass. 8 aprile 2016, n. 6919, la quale afferma esplicitamente il diritto del figlio alla bigenitorialità; assai apprezzabile in chiave di responsabilizzazione dei genitori è Trib. Milano, sez. IX, 11 marzo 2016, in Redazione Giuffrè 2016, decisione che ha statuito che la regola dell’affidamento condiviso non è negoziabile ed è inammissibile una rinuncia all’affido bigenitoriale da parte di uno dei partners poiché trattasi di un diritto del fanciullo. 5 La giurisprudenza costituzionale ritrova in questa norma, che richiama i genitori alle loro responsabilità nei confronti dei figli senza distinguere in base al vincolo coniugale eventualmente sorto tra loro, l’”essenza del rapporto di filiazione” (Corte cost. 394 del 2005; 332 del 2000). 6 Cfr. Trib. Roma, sez. I, 17 marzo 2017, in Il familiarista, 23 luglio 2018, secondo cui le ipotesi di affidamento esclusivo sono individuabili ogni qualvolta l’interesse del minore possa essere pregiudicato da un affidamento condiviso. Ciò può avvenire, ad esempio, quando, come nel caso di specie, un genitore eserciti in modo discontinuo e sporadico il suo diritto di visita e non manifesti interesse alla vita del minore, alle sue condizioni di salute e ai suoi impegni, in quanto tali comportamenti indicano la sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta; Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, secondo cui la regola dell’affidamento condiviso dei figli è derogabile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, il che si verifica nell’ipotesi in cui il genitore non collocatario si sia reso totalmente inadempiente al diritto di visita perché residente all’estero, essendo tale comportamento indicativo dell’inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente. Non sono purtroppo infrequenti ipotesi in cui i genitori non manifestino interesse nell’avere con sé i figli: cfr. Trib. Teramo, 25 gennaio 2017, n. 45, Dejure Giuffré 2017, secondo cui, constatata la profonda incompatibilità dei rispettivi caratteri dei coniugi i quali hanno manifestato profondo e reciproco disinteresse costituendosi L’interesse del minore alla bigenitorialità 817 Continua poi il citato art. 337-ter cod. civ. affermando che “per realizzare tale finalità (ossia quella di assicurare al figlio la bigenitorialità), nei procedimenti di separazione e divorzio, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con “esclusivo” riferimento all’interesse morale e materiale dei figli7”. L’espressione “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” del figlio riprende l’espressione “the best interest of the child” di cui all’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini siglata a New York il 20 novembre 19898. La citata Convenzione è stata ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo) il cui art. 3 afferma, in un pessimo italiano, che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere (sic!) una considerazione preminente”. Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guinuovi centri d’affetti e di interessi, fissato l’affido condiviso a entrambi i coniugi, per quanto attiene al collocamento della figlia minore, non potendo avvenire presso i genitori, la medesima ha manifestato la volontà di vivere con la nonna, fissandosi il riconoscimento di un doveroso contributo economico alla nonna per il mantenimento, che entrambi i genitori concordano nel concedere. Pur partendosi dal medesimo presupposto di fatto del disinteresse del genitore nei confronti del minore, ha stabilito Trib. Crotone, sez. I, 17 maggio 2016, in Il familiarista 2016, 5 luglio 2017 che la scarsità dei rapporti tra il genitore ed i figli, in assenza di indici di incapacità o pericolosità dello stesso, costituiscono elementi tali da corroborare la necessità dell’affido condiviso, in funzione di stimolo della figura genitoriale meno attiva, essendo interesse della prole il consentire rapporti continuativi ed equilibrati con ciascun genitore, nel rispetto del modello bigenitoriale. 7 Cfr. Cass. 24 maggio 2018, n. 12954, secondo cui, in tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti – quali, nella specie, il divieto di condurre il minore agli incontri della confessione religiosa abbracciata dal genitore dopo la fine della convivenza – contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo. 8 Secondo l’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini siglata a New York il 20 novembre 1989 infatti “in all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration”. Assessing the best interests of a child means to evaluate and balance “all the elements necessary to make a decision in a specific situation for a specific individual child or group of children”. 818 The best interest of the child da del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri. Inoltre, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il quale “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”9. D’altra parte, pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia del best interest of the child è stata riportata, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della CEDU10. Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha riconosciuto l’immanenza dell’interesse del minore, specie nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo status filiationis11. Si ritiene che l’espressione “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli di cui all’art. 337-ter cod. civ. nonché l’interesse “superiore” e “preminente” di cui alla legge di ratifica rappresenti una traduzione che, nell’intento di enfatizzare e valorizzare l’importanza di tenere nella giusta considerazione l’interesse dei figli, attribuisca un significato infedele al “the best interest of the child” della Convenzione sui diritti dei bambini di New York. Infatti, il “miglior” interesse dei bambini (questa a mio giudizio sarebbe stata la traduzione più corretta oltre che più fedele ad una traduzione letterale) passa necessariamente dal benessere dei genitori e in genere da un assetto complessivo che ragionevolmente soddisfi tutti gli interessi in gioco e che non lasci nessun 9 Va altresì rammentato che, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria. 10 In un caso di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto del migliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011). 11 Corte cost. n. 272 del 2017; n. 7 del 2012; n. 322 del 2011. Sul dovere del giudice di valutare the best interest of the child cfr. anche Corte cost. n. 93 del 2018. L’interesse del minore alla bigenitorialità 819 genitore con un rancore inespresso o un astio soffocato, perché questi si riverserebbero inevitabilmente sul bambino; in altre parole non può predicarsi il bene assoluto di un figlio prescindendo completamente da quello di entrambi genitori. In effetti, pur non potendosi negare il dovere del Giudice di tenere in alta considerazione l’interesse del minore (sia perché lo prevede la Costituzione – l’art. 31, comma 2, Cost. stabilisce che la Repubblica… “protegge l’infanzia e la gioventù…” e l’art. 37, comma 1, parte seconda prevede che “le condizioni di lavoro devono consentire [alla madre]… di assicurare … al bambino una adeguata protezione”, ma il principio potrebbe semplicemente ricavarsi dall’art. 2 Cost., sia perché il minore non viene rappresentato in giudizio nei procedimenti di separazione e divorzio, in cui sono parti solo i genitori) il miglior interesse dei figli tende proprio a coincidere con quello dei genitori; d’altra parte, se si volesse interpretare alla lettera l’interesse “esclusivo” dei figli come interesse insuscettibile di entrare in competizione con qualsiasi altro interesse, si finirebbe per dare a tale espressione un significato contrario alla Costituzione, perché è insegnamento costante e consolidato della Corte costituzionale che tutti i diritti, anche quelli fondamentali come quello alla salute, sono suscettibili di bilanciamento e possono essere compressi anche in maniera significativa, purché sia salvaguardato il loro nucleo essenziale, il “nocciolo duro” del diritto12. Che l’interesse del minore possa e debba essere bilanciato e quindi in parte sacrificato in nome di altri interessi lo afferma anche la Corte costituzionale, ad esempio a proposito del bilanciamento dell’interesse del minore a 12 Cfr., ad esempio, Corte cost. nn. 135 e 180 del 2018; con riferimento in particolare alla possibilità che anche i diritti del minore possano entrare in un giudizio di bilanciamento con altri valori cfr. Corte cost. n. 272 del 2017 cit. L’esigenza di operare un’adeguata comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, con riferimento in particolare all’azione di disconoscimento della paternità. La giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio (Cass., 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; 3 aprile 2017, n. 8617). 820 The best interest of the child frequentare i genitori in carcere con quello della collettività alla protezione sociale attraverso la necessaria esecuzione della pena13. Quale sarebbe poi l’interesse esclusivo del bambino? Quello a trascorrere una quantità di tempo equilibrata con i due genitori oppure a trascorrerne di più con il più ricco o con quello che gli possa offrire di più in termini di educazione, prospettive, opportunità, amicizie, tempo disponibile? Quello ad accumulare più denaro possibile? Quello ad essere felice sempre e a tutti i costi? E continuando così, concentrandosi cioè solo sull’interesse del bambino, si potrebbe arrivare all’assurdo di sostenere che il suo interesse primario sia appunto quello di essere felice seguendo i suoi istinti primari, cosicché i bambini dovrebbero soltanto giocare e mai studiare, quando invece è diritto-dovere dei bambini anche quello di studiare, come esiste, correlativamente, il diritto-dovere dei genitori di educarlo e di mandarlo a scuola. L’art. 337-ter cod. civ. seguita ancora affermando che “il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”. 13 Cfr. Corte cost. n. 174 del 2018, secondo la quale va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente art. 21, con riferimento alle detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti, particolarmente gravi, di cui all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della legge n. 354 del 1975, non consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci oppure lo subordina alla previa espiazione di una frazione di pena, salvo che la detenuta abbia collaborato con la giustizia. La norma infatti, in assenza di tale collaborazione, contiene un automatismo astratto di preclusione assoluta all’accesso al beneficio e impedisce al giudice, laddove non sia ancora stata espiata una parte di pena, di bilanciare le esigenze di difesa sociale con l’interesse del minore, pregiudicando il diritto di quest’ultimo a mantenere un rapporto con la madre all’esterno del carcere (diritto, peraltro, già riconosciuto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000). In effetti l’interesse del minore a beneficiare in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena, ma occorre che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata in concreto e non già collegata ad indici presuntivi che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni. L’interesse del minore alla bigenitorialità 821 La legge dunque afferma esplicitamente che il criterio prioritario deve essere quello dell’affidamento a entrambi i genitori il che poi non può che essere interpretato, data l’assoluta parità dei genitori davanti alla legge e in mancanza di una diversa indicazione da parte di quest’ultima, nel senso di un affidamento paritario, ossia per una quantità di tempo uguale per i due genitori. Questa interpretazione è confermata dal prosieguo della norma, secondo la quale, nell’affermare come criterio subordinato l’affidamento dei figli ad uno dei genitori, stabilisce comunque che il Giudice debba decidere i tempi della presenza dei figli presso ciascun genitore, così dunque di fatto stabilendo quello che è il criterio del “collocamento prevalente”, criterio che pertanto è subordinato rispetto a quello paritario e che dunque, per essere accolto, necessiterebbe di una motivazione relativa al perché il criterio dell’affidamento paritario non potrebbe essere accolto (ad esempio perché i genitori a seguito della separazione abitano molto lontano e dunque la previsione di una alternanza tra di loro durante i giorni di scuola sarebbe troppo onerosa per il bambino che dunque dovrebbe essere affidato ad uno durante i giorni di scuola e all’altro durante i fine settimana e le vacanze). Già a seguito della separazione ma anche in occasione del divorzio, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, il Giudice deve osservare il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre – per quanto riguarda la quantità di denaro da versare per i figli – alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto14. Pertanto, poiché l’affidamento condiviso dei figli minori è fondato sull’interesse di questi ultimi, esso determina l’obbligo patrimoniale dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei figli mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento e non implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno dei due genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze15, dipendendo tale contribuzione sia dall’effettivo collocamento del figlio presso l’uno o l’altro dei genitori (o della prevalenza di tale collocamento presso l’uno o l’altro), sia dalle rispettive capacità reddituali. 14 Cass. 1° marzo 2018, n. 4811. 15 Cass. 10 dicembre 2014, n. 26060. 822 The best interest of the child Inoltre, l’obbligo di mantenimento del figlio non cessa con il raggiungimento da parte di quest’ultimo della maggiore età: tuttavia il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità di procurarsi autonomamente un reddito così e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, sicché l’eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento16. 2. L’artificiosa distinzione tra “affidamento” e “collocamento” La prassi applicativa dei giudici di merito (non contrastata dalla Cassazione17), sulla base dell’art. 337-ter cod. civ., ha creato spesso una 16 Cass. 14 marzo 2017, n. 6509. 17 Cfr. Cass. 15 febbraio 2017, n. 4060, secondo cui, in tema di affidamento dei figli minori, l’affido alternato tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano è soluzione educativa di limitate applicazioni, atteso che assicura buoni risultati unicamente allorché sussista un preciso accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, compreso il figlio, condividono la soluzione. In realtà non è dato capire come questo tipo di collocamento, che la Cassazione chiama “affidamento alternato”, avrebbe bisogno di una maggiore collaborazione fra i coniugi rispetto ad un collocamento esclusivo presso uno dei coniugi con diritto di visita da parte dell’altro genitore. Si ritiene invece che il sistema di “gestione” dei figli maggiormente “efficiente” senza necessità di collaborazione dei coniugi sia quello che preveda lo “scambio” dei figli attraverso la scuola (un genitore lo porta a scuola e l’altro lo riprende), in modo che siano evitati incontri tra i genitori che potrebbero portare al rischio di liti tra di loro davanti al figlio. Cfr., a questo proposito, Cass. 3 gennaio 2017, n. 27, decisione che, pur essendo sostanzialmente coeva, sembra andare di contrario avviso rispetto a quella da ultimo citata, affermando che l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori costituisce il regime ordinario di affidamento che non è impedito dall’esistenza di una conflittualità tra i coniugi, tranne quando tale regime sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico. In tal caso la pronuncia di affidamento esclusivo deve essere sorretta da una puntuale motivazione in ordine, non solo, al pregiudizio potenzialmente arrecato ai figli da un affidamento condiviso ma anche all’idoneità del genitore affidatario e all’inidoneità educativa o alla manifesta carenza dell’altro genitore (cassata, nella specie, la decisione della Corte di merito che aveva preso atto della conflittualità tra i coniugi e aveva scelto uno dei due genitori quale affidatario esclusivo dei figli senza una specifica motivazione in ordine al pregiudizio che sarebbe stato arrecato ai figli da un affidamento condiviso, essendo del tutto generico e quindi apparente l’argomento della necessità di assicurare rapidità nelle decisioni riguardanti i figli); Cass. 17 gennaio 2017, n. 977, secondo cui posto che, in tema di separazione giudiziale dei coniugi, può disporsi l’affido esclusivo dei figli L’interesse del minore alla bigenitorialità 823 distinzione tra affido, condiviso da entrambi i genitori (in ossequio alla prioritarietà di tale scelta imposta dalla norma da ultimo citata), e “collocamento” (brutta e fredda parola di creazione giurisprudenziale) materiale ed effettivo del bambino, molto spesso (anche se oggi meno rispetto a qualche anno fa) assegnato in netta prevalenza alla madre18 minori solo se il giudice ritenga, argomentando al riguardo, che quello condiviso sia pregiudizievole per i figli stessi, è congruamente motivata, e pertanto incensurabile in Cassazione, la pronuncia di merito che ha affidato il figlio minore, adolescente, al padre in via esclusiva, in quanto la madre vive ormai stabilmente in un lontano paese straniero e ha esercitato in modo discontinuo il diritto di visita, venendo anche meno ai tre incontri minimi all’anno previsti dalla consulenza tecnica d’ufficio, visite non surrogabili con i pur frequenti contatti telefonici o a mezzo Skype; Trib. Salerno, sez. I, 29 giugno 2017, secondo cui l’affido condiviso è inequivocabilmente finalizzato alla realizzazione dell’interesse morale e materiale della prole e per questa ragione, dopo e nonostante la crisi della coppia, i provvedimenti giudiziari mirano alla conservazione (o al ripristino) di un paritario rapporto dei minori con entrambi i genitori (un diritto soggettivo di per sé ovviamente coincidente con il loro interesse), il che comporta l’attribuzione a ciascuno di essi di pari opportunità quando abbiano capacità genitoriali omogenee o, viceversa, all’attribuzione a ciascuno di essi di compiti di cura e di tempi di frequentazione differenti quando in concreto ciò meglio realizzi i diritti del minore; sempre che non esistano particolari ed eccezionali circostanze ostative. In quest’ottica i genitori devono comprendere che chiedere di attribuire all’altro solo il 20% del tempo mensile o di non attribuire all’altro nessun compito di cura equivale di fatto a chiedere all’Autorità Giudiziaria di allontanare l’altro genitore dalla quotidianità del bambino con effetti irrimediabili sulla relazione genitoriale e sulla crescita psicologica del minore; analogamente Trib. Salerno, sez. I, 18 aprile 2017, secondo cui l’affido condiviso è disposto per attuare al contempo il diritto di ogni genitore a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 cost.) ed il diritto della prole (art. 315-bis primo comma c.c.) a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori nonché di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Ciò non di meno (per le ragioni meglio di seguito evidenziate) l’affido condiviso è (in applicazione stretta degli artt. 337-bis e ter c.c.) inequivocabilmente funzionalizzato alla realizzazione dell’interesse morale e materiale della prole e per questa ragione, dopo e nonostante la crisi della coppia, i provvedimenti giudiziari mirano (ovviamente ove possibile) alla conservazione (od al ripristino) del rapporto dei minori con entrambi i genitori il che comporta l’attribuzione a ciascuno di essi di pari opportunità quando abbiano capacità genitoriali omogenee e quando il minore abbia in concreto l’interesse ad una frequentazione paritaria. 18 La stessa Cassazione sembra, se non dimenticare, mettere da parte il principio di bigenitorialità, affermando che, in tema di modifica delle condizioni di separazione giudiziale, il coniuge separato, collocatario del figlio minore, può trasferire altrove la residenza propria e del figlio, anche senza il consenso dell’altro genitore, non comportando ciò, di per sé, il venir meno dell’affido condiviso o di quel collocamento, in quanto ogni statuizione al riguardo va adottata esclusivamente in funzione del superiore interesse del minore (nella specie, la Suprema Corte ha confermato il provvedimento di merito che aveva disposto il collocamento di due minori presso la madre, che per esigenze di lavoro si era trasferita in altra città, distante da quella originaria di residenza, dove viveva l’altro genitore, i cui rapporti 824 The best interest of the child (un classico esempio è quello in cui all’affido condiviso corrisponde a una frequentazione del padre da parte del figlio per un fine settimana su due (normalmente dal venerdì alle 20e30 alla domenica sera alle 20e30 e un pomeriggio a settimana dalle 16e30 alle 20e30)19. È poi però evidente quotidiani con le figlie venivano compressi, tenuto conto dell’esigenza di assicurare a queste ultime, ancora in tenera età, la costante presenza della madre (Cass. 12 maggio 2015, n. 9633, in Foro it., 2015, I, p. 3161). A mio giudizio, di fronte ad una decisione così gravida di conseguenze per i rapporti tra il padre e le figlie, avrebbe dovuto essere approfondito se l’esigenza della madre di trasferirsi per lavoro fosse o meno indifferibile. In senso (apparentemente) contrario (o per lo meno, più attenta ad un bilanciamento di tutti gli interessi in campo) all’affermazione del Supremo Collegio cfr. però Trib. Roma, 8 settembre 2017, in Foro it., 2018, p. 622, secondo cui in tema di affidamento dei figli minori, disposto l’affido condiviso di un minore di circa quattro anni di età, nato fuori dal matrimonio, con collocamento presso la madre, va rigettata la domanda di quest’ultima di autorizzazione al trasferimento del domicilio del figlio da Roma a Londra, atteso che: a) una tale misura osterebbe al consolidamento del rapporto del padre con il figlio, con assidue frequentazioni anche infrasettimanali, posto che il primo, in forza di provvedimento provvisorio, si era trasferito da Milano a Roma, esercitando regolarmente il diritto di visita; b) il minore è ben radicato nella capitale, dove risiede dalla nascita, e intrattiene una fitta rete di relazioni parentali, come emerso dalla espletata c.t.u.; c) la madre svolge a Roma idonea attività lavorativa, sicché non ha la necessità di trasferirsi all’estero. 19 Cfr. Cass. 23 settembre 2015, n. 18817, in Foro it., 2016, I, p. 902, secondo cui per l’attuazione del principio di bigenitorialità, non è strettamente necessaria una determinazione paritetica dei tempi da trascorrere con il minore; Cass. 3 agosto 2015, n. 16297, secondo cui la previsione di periodi di permanenza del figlio minore con la madre ben superiori rispetto a quelli concessi al padre non viola i principi dell’affido condiviso, che non presuppone necessariamente tempi uguali o simili di permanenza del figlio con entrambi i genitori, e non comporta una compromissione del diritto alla bigenitorialità. Il principio del primario interesse del minore e dell’affido condiviso viene dunque applicato solo formalmente dalla gran parte dei tribunali italiani mediante l’affermazione che l’affidamento dei figli è condiviso: che specie nei provvedimenti cd. presidenziali dispongono il collocamento del minore presso uno dei genitori residuando all’altro – non collocatario – un ridotto tempo di visita. Ciò si dispone senza ascoltare il minore… negando nella sostanza il suo diritto ad essere ascoltato (dai 12 anni ma ove dotato di discernimento anche prima di tale età) “in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano” (315 bis cod. civ.). Tali provvedimenti provvisori (la cui efficacia dura anni, sino all’emanazione della sentenza, che nella maggior parte dei casi poi si limitano a confermare il provvedimento “provvisorio”) vengono assunti per lo più solo in ragione della esclusiva valutazione da parte del giudice delle sole dichiarazioni delle parti confliggenti, dell’età dei figli, della situazione patrimoniale: la cd. udienza presidenziale si svolge con un sommario ascolto delle parti – in sede separata o congiunta – ed un formale invito (ormai peraltro desueto) alla ricomposizione. I provvedimenti emanati a conclusione di questa fase, anche per il ridotto tempo a disposizione dei giudici, che sono molto spesso costretti ad esaminare una trentina o più di queste casi al giorno, sono spesso seriali, specie nelle ipotesi di separazioni o divorzi “consensuali”, ove il giudice, unico garante del diritto del minore ad un rapporto costante e significativo con entrambi i genitori, nella grandissima maggioranza dei casi si limita a ratificare le decisioni dei genitori relative al collocamento dei figli. L’interesse del minore alla bigenitorialità 825 che quando il bambino trascorra la gran parte del tempo con la madre, sarà difficile per il padre, che passando poco tempo con lui perde inevitabilmente autorevolezza agli occhi del figlio20 e della madre, far pesare la sua volontà nelle decisioni più importanti riguardanti il figlio stesso (l’art. 337-ter, comma 3, cod. civ. prevede infatti in teoria che “Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo”: in realtà se già le coppie sposate fanno spesso fatica a trovare un accordo sui figli, è chiaro che tale comune accordo costituisce ancor più una chimera nel caso di genitori che hanno deciso di non vivere più insieme). La norma stabilisce ancora che in caso di disaccordo la decisione sia rimessa al giudice, ma è evidente come non si possa ricorrere continuamente al giudice, se non altro per le spese da affrontare e perché le decisioni arriverebbero inevitabilmente troppo tardi. Sembrerebbe dunque utile che nell’accordo di separazione o di divorzio, o quando tali effetti siano determinati da un provvedimento del giudice, sia indicato un terzo che abbia la fiducia di entrambi i genitori (impresa, questa, in realtà assai ardua!), che possa fare da arbitro quando i genitori non si 20 È evidente infatti le maggiori possibilità per il genitore collocatario di influenzare e convincere il figlio circa la “bontà” delle proprie idee rispetto a quelle dell’altro genitore. Cfr. a tale proposito Trib. Roma, sez. I, 11 ottobre 2016, n. 18799, secondo cui è onere di ogni genitore attivarsi per recuperare e mantenere l’immagine dell’altro genitore nei confronti del figlio. Di conseguenza, in caso di “boicottaggio” di un genitore nei confronti dell’altro, scatta la sanzione del risarcimento del danno prevista dall’art. 709-ter comma 3 c.p.c. Questo è quanto affermato dal Tribunale di Roma che ha, nella specie, condannato la madre collocataria al pagamento di 30mila euro in favore del padre in quanto la donna, anziché attivarsi per “consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio”, aveva continuato a “palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito”. Per i giudici, in sostanza, entrambi i genitori devono aver rispetto dell’ex, che va salvaguardato nei confronti dei figli e, in particolare, in relazione alla tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso. Cfr. sul punto anche M. Caineri, Madre ostacola la bigenitorialità: nessuna conseguenza automatica sulla collocazione del minore, in Ilfamiliarista, 12 aprile 2018, nota a Trib. Milano, 28 novembre 2017, sez. famiglia, Autore secondo cui il Giudice deve condurre il proprio sindacato tenendo conto sia delle migliori modalità di esplicazione, in chiave prognostica, della bigenitorialità (da accertarsi con riferimento tanto all’idoneità genitoriale di ciascuno quanto alla capacità delle parti di interazione e di comunicazione), sia delle prevalenti esigenze di stabilità di vita del minore, dei suoi bisogni affettivi e dei legami in concreto formatisi tra questi e i due genitori. Il principale corollario di tale assunto consiste nel difetto di ogni automatismo valutativo, rispetto alla determinazione della collocazione prevalente del figlio, di un comportamento genitoriale indebito e che comunque ostacola l’esercizio della bigenitorialità, che però non può implicare, di per sé solo, un giudizio di inadeguatezza in capo al genitore che lo ha posto in essere a svolgere il ruolo di affidatario o collocatario del minore. 826 The best interest of the child mettano d’accordo su piccole e grandi decisioni riguardanti i figli21, mentre sembra meno rispondente agli interessi del figlio prendere a modello quanto succedeva con i due consoli nell’antica Roma (che si alternavano al potere di sei mesi in sei mesi), e stabilire che in caso di stallo decisionale sia prevista a turno la prevalenza dell’opinione dell’uno dei genitori sull’altro, in quanto il figlio potrebbe essere sottoposto a continui cambi di abitudini22. Non sembra dunque potersi invocare, quale ragione a favore del collocamento prevalente o esclusivo del minore presso la madre, la circostanza che quest’ultima sia usualmente il coniuge più debole, cosi ché, in ragione della necessità di dover provvedere ai bisogni del figlio, possa avere una maggiore quantità di denaro rispetto ad un collocamento “a metà”, in quanto il coniuge che abbia disponibilità economiche significativamente maggiori è comunque in teoria tenuto a versare all’altro un assegno per il mantenimento del figlio anche se collocatario di quest’ultimo per metà del tempo o addirittura in maniera prevalente23. 21 Cfr. Trib. Reggio Emilia, sez. 1, 11 giugno 2015, in Foro it., 2016, I, p. 903, secondo cui in regime di affido condiviso del figlio minore con residenza privilegiata presso la madre, qualora manchi l’accordo tra le parti, il giudice può disporre che decisioni di rilevante interesse relative alla salute del minore debbano essere assunte da una figura alternativa fino al compimento della maggiore età (nel caso di specie, essendo il minore affetto da grave disturbo autistico di difficile gestione per via del forte disaccordo tra i coniugi il giudice dispone che le decisioni di maggior interesse per la salute siano assunte collegialmente dalla responsabile di Neuropsichiatria infantile e da quella del Centro autismo presso cui il minore è in cura); Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015, in Foro it., 2016, secondo cui a fronte dell’elevata conflittualità dei genitori (nella specie, non coniugati), il giudice può disporre l’affido condiviso della figlia minore (nella specie, di circa cinque anni di età), designando però anche, in via provvisoria, un coordinatore genitoriale, in persona di un assistente sociale, con la funzione di guidare i genitori nell’attuazione del piano dagli stessi elaborato nel corso di una consulenza tecnica d’ufficio (il tribunale ha anche fissato, a distanza di sei mesi, una udienza di verifica). Cfr. L. Dell’Osta, Vaccini obbligatori: in caso di conflitto tra coniugi il Giudice può ordinare la vaccinazione, in Ilfamiliarista, 20 aprile 2018, nota a Trib. Milano, 9 gennaio 2018, sez. IX, Autore che osserva che l’obbligo vaccinale previsto dal d.l. n. 73 del 2017 (che impone che a tutti i minori di età compresa tra zero e sedici anni siano somministrati due gruppi di dieci vaccini complessivi), in presenza di conflitto tra genitori, è coercibile. 22 Cfr. Trib. Roma, 28 agosto 2015, n. 17400, in Foro it., 2016, I, p. 1655, secondo cui deve essere disposto l’affidamento condiviso del figlio minore ad entrambi i genitori, ma con attribuzione alla sola madre, in via esclusiva, delle scelte inerenti le terapie e gli interventi di sostegno necessari per le difficoltà di apprendimento del figlio minore, e ciò al fine di evitare che le resistenze paterne ad accettare tali difficoltà si traducano in uno stallo decisionale con conseguente compromissione dell’interesse del minore. 23 Cfr. infatti Trib. Brindisi 11 aprile 2017, in Dejure Giuffrè 2017, secondo cui, pur se una minore viene affidata ad entrambi i genitori e trascorre dei periodi presso il padre e altri presso la madre, deve essere previsto sia che ciascun genitore provveda L’interesse del minore alla bigenitorialità 827 3. La persistente tendenza ad un collocamento prevalente del minore presso la madre Il problema del collocamento del figlio in prevalenza presso la madre emerge in virtù da un lato dall’esistenza del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (il “senza distinzione di sesso” di cui si è detto prima) e di quello di bigenitorialità e dall’altro da una prassi applicativa che nel decidere affidamento e collocamento dei figli che sembra partire da un principio, sociologico e non giuridico in quanto mai affermato né dalla legge né dalla giurisprudenza, secondo cui il figlio si troverebbe più a suo agio con la madre che con il padre e che la madre sarebbe una migliore educatrice per i figli rispetto al padre: in altre parole un bambino sarebbe più figlio della mamma che del babbo. Tale principio è spesso supportato da una considerazione, anch’essa sociologica, che però trova ampie sponde in giurisprudenza, secondo cui sarebbe interesse del bambino quello ad avere un unico tetto sotto il quale dormire, un unico indirizzo, un’unica cameretta, anche a costo di sacrificare in maniera estremamente significativa il rapporto con uno dei due genitori24. Da tale presupposto, e dovendosi appunto necessariamente sacrificare il rapporto con uno dei genitori, si sceglie di privilegiare il rapporto con la madre a danno del padre. In realtà il principio dell’unico domicilio, oltre a non avere un supporto nella legge, è implicitamente smentito dall’art. 337-bis c.c., secondo cui “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi”. Né si può ritenere che l’art. 337-sexies, cod. civ. laddove stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” debba far propendere l’interprete verso una intentio legis nel senso che il figlio debba rimanere a vivere e a dormire nella casa coniugale, dovendosi invece ritenere che la legge intende semplicemente che la casa coniugale debba prevalentemente al mantenimento ordinario della figlia nei periodi in cui la stessa starà presso di sé, che porre un assegno perequativo a carico del padre in quanto quando ultimo risulta avere un reddito superiore dell’ex coniuge. 24 Tale impostazione di pensiero, che appare immediatamente in contrasto con il principio di bigenitorialità, sembra invece, contraddittoriamente, accolta dalla Cassazione, la quale ha affermato che la scelta dei giudici del merito di disporre l’affido condiviso appare corretta tenuto presente che modificare continuamente la propria casa di abitazione può avere un effetto destabilizzante per molti minori (Cass. 15 febbraio 2017, n. 4060). 828 The best interest of the child essere assegnata in maniera tale da seguire l’interesse del figlio: così, ad esempio, se la casa coniugale, di proprietà del padre, viene assegnata alla madre in quanto meno abbiente rispetto all’ex marito il quale abbia i mezzi per poter abitare un altro appartamento (acquistato o preso in affitto) nei pressi della casa coniugale, non per questo il bambino dovrà continuare a vivere tutta la sua infanzia in quella casa. Il cambio di domicilio infatti è un’esperienza che può anche essere un arricchimento e un divertimento e non un trauma, ma soprattutto non deve dimenticarsi che per il bambino avere due camerette significa avere la possibilità di avere un rapporto continuativo, serio e profondo con entrambi i genitori rispetto a quello che potrebbe avere con quello dei due genitori con il quale non condividesse più l’esperienza del trascorre la sera in allegria, del consumare una cena con amici, dell’andare a dormire con le sue coccole e il suo affetto, dello svegliarsi insieme la mattina e fare colazione e dell’essere accompagnato a scuola. In quest’ottica non possono che stigmatizzarsi quei provvedimenti che, nell’ossessione di non “muovere” il bambino, che non dovrebbe essere “trattato come un pacco postale”, assegnano di fatto la casa al figlio, costringendo i genitori sia a prendere ognuno una nuova abitazione e a ruotare alternativamente attorno alla ex casa coniugale sia a trovare gravi difficoltà nel costruirsi una nuova vita con un nuovo partner che sarebbe anch’egli costretto a girare insieme al nuovo compagno/a. Ma soprattutto è assai dubbio che il cambio continuo di ospiti nella casa coniugale sia effettivamente di giovamento per il figlio rispetto ad un suo alternarsi tra la casa del padre e della madre. In effetti, quello che più sorprende nel leggere i provvedimenti riguardanti i figli minori, ove spesso accanto ad un affidamento formalmente condiviso si opta per un collocamento nettamente prevalente presso la madre, è proprio questa idea fissa di garantire al minore un domicilio il più possibile unitario, limitando al minimo le notti trascorse con il padre, stabilendosi delle evidenti forzature a danno del minore. Infatti, è evidentemente una forzatura quella di stabilire che un minore, anche in pieno inverno, debba trascorrere un pomeriggio in compagnia con il padre che lo è andato a prendere a scuola, per poi essere accompagnato verso le 8 o 8e30 di sera dalla madre, interrompendo così la sua attività di cena di gioco o di studio, e costringendolo ad assistere al momento di tensione che spesso vi è al momento del “passaggio di consegne” del bambino dal padre alla madre. Molto più lineare e naturale per il bambino è invece la previsione – scarsamente L’interesse del minore alla bigenitorialità 829 applicata nella prassi dei Tribunali – di non costringerlo a innaturali viaggi serali dal padre alla madre ad orari prestabiliti (si pensi che oltretutto nelle grandi città è difficile rispettare perfettamente gli orari e questo può essere causa di ulteriori conflitti e tensioni fra genitori) ma di lasciare che il padre che lo abbia preso all’uscita di scuola lo tenga con sé la notte e lo riaccompagni la mattina a scuola: in questa maniera si evita la bambino questa forzatura e gli si risparmia di assistere al probabile litigio fra padre e madre. Il migliore interesse per il bambino è quello di non assistere a genitori che litighino, a non fare viaggi inutili e soprattutto, come prescrive del resto la legge, ad avere rapporti continui e assidui con entrambi i genitori, non invece ad avere un unico domicilio ed un’unica cameretta. Il problema della “doppia cameretta” potrebbe (e spesso è) essere semmai – nell’ottica prima descritta in cui occorre tenere in considerazione l’interesse dei figli ma anche quello dei genitori – di carattere economico (si pensi anche alla necessità in questo caso di disporre inevitabilmente di un maggiore numero di giochi, vestiti etc.), in quanto mentre l’ipotetico padre presso cui il figlio non è mai collocato di notte potrà, nell’allontanarsi da casa, prendere anche solo un monolocale o arrangiarsi in qualche altro modo (es. presso amici), nel caso in cui debba offrire una sistemazione al figlio per la notte è evidente che tale impegno comporta un esborso economico significativo (dovrà ad esempio prendere in affitto un bilocale o addirittura una soluzione abitativa di un livello comparabile a quello per ipotesi elevato in cui viveva il figlio prima della separazione dei genitori). Si ritiene tuttavia che, anche nel caso in cui il figlio fosse abituato ad un tenore di vita elevato in costanza di matrimonio dei genitori, sia per lui più importante mantenere un rapporto significativo con entrambi i genitori (ove trascorrere delle notti sia col padre che con la madre risulta evidentemente fondamentale) più che mantenere il medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio. Lasciare il bambino a dormire sempre solo con uno dei genitori dovrà dunque costituire solo l’extrema ratio, quando problemi economici o logistici insormontabili (o il cui superamento finirebbe per incidere indirettamente sul benessere del figlio stesso) consiglino di lasciare fisso il bambino nel suo domicilio originario. Peraltro anche quest’ultima soluzione consente, anche se con difficoltà e disagi maggiori per il bambino, al genitore presso cui il figlio non dorme di intrattenere rapporti significativi con lui. Si immagini infatti ad esempio una situazione in cui il padre lavori fuori casa e la madre 830 The best interest of the child in casa: in tal caso, e in presenza di una situazione economica che non consente al bimbo di avere una “doppia cameretta”, la madre potrebbe avere con sé il figlio durante il giorno e il padre la sera, la notte e la mattina con il compito di accompagnarlo a scuola. In effetti, l’affidamento in toto o in gran parte dei figli alla madre aveva una sua – sia pur parziale – ragion d’essere in passato quando le famiglie erano prevalentemente organizzate sul modello appena descritto, ove il padre lavorava fuori casa e la madre faceva la casalinga. In realtà però si è appena osservato che anche tale modello organizzativo familiare – peraltro non del tutto superato – permette ugualmente un collocamento del figlio equilibrato fra i due genitori, qualora si consentisse al padre di avere con sé il figlio dalla sera fino alla mattina a scuola e poi – nel caso di problemi economici superabili – i fine settimana. Come già osservato, negli ultimi anni, sia pure con molta fatica ed a seguito del mutamento del costume sociale, per cui ormai sempre più spesso a lavorare fuori casa sono sia il padre che la madre, si sta ormai superando l’idea che la madre sia l’unica figura di riferimento per i primi anni di vita dei minori. Il Tribunale di Milano25, ha ad esempio affermato che “la genitorialità si apprende facendo i genitori e dunque, solo esercitando il ruolo genitoriale una figura matura e affina le proprie competenze genitoriali; il fatto che, al cospetto di una bambina di due anni, un padre non sarebbe in grado di occuparsene, è una conclusione fondata su un pregiudizio che confida alla diversità (e alla mancanza di uguaglianza) il rapporto che sussiste tra i genitori”. Volendo indagare se al dato statistico dell’affidamento del figlio prevalentemente presso la madre corrisponda un qualche supporto normativo potrebbe innanzitutto pensarsi al principio di uguaglianza nella sua declinazione più controversa e complessa, ossia al corollario secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale26 (in ipotesi mediante un affidamento prevalente presso la madre) situazioni diseguali (la madre avrebbe una maggiore affinità con i bambini e sarebbe più adatta naturalisticamente a trascorrere del tempo con loro). 25 Trib. Milano, IX sez., decr. 14 gennaio 2015, in Dejure Giuffrè 2015. 26 Cfr. ad esempio Corte cost. n. 262 del 2009, secondo cui il principio di uguaglianza comporta che, se situazioni uguali esigono uguale disciplina, situazioni diverse possono richiedere differenti discipline. L’interesse del minore alla bigenitorialità 831 Questa diseguaglianza potrebbe spiegarsi più concretamente rilevando che, oggettivamente, durante la gravidanza e l’allattamento, il rapporto del nascituro prima e del neonato poi è molto più stretto con la madre che col padre. In effetti, nella legge n. 194 del 1978 in tema di aborto e nella successiva elaborazione giurisprudenziale la donna appare il dominus assoluto, l’arbitro unico e indiscusso dei destini del figlio: il ruolo del padre durante la gravidanza è ridotta a figura di secondo piano da ascoltare eventualmente e quasi clandestinamente nel consultorio, senza alcun potere. Il suo è, al più un parere non vincolante, e non ha alcun potere di veto. Di recente, inoltre, la Cassazione ha riconosciuto il danno da nascita indesiderata anche al padre27, ma non sotto il profilo del danno non patrimoniale consistente nel non aver desiderato il bambino e nell’aver voluto l’aborto, ma soltanto sotto il profilo patrimoniale dell’impegno economico che deriva dalla nascita di un figlio. Anzi la Cassazione è esplicita nel negare qualsiasi diritto del padre a chiedere l’aborto (“certamente non esiste un diritto del padre del nascituro ad interrompere la gravidanza della gestante”)28, mentre l’ipotesi inversa, quella del padre che vorrebbe il bambino e la madre che vuole abortire, neppure è stata mai vagliata dalla Corte di Cassazione. Si tratta di un argomento estremamente delicato ma riterrei che la donna nel decidere in merito all’aborto debba avere un ruolo preminente, ma non esclusivo (tranne il caso naturalmente di violenze subite dalla donna). Tuttavia, se l’uomo non vuole che la donna abortisca e dimostri di avere i mezzi economici per poter mantenere il nascituro mentre la donna vuole abortire, quest’ultima dovrebbe essere responsabilizzata e per lo meno risarcire il danno non patrimoniale all’uomo per non avere avuto un bambino da lui concepito e che avrebbe avuto la possibilità di crescere anche da solo. Al contempo però la donna che sappia chi è il padre del nascituro non deve essere lasciata sola, e se vuole abortire deve essere pienamente informata del dovere costituzionale del padre di occuparsi del bambino e della sua pari responsabilità nei confronti di quest’ultimo. 27 Cass. 5 febbraio 2018, n. 2675. 28 Così Cass. 1° dicembre 1998, n. 12195; analogamente Cass. 29 luglio 2004, n. 14488, secondo cui “trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre”. 832 The best interest of the child Probabilmente è da questa concezione del bambino come frutto di una decisione esclusiva della madre che discende, più o meno inconsapevolmente, una maggiore considerazione della madre, come se fosse lei, più del padre, “proprietaria”, responsabile, del bambino (quando invece, con la riforma, la responsabilità genitoriale, con tutti i doveri che comporta, è acquistata a pieno titolo da entrambi i genitori fin dalla nascita del figlio). Quanto all’allattamento, è fuori discussione l’importanza preminente del ruolo della madre, riconosciuto anche dal citato art. 37, comma 1, seconda parte, della Costituzione, secondo cui “Le condizioni di lavoro [della donna] devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”. Tuttavia, mettendo da parte l’ipotesi di optare, pur di favorire un collocamento paritario del piccolo, per un allattamento artificiale in quanto non rispondente all’interesse preminente del bambino, ugualmente ben possono prevedersi ampi spazi per il padre per stare con il neonato nei momenti in cui il figlio non deve essere allattato. È evidente poi che, una volta terminato l’allattamento, nessuna necessità ulteriore può portare a negare al padre un ruolo paritario rispetto alla madre nei confronti del bambino. 4. L’uguaglianza tra madre e padre Tirando le fila del discorso, sembra che quello di cui più hanno bisogno i figli siano affetto e tempo nonché di punti di riferimento stabili che siano in grado di impartirgli una educazione coerente e ragionevole. I bambini hanno bisogno di essere seguiti e avere negli adulti dei soggetti su cui poter contare, mentre per loro non è fondamentale l’esigenza di avere una sola cameretta o di non fare i “pacchi postali”: è evidente poi che, mano mano che essi crescano, dovrà vieppiù tenersi conto delle loro personali esigenze e preferenze, anche logistiche. Un sicuro punto fermo però è che, per la legge, davanti ai figli i genitori sono perfettamente uguali e del resto anche la Corte costituzionale ha affermato “il principio di parità tra uomo e donna, il quale assume primazia indefettibile”29. 29 Cfr. Corte cost. n. 193 del 2017, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della provincia di Bolzano n. 33 del 1978 il quale prevedeva la prelazione maschile alla successione nell’assunzione del maso chiuso, appunto perché in contrasto con l’art. 3 Cost. L’interesse del minore alla bigenitorialità 833 Deve altresì considerarsi che il figlio di genitori separati o divorziati ha comunque un rapporto con i genitori complessivamente ridotto perché non ha mai la possibilità di stare con loro contemporaneamente, di godere di entrambi in uno stesso tempo, di dialogare con loro in un contraddittorio immediato. I figli necessitano pertanto di trascorrere un tempo significativo e di avere un contatto quotidiano (almeno telefonico!) con entrambi i genitori, cosicché la soluzione dell’affido condiviso e del collocamento (esclusivo o nettamente prevalente) presso uno solo dei genitori è una soluzione che non fa il bene del bambino, deresponsabilizza troppo il genitore non collocatario e grava di troppe responsabilità il genitore collocatario. E quale credibilità – lo si è già sottolineato – potrà avere il genitore non collocatario o che trascorre a solo un week-end a settimane alterne e due ore in mezzo alla settimana col figlio, nella scelta dello sport, della scuola, sul se fare vacanze all’estero, nel consigliargli l’università? Inoltre, se i genitori sono i primi a non essere soddisfatti della soluzione relativa al collocamento dei figli perché il tempo che trascorrono con loro è troppo poco o troppo, i primi a rimetterci da questa situazione saranno i figli, perché i genitori avranno meno tempo per loro oppure questo tempo non sarà realmente partecipato e condiviso; dal punto di vista delle condizioni economiche nei rapporti fra genitori, se l’accordo di separazione o divorzio è troppo oneroso per uno dei due coniugi, questi proverà rancore per l’altro e tale circostanza, creando continuamente tensioni e occasioni di lite, inciderà inevitabilmente sul figlio. The best interest of the child è dunque quello ad un assetto relativo al suo affidamento soddisfacente per entrambi i genitori e a di ricevere continuamente affetto ed una educazione responsabile e conseguentemente trascorrere più tempo possibile con entrambi i genitori e con i nonni (e, nei limiti del possibile, con zii e cugini30), anche se questo debba apparentemente determinare dei sacrifici materiali per i bambini stessi, specie per quanto riguarda la perdita dell’unicità del domicilio e quindi la circostanza di avere una “doppia cameretta”31. In questa prospettiva, sembra 30 Cfr. M. Bianca, Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 161. 31 Cfr. però Cass. 10 giugno 2005 n. 12295, sentenza che insiste circa l’esigenza di garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di evitare loro l’ulteriore trauma di un allontanamento dal luogo ove si svolgeva la loro esistenza e di assicurare una certezza e una prospettiva di stabilità in un momento di precario equilibrio familiare; tuttavia, sulla circostanza che tale esigenza sia valutata alla luce della preferenza normativa per il modello dell’affidamento condiviso cfr. C. 834 The best interest of the child che l’unico elemento di reale discrimine nel decidere in maniera diversa rispetto ad un collocamento paritario fra i due genitori e che costituisce espressione del principio di cui all’art. 3 Cost. secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diversa situazioni diverse possa essere una significativamente ridotta disponibilità di tempo di un genitore rispetto all’altro, che effettivamente gli impedisca di avere rapporti continuativi con il figlio. Tale minore disponibilità di tempo non può però diventare una “scusa” per il genitore più “impegnato” per sottrarsi alla sua responsabilità genitoriale, né d’altra parte può diventare un argomento a favore del coniuge “più libero” per avere per sé il bambino più tempo32. Si è infatti evidenziato che anche il genitore che lavori fuori casa tutto il giorno ha la possibilità di trascorrere del tempo molto significativo con il figlio (la sera fino ad accompagnarlo a scuola il giorno dopo, il fine settimana, le vacanze), mentre dovranno essere valutate con rigore le esigenze lavorative del genitore che lavori in una città diversa da quella dove si trovano i principali interessi del figlio (fondamentalmente la scuola e l’altro genitore). L’art. 30 della Costituzione infatti sottolinea chiaramente che il principio di bigenitorialità costituisce sì un diritto ma anche un dovere per i genitori33, cui quindi corrisponde un diritto del figlio, da soddisfare Petta, La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p. 145. 32 In tale prospettiva sembra equilibrato il principio affermato dalla Cassazione secondo cui il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione. Nella specie, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che, nell’ambito dell’affidamento condiviso di un minore, aveva ritenuto di collocarlo preferibilmente presso il genitore il cui nucleo familiare, in quanto composto esclusivamente da adulti, avrebbe potuto prestargli maggiori attenzioni, garantendo al contempo al genitore non collocatario, pur residente in altra città, ampi periodi di tempo per tenere il figlio presso di sé: Cass. 23 settembre 2015, n. 18817. 33 Cfr. E. Lamarque, Commento all’art. 30 della Costituzione, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, la quale sottolinea che non è mai opportuno scindere il diritto dei genitori dal relativo dovere, poiché lo stesso diritto non è altro che una “funzione” da svolgere nell’interesse dei figli; analogamente P. Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in Aa.Vv., L’autonomia del minore tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 242. L’interesse del minore alla bigenitorialità 835 nei limiti di ciò che è ragionevolmente fattibile, a godere di entrambi e in maniera paritaria. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale la disponibilità di tempo, la disponibilità a trattare e a venirsi incontro, la collaborazione e l’impegno di tutti i protagonisti “tecnici” nella decisione circa l’affidamento e il collocamento dei figli, ossia giudici e avvocati. È infatti innanzitutto fondamentale il lavoro svolto dagli avvocati “fuori dell’udienza” nello stemperare il rancore e l’astio dei genitori e renderli consapevoli che è interesse precipuo del minore (e quindi, si spera, anche del genitore “rancoroso”) quello ad avere una immagine positiva anche dell’altro coniuge e un rapporto continuativo anche con lui. Sia i giudici che gli avvocati poi, per poter assicurare realmente the best interest of the child, devono poter disporre di un tempo sufficiente per approfondire le peculiarità del nucleo familiare che si è frantumato34 in modo da poter offrire delle soluzioni adeguate, ragionevoli e rispondenti alla particolarità della concreta situazione: del resto è la stessa Cassazione a sezioni unite in tema di divorzio che ci insegna che “alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo”. Sono infatti troppi i procedimenti di separazione e divorzio in cui siano coinvolti minori fissati nello stesso giorno davanti ad uno stesso giudice perché possano essere trattati con la serenità, la tranquillità e il tempo che meritano. Bibliografia Bianca M., Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 161 Caineri M., Madre ostacola la bigenitorialità: nessuna conseguenza automatica sulla collocazione del minore, in Il familiarista, 2018 Dell’osta L., Vaccini obbligatori: in caso di conflitto tra coniugi il Giudice può ordinare la vaccinazione, in Il familiarista, 2018 Lamarque E., Commento all’art. 30 della Costituzione, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006 Petta C., La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p.145 Zatti P-, Rapporto educativo e intervento del giudice, in Aa.Vv., L’autonomia del minore tra famiglia e società, Milano, 1980, p. 242 34 Cass., SU, 11 luglio 2018, n. 18287. Il diritto del minore all’abitazione. Profili pubblicitari. Giampaolo Frezza Sommario: 1. The best interest of the child, diritto all’abitazione e profili pubblicitari. – 2. Trascrizione della domanda di assegnazione della casa familiare. – 3. Trascrizione del provvedimento assegnativo (provvisorio e definitivo). – 4. Negoziazione assistita, diritto abitativo e tutela degli interessi dei figli: profili pubblicitari. 1. The best interest of the child, diritto all’abitazione e profili pubblicitari Il tema oggetto dell’importante convegno organizzato dalla Prof.ssa Mirzia Bianca – alla quale va rivolto un plauso per l’eccellente iniziativa – si presta ad essere analizzato non solo riguardo alle questioni, davvero numerose e importanti sotto il profilo valoriale, poste dallo studio delle fattispecie sostanziali di riferimento, come già trattato nelle relazioni che mi hanno preceduto e in quelle che seguiranno. Vi sono aspetti attinenti al c.d. best interest of the child1 che possono essere approfonditi anche riguardo alle problematiche riguardanti le 1 Sul miglior interesse del minore, in generale e in particolari ipotesi applicative, vedi G. Sciancalpore, L’interesse del minore nel giudizio di cui all’art. 274 c.c., in Rass. dir. civ., 1992, p. 841 ss.; G. Ballarani, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, esclusivo e mutamenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 29 ss.; A. Cordiano, La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 274 c.c. e i problemi di coordinamento con il rinvio operato dall’art. 279 c.c.: l’interesse del minore come una questione aperta, in Rass. dir civ., 2008, p. 915 ss.; G. Spadaro – S. Chiaravallotti, L’interesse del minore nella mediazione familiare, Milano, 2012; A. Redi, L’interesse del minore al consolidamento del legame affettivo instaurato con la famiglia affidataria: l’«adozione mite», in Le Corti Umbre, 2013, p. 829 ss.; E. Moscati, Il minore nel diritto privato da soggetto da proteggere a persona da valorizzare (contributo allo studio dell’“interesse del minore”), in Dir. fam. pers., 2014, p. 1141 ss.; E. Giacobbe, 838 The best interest of the child segnalazioni da realizzarsi mediante trascrizione. Si pensi, ad esempio, alla pubblicità del provvedimento di assegnazione della casa familiare2. Nell’ambito del presente intervento non ci occuperemo delle questioni attinenti alla nozione di casa familiare3, né ci sembra opportuno trattare le problematiche, pur importanti, connesse con la individuazione della ratio sottesa all’emanazione di un simile provvedimento, presupponendo che l’interesse all’assegnazione, ex art. 337 sexies c.c., sia quello dei figli – specie se minorenni – a mantenere il c.d. habitat domestico4. Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni sulla riforma “Bianca”, ivi, 2014, p. 817 ss.; F. Astone, Sul “diritto” di mantenere rapporti significativi con i nipoti, tra best interest del minore e nuove aspettative degli ascendenti, in Giur. cost., 2015, p. 1610 ss.; M. Porcelli, Accertamento della filiazione e interesse del minore, Napoli, 2016; G. Corapi, La tutela del superiore interesse del minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss.; M. Interlandi, Potere amministrativo e tutela delle relazioni familiari, tra esigenze di ordine pubblico e «superiore interesse» del minore straniero, in www. giustamm.it, 2017; S. Serravalle, Maternità surrogata, assenza di derivazione biologica e interesse del minore, Napoli, 2018. La considerazione, e ancor prima la definizione, dell’interesse del minore accompagna l’intera densa trattazione di A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Torino, 2018; vedi, ancora, C. Petta, La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p. 145 ss.; M. Di Masi, L’interesse del minore quale unica certezza nell’odierno diritto di famiglia, in Comp. dir. civ., 2019, p. 109 ss.; L. Delli Priscoli, The best interest of the child nel divorzio fra affidamento condiviso e collocamento prevalente, in Dir. fam. pers., 2019, p. 262 ss. 2 Recente trattazione e riferimenti in A. Ciatti Càimi, Della trascrizione degli atti relativi a beni immobili, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2018, p. 173 ss. 3 Può discutersi, sul piano teorico, sulla natura giuridica del bene “casa familiare”, con particolare riguardo alla sua qualificazione quale “bene con vincolo di finalizzazione” o “bene destinato ad uno scopo”. Nel silenzio normativo, il fondamento di detta finalizzazione non può oggi fondarsi, come autorevolmente sostenuto, sul regime di contribuzione solidale ai bisogni della famiglia (art. 143, comma 3, c.c.), o sul principio, ad esso sovrastante e costituzionalmente rilevante (art. 29, 30, 31 Cost.), della solidarietà coniugale (A. Di Majo, Doveri di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 365, 366.). Siffatta ricostruzione deve essere, a nostro avviso, disattesa, perché l’assenza di strumenti normativi a tutela della finalizzazione condannerebbe il vincolo di destinazione ad operare solo a livello enunciativo o su piano meramente descrittivo. D’altra parte, la via per la configurazione di un ipotetico vincolo di destinazione a carattere reale sulla casa deve considerarsi puramente teorica ed astratta alla luce del dato normativo di cui all’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, ultima parte, il quale richiama ai fini dell’opponibilità, oltre alla trascrizione del provvedimento, anche l’art. 1599 c.c., e, dunque, un regime speciale di trascrizione rispetto alla regola generale di cui all’art. 2644 c.c. Sulla categoria dei vincoli di destinazione insuperata è l’opera di M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996. 4 In generale, sul tema della casa familiare si vedano, di recente, F. Dell’Anna Misurale, La casa nelle vicende familiari, Napoli, 2018, ove riferimenti aggiornati; G. Carapezza Figlia – J.R. De Verda y Beamonte – G. Frezza – P. Virgadamo, Il diritto del minore all’abitazione 839 Cercheremo di chiarire, invece, i profili pubblicitari legati alla trascrizione della domanda giudiziale, dell’ordinanza data dal Presidente del Tribunale in seno ai provvedimenti urgenti e, inoltre, del provvedimento finale (le sentenze di separazione e di divorzio). Qualche cenno, infine, sarà dedicato alla negoziazione assistita e alla trascrizione dell’accordo che contiene la costituzione del diritto abitativo a tutela degli interessi dei figli. 2. Trascrizione della domanda di assegnazione della casa familiare Si discute sulla trascrivibilità della domanda di assegnazione della casa familiare in caso di separazione, di divorzio, di annullamento, di nullità del matrimonio e, infine, nei procedimenti riguardanti i figli nati al di fuori del matrimonio. Data la carenza di una disposizione tipica, la giurisprudenza propone un’interpretazione sistematica in “forza dei principi desumibili dagli artt. 2652 e 2653 c.c.” e ciò allo scopo di colmare “una lacuna dell’ordinamento, in totale contrasto con le esigenze di tutela del coniuge assegnatario”5. Si osserva, in tale direzione, che la risposta positiva al quesito avente ad oggetto l’ammissibilità di una simile formalità pubblicitaria discende dall’interpretazione coordinata degli artt. 2643 (Atti soggetti a trascrizione), 2652 (Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione) e, infine, 2653 (Altre domande e atti soggetti a trascrizione a diversi effetti) c.c.6. (cur.), La casa familiare nelle esperienze giuridiche latine, Napoli, 2016; R. Marini, Il diritto all’abitazione nei rapporti familiari, Napoli, 2012; R. Franco, Opponibilità dei provvedimenti di assegnazione della casa coniugale, Napoli, 2016. Nel senso del testo, in giurisprudenza, vedi di recente: Cass. 12 ottobre 2018 n. 25604; Cass. 4 ottobre 2018 n. 24254; Cass. 3 novembre 2017 n. 5002. Per i criteri di assegnazione della casa e la prova della sussistenza del collegamento della prole con il c.d. habitat domestico, Cass. 6 maggio 2019 n. 11844. Nella giurisprudenza di merito può segnalarsi, di recente, Trib. Torre Annunziata 7 maggio 2018 n. 1082, secondo cui in caso di separazione personale dei coniugi, la casa familiare, in mancanza di figli minorenni o non economicamente autonomi, non può essere assegnata alla parte più debole perché tale assegnazione non costituisce una misura assistenziale. 5 Trib. Venezia 20 luglio 1993, in Giust. civ., 1994, I, p. 262; Trib. Milano 26 aprile 1997, in Dir. fam. pers., 1999, p. 699. Aderiscono all’orientamento Trib. Ascoli Piceno 17 ottobre 2002, in Rep. Foro it., 2004, v. Trascrizione, n. 29; Trib. Genova 3 maggio 2001, in www.affidamentocondiviso.it. 6 A. Fraccon, Trascrivibilità della domanda giudiziale di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 1999, p. 670. 840 The best interest of the child Quello proposto è, però, dal punto di vista delle segnalazioni da realizzarsi mediante trascrizione immobiliare, un “non-argomento”7. Tale sistema pubblicitario, infatti, è informato ai principi di certez8 za e di tipicità9, onde, in tale ottica, si esclude l’ammissibilità di interpretazioni sistematiche e analogiche, mentre quella estensiva è considerata ammissibile “entro limiti di strettissima attinenza”, tenendo in considerazione “l’eccezionalità delle norme sulla trascrizione e l’assoluta vaghezza del limite che la separa dall’analogia”10. L’impostazione ci è apparsa, in più d’una occasione, condivisibile11: la tassatività degli artt. 2652 e 2652 c.c. opera, infatti, nel contesto della trascrizione delle domande giudiziali in funzione prenotativa, cautelare e provvisoria rispetto all’efficacia ultra partes della sentenza che le accoglie nel merito. Diversamente, la formalità di cui all’art. 2643 c.c. attiene agli effetti degli atti (rectius: contratti) tipizzati in tale disposizione, effetti che sono però definitivi e non provvisori, in punto di opponibilità ai terzi12. 7 L’espressione è di F. Gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della domanda giudiziale, in Dir. fam. pers., 2008, p. 742 ss. 8 Corte cost. 6 aprile 1995 n. 115, in www.cortecostituzionale.it. 9 Cass. 30 agosto 2004 n. 17391, in Foro it., 2005, I, 411. 10 F. Gazzoni La trascrizione degli atti e delle sentenze, in E. Gabrielli – F. Gazzoni (dir.), Trattato della trascrizione, I, t. I, Torino, 2012, p. 90. Non è certo questa la sede per sintetizzare il dibattito dottrinale sulla tipicità, o tassatività che dir si voglia, del sistema della trascrizione. A favore dell’impostazione tradizionale, oltre all’autorevole dottrina poc’anzi citata, vedi N. Coviello, Della trascrizione, I, rist., Napoli-Torino, 1924, p. 243 ss.; A. Ciatti Càimi, op. loc. cit. Aperture in G. Gabrielli, La pubblicità immobiliare, in R. Sacco (dir.), Trattato di diritto civile, Torino, 2012, p. 43 ss.; C. Maiorca, Della trascrizione degli atti relativi agli immobili (Art. 2643-2672), in M. d’Amelio – E. Finzi (dir.), Commentario del codice civile, Libro della tutela dei diritti, XXI, Firenze, 1943, p. 180 ss. Per un sistema aperto e atipico, vedi, invece, G. Petrelli, Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi pubblici, in Rass. dir. civ., 2009, p. 689 ss.; Id., L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009, p. 37 ss.; AA.VV., Pubblicità degli atti e delle attività, Atti dell’VIII Convegno nazionale della Sisdic, Napoli, 2014, p. 7 ss., ed ivi, vedi, in particolare, la sintesi, a favore dell’apertura, riconducibile ad autorevole dottrina: P. Perlingieri, Chiusura dei lavori, in op. ult. cit., p. 493 ss. 11 G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, (dir.) da Milano, 2014, p. 51 ss.; Id., Annotazioni, cancellazioni, titolo e nota di trascrizione. Formalità e procedimento, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2017, p. 14 ss.; Id., Pubblicità accessorie tra tipicità e atipicità, in Riv. dir. civ., 2018, p. 1092 ss. 12 Approfondimenti in G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, cit., p. 87 ss. Il diritto del minore all’abitazione 841 L’impressione che si ricava dalla lettura della citata giurisprudenza di merito è quella, invece, di una corrispondenza necessaria e biunivoca fra gli atti soggetti a trascrizione e la trascrizione delle domande giudiziali. Corrispondenza che, per essere tale, dovrebbe essere prevista dal legislatore: da qui, la necessità di indagare a quale delle ipotesi di cui all’art. 2652 c.c., in linea teoria, ci si debba riferire, in via di interpretazione estensiva, per individuare il meccanismo sotteso alla trascrizione della domanda di assegnazione13. Un orientamento del giudice del merito afferma che, in astratto, “solo la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre o della domanda diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione di scritture private in cui è contenuto un atto soggetto a trascrizione o iscrizione, di cui all’art. 2652, nn. 2 e 3, c.c.” sia “strumentale ad anticipare gli effetti di cui all’art. 2644 c.c.”, onde a quelle disposizioni occorrerebbe riferirsi per ammettere la segnalazione pubblicitaria della quale qui si discute14. I casi tipizzati dall’art. 2652 nn. 2 e 3 c.c., però, sono “alquanto peculiari e non certo suscettibili di un’interpretazione estensiva alla domanda di assegnazione della casa coniugale, proposta nel corso del procedimento di separazione o divorzio, ma, al massimo, di una alquanto problematica applicazione in via analogica al caso in esame, che, tuttavia, non risulta compatibile con il principio di tipicità della trascrizione delle domande giudiziali”. Onde, in sintesi, l’intrascrivibilità della relativa domanda. Per superare tale impasse, due sono le soluzioni proposte. Autorevole dottrina argomenta dall’interpretazione estensiva dell’art. 2652 n. 2 c.c., affermando che, poiché ogni sentenza costitutiva dovrebbe rientrare nell’ambito di applicabilità di tale disposizione (attraverso l’effetto prenotativo riconducibile alle segnalazioni pubblicitarie ivi tipizzate), sarebbe irrazionale escludere la trascrizione della domanda di assegnazione dell’abitazione che tende ad una provvedimento finale, appunto, di natura costitutiva (ovvero la sentenza di separazione e di divorzio)15. 13 Si esclude dalla nostra indagine l’analisi dell’art. 2653 c.c., ove la trascrizione delle domande e degli atti ivi tipizzati è alquanto “eterogenea” e ciò non consente alcun parallelismo, neppure quello operante su un piano meramente descrittivo, con la fattispecie oggetto dell’indagine di cui qui al testo. Sul punto, G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, cit., p. 65 ss.; p. 413 ss. 14 Trib. Pisa 27 febbraio 2008, in Dir. fam. pers., 2008, p. 737. 15 G. Gabrielli, Pubblicità dei diritti di abitazione, reali e personali, nei registri immobiliari 842 The best interest of the child In senso contrario, si è rilevato che “il provvedimento di assegnazione ha (…) un’evidente rilevanza circolatoria ai fini di cui all’art. 2644 c.c., sicché si è del tutto al di fuori dell’ipotesi di diritto potestativo seguito da sentenza, come nel caso della servitù coattiva. Ne consegue che la domanda potrà essere trascritta solo se rientrante a pieno titolo nella previsione dell’art. 2652 n. 2 c.c., se, cioè, si ipotizza un obbligo a contrarre”16. Tale sarebbe l’obbligo dei genitori di procurare un tetto ai loro figli, nella fase patologica del menàge familiare, “onde il genitore proprietario che non conviverà con i figli, pur se l’affidamento sarà condiviso, è obbligato per legge a garantire tale continuità, mediante, innanzi tutto, la stipula di un atto di godimento, legato, temporalmente, all’autosufficienza economica dei figli stessi”; atto condizionato sospensivamente, e con esplicita menzione della condizione, al provvedimento di assegnazione e “la cui natura è quella sessa del c.d. definitivo, in punto di titulus-modus e di possibile struttura unilaterale”17. Presupposto del ragionamento riferito è l’autonoma trascrivibilità di tale contratto atipico di godimento attuativo dell’obbligo (legale) di mantenimento diretto dei figli, la cui causa deve rinvenirsi nella separazione dei coniugi. Trascrivibilità che non dovrebbe oggi negarsi, sempre secondo tale impostazione, alla luce dell’introduzione dell’art. 337 sexies, comma 1, c.c. L’orientamento descritto non merita di essere condiviso perché la fattispecie legale costitutiva di tale (presunto) obbligo è non solo quella di cui all’art. 337 sexies, comma 1, c.c., ma anche quella rilevante ex art. 337 ter, comma 2, c.c. Quest’ultima disposizione prevede il coordinamento, in merito alle condizioni di affidamento – e, dunque, anche riguardo all’assegnazione della casa – tra l’accordo dei coniugi e l’intervento del giudice, intervento che, però, non si situa sul piano degli effetti, come vorrebbe la teoria in esame allorché parla di condizione, ma su quello della fattispecie. del codice civile e nei libri fondiari, in Vita not., 2003, p. 583, seguito da P. Sirena, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 559 ss. 16 F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in E. Gabrielli – F. Gazzoni (dir.), Trattato della trascrizione, II, La trascrizione delle domande giudiziali, Torino, 2014, p. 113. 17 F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre, cit., p. 114. Il diritto del minore all’abitazione 843 L’art. 337 ter, comma 2, c.c., nella parte che qui ci occupa, deve, infatti, coordinarsi con gli artt. 147, 148, 158, comma 2, c.c., 6, comma 2, l. n. 898 del 1970 e 30 Cost. e da tale coordinamento risulta ineliminabile, a nostro avviso, il sindacato del giudice su tali accordi, quale coelemento perfezionativo della fattispecie normativa. A nulla vale ribadire, in senso contrario, che “anche l’omologazione degli accordi di separazione opera alla stregua di una condicio iuris esterna”18, perché in tal modo si porrebbero sullo stesso piano il provvedimento omologativo emesso dal giudice della separazione consensuale e la sentenza costitutiva data in sede di separazione giudiziale, equiparazione che non può giustificarsi attesa la loro differenza tanto strutturale quanto funzionale. Tale equiparazione, allora, se può operare su un piano meramente descrittivo, non risolve alla radice, a nostro avviso, la critica che deve rivolgersi all’orientamento in esame, il quale sembra snaturare la fattispecie sostanziale di riferimento per adattarla alle necessità della trascrizione della domanda di assegnazione. Se quanto argomentato porta ad escludere l’ammissibilità di una simile segnalazione19, l’unica via che residua è quella di sperare che sia sollevata una questione di costituzionalità: tale tentativo, a ben vedere, è stato già esperito con esiti, tuttavia, negativi. La Corte Costituzionale ha dichiarato, invero, inammissibile, “per difetto di legittimazione del giudice rimettente”, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 155 quater (allora vigente, oggi 337 sexies 18 F. Gazzoni, La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre, cit., p. 115 ss. In un altro scritto (Frezza G., Casa familiare, in G. Ferrando – M. Fortino – F. Ruscello (cur.) Famiglia e matrimonio, II, Separazione – Divorzio, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, I, Milano, 2011, p. 1763) sono state rivolte critiche molto più dettagliate alla prospettiva qui in analisi (articolata, nella sua prima stesura, in F. Gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della domanda giudiziale, cit., p. 742 ss.), a cui l’Autore ha risposto in Id., La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre, cit., p. 115 ss. Le argomentazioni di replica appaiono fondate, onde in questa sede vale la pena riportare solo quella che, a nostro avviso, resta insuperata. 19 Secondo G. Palazzolo, Il difficile problema della trascrizione della domanda di assegnazione della casa familiare tra regole sostanziali e processo, in Fam. pers. e success., 2009, p. 841, la questione di cui qui al testo deve essere risolta non attraverso il richiamo alle norme sulla trascrizione, ma a livello di fattispecie normativa primaria: si ritiene che il negozio di alienazione dell’immobile già adibito a casa familiare, vincolato all’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico, debba essere considerato quale contratto in frode alla legge, suscettibile, al verificarsi dei presupposti legali, di revocatoria ordinaria, anche se, lo ammette lo stesso Autore, in assenza di una norma tipica in tal senso il rimedio è sottoposto all’incertezza del giudizio. 844 The best interest of the child c.c., n.d.r.), 2652 e 2653 c.c., sollevata in riferimento agli art. 3, 24, 29, 30 e 31, Cost., nella parte in cui tali norme non contemplano la trascrivibilità della domanda giudiziale di assegnazione della casa familiare contenuta in un ricorso per separazione giudiziale”, perché “le questioni incidentali di legittimità costituzionale (…) possono essere sollevate dal giudice esclusivamente nel corso di un procedimento avente carattere giurisdizionale, mentre nella specie la questione è stata sollevata nel corso del procedimento (di cui agli art. 2674 bis c.c. e 113 ter disp. att. c.c.) originato dal ‘reclamo’ proposto al Tribunale, a seguito della trascrizione con riserva, per conservare gli effetti della formalità, procedimento di natura amministrativa, che non comporta esplicazione di attività giurisdizionale e il cui provvedimento conclusivo non è idoneo a passare in giudicato”20. Sembra, dunque, che la Corte non sia voluta entrare nel merito delle questioni, trincerandosi dietro argomentazioni sicuramente “pretestuose”, onde, in concreto, si discute se possa residuare la strada del sequestro giudiziale o conservativo dell’immobile, soluzione esclusa, però, dalla giurisprudenza di merito21. Può allora, capitare, a livello pratico, che dopo la data del deposito del ricorso per separazione personale (contenente la richiesta di assegnazione) e prima della pronuncia dell’ordinanza del Presidente del Tribunale, il coniuge proprietario dell’immobile possa “essere in procinto di alienare”, con danno irreparabile per la prole. Per scongiurare tale ipotesi, la giurisprudenza ritiene ammissibile, con argomentazione che sembra essere ispirata alla tutela del c.d. best interest of the child, la richiesta di un provvedimento cautelare di urgenza ex art. 700 c.p.c. di assegnazione, e ciò in attuazione del principio generale “di agire prontamente a tutela della posizione dei minori”, introdotto in Italia dall’art. 7 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, ratificata con l. n. 77 del 200322. 20 Corte cost. 11 febbraio 2011 n. 47, in Dir. fam. pers., 2011, p. 574 ss., ma, ancora prima, vedi Corte cost. 27 febbraio 2007 n. 142, in Giur. cost., 2007, p. 2. 21 Così, infatti, Trib. Salerno 8 maggio 2007, in Fam. dir., 2008, p. 169. 22 Trib. Padova ord. 29 luglio 2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 169 ss. Sulla tutela cautelare del diritto oggetto del provvedimento assegnativo, C. Irti, Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, p. 133 ss., a cui si rinvia per le indicazioni di dottrina e giurisprudenza. Vedi, inoltre, C. Petta, La tutela del futuro assegnatario della casa familiare in prospettiva rimediale, in G. Carapezza Figlia – J.R. De Verda y Beamonte – G. Frezza – P. Virgadamo, (cur.), La casa familiare nelle esperienze giuridiche latine, cit., p. 239 ss. Il diritto del minore all’abitazione 845 3. Trascrizione del provvedimento assegnativo (provvisorio e definitivo) Ci occuperemo ora delle disposizioni sulla trascrizione del provvedimento assegnativo, sia provvisorio (si pensi all’ordinanza data dal Presidente del Tribunale in seno ai provvedimenti urgenti23) che definitivo24. Secondo l’art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c. “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.”. La disposizione merita una precisazione. L’art. 2643 c.c. contiene, infatti, un’elencazione tassativa di atti soggetti a trascrizione, mentre il successivo art. 2644 c.c. prevede, com’è noto, gli effetti riconducibili a tale formalità. Ciò significa che, stando al tenore letterale della norma, il provvedimento assegnativo deve trascriversi ex art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c. – ed in ciò si fa salvo il principio della tipicità degli atti soggetti a trascrizione – con opponibilità ai terzi non già ai sensi dell’art. 2643 c.c., ma in forza dell’art. 2644 c.c., così presupponendosi la qualificazione del diritto che sorge in capo al destinatario del provvedimento quale situazione reale. 23 La necessità della trascrizione del provvedimento dato dal Presidente del Tribunale avente ad oggetto l’assegnazione è ribadita da Cass. 18 settembre 2009 n. 20144, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 390 ss. Vedi, inoltre, Cass. 3 marzo 2006 n. 4119, in Dir. fam. pers., 2007, p. 1097. 24 Appare necessaria una precisazione metodologica. L’art. 106, comma 1, lett. a) del d. lgs. n. 154 del 2013 ha previsto, come noto, l’abrogazione dell’art. 155 quater c.c., il cui dispositivo è stato integralmente riprodotto nell’ambito dell’art. 337 sexies, comma 1, c.c., mentre l’art. 98, comma 1, lett. b) del decreto stesso non abroga l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, disposizione, quest’ultima, che contiene le norme sull’assegnazione della casa familiare nel divorzio. Si badi, però, che l’art. 337 sexies c.c., qui in commento, si applica, in forza dell’art. 337 bis c.c., ai casi di “separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”. Da qui, il delinearsi della questione relativa ai rapporti tra previgente e novellata normativa: si tratta di indagare cosa intende il d. lgs. n. 154 del 2013 là dove afferma, con specifico riferimento alla nostra indagine, che le norme sull’assegnazione della casa si “applicano” anche all’assegnazione nel divorzio, tenuto conto che, in solo quest’ultimo caso, a differenza degli altri indicati dall’art. 337 bis c.c., esiste già una disciplina tipica, non abrogata espressamente: quella appunto di cui all’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970. Secondo il nostro punto di vista, le disposizioni oggetto del rinvio non solo sopravvivevano alla nuova legge, ma con essa devono coordinarsi: si trattava, in buona sostanza, dell’estensione di una disciplina ad un’altra, onde le considerazioni di cui qui al testo avranno ad oggetto l’analisi del coordinamento fra l’art. 337 sexies c.c. e l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970. 846 The best interest of the child Tale interpretazione, però, è, a nostro avviso, sospetta di incostituzionalità, se coordinata con l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, il quale prevede che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile ai terzi, ai sensi dell’art. 1599 c.c., e, dunque, rinvia ad un regime speciale di trascrizione ai fini dell’opponibilità, ovvero quello della locazione. È forse utile ricordare, a tal proposito, che il richiamo all’art. 1599 c.c. sottintende la qualificazione della situazione che sorge in capo al destinatario del provvedimento assegnativo quale diritto personale di godimento25. All’opposto, se si sottolinea l’inciso, contenuto nell’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, “in quanto trascritta”, si deve, coerentemente, subordinare l’opponibilità ai terzi alla regola della trascrizione in assoluto, come se tale diritto abitativo fosse reale26. La questione appena descritta non è stata risolto neppure dall’intervento della Corte Costituzionale27, la quale, con sentenza interpretativa additiva, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’allora vigente art. 155, comma 4, c.c., per contrasto con gli artt. 3, 29 e 31 Cost., nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione nell’ipotesi di separazione28. In quella sentenza, la Corte ha omesso, nel dispositivo e nella motivazione, il richiamo all’art. 1599 c.c., per l’ipotesi dell’opponibilità nella separazione. Per ovviare all’errore, la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta con l’ordinanza n. 20 del 1990 (trattasi di un’ordinanza di “manifesta inammissibilità” della questione di legittimità costituzionale), affermando che “appare chiaro (…) come l’onere di trascrivere il prov- 25 P. Virgadamo, Opponibilità ai terzi del provvedimento assegnativo della casa familiare e affidamento condiviso, in Dir. fam. pers., 2008, p. 1598 ss., ove ulteriori indicazioni di dottrina. 26 G. Gabrielli, I problemi dell’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, p. 131. Sulla natura reale del diritto, C.M. Bianca, Diritto civile 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 209, secondo il quale il problema della natura del diritto di abitazione del coniuge separato o divorziato non può essere risolto secondo una qualificazione univoca. Si tratta di un diritto reale qualora la casa sia di proprietà del coniuge non assegnatario; di un diritto personale nella ipotesi di casa in locazione. 27 Corte cost. 27 luglio 1989 n. 454, in Rass. dir. civ., 1990, p. 125 ss., con nota di E. Giacobbe, L’assegnazione della casa coniugale tra separazione e divorzio. 28 L’adesione da parte della Corte Costituzionale alla c.d. ratio restrittiva ha lasciato aperta la questione dell’opponibilità dell’assegnazione disposta a favore del non affidatario; Trib. Verona 13 marzo 1990, in Foro it., 1991, I, 1, p. 386, nel senso della intrascrivibilità; Cass. 17 marzo 1989 n. 1315, in Dir. fam. pers., 1989, p. 558. Il diritto del minore all’abitazione 847 vedimento d’assegnazione nel caso di separazione, in analogia con la normativa vigente in tema di scioglimento del matrimonio, riguardi, ex art. 1599 c.c., la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte le altre ipotesi” 29. Poiché, però, un’ordinanza non può integrare sul piano del dispositivo una precedente sentenza interpretativa additiva, ne derivava un regime di trascrizione del provvedimento in analisi fortemente differenziato: per la separazione era vincolante la sentenza interpretativa additiva, che non richiamava l’art. 1599 c.c.; per il divorzio, invece, non poteva non applicarsi l’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970, ove, invece, il riferimento all’art. 1599 c.c. era (ed è) testuale. Sulla questione sono successivamente intervenute le Sezioni Unite, le quali, molto opportunamente, si sono informate ad un regime unico ed unitario di trascrizione del provvedimento assegnativo, affermando che quest’ultimo, “avente per definizione data certa, è opponibile al terzo acquirente dell’immobile in data successiva, pur se il provvedimento de quo non sia stato trascritto, per il novennio decorrente dall’assegnazione ed anche dopo il novennio ove il titolo sia stato trascritto in precedenza”30, ed è questo l’orientamento ribadito dalla più recente giurisprudenza31. L’art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c., però, è destinato a riaprire il dibattito, potendosi, oggi, ipotizzare due diversi regimi: quello della trascrizione in assoluto, introdotto dalla norma da ultimo citata e applicabile ai casi di assegnazione nella separazione, nella nullità, nell’annullamento del matrimonio e nei procedimenti aventi ad oggetto i figli i cui genitori non sono coniugati (art. 337 bis c.c.) e quello speciale delle locazioni per il solo caso del divorzio (art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970). Per superare tale impasse, occorre affermare, a nostro avviso, che il nuovo art. 337 sexies, comma 1, ultima parte, c.c., intende l’art. 2643 c.c. come norma di rinvio e ciò allo scopo di individuare, in seno all’elenco ivi indicato, l’atto a cui riferirsi ai fini della trascrizione del provvedimento in esame. 29 Pubblicata in Giur. cost., 1990, p. 54. 30 Cass., sez. un., 26 luglio 2002 n. 11096, in Dir. fam. pers., 2004, p. 688 ss., a cui si è uniformata tutta la giurisprudenza successiva. 31 P. Virgadamo, op. cit., p. 1598, per le indicazioni. 848 The best interest of the child Tale atto, coerentemente con quanto previsto nell’ambito della legge divorzile, non può che essere quello di cui al n. 8: ne consegue che il provvedimento assegnativo è da ricomprendere, a pieno titolo, nell’ambito della previsione di cui all’art. 2643 n. 14 c.c., interpretato in rapporto al n. 8, che si coordina, a sua volta, con l’art. 1599 c.c.32. L’assegnazione è, in sintesi, ancora oggi assimilabile quoad effectum, cioè ai soli fini circolatori, alla locazione ed il diritto che sorge in capo al destinatario del provvedimento è qualificabile quale situazione personale di godimento33. 4. Negoziazione assistita, diritto abitativo e tutela degli interessi dei figli: profili pubblicitari Occorre, infine, analizzare i problemi pubblicitari dell’accordo di negazione assistista che abbia ad oggetto la costituzione di un diritto personale di godimento allo scopo di garantire ai figli (minorenni, maggiorenni non autosufficienti e portatori di handicap) la conservazione dell’habitat domestico, onde la necessità di individuare, nel silenzio del legislatore, se tale atto sia trascrivibile34. 32 Contra, A. Ciatti Càimi, op. cit., p. 175, per il quale, invece, l’assegnazione sarà opponibile se trascritta ex art. 2643 n. 14 c.c. L’art. 1599 c.c., nell’ottica in esame, sarebbe solo in grado di qualificare la fattispecie sostanziale di riferimento quale diritto personale di godimento, ma non l’opponibilità ai terzi, da ricondursi, invece, alla logica dell’art. 2644 c.c. 33 Cass. 21 gennaio 2018 n. 1744, secondo cui il provvedimento di assegnazione è opponibile nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto. Interessante appare, inoltre, Cass. 10 aprile 2019 n. 9990, in Guida al dir., 2019, fasc. 29, 62, secondo cui “con riferimento alla cessione al terzo, effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario, del diritto di proprietà dell’immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all’altro coniuge – non titolare di diritti reali sul bene – collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell’atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell’art. 155 quater c.c. – applicabile ratione temporis – e della disposizione della l. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se – a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite – il giudice di merito ravvisi la instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest’ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione (…)”. Si badi che l’art. 155 quater c.c. oggi è stato sostituito dall’art. 337 sexies c.c., con dispositivo, tuttavia, identico. 34 Approfondimenti in G. Frezza, “Degiurisdizionalizzazione”, negoziazione assistita e trascrizione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 19 ss. Il diritto del minore all’abitazione 849 Anche in tal modo si realizza il principio sotteso al c.d. best interest of the child, oggetto del nostro importante convegno. La questione può essere correttamente inquadrata distinguendo i profili sostanziali da quelli formali della relativa vicenda giuridica. Dal primo punto di vista, non si ravvisano, a nostro avviso, diversità tra la condizione di assegnatario a seguito di divorzio o di separazione giudiziale e quella che sorge in capo al titolare del diritto abitativo determinato a seguito di un accordo di negoziazione assistita da un avvocato. La situazione giuridica che nasce, in entrambi i casi, è quella di un diritto personale di godimento sorto a tutela del diritto abitativo a favore dei figli, ma è necessario individuare la disposizione da scomodare ai fini della trascrizione perché, di per sé, un diritto personale di godimento non è trascrivibile ai fini dell’opponibilità. La norma di riferimento è, dunque, l’art. 337 sexies c.c. Potrebbe argomentarsi, in senso contrario, che tale diposizione, presupponendo l’intervento del giudice, sarebbe inapplicabile al caso di specie, ma deve ritenersi che la trascrizione non potrà essere negata sol perché nel caso di negoziazione assistita non è in atto una lite giudiziale, tanto più che la tutela dei figli alla conservazione dell’habitat domestico è identica in tutte le ipotesi qui esame. L’accordo di negoziazione, in sintesi, avrà ad oggetto lo stesso diritto personale di abitazione di cui all’art. 337 sexies c.c. solo se il destinatario del provvedimento assegnativo sia anche affidatario dei figli minorenni o portatori di handicap o maggiorenni non autosufficienti. Se si passa dalla sostanza alla forma, ci si può chiedere se l’accordo di negoziazione costituisca titolo idoneo alla trascrizione ex art. 2657 c.c., problema questo che non nasce in caso di divorzio o di separazione giudiziale, là dove il titolo è costituito dalla sentenza o dall’ordinanza del giudice della separazione. Per rispondere al problema posto, devono distinguersi due ipotesi. Analizziamo la prima: l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che esso risponda all’interesse dei figli, lo autorizza. Poiché tale autorizzazione non conferisce certamente natura di sentenza all’atto in esame deve ritenersi operante, in questa ipotesi, l’art. 5, comma 3, l. n. 162 del 2014, onde la necessità di far accertare al notaio la sottoscrizione del processo verbale di accordo, ai fini trascrittivi. 850 The best interest of the child Veniamo ora all’analisi della seconda ipotesi. Se l’accordo di negoziazione non rispondere all’interesse dei figli, il Procuratore della Repubblica lo trasmette entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale, il quale, fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Al di là dei problemi processuali che tale disposizione ingenera35, deve ritenersi che l’atto da sottoporre a trascrizione, ex art. 2657 c.c., dovrà essere l’ordinanza del Presidente del Tribunale con cui egli provvede senza ritardo. Sul punto devono segnalarsi due recenti e particolarmente significativi interventi della giurisprudenza di merito: secondo il primo, “è trascrivibile senza riserva l’accordo di separazione raggiunto in sede di negoziazione assistista e autorizzato dal P.M. attesa l’equipollenza che si ricava dal d.l. n. 132 del 2014 con il verbale di separazione consensuale sottoscritto in Tribunale e omologato: entrambi hanno fonte pattizia e le medesime finalità”36. In base al secondo, “è trascrivibile nei Registri immobiliari l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita tra due coniugi contenente trasferimento immobiliari a condizione che le loro sottoscrizioni siano state autenticate da un notaio”37. Deve, infine, escludersi che un problema di trascrizione possa essere prospettato nell’ipotesi in cui la separazione consensuale, la richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio siano poste in essere davanti al Sindaco. Poiché le relative disposizioni non si applicano in presenza di figli minorenni (o portatori di handicap o maggiorenni non autosufficienti), non può ammettersi la costituzione, per via negoziale, di un diritto abitativo in funzione della continuità dell’habitat domestico, né, infine, tale accordo può contenere, per precisa disposizione legislativa, patti, fra coniugi o ex coniugi, aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari da sottoporre a trascrizione. 35 Su cui vedi, fra gli altri, F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intrigata pluralità di protagonisti, in Fam. dir., 2014, p. 1141 ss.; F.S. Luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in F.L. Luiso (cur.), Processo civile efficiente e riduzione arretrato, Torino, 2014, p. 39. 36 Trib. Roma 17 marzo 2017 n. 2176, in Riv. not., 2017, p. 831 ss. 37 App. Trieste 30 maggio 2017, in Riv. not., 2017, p. 1024. Il diritto del minore all’abitazione 851 Bibliografia AA.VV., Pubblicità degli atti e delle attività, Atti dell’VIII Convegno nazionale della Sisdic, Napoli, 2014, p. 7 ss. Astone F., Sul ‘diritto’ di mantenere rapporti significativi con i nipoti, tra best interest del minore e nuove aspettative degli ascendenti, in Giur. cost., 2015, p. 1610 ss. Ballarani G., Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, esclusivo e mutamenti, in S. Patti – L. Rossi Carleo (cur.), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, p. 29 ss. Bianca C.M., Diritto civile 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 209 Bianca M., Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996 Carapezza Figlia G. – De Verda y Beamonte J.R. – Frezza G. – Virgadamo P., (cur.), La casa familiare nelle esperienze giuridiche latine, Napoli, 2016 Ciatti Càimi A., Della trascrizione degli atti relativi a beni immobili, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2018, p. 173 ss. Corapi G., La tutela del superiore interesse del minore, in Dir. succ. fam., 2017, p. 777 ss. Cordiano A., La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 274 c.c. e i problemi di coordinamento con il rinvio operato dall’art. 279 c.c.: l’interesse del minore come una questione aperta, in Rass. dir civ., 2008, p. 915 ss. Coviello N., Della trascrizione, I, rist., Napoli-Torino, 1924, p. 243 ss. Danovi F., I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intrigata pluralità di protagonisti, in Fam. dir., 2014, p. 1141 ss. Dell’Anna Misurale F., La casa nelle vicende familiari, Napoli, 2018 Di Majo A., Doveri di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 365 ss. Di Masi M., L’interesse del minore quale unica certezza nell’odierno diritto di famiglia, in Comp. dir. civ., 2019, p. 109 ss. Fraccon A., Trascrivibilità della domanda giudiziale di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 1999, p. 670 Franco R., Opponibilità dei provvedimenti di assegnazione della casa coniugale, Napoli, 2016 Frezza G., “Degiurisdizionalizzazione”, negoziazione assistita e trascrizione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 19 ss. Frezza G., Annotazioni, cancellazioni, titolo e nota di trascrizione. Formalità e procedimento, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2017, p. 14 ss. Frezza G., Casa familiare, in G. Ferrando – M. Fortino – F. Ruscello (cur.) Famiglia e matrimonio, II, Separazione – Divorzio, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, I, Milano, 2011, p. 1763 Frezza G., Pubblicità accessorie tra tipicità e atipicità, in Riv. dir. civ., 2018, p. 1092 ss. Frezza G., Trascrizione delle domande giudiziali, in F.D. Busnelli (dir.), Codice civile Commentario, Milano, 2014, p. 51 ss. 852 The best interest of the child Gabrielli G., I problemi dell’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, p. 131 Gabrielli G., La pubblicità immobiliare, in R. Sacco (dir.), Trattato di diritto civile, Torino, 2012, p. 43 ss. Gabrielli G., Pubblicità dei diritti di abitazione, reali e personali, nei registri immobiliari del codice civile e nei libri fondiari, in Vita not., 2003, p. 583 Gazzoni F. La trascrizione degli atti e delle sentenze, in E. Gabrielli – F. Gazzoni (dir.), Trattato della trascrizione, I, t. I, Torino, 2012, p. 90 Gazzoni F., Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della domanda giudiziale, in Dir. fam. pers., 2008, p. 742 ss. Gazzoni F., La domanda diretta ad ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in E. Gabrielli – F. Gazzoni (dir.), Trattato della trascrizione, II, La trascrizione delle domande giudiziali, Torino, 2014, p. 113 ss. Giacobbe E., Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni sulla riforma “Bianca”, in Dir. fam. pers., 2014, p. 817 ss. Giacobbe E., L’assegnazione della casa coniugale tra separazione e divorzio, in Rass. dir. civ., 1990, p. 125 ss. Interlandi M., Potere amministrativo e tutela delle relazioni familiari, tra esigenze di ordine pubblico e «superiore interesse» del minore straniero, in www.giustamm.it, 2017 Irti C., Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, p. 133 ss. L. Delli Priscoli, The best interest of the child nel divorzio fra affidamento condiviso e collocamento prevalente, in Dir. fam. pers., 2019, p. 262 ss. Luiso F.S., Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in F.L. Luiso (cur.), Processo civile efficiente e riduzione arretrato, Torino, 2014, 39. Maiorca C., Della trascrizione degli atti relativi agli immobili (Art. 2643-2672), in M. d’Amelio – E. Finzi (dir.), Commentario del codice civile, Libro della tutela dei diritti, XXI, Firenze, 1943, p. 180 ss. Marini R., Il diritto all’abitazione nei rapporti familiari, Napoli, 2012 Moscati E., Il minore nel diritto privato da soggetto da proteggere a persona da valorizzare (contributo allo studio dell’“interesse del minore”), in Dir. fam. pers., 2014, p. 1141 ss. Palazzolo G., Il difficile problema della trascrizione della domanda di assegnazione della casa familiare tra regole sostanziali e processo, in Fam. pers. e success., 2009, p. 841 Perlingieri P., Chiusura dei lavori, in Pubblicità degli atti e delle attività, Atti dell’VIII Convegno nazionale della Sisdic, Napoli, 2014, p. 493 ss. Petrelli G., L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009, p. 37 ss. Petrelli G., Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi pubblici, in Rass. dir. civ., 2009, p. 689 ss. Petta C., La tutela del diritto abitativo del minore in mancanza del provvedimento provvisorio di assegnazione della casa familiare, in Dir. fam. pers., 2018, p. 145 ss. Il diritto del minore all’abitazione 853 Porcelli M., Accertamento della filiazione e interesse del minore, Napoli, 2016 Redi A., L’interesse del minore al consolidamento del legame affettivo instaurato con la famiglia affidataria: l’«adozione mite», in Le Corti Umbre, 2013, p. 829 ss. Sassi A. – Scaglione F. – Stefanelli S., La filiazione e i minori, in Tratt. Sacco, Torino, 2018 Sciancalpore G., L’interesse del minore nel giudizio di cui all’art. 274 c.c., in Rass. dir. civ., 1992, p. 841 ss. Serravalle S., Maternità surrogata, assenza di derivazione biologica e interesse del minore, Napoli, 2018 Sirena P., L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 559 ss. Spadaro G. – Chiaravallotti S., L’interesse del minore nella mediazione familiare, Milano, 2012 Virgadamo P., Opponibilità ai terzi del provvedimento assegnativo della casa familiare e affidamento condiviso, in Dir. fam. pers., 2008, p. 1598 ss. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita Gaetano Edoardo Napoli Sommario: 1. Il peculiare rapporto tra il diritto e la famiglia. – 2. Depotenziamento delle norme che tutelano la famiglia in sé in ragione della valorizzazione dei diritti della persona che ne fa parte. – 3. La negoziazione assistita in materia familiare. – 4. I diversi compiti spettanti all’avvocato e al procuratore della Repubblica. 1. Il peculiare rapporto tra il diritto e la famiglia La varietà fenomenica che emerge quando si discute di diritto di famiglia sotto il profilo privatistico denota l’emergere di una sempre più forte autonomia, in capo ai membri della famiglia, nell’applicazione delle regole e nella armonizzazione delle differenti posizioni soggettive dei familiari, tale da non consentire una riconduzione rigida e univoca a norme perentorie inderogabili1. D’altronde, la famiglia può descriversi come sodalizio affettivo che deve essere in grado di darsi proprie regole di carattere pratico, che sono rispettate nella misura in cui si mantenga costantemente elevato il livello di reciproca solidarietà tra i familiari. In tal modo, la necessità di precetti normativi cogenti può considerarsi superata dall’armonica attuazione di regole condivise, potenzialmente anche difformi da quanto previsto dalla legge per la stringente tutela di ciascun singolo membro della famiglia, senza che si possa mai 1 Cfr. C.M., Bianca Diritto civile, La famiglia6, Milano, 2017, p. 5, il quale evidenzia come la famiglia sia “un fenomeno che si determina secondo matrici umane e sociali largamente estranee al diritto”. 856 The best interest of the child oltrepassare, ovviamente, il limite della necessaria liceità delle condotte tenute nelle relazioni interpersonali. Il valore così assunto dalla spontanea attuazione di regole dettagliate, ritagliate sulle peculiarità della specifica realtà familiare, consente di individuare le peculiarità del rapporto tra i legami familiari e l’intervento della norma giuridica. A un solido legame spontaneo tra i membri della famiglia, che conferma il sincero permanere dell’affectio a prescindere dall’effettivo allineamento delle condotte tenute ai precetti normativi, corrisponde, generalmente, la mancanza di interesse a far intervenire le tutele previste dal diritto. Al contrario, se da parte di uno o più membri della famiglia si invoca l’applicazione della legge contro la volontà di altro familiare, significa che non si è spontaneamente mantenuto quell’equilibrio che conduce alla naturale soddisfazione dei reciproci interessi: in questo caso, deve considerarsi caduta in crisi quell’affectio tra i congiunti. Ne deriva che, se un congiunto intende far valere il “diritto di famiglia”, cioè qualche disposizione normativa che ritiene violata da altro familiare che, di contro, non intende dar seguito alle aspettative del primo, è la famiglia, nella sua necessaria solidale compattezza, a versare in crisi. Sembra così emergere una particolarità nell’accostamento, all’interno dell’espressione “diritto di famiglia”, di due concetti che non collimano: quello del “diritto” e quello di “famiglia”, da riferire al complessivo nucleo di congiunti. Infatti, meno il diritto interviene e più resiste la famiglia come vincolo retto dalla solidarietà spontaneamente attuata tra i membri che la compongono. Le scelte politiche che stanno alla base della formulazione delle norme di legge, messe in combinazione con le opzioni interpretative che vengono predilette in sede ermeneutica (e che risultano permeabili al contesto socio-economico di riferimento), fungono da ago della bilancia: a seconda della direzione che viene assegnata alla normativa in materia, esse consentono di far prevalere ora la salvaguardia della famiglia quale entità a sé, ora la tutela del membro della stessa quale persona. Si può confermare, così, che la necessità di ingerenza del diritto all’interno dell’ambiente familiare aumenta in misura direttamente proporzionale al progressivo affermarsi, sul piano ordinamentale, della priorità della tutela dell’interesse della persona rispetto alla tutela dell’interesse della famiglia considerata nel suo insieme, nella sua essenza autonoma. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 857 2. Depotenziamento delle norme che tutelano la famiglia in sé in ragione della valorizzazione dei diritti della persona che ne fa parte In sostanza, dalle notazioni qui sopra delineate, si trae una conseguenza: maggiore è la tutela che l’ordinamento assicura alla persona che fa parte della famiglia, minore è l’intangibilità della famiglia stessa quale realtà fenomenica autonoma2. Deve essere letto in questa prospettiva il lento, ma inesorabile, appannarsi dell’effettività delle norme (anche di rango costituzionale) volte a proteggere con vigore la famiglia in modo autonomo rispetto all’individuo3 che ne è membro4. Ormai, in relazione alle problematiche familiari, nelle concrete applicazioni pratiche, si realizza quanto segue. Si assegna un valore sempre maggiore all’art. 2 Cost., norma volta a garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali5 ove si svolge la sua personalità, e a richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. In stretta connessione, si richiama costantemente anche l’art. 3 Cost., disposizione dettata al fine di salvaguardare l’uguaglianza, formale e sostanziale. D’altro canto, si realizza, quale rovescio della medaglia, una progressiva disapplicazione delle disposizioni di tutela specifica e diretta della famiglia, tra cui rientrano primariamente gli artt. 29 e 30 Cost., norme che sono state concepite proprio per limitare il valore specifico dell’uguaglianza tra le persone a garanzia dell’unità familiare (secondo comma dell’art. 29 Cost.) o per la salvaguardia dei diritti dei membri della famiglia legittima (terzo comma dell’art. 30 Cost.). Facendo dunque leva sulle norme, dai contorni certamente ampi, che pongono la persona al centro dell’obiettivo di tutela, si attua – operando in senso contrario rispetto al principio interpretativo e applicativo legato alla specialità della materia – una deroga alle norme specificamente rivolte alla salvaguardia della famiglia. 2 Sull’impostazione pubblicistica della famiglia, cfr. A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Berlino, 1914. 3 Cfr. P. Rescigno Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966. 4 Sul tema, cfr. M. Sesta, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 573. 5 Cfr. P. Perlingieri, Sulla famiglia come formazione sociale, in Dir. giur., 1979, p. 777 ss. 858 The best interest of the child Lo scopo raggiunto può certamente considerarsi condivisibile in un sistema diretto a ogni costo a dar prevalenza alla massima garanzia possibile degli interessi individuali della persona, che si riflette nell’affermazione, tanto decisa quanto astratta, dei c.d. “diritti fondamentali della persona umana”. Deve ammettersi che ciò si pone in perfetta linea, d’altronde, con le pieghe che ha preso l’evoluzione della società odierna e una tale simbiosi certamente amplifica il successo, da anni conclamato, dell’impostazione applicativa suddetta. Questo circolo (che può considerarsi virtuoso, ma anche vizioso – o quanto meno viziato – sotto l’anzidetto profilo ermeneutico) trova conferma nelle direzioni intraprese dal legislatore. Difatti, mentre al momento dell’entrata in vigore della Costituzione il modello di famiglia fondato sul matrimonio, quale vincolo praticamente indissolubile ad opera dei coniugi, era l’unico prospettato a livello legislativo e quindi prospettabile sul piano pratico (riflettendo, direttamente, il disposto dell’art. 29 Cost.), il successivo percorso normativo, caratterizzato da riforme dirette a tutelare la persona anche nei confronti della famiglia in cui si colloca, ha assegnato invece una diversa connotazione al fenomeno del sodalizio familiare. Questo cambiamento si è realizzato a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. È stato introdotto il divorzio; sono state parificate le posizioni giuridiche soggettive del marito e della moglie; è stato unificato lo stato di figlio, col superamento della (assolutamente irrazionale) distinzione tra figli legittimi e figli non legittimi; si è giunti a un formale riconoscimento delle convivenze di fatto, ma anche delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’anzidetto iter normativo è stato favorito dall’evolversi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in questa delicata materia6. La strada è stata così spianata a favore della privatizzazione delle scelte riguardanti l’appartenenza o meno a un determinato contesto familiare. Si è giunti allora a rendere sempre più soggetti alla disponibilità privata gli stessi status familiari7. Queste premesse consentono di comprendere in maniera appropriata quale significato si è inteso dare alla riforma che ha introdotto la 6 Sull’evoluzione del diritto di famiglia, cfr. P. Zatti, Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in P. Zatti (dir.) Trattato di diritto di famiglia, 1, Milano, 2011, p. 3 ss. 7 Cfr., sul tema, C. Irti, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. fam., 2016, p. 677. Cfr., sotto il profilo processuale, G. Carmellino, Crisi familiare e degiurisdizionalizzazione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 500 ss. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 859 c.d. “negoziazione assistita”, come strumento rivolto a cercare una soluzione privata e concordata alle controversie tra coniugi, anche quando riguardano figli minori o comunque non autosufficienti. Si tratta di una negoziazione che, in virtù dell’analisi attenta della situazione di antagonismo tra membri di una famiglia, mira al superamento dello stesso, puntando alla ricerca e alla valorizzazione degli interessi convergenti8. L’istituto in discorso, di cui sarà analizzato qualche aspetto nel seguito di questo contributo, mostra con evidenza lo specifico volto sopra evidenziato, essendo indirizzato a far primeggiare la volontà e, di conseguenza, la libertà del membro della famiglia, intese quali componenti che connotano i suoi diritti fondamentali. E si ritiene ormai comunemente che questi ultimi debbano prevalere, in qualsivoglia occasione di crisi familiare. 8 C.M. Bianca, La famiglia, cit., p. 188, nota che “l’alto grado di conflittualità che si riscontra nei giudizi di separazione e divorzio, e il pregiudizio che ne consegue soprattutto a carico dei figli minori, impongono la ricerca di strumenti che aiutino i coniugi e genitori ad un dialogo costruttivo”. Nell’ambito del medesimo percorso qui tracciato, prima dell’introduzione della negoziazione assistita, si è assistito a qualche tentativo, da parte del legislatore, di dar valore alla c.d. mediazione familiare. Cfr., sul tema, tra gli altri, F. Schettini – B. Mazzei, La mediazione come pratica di diversion per una separazione mite, in B. De Filippis – A.L. Buonadonna – B. Schettini – P. Ricci – M. Pini (cur.), Il mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2013, p. 271 ss.; M. Basile, La mediazione delle controversie sugli effetti della separazione e del divorzio, in G. Ferrando – M. Fortino – F. Ruscelli (cur.), Famiglia e matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, 2, Milano, 2002; I. Heynes-Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, 2a ed., Milano, 2012; G. Gullotta – G. Santi, Dal conflitto al consenso. Utilizzazione di strategie di mediazione in particolare nei conflitti familiari, Milano, 1988; G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Roma, 1992; D.G. Brown, Divorce and family mediation: History, Review, future directions, in Conciliation Courts Review, 1982, n. 20 (2), p. 1 ss. Per l’analisi delle difficoltà applicative legate alla mediazione familiare, si rinvia a G.E. Napoli, Profili privatistici della mediazione civile e commerciale, Bologna, 2015, p. 31 ss. In relazione alle differenze tra le controversie civili e commerciali e le controversie riguardanti lo stato coniugale, cfr., per alcuni rilievi di carattere generale, M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, in Riv. dir. proc., 2017, p. 892. Cfr. anche G. Capill – P. Laselva, Mediazione familiare e progetti di riforma, in Fam. dir., 2006, p. 89. Su una delle peculiarità delle controversie familiari, cfr. F. Schettini – B.Mazzei, La mediazione come pratica di diversion per una separazione mite, cit., 278: “La vicenda separativa e quella divorzile non si concludono con il pronunciamento della sentenza da parte del Tribunale, perdurando strascichi e contenziosi giudiziari, alimentati dal disagio psichico e ambientale che, in genere, hanno termine soltanto con il sopraggiungere della maggiore età dei figli e con l’apparire di nuovi scenari esistenziali”. 860 The best interest of the child 3. La negoziazione assistita in materia familiare La progressiva valorizzazione della volontà e della libertà privata, anche in contrasto con l’interesse di conservazione della famiglia quale fenomeno a sé, ha dunque ispirato9 l’introduzione della negoziazione assistita per la soluzione consensuale delle controversie tra coniugi10. La normativa a cui si fa qui riferimento è contemplata dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, come coordinato con la legge di conversione, l. 10 novembre 2014, n. 162, intitolata “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”11. 9 Sul progressivo rilievo così attribuito, in ambito di diritto di famiglia, all’autonomia privata, cfr. F. Danovi, Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco, in Fam. dir., 2015, p. 1047 ss. Cfr. anche F. Tizi, La nuova normativa sul divorzio breve: analisi della disciplina e aspetti problematici, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 1081; F. Tommaseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, p. 159 s.; A. D’Ippolito – P. Della Valle, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, Milano, 2015, p. 29 ss. 10 Si esclude l’applicazione dello strumento alle controversie riguardanti le coppie non unite in matrimonio. Cfr. Trib. Como, 13 gennaio 2016, in Fam. dir., 2016, p. 687, che prevede tuttavia – esprimendosi come segue – un particolare iter per porre rimedio all’anzidetto ostacolo nel caso in cui la negoziazione risulti comunque svolta con successo: “Qualora un accordo di negoziazione assistita sia stato stipulato da genitori non uniti in matrimonio il pubblico ministero non deve concedere l’autorizzazione prevista per legge, ma il tribunale al quale gli atti vengano trasmessi è tenuto a esaminare in camera di consiglio l’accordo, al fine di ratificarlo, previa audizione dei genitori”. In materia, cfr. M. Sesta, La crisi genitoriale tra pluralità di modelli di coppia e di regole processuali, in Fam. dir., 2017, p. 1145, il quale ritiene che “la differente strumentazione processuale appare ingiustificata”. 11 Sulla negoziazione assistita, cfr., tra gli altri, M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 891 ss.; A. D’Ippolito – P. Della Valle, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, cit.; S. Chiarloni, Minime riflessioni critiche sul trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 221 ss.; P. Farina, La negoziazione assistita dagli avvocati, da praeambulum ad litem ad outsourcing della decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, p. 514 ss.; S. Caporusso, Profili processuali delle nuove procedure consensuali di separazione personale e divorzio, in Riv. dir. civ., 2015, p. 711 ss.; G. Frezza, ‘‘Degiurisdizionalizzazione’’, negoziazione assistita e trascrizione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 18 ss.; A. Nascosi, La negoziazione assistita per la crisi coniugale: un nuovo sistema deflattivo?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1383 ss.; C. Consolo, La giustizia civile: quale volto dei nostri processi tra giurisdizione e ADR?, in Corr. giur., 2014, p. 1263 ss.; M.N. Bugetti, Separazione e divorzio senza giudice: negoziazione assistita da avvocati e separazione e divorzio davanti al Sindaco, in Corr. giur., 2015, p. 515 ss.; G. Giaimo, Negoziazione assistita nelle controversie familiari e difesa personale della parte. Appunti comparatistici, in Dir. fam., 2016, 1052 ss.; G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2016; D. Castagno, Negoziazione assistita: i primi orientamenti della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 747 ss.; G.A. Parini, La negoziazione assistita da avvocati. Tecniche e linee evolutive della autonomia privata, Torino, 2017. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 861 Questa legge detta alcune norme applicabili, in via generale, a tutte le convenzioni di negoziazione raggiunte mediante l’assistenza professionale dell’avvocato, a prescindere dall’oggetto della controversia. Si prevede, tra l’altro, che l’accordo per la negoziazione assistita, da stendere – a pena di nullità – per iscritto, obbliga le parti a cooperare in buona fede e con lealtà al fine di risolvere in via amichevole la controversia. L’impiego del termine amichevole, in combinazione con il riferimento alle controversie, potrebbe destare stupore, in un ordinamento, come quello italiano, tradizionalmente legato alla risoluzione delle liti attraverso procedure giudiziali o arbitrali volte a individuare un soggetto “vittorioso” e uno “soccombente” o attraverso accordi transattivi che prevedono “reciproche concessioni” (art. 1965 c.c.). Tuttavia, l’uso del predetto termine si inserisce nell’ambito dell’intenzione del legislatore italiano degli ultimi anni (la locuzione è utilizzata anche nella definizione di mediazione civile e commerciale offerta dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28) di incidere sulla cultura della lite, che tradizionalmente è stata intesa, nel nostro ordinamento, come fenomeno conflittuale, sia nella sua origine che nel suo esito conclusivo. La recente normativa ha voluto superare questa tradizionale impostazione. Si è aperta la strada a soluzioni dirette ad attenuare (o, perfino, a eliminare) il conflitto tra le parti, prendendo di mira un obiettivo nuovo: l’instaurazione di relazioni sostenibili tra le stesse, con miglioramento della posizione satisfattiva individuale dei soggetti coinvolti. Procedendo adesso a una rapida analisi di alcune regole di carattere generale relative al nuovo istituto qui trattato, si nota che, per legge, l’accordo per la negoziazione assistita deve indicare il termine per l’espletamento della procedura. Questo termine non può essere inferiore a un mese né superiore a tre mesi (con possibilità di proroga per ulteriori trenta giorni, previo accordo tra le parti). Ciò impedisce che venga eccessivamente dilazionato l’accesso al rimedio giudiziale ordinario. Nell’invito a stipulare la convenzione deve poi essere indicato l’oggetto della controversia, con l’avvertimento che la mancata risposta entro trenta giorni o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, 1° co., c.p.c. È previsto l’obbligo dell’avvocato di garantire la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico12. 12 Si deve ritenere che vada garantita anche la conformità al buon costume, secondo quanto si ricava, in via generale, dal combinato disposto degli art. 1343 e 1418, 2° co., c.c. 862 The best interest of the child Viene, per altro, attribuito a tale professionista l’eccezionale potere di certificare l’autografia della sottoscrizione che la parte appone all’invito, ma anche di quella che viene apposta, in caso di esito positivo della negoziazione, alla convenzione (cioè all’accordo che pone fine alla controversia). L’autenticazione da parte dell’avvocato non può però sostituirsi a quella del notaio, non risultando utile al fine della trascrizione: è appositamente prescritto, a tal uopo, l’intervento di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato13. La sottoscrizione delle parti e degli avvocati attribuisce comunque all’accordo un particolare valore: quello di titolo esecutivo e di titolo utilizzabile per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Per quanto concerne specificamente le finalità esecutive, si specifica che l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto, ai sensi dell’art. 480, 2° co., c.p.c. 13 Cfr. App. Trieste, 6 giugno 2017, n. 207, in Famiglia e diritto, 2018, p. 33: “L’accordo di negoziazione assistita non è titolo idoneo ai fini della trascrizione di un atto di trasferimento di un bene immobile nonostante il nulla osta del P.M. essendo gli avvocati muniti di un potere di autenticazione delle sottoscrizioni delle parti funzionale solo alla successiva annotazione del contenuto dell’atto nel registro dello stato civile e non di un potere di autenticazione delle sottoscrizioni finalizzato alla successiva trascrizione del contenuto dell’atto che è riservata esclusivamente ai “pubblici ufficiali a ciò autorizzati”. L’art. 6 del D.L. n. 132/2014 convertito dalla L. n. 162/2014, che disciplina la negoziazione assistita dagli avvocati in materia di separazioni e divorzi, non è norma speciale rispetto alla figura generale regolata dall’art. 5 del medesimo decreto. Anche se gli accordi di negoziazione in materia familiare producono gli effetti e tengono luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione e divorzio, ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, è necessaria l’autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo da parte di “pubblici ufficiali a ciò autorizzati”, secondo quanto previsto dall’art. 2657 c.c. La peculiare forma richiesta dalla norma trova la sua ratio nella necessità di tutelare gli interessi pubblicistici e della collettività garantendo la corretta circolazione dei beni e dei diritti reali immobiliari”. In dottrina, cfr. T.S. Barbaro, In tema di trascrizione dell’accordo di negoziazione assistita familiare, in Foro nap., 2018, p. 46. Per i diversi orientamenti sul tema, cfr. A. Todeschini Premuda, La trascrizione degli accordi tra coniugi nell’ambito della negoziazione assistita, in Nuova giur. civ. comm., II, 2018, p. 124 ss. In particolare, per l’orientamento contrario a quello proposto nel testo in relazione alle negoziazioni tra coniugi, cfr. Trib Pordenone, 16 marzo 2017, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, p. 1163: “Con l’accordo di negoziazione assistita di cui agli artt. 2 e 6 d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito in l. 10.11.2014, n. 162, le parti non solo possono tra loro compiere trasferimenti di beni immobili, ma, in materia familiare, l’autenticazione dell’accordo ad opera dei difensori delle parti, così come previsto all’art. 2, è sufficiente a soddisfare i requisiti previsti dalla legge nella parte in cui prevede che, ai fini della trascrivibilità dell’accordo nei registri immobiliari, si rende necessaria l’autentica notarile, ovvero l’autentica da parte di pubblico ufficiale all’uopo autorizzato”. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 863 Anche nel caso in cui la negoziazione dia esito negativo, la dichiarazione di mancato accordo deve essere certificata dagli avvocati che assistono le parti. Viene stabilita una peculiare valenza dell’accordo nei confronti di eventuali successivi ripensamenti. Si tratta di una regola di ordine etico-professionale: l’avvocato commette illecito deontologico se impugna l’accordo che è stato raggiunto con la sua assistenza. È l’art. 6 d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (coordinato con la l. 10 novembre 2014, n. 162) ad occuparsi della convenzione di negoziazione assistita (da uno o più avvocati) per le soluzioni consensuali in materia di crisi familiare. Al fine di garantire l’effettiva tutela di ciascuna parte, considerata la specialità della materia e il coinvolgimento di primari interessi della persona, il legislatore ha escluso (al contrario di quanto avviene con riguardo alle altre negoziazioni assistite, che vertono in materia di diritti disponibili) che la negoziazione si attui con l’assistenza del medesimo avvocato per entrambe le parti. Deve trattarsi di convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte14. In tal modo, viene salvaguardato il necessario rapporto di fiducia tra ciascun avvocato e il proprio assistito: si scongiura, cioè, l’eventualità che una parte possa risultare assistita da un professionista incaricato dall’altra parte. Aumentano così anche le aspettative che le parti ripongono nella negoziazione assistita, trattandosi di controversie – quelle familiari – in cui sono coinvolti i principali diritti inviolabili di ciascuno dei soggetti interessati. La legge prevede che l’accordo può essere raggiunto dai coniugi al fine di formalizzare una soluzione consensuale per la separazione personale, la cessazione degli effetti civili del matrimonio, lo scioglimento 14 Cfr., in senso critico, G.A. Parini, La negoziazione assistita in ambito familiare e la tutela dei soggetti deboli coinvolti, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, p. 607 s. In giurisprudenza, Trib. Torino, 13 maggio 2016, in Fam. dir., 2017, p. 267, ha assunto un orientamento particolarmente severo al riguardo, puntualizzando quanto segue: “In materia di negoziazione assistita avente ad oggetto negozi compositivi di crisi familiare, il requisito della presenza di almeno due difensori (uno per parte) non è soddisfatto là dove essi facciano parte dello stesso studio legale. L’art. 6,comma1 del testo di legge (assistenza di ciascuna delle parti da parte di un difensore), infatti, deve essere interpretato alla luce delle disposizioni del Codice Deontologico forense vigente che, all’art. 24 comma 5, trattando del conflitto di interessi, contempla espressamente un dovere di astensione anche nel caso in cui i difensori “siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale””. 864 The best interest of the child del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, 1° co., n. 2), lett. b), l. 1° dicembre 1970, n. 89815, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Tra gli adempimenti da curare, alcuni possono apparire di mero stile. Si pensi alla norma che prevede che nell’accordo si deve esplicitare che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare. Altri adempimenti, invece, rivestono particolare importanza, in relazione alla presenza o meno di soggetti da tutelare in modo cogente. Si prevede che, se non vi sono figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ai sensi dell’art. 3, 3° co., l. 5 febbraio 1992, n. 104), ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. In mancanza di irregolarità, quest’ultimo provvede a dare il nullaosta, ai fini della produzione degli effetti tipici dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio16. 15 La norma citata prevede che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi se è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta. Ciò è quanto si dispone in seguito all’intervento della l. 6 maggio 2015, n. 55. 16 Cfr. Trib. Torino, 18 dicembre 2017, in Red. Giuffrè, 2018, che così si esprime: “Deve, in primo luogo, premettersi che l’art. 156 c.c. nel disciplinare gli effetti della separazione dei coniugi, prevede, al comma 6, la possibilità per il giudice di ordinare a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. Ritiene questo Tribunale che tale possibilità sussista anche in caso di inadempimento agli obblighi previsti negli accordi di separazione raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell’art. 6 d.l. 132/2014, in quanto, secondo quanto previsto dall’art. 6 comma 3 d.l. 132/2014, “l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 865 Nella disposizione non viene espressamente previsto un termine entro il quale l’accordo deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica, al contrario di ciò che avviene – come si dirà infra – con riguardo all’accordo stipulato quando vi sono figli minori o bisognosi. Nella mancata previsione di un termine di legge può rinvenirsi l’intenzione del legislatore di affidare all’autonomia privata, quindi alla disponibilità delle parti interessate (i soli coniugi), la scelta dei tempi per la realizzazione dell’iter di separazione, di divorzio o di modifica dei loro rapporti17. In sostanza, quindi, se non vi sono figli di cui dover prendersi cura, i coniugi possono giungere a stipulare, tra loro, un accordo di separazione da metter da parte, che possa essere presentato al procuratore della Repubblica in un qualsiasi successivo momento, nell’eventualità di una rottura della comunione di vita materiale e spirituale. Resta comunque applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria, prevista dal quarto comma dell’art. 6 d.l. n. 132 del 2014, a carico dell’avvocato che non trasmetta entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo raggiunto all’esito della negoziazione assistita. Se invece vi sono figli minori18, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, la disciplina assume un diverso tenore. In tali situazioni, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro un termine ben preciso, quello di dieci giorni, al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. A quest’ultimo spetta un compito di controllo particolarmente rilevante. nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale…”, effetti tra i quali devono annoverarsi le tutele previste dall’art. 156 c.c. a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni patrimoniali nascenti dalla separazione”. 17 In Cass., 20 agosto 2014, n. 18078, si nota, d’altronde, che la separazione non è più un momento di riflessione e ripensamento che può condurre a riprendere la vita di coppia, e nemmeno l’anticamera del futuro divorzio, ma rappresenta il momento della sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo matrimoniale. 18 In tal caso, deve risultare dall’accordo che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. Tuttavia, nel caso di violazione di tale prescrizione, è difficile ipotizzare una responsabilità in capo agli avvocati qualora l’accordo risponda all’interesse del minore. 866 The best interest of the child Il procuratore della Repubblica, infatti, in questi casi, non si limita a poter dare un nulla osta. Piuttosto, in seguito alle opportune verifiche, può dare o meno la sua “autorizzazione”, che consente la produzione degli effetti tipici dei provvedimenti giudiziali di cui sopra. L’autorizzazione viene concessa solo se il pubblico ministero valuta che l’accordo risponde all’interesse dei figli suddetti. Altrimenti il procuratore della Repubblica trasmette l’accordo stesso, entro cinque giorni (anche questo termine è particolarmente breve, come si può notare), al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo19. In stretta connessione con quanto è stato espresso sopra, il termine di dieci giorni per la trasmissione dell’accordo al procuratore della Repubblica non può essere considerato ordinatorio. È lo stesso pubblico ministero, per altro, a dover verificare che il termine in questione è stato rispettato. 19 Il presidente del tribunale è tenuto a verificare che l’accordo risponda all’interesse dei figli, potendo anche disporre in difformità con quanto operato dal procuratore della Repubblica. Rientra nei suoi poteri quello di suggerire una modifica dell’accordo, ma non può modificare d’ufficio l’accordo raggiunto dalle parti, in quanto, così facendo, violerebbe il principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Non può neanche, per la stessa ragione, far transitare il procedimento in quello previsto per la separazione, giudiziale o consensuale, né in quello previsto per il divorzio dietro domanda congiunta delle parti. Sui poteri del giudice, cfr., in giurisprudenza, Trib. Termini Imerese, 24 marzo 2015, in Giur. it., 2015, p. 1879: “In ordine al provvedimento conclusivo, nel silenzio della norma, che non prevede un ulteriore provvedimento di omologazione del tribunale, come ha luogo nel procedimento di separazione consensuale, una interpretazione sistematica del complesso della normativa induce a ritenere che il procedimento si debba concludere o con un provvedimento autorizzatorio o con il diniego dell’autorizzazione, senza che vi sia la possibilità di trasformazione di tale rito in quello proprio della separazione consensuale”. Per una diversa visione, cfr. Trib. Torino, 15 gennaio 2015, in Giur. it., 2015, p. 1398: “Qualora il pubblico ministero ritenga che l’accordo sulla separazione personale, raggiunto tra i coniugi all’esito della negoziazione assistita, sia contrario all’interesse di un figlio maggiorenne e non economicamente autosufficiente, il presidente del tribunale può autorizzare solamente un accordo che sia stato modificato dalle parti in aderenza ai rilievi del p.m.; in ogni altro caso dovrà procedersi a seguito della domanda giudiziale di separazione consensuale, domanda che il presidente può invitare le parti a presentare in tempo utile ed in modo che all’udienza egli possa, alternativamente, autorizzare l’accordo modificato o procedere ai sensi degli artt. 708 e 711 c.p.c.”. Cfr. anche, Trib. Torino, 13 maggio 2016, in Giur. it., 2016, p. 2162: “In materia di negoziazione assistita avente ad oggetto negozi compositivi di crisi familiare, la fase avanti al presidente è da ricondurre lato sensu alle forme del rito camerale e al giudicante deve riconoscersi autonomia di valutazione rispetto al diniego del P.M. quanto alla portata delle condizioni della separazione o del divorzio, o della modifica delle originarie pattuizioni, anche sulla scorta delle delucidazioni che le parti possono fornire comparendo personalmente in udienza. La particolarità della procedura ex art. 6 decreto n. 132/2014 conferisce al Presidente il potere di provvedere, in caso di rifiuto del P.M., senza eccezione alcuna rispetto alle varie procedure di negoziazione menzionate nell’intestazione dell’articolo”. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 867 Il breve lasso di tempo prescritto dalla legge ai fini della sottoposizione delle clausole pattizie alla verifica della citata autorità risponde infatti alla necessità di garantire l’effettuazione di un controllo attuale (che, altrimenti, risulterebbe certamente poco conforme agli obiettivi presi di mira dal legislatore) sul concreto perseguimento, da parte dei coniugi, dell’interesse dei figli minori o bisognosi. L’esigenza legata alla necessaria attualità del controllo in discorso si evince anche dalla previsione di un termine stringente – quello di cinque giorni su menzionato – per la trasmissione dell’accordo al presidente del tribunale da parte del pubblico ministero che lo ritenga non rispondente all’interesse dei figli. È la stessa esigenza ad aver inoltre indotto il legislatore a disporre che, in tale ultimo caso, il presidente del tribunale è tenuto a provvedere “senza ritardo”. Ciò dà la misura dell’importanza che assume, in queste situazioni, la verifica – da parte dell’autorità così individuata dalla normativa – in ordine all’effettivo perseguimento dell’interesse dei figli. Qualora il controllo da parte del pubblico ministero dia esito positivo, l’avvocato è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo20. 4. I diversi compiti spettanti all’avvocato e al procuratore della Repubblica Quanto qui delineato non osta all’inserimento, in linea con il quadro tracciato nella parte iniziale di questo contributo, della negoziazione assistita tra gli strumenti offerti direttamente ai privati (in particolare, qui si tratta di coniugi) al fine di consentire agli stessi di concordare il futuro assetto dei loro rapporti familiari. Sono proprio i soggetti privati direttamente interessati dalla controversia familiare, cioè i coniugi, d’altronde, ad essere in grado di offrire tutti gli elementi utili al fine della stipula di un accordo all’esito di una negoziazione assistita dagli avvocati. 20 In caso di mancato adempimento, è prevista, a carico dell’avvocato, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemila a euro diecimila. 868 The best interest of the child Prendendo le mosse da questa premessa, si può circoscrivere il compito assegnato dalla normativa a questi ultimi professionisti nella materia in esame. È, del resto, necessario comprendere in cosa consista l’assistenza da parte degli avvocati, che qualifica, nella denominazione stessa, questa peculiare negoziazione tra coniugi. A tal fine, risulta doveroso interpretare, sistematicamente, le norme in materia di negoziazione assistita in modo coerente con le disposizioni di legge che ritagliano un ruolo al professionista forense in altri contesti pur sempre rientranti nell’ambito della risoluzione privata delle controversie. Si deduce così che gli avvocati21 hanno il compito di assistere le parti ma, in continuità con quanto avviene per la mediazione civile e commerciale22, non hanno alcun potere di controllo sulla veridicità delle informazioni ricevute dai propri assistiti. É per questa ragione che la disciplina dettata dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, come coordinato con la l. 10 novembre 2014, n. 162, non fa riferimento all’analisi di documenti da parte degli avvocati, tanto meno a un’attività istruttoria gravante sugli stessi. La terminologia impiegata è eloquente in tal senso e si pone in linea con quanto già sperimentato con le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. In sostanza, la legge riferisce testualmente quali sono gli elementi da considerare ai fini dell’assistenza alla negoziazione, qualificandoli espressamente quali dichiarazioni rese e informazioni ricevute o acquisite. Non sono cioè previsti “documenti” da sottoporre all’analisi degli avvocati incaricati dell’assistenza alla negoziazione. Si veda, al riguardo, proprio in relazione alla mancanza di documentazione (attribuire rilevanza ufficiale a dei documenti sarebbe, del resto, in grado di pregiudicare le sorti delle parti in un eventuale giudizio) l’art. 9, che prescrive l’obbligo di riservatezza in capo agli avvocati. Le menzionate “dichiarazioni” e “informazioni” implicano dunque un’attività di acquisizione, da parte dei professionisti che assistono le parti nella negoziazione, che risulta del tutto diversa rispetto a qualsivoglia attività di controllo o verifica (o, in senso lato, a qualsivoglia attività istruttoria, di accertamento). 21 Sul ruolo, in generale, dell’avvocato, cfr. G. Alpa, L’avvocato. I nuovi volti della professione forense nell’età della globalizzazione, Bologna, 2011; Id., La nobiltà della professione forense, Bari, 2004. Sull’evoluzione del ruolo dell’avvocato, cfr. anche Id., Il ruolo del difensore tra normativa interna e sovranazionale, in Dir. pen. proc., 2012, p. 10. 22 Cfr. G.E. Napoli, Profili privatistici della mediazione civile e commerciale, cit., p. 100. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 869 Nell’ambito della assistenza legale prevista dalla legge del 2014 non devono dunque essere valutati dei documenti né altri tipi di prove. Si tratta di attività che si fonda su quanto riportato dalle parti, nel rispetto della più ampia informalità. Proprio quest’ultima caratteristica garantisce, d’altro canto, il pieno riserbo (prescritto specificamente dalla disposizione su richiamata) su ogni elemento che funge da presupposto della negoziazione (agli obblighi di riservatezza si aggiungono, per altro, le norme sul segreto professionale). Oltretutto, deve segnalarsi che è su queste garanzie che fanno leva le probabilità di successo della negoziazione. Infatti, facendo seguito a quanto già accennato, si può notare che l’assenza di produzioni documentali e la mancanza di accertamenti in grado di pregiudicare le posizioni delle parti impediscono che gli elementi posti a fondamento della trattativa possano essere utilizzati – per via della forza probatoria intrinseca da attribuire a ogni scritto – al di fuori della sede deputata alla risoluzione alternativa della controversia. Queste peculiarità consentono di mantenere elevato, nelle parti coinvolte, il livello di fiducia nei confronti dello strumento conciliativo. Sebbene l’avvocato, che assiste il coniuge nell’ambito della procedura prevista dalla legge del 2014, non sia tenuto a effettuare, come qui spiegato, alcun accertamento sui presupposti della negoziazione, il suo particolare ruolo non gli consente tuttavia di esonerarsi da un altro peculiare controllo, che la legge ha inteso espressamente valorizzare, in relazione all’accordo che si raggiunge. Precisamente, l’avvocato, in sede di assistenza alla negoziazione, deve prescindere dalla verifica dei documenti in possesso delle parti, ma non può esimersi dal garantire che l’accordo – unico documento sul quale ricadono le sue responsabilità – sia conforme ai precetti normativi inderogabili. La legge, in particolare l’art. 5, 2° co., d.l. n. 132 del 2014, fa difatti gravare sugli avvocati il controllo di conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Questa disposizione non comporta nessun obbligo di accertamento, da parte degli stessi professionisti forensi, della situazione in cui versa la famiglia in crisi: l’oggetto del controllo previsto riguarda, invero, esclusivamente la struttura e il contenuto dell’accordo, cioè l’insieme delle pattuizioni raggiunte all’esito della negoziazione assistita. 870 The best interest of the child L’avvocato deve garantire cioè che il contenuto dell’accordo (cioè il suo oggetto) e la sua causa non violino norme imperative né l’ordine pubblico (né – si deve ritenere – il buon costume). Per individuare l’ambito di tale compito di certificazione che fa capo all’avvocato, si può affermare che questi sarebbe certamente responsabile se, ad esempio, attestasse la conformità alle norme imperative di un accordo volto alla riduzione di un coniuge in stato di schiavitù nei confronti dell’altro, con confinamento dentro la casa familiare. Una tale pattuizione si porrebbe infatti in grave contrasto con specifiche norme imperative: l’accordo risulterebbe pertanto illecito. La sanzione giuridica conseguente sarebbe la sua assoluta nullità, con impossibilità di produzione di effetti. La normativa sulla negoziazione assistita intende specificamente scongiurare che si giunga a conseguenze invalidatorie di questo genere: per questa ragione fa gravare sull’avvocato la su menzionata verifica di liceità. Il raggiungimento di un accordo nullo, improduttivo di effetti, renderebbe, del resto, del tutto inutile l’attività di negoziazione svolta, con assoluta impossibilità di raggiungimento degli obiettivi, in termini di efficace risoluzione alternativa delle controversie, presi di mira dal legislatore. Resta comunque salva la necessità di tener distinte la verifica della liceità dell’accordo concluso tra le parti e la verifica dei presupposti che hanno consentito di raggiungerlo. Considerato che il controllo in ordine alla veridicità di quanto addotto dai coniugi non spetta all’avvocato, quest’ultimo non deve certo ingerirsi nell’ambito della vicenda familiare, né fungere da garante della veridicità degli elementi forniti dalle parti (mediante le dichiarazioni o informazioni di cui si è detto sopra) nel corso della negoziazione. Un esempio concreto può aiutare a render più esplicite queste affermazioni. Se le parti richiedono il divorzio affermando che la separazione si è protratta per il periodo previsto dall’art. 3, 1° co., n. 2), lett. b), l. 1 dicembre 1970, n. 898 (magari mostrando un documento falso, sebbene non sia prevista – come detto – la produzione di documenti in sede di assistenza legale alla negoziazione), l’avvocato non è tenuto a verificare se ciò corrisponde al vero (tanto meno a verificare l’autenticità del certificato eventualmente mostratogli dalle parti, non dovendo, nell’anzidetta logica della negoziazione, analizzare alcun tipo di documento23). Il professionista deve infatti esclusivamente curare che 23 Resta salva la possibilità che le parti gli richiedano una consulenza in ordine a un Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 871 l’accordo in sé (cioè autonomamente considerato) non violi le norme imperative o l’ordine pubblico. Per fare un altro esempio, si pensi al caso in cui le parti comunichino all’avvocato, contrariamente al vero, di non aver figli minori o bisognosi. In tale evenienza, l’avvocato può ben assistere le parti al fine del raggiungimento di un accordo che non tenga in considerazione l’interesse dei figli. In ciò si realizza infatti quanto richiesto dalla legge a carico degli avvocati, non spettando a questi professionisti alcun ruolo di controllo. Del tutto diverso è invece il compito del procuratore della Repubblica24. Si deve considerare, al riguardo, che si tratta di un organo deputato, per legge, a differenza dell’avvocato, all’effettuazione di indagini (con ampi poteri al riguardo) e, in generale, allo svolgimento di attività istruttorie, di accertamento e verifica25. Il procuratore della Repubblica è quindi il soggetto tenuto a verificare – a prescindere dalle mere dichiarazioni o informazioni rese dalle parti in sede di assistenza alla negoziazione (attività a cui, d’altronde, non partecipa il pubblico ministero) – l’effettivo rispetto di tutte le condizioni previste dalla legge affinché l’accordo possa produrre gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. A tale verifica da parte del procuratore della Repubblica, l’art. 2 del d.l. n. 132 del 2014 testualmente subordina la produzione degli effetti, contemplati nell’art. 3. Dunque, se da un lato l’avvocato è garante – sotto il profilo privatistico, connesso alla tutela della parte dallo stesso assistita – della liceità del contenuto intrinseco dell’accordo, dall’altro lato il procuratore della Repubblica è garante – sotto il diverso profilo pubblicistico, connesso di tutela degli interessi fondamentali dei soggetti coinvolti – del qualche documento (o a più documenti) in loro possesso. Ma una tale richiesta riguarda lo svolgimento di attività professionale, appunto di consulenza, da tenere comunque distinta dall’attività di assistenza alla negoziazione, prevista dalla normativa qui in analisi. 24 Per una differente prospettiva, cfr. E. D’Alessandro, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, p. 1282 ss. 25 Cfr., sul punto, M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 896. Cfr., al riguardo, anche M.A. Lupoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 294. 872 The best interest of the child rispetto di tutti i presupposti estrinseci all’accordo, necessari affinché questo possa produrre le conseguenze giuridiche sopra indicate. Riprendendo il primo esempio qui sopra offerto, a prescindere da quanto addotto dalle parti, il procuratore della Repubblica deve verificare che la separazione si è davvero protratta per il periodo prescritto ai fini del divorzio26. Al fine del necessario controllo qui indicato, quest’organo, a differenza dell’avvocato, oltre a dover effettuare tutte le indagini del caso, può ben richiedere alle parti, al fine del nullaosta o dell’autorizzazione previsti dalla legge sulla negoziazione assistita, la produzione degli specifici documenti diretti a certificare ufficialmente la situazione in cui versano27. In relazione, poi, al secondo esempio sopra prospettato, il pubblico ministero deve considerarsi certamente tenuto alla verifica in ordine alla sussistenza di figli minori o bisognosi, a prescindere da quanto affermato dai coniugi28. Il potere/dovere di verifica che fa capo al procuratore della Repubblica assume particolare valore nel caso in cui si tratti di salvaguardare le posizioni personali e giuridiche dei soggetti più deboli che risultino coinvolti nella controversia familiare29. Il controllo da parte del pubblico 26 Cfr. M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 896; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano, 2015, p. 103. 27 La sussistenza di una convenzione di negoziazione assistita può considerarsi titolo idoneo per la richiesta di un risarcimento del danno nel caso in cui essa si sia raggiunta per via delle false informazioni rese da una delle parti in ordine alla propria situazione economica. In seguito all’impugnazione dell’accordo, si può in tal caso ottenere che questo non produca più alcun effetto e che le condizioni che regolano i rapporti patrimoniali vengano modificate. Può così essere risarcito il danno arrecato alla parte che ha confidato senza sua colpa nella validità della convenzione e che ha svolto inutilmente la propria attività precontrattuale: la sussistenza di un titolo, quale l’accordo all’esito di negoziazione assistita, consente l’applicazione, per analogia, della prescrizione ordinaria di dieci anni per far valere la responsabilità della parte scorretta. Trattandosi di responsabilità prenegoziale, non è comunque possibile richiedere il risarcimento per l’interesse positivo (che supplirebbe al mancato rispetto degli obblighi economici effettivamente connessi alla reale situazione, artificiosamente occultata dalla parte tenuta al pagamento dell’assegno). Del resto, un eventuale nuovo accordo all’esito di negoziazione assistita, in sostituzione del precedente e rispettoso della reale situazione economica delle parti, dovrebbe comunque superare il controllo da parte del procuratore della Repubblica. 28 Cfr., sul punto, A. Ronco, Negoziazione assistita ed accordi tra coniugi: il ruolo del p.m. e del presidente del Tribunale, in Giur. it., 2015, p. 1403. Cfr. anche G. Carmellino, Crisi familiare e degiurisdizionalizzazione, cit., p. 495 s. 29 Cfr., al riguardo, P. Lai, La negoziazione assistita nella crisi familiare: un mosaico in via di composizione?, in Fam. dir., 2019, p. 784. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 873 ministero deve infatti realizzarsi con il massimo scrupolo quando si tratta di verificare l’effettivo perseguimento, nell’accordo all’esito della negoziazione assistita, dell’interesse dei figli minori o bisognosi. Un tale delicato compito non può certo farsi gravare in capo agli avvocati che hanno ricevuto mandato professionale, ai fini dell’assistenza, da parte dei coniugi. È evidente quanto sia importante, per il raggiungimento delle finalità volute dalla legge, che il controllo avvenga ad opera di una autorità, investita di pubblici poteri di indagine, che risulti “terza” rispetto alle parti. Al fine di verificare che l’accordo persegue l’interesse dei figli minori o bisognosi, il procuratore della Repubblica ha il potere di effettuare indagini nei confronti delle parti: può disporre verifiche in ordine alla loro situazione familiare, con eventuali approfondimenti che gli consentono di valutare il rispetto di quanto previsto dalla normativa in materia di tutela dei soggetti deboli nell’ambito dei fenomeni di crisi della famiglia. Per la salvaguardia degli interessi di tali soggetti deboli, il procuratore della Repubblica si relaziona direttamente con le parti interessate30. Di regola, non dovrebbe effettuare le verifiche di sua competenza rapportandosi con gli avvocati che hanno prestato assistenza alla negoziazione. La legge prescrive infatti che questi ultimi professionisti supportino i coniugi nella ricerca di un accordo, ma non prevede che ricevano una procura: gli avvocati, dunque, assistono ma non rappresentano le parti. Lo stesso accordo raggiunto all’esito della negoziazione è concluso dai coniugi quali soggetti che agiscono direttamente e in proprio, in qualità di parti non rappresentate dagli avvocati bensì semplicemente da loro assistite. Tanto meno – a conferma di quanto poco sopra affermato – gli avvocati possono vantare, sulla base del mandato all’assistenza alla negoziazione, una delega a relazionarsi col pubblico ministero. D’altra parte, quand’anche una tale delega esistesse, resterebbe comunque salvo il potere/dovere del pubblico ministero di interagire direttamente con i soggetti direttamente coinvolti nella vicenda in esame. 30 Cfr., in materia, A. Trinchi, La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia (Seconda parte), in Studium iuris, 2016, p. 286, il quale ritiene che il procuratore della Repubblica possa interloquire con le parti. 874 The best interest of the child In linea con quanto disposto dagli artt. 315-bis, 336-bis, 337-octies c.c., conseguentemente a quanto delineato in questo paragrafo, il procuratore della Repubblica deve provvedere anche all’ascolto dei figli minori31. Si sottolinea, infine, come il procuratore della Repubblica possa ben sindacare gli stessi contenuti dell’accordo che sono stati già oggetto di verifica da parte degli avvocati. Certamente, non può concedere il nullaosta o l’autorizzazione in caso di accordo che violi, a suo avviso, una norma imperativa, l’ordine pubblico o il buon costume32. Né il pubblico ministero può trascurare gli eventuali vizi del consenso o i vizi meramente procedurali, quali sono quelli relativi alla presenza di almeno un avvocato per parte, all’adempimento, da parte degli avvocati, degli oneri di certificazione e informazione prescritti dalla legge, alla competenza territoriale. Bibliografia Alpa G., Il ruolo del difensore tra normativa interna e sovranazionale, in Dir. pen. proc., 2012, p. 10 Alpa G., L’avvocato. I nuovi volti della professione forense nell’età della globalizzazione, Bologna, 2011 Alpa G., La nobiltà della professione forense, Bari, 2004 Barbaro T.S., In tema di trascrizione dell’accordo di negoziazione assistita familiare, in Foro nap., 2018, p. 46. Basile M., La mediazione delle controversie sugli effetti della separazione e del divorzio, in Ferrando – M. Fortino – F. Ruscelli (cur.), Famiglia e matrimonio, in P. Zatti (dir.), Trattato di diritto di famiglia, (dir.), I, 2, Milano, 2002 Bianca C.M., Diritto civile 2.1. La famiglia6, Milano, 2017 Bove M., Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, in Riv. dir. proc., 2017, p. 892 31 Cfr. M. Bove, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, cit., p. 897. In giurisprudenza, Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238, ha statuito che l’omessa audizione del minore capace di discernimento comporta la nullità del procedimento quando non sussista, a supporto, un’adeguata motivazione. Sarebbe stata opportuna, al riguardo, una espressa previsione della necessità di ascolto del minore all’interno del d.l. n. 132 del 2014. Cfr., sul punto, F. Tommaseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, cit., p. 162. In senso contrario a quanto espresso nel testo, cfr. A. Trinchi, La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia (Seconda parte), cit., p. 287. La tesi che esclude l’ascolto del minore nell’ambito della procedura diretta a ottenere l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, si fonda sulla normativa in materia, che riserverebbe il potere di disporre l’ascolto al giudice e non al procuratore della Repubblica. 32 In senso diverso, cfr. A. Trinchi, La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia (Seconda parte), cit., p. 285; E. D’Alessandro, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, cit., p. 1283. Il minore e i nuovi modelli di negoziazione assistita 875 Brown D.G., Divorce and family mediation: History, Review, future directions, in Conciliation Courts Review, 1982, n. 20 (2), p. 1 ss. Bugetti M.N., Separazione e divorzio senza giudice: negoziazione assistita da avvocati e separazione e divorzio davanti al Sindaco, in Corr. giur., 2015, p. 515 ss. Capilli G. – Laselva P., Mediazione familiare e progetti di riforma, in Fam. dir., 2006, p. 89 Caporusso S., Profili processuali delle nuove procedure consensuali di separazione personale e divorzio, in Riv. dir. civ., 2015, p. 711 ss. Carmellino G., Crisi familiare e degiurisdizionalizzazione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 500 ss. Castagno D., Negoziazione assistita: i primi orientamenti della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 747 ss. Chiarloni S., Minime riflessioni critiche sul trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 221 ss. Cicu A., Il diritto di famiglia. Teoria generale, Berlino, 1914 Consolo C., La giustizia civile: quale volto dei nostri processi tra giurisdizione e ADR?, in Corr. giur., 2014, p. 1263 ss. D’Alessandro E., La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, p. 1282 ss. D’Ippolito A. – Della Valle P., La negoziazione assistita nella crisi coniugale, Milano, 2015, p. 29 ss. Danovi F., Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco, in Fam. dir., 2015, p. 1047 ss. Dosi G., La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2016 Farina P., La negoziazione assistita dagli avvocati, da praeambulum ad litem ad outsourcing della decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, p. 514 ss. Frezza G., ‘‘Degiurisdizionalizzazione’’, negoziazione assistita e trascrizione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 18 ss. Giaimo G., Negoziazione assistita nelle controversie familiari e difesa personale della parte. Appunti comparatistici, in Dir. fam., 2016, p. 1052 ss. Gullotta G. – Santi G., Dal conflitto al consenso. Utilizzazione di strategie di mediazione in particolare nei conflitti familiari, Milano, 1988 Heynes-Buzzi I., Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione di strategie di mediazione in particolare nei conflitti familiari, Milano, 1988 Irti C., Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. fam., 2016, p. 677 Lai P., La negoziazione assistita nella crisi familiare: un mosaico in via di composizione?, in Fam. dir., 2019, p. 784 Luiso F.P., Diritto processuale civile, V, Milano, 2015, p. 103 Lupoi M.A., Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 294 876 The best interest of the child Napoli G.E., Profili privatistici della mediazione civile e commerciale, Bologna, 2015, p. 31 ss. Nascosi A., La negoziazione assistita per la crisi coniugale: un nuovo sistema deflattivo?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1383 ss. Parini G.A., La negoziazione assistita da avvocati. Tecniche e linee evolutive della autonomia privata, Torino, 2017 Parini G.A., La negoziazione assistita in ambito familiare e la tutela dei soggetti deboli coinvolti, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, p. 607 s. Perlingieri P., Sulla famiglia come formazione sociale, in Dir. giur., 1979, p. 777 ss. Rescigno P., Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966 Ronco A., Negoziazione assistita ed accordi tra coniugi: il ruolo del p.m. e del presidente del Tribunale, in Giur. it., 2015, p. 1403 Schettini F. – Mazzei B., La mediazione come pratica di diversion per una separazione mite, in B. De Filippis – A.L. Buonadonna – B. Schettini – P. Ricci – M. Pini (cur.), Il mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2013, p. 271 ss. Sesta M., La crisi genitoriale tra pluralità di modelli di coppia e di regole processuali, in Fam. dir., 2017, p. 1145 Sesta M., La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 573 Tizi F., La nuova normativa sul divorzio breve: analisi della disciplina e aspetti problematici, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 1081 Todeschini Premuda A., La trascrizione degli accordi tra coniugi nell’ambito della negoziazione assistita, in Nuova giur. civ. comm., II, 2018, p.124 ss. Tommaseo F., La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, p.159 s. Trinchi A., La negoziazione assistita nei procedimenti di famiglia (Seconda parte), in Studium iuris, 2016, p. 286 Zagrebelsky G., Il diritto mite, Roma, 1992 Zatti P., Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2011, p. 3 ss. La posizione del minore nei procedimenti di separazione Adriana Neri 1. Il principio del “superiore interesse del minore”1, declinato in ambito processuale, indirizza l’indagine sulle forme e le modalità attraverso le quali è possibile assicurare al minore una tutela giurisdizionale effettiva nel rispetto dei parametri del giusto processo che, adattati alla peculiare situazione del fanciullo, appaiono funzionali a garantire a quest’ultimo l’adozione di provvedimenti giurisdizionali idonei a preservarne gli interessi e le legittime aspirazioni. Vi è pur da osservare, in via preliminare, come il concetto di giustizia minorile, inteso in senso lato, quale apparato di strumenti giurisdizionali attraverso i quali si attua la tutela del minore, si caratterizza tuttora per un ampio margine di indeterminatezza, dovuto essenzialmente all’impossibilità di individuare un modello processuale tipico applicabile in tutti i casi in cui venga in rilievo la posizione del minore2. 1 La clausola in questione è ormai da tempo invalsa nel lessico del diritto di famiglia, a seguito della sua prima enunciazione formale nell’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, il quale testualmente si riferisce al “best interest of the child”, senza tuttavia chiarirne il significato. Tale formula, peraltro, è stata variamente tradotta, ora come interesse “preminente” o “prevalente” ora come interesse “superiore” del minore, restando comunque indubbia la sua valenza semantica, nel senso che l’interesse del minore – in ogni procedimento in cui venga in rilievo – esige tutela e protezione prioritaria e prevalente rispetto ad altri valori pur aventi pari dignità costituzionale. In verità una prima definizione di tale concetto in linea con le traduzioni appena descritte si ritrova nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959 che, al principio 2, sancisce che “the best interest of the child shall be the paramount consideration”. 2 L’eterogeneità dei modelli processuali attraverso i quali nel nostro ordinamento si attua la tutela del minore a vari livelli è tale, infatti, da aver indotto sovente gli interpreti a parlare di un “contenitore ampio” nel quale far confluire tutti i procedimenti destinati ad incidere su diritti personali e patrimoniali del minore: così F. Danovi, Orientamenti (e disorientamenti) per un giusto processo minorile, in Riv. dir. 878 The best interest of the child È altrettanto vero, però, che – quale che sia la specificità del procedimento considerato – il preminente interesse del minore nei procedimenti che lo riguardano funge non solo da regola di giudizio3 che informa i poteri del giudice nel corso della dinamica processuale, ma anche da misura specifica per calibrare la giustizia della decisione finale. Si tratta di un interesse che dal punto di vista contenutistico è stato qualificato – a partire dalla interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 341/1990 – come interesse “a conservare e raggiungere appropriati equilibri affettivi, all’educazione e ad una idonea collocazione sociale”,un interesse, dunque, che ha una connotazione preminentemente esistenziale e che necessita di protezione e attuazione in tutti i procedimenti destinati ad incidere sulla sfera personale del minore4, specie in quelli che riguardano la crisi familiare, come il procedimento di separazione personale dei coniugi (sia esso consensuale o giudiziale)5. proc., 2012, p. 1470, il quale osserva correttamente come si riscontri un gradazione crescente sul piano della idoneità del procedimento di incidere sulla sfera del minore, passandosi da forme embrionali, ove la funzione giurisdizionale si concreta in una mera attività di controllo o autorizzativa (come accade nel caso di rilascio del passaporto necessario per l’espatrio) a forme di tutela ben più incisive, rinvenibili nei procedimenti de potestate o nei procedimenti concernenti lo status filiationis. Analoga difficoltà nel delineare con esattezza il perimetro della giustizia minorile si riscontra peraltro sul piano delle fonti sovranazionali, le quali per lo più fanno riferimento in via assai generale alle decisioni o ai procedimenti che riguardano il minore (V. per tutti, art. 3 § 1 Convenzione di New York del 1989 e art. 1 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996). Sembra il caso di osservare come la frammentarietà dei procedimenti che hanno ad oggetto la tutela dei diritti dei minori permane pur dopo le modifiche più recenti apportate dalla legge n. 219/2012, che ha unificato le competenze concernenti la filiazione (sia nata nel matrimonio che fuori da esso) in capo al tribunale ordinario, lasciando poche residue competenze in capo al tribunale per i minorenni. In argomento se vuoi v. A. Neri, Aspetti processuali dei recenti interventi legislativi in tema di filiazione, in Riv. dir. proc., 2014, p. 1095 ss. 3 In questo senso testualmente F. Tommaseo, Osservazioni sulle forme della partecipazione del minore al processo civile, in www.udai.it 4 Per una connotazione pubblica di tale interesse, attesa la centralità attribuita sul piano giurisdizionale alla posizione del fanciullo, sia nel diritto interno che sovranazionale, v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam. e dir., 2007, p. 410. 5 Benché i procedimenti generati dalla crisi tra coppie non unite da vincolo matrimoniale restino estranei alla disciplina di tale procedimento (nella duplice forma della separazione giudiziale ex art. 706 ss., e consensuale ex art. 711, commi 1° e 2° c.p.c.), per essi valgano comunque le medesime considerazioni svolte nel testo, atteso che la questione della posizione dei minori si pone in modo assolutamente identico anche un tali procedimenti, volti a dichiarare la cessazione della convivenza tra le coppie di fatto. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 879 Continuare a parlare di interesse del minore può apparire peraltro riduttivo in un momento storico in cui il vecchio modello di famiglia patriarcale, costruito sulla patria potestas, è stato integralmente soppiantato da nuovi paradigmi che vedono le relazioni familiari incentrate sulla tutela dei diritti dei singoli membri che la compongono e in primis del minore. Il minore è divenuto, infatti, progressivamente, grazie e soprattutto agli interventi attuati nell’ordinamento giuridico internazionale, titolare di posizioni giuridiche soggettive autonome6 emancipandosi definitivamente da quella tradizionale posizione che lo raffigurava come soggetto incapace, esclusivamente bisognoso di cura e di protezione7. In questa direzione, al tradizionale approccio paternalistico nell’affrontare le questioni che riguardano il minore, se ne è sostituito uno più maturo ed evoluto, volto a promuovere la tutela dei diritti di cui egli è titolare, con la conseguenza che la sua posizione, in tutti i contesti che ne implicano un coinvolgimento (diretto o indiretto), deve essere necessariamente riguardata alla luce di tale raggiunta consapevolezza. In tale mutato contesto, l’interesse del minore va pertanto correttamente ricondotto alla sfera dei diritti soggettivi che riguardano il fanciullo e che rendono la sua posizione analoga – dal punto di vista della tutela esigibile – a quella delle parti adulte, protagoniste del processo. 2. Impostato in questi termini il tema dell’indagine si tratta dunque di verificare se – e in che misura – l’ordinamento processuale offra strumenti adeguati per dare attuazione al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale del fanciullo che sia coinvolto nel processo della crisi familiare – e in particolare nel giudizio di separazione – e alla verifica di quale sia la sua corretta collocazione all’interno di tale processo. 6 Si v. per tutti la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo sopra richiamata, considerata tradizionalmente come il manifesto universale dei diritti del minore. Tra i diritti del fanciullo in essa enunciati, si ricordano, a mero titolo esemplificativo, il diritto a conoscere i propri genitori e ad essere allevati da essi, per quanto possibile (art. 7); il diritto a non essere separato da essi, a meno che la separazione non sia giustificata dal suo preminente interesse (art. 9), nonché il diritto a preservare le proprie relazioni familiari (art. 8). In argomento v. per tutti, G. Ruffini, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam pers., 2006, p. 1258, nonché A. Carratta, Per i diritti processuali del fanciullo a vent’anni dalla Convenzione di New York del 1989, in www.Treccani.it. 7 G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1607 ss.; B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, p. 3 ss. In giurisprudenza v. Cass. 21 ottobre 2009, n. 22238, nella quale si afferma limpidamente che il minore non è più oggetto di tutela ma soggetto e titolare di diritti autonomi e perfetti. 880 The best interest of the child L’esame che ci accingiamo a compiere, peraltro, presuppone inevitabilmente che si sia sciolto il dubbio circa la possibilità che al minore sia riconosciuta la qualità di parte nel procedimento considerato, in quanto idoneo ad incidere su uno o più dei suoi fondamentali diritti. Per comprendere appieno il significato di questa affermazione, che rinvia alle categorie generali del processo civile, sembra utile premettere che la capacità di essere parte8 spetta a chiunque goda di capacità giuridica (art. 1 c.c.) e possa quindi essere titolare di diritti soggettivi. In questo senso, parte del processo in senso sostanziale è colui nella cui sfera giuridica debbono prodursi gli effetti del provvedimento giurisdizionale. La capacità processuale – tecnicamente la capacità di stare in giudizio o di essere autore degli atti processuali, nonché destinatario degli effetti che da tali atti derivano9 – spetta invece soltanto a chi abbia la capacità di agire (art. 2 c.c.) e dunque possa divenire parte in senso formale del processo10. Pur verificandosi, nella generalità dei casi, la coincidenza in capo al medesimo soggetto della qualità di parte in senso sostanziale e processuale, può ben verificarsi una scissione tra le due qualifiche, come accade appunto nel caso del minore. Al minore di età, infatti, proprio perché privo della capacità agire, è negata ex lege la qualifica di parte in senso processuale (o formale), non potendo egli essere soggetto degli atti del processo, in quanto incapace di stare in giudizio se non legalmente rappresentato da un altro soggetto al quale la legge attribuisce la c.d. “rappresentanza legale”. Essa di norma spetta ai genitori che esercitano la responsabilità genitoriale o al tutore11, a meno che non si tratti di minore emancipato o di azioni che derivino dal contratto di lavoro, in tutti i casi in cui il minore sia considerato, in base alla legislazione speciale, capace di prestare il 8 Gli studi sul concetto di parte nel processo sono molteplici, sicché sarebbe quasi impossibile darne conto in questa sede in modo completo. Sia consentito rinviare, per tutti, a S. Satta, Il concetto di parte, in Riv. dir. civ., 1957, p. 68 ss.; A. Proto Pisani, voce Parte nel processo, (dir. proc. civ.) in Enc. dir., XXXXI, Milano, 1981, p. 917 ss.; C. Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Milano 1959, p. 144. 9 V. in tal senso P. Luiso, Diritto processuale, I, I principi generali, Milano, 2009, p. 194 10 L’art. 75 c.p.c. qualifica come incapaci di stare in giudizio coloro che non hanno il libero esercizio dei diritti che si fanno valere: il minore, in quanto legalmente incapace di agire non ha il libero esercizio dei diritti di cui è titolare. 11 La rappresentanza legale c.d. “naturale” spetta, ai sensi dell’art. 320 c.c., ai genitori congiuntamente o a quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale. Solo in via subordinata, in assenza delle figure appena menzionate, la legge attribuisce la rappresentanza legale ad un tutore o, nel caso in cui questi sia in conflitto di interessi con il minore, al protutore (art. 360 c.c.). La posizione del minore nei procedimenti di separazione 881 proprio lavoro (art. 2 c.c.), o infine di azioni che derivino dall’opera dell’ingegno, secondo quanto disposto dalla legge sul diritto di autore (art. 108, l. 22 aprile 1941, n. 633) Al rappresentante legale (genitore o tutore) spetta di regola la rappresentanza del minore, sia sul piano sostanziale che processuale, salva l’ipotesi in cui manchi tale figura e vi siano ragioni di urgenza o, infine, ricorra l’ipotesi di conflitto d’interessi, nel qual caso la legge prevede la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. La circostanza che il minore non abbia la capacità di stare in giudizio se non per mezzo dei suoi rappresentanti non implica, peraltro, che a tale soggetto non possa essere riconosciuta la qualifica di parte (necessaria) nei procedimenti destinati ad incidere su uno dei suoi fondamentali diritti, con la conseguenza che, in tale ipotesi, egli dovrebbe partecipare al processo, sin dalla sua introduzione. Ora, mentre non desta particolari perplessità all’interprete il riconoscimento in capo al minore della qualità di parte del processo in senso sostanziale, in tutti quei procedimenti che abbiano ad oggetto uno dei diritti che afferiscono alla sua sfera patrimoniale o esistenziale sulla quale è destinato a ripercuotersi il provvedimento giurisdizionale, assai più problematica si configura la possibilità di riconoscere al minore la qualità di necessario contraddittore in tutti gli anzidetti procedimenti, sia pure attraverso l’interposizione soggettiva dei suoi rappresentanti legali (genitori, tutore o eventualmente curatore). La soluzione positiva della questione, infatti, non costituisce la necessaria conseguenza del riconoscimento in capo al minore della qualità di parte in senso sostanziale, posto che è ben possibile, sulla base dei principi generali che governano il processo, che un determinato soggetto possa essere destinatario degli effetti del provvedimento giurisdizionale finale senza per questo divenire parte del relativo procedimento12. 3. La complessità del problema che si affronta deriva, invero, dalla circostanza che il legislatore non ha adottato soluzioni omogenee per tutte le ipotesi in cui nel processo siano implicati i diritti del minore. E così, mentre non vi è dubbio che nei procedimenti che riguardano i 12 Si pensi all’ipotesi di legittimazione straordinaria di cui all’art. 111 c.p.c. in cui la legge eccezionalmente prevede che il titolare del diritto sostanziale controverso sia soggetto agli effetti (diretti) della sentenza pur senza aver preso parte al processo e quindi senza mai divenire parte in senso processuale. In argomento v. A. Proto Pisani, voce Parte (diritto processuale civile) in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 162 882 The best interest of the child suoi diritti soggettivi patrimoniali, il minore, quale titolare del diritto controverso, partecipa al giudizio in qualità di parte, mediante l’interposizione soggettiva dei suoi rappresentanti legali13, la soluzione non è così pacifica per quei procedimenti che attengono alla sua sfera esistenziale, come quelli concernenti la crisi della famiglia, ed in particolare il giudizio di separazione, oggetto della presente indagine. Su questo versante, infatti, è dato osservare come, solo con riferimento a pochi procedimenti, il legislatore ha espressamente riconosciuto al minore la qualità di parte necessaria. Si tratta, in particolare, dei procedimenti c.d. “de potestate”, finalizzati all’adozione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale (artt. 330 ss. c.c.), di quelli concernenti lo status filiationis e infine di quelli di adozione (disciplinati dalla l. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 149/2001), tutti procedimenti, questi, destinati ad incidere, con una gradualità progressivamente crescente, sulla sfera esistenziale del minore14. 13 In tal senso rimane esclusa, pur nella ipotesi considerata, la possibilità che al minore possa essere attribuita la qualifica di parte processuale in quanto soggetto degli atti processuali, i quali sono necessariamente posti in essere dai suoi rappresentanti legali. 14 Non essendo certo possibile soffermarsi in maniera diffusa nella trattazione dei menzionati procedimenti che esulano dall’oggetto specifico della presente indagine, basterà semplicemente osservare, per quanto qui di interesse, che per i procedimenti de potestate l’art. 336 comma 4° c.c. (introdotto dall’art. 37, l. 149/2001) prevede che il minore sia assistito da un difensore al pari dei suoi genitori. La Corte Costituzionale, peraltro, con la sentenza interpretativa di rigetto 3 gennaio 2002, n. 1, in Foro it., 2002, I, c. 3302, con nota di A. Proto Pisani, Battute di arresto nel dibattito sulla riforma del processo minorile, ha chiarito come dal citato art. 336, comma 4° c.c. si evince l’attribuzione al minore della qualità di parte necessaria del processo, accanto ai suoi genitori, sottolineando conseguentemente la esigenza che il contraddittorio sia garantito anche nei confronti di quest’ultimo, previa eventuale nomina di un curatore speciale. In senso analogo si sono espresse anche Corte Cost. 12 giugno 2009, n. 179, in Fam. e dir., 2009, p. 869, con nota di A. Arceri, Il minore ed i processi che lo riguardano, una normativa disapplicata; Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 83, in Foro it., 2011, I, c. 1289. La qualità di parte necessaria del minore nel procedimento ablativo della potestà genitoriale è stata di recente riconosciuta da Cass. 6 marzo 2018, n. 5256. Il minore è poi qualificato espressamente come litisconsorte necessario nei procedimenti concernenti lo status filiationis: si pensi, a titolo esemplificativo all’art. 247, comma 1° c.c., in tema di disconoscimento della paternità naturale, o all’art. 248 comma 2° c.c., in tema di azione di contestazione dello stato di figlio, o infine all’art. 249 c.c. che regola il procedimento di reclamo dello stato di figlio. Le due disposizioni da ultimo menzionate, per l’ipotesi in cui la azione sia proposta nei confronti di persone divenute incapaci, rinviano a quanto stabilito nel precedente art. 247 c.c. il quale testualmente dispone che: “il presunto padre, la madre e il figlio sono litisconsorti necessari”. La stessa Consulta, peraltro, ha riconosciuto al minore la qualifica di parte necessaria nei procedimenti diretti al riconoscimento del figlio naturale (ora figlio nato fuori dal matrimonio secondo la nuova nomenclatura introdotta dalla l. n. 219/2012): Corte cost. 11 marzo 2011, n. 83, in Guida dir., 2011, La posizione del minore nei procedimenti di separazione 883 Giova osservare, ai fini di quanto si dirà più avanti con riferimento al procedimento di separazione, che in ciascuno dei procedimenti sopra menzionati la partecipazione del minore in qualità di parte postula l’esistenza di un conflitto immanente tra interesse del figlio e interessi dei genitori, anche solo potenziale15. 4. Il discorso condotto sin qui merita un ulteriore approfondimento per quanto concerne i procedimenti che hanno ad oggetto, in via principale, la crisi del rapporto coniugale – tra i quali il procedimento di separazione personale dei coniugi – per i quali generalmente si esclude che il figlio minore possa acquisire la qualità di litisconsorte necessario, sul presupposto che per tali giudizi vige il principio dell’esclusività della legittimazione attiva dei coniugi (art. 155 c.c.)16. Tale conclusione, p. 28. Infine, di analogo tenore appaiono talune disposizioni contenute nella legge che disciplina i procedimenti sullo stato di adottabilità (si v. in particolare l’art. 8, comma 4° l. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 149/2011, secondo il quale “il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore, oltre che dei genitori e degli altri parenti”. 15 Per i procedimenti concernenti la dichiarazione dello stato di adottabilità la giurisprudenza ormai da tempo afferma che tale conflitto è in re ipsa, con la conseguenza che il minore deve essere necessariamente rappresentato da un curatore speciale dovendosi, in caso contrario, ritenere l’intero giudizio affetto da nullità assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità (Cass. 8 giugno 2016, n. 11782, Cass. 19 maggio 2010, n. 1229, n. 12290, in Pluris.). A conclusioni analoghe si perviene anche in relazione all’azione di impugnativa del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio per difetto di veridicità (art. 263 c.c.) per la quale si ritiene necessaria la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore in luogo di questi ultimi, in quanto in potenziale conflitto con l’interesse del minore. Un panorama più articolato e non sempre univoco si riscontra invece per i procedimenti de potestate, per i quali, accanto all’orientamento consolidato secondo il quale l’art. 336 ult. comma c.c. (che prevede la nomina di un difensore al minore) troverebbe applicazione solo in presenza di un concreto conflitto di interessi tra genitori e minore (Cass. 31 marzo 2014, n. 7478; Cass. 21 aprile 2015, n. 8100; Cass. 14 marzo 2018, n. 6384), si riscontra qualche pronuncia in cui si afferma che la posizione del minore in tali giudizi risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori anche nel caso in cui il provvedimento ablativo o limitativo venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, in ragione della sostanziale impossibilità di stabilire, ex ante, la coincidenza e l’omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore, il quale potrebbe, in ipotesi, presentare il ricorso solo per meri interessi personali. Ne discende, pertanto, che il minore, in quanto litisconsorte necessario, deve essere rappresentato in giudizio da un curatore speciale: Cass. 6 marzo 2018, n. 5256. 16 L’art. 155, comma 3° c.c. dispone che il diritto di chiedere la separazione giudiziale (o la omologazione di quella consensuale) spetta esclusivamente ai coniugi. In senso analogo si v. anche l’art. 1 l. div. In dottrina, sulla scorta del citato dato normativo, pur negandosi che il figlio possa acquisire la qualità di litisconsorte necessario nei giudizi di separazione o divorzio, si ritiene che a questi debba essere attribuito il potere di intervenire, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., e/o di impugnare le statuizioni che 884 The best interest of the child oltre che indirettamente suggerita dal dato normativo, sembrerebbe discendere dalla diffusa convinzione che tali giudizi, in quanto attinenti principalmente alla stretta vicenda matrimoniale, da un canto non sarebbero destinati ad incidere con effetti pregiudizievoli sulla sfera esistenziale del minore, dall’altro non implicherebbero una situazione di conflitto ex ante che richieda la partecipazione del minore come parte processuale autonoma, accanto ai suoi genitori17. In questa direzione, la tutela dell’interesse del minore risulterebbe principalmente affidata al comportamento processuale (id est alle domande ed eccezioni) dei coniugi/genitori, restando di fatto rimessa al loro senso di responsabilità, oltre che alle eventuali deduzioni del PM – interveniente necessario in tali giudizi – e in ultima analisi agli ampi poteri attribuiti al giudice18. Sicuramente vi è da osservare che, a seguito delle recenti riforme in tema di filiazione – e segnatamente della l. n. 219/2012 e del successivo d.lgs. n. 154/2013, di attuazione della delega contenuta nell’art. 2, comma lett. i) della citata legge – la posizione del minore all’interno di tutti i procedimenti nei quali sia coinvolto il suo interesse appare sicuramente più rafforzata, nel senso che la sua audizione – ove lo stesso abbia compiuto i dodici anni o sia anche di età inferiore, purché capace di discernimento – viene configurata come un diritto del minore ed un adempimento ineludibile per il giudice, il quale può ometterlo solo se lo ritenga superfluo o contrario all’interesse del minore stesso, offrendo, sul punto, adeguata motivazione19. incidono sui suoi diritti patrimoniali o sui suoi rapporti personali con entrambi i genitori: G. Ruffini, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam., 2006, p. 1270. 17 Si v., in particolare, Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 185, in Giur.it., 1988, I, 1, p. 1112, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 5, comma 1, l. div., e dell’art. 708 c.p.c. (in relazione all’art. 155 c.c.) nella parte in cui, rispettivamente, nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio e nel giudizio di separazione personale dei coniugi, non prevedono la nomina di un curatore speciale che rappresenti in giudizio il minore, figlio delle parti, quanto ai provvedimenti sul mantenimento e sull’affidamento, ritenendo che i giudizi in questione non attengono, né si riflettono sullo status dei figli. 18 In tal senso, espressamente Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 185 cit., Cass. 13 luglio 1992, n. 8475. In dottrina v. M. Dogliotti – A. Figone, in M. Dogliotti (cur.), I procedimenti di separazione e divorzio, Milano 2011, p. 47, F. Danovi, Orientamenti e disorientamenti, cit., p. 1478. Sulla necessità di potenziare il ruolo del P.M. in funzione di una maggiore tutela dell’interesse del minore, v. G. Sergio, Il ruolo del Pubblico Ministero minorile tra amministrazione e giurisdizione e le funzioni del garante dell’infanzia, in Fam. e dir., 2009, p. 67 ss. 19 Così l’art. 336 bis, comma 3 c.c., introdotto dal d.lgs. n.154/2013, che in tal modo circoscrive l’ampia e generale previsione contenuta nell’art. 315 bis c.c. secondo cui La posizione del minore nei procedimenti di separazione 885 L’evoluzione giurisprudenziale che ha fatto seguito alle richiamate innovazioni legislative, in linea con le inequivoche indicazioni emergenti nel panorama delle fonti internazionali20, si è mossa in modo deciso nella direzione di valorizzare l’audizione del minore, configurandolo come uno strumento processuale che, pur non potendosi qualificare come un mezzo di prova in senso tecnico21, consente al giudice di acquisire informazioni significative e rilevanti sui bisogni e le esigenze del minore per una migliore valutazione del suo effettivo interesse, al punto che la sua pretermissione, in assenza di adeguata motivazione in relazione all’esistenza di un contrario interesse o alla sua manifesta superfluità, costituisce violazione dei principio del contraddittorio e del giusto processo, cui consegue la nullità del procedimento22. 5. Vi è tuttavia da domandarsi se lo strumento dell’audizione del minore, unitamente alla presenza del PM nel processo di separazione e ai poteri officiosi di direzione e controllo che indubbiamente spettano al giudice anche in tale giudizio, possano considerarsi sufficienti per il figlio dodicenne o anche infradodicenne, ove capace di discernimento ha “il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni o le procedure che lo riguardano”. Giova inoltre ricordare che nel successivo art. 337 octies c.c., rubricato “Poteri del giudice e ascolto del minore”, il legislatore del 2013 ha ulteriormente specificato che “nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”. 20 Si veda per tutti l’art. 3 della citata Convenzione di Strasburgo del 1996, rubricato “Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti” il quale dispone che “al minore che è considerato dal diritto interno avente una capacità di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare : a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere la propria opinione; C) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione”. 21 In argomento v. per tutti L. Querzola, L’ascolto del minore, in. M.A. Lupoi, (cur.), Trattato della separazione e del divorzio, II, Roma, p. 278 22 Cosi, tra le più recenti, Cass. 13 febbraio 2019, n. 4246, Cass. 7 marzo 2017, n. 5656, in Fam e dir., 2018, 352, con nota di A. Nascosi, Nuove direttive sull’ascolto del minore infradodicenne, Cass. 24 maggio 2018, n. 12957, in Foro it., 2018, n. I, c. 2364, in relazione ad un giudizio di separazione giudiziale. Già nella vigenza dell’art. 155 sexies c.c. le sezioni unite avevano affermato il medesimo principio, con la pronuncia 21 ottobre 2009, n. 22238, in Riv. dir. proc., 2010, p. 1415, con nota di F. Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento del giudice, in Fam e dir., 2010, p. 364, con nota di A. Graziosi, Ebbene si, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. pers. succ., 2010, p. 652, con nota di T. Iannone, Le sezioni unite danno voce ai figli contesi fra genitori separati, resa proprio in un procedimento di modifica delle condizioni di separazione tra i genitori. 886 The best interest of the child consentire al minore una partecipazione al processo in condizioni di parità con le altre parti e quindi garantirgli, in definitiva, una tutela che possa dirsi davvero effettiva. È evidente, infatti, che negare al minore la possibilità di partecipare al processo della crisi familiare assumendo il ruolo di parte accanto a quello dei genitori vuol dire di fatto disconoscere che lo stesso sia titolare di posizioni soggettive autonome e diverse da quelle di questi ultimi – malgrado di ciò oggi nessuno invero dubiti – relegandolo ai margini della vicenda processuale come soggetto destinatario di una tutela solo riflessa e indiretta23. In questa prospettiva la sola audizione del minore, benché certamente strumento “qualificato” di acquisizione di informazioni rilevanti per il giudice, non può certamente costituire l’unica forma di partecipazione del minore al processo. Infatti, da un lato, non sempre l’audizione del minore, pur capace di discernimento, consente una valutazione obiettiva dei suoi interessi; dall’altro è dato osservare come nella prassi l’ascolto del minore si svolge sovente in forma indiretta, ossia non davanti al giudice, bensì ad un consulente specializzato da questi nominato, venendo così a mancare quel contatto diretto con l’organo deputato ad assumere la decisione finale, tenendo in debito conto anche l’interesse del minore24. E ciò a prescindere da ogni considerazione sul fatto che l’ascolto è comunque precluso al minore che sia incapace di discernimento o giudicato in concreto tale dal giudice. 23 V. in senso critico F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, IV, La crisi della famiglia, in A. Cicu – F. Messineo – L. Mengoni,Tratt. dir. civ. comm., continuato da P. Schlesinger, Milano, 2015, p. 148, secondo il quale minore nella prassi risulta “relegato al ruolo di spettatore del processo, lasciando ai genitori il dominio attivo dei temi della controversia e confidando nell’intervento equilibratore del giudice o del p.m., soggetti istituzionali deputati al controllo e alla salvaguardia del suo interesse”. 24 Al riguardo la Corte di Cassazione, con la ordinanza 24 maggio 2018 n. 32309 cit., ha chiarito come l’ascolto “è una relazione tendenzialmente diretta che da spazio, all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore mentre la consulenza, se pur si avvale preferibilmente di un ascolto diretto del minore da parte di uno specialista, è un indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio”, giungendo alla conclusione che il giudice, non soltanto deve motivare le ragioni per cui ritiene di non dover eventualmente disporre l’ascolto del minore, ma deve altresì esplicitar i motivi per i quali ritiene preferibile l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali a quello diretto che avviene dinanzi a lui. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 887 Quanto alla presenza del PM nei procedimenti di separazione personale dei coniugi, come in tutti le cause matrimoniali per le quali il suo intervento è obbligatorio a pena di nullità del procedimento (ex art. 70, comma 1, n. 2 c.p.c.), il riscontro della prassi rivela, in realtà, come il ruolo di questo organo si risolva nella maggior parte dei casi in una mera presa visione di atti25, sicché non può certo ritenersi che tale soggetto possa fungere da garante per l’attuazione della tutela globale del minore26. La stessa Corte Costituzionale, del resto, ha riconosciuto che gli interessi del minore non sono adeguatamente tutelati dal PM in sede di intervento obbligatorio, per la fondamentale ragione che i poteri attribuiti a quest’organo non si ricollegano a specifici interessi del minore, ma a quello dell’attuazione della legge in generale.27 6. Sulla scorta dello scenario appena delineato non può ragionevolmente negarsi che la posizione del minore resti ancora assai fragile nel procedimento che riguarda la crisi del rapporto coniugale. È evidente, peraltro, che un incremento significativo dello spessore di tutela giurisdizionale assicurabile al minore in tale sede potrebbe ottenersi solo quando allo stesso venga riconosciuta la qualità di parte (processuale) a pieno titolo, alla quale garantire sia la rappresentanza quanto la difesa tecnica. Si tratta, in fondo, di un risultato che sembra scaturire naturalmente dalla premessa, posta alla base della presente indagine, secondo la quale il minore è soggetto di diritti alla stregua dei suoi genitori. Se infatti si conviene con tale assunto, deve coerentemente riconoscersi al minore uno spazio autonomo all’interno di ogni procedimento che, investendo la crisi della famiglia, incida anche sui suoi personali interessi e diritti. In questa prospettiva, al minore non può essere negata la 25 Cfr. F. Cipriani, L’agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it, 1993, V, c. 14; F. Tommaseo, Il P.m. e la tutela del minore, davanti al tribunale ordinario e per i minorenni, in Fam. e dir., 2016, p. 1198. 26 Si ricorda, peraltro, che solo nel procedimento di divorzio è riconosciuto al PM il potere di impugnare la sentenza limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori e legalmente incapaci (art. 5 l. div.), con esclusione dunque, delle statuizioni attinenti l’affidamento, mentre analoga legittimazione non si rinviene nel procedimento di separazione, né si ritiene possibile applicare estensivamente a tale giudizio la disposizione prevista dalla legge sul divorzio (cfr. Cass. 14 maggio 2002, n. 6965, in Giust. civ. Mass., 2002, p. 1143). 27 Corte Cost. 15 novembre 2000, n. 528, cit. 888 The best interest of the child qualifica di parte processuale anche nel procedimento di separazione e la conseguente possibilità di esercitare all’interno di tale giudizio tutti i poteri processuali funzionali alla tutela della sua posizione. Come si è detto in precedenza, infatti, il giudizio di separazione, pur se tradizionalmente concepito come procedimento che ha ad oggetto in via principale il rapporto tra i genitori – in presenza di prole – coinvolge a pieno titolo anche la posizione del minore, figlio dei coniugi protagonisti del processo, sia sul piano economico/ patrimoniale che personale/esistenziale. È infatti innegabile che il provvedimento conclusivo di tale giudizio, pur diretto precipuamente a dichiarare la separazione dei coniugi, è destinato anche ad incidere anche su uno dei suoi fondamentali diritti, con la conseguenza che, mentre egli rimane sicuramente estraneo alle domande dei genitori destinate a regolare in via esclusiva i rapporti fra coniugi, deve invece considerarsi parte del processo con riferimento a quelle domande dei genitori, concernenti il suo affidamento e il suo mantenimento, che incidano su tali diritti28. In tal senso il dato normativo che sancisce l’esclusività della legittimazione attiva dei coniugi non costituisce un ostacolo insuperabile all’ammissibilità della ipotesi ricostruttiva appena prospettata, essendo evidente che esso si presti ad essere (correttamente) interpretato pure nel senso che nessun soggetto, al di fuori dei coniugi, potrebbe agire in luogo di questi ultimi per domandare la separazione, non anche come necessariamente diretto ad escludere la partecipazione nel processo, in qualità di parte, di qualsiasi altro soggetto diverso dai coniugi. Una simile interpretazione parrebbe ricevere indiretta conferma dalla constatazione che il giudizio di separazione (come del resto quello di divorzio), accanto alla domanda volta ad ottenere la separazione dei coniugi ha come oggetto (nell’eventualità in cui vi siano figli minori) anche le domande concernenti l’affidamento e il mantenimento dei figli. A confutare la soluzione secondo la quale il minore deve essere considerato parte del giudizio di separazione, sia pure con le necessarie specificazioni sopra effettuate, non varrebbe obiettare che in tal 28 In questi termini v. B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p.118 ss., la quale ritiene che il ruolo del minore nei procedimenti di separazione e divorzio sia un ruolo sui generis in quanto egli deve considerarsi parte in senso processuale solo quando la tutela giurisdizionale richiesta sia diretta ad incidere sui suoi diritti soggettivi, non anche quando le domande proposte siano dirette solo a regolare i rapporti fra i coniugi, rispetto alle quali il minore vanta un mero interesse al processo. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 889 modo il minore verrebbe indebitamente trascinato nel contenzioso che riguarda i suoi genitori, anche contro la sua volontà, finendo così per istituzionalizzarsi il conflitto in essere tra i coniugi29. Per un verso, infatti, occorre realisticamente riconoscere che il minore, a prescindere da ogni cautela adottabile, non resta mai del tutto estraneo alla crisi che travolge la famiglia e della quale il giudizio è la manifestazione più evidente ed immediata, per la semplice constatazione che, ove possibile (e dunque in presenza dei requisiti richiesti dalla legge), egli deve essere ascoltato “in tutti i procedimenti che lo riguardano”. Per altro verso deve osservarsi che la partecipazione del minore in qualità di parte fin dall’inizio del processo non inciderebbe comunque sotto il profilo evidenziato, giacché non renderebbe la posizione del minore più gravosa rispetto a quanto si verificherebbe per effetto di una sua partecipazione esclusivamente finalizzata a consentire la sua audizione, in quanto la sua presenza nel processo, in qualità di parte, avverrebbe pur sempre attraverso i suoi rappresentanti legali. Essendo, infatti, egli privo della capacità processuale in ragione della sua età, la sua partecipazione al processo, anche se da protagonista, dovrebbe pur sempre avvenire attraverso lo strumento della rappresentanza legale affidata, di norma, ai suoi genitori. Invero, come si è visto, al di fuori delle ipotesi in cui manchi il rappresentante legale o vi siano ragioni di urgenza, l’art. 78 c.p.c. contempla la nomina di un curatore speciale ad hoc, anche in presenza di un conflitto di interessi tra il rappresentante legale e il rappresentato. Tale conflitto – da intendersi in ogni caso nella sua accezione più lata e non dunque limitato alla sola sfera patrimoniale del minore, secondo la tradizionale interpretazione che ricollega l’azionabilità dell’art. 78 c.p.c. 29 In questo senso Corte Cost. 14 luglio 1986 n. 185 cit., la quale, proprio sulla scorta di questa valutazione di opportunità, ha negato che possa considerarsi costituzionalmente illegittima l’omessa previsione da parte del legislatore della nomina di un curatore speciale per la rappresentanza in giudizio del figlio minore nei procedimenti contenziosi relativi alla cessazione degli effetti civili del matrimonio ed alla separazione dei coniugi, affermando che il minore non è parte in tali giudizi, pur riconoscendo, non senza contraddizione, la possibilità di nomina di un curatore speciale per le ipotesi di concreto conflitto tra genitori e figlio. È evidente, infatti, che la nomina di un curatore speciale, sia che avvenga in presenza di un conflitto valutato ex ante, perché ritenuto in re ipsa – come accade con riferimento ai procedimenti de potestate – che di un conflitto che invece si manifesta in concreto nel corso del processo, postula la partecipazione del minore al processo in qualità di parte. In questo senso v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 414. 890 The best interest of the child alla sussistenza di un conflitto di interessi di carattere esclusivamente patrimoniale30 – nella prospettazione della giurisprudenza prevalente è ravvisabile tra il minore – incapace di stare in giudizio personalmente – e i suoi genitori – suoi rappresentanti legali (naturali) – ogni qualvolta sia dedotta in giudizio una situazione giuridica idonea a determinare la possibilità che il potere rappresentativo sia esercitato dal rappresentante in contrasto con l’interesse del rappresentato, quindi anche se detto conflitto si configuri come solo potenziale. Ne discende che la relativa verifica va condotta ex ante, tenendo conto della oggettiva materia del contendere dedotta in giudizio, anziché in concreto e a posteriori, sulla base degli atteggiamenti assunti dalle parti nel giudizio31. Tale approdo, peraltro, merita di essere adeguatamente misurato in relazione al giudizio di separazione ove invece la Suprema Corte, nelle sporadiche pronunce in cui ha avuto modo di occuparsi della questione, ha chiarito come la pendenza di un giudizio di separazione e le eventuali divergenze tra i genitori su ciò che in effetti risulti più conveniente all’interesse del minore, non creerebbero di per sé l’insorgenza di un conflitto di interessi che rende opportuna la nomina di un curatore speciale32. È interessante tuttavia osservare come nello stesso tempo la Corte riconosca che “tale conflitto può determinarsi in concreto in relazione a comportamenti processuali delle parti che tendano a impedire al giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore ovvero a frapporsi alla libera prospettazione del punto di vista del minore in sede di ascolto da parte del giudice. Si tratta, in questi casi, di una situazione di conflitto che richiede la nomina di un curatore speciale, la cui individuazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito”. Secondo tale prospettazione, sembrerebbe dunque da escludersi che nel giudizio di separazione dei coniugi il conflitto tra genitori e figlio minore possa essere ritenuto immanente e quindi accertato ex ante anche solo nel suo potenziale verificarsi, dovendosi avere riguardo alla singola vicenda processuale e al suo concreto dipanarsi. 30 Sul punto cfr. F. Tommaseo, Osservazioni sulle forme della partecipazione al minore nel processo, cit. 31 Cfr. Cass. 6 agosto 2001, n. 10822; Cass. 16 settembre 2002, n. 13507; Cass. 30 maggio 2003, n. 8803, nelle quali si afferma conseguentemente che l’omessa nomina del curatore speciale, nei casi anzidetti, determina la nullità del giudizio per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del contraddittorio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio. 32 Cass. 24 maggio 2018, n. 12957. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 891 Si tratta, tuttavia, di una conclusione che a mio avviso non può trovare accoglimento in via generale ed assoluta, non potendosi invero escludere che talvolta il conflitto tra genitori e figli meriti di essere valutato e considerato anche quando ancora non si è manifestato in concreto. Deve infatti osservarsi che nel giudizio di separazione (come del resto in ogni giudizio avente ad oggetto la crisi del rapporto coniugale) i coniugi-genitori sono sempre parti necessarie che agiscono a tutela di posizioni soggettive che, quanto meno nelle ipotesi in cui la separazione assuma le forme del giudizio contenzioso, sono inevitabilmente contrapposte33. In tale contesto, in cui normalmente la conflittualità è piuttosto elevata, non appare così peregrino ipotizzare che il conflitto nei confronti del minore debba essere valutato in astratto, specie in quei casi in cui esso rimane latente e strisciante, e quindi non facilmente percepibile al di fuori del contesto familiare, privando i genitori della necessaria imparzialità per valutare con occhi obiettivi l’interesse del figlio rispetto alle vicende che lo riguardano direttamente. In questi casi, lo strumento “fisiologico” della rappresentanza legale dei genitori si rivela in realtà inadeguato a preservare l’interesse del minore34, sicché l’unico modo per garantire allo stesso una tutela giurisdizionale effettiva sembra quello di fare ricorso alla nomina di un rappresentante legale ad hoc (id est di un curatore speciale) nominato su richiesta del PM (come avviene nella generalità dei casi), del minore stesso o dei prossimi congiunti di questi, compresi gli stessi rappresentanti (naturali) in conflitto di interessi, così come consentito dall’art. 79 c.p.c. Sulla base di quanto ipotizzato discende che nel giudizio di separazione, al quale partecipi sin dall’inizio il minore in qualità di parte, potrà prefigurarsi una duplice scenario a seconda che sia stata rilevata o meno la sussistenza del conflitto tra questi e i suoi genitori. In quest’ultimo caso, infatti, la posizione del minore, pur presente come 33 Da questo punto di vista diversa sarebbe la posizione del tutore, eventualmente nominato in mancanza di rappresentanti legali naturali, atteso che tale soggetto rappresenterebbe il minore nel processo, agendo in suo nome e per suo conto, senza con ciò far valere in giudizio alcuna posizione personale. Non a caso, infatti, la giurisprudenza generalmente esclude che il tutore, pur se nominato nel corso del procedimento, possa ritenersi in conflitto potenziale con il minore, essendo invece necessaria, per provare la sussistenza del conflitto, la deduzione di concrete circostanze. Cass. 19 ottobre 2011, n. 21651, in Foro it., 2012, I, c. 821, Cass. 19 maggio 2010, n. 12290. 34 In tal senso, B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p. 288. 892 The best interest of the child posizione soggettiva ontologicamente e concettualmente distinta da quella dei suoi genitori, non sarà apprezzabile esteriormente, data la convergenza, nelle medesime persone fisiche, della posizione del minore e di quella dei genitori, i quali dunque agiranno in giudizio sia iure proprio che a tutela del minore. Per contro, la presenza del minore nella anzidetta qualità risulterà manifesta quando, rilevato il conflitto, sia stato nominato un curatore speciale in luogo dei rappresentanti naturali. 7. Nulla peraltro è previsto quando, malgrado l’esistenza di tale conflitto, non si proceda alla nomina del curatore, in difetto di una istanza in tal senso da parte dei soggetti legittimati. Poiché, peraltro, come si è detto, l’omessa nomina del curatore costituisce una carenza in grado di determinare la nullità assoluta ed insanabile dell’intero procedimento, ci si è inevitabilmente interrogati sulla possibilità che il giudice proceda alla nomina d’ufficio del curatore, pur in assenza di una normativa specifica sul punto. Pochi, infatti sono i casi in cui lo stesso legislatore ha espressamente previsto tale possibilità, giudicando immanente il conflitto con i suoi genitori35. La soluzione positiva di tale questione sembra peraltro aver trovato definitivo accoglimento nella giurisprudenza di merito, ove si riconosce che la disposizione dettata dall’art. 78 c.p.c. non deve considerarsi di eccezionale applicazione, essendo espressione di una regola generale destinata ad operare ogni qualvolta sia necessaria la nomina di un rappresentante all’incapace36. 35 È quanto accade, ad esempio, nel procedimento per il disconoscimento della paternità ex art. 244 comma 4° c.c., ove si prevede che l’azione possa essere promossa da un curatore speciale nominato dal giudice. La stessa possibilità, peraltro, è riconosciuta dalla giurisprudenza nei procedimenti de potestate, per i quali si ritiene che il conflitto investa sempre entrambi i genitori. Su tali questioni v. supra nota 15. 36 V. Trib. Milano, 19 giugno 2014, in www.ilcaso.it, con riferimento ad un procedimento ex art. 709 ter c.p.c. nel quale il tribunale, in presenza di una conflittualità molto accesa, ha ritenuto opportuno nominare ex officio un curatore speciale ad una minore “affinché la rappresenti in questo momento di scontro genitoriale preservandola dalle conseguenze di sfavore che il conflitto genitoriale può determinare”. In senso analogo Tribunale Varese 12 febbraio 2013, in www.ilcaso.it. Sulla stessa linea, sia pure con differenti sfumature, Tribunale di Genova 9 agosto 2017 che, relativamente ad un procedimento di separazione, ha ritenuto necessaria la nomina di un curatore speciale del minore all’esito della udienza presidenziale, alla luce della condotta processuale – giudicata scorretta e lesiva degli interessi del minore – tenuta in tale sede dai genitori. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 893 Si tratta di una interpretazione senza dubbio condivisibile, sia in quanto costituzionalmente orientata, nel rispetto dei parametri di cui agli artt. 2, 30 e 31 Cost., volti anche a preservare i fondamentali diritti del minore ad essere mantenuto, istruito ed educato, oltre che dei principi del diritto di difesa e del giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.), sia perfettamente in linea con le indicazioni emergenti dal diritto convenzionale, ed in particolare dalla Convenzione di Strasburgo del 1996, la quale prevede che, ove sorga conflitto di interessi tra il minore e i detentori della responsabilità genitoriale, questi sono privati del potere di rappresentare il minore il quale, pertanto, ha il diritto di ottenere la nomina di un rappresentante speciale che può anche essere disposta d’ufficio da giudice (artt. 3 e 9). La possibilità di nomina ex officio ivi contemplata, benché certamente non cogente per lo Stato italiano il quale, nello strumento di ratifica, non ha incluso i procedimenti sulla crisi della famiglia tra quelli ai quali si applica la citata disposizione37, rappresenta una misura fondamentale per consentire al giudice di poter individuare con maggiore libertà gli strumenti processuali più idonei a tutelare l’interesse del minore, tenendo conto della sua reale condizione all’interno della famiglia. 8. Ulteriore profilo da considerare è quello della possibilità di assicurare la rappresentanza tecnica al minore nel processo di separazione dei coniugi/genitori. Invero, nel diritto interno, la necessaria assistenza del difensore per il minore è prevista solo con riferimento a due ipotesi specifiche, e cioè nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità e in quelli de potestate. Per i primi, infatti, poiché il procedimento deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore (oltre che dei genitori e degli altri parenti: art. 8 ult. comma, l. n. 184/1983, come modificato dalla l. n. 149/2001), si prevede che, su invito del presidente del tribunale, i genitori e i parenti del minore che hanno mantenuto con questi rapporti significativi, nominino un difensore e che, nell’inerzia di tali soggetti, a ciò provveda il giudice (art. 10, comma 2° della citata legge). Per i secondi, il nuovo comma 4° dell’art. 37 Si tratta per lo più dei procedimenti sullo status filiationis ex 244 ult. comma c.c., 247 ult. comma c.c., 264 comma 2° c.c. e 274 c.c. In argomento v. G. Ruffini, Il processo civile di famiglia, cit., p. 1263, il quale appare piuttosto scettico sulla possibilità di invocare la citata Convenzione per postulare un potere officioso generale del giudice di nominare un curatore speciale al minore in presenza di un conflitto di interessi tra questi e i suoi genitori. 894 The best interest of the child 336 c.c. (introdotto dalla l. n. 149/2001) dispone che i genitori e il minore debbono essere assistiti da un difensore38. Nel diritto convenzionale internazionale, peraltro, la difesa tecnica è qualificata come un diritto del minore che deve poter trovare attuazione in tutti i procedimenti che lo riguardano39. Con specifico riferimento al procedimento di separazione la questione trova una soluzione necessariamente positiva, una volta che sia stata riconosciuta al minore la qualità di parte in senso sostanziale e processuale in tale giudizio. Infatti, sia che il minore venga rappresentato nel processo dai genitori sia che, in presenza di un conflitto di interessi, sia rappresentato da un curatore speciale, il riconoscimento della qualità di parte implica necessariamente l’attribuzione al minore del diritto ad essere assistito dal difensore tecnico40. È evidente, peraltro, che il difensore del minore potrà coincidere con la stessa persona fisica che svolge tale ministero nell’interesse dei suoi genitori e che sia stata da questi nominati anche per assistere in giudizio il minore, oltre che per assumere la loro personale difesa41. Ciò comporta che il difensore, in questa duplice veste, dovrà esercitare il suo ministero in favore del minore con riferimento alle domande sul mantenimento e sull’affidamento proposte nel giudizio di separazione dai suoi genitori, dovendosi in tal caso ritenere investito dell’obbligo specifico di assumere “un comportamento protettivo” nei confronti del minore coinvolto, in ragione della peculiare funzione che il rappresentante tecnico è chiamato a svolgere nelle cause familiari42. 38 Sulla interpretazione, non sempre agevole, di tali norme, v. B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p. 297 ss. 39 Cfr. art. 5 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996. 40 Nel senso che la difesa tecnica costituisca un vero e proprio obbligo discendente dalla riconosciuta qualità di parte al minore v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nei giudizi di adottabilità, cit., p. 415; B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p. 297 ss. Sulla imprescindibile esigenza che il minore sia assistito da un difensore in tutti i procedimenti che lo riguardano v. anche L. Querzola, Il processo minorile in dimensione europea, cit., p. 113 ss. 41 F. Danovi, L’avvocato del minore nel processo civile, in Fam e dir., 2012, p. 263, S. Boccagna. L’«avvocato del minore», in Dir e giur., 2010, p. 170. 42 Cfr. Trib. Milano 23 marzo 2016, in Fam dir., 2016, p. 1152, con nota di F. Danovi, I doveri deontologici dell’avvocato nel diritto minorile e la giurisdizione forense. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 895 Ove invece dovesse riscontrarsi un conflitto di interessi che renda necessaria la nomina di un curatore speciale, sarà quest’ultimo a nominare un difensore personale al minore, qualora non sia egli direttamente provvisto di ius postulandi43. Un profilo problematico che semmai viene in rilievo in tale contesto è quello che concerne le conseguenze discendenti dalla mancata nomina di un difensore di fiducia da parte dei genitori che rappresentano il minore o del suo curatore speciale. Partendo dal presupposto che una parte del processo non può restare priva di difesa tecnica, una tale evenienza potrebbe essere agevolmente risolta in favore del minore riconoscendo al giudice il potere di nominare un difensore, così come accade con riferimento ai procedimenti relativi alla dichiarazione dello stato di adottabilità nei quali il giudice nell’inerzia delle parti, provvede alla nomina del difensore d’ufficio44. Va peraltro osservato che nella prassi si tende generalmente a concentrare nell’unica figura dell’avvocato le funzioni di difensore tecnico e di curatore, nell’ottica di assicurare al minore una maggiore protezione45. Non essendoci peraltro ragioni formali che impediscano la concentrazione in un unico soggetto dei ruoli di rappresentante legale ad hoc e di difensore, si pone semmai il problema di garantire al minore una assistenza idonea attraverso soggetti formati in modo adeguato, 43 Si ritiene, infatti, che nelle ipotesi in cui sia stato nominato un avvocato quale rappresentante legale del minore, questi possa stare in giudizio in rappresentanza e difesa di quest’ultimo, anche senza il ministero di altro difensore, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.: Cass. 22 luglio 2015 n. 15363; Cass. 26 marzo 2010, n. 7281; Cass. 19 maggio 2010, n. 12290; Cass. 14 luglio 2010 n. 16553; Trib. Catania, 14 dicembre 1992, in Foro it. 1993, I, c. 1636. 44 Per una soluzione analoga, se bene intendo, F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore, cit., p. 415, il quale, postulando l’esistenza di un obbligo di difesa del minore nella sua qualità di parte, ritiene impossibile ipotizzarne la contumacia in senso tecnico, con la conseguenza che il giudice deve attribuire al minore un difensore, in applicazione delle regole sulla difesa d’ufficio. In alternativa, potrebbe ipotizzarsi il ricorso al meccanismo di cui all’art. 182, comma 2° c.p.c. che attribuisce al giudice, anche in presenza di un difetto assoluto della procura, il potere di assegnare alle parti un termine per provvedere al suo rilascio, senza tuttavia alcuna garanzia che il problema dell’inerzia delle parti venga superato. 45 In tali termini v. G. Dosi, L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, 2005, p. 34 ss, nonché F. Danovi, Orientamenti (e disorientamenti), cit., p. 1487 il quale evidenzia come la soluzione ottimale per una migliore tutela dell’interesse del minore dovrebbe essere quella di assegnare all’avvocato di quest’ultimo sia la rappresentanza tecnica e che quella processuale, anche al fine di evitare il rischio di disallineamenti tra curatore e difensore che potrebbero compromettere la stessa strategia difensiva. 896 The best interest of the child specie in considerazione del fatto che, al momento attuale, la selezioni di tali soggetti non avviene attraverso canali che ne garantiscano una formazione specifica, come potrebbe essere l’albo degli avvocati specializzati per il processo civile di famiglia, ancora oggi non istituito, malgrado l’esistenza di un albo dei difensori d’ufficio per il processo penale a carico di imputati minorenni46. 9. Infine, e per concludere, giova osservare come il riconoscimento della qualità di parte del minore nel processo di separazione debba condurre a riconoscere a quest’ultimo, previa eventuale nomina di un curatore speciale, anche la legittimazione attiva a promuovere il procedimento di revisione delle condizioni di separazione che incidono direttamente sui suoi diritti, ex art. 710 c.p.c. Si tratta di una possibilità che la giurisprudenza già da tempo ha riconosciuto ai figli maggiorenni non ancora autosufficienti sul piano economico, sia pure limitatamente alle condizioni relative al loro mantenimento47. Al riguardo si è evidenziato in dottrina come in tali ipotesi il figlio divenuto maggiorenne non acquista un nuovo ed autonomo diritto al mantenimento di cui precedentemente non era titolare, ma semplicemente, avendo raggiunto medio tempore la maggiore età, è in grado di agire personalmente in giudizio, essendo venuto meno l’ostacolo della sua incapacità processuale che in precedenza gli imponeva di partecipare al processo per mezzo del suo rappresentante legale48. 46 Cfr. l’art. 11, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Codice del processo penale minorile) ove si stabilisce che, ferma la disciplina dettata dal codice di rito, il consiglio dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto minorile. Analoga previsione si rinviene nell’art. 15, d.lgs. 28/07/1989, n. 272, recante le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del processo penale a carico di imputati minorenni, a mente del quale, “Ciascun consiglio dell’ordine forense predispone e aggiorna almeno ogni tre mesi l’elenco alfabetico degli iscritti nell’albo idonei e disponibili ad assumere le difese d’ufficio e lo comunica al presidente del tribunale per i minorenni, il quale ne cura la trasmissione alle autorità giudiziarie minorili del distretto”. 47 Cass. 10 gennaio 2014, n. 359, in www.ilcaso.it; Cass. 26 settembre 2011, n. 19607, in Fam e dir., 2012, p. 903, con nota critica di F. Alligo, Mantenimento del figlio maggiorenne in regime di separazione e divorzio; profili sostanziali e riflessi processuali. 48 G. Ruffini, Il processo civile di famiglia, cit., p. 1271. La posizione del minore nei procedimenti di separazione 897 Bibliografia Arceri A., Il minore ed i processi che lo riguardano, una normativa disapplicata in Fam. e dir., 2009, p. 869 Carratta A., Per i diritti processuali del fanciullo a vent’anni dalla Convenzione di New York del 1989, in www.Treccani.it. Cipriani F., L’agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it, 1993 Danovi F, Orientamenti (e disorientamenti) per un giusto processo minorile, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1470 Danovi F., Il processo di separazione e divorzio, IV, La crisi della famiglia, in A. Cicu – F. Messineo – L. Mengoni (dir.), Tratt. dir. civ. comm., Milano, p. 148 Danovi F., L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento del giudice, Riv. dir. proc., 2010, p. 1415 Dogliotti M. – Figone A., in M. Dogliotti, (cur.), I procedimenti di separazione e divorzio, Milano, 2011, p. 47 Dosi G., Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1607 ss. Poliseno B., Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, p. 3 ss. Dosi G., L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, 2005, p. 34 ss. Graziosi A., Ebbene si, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. pers. succ., 2010, p. 652, in Fam e dir., 2010, p. 364 Iannone T., Le sezioni unite danno voce ai figli contesi fra genitori separati, in Fam. pers. succ., 2010, p. 652 Luiso P., Diritto processuale, I, I principi generali, Milano, 2009, p. 194 Mandrioli C., La rappresentanza nel processo civile, Milano 1959, p. 144 Neri A., Aspetti processuali dei recenti interventi legislativi in tema di filiazione, in Riv. dir. proc. 2014, p. 1095 ss. Proto Pisani A., voce Parte nel processo, (dir. proc.civ.) in Enc. dir., XXXXI, Milano 1981, p. 917 ss. Querzola L., L’ascolto del minore, in M.A. Lupoi (cur.), Trattato della separazione e del divorzio, II, Roma, p. 278 Ruffini G, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam pers., 2006, p. 1258 Satta S., Il concetto di parte, in Riv. dir. civ., 1957, p. 68 ss. Sergio, G., Il ruolo del Pubblico Ministero minorile tra amministrazione e giurisdizione e le funzioni del garante dell’infanzia, in Fam. e dir., 2009, p. 67 ss. Tommaseo F., Il P.m. e la tutela del minore, davanti al tribunale ordinario e per i minorenni, in Fam.e dir., 2016, p. 1198. Tommaseo F., Osservazioni sulle forme della partecipazione del minore al processo civile, in www.udai.it Prevalencia y garantía del interés del menor en los procesos de familia Pilar María Estellés Peralta Sumario: 1. Estado de la cuestión. – 2. Prevalencia y garantía del interés del menor. – 3. La nueva concepción de la capacidad jurídica y de la madurez del menor versus la transformación de una institución jurídica fundada en vínculos naturales. – 4. Análisis en el ordenamiento civil de distintas situaciones derivadas del ejercicio de la patria potestad en caso de conflicto familiar. – 4.1. Discrepancia entre ambos titulares de la patria potestad. – 4.1.1. Desacuerdos puntuales. – 4.1.2. Desacuerdos reiterados. – 4.2. Discrepancia de los progenitores con el menor. – 4.2.1. Ejercicio del derecho a la libertad religiosa, de conciencia e ideológica del menor versus el ejercicio de la patria potestad y el derecho a educar a los hijos en las creencias religiosas profesadas por los padres. – 4.2.2. El ejercicio de derechos que afectan a la salud y a la integridad física de los hijos menores. – 5. Observación final 1. Estado de la cuestión El ámbito familiar, lugar natural donde el menor se desarrolla, educa y protege, es, a su vez, terreno de conflicto cuando la unidad familiar quiebra y surgen nuevas situaciones que afectan a los hijos en diversos aspectos importantes relacionados con el ejercicio de la patria potestad o cuando los padres tienen opiniones encontradas entre sí o con sus hijos menores adolescentes respecto a las más variadas cuestiones, relacionadas con el ejercicio de los derechos de la personalidad de los menores, como las alternativas educativas – no solo religiosas – y académicas, la imagen física y corporal – rastas, piercings, tatuajes – del menor, los embarazos de adolescentes, la prestación o negativa del consentimientos para determinados tratamientos e intervenciones médicas, etc. 900 The best interest of the child La institución de la familia ha evolucionado en las últimas décadas y se ha producido un importante giro en las relaciones conyugales y parentales; en general, las relaciones entre los cónyuges son hoy menos duraderas y están afectadas por mayores circunstancias externas que hace unos decenios. Se observa un aumento importante en el número de fracasos matrimoniales y por tanto de situaciones de crisis familiares en que pueden verse afectados los menores1. Pero no siempre las discrepancias en cuanto al cuidado y educación del menor surgen de los conflictos conyugales; en numerosas ocasiones son los propios adolescentes los que generan estas problemáticas que los enfrentan con los titulares de la patria potestad y complican su ejercicio. Las transformaciones sustanciales que ha experimentado en tiempos recientes el derecho de Familia y que afectan al reconocimiento y garantía de un importante abanico de derechos en favor de los menores encabezado siempre por la prevalencia de su interés superior, en numerosas ocasiones va a suponer un gran avance y un reforzamiento de las garantías en favor de su protección. A su vez, se aprecia una continuada evolución y modificación de su autonomía personal basada en su madurez, que supone en contrapartida, un debilitamiento del derecho-poder en que consiste la patria potestad que regula el art. 154 CC y que podrían suponer una grieta para los intereses del menor que se pretenden proteger al dificultar el cumplimiento de los deberes y facultades de “velar por ellos, tenerlos en su compañía, alimentarlos, educarlos y procurarles una formación integral”2. Teniendo en cuenta todos estos intereses en liza trataremos de dilucidar los distintos supuestos de resolución de crisis familiares y su incidencia en la garantía y prevalencia del interés superior del menor. 1 En 2017 se produjeron 102.341 casos de nulidad, separación y divorcio, lo que supuso una tasa de 2,2 por cada 1.000 habitantes. El total de casos de ruptura supuso un aumento del 1,0% respecto al año anterior. Durante este año 2017, se produjeron 97.960 divorcios, 4.280 separaciones y 100 nulidades. Los divorcios representaron el 95,7% del total, las separaciones el 4,2% y las nulidades el 0,1% restante. El número de divorcios aumentó un 1,2% respecto al año anterior. El 46,0% de los matrimonios correspondientes a las resoluciones de los casos de separación o divorcio tenían solo hijos menores de edad. Destaca, asimismo, que la custodia de los hijos menores fue otorgada a la madre en el 65,0% de los casos, cifra inferior a la observada en el año anterior (66,2%). La custodia compartida fue otorgada en el 30,2% de los casos de divorcio y separación. Datos del INE, sobre el año 2017, en http://www.ine.es/ prensa/ensd_2017.pdf última consulta 27 de marzo 19. 2 Tan grave ha sido la aniquilación de las funciones parentales que el propio legislador ha debido rectificar al respecto, como en el caso de la Ley Orgánica 11/2015, de 21 de septiembre, para reforzar la protección de las menores y mujeres con capacidad modificada judicialmente en la interrupción voluntaria del embarazo. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 901 2. Prevalencia y garantía del interés del menor La primacía del interés superior del niño va a ocupar el vértice de los diferentes intereses en conflicto en lo referente a la resolución de las distintas situaciones de crisis y discrepancia familiares. Este interés superior del niño se recoge tanto a nivel internacional como a nivel interno3. Su reconocimiento a nivel jurisprudencial se observa tanto en el Tribunal Supremo4, como en el Tribunal Constitucional5 y en el Tribunal Europeo de Derechos Humanos6, que han recogido reiteradamente este principio en sus pronunciamientos. Se reconoce pero no se define concretamente pese a ser una de las finalidades de la LO 8/2015, de 22 de julio, de protección de la infancia y la adolescencia7. Las transformaciones operadas en las relaciones familiares han originado nuevos problemas jurídicos que afectan a los menores y en este nuevo entorno se modela un nuevo y más complejo entendimiento del interés superior del menor con una triple dimensión: el “interés superior del niño” es ahora un derecho sustantivo en el sentido de que el menor tiene derecho a que, cuando se adopte una medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y, en el caso de que haya otros intereses en juego, se hayan ponderado a la hora de llegar a una solución, siendo, además, un derecho directamente invocable ante 3 Recogido en el artículo 3.1 de la Convención de Derechos del Niño y desarrollado en la Observación General número 14 de 2013, así como en la nueva redacción dada al art. 2 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero, de Protección Jurídica del Menor por la LO 8/2015, de 22 de julio, de protección de la infancia y la adolescencia y en la Ley 26/2015, de 28 de julio, de modificación del sistema de protección de la infancia y adolescencia, que vienen a modificar determinados preceptos contenidos tanto en leyes sustantivas como procesales. 4 STS 29 abril 2013 (ROJ 2013, 2246) y STS 20 octubre 2014 (ROJ 2014, 4233), STS 17 noviembre 2015 (ROJ 2015, 5218), STS 27 junio 2016 (ROJ 2016, 3124), STS 21 junio 2017 (ROJ 2017, 2508), STS 26 febrero 2019 (ROJ 2019, 647), entre otras. 5 STC 152/2005, 2 de junio, STC 124/2002, 20 mayo FD 6, STC 138/2014, 8 septiembre. 6 STEDH 11 octubre 2016, rec. nº 23298/12, affaire Iglesias Casarrubios et Cantalapiedra Iglesias c. Espagne. 7 Así la STS 4 abril 2018 (ROJ 2018, 1156) FD 2, y la STS 12 septiembre 2016 (ROJ 2016,4045) FD 3: “…está en función y se orienta en interés del menor; interés que ni el artículo 92 del Código Civil ni el artículo 9 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero, de Protección Jurídica del Menor , desarrollada en la Ley 8/2015, de 22 de julio de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, define ni determina, y que la jurisprudencia de esta sala, en supuestos como el que ahora se enjuicia, concreta a partir de un compromiso mayor y una colaboración de sus progenitores tendente a que este tipo de situaciones se resuelvan en un marco de normalidad familiar”. 902 The best interest of the child los Tribunales; es un principio general informador e interpretativo, de manera que si una disposición jurídica puede ser interpretada en más de una forma se debe optar por la interpretación que más favorezca a los intereses del menor; y es una norma de procedimiento que exige el respeto a todas las garantías, basado en una evaluación de todos los elementos del interés de uno o varios niños en una situación concreta. Este cambio de concepción sobre la posición del niño en el proceso se va a traducir en una exigencia reforzada para el juzgador, en lo que se refiere a su deber de motivar las resoluciones. Esa mayor exigencia comprende referir todas las circunstancias de hecho de relevancia para el niño, los elementos que se han considerado pertinentes para la evaluación de su interés superior 8 y la manera en que se han ponderado. Para el caso de que la decisión adoptada difiera de la opinión del niño, el juez deberá explicar las razones que le han llevado a adoptarla y cuando, por motivos excepcionales, el juez deba fallar contra el interés superior del niño (p. ej. porque entre en conflicto con el de otro menor), habrá de asegurarse el juzgador de explicar cómo dicho interés fue objeto de una consideración primordial en el proceso intelectual que condujo a la sentencia9. Con el fin de determinar el interés del menor, cobra especial dimensión otro principio fundamental con el que se vincula: la idea de que el interés del niño ha de ser entendido como superior por encima de todas las demás consideraciones. Además, debe ponerse en relación con el desarrollo libre e integral de su personalidad y la supremacía de todo cuanto le beneficie, más allá de las preferencias de los padres, tutores o administraciones públicas10, por lo que debe determinarse en cada 8 En Defensor del Pueblo, Estudio sobre la escucha y el interés superior del menor. Revisión judicial de medidas de protección y procesos de familia, Madrid, mayo 2014, p. 23, se concluye que los tribunales de justicia son directamente invocados entre las autoridades a las que incumben una especial obligación de dar satisfacción al superior interés del niño en todas las decisiones que adopten. Esta previsión tiene particular importancia en un régimen constitucional en que los tribunales son responsables del control de las actividades de otros poderes del Estado. Refiriéndose a la vía civil, el Comité de los Derechos del Niño, además de recordar la obligación general ya señalada, añade significativamente que “han de demostrar que así lo han hecho efectivamente”. Esta idea se conecta no sólo con consideraciones procedimentales sino también con la exigencia de que la motivación de los actos sea individualizada y suficiente. 9 Defensor del Pueblo, Estudio, cit., p. 32. 10 En este sentido, vid. P. Sánchez De León Guardiola – J. Company Carretero, El interés superior del menor y el derecho del niño a ser escuchado, en Actualidad Civil, nº 7-8, 2017, La Ley, p. 4-15, p. 4 ss. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 903 caso el concreto y personal el interés del menor en liza en ese momento y circunstancia concretos11. Así, lo que es beneficioso para un menor puede no serlo para otro12; o lo beneficioso para el menor en una determinada circunstancia y fecha puede no serlo si éstas varían. Por tanto, ha de tener la consideración de primordial en los procesos de adopción de decisiones que le afecten13; pero no siempre la consideración de los deseos, sentimientos y opiniones del menor garantizan que la medida adoptada sea la óptima para el niño o adolescente; por el contrario, en ocasiones la decisión más adecuada a los intereses del menor será aquella precisamente contraria a sus deseos pero que los titulares de la patria potestad – o el juez en su caso – deberán adoptar por el interés superior del hijo y aunque ello conlleve conflictos en el seno familiar. La nueva formulación ha supuesto indudablemente un avance en la prevalencia y garantía de los intereses del menor, sin embargo, los criterios y elementos establecidos siguen siendo muy generales, difusos y diversamente interpretables, lo que conlleva algunos inconvenientes, como la enorme discrecionalidad que se concede al juez, con el consiguiente riesgo de arbitrariedad14. 3. La nueva concepción de la capacidad jurídica y de la madurez del menor versus la transformación de una institución jurídica fundada en vínculos naturales La progresiva evolución en la forma de concebir la capacidad jurídica del niño – que pasa a modularse en función de su desarrollo y grado de autonomía – ha provocado una transformación del enfoque tradicional 11 Tal y como pone de relieve la STS 13 febrero 2015 (ROJ2015, 253) que ha declarado que “el interés prevalente del menor es la suma de varios factores” y el que prima en estos casos es el “de un menor perfectamente individualizado, con nombre y apellido, que ha crecido y se ha desarrollado en un determinado entorno familiar, social y económico que debe mantener en lo posible, si ello le es beneficioso”, concluyendo que “el interés en abstracto no basta”. Asimismo, C. Núñez Zorrilla, El interés superior del menor en las últimas reformas llevadas a cabo por el legislador estatal en el sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Persona y Derecho, vol. 73, 2015/2, p. 117-160, p. 122. 12 J. Martínez Calvo, La determinación del interés superior del menor tras la reforma introducida por la Ley Orgánica 8/2015, de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, 3 ter, diciembre 2015, p. 198-206, p. 201. 13 Vid. Defensor del Pueblo, Estudio, cit., p. 7, 8 y 20, entre otras. 14 J. Martínez Calvo, La determinación, cit. p. 201. 904 The best interest of the child que atribuía a los niños el papel de receptores pasivos de los cuidados y atenciones de los adultos, quienes adoptaban por sustitución, las decisiones de mayor relevancia en aquello que les concernía, y ha pasado a reconocerlos como protagonistas activos y, por tanto, llamados a participar en el proceso de adopción de aquellas decisiones que puedan afectarle; el niño pasa a ser considerado como un individuo con opiniones propias que habrán de ser atendidas en consonancia con su capacidad y madurez15. Ello ha supuesto una transformación gradual e irreversible en la concepción y contenido de la patria potestad desde el Derecho justinianeo16 hasta las últimas reformas en la materia donde se la denomina como responsabilidad parental y donde el conjunto de facultades que la ley otorga a los padres va dirigido o está subordinado a los cumplimientos de los deberes y funciones establecidos por la propia norma. Se ha pasado así de concebir a la patria potestad como una potestas a concebirla como un officium, esto es, no como un derecho-poder sino como una función, un deber, como un fin subordinado a la defensa prevalente del interés superior del menor, del hijo17. En esta nueva concepción del menor, más amplia18, deben tomarse en consideración – como ya apuntamos – las opiniones del niño y también sus deseos a cualquier edad 19 en todos los procedimientos administrativos y judiciales que le afecten, promoviéndose la par15 Vid. En este sentido C. Núñez Zorrilla, El interés, cit., p. 121; igualmente, el Comité de Derechos del Niño en su Observación General número 12 (2009) sobre el derecho del niño a ser escuchado (CRC/C/CG12, 20 de julio 2009) señala que, el término “madurez” hace referencia a la capacidad de comprender y evaluar las consecuencias de un asunto determinado, por lo que debe tomarse en consideración al determinar la capacidad de cada niño para formarse opinión sobre un tema concreto y para decidir al respecto. 16 Vid. en el mismo sentido, J.M. Castán Vazquez, Comentario del Código Civil al artículo 162 del Código Civil, en Comentario del Código Civil, AA.VV., (dir. por C. Paz-Ares et al.), Ministerio de Justicia, Secretaría general Técnica, Centro de Publicaciones, Madrid, 1991, t. I, p. 558. 17 Vid. M. T. Marín García De Leonardo, Las relaciones paterno-filiales: la patria potestad, en AA.VV., Derecho Civil IV (Derecho de Familia), (J. R. De Verda, Coord.) Tirant Lo Blanch, Valencia, 2016, pp. 307-325, p. 308; asimismo, STS 19 abril 2012 (ROJ 2012, 2905); STS 20 febrero 2012, (ROJ 2012, 625), FD 3; STS 9 noviembre 2015 (ROJ 2015, 4575), FD 3: “la patria potestad constituye un officium que se atribuye a los padres para conseguir el cumplimiento del interés del menor…”; STS 13 enero 2017 (ROJ, 2017, 13), FD 2, entre otras. 18 C. Sánchez Hernández, El nuevo sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 3, 2015, p. 178-197, p. 183. 19 Teniendo en cuenta lo regulado en la LO 8/2015, que modifica el artículo 2. 2. LOPJM, en su apartado b). Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 905 ticipación de éste y velándose por que se tengan debidamente en cuenta sus opiniones en todos los asuntos que le conciernen. La edad o la madurez del niño no suponen límite alguno para el ejercicio del derecho a ser oído y escuchado, aunque sirven para modularlo20, con la consiguiente obligación de darle audiencia en todos los procedimientos que le afecten21; así se ha sustituido el término “juicio” por el de “madurez”, que resulta más adecuado porque se relaciona más con la aptitud no solo para comprender, sino también para poder asumir las consecuencias de la actuación en el supuesto concreto; en todo caso, la norma considera que tiene suficiente madurez a partir de los 12 años cumplidos, y siendo menor de dicha edad, la madurez para poder comprender y opinar habrá de valorarse por personal especializado, no siendo suficiente una valoración del Juez. Este reconocimiento legal de suficiencia madurativa cuando el menor cuente con 12 años desatiende que cada niño tiene un nivel de desarrollo físico y emocional, que no siempre es coincidente con su edad cronológica. Todo este desarrollo legislativo y el nuevo enfoque de la capacidad y madurez del menor cobran sentido si se consideran los importantes cambios sociales que inciden en la situación de los menores y que demandan una mejora de los instrumentos de protección jurídica en relación con situaciones de grave riesgo o desamparo. Es lógico que en el contexto actual la protección del menor se arbitre como una protección contra la inseguridad o peligros extra familiares, y en algunos casos – los menos – intrafamiliares, pero quizás se atisba en la norma un cierto exceso al recortar las facultades parentales y un cierto recelo contra la familia como un entorno por definición peligroso y dañino para los niños. Y habrá situaciones familiares que indudablemente entrañen riesgos, violencia y desamparo para los menores que las leyes han de atajar rápidamente, pero en su gran mayoría, la propia familia es la que verdaderamente cuida, asiste y protege al menor, incluso de sí mismo. Y así lo reconoce el legislador cuando establece la necesidad 20 La decisión de no escuchar a un menor por falta de madurez requerirá un informe técnico que justifique las razones por las que no se ha escuchado al menor o que expliquen una decisión que se aparte de la opinión de éste: Defensor del pueblo, Estudio, cit., p. 32 y 40. 21 STS 20 octubre 2014 (ROJ 2014, 4233), STS 7 marzo 2017 (ROJ 2017, 851), STS 25 octubre 2017 (ROJ 2017, 3751), STS 15 enero 2018 (ROJ 2018, 41), STS 25 abril 2018 (ROJ 2018, 1474). 906 The best interest of the child para los menores de esta asistencia parental tanto en el plano jurídico como en el personal. Reconoce pero amaga; no acaba de confiar. Intervengan los padres pero sólo un poco. 4. Análisis en el ordenamiento civil de distintas situaciones derivadas del ejercicio de la patria potestad en caso de conflicto familiar Se produzca o no una crisis conyugal entre los cónyuges, existe un abanico de problemáticas que conviene analizar porque en su resolución puede quedar también afectado o perjudicado el interés del hijo. El ejercicio de la patria potestad puede entrañar diferentes problemas dado los intereses en conflicto de los distintos sujetos titulares activos y pasivos de la misma. Estos problemas se pueden plantear a varios niveles entre los que destacamos: 1) Discrepancia entre ambos titulares de la patria potestad, tanto en caso de crisis matrimoniales como constante matrimonio; 2) Discrepancia de los progenitores con el menor. 4.1. Discrepancia entre ambos titulares de la patria potestad El cuidado, la crianza y educación de los hijos constituyen derechos-deberes de gran importancia y trascendencia en el marco de las funciones de la patria potestad. La transmisión de padres a hijos de sus propias creencias y modelos de educación constituyen valores que ayudan a construir la personalidad del menor. Evidentemente es deseable que ambos padres estén de acuerdo con el tipo de educación, valores y creencias que desean para sus hijos, sin embargo, en ocasiones, y no pocas, surgen discrepancias entre ambos titulares de la patria potestad con independencia de que la falta de acuerdo se plantee en el seno del matrimonio, en casos de inexistencia de vínculo conyugal entre los progenitores22, o de la atribución de la custodia individual o compartida; el desacuerdo entre ambos padres, titulares de la patria potestad es posible también constante matrimonio, aunque menos probable que en los casos de no convivencia o de crisis matrimonial. 22 Vid. J. Aguilera Rodero, El progenitor no custodio ante el ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley, nº 7826, 2012, pp. 10, 12 y 16. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 907 La mayoría de los conflictos – en lo que al tema de nuestro estudio se refiere – se plantean no sólo por el debate sobre la custodia del menor sino también por la propuesta de un cambio en la educación, creencias y/o formación moral o religiosa recibida por el hijo hasta la fecha o por una frontal oposición a su continuidad. Para resolver estos conflictos y discrepancias entre los padres no puede darse una “solución” válida para todos ellos, pues habrá que tener en cuenta las circunstancias que concurren en cada uno de los supuestos. En caso de que ambos progenitores sean cotitulares de la patria potestad, lo que se produce en la mayoría de las situaciones, ello supone el deber de compartir todas y cada una de las decisiones que afecten a la formación y educación de los hijos y como tales, han de ser informados cumplida y oportunamente por el custodio temporal, teniendo en cuenta que en el ejercicio de esa patria potestad prima el interés de los menores y, en caso de discrepancia se ha de someter la cuestión controvertida a la decisión del Juez correspondiente. En consecuencia, todas aquellas decisiones de especial entidad o relevancia que acontezcan en la vida del menor, deberán ser asumidas de forma conjunta por ambos progenitores23, tales como cambios de lugar de residencia, decisiones dentro del ámbito de la salud, orientación en los estudios, orientación religiosa –recepción del bautismo, de la Primera Comunión, de la religión a practicar o de no practicar ninguna24, elección o cambio de colegio – si el colegio ha de ser público o privado, religioso o laico –, etc. El procedimiento para solucionar el conflicto se regula en el art. 156 CC, precepto que distingue dos tipos de desacuerdo: desacuerdos puntuales y desacuerdos reiterados y ofrece, asimismo, las correspondientes soluciones: 23 Vid. C. Fábrega Ruiz, Mediación familiar y ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley nº 7443, 12 julio de 2010, p. 8; C. Villagrasa Alcaide, La custodia compartida en España y Cataluña: entre deseos y realidades, AA.VV., (coord. por T. Picontó Novales), en La custodia compartida a debate, Dykinson, Madrid, 2012, p. 81; P.M. Estellés Peralta, Presente y futuro en la búsqueda del interés del niño valenciano en situaciones de crisis familiar, en Revista Boliviana de Derecho, julio 2017, p. 76 – 97; Así la SAP Sevilla 28 diciembre 2018, (ROJ 2666), STS 10 octubre 2018 (ROJ 2018, 3479), entre otras; C. Esparza Olcina, La guarda compartida en el Código Civil español y en la Ley autonómica valenciana, en Revista Boliviana de Derecho, nº 17, 2014, p. 184; asimismo, S. Rodríguez LLamas, La atribución de la guarda y custodia en función del concreto y no abstracto interés superior del menor. Comentario a la STS núm. 679/2013, de 20 de noviembre (RJ 2013, 7824), en Revista Boliviana de Derecho, nº 19, enero 2015, p. 562-575, p. 567. 24 Vid. también en este sentido, V. Moreno Velasco, Hacia una adecuada comprensión del ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley nº 7267, 22 octubre 2009, p. 3. 908 The best interest of the child 4.1.1. Desacuerdos puntuales Si se trata de un desacuerdo puntual – en un único asunto –: el Juez, oyendo a los padres y al hijo, si tuviera suficiente madurez o fuera mayor de doce años, otorgará la facultad de decidir al padre o la madre sin ulterior recurso25. El Código civil no atribuye al Juez el poder de tomar por sí la decisión de fondo referente al menor, sino el de atribuir al padre o la madre la facultad decidir. Ello significa que la decisión que se deba adoptar sobre la cuestión controvertida no le corresponde a la autoridad judicial sino al padre o a la madre pero, qué duda cabe, que la decisión sobre el fondo la habrá adoptado el Juez indirectamente en la mayoría de los casos y por ese motivo atribuye la facultad de decidir a un progenitor y no a otro. Luego, indirectamente, sí decide el Juez26 quien se convierte en el “tercer progenitor”. 4.1.2. Desacuerdos reiterados Si se trata de un desacuerdo que alcance a varios asuntos o se produzcan los desacuerdos de forma reiterada, el Juez podrá optar por una de estas tres soluciones para un plazo no superior a dos años de acuerdo con el art. 156,2 CC27: a) Atribución en exclusiva del ejercicio de la patria potestad a uno solo de los padres; b) Atribución parcial del ejercicio de la patria potestad a uno de los progenitores, para aquellos supuestos conflictivos; c) Distribución de funciones entre ambos cotitulares de la patria potestad para que, cada uno de ellos, tome las decisiones en el área que le haya sido atribuida. La decisión que adoptará el Juez estará basada en una serie de criterios legales y jurisprudenciales para dirimir la controversia y constituyen la clave de bóveda de toda esta cuestión. En cualquier caso, el criterio rector en atención al cual deben ponderarse todos los factores es el interés superior del menor28. 25 L. Díez-Picazo – A. Gullón Ballesteros, Sistema de Derecho Civil, vol. IV, t. I, Derecho de Familia, Madrid, 2018, p. 268. 26 J.M. Castán Vázquez, Comentario al artículo 156 del Código Civil, en C. Paz-Ares et al. (dir. por), Comentario del Código Civil, Ministerio de Justicia, Secretaría general Técnica, Centro de Publicaciones, Madrid, 1991, t. I, p. 551-552. 27 Todo lo cual se evitaría si se recurre a la mediación, buscando así soluciones intermedias. En este sentido, vid. C. Fábrega Ruiz, Mediación, cit., p. 18. 28 Ya el Tribunal Supremo en Sentencia 5 octubre 1987 (ROJ, 1987, 8720) señalaba que el órgano judicial no queda sujeto en su decisión a otro principio normativo que el representado por el interés del hijo; recientemente, la STS 14 septiembre 2018 (ROJ Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 909 4.2. Discrepancia de los progenitores con el menor Por su parte, y habiendo acuerdo entre los progenitores, puede suceder que quien genera la discrepancia sea el hijo menor, normalmente adolescente, a quien los nuevos vientos legislativos colocan en el vértice de la pirámide familiar y cuyos deseos hay que garantizar y hacer prevalecer ¿incluso frente al criterio sereno, sosegado, cargado de razones y de común acuerdo de los padres? Resulta significativo que estas mismas normas, frente a la obligación de obediencia de los hijos hacia los padres que establece el art. 155 CC, ya no mencionen entre los deberes de los hijos, la obligación de obedecer a los padres, limitando la misma a un deber de respeto y colaboración doméstica29. Desde hace un tiempo, el ejercicio de las funciones, deberes y facultades que conforman la patria potestad, no resulta fácil para los titulares de la misma debido a los cambios legislativos acontecidos en la materia que otorgan plena autonomía al menor para el ejercicio de los actos relativos a sus derechos de la personalidad que de acuerdo con su madurez, pueda ejercitar por sí mismo. Ya la STS 5 febrero 201330 anterior a las reformas de 2105 afirmaba que “… el poder de representación que ostentan los padres, que nace de la Ley y que sirve al interés superior del menor, no puede extenderse a aquellos ámbitos que supongan una manifestación o presupuesto del desarrollo de la libre personalidad del menor y que puedan realizarse por el mismo”, reconociendo al menor una importante independencia para la toma de decisiones que afecten al libre desarrollo de su personalidad como la elección una carrera profesional o deportiva, con exclusión de cualquier representación parental dado que la decisión afecta a su desarrollo personal y a su autodeterminación. Sólo en el caso de que esta elección vaya en contra de su propio interés se dará opción de los padres para intervenir, dadas sus funciones de cuidado y asistencia31. 2018, 3154) en atención al interés superior de la menor, otorga la guarda y custodia de ésta a su tía paterna, que se hizo cargo de la menor antes del fallecimiento de su madre en 2012, estableciendo un régimen de visitas progresivo a favor del padre. 29 Ley 1/1996, de 15 de enero, de protección jurídica del menor: art. 9 ter. 1. Los menores deben participar en la vida familiar respetando a sus progenitores y hermanos así como a otros familiares. 30 STS 5 febrero 2013 (ROJ 2013, 229). 31 En el mismo sentido P. Cremades García, Tratamiento jurídico de una enfermedad social. Los trastornos de la conducta alimentaria (TCA), en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, agosto 2018, p. 44-85, p. 68. 910 The best interest of the child Si además se observa que en el artículo 154 CC in fine en su redacción dado por la ley 11/1981, de 13 de mayo, establecía que: “los padres podrán en el ejercicio de su potestad recabar el auxilio de la autoridad. Podrán también corregir razonable y moderadamente a los hijos” pero ya en la redacción dada por la Ley 54/2007, de 28 de diciembre, se suprime la frase “podrán también corregir razonable y moderadamente a los hijos”, dejando únicamente vigente que “los padres podrán, en el ejercicio de su potestad, recabar el auxilio de la autoridad”; la consecuencia es que la fina capa de autoridad parental es cada vez más débil. Quizá por lo expuesto, aumenta el caso de los menores que ingresan en los centros de protección, en un número cada vez más elevado, a petición de sus propias familias, ante situaciones muy conflictivas derivadas de problemas de comportamiento agresivo, inadaptación familiar, y graves dificultades de los padres para ejercer la responsabilidad parental32. Si ya ni se permite a los padres corregir a los menores cuando yerran… Analicemos algunos de los conflictos más habituales: 4.2.1. Ejercicio del derecho a la libertad religiosa, de conciencia e ideológica del menor versus el ejercicio de la patria potestad y el derecho a educar a los hijos en las creencias religiosas profesadas por los padres Diversas normas reconocen al menor el derecho a la libertad de ideología, conciencia, de religión y de culto. Así el art. 6 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero, de Protección Jurídica del menor33, establece que el menor tiene derecho a la libertad de ideología, conciencia y religión; Asimismo y partiendo del genérico reconocimiento que hace el art. 16.1 CE, debe afirmarse que los menores de edad son también titulares del derecho a la libertad religiosa y de culto, criterio confirmado por la Ley Orgánica de Libertad Religiosa, de desarrollo de dicho 32 Según recoge en su Exposición de Motivos, II, la Ley Orgánica 8/2015, de 22 de julio, de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia: “Es el caso de los menores que ingresan en los centros de protección, en un número cada vez más elevado, a petición de sus propias familias, ante situaciones muy conflictivas derivadas de problemas de comportamiento agresivo, inadaptación familiar, situaciones de violencia filioparental y graves dificultades para ejercer la responsabilidad parental…”. 33 Art. 6. “Libertad ideológica. 1. El menor tiene derecho a la libertad de ideología, conciencia y religión. 2…. Los padres o tutores tienen el derecho y el deber de cooperar para que el menor ejerza esta libertad de modo que contribuya a su desarrollo integral”. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 911 precepto constitucional, que reconoce tal derecho a toda persona (art. 2.1)34. Todas estas normas ponen de relieve una cuestión esencial: la capacidad de los menores para elegir sus valores y creencias35 y, por tanto, su educación religiosa. En la jurisprudencia española, la STC 141/2000, 29 mayo, afirmó que los menores de edad eran titulares del derecho de libertad religiosa y con capacidad para ejercerlo de acuerdo a su grado de madurez. Esta libertad religiosa de los menores comprende el derecho a no recibir ni formarse en unas creencias de las que no se quiera participar. Así pues, sobre los poderes públicos, y muy en especial sobre los órganos judiciales, pesa el deber de velar por que el ejercicio de esas potestades por sus padres o tutores, o por quienes tengan atribuida su protección y defensa, se haga en interés del menor, y no al servicio de otros intereses, que por muy lícitos y respetables que puedan ser, deben postergarse ante el “superior” del niño36. El Tribunal enfatizó la importancia del principio del interés superior del niño afirmando que el estatuto jurídico del menor es una norma de orden público que constituye en sí mismo un límite a los derechos fundamentales y, en este caso, a la libertad de manifestación de las creencias, integrante del derecho de libertad religiosa de sus padres37. 34 STC 154/2002, de 18 de julio, recurso amparo núm. 3468/97, FD 9. 35 Interesante la Decisión 19 julio 1968 de la Comisión Europea que resolvió inadmitir una demanda fundamentada entre otras cosas en la libertad religiosa del menor. El caso se planteó por el demandante ante la Comisión contra Alemania alegando vulneración del artículo 9 del Convenio, ya que sus sobrinos, que estaban bajo tutela administrativa, eran educados en una institución católica, renunciando éstos a su religión musulmana. La Comisión estimó que no había lugar a examinar este supuesto, ya que consideraba inexistente la vulneración de la libertad religiosa de los sobrinos. Para ello la Comisión se refirió a la ley alemana que regulaba que nadie podía cambiar la religión de un niño contra sus deseos después de los doce años y que a partir de los catorce era capaz para decidir libremente la religión a profesar. La asociación que tenía en guarda a los niños declaró que éstos habían elegido ser católicos, por lo que había que respetar su decisión. 36 Sentencia Tribunal Constitucional 141/2000, 29 de mayo, recurso amparo núm. 4.233/96, F.J. 5. 37 STC 141/2000, 29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96, F.J. 5: “Desde las perspectiva del art. 16 CE los menores de edad son titulares plenos de sus derechos fundamentales… sin que el ejercicio de los mismos y la facultad de disponer sobre ellos se abandonen por entero a lo que al respecto puedan decidir aquellos que tengan atribuida su guarda y custodia o su patria potestad, cuya incidencia sobre el disfrute del menor de sus derechos fundamentales se modulará en función de la madurez del niño y los distintos estadios en que la legislación gradúa su capacidad de obrar… Así pues, sobre los poderes públicos, y muy en especial sobre los órganos judiciales, pesa el deber de velar por que el ejercicio de esas potestades por sus padres o tutores, o por 912 The best interest of the child Sin embargo, la libertad religiosa del menor está ligada a la institución de la patria potestad y es a los padres, como titulares de la misma, a quienes compete la decisión sobre la orientación y educación religiosa de sus hijos menores de edad hasta el momento en el que éstos alcanzan la madurez suficiente para decidir ellos mismos su opción religiosa. A la vista de la madurez establecida a los 12 años, las orientaciones paternas quedan muy limitadas en la vida del menor. No se trata de que los padres ejerzan el derecho de sus hijos, sino que ellos deciden en esta materia según creen que es lo mejor para estos, como un derecho-deber, que es en definitiva el objeto de la patria potestad; en esta materia los padres o tutores tienen el derecho y el deber de cooperar para que el menor ejerza esta libertad de modo que contribuya a su desarrollo integral, sin que sea posible imponer, dificultar o impedir su ejercicio al hijo menor38. Por ello, corresponde a los padres, de común acuerdo, y actuando siempre en interés del hijo menor, la decisión sobre su educación y práctica religiosa, la iniciación de los hijos en la vida sacramental – recepción del Bautismo, Primera Comunión, etc. – , el tipo de colegio donde recibir formación académica y religiosa o laica, etc39. En resumen, de acuerdo con los pronunciamientos jurisprudenciales más destacados, no vemos cómo se puede aplicar satisfactoriamente el art. 27.3 CE que prevé que los poderes públicos garantizan el derecho que asiste a los padres para que sus hijos reciban la formación quienes tengan atribuida su protección y defensa, se haga en interés del menor, y no al servicio de otros intereses, que por muy lícitos y respetables que puedan ser, deben postergarse ante el “superior” del niño (SSTC 215/1994, 14 julio; 260/1994, 3 octubre; 60/1995, 17 marzo; 134/1999, 15 julio; STEDH 23 junio 1993, caso Hoffmann)”. 38 Mª. J. Carazo Liébana, El derecho a la libertad religiosa como derecho fundamental, en Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 14, julio 2011, p. 43-74. Asimismo, entiende V. Moreno Velasco, Hacia una, cit. p. 6, que cualquier imposición implicaría cercenar la libertad religiosa del menor sin perjuicio de que cada progenitor informe al menor de las opciones religiosas posibles siendo el menor en última instancia el que debe decidir. 39 En este sentido, nos apoyamos en el art. 27.3 CE y en el punto 4 del art. 18 del Pacto Internacional de 1966 sobre los derechos civiles y políticos establece que: “4. Los Estados Partes en el presente Pacto se comprometen a respetar la libertad de los padres y, en su caso, de los tutores legales, para garantizar que los hijos reciban la educación religiosa y moral que esté de acuerdo con sus propias convicciones”; y en la Recomendación 1396 (1999) sobre la religión y la democracia, adoptada el 27 de enero de 1999, la Asamblea parlamentaria del Consejo de Europa recomendó al Comité de Ministros invitar a los gobiernos de los Estados miembros, en particular: “13. (…): ii. A promover la educación en materia religiosa y concretamente a: e) evitar – en el caso de los niños – todo conflicto entre la educación sobre las religiones promovida por el Estado y la fe religiosa de las familias, al objeto de respetar la libre decisión de las familias en este ámbito sensible (…)”. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 913 religiosa y moral que esté de acuerdo con sus propias convicciones, si frente a la libertad de creencias de los progenitores y su derecho a hacer proselitismo de las mismas con sus hijos, se alza como límite, además de la intangibilidad de la integridad moral de estos últimos, aquella misma libertad de creencias que asiste a los menores de edad, manifestada en su derecho a no compartir las convicciones de sus padres o a no sufrir sus actos de proselitismo, o más sencillamente, a mantener creencias diversas a las de sus padres, máxime cuando las de éstos no afecten negativamente a su desarrollo personal. Libertades y derechos de unos y otros que, de surgir el conflicto, deberán ser ponderados40 teniendo siempre presente el “interés superior” de los menores de edad, sus opiniones y sentimientos y su grado de madurez41 al expresarlas, por encima de las consideraciones o deseos de los padres42. 4.2.2. El ejercicio de derechos que afectan a la salud y a la integridad física de los hijos menores Otra cuestión controvertida entre padres e hijos es la que afecta a los derechos relacionados con la salud y la integridad física – y en ocasiones, psíquica-de los hijos menores. Para recibir un tratamiento médico es preciso emitir un consentimiento después de conocer la información relativa al mismo de conformidad con los artículos 4, 8 y 9 de la Ley 41/2002, de 14 de noviembre, básica reguladora de la autonomía del paciente y de derechos y obligaciones en materia de información y documentación clínica. Este consentimiento informado es un acto per40 Vid. Asimismo, Mª. J. Carazo Liébana, El derecho, cit., pp. 49 y 50.; STC 141/2000, 29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96, FJ 4 y STC 154/2002, de 18 de julio, recurso amparo núm. 3468/97, FD 7. 41 STC 141/2000, 29 mayo, recurso amparo núm. 4.233/96 y STC 154/2002, de 18 de julio, recurso amparo núm. 3468/97, FD 9 y 10, que dejan muy claro que el derecho a la vida e integridad física está por encima de los demás derechos y que la decisión del menor de 13 años de no someterse al tratamiento médico por convicciones religiosas, es una decisión que reviste los caracteres de definitiva e irreparable, en cuanto conduce, con toda probabilidad, a la pérdida de la vida y por tanto no debía haber prevalecido. Vid. asimismo B. Rodrigo Lara, La libertad de pensamiento y creencias de los menores de edad, Madrid, 2004, p. 311. 42 Voto particular del juez Thomassen en la sentencia TEDH 2003/83, 16 diciembre, caso Palau-Martínez c. Francia. Para J. Aguilera Rodero, El progenitor, cit., p. 15, los sentimientos religiosos profesados por el progenitor sí podrían ser tenidos en cuenta por el juez, sin que ello suponga una discriminación, si el fundamentalismo en las creencias y en sus manifestaciones derivan en alteraciones del correcto desenvolvimiento del menor. 914 The best interest of the child sonalísimo, intransferible e indelegable con escasas excepciones como la falta de capacidad del paciente. La legislación española permite al facultativo practicar las intervenciones clínicas indispensables aún sin consentimiento del afectado (artículo 9.2 Ley 41/2002) cuando exista un riesgo de salud pública o inmediato y grave para la integridad física o psíquica del enfermo y no sea posible conseguir su autorización, previa consulta a sus familiares o personas vinculadas al enfermo. Ello ha de ponerse en relación con el art. 162.1 CC que establece que la representación de los menores de edad corresponde a los padres con dos excepciones: los actos relativos a los derechos de la personalidad que el hijo menor, de acuerdo con las leyes y con sus condiciones de madurez, pueda realizar por sí mismo; y aquéllos en que exista conflicto de intereses entre los padres y el hijo43. Por tanto, los padres ya no ostentan la representación legal de sus hijos con suficiente madurez respecto al ejercicio de sus derechos de la personalidad siempre que puedan los hijos ejercitarlos por sí mismos. No obstante, la norma añade una intervención – que no un consentimiento – de los responsables parentales en base a los ineludibles deberes de cuidado y asistencia44 – cada vez más vacíos de contenido – a los que están obligados de acuerdo con la ley civil. En relación con actuaciones claramente encuadradas en el ámbito sanitario y la prestación del consentimiento del menor-paciente a un tratamiento médico, la mencionada Ley de Autonomía del Paciente 43 La jurisprudencia de nuestro Tribunal Constitucional venía dirimiendo estas cuestiones como en el caso de la STS 154/2002, 8 de junio citada. Posteriormente, la Ley Orgánica 8/2015, de 22 de julio de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia modificó el artículo 17.10 de la Ley Orgánica 1/1996, de 15 de enero de Protección Jurídica del Menor (LOPJM) y, desde entonces, se considera situación de riesgo la negativa de los padres, tutores, guardadores o acogedores a prestar el consentimiento para salvaguardar la vida e integridad física o psíquica de un menor y la Disposición Final segunda de la Ley 26/2015, de 28 de julio de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia modificó, asimismo, la Ley de Autonomía del Paciente, e incorporó los criterios de la Circular 1/2012, de 3 de octubre sobre el tratamiento sustantivo y procesal de los conflictos ante transfusiones de sangre y otras intervenciones médicas sobre menores de edad en caso de riesgo grave, lo que incluye la negativa de los representantes legales a prestar el consentimiento para salvaguardar la vida e integridad física o psíquica del menor. Para A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento por representación en el ámbito sanitario: diversos instrumentos para su aplicación, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, núm. 8, feb. 2018, p. 206, con esta regulación se refuerza la intervención de los padres ante actuaciones de grave riesgo, pues, ahora ellos son los que consienten, a diferencia de la regulación anterior que, solo tenían derecho a la información y a la toma en consideración de su opinión pero no eran ellos quienes la adoptaban; en el mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 62. 44 Vid. en el mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 60. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 915 distingue entre menores que carecen de madurez y aquellos que tienen madurez suficiente y/o son mayores de dieciséis años (art. 9.3 y 9.4): En el supuesto del paciente menor de edad que no sea capaz intelectual ni emocionalmente de comprender el alcance de la intervención, el consentimiento lo prestan sus representantes legales, después de haber escuchado la opinión del menor – pese a tratarse de un menor inmaduro – por lo que su opinión no será ni muy seria ni muy consciente – conforme lo dispuesto en el artículo 9 de la LOPJM. Estamos ante el supuesto de consentimiento “por representación” de menores de 16 años no maduros, e incluso mayores de esta edad pero sin la suficiente madurez45. En estos casos, los representantes legales del menor vienen obligados a procurar y a consentir los tratamientos e intervenciones médicas necesarios para garantizar el derecho a la vida y la salud de los menores no maduros siempre a favor del paciente y con respecto a su dignidad personal (arts. 9.6 y 9.7 Ley de Autonomía del Paciente). Esta intervención parental tendrá lugar con independencia de su situación conyugal – matrimonio, separación o divorcio – y del sistema de guarda y custodia establecidos – monoparental o compartida –, en su caso, pues siendo ambos padres titulares de la patria potestad, deberán prestar el consentimiento conjuntamente; no obstante, en situaciones de urgencia vital bastará con el consentimiento del representante legal que se encuentre en ese momento con el menor46. Para los mayores de edad de dieciséis años con suficiente madurez no cabe que los padres o representantes legales presten el “consentimiento por representación”, no obstante, ante una actuación de grave riesgo para la vida o salud del menor, según el criterio del facultativo, el consentimiento lo prestará el representante legal del menor, una vez oída y tenida en cuenta la opinión del mismo; o en el supuesto contemplado en el art. 9.3, a) de la Ley de Autonomía del Paciente, 45 Entiende A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento, cit., p. 207, que tratándose supuestamente de mayores de dieciséis años sin suficiente madurez para decidir seria, libre y conscientemente la admisión o rechazo de un determinado tratamiento o intervención médica, la decisión acerca de la madurez del menor la ha dejado el legislador en manos del médico. En cada caso concreto y llevando a cabo una evaluación individualizada, deberá apreciar este facultativo si el menor reúne o no esas condiciones de madurez. En el mismo sentido, A. Domínguez Luelmo, Derecho sanitario y responsabilidad médica. Comentarios a la ley 41/2002, de 14 de noviembre, sobre derechos del paciente, información y documentación clínica, en Lex Nova, Valladolid, 2007, p. 364. 46 Vid. en este sentido, interesante trabajo de A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento, cit., pp. 201 ss. 916 The best interest of the child cuando el mayor de 16 años con suficiente madurez no sea capaz de tomar decisiones, a criterio del médico responsable de la asistencia, o su estado físico o psíquico no le permita hacerse cargo de su situación. Se permite en estos casos una intervención parental en virtud de los deberes de cuidado y asistencia que corresponden a los titulares de la patria potestad, atendiendo siempre al mayor beneficio para la vida o salud del hijo. En caso de conflicto entre la voluntad del paciente menor de edad, pero con suficiente madurez y la de sus padres o representantes legales, será de aplicación el art. 163 CC. En la actualidad, en relación con algunas situaciones que pueden ocasionar conflicto entre los representantes legales y el hijo, sobre todo el mayor de dieciséis años, se encuentra la interrupción voluntaria del embarazo. Al respecto y afortunadamente, el legislador ha modificado el criterio establecido por la Ley Orgánica 2/2010, de 3 de marzo, de salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo47, y ha considerado que aun cuando los menores emancipados o mayores de dieciséis años han de consentir por sí mismos la intervención, será el representante legal del menor, una vez oída y tenida en cuenta la opinión del mismo, quien prestará ese consentimiento expreso. El cambio de criterio legislativo responde, sin duda, a posibilitar el ejercicio de las atribuciones parentales, de facilitar a los padres sus obligaciones de cuidar y velar por sus hijos48. No obstante, habiendo conflicto de intereses entre los padres y la hija, sin grave riesgo para su vida o salud, la solución la aporta el art. 163 CC y la judicialización del conflicto queda garantizada. Otra cuestión conflictiva en materia de salud en relación con los adolescentes, son los Trastornos de Conducta Alimentaria (TCA)49. En estos casos, la gravedad o el riesgo para la vida o salud del menor, mar47 Reforma llevada a cabo por la Ley Orgánica 11/2015, de 21 de septiembre, para reforzar la protección de las menores y mujeres con capacidad modificada judicialmente en la interrupción voluntaria del embarazo. 48 En el mismo sentido, P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 63. 49 Los trastornos de la conducta alimentaria (TCA) son la tercera enfermedad crónica más frecuente entre adolescentes, según datos de la Sociedad Española de Médicos Generales y de Familia (SEMG). Aunque afectan a ambos sexos, son dos veces y media más frecuentes en mujeres, siendo su prevalencia en España de 4,1 a 6,4 por ciento en mujeres entre 12 y 21 años, y de 0,3 por ciento para los hombres, datos ob. en https://www.redaccionmedica.com/secciones/medicinafamiliar-y-comunitaria/los-trastornos-alimentarios-tercera-patologia-cronica-enadolescentes-4798, última consulta 24/04/2019. Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 917 carán la intervención de sus representantes legales quienes deberán de consentir al tratamiento una vez oída y tenida en cuenta la opinión del menor50 pero actuando siempre en “interés superior del menor”, interés que se ha de identificar con la protección de su vida y salud. Admitida la posibilidad de los padres de intervenir en determinadas supuestos para prestar consentimiento a la realización de determinadas intervenciones y tratamientos en relación con el ejercicio de los derechos del menor a la salud, ello no excluye, sin embargo, la posibilidad de un cierto control judicial en base al artículo 158.6 CC de dicha intervención parental cuando la decisión del representante legal pueda ocasionar un perjuicio al menor, negándose, por ejemplo, a una intervención o tratamiento necesarios para preservar su vida o integridad, lo que coloca al menor en una situación de riesgo. En tales casos, las autoridades sanitarias, pondrán inmediatamente en conocimiento de la autoridad judicial, directamente o a través del Ministerio Fiscal, tales situaciones a los efectos de que se adopte la decisión correspondiente en salvaguarda del mejor interés del menor. Y el Juez, de oficio o a instancia del propio hijo, de cualquier pariente o del Ministerio Fiscal, dictará las disposiciones oportunas “a fin de apartar al menor de un peligro o de evitarle perjuicios”, salvo que, por razones de urgencia, no fuera posible recabar la autorización judicial, en cuyo caso los profesionales sanitarios adoptarán las medidas necesarias en salvaguarda de la vida o salud del paciente, amparados por las causas de justificación de cumplimiento de un deber y de estado de necesidad51. 5. Observación final Las transformaciones operadas en las relaciones familiares han originado nuevos problemas jurídicos que afectan a los menores a lo que hay que sumar un nuevo y más complejo entendimiento del interés superior del menor quien tiene derecho a que cuando se adopte una medida que le concierna, sus mejores intereses hayan sido evaluados y ponderados en la búsqueda de la solución más beneficiosa para él más allá de las preferencias de los padres, tutores o administraciones públicas, de acuerdo con las opiniones y deseos expresados por el menor a quien obligatoriamente se debe oír en todo caso si ha cumplido los 50 P. Cremades García, Tratamiento, cit., p. 64. 51 En el mismo sentido, A. I. Berrocal Lanzarot, Consentimiento, cit., p. 208 a 209. 918 The best interest of the child doce años – reconocimiento legal de suficiencia madurativa que desatiende que cada niño tiene un nivel de desarrollo físico y emocional no siempre coincidente con su edad cronológica –. Todo ello conduce a una sobrevaloración del interés del menor, una mayor judicialización y administrativización de los procesos y decisiones ordinarias que le afectan, convirtiendo al juez, extraño a la realidad familiar, en un “tercer progenitor” con la consiguiente fractura de la cada vez más débil y fina capa de autoridad parental lo que dificulta el ejercicio de la responsabilidad parental en muchos casos, fruto quizás, de un cierto exceso legislativo al recortar las facultades parentales y un cierto recelo contra la familia que se atisba en la norma y que no garantiza que las medidas adoptadas constituyan la mejor manera de proteger precisamente lo que pretende, el interés prevalente del menor. Bibliografía Aguilera Rodero J., El progenitor no custodio ante el ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley, nº 7826, 2012, p. 10-16 Berrocal Lanzarot A.I., Consentimiento por representación en el ámbito sanitario: diversos instrumentos para su aplicación, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, núm. 8, feb. 2018, p. 206 ss. Carazo Liébana, M.J., El derecho a la libertad religiosa como derecho fundamental, en Revista de Filosofía, Derecho y Política, nº 14, julio 2011, p. 43-74 Castán Vazquez J.M., Comentario del Código Civil al artículo 162 del Código Civil, en C. Paz-Ares et al. (dir. por), Comentario del Código Civil, Ministerio de Justicia, Secretaría general Técnica, Centro de Publicaciones, Madrid, 1991, t. I, p. 558 Castán Vázquez, J.M., Comentario al artículo 156 del Código Civil en Comentario del Código Civil, (dir. por C. Paz-Ares et al.), Ministerio de Justicia, Secretaría general Técnica, Centro de Publicaciones, Madrid, 1991, t. I, p. 551-552 Cremades García P., Tratamiento jurídico de una enfermedad social. Los trastornos de la conducta alimentaria (TCA), en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 9, agosto 2018, p. 44-85 Defensor del Pueblo, Estudio sobre la escucha y el interés superior del menor. Revisión judicial de medidas de protección y procesos de familia, Madrid, 2014 Díez-Picazo L. – Gullón Ballesteros A., Sistema de Derecho Civil, vol. IV, t. I, Derecho de Familia, Madrid, 2018 Domínguez Luelmo A., Derecho sanitario y responsabilidad médica. Comentarios a la ley 41/2002, de 14 de noviembre, sobre derechos del paciente, información y documentación clínica, en Lex Nova, Valladolid, 2007 Esparza Olcina C., La guarda compartida en el Código Civil español y en la Ley autonómica valenciana, en Revista Boliviana de Derecho, nº 17, 2014, p. 184 Prevalencia del intéres del menor en los procesos de familia 919 Estellés Peralta P.M., Presente y futuro en la búsqueda del interés del niño valenciano en situaciones de crisis familiar, en Revista Boliviana de Derecho, julio 2017, p. 76-97 Fábrega Ruiz C., Mediación familiar y ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley nº 7443, 12 julio de 2010, p. 8 Marín García De Leonardo M.T., Las relaciones paterno-filiales: la patria potestad, en AA.VV. (J.R. De Verda, Coord.) Derecho Civil IV (Derecho de Familia), Tirant Lo Blanch, Valencia, 2016, p. 307-325 Martínez Calvo J., La determinación del interés superior del menor tras la reforma introducida por la Ley Orgánica 8/2015, de modificación del sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, 3 ter, diciembre 2015, p. 198-206 Moreno Velasco V., Hacia una adecuada comprensión del ejercicio de la patria potestad, en Diario La Ley nº 7267, 22 octubre 2009, p. 3 Núñez Zorrilla C., El interés superior del menor en las últimas reformas llevadas a cabo por el legislador estatal en el sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Persona y Derecho, vol. 73, 2015/2, p. 117-160 Rodrigo Lara B., La libertad de pensamiento y creencias de los menores de edad, Madrid, 2004 Rodríguez LLamas S., La atribución de la guarda y custodia en función del concreto y no abstracto interés superior del menor. Comentario a la STS núm. 679/2013, de 20 de noviembre (RJ 2013, 7824), en Revista Boliviana de Derecho, nº 19, enero 2015, p. 562-575 Sánchez De León Guardiola P. – Company Carretero J., El interés superior del menor y el derecho del niño a ser escuchado, en Actualidad Civil, nº 7-8, 2017, La Ley, p. 4-15 Sánchez Hernández C., El nuevo sistema de protección a la infancia y a la adolescencia, en Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 3, 2015, p. 178-197 Villagrasa Alcaide C., La custodia compartida en España y Cataluña: entre deseos y realidades, in AA.VV., (coord. por T. Picontó Novales), en La custodia compartida a debate, Dykinson, Madrid, 2012 Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore: un progetto di tavolo interdisciplinare Maria Letizia Spasari Desidero innanzitutto porgere un sentito ringraziamento alla Prof.ssa Mirzia Bianca per l’invito rivoltomi, sono veramente onorata di partecipare ai lavori di questo pomeriggio e soprattutto di portare la voce dell’avvocatura in questo consesso rappresentato da così autorevoli esponenti del mondo accademico. Intervengo per offrire il punto di vista dell’avvocato e sollecitare delle riflessioni maturatesi nei prolungati anni di svolgimento della professione forense dedicati per lo più alle questioni che coinvolgono le relazioni familiari e, soprattutto, i minori; riflessioni che nascono dall’esperienza e sull’esperienza fondano l’elaborazione di un piano di lavoro che parte dai legami affettivi in crisi e che mira a ristabilire una diversa modalità relazionale che consenta – nonostante la sofferenza, la rabbia, i rancori che fisiologicamente intervengono – di governare le condotte umane, ponendo al centro – sempre e nonostante tutto – il progetto genitoriale la cui concretizzazione non può che passare dall’interazione fra le figure genitoriali anche nella vita post separazione. Come suggeriva il Prof. Quadri nella sua relazione introduttiva, per fare tutto questo è necessario che gli operatori del diritto si aprano a quelle che sono le altre aree del sapere e trovare così, nella condivisione delle singole risorse, uno strumento di lavoro volto a sostenere il diritto del minore ed il suo interesse, appunto, a crescere nella famiglia. Il terreno principale di osservazione è quello del conflitto familiare, del contenzioso, che si apre nel momento in cui una coppia genitoriale, sia che abbia o meno convissuto, va in crisi: si produce così in corto circuito in cui non si riesce più a portare avanti il progetto genitoriale ed a svolgerne i compiti. 922 The best interest of the child È di tutta evidenza che i figli sono i soggetti più vulnerabili che subiscono la crisi familiare e che sono esposti al rischio concreto di sofferenze e di instabilità presenti e future. Bisogna lavorare per il contemperamento fra il diritto degli adulti all’interruzione dei legami affettivi in crisi (mediante il ricorso alla separazione e/o al divorzio) e il diritto del minore a crescere in famiglia o, ancora più significativamente, il diritto degli stessi a conservare e coltivare gli affetti familiari, ove la famiglia non può più essere intesa nel senso classico di nucleo sociale composto da due o più persone che vivono nella stessa abitazione e ove l’interruzione dei rapporti fra i genitori non può (e non deve) essere per il minore fonte di smarrimento. Lo smarrimento dell’amore fra i genitori non può diventare smarrimento della serenità per i figli. In una società in cui i cd. rischi di crescita sono molteplici i genitori debbono rimanere la cellula primaria di formazione della personalità del minore e, pur in considerazione delle loro condotte oppositive e avversariali derivante dalla genesi e della gestione dei loro rapporti in crisi, non debbono divenire essi stessi un fattore di rischio evolutivo per la prole. La responsabilità genitoriale – secondo il valore mutuato dalla conoscenza transfrontaliera – si compone infatti di molteplici canoni comportamentali uno dei quali è certamente rappresentato dal mostrare di avere capacità di preservare il figlio dal conflitto, di salvaguardare al figlio l’altra figura genitoriale e l’altro ramo familiare delle sue radici, in buona sostanza di garantire al minore la libertà di manifestazione delle proprie fisiologiche affettività evitando ogni forma di manipolazione1. 1 La Suprema Corte con la sent. n. 6919 del 2016 ha avuto modo di affermare chiaramente quale canone essenziale della responsabilità genitoriale quello di preservare al figlio l’altra figura genitoriale e l’altro ramo delle sue radici familiari: “…Questa Corte ha avuto occasione di osservare che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonchè della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n. 18817/2015). Non può esservi dubbio che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 923 In buona sostanza, il contemperamento delle condotte genitoriali nasce e si rende perseguibile solo con la divisione dei piani di azione delle condotte umane, dei temi su cui si possono misurare i contrasti nel momento in cui interviene la crisi degli affetti: distinzione dunque tra il piano coniugale (degli adulti) da quello genitoriale e quindi dalla prevenzione o comunque dal contenimento della conflittualità. L’esperienza sul campo evidenzia che molteplici sono le situazioni che l’avvocato si trova a dover fronteggiare nel momento in cui accoglie nel proprio studio una persona che ha un problema in famiglia, di genitorialità o, ancora meglio, di relazione. La persona che si rivolge all’avvocato vive uno stato di crisi, di profonda insoddisfazione per il proprio rapporto; a volte ha già deciso di porre fine al legame, altre volte subisce la scelta dell’altro partner: in ogni caso è una persona che chiede assistenza legale ma che vuole innanzitutto orientarsi, ha necessità di conoscere ed ha bisogno di supporto. La maggior parte delle insoddisfazioni o delle criticità dipendono infatti da prevaricazioni radicate, dalla progressiva e lenta erosione del principio di parità all’interno della relazione di coppia, da scelte che non sono condivise ma che sono vissute dall’uno o dall’altra come imposizioni e, a volte, quali vere e proprie vessazioni. Molto spesso tutto questo malessere è per lo più accompagnato ed alimentato da dinamiche che riguardano essenzialmente la sfera patrimoniale della famiglia. In ogni caso chi si rivolge all’avvocato familiarista è una persona ferita e disorientata; anche chi sceglie di interrompere il legame è disorientato. A volte è una richiesta di vero e proprio aiuto quella che viene rivolta all’avvocato: aiuto legale ma anche emotivo. fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rilevi la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore. Non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia e sono venuti meno all’obbligo di verificare, in concreto, l’esistenza dei denunciati comportamenti volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore…”. 924 The best interest of the child In tale contesto è quindi da chiedersi se non sia del tutto anacronistica la concezione dell’avvocato nel sentire comune quale arma da “assoldare” per una guerra, come pedina di una dinamica che si divide fra vincitori e vinti. Gli assistiti spesso riportano ciò che gli dice l’altro o l’altra anche per attivare una strategia della tensione: “sono andato/a dal migliore avvocato”, “ti toglierò i figli”, “ti distruggerò”, troppo spesso sono questi i messaggi che le parti si scambiano e che una di esse subisce poiché psicologicamente rifiuta la fine del legame o è stata sempre più tollerante o, semplicemente, caratterialmente più sensibile. Tale posizione di forza (emotiva) determina spesso una irragionevole compromissione della capacità di autodeterminazione, delle facoltà del soggetto più debole della coppia e, in particolare, una compressione dei diritti dei figli – i quali, nell’ambito dei contenziosi familiari, non hanno una posizione autonoma di difesa né, men che meno, un difensore vero e proprio – finendo a volte con il portare il soggetto più debole ad accettare regolamentazioni sbilanciate o addirittura inique che generano altro malessere e quindi altro conflitto con ulteriore reale e potenziale contenzioso legale. Capita infatti spesso che nella gestione della loro crisi personale gli adulti non riescano a preservare i figli da queste dinamiche e li rendono, anche inconsapevolmente, pedine e vittime degli scontri tra di loro, dimenticando troppo spesso che il figlio deve essere considerato un individuo altro da sé con propri sentimenti e relazioni affettive che sono naturalmente dirette verso ambedue i genitori. Non è una logica o una dinamica di potere sul proprio figlio quella che deve orientare il comportamento del genitore nella relazione con l’altro genitore specialmente nel gestire la dinamica del conflitto con lo stesso. È proprio su questo terreno che si misura il ruolo diverso per l’avvocato e prende corpo un metodo di lavoro differente, nuovo ed innovativo ma non creativo, perché è un metodo che nasce dall’esperienza, nasce dall’osservazione delle dinamiche (familiari) in crisi. La figura dell’avvocato è in genere associata ad una lite in atto; sporadicamente si pensa ad un intervento finalizzato piuttosto alla ricomposizione degli equilibri, ad un intervento professionale volto ad assicurare alla parte in crisi la riorganizzazione degli spazi di tutela e quindi della propria esistenza: in buona sostanza ad un intervento alternativo alla lite che ribalta l’ottica e che porta la persona a muoversi Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 925 dalla logica della aggressività, della prevaricazione e della vendetta piuttosto nella prospettiva di una ragionevole ricomposizione e di prevenzione dalla litigiosità2. Il genitore che spesso entra nello studio dell’avvocato si trova in questa condizione emotiva di piena confusione e sovrapposizione fra il piano coniugale e quello genitoriale. Ogni avvocato potrà confermare che, soprattutto nei colloqui iniziali, quando si prova a spostare l’attenzione sul minore e sulla relazione del bambino con l’altro genitore, l’assistito – anche inconsapevolmente – risponde per lo più distrattamente per poi, di li a poco, riportare il fucus sul contrasto personale fra gli adulti. L’incapacità di operare una effettiva e consapevole differenziazione del tema coniugale da quello genitoriale, la sovrapposizione e la strumentalizzazione del secondo per fini che esulano dall’interesse della prole coinvolta e sconfinano nelle ritorsioni di carattere personale e/o meramente patrimoniale, porta con sé inevitabilmente la compressione del diritto dei minori alla bigenitorialità. È lecito a questo punto porsi degli interrogativi: si può davvero lavorare per prevenire il conflitto? Come si può intervenire quando il conflitto è già in atto? Come si può intervenire o lavorare sul contenimento del conflitto? Come si può far emergere e valorizzare la volontà delle parti ai fini del raggiungimento degli accordi? E, poi ancora, come radicare nella coscienza sociale che la crisi non può e non deve implicare in presenza di figli la volontà di porre fine al progetto familiare? È proprio su questi aspetti e, più globalmente, sulla tutela dei diritti dei minori coinvolti – del loro diritto alla bigenitorialità e alle affettività familiari – che si caratterizza e si concretizza il ruolo dell’avvocato nei procedimenti di famiglia. Vero è che il professionista può svolgere una funzione preventiva della conflittualità con la negoziazione e con il sostenere il proprio assistito nella ricerca di una regolamentazione 2 Chiare indicazioni in tale senso e quindi su di un nuovo ruolo dell’avvocato emergono anche dalla Suprema Corte laddove con la sentenza n. 8473 del 27 marzo 2019 in tema di mediazione obbligatoria ha avuto modo di affermare: “…. Si può osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato, con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate…”. 926 The best interest of the child pattizia valorizzando la capacità di autodeterminazione del genitore e la sua conoscenza delle esigenze, dei vissuti, delle inclinazioni dei figli in modo da arrivare ad avere delle regole che aderiscono a pieno o maggiormente alle situazioni di vita di quella specifica vicenda relazionale. Per tendere alla realizzazione dell’obiettivo, l’avvocato che opera nella situazione di crisi della famiglia deve sapere innanzitutto accogliere emotivamente la persona ed avere rispetto per la sua sofferenza, instaurando quello che è alla base del rapporto legale-cliente, e cioè un solido rapporto di fiducia. Ciò che non deve mai fare l’avvocato (nemmeno nella mera – discutibile – logica di acquisire il cliente) è rendersi complice del senso di vendetta o di rabbia che la parte assistita manifesta verso il “proprio ex”. Si diventa subito “altro” nel proprio sentire, e questo accade nella vita ancor prima che nella legge; si diventa “ex mariti”, “ex mogli”, “ex compagni” sin da subito, proprio quando si rimane insieme come genitori, a prescindere dalle vicende della coppia. L’avvocato svolge questa specifica funzione attraverso molteplici strumenti quali: - la piena conoscenza del quadro normativo vigente e degli attuali e aggiornati orientamenti giurisprudenziali, entrambi anche di derivazione transfrontaliera; - il rispetto degli obblighi deontologici collegati alla formazione professionale continua ed al rapporto con il cliente e con i minori che si riflettono sulla gestione del “caso famiglia”; - l’apertura alle altre aree del sapere, alle discipline contigue e l’interazione con esse. Da ultimo, la normativa sulla negoziazione assistita3 ha dato chiare indicazioni per l’enunciazione di principi più generali con riferimento alla funzione dell’avvocato. Tale disciplina, che prevede necessariamente la presenza in ambito familiare di due legali, configura specifici compiti in capo agli avvocati che sono tenuti ad informare compiutamente le parti della possibilità di ricorrere all’istituto della mediazione familiare e dell’importanza per i figli di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori, a cooperare con le parti medesime affinché le stesse si impegnino tra loro al rispetto dei canoni della buona fede, lealtà, correttezza, trasparenza e riservatezza, durante l’intero percorso 3 Dl n. 132 del 2014 conv. l. n. 162 del 2014. Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 927 di negoziazione, proprio in funzione della regolamentazione da assumere a salvaguardia della prole. D’altro canto, la necessità di adottare ogni forma di intervento idonea a garantire il pieno ripristino della bigenitorialità discende, oltre che dalle disposizioni normative interne, anche dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e dalla sua consolidata interpretazione 4. Anche la riflessione sul piano deontologico è quanto mai fondante. L’avvocato, che in assoluto è tenuto a contribuire all’attuazione dell’ordinamento giuridico per i fini della giustizia ed è un vero e proprio collaboratore di giustizia, diventa – nel settore specifico del contenzioso familiare – uno degli strumenti di tutela degli interessi prioritari dei figli coinvolti nella crisi coniugale con l’effetto che la sua funzione assume ulteriore ed essenziale connotazione mediante l’obbligo di svolgere un “ruolo protettivo” del minore5. Pertanto, nel rapporto con il proprio assistito, l’avvocato è chiamato: - ad arginare il conflitto anziché alimentarlo: dissuadendo il proprio assistito da una litigiosità esasperata avente ad oggetto inutili o inesistenti motivi di tensione frutto piuttosto del desiderio di creare nuove occasioni di scontro come è la cd. microconflittualità: chi va a prendere il figlio a scuola, per i giorni specifici di incontro, per gli orari o per chi porta i figli a tagliare i capelli; - a sollecitare il proprio assistito a che il minore abbia tempi di permanenza adeguati anche con l’altro genitore; 4 La corretta interpretazione della disposizione richiamata, infatti, impone agli Stati contraenti non solo di astenersi da ingerenze arbitrarie nella vita familiare (i c.d. obblighi negativi) ma anche di adottare i c.d. obblighi positivi, diretti ad assicurare l’effettivo rispetto della vita privata e familiare; obblighi che possono implicare la predisposizioni di interventi che permettano il corretto mantenimento delle relazioni genitoriali, e che non implicano esclusivamente che le autorità vigilino affinché il minore possa accedere pienamente ad entrambi i genitore, ma comprendono tutte le misure propedeutiche al raggiungimento di questo risultato, fornendo risposte non deboli, tempestive ed adeguate al caso concreto (cfr. per tutte Corte europea dei diritti dell’Uomo, Caso GI. c. ITALIA sentenza 15.9.2016). 5 Nella doverosa difesa dei diritti della parte che rappresenta, l’avvocato, è quindi tenuto a presidiare anche gli “interessi altri” che vengono coinvolti nell’adempimento del dovere di “vigila(re) sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell’interesse della parte assistita sulla conformità della legge” (art. 1 codice deontologico forense in vigore dal dicembre 2014). L’avvocato assume un ruolo di protezione di interessi pubblici primari quali sono quelli delle persone minori di età coinvolti nel contenzioso familiare. 928 The best interest of the child - ad invitare il proprio assistito a rendersi disponibile a seguire con l’altro genitore un percorso di mediazione familiare, di sostegno alla genitorialità etc. proprio al fine di proteggere il figlio dalla lite; - ad improntare la negoziazione così come il contenzioso al canone della buona fede e lealtà processuale6. - Il figlio, infatti, pur non essendo parte in senso processuale nel giudizio di separazione, è pur sempre uno dei destinatari principali delle regolamentazioni eterodeterminate che vengono assunte e che ricadono direttamente anche su di lui, sulla sua vita. L’avvocato è e rimane sicuramente difensore del padre o della madre ma, contestualmente, deve essere anche difensore del minore: infatti assiste e deve assistere sempre uno dei genitori in favore e nell’interesse del minore. I figli debbono essere tenuti in posizione neutra rispetto alle dinamiche avversariali degli adulti e gli avvocati, assumendo la difesa dei loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro interesse; tanto ciò è vero che, nella materia che ci occupa, proprio le 6 Si tratta di canone quanto mai essenziali nel contenzioso che riguarda i diritti dei minori coinvolti in base al quale il giudice può trarre dalla condotta tenuta dal genitore nel processo argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 cpc, ai fini del regime di affidamento, dell’emissione anche d’ufficio dei provvedimenti ex art. 709 ter cpc ed in sede di regolamentazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 96 cpc. È significativa al riguardo il decreto del Tribunale di Roma del 16.03.2018, emesso in un giudizio di modifica delle condizioni di separazione, che ha avuto modo di affermare un vero e proprio dovere per ciascuna delle parti di fornire elementi afferenti alla propria sfera patrimoniale anche se contrari al proprio interesse: “… deve rilevarsi come il legislatore abbia posto a carico dei coniugi un preciso dovere di collaborare nella ricostruzione della rispettiva situazione economico reddituale depositando non solo “la dichiarazione personale dei redditi”, ma anche “ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”; in questo modo è stato normativamente disciplinato un comportamento di lealtà processuale specifico, che giunge sino al dovere di fornire alla controparte elementi contrari al proprio interesse. L’evidente deroga ai principi che reggono in generale l’attività difensiva, trova fondamento, anche dal punto di vista costituzionale, nei particolari obblighi di reciproca protezione che derivano dal rapporto matrimoniale (art. 29 Cost.) e negli obblighi gravanti sui genitori per il mantenimento della prole (art. 30 Cost). Tali norme contengono dunque una previsione eccezionale rispetto a tutti gli altri procedimenti non relativi a rapporti tra genitori, ma comune invece (essendo possibile l’interpretazione – non analogica, ma – estensiva anche di una norma eccezionale) a tutti i procedimenti nei quali il conflitto tra coniugi richiede una particolare tutela dell’uguaglianza tra coniugi: quindi anche al procedimento di separazione ed a quelli di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio. La sanzione processuale di comportamenti che si sottraggono al particolare obbligo di lealtà così individuato non può che essere la valutazione del giudicante (art. 116 c.p.c.) del “contegno” della singola parte nel procedimento di divorzio …”. Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 929 questioni afferenti alla regolamentazione che riguarda i figli e le condizioni ad essi inerenti rappresentano una quota di diritti indisponibili per i coniugi-genitori. L’operato avvocato non deve dunque entrare in contrasto con il fanciullo: l’avvocato non può e non deve, a differenza del Giudice, ascoltare il minore sulla vicenda separativa, come è stato espressamente sancito dall’art. 56, 2 comma, del nuovo codice deontologico forense (approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31.1.2014) – Ascolto del minore – che impone all’avvocato di astenersi dall’avere colloqui con il minore di età sulle questioni oggetto delle controversie in materia familiare o minorile7. Inoltre è da considerare che l’avvocato è tenuto a favorire in tutti i modi la soluzione consensuale della vicenda separativa: tale compito è svolto rappresentando al proprio assistito, oltre agli aspetti vantaggiosi in termini di tutela delle relazioni umane, tutti quegli argomenti legati alla prevenzione di ulteriori e possibili piani di contesa con le inevitabili ricadute in termini di incidenza delle spese che andranno a gravare sui bilanci familiari in ragione della nota lunghezza dei contenziosi8. Non deve essere, infatti, sottovalutato che spesso, nel momento della crisi del rapporto, le vicende patrimoniali ed i reciproci impegni durante il corso della vita insieme hanno una ricaduta economica che possono far deflagrare il conflitto con l’instaurazione di più giudizi. Con una complessiva e organica negoziazione si rende invece possibile la composizione contestuale di tutti quegli altri piani di contesa più strettamente legati all’ambito patrimoniale, che da un punto di vista processuale, non hanno ingresso nel giudizio di separazione o di divorzio. 7 È prevista per l’avvocato che viola tale precetto la sanzione disciplinare della sospensione dell’esercizio dell’attività professionale da sei mesi ad un anno. 8 Un ulteriore elemento di riflessione si rinviene anche in una recentissima decisione della Suprema Corte (ordin. n. 19520 del 2019) che, con riferimento al ruolo dell’avvocato in generale, richiamando un orientamento consolidato ha così motivato: “… deve ribadirsi che (Cass. n. 14597 del 30/07/2004 e 24544 del 20/11/2009): “Nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 cod. civ. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”…”. 930 The best interest of the child Sono accordi che complessivamente considerati permettono di comporre, o meglio, di prevenire due, o a volte anche più di due, contenziosi che prendono le mosse proprio dalla crisi coniugale9. In tale quadro di competenze e regole, ed in base al portato dell’esperienza professionale quotidiana, diviene doveroso pensare ad un ruolo diverso dell’avvocato familiarista: un avvocato che non si siede più dietro la scrivania ma accanto al proprio assistito; un avvocato che, quale depositario della fiducia del proprio patrocinato, costruisca una squadra di competenze professionali che traccino insieme un percorso che deve già sin all’inizio vedere la meta. La ragionevole brevità dell’iter negoziale aiuta nel processo di metabolizzazione e di riorganizzazione delle esistenze da singoli ed anche nel loro rispettivo ruolo di genitori collaborativi. La pendenza del contenzioso la rallenta perché mantiene in atto il legame, sia pure in un’accezione disfunzionale. È un percorso che per alcuni può essere anche più doloroso ma che è di necessaria elaborazione e di trasformazione in funzione della tutela della prole per la quale una delle fonti primaria di pregiudizio è proprio il ritardo con cui arrivano le risposte atte a stabilire le nuove regolamentazioni. La scelta di porre fine al legame affettivo è una manifestazione dell’autodeterminazione del soggetto e su questa strada è doveroso proseguire; sono solo i casi di violenze, di incapacità genitoriali, di disagi patologici, di devianze quelle in cui l’intervento del Tribunale è, oltre che opportuno, doverosamente necessario; nella maggioranza dei casi, in realtà, la regolamentazione deve prendere corpo dall’incontro delle volontà dei genitori. Fra avvocato e assistito si crea un rapporto fiduciario da cui il secondo trae forza e stabilità; l’assistito, nel momento in cui si affida, si aspetta presenza e attenzione personale da parte dell’avvocato tanto che è molto difficile farsi sostituire o delegare nell’attività extra-processuale o prettamente giudiziale. 9 È da considerare che con un accordo separativo complessivo si possono comporre tutti i piani di azione in un unico contesto usufruendo dei massimi benefici fiscali mentre in caso contrario oltre al contenzioso familiare si aprono, per l’obbligatorietà della mediazione a pena di improcedibilità, per le cause riguardanti i diritti reali, più piani di azioni extragiudiziali e giudiziali per addivenire all’obiettivo della divisione patrimoniale. Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 931 È un rapporto (di fiducia) quello che si instaura fra avvocato e cliente che deve essere basato innanzitutto sulla chiarezza e sulla progettualità: in particolare sull’esposizione delle procedure che si hanno a disposizione per raggiungere una regolamentazione di separazione e di quelli che sono i diritti delle parti coinvolte, fra cui innanzitutto il diritto dei figli “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione, assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337 ter cod. civ.). La parte per lo più ha bisogno di sviluppare una comunicazione focalizzata sul figlio per liberarsi, dal punto di vista emotivo e comportamentale, da una relazione disfunzionale con l’altro genitore e accrescere le proprie competenze genitoriali. Il lavoro di squadra con i professionisti dell’area psicologica diviene essenziale per porre al centro delle tutele il minore: per recuperare a pieno la propria capacità di autodeterminazione e quindi di negoziare, il genitore deve lavorare sull’elaborazione e metabolizzazione della crisi, sul rafforzamento del proprio io. Accade però che quando l’avvocato valuta la necessità di una consulenza, di un’interazione con altra competenza professionale qual è quella dell’area psicologica e lo propone all’assistito, quest’ultimo non sempre accoglie il suggerimento, solo a volte incontra il professionista e solo a volte vi ritorna per proseguire il percorso iniziato. In alcuni casi è necessario, in altri è addirittura doveroso proporre la diversa competenza professionale proprio perché bisogna rigorosamente mantenere ciascuno la propria area di competenza e di ruolo, evitando la pericolosa commistione che talvolta può condurre anche inconsapevolmente a percorrere territori non propri e gli effetti negativi che l’incapacità (l’imperizia) può determinare. È necessario dare vita ad un setting interdisciplinare in cui ciascun professionista, con le proprie competenze, orienti, sostenga e completi la capacità decisionali dell’assistito nelle scelte che riguardano la propria vita e quella dei propri figli in funzione di prevenire la deflagrazione della conflittualità genitoriale, che è sicuramente l’effetto più deteriore, pernicioso e patologico della crisi e che si rivela senz’altro lesivo del diritto del minore a conservare i propri affetti familiari. Il metodo è di lavorare tra professionisti in un contesto unico e non a distanza, come a volte capita addirittura senza conoscersi se il proprio assistito già svolge o decide di intraprendere parallelamente un percorso di terapia psicologica. 932 The best interest of the child Ciò che si propone è altro rispetto agli interventi di psicoterapia che conservano inalterata la loro funzione e la loro valenza. Allorché si crea un tavolo di lavoro in cui l’avvocato è presente (e questo è essenziale soprattutto nella fase di avvio) ed interagisce con l’esperto delle dinamiche familiari, ognuno per le proprie specifiche aree di competenza, l’assistito recupera, migliora, affina la propria autodeterminazione ai fini della risoluzione della lite, ai fini di prevenire il conflitto o di contenerne gli effetti e da qui che si avvia il processo di tutela della prole. È qui che si scopre la chiave della vera prevenzione ed anticipazione delle tutele. Il lavoro di squadra aiuta il genitore in crisi: - a raccogliere ed a decodificare le istanze che arrivano dai propri figli, perché il primo ascolto dei minori devono farlo i genitori anche ai fini della regolamentazione da perseguire e trovare nel loro interesse; - a lavorare sul linguaggio e sulle modalità relazionali da tenere con l’altro genitore e/o con il figlio; - a riorganizzare i propri spazi abitativi anche in funzione della condivisione con i figli; - a vivere il rapporto con i figli in autonomia dall’altro genitore; - a proporre ed a motivare interventi di mediazione, di sostegno alla genitorialità, del coordinatore genitoriale, dei gruppi di parola etc. Proprio con riferimento tale ultimo profilo si consideri quanto l’avvocato, in sincronia con lo psicologo, possa conferire un apporto essenziale di orientamento e sostegno a vantaggio del proprio assistito, atteso che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, tali risorse e strumenti di intervento sono essenzialmente su base volontaria10. 10 La Corte di Cassazione con sent. n. 13506 del 1.07.2015 (orientamento confermato proprio da ultimo da Cass. ordinanza n. 18222 del 5.07.2019 ) a seguito della contestazione mossa avverso la legittimità della statuizione che obbliga i genitori a sottoporsi a un percorso psicoterapeutico individuale o ad un percorso di sostegno alla genitorialità ha accolto la doglianza sostenendo: “… Il secondo motivo del ricorso principale è invece fondato in quanto la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari. Tale prescrizione, pur volendo ritenere che non imponga un vero obbligo a carico delle parti, comunque le condiziona ad effettuare un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia confliggendo così con l’articolo 32 Cost. Inoltre non tiene conto del penetrante intervento, affidato dallo stesso giudice di merito, al Servizio sociale che si giustifica in quanto strettamente collegato all’osservazione del minore e Il ruolo dell’avvocato nelle questioni che interessano il minore 933 Gli obiettivi prefissati sono dunque la prevenzione, il contenimento e la risoluzione del conflitto, l’accrescimento delle competenze genitoriali, il sostegno anche post-separativo, l’orientamento, la formazione e, infine, non meno importante, la divulgazione. al sostegno dei genitori nel concreto esercizio della responsabilità genitoriale. Laddove la prescrizione di un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alla genitorialità da seguire in coppia esula dai poteri del giudice investito della controversia sull’affidamento dei minori anche se viene disposta con la finalità del superamento di una condizione, rilevata dal CTU, di immaturità della coppia genitoriale che impedisce un reciproco rispetto dei rispettivi ruoli. Mentre infatti la previsione del mandato conferito al Servizio sociale resta collegata alla possibilità di adottare e modificare i provvedimenti che concernono il minore, la prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione…”. Di segno opposto il Tribunale di Roma che con sent. n. 23857 del 13.11.2015 ha onerato le parti di proseguire il percorso di sostegno alla genitorialità già intrapreso sotto la direzione ed il monitoraggio dei competenti Servizi Sociali cosi motivando sul punto: “… Pur consapevole del diverso orientamento della Corte Suprema, quale espresso nella recente sentenza n. 13506/2015, non ritiene questo Collegio che il disposto percorso terapeutico possa tradursi in una violazione della libertà personale delle parti. E ciò sia perché trattasi di un onere, ovverosia di una facoltà che essendo condizionata ad un adempimento non è mai, essendo prevista nell’interesse dello stesso soggetto onerato, obbligatoria tanto è vero che è priva di conseguenze sanzionatorie personali nel caso in cui rimanga inattuata, ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido applicabile, sia perché è insuscettibile di esecuzione coattiva trattandosi esclusivamente della condizione posta dal giudice per il raggiungimento della pienezza dei paritetici poteri genitoriali nei confronti dei figli introdotta dalla novella 54/2006, sia perché trattasi dello strumento attraverso il quale si pongono le condizioni per una crescita il più possibile equilibrata e serena della prole in ragione della tutela del superiore interesse del minore che il giudice della famiglia è chiamato in prima istanza a salvaguardare. È proprio in ragione di tale immanente principio che il giudice, ove si consideri che la conflittualità genitoriale non può di per sé costituire ostacolo, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione, all’adozione del modello prioritario di affido vuoi perché si svuoterebbe la previsione normativa del suo significato essendo il conflitto la ricorrente condizione della coppia richiedente in via giudiziaria il mutamento di status, vuoi perché l’esclusione della pari responsabilità genitoriale, in quanto finalizzata a tutelare il superiore interesse della prole, deve avere quale causa diretta una patologia nel rapporto tra il genitore escluso dall’affido ed il figlio, ovverosia l’incapacità del primo ad entrare in relazione diretta con il minore, e non già all’interno della coppia, la prescrizione terapeutica si traduce necessariamente nell’unico strumento disponibile da parte del giudice per il superamento della conflittualità tra i due genitori affinché possa essere garantita l’equilibrata crescita del minore, nel rispetto del concorrente diritto alla bi – genitorialità in capo a quest’ultimo.…”. Da ultimo sempre il Tribunale di Roma nel decreto di fissazione dell’udienza presidenziale nei procedimenti familiari invita le parti ad intraprendere un percorso di mediazione e nel contempo segnala alle parti che il Giudice Delegato vorrà avere riferimenti in ordine alle iniziative in tal senso intraprese. 934 The best interest of the child In tale modo l’avvocato, di concerto ed insieme ad altre competenze professionali specifiche, potrà svolgere un lavoro che si tramuta in un valore aggiunto nell’interesse dei propri assistiti basato com’è sulle capacità di individuare le effettive istanze della persona, istanze che non sempre sono volte alla immediata separazione o alla sola disgregazione di un vincolo affettivo, ma anche alla prevenzione della crisi con effetti dunque senz’altro positivi proprio in chiave genitoriale e di tutela dei minori e degli affetti. Le risultanze di tutto quanto sopra evidenziato creeranno dunque un tangibile ed efficace spettro di opportunità a disposizione delle parti nel momento in cui l’avvocato sia in grado di offrire, insieme a un professionista dell’area psicologica, una squadra di lavoro e di competenze sin dall’avvio del rapporto professionale; in quel momento, infatti, si è già in grado di poter recuperare in termini di ragionevolezza tutto quanto potrà essere posto proficuamente a servizio per la risoluzione della crisi della coppia genitoriale. Attraverso le citate modalità sarà agevolmente possibile perseguire le regolamentazioni pattizie senza affrontare lunghi contenziosi di separazione o di divorzio e, soprattutto, si potranno raggiungere degli accordi che abbiano una tangibile efficacia ed una apprezzabile durata nel tempo: infatti, spessissimo, vediamo che ci sono delle separazioni le cui condizioni vengono sottoscritte con estrema fretta soltanto per liberarsi nell’immediato della tensione, del conflitto, mentre poi, proprio in ragione della fretta che ha condizionato le scelte primarie, il conflitto diventa ancor più deflagrante, il malessere aumenta, con la inevitabile conseguenza di dover instaurare un contenzioso per la modifica delle condizioni di separazione e i comprensibili deleteri effetti sulle persone coinvolte nell’ulteriore contenzioso. Dietro ai mutamenti di orientamento, giurisprudenziale o normativo, o di metodologie nello svolgimento delle funzioni c’è sempre un avvocato formato, competente e coraggioso che – all’interno del sistema normativo vigente – riesce ad individuare un diverso raggio di azione, una diversa e nuova risposta all’istanze multiformi che vengono dalle esigenze della vita e dai cambiamenti sociali. parte vii L’interesse del minore e il diritto all’identità L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica Marisa Ferrari Occhionero Per secoli la vita dei minori non ha avuto nessuna rilevanza sociale e giuridica. Negli ultimi trent’anni l’ordinamento giuridico, come abbiamo sentito nelle relazioni di questi giorni, ha mostrato una sensibilità crescente nei confronti del minore, interessato da forme di disagio con forti ripercussioni sul suo sviluppo psichico. Prima il minore era veramente minore, infatti si trovava in una condizione di inferiorità umana e di assoluta incompiutezza che lo facevano dipendere dagli altri, percepito come un essere che diviene persona solo dopo essere stato educato e plasmato dalla società. Finché si è compreso, ma solo in tempi abbasta recenti, la necessita di parlare di minori e del diritto di essere bambini, perché, una volta adulti, essi saranno la società di domani, e lo faranno sulla base dei modelli acquisiti durante la loro crescita verso l’adultità, durante il processo di socializzazione. Per questo è importante l’analisi degli agenti di socializzazione offerti da questa società, dalla famiglia alla scuola, dalla televisione a internet, perché i minori dovranno essere, un domani, eredi di una società che speriamo tutti migliore di quella in cui viviamo, caratterizzata da comportamenti violenti, come quelli insegnati dai videogiochi, dal bullismo così diffuso tra i giovanissimi e così via. In altre parole, viviamo in una società caratterizzata da “disvalori” più che da “valori”, quelli che molti di noi hanno appreso nella formazione della loro personalità. Una società, quella attuale, che si potrebbe definire della “post-etica”, in cui l’etica, i valori, lasciano sempre più il posto a modi di essere, di fare che rifiutano qualsiasi legame o riferimento che sia a codici comportamentali, quelli imposti dalla convivenza sociale e dalle istituzioni. 938 The best interest of the child A voler fare un esame storico, bisogna riconoscere che la società non si è curata affatto dei minori, anzi li maltrattava o li sacrificava agli dei, o, come accadeva ad esempio in Grecia o in Cina, uccideva i bambini deformi o non desiderati. Nell’ antica Roma, poi, l’ordinamento giuridico stabiliva il diritto di vita o di morte del pater familias sui propri figli. Il concetto di “famiglia patriarcale” concedeva ai genitori qualsiasi potere sui minori che non godevano di nessuna libertà, tanto meno di diritti: in società dominate da strutture di tipo patriarcale, nelle quali venivano inflitte anche pene corporali spesso per un nonnulla, era difficile che il bambino potesse ottenere dignità di menzione storica. Col passaggio alla società pre-industriale, un figlio maschio costituiva una ricchezza per la famiglia agricola perché poteva dare un aiuto “con le sue braccia” al bilancio del nucleo, un obiettivo economico, mentre la figlia femmina costituiva un problema per via della dote che bisognava prepararle per il matrimonio. Fortunatamente queste distinzioni oggi non esistono più, investendo piuttosto nell’istruzione per entrambi i generi. Fu solamente nel 529 d.C. che Giustiniano introdusse il concetto di “protezione”, con l’istituzione di case per orfani e bambini abbandonati. Nel Medioevo il bambino restava nella casa genitoriale fino a sette anni, allorché i compiti educativi venivano affidati ad istituzioni fuori della famiglia. Ma sia in famiglia che nella scuola le punizioni corporali costituivano lo strumento pedagogico più comune. Finalmente ebbe inizio l’attenzione per l’infanzia allorché, in Inghilterra, romanzieri come Scott e Dickens ebbero il coraggio di denunciare nelle loro opere il comportamento inappropriato della società verso i bambini, sensibilizzando in tal modo la coscienza pubblica. Anche la Francia, dopo la Rivoluzione francese sembrò risvegliarsi, proclamando nel 1793 che “il bambino non possiede che diritti”. Una volta venuti alla luce i maltrattamenti, fisici e psichici dei minori, fu chiaro che si trattava di un vero problema sociale che doveva essere studiato e risolto. Così, all’inizio del Novecento pedagogia, psicologia e sociologia iniziarono a porsi il problema dell’infanzia e dei suoi bisogni, ivi compresi quelli affettivi. Ma ciò che è più importante è che si comprese che la tutela dei minori non dev’essere un compito dei soli genitori ma di tutta la società. Nel 1925 fu così approvata la Dichiarazione dei diritti del fanciullo a Ginevra che affermava che i minori hanno diritto ad ogni tipo di cura e devono essere protetti e salvaguardati da ogni tipo di sfruttamento. Infine, nel 1959 è stata proclamata dall’ONU la carta dei diritti del fanciullo L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica 939 che ribadiva il diritto all’istruzione, al gioco ed alle attività creative, la protezione dalle discriminazioni razziali o religiose. Sfortunatamente questi obiettivi non sono stati ancora completamente raggiunti, nonostante le raccomandazioni della Ue, e ancora oggi assistiamo a eventi disastrosi che hanno come vittime principali proprio i minori. Un rapido sguardo agli eventi storici e mondiali può essere sufficiente per convincerci in modo definitivo che il bambino non è al di fuori della storia. Infatti, nel corso della storia, i bambini sono stati testimoni e vittime di rivoluzioni e riforme cha hanno determinato i mutamenti societari. Nella società preindustriale i bambini sono stati gli osservatori diretti dei “fatti della vita”, malgrado gli sforzi dei difensori dei loro diritti, per essere poi investiti da una crescente industrializzazione; nessuno ha potuto risparmiare loro dall’ impatto – positivo o negativo – delle rivoluzioni (quella russa o quella americana) né ha potuto impedire la condivisione con gli adulti della Seconda guerra mondiale. Oggi sono massicciamente coinvolti nelle guerre del Medio Oriente, vittime innocenti di lotte fratricide e di aberranti brutalità. Una trasformazione profonda nella condizione dell’infanzia si è avuta solo con l’avvento della moderna società industriale, con il passaggio dall’economia tradizionale all’economia di mercato. Nella società antica fino a tutta l’epoca medievale l’impiego dei bambini in lavori agricoli e industriali costituiva la norma anche là dove si camuffava sotto la veste dell’addestramento ad un mestiere. Con il sorgere delle fabbriche, l’occupazione e lo sfruttamento del lavoro minorile figura come un elemento intrinseco del modo di produzione industriale. L’industria eleva a sistema lo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche tessili e così via. In Gran Bretagna le prime leggi e i primi provvedimenti per regolamentare il lavoro minorile risalgono al XIX secolo, seguiti da altri paesi. La legge riduceva ad otto ore il lavoro del bambino al di sotto dei tredici anni, impediva il lavoro al di sotto dei nove anni e soprattutto introduceva l’obbligo dell’istruzione in parallelo al lavoro giornaliero. Il richiamo alla necessità di istruire il bambino appare come il momento simbolico più significativo della moderna scoperta dell’infanzia, che coincide con l’affermazione della scuola di massa, con la posticipazione del momento in cui il bambino assume una responsabilità economica, con l’espansione di un complesso di istituzioni e di agenzie incaricate di gestire il tempo libero del bambino. Con ciò la scuola si sostituisce all’apprendistato ed il valore dell’infanzia slitta dalla sfera economi- 940 The best interest of the child ca a quella del sentimento. Ormai l’integrazione nella società non inizia più nel momento dell’inserimento nel mercato del lavoro ma ha inizio con la scuola. L’ interesse della sociologia, scienza nata abbastanza recentemente, nella seconda metà del IX secolo, è stata piuttosto scarsa, a differenza della psicologia e della psicopedagogia, le cui impostazioni sono tuttavia del tutto differenti. Il tema fondamentale è stato quello di arrivare a concepire l’infanzia come una categoria sociale. Non più, quindi, l’infanzia come “condizione” che si evolve gradualmente fino all’ inclusione nel mondo dell’adulto, ma piuttosto l’infanzia come categoria sociale, intesa come gruppo stabile o componente del corpo sociale, di ogni popolazione, di qualunque organizzazione sociale. La cultura occidentale del XX secolo, secondo Lacan, confondeva l’essere una persona umana con l’essere un soggetto che agisce: se ciò è giusto allora il periodo “in cui si diventa umani” è abbastanza breve. È l’unico momento in cui il soggetto parla al suo posto. Ma parla senza parole, esiste senza concetti, non è umano. Questa fase è ben riconosciuta nelle culture non-europee dove ai bambini non viene dato un nome finché non sono ritenuti capaci di avere cognizione del proprio nome. Se ciò fosse vero i bambini potrebbero essere considerati attori sociali soltanto quando fossero capaci di riconoscersi come oggetti nel pensiero e nel linguaggio degli adulti. La spinta generale della sociologia è stata quella di continuare a considerare i bambini come socialmente passivi piuttosto che come agenti sociali attivi. È quindi necessario esaminare l’esclusione dei bambini dall’ indagine sociale, che non è soltanto un riflesso dei cambiamenti storici, ma piuttosto una continuazione dei problemi che la cultura e le scienze sociali occidentali hanno sempre avuto nella problematizzazione del pensiero. Finora questa fascia così decisiva ed importante per la società, anche perché costituirà il nerbo di quella futura, non ha quindi goduto dell’interesse della ricerca sociologica. Ve ne sono poche tracce ma spesso di scarso interesse sul piano scientifico. Oggi si fa un gran parlare dei bambini, ma essi non sono protagonisti; si parla di loro per la pubblicizzazione di qualche prodotto. Oppure per situazioni patologiche in cui i bambini sono vittime inconsapevoli ed innocenti. Il tema dell’infanzia occupa un posto del tutto marginale nelle scienze sociali che solamente di recente hanno abbozzato una. È sintomatico, al riguardo, come nella nota Encyclopedia of the Social Sciences del 1930 il termine infanzia non sia nemmeno riportato, mentre al suo L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica 941 posto compare “child” con una serie di problemi del bambino e la sua condizione soprattutto di carattere patologico, a dimostrazione che non sono l’infanzia o la condizione del bambino intese come strutturali o “normali” dell’ordine sociale, ma piuttosto, come detto poc’anzi, le situazioni patologiche che ne mettono a rischio l’armonico sviluppo. Analogamente, nella successiva edizione dell’opera (1968), pur ricomparendo la voce “infancy”, la problematica resta essenzialmente di tipo psicologico piuttosto che sociologico. La sorprendente carenza (assenza) di impostazione sociologica nelle analisi dedicate all’ infanzia resta tuttora presente nella letteratura sociale. Anche per quanto concerne il terreno statistico, dati e informazioni sul tema sono del tutto carenti se confrontati con quelli della popolazione adulta. Quale la ragione di tale invisibilità? La teoria sociale resta centrata sulla figura dell’adulto, considerando i bambini esclusivamente nella prospettiva della riproduzione dell’ordine sociale: un soggetto dipendente, l’infanzia un periodo subordinato della vita, visioni più generali che la collettività ha dell’infanzia come categoria sociale. La prospettiva dei diritti e della cittadinanza dei soggetti minorenni è tema cruciale dell’opera pionieristica di Ariès. Scrive Ariès, che con l’avvento della società moderna il bambino esce “dall’anonimato e dall’indifferenza per diventare la creatura più preziosa, la più ricca di promesse e di avvenire”. Ciò avviene, secondo Ariès, contemporaneamente allo sviluppo del sentimento della famiglia. In altre parole, la scoperta dell’infanzia coincide con l’affermazione della famiglia come sfera dell’intimità, della vita privata, come ambito di una relativa indipendenza dalle costrizioni sociali, come emancipazione psicologica che si stabilisce in stretta relazione con l’emancipazione politico-sociale che è caratteristica della società borghese. Parallelamente alla scoperta dell’infanzia da parte della società moderna, all’emergere del bambino dall’anonimato e dall’indifferenza in cui era relegato nel passato, si verifica paradossalmente un indebolimento della sua figura sociale, della sua integrazione nel contesto della vita sociale. E ciò malgrado il progressivo miglioramento nei confronti della tutela del bambino, il suo benessere individuale, il diritto del minore, la sua protezione dai possibili abusi da parte degli adulti. La separazione tra l’adulto ed il bambino si svolge sul piano dei sentimenti, ma non esclusivamente nel mondo degli affetti; essa investe, al tempo stesso, qualcosa di più profondo e di più generale. L’epoca che precede l’avvento della società moderna non aveva consapevolezza di questa distinzione, non conosceva l’infanzia, semplicemente 942 The best interest of the child non aveva il bisogno di rappresentarla. Con l’avvento della produzione industriale e con l’affermarsi della conoscenza, ad essa strettamente legata, le cose cambiano: l’infanzia e l’adolescenza diventano oggetto di attenzione, sia da parte delle famiglie che da parte della scuola, perché è essenzialmente su queste età della vita che si appuntano le speranze di affermazione individuale e dell’intera società. In entrambi i casi si tratta di processi sociali che riguardano la società nella sua interezza e soltanto incidentalmente l’individuo. Parlando d’infanzia si dovrebbe intenderla come categoria stabile e fase permanente della società cui sono attribuite determinate funzioni sociali, e non come “condizione” contingente destinata ad essere superata con l’ingresso nella fase adulta. Le interpretazioni correnti dell’infanzia si sono poste invece sulla via di un accentuato individualismo, frapponendo una serie di ostacoli all’analisi dell’infanzia come fenomeno sociale. Non è facile individuarne le ragioni, ma forse, in parte, sono riconducibili al fatto che nell’ odierna società è andato progressivamente ampliandosi il divario tra responsabilità della società e responsabilità della famiglia nella cura e nell’ allevamento del bambino. Comunque sia, il risultato è che l’infanzia è stata rappresentata come una fase di passaggio, provvisoria e transeunte del ciclo vitale, come uno stadio dell’esistenza destinato ad essere accantonato con l’accesso al traguardo finale nell’età adulta. Nella scienza sociale l’infanzia è descritta come una schiera di “mutanti” in continua e inarrestabile trasformazione, non come una componente strutturale della società. Scarso interesse perciò per le condizioni in cui si svolge la vita del bambino, alle convenzioni che regolano le sue attività, al significato economico e sociale di tali attività, alle diseguaglianze tra i minori, alle altre componenti della popolazione e così via. L’analisi evolutiva (developmental) praticata prevalentemente dalla psicologia e dalla pedagogia non ha minor titolo a occuparsi dell’infanzia di quanta ne abbia l’approccio strutturale più consono alle scienze della società. La diversità tra analisi evolutiva e approccio strutturale si coglie con esemplare chiarezza negli studi e nelle ricerche sulla socializzazione. Il tema della socializzazione difatti costituisce da sempre un campo elettivo della ricerca sull’ infanzia. Il motivo è semplice: i bambini “nuovi barbari” devono essere integrati nella società e la socializzazione è appunto il processo decisivo attraverso cui il bambino assimila i valori e le regole della società adulta. La società, scriveva Durkheim, “non può vivere se non esiste tra i suoi membri una omogeneità sufficiente”. Appunto L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica 943 l’educazione (la socializzazione) “perpetua e rinforza questa omogeneità, fissando a priori nell’anima del fanciullo le similitudini essenziali che impone la vita collettiva”; essa è dunque il mezzo mediante il quale la società si riproduce, da generazione in generazione, “le condizioni essenziali per la propria esistenza”. Con poche ed essenziali modifiche, questa posizione è stata recepita dalla letteratura sociologica che si è interessata al processo di socializzazione. Insomma, secondo Durkheim non esiste antagonismo tra individuo e società: entrambi mirano al raggiungimento, e cioè alla conservazione delle condizioni fondamentali della solidarietà sociale. La socializzazione è vista come assimilazione da parte del bambino di credenze, abiti e regole sociali, dunque è conformità a un ordine sociale esistente. La posizione del bambino nel processo socializzativo è comunque assunta in termini di passività, essendo il sistema delle regole imperativo. In altre parole, la teoria presuppone la coincidenza tra gli agenti della socializzazione ed il soggetto socializzato, tra gli adulti ed il bambino: una coincidenza che viene raggiunta solo a prezzo della rinuncia alla individualità da parte del bambino; l’eventuale rifiuto dell’apprendimento del ruolo viene di fatto trattato dalla teoria come una patologia, come un caso che esce dalla norma ed è perciò stesso “deviante”. Le critiche oggi muovono nella direzione della competenza del bambino, per cui esso disporrebbe sin dalla più precoce età della capacità di interagire con il contesto sociale, sicché la socializzazione non è riducibile ad un’assimilazione in un “universo simbolico” precostituito ma costituisce piuttosto un rapporto di scambio e comunicazione fondato sulla reciprocità. Questa è l’idea ampiamente condivisa dalla psicologia, anche se non mancano voci dissonanti. Educazione, scuola, formazione rappresentano il terreno elettivo della partecipazione del bambino alla vita sociale. L’attenzione che gli studi e le ricerche sulla socializzazione hanno dedicato all’ apprendimento, agli stili educativi, alle motivazioni, alla disciplina, ecc. nel contesto familiare e scolastico riflette ampiamente il ruolo fondamentale che la società moderna assegna al momento della formazione che precede l’inserimento del bambino nella realtà economica e sociale. Alla questione dell’infanzia se ne collegano altre per meglio comprendere la sua condizione nella società moderna. Anzitutto quella demografica, che introduce due aspetti finora trascurati e tra loro dipendenti: quello relativo al declino delle nascite e quello che si riferisce alle differenze profonde che 944 The best interest of the child vi sono tra l’infanzia nei paesi sviluppati dell’Occidente e quella negli altri mondi. L’infanzia di oggi non è paragonabile a quella di una volta: rispetto ad un non lontano passato, il cambiamento si riassume in una netta inversione di tendenza nel rapporto tra i costi e i ricavi legati alla crescita legati alla crescita e all’ impiego produttivo del bambino, per la famiglia, da un lato, e per la società dall’ altro. A seguito dell’industrializzazione e con l’introduzione della scuola di massa, si è prodotta una frattura tra la famiglia e le altre sfere della società nella ripartizione dei costi e benefici della riproduzione e dell’allevamento. Oggi la famiglia sopporta pressoché interamente i costi della crescita e della formazione della prole, senza averne nessun beneficio, se non sul piano sentimentale e della gratificazione emotiva. All’interesse delle famiglie di trarre un profitto immediato tramite l’impiego del bambino in un’attività produttiva, si contrappone sempre di più l’interesse della società di disporre di una forza-lavoro sufficientemente istruita. Infine, la scelta procreativa entra in aperta contraddizione con altre decisioni. Da beni d’investimento, quali erano in passato, i figli si tramutano per le famiglie in costi che entrano in competizione con altri beni di consumo alternativi. Da bene economico sono divenuti, in un breve lasso di tempo, un costoso e per molti un lussuoso bene sentimentale. Ma la soluzione del problema demografico, che è un problema sociale, è stata abbandonata unicamente alla responsabilità delle famiglie, relegata nello scontro angusto tra interesse dei genitori e dei figli, impedendo così che il problema assumesse senso e lo spessore di un problema della collettività. Bibliografia Alanen L. – Mayall, B., Conceptualising Child Adult Relations, London, 2001. Ariès P., tr.it., L’enfant et la vie familiale sous l’ancien régime, 1960, pp. 480-481. Durkheim E., Education, in Nouveau Dictionnaire de pèdagogie et d’instruction primaire, Paris, 1911. James A. – Prout A., Constructing and Reconstructing Childhood, London, 1977. Moran-Ellis J., Reflections on the sociology of childhood in the UK, in Current Sociology, 2010, 58, 2, p. 186-205. Parsons T., The social system, New York, 1951, tr.it. Il sistema sociale, Milano, 1965. Postman N., The disappearance of childhood, New York (tr.it.: La scomparsa dell’infanzia, Roma, 1985). L’invisibilità dei minori nella prospettiva sociologica 945 Sgritta G. – Saporiti A., Myth and reality in the discovery and representation of childwood, in P. Close (cur.), Family division and inequalities in modern society, London, 1989. Tisdall K. – Punch, S., Not so new? Looking critically at childhood studies, in Children’ s Geographies, 2012. Wynn M., Children without childhood, New York, 1981 (tr.it. Bambini senza infanzia, 1984). La complejidad del derecho a la identidad a la luz de las sugerencias de la jurisprudencia de la corte interamericana de derechos humanos Ursula Cristina Basset1 Sumario: 1. La jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos sobre la identidad. – 2. La identidad como un derecho y una realidad. – 3. La naturaleza jurídica de la identidad y su interacción con otros derechos. – 4. La identidad como un derecho en clave de relación: la identidad familiar. 5. Identidad: biologismo vs. Contrato y autopercepción. - 6. Identidad y raíces culturales. - 7.- Identidad y proyecto de vida (daño existencial) y proyecto de post-vida. - 8. Identidad, tiempo, memoria y vulnerabilidad. - 9. Identidad, reconocimiento, justicia y perdón: los medios de corretezza, o verdad en las relaciones dinámicas de la filiación. 1. La jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos sobre la identidad La Corte Interamericana de Derechos Humanos (Corte IDH, en adelante) ha debido fallar en casos trágicos. En muchos de esos casos, la identidad no aparecía en forma evidente como el derecho afectado. Sobre todo, porque la identidad no es objeto de ningún derecho enunciado textualmente en la Convención Americana de Derechos Humanos, sino que la Corte debió realizar una construcción teórica para llegar a enunciarla como un derecho implícito. Sin embargo, desde el “descubrimiento” o la “invención” (en el sentido etimológico de la palabra2) del derecho a la identidad, la Corte IDH ha desarrollado una jurisprudencia de enorme riqueza. La identidad aparece en al menos tres tipos de casos en la jurisprudencia de la Corte, a saber, los relativos a los aborígenes o comunidades indígenas, las relativas a la sustitución de la identidad por regíme- 948 The best interest of the child nes militares o por grupos paramilitares, que separan tempranamente los niños de sus familias o bien en casos de adopción irregular. Más recientemente, la Corte IDH ha ampliado este espectro, incorporando a su jurisprudencia sobre la identidad, una opinión consultiva sobre la “identidad de género”3. 2. La identidad como un derecho y una realidad La identidad aparece enunciada como un dato y a la vez como un derecho subjetivo que hace nacer un deber de garantía del Estado. El elemento fáctico no carece de trascendencia: la identidad es entendida como algo preexistente al derecho, con “componentes sociológicos, psicológicos y socioculturales, políticos y axiológicos diversos”4. En este sentido, la dimensión jurídica e incluso su plasmación como derecho subjetivo se enmarca en el ámbito del “reconocimiento a la personalidad jurídica”5. El hecho de enmarcar el derecho a la personalidad en el ámbito del “reconocimiento” implica precisamente la comprensión de la preexistencia de la identidad como un elemento emergente y constitutivo de la personalidad jurídica que se corporeiza frente al Estado y obliga a éste a reconocer al individuo en todas las manifestaciones de su unicidad. 3. La naturaleza jurídica de la identidad y su interacción con otros derechos La identidad personal tiene entonces, en el ámbito de corpus iuris interamericano de derechos humanos, un encuadre en el marco del derecho al Reconocimiento de la Personalidad Jurídica que surge del Art. 3 de la Convención Americana de Derechos Humanos. Se trata 3 Corte IDH, Opinión Consultiva Nro. 24 (2017). 4 Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos (OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del Derecho a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev. 1. 5 Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos (OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del Derecho a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev. 1., par. 9. La complejidad del derecho a la identidad 949 de un derecho implícito e inherente al derecho de la persona humana referida al reconocimiento jurídico. El Comité Jurídico Interamericano lo expresa de la siguiente forma: “Dado que el derecho a la identidad está indisolublemente ligado al individuo como tal y, por consiguiente al reconocimiento de su personalidad jurídica, en todas partes, así como a la titularidad de derechos y obligaciones inherentes a la misma, es importante tomar en consideración que ya desde la Declaración Americana de los Derechos y Deberes del Hombre, se consignó en el artículo XVII que “toda persona tiene derecho a que se le reconozca en cualquier parte como sujeto de derechos y obligaciones ...”. Disposiciones semejantes fueron incorporadas en la Declaración Universal de los Derechos Humanos (artículo 6), la Convención Americana sobre Derechos Humanos (artículo 3) y el Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos (artículo 16).” Se relaciona con el derecho a la dignidad personal6 y por ello con el derecho a la “verdad personal de cada persona”. En palabras del antiguo Juez de la Corte Interamericana Antonio A. Cançado Trinidade: “No hay cómo disociar el derecho a la identidad de la propia personalidad jurídica del individuo… El derecho a la identidad viene a reforzar la tutela de los derechos humanos, protegiendo a cada persona contra la desfiguración o vulneración de su “verdad personal”. El derecho a la identidad, abarcando los atributos y características que individualizan a cada persona humana, busca asegurar que ésta sea representada fielmente en su proyección en el entorno social y el mundo exterior. De ahí su relevancia, con incidencia directa en la personalidad y capacidad jurídicas de la persona humana en los planos tanto del derecho interno como internacional”7. Esta “fidelidad a la persona humana”, su adecuada representación social de acuerdo con su “verdad personal” es esencial para comprender la consistencia del derecho a la identidad. La persona, como fundamento y centro de protección de todo el sistema de derechos humanos y su dignidad humana, son los que explican la inalienabilidad del derecho a la identidad que es apenas reconocido por el derecho positivo. La personalidad humana tiene una identidad que tiene derecho a expresar como un modo de ser único en el concierto de la vida social 6 Ibid. par. 13. 7 Corte IDH, Caso de las Hermanas Serrano Cruz v. El Salvador. Voto disidente Juez Antonio A. Cançado Trinidade, Sentencia del 1 de marzo de 2005, par. 13 y 19. 950 The best interest of the child y el Estado debe ser “fiel” a esa expresión de la unicidad de cada ser humano y garantizar esa expresividad en la pluralidad de elementos complejos que integran la identidad de cada uno. La Organización de los Estados Americanos (OEA), por su parte, sostuvo por su parte que la falta de reconocimiento de la identidad puede obstar el ejercicio de los derechos civiles y políticos y por lo tanto enervar la capacidad jurídica de la persona: “la falta de reconocimiento de la identidad puede implicar que la persona no cuente con constancia legal de su existencia, dificultando el pleno ejercicio de sus derechos civiles, políticos, económicos, sociales y culturales”8. Tratándose de niñas, niños y adolescentes, la Comisión Jurídica Interamericana9 y Corte IDH10 no eluden la incidencia del corpus iuris internacional sobre infancia, incorporando reiteradamente la referencia al Art. 8 de la Convención sobre los Derechos del Niño. Recordemos que el Art. 8 de la Convención sobre los Derechos del Niño incluye dentro de la identidad, la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares. La enunciación que hace el Art. 8 de la Convención Internacional de los Derechos del Niño no es taxativa sino enunciativa y podría incorporar otros derechos no enunciados. Así lo señala la Corte IDH en el caso Ramírez Escobar v. Guatemala: “La identidad es un derecho que comprende varios elementos, entre ellos y sin ánimo de exhaustividad, la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares. Si bien la Convención Americana no se refiere de manera particular al derecho a la identidad bajo ese nombre expresamente, incluye sin embargo otros derechos que lo componen”11. Así, en el caso Gelman v. Uruguay, la Corte entiende que la función del derecho a la identidad es la de individualizar a una persona en la sociedad y por lo tanto se asocia a varios otros derechos según la dimensión de la persona que esté relacionada con la expresión de su 8 OEA, Resoluciones AG/RES. 2286 (XXXVII-O/07); 2362 (XXXVIII-O/08), y 2602 (XLO/10), cit. en F. Andreu, Derecho al reconocimiento de la personalidad jurídica, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 110 9 Comité Jurídico Interamericano de la Organización de los Estados Americanos (OEA), Opinión Aprobada por el Comité Jurídico Interamericano sobre el Alcance del Derecho a la Identidad, Río de Janeiro, 10 de Agosto de 2007, CHI/doc. 276/07 rev.1., par. 10. 10 S. García Ramírez, Panorama de la Jurisprudencia Interamericana sobre Derechos Humanos, CNDH, México, 2018, p. 122. 11 Corte IDH, Caso Ramírez Escobar v. Guatemala, Sentencia del 9 de marzo de 2018, par. 359. La complejidad del derecho a la identidad 951 identidad12. Así, vemos cómo, en otros fallos, la Corte relaciona la identidad unas veces con el derecho a la vida, a la protección de la familia, otras a la protección de la identidad cultural y libertad religiosa, otras a la protección de la vida privada. Por ejemplo13: - En el caso Gelman v. Uruguay, la Corte IDH relaciona la identidad con el derecho a la vida: “Los hechos probados afectaron también el derecho a la vida, previsto en el art. 4.1. de la Convención, en perjuicio de María Macarena Gelman, en la medida en que la separación de sus padres biológicos puso en riesgo la supervivencia y el desarrollo de la niña, supervivencia y desarrollo que el Estado debía garantizar, acorde a lo dispuesto en el Art. 19 de la Convención y en el Art. 6 de la Convención sobre Derechos del Niño, especialmente a través de la protección a la familia y la no injerencia ilegal o arbitraria en la vida familiar de los niños y niñas, pues la familia tiene un rol esencial en su desarrollo.”14. - En el Caso de las Hermanas Serrano Cruz vs. El Salvador lo vincula “en las circunstancias del caso concreto, sobre todo con los artículos 18 (derecho al nombre) y 17 (derecho a la protección de la familia) de la Convención Americana, en relación con el artículo 1(1) de ésta”15. - En el Caso Contreras v. El Salvador se vincula con la vida privada, derecho al nombre y vida familiar: “(…) la afectación del derecho a la identidad en las circunstancias del presente caso ha implicado un fenómeno jurídico complejo que abarca una sucesión de acciones ilegales y violaciones de derechos para encubrirlo e impedir el restablecimiento del vínculo entre los menores de edad sustraídos y sus familiares, que se traducen en actos de injerencia en la vida privada, así como afectaciones al derecho al nombre y a las relaciones familiares”. - En el Caso Masacre Plan Sánchez, la Corte IDH habla de una iden12 Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 122: “(…) el derecho a la identidad puede ser conceptualizado, en general, como el conjunto de atributos y características que permiten la individualización de la persona en sociedad y, en tal sentido, comprende varios otros derechos según el sujeto de derechos de que se trate y las circunstancias del caso”. 13 Cf. M. Beloff, Protección de la familia, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 423. 14 Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de marzo de 2011, par. 130. 15 Corte IDH, Caso de las Hermana Serrano Cruz vs. El Salvador, Sentencia del 1 de marzo de 2005, par. 120. 952 The best interest of the child tidad cultural y colectiva, criterios que luego se reproducen en otros fallos, incluyendo también la identidad religiosa: “No obstante, hechos como los señalados, que afectaron gravemente a los miembros del pueblo maya achí en su identidad y valores y que se desarrollaron dentro de un patrón de masacres, causan un impacto agravado que compromete la responsabilidad internacional del Estado que esta Corte tomará en cuenta al momento de resolver sobre reparaciones. ”16. Se despliega así un fresco rico de interacciones: el individuo expresa su identidad en una pluralidad de dimensiones de su personalidad, y en cada una de ellas su identidad se reconoce jurídicamente en relación con los derechos involucrados: libertad de religión, de conciencia, manifestaciones culturales, de idioma, de sistema de creencias, de relaciones, de derecho a asociarse, de mantener la privacidad o de obtener reconocimiento del nombre, de la nacionalidad o de sus relaciones familiares. Hasta ahora, nos hemos referido al derecho a la identidad como una manifestación del individuo. Hemos dicho que esta identidad resulta tan compleja como la plurifacética manifestación de cada individuo que proyecta su personalidad sobre diferencias esferas axiológicas y jurídicas. Sin embargo, este individuo no puede ser recortado de sus relaciones humanas y sociales, de ahí que sea necesario abordar uno de los aportes de mayor riqueza de la jurisprudencia de la Corte Interamericana, que, en todo caso, ya habían sido insinuados más arriba: la captación de la identidad como un fenómeno relacional. 4. La identidad como un derecho en clave de relación: la identidad familiar Especial interés reviste el concepto de “identidad familiar” al que la Corte IDH suele hacer referencia. La Corte entiende la identidad como un derecho que se teje bajo el amparo del derecho a la vida privada, y entiende que dicho derecho es un concepto relacional. 16 Corte IDH, Caso Masacre Plan Sánchez v. Guatemala, Sentencia del 24 de abril de 2002, par. 51. La complejidad del derecho a la identidad 953 El derecho a la identidad incluye el derecho a las relaciones de familia17. Notablemente, la Corte IDH ha entendido que esa identidad es “verdadera” y la familia es “verdadera” cuando hay coincidencia biológica, sobre todo cuando la identidad de origen ha sido “sustraída18: “En cuanto a la sustracción y apropiación ilícita de niños y niñas, jurisprudencia argentina ha considerado que ello afectaba el derecho a la identidad de las víctimas, toda vez que se había alterado el estado civil de los niños y se habían atribuido datos filiatorios que impidieron conocer la verdadera identidad de los mismos, quedando eliminado cualquier indicio relativo a su verdadero origen y evitando el contacto con la verdadera familia”19. También en el caso “Contreras vs. El Salvador” la identidad se asocia a recuperar los vínculos familiares “de origen”. En dicho fallo, la identidad se define como: “Al respecto, la Corte ha utilizado las “Normas de Interpretación” de este artículo para precisar el contenido de ciertas disposiciones de la Convención, por lo que indudablemente una fuente de referencia importante, en atención al artículo 29.c) de la Convención Americana y al corpus juris del Derecho Internacional de los Derechos Humanos, lo constituye la Convención sobre los Derechos del Niño, instrumento internacional que reconoció el derecho a la identidad de manera expresa. En su artículo 8.1 señala que “[l]os Estados Partes se comprometen a respetar el derecho del niño a preservar su identidad, incluidos la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares de conformidad con la ley sin injerencias ilícitas”. De la regulación de la norma contenida en la Convención sobre Derechos del Niño se colige que la identidad es un derecho que comprende varios elementos, entre ellos, se encuentra compuesto por la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares, incluidos en dicho articulado a modo descriptivo mas no limitativo. De igual forma, el Comité Jurídico Interamericano ha resaltado que el “derecho a la identidad es consustancial a los atributos y a la dignidad humana” y es un derecho con carácter autónomo, el cual posee “un núcleo central de 17 Corte IDH, Caso Gelman vs. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 130. 18 Corte IDH, Caso Gelman vs. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 131. 19 Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 124. La cursiva es nuestra. 954 The best interest of the child elementos claramente identificables que incluyen el derecho al nombre, el derecho a la nacionalidad y el derecho a las relaciones familiares”20. Preservar la identidad, en especial la identidad familiar, es un derecho del niño. En esa dirección va el muy citado párrafo 123 del Caso “Fornerón vs. Argentina”: “Finalmente, la Corte recuerda que la Convención sobre los Derechos del Niño, en su artículo 8.1, señala que “[l]os Estados Partes se comprometen a respetar el derecho del niño a preservar su identidad, incluidos la nacionalidad, el nombre y las relaciones familiares de conformidad con la ley sin injerencias ilícitas”. El Tribunal ha reconocido el derecho a la identidad, que puede ser conceptualizado, en general, como el conjunto de atributos y características que permiten la individualización de la persona en sociedad y, en tal sentido, comprende varios otros derechos según el sujeto de derechos de que se trate y las circunstancias del caso. La identidad personal está íntimamente ligada a la persona en su individualidad específica y vida privada, sustentadas ambas en una experiencia histórica y biológica, así como en la forma en que se relaciona dicho individuo con los demás, a través del desarrollo de vínculos en el plano familiar y social.”21. Es de remarcar que la identidad familiar se extiende no sólo a las relaciones actuales, sino también al patrimonio genético y a los ancestros que forman parte del derecho a la identidad familiar del niño. En el caso Gelman v. Uruguay, la Corte IDH lo señala recogiendo un fallo argentino: “En ese mismo sentido, la Cámara Federal de Apelaciones de San Martín afirmó, en relación con la identidad de los niños sustraídos en Argentina y citando un voto minoritario de la Cámara Federal de Apelaciones de La Plata, que “[e]l reconocimiento social del derecho prevaleciente de la familia a educar a los niños que biológicamente traen a la vida, se cimenta además en un dato que cuenta con muy fuerte base científica, que es la herencia genética de las experiencias culturales acumuladas por las generaciones precedentes”22. Más aún, la personalidad de cada individuo no se forma sólo por las pautas de educación o socioafectivas, sino esencialmente también por el patrimonio genético que forma y entreteje una cadena entre 20 Corte IDH, Caso Contreras y otros Vs. El Salvado,” 31 /8/ 2011, pár. 112. 21 Corte IDH, Caso Fornerón e hija vs. Argentina, 27/4/2012, párr. 123. 22 Corte IDH, Caso Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de febrero de 2011, par. 124. La complejidad del derecho a la identidad 955 los vivientes, e inserta a los niños en una historia familiar que resulta transmitida. La Corte IDH lo expresa de esta forma: “… La personalidad no se forma, entonces, en un proceso sólo determinado mediante la transmisión de actitudes y valores por los padres y otros integrantes del grupo familiar, sino también por las disposiciones hereditarias del sujeto, ante lo cual la vía normal de formación de la identidad resulta ser la familia biológica”, concluyendo que el “derecho del niño es, ante todo, el derecho a adquirir y desarrollar una identidad, y, consecuentemente, a su aceptación e integración por el núcleo familiar en el que nace”23. El derecho a la identidad familiar se traduce en un derecho a la registración24 de dicha identidad, que la Corte IDH ha reconocido profusamente como fundante del acceso a los derechos que surgen de la nacionalidad y que permiten ejercer los derechos civiles y políticos. La identidad familiar25 también se proyecta sobre los derechos del niño a vivir según su propia cultura, especialmente en las etnias indígenas, como ya mencionamos más arriba26. En otras palabras, la identidad familiar se entreteje con la etnia, la religión y la vivencia cultural, formando un conjunto inescindible. Así, para la Corte IDH la identidad tiene un carácter relacional de la identidad de doble vertiente: a) con lo genético, que relaciona con los antepasados; b) con lo cultural, que inscribe y enraiza a una persona en su medio cultural y social. Ambas dimensiones están inextricablemente relacionadas. En el caso Ramírez Escobar (2018)27, la Corte IDH sostuvo: “Este derecho está íntimamente ligado a la persona en su individualidad específica y vida privada, sustentadas ambas en una experiencia histórica y biológica, así como en la forma en que se relaciona con los demás, a través del desarrollo de vínculos en el plano familiar y social.”. 5. Identidad: biologismo vs. Contrato y autopercepción 23 Ibid. 24 Corte IDH, Caso de personas dominicanas y haitianas expulsadas Vs. República Dominicana. 28/8/2014, párr. 274. 25 Corte IDH, Caso “Contreras y otros Vs. El Salvador.” 31 /8/ 2011, pár. 89 y 112. 26 Corte IDH, “Chitay Nech y otros vs. Guatemala”, 25/5/2010, párr. 167-9. 27 Corte IDH, Ramírez Escobar vs. Guatemala, Sentencia del 9 de marzo de 2018, par. 359. 956 The best interest of the child Como hemos analizado, la Corte IDH se apoya con fuerza en la identidad biológica como un elemento determinante, proyectándola incluso en la inserción del individuo en un patrimonio genético y fenotípico, cultural y social transmitido de generación y generación. De ahí que tenga interés abordar dos cuestiones íntimamente relacionadas. Hasta aquí, hemos analizado la identidad como “lo dado”, es decir lo recibido por el niño en términos de patrimonio o herencia genética y cultural. ¿Cómo se relaciona la identidad con la autodeterminación y la autopercepción? En primer lugar, la Corte IDH ha considerado que una vida familiar y de relación es condición de desarrollo de la autonomía personal. En el caso Gelman v. Uruguay, dice lo siguiente: “En este caso, los hechos afectaron el derecho a la libertad personal de María Macarena Gelman puesto que, adicionalmente al hecho de que la niña nació en cautiverio, su retención física por parte de agentes estatales, sin el consentimiento de sus padres, implican una afectación a su libertad, en el más amplio término del Art. 7.1. de la Convención.”28. Es decir que, haber privado a María Macarena Gelman de esa vida privada (en la especie, por desaparición forzada de sus padres durante los procesos de gobierno militar por golpe de estado en Argentina y Uruguay), implica una afectación del derecho a la libertad y autodeterminación. La afirmación tiene una riqueza extraordinaria: el Estado ha de ser garante de la identidad relacional familiar, para poder asegurar así el desarrollo paulatino de la libertad, porque el ser humano adquiere su libertad en familia. Y cuando esa familia es disfuncional, la adquisición de esa libertad se ve coartada. En otro párrafo, la Corte IDH se expresa aún más claramente: “Este derecho implica la posibilidad de todo ser humano de auto-determinarse y escoger libremente las opciones y circunstancias que le dan sentido a su existencia. En el caso de los niños y niñas, si bien son sujetos titulares de derechos humanos, aquellos ejercen sus derechos de manera progresiva a medida que desarrollan un mayor nivel de autonomía personal, por lo que en su primera infancia actúan en este sentido por conducto de sus familiares. En consecuencia, la separación de un niño de sus familiares implica, necesariamente un menoscabo en el ejercicio de su libertad”29. 28 Corte IDH, Gelman v. Uruguay, Sentencia del 24 de marzo de 2011, par. 129. 29 Ibid. La complejidad del derecho a la identidad 957 Más recientemente, la Corte ha extendido la idea de autodeterminación y autopercepción a la cuestión relativa a la identidad de género. Dos lugares son significativos para este nuevo desarrollo. De una parte, el caso Atala Riffo v. Chile; de otra, la Opinión Consultiva 24/2017. En el caso Atala Riffo v. Chile, la Corte hace una interpretación notable de la identidad autopercibida, diciendo que el principio del interés superior del niño no puede recortar el ejercicio libre de esa identidad en la vida social. En la especie, la Sra. Karen Atala pretendía la tuición de sus hijas menores de edad, y el Estado Chileno había entendido que había una afectación del niño en la satisfacción de esa pretensión. La Corte IDH se expresa como sigue: “Al respecto, el Tribunal considera que dentro de la prohibición de discriminación por orientación sexual se deben incluir, como derechos protegidos, las conductas en el ejercicio de la homosexualidad. Además, si la orientación sexual es un componente esencial de identidad de la persona, no era razonable exigir a la señora Atala que pospusiera su proyecto de vida y de familia. No se puede considerar como “reprochable o reprobable jurídicamente”, bajo ninguna circunstancia, que la señora Atala haya tomado la decisión de rehacer su vida. Además, no se encontró probado un daño que haya perjudicado a las tres niñas.”30. La Corte IDH considera que el “interés superior del niño” no puede ser alegado en forma abstracta de tal manera que restrinja el derecho al desarrollo del proyecto de vida personal e identidad de la madre. En la especie, la posición de la Corte IDH es que el Estado chileno no valoró la afectación concreta del interés del niño por la orientación sexual de la madre, sino que invocó el interés del niño en abstracto para restringir la libertad de expresión de la orientación sexual de la madre: “En conclusión, la Corte Interamericana observa que al ser, en abstracto, el “interés superior del niño” un fin legítimo, la sola referencia al mismo sin probar, en concreto, los riesgos o daños que podrían conllevar la orientación sexual de la madre para las niñas, no puede servir de medida idónea para la restricción de un derecho protegido como el de poder ejercer todos los derechos humanos sin discriminación alguna por la orientación sexual de la persona”31. 30 Corte IDH, Caso Atala Riffo v. Chile, Sentencia del 24 de febrero de 2012, par. 139. 31 Corte IDH, Caso Atala Riffo v. Chile, Sentencia del 24 de febrero de 2012, par. 110 958 The best interest of the child En este punto, la Corte IDH enfáticamente establece un ámbito de protección privilegiada al derecho adulto de la expresión de su identidad y orientación, prohibiendo que el interés del niño sea “utilizado” como una herramienta de discriminación sexual hacia los progenitores. Sin embargo, abre la puerta a demostraciones en concreto de colisión de intereses entre la conducta y elecciones de los padres y los intereses de los niños. “El interés superior del niño no puede ser utilizado para amparar la discriminación en contra de la madre o el padre por la orientación sexual de cualquiera de ellos. De este modo, el juzgador no puede tomar en consideración esta condición social como elemento para decidir sobre una tuición o custodia.”32. Todavía más lejos va la Corte IDH en su reciente Opinión Consultiva 24/2017 en relación a una consulta de Costa Rica sobre “Identidad De Género, E Igualdad Y No Discriminación A Parejas Del Mismo Sexo”. Aquí, el concepto de identidad autopercibida se enlaza con el derecho de la libertad de expresión y con el derecho a exteriorizar la identidad33: “De esa forma, el sexo, así como las identidades, las funciones y los atributos construidos socialmente que se atribuye a las diferencias biológicas en torno al sexo asignado al nacer, lejos de constituirse en componentes objetivos e inmutables del estado civil que individualiza a la persona, por ser un hecho de la naturaleza física o biológica, terminan siendo rasgos que dependen de la apreciación subjetiva de quien lo detenta y descansan en una construcción de la identidad de género auto-percibida relacionada con el libre desarrollo de la personalidad, la autodeterminación sexual y el derecho a la vida privada. Por ende, quien decide asumirla, es titular de intereses jurídicamente protegidos, que bajo ningún punto de vista pueden ser objeto de restricciones por el simple hecho de que el conglomerado social no comparte específicos y singulares estilos de vida”. La percepción de sí, y la proyección que esa percepción personal manifiesta en el espectro de la vida social compartida es una de las dimensiones que integra la identidad. Todo lo dicho podría aplicarse incluso a otras realidades de percepciones internas que buscan recono- 32 Ibid. 33 Corte IDH, OC-24/15, par. 96. La complejidad del derecho a la identidad 959 cimiento social. Por lo pronto, la Corte aplica este razonamiento sólo para la identidad de género. La Corte IDH encuadra la orientación y elección de género como una cuestión identitaria e incluso proyecta la reflexión sobre los procedimientos de cambio de sexo para niños. “De conformidad con lo anterior, esta Corte entiende que las consideraciones relacionadas con el derecho a la identidad de género que fueron desarrolladas supra también son aplicables a los niños y niñas que deseen presentar solicitudes para que se reconozca en los documentos y los registros su identidad de género auto-percibida. Este derecho debe ser entendido conforme a las medidas de protección especial que se dispongan a nivel interno de conformidad con el artículo 19 de la Convención, las cuales deben diseñarse necesariamente en concordancia con los principios del interés superior del niño y de la niña, el de la autonomía progresiva, a ser escuchado y a que se tome en cuenta su opinión en todo procedimiento que lo afecte, de respeto al derecho a la vida, la supervivencia y el desarrollo, así como al principio de no discriminación. Por último, resulta importante resaltar que cualquier restricción que se imponga al ejercicio pleno de ese derecho a través de disposiciones que tengan como finalidad la protección de las niñas y niños, únicamente podrá justificarse conforme a esos principios y la misma no deberá resultar desproporcionada. En igual sentido, resulta pertinente recordar que el Comité sobre Derechos del Niño ha señalado que “todos los adolescentes tienen derecho a la libertad de expresión y a que se respete su integridad física y psicológica, su identidad de género y su autonomía emergente”34. Si bien la Corte IDH condiciona a la protección especial y a la protección de la integridad personal, a la autonomía progresiva, y el respeto al derecho a la vida, muestra un grado menor de cautela que la preside los debates médico-psicológicos en el ámbito internacional, que sopesan con cuidado los cambios registrales y la intervención hormonal temprana pre-puberal en niños y adolescentes, debido a que la tasa de adecuación espontánea del sexo percibido con el sexo biológico en la pubertad es altísima. En este sentido, una intervención temprana, lejos de garantizar la autonomía y la autopercepción podría ser una forma 34 Corte IDH, OC-24/17, par. 154. 960 The best interest of the child de influencia indebida en el proceso de identidad e identificación de un niño, perturbando así su desarrollo en lugar de acompañarlo. 6. Identidad y raíces culturales En el caso Ramírez Escobar, la Corte IDH ha debido abordar la cuestión de la adopción internacional de niños. Manifestó allí su preocupación por el desprendimiento que ésta produce a las raíces culturales y su crecimiento en un “nuevo ambiente”. Así sostuvo: “La determinación del interés superior del niño, cuando la adopción internacional es una posibilidad, es un ejercicio complejo, pues se debe evaluar en qué medida la adopción en el extranjero sería compatible con otros derechos del niño (tales como, el derecho a crecer hasta donde sea posible bajo el cuidado de sus padres o el derecho a no ser privado arbitrariamente e ilegalmente de ninguno de los elementos de su identidad ), así como la situación familiar del niño (incluyendo las relaciones con hermanos) y “tratar de predecir el potencial del niño para adaptarse a los nuevos arreglos de cuidado en un nuevo ambiente”35. La idea de niños que son forzados a vivir con personas que tienen valores culturales ajenos como forma de alienación de la identidad cultural, es un asunto de gran interés. Aparece nuevamente en un fallo relativo a los derechos de las comunidades indígenas, especialmente en virtud de desplazamientos ilegales: “Ahora bien, consta en el expediente ante el Tribunal que, con motivo de la sentencia emitida el 28 de mayo de 2008 por el Tribunal de Sentencia Penal, Narcoactividad y Delitos contra el Ambiente del Departamento de Baja Verapaz […], al menos diez personas sustraídas de la Comunidad de Río Negro durante la masacre ocurrida en Pacoxom rindieron declaraciones y, según dicho tribunal, coincidieron en relatar “las trágicas vivencias que tuvieron que experimentar para sobrevivir en un ambiente extraño y hostil para ellos” , cuando de niños, fueron “obligados a vivir con familias que no eran las propias y en una comunidad que lesera ajena”36. 35 Caso Ramírez Escobar v. Guatemala 36 Corte IDH. Caso Miembros de la Aldea Chichupac y comunidades vecinas del Municipio de Rabinal Vs. Guatemala. Sentencia de 30 de noviembre de 2016. Par. 146. En el mismo sentido: Caso Masacres de Río Negro Vs. Guatemala. Sentencia de 4 de septiembre de 2012, párr.58, nota al pie 44; Caso Masacre Plan de Sánchez Vs. Guatemala. Sentencia de 29 de abril de 2004. Serie C No. 105, párr. 42.5. La complejidad del derecho a la identidad 961 En este mismo marco, la Corte IDH, entiende que hay una obligación estatal de preservar el idioma, la religión y las raíces culturales de los niños37. Más polémica resulta la referencia de la Corte IDH a la necesidad de proteger los ritos de iniciación sexual en las comunidades indígenas, sabiendo las implicancias de algunos de estos ritos en los derechos fundamentales de los niños y niñas: “En ese sentido, la Corte considera que la pérdida de prácticas tradicionales, como los ritos de iniciación femenina o masculina y las lenguas de la Comunidad, y los perjuicios derivados de la falta de territorio, afectan en forma particular el desarrollo e identidad cultural de los niños y niñas de la Comunidad, quienes no podrán siquiera desarrollar esa especial relación con su territorio tradicional y esa particular forma de vida propia de su cultura si no se implementan las medidas necesarias para garantizar el disfrute de estos derechos.”38. 7. Identidad y proyecto de vida (daño existencial) y proyecto de post-vida Un aspecto tal vez único, de una incidencia extraordinaria es el desarrollo de la doctrina del Juez Antonio Cançado Trinidade, que retoma la idea de proyecto de vida y daño existencial, propuesta por el reconocido jurista peruano Carlos Fernández Sessarego39. La jurisprudencia de la Corte IDH acoge por primera vez la noción de “proyecto de vida” y la reparación por su daño en el caso Loayza Tamayo v. Perú. Sin embargo, su proyección en materia de infancia aparece en el caso Niños de la Calle v. Guatemala. Allí, la Corte IDH sostiene que los niños tienen derecho a albergar un proyecto de vida y el Estado debe ser garante de ese derecho. Se trata de un caso que se refiere a un caso de intervención policial respecto de niños en situación de calle, entre 37 Corte IDH. Caso Chitay Nech y otros Vs. Guatemala. Sentencia de 25 de mayo de 2010. Par. 167: El Tribunal advierte que los Estados, además de las obligaciones que deben garantizar a toda persona bajo su jurisdicción, deben cumplir con una obligación adicional y complementaria definida en el artículo 30 de la Convención sobre los Derechos del Niño, la cual dota de contenido al artículo 19 de la Convención Americana, y que consiste en la obligación de promover y proteger el derecho de los niños indígenas a vivir de acuerdo con su propia cultura, su propia religión y su propio idioma.” Ver también: Caso Comunidad Indígena Xákmok Kásek. Vs. Paraguay. y Costas. Sentencia de 24 de agosto de 2010, par. 261. 38 Caso Comunidad Indígena Xákmok Kásek. Vs. Paraguay. y Costas. Sentencia de 24 de agosto de 2010, par. 263. 39 C. Fernández Sessarego, Derecho a la identidad personal, Buenos Aires, 1992. 962 The best interest of the child los cuáles había un mayor de edad y tres adolescentes, que, en virtud de una enemistad, son torturados y asesinados. La Corte entiende que: “Cuando los Estados violan, en esos términos, los derechos de los niños en situación de riesgo, como los niños de la calle”, los hacen víctimas de una doble agresión. En primer lugar, los Estados no evitan que sean lanzados a la miseria, privándolos así de unas mínimas condiciones de vida digna e impidiéndoles el “pleno y armonioso desarrollo de su personalidad” (Conv. Derechos del Niño, preámbulo, párr. 6), a pesar de que todos niños tienen derecho a alentar un proyecto de vida que debe ser cuidado y fomentado por los poderes públicos para que se desarrolle en su beneficio y el de la sociedad a la que pertenece. En segundo lugar, atentan contra su integridad física, psíquica y moral, y hasta con su propia vida”40. Sobre la base de esta idea del deber de protección del derecho a albergar un proyecto de vida, el Juez Cançado Trinidade desarrolla la idea del proyecto de pos-vida. En sus votos razonados en el caso Gutiérrez Soler y Comunidad Moiwana v. Suriname, considera el plexo de las relaciones espirituales que unen en las cosmovisiones religiosas el mundo cotidiano con la trascendencia y cómo la injerencia indebida del Estado en estas cosmovisiones puede causar un “daño espiritual”41. Así consideradas las cosas, la identidad no abarca tan solo el presente, sino que se proyecta en el futuro, en la proyección personal de la identidad presente que el individuo hace sobre su futuro, futuro que no abarcaría sólo la inmanencia, sino también su proyección hacia la trascendencia según sus creencias y espiritualidad propias. 8. Identidad, tiempo, memoria y vulnerabilidad Casi cerrando estas consideraciones, y siguiendo la línea de razonamiento del Juez Cançado Trinidade en sus votos razonados, esta idea de identidad reapropiada para el presente y proyectada al futuro, rea- 40 Caso Niños de la Calle v. Guatemala, Sentencia del 19 de noviembre de 1999, par. 191. 41 Voto razonado del Juez Cançado Trinidade en el caso Comunidad Moiwana v. Suriname. Sentencia del 15 de junio de 2005, par. 68. También: Corte IDH. Voto razonado, Cançado Trinidade, Gutiérrez Soler contra Colombia, 2005, par. 7 y 8: “Un daño a este último constituye, – según lo que me permití proponer en mi citado Voto en el caso de la Comunidad Moiwana, – un daño espiritual, que atañe a lo que hay de más íntimo en el ser humano, es decir, su vida interior, sus creencias en el destino humano, sus relaciones con sus muertos (párr. 71). Dicho daño incorpora el principio de humanidad en una dimensión temporal (párr. 72).”. La complejidad del derecho a la identidad 963 parece en su nivel individual y social a través de la idea del cultivo de la memoria colectiva como espacio de resguardo de la identidad: “El pasar del tiempo impone, además, el deber de memoria, y realza su necesidad. Cada persona tiene un “patrimonio espiritual” que preservar, de ahí el necesario cultivo de la memoria para preservar la identidad, a niveles tanto individual como social42. El olvido agudiza aún más la vulnerabilidad de la condición humana43, y no puede ser impuesto (ni siquiera por artificios “legales”, como la amnistía o la prescripción): hay un deber ético de memoria”44. La memoria colectiva se presenta, así, como un deber, un imperativo de justicia y de dignidad de cada miembro para consigo mismo y para la sociedad: “El deber de memoria es, en realidad, un imperativo de justicia y dignidad, es un deber que cada uno tiene consigo mismo, y que además recae sobre todo el cuerpo social. (…) La verdad es que necesitamos la memoria, unos de los otros; los hijos necesitan la memoria de los padres envejecidos que los quieren, y éstos necesitan la memoria de sus hijos. Todos encuéntranse ligados – y no separados – en el tiempo. La memoria es un deber de los vivos hacia sus muertos; los muertos necesitan la memoria de sus sobrevivientes queridos, para que no dejen de existir, en definitiva.”45. 42 Juan Pablo II, Memoria e Identidad - Conversaciones al Filo de Dos Milenios, Buenos Aires, 2005, pp. 95, 109, 131, 176-177, 183. 43 Cf., en ese sentido, P. Ricoeur , La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, 2000, p. 374-375. 44 Corte IDH. Voto razonado, Cançado Trinidade, Gutiérrez Soler contra Colombia, 2005, par. 11. Cf., en ese sentido, N. Weill, Y a-t-il un bon usage de la mémoire?, in T. Ferenczi (ed.), Devoir de mémoire, droit à l’oubli?, Bruxelles, 2002, p. 227. 45 Ibid. Par. 14 y 16. Ver también: Voto Razonado del Juez Cançado Trinidade en el caso Bámaca Velásquez versus Guatemala (fondo, 2000): “A mi modo de ver, el tiempo – o más bien, el pasar del tiempo, – no representa un elemento de separación, sino más bien de acercamiento y unión, entre los vivos y los muertos, en el caminar común de todos hacia lo desconocido. El conocimiento y la preservación del legado espiritual de nuestros ancestrales constituyen una vía por medio de la cual los muertos pueden comunicarse con los vivos. Así como la experiencia vivencial de una comunidad humana se desarrolla con el flujo continuo del pensamiento y de la acción de los individuos que la componen, hay igualmente una dimensión espiritual que se transmite de un individuo a otro, de una generación a otra, que antecede a cada ser humano y que sobrevive a él, en el tiempo. Hay efectivamente un legado espiritual de los muertos a los vivos, captado por la conciencia humana. (...) Lo que nos sobrevive es tan sólo la creación de nuestro espíritu, con el propósito de elevar la condición humana. Es así como concibo el legado de los muertos, desde una perspectiva de los derechos humanos” (párrs. 15-16). 964 The best interest of the child La memoria es así un deber de reconocimiento de las identidades pasadas y presentes, individuales, familiares y sociales. Expresa así también una solidaridad entre quienes nos precedieron y quienes nos seguirán, es decir, una forma de solidaridad transgeneracional que crea identidad: “… A mi juicio, lo que concebimos como el género humano abarca no sólo los seres vivos (titulares de los derechos humanos), sino también los muertos (con su legado espiritual). El respeto a los muertos se debe efectivamente en las personas de los vivos. La solidaridad humana tiene una dimensión más amplia que la solidaridad puramente social, por cuanto se manifiesta también en los lazos de solidaridad entre los muertos y los vivos”46 (párr. 25). Apasionante visión de conjunto de un derecho a la identidad que se complejiza y se enraíza en la historia para proyectarse al futuro, sin descuidar ninguna dimensión de lo humano, enlazando al sujeto con su plexo de relaciones. 9. Identidad, reconocimiento, justicia y perdón: los medios de corretezza, o verdad en las relaciones dinámicas de la filiación Por último, apenas una última mirada sobre un aspecto impensado de la idea de identidad: el reconocimiento y el perdón como constitutivos de la “verdad” de la identidad. Otra vez, nos remitimos aquí a un voto razonado del Juez Cançado Trinidade en el Caso Gutiérrez Soler v. Colombia, arriba citado: 19. “Al reconocimiento del deber de memoria y de su necesidad, parece sumarse igualmente, en nuestros días, la concientización de la importancia de la búsqueda del perdón por la perpetración de las graves violaciones de los derechos humanos. En una obra reciente, P. Ricoeur señala oportunamente que “c’est dans notre capacité à maîtriser le cours du temps que paraît pouvoir être puisé le courage de demander pardon”47; y evoca la reflexión de K. Jaspers, para quien “l’instance compétente, c’est la conscience individuelle”. 46 Voto razonado de CT en Bámaca Velásquez versus Guatemala (reparaciones, 2002), par. 25. 47 La cita proviene de La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, Éd. Seuil, 2000, p. 630. La complejidad del derecho a la identidad 965 Maravillosamente reaparece aquí la idea de reconocimiento de la memoria y el perdón, como formas de reconocimiento y de reapropiación identitaria. Si bien la proyección del razonamiento del voto se refiere al perdón y a la memoria colectivos, ¿por qué no proyectarlo a las relaciones individuales, a fin de comprender que sólo la misericordia, solo el perdón hace perfecta a la justicia? El perdón, la compasión, no es otra cosa que el reconocimiento de las debilidades vinculares, de las fallas, de las faltas de reconocimiento del vínculo con el otro en las relaciones de familia y en las relaciones humanas. El perdón devuelve la dignidad al que perdona y al que es perdonado y reinstala a ambos en la lógica del reconocimiento recíproco de la identidad de cada cual. Permite apropiarse del pasado y proyectarse al futuro y así adueñarse de la historia y de la propia identidad. El perdón dado y el perdón recibido restauran la identidad dañada. No haría mal nuestro derecho contemporáneo, tan marcado por la visión patrimonialista de las codificaciones decimonónicas en abrir su sensibilidad a los aspectos extrapatrimoniales que hacen al corazón mismo de la identidad individual, familiar y social. Esperemos que estas breves intuiciones en torno a la jurisprudencia interamericana pueda resultar sugerentes. Bibliografia Andreu F., Derecho al reconocimiento de la personalidad jurídica, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 110 Beloff M., Protección de la familia, en C. Steiner - P. Uribe, (eds.), Convención Americana sobre Derechos Humanos, Konrad Adenauer Stiftung, 2014, p. 423 Fernández Sessarego C., Derecho a la identidad personal, Buenos Aires, 1992 García Ramírez S., Panorama de la Jurisprudencia Interamericana sobre Derechos Humanos, CNDH, México, 2018, p. 121-122. Juan Pablo II, Memoria e Identidad - Conversaciones al Filo de Dos Milenios, Buenos Aires, 2005, p. 95 ss. Ricoeur P., La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, 2000, p. 374-375 Weill N., Y a-t-il un bon usage de la mémoire?, in T. Ferenczi (ed.), Devoir de mémoire, droit à l’oubli?, Bruxelles, 2002, p. 227. L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita Liliana Caravelli Sommario: 1. Premesse. – 2. La violenza assistita: il lungo percorso verso il suo riconoscimento. – 3. Gli effetti della violenza assistita e l’invisibilità dei testimoni. – 4. Conclusioni. 1. Premesse La violenza assistita si verifica in tutte quelle situazioni nelle quali un minore non è fisicamente maltrattato, ma la condizione di vivere in un contesto relazionale e familiare violento determina in lui conseguenze analoghe a quelle prodotte dalle altre forme di abuso (F. Montecchi C. Buffacchi - S. Viola, 2002). Questa breve, ma allo stesso tempo ampia, definizione di violenza assistita colloca il presente contributo nell’ambito della disfunzionalità delle relazioni familiari caratterizzate da violenza domestica. Quest’ultima è oramai una problematica considerata trasversale a tutte le classi sociali, economiche e culturali e ai diversi modelli di famiglia oggi esistenti. Anche se i maltrattamenti familiari a cui i bambini assistono possono includere la violenza di adulti verso altri minori (ad. es. i fratelli), verso altri familiari (ad es. gli anziani), così come la violenza di minori contro altri minori, e/o i maltrattamenti verso animali domestici, spesso la violenza familiare di cui i bambini sono testimoni è quella verso il genitore. Entrando nel merito di questa forma di violenza domestica, scelgo di parlare di violenza all’interno delle relazioni intime; è all’interno delle relazioni affettive, delle cosiddette relazioni strette, infatti, che questa problematica si individua e si concretizza. La violenza tra partner intimi, conosciuta con l’acronimo di IPV (Intimate Partner Violence) rappresenta una particolare forma di violenza domestica. 968 The best interest of the child Il termine, mutuato dalla letteratura anglosassone, meglio specifica il concetto di violenza nelle relazioni intime di coppia, attuali o pregresse, tra conviventi o meno, all’interno dell’unioni civili, tra eterosessuali ed omosessuali (L. Caravelli, 2007; L. Caravelli, 2010). Una prima premessa fondamentale riguarda una considerazione puramente statistica. I dati nazionali, cosi come quelli internazionali, mettono in evidenza come nella quasi totalità dei casi a commettere violenza nei confronti di una donna è un uomo. Certo non si esclude il fenomeno contrario, così come la presenza di violenza all’interno di coppie omosessuali, ma sicuramente il dato oggettivo e statistico, confermato anche delle cronache nazionali, testimonia violenze commesse nella quasi totalità dei casi da uomini su donne all’interno di relazioni intime che vedono le donne nella posizione di vittime (Eures, 2018; Istat, 2015; Istat, 2007). John Gottman ed i suoi colleghi dell’Università di Washington (N. Jacobson - J.M. Gottman, 1998) hanno definito la violenza da parte di un partner nei confronti dell’altro un’aggressione con lo scopo di controllare, intimidire e sottomettere il partner intimo attraverso l’uso o della minaccia o dell’aggressione fisica (L. Caravelli - F. Cosimi - S. Mazzoni, 2009). Quanto appena esplicitato, porta con sé un’ulteriore e doverosa premessa relativa all’attribuzione delle responsabilità. Il fatto che il livello di indagine sia quello relazionale, non deve obbligare, quasi in maniera spontanea, a conferire uguale responsabilità alla vittima ed al perpetratore. È a quest’ultimo che va attribuita la responsabilità della violenza agita nelle sue varie forme (fisica, psicologica, sessuale, economica, stalking, etc.) e dobbiamo sicuramente molto agli studi, alle ricerche ed alla pratica clinica di psicologi e psicoterapeuti che da anni, anche nel nostro paese, si occupano dell’intervento sui maltrattanti con l’obiettivo di far loro assumere la responsabilità dei propri comportamenti, presupposto indispensabile per la cessazione delle violenze (G. Grifoni, 2016; A. Pauncz, 2015). Altra premessa indispensabile porta a sottolineare con fermezza la differenza tra conflittualità e violenza, termini troppo spesso usati erroneamente come sinonimi, anche dagli addetti ai lavori in ambito psicologico, sociale e giuridico-giudiziario. Si può definire una relazione conflittuale quella in cui ciascun partner ha la possibilità di agire un proprio ruolo ed in essa le parti sono coinvolte circa allo stesso livello. Quando si vive all’interno di relazioni violente, invece, c’è chi agisce il predominio ed il controllo sulla vittima, che viene degradata, con il L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 969 fine ultimo di annientarla (L. Caravelli, 2010). Come anche ben evidenza Marie- France Hirigoyen (2006) “[…] quello che permette di distinguere la violenza coniugale da un semplice litigio non sono le botte o le parole offensive, bensì l’asimmetria nella relazione. In un conflitto di coppia, l’identità di ognuno è preservata, l’altro viene rispettato in quanto persona, mentre questo non avviene quando lo scopo è dominare o annichilire l’altro” (p. 8). 2. La violenza assistita: il lungo percorso verso il suo riconoscimento In Italia, è stato il CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia – già a partire dal 1999, istituendo una Commissione scientifica sulla violenza assistita, a portare l’attenzione sulle bambine e bambini, ragazze e ragazzi testimoni di violenza, spesso definiti vittime invisibili (A. Salerno, 2013). Nel VI Convegno di Firenze del 2003 (R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005) la violenza assistita è stata definita e riconosciuta come una forma di maltrattamento primario nei confronti di un minore, al pari del maltrattamento fisico, verbale, psicologico, sessuale ed economico. Successivamente, nel 2005, sono state prodotte le prime linee guida per gli operatori1 che ponevano l’attenzione su un fenomeno poco conosciuto e riconosciuto richiamando la responsabilità di esperti e clinici su interventi mirati e appropriati per sostenere i bambini nel difficile percorso di elaborazione delle sofferenze vissute. Nel documento di revisione dei requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri (CISMAI, 2017) quest’ultima viene così definita “[…] L’esperire da parte della/ del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica e atti persecutori (c.d. stalking) su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni. Di particolare gravità è la condizione degli orfani denominati speciali, vittime di violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio. Il/la bambino/a o l’adolescente può farne esperienza direttamente (quando la violenza/omicidio avviene nel suo campo percettivo), indirettamente 1 Revisionate successivamente nel 2017 alla luce delle novità introdotte con la Ratifica in Italia della Convenzione di Istanbul nel 2013. 970 The best interest of the child (quando il/la minorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio), e/o percependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici. La violenza assistita include l’assistere a violenze di minorenni su altri minorenni e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni degli animali domestici e da allevamento” (p. 17). La violenza assistita rappresenta, dunque, l’altra faccia della medaglia della violenza domestica; abbiamo avuto modo di rilevare come una sua definizione ampia includa ogni atto di violenza ai danni di esseri viventi ed esperito da altri esseri viventi che possono temere di poter provare la stessa sofferenza e con i quali le vittime hanno una relazione affettiva (R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005; R. Luberti, 2017). Quello che si rileva è che i bambini possono osservare direttamente atti di violenza, quindi vedere il proprio padre o altra figura di riferimento esercitare violenze di ogni genere sulla madre, o farne esperienza indirettamente, percependone gli effetti (es. vedere oggetti distrutti, vedere ematomi, lacerazioni, vedere la madre triste, disperata e angosciata). La mia esperienza di Psicologa-Psicoterapeuta che ha lavorato presso un Centro Antiviolenza ed una casa rifugio, così come la mia formazione e la ricerca svolta presso il Centro di Ricerca della Sapienza per la Tutela della Persona del Minore, mi spinge a concordare pienamente con l’orientamento della letteratura nazionale che mette in evidenza quanto il fenomeno della violenza assistita sia ancora troppo sottostimato e sottovalutato. A distanza di molti anni dalla definizione della violenza assistita, Buccoliero e Soavi (2018) affermano: “[…], il problema più grave sembra essere ancora quello di “vedere” i bambini e le bambine vittime, la loro sofferenza, i loro vissuti, la visione distorta che si crea in loro e che condizionerà le loro vite” (p. 15). In questa difficile messa a fuoco della problematica si collocano non solo gli autori del reato, ma a volte anche le madri stesse che nella loro genitorialità danneggiata spesso non dispongono delle risorse necessarie per proteggere i figli. Sovente in un atteggiamento negazionista verso la problematica si collocano anche gli operatori coinvolti nella presa in carico dei casi. Giordano (2017), a tal proposito, argomenta in merito all’ impensabilità” della violenza domestica, quale effetto dell’impossibilità di pensare che le relazioni affettive, che dovrebbero assicurare cura e protezione, possano in realtà essere fonte di grande sofferenza. L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 971 Sempre dalla mia esperienza clinica a contato con minori che hanno assistito a maltrattamenti familiari, non è raro rintracciare anche diagnosi psicologiche lacunose, da parte di servizi specializzati nella valutazione di minori che faticano a riconoscere, valutare ed intervenire efficacemente sulle problematiche connesse all’assistere o aver assistito a maltrattamenti in famiglia. A volte, secondo il mio punto di vista, sarebbe doveroso e necessario approfondire cosa si celi dietro alcune diagnosi di Disturbo oppositivo-provocatorio, Disturbo esplosivo intermittente, Disturbo della condotta: esordio nell’Infanzia, nell’Adolescenza, Disturbo da deficit di attenzione/iperattività, Disturbi specifici dell’apprendimento. In linea con quanto afferma anche Soavi (2018), ritengo importante collegare il sintomo alla situazione familiare in cui esso è inserito e si manifesta. Tutto ciò, da una parte, mette di fronte all’amara considerazione dell’esistenza di processi di vittimizzazione secondaria ed istituzionale nel momento in cui, per effetto dei meccanismi di sottovalutazione suindicati, i minori coinvolti, non essendo considerati vittime di dinamiche pericolose e dolorose, diventano tali una seconda volta. Dall’altra parte, occorre valutare gli elevati costi a livello sociale di atteggiamenti, a volte difensivi, di sottovalutazione e di negazione degli effetti della violenza assistita: basti pensare ai problemi di salute che da essa possono derivare e che dovranno essere affrontati dal Sistema Sanitario Nazionale e/o dagli Enti Locali che si occupano della tutela del minore e delle famiglie in difficoltà nell’immediato, così come a lungo termine (ospedalizzazioni, visite specialistiche, assistenza educativa scolastica e domiciliare, interventi di sostegno alla genitorialità, inserimenti in case rifugio e/o in comunità educative per minori, interventi di psicoterapia o di natura psichiatrica per adulti per gli effetti di violenze subite in età infantile, etc.). A ciò si aggiunga la considerazione delle conseguenze sulla salute, quali ad esempio il maggiore rischio di malattie fisiche, l’invecchiamento precoce, la psicopatologia ed i costi di cura più elevati. Occorre anche non dimenticare che il maltrattamento genera anche conseguenze non strettamente connesse alla salute, quali una ridotta qualità della vita, perdite di produttività e disoccupazione e condotte antisociali. Nell’indagine del 2013 dal titolo Tagliare sui bambini è davvero un risparmio? presentata dal CISMAI, Terre des Hommes e Università Bocconi viene messo in evidenza che il maltrattamento all’infanzia è un complesso e rilevante problema di salute pubblica che determina conseguenze a breve e lungo termine, sia per la salute mentale sia per la salute fisica delle vittime. 972 The best interest of the child Sempre a proposito della sottovalutazione del problema, si può ipotizzare che a contribuire sia anche l’assenza al momento di una normativa specifica che preveda un reato di violenza assistita a sé stante. Attualmente, il decreto legge 14 agosto 2013, n° 93, convertito in legge il 15 ottobre 2013, n° 119, meglio conosciuto come “Legge sul femminicidio” prevede l’aggravante dell’art. 61, n° 11 quinquies c.p. anche per il delitto di maltrattamenti in famiglia, commessi in danno o in presenza di minori. La Convenzione di Istanbul, convertita in legge del nostro paese nel 2013, sia nel preambolo che negli artt. 18 e 26 riconosce la violenza assistita definendo i bambini “vittime” in quanto testimoni e per questo bisognosi di protezione e di interventi adeguati. La recente legge L. 4/2018, meglio conosciuta come legge degli “Orfani Speciali” ha apportato modifiche al codice civile, al codice penale ed al codice di procedura penale prevedendo una serie di tutele per i figli minori o maggiorenni non economicamente sufficienti, rimasti orfani perché il genitore è stato ucciso dal coniuge (anche se separato o divorziato,) dall’altra parte dell’unione civile (anche se quest’ultima è cessata) o da persona convivente (anche se la convivenza è cessata)2. L’emanazione di quest’ultima legge permette di affermare che molto è stato sicuramente raggiunto negli ultimi venti anni in termini di attenzione sul fenomeno, soprattutto quando la violenza arriva ad essere caratterizzata dall’esito più nefasto (la morte di una figura di riferimento), ma secondo gli esperti (G. Soavi, 2018) manca ancora uno specifico riconoscimento legislativo. Parafrasando Ulivieri (2017), è solo quando si hanno le parole per nominare la realtà che si hanno anche gli strumenti per trasformarla. Considerando le difficoltà di una rilevazione oggettiva ed esaustiva della problematica in oggetto che possa permettere anche confronti significativi tra dati, le statistiche a disposizione mostrano, comunque, le dimensioni di un fenomeno che di certo non possono passar inosservate, 2 Si tratta di una legge unica al momento in Europa che ha previsto una serie di tutele quali il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito, sia nel processo civile che penale, l’accesso gratuito all’assistenza medica e psicologica, la possibilità di cambiare cognome per gli orfani di questa violenza estrema così come l’indegnità a succedere e la sospensione della pensione di reversibilità dell’indagato. A tal proposito desidero ricordare la Prof.ssa Anna Costanza Baldry, scomparsa troppo prematuramente e con cui ho avuto il piacere di collaborare in progetti di ricercaazione nell’ambito del contrasto della violenza contro le donne. Non potremmo mai dimenticare l’impegno e la passione profusi per la difesa delle donne maltrattate e dei loro figli. Dobbiamo a lei, ai suoi studi, alle sue ricerche ed alla sua costanza il superamento del silenzio e, quindi, l’attenzione posta in Italia sugli “Orfani Speciali”. L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 973 anche se occorre considerare il cosiddetto numero oscuro, che identifica tutte quelle violenze che restano nel sommerso e che non vengono denunciate e/o rilevate. In Europa3 il 73 % delle donne vittime di violenza di genere dichiara che i propri figli erano consapevoli dei maltrattamenti subiti per mano del proprio partner. In Italia l’indagine ISTAT (2015) sulla violenza contro le donne ha messo in evidenza come sul totale delle violenze subite dalle donne, aumenta la percentuale di figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla madre (dal 60,3 % del 20064 al 65,2% del 2014). La stessa indagine mette in guardia dalla trasmissione intergenerazionale della violenza nel momento in cui esplicita che i figli che assistono alla violenza del padre sulla madre o che l’hanno subita hanno una probabilità maggiore, infatti, di divenire maltrattanti nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime. Dai dati dell’indagine emerge che i maschi apprendono ad agire la violenza, mentre le femmine a tollerarla. Tali considerazioni richiamano l’attenzione sull’importanza da dare a politiche ed azioni per la tutela del minore che mirino alla sensibilizzazione, formazione ed interventi di contrasto di stereotipi di genere e che puntino a sradicare quei processi di interiorizzazione per cui la violenza viene identificata come accettabile e come modalità normale di relazionarsi con l’altra/o arrivando nel tempo a subire una vera e propria distorsione delle percezioni e dell’affettività (G. Soavi, 2018). Sempre in Italia, nel 2015 è stata condotta un’analisi epidemiologica della violenza sui bambini e sugli adolescenti; essa rappresenta la fotografia più avanzata, aggiornata e attendibile della dimensione del maltrattamento all’infanzia ed all’ adolescenza ad oggi disponibile in Italia (CISMAI, Terre des Hommes e Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, 20155). Essa ha messo in evidenza che la violenza assistita è la seconda forma di maltrattamento più diffusa in Italia. Su 100.000 minorenni in carico ai Servizi Sociali, il 19 % dei bambini e dei ragazzi, sono vittime di violenza assistita. Ciò significa che 1 bambino su 5, fra quelli seguiti per maltrattamento, è testimone di violenza domestica intrafamiliare, in particolare sulle madri. Questo dato sembra allinearsi con la percentuale (10-20%) che si registra negli Stati Uniti come riportato nel Global Status Report on Violence Prevention (2014). Inoltre, non 3 European Union Agency for Fundamental Rights, 2014. 4 Nel 2007 l’Istat ha presentato i risultati della prima ricerca statistica multiscopo sulla violenza alle donne. 5 Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia. 974 The best interest of the child ultimo per importanza, occorre considerare i dati relativi agli orfani speciali. Anna Baldry (2017) ha stimato che, dal 2004 al 2015, 1600 bambini hanno vissuto la morte della madre per femminicidio. 3. Gli effetti della violenza assistita e l’invisibilità dei testimoni Il fatto che ci siano ancora resistenze nel considerare tale forma di maltrattamento una violenza a tutti gli effetti, perché il minore non è vittima diretta delle azioni di un adulto con cui è legato da una relazione significativa, porta insito con sé il rischio per i minori di restare intrappolati in un destino da invisibili, nel più assordante silenzio, come direbbe Patrizia Romito (2005), con gravi ripercussioni sul loro stesso senso di identità. Ritengo si possa parlare di una “identità invisibile” di chi non viene riconosciuto come vittima di una forma di maltrattamento che ha invece effetti rilevanti sulla traiettoria dello sviluppo. Tali esperienze possono andare ad intaccare il senso di identità di un individuo così come Erickson (1995) lo ha definito in termini di consapevolezza che ognuno di noi ha di un senso di sé costante e continuo nel tempo. Il discorso sul mancato riconoscimento della diffusione e della disfunzionalità degli effetti della violenza assistita sui minori, anche a lungo termine, potrebbe diventare ancora più ampio e preciso; scopo di questo intervento è, però, soprattutto quello di richiamare specialisti appartenenti ad aree disciplinari e di intervento anche diversificate ad interagire ed impegnarsi nelle azioni concrete di riconoscimento, rilevazione, valutazione ed intervento in un’ottica interdisciplinare, come anche raccomandato dall’OMS (WHO, 2002), secondo il modello ecologico dello sviluppo che analizza, per poi intervenire, l’interrelazione di fattori di rischio e di fattori di protezione (a livello individuale, familiare, relazionale, comunitari e sociali). Un approccio interdisciplinare, come sostiene anche Luberti (2017), deve necessariamente integrare epidemiologia, medicina, sociologia, psicologia, diritto, criminologia, educazione ed economia Già dalla fine degli anni novanta fonti internazionali accreditate (Conferenza mondiale sulle violenza domestica del 1998 e Conferenza mondiale Ipswich Stop Domestic Violence del 1999) avevano definito la violenza assistita una forma di violenza equiparabile al maltrattamento fisico, psicologico, all’abuso sessuale e alla trascuratezza sottoli- L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 975 neando come l’esposizione alla violenza, sia diretta che indiretta, possa produrre effetti particolarmente negativi sullo sviluppo del bambino con conseguenti effetti sia a breve che a lungo termine a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale. Gli studi effettuati sulla tematica hanno dimostrato che l’esposizione dei bambini alle diverse forme di violenza vissute nell’ambito familiare e agite su figure di riferimento a loro vicine, può seriamente comprometterne il benessere, lo sviluppo personale e l’interazione, nell’infanzia e nell’età adulta (P. Di Blasio, 2000). La presenza di un ambiente familiare “ammalante”, scompensante o precipitante si ripercuote sullo sviluppo psicoaffettivo e sociale delle vittime (dirette o indirette) della violenza ri-significando ogni altra loro esperienza (R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi, 2005). La letteratura nazionale ed internazionale, è oramai unanime nell’affermare che la violenza assistita determina nei bambini la compromissione del percorso di sviluppo, minando e compromettendo il legame di attaccamento con le figure genitoriali e con gli adulti danneggiando le capacità di adattamento, le competenze sociali e quelle cognitive (R. Luberti - C. Grappolini, 2017). La violenza domestica è a tutti gli effetti un’esperienza traumatica e chi ne è testimone è esposto al rischio di una traumatizzazione secondaria che produce analoghi effetti a quelli rilevabili sulle vittime dirette (M. Giordano, 2017). Per questi motivi il fenomeno della violenza assistita merita di essere riconosciuto, rilevato affinché gli operatori socio-sanitari e giudiziari possano attuare tutte le misure più idonee e funzionali per la messa in protezione dei bambini coinvolti in tali dinamiche (E. Buccoliero - G. Soavi, 2018). Se poi si considera che spesso i bambini non assistono ad una sola forma di violenza, perché solitamente le relazioni familiari violente si caratterizzano per la presenza di più tipi di maltrattamento agiti contemporaneamente, ripetuti nel tempo, su uno o più componenti della famiglia, generalmente le madri e/o i fratelli, si comprende come i rischi nel percorso evolutivo aumentino in maniera esponenziale. Come scientificamente ed esaustivamente delineato anche da Luberti (2017), i bambini che assistono alla violenza messa in atto nei confronti di un soggetto a cui sono intimamente legati si trovano ad esperire un vero e proprio trauma, di tipo relazionale, in quanto si tratta di un’esperienza caratterizzata dalla sensazione, che provoca angoscia, di non essere capaci di ristabilire un controllo ed un senso di sicurezza 976 The best interest of the child facendo affidamento su di sé e/o su una figura di riferimento significativa (C. Grappolini, 2017). Il vissuto connesso sembra essere quello di perdita di connessione con le figure di riferimento e con l’impossibilità di ricevere aiuto dall’adulto, nella maggior parte dei casi il genitore, che dovrebbe conoscere i suoi bisogni, essergli vicino, sostenerlo nel modulare le sue emozioni e accompagnarlo nella acquisizione delle capacità riflessive e di mentalizzazione. Ricordiamo che lo stesso DSM V (APA, 2014) considera tra le cause del Disturbo da stress post traumatico anche “essere testimoni di violenza domestica”. Nelle situazioni in cui i minori sono vittime di maltrattamento ed in particolare di violenza assistita, il bambino vive in un clima di pericolo e di allerta, ma anche di confusione e rabbia in una relazione con le figure di riferimento che vedono da una parte terrorizzate e disperate e dall’altra pericolose e fonte di sofferenza. Quello che accade, in parole più semplici, è che i bambini testimoni di violenza domestica proprio laddove dovrebbero ricevere cura e protezione, trovano nelle figure di riferimento minaccia e pericolo (il maltrattante) e non accoglimento dei bisogni più profondi (madri vittime). In particolare, dalla mia esperienza clinica di lavoro con donne vittime di violenza domestica e con i loro figli, il modello relazionale basato sul potere, sul controllo, sulla paura ed il terrore impedisce, spesso, alle madri vittime di violenza di far riferimento a modelli relazionali e genitoriali funzionali allo sviluppo psicoaffettivo dei propri figli il tutto all’interno di quadro caratterizzato da una genitorialità danneggiata (T. Bruno - M. Braccini, 2005) su cui occorre predisporre interventi specifici. Dalla mia esperienza clinica, inoltre, spesso i bambini vivono esperienze di impotenza appresa (M.E.P. Seligman in Hirigoyen, 2006), non riuscendo a decodificare quanto succede all’interno delle mura domestiche e sperimentando sentimenti di paura, colpa e frustrazione per non riuscire ad interrompere le dinamiche violente che possono farli sentire intrappolati ed incapaci di trovare una soluzione (G. Marchueta, 2010). Una delle caratteristiche dei contesti relazionali in cui vivono è l’imprevedibilità che rende insicuri, confusi, ansiosi, impotenti, timorosi di essere abbandonati, inadeguati; contestualmente i bambini tendono a costruire una relazione con la madre, vittima di violenza, molto complessa ed intensa in cui cercano di proteggerla e consolarla, percependola fragile e indifesa, in una configurazione relazionale caratterizzata da un’inversione di ruoli che chiede agli operatori psicosociali e giudiziari di considerare gli interventi più opportuni per il sostegno ad una geni- L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 977 torialità, quella delle madri, molto spesso danneggiata dalla violenza stessa e per la presa in carico delle diadi madri-bambini . Le ricerche dimostrano come tali esperienze da una parte arrivino ad annullare le capacità di coping e problem solving e dall’altra possono portare i bambini e gli adolescenti ad apprendere e far loro modelli di relazione basati sul predominio e sulla aggressività secondo un modello intergenerazionale di trasmissione della violenza. I figli che assistono alla violenza domestica, vivono una forma di distorsione cognitiva per cui i comportamenti violenti divengono “normali” ed accettabili, se non addirittura efficaci per risolvere le situazioni ed entrare in contatto con l’altro. La letteratura di riferimento evidenzia che la violenza assistita è un fattore di rischio nell’apprendimento dei comportamenti violenti. I bambini vittime di vissuti caratterizzata da abusi e maltrattamenti, siano essi diretti o indiretti, potrebbero reiterare o rivivere la violenza sperimentata in famiglia come modalità relazionale nella vita adulta perché appresa dai modelli genitoriali (F. Montecchi, 2005; F. Santangelo, 2017). La letteratura internazionale è ormai unanime nel considerare che gli effetti della violenza assistita siano presenti già nella fase gestazionale (Hirogoyen, 2006). Diversi studi hanno dimostrato come anche nella vita intrauterina il bambino percepisca lo stato emotivo della madre. Una madre preoccupata di ciò che può accadere a causa dei maltrattamenti con molta probabilità si concentrerà nel controllare il partner per evitare le violenze, sottraendo la sua attenzione dal tempo necessario per pensarsi in un’altra dimensione, quella materna. Diversi studi evidenziano come le violenze durante la gravidanza possano portare a conseguenze molto gravi, fra cui la maggiore probabilità di andare incontro a parti prematuri, nascita di bambini sottopeso, mortalità perinatale, abuso di alcool e droghe da parte della madre, depressione materna. Nei primi sei mesi di vita subire violenza potrebbe intaccare la relazione primaria di attaccamento. Una madre svalutata, picchiata e ingiuriata difficilmente è in grado di soddisfare il bisogno di sicurezza, protezione e accudimento di cui necessita un neonato. Per il bambino questo significa non poter costruire dentro di sé l’immagine di una figura adulta rassicurante e contenitiva, che si trasformerà poi nello sviluppo nell’immagine di sé come sicuro e capace di gestire la propria vita. Per la madre invece, si verifica una limitata capacità di comprendere e rispondere ai bisogni del bambino perché la sua attenzione è sempre rivolta al partner e alla sua violenza. 978 The best interest of the child Soavi (2018) riportando i risultati di una ricerca (ACE - Adevrse Childhood Experiences) ha messo in evidenza le conseguenze delle esperienze Sfavorevoli Infantili, tra cui si colloca anche la violenza assistita, sullo sviluppo a livello neurobiologico, cognitivo, emotivo, sociale con conseguenze anche in età adulta. Anche Luberti (2017) sottolinea che “[…] La violenza domestica assistita può incidere a livello comportamentale, psicologico e sociale, cognitivo, fisico e l’evoluzione del danno è legata non solo a fattori relativi all’età, al livello evolutivo, al tipo e alla gravità delle violenze a cui il bambino ha assistito, al contesto familiare e a eventuali altri fattori di stress associati, ma anche – in termini peggiorativi oppure riparativi- alla qualità dell’intervento sociale e allo sviluppo e all’esito dei percorsi giudiziari” (p. 57). La violenza assistita può provocare effetti a breve, medio e lungo termine e nei bambini. Possiamo ricordare i vissuti di impotenza e paura, passività così come di depressione ed ansia. In alcuni bambini si evidenziano mancanza di autostima e scarse abilità sociali, compresa anche la mancanza di empatia. Non sono da sottovalutare neanche i disturbi da deficit dell’attenzione/iperattività, i ritardi nel linguaggio, così come le difficoltà di relazione con i pari, i comportamenti adultizzati, i comportamenti aggressivi e controllanti verso il genitore maltrattato e i fratelli, atti di bullismo, uso di alcool, uso di sostanze (anche in bambini piccoli), comportamenti di autolesionismo. Soavi (2009) mette in evidenza anche i disturbi del sonno, disturbi alimentari, il ritiro sociale, comportamenti regressivi, scarsa coordinazione motoria, sintomi psicosomatici, crudeltà verso i pari o i più deboli, crudeltà verso gli animali. 4. Conclusioni Stante tutte queste considerazioni, si capisce quanto sia importante un lavoro di rete interdisciplinare che permetta di “vedere” la violenza assistita ed i suoi effetti per rendere percepibile e narrabile ciò che rischia di rimanere nell’ombra della sottovalutazione se non addirittura dell’indicibilità. Prendersi cura delle vittime di violenza assistita, come ben rilevabile nei Requisiti Minimi degli Interventi nei casi di Violenza assistita da maltrattamento sulle madri (CISMAI, 2017) richiede interventi di presa in carico con fasi interconnesse tra loro e ricorsive nel tempo all’interno di una cornice epistemologica di integrazione, e coordinamento tra servizi che si occupano degli adulti e di servizi, organizzazioni e associazioni che si occupano di minori. L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 979 Una fase importante è sicuramente quella del riconoscimento e della rilevazione della violenza assistita che potrebbe presentarsi dietro una richiesta diretta di aiuto o mascherata dietro altre richieste o segnalazioni. In essa appare indispensabile la puntuale e tempestiva valutazione del rischio attraverso una serie di indicatori che lo stesso CISMAI individua in: indicatori relativi alla tipologia, alle caratteristiche e alle dinamiche degli atti violenti; indicatori comportamentali, psicologici, sociali e relativi allo stato di salute psicofisica degli adulti (maltrattante e vittima) e dei minori; indicatori relativi alla presenza di fattori di rischio nel contesto familiare e sociale; indicatori relativi ai fattori di protezione a livello individuale, familiare e sociale. Connessa alla rilevazione c’è la fase della protezione che implica in primis interrompere la violenza agita in tutte le sue forme, quale fase preliminare a qualsiasi intervento valutativo e di implementazione di azioni di protezione. Ciò comporta una serie di valutazioni quali l’attivazione di servizi specializzati (es. Centri antiviolenza e/o Case rifugio) e il ricorso alla Autorità Giudiziaria con tutto ciò che implica l’affidamento dei figli, la disciplina del diritto di vista del genitore maltrattante e le misure inerenti la responsabilità genitoriale di quest’ultimo. Associata alle fasi della rilevazione e della protezione si individua la fase della valutazione in cui occorre procedere all’assessment della situazione traumatica, quale risultante dell’interazione tra fattori di rischio e fattori di protezione. All’interno di uno sfondo protettivo e valutativo si inserisce la fase del trattamento che dovrà essere tempestiva, specialistica ed adeguata. In questa fase si valutano gli interventi più funzionali che possono articolarsi in differenti tipi di interventi quali: la presa in carico della diade madre-bambino al fine di rielaborare e ri-significare l’esperienza traumatica vissuta; i gruppi terapeutici madri-bambini che possono rappresentare contesti contenitivi e positivi per la rivelazione e condivisione di vissuti molto dolorosi; la psicoterapia dei bambini basata sul trauma, in particolare con EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari - metodo psicoterapeutico per l’elaborazione del trauma); trattamento del maltrattante subordinato alla valutazione del rischio di pericolosità e della valutazione del senso di responsabilità rispetto alle proprie condotte violente e delle loro conseguenze. Il tutto dovrà essere realizzato all’interno di un lavoro di rete fra operatori appartenenti ad ambiti disciplinari e di intervento diversificati. 980 The best interest of the child Oltre a tutto ciò è necessario che si preveda l’implementazione di programmi di prevenzione (programmi di educazione all’affettività, al rispetto delle differenze), di sensibilizzazione per il riconoscimento della violenza assistita e dei suoi danni, di formazione di operatori appartenenti all’area medica, psicologica, sociale, educativa e giuridica. Per concludere, si sottolinea la necessità che tutti i professionisti coinvolti si assumano la responsabilità di “vedere”, individuare, riconoscere per intervenire in modo da prendersi realmente cura dei bambini testimoni di violenza e per rispondere appieno al “The Best Interest of the Child”. Bibliografia APA - American Psychiatric Association, DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, 2014 Baldry A.C., Orfani speciali. Chi sono, dove sono, con chi sono. Conseguenze psicosociali su figlie e figli del femminicidio, Milano, 2017 Bruno T. - Braccini M., Interventi con le madri maltrattate. Il danno alla genitorialità: un caso, in R. Luberti - M.T. Pedrocco Biancardi (cur.), La violenza assistita intrafamiliare. Percorsi di aiuto per bambini che vivono in famiglie violente, Milano, 2005 Buccoliero E. - Soavi G., Proteggere i bambini dalla violenza assistita. Vol. I. Riconoscere le vittime, Milano, 2018 Buccoliero E. - Soavi, G., Proteggere i bambini dalla violenza assistita. Vol. II. Interventi in rete, Milano, 2018 Caravelli L. - Cosimi F. - Mazzoni S., Violenza nei legami intimi e alcolismo. Maltrattamento ed abuso all’infanzia, 2009, 11, n° 1, p. 63-85 Caravelli L., Conflittualità e violenza. Coppie asimmetriche, in Differenza Donna (cur.), Progetto STREGA - Strumento Efficaci di Genere Antiviolenza. Trasferimento di Buone Pratiche e costruzione di reti., 2010 Caravelli L., Il Communication Patterns Questionnaire, 2007, in S. Mazzoni - M. Tafà (cur.), L’intersoggettività nella famiglia. Procedure multimetodo per l’osservazione e la valutazione delle relazioni familiari, Milano, 2007 CISMAI, Requisiti minimi degli interventi a favore delle vittime di violenza assistita sulle madri, Torino, 2017, www.cismai.org Di Blasio P., Psicologia del bambino maltrattato, Bologna, 2000 Erickson E.H., Gioventù e crisi di identità, Roma, 1995 Eures, Rapporto sul femminicidio in Italia, Roma, 2018 European Union Agency for Foundamnetal Rights, Violence against Women: an EU-wide survey. Main results, 2014 L’identità invisibile del minore vittima di violenza assistita 981 Giordano M., Percorsi di tutela nelle situazioni di violenza assistita, in R. Luberti - C. Grappolini (cur.), Violenza assistita, separazioni traumatiche, maltrattamenti multipli: percorsi di protezione e di cura con bambini e adulti, Trento, 2017 Grappolini C., Separazioni traumatiche e abbandoni: effetti sulle relazioni familiari e rischio di trasmissione intergenerazionale, in R. Luberti - C. Grappolini (cur.), Violenza assistita, separazioni traumatiche, maltrattamenti multipli: percorsi di protezione e di cura con bambini e adulti, Trento, 2017 Grifoni G., L’uomo maltrattante. Dall’accoglienza all’intervento con l’autore di violenza domestica, Milano, 2016 Hirigoyen M.F., Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia, Torino, 2006 ISTAT, La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia: Anno 2014, Roma, 2015 ISTAT, La violenza ed i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia: Anno 2006, Roma, 2007 Jacobson N. - Gottman J.M., When men batter women: new insights into ending abusive relationships, New York, 1998 Luberti R. - Pedrocco Biancardi M.T. (cur.), La violenza assistita intrafamiliare. Percorsi di aiuto per bambini che vivono in famiglie violente, Milano, 2005 Luberti, R., La violenza assistita dai bambini e dalle bambine nelle situazioni di violenza domestica, in R. Luberti - C. Grappolini (cur.), Violenza assistita, separazioni traumatiche, maltrattamenti multipli: percorsi di protezione e di cura con bambini e adulti, Trento, 2017 Marchueta G., Bambini in trappola, in Differenza Donna (cur.) Progetto STREGA- Strumento Efficaci di Genere Antiviolenza. Trasferimento di Buone Pratiche e costruzione di reti, 2010 Montecchi F. - Buffacchi C. - Viola S., in Rivista di Psicoterapia Relazionale, 2002, 15, p. 43-60 Montecchi F., I bambini e la violenza familiare. Dalla violenza assistita alla violenza agita. Psicobiettivo, 1, 2005, p. 27-44 Pauncz A., Da uomo a uomo. Uomini maltrattanti raccontano la violenza, Trento, 2015 Salerno A., Apprendere la violenza. Effetti della violenza domestica sullo sviluppo di bambini e adolescenti. Psicologia di comunità, 2, 2013, p. 15-22 Santangelo F., La violenza nelle relazioni intime. La trasmissione intergenerazionale degli abusi contro le donne, Milano, 2017 Soavi G., Il sostegno ai bambini che assistono alla violenza sulle madri: a che punto siamo, in E. Buccoliero - G. Soavi (cur.), Proteggere i bambini dalla violenza assistita, Vol. I. Riconoscere le vittime. Milano, 2018 Soavi G., La violenza assistita, in Minorigiustizia, 3, 2009, p. 95-107 Ulivieri S. (cur.), Corpi violati. Condizionamenti educativi e violenze di genere, Milano, 2017 WHO, World Report on Violence and Health (trad. It). Violenza e salute nel mondo. Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della sanità, Milano, 2002. Minore-consumatore e diritto all’identità Fabrizio Criscuolo Sommario: 1. Premessa: il minore-consumatore. − 2. Il minore e la pubblicità. − 3. Lo stimolo al consumo e la “rete”. Libertà di espressione e libertà del mercato. − 4. L’identità online: l’identità “social” e la c.d. “identità app”. − 5. Il minore nel d.lgs. n. 101 del 2018: la proposta dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. 1. Premessa: il minore-consumatore È ormai acclarato da numerosi e documentati studi di mercato, che i minori sono, nell’epoca presente, consumatori primari, sia in settori merceologici comuni (alimenti, abbigliamento, giocattoli, intrattenimento), sia in settori nei quali, in ragione del più rilevante impegno di spesa, le decisioni in passato erano prerogativa degli adulti, essendosi guadagnati, come è esperienza ormai comune, il potere di incidere anche su scelte più impegnative quali l’acquisto dell’auto, del computer o la scelta delle vacanze1. L’attuale percezione del ruolo del minore all’interno dei contesti sociali, quale soggetto tendenzialmente del pari competente rispetto agli adulti e che, come tale, può rivendicare il diritto alle stesse opportunità, con connesse salvaguardie e perfino privilegi degli adulti, ha innegabilmente determinato molteplici ricadute sia sulla cultura del consumo che sulla individuazione delle questioni e delle relative soluzioni sul piano giuridico. Al punto che dagli anni Ottanta in poi, ad esempio, molti operatori economici hanno perseguito una strategia di comunicazione commerciale e di marketing tesa ad allocare i prodotti rivolgendosi direttamente ai minori. 1 Cfr. ad esempio i risultati pubblicati da Eurisko, in www.gfk.com. 984 The best interest of the child A tale stregua, si è venuto a delineare il problema di fondo che si tenterà brevemente di affrontare in questa sede e cioè se il c.d. “minore consumatore” abbia gli strumenti e le tutele che gli consentano di crescere con adeguate informazioni e consapevolezza, nonché con gli strumenti atti a svilupparne la capacità critica, all’atto dell’accesso (che deve essergli correttamente garantito) alle innumerevoli informazioni ed opportunità che i nuovi media incessantemente propongono2. Beninteso, il comportamento dei giovani consumatori viene ancora conformato (e per fortuna) non soltanto dai media e dalla rete, ma anche da altri agenti di socializzazione e di influenza, quali i gruppi di pari di cui fa parte − e nei quali l’omologazione sembra ormai un imperativo ineludibile −, e, sia pure con minore effetto e non senza una componente di “opposizione”, da famiglia e scuola. Dinnanzi alle strategie di marketing direttamente mirate sui più giovani, le istituzioni che regolano il mercato sono evidentemente chiamate ad elaborare risposte adeguate3, tanto alla maggiore vulnerabilità, quanto alle peculiari esigenze della persona in via di formazione, indubbiamente meno attrezzata al discernimento di fronte allo stimolo, in particolare quello subliminale, che fa leva sul livello irrazionale ed emotivo. 2. Il minore e la pubblicità Una prima considerazione in proposito. Le questioni che la individuazione dei problemi e della risposta del diritto pone devono necessariamente articolarsi su più livelli, a seconda che lo stimolo al minore provenga direttamente da quello che comunemente definiamo “messaggio pubblicitario”, o da altro. 2 Negli anni Ottanta si afferma la teoria della empowered child, la quale riconosce il minore come soggetto capace di interagire con tutto, ivi compresa la cultura del consumo. Cfr. sull’argomento D.T. Cook, The Dichotomous Child in and of consumer culture, in Childhood, 2005, 12, p. 155. 3 In proposito L. Muselli, La tutela dei minori nei nuovi media, in Aa.Vv., Da Internet ai social network. Il diritto di ricevere e comunicazione informazioni e idee, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 59, la quale osserva che “se si continua […] ad analizzare la tutela del minore on-line cercando di adattarvi i tradizionali strumenti per la tradizionale realtà mediale off line, gli esiti […] non potranno che essere insoddisfacenti, senza condurre ad una tutela effettiva”. Minore-consumatore e diritto all’identità 985 Nel caso della pubblicità, cioè dell’esercizio di pratiche commerciali, come sancito dalla stessa Consulta4, non viene in rilievo, quale interesse in dialettica con quello del minore, la libertà di espressione quale diritto fondamentale, non dunque la libertà di manifestazione del pensiero, piuttosto la libertà di iniziativa economica, libertà che dovrebbe trovare evidentemente in sé stessa, e nella sua stessa formulazione a livello costituzionale, la soluzione al problema. Essa, com’è noto, a tenore dell’art. 41, comma 2, cost. non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Un tenore tale da offrire sicuro viatico per la soluzione di tutti i problemi anche quelli specifici dei minori quali persone in via di formazione e personalità in via di compimento. Da un lato, difatti, è innegabile che la Costituzione repubblicana dedica espressamente ai minori poche disposizioni − in particolare l’art. 31, secondo il quale “La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” e l’art. 35, il quale sancisce che “La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme”, oltre all’art. 30 sui minori nati fuori dal matrimonio5 − ancorché assai pregnanti, delineando il munus/officium da parte dei genitori e riservando alle istituzioni una funzione sussidiaria con un rilevante vincolo di scopo, e cioè proprio lo sviluppo della personalità del minore6; dall’altro, perché è pacifico che non tutto ciò che può considerarsi non incompatibile con la funzione dell’attività di impresa se riferito agli adulti, va analogamente valutato in rapporto ai minori, molti dubbi essendo legittimo sollevare con riferimento ad esempio a quei messaggi che fanno apparire, a chi sta ancora formando le proprie capacità cognitive, frustrante il mancato acquisto di un dato prodotto atto ad avvicinarlo ai modelli proposti dalla comunicazione. 4 Corte cost. 17 ottobre 1985, n. 231, in www.giurcost.org, sulla quale si vedano, in una prospettiva critica, A. Pace - M. Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in G. Branca (cur.), Commentario della Costituzione, cont. da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 2006, p. 57 ss. Cfr. altresì L. Principato, Il fondamento costituzionale della libertà di comunicazione pubblicitaria, in Giur. cost., 2003, p. 521 ss. 5 In argomento si veda L. Califano, La famiglia ed i figli nella costituzione italiana, in R. Nania - P. Ridola (cur.), I diritti costituzionali, Torino, 2006. 6 Sottolinea E. Lamarque, sub art. 30, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 634, come a partire dalla giurisprudenza costituzionale in materia di adozione si sviluppa il principio “secondo cui alla tutela del minore devono essere subordinati gli interessi di ogni altro soggetto coinvolto in un rapporto con il minore stesso”. 986 The best interest of the child 3. Lo stimolo al consumo e la “rete”. Libertà di espressione e libertà di mercato Ad altro ordine di interrogativi il diritto è chiamato a rispondere quando il bisogno indotto con lo stimolo al consumo non è direttamente collegabile ad uno specifico messaggio pubblicitario, ma si genera in relazione alle stesse opportunità di fruizione e di conoscenza che in particolare la Rete crea e mette a disposizione dei giovanissimi, di quelle generazioni nate e cresciute con internet e che in internet esprimono ormai le più comuni modalità di socializzazione. Insomma, quando la questione esorbita il piano della libertà di iniziativa economica, il problema del bilanciamento si pone in modo più complesso. Libertà di espressione e di manifestazione del pensiero e libera formazione degli adolescenti, quelli che taluno7 oltretutto definisce significativamente “cittadini in formazione”, sono valori che si misurano certamente nella nostra Costituzione, alla luce della più evoluta accezione dell’art. 2 e pur nella apparentemente scarna disciplina dedicata al tema, ma anche alla luce di esperienze di altri Paesi europei come il Belgio, che con una legge di revisione costituzionale già all’inizio di questo secolo ha introdotto una modifica al Titolo II, alla stregua della quale ogni minore “ha diritto al rispetto della propria integrità morale, fisica, psichica e sessuale”, o la Spagna che all’art. 20 della Costituzione del 1978 prevede espressamente che la libertà di pensiero e di creazione artistica trovino un limite, oltre che nel diritto all’onore e all’intimità, “nella protezione della gioventù e dell’infanzia”. Né potrebbe mancare il riferimento all’art. 24 della Carta di Nizza e all’esplicito riconoscimento per i minori dei diritti alla “protezione” e “ad esprimere la propria opinione”, oltre al generale riferimento al rispetto del loro preminente interesse8. 7 M. Bessone, sub artt. 30 e 31, cit. 8 Cfr. P.F. Lotito, Art. 24. Diritti del bambino, in R. Bifulco - M. Cartabia - A. Celotto (cur.), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001, p. 185 ss. Il concetto di interesse del minore non è di agevole definizione, in quanto mutevole nel tempo e a seconda delle circostanze concrete. Tanto ciò è vero che esso è stato significativamente individuato dalla Suprema Corte come un insieme di “scatole vuote” (Cass., 7 novembre 1985, n. 5408, in Giur. it., 1986, p. 1025), il cui significato non è determinabile in astratto, “ma solo in concreto e solo in concreto se ne può intendere la portata”, così G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 149. Proprio questa sua indeterminatezza, secondo J. Carbonnier, Droit civil, I, La famille, les incapacités, Parigi, 1969, p. 370, ad adombrare il pericolo insito, essendo l’interesse del minore “la nozione magica. Per quanto sia contemplato dalla legge, ciò che non viene previsto è l’abuso che se ne Minore-consumatore e diritto all’identità 987 La sede non consente di disaminare la copiosa regolamentazione di rango non costituzionale dedicata in questi anni al tema: una osservazione sia tuttavia consentita a beneficio soprattutto di chi si appassiona allo studio del sistema delle fonti. L’apparato normativo di cui si discorre oscilla tra regole di fonte autodisciplinare e regole dettate a disciplina dell’attività delle Autorità indipendenti del settore, fino agli interventi regolatori di queste ultime, interventi che, per vero appaiono la forma di disciplina più efficace e persuasiva. Tuttavia ancora molta strada va percorsa in vista di una tutela effettiva di interessi compressi tra malintese libertà di espressione e quelle definite “ben calcolate libertà del mercato dei prodotti multimediali”9 fa oggi. Al limite, essa finirebbe col rendere superflui tutti gli istituti del diritto di famiglia. Eppure, nulla è più sfuggente, più adatto a favorire l’arbitrio giudiziario”. Tale concetto è ripreso, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche dal Regolamento UE 27 Novembre 2003, n. 2201, in G.U. 23 dicembre 2003, n. 328, in tema di responsabilità genitoriale, il quale sottolinea l’importanza di dare al minore l’opportunità di esprimere il suo punto di vista nei procedimenti che lo riguardano, al fine di raggiungere diversi obiettivi secondo il tipo e lo scopo di procedimento. Inoltre, è rilevante come il minore, nel caso in cui debba sopportare un’ulteriore sofferenza derivante dal rievocare fatti dolorosi, al punto tale da correre seri rischi per il suo sviluppo psicofisico, abbia diritto a non essere ascoltato. Sul punto si rinvia a A. Costanzo, Diritto del minore a «non» essere ascoltato in Fam. pers. succ., 2011, p. 862 ss. 9 Così A. Barbera, Mezzi di comunicazione televisiva e tutela dei minori, in www. minoriefamiglia.it. Malgrado la dottrina che affronta i temi connessi alla privacy del minore sia ancora scarna, cfr. A. Valastro, La tutela dei minori, in R. Zaccaria (cur.), Radiotelevisione, in Tratt. dir. amm. Santaniello, XV, Padova, 1996, II, p. 659 ss.; M. Basso, Mezzi di comunicazione e minori: quale tutela?, in Iustitia, n. 3, 2003, p. 429 ss.; G. Savorani, La riforma della disciplina del sistema radiotelevisivo e gli interessi degli utenti: questioni in tema di pubblicità, televendite, tutela dei minori e sponsorizzazione di programmi, in Pol. dir., 1997, p. 449 ss.; A. Contaldo, La tutela del minore telespettatore: aspetti normativi ed autodisciplinari di un fenomeno in evoluzione, in Dir. fam. pers., 1994, p. 1504 ss.; V. Cuffaro, L. 6 agosto 1990, n. 223 “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. Commento all’art. 15 (Divieto di posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa e obblighi dei concessionari). Parte II (commi 8-16), in Nuove leggi civ. comm., 1991, p. 757 ss.; G. Giacobbe, Diritti della personalità del minore e mezzi di comunicazione: spunti per una riflessione, in Iustitia, 2003, p. 407 ss.; B. Lena, Il rapporto minori e televisione tra legislazione ed autonormazione, in Fam. dir., 2004, p. 620 ss. Più di recente v. R. Zaccaria, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2007, p. 258 ss. 988 The best interest of the child 4. L’identità online: l’identità “social” e la c.d. “identità app” In questo contesto si inserisce il tema dell’identità del minore e del fondamento costituzionale di questo diritto. Già quattro anni fa, uno studio10 segnalava che il tema dell’identità online va progressivamente arricchendosi11 e che accanto al tema dell’identità social12 va ripensato, soprattutto per i più giovani, il tema della identità c.d. app, condizionata da questi software (le applications), pensati specificamente per tablet e smartphone, che rendono praticabili con enorme facilità ed automatismi servizi e strumenti che si suppongono utili o desiderabili dall’utente. Si tratta di una vicenda paradigmatica con riferimento al nostro tema, giacché è di immediata percezione che le app che una persona ha sul proprio apparato mobile sono una specie di impronta digitale personale, impronta che, anziché comporsi in una serie di linee, si combina attraverso gli interessi, le abitudini e le relazioni sociali che identificano la persona13. La nostra identità app è dunque altamente significativa del nostro essere, rivolta all’esterno e conformata oltretutto dalle decisioni di programmazione assunte dagli app designers. Orbene, è esperienza comune che i telefoni dei nostri figli sono, ben più dei nostri, pieni di icone delle più disparate applications, col che non può negarsi che la personalità del minore fruisce oggi di una chance ulteriore di autodeterminazione che gli consente di penetrare con ancor maggiore facilità nel mercato degli adulti, senza particolari controlli e con evidente agio; di conseguenza, è necessario prendere atto che la situazione si è rapidamente evoluta rispetto all’epoca del messaggio trasmesso attraverso i media tradizionali (per non dire dell’epoca in cui protagonisti erano unicamente la TV e la carta stampata) e che oggi il minore non può più dirsi soggetto passivo o semplice recettore14, ma protagonista e partecipe − ahimé troppo spesso inconsapevole − delle proprie scelte di vita e dei propri interessi. A maggior ragione ove si consideri che la diffusione dell’uso di tablet e smartphone anche tra i giovanissimi consente loro di accedere a questi software anche in totale assenza di controllo genitoriale, perfino laddove vi siano precise disposizioni di legge tese ad impedirlo. Analoghe considerazioni è possibile svolgere con riferimento ai social network, ambito nel quale l’esigenza di proteggere i dati personali del minore e di impedirne la profilazione appare proporzionale Minore-consumatore e diritto all’identità 989 ai rischi che egli corre con riferimento all’utilizzazione dei dati a fini commerciali15. 5. Il minore nel d.lgs. n. 101 del 2018: la proposta dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Il tema è di massima attualità, considerato oltretutto che il 4 settembre 2018 è entrato in vigore il decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento UE n. 2016/679 in materia di tutela dei dati personali16 Come noto quest’ultimo fissava in 16 anni l’età per poter autonomamente esprimere il consenso al trattamento dei dati in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, salva la possibilità per i singoli Stati membri di stabilirne una più bassa, purché non inferiore ai 13 anni17. Orbene, con una scelta discussa e discutibile, il 15 Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, Social privacy. Come tutelarsi nell’era dei social network, in www.garanteprivacy.it. È noto che gli adolescenti condividono maggiori quantità di informazioni personali su sé stessi sui social network, si registrano infatti incrementi nella frequenza con cui essi pubblicano immagini di sé stessi e forniscono nomi di scuole, città di residenza, indirizzi e-mail e numeri di cellulare. Si vedano a tal proposito i risultati pubblicati da M. Diffenderfer, The rights of privacy and publicity for minors online: protecting the privilege of disaffirmace in the digital, in U. Louisville L. Rev., 2016, p. 131. In particolare, l’iscrizione dei minori sui social network suscita problemi delicati, in quanto la conclamata gratuità dei servizi offerti dal gestore quasi sempre “nasconde [...] una componente suscettibile di valutazione economica e, quindi, di tipo patrimoniale”, in relazione ai processi di User Data Profiling e di Behavioural Advertising posti in essere dagli inserzionisti pubblicitari che appaiono sulle pagine social: S. Sica - G. Giannone Codiglione, Social network sites e il “labirinto” delle responsabilità, in Giur. merito, 2012, p. 2714 ss. 16 D.lgs. 4 settembre 2018, n. 101, rubricato “Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento UE n. 2016/679”. 17 In proposito L. Bolognini - C. Bistolfi, L’età del consenso digitale. Privacy e minori online, riflessioni sugli impatti dell’art. 8 del Regolamento 2016/679, Roma, 2017, osservano che la libertà di ricercare, ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo, è tutelata dall’art. 13.1 della Convenzione. Fissare il limite minimo di età al di sopra dei 13 anni per la validità del consenso digitale del minore “non pare essere la forma migliore di tutela”, in ragione tanto delle capacità digitali dei bambini, quanto dei maggiori rischi di aggiramento delle limitazioni della rete da parte degli infra sedicenni i quali sarebbero indotti a mentire sulla loro età reale per non chiedere il consenso ai genitori, accedendo a servizi calibrati su minori di età più elevata, senza alcuna possibilità di controllo sui contenuti. In senso opposto cfr. S. Thobani, I requisiti del consenso al trattamento dei dati personali, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 27, la quale manifesta perplessità in merito alla possibilità, riconosciuta agli Stati membri, di abbassare a tredici anni 990 The best interest of the child nostro legislatore delegato ha stabilito in 14 anni l’età minima per esprimere il consenso al trattamento dei dati personali nei servizi online18. La scelta per certi versi sorprende, se solo si ha esperienza delle difficoltà che un soggetto anche di poco al di sotto della maggiore età incontra per fruire dei servizi offline. Se un nostro figlio volesse iscriversi a una palestra, ad esempio, dovrebbe essere da noi autorizzato attraverso una rigida procedura richiesta dal fornitore per scongiurare ogni tipo di responsabilità, come non manca di sottolineare l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza nel parere con il quale si era espressa in senso contrario all’abbassamento del limite di età previsto dal Regolamento europeo. Tra l’altro, il parere contrario era stato accompagnato da una proposta di emendamento19 che, proprio in considerazione dell’abbassamento del limite di età proposto dal legislatore delegato, tendeva a rinforzare la tutela del minore relativamente ai di lui dati personali. Questo il testo dell’emendamento proposto ed articolato in due commi da inserire all’art. 2 quinquies dell’emanando decreto: “I dati personali del minore non possono essere utilizzati per fini commerciali e non devono essere oggetto di profilazione salvo quando ciò sia necessario all’identificazione della minore età a garanzia dello stesso e della garanzia e dell’affidabilità del servizio fornito dal titolare del trattamento. Con regolamento da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto − del Garante per la protezione dei dati personali e del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, di concerto con l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza – sono la soglia dell’età richiesta ai fini della valida prestazione del consenso, rilevando che “mentre il riconoscimento della capacità all’ultrasedicenne a prestare il consenso al trattamento è in sintonia con altre disposizioni legislative e corrisponde al diffuso e sentito bisogno di riconoscere ai grandi minori una sempre maggiore autonomia, la questione si pone diversamente per un tredicenne, rispetto al quale il ruolo educativo dei genitori si deve poter esplicare con maggiore intensità”. Pertanto, appare opportuno – secondo l’A. – “sul verosimile permanere, sia pure di fronte ad una norma attributiva della capacità al minore, di un potere di controllo ed anche interdittivo in capo al genitore, esercitabile anche nei confronti del terzo”. 18 Si veda l’opinione contraria di C. Kulver, Parental Notification, the FTC and Kids Apps: what’s COPPA all about?, in The Digital Media Diet, 2013, disponibile al sito www.digitalmediadiet.com, la quale già prima della elaborazione del Regolamento UE avvertiva dei pericoli insite nell’uso della rete da parte dei più piccoli, poiché privi di adeguate capacità cognitive circa l’uso dei servizi della società dell’informazione, Non solo. L’A. ha sottolineato le insidie della rete anche per i minori fra i 14 ed i 18 anni, “who are still very vulnerable to exploitation by commercial interests”. 19 Reperibile al sito: www.garanteinfanzia.org. Minore-consumatore e diritto all’identità 991 definiti gli interventi educativi e di formazione necessari a far acquisire ai minorenni un grado adeguato di consapevolezza dei rischi, delle conseguenze, delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti, in relazione al trattamento dei dati personali”. Tale proposta è stata corredata da una preoccupata relazione illustrativa che nel rappresentare i rischi connessi alla minore consapevolezza dei giovanissimi circa il trattamento dei loro dati, spiegava l’esigenza di individuare proprio gli strumenti di protezione in caso di trattamento a fini commerciali, di marketing o di profilazione di personalità o di utente, all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente al minore20. E ciò, peraltro, traducendo ed utilizzando proprio alcuni dei principi enunciati nei “considerando” del Regolamento UE (in particolare i considerando 38 e 71), laddove espressamente vieta l’utilizzo dei dati personali in discorso per fini commerciali o la profilazione, se non a protezione del medesimo soggetto non ancora in età, a garanzia dello stesso nonché della sicurezza e dell’affidabilità del servizio. L’introduzione della previsione di un provvedimento attuativo al comma 2 della citata proposta di emendamento appariva proprio finalizzata a garantire l’acquisizione di una adeguata consapevolezza digitale da parte dei giovanissimi, apparendo necessario quanto − aggiungerei − scontato, che la maturazione legata alla crescita anagrafica sia accompagnata da una formazione specifica, mirata allo sviluppo di competenze anche in ordine alle implicazioni giuridiche, economiche e comportamentali che derivano dalla prestazione del consenso al trattamento dei dati e dalla sottoposizione alla pubblicità targettizzata. D’altra parte, ci si rende ben conto che anche l’innalzamento del limite di età, se non accompagnato da questa opera di educazione digitale, sarebbe rimedio del tutto sterile, aggirabile con la creazione di falsi profili e dunque scarsamente utile, anche se non penso si possa contestare che esso potrebbe comunque rappresentare un significativo messaggio culturale per i nostri stessi giovani. Messaggi contrari, oltre a confermare l’impotenza del diritto in questi ambiti, non fanno che riemergere le contraddizioni del nostro tempo. Un tempo nel quale anche soltanto avanzare l’idea che l’unico rimedio davvero utile possa essere − sempre con i limiti che ogni possibile risposta del diritto statale sconta nel contesto delineato – quello di responsabilizzare i colossi del web e gli internet provider in ordine ai contenuti ed ai control20 Ibidem. 992 The best interest of the child li (considerando soprattutto che è scontato che essi sono ormai tecnicamente possibili), viene considerato lesivo di uno spazio di libertà dove del tutto irragionevolmente ogni condotta, anche la più odiosa, sembra ineluttabilmente essere lecita, consentita e comunque non sanzionabile. Bibliografia Barbera A., Mezzi di comunicazione televisiva e tutela dei minori, in www.minoriefamiglia.it. Basso M., Mezzi di comunicazione e minori: quale tutela?, in Iustitia, n. 3, 2003, p. 429 ss. Bolognini L. - Bistolfi C., L’età del consenso digitale. Privacy e minori online, riflessioni sugli impatti dell’art. 8 del Regolamento 2016/679, Roma, 2017 Califano L., La famiglia ed i figli nella costituzione italiana, in R. Nania - P. Ridola (cur.), I diritti costituzionali, Torino, 2006 Carbonnier J., Droit civil, I, La famille, les incapacités, Parigi, 1969, p. 370 Castells M., Galassia Internet, trad. it. S. Viviani, Milano, 2006, p. 119 Contaldo A., La tutela del minore telespettatore: aspetti normativi ed autodisciplinari di un fenomeno in evoluzione, in Dir. fam. pers., 1994, p. 1504 ss. Cook D.T., The Dichotomous Child in and of consumer culture, in Childhood, 2005, 12, p. 155 Costanzo A., Diritto del minore a «non» essere ascoltato, in Fam. pers. succ., 2011, p. 862 ss. Cuffaro V., L. 6 agosto 1990, n. 223 “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. Commento all’art. 15 (Divieto di posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa e obblighi dei concessionari). Parte II (commi 8-16), in Nuove leggi civ. comm., 1991, p. 757 ss. Diffenderfer M., The rights of privacy and publicity for minors online: protecting the privilege of disaffirmace in the digital, in U. Louisville L. Rev., 2016, p. 131 Gardner H. - Davies K., Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, trad. it. M. Sghirinzetti, Milano, 2014, p. 65 Giacobbe G., Diritti della personalità del minore e mezzi di comunicazione: spunti per una riflessione, in Iustitia, 2003, p. 407 ss. Kulver C., Parental Notification, the FTC and Kids Apps: what’s COPPA all about?, in The Digital Media Diet, 2013, www.digitalmediadiet.com Lamarque E., sub art. 30, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 634 Lena B., Il rapporto minori e televisione tra legislazione ed autonormazione, in Fam. dir., 2004, p. 620 Lotito P.F., Art. 24. Diritti del bambino, in R. Bifulco - M. Cartabia - A. Celotto (cur.), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001, p. 185 Minore-consumatore e diritto all’identità 993 Marsocci P., Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il web: un mito così recente già da sfatare?, in F. Marcelli - P. Marsocci - M. Pietrangelo (cur.), La rete internet come spazio di partecipazione politica. Una prospettiva giuridica, Napoli, 2015, p. 5 Muselli L., La tutela dei minori nei nuovi media, in Aa.Vv., Da Internet ai social network. Il diritto di ricevere e comunicazione informazioni e idee, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 59 Pace A. - Manetti M., Art. 21. La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in G. Branca (cur.), Commentario della Costituzione, cont. da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 2006, p. 57 ss. Panuccio Dattola F., Minori e Internet, Torino, 2009, p. 53 Picarone A., Identità dei minori. Le problematiche costituzionali delle nuove frontiere digitali, in www.forumcostituzionale.it, p. 15 Principato L., Il fondamento costituzionale della libertà di comunicazione pubblicitaria, in Giur. cost., 2003, p. 521 ss. Savorani G., La riforma della disciplina del sistema radiotelevisivo e gli interessi degli utenti: questioni in tema di pubblicità, televendite, tutela dei minori e sponsorizzazione di programmi, in Pol. dir., 1997, p. 449 ss. Sica S. - Giannone Codiglione G., Social network sites e il “labirinto” delle responsabilità, in Giur. merito, 2012, p. 2714 ss. Thobani S., I requisiti del consenso al trattamento dei dati personali, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 27 Valastro A., La tutela dei minori, in R. Zaccaria (cur.), Radiotelevisione, in Tratt. dir. amm. Santaniello, XV, Padova, 1996, II, p. 659 ss. Zaccaria R., Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2007, p. 258 ss. Zagrebelsky G., Il diritto mite, Torino, 1992, p. 149 The identity of child consumer in Hungarian Law Klára Gellén – Andrea Labancz Summary: 1. Introduction. – 2. Reasoning of children consumer protection. – 3. The Hungarian system of regulation for the protection of children. – 4. The concept of child consumer in the digital world. – 5. The National Media and Infocommunications Authority. 6. Summary of Hungarian legislation on the identity of child consumers. 1. Introduction Children have become significant participants of the information society. Given that, a large proportion of consumers in the ICT sector are children due to the intensity of innovation processes, characterizing the 21st century, their protection has become an increasingly important area. However, the widespread use of certain ICT technologies also raises the question of children’s identity in the digital world. According to the Handbook of UN Commission on the Rights of the Child, a child has the right to preserve his or her identity and States Parties are obliged to respect it1. Under the Convention, identity is an obligation that imposes a burden both on the children’s parents and on the state. However, the UN Committee states in General Comments no. 7 that “Rapid increases in the variety and accessibility of modern technologies, including Internet-based media, are a particular cause for concern. Young children are especially at risk if they are exposed to inappropriate or offensive material”2. 1 United Nations Convention on the Rights of the Child, Article 8. 2 UN Committee on the Rights of the Child (CRC), General comment No. 7 (2005): 996 The best interest of the child The widespread availability of the Internet offers the opportunity not only to access goods in the traditional sense, without borders and boundaries, but also to “consume” today’s online content. As highlighted in a 2011 report by the European Commission, significant changes in the media usage of children consumers can be observed with the proliferation of mobile devices and on-demand media services. This is especially true with the increasing use of social media services3. However, online content can also have a detrimental effect on the identity of children consumers. Given the above, our study focuses on the issue of the identity of children consumers, highlighting concerns about online content consumption. We introduce the Hungarian system on the protection of children consumers, as well as the characteristics and consumption habits of the child consumer. 2. Reasoning of children consumer protection When focusing on the reasoning of child consumer’s protection, it is necessary to refer to the concepts of child, child consumer and online content consumption. In the case of domestic laws and international conventions on the protection of the “child”, the legally relevant age for becoming an adult is typically defined in 18 years. However, it is necessary to emphasize that the Hungarian system typically uses the term of “minors” for persons under 18 years of age. In addition, in the case of advertising, there are other categories: persons under the age of 14 are considered children, while persons between the age of 14 and 18 are considered juveniles. In accordance with international legislation, the term ‘child’ shall be taken to mean persons under 18 years of age in our study. In connection with the identity of child consumers, the “consumer quality” should be considered important. However, there is no age requirement related to the category of being a consumer, a distinction needs to be made between the adult and the child consumer, given that numerous legal provisions cover the protection of children. Implementing Child Rights in Early Childhood, 20 September 2006, CRC/C/GC/7/ Rev. 1 https://www.refworld.org/docid/460bc5a62.html (2019. 07. 25.). 3 Report of the Commission, Protecting children in the digital world /* COM/2011/0556 final */. The identity of child consumer in Hungarian Law 997 In the area of ​​the protection of children, constitutional provisions should be considered the basis of regulation. The provision of adequate protection for physical, mental, and moral development supports children to develop their personality to the fullest. In this context, the reasons for protecting children are supported by several psychological characteristics. Age-specificity has a connection to incomplete life experiences. Children are basically incapable of properly interpreting the stimuli and effects in their environment and are unable to properly enforce their interests4. Regarding the protection of children, it is generally accepted that children can be influenced in their decision-making due to their age-specific characteristics. However, the expression of personality shall involve making free (consumer) decisions. According to the Hungarian Competition Authority, consumer choice is the choice of action between alternatives that are considered feasible for the consumer, which creates a link between supply and demand in the market5. In addition to protecting children, it is of course also important that children have access to information on the dangers that they may be exposed to, while providing adequate sensitivity, to develop conscious consumer identity. In the area of “online content consumption”, children may be exposed to several risks, given that online content can be illegal or harmful to children. While illegal content is banned regardless of the age of the user or the type of medium, harmful content is characterized by its negative impact on the physical, mental and moral development of children6. Inter alia, violent content that is cruel, rude, bloody or shocking, cyberbullying, or solicitation to consume drugs or new psychoactive substances should be considered such online content harmful to children7. 4 A. Koltay - A. Lapsánszky (ed.), Nagykommentár a médiaszolgáltatásokról és a tömegkommunikációról szóló, 2010, évi CLXXXV, törvényhez, 9. § jogtar.hu (2019. 27. 25.). 5 Gazdasági Versenyhivatal, A fogyasztói döntések szabadságára vonatkozó, a GVH által követett alapelvek http://www.gvh.hu/data/cms1022582/11695FFBAC14C71AC.pdf (2019. 07. 25.) 6 Kóczián S., Child protection in the media law (Gyermekvédelem a médiajogban) http:// mek.oszk.hu/13500/13512/13512.pdf (2019. 07. 25.) 7 Ibid. 998 The best interest of the child The protection of children is primarily the responsibility of the family; the role of the state is secondary, but not negligible8. It is the constitutional duty of the state to protect the development of the child, which may appear primarily in the public sphere9. 3. The Hungarian system of regulation for the protection of children Hungary, similarly, to other European countries, has established its regulation system on the protection of children in accordance with the European Union regulation. In Hungarian law, provisions related to children consumers manifested in a complex system. In this system, the protection of children on the internet and from several dangerous online effects should be considered the main questions. The system of the applicable Hungarian legal provisions can be summarized as follows: 1. The basis of the legal system is the Constitution of Hungary. The Constitution contains a general rule about children’s safety. It has also confirmed in its provisions that the universal human rights shall be applied to children as well. The Constitution protects children with specific measures. According to Subsection 1 of Article XVI, “Every child shall have the right to the protection and care necessary for his or her proper physical, intellectual and moral development”. 2. In the area of child protection, the Child Protection Act should also be considered. The act summarises children’s rights. According to Subsection 5 of Section 6 of Act XXXI of 1991 on Child Protection and Guardianship Administration, “children have the right to be protected against the influence of infocommunication society”. 3. Referring to the issue of identity, the Civil Code should also be taken into account. It protects the rights relating to the personality. According to Section 2:42 of Act V of 2013 on Civil Code, “Everyone is entitled to freely practice his personality rights, in particular the right to privacy and family life, home and communications with others in any way of form, and the right to protection against defamation of character, within the framework of the law and within the rights of others, and to not be impeded in exercising such rights by others”. 8 Ibid. 9 Decision 21/1996. of the Hungarian constitutional Court. The identity of child consumer in Hungarian Law 999 4. Provisions of the Criminal Code provides facts, inter alia, related to online content. More precisely, the Criminal Code regulates several situations, which can also occur on the internet. As for an example, Subsection 2 of Section 162 of Act C of 2012 on Criminal Code, “Any person over the age of eighteen years who persuades another person under the age of eighteen years to commit suicide, or provides aid for committing suicide is punishable by imprisonment between two to eight years, if the suicide is attempted or committed”. This provision may be applied in cases related to cyberbullying. Among others, this act forbids and punishes child pornography as well. 5. Relevant provisions on children’s protection can be found in the area of media law. It should be highlighted that the Hungarian media acts have implemented the Directive of the AVMS; of course, with the rules of children’s protection. 6. Provisions concerning the protection of children is also governed by the provisions of Act XLVIII of 2008 on the Basic Requirements and Certain Restrictions of Commercial Advertising Activities. The act lays down general and specific prohibitions and restrictions on advertising; and differentiates between children (under the age of 14) and minors. In connection with consumer protection, in the Act CLV of 1997 on Consumer Protection and in the Act XLVII of 2008 on the Prohibition of Unfair Commercial Practices against Consumers Provisions, implemented the UCP Directive, are also embodied provisions protecting children. 7. In Hungary, the Parliament adopted the Act CCXLV of 2013 on the Amendment of Certain Laws for the Protection of Children (Act of Child Protection on the Internet) in December 2013. The Act has amended, inter alia, the Consumer Protection Act regarding age verification and the sale of gaming software. As it can be read in it, in cases of doubt, the business shall call upon the consumer to prove his age credibly. The sale or service of the product shall be denied without proper proof of age. In connection with gaming software, the manufacturer of gaming software, when distributing gaming software which is capable of adversely affecting the physical, mental, psychological or moral development of children, shall indicate the following statement in a clearly visible manner, “Not recommended for children under the age of 18!”. 1000 The best interest of the child The said act amended the Act C of 2003 on Electronic Communications, which now requires Internet access service providers to provide free downloading of child protection filter software from their Internet site and thereafter free use thereof. The Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce and on Information Society Services was also modified in order to be able to provide the proper protection of children. As a result of the amendment, the Internet Roundtable for Children Protection was established. Beside this, further requirements are established. As for an example, information published by the service providers and not classified as media content, that could seriously impair the mental, psychological, moral or physical development of children in particular by having decisive elements of violence, and naturalistic and direct representation of sexuality, shall be published in the information sub-page, before the information is published, which contains information about the potential dangers of children, the identifiers in the source code of the sub-page, which refer to the category of content and are recognizable by filtering software. 4. The concept of child consumer in the digital world Although, unrestricted and easy access to online content is a crucial element of the information society, it can also have a detrimental effect on the physical, mental and moral development of children. A significant percentage of online content related to intermediary service providers, so-called hosting service providers. The essence of hosting services is that the service provider provides an interface for users where they can place their own content, for example in the form of posts, photos, videos, comments, etc. Typically, such content is neither monitored, nor examined for potential illegal or harmful content by the hosting service provider. Examples of such hosting providers that are often used by child consumers include Facebook, Instagram, Flickr, etc. In 2017, the National Media and Infocommunications Authority (hereinafter referred to as “NMHH”) conducted a research entitled “Media use, media consumption, media literacy research with children and parents” based on a questionnaire and personal interviews with 2,000 children (from 7 to 16 years of age) and their parents, about media use patterns and rules applied by families to curb the children’s media presence. The identity of child consumer in Hungarian Law 1001 In terms of Internet content consumption, the study found that 77% of 7-16 years old use the Internet. As the age increases, the number of Internet users also increases, and then becomes general in the group of 13-14 years of age. The use of the Internet is extremely diverse. Children use it, for example, as a learning tool or as a basic communication platform, for consuming media and entertainment, or for sharing content.10 It should be highlighted that, according to the survey, almost every second young person can be found on a social media platform. Most children between the ages of 12 and 13 are registered members; and 85% of the oldest has also registered. According to the research, 93% of parents know of the registered children that they are using these sites. In most cases, the parent and the child are “acquaintances”, but the profile of every fourth child is beyond the control of the parent11. A part of the research focused on their experience related to offensive online content. Such offensive online content is cyberbullying, which may include sending threatening or degrading emails at any time of the day, or threatening, frightening, abusive messages or comments on a social media platform. What is even more concerned in case of cyberbullying is the fact that if offline bullying usually finishes with leaving school at the end of the day, online bullying continues to exist even after it, without time limit12. A similar incident occurred when a 16-year-old girl’s’ photos were taken from a social media platform and posted on Hungarian website with her full name, address, age and phone number. She received threatening letters, was harassed and made obscene comments under her pictures (ABI-4865/2012/P). In another case, a parent posted some photos of a child on a social media platform from where the perpetrator copied the photos to a public internet portal, with a name, where defamatory comments appeared (ABI-7041/P/2010). 10 Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-, médiaértéskutatás 7–16 éves gyermekekkel és szüleikkel http://english.nmhh.hu/article/197725/ Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_gyermekekkel_es_ szuleikkel (2019. 07. 25.). 11 Ibid. 12 Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadásg Hatóság, Kulcs A Net világához! http://www.naih.hu/files/2013-projektfuzet-internet.pdf (2019. 07. 25.). 1002 The best interest of the child According to the results of the said study, the group is most widely exposed to cyberbullying consisting of girls between 15 and 16 years of age. 27% reporting that over the past one year they had an experience that may qualify as cyberbullying13. Hungarian children are also exposed to online hate speech. Over the past one year, 23% of those involved in the research encountered content or forms of expression that discriminated against certain social groups based on their origin, sexual orientation, religion or disability. In older age groups, exposure to such content was increasingly higher14. The survey also included questions about the type of information Hungarian children shared on themselves online. According to the responses, 35% of the oldest children involved in the research (15 to 16 years of age) share at least four pieces of information on themselves through social media. They typically provide their name, age, name of school and usually their e-mail address, as well as sharing an image of themselves. Throughout their online presence, their need for availability and self-expression often overrides safety considerations. However, this entails the possibility of unauthorized use of personal data15. A similar incident occurred in which a 15-year-old girl’s personal data and photos shared on a social media platform were copied and uploaded to a special website without her consent, with her full name, place of residence, and age (ABI-4841/2012/P). However, the expression of identity requires that children be adequately protected in similar cases. We think these are general issues, so we have to solve this problem using international instruments and use an effective sanction system. On the other hand, we must try and transform the new smart user’s thinking all over the world. 5. The National Media and Infocommunications Authority The National Media and Infocommunications Authority controls the media and the infocommunication area in Hungary. The authority has made many programs about child protection. The main aim 13 Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-, médiaértés-kutatás 7–16 éves gyermekekkel és szüleikkel http://english.nmhh.hu/ article/197725/Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_ gyermekekkel_es_szuleikkel (2019. 07. 25.). 14 Ibid. 15 Ibid. The identity of child consumer in Hungarian Law 1003 of these programs is the prevention, but giving effective and successful help is also considered extremely important. Consumers can lodge their complaints to the Authority, who provides an electronic possibility. If they have information about a harmful case, they are able to complain to the authority, who can initiate an official procedure. a) The Internet Roundtable for Children Protection The Internet Roundtable for Children Protection (hereinafter referred to as the Roundtable), was established in 2014, also monitors the area of protecting minors on the Internet in Hungary. The 21-member Roundtable was established by the chairman of the National Media and Communications Authority (NMHH), in accordance with the provisions of Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce and on Information Society Services (and the Act of Child Protection on the Internet). As a consultative body, the Roundtable develops recommendations for the dissemination of child-friendly internet, including the effective use of filtering software, and raising media awareness among children and their parents. Anyone can turn to the Roundtable in cases where a content provider is publishing information disregarding child protection considerations that may severely impair the intellectual and moral development of children. The Roundtable does not have the power to create binding legal norms16. The Roundtable has taken several measures to ensure appropriate protection of children, contributing to the protection of the identity of child consumers. In 2014, it adopted a recommendation related to filtering software to be able solve a proper solution for harmful effect of online content. The Recommendation includes, inter alia, recommendations on filtering software to limit the availability of harmful online content by children. According to it, solution to limit the availability of harmful content may be: - if the content provider drew attention to the content harmful of children before it was displayed, asked for the age and places identifiers warning to harmful content in the source code of the content; 16 A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal feladata http://nmhh.hu/cikk/162718/A_ Gyermekvedelmi_Internetkerekasztal_feladata_es_tagjai (2019. 07. 25.). 1004 The best interest of the child - or if the internet access provider provided free downloadable child protection filtering software to users with internet access, which made content harmful to children inaccessible17. In case of the alerts, the Recommendation states that the metatag in the source code should clearly indicate that the content is harmful to minors, The content provider shall, before displaying the page for accessing the content, or in a table of contents or other interface presenting the content thereof, identify the content harmful to children clearly by means of optical identification; and shall verify the user’s age and permission to access the content, and warn the users to harmful content, in parallel with verifying the age, in the same interface, and indicate the exact availability of filtering software. Besides these, according to the Recommendation, content shall not be accessible for unauthorized users18. In connection with the child protection filtering software, the Roundtable proposes recommendations on the availability and scope of filtering software solutions, the installation of filtering software solutions, the ways to limit ability of accessing online content, the monitoring activities, and on the individual authorize methods to access the content. It should be noted that the Roundtable uses a “positive-negative” approach in case of content filtering. The so-called “whitelist” includes child-friendly websites whose accessibility to children is not considered concerning, while the so-called “blacklist” includes websites that contain harmful content for children, so their availability is limited by using individual settings19. According to studies conducted in 2015, less than 50% of the websites examined comply with the law and the recommendation of filter software. One third of the websites do not use any kind of warning before displaying harmful online content, and less than tenth of the websites use keywords supporting the functioning of filter software. Only 43% of the websites examined used the warning properly and only 17% offered the use of the filtering software. Of the websites that use metatags, only one or two websites use them in the recommended format. 17 Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság, A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal ajánlása a kiskorúakra káros internetes tartalmak és szolgáltatások esetén alkalmazandó figyelemfelhívó jelzésekre és szűrőszoftverekre vonatkozóan http://nmhh.hu/dokumentum/162986/ szuroszoftver_ajanlas.pdf (2019. 07. 25.). 18 Ibid. 19 Ibid. The identity of child consumer in Hungarian Law 1005 According to the report, the six most common errors are that the warning window already contains images, videos that are considered adult content; the “no” option is not available; first time, the site warns children about harmful content, but the second time, the content is accessible without any warning; adult content can be seen for a moment before being warned; in case of some websites, harmful content is accessible without any restrictions by using Google; and although an alert appears, anyone is instantly linked to the website by clicking on the ad next to it20. In case of filtering software, the Act CXC of 2011 on National Public Education requires for public education institutions that computers with internet access accessible to children shall be provided with Hungarian language software that is easy to install and use, enabling the protection of children and pupils, to provide children and pupils with harmonious mental, physical and intellectual development. In 2017, NMHH’s co-workers introduced Roundtable to the operation of a filtering software being tested. The application, called NetFilter, is a child protection filtering software primarly tailored to the specific needs of public education institutions. By using NetFilter, one needs a flash drive that should be inserted into the computer used by the child. The work of NetFilter is based on black and white lists containing different domain names. The software determines whether children can view certain content.21 The NetFilter has been continuously developed by the NMHH. In 2018, the Roundtable proposed adding hundreds of items to the black and white lists used by NetFilter, and NMHH’s co-workers presented to Roundtable members the enhancement of NetFilter, which, in addition to its institutional use, can also facilitate retail use. b) Internet Hotline Beside the operation of the Roundtable, the role of the Internet Hotline should also be emphasized, the legal advisory service of the National Media and Infocommunications Authority, available since 20 Ibid. 21 Beszámoló a Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal 2017. évi tevékenységéről http:// nmhh.hu/dokumentum/195053/gyermekvedelmi_internet_kerekasztal_2017_evi_ beszamolo.pdf (2019. 07. 25.). 1006 The best interest of the child 2011. The creatives of the Internet Hotline’s new campaign highlight all three fields of problems: - cyberbullying, - inflammatory content, - as well as personal data-related abuses. Based on reports, Internet Hotline provide support in removing infringing contents found on the Internet quickly. The Internet Hotline works with the National Police Headquarters and the National Bureau of Investigation against Cybercrime to combat illegal online content. The Internet Hotline also has a working relationship with social media operators22. - Internet Hotline accepts notifications in nine categories: - content made available without consent; - pedophile content; - harassment; - racist, xenophobic content; - content displaying violent content; - drug use of seductive content; - content that encourages or promotes terrorist acts; - phishing websites, content infected with viruses, spyware and worms; - other content harmful to minors23. Co-workers of Internet Hotline examine the online content complained of in the report. If the content in question is infringing, the online content editor, the content provider or the hosting provider is asked to make the content inaccessible. In parallel with it, the service provider shall be considered liable for any failure to do so. In the case of harmful or unsafe online content for children, the Internet Hotline calls upon the website’s editor or operator to clearly indicate on its interface that the content on the site may be harmful to children24. The National Media and Infocommunications Authority has launched a campaign to promote the Internet Hotline legal aid. The campaign refers to the most important rules of online behavior through emojis. The creatives show that even the emojis frequently used by children can lead to offensive or even infringing statements 22 Internet Hotline, Tudástár http://nmhh.hu/internethotline/tudastar (2019. 07. 25.). 23 Ibid. 24 Ibid. The identity of child consumer in Hungarian Law 1007 depending on the context or situation. The campaign collectively refers to these as awkward situations. The campaign features commonly used emojis in two different contexts: in one, they have a harmless meaning, but in the other their meaning is abusive, offensive and threatening. The advertisements, mainly targeting children of 11 to 16 years of age, provide guidance for recognizing problems, as well as dealing with them. The campaign provides a website of the Internet Hotline, where online infringing content can be reported quickly and anonymously. Hotline employees help in removing such content or counselling to the person filing the report. The central message of the campaign is that although children might seem at ease with the world of digital devices and new media content, they often face uncertainty when judging the community, ethical or legal repercussions of their online actions25. According to the Authority this is not an administrative procedure, yet effective. The Internet Hotline provides those filing a report with a way to solve online infringements. The administrative process does not constitute a regulatory procedure, as the authority requests the content or web hosting service provider to remove the infringing content by letter. Since 2011, the Internet Hotline has received over 4.000 reports, and the experience has shown that Hungarian content and web hosting service providers are exceptionally cooperative and, in most cases, they make the objectionable content unavailable. The website of the advisory service was renewed in autumn 2017, and reports can be easily filed on its new responsive interface, using mobile devices as well. The Internet Hotline collects no information on those filing a report, and anyone can request assistance anonymously26. 6. Summary of Hungarian legislation on the identity of child consumers The identity of child consumer, due to the wide availability and free of charge of the Internet, is a complex issue. In fact, children may be exposed to a variety of harmful content online, which has a negative impact on their physical, mental and moral development. 25 Ibid. 26 Ibid. 1008 The best interest of the child The protection of children is implemented in a comprehensive, complex system in Hungarian legislation. It should be emphasized that the primary role of the family in the protection of children is declared, but the role of the state is not negligible either. Several legal instruments protect children in different areas of law. As for examples, their general protection is granted by the Constitution, while in case of consumption they are protected by the provisions of consumer protection law or media law. However, in a digital, online environment, it is necessary that the protection of children consumers also be achieved through technical devices. In connection with this, the Internet Hotline of the National Media and Communications Authority and the Internet Child Protection Roundtable are of great importance. Not only in Hungary, but in every nations, it is of great importance for the proper development of the identity of children to be protected in high level. As this study highlighted, not only the use of legal but also technological solution appears to be appropriate to reach the target. Bibliography Act CCXLV of 2013 on the Amendment of Certain Laws for the Protection of Children Act V of 2013 on Civil Code Act C of 2012 on Criminal Code Act XLVIII of 2008 on the Basic Requirements and Certain Restrictions of Commercial Advertising Activities Act XLVII of 2008 on the Prohibition of Unfair Commercial Practices against Consumers Provisions Act C of 2003 on Electronic Communications Act CVIII of 2001 on Electronic Commerce and on Information Society Services Act XXXI of 1991 on Child Protection and Guardianship Administration Act CLV of 1997 on Consumer Protection Constitution of Hungary Hungarian Competition Authority, Principles governing freedom of consumer choice (Gazdasági Versenyhivatal: A fogyasztói döntések szabadságára vonatkozó, a GVH által követett alapelvek) http://www.gvh.hu/data/ cms1022582/11695FFBAC14C71AC.pdf (2019. 07. 25.) Internet Hotline, Source Information (Tudástár) http://nmhh.hu/internethotline/tudastar (2019. 07. 25.) The identity of child consumer in Hungarian Law 1009 Internet Roundtable on Children Protection’s Activity Report, 2017. http://nmhh.hu/dokumentum/195053/gyermekvedelmi_internet_kerekasztal_2017_evi_beszamolo.pdf (2019. 07. 25.) Koltay A. - Lapsánszky A. (ed.), Nagykommentár a médiaszolgáltatásokról és a tömegkommunikációról szóló, 2010, évi CLXXXV, törvényhez, 9. A gyermekek és kiskorúak védelme, jogtar.hu (2019. 27. 25.) Kóczián S., Child protection in the media law (Gyermekvédelem a médiajogban) http://mek.oszk.hu/13500/13512/13512.pdf (2019. 07. 25.) National Authority for Data Protection and Freedom of Information, Key to the world of net! (Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadásg Hatóság: Kulcs A Net világához!) http://www.naih.hu/files/2013-projektfuzet-internet.pdf (2019. 07. 25.) National Media and Infocommunications Authority, Media use, media consumption, media literacy research with children and parents (Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: Médiahasználat-, médiafogyasztás-, médiaértés-kutatás 7–16 éves gyermekekkel és szüleikkel) http://english.nmhh.hu/article/197725/Mediahasznalat_mediafogyasztas_mediaerteskutatas_716_eves_gyermekekkel_es_szuleikkel (2019. 07. 25.) National Media and Infocommunications Authority, Recommendation of the Internet Roundtable for Children Protection on Alerts and Filtering Software applicable in case of Harmful Internet Content and Services (Nemzeti Média és Hírközlési Hatóság: A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal ajánlása a kiskorúakra káros internetes tartalmak és szolgáltatások esetén alkalmazandó figyelemfelhívó jelzésekre és szűrőszoftverekre) Report from the commission to the European parliament, the Council, the ERuropean economic and social committee and the committee of the Regions on the application of the Council Recommendation of 24 September 1998 concerning the protection of minors and human dignity and of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 20 December 2006 on the protection of minors and human dignity and on the right of reply in relation to the competitiveness of the European audiovisual and online information services industry-protecting children in the digital world-/* COM/2011/0556 final */ Tasks and members of The Internet Roundtable for Children Protection (A Gyermekvédelmi Internet-kerekasztal feladata és tagjai) http://nmhh.hu/ cikk/162718/A_Gyermekvedelmi_Internetkerekasztal_feladata_es_tagjai (2019. 07. 25.) UN Committee on the Rights of the Child (CRC), General comment No. 7 (2005): Implementing Child Rights in Early Childhood, 20 September 2006, CRC/C/GC/7/Rev.1 https://www.refworld.org/docid/460bc5a62.html (2019. 07. 25.) United Nations Convention on the Rights of the Child. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini Arnaldo Morace Pinelli Sommario: 1. Il diritto di conoscere le proprie origini nella legge sulle adozioni. – 2. L’intervento della Corte costituzionale – 3. I progetti di riforma dell’art. 28 l. adoz. – 4. L’intervento suppletivo della giurisprudenza – 5. I nodi ancora da sciogliere – 6. Il diritto a conoscere le proprie origini spetta anche ai nati da p.m.a.? 1. Il diritto di conoscere le proprie origini nella legge sulle adozioni Sino alla riforma del 2001 (l. 28 marzo 2001 n. 149), l’adozione legittimante era incentrata sull’idea che l’interesse del minore si realizzasse attraverso la sostituzione della famiglia d’origine con quella adottiva. Ciò postulava la recisione d’ogni legame giuridico con la famiglia d’origine1 e – per quel che qui maggiormente interessa – la secretazione delle informazioni relative all’identità dei genitori biologici. L’ordinamento si proponeva di preservare la serenità del minore e dei genitori adottivi eliminando qualsiasi possibile interferenza dei genitori biologici, nella convinzione che il rapporto di filiazione – e quindi quello adottivo, per imitazione della natura – dovesse fondarsi sul carattere di esclusività del modello genitoriale. Una serenità, dunque, fondata sul segreto, ossia su una pietosa bugia, sulla negazione di una parte del vissuto esistenziale del minore2. 1 Ai sensi dell’art. 27 1. 4 maggio 1983 n. 184 (l. adoz.), come novellato dal d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, “per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti” (comma 1) e “con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali” (comma 3). 2 Cfr., per la ricostruzione di tale sistema, L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori 1012 The best interest of the child La novella del 2001 ha radicalmente mutato siffatta impostazione, riconoscendo il diritto del figlio a conoscere la propria condizione di adottato e le proprie origini. Ciò in adesione all’autorevole orientamento dottrinale, che ha trovato piena attuazione nella recente riforma della filiazione (la c.d. riforma Bianca), che pone il figlio al centro del sistema, segnando il passaggio da una concezione del minore di tipo paternalistico, quale soggetto incapace, mero destinatario di protezione, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere3. Il diritto della persona di conoscere le proprie origini, già desumibile dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989 (art. 7), e dalla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, sottoscritta a l’Aja il 29 maggio 1993 (art. 30), “soddisfa un bisogno essenziale della persona e può essere annoverato tra i diritti fondamentali dell’uomo”4. Esso biologici, in Familia, 2006, p. 162 ss.; T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur., 2014, p. 477 ss.; B. Checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 709 ss.; A. Morace Pinelli, Il diritto di conoscere le proprie origini e i recenti interventi della Corte costituzionale. Il caso dell’ospedale Sandro Pertini, in Riv. dir. civ., 2016, p. 242 ss.; Id., Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it. 3 Osserva C.M. Bianca, in Filiazione. Commento al decreto attuativo. Le novità introdotte dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, XVIII, che “l’art. 315 bis, “Diritti e doveri del figlio”, stabilisce il principio secondo il quale “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Viene introdotta una nuova prospettiva, ignota alla tradizionale nozione della potestà, che esalta il profilo dei diritti del figlio verso i genitori. Una nuova prospettiva in cui il richiamo al rispetto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio assume un significato più attento alla sua personalità”. Cfr., sul punto, anche il nostro I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 667 ss., p. 689 ss. Su tale processo evolutivo cfr. M. Bianca, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 173 (e in Studi in onore di C.M. Bianca, II, Milano, 2006, 117 ss.); M. Sesta, Verso nuove trasformazioni del diritto di famiglia italiano?, in Familia, 2003, p. 162 ss., secondo il quale “si è oramai affermata una nuova considerazione della condizione del minore, non più soggetto incapace mero destinatario di protezione, ma individuo titolare di diritti soggettivi che l’ordinamento deve non solo riconoscere ma anche garantire e promuovere”; P. Zatti, Familia, familiae - Declinazioni di un’idea. La privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, p. 38, il quale pure pone l’accento sui diritti della personalità del minore. 4 C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., La famiglia, Milano, 2017, p. 487. Secondo Corte Edu, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli c./ Italia, in Fam. e dir., 2013, p. 537 ss., il diritto a conoscere le proprie origini rientra nella sfera di Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1013 deve essere tenuto rigorosamente distinto dal diritto maggiore che di regola l’assorbe, ossia dal “diritto allo status di figlio di colui dal quale la persona è stata generata”5. Per l’adottato, in particolare, la conoscenza delle origini soddisfa l’esigenza di acquisire consapevolezza della propria identità familiare e quando questo legittimo desiderio di conoscenza si manifesta il suo appagamento condiziona lo sviluppo della sua personalità6. Il nuovo diritto è stato configurato e disciplinato nell’art. 28 l. adoz. novellato7, che, tuttavia, costituisce il frutto di un compromesso, risulapplicazione della nozione di “vita privata”, espressa dall’art. 8 Cedu. Ad avviso di A. Nicolussi, Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti, fasc. n. 1/2012, p. 1 ss. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti, fasc. n. 1/2012, p. 5 e 8, “il diritto di conoscere le proprie origini è un diritto soggettivo che in generale spetta alla persona in quanto tale…Come diritto della persona trova fondamento nell’art. 2 Cost., alla luce del carattere inviolabile del diritto all’identità personale a anche nell’art. 3 Cost., in funzione del diritto al libero sviluppo della persona”. 5 A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 8. Cfr., nella medesima prospettiva, M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori. Riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, in Dir. fam., 2015, I, p. 199 ss., secondo la quale occorre distinguere nettamente il diritto a conoscere le proprie origini dal diritto all’accertamento dello status, ossia all’identità filiale; Id., L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, cit., p. 21 ss., ove l’autrice puntualmente chiarisce che “il diritto all’identità genetica... non è un diritto all’esercizio delle azioni di stato al fine di rimuovere il rapporto di filiazione. Il diritto all’identità genetica è, infatti, … un diritto a conoscere le proprie origini e quindi esso si sostanzia nel diritto della persona alla conoscenza delle proprie origini. Diverso fondamento ha il diritto all’identità filiale, che è il diritto di ciascun essere umano ad avere certezza sul proprio rapporto di filiazione. 6 A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 14, pone in luce come il legislatore, con la riforma dell’art. 28 l. adoz., dimostra “la consapevolezza che l’anonimato dei genitori biologici è un ostacolo alla libera costruzione della personalità dell’adottato”. Osserva M. Sesta, Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Corr. giur., 2004, p. 1406, come il diritto a conoscere le proprie origini “trovi riconoscimento nelle scienze psicoanalitiche, che ammoniscono come anche il solo sospetto di un segreto intorno alla propria nascita possa portare a gravi conseguenze nello sviluppo psicologico del figlio, dal momento che gli è impedito risalire alle radici della propria storia e, dunque, di svelare le fondamenta della propria identità”. Nel medesimo senso, cfr. S. Patti, Sulla configurabilità di un diritto della persona di conoscere le proprie origini biologiche, in Dir. fam., 1987, I, p. 1316. 7 Sul diritto a conoscere le proprie origini, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, p. 471 ss.; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 1 ss.; S. Patti, Sulla configurabilità, cit., 1315 ss.; B. Checchini, Anonimato materno, cit., p. 709 ss.; M.R. Marella, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche. Contenuti e prospettive, in Giur. it., 2001, p. 1768; L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini, cit., p. 161 ss.; A Figone, Sulla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato, in Fam. e dir., 2003, I, 1014 The best interest of the child tando la norma, per taluni aspetti, ancora influenzata dalla precedente impostazione, che fondava la famiglia adottiva sul segreto del fatto dell’adozione, per preservarne l’unità e la serenità. Essa prevede innanzitutto il dovere dei genitori di informare il “minore adottato” (dunque entro il diciottesimo anno d’età8) “di tale sua condizione… nei modi e nei termini che ritengono più opportuni” (comma 1). Raggiunta l’età di venticinque anni “l’adottato… può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici” (comma 5). Il limite d’età risponde all’idea del legislatore che, in assenza di una piena maturità, la conoscenza dell’identità dei genitori biologici9 possa turbare l’equilibrio psico-fisico dell’adottato. L’informativa può essere, peraltro, anticipata al raggiungimento dei diciotto anni, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni, “se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla … salute psico-fisica” del figlio (comma 5)10. Durante la minore età, in presenza di “gravi e comprovati motivi” che – pur nel silenzio della norma – non possono che attenere alla salute psico-fisica del minore11, su autorizzazione del medesimo giudice, “le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori”. Tuttavia, sul presupposto che destinatario dell’informativa sia anche il minore, essa “deve essere preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore” (comma 4). Sempre durante la minore età, eccezionalmente, le medesime informazioni possono essere fornite al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario “ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia p. 69; A. Liuzzi, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata quaestio, in Fam. e dir., 2002, I, p. 89; E. Palmerini, Commento all’art. 24 l. 28 marzo 2001 n. 149, in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001 n. 149), Commentario, in N.l.c.c., p. 1011 ss. 8 Così A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 13, nota 50. 9 Come rileva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, “il diritto dell’adottato si ferma alla conoscenza: incontrare e stabilire un contatto con i genitori biologici costituiscono eventualità di mero fatto, non essendo contemplato né un diritto alla ricostituzione di una relazione giuridica tra adottato e famiglia di sangue, né un obbligo di quest’ultima di prestarsi a soddisfare con l’interesse conoscitivo dell’adottato l’interesse all’incontro ed al dialogo”. 10 Quando, ad esempio, un intervento medico cui il figlio adottato si deve sottoporre richiede la conoscenza di dati genetici del genitore biologico. 11 C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, in C.M. Bianca - F.D. Busnelli (cur.), La protezione dei dati personali, Padova, 2007, II, p. 1395. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1015 grave pericolo per la salute del minore” (comma 4, ultima parte). Ciò, in considerazione dell’urgenza, senza necessità di richiedere una previa autorizzazione al tribunale per i minorenni. Ovviamente siffatte informazioni non possono essere rivelate dal medico al minore e ai genitori adottivi. Due ulteriori disposizioni contenute nell’art. 28 l. adoz. pongono in luce la perdurante influenza, nel legislatore del 2001, dell’idea che l’identificazione dei genitori biologici possa pregiudicare la serenità del minore e dei genitori adottivi, ritenuta un valore da tutelare. Da un canto, l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini e l’identità dei genitori è condizionato all’accertamento, da parte del tribunale per i minorenni, “che l’accesso alle notizie… non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente” (comma 6);12 dall’altro, l’autorizzazione giudiziale non è richiesta “per l’adottato maggiore d’età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili” (comma 7). L’art. 28 l. adoz. prevede, infine, un limite all’informativa, radicalmente esclusa “nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396” (comma 7). Soltanto trascorsi cento anni dalla nascita, chi vi abbia interesse può chiedere copia integrale del certificato di assistenza al parto e della cartella clinica, contenenti i dati identificativi della madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata [art. 93 d.lgs. 30 giu. 2003 n. 196 (c.d. Codice sulla privacy), comma 2]. Nelle more può però essere richiesto l’accesso alle informazioni non identificative della madre ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica (i dati sanitari, sostanzialmente), a condizione che vengano osservate “le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile” (art. 93 detto, comma 3)13. 12 Secondo C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, cit., p. 1396, la norma deve essere interpretata nel senso che l’autorizzazione del tribunale per i minorenni non è richiesta per l’adottato che abbia compiuto i venticinque anni. Anche a nostro avviso è questa la soluzione preferibile ma la questione è controversa. Cfr. la dottrina di segno contrario richiamata dal Bianca. A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, giudica discutibile “la singolare competenza del tribunale per i minorenni a riguardo del maggiorenne infraventicinquenne”. 13 Osserva Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Foro it., 2014, I, p. 4, che deve “essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”. 1016 The best interest of the child 2. L’intervento della Corte costituzionale Del diritto a conoscere le proprie origini si è recentemente occupata la Corte costituzionale affrontando il problema del suo bilanciamento con il diritto all’anonimato spettante alla madre, così come risolto dal comma 7 dell’art. 28 l. adoz.14 . In termini generali, l’ambito della tutela del diritto all’anonimato della madre condiziona, in concreto, il soddisfacimento della contrapposta aspirazione del figlio alla conoscenza delle proprie origini e viceversa. Confermando l’orientamento espresso in una sua precedente sentenza15, la Corte costituzionale ha ribadito la prevalenza del primo valore, atteso che la tutela dell’anonimato della madre è volta, da un lato, ad assicurare che il parto avvenga nelle condizioni ottimali per lei stessa e per il figlio e, dall’altro, a distoglierla “da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi”, ossia dalla possibile scelta di abortire. La salvaguardia della vita del neonato e della salute della madre costituiscono valori preminenti rispetto all’esigenza del figlio di conoscere le proprie origini. Tuttavia la Corte costituzionale, anche in adesione ad un orientamento della Corte di Strasburgo,16 ha giudicato l’attuale disciplina eccessivamente rigida, laddove non prevede la possibilità di revoca della scelta della madre di restare anonima, rendendo il segreto intangibile: “una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”, risultando la definitiva preclusione di una reciproca relazione di fatto tra la madre biologica ed il figlio lesiva degli artt. 2 e 3 Cost. La Corte costituzionale ha, dunque, rivolto al legislatore un duplice invito. Da un canto, ad introdurre apposite disposizioni “volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata”; dall’altro, “a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adegua14 Si tratta di Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, cit. 15 Corte cost., 25 novembre 2005, n. 425, in Guida al dir., 2005, fasc. 47, p. 28. 16 Corte Edu, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli c./ Italia, cit. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1017 tamente le modalità d’accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo”, nell’ambito della superiore verifica. 3. I progetti di riforma dell’art. 28 l. adoz. Sulla scorta di tale indicazione, nella passata legislatura la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che modificava il comma 7 dell’art. 28 l. adoz. (S. 1978)17, introducendo, in favore della madre, la facoltà di revocare mediante un atto formale la dichiarazione effettuata alla nascita di non voler essere nominata, così da consentire al figlio l’accesso alle informazioni concernenti le proprie origini (art. 1, che novella il comma 7 dell’art. 28 l. adoz.)18, ed, in mancanza di una siffatta revoca, la possibilità per il figlio di interpellare la madre, per una sola volta, per verificare se intendesse ancora mantenere l’anonimato (art. 1, che introduce un nuovo comma 7 bis nell’art. 28 l. adoz.)19. Siffatto progetto di legge condivideva l’opzione di fondo del nostro ordinamento di tutelare il diritto all’anonimato spettante alla madre20 in modo assoluto,21 sul 17 Il disegno di legge, approvato il 18 giugno 2015 ed unificante i disegni di legge C. 784, C. 1343, C. 1874, C. 1901, C. 1983, C. 1989, C. 2321 e C. 2351, era passato all’esame del Senato della Repubblica (S. 1978) ma non è stato approvato. 18 “L’accesso alle informazioni è consentito nei confronti della madre che, avendo dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del regolamento di cui al d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, abbia successivamente revocato tale dichiarazione o sia deceduta. La revoca deve essere resa dalla madre con dichiarazione autenticata dall’ufficiale dello stato civile, contenente le indicazioni che consentano di risalire al luogo e alla data del parto nonché all’identità della persona nata. L’ufficiale dello stato civile trasmette senza ritardo la dichiarazione di revoca al tribunale per i minorenni del luogo di nascita del figlio”. 19 “Su istanza dei soggetti legittimati ad accedere alle informazioni ai sensi dei commi 4 e 5, o del figlio non riconosciuto alla nascita in mancanza di revoca della dichiarazione della madre di non voler essere nominata, il tribunale per i minorenni, con modalità che assicurino la massima riservatezza, avvalendosi preferibilmente del personale dei servizi sociali, contatta la madre per verificare se intenda mantenere l’anonimato ai sensi dell’art. 30, comma 1, del regolamento di cui al d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396. L’istanza può essere presentata, per una sola volta, al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio”. 20 Sul tale specifica questione, in aggiunta agli autori citati alla superiore nota 7 , cfr. anche S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia: il dilemma del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Liber amicorum per Dieter Henrich, I, Torino, 2012, p. 172 ss.; A. Renda, L’accertamento della maternità: anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. e dir., 2004, p. 510 ss.; Id., L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008. 21 È noto che in taluni Paesi UE (ad es. in Germania) il diritto all’anonimato della madre non è tutelato. È, peraltro, altrettanto noto che nei medesimi Paesi è acceso il dibattito sulla validità della scelta compiuta. Cfr., per la puntuale ricostruzione della problematica, S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia, cit., p. 172 ss. 1018 The best interest of the child presupposto – ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale – che l’anonimato, in definitiva, salvaguardi la vita del nascituro, evitando la possibilità dell’aborto, valore questo certamente preminente rispetto al soddisfacimento dell’esigenza del figlio di conoscere le proprie origini22. L’esigenza di tutelare la salute fisica del figlio nato, altro valore indubbiamente rilevante, non è di per sé in grado di scalfire tale bilanciamento, potendo essa essere garantita preservando, al contempo, l’anonimato della madre. Occorre, infatti, operare una netta distinzione tra le informazioni relative all’identità della madre e quelle relative ai suoi dati sanitari ed, eventualmente, genetici23. Già l’art. 93 del Codice sulla privacy consente l’accesso ai dati sanitari della madre contenuti nel certificato di assistenza al parto e nella cartella clinica quando sia in gioco la salute del figlio, osservando, peraltro, “le opportune cautele per evitare” che la madre sia identificabile24. Ove i dati raccolti non siano sufficienti, in concreto, per la tutela della salute del figlio, l’identificazione della madre potrebbe essere consentita al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, estendendo la previsione del comma 4 dell’art. 28 l. adoz. Occorre, peraltro, tenere presente che l’identificazione della madre ad opera dei sanitari, tenuti al segreto, potrebbe risultare inutile, non potendosi costringerla a sottoporsi a prelievi medici o esami genetici (art. 32 Cost.). 4. L’intervento suppletivo della giurisprudenza Il progetto di legge S. 1978 non è stato approvato ed è decaduto con la fine della legislatura. Nella delicata materia, peraltro, è intervenuta la Corte di Cassazione, muovendosi lungo il percorso tracciato dalla Corte costituzionale. Ribadito il fondamento costituzionale del diritto a conoscere le proprie origini (artt. 2 e 3 Cost e 22 Cfr., peraltro, A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 14, il quale giudica la ratio della tutela dell’anonimato della madre, “storicamente risalente e collegata alla tradizione della cosiddetta ruota degli esposti, di evitare possibili aborti e infanticidi, una ratio piuttosto anacronistica e discutibile, salvo ipotesi particolari e legate a situazioni di grave disagio che potrebbero essere meglio affrontate con misure ad hoc”. 23 Per la necessità di differenziare le informazioni relative all’identità della madre da quelle biologiche e sanitarie, diversificando le modalità di accesso alle stesse, cfr. B. Checchini, Anonimato materno, cit., § 4 e 5. 24 In generale, osserva C.M. Bianca, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it, che “l’accesso ai dati clinici dovrebbe essere consentito con la massima libertà, perché i dati clinici sono dati che per definizione non valgono a identificare la persona”. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1019 8 Cedu), richiedendo lo sviluppo della personalità individuale “la costruzione di una propria identità individuale fondata, oltre che su un contesto parentale affettivo-educativo riconoscibile, anche su informazioni relative alla propria nascita idonee a svelarne il segreto unitamente alle ragioni dell’abbandono”25, il giudice di legittimità ha ritenuto che, in caso di parto anonimo, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio che intende conoscere le proprie origini ed accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione26. Ciò, peraltro, con modalità procedimentali idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna27 e “fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità”28. Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini è garantito anche nel caso in cui non sia più possibile procedere all’interpello della madre “naturale”, perché questa non sia più in vita. Secondo il giudice di legittimità, infatti, il diritto all’anonimato della madre si estingue con la sua morte29. Esso deve essere però esercitato nel rispetto della identità sociale eventualmente costruita in vita dalla donna, ossia 25 Cass., 9 novembre 2016, n. 22838. 26 Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Fam. e dir., 2017, p. 372. 27 La Corte di cassazione indica il procedimento di cui all’art. 2, commi 5 e 6, l. n. 184/1983, innanzi al tribunale dei minorenni ove il figlio risiede, con “i previ necessari adattamenti, necessari ad assicurare in termini rigorosi la riservatezza della madre” (Cass., s.u., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit.; Cass., 7 giugno 2017, n. 14162). 28 Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit.; Cass., 7 giugno 2017, n. 14162. 29 Cass., 9 novembre 2016, n. 22838, secondo la quale “l’irreversibilità del segreto sull’identità della madre naturale non è più compatibile con l’attuale configurazione del diritto all’identità personale, così come desumibile dall’interpretazione integrata dell’art. 2 Cost. e 8 Cedu, nella parte in cui tutela il diritto alla vita privata. Lo sbarramento temporale imposto dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, alla rivelabilità dell’identità della donna che ha scelto l’anonimato al momento della nascita del figlio, non è temperato, nella specie, dalla possibilità di verifica della eventuale sopravvenuta volontà di revoca della scelta compiuta alla nascita. L’interpretazione della norma che identifichi nell’intervenuta morte della donna, un ostacolo assoluto al riconoscimento del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell’adottato, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati da donne che hanno scelto l’anonimato ma non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpellate sulla reversibilità della scelta operata alla nascita. Tale opzione ermeneutica sarebbe, inoltre, viziata di irragionevolezza perché sottoporrebbe il riconoscimento e l’esercizio 1020 The best interest of the child senza cagionare danno, “anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)”30. La giurisprudenza ha, infine, risolto un’ulteriore questione che si agitava in dottrina, attinente al contenuto stesso del diritto. Ci si interrogava, infatti, se nel diritto a conoscere le proprie origini rientrasse anche quello di conoscere l’esistenza e l’identità di eventuali fratelli e sorelle biologici31. Tanto più che il nuovo art. 315 bis c.c. ha inserito tra i diritti fondamentali del minore quello “di mantenere rapporti significativi con i parenti”32. In via teorica, l’obbligo di informare i figli della propria condizione di adottati dovrebbe garantire che anche i fratelli biologici, perlomeno se maggiorenni33, siano già a conoscenza della loro analoga condizione. Con la massima “delicatezza” e “riservatezza”, era stato, dunque, ipotizzato un contatto, mediato dall’autorità giudiziaria, allo scopo di evitare un’irruzione nella vita di altre persone “con una storia antica, magari mal vissuta da uno dei fratelli, mentre gli altri vivono serenamente la loro vita”34. Una recente pronuncia di legittimità ha affermato che l’adottato, che abbia compiuto i venticinque anni d’età, ha diritto di conoscere le proprie origini anche accedendo alle informazioni concernenti le sorelle e i fratelli biologici adulti, previo loro interpello, mediante procedimento giurisdizionale idoneo a garantire loro la massima sicurezza ed il rispetto della dignità, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, ostativo all’esercizio del diritto. Il positivo esercizio di tale diritto esclude, di un diritto della persona di primario rilievo ad un fattore meramente eventuale quale quello del momento in cui si chiede il riconoscimento del proprio diritto”. 30 Cass., 9 novembre 2016, n. 22838. 31 Cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 482 e 486. La proposta di legge C. 1983, d’iniziativa del deputato Cesaro + altri, prevedeva, in favore dell’adottato, la possibilità di acquisire – tra l’altro – informazioni concernenti “l’identità di eventuali fratelli e sorelle”. 32 Per la valorizzazione della nuova norma, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 482. 33 L’informativa deve essere fornita al “minore adottato” (art. 28, comma 1), dunque entro il compimento del diciottesimo anno d’età. 34 Così M. Cavallo, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 3 giugno 2014, in www.camera.it. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1021 peraltro, l’insorgere di alcun vincolo di parentela o relazionale con i fratelli e le sorelle biologiche35. 5. I nodi ancora da sciogliere Nella prospettiva che abbiamo indicato, ulteriori modifiche dell’art. 28 l. adoz. s’imporrebbero rispetto a quelle individuate dal legislatore ed introdotte dalla giurisprudenza, ad iniziare da una più compiuta definizione del dovere d’informativa gravante sui genitori adottivi36. Il primo comma dell’art. 28 l. adoz. prevede un generico obbligo a carico dei genitori adottivi di informare il minore circa la sua condizione di adottato e l’informativa è prodromica all’esercizio del diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Si ritiene che essa debba essere fornita nei primi anni di vita, affinché non risulti traumatica per il minore e preservi il rapporto con i genitori adottivi37. La storia delle origini deve essere una storia condivisa all’interno della famiglia adottiva. Al contrario, un’informativa in età adolescenziale, magari acquisita aliunde, potrebbe far sentire il minore ingannato, con il rischio che si verifichi un’irreparabile frattura con i genitori adottivi, che lo hanno tenuto all’oscuro della sua condizione di adottato, decidendo in sua vece il rifiuto di qualsiasi rapporto con i genitori biologici. Il segreto, nella mente dell’adolescente, anziché mezzo per la conservazione della personale serenità esistenziale, può significare imperdonabile inganno38. 35 Cass., 20 marzo 2018, n. 6963, secondo la quale un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 28, comma 5, l. adoz., impone di “valorizzare il richiamo testuale al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici, in particolare nell’ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi, anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorché non espressamente menzionati dalla norma, la natura del diritto e la funzione di primario rilievo nella costruzione dell’identità personale che viene riconosciuta alla scoperta della personale genealogia biologica-genetica, induce ad accogliere tale interpretazione estensiva”. 36 Cfr., sul punto, il nostro Sul diritto alla conoscenza delle proprie origini, cit., p. 253 ss. 37 Rileva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 13, che l’informativa prescritta dal primo comma dell’art. 28 l. adoz. non solo preserva il diritto del figlio all’identità personale ma gli evita anche “il trauma conseguente ad un apprendimento casuale della propria condizione adottiva”. 38 Osserva A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, che la conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato “può giovare anche sul piano del rapporto con i genitori adottivi rafforzando la costruzione della fiducia, la quale presuppone sincerità e autenticità, non finzioni e segreti”. 1022 The best interest of the child Il dovere di informativa a carico dei genitori adottivi, quasi sempre impreparati e lasciati soli nella gestione del difficile rapporto con il minore, deve essere meglio regolamentato. Già nella fase dell’affidamento preadottivo e, comunque, nel corso del procedimento di adozione, i genitori adottivi dovrebbero essere coadiuvati dagli psicologi dei servizi sociali, in grado di spiegare loro come e quando informare il minore della sua condizione di adottato. Inoltre dovrebbe essere consentito ai genitori adottivi di poter accedere a forme di consulenza e supporto psicologico nel momento in cui l’informativa avvenga. Ma il vero problema che deve essere affrontato è quello dell’opportunità, in punto di legittimazione ad agire, di riconsiderare gli attuali limiti d’età ed i vincoli formali che condizionano l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini39. Ferma la tutela dell’anonimato della madre, siffatte limitazioni non sono giustificabili. Esse sono state poste in un’ottica compromissoria, nella perdurante influenza dell’idea che la conoscenza dell’esistenza dei genitori biologici, di un precedente vissuto, possa turbare la serenità del minore adottato e – come si evince dal comma 8 dell’art. 28 l. adoz. – degli stessi genitori adottivi. Non è ragionevole, innanzitutto, il limite d’età (venticinque anni, riducibili a diciotto, se sussistono “gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica”, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni, chiamato a valutare che “l’accesso alle notizie… non comporti grave pregiudizio all’equilibrio psico-fisico del richiedente”: commi 5 e 6). Con la Raccomandazione 1443 (2000) del 26 gennaio 2000 “Per il rispetto dei diritti del bambino nell’adozione internazionale”, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati ad “assicurare il diritto dei bambini adottati a sapere delle proprie origini al più tardi al raggiungimento della maggior età e ad eliminare dalla legislazione ogni clausola contraria”40. Indipendentemente da tale autorevole richiamo, in via generale, quando è in gioco l’esercizio di un diritto fondamentale della persona e la tutela della sua sfera esistenziale, ogni limite alla capacità di agire, 39 In senso critico, su siffatte limitazioni, cfr. T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 482 ss., nonché 486; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14; C.M. Bianca, Audizione, cit. 40 Siffatta Raccomandazione è richiamata nella motivazione della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/2009, causa Godelli c./ Italia, cit. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1023 dopo il compimento del diciottesimo anno d’età, appare irragionevole, frutto di una visione paternalistica ormai superata. Se riteniamo che l’informativa al minore sulla sua condizione di adottato costituisca un valore e condividiamo che essa debba essere fornita in tenera età, non è ragionevole che un soggetto informato, che voglia conoscere le proprie origini, debba attendere il compimento del venticinquesimo anno d’età. Ci dicono gli psicologi che l’attesa, in siffatte situazioni, potrebbe addirittura compromettere l’equilibrio psicofisico dell’adottato ed il rapporto con i genitori adottivi41. Per tale motivo, in taluni ordinamenti, il diritto a conoscere le proprie origini è esercitabile, addirittura, durante la minore età42, come del resto prescrive tra le righe la Raccomandazione UE sopra richiamata43. Il diciottesimo anno, quale limite d’età per l’esercizio del diritto, potrebbe costituire una giusta soluzione intermedia, a condizione che, contestualmente, venga eliminata la necessità dell’autorizzazione del tribunale per i minorenni. Salvo il rispetto dell’anonimato della madre, a nostro avviso, a diciotto anni, il figlio che vuole sapere deve poter conoscere le proprie origini44. 41 Cfr, sul punto, A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, secondo il quale “il divieto di accesso lacera il figlio adottivo tra la consapevolezza di essere stato adottato (poiché la legge, grazie all’informazione sulla condizione di adottato, intende evitare l’illusione di identificare i genitori adottivi con quelli biologici) e l’impossibilità di conoscere l’identità dei procreatori: il rischio è che il segreto sulle proprie origini esacerbi la relazione con i genitori adottivi”. 42 Si legge nel parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011, intitolato Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa (in http://www.governo.it/bioetica/pareri_abstract/Conoscere_le_proprie_ origini_biologiche_nella_procreazione_medicalmente_assistita_eterologa25112011. pdf), alla nota 19, che la legge sull’adozione francese consente “anche al minore, che ha raggiunto l’età di discernimento attraverso il rappresentante legale, di ottenere che gli sia rivelata l’identità della donna che non lo aveva riconosciuto alla nascita, a condizione che quest’ultima rinunci al mantenimento della segretezza del parto”. 43 Da tempo autorevole dottrina afferma che i diritti fondamentali della persona spettano anche al minore d’età e che questi, se capace di discernimento, li può esercitare autonomamente (C.M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, p. 236 ss.). I diritti della personalità non ammettono, infatti, rappresentanza. La recente riforma della filiazione ha riconosciuto la validità di questa impostazione, scolpendo nell’art. 315 bis c.c. lo statuto dei diritti fondamentali del minore e ricomprendendo, tra questi, il diritto del minore, capace di discernimento, ad essere ascoltato sulle questioni e nei procedimenti che lo riguardano. Cfr., sul punto, il nostro I provvedimenti concernenti i figli, cit., p. 733 ss., ed ivi ulteriori riferimenti. 44 Anche A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 14, giudica discutibile “il rigido riferimento ai venticinque anni (ben sette dopo la maggiore età) e la singolare competenza del Tribunale per i minorenni a riguardo del maggiorenne infraventicinquenne”. Cfr. anche C.M. Bianca, Audizione, cit.: “C’è una ragionevole 1024 The best interest of the child In tale prospettiva deve essere abrogato anche il comma 8 dell’art. 28 l. adoz., che non richiede l’autorizzazione del tribunale per i minorenni quando l’adottato sia maggiore d’età ed i genitori adottivi siano deceduti o divenuti irreperibili45. Tale disposizione – come abbiamo rilevato – rivela come i limiti all’esercizio del diritto del figlio a conoscere le proprie origini siano stati ingiustificatamente posti anche a tutela dei genitori adottivi. Autorevole dottrina auspica, infine, di prevedere espressamente il diritto dei discendenti dell’adottato a conoscere l’identità degli ascendenti46. E ciò non a titolo ereditario, ma iure proprio, costituendo interesse essenziale della persona del discendente conoscere le proprie origini familiari, quale primo passo, eventualmente, per l’instaurazione di una relazione affettiva con l’ascendente47. Anche di tale aspetto occorrerebbe tenere conto nella riforma dell’art. 28 l. adoz. 6. Il diritto a conoscere le proprie origini spetta anche ai nati da p.m.a.? È noto che la Corte costituzionale ha ammesso la fecondazione assistita di tipo eterologo, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle norme che la vietavano48. È dunque ineludibile domandarsi se il diritto a conoscere le proprie origini debba essere riconosciuto anche al figlio della coppia che si sia sottoposta a un siffatto trattamento medico. La questione, particolarmente controversa49, a nostro avviso deve essere affrontata considerando, da un canto, il peculiare contenuto richiesta da parte della dottrina di eliminare il riferimento ai venticinque anni. Tale riferimento non sta in piedi da nessuna parte. Non c’è ragione per cui la persona che ha già raggiunto la maggiore età non possa accedere alla conoscenza dei dati dei genitori biologici”. 45 Cfr. in tal senso anche T. Auletta, Sul diritto dell’adottato, cit., p. 483 ss., nonché p. 486. 46 La proposta di legge C. 1983, d’iniziativa del deputato Cesaro + altri, prevedeva l’introduzione nell’art. 28 l. adoz. di un comma 9, secondo il quale “le facoltà attribuite all’adottato dalle disposizioni dei commi 5, 6, 7 e 8 possono essere esercitate dai suoi diretti discendenti dopo la sua morte”. 47 C.M. Bianca, Commento all’art. 93 del Codice della privacy, cit., p. 1399 ss.; Id., Audizione, cit. 48 Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Foro it., 2014, I, p. 2324, con nota di G. Casaburi. 49 Anche all’interno del Comitato nazionale per la bioetica i contrasti sono stati particolarmente accesi. Cfr. il parere del 25 novembre 2011, cit. In senso favorevole a riconoscere il diritto anche al nato da fecondazione eterologa, cfr. C.M. Bianca, Audizione, cit.: “Mi chiedo, su un piano strettamente giuridico, come si possa vietare Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1025 del diritto a conoscere le proprie origini e le ragioni del suo riconoscimento all’adottato; dall’altro, lo stesso fondamento della filiazione da p.m.a., in alcun modo equiparabile all’adozione con riguardo alla relazione figlio-genitore biologico50. Nel nostro ordinamento, il diritto a conoscere le proprie origini, riconosciuto all’adottato, è essenzialmente diritto alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici (art. 28 l. adoz.)51. Nell’adozione esiste un passato, un vissuto, una relazione che lega indissolubilmente il figlio a tali soggetti. Egli è stato da loro concepito, la sua vita è sorta e la sua persona si è formata nel grembo della madre biologica, con cui ha instaurato la prima relazione esistenziale, talvolta ha anche vissuto con i genitori biologici per un periodo non irrilevante, prima del sopravvenire della situazione di abbandono. La ricerca di questa relazione, che in definitiva è ricerca di una genitorialità, archetipa e reale, da essa supportata, contribuisce alla formazione e allo sviluppo della personalità dell’adottato e costituisce un valore, giuridicamente rilevante, che l’ordinamento è chiamato a al figlio di conoscere il donatore. Sulla base di quale argomento, quando da più parti, a cominciare dall’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, si dice che ogni essere umano ha diritto a conoscere le proprie origini”; M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 23; Id., Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 201; G. Chiappetta, L’azione di contestazione dello stato di figlio (artt. 240 e 248), in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, cit., p. 448 ss.; A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 15 ss.; L. Lenti, Adozione e segreti, in N.g.c.c., 2004, II, p. 236 ss. 50 Cfr. il parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011, cit., § 5, ove si afferma la profonda differenza fra adozione e p.m.a. e la loro non equiparabilità: “Se nel caso dell’adottato si può parlare di una “storia” familiare prima dell’abbandono, è fuorviante usare questo termine per il semplice patrimonio genetico derivato dall’offerta di gameti. L’accesso alle proprie radici ha dunque un ben diverso significato per il nato adottato… parlare di “storia” familiare per il nato da p.m.a. o anche di paternità/maternità in riferimento a donatore/donatrice, riferendosi all’apporto genetico, rischia di ridurre la genitorialità alla dimensione meramente biologica”. 51 È interessante notare come le convenzioni internazionali da cui si desume il diritto della persona a conoscere le proprie origini fanno comunque riferimento alla “ricerca” di figure genitoriali, cui il donatore dei gameti – per quanto detto – non è riconducibile. L’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), stabilisce che il fanciullo ha diritto “a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”. L’art. 30 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (l’Aja, 29 maggio 1993) prevede che “le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all’identità della madre e del padre… Le medesime autorità assicurano l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni…”. Anche nell’art. 28 l. adoz., l’essenza del diritto spettante al figlio è la conoscenza dell’identità dei genitori biologici. 1026 The best interest of the child tutelare, giustificando il riconoscimento, in suo favore, del diritto alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici, propedeutico, potenzialmente, anche al recupero della relazione perduta. Tutto questo manca nella fecondazione assistita eterologa. Qui non c’è un genitore da ritrovare, ma il nudo nome di un donatore di gameti, che non vuole e non può, in base alla legge, instaurare alcun rapporto giuridico con il nato52, e questo vuoto giuridico è alla base della regola del suo anonimato53. Tale soggetto si limita a donare (talvolta, a vendere54) spermatozoi o ovociti, e spermatozoi ed ovociti, singolarmente considerati, non danno neppure inizio alla vita umana. Una siffatta donazione non costituisce titolo di paternità o di maternità55 e, social52 L’art. 9, comma 3, l. n. 40/2004, stabilisce che “in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”. Osserva M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, p. cit., 19, che “difetta di autoresponsabilità nella filiazione il soggetto che abbia donato i propri gameti e in questo senso appare giustificata la regola secondo la quale “il donatore non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi””. 53 Pur non prevista dalla l. 19 febbraio 2004 n. 40, la regola dell’anonimato del donatore si ricava in via interpretativa dall’assenza di una relazione parentale tra il nato e il donatore (art. 9 detta). Cfr., in tal senso, M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 19, secondo la quale la previsione dell’anonimato del donatore realizzerebbe anche “un’altra esigenza fondamentale del minore, che è quella ad avere una serenità esistenziale ed affettiva. Se il donatore non fosse anonimo, la crescita del minore potrebbe essere turbata dalla presenza di soggetti che, se pure parte del suo patrimonio genetico, per legge non sono i genitori, ruolo riservato ai genitori che hanno espresso la volontà di sottoporsi alla tecnica di fecondazione eterologa, in quanto impossibilitati ad essere genitori in natura”. 54 A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 12, osserva che “non è infrequente registrare forme di compenso o di vera e propria retribuzione per la cessione dei gameti che rendono fuorviante la stessa espressione “donatore””. 55 Cfr. A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 500: “Noi riteniamo che il generico datore di seme non possa, solo per questo, essere anche distributore di paternità. È da ritenere che se il produttore di seme rimane estraneo all’impiego che altri ne faccia non diventi padre… Pensiamo, del resto, al solo fatto che da un solo donatore potrebbero essere tratti elementi fecondanti per centinaia di gravidanze, e non si potrà sostenere che lo stesso uomo porti con sé nella vita carovane di figli soltanto perché ha consentito a estrazioni di seme dai suoi organi”; M. Comporti, Ingegneria genetica e diritto: profili costituzionali e civilistici, in Manipolazioni genetiche e diritto, Milano, 1984, p. 175: “L’atto di donazione in sé e per sé del seme e dell’ovulo o dell’embrione sembra avere, secondo l’ordinamento giuridico, le conseguenze limitate proprie della donazione, senza dar luogo agli ulteriori effetti della instaurazione di rapporti di paternità o maternità naturale giuridicamente rilevanti… Il donatore offre i mezzi perché un figlio sia procreato, ma non è lui che pone in essere gli interventi con i quali la procreazione del figlio direttamente si produce”. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1027 mente, integra un atto di “solidarietà”, un aiuto a procreare offerto ad una coppia sterile56. In definitiva, il ricorso ai gameti di un donatore è riconducibile ad una cura medica, appartenente alla sfera più intima della coppia che li richiede57. In effetti, la filiazione da p.m.a. – come si evince dal combinato disposto degli artt. 6, 8 e 9 l. 19 febbraio 2004 n. 40 ed è stato recentemente affermato dalla Corte di cassazione58 – si fonda sull’autodeterminazione e sulla responsabilità della coppia che decide di ricorrere alla fecondazione assistita ed, in particolare, sul consenso che ad essa presta59. Nel sistema della legge, tale consenso è determinativo della maternità, della paternità e dello stato di figlio (art. 8). L’avere fondato la filiazione da p.m.a. sul principio di autoresponsabilità e sul consenso della coppia che ad essa si sottopone spiega perché, in caso 56 Il ricorso alla p.m.a. presuppone la diagnosi di una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili (art. 4, comma 1, l. n. 40/2004). 57 Cfr., in tal senso, E. Palmerini, Commento, cit., p. 1052. 58 Cass., sez. I, 15 maggio 2019 n. 13000, ma anche Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193, laddove precisa che la disciplina della procreazione assistita ruota intorno al “principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica”. Entrambe in Foro it., 2019, I, p. 1951, con nota di G. Casaburi. 59 Cfr., in tal senso, il nostro Il diritto di conoscere le proprie origini, cit., p. 259 ss.; A. Trabucchi, Procreazione artificiale, cit., p. 499 ss.; P. Rescigno, Relazione di sintesi, in G. Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, Padova, 1989, p. 199; S. Rodotà, Diritti della persona, strumenti di controllo sociale e nuove tecnologie riproduttive, in G. Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, cit., p. 138; M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 18 ss., secondo la quale “uno dei principi portanti e caratteristici della filiazione derivante da tecniche di procreazione medicalmente assistita…, rispetto a quella biologica è il principio di autoresponsabilità della filiazione. Tale principio si coglie nell’atto di consenso alla fecondazione assistita ed è proprio tale preventiva assunzione di autoresponsabilità del futuro rapporto di filiazione che segna la distinzione tra filiazione biologica e filiazione artificiale”; L. Gatt, Memento mori. La ragion d’essere della successione necessaria in Italia, in Fam., pers. e successioni, 2009, p. 546, la quale osserva che le moderne tecnologie procreative hanno determinato “una recisione del legame tra procreazione e vincolo di sangue attraverso l’affermarsi del contratto quale strumento di costituzione del rapporto genitoriale tra soggetti determinati. Il legame genitoriale nasce indipendentemente dalla procreazione” e il rapporto genitoriale è costruito sulla volontà. Si veda anche Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., la quale, chiarito che la scelta della coppia che ricorre alla procreazione medica assistita eterologa “costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi…, riconducibile agli artt. 2 e 31 Cost.”, sottolinea “la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia”. Il fondamento consensualistico della filiazione da p.m.a. è chiaramente espresso dall’art. 8 l. n. 40/2004, ove si afferma con fermezza che “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime…”. 1028 The best interest of the child di fecondazione eterologa, è preclusa al coniuge o al convivente della partoriente, rispettivamente, l’azione di disconoscimento di paternità e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (art. 9, comma 1) e perché, più in generale, lo stato di figlio si acquista ex lege, senza che la madre possa pretendere di restare anonima (art. 9, comma 2) e senza necessità di un atto di riconoscimento del nato, quando la coppia genitoriale non è unita in matrimonio (art. 8 detta)60. Siffatte regole, nella loro integrità, sono certamente applicabili anche alla fecondazione eterologa, ritenuta dalla Corte costituzionale una species del genus procreazione medicalmente assistita61. Le nuove tecnologie riproduttive impongono, infatti, un mutamento delle categorie culturali e la caduta del divieto di fecondazione eterologa dimostra, in particolare, l’inesistenza di un diritto del figlio alla corrispondenza tra identità genetica e identità sociale62 (la divaricazio60 Cfr. P. Rescigno, Una legge annunciata sulla procreazione assistita, in Corr. giur., 2002, p. 983 ss.: “Coerente con il principio dell’autoresponsabilità che si esercita e, meglio, si assume mediante le tecniche richieste ed eseguite può invece considerarsi il divieto di anonimato per la madre. Ad essa si vuole dunque precludere la dichiarazione di non volere essere nominata, in deroga ad una generale libertà che pure è oggetto, e non da epoca recente, di obiezioni critiche e di proposte modificative”. Cfr., nel medesimo senso, M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 18 ss. 61 Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., ha chiarito che i profili concernenti “lo stato giuridico del nato ed i rapporti con i genitori sono anch’essi regolamentati dalle pertinenti norme della l. n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da p.m.a. di tipo eterologo in forza degli ordinari canoni ermeneutici. La costatazione che l’art. 8, comma 1, detta legge contiene un ampio riferimento ai “nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”, in considerazione della genericità di quest’ultima locuzione e dell’essere la p.m.a. di tipo eterologo una species del genus…, rende infatti chiaro che, in virtù di tale norma, anche i nati da quest’ultima tecnica “hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. In dottrina, cfr. C. Ciraolo, Brevi note in tema di procreazione medicalmente assistita e regole determinative della genitorialità, in Jus civile, 2014, p. 487. 62 Nella vigenza del divieto di fecondazione eterologa, cfr. M. Sesta, Dalla libertà ai divieti, cit., p. 1406 ss., secondo il quale “la peculiarità della fecondazione eterologa… è, a ben vedere, quella di dar vita ad una scissione tra identità sociale ed identità biologica del nato, il quale acquisisce il medesimo status che competerebbe ad un figlio concepito naturalmente e vede così negato, sul piano sociale e legale, il proprio legame con colui che l’ha generato. Viene così misconosciuto in radice il diritto all’identità biologica, cioè quello di avere per genitori coloro che tali sono biologicamente. Il divieto legislativo della fecondazione eterologa potrebbe manifestare, quindi, il rifiuto dell’ordinamento di consentire la creazione di un “falso” rapporto di discendenza, cosicché il divieto medesimo troverebbe un fondamento nell’art. 2 Cost., qualificando la corrispondenza tra identità genetica e identità sociale della persona quale originario diritto alla personalità”. Ritiene esistere un “diritto inviolabile della persona umana di conseguire uno status filiationis corrispondente alla reale derivazione biologica (diritto alla paternità ed Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1029 ne tra verità genetica e stato di filiazione costituisce la regola di una filiazione radicata sul consenso63) e l’evanescenza di una pretesa alla genitorialità fondata solo sulla discendenza biologica64. Il donatore di gameti non vuole la genitorialità ed anche se la volesse gli sarebbe preclusa. Ciò, come è stato autorevolmente rilevato, rivela un profondo mutamento delle premesse concernenti la genitorialità: non si guarda più ad un modello (genitore è colui che genera) “ma si chiede se una specifica esperienza crei un interesse meritevole” a divenire padre o madre65. Nel nostro ordinamento, la mera donazione di gameti non determina l’insorgenza di un siffatto interesse. Alla luce di tali considerazioni, si deve a nostro avviso escludere l’esistenza di un diritto del nato a conoscere l’identità del donatore dei gameti, difettando un interesse giuridicamente apprezzabile da porre a fondamento del suo riconoscimento. La mancanza di qualsiasi relazionalità, giuridica ed esistenziale, elemento portante della genitorialità e alla base del riconoscimento all’adottato del diritto a conoscere l’identità dei genitori biologici66, rende privo di giustificazione, in favore del nato da p.m.a., il diritto a conoscere le proprie origini. La ricerca del nudo nome del donatore di gameti – che genitore non è mai stato e non può essere – soddisfa, in alla maternità biogenetica)”, A. Guastapane, La procreazione con metodi artificiali nella prospettiva costituzionale, in Dir. e soc., 1996, I, p. 201 ss. 63 Cfr. M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 20, secondo la quale “nella fecondazione eterologa, così come nel rapporto di filiazione adottiva, il disallineamento tra verità genetica e stato di filiazione è strutturale e rappresenta la diversità e il proprium di questi modelli di instaurazione del rapporto di filiazione”. Della stessa autrice cfr. anche Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 200 ss. 64 P. Zatti, Il diritto della filiazione: dal dominio dei modelli al problema degli interessi, in A. Belvedere - C. Granelli (cur.), Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, Padova, 1996, p. 91. 65 Cfr. P. Zatti, Il diritto della filiazione, cit., p. 91, con riguardo alla paternità. 66 Cfr., in tal senso, E. Palmerini, Commento, cit., p. 1052, secondo la quale “il ricorso ai gameti di un terzo donatore… non pare elemento altrettanto significativo per la corretta formazione dell’identità personale del nato”. 1030 The best interest of the child definitiva, una mera curiosità67, che non appare meritevole di tutela68, anche all’esito del bilanciamento con i confliggenti interessi di cui sono portatori gli altri soggetti coinvolti nella p.m.a. Primo fra tutti, l’interesse del donatore a restare anonimo e a non avere alcun rapporto con il nato, dalla cui protezione dipende anche l’effettiva praticabilità della fecondazione eterologa69 e, di riflesso, la realizzazione della “fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” della coppia che, attraverso il ricorso a tale tecnica medica, sceglie “di formare una famiglia che abbia anche dei figli” (libertà che la Corte costituzionale riconduce agli artt. 2, 3 e 31 Cost., “poiché concerne la sfera privata e familiare”)70, nonché la tutela del diritto alla salute della coppia medesima71. È del resto fisiologico “estraniare il donatore da quella vita rispetto alla quale egli stesso si è volontariamente estraniato”, considerando “senz’altro la donazione anonima come un vero e proprio atto di abbandono di una parte del proprio corpo che viene affidato al donatario”72. In effetti, le conseguenze negative dell’assolutizzazione del diritto di conoscere le proprie origini sono state da tempo poste in luce da autorevole dottrina. Essa implica l’irrompere nelle relazioni sociali della 67 Cfr. il parere del Comitato nazionale per la bioetica del 25 novembre 2011, cit., § 5: “Occorre chiedersi, al di là delle singole casistiche, se la conoscenza dei dati anagrafici del donatore sia in generale un reale vantaggio per il nato… Studi nel settore non mancano di sottolineare l’importanza che il bambino o l’adulto, che lo desiderino, acquisiscano informazioni sulla propria storia, più che sulle proprie origini genetiche…È vero che esiste un desiderio di conoscere le proprie radici, ma questa “curiosità dell’origine”… di nuovo rimanda alla dimensione relazionale più che al dato biologico. È una ricerca guidata dalle domande: sono stato/a un figlio/ una figlia desiderata? Si ricerca l’origine per verificare l’esistenza di un legame metabiologico, oltre che biologico, con il donatore. Ma la ricerca del donatore non può offrire un reale contributo alla costruzione della propria storia: il donatore è un estraneo che ha “ceduto” i propri gameti, con il quale il nato ha un mero legame genetico (oltretutto parziale) ma non certo relazionale, parentale o genitoriale”. Il donatore di gameti – continua il parere - “non ha mai avuto un progetto parentale”. 68 In via generale, come ritiene la più attenta dottrina, in ambito negoziale, la nozione di meritevolezza, “in quanto specchio dei principi di un ordinamento”, si aggancia ai valori di quell’ordinamento. Cfr. M. Bianca, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 810 ss. 69 Laddove l’anonimato non è saldamente tutelato crollano le donazioni di gameti. 70 Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit. 71 Sempre Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit., secondo la quale “è certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla p.m.a. di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia… nel significato proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica”. 72 C.M. Bianca, Stato delle persone, in C.M. Bianca, Scritti giuridici, I, 2, Milano, 2002, p. 685. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1031 c.d. “mistica del DNA, del riduzionismo biologico”73. La biologia tenderebbe a “cancellare la biografia, con una pericolosa regressione culturale e sociale”: scivolosamente si abbandonerebbe “una cultura delle relazioni interpersonali”, che pone al centro “la logica degli affetti”, a vantaggio “della fisicità che, in nome della certezza biologica, può travolgere rapporti costruiti negli anni, sostituendo ad essi la nuda trama dei geni”74. Il fatto biologico, nella procreazione medicalmente assistita, può avere importanza “solamente quando serve ai fini biologici”, per conoscere e curare le malattie del nato75. La legge deve prevedere che quest’ultimo e – durante la minore età – i suoi genitori possano accedere ad ogni informazione sanitaria e genetica relativa al donatore, utile alla tutela della sua salute76. Siffatte informazioni devono essere raccolte, con il consenso del donatore, prima della donazione stessa, come di fatto in larga parte avviene nell’ambito dei procedimenti di selezione dei donatori ed è ora espressamente prescritto dallo Schema di d.p.r. recante il Regolamento sulle prescrizioni tecniche relative agli esami effettuati su tessuti e cellule umani, in corso di approvazione77. Assai opportunamente le stesse verranno conservate in un Registro nazionale, tenuto presso l’Istituto Superiore di Sanità, istituito con la legge di stabilità 201578. Eventualmente potrà anche prevedersi, ad ulteriore tutela della salute del nato, che, ove l’evoluzione della scienza medica lo imponga, il donatore possa essere, in un momento successivo, contattato dal responsabile di una struttura medica, tenuto al segreto. 73 S. Rodotà, Tra diritto e società. Informazioni genetiche e tecniche di tutela, in Riv. crit. di dir. priv., 2000, p. 586 ss. 74 S. Rodotà, Tra diritto e società, cit., p. 587. 75 L. Rossi Carleo, Le proposte di regolamentazione della procreazione artificiale, in G. Ferrando (cur.), La procreazione artificiale tra etica e diritto, cit., p. 193. 76 Cfr. A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., 17, secondo il quale “il diritto di conoscere le proprie origini va tenuto distinto… dal diritto di conoscere dati relativi ai genitori biologici per gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psicofisica del soggetto nato mediante fecondazione eterologa… Queste informazioni dovrebbero in ogni caso essere sempre dovute in qualunque fase della vita del soggetto interessato”. 77 Cfr., su tale testo, il Parere del Consiglio di Stato del 6 giugno 2019 n. 1732. 78 Art. 1, comma 298, l. 19 dicembre 2014 n. 190. Un solo registro su base nazionale costituisce l’unica forma possibile per imporre e garantire un limite quantitativo alla molteplicità delle donazioni di gameti da parte di uno stesso donatore. 1032 The best interest of the child Ma l’identità del donatore, per i motivi esposti, dovrà sempre restare ignota al nato ed ai suoi genitori79. Da ciò – come abbiamo accennato – dipende anche il successo della fecondazione eterologa. Ben fondato è, infatti, il sospetto, autorevolmente manifestato, che “attraverso la propensione a negare l’anonimato” del donatore “in nome del diritto del figlio a conoscere, si voglia introdurre un elemento disincentivante delle pratiche di inseminazione artificiale, perché il semplice timore della pubblicità, e più ancora il rischio di azioni tendenti a far dichiarare la paternità (con implicazioni patrimoniali), scoraggerebbe la propensione a mettere a disposizione il materiale genetico”80. In effetti, già si sono levate voci in tal senso, sebbene lo strutturale disallineamento tra profilo genetico e stato di filiazione, caratteristico della fecondazione eterologa, deve indurre a negare fermamente che il figlio nato da p.m.a., invocando il principio di verità genetica, possa agire per il disconoscimento dei genitori c.d. sociali e per far dichiarare la paternità o la maternità del donatore dei gameti (con il quale non esiste alcuna relazione giuridica: art. 9 l. n. 40 del 2004), eventualmente anche allo scopo di richiedergli il mantenimento o gli alimenti81. 79 Cfr. P. Rescigno, Una legge annunciata, cit., p. 981 ss., secondo il quale il principio dell’anonimato del donatore “sul piano della politica del diritto rimane più convincente dell’affermazione, ora assai largamente diffusa, del diritto a conoscere la propria origine biologica”. 80 S. Rodotà, Diritti della persona, cit., p. 140, il quale riferisce l’esperienza dell’ordinamento svedese, in cui “la previsione legislativa del diritto di sapere dei figli, e la caduta dell’anonimato del donatore, ha provocato una radicale caduta delle donazioni di seme”. Analogamente è accaduto in Inghilterra. Paventa il medesimo pericolo S. Patti, Sulla configurabilità, cit., p. 1317. 81 Cfr., in tal senso, le lucide osservazioni di M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., p. 20, secondo la quale “mentre nella procreazione naturale la regola è la coincidenza tra stato di filiazione e verità genetica, e l’azione di accertamento da parte del figlio è tesa a rimuovere un anomalo disallineamento tra stato e verità, nella fecondazione eterologa, così come nel rapporto di filiazione adottiva, il disallineamento tra verità genetica e stato di filiazione è strutturale e rappresenta la diversità e il proprium di questi modelli di instaurazione del rapporto di filiazione. Quindi ammettere che il figlio adottivo o il figlio nato da fecondazione eterologa possa disconoscere i propri genitori in base al principio di verità genetica significherebbe smentire in radice la stessa rilevanza giuridica della filiazione derivante da p.m.a. e della filiazione adottiva”; Id., Il diritto del minore ad avere due soli genitori, cit., p. 199 ss. Ammettono, invece, che il figlio nato da p.m.a. possa agire per il disconoscimento dei genitori, A. Nicolussi, Fecondazione eterologa, cit., p. 16, spec. nota 58, secondo il quale “nel caso di un sopravvenuto stato di bisogno del minore (quali che siano le cause, abbandono o morte dei genitori), oltre ai profili riguardanti il diritto di conoscere, si potrebbe profilare anche un diritto – almeno di natura economica – del minore nei confronti del genitore biologico (il cosiddetto donatore) fondato sul dovere costituzionale previsto dall’art. 30 Cost. La compressione di tale dovere per il periodo in cui il Il diritto alla conoscenza delle proprie origini 1033 Bibliografia Auletta T., Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur., 2014, p. 471 ss. Balestra L., Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici, in Familia, 2006, p. 161 ss. Bianca C.M., Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it Bianca C.M., Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2017, p. 455 ss. Checchini B., Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 709 ss. Figone A., Sulla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato, in Fam. e dir., 2003, I, p. 69 Liuzzi A., Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata quaestio, in Fam. e dir., 2002, I, p. 89 Marella M.R., Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche. Contenuti e prospettive, in Giur. it., 2001, p. 1768 Morace pinelli A., Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 17 settembre 2014, in www.camera.it Morace pinelli A., Il diritto di conoscere le proprie origini e i recenti interventi della Corte costituzionale. Il caso dell’ospedale Sandro Pertini, in Riv. dir. civ., 2016, p. 242 ss. Nicolussi A., Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti, fasc. n. 1/2012, p. 1 ss. Palmerini E., Commento all’art. 24 l. 28 marzo 2001 n. 149, in C.M. Bianca - L. Rossi Carleo (cur.), Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001 n. 149), Commentario, in N.l.c.c., p. 1011 ss. Patti S., Sulla configurabilità di un diritto della persona di conoscere le proprie origini biologiche, in Dir. fam., 1987, I, p. 1316 ss. Troiano S., Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia: il dilemma del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Liber amicorum per Dieter Henrich, I, Torino, 2012, p. 172 ss. minore può contare su una famiglia non ha più ragion d’essere allorché egli l’abbia perdita”; G. Chiappetta, L’azione di disconoscimento di paternità, in C.M. Bianca (cur.) La riforma della filiazione, cit., p. 373 ss., secondo la quale “se i due pilastri della Riforma sono il principio di unificazione dello stato di figlio e lo statuto dei suoi diritti, anche al nato mediante … tecniche” di p.m.a. “dovrebbe essere riconosciuto il diritto imprescrittibile all’azione di disconoscimento di paternità ed all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità”. L’identità sociale del minore Di fronte alle sfide dei mutamenti familiari Mariella Nocenzi Sommario: 1. Introduzione. – 2. La famiglia e le funzioni essenziali per la costruzione dell’identità sociale. – 3. L’identità sociale e le sue dimensione familiari. – 4. Le trasformazioni della struttura familiare e delle sue funzioni essenziali. – 5. L’identità sociale del minore nelle famiglie che si trasformano – 6. Alcune considerazioni conclusive 1. Introduzione In una prospettiva sociologica il tema della formazione dell’identità del minore all’interno dell’istituzione familiare richiede un’analisi dai molteplici risvolti di interesse per la disciplina e per le scienze sociali più in generale. Infatti, se si assume la sociologia come la scienza che studia il mutamento per eccellenza (A. Cavalli - A. Bagnasco - M. Barbagli, 2007), sia il processo di formazione delle identità che l’istituzione familiare, ma anche – e non solo di conseguenza – l’identità sociale del minore, hanno subito significative trasformazioni che è possibile inserire nel più ampio e profondo processo di mutamento sociale cui si è assistito negli ultimi decenni. Se ne desume che l’analisi sociologica abbia definito in passato, e ancora sia impegnata a farlo, schemi teorici e metodologici per interpretare le trasformazioni sociali che hanno reso talvolta inutilizzabili, talaltra necessari di aggiornamento, i riferimenti tradizionali. Si tratta di concetti delineati dalla sociologia con l’affermarsi della società moderna più di un secolo fa, consolidatisi nei decenni successivi, ma anche gradualmente rimessi in discussione dalla crisi dei modelli sociali tradizionali. Con essi a richiedere un’adeguata riflessione gli schemi teorici ed empirici che ne avevano consentito la definizione e che non 1036 The best interest of the child riuscivano più a risolverne l’inadeguatezza al modificarsi di bisogni, valori, regole e norme sociali (F. Alberoni, 1975; A. Giddens, 2013). Per la famiglia come istituzione sociale e per l’identità del minore queste trasformazioni si sono manifestate gradualmente, in modo fra loro integrato, sebbene molti percorsi analitici abbiano tentato di studiare il fenomeno scomponendolo (C. Saraceno - M. Naldini, 2013). Nelle riflessioni che seguono, l’integrazione nella istituzione familiare della figura del minore sarà certamente sottolineata nel suo coordinato processo di trasformazione, assumendo come chiave di lettura, però, quel terzo elemento concettuale che rende di particolare interesse sociologico questa analisi, ossia l’identità (G. Rossi, 2001). Quella che per le scienze sociali è la risultante di ciò che l’individuo pensa di sé stesso sia a livello individuale che sociale – quindi, l’insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e non replicabile, diverso dall’altro (H. Tajfel, 1999) – costituisce una condizione sociale in continua trasformazione: essa è interna ed esterna, ossia dovuta alla concezione dell’individuo, ma anche a ciò che lo circonda, che è a sua volta caratterizzato da cambiamenti sociali influenzati dalla stessa identità individuale. Si comprende, quindi, come la sociologia possa prestare particolare attenzione alla trasformazione dell’identità del minore in seno all’istituzione familiare per la centralità del mutamento nel suo impianto analitico: nelle più recenti acquisizioni l’identità è relazionale e contestuale, perché può variare in base al contesto, al ruolo che si intende assumere in tale contesto ed alla posizione, di propria scelta o meno, che si assume più o meno indipendentemente all’interno delle relazioni e percezioni in cui ci si trova (S.N. Eisenstadt, 2000; L. Sciolla, 2010). Se a ciò si aggiunge che il mutamento sociale è rappresentato anche dall’incertezza nella definizione stessa dell’identità a causa della perdita dei confini identitari tipica dell’epoca della crisi della modernità (Z. Bauman, 1992), l’indebolimento delle componenti essenziali del proprio Io corrisponde ad analoghe tendenze di mutamento negli spazi sociali in cui ciò avviene, nel caso specifico l’istituzione familiare. Ripercorrendo i processi interni che presiedono alla formazione dell’identità del minore a partire da quelli esterni condizionati dalla famiglia, si potranno definire le specifiche dimensioni familiari dell’identità sociale, analizzandole alla luce delle trasformazioni sociali che le determinano e che determinano la definizione dell’identità del minore nella società contemporanea. Ne potranno derivare, quindi, L’identità sociale del minore 1037 anche importanti rilievi per la ridefinizione della teoria sociale e degli approcci metodologici utili allo studio di questi concetti fondamentali per la sociologia. 2. La famiglia e le funzioni essenziali per la costruzione dell’identità sociale Lo spazio sociale, nel quale il cambiamento si genera ed è rappresentato, corrisponde in queste riflessioni alla famiglia: in una delle sue più note accezioni sociologiche è possibile, infatti, intenderla come lo spazio fisico, relazionale e simbolico in cui si svolgono quei rapporti che la società definisce e che acquisiscono per questo stesso processo un significato che va oltre la natura che li genera e l’esperienza individuale (P. Donati, 1989). Pur superando con le sue multiple dimensioni l’esperienza individuale, la famiglia è, però, essenzialmente costituita dalla molteplicità di esperienze individuali che in essa si sviluppano, perché va intesa come una comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche. In questa diversità, certamente, può leggersi il cambiamento sociale comparando i diversi modelli di famiglia e i loro processi di trasformazione. Non solo ai fini di questo saggio, però, una delle condizioni in cui si può interpretare più efficacemente quel cambiamento sociale che la famiglia genera e di cui è scenario al contempo è in una delle sue funzioni principali, ossia quella di promuovere la trasmissione dei valori e delle esperienze così da sviluppare le capacità necessarie per vivere le relazioni sociali. Valori ed esperienze che sviluppano, quindi, le capacità di vivere le relazioni sociali a favore di ogni individuo. In questa funzione della famiglia, che si può definire di produzione sociale e culturale a favore dei “più giovani” componenti della società, si rintraccia sia il principale contributo dell’istituzione familiare alla costruzione dell’identità sociale – a partire da quella del minore – sia le dinamiche del cambiamento individuale e collettivo. Infatti, come precedentemente sottolineato, l’identità sociale si definisce attraverso la duplice rappresentazione che l’individuo ha di sé stesso per sé stesso e nel contesto socioculturale in cui vive: questa rappresentazione individuale e collettiva di ogni soggetto sociale è possibile grazie al ricorso a significati che sono attribuiti a quelle rappresentazioni da valori condivisi sui quali quegli stessi valori si costruiscono (A. Maalouf, 1038 The best interest of the child 2005). Il cambiamento sociale è proprio riferito alla modificazione di quei valori che sono trasformati dal diverso modo di essere vissuti da parte degli individui – di generazione in generazione, in caso di passaggio fra diverse culture, con l’avvento di radicali mutamenti come quelli avvenuti con le nuove tecnologie (ved. § 4) ecc. La famiglia gioco un ruolo essenziale in una fase strategica per la formazione dell’identità che è quella della cosiddetta socializzazione primaria (F. Garelli - A. Palmonari –- L. Sciolla, 2006) alla base di tutte le successive trasformazioni che interesseranno l’individuo nel corso della socializzazione secondaria, quest’ultima estesa all’intera esistenza biologica dell’individuo. Nel corso del processo di socializzazione, infatti, vengono trasmesse all’individuo dagli altri individui e dalla società, attraverso le sue istituzioni, quelle esperienze, pratiche, informazioni, dati di cui è fatto il patrimonio culturale della società di riferimento. La famiglia è fra quelle istituzioni fondamentali che “producono” tutto il bagaglio culturale necessario ad un individuo nella fase di socializzazione primaria per acquisire conoscenze e competenze di base (P. Corsano, 2007). La famiglia, pertanto, presiede ad un vero e proprio processo di apprendimento che porta i suoi “più giovani” componenti, i minori, inseriti in un determinato contesto sociale e culturale del quale, ad assimilarne i valori di riferimento, da intendersi come bussole di orientamento nell’azione sociale: norme, linguaggio, modalità alimentari e di abbigliamento, giudizi, significati condivisi. Passando in rassegna le funzioni sociali svolte dalla famiglia, accanto a quella di produzione sociale e culturale tipica della socializzazione primaria, ci si può accorgere come esse siano necessariamente interrelate alla precedente completandola: provvedere alle necessità biologiche, psicologiche ed educative, assicurare la riproduzione economica e di controllo della spesa, fornire una base sicura per sperimentare separazioni e ricongiungimenti quale percorso verso l’autonomia, sostenere lo sviluppo di capacità utili ad affrontare le avversità e i conflitti (C. Saraceno - M. Naldini, 2013). Si può concludere affermando che la famiglia è una esperienza di vita per l’individuo di tipo multidimensionale ed è definita da un insieme di relazioni che presentano sempre componenti di tipo giuridico, economico, affettivo, psicologico, connettivo o di scambio con l’esterno, biologico-sessuale, solidaristico. Dimensioni che è possibile pro- L’identità sociale del minore 1039 prio ricollegare a quei significati, valori, norme di cui si compone il patrimonio socioculturale trasmesso dalla famiglia per la formazione dell’identità sociale. 3. L’identità sociale e le sue dimensioni familiari Le precedenti considerazioni hanno messo in evidenza come la trasmissione di pratiche e regole, atte a passare almeno una parte del patrimonio culturale che ogni società ha costruito nel corso della sua evoluzione ai suoi “nuovi” componenti, sia una funzione essenziale per ogni società che deve assicurarsi la propria continuità nel tempo e altrettanto lo è, fra le altre istituzioni, la famiglia che presiede proprio a questo compito. Se si svolgesse l’analisi di questo compito scomponendolo per le sue intrinseche dinamiche si individuerebbero distinte fasi del processo di formazione dell’identità sociale che nella famiglia trovano la loro più naturale realizzazione. Infatti, questo processo si sviluppa a partire da una dinamica di identificazione, attraverso la quale l’individuo forma la sua identità prendendo come modello altri individui che percepisce come più simili o che condividono elementi caratterizzanti proprio la sua identità. Questo processo identificativo porta alla formazione di un’identità sociale individuale, ma anche di una collettiva, in cui prevalgono caratteri condivisi. In questo caso la famiglia costituisce una identità collettiva piuttosto uniforme per i caratteri che la determinano e nella quale, pertanto, il processo di costruzione dell’identità tende a prediligere questa dinamica basata sulla definizione di figure di riferimento da cui “apprendere” quel patrimonio di valori determinante per la propria agency. Non è estranea alla famiglia, però, neanche la dinamica di individuazione per formare la propria identità. In questo caso, poiché l’individuo punta a ciò che lo differenzia dagli altri individui, interni o esterni al proprio gruppo di appartenenza, per definire quali siano le sue specifiche caratteristiche di tipo biologico, fisico, intellettivo, conoscitivo, morale, economico ecc., il ruolo della famiglia è duplice. Non soltanto, infatti, “socializza” l’individuo affermando i ben definiti caratteri della propria identità familiare, che si ritrovano anche in quella dell’individuo: la famiglia costituisce anche il riferimento comparativo cui l’individuo può riferirsi durante il processo di individuazione determinando ciò che è diverso dalla propria identità individuale, ma anche da quella collettiva che, più naturalmente, è rappresentata da quella familiare (P. Terenzi, 2006). 1040 The best interest of the child Ai processi di identificazione e individuazione, si affiancano anche quelli di imitazione e di interiorizzazione grazie ai quali quelle identità individuale e collettiva possono determinarsi seguendo rispettivamente una dinamica di riproduzione più o meno consapevole di comportamenti che sono assunti a riferimento dal soggetto nelle specifiche condizioni che lo richiedono, oppure di definizione più netta della propria identità attraverso quanto ne emerge dalla rappresentazione che ne fanno gli altri individui, sia con giudizi positivi che con atteggiamenti di distinzione. In tutti e quattro questi processi, e non soltanto in modo netto nei primi due, il termine di riferimento basico che l’individuo assume per delineare l’identità individuale e collettiva è lo spazio simbolico e valoriale della famiglia, anche quando il confronto con le identità degli altri e il giudizio degli altri sulla propria identità propone elementi innovativi, se non anche oppositivi, rispetto a quelli appresi nella famiglia. Sarebbe stato Bourdieu (2001) a determinare questi processi di formazione dell’identità anche oltre la dimensione familiare e a partire da questa, riconoscendo nell’habitus dell’individuo una sorta di identità sociale condivisa, grazie alla quale è possibile guardare dall’epifenomeno degli stili di vita e dei comportamenti dei gruppi sociali – quindi più dall’esterno – le strategie di adattamento dell’identità dell’individuo nelle relazioni a seconda della sua posizione sociale (L. Zanfrini, 2011). Non a caso fu Bourdieu a sottolineare la valenza familiare nella formazione dell’identità dell’individuo disegnando i limiti del suo spazio simbolico che si contraggono, sebbene solo apparentemente, riflettendovi in un’epoca, quella fra gli Anni Sessanta e Ottanta, che ha segnato una radicale crisi dei modelli socioculturali trasmessi in seno alla famiglia e la loro maggior relatività in spazi sociali dominati dalla distinzione degli stili di vita (P. Bourdieu, 1994). 4. Le trasformazioni della struttura familiare e delle sue funzioni essenziali La società in trasformazione analizzata da Bourdieu, come si anticipava, costituisce solo apparentemente lo scenario di disconoscimento del ruolo strategico della famiglia nel processo di costruzione identitaria individuale e collettiva e se tale può apparire lo si deve all’assunzione di una immagine della istituzione familiare piuttosto statica, tipica delle teorie tradizionali e struttural-funzionaliste. In realtà, proprio L’identità sociale del minore 1041 in una fase di profondi mutamenti, la famiglia si è rivelata come un effettivo spazio sociale, fisico e simbolico, rappresentativo, nella sua dimensione più micro, dei processi di formazione e trasformazione sociale contribuendo a definire modi e sensi del mutamento a partire dalle dinamiche di identificazione/individuazione che fra i suoi più componenti più giovani delinearono modelli valoriali e di comportamento differenti dai precedenti. Questo accadde, se possibile definirlo iconicamente, in modo “naturale” proprio nell’ambito di questa istituzione che, sebbene possa favorire la formazione di un’identità anche collettiva secondo il processo di identificazione, basandola su valori condivisi, è al suo interno dominata da una altrettanto naturale diversificazione: di sesso, di generazione, restando ai soli caratteri ascritti dell’individuo. Anche essi producono nel processo identitario che si svolge a partire dalla socializzazione familiare un senso costruito culturalmente, al contempo assorbito dall’esterno e forgiato al suo interno. Questo significa che quando questa istituzione iniziò a ricevere dall’esterno stimoli verso modelli identitari differenti, contribuì essa stessa alla definizione di identità individuali e collettive pronte a recepire il cambiamento sociale e a farsene attivi promotori. Le principali trasformazioni che riguardarono la famiglia con la crisi dei modelli sociali della Modernità riguardarono sia le sue forme e dimensioni, che le stesse funzioni sociali espletate, ma è oggi possibile affermare che, pur soggetto al mutamento sociale, il suo cruciale ruolo di costruzione dell’identità è stato sottoposto ad adeguamenti e non a sostituzioni (L. Zanfrini, 2011). In particolare, nella seconda metà del secolo scorso è possibile individuare rispetto all’istituzione familiare il definirsi di processi di semplificazione della sua struttura, di riduzione dell’ampiezza media, di segmentazione per classi di età, di complessità crescente dei suoi modelli nei termini di definizione di nuove forme familiari, di nuovi modelli di privatizzazione/pubblicizzazione delle relazioni familiari, di de-istituzionalizzazione delle relazioni sociali che sostengono la famiglia, fondandole su una prevalente presenza dei sentimenti (C. Saraceno - M. Naldini, 2013). Queste generali traiettorie della trasformazione familiare dimostrano piuttosto chiaramente come i mutamenti della struttura e delle funzioni si possano essere reciprocamente influenzati, ma anche come la funzione di costruzione identitaria non possa essere stata trasferita all’esterno di questa istituzione che resta fondamentale. 1042 The best interest of the child In questo modo, soffermandosi anche solamente sulle nuove strutture familiari e sottolineandone anche solo numericamente la consistenza nelle società contemporanee, si può determinare quale processo di costruzione dell’identità possa realizzarsi e con quali dinamiche esso si sviluppi. Secondo le apposite indagini annuali condotte dall’Istat (2010-2017, varie edizioni), nel giro degli ultimi due decenni le famiglie unipersonali sono aumentate di quasi sette punti percentuali, dato che diventa più significativo se si determinano le stesse nella proporzione di una su tre famiglie nel nostro Paese. Di contro, nello stesso periodo, le famiglie numerose (con cinque e più componenti) si sono dimezzate ed oggi rappresentano solo poco più del 5% dei nuclei familiari italiani. Se a ciò si aggiunge che il numero medio di componenti familiari supera di poco quelli di due e in nessuna ripartizione geografica del Paese arriva a tre componenti, si hanno a disposizione dati sufficienti per disegnare in questi “nuovi” spazi fisici e simbolici le dinamiche del processo di costruzione identitaria. Certamente, nelle famiglie unipersonali non esistono “nuovi” componenti cui trasmettere il patrimonio socioculturale necessario alla definizione dei propri tratti identitari e, quindi, per un terzo delle famiglie di una società contemporanea avanzata il processo di produzione culturale è del tutto riformulato. Nei restanti due terzi, questo fenomeno è sostanzialmente presente se si considerano famiglie con una media di poso più di due componenti in cui prevale la presenza di coppie che scelgono o non possono avere figli. Al netto di queste condizioni, si annoverano famiglie tradizionali composte da una coppia con figli, ma anche modelli familiari inediti, o comunque più rari nei decenni scorsi, a partire dalle famiglie con un solo genitore (madri, e meno frequentemente padri, separati/divorziati, vedovi, o fuori matrimonio) nelle quali quel processo di trasmissione di valori avviene grazie all’azione di un solo soggetto adulto formalizzato. Il suo bagaglio di valori, di pratiche e di esperienze, sia rispetto alla più generale identità sociale che, nello specifico, rispetto all’istituzione familiare e alle sue funzioni è più difficilmente assimilabile a quella tradizionale e, come dato oggettivo, presenta quello dell’assenza di mediazione fra due soggetti, i genitori per la definizione del patrimonio socioculturale da trasmettere. Questo elemento si innesta in un progressivo svincolamento della genitorialità da modelli valoriali imposti dalla società per abbracciare dinamiche volontaristiche, legate a scelte individuali e di coppia (C. Saraceno, 2016). Si sottolineano L’identità sociale del minore 1043 questo, fra gli altri elementi caratterizzanti le trasformazioni familiari in atto come base di alcune considerazioni sull’identità del minore nelle famiglie che si trasformano. Altri modelli familiari, via via crescenti per diffusione e pregnanza dei valori veicolati consentono di completare il quadro di analisi. Fra questi, le famiglie ricostituite a seguito di nuove unioni dopo precedenti matrimoni o per vedovanza rappresentano un interessante spazio simbolico soprattutto per l’oggettiva permeabilità dei suoi confini. Così come evidente nei casi di famiglie che sperimentano le pratiche di affidamento, nelle famiglie ricostituite la genitorialità e il progetto di formazione dello spazio simbolico, ma anche fisico, della famiglia non coincidono: i minori possono avere genitori diversi da quelli della coppia autrice del progetto familiare – il 59,4% ha figli, il 10,7% di queste ha figli di uno solo dei partner, il 39,1% ha solo nati nell’attuale unione, il 9,6% ha figli nati dall’unione attuale e precedente (Istat, 2017) – e questa condizione influisce sulle dinamiche di formazione del patrimonio socioculturale da trasferire, oltre che nella definizione della identità individuale all’interno della famiglia e al suo esterno. Questa condizione familiare risulta ormai socialmente riconoscibile e accettata, seguendo l’evoluzione che hanno precedentemente avuto anche i nuclei familiari non formalizzati, nei quali l’assenza del vincolo giuridico e/o religioso come forma di legittimazione non è stata estesa ai figli, legittimi e naturali che siano. In lenta e progressiva via di definizione per via di una trasformazione culturale necessaria che è decisamente più radicale, è la condizione che riguarda i nuclei familiari misti e omosessuali: in questi casi la definizione del patrimonio socioculturale da trasmettere ai nuovi componenti e la loro stessa riconoscibilità sociale – se non anche giuridica – si basano su elementi innovativi, se non oppositivi, rispetto ai più prevalenti fra i valori, le pratiche e le esperienze della società. In questo caso il dato oggettivo è costituito da un processo di costruzione dell’identità che segue proceduralmente percorsi anche tradizionali e non solo inediti, ma a caratterizzarne natura ed efficacia è proprio l’orientamento del tutto alieno agli schemi tradizionali (M. Marzano, 2015). Inevitabili sono anche le conseguenze sostanziali su funzione e agency delle famiglie che derivano dalle trasformazioni strutturali e sulle quali incidono i profondi mutamenti dello scenario culturale. Fra i più interessanti, va annoverato il processo di costruzione identitaria in società nelle quali la capillare diffusione e l’analogo utilizzo delle 1044 The best interest of the child information and communication technologies espone l’individuo a sempre più frequenti esperienze di riconoscimento della propria identità in assenza della sua parte corporea: quali account, profili, avatar, identità digitali insomma, la costruzione identitaria è posta in un continuo processo di ridefinizione, ma anche di moltiplicazione (S. Turkle, 1995, 2001; M. Nocenzi, 2008). Le prospettive di dispersione del proprio asset di riferimento si incrociano con quelle di esplorazione di possibilità simboliche diverse grazie ad un’interazione che può avvenire con identità alternative e intercambiabili. Questa scomposizione dell’identità relazione dell’individuo pone effetti tanto più intensi quanto più le identità digitali assumono importanza a livello sociale, e le identità assumono questa centralità divenendo parte di relazioni definite e stabili nel tempo, nonostante la loro molteplicità (S. Turkle, 2011). Negli spazi familiari contemporanei forme e contenuti della cultura digitale si intersecano con le identità dei componenti definendo dinamiche e obiettivi del processo di produzione socioculturale delle famiglie mutati in un senso che è attualmente sotto la lente del sociologo. 5. L’identità sociale del minore nelle famiglie che si trasformano Lo scenario fin qui delineato consente di decostruire il processo di formazione dell’identità del minore nelle famiglie contemporanee attraverso alcune dinamiche di trasformazione che qui si propongono in modo distinto, ma solo per favorirne la descrizione. È possibile, così, delineare un primo filone di trasformazione della costruzione identitaria del minore assumendo una linea basilare in quella che attiene la definizione dei ruoli nella famiglia. In tal senso, è ben significativo accogliere la separazione fra funzione genitoriale e funzione coniugale per coloro che, specie nei nuovi modelli familiari, sono affidatari del ruolo di trasmissione di quei valori, regole, norme che orientano il profilo identitario dei più giovani componenti della famiglia. Basti pensare al loro stesso modello di comportamento e interpretazione del ruolo familiare affidatogli, la transitorietà possibile dello stesso, la copresenza nello stesso ruolo di genitori biologici e di quelli parte della struttura familiare in cui il minore conduce la sua socializzazione per modificare la figura deputata all’orientamento nella formazione dell’identità del minore. L’identità sociale del minore 1045 Non è estraneo a queste dinamiche produrre come effetto modelli multipli di identità che già nella socializzazione primaria possono svilupparsi in nuclei familiari fra loro intersecati, come nel caso delle famiglie ricostituite. Queste diverse identità poggiano, peraltro, anche su nuovi orientamenti valoriali che le trasformazioni dei ruoli familiari stanno affermando: si pensi a quelli più evidenti nello svincolamento dei ruoli familiari da quelli di genere nelle famiglie omosessuali o a quelli sottoposti a non semplici negoziazioni nelle famiglie miste. A contribuire alle trasformazioni identitarie nella famiglia sono anche le forme e le modalità di relazione fra i componenti al suo interno. La variata struttura delle famiglie contemporanee non soltanto propone dimensioni sempre più ridotte nel numero di quei componenti, ma anche, in conseguenza, lo svincolamento di ruoli tipici della famiglia con ruoli di genere, di età, di livello di istruzione ed economico: non è raro, così, che ruoli tradizionalmente affidati a uomini o a giovani o a padri piuttosto che madri siano rivestiti da altri membri della famiglia e che ciò muti i rapporti fra generazioni o fra generi nella famiglia. La relazione, pertanto, può dirsi prevalente sui ruoli stessi e ciò molto incide sulla configurazione identitaria che ne deriva. La relazione si sovrappone sui ruoli anche nei rapporti familiari con il suo esterno, con la società: la rappresentazione della società che matura in famiglia, infatti, non solo è influenzata dalle mutate dinamiche interne, ma da un tendenziale individualismo e dalla privatizzazione dei bisogni che si proietta in un tessuto sociale sempre più frammentato e diversificato – si pensi solo alla diversità culturale promosso o provocata dalla globalizzazione. Oltre alle trasformazioni che attengono ai ruoli e alle relazioni dentro e fuori la famiglia, a modificarsi è anche il ruolo dell’istituzione famiglia nella società: sempre più frequentemente, e anche per via del suo ruolo cruciale nelle fasi strategiche della socializzazione, la famiglia è investita di un ruolo se possibile ancora più centrale nel processo di costruzione dell’identità, che molto rilievo ha in riferimento al minore. Mentre cambia al suo interno (plurinuclearità, plurigenitorialità), la famiglia deve far fronte alle sue funzioni anche esterne in condizioni mutate (individualismo e privatizzazione, diversità sociale, crisi delle istituzioni tradizionali) e, avalutativamente parlando, la combinazione di questi due processi produce effetti talvolta positivi e talaltra opposti. 1046 The best interest of the child Il portato di queste trasformazioni si traduce in un più generale resetting valoriale che riguarda l’identità dell’individuo contemporaneo e il suo intero processo di formazione: nell’epoca della maturazione del processo di individualizzazione delle e nelle relazioni dentro la famiglia, così come nella società (Z. Bauman, 2011) la personalità di base si forma attraverso processi di separazione/individualizzazione, piuttosto che di legame/fusione. Ma nell’evoluzione di relazioni che vanno oltre la famiglia e si estendono anche nella società prevalendo sui ruoli ai valori dell’autorealizzazione, dell’autodeterminazione e della negoziazione, vanno sempre più affiancandosi richiami all’assunzione di responsabilità, di ruolo, di competenza. Non appaia paradossale, quindi, che, dotati di conoscenze, pratiche ed esperienze avanzate per la loro età, inusitate presso le generazioni precedenti, i minori si facciano carico di questi ruoli reclamandoli presso le altre generazioni o, se possibile, in prima persona con comportamenti che non avremo difficoltà a definire tipici degli adulti. 6. Alcune considerazioni conclusive A conclusione di queste riflessioni che hanno inteso descrivere il ruolo della famiglia nel processo di costruzione dell’identità del minore, sottolineando la portata dei concetti sociologici dell’istituzione familiare, dell’identità sociale e del mutamento che ha caratterizzato la loro evoluzione e la loro più recente determinazione, emerge un chiaro obiettivo verso cui ambire per definire il principio, non solo giuridico, del best interest of the child. L’attuale società orienta essa stessa e le sue istituzioni verso un processo di costruzione dell’identità sempre più marcato dall’individuazione e, quindi, dalla distinzione dell’individuo dagli altri, fin dalle prime fasi della socializzazione, sottolineando ciò che lo differenzia, in una storia individuale che è sua e di nessun altro – nonostante l’omologazione che le rappresentazioni mediali diffusive ne fanno. In questa società si intravvede, però, almeno un duplice percorso identitario. Certamente, quello individuale, distintivo e rinegoziato a breve termine, che non raramente si interseca o lascia, persino, il posto ad uno condiviso, diffuso e che ambisce ad obiettivi di lungo termine. Che sia un ulteriore grado di maturazione della società, in cui ancora domina un processo di individuazione, o che sia l’inizio di una fase di radicale trasformazione, dare oggi significato al “best” del principio applicato alla formazione dell’identità del minore costituisce una sfida ineludibile per l’individuo, la famiglia, la società. L’identità sociale del minore 1047 Bibliografia Alberoni F., Statu nascenti, Bologna, 2014 Alexander J., Teoria sociologica e mutamento sociale. Un’analisi multidimensionale della modernità, Milano, 1990 Bauman Z., Collateral damage. Social inequalities in a global age, Cambridge, 2011 Bauman Z., La modernità liquida, Bari, 1992 Bourdieu P., La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, 2001 Bourdieu P., Raisons pratiques. Sur la théorie de l’action, Paris, 1994 Cavalli A. - Bagnasco A. - Barbagli M., Corso di sociologia, Bologna, 2007 Corsano P., Socializzazioni. La costruzione delle competenze relazionali dall’infanzia alla preadolescenza, Roma, 2007 Donat P., La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989. Eisenstadt S.N., Multiple Modernities, in Daedalus, 2000, Vol. 129, No. 1: 1-29. Garelli F. - Palmonari A. - Sciolla L., La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra i giovani, Bologna, 2006 Giddens A., The Consequences of Modernity, London, 2013 Istat, Indagini multiscopo. Aspetti della vita quotidiana. www.istat.it/it/archivio/., 2010- 2017 report annuali Maalouf A., Identità, Milano, 2005 Marzano M., Papà, mamma e gender, Torino, 2015 Nocenzi M., Politica e istituzioni in Second Life: dilemmi e prospettive, in P. Canestrari - A. Romeo (cur.), Second Life: oltre la realtà il virtuale, Milano, 2008, p. 77-94. Rossi G., Lezioni di sociologia della famiglia, Roma, 2001 Saraceno C. - Naldini M., Sociologia della famiglia, Bologna, 2013 Saraceno C., Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Milano, 2016 Sciolla L., L’identità a più dimensioni. Il soggetto e la trasformazione dei legami sociali, Roma, 2010 Tajfel H., Gruppi Umani e Categorie Sociali, Bologna, 1999 Terenzi P., Identità, in S. Belardinelli - L. Allodi (cur.), Sociologia della cultura, Milano, 2006, p. 89-104 Turkle S., Alone Together. Why We Expect More from Technology and Less from Each Other, New York, 2011 Turkle S., Life on the screen: identity in the age of the Internet, New York, 1995 Zanfrini L. (cur.), Sociologia delle differenze e delle diseguaglianze, Bologna, 2011 Born to buy1 La socializzazione del giovane consumatore Domenico Secondulfo Sommario: 1. Lo scenario di fondo. – 2. I giovani, consumatori perfetti. – 3. Il posto dell’infanzia nella strategia di vendita. – 4. Il consumatore in miniatura – 5. Conclusioni. 1. Lo scenario di sfondo In tutte le epoche e sotto tutti i cieli le società hanno sempre cercato di forgiare i propri membri ad immagine di se stesse, la socializzazione raggiunge lo scopo di plasmare come cera la nascente personalità agendo in una fase particolarmente plastica, anche dal punto di vista fisiologico, dello sviluppo intellettivo, mentale e cerebrale della persona. L’infanzia. Sino a non molti anni fa l’arena per eccellenza della socializzazione, era la famiglia e la parentela. Gli scarsi canali di comunicazione mantenevano i giovani nati all’interno della bolla relazionale costituita dalla famiglia e dalla parentela, che divenivano gli attori sociali per eccellenza dei processi di formazione dell’identità. È soprattutto con la società di massa e la comunicazione elettronica, che nel passaggio dalla società industriale della produzione a quella dei consumi e delle vendite, nell’ambito della sfera sociale oikocentrica della famiglia fanno il loro ingresso dei nuovi attori del processo di socializzazione, rispetto ai quali la famiglia stenta a mettere in opera processi di controllo e di filtraggio. Su questa invasione è dagli anni ‘70 che vengono scritti fiumi di inchiostro, che si sono concentrati soprattutto sul mass medium per eccellenza, cioè la televisione (M. Morcellini, 1989, 1999; F. Puggelli, 1 Il titolo vuole essere un omaggio all’omonimo testo di Juliet Schor (2001). 1050 The best interest of the child 2002), con un amplissimo dibattito sui vantaggi, sugli svantaggi, sui pericoli portati dalla apertura ad altri attori di quella sfera in cui avveniva in passato la socializzazione. Mentre il dibattito infuriava, ovviamente i processi sociali continuavano indisturbati a svilupparsi, guadagnando alla televisione un posto permanente ed autorevole all’interno della ristretta cerchia familiare, con una forte influenza sulla socializzazione dei nuovi nati. Se, però, da un lato la vecchia televisione veniva un po’ più imbrigliata nei controlli familiari, la pluralizzazione degli attori che contribuiscono alla socializzazione dei nuovi nati continuava ad espandersi, sempre meno controllabile da parte della famiglia. Questa concorrenza si è sviluppata ed è stata studiata soprattutto all’interno delle strutture di comunicazione, secondo una consolidata tradizione della sociologia italiana, che ha visto gli studi sull’area dei consumi svilupparsi soprattutto come risultato di quelli sulla comunicazione e sulla pubblicità. Ma altre strutture distributive, altrettanto caratteristiche della società dei consumi, ed altrettanto presenti nella vita delle nostre famiglie ed anche nella socializzazione dei nuovi nati, non sono state sufficientemente notate dall’occhio della sociologia, e ci riferiamo alle strutture fisiche di distribuzione della merce, quei supermercati ed ipermercati che dagli anni ‘60 hanno velocemente colonizzato non soltanto gli spazi delle nostre città e delle nostre campagne, ma anche gli stili di vita, l’immaginario ed i cicli temporali delle nostre famiglie. Ci proponiamo qui di attirare l’attenzione su ciò che accade in queste strutture e come anche esse si siano organizzate, più o meno consapevolmente, in modo da intervenire, secondo i propri scopi, all’interno dei processi di socializzazione, insinuandosi nelle strutture di comunicazione, relazione ed autorità delle famiglie. Il meccanismo generale è quello della dialettica massificazioneindividualizzazione, per cui le strutture di distribuzione massificate tendono ad esercitare il proprio potere direttamente sugli individui, saltando, aggirando e cercando di dissolvere le strutture intermedie, come la famiglia, che possono frapporsi tra la fonte ed i singoli individui, nella società tardo moderna attuale a questo si aggiunga che il meccanismo generale di controllo sociale da coercitivo diventa seduttivo quindi particolarmente adatto al mondo dei consumi. A partire dalla distribuzione dei messaggi pubblicitari attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ed in primis la televisione, sino a ciò Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore 1051 che accade nelle strutture materiali di distribuzione delle merci, cioè supermercati ed ipermercati, è costantemente presente una forte spinta a creare dei canali specializzati ed autonomi che siano in grado di connettere la fonte dei messaggi all’individuo singolo anziché al sottogruppo cui appartiene. In questo modo, la struttura comunicativa opera separando la propria comunicazione da qualsiasi condivisione e controllo dei gruppi sociali in cui gli individui cui essa è diretta vivono; un progressivo processo ben sintetizzato nel concetto di “stile di vita”, nella sua versione di espressione della propria individualità nella conformità, soprattutto attraverso comportamenti di acquisto ed uso di determinate merci, e questo è particolarmente vero per quel particolare gruppo sociale che è la famiglia. Le strutture di vendita della merce, non solo la parte legata alla pubblicità, si organizzano per “liberare” i consumatori, spingendo affinché ciascun componente della famiglia, senza distinzione di età e sesso, possa sviluppare i propri desideri senza doversi confrontare con i valori, le regole e l’autorità del gruppo familiare in cui vive. 2. I giovani, consumatori perfetti In questo modo, anche le strutture di vendita contribuiscono a “liberare” una generazione di consumatori dopo l’altra, cercando di sottrarla ai vincoli valoriali, di autorità e di socializzazione dei gruppi familiari in cui queste generazioni vivono. Nella fascia da zero a trenta anni questo processo è stato particolarmente minuzioso, con una attenzione quasi maniacale alla fascia che va dai quindici ai tre - quattro anni (S. Ironico, 2010), sino allo sviluppo di una branca del marketing orientata espressamente ai bambini. Si tratta di una fascia di età in cui, tradizionalmente, la pressione socializzatrice della famiglia e della parentela è sempre stata molto forte, anche perché in questo arco di anni la vita delle giovani persone è ancora totalmente interna al nucleo della famiglia di origine. Il processo di segmentazione e autonomizzazione è andato avanti di pari passo nella comunicazione mediatica e nella organizzazione fisica delle strutture di distribuzione della merce, con la creazione di comunicazioni pubblicitarie sempre più focalizzate da un lato, e con la creazione di nuovi punti vendita specializzati e di percorsi mirati all’interno dei punti di vendita dall’altro, il tutto naturalmente accompagnato da una produzione di merci finalizzate e focalizzate sui bisogni, sui desideri, autonomi o indotti, di questi vari gruppi “targhettizzati” per genere ed età. 1052 The best interest of the child Dalla fascia degli adolescenti, sui quali l’attenzione dei sistemi di distribuzione della merce si era appuntata già dagli anni ‘50 del secolo scorso, via via verso il basso, sino ad interessare anche quella particolarissima fascia di età, e di processi di socializzazione, che va sotto il nome di infanzia. È in questa fascia di età che la necessità di entrare all’interno dei processi di comunicazione e di socializzazione che intercorrono tra il bambino e le figure principali della sua famiglia è vitale. Se per quanto riguarda gli adolescenti, introdursi all’interno di questi legami per spezzarli a favore delle strutture di vendita non è difficile, poiché si tratta di una fase della costruzione dell’identità in cui i conflitti all’interno della sfera familiare sono quasi fisiologici; un po’ più difficile è invece intervenire all’interno delle relazioni tra le figure importanti della sfera familiare ed i bambini, in una fase in cui la costruzione dell’identità è ancora molto interna alle relazioni familiari ed in cui le dinamiche conflittuali non sono “fisiologiche” come nella fase adolescenziale. Per l’adolescente che attraverso il mondo della merce sperimenta identità diverse, l’acquisto di un oggetto è spesso una sorta di rito di passaggio, gestito soprattutto entro il gruppo dei pari, che vede nella scelta, nell’acquisto e nella esibizione dei “giusti” oggetti una sorta di magica sperimentazione di nuove identità e personalità individuali. In età più precoci, invece, l’identità è ancora fortemente legata ai processi di relazione con gli adulti importanti, quindi la ricerca di una relazione “libera” con il mondo della merce è molto inferiore. Sullo sfondo di questi ragionamenti, permane comunque l’approccio analitico secondo il quale queste fasi dello sviluppo della identità personale sono fortemente plasmate e direi quasi inventate dalla società. Non ci addentreremo in questo tipo di considerazioni, che segnaliamo comunque in quanto rappresentano il background su cui si sviluppano le riflessioni che qui presentiamo. Rimandiamo chi volesse approfondire questo tipo di approccio ai seguenti autori (P. Aries, 1974; M. Mitterauer, 1991; L. Stone, 1997). 3. Il posto dell’infanzia nelle strategie di vendita Sinora, soprattutto per l’infanzia, il minore era visto dal sistema di vendita soprattutto come leva di spesa, in grado di orientare, sia indirettamente che direttamente, i comportamenti di acquisto della famiglia. In Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore 1053 questa chiave si sono mossi decenni di spot pubblicitari, diretti ai bambini ma che lasciavano ai genitori il ruolo di attuatori dell’acquisto, benché generato ed orientato dal bambino. La novità introdotta dall’evoluzione degli spazi di vendita2, soprattutto dallo sviluppo dei supermercati in avanti (D. Secondulfo 2012), è quella di aver individuato nell’infanzia sia il futuro consumatore, sia una capacità di acquisto quasi diretto, saltando la mediazione dei genitori. Naturalmente i due processi sono dialetticamente uniti. Mentre il bambino e la bambina sperimentano la possibilità di accesso diretto alla merce, acquisiscono dei comportamenti e, aspetto di maggiore importanza, un vissuto dello spazio di vendita che contribuirà a forgiarne i futuri comportamenti di consumatore adulto ed autonomo. Si tratta di una evoluzione che si intreccia anche con la trasformazione di molti spazi, non solo quelli di vendita, secondo il modello del parco a tema, in chiave ludica; una evoluzione che ha ormai toccato non soltanto il settore turistico, ma in modo generale quasi tutti i punti vendita, in modo sempre più trasversale alle diverse categorie merceologiche. Del resto, la trasformazione dell’esperienza di acquisto in chiave ludica è una delle linee di evoluzione portanti di questa fase del ciclo della merce, in forte espansione anche perché sinergizza tra loro la maggiore famigliarità con gli spazi di vendita, e l’incoraggiamento degli acquisti d’impulso, scopo principale della maggior parte delle strategie di vendita, con un continuo modificarsi, secondo il modello del parco giochi, degli spazi di vendita, soprattutto di quelli a vasta metratura, dagli ipermercati in su. Il processo di famigliarizzazione del consumatore con gli spazi di vendita è un altro dei processi che sinergizzano con la socializzazione del giovane consumatore. Infatti, per molte famiglie, la spesa del sabato rappresenta una delle principali, attività condivise da tutto il nucleo famigliare, e quindi l’evento ben si presta ad essere colorato di toni ludici ed espressivi, trasformando l’esperienza in una gita o in un gioco, anche per gli adulti, e lo spazio di vendita in un parco giochi. 2 Nel passaggio dal negozio al supermercato scompare la figura del negoziante come mediatore e garante, ed il consumatore si trova solo davanti alla merce. Questo stimola l’auto determinazione del consumatore da un lato (associazioni dei consumatori) e gli acquisti di impulso dall’altro (molte sentenze su furti nei supermercati hanno riconosciuto come attenuante il fatto che le merci fossero direttamente esposte e presentate senza protezione o intermediazione). 1054 The best interest of the child Del resto, gli spazi di vendita hanno immediatamente incoraggiato questo fenomeno, attrezzandosi con spazi di gioco per bambini e famiglie nonché trasformando il centro commerciale in una zona di svago e servizio, capace di coprire contemporaneamente esigenze anche molto diverse, organizzative e ludico-relazionali, del nucleo famigliare, con la presenza di servizi di appoggio alla spesa vera e propria, come le lavanderie, di spazi di relax e socializzazione, come bar e ristoranti, nonché di spazi di gioco vero e proprio che, oltretutto, facilitano le famiglie nel condividere con i minori questa esperienza. Nel complesso, un’esperienza di piacere ludico e relazionale insieme, condita dall’esperienza di acquisto, quindi dalla eccitazione e soddisfazione del desiderio, che si presenta come un tutto tondo di vissuto piacevole e che vena lo spazio di vendita di una famigliarità e di una piacevolezza del tutto particolari. Un’esperienza di piacere ludico che se colpisce ed attrae gli adulti, ha un effetto ancora maggiore verso l’infanzia. Ma all’interno di questa socializzazione “diffusa” del consumatore, adulto ed infante, all’acquisto giocoso, modo piacevole per trascorrere il tempo libero, esistono alcune strategie particolarmente mirate al consumatore in erba, in grado di estrarlo dal nucleo famigliare ed autonomizzarlo come acquirente individuale. In queste strategie anche gli oggetti giocano un ruolo fondamentale. In questo caso la famiglia si trova spesso in un ruolo contraddittorio, partecipando da un lato all’esperienza ludica e contribuendo, quindi, alla liberazione del desiderio ed all’acquisto di impulso, ma trovandosi contemporaneamente a dover reprimere le pulsioni di acquisto dei propri componenti all’interno di regole e strutture decisionali comuni al nucleo famigliare e gestite dalle persone autorevoli al suo interno (solitamente madre o genitori). Del resto, si tratta di una contraddizione consustanziale ai moderni spazi di vendita, sempre in tensione tra la necessità di incanto dei luoghi, quindi dell’effetto “paese dei balocchi” per incoraggiare il desiderio impulsivo, e la necessità di controllo del comportamento della clientela e di coercizione del desiderio, che deve comunque risolversi nel pagamento delle merci acquistate (G. Ritzer 2000). Schematizzando, possiamo riassumere il nostro ragionamento nei seguenti passi: - sullo sfondo possiamo porre il processo di ludicizzazione delle esperienze di consumo, con la trasformazione di tutta una serie di spazi di servizio latamente legati al consumo secondo il modello Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore 1055 del parco giochi, allo scopo di infantilizzare il consumatore, trasformare l’acquisto in una esperienza piacevole in sé e non per la funzione dell’oggetto o del servizio che si acquista, e “liberare” quindi il desiderio incoraggiando l’acquisto d’impulso, aggirando la razionalità del consumatore; - l’evoluzione della società “dei consumi” con l’espansione del lavoro femminile e con il doppio lavoro dei genitori, desincronizza, tra l’altro, i ritmi temporali dei componenti la famiglia, per cui le esperienze di acquisto e gli spazi in cui queste avvengono, sono spesso uno dei momenti principali in cui la famiglia vive una esperienza congiunta, incoraggiata dalla evoluzione degli spazi di vendita di cui parlavamo al punto precedente; - la monetizzazione del tempo libero, trasformato in tempo di acquisto (il famoso shopping), attraverso il processo di saturazione della produttività del tempo posto in essere dalla società dei consumi e degli acquisti, rendendo produttivo sia il tempo di lavoro sia il tempo non occupato dal lavoro; produttività diretta e produttività indiretta si alternano in questo modo armoniosamente garantendo il pieno utilizzo economico del tempo di vita; - dal punto di vista dell’infanzia, quindi, l’esperienza di acquisto assume la colorazione di un evento ludico e piacevole, una occasione di condivisione con i genitori e di appagamento di desideri, condita dall’effetto concreto di acquisire oggetti che vengono portati a casa per ulteriore soddisfazione; - sino a questo punto, l’esperienza vissuta dal bambino, pur già costituendo un forte elemento di socializzazione a questo modello di vita e di acquisto, resta ancora inclusa all’interno dell’azione e del vissuto del nucleo famigliare, e potrebbe risentire delle regole e degli stili di vita di questo; in altre parole, sino a questo punto il bambino non è ancora completamente “libero” come consumatore-acquirente e può al massimo stimolare gli acquisti dei genitori che, comunque, mantengono il controllo dell’esperienza nel suo complesso. Potremmo chiamarlo il “secondo livello” di socializzazione posto in essere dal punto vendita; non soltanto questi si propone per essere interiorizzato come lo spazio del desiderio e del piacere per eccellenza, l’unico, in cui divertirsi, giocare, socializzando all’acquisto come gioco espressivo, ma propone anche per l’infanzia, e questo è il punto, la espressione della autonomia individuale come libertà di consumo e di acquisto. 1056 The best interest of the child Di questo si occupano alcune strategie, che il punto vendita pone in essere allo scopo di “liberare” il giovane consumatore dal controllo della famiglia, attraverso oggetti e merci pensate e dirette unicamente a lui, costruite in modo da rendere difficile per il genitore l’interferenza con i desideri del bambino. Si tratta di strategie non ancora ben perfezionate, almeno negli spazi vendita in cui ho compiuto qualche, non sistematica, osservazione partecipante3; possiamo supporre che questo sia dovuto al timore di una reazione negativa da parte dei genitori nel momento in cui la troppa pressione rendesse evidente la volontà di interferire con le strutture di comunicazione e di autorità, e quindi venisse interpretata come un pericolo per l’autorità genitoriale e non, come accade ora, come un ausilio alla famiglia nella misura in cui rende meno problematico, ed anzi positivo, il coinvolgimento dei bambini in questa esperienza. Come dicevo, da una osservazione non sistematica degli spazi di vendita, soprattutto supermercati e ipermercati, sono emersi alcuni esempi di questa strategia che ora presenterò brevemente. 4. Il consumatore in miniatura Secondo il modello da sempre percorso con i giocattoli, di incanalare l’infanzia in giochi che riproducessero, in miniatura, i ruoli adulti attesi e previsti dalla società, come tutti gli apparati di cucina, carrozzine e biberon per le femmine degli anni ‘50 e ‘60 oppure auto e moto per i maschi, cui si sono poi affiancati, nell’era della Barbie, gli abiti e gli attrezzi dello shopping, alcuni punti vendita hanno predisposto dei carrellini per bambini della stessa forma di quelli per adulti, ponendo così il giovane consumatore, come già accaduto per i suoi genitori, solo di fronte alla merce, libero di trasformare i suoi desideri negli oggetti in vendita. 3 L’interesse per questo fenomeno nasce dalla mia quotidiana esperienza di consumatore e dalla naturale curiosità del sociologo per il mondo che lo circonda. Dopo aver notato i comportamenti delle famiglie nei supermercati, ed in particolare di quelle con bambini, ed aver notato che anche in luoghi lontani e diversi (Europa, Indonesia, Stati Uniti) in cui mi trovavo per vari motivi, i comportamenti e gli oggetti erano identici, ho iniziato ad osservare sistematicamente queste situazioni ed a riflettere sull’apparato di cultura materiale che le reggeva, anche se non posso dire di aver ancora saturato il campo di indagine. Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore 1057 Così come vede fare ai genitori, il bambino prende le merci dagli scaffali, ovviamente soprattutto quelle poste alla sua altezza, e le ripone nel carrello, mimando i gesti degli adulti. Ovviamente l’eventuale intervento di controllo degli adulti, diviene a questo punto difficile da operare ed evidente nella sua funzione di divieto, poiché deve o impedire al bambino di prendere da solo le merci, ma allora che ci fa il carrellino?, oppure prendere le merci messe nel carrellino e riporle nello scaffale, un’azione forse ancora più ardua. Una struttura di relazioni ben diversa da quella che vede il bambino unicamente come leva di acquisto, a richiedere merci che, però, sono i genitori a prendere o meno dagli scaffali ed a riporre o meno nel carrello, mediando le sue richieste senza che lui possa intervenire fattivamente. Si tratta di una situazione non molto frequente, probabilmente l’attrito che, si genera tra il bambino ed i genitori, nonché l’oggettivo pericolo insito nel fatto che il bambino si svincoli fisicamente dalla loro sorveglianza, ha infine sconsigliato ai gestori dei punti vendita questa soluzione, sempre nel timore di ottenere, alla fine, un risultato opposto alle aspettative, allontanando le famiglie dal punto vendita. Giochiamo al supermercato Una versione più diffusa e che non interferisce così fortemente nella relazione famigliare è quella di trasformare una parte del carrello di acquisto in un veicolo per il bambino. In questo modo il controllo fisico dei genitori viene garantito e l’autonomia di acquisto del bambino limitata, poiché, anche se può prendere autonomamente qualche merce posta al suo livello, non ha un luogo in cui riporla, e deve quindi sempre sottoporsi alla mediazione degli adulti. È comunque particolarmente forte la interiorizzazione dello spazio e dell’esperienza di vendita/acquisto in chiave ludica, premessa essenziale alla socializzazione agli spazi di vendita come spazi di gioco polivalenti, di riferimento generale, simili ad una piazza o a un giardino pubblico, in grado di soddisfare ogni desiderio e bisogno, dagli oggetti alla socialità, attraverso l’acquisto di merci. Una interiorizzazione, un vissuto che è il giusto e necessario complemento della implosione di tutta una serie di attività, sia individuali che sociali all’interno, degli spazi di vendita, che vede, per il momento, nell’Oultet il massimo punto di espressione. 1058 The best interest of the child L’ovetto Kinder Ovvero come mettere a profitto le code. Infine, l’intervento, a dire il vero ovvio e banale, di mettere a profitto i tempi morti obbligati, ad esempio le code alle casse, per far soffermare lo sguardo del bambino su dolciumi e giocattoli, suggerendo, nel contempo, ai genitori che un dolcetto può essere un utile ausilio quando sia necessario placare l’agitazione, l’insofferenza o l’impazienza dei propri figli. Spesso, ovviamente, i dolci sono a livello bambino, in modo da aggirare la mediazione degli adulti. Inoltre, questo chiude con un premio l’esperienza di acquisto, trasformando in una esperienza piacevole anche l’unico punto in cui, da adulto, ci sarà l’unica, leggera, esperienza negativa: il pagamento. 5. Conclusioni Concludendo queste brevi riflessioni, possiamo osservare: 1. Come la concorrenza con la famiglia di un numero sempre crescente di agenzie di socializzazione, dalla TV in avanti, si sia da qualche tempo allargata anche ai punti di vendita, che in passato non interferivano che minimamente nella relazione tra i minori e i loro accompagnatori adulti. 2. Questo stato di cose è il risultato della sinergia di vari elementi: dal modificarsi del mercato del lavoro ed in particolare di quello femminile, al modificarsi dei ritmi lavorativi dei componenti il nucleo famigliare, e per avere un’idea di quanto sia importante questo punto basta dare uno sguardo alla tematica, anche di scontro politico, sulle politiche di conciliazione tra tempi di lavoro e di vita famigliare e individuale. 3. A questi mutamenti si è affiancata l’evoluzione dei punti vendita, di metratura sempre maggiore, che si sono via via avviati ad assorbire tutte quelle attività ludiche e relazionali che in precedenza erano svolte in spazi e tempi diversi da quelli di vendita/acquisto. L’evoluzione in stile ludico dei punti di vendita e dell’esperienza di acquisto propone alla famiglia ed ai suoi membri gli appuntamenti di acquisto come esperienze divertenti e di socializzazione condivisa dal nucleo famigliare. 4. Questa evoluzione, unita alla prima, porta al coinvolgimento dei minori nei comportamenti di acquisto della famiglia in chiave gio- Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore 1059 cosa e condivisa, socializzandoli, anche attraverso le relazioni che essi vedono svilupparsi tra i propri genitori in questi spazi e durante queste esperienze, ad una famigliarità ludica, espressiva e diffusiva con gli spazi di vendita. Soprattutto quelli di vasta metratura, che possono inglobare al loro interno varie situazioni relazionali, e varie esperienze di acquisto/vendita. 5. Tutto questo si incrocia con la progressiva e raffinata segmentazione del mercato operata dal marketing, che giunge ben presto ad isolare l’infanzia come consumatore autonomo, producendo merci, comunicazioni e settings pensati per lei. Negli spazi di vendita fanno la loro comparsa strategie volte alla “liberazione” dell’infanzia dai controlli del gruppo parentale, costruendola e socializzandola come consumatore autonomo ed indipendente. La costruzione del futuro consumatore posta in essere dai punti di vendita si appoggia essenzialmente su due pilastri: la famigliarizzazione ludica con gli spazi di vendita e l’abitudine all’acquisto d’impulso sulla base del desiderio individuale, due pilastri che le strutture di vendita costruiscono con quotidiana premura all’interno della identità e della visione del mondo del piccolo consumatore. Bibliografia Aries P., Padri e figli nell’europa medievale e moderna, Bari, 2006 Carlucci M., Tipologie di consumi e ciclo di vita della famiglia, Dip. Di Sc. Statistiche, Bologna, 1992 Gianini Belotti E., Dalla parte delle bambine, Milano, 1982 Ironico S., Come i bambini diventano consumatori, Bari, 2010 Laeng M., Quando la pubblicità televisiva fa male ai bambini, Roma, 1985 Landi P., Manuale per l’allevamento del piccolo consumatore, Torino, 2000 Linn S., Il marketing all’assalto dell’infanzia: come media, pubblicità e consumi stanno trasformando per sempre il mondo dei bambini, Milano, 2005 Mitterauer M., I giovani in Europa dal medioevo a oggi, Bari, 1991 Morcellini M., Crescere con gli spot, Roma, 1989 Morcellini M., La TV fa bene ai bambini, Roma, 1999 Puggelli F., Spot generation, Milano, 2002 Ritzer G., La religione dei consumi: cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumo, Bologna, 2000 Schor J.B, Nati per comprare, Milano, 2005 Secondulfo D., Sociologia del consumo e della cultura materiale, Milano, 2012 1060 The best interest of the child Stone L., Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento, Torino, 1997 Teamwork s.r.l., I bambini sono i benvenuti!: Manuale di marketing per conquistare e fidelizzare le famiglie con bambini, Assessorato al Turismo, Rimini, 2000. Cognome del minore e identità personale1, * Stefano Troiano Sommario: 1. Premessa. Il faticoso processo di emersione dell’identità del figlio quale fulcro della disciplina del cognome. – 2. Il primo fattore di resistenza in questo percorso: l’infausta convergenza tra il peso della tradizione e l’istanza di garantire l’unità della famiglia. L’art. 262 c.c. prima della riforma della filiazione. – 3. L’art. 262 c.c. dopo la riforma della filiazione: un passo in avanti significativo, sebbene non risolutivo. – 4. L’ulteriore apertura in favore della scelta dei genitori per il doppio cognome contenuta nella sentenza della Corte costituzionale 21 dicembre 2016, n. 286. – 5. Ancora una volta un progresso importante ma non risolutivo: i problemi lasciati aperti dalla pronuncia della Corte costituzionale. – 6. Quali prospettive di riforma per il futuro? Alla ricerca della (irraggiungibile) quadratura del cerchio. – 7. La scelta del cognome (unico o doppio) rimessa all’accordo tra i genitori. – 8. La soluzione (preferibile) dell’attribuzione del doppio cognome per previsione inderogabile di legge. – 9. Il criterio per selezionare quale cognome, tra i due che compongono il doppio cognome, si trasmette alla generazione successiva. 1 * Il presente contributo rientra nell’attività di ricerca del Team “D.I.G.I.T.S.” nell’ambito del Progetto di Eccellenza del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona “Diritto, Cambiamenti e Tecnologie”. “Il valore dell’identità della persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni, e la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dell’appartenenza del singolo ad un gruppo familiare, portano ad individuare nei criteri di attribuzione del cognome del minore profili determinanti della sua identità personale, che si proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 Cost.” (Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in Giur. it., 2017, p. 815, con nota di R. Favale, Il cognome dei figli e il lungo sonno del legislatore; in Fam. dir., 2017, p. 213, con nota di E. al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio; in Corr. giur., 2017, p. 165, con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo; in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 818, con nota di C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori ed identità dei figli. 1062 The best interest of the child 1. Premessa. Il faticoso processo di emersione dell’identità del figlio quale fulcro della disciplina del cognome In una importante, e ormai celebre, sentenza resa dalla Corte costituzionale nel 2016 in materia di attribuzione del cognome ai figli si rinviene il riconoscimento a chiare lettere della funzione essenziale che il diritto al nome (e, specificamente, al cognome) svolge quale espressione dell’identità personale del minore, in quanto tale direttamente riconducibile alla copertura di protezione assoluta della personalità umana offerta dalla clausola generale costituzionale dell’art. 2 Cost.2. È questa, in particolare, la base sulla quale il giudice delle leggi, in quell’occasione, ha fondato la declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della regola non scritta di attribuzione automatica del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, anche in presenza di un diverso accordo tra i genitori, altresì estendendo detta declaratoria, in via consequenziale, pure alla regola (in questo 2 È ormai acquisito che l’identità personale, di cui la protezione assicurata al nome e al cognome della persona è notoriamente una delle espressioni più importanti (al punto che la giurisprudenza ha inizialmente preso le mosse proprio dagli artt. 6-9 e 10 c.c., che proteggono il nome, lo pseudonimo e l’immagine della persona da un utilizzo abusivo e improprio, al fine di ricavare gli indici della protezione normativa di un più ampio diritto all’identità personale: per i riferimenti v., in luogo di molti, V. Zeno Zencovich, Identità personale in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 294 ss.), trova implicito riconoscimento nella clausola generale di tutela dei diritti fondamentali di cui all’art. 2 Cost., oltre ad essere tutelata esplicitamente, con riferimento al minore, negli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo ratificata con l. 27 maggio 1991, n. 176 (v. art. 7: “1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. [...]”; e art. 8: “1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. 2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile”). A partire dalla metà degli anni ‘90, il diritto all’identità personale ha trovato dignità normativa anche sul piano della legislazione ordinaria, in particolare nella normativa a tutela della privacy (prima nell’art. 1 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, poi nell’art. 2 del d.lgs. 30 luglio 2003, n. 196 Codice in materia di protezione dei dati personali, oggi tuttavia abrogato, e nell’art. 126, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché nell’art. 95 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) e infine anche nel codice civile (v. il riferimento all’identità personale, che, proprio con riguardo al cognome del figlio nato fuori del matrimonio, si rinviene nell’art. 262, comma 3°, c.c., come riformato dal d.lgs. n. 154 del 2013: su questa disposizione v. amplius oltre, nel testo). Cognome del minore e identità personale 1063 caso, scritta) di attribuzione del cognome paterno ai figli nati fuori del matrimonio, contenuta nell’art. 262, comma 1°, c.c., e a quella (parimenti scritta) che, in materia di adozione, attribuisce al figlio adottivo il cognome del padre (art. 299, comma 3°, c.c.). Peraltro, già due decenni prima la stessa Corte costituzionale aveva fondato sempre sulla tutela dell’identità personale del figlio la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 262 c.c. (nella versione antecedente alla riforma di detto articolo intervenuta nel 2013), nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo dall’ufficiale dello stato civile, ove tale cognome fosse divenuto “autonomo segno distintivo della sua identità personale”3. Lo stesso argomento giuridico, quello incentrato sulla tutela dell’identità personale quale espressione irretrattabile della personalità umana protetta dall’art. 2 Cost., aveva inoltre fondato, solo due anni prima, anche la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 165 R.d. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile, quale anteriore al d.p.r. n. 396 del 2000), nella parte in cui non prevedeva che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comportasse il cambiamento del cognome, il soggetto stesso potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo fosse ormai da ritenersi “autonomo segno distintivo della sua identità personale”4. Nella stessa scia di questi precedenti si colloca anche la sentenza 7-11 maggio 2001, n. 120 con cui la Corte Costituzionale, alcuni anni dopo, avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’allora vigente art. 299, comma 2°, c.c., nella parte in cui non prevedeva che, qualora fosse figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato potesse aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli. 3 Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Giust. civ., 1996, p. 2475. 4 Corte Cost., 3 febbraio 1994, n. 13. Alla pronuncia aveva fatto seguito il nuovo ord. st. civ. (d.P.R. n. 396 del 2000), il cui art. 95, comma 3, ora prevede che, nell’ambito delle procedure giudiziali di rettificazione degli atti dello stato civile, “l’interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale”. 1064 The best interest of the child Ai menzionati interventi del giudice delle leggi ha fatto poi da pendant una giurisprudenza copiosa e costante dei giudici ordinari, che, negli ultimi decenni, ha intessuto una trama di interpretazione delle norme in materia di attribuzione del cognome ai figli, e, segnatamente, dell’art. 262 c.c. relativo al figlio naturale (ora, figlio nato fuori del matrimonio), saldamente incentrata sulla considerazione dell’identità personale del figlio, specialmente se minore5. La pronuncia della Corte costituzionale del 2016 suggella dunque un percorso, iniziato alcuni decenni prima, di progressiva emersione del collegamento inscindibile che intercorre tra il sistema normativo di attribuzione del cognome ai figli e la tutela dell’identità personale del minore. Un esito, questo, che potrebbe apparire scontato nella prospettiva, oggi dominante, che, anche sull’impulso della dimensione sovranazionale di preminente tutela dei diritti del fanciullo, pone il best interest of the child al centro di qualsiasi riflessione sulle norme che riguardano, direttamente o indirettamente, il minore come soggetto di protezione6, ma che ha trovato anche in tempi relativamente recenti non poche difficoltà ad affermarsi come chiave di lettura primaria della disciplina di attribuzione del cognome all’interno della famiglia, difficoltà che sono testimoniate dall’ambiguità che tuttora presenta la legislazione in materia, a dispetto delle recenti riforme ancora non pienamente allineata a questo obiettivo. Le ragioni di queste difficoltà sono varie, ma tra queste assumono un rilievo preponderante, nell’ordine: il peso della tradizione, che da tempo immemorabile, almeno in Italia, assegna prevalenza alla trasmissione 5 Tra le tante, v. Cass., 18 giugno 2015, n. 12640; Cass., 2 febbraio 2011, n. 2644; Cass., 28 maggio 2009, n. 12670 e Cass., 24 settembre 2009, n. 23635. Si veda, più in particolare, Cass., 26 maggio 2006, n. 12641, la quale ha stabilito che il giudice, quando si trova a dover valutare la richiesta di attribuire il cognome ad un figlio naturale, a sensi dell’art. 262 c.c., “deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre”, con la conseguenza che non dovrà autorizzare l’assunzione del cognome del padre quando “il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale” in cui il ragazzo ha vissuto. V., poi, Cass., 21 novembre 1998, n. 11789, nonché Cass., 27 aprile 2001, n. 6098, la quale, applicando analogicamente all’istituto della legittimazione il disposto dell’art. 262 c.c., ha stabilito che “il giudice di rinvio che, nel decidere in ordine alla richiesta di attribuzione al figlio naturale del cognome del padre che lo ha legittimato successivamente, dovrà valutare l’interesse esclusivo del minore, avuto riguardo al diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell’ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonché ad ogni altro elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, escludendo ogni automaticità”. 6 Su questa prospettiva di lettura v., con specifico riguardo all’identità del figlio, M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015, p. 12 ss. Cognome del minore e identità personale 1065 del (solo) cognome paterno; l’esigenza, costituzionalmente garantita, di garantire l’unità familiare nel passaggio da una generazione all’altra7, che ricorre in tempi più vicini a noi come giustificazione principale alla base della regola tradizionale di prevalenza del cognome paterno8; nonché, più di recente, la preoccupazione di assecondare la scelta concorde dei genitori, in una prospettiva, sempre più accreditata nel diritto di famiglia, di progressivo ampliamento degli spazi di autonomia privata e che, più nello specifico, vede nell’accordo tra i genitori in merito alla scelta del cognome lo strumento per garantire al meglio l’eguaglianza tra uomo e donna9, ma che, tuttavia, come si cercherà di evidenziare nel prosieguo del ragionamento, non sempre e non necessariamente muove in una direzione compatibile con la piena promozione dell’identità del figlio10. 7 L’art. 29, comma 2°, Cost., individua, come fondamento dei possibili limiti stabiliti dalla legge all’eguaglianza morale e materiale dei coniugi, la “garanzia dell’unità familiare”, quale elemento identificativo unitario della famiglia, obiettivo a cui tendono, peraltro, anche le compagini familiari di nuovo conio (come è implicito nel concetto stesso di “unione” civile) e che, a livello di legislazione ordinaria, trova espressione, ad esempio, nell’art. 145, comma 2°, c.c. e nell’art. 316 c.c. In entrambi i casi regolati da queste ultime disposizioni, l’unità della famiglia è indicata come uno dei criteri a cui il giudice deve attenersi per risolvere un contrasto, rispettivamente, tra i coniugi (art. 145) o tra i genitori (art. 316), in merito a questioni fondamentali per la vita della famiglia o per l’interesse del figlio (nel caso dell’art. 316, il giudice si limita peraltro a suggerire la soluzione, che non può imporre). 8 Si ricordi che non molto tempo prima delle pronunce sopra citate, ancora nel 1988 la Corte costituzionale, con l’ordinanza 11 febbraio 1988, n. 176, aveva dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, 72, ultimo comma, e 73 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 sull’ordinamento dello stato civile, affermando che “oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale, sotto il profilo del diritto al nome, non è la scelta del nome, bensì il ‘nome per legge attribuito’, come si argomenta dall’art. 22 Cost. in relazione all’art. 6 cod. civ.”; e “che l’interesse alla conservazione dell’unita familiare, tutelato dall’art. 29, comma secondo, Cost., sarebbe gravemente pregiudicato se il cognome dei figli nati dal matrimonio non fosse prestabilito fin dal momento dell’atto costitutivo della famiglia, in guisa che ai figli esso sia non già imposto, cioè scelto, dai genitori (come il prenome) in sede di formazione dell’atto di nascita, bensì esteso ope legis”. 9 È appena il caso di ricordare che l’uguaglianza morale e materiale dei coniugi è il principio su cui è ordinato il matrimonio secondo la formulazione dell’art. 29, comma 2°, Cost.: principio ribadito, a livello di legislazione ordinaria, nell’art. 143, comma 1°, c.c. nonché, con riguardo alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nell’art. 1, comma 11°, l. n. 76/2016. 10 Invero, la centralità dell’interesse del figlio alla esplicazione della sua identità personale dovrebbe invece essere il cardine dell’intera disciplina del cognome, la cui retta comprensione è stata invece per troppo tempo appiattita sulla questione o dell’unità familiare o del pari trattamento dei genitori nella trasmissione del cognome. Come si vedrà, la maggiore enfasi che al profilo dell’identità personale viene ora data dal comma 3° dell’art. 262 c.c. quale risultante dalla riforma della 1066 The best interest of the child Tutti fattori, dunque, quelli appena ricordati, che hanno per lungo tempo opposto resistenza al diffondersi di una piena e corretta percezione, soprattutto sul piano del formante legislativo, della necessaria preminenza dell’interesse identitario del figlio nell’informare la disciplina di attribuzione del cognome e che tuttora, pur in un quadro normativo e giurisprudenziale sensibilmente mutato, rischiano di offuscare l’affermarsi completo e definitivo di questa prospettiva anche nel prossimo futuro. Nelle pagine che seguono si tratteggeranno in primo luogo più da vicino i termini di questo percorso evolutivo, per poi dedicare qualche riflessione conclusiva alle prospettive di riforma che paiono, seppur ancora una volta timidamente e con numerosi elementi di incertezza, affacciarsi all’orizzonte. 2. Il primo fattore di resistenza in questo percorso: l’infausta convergenza tra il peso della tradizione e l’istanza di garantire l’unità della famiglia. L’art. 262 c.c. prima della riforma della filiazione Una tradizione per lungo tempo indiscussa, almeno in Italia, ci ha consegnato la convinzione che nella disciplina del cognome familiare l’unità della famiglia possa essere realizzata solo sacrificando l’eguaglianza fra i componenti della coppia, facendo prevalere il cognome del marito, quando si tratti di individuare un cognome che evidenzi l’unità del vincolo di coppia11, e dando preminenza al cognome del filiazione potrebbe avere un significato determinante anche ai fini della ricostruzione della ragionevolezza complessiva della nuova disciplina, in attesa del suo – si spera ormai non lontano – superamento. 11 Per quanto riguarda il cognome del coniuge, è noto come la riforma del diritto di famiglia del 1975, pur avendo superato la regola che imponeva alla moglie la perdita del suo cognome da ragazza e l’acquisto automatico di quello del marito, abbia tuttavia mantenuto, nell’art. 143 bis c.c., una regola comunque discriminante nei confronti della donna, nella misura in cui solo per la moglie è prevista l’aggiunta del proprio cognome a quello del marito (si vedano, per tutti, i rilievi critici di R. Tommasini, sub art. 143 bis, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, p. 449 s.; M.C. De Cicco, Cognome della famiglia e uguaglianza fra coniugi, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, 2° ed., Milano, 2011, p. 1016 ss.; M. Moretti, Il cognome coniugale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, Torino, 2016, I, p. 789; si ricordi, però, che l’aggiunta del cognome del marito non comporta modifica delle schede anagrafiche, le quali, ai sensi dell’art. 20, comma 3°, d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, “devono essere intestate al cognome da nubile”; soluzione, questa, infine adottata anche con riguardo al cognome comune scelto dalle parti di una unione civile tra persone dello stesso sesso ai sensi dell’art. 1, comma 10°, l. n. 76/2016: il d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 5 ha infatti modificato sul punto il già Cognome del minore e identità personale 1067 padre, tutte le volte in cui venga in considerazione la disciplina della trasmissione del cognome familiare ai figli12. Con specifico riguardo al cognome dei figli, e rinviando ad altre sedi per l’esame della questione con riguardo ai componenti della coppia, è noto, in particolare, come manchi, nell’ordinamento italiano, una regola unitaria di attribuzione del cognome ai figli. Ai figli nati nel matrimonio, in assenza di un’espressa previsione di legge, è tradizionalmente considerata applicabile una regola non scritta, che si ritiene desumibile dal sistema (ma, secondo altri, di fonte consuetudinaria)13, la quale prevede la trasmissione al figlio del cognomenzionato c.d. Regolamento dell’Anagrafe, d.P.R. n. 223/1989, stabilendo che “per le parti dell’unione civile le schede [anagrafiche] devono essere intestate al cognome posseduto prima dell’unione civile”, in tal modo facendo un passo indietro rispetto alla soluzione provvisoriamente adottata dall’art. 4, comma 2°, d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144 (c.d. “decreto ponte”) che aveva invece previsto il cambiamento della scheda anagrafica; per i riferimenti v. S. Troiano, Unioni civili e ordinamento dello stato civile dopo il d.lgs. 19 febbraio 2017, n. 5 (prima parte), in Studium iuris, 2017, p. 951 ss., e (seconda parte), in Studium iuris, 2017, p. 1124 ss.). Questa aggiunta (peraltro rigidamente intesa come “posposizione”) forma allo stesso tempo oggetto tanto di un diritto quanto – almeno secondo un’opinione ampiamente diffusa, ma non incontrastata – di un dovere (v. P. Zatti, Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 2° ed., Torino, 1996, III, p. 71; M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, 2° ed., Milano, 2012, p. 155; in senso opposto, cfr. però C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 50 e T. Auletta, I rapporti personali tra uniti civilmente, in Jus civile, 2017, 4, p. 282), giustificato proprio dall’esigenza di garantire l’unità familiare (v., tra gli altri, G. Villa, Gli effetti del matrimonio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini-G. Cattaneo, 2° ed., Torino, 2007, I, p. 346). Oggi la previsione risulta però evidentemente disallineata rispetto a quella di recente introdotta per le unioni civili, la quale, interpretando in modo opposto il significato del limite dell’unità familiare (per la qualificazione familiare delle unioni civili v., ad es., T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 400 s.), consente alle persone unite civilmente proprio ciò che ai coniugi (ad ora) non è permesso, ossia di adottare un cognome comune, rappresentativo della loro unione e scelto tra i loro cognomi personali (art. 1, comma 10°, l. 20 maggio 2016, n. 76, su cui cfr. T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, p. 123 ss., il quale ipotizza che la mancata riproduzione della regola prevista per i coniugi nell’art. 143 bis c.c. risponda, più che all’affermazione di una logica egualitaria, alla constatazione che, in una unione tra due persone dello stesso sesso, “non esiste una ragione plausibile per dare prevalenza al cognome dell’uno o dell’altro dei suoi componenti”). 12 Emblematica, in questo senso, la ordinanza della Corte cost., 11 febbraio 1988, n. 176 sopra citata. 13 Com’è noto, gli indici sistematici da cui si ritiene di poter ricavare questa regola sono tratti dall’art. 237, comma 2°, c.c., in materia di possesso di stato (ora però abrogato, nella parte relativa al cognome paterno, dalla riforma della filiazione), dallo stesso 1068 The best interest of the child me paterno. Un punto, questo, sul quale il legislatore non è intervenuto neanche nel contesto della più recente riforma della filiazione14, che ha rappresentato, sotto questo punto di vista, un’occasione mancata15. La regola riguardante i figli nati fuori del matrimonio è invece scritta ed è contenuta nell’art. 262 c.c., il quale è stato significativamente modificato dalla predetta riforma della filiazione (in particolare, ad opera del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154)16. art. 262 c.c., relativo al figlio nato fuori del matrimonio, dagli artt. 27 l. adoz. e 299, comma 2° (dopo la riforma, divenuto comma 3°), c.c., relativi al cognome dell’adottato, e, prima dell’abrogazione dell’istituto della legittimazione, dalla previsione di cui all’art. 33, comma 2°, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, che prevedeva che il figlio legittimato acquistasse il cognome del padre: cfr. T. Auletta, Diritto di famiglia, 2° ed., Torino, 2014, p. 358. Per la natura consuetudinaria della regola (anche alla luce dell’abrogazione di molte delle disposizioni ricordate) propende, ad esempio, F. Giardina, Il cognome del figlio e i volti dell’identità. Un’opinione in “controluce”, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 139. Di regola non scritta ma, almeno fino ad oggi, considerata implicita nel sistema, ha parlato invece Corte cost., 16 febbraio 2006, n. 61, in Foro it., 2006, I, c. 1673, rilevando che il vincolo dell’attività dell’ufficiale dello stato civile nell’attribuzione del cognome non è coerente con la qualificazione della regola come consuetudinaria. Nello stesso senso si è posta anche la più recente Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, cit. 14 Si ricordi, però, come già nel 2012, indipendentemente dalla riforma della filiazione, la regola sia stata di fatto temperata con un intervento di modifica della disciplina regolamentare dello stato civile (d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, come modificato con d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54) la quale ora consente, con semplice richiesta al prefetto, di “aggiungere al proprio un altro cognome”: rimane preclusa, dunque, l’attribuzione del doppio cognome alla nascita, ma se ne consente in modo più agevole l’adozione da parte dell’interessato in un momento successivo. Per quanto semplificata, la procedura in questione, alla quale sono sottese evidenti ragioni di sicurezza pubblica, è comunque di tipo concessorio e non si basa dunque sulla mera volontà dell’interessato: oltre alla presentazione di una domanda al prefetto, si prevede anche l’affissione della domanda stessa all’albo pretorio del comune e la possibilità, per chiunque vi abbia interesse, di opporsi ad essa. 15 M. Trimarchi, Il cognome dei figli: un’occasione perduta dalla riforma, in Fam. dir., 2013, p. 243 ss. Verosimilmente, la rinuncia del legislatore a regolare in maniera organica la materia della trasmissione del cognome, con una disciplina unitaria per tutti i figli, aveva trovato fondamento nella preoccupazione di non intralciare il vivace dibattito che su questa delicata questione era già in corso in sede parlamentare e che, nel momento in cui furono presentate le prime proposte di riforma della filiazione, era già arrivato a un elevato stadio di avanzamento. Si tratta di motivazioni nobili, oltre che dotate di pragmatismo, anche se non si può non rimarcare l’occasione mancata. 16 Si deve peraltro ricordare che la legge di delega (l. 10 dicembre 2012, n. 219) non conteneva alcuna novità in materia di attribuzione del cognome, e che la decisione di intervenire sul punto è stata presa solo dal legislatore delegato, che a ciò ha provveduto con l’art. 27, comma 1°, del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154: M. Trimarchi, Il cognome dei figli, cit., p. 243 ss. e S. Stefanelli, Illegittimità dell’obbligo del cognome paterno e prospettive di riforma, in Fam. dir., 2014, p. 224. Cognome del minore e identità personale 1069 Nella sua versione originaria, l’art. 262 c.c. sposava in termini netta il principio di prevalenza del cognome paterno, non solo stabilendo che il figlio naturale assumesse “il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, o quello del padre, se congiuntamente o separatamente è stato riconosciuto da entrambi i genitori”, ma altresì negando al figlio (o al giudice se minore) di optare, nel caso di due riconoscimenti successivi, per la conservazione (anche solo in termini di aggiunta) del cognome originariamente ricevuto. Nel caso di riconoscimento tardivo da parte del padre, il cognome paterno andava comunque a sostituire quello materno e, nel caso inverso, il cognome della madre non poteva aggiungersi a quello paterno già acquisito. La riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva significativamente corretto questa regola, mantenendo la prevalenza del cognome paterno in caso di riconoscimento contemporaneo, ma introducendo, nel comma 2°, per il caso in cui la filiazione nei confronti del padre fosse stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, la possibilità per il figlio naturale di assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Si apriva quindi ad una scelta rimessa al figlio maggiorenne, che gli consentiva di optare anche per la conservazione del cognome materno accanto a quello paterno. Inoltre, nel caso di minore età del figlio, si attribuiva al giudice la decisione circa l’assunzione del cognome del padre (con una decisione che, come la giurisprudenza avrebbe nel tempo avuto modo di chiarire, ma che nella prima fase di applicazione della norma non era risultata unanimemente condivisa, si sarebbe dovuta assumere avendo esclusivo riguardo alla protezione dell’identità personale del minore, e senza quindi alcun automatico favore per l’acquisto del cognome paterno). 3. L’art. 262 c.c. dopo la riforma della filiazione: un passo in avanti significativo, sebbene non risolutivo La riforma della filiazione, e in particolare il d.lgs. n. 154 del 2013, modifica nuovamente l’art. 262 c.c., e tuttavia la regola che ne risulta si presenta anch’essa insoddisfacente, in special modo evidenziando, se riguardata nella prospettiva che qui primariamente interessa della tutela dell’identità personale del minore, alcuni perduranti profili di contraddittorietà. Da un lato, infatti, essa ha confermato e riproposto nei suoi primi due commi, senza metterlo in discussione, l’orientamento di tendenziale favore per l’attribuzione ai figli del cognome paterno a cui era ispirata 1070 The best interest of the child la disciplina previgente e che è alla base anche della già ricordata regola non scritta valevole per i figli nati nel matrimonio. E così, per il caso di riconoscimento contemporaneo da parte di entrambi i genitori17, si è ribadita la previsione secondo cui il figlio nato fuori del matrimonio assume il cognome del padre (comma 1°, secondo periodo). Nel caso, poi, di riconoscimento disgiunto e non contemporaneo, si è confermata la regola per cui il figlio nato fuori del matrimonio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto (comma 1°, primo periodo), e, solo se la filiazione nei riguardi del padre è stata accertata per seconda, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre (comma 2°)18 (regola, questa, che come già si è anticipato, in particolare lì dove ammette la giustapposizione dei due cognomi, è chiaramente ispirata all’esigenza di non disperdere l’identità già acquisita dal figlio), mentre lo stesso non sembra essergli consentito, con evidente asimmetria, nel caso inverso, in cui sia stata accertata per prima la filiazione paterna ed egli abbia quindi già acquisito il (solo) cognome paterno19. Dall’altro lato, però, in questo rivelando quella intrinseca ambiguità che si è sopra evidenziata, l’art. 262 c.c., come modificato nel 2013, contiene più di una significativa apertura nella direzione del riconoscimento dell’identità personale del minore. Innanzitutto, come si è già detto, il rilievo dell’identità personale è implicito nella regola di cui al comma 2°, che consente al figlio che ha già il cognome della madre di aggiungere a quello il cognome del padre che lo abbia riconosciuto successivamente. Questa regola era già presente nella formulazione della norma antecedente alla riforma del 2013, e viene solo marginalmente arricchita dalla riforma, in particolare lì dove, prendendo atto di prassi e interpretazioni già consolidate nella giurisprudenza20, la nuova formulazione si è preoccupata di precisare 17 Ipotesi, questa, alla quale va equiparata quella in cui la filiazione rispetto ad entrambi i genitori sia stata accertata nell’ambito del medesimo giudizio. 18 Se il figlio è minore la scelta su questo punto è fatta dal giudice, previo ascolto del figlio che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento (comma 4°). 19 Rimane, però, fermo quanto già evidenziato sopra, alla nota 12, ossia che l’attuale regolamento dello stato civile consente in termini oggi assai semplificati al figlio divenuto maggiorenne di aggiungere al proprio un altro cognome (d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, come modificato con d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54). 20 V. A. Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 33 ss. Cognome del minore e identità personale 1071 espressamente, sempre nel comma 2°, che il figlio può assumere il cognome del padre non solo aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, ma anche “anteponendolo” a quello21, così recependosi nel dato normativo l’interpretazione che si era già andata formando con riguardo alla formulazione previgente22. Ma è, soprattutto, nel riformulato comma 3° dell’art. 262 c.c. che all’identità personale del figlio si attribuisce un valore esplicito, lì dove espressamente la si richiama quale fondamento in ragione del quale il figlio, la cui filiazione nei confronti del genitore sia stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte 21 Per quanto attiene alla forma, è opportuno ricordare che la dichiarazione di scelta di cui al 3° comma è resa di fronte all’ufficiale dello stato civile del Comune di nascita del figlio, personalmente o con comunicazione scritta, e annotata nell’atto di nascita (art. 33, comma 3°, Ord. st. civ., d.P.R. n. 396 del 2000). La scelta può essere fatta anche per testamento, ma solo a condizione che contenga anche l’assenso al riconoscimento, e questo non sia quindi prestato con atto tra vivi (L. Carraro, Della filiazione naturale e della legittimazione, in G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi (cur.), Commentario al diritto italiano della famiglia, IV, Padova, 1992, p. 146; contra G. Ferrando, La filiazione naturale e la filiazione2, in Trattato Rescigno, Torino, 1997, 4, III, p. 256, nt. 70). È discusso, ancora, se, nel caso in cui il riconosciuto muoia prima di compiere la scelta, la facoltà di scelta si trasmetta ai suoi discendenti. Secondo una tesi, la facoltà di scelta sarebbe strettamente personale e non potrebbe dunque essere esercitata che dal figlio (A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, Diritto famiglia, II, Milano, 1975, p. 1747 s.; B. De Filippis – G. Casaburi, La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2000, p. 488). Secondo una diversa opinione, la scelta competerebbe anche ai discendenti ma nel solo caso in cui il figlio non abbia prestato il suo assenso al riconoscimento (L. Carraro, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., p. 147, per il quale, dunque, se il riconoscimento sia stato effettuato a favore dei discendenti, questi – anche non unanimemente, ciascuno potendo scegliere pure solo per se stesso – hanno la facoltà di decidere circa l’assunzione del cognome). 22 Rispetto alla quale, di fronte al sintetico ed elusivo concetto di “aggiunta”, ci si chiedeva se l’aggiunta potesse esplicarsi soltanto in una posposizione del cognome paterno a quello materno o anche nella sua anteposizione al secondo (v. A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, p. 11; M. Mantovani, sub art. 262, in Commentario breve al c.c. Cian-Trabucchi10, Padova, 2014, p. 357). La perplessità era stata risolta nel senso estensivo dalla giurisprudenza, sul presupposto che aggiungere un cognome può ben significare, nel comune uso linguistico, anche anteporre, e aveva poi trovato conferma anche nella disciplina regolamentare in materia di stato civile, e in particolare nell’art. 33 Ord. st. civ., dove la possibilità dell’anteposizione è stata espressamente prevista. Il chiarimento operato dal legislatore della riforma rappresenta dunque il naturale compimento di questo percorso. D’altra parte, questo orientamento aveva trovato indiretto riscontro in Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Giust. civ., 1996, p. 2475, con riferimento alla diversa (ma connessa) questione (di cui si dirà tra breve nel testo) se il potere di scelta del figlio di cui all’art. 262, comma 2°, c.c., potesse esplicarsi anche rispetto al caso di cognome attribuito dall’ufficiale dello stato civile. Con specifico riguardo a questo caso, la Corte aveva infatti dovuto riconoscere che il figlio può non solo “aggiungere”, in senso stretto, ma anche “anteporre” un cognome all’altro. 1072 The best interest of the child dell’ufficiale dello stato civile, “può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale”. Questo secondo intervento muove con forza nel senso dell’ampliamento del potere di scelta del cognome da parte del figlio (maggiorenne) ed in favore di una più ampia garanzia della sua identità personale. Nella formulazione previgente dell’art. 262, comma 2°, c.c., tale potere era, infatti, circoscritto al caso in cui la filiazione nei confronti del padre fosse accertata o riconosciuta dopo il riconoscimento da parte della madre. La giurisprudenza e la dottrina erano tuttavia giunte a riconoscere in più ampi termini la facoltà di scelta del figlio, ritenuta facoltà essenziale per la garanzia dell’identità personale. In particolare, come già si è anticipato, la Corte Costituzionale23 aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, in relazione all’art. 2 Cost., l’articolo in parola nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, già titolare di un cognome, potesse, nell’assumere il cognome del genitore che lo avesse successivamente riconosciuto, ottenere dal giudice il diritto di mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo al nuovo cognome, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale24. Già prima della riforma era, dunque, regola ormai acquisita che la persona riconosciuta potesse mantenere il cognome precedentemente attribuitogli dall’ufficiale dello stato civile, nella misura in cui questo fosse divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale, come nel caso di persona inizialmente dichiarata figlia di ignoti e della quale venissero successivamente – anche a grande distanza di tempo – accertate, mediante riconoscimento o dichiarazione giudiziale, la paternità o la maternità naturali25 (e cfr., sul punto, l’art. 33, 2° co., Ord. st. civ., che già prima della riforma della filiazione espressamente consentiva al figlio di ignoti, che venga riconosciuto dopo il raggiungimento della maggiore età, di mantenere il cognome anteriore, aggiungendo o anteponendo ad esso quello del genitore che lo riconosce e che ora, a seguito della nuova formulazione introdotta in attuazione della delega 23 Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297, cit. 24 V. inoltre, in direzione del tutto analoga, la già citata sentenza della Corte Cost., 3 febbraio 1994, n. 13. 25 C. M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia6, Milano, 2017, p. 362. Cognome del minore e identità personale 1073 legislativa dal d.p.r. 30 gennaio 2015, n. 26 prevede che “il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, [ha] la facoltà di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne [viene] a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore”26. A seguito della riforma, il nuovo art. 262, comma 3°, c.c., prendendo atto di questi orientamenti, ha stabilito che “se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in casi di riconoscimento da parte di entrambi”. Oltre per il fatto di recepire gli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati conferendo quindi ad essi un quadro normativo di riferimento, la novella si segnala anche perché introduce per la prima volta nel codice civile un esplicito richiamo al diritto all’identità personale27, inteso come strettamente legato alla tutela del nome: un richiamo che si aggiunge come ulteriore suggello, con in più l’autorevolezza della sede normativa prescelta, agli altri riconoscimenti di tale diritto già presenti in altri corpi normativi speciali28, ma che assume significato soprattutto in quanto vale a rimarcare la fondamentale importanza del (cog)nome quale aspetto e allo stesso tempo simbolo dell’identità del figlio. Viene così in evidenza come le 26 Sulla base degli stessi principi si era altresì affermato che l’accoglimento dell’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità non comporta l’automatica perdita del cognome acquisito con il riconoscimento, potendo il soggetto riconosciuto rivendicare il diritto di conservare il cognome originario, portato per anni, che caratterizza ormai lui e la sua famiglia, sì da costituire componente essenziale della sua identità personale (G. Ferrando, La filiazione naturale e la filiazione2, p. 257; App. Palermo, 7 marzo 1995, in Dir. fam., 1995, p. 1026). Il problema sembra oggi definitamene deciso nel senso indicato dal citato art. 95 ord. st. civ., il quale si riferisce anche all’ipotesi di rettifica degli atti dello stato civile richiesta in conseguenza di accoglimento dell’azione di impugnazione di un precedente riconoscimento: pure rispetto a questa ipotesi è garantita dunque la possibilità, per l’interessato, di richiedere il mantenimento del cognome originariamente attribuitogli. 27 V. A. Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, cit., p. 39 s., che ripercorre i momenti del graduale processo di emersione del diritto all’identità personale nell’esperienza giurisprudenziale dagli anni ‘70 ad oggi. 28 V. sopra, alla nota 2. 1074 The best interest of the child regole di attribuzione del nome, prima ancora che per la loro valenza di strumento di trasmissione di una identità genitoriale a figlio e alle generazioni successive, debbano essere prioritariamente intese come funzionali alla tutela dell’identità del figlio29. Infine, sebbene non esplicitata come fondamento della disciplina, la tutela dell’identità del figlio è ampiamente presente sotto traccia anche nella previsione ora contenuta nel comma 4° dell’art. 262 c.c., nel quale è stata riprodotta, solo con una limitata modifica30, la disposizione, originariamente contenuta nel comma 3°, che, in caso di minore età del figlio, attribuisce al giudice il potere di scelta del cognome. Questa prospettiva emerge, in primo luogo, dall’esplicita previsione che il giudice assume la decisione “previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”. Anche in questo caso, come in molte altre disposizioni introdotte o modificate dalla riforma (v. ad es. gli artt. 240, comma 4°, 252, comma 5°, c.c.), la modifica costituisce specifica applicazione della regola, sancita nel nuovo art. 315 bis, comma 3°, c.c.31, secondo cui il “figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha 29 In questo ordine di idee, è stato esattamente rilevato (F. Giardina, Il cognome del figlio e i volti dell’identità. Un’opinione “controluce”, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 140) come la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, nel caso Cusan e Fazzo c. Italia (su cui v. infra, nel testo e nota 41), si sia collocata, invece, ancora prevalentemente nella prospettiva del diritto dei genitori (in particolare, della madre, che “usando l’identità … realizza una proiezione quasi dominicale di sé sulle generazioni future”), relegando in secondo piano l’esigenza identitaria del figlio. Secondo l’A., al contrario, è tempo che, anche sotto il profilo dell’attribuzione del cognome, “lo statuto del minore si affranchi dalla statica visione in un indeterminato individuo senza storia se non quella della famiglia che lo “rivendica”, senza contatto con la vicenda della sua esistenza” (Ead., op. cit., 142). Anche per S. Winkler, Sull’attribuzione del cognome paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 524, il nodo centrale della pronuncia è “l’ingiusta limitazione della libertà dei genitori nell’attribuire il cognome al figlio”. 30 In particolare, a seguito della riforma del 2013, la previsione non contiene più alcun riferimento al cognome “paterno”, che viene sostituito con quello al cognome “del genitore”. La modifica è stata imposta dalla scelta, fatta nell’attuale comma 3°, di estendere il potere di scelta, già previsto dal comma 2° nel caso in cui il riconoscimento della madre sia successivo a quello del padre, anche al caso in cui il figlio, che abbia già ricevuto un cognome dall’ufficiale dello stato civile, venga riconosciuto successivamente da uno dei suoi genitori o da entrambi: mentre nel primo caso il giudice, ove il figlio sia minore, è chiamato a decidere solo in merito all’assunzione del cognome del padre, nel secondo egli deciderà invece sull’assunzione del cognome del padre o della madre, a seconda che il riconoscimento successivo sia congiunto oppure, ove fatto da un solo genitore, sia compiuto dal padre o dalla madre. Di qui la necessità di adottare la formulazione neutra (“cognome del genitore”) che si legge ora nel comma 4°. 31 Per una prima applicazione v. Trib. Varese, decr. 24 gennaio 2013. Cognome del minore e identità personale 1075 diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Per quanto già desumibile dalla regola generale ora citata, la specificazione della stessa anche in materia di scelta del cognome non pare superflua. La regola generale si pone, infatti, come norma di chiusura, al fine di coprire i casi non regolati o quelli che dovessero insorgere in futuro, ciò che è quindi compatibile con una precisa individuazione di casi più specifici nella regola generale comunque compresi. Ma, soprattutto, la specificazione ha, rispetto al problema che qui ci occupa, una forte valenza simbolica ed assertiva: com’è stato notato, infatti, le dispute intorno al cognome sono sino ad oggi troppo spesso state riguardate nella falsata (e comunque parziale) prospettiva dell’interesse paritario dei genitori a trasmettere la propria identità familiare alle generazioni future e assai meno spesso invece nel più corretto ordine di idee del rispetto delle esigenze del figlio minore, che si possono portare ad emersione, com’è fin troppo evidente, solo attraverso l’ascolto32. Con riferimento a questa disposizione (quella del comma 4°) non può, tuttavia, non rilevarsi, in senso critico, un difetto di coordinamento, di cui il legislatore della riforma non si è probabilmente accorto e a cui non pare, ad oggi, possibile porre rimedio in via interpretativa. In particolare, con riferimento specifico all’età richiesta perché il figlio possa compiere personalmente la scelta, anche dopo la trasposizione nell’attuale comma 4° la norma continua a fare riferimento alla maggiore età33, e attribuisce dunque tale potere al giudice in tutti i casi di minore età del figlio, a prescindere dalla sua effettiva capacità di discernimento, salva solo la necessità, di cui si è appena detto, di ascoltare il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Così formulata, la previsione appare, tuttavia, in contraddizione con la regola, di cui all’art. 250, comma 2°, c.c., che prevede che il figlio quattordicenne presti personalmente il suo assenso al riconoscimento. Anzi, l’intervenuto abbassamento da sedici a quattordici anni dell’età minima nel menzionato art. 250, comma 2°, c.c., rende il difetto di coordinamento tra le due disposizioni ancora più stridente. Come 32 Si chiede provocatoriamente Giardina, op. cit., p. 142, con riferimento all’affaire Cusan e Fazzo c. Italia: “nel caso giunto alla Corte europea, chi ha ascoltato Maddalena” [questo era il nome della figlia dal cognome conteso: n.d.r.] “che durante i vari gradi di giudizio ha compiuto due, tre, cinque, sette anni, ma che, quando la vicenda si è conclusa, ha raggiunto la non più inconsapevole età di quattordici anni?”. 33 Per ulteriori considerazioni sul punto v. A. Gatto, op. cit., p. 33 ss. 1076 The best interest of the child era già stato rilevato con riferimento alla situazione antecedente alla riforma, non si comprende, infatti, per quale ragione il figlio, compiuti i quattordici anni, possa decidere sugli effetti del riconoscimento ma non possa incidere su un suo effetto specifico34, ovvero quello che riguarda l’assunzione del cognome35. L’attuale formulazione dell’ultimo comma dell’art. 262 c.c., come quella precedente, omette inoltre di specificare quale sia il criterio al quale il giudice deve attenersi nel decidere, in caso di minore età del figlio, circa l’assunzione del cognome del genitore. Può farsi allora riferimento a quanto afferma l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale36, già menzionato in precedenza, secondo il quale non esiste alcun automatismo nell’assunzione, da parte del minore, del cognome paterno in caso di riconoscimento successivo a quello compiuto dalla madre, essendo questo unicamente privilegiato quando il riconoscimento sia effettuato contemporaneamente da entrambi genitori, e che dunque la scelta in merito all’assunzione del cognome paterno (eventualmente anche in sostituzione di quello della madre) deve avere quale criterio di riferimento unicamente l’interesse del minore e in particolare la salvaguardia della sua identità personale guardando al vissuto del minore, alla vita sua trascorsa e anche alle prospettive future37. Stupisce, 34 L. Carraro, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., p. 148; E. Carbone, Del riconoscimento dei figli naturali, in Comm. c.c. diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, II, Torino, 2010, p. 579. Con riferimento alla novella, l’incongruenza è rilevata anche da M. Moretti, Le modifiche alla disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, in M. Dossetti – M. Moretti – C. Moretti (cur.), La riforma della filiazione, Bologna, 2013, p. 36. 35 Non resta che auspicare che anche questa contraddizione possa essere sanata, quando il legislatore italiano, dando seguito alla già ricordata pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 7 gennaio 2014 nel caso Cusan e Fazzo c. Italia, e raccogliendo la sollecitazione preveniente dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale 21 dicembre 2016, n. 286, su cui a breve si tornerà, si deciderà a mettere finalmente mano in modo organico all’intera materia dell’attribuzione del cognome. 36 Ribadito, ad esempio, da Cass., 5 giugno 2013, n. 14232. Su tali basi, si è ritenuto che il figlio può dunque conservare, se del caso, il cognome della madre che per prima lo ha riconosciuto, se ciò risponde meglio all’interesse del figlio, specialmente sotto il profilo del minor trauma per lui quanto all’identificazione personale nella cerchia sociale ove è vissuto col cognome materno nel lungo intervallo temporale tra il primo e il secondo riconoscimento (Trib. min. Perugia, 1° febbraio 2000, in Giur. mer., 2000, p. 274). In senso analogo v. anche Cass., 26 maggio 2006, n. 12641, per il quale il giudice deve impedire il mutamento del cognome non solo nei casi in cui la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio al minore, ma anche nel caso in cui il cognome materno sia assurto ad autonomo segno distintivo della propria identità personale (v. anche Cass., 27 aprile 2001, n. 6098). 37 Così si esprime, tra le tante, Cass., 15 dicembre 2011, n. 27069. Il principio è ribadito, Cognome del minore e identità personale 1077 però, che il riferimento all’identità personale del figlio, che dovrebbe essere, come più volte si è sin qui rilevato, il vero fulcro della disciplina di trasmissione del cognome, sia stato richiamato nel comma 3° con riguardo al caso specifico di riconoscimento successivo all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile (v. supra) e non sia stato, invece, esplicitato come criterio guida per la scelta giudiziale del cognome ai sensi del comma 4°. 4. L’ulteriore apertura in favore della scelta dei genitori per il doppio cognome contenuta nella sentenza della Corte costituzionale 21 dicembre 2016, n. 286 In sintesi, l’art. 262 c.c. quale risultante dalla riforma del 2013, pur presentando una forte accentuazione nel senso della centralità della protezione dell’identità del figlio, e in modo particolare del figlio minore, non compie questo percorso fino al suo naturale e doveroso completamento, e si mantiene invece, per così dire, ancora a metà del guado. Soprattutto, non completa questo processo lì dove conserva, e anzi riafferma, la regola di fondo che, in caso di riconoscimento contemporaneo, assegna automaticamente al figlio il cognome paterno. La riforma della filiazione, oltre a non avere introdotto una disciplina organica ed unitaria per tutti i figli in materia di trasmissione del cognome ed essersi limitata ad un intervento mirato e ristretto ai soli figli nati fuori del matrimonio38, non ha dunque saputo superare la regola di preminenza per il cognome paterno neanche nel più ristretto ambito della filiazione fuori del matrimonio. da ultimo, da Cass., 11 luglio n. 17139, nella cui motivazione si legge “i criteri di individuazione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, sicché la scelta (anche officiosa) del giudice è ampiamente discrezionale, con esclusione di qualsiasi automaticità e non può essere condizionata né dal favor per il patronimico né per un prevalente rilievo della prima attribuzione” (…) “dunque, la ratio della norma non va individuata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori del matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, ma in quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità”. 38 È prevalsa un’interpretazione attenuata del principio di unicità dello stato di figlio, che si è accontentata di mantenere fermo il sostanziale allineamento che già esisteva, con alcune limitazioni, tra la disciplina prevista per i figli nati fuori del matrimonio e quella, ritenuta applicabile al figlio nato nel matrimonio, che prevede la trasmissione al figlio del cognome paterno. 1078 The best interest of the child È fuor di dubbio che questa scelta perpetua una diseguaglianza tra il padre e la madre, né più e né meno inaccettabile di quella che attribuisce preminenza al cognome del marito nella coppia, ma soprattutto, nella prospettiva che qui maggiormente interessa, essa si risolve in grave pregiudizio anche dell’identità personale dei singoli componenti del nucleo familiare39 e, primo fra tutti, del figlio. La regola che, in caso di riconoscimento temporaneo, prevede la trasmissione ai figli del solo cognome paterno sacrifica, infatti, l’identità dei figli, ai quali è imposto di riconoscersi in una visione soltanto parziale della propria famiglia, in quanto cristallizzata in un cognome inidoneo a dare conto anche della linea materna, parte – come ci pare invero incontestabile – anch’essa integrante e necessaria della loro storia familiare40. Orbene, se l’esigenza di unità della famiglia, in quanto esplicitamente posta come limite costituzionale all’uguaglianza tra i coniugi, potrebbe almeno in astratto costituire giustificazione sufficiente per fondare la scelta legislativa nella parte in cui legittima un trattamento diseguale tra i coniugi (salvo poi verificarne la ragionevolezza in concreto, anche in termini di proporzionalità del sacrificio), non si vede invece come quell’esigenza possa giustificare il sacrificio del distinto e fondamentale diritto all’identità personale, con cui la legislazione in tema di attribuzione del cognome si deve parimenti confrontare. È da chiedersi, dunque, se l’esigenza di unità familiare non debba, almeno in questo contesto, cedere il passo o – preferibilmente – formare oggetto di una diversa lettura, che ne reinterpreti contenuto e funzione in un modo tale da ricollocarla in asse, per quanto possibile, con la fondamentale esigenza di non discriminazione e, soprattutto, con quella di tutela dell’identità personale, in particolare dei figli. 39 Oltre all’uguaglianza tra i coniugi, la regola che obbliga la moglie ad aggiungere al proprio il cognome del marito (sempre che la si interpreti come impositiva di un obbligo) mortifica, infatti, anche l’identità personale della moglie, che, a differenza del marito, viene ad essere costretta, in conseguenza del matrimonio, a mutare il principale segno distintivo della propria identità all’esterno (sia pure senza conseguenze sul piano anagrafico, come si è chiarito). Per converso, al marito che volesse condividere la comune identità familiare non è consentito aggiungere al proprio cognome il cognome della moglie. 40 Non meno importante è poi il rilievo che detta regola mortifica, a ben vedere, anche la stessa identità della madre, al quale non è data la possibilità di riconoscersi pienamente nel cognome attribuito ai propri figli, in quanto esso vede amputata una frazione – quella materna – della famiglia di origine. Ci pare indubbio, infatti, che l’identità di una madre si fondi anche sulla sua capacità di riconoscere nei propri figli la prosecuzione della propria esperienza di persona. Cognome del minore e identità personale 1079 Ciò che qui conta è che a queste preoccupazioni, fondate su precise istanze di rispetto di principi fondamentali, il legislatore italiano si è mostrato in buona misura insensibile, non riuscendo, nell’arco di diversi decenni, a mettere in opera una riforma della materia del cognome di respiro sistematico e completamente rispettosa dell’esigenza di tutela dell’identità personale. Un imprescindibile ruolo di supplenza è stato quindi svolto dalle Corti, nazionali e sovranazionali, in un dialogo andato evolvendosi nel tempo e che ha dato alcuni frutti importanti, e che tuttavia, per i limiti intrinseci alla funzione e ai limiti del formante giurisprudenziale, non è riuscito a dare forma ad una soluzione organica e, almeno potenzialmente, risolutiva. Limitandosi agli interventi successivi alla riforma, basti menzionare la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2014 nel caso Cusan e Fazzo c. Italia41, che ha visto la condanna dell’Italia in ragione dell’automatismo della regola di attribuzione del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, ma che contiene motivazioni agevolmente estensibili anche alla regola (ricavabile, come si è detto, dall’art. 262 c.c.) di attribuzione del cognome ai figli nati fuori del matrimonio. Da ultimo, rilievo centrale assume la già ricordata sentenza con cui la Corte costituzionale, nel dicembre del 201642, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della regola non scritta di attribuzione automatica del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, anche in presenza di un diverso accordo tra i genitori, e, in via consequenziale, anche, tra gli altri, dell’art. 262, comma 1°, c.c., in materia di figli nati fuori del matrimonio. Si deve però premettere che quest’ultimo intervento, da un lato, è stato anch’esso per varie ragioni circoscritto in un ambito di applicazione piuttosto delimitato, ciò che impedisce di vedervi una potenzialità espansiva generalizzata, e, dall’altro, non ha mancato di sollevare delicate questioni di ordine interpretativo e operativo. 41 Corte EDU, 7 gennaio 2014, Ric. n. 77/07, Cusan e Fazzo c. Italia, in http://hudoc.echr. coe. int. Su cui v., tra i tanti, i commenti di S. Winkler, Sull’attribuzione del cognome paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 520 ss., S. Stefanelli, Illegittimità dell’obbligo, cit., p. 221 ss., e G.P. Dolso, La questione del cognome familiare tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., 2014, p. 738 ss. 42 Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, cit. 1080 The best interest of the child In particolare, la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma, desumibile dal sistema, di attribuzione automatica del cognome paterno al figlio nato da coppia coniugata (vedi supra), si è limitata a pronunciare l’incostituzionalità della stessa solo nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, nato dal matrimonio, anche il cognome materno in aggiunta a quello paterno. In via consequenziale la Corte ha dichiarato illegittimo anche l’art. 262, comma 1°, nella parte in cui non consente ai genitori non coniugati, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno43. L’illegittimità costituzionale riguarda, dunque, solo l’omessa considerazione, nella regola di trasmissione del cognome, della volontà concorde dei genitori, ma non, in sé, la regola che prevede, in assenza di detta volontà concorde, la trasmissione del solo cognome paterno, la quale rimane per contro impregiudicata. La decisione della Corte, inoltre, non coinvolge la previsione di cui al comma 2° dell’art. 262 c.c., della cui legittimità costituzionale si potrebbe tuttavia parimenti dubitare, per le ragioni esposte in precedenza. Sorvoliamo in questa sede sulla questione, pur in sé di grande delicatezza, della ammissibilità di una dichiarazione di illegittimità costituzionale avente ad oggetto una norma non scritta, desumibile per implicito dal sistema44, e guardiamo alla sostanza della decisione. Pur richiamandosi ex professo alla precedente Corte cost., 6 febbraio 2006, n. 6145, di cui riprende la nota formulazione46 che aveva ravvisato nella regola di attribuzione del cognome paterno un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”, le conclusioni sono questa volta ben diverse. Preso atto che il legislatore, benché ripetutamente esortato in tal senso negli anni, 43 La dichiarazione di illegittimità è estesa anche all’art. 299, 3° comma, c.c., relativo alla adozione dei coniugi. 44 Si è al riguardo rilevato che in senso positivo muove la giurisprudenza costituzionale “che dichiara incostituzionale una norma non per come è scritta, ma per l’interpretazione della lettera della legge ad opera del giudice” (V. Carbone, Per la Corte costituzionale, cit., p. 167 ss.). 45 In Giust. cost., 2006, I, p. 543. 46 Lo nota, tra gli altri, R. Favale, Il cognome dei figli, cit., p. 815 s. Cognome del minore e identità personale 1081 non è riuscito a correggere il sistema, la Corte rinuncia finalmente a rimettersi al suo intervento e si fa carico di incidere direttamente nel sistema, anche se nei soli limiti consentiti dall’oggetto del giudizio alla stessa sottoposta. Accogliendo tutti i rilievi proposti dal giudice remittente, la Corte ravvisa nella regola di attribuzione del cognome paterno un contrasto con la garanzia della piena realizzazione del diritto all’identità personale sancito dall’art. 2 Cost.47 nonché con il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., non trovando la disparità di trattamento che tale regola introduce tra i coniugi alcuna giustificazione sufficiente nella garanzia dell’unità familiare di cui all’art. 29, comma 2°, Cost.48. 5. Ancora una volta un progresso importante ma non risolutivo: i problemi lasciati aperti dalla pronuncia della Corte costituzionale Come detto, però, la dichiarazione di illegittimità riguarda solo l’ipotesi in cui vi sia il consenso dei coniugi. A seguito della sentenza, dunque, tutti i genitori, coniugati o non, possono ora concordemente decidere di attribuire al figlio un doppio cognome, identificativo di entrambi i rami genitoriali. In mancanza di accordo il figlio assume, però, il cognome del padre. Così come rimangono impregiudicate le disposizioni che, in caso di riconoscimento non contemporaneo, prevedono, in taluni casi, la prevalenza del cognome paterno su quello materno (v. supra). 47 Rileva infatti la Corte che “il valore dell’identità della persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni, e la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dell’appartenenza del singolo ad un gruppo familiare, portano ad individuare nei criteri di attribuzione del cognome del minore profili determinanti della sua identità personale, che si proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 cost.” (par. 3.4.). 48 Ciò in quanto “la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome, contraddice (…) quella finalità di garanzia dell’unità familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi, ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno” (par. 3.4.2.). Rileva ulteriormente la Corte, richiamandosi ad un proprio lontano precedente, “che “è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo”, poiché l’unità “si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità” (sentenza n. 133 del 1970)”. 1082 The best interest of the child La Corte, relativamente al perdurante automatismo del cognome paterno in difetto di accordo, non può dunque fare altro che rimettersi nuovamente ad “un indifferibile intervento legislativo destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità” (par. 6). Oltre a questo limite, che peraltro deriva dai confini della questione sottoposta alla Corte49, l’applicazione della regola, chirurgicamente introdotta dalla Corte, che consente la scelta concorde del cognome materno in aggiunta a quello paterno, lascia in ogni caso aperti diversi profili critici50. Un primo problema è dato dall’individuazione delle modalità, su cui la pronuncia per ovvie ragioni tace, attraverso le quali i genitori possono rendere, di fronte all’ufficiale dello stato civile, il proprio consenso all’attribuzione del cognome materno. A questo proposito, una successiva Circolare del Ministero dell’Interno (Circ. n. 7/2017 del 14 giugno 2017) ha chiarito che, “in assenza di apposite disposizioni legislative, gli uffici dello stato civile non possono richiedere agli interessati oneri documentali ulteriori rispetto a quelli previsti dall’ordinamento”, di tal ché, nel caso in cui la dichiarazione di nascita sia fatta da un solo genitore, si deve ritenere che al dichiarante non si possa richiedere di fornire la prova dell’accordo dell’altro genitore sul cognome. Dovrebbe dunque valere, anche per il cognome, la regola applicabile alla scelta del nome, rispetto al quale si ritiene che il consenso anche dell’altro genitore sia presunto, quale “elemento presupposto nella dichiarazione di nascita” ed atto di esercizio della responsabilità genitoriale51. 49 Rileva la Corte (par. 6) che “con la presente decisione, questa Corte è, peraltro, chiamata a risolvere la questione formulata dal rimettente e riferita alla norma sull’attribuzione del cognome paterno nella sola parte in cui, anche in presenza di una diversa e comune volontà dei coniugi, i figli acquistano automaticamente il cognome del padre”. Precisamente, la questione era insorta a seguito dell’impugnazione, con ricorso, del provvedimento dell’ufficiale dello stato civile di rigetto della richiesta di attribuire al figlio dei ricorrenti il cognome materno, in aggiunta a quello paterno. Il ricorso era stato respinto dal Tribunale di Genova, con un provvedimento contro cui viene proposto dai genitori reclamo di fronte alla Corte di Appello di Genova. 50 Per alcune prime riflessioni sulla sentenza, oltre ai già citati saggi di V. Carbone e R. Favale, v. anche E. Al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio, in Fam. dir., 2017, p. 218 ss., e C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori e identità dei figli, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 823 ss. Per una recente trattazione sistematica si rinvia a S. Stefanelli, Diritto all’identità, in A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, Le persone e la famiglia, 4, La filiazione e i minori, in Trattato di dir. civ. diretto da R. Sacco, 2° ed., UTET, 2018, p. 450 ss. 51 La soluzione è tanto ragionevole quanto criticabile il fatto che sia però rimessa ad Cognome del minore e identità personale 1083 Un secondo problema è se i genitori, nell’optare per il doppio cognome, possano solamente aggiungere al cognome paterno quello materno, posponendolo dunque al primo, oppure possano anche invertire la successione, anteponendo il cognome materno a quello paterno. La formulazione del dispositivo della sentenza ricorre sempre alla locuzione “trasmettere” (o “attribuire”) “al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno”, locuzione che pare in astratto compatibile pure con l’anteposizione del cognome materno a quello paterno. In senso opposto si è, però, espressa la citata Circolare del Ministero dell’Interno n. 7/2017, proprio argomentando, in modo per la verità alquanto formalistico e a nostro avviso opinabile, dall’impiego, nel dispositivo della sentenza, della congiunzione “anche”, che a suo dire si riferirebbe alla sola ipotesi della posposizione52. Un terzo problema, su cui la Corte non si è pronunciata, riguarda l’efficacia della scelta fatta dai genitori rispetto alle generazioni successive e, in particolare, se il figlio che abbia ricevuto il doppio cognome possa a sua volta trasmettere ai propri figli entrambi i cognomi che porta o solo quello del suo ramo paterno. Il problema presenta due aspetti: il primo è stabilire se, in assenza di accordo con l’altro genitore, il figlio, divenuto genitore, trasmetta ai propri figli il proprio doppio cognome nella sua interezza o solo quello tra i due che lo compongono che corrisponde al cognome di suo padre (ossia, rispetto a suo figlio, quello del nonno). A rigore, la risposta corretta dovrebbe essere la prima, in quanto il cognome paterno (oggetto della perdurante regola di trasmissione del cognome del padre in difetto di diversa volontà dei genitori), nella specie, e in forza della scelta fatta all’origine dai nonni, è proprio il doppio cognome. Sennonché una simile soluzione rischierebbe di creare, nel passaggio da una generazione all’altra, un irragionevole ed ingestibile allungamento del cognome familiare, fatto, in sé, indesiderabile53, in quanto in conflitto con l’esigenza di efficienza del sistema di riconoscimento dell’identità personale fondato sul cognome. Sembra dunque preferibile la soluzione secondo cui, in que- una mera circolare. 52 La circolare ha altresì precisato che l’attribuzione anche del cognome materno “non può non riguardare tutti gli elementi onomastici di cui detto cognome sia composto” e, inoltre, che la dichiarazione della madre di non volere essere nominata, resa ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000, è incompatibile con la presunzione di accordo tra i genitori coniugati o meno – sull’attribuzione del cognome materno. 53 Di “progressione geometrica iniziale” discorre, al riguardo, S. Stefanelli, Diritto all’identità, cit., p. 461. 1084 The best interest of the child sti casi, debba prevalere, in sede di automatismo, la regola di preferenza per il solo cognome che appartiene alla stirpe paterna, dovendosi in questi più ristretti termini interpretarsi il significato dell’espressione “cognome del padre” (di cui, in particolare, all’art. 262, comma 1°, periodo 2°, c.c.)54. Inoltre, la Corte non si pronuncia neppure su un quarto problema, ossia se i genitori consumino il loro potere di scelta del cognome in una volta sola e con riguardo al primo figlio, o se invece essi possano attribuire un cognome diverso a ciascun figlio, o, ancora, se, non avendo effettuato la scelta riguardo al primogenito, possano comunque esercitarla con riguardo ai figli successivi. Sembra preferibile ritenere che la facoltà di scelta del cognome debba essere esercitata una volta sola per tutti i figli e che, ove non esercitata rispetto al primo figlio, debba ritenersi comunque consumata. In tal senso depone la circostanza che la funzione di identificazione della famiglia (e dell’unità familiare) che il cognome assolve rischierebbe di essere completamente vanificata nel caso in cui si consentisse ai genitori di attribuire cognomi diversi ai vari fratelli o sorelle del medesimo nucleo familiare55. Ultima questione irrisolta, infine, è se la possibilità di aggiungere il cognome materno possa essere esercitata, oggi, anche nel caso in cui la coppia abbia già dei figli, i quali, essendo nati prima dell’introduzione della facoltà di scelta, portino solo il cognome paterno. La necessità di attribuire a tutti i fratelli il medesimo cognome, al fine di garantire loro un’identità familiare comune e riconoscibile, dovrebbe peraltro essere preclusiva di tale possibilità56. 54 Un secondo aspetto del problema è stabilire se, nel caso di generazione successiva, ammesso che sia corretta la soluzione precedentemente individuata, ossia che la trasmissione automatica sarebbe limitata al cognome della stirpe paterna, i genitori possano comunque, di comune accordo, scegliere di attribuire al figlio entrambi i cognomi del padre e, in aggiunta, quello della madre. Anche in questo caso, per le già menzionate ragioni di funzionalità del cognome, riterrei preferibile l’interpretazione in senso negativo, per sostenere la quale si può altresì rilevare che mancherebbe, nella specie, l’esigenza di garantire la parità di trattamento tra i genitori, che è invece alla base della regola che ammette l’aggiunta del cognome materno per scelta concorde dei genitori. 55 Una scelta differenziata da un figlio all’altro incrinerebbe, peraltro, anche la funzione del cognome quale presidio fondamentale dell’identità personale del figlio. Poiché tale identità include necessariamente anche la relazione tra fratelli e sorelle, la differenziazione del cognome tra più figli della stessa coppia impedirebbe ai loro cognomi di rappresentare in modo adeguato e completo la complessità della loro relazione con il nucleo familiare, impedendo così a ciascun figlio di riconoscersi pienamente nell’identità formale che il cognome gli attribuisce. 56 Sul punto v. anche Stefanelli, Diritto all’identità, cit., p. 461. Cognome del minore e identità personale 1085 6. Quali prospettive di riforma per il futuro? Alla ricerca della (irraggiungibile) quadratura del cerchio Come si è potuto vedere, molte delle questioni lasciate aperte possono dunque trovare una soluzione in via interpretativa proprio valorizzando, nell’interpretazione, l’esigenza dell’unità familiare non già come limite rispetto alla salvaguardia dell’identità personale, bensì, all’opposto, quale criterio che esalta la funzione identitaria del cognome. Rimane, tuttavia, la fragilità di un quadro complessivo che affida la garanzia di diritti fondamentali e, al contempo, dell’interesse pubblico all’identificazione delle persone, a regole basate sulle mutevoli e incerte letture degli interpreti e all’instabile contributo offerto da fonti normative sparse e, in buona misura, anche gerarchicamente sottordinate. È evidente, dunque, che tutte le questioni ora indicate potranno essere risolte in modo adeguato solo dall’auspicato intervento del legislatore, per il quale è però impossibile, allo stato, fare qualsiasi concreta previsione57 e che pare anzi, nell’attuale legislatura, ancora più lontano di quanto non fosse nella precedente58. 57 Per ragioni di economia del presente contributo, si omette di analizzare in dettaglio in questa sede i numerosi e vari progetti di legge succedutisi fino ad oggi in materia. Merita tuttavia di essere ricordato come, all’indomani della sentenza della Corte EDU, il Governo allora in carica si fosse mosso immediatamente, presentando un disegno di legge (d.d.l. n. 2123 presentato il 21 febbraio 2014, Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 gennaio 2014) che, insieme ad altri già presentati o presentati successivamente nella medesima legislatura, era poi confluito nel disegno di legge unificato n. 1628, approvato dalla Camera dei Deputati in prima lettura il 24 settembre 2014 e quindi sottoposto all’esame del Senato della Repubblica. L’iniziativa si è, tuttavia, arenata nelle dinamiche interne, e per lo più insondabili, dell’attività parlamentare e, nonostante un’accelerazione finale, non ha trovato l’auspicato compimento prima della fine della legislatura (la XVII), sicché le speranze che si arrivasse in tempi brevi all’approvazione di una nuova disciplina organica in materia di cognome dei figli sono andate purtroppo, anche questa volta, disattese. 58 L’attuale legislatura, sebbene formalmente apertasi con la sostanziale riproposizione di molti dei disegni di legge in materia di cognome presentati nella precedente e in quella decaduti, non sembra infatti avere tra le proprie priorità la revisione della disciplina del cognome. In dettaglio, nella XVIII legislatura sono stati presentati, alla data del 7 ottobre 2019, 7 disegni di legge (4 alla Camera dei Deputati, ovvero i d.d.l. nn. 106, 230, 1265 e 2129, e 3 al Senato della Repubblica, ovvero i d.d.l. nn. 170, 286 e 1025), 6 dei quali assegnati per l’esame in commissione ma per nessuno dei quali detto esame è già iniziato. La gran parte dei disegni presentati opta per rimettere all’accordo dei genitori la scelta del cognome del figlio, lasciando aperta la possibilità che la scelta cada su un solo dei cognomi dei due o anche sul doppio cognome nell’ordine liberamente scelto. Limitandosi ai progetti presentati alla Camera dei Deputati, si veda, innanzitutto, il d.d.l. n. 1265, il quale prevede che, in caso di mancato accordo, da esprimere mediante una dichiarazione congiunta 1086 The best interest of the child Stanti i limiti intrinseci dell’intervento del giudice costituzionale, e proprio in vista della preparazione dell’atteso contributo del legislatore, ciò su cui oggi ci si può, ed anzi ci si deve interrogare, è quale possa essere la regola uniforme di attribuzione e trasmissione del cognome che meglio consentirebbe di armonizzare le tre esigenze fondamentali evocate in avvio di questo scritto: identità personale, uguaglianza tra i componenti della coppia, unità della famiglia. resa davanti all’ufficiale di stato civile, il figlio acquisti il cognome di entrambi i genitori in ordine alfabetico, ritenuto, quest’ultimo, come criterio “imparziale e impersonale”. Si prevede inoltre che ciascun genitore possa trasmettere ai figli un solo cognome (ma non si precisa chi lo sceglie) e che il figlio, a sua volta, trasmetta solo uno dei suoi due cognomi. A sua volta, il d.d.l. n. 106 riproduce, con alcune modificazioni e integrazioni, il contenuto del già menzionato d.d.l. n. 1628 della XVII legislatura e prevede, in modo particolare, l’introduzione nel codice civile del nuovo art. 143-quater, secondo il quale al figlio è attribuito, su accordo dei genitori, espresso al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile, il cognome del padre o il cognome della madre ovvero il cognome di entrambi, nell’ordine concordato. Al mancato accordo consegue l’attribuzione, in ordine alfabetico, di entrambi i cognomi dei genitori. I due ulteriori commi dell’articolo 143-quater stabiliscono: che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati all’anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest’ultimo (terzo comma), al fine di evitare che nella stessa famiglia vi siano figli con cognomi diversi; che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a sua scelta (quarto comma), al fine di evitare, in questo caso, una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione. L’art. 2 estende i princìpi del nuovo articolo 143-quater ai figli nati fuori dal matrimonio, mentre l’art. 4 introduce una disciplina speciale sul cognome del figlio maggiorenne. In particolare, si garantisce al figlio maggiorenne, cui sia stato attribuito in base alla legge vigente al momento della nascita il solo cognome paterno o materno, la possibilità di aggiungere al proprio il cognome della madre o del padre. Si prevede, a tal fine, una procedura estremamente semplificata, consistente nella dichiarazione resa presso gli uffici di stato civile personalmente o per iscritto (con sottoscrizione autenticata), dichiarazione che va annotata nell’atto di nascita, e che sostituisce in toto, nelle ipotesi indicate (aggiunta del cognome paterno o materno), la disciplina amministrativa prevista dal d.P.R. n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato civile, la quale richiede la presentazione al prefetto dell’istanza di cambiamento del nome o del cognome (tale disciplina continuerà ad essere applicabile solo a chi intenda “modificare” o sostituire il proprio nome o cognome, ad esempio, perché ridicolo o vergognoso, perché rivela l’origine naturale o per altre ragioni. Si distacca, invece, almeno in parte da questo modello il d.d.l. n. 230 il quale prevede la regola del doppio cognome automatico, con precedenza per il cognome paterno, rimettendo però ai genitori la scelta di invertire l’ordine. L’art. 2 introduce l’art. 143-bis c.c., che prevede l’attribuzione al figlio del cognome di entrambi i genitori ex lege e stabilisce che il primo dei due cognomi è quello del padre, salvo diversa decisione dei genitori, i quali possono decidere un ordine diverso con dichiarazione concorde resa all’ufficiale dello stato civile all’atto del matrimonio o, in mancanza, all’atto della registrazione della nascita del primo figlio. Tale dichiarazione vale anche per i figli successivi al primo, anche se questi è nato prima del matrimonio ma è stato riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. Il figlio trasmetterà poi ai propri figli il primo dei suoi cognomi. Cognome del minore e identità personale 1087 Benché il discorso debba essere preferibilmente unitario, per le ragioni di sintesi già evidenziate, le riflessioni che seguono saranno dedicate prevalentemente al problema dell’attribuzione del cognome ai figli senza considerare in via diretta il problema del cognome della coppia (coniugata o non). Pur dovendosi riconoscere che non esiste, in questa materia, una soluzione perfetta, è tuttavia senz’altro pensabile, ed anzi doveroso, ragionare di soluzioni che, rispetto a quella attuale, comportino perlomeno un incremento di coerenza complessiva del sistema, evitando regole disorganiche e frammentarie, e allo stesso tempo implichino il minore sacrificio possibile degli interessi contrapposti, in una prospettiva di adeguato bilanciamento. Definitivamente abbandonata la regola che preveda la trasmissione automatica di un unico cognome, per le ragioni dette inconciliabile tanto con il principio di uguaglianza quanto con il diritto all’identità personale, anche nella variante – inversa rispetto a quella tradizionale – che vedesse prevalere il cognome della madre su quello del padre, le ipotesi che si confrontano si riducono essenzialmente due, a cui si aggiunge una terza risultante dalla possibile combinazione tra le due: da un lato, quella consistente nella trasmissione ai figli di un solo cognome, scelto tra il cognome paterno e quello materno59 mediante accordo tra i genitori, e, dall’altro, quella consistente nell’assunzione automatica da parte dei figli del doppio cognome, del padre e della madre. In entrambe si pongono tuttavia delle varianti. Nella prima si tratta, ad esempio, di stabilire: a) se la scelta del cognome da trasmettere ai figli possa (o anzi debba) essere anticipata rispetto alla nascita del primo figlio e fatta coincidere già con il momento della costituzione del vincolo coniugale o di coppia, in particolare attribuendosi alla coppia la facoltà di scegliere il cognome che li 59 Va da sé che la scelta di un cognome del tutto estraneo ai componenti della coppia genitoriale è un’opzione che non può essere seriamente presa in considerazione de lege ferenda in quanto implica la negazione totale della pregressa storia familiare, traducendosi nella cancellazione dell’identità familiare dei figli vista nella sua proiezione verticale. Una simile opzione è ammessa in astratto in qualche ordinamento straniero dove non è, però, concretamente praticata e rimane quindi di fatto solo sulla carta (v. in particolare nel Regno Unito, in cui la legislazione – ovvero il Births and Deaths Registration Act 1953 – è estremamente liberale e non pone alcun vincolo rispetto alla scelta di uno o più dei cognomi dei genitori o anche di un cognome completamente differente: di regola i figli sono però registrati con il cognome del padre, più raramente della madre, e talora anche di entrambi, con o senza interposizione di un trattino tra i due). 1088 The best interest of the child rappresenti unitariamente (come già oggi è previsto per l’unione civile); b) inoltre, se detta scelta possa essere rinnovata, ed eventualmente mutata, per ciascun figlio oppure no; c) e, infine, che cosa accada in difetto di accordo tra i genitori, se cioè si debba prevedere oppure no una regola di prevalenza automatica di un cognome sull’altro. Nell’ambito della seconda opzione (doppio cognome assegnato inderogabilmente per legge), si può poi ragionare se la legge debba prevedere la precedenza automatica di un cognome rispetto all’altro, oppure lasciare all’accordo tra i genitori la scelta dell’ordine dei cognomi, salvo poi porsi, anche in questo caso, il problema di quale cognome debba essere anteposto in caso di difetto di accordo tra i genitori. Come anticipato, le due opzioni si possono peraltro combinare in una terza, come in parte avviene nella soluzione fatta propria – con tutti i limiti che si sono evidenziati – dalla Corte costituzionale italiana nella pronuncia del 2016, ed anche in quella che aveva prefigurato il d.d.l. unificato n. 1628 presentato nella XVII legislatura (e che è stata poi ripresa anche in molti dei d.d.l. presentati nella XVII legislatura: v. sopra, alla nota 58)60 e poi decaduto, ovvero nella soluzione che rimette ai genitori la possibilità tanto di scegliere un solo cognome, quanto di affiancare i due cognomi, creando quindi, ma solo su una base da entrambi condivisa, un doppio cognome. Guardando al panorama europeo, e limitandoci solo agli ordinamenti a noi più vicini, la prima è fondamentalmente la regola in vigore in Germania61. 60 Il d.d.l. n. 1628 contemplava, infatti, l’introduzione di un nuovo art. 143-quater c.c. così formulato: “(Cognome del figlio nato nel matrimonio). – I genitori coniugati, all’atto della dichiarazione di nascita del figlio, possono attribuirgli, secondo la loro volontà, il cognome del padre o quello della madre ovvero quelli di entrambi nell’ordine concordato. In caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. I figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente, portano lo stesso cognome attribuito al primo figlio. Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta”. Quanto ai figli nati del matrimonio, si proponeva l’applicazione della stessa regola nel caso di riconoscimento compiuto contemporaneamente da entrambi i genitori, modificando di conseguenza l’art. 262 c.c. 61 Nell’ordinamento tedesco, la disciplina dell’attribuzione del cognome ai figli si ricava dagli attuali §§ 1616 ss. BGB (come modificati dal Gesetz zur Neuordnung des Familiennamensrechts, Familiennamensrechtsgesetz del 16 dicembre 1993) e può essere così sintetizzata. Se i genitori sono sposati e portano un cognome di famiglia comune (o cognome coniugale: Ehename), il figlio assume il cognome comune (§ 1616 BGB). Se i genitori sono sposati (e hanno cognomi diversi), possono entro un mese dalla nascita scegliere come cognome del figlio il cognome del padre o il cognome della madre (§ 1617, comma 1, frase 1, BGB). Non sono ammessi doppi cognomi composti Cognome del minore e identità personale 1089 La seconda è invece la regola tradizionalmente applicata in Spagna, recentemente ribadita, con varianti, in più recenti riforme62. La terza è, nella sostanza, la regola vigente in Francia, in cui si prevede quindi che i genitori possano scegliere quale cognome trasmettere ai figli come anche adottare, ove lo vogliano, il doppio cognome63. 7. La scelta del cognome (unico o doppio) rimessa all’accordo tra i genitori La prima soluzione (cognome unico scelto dai genitori tra i propri cognomi) ha dalla sua l’indubbio vantaggio di apportare una netta semplificazione nel regime dei cognomi, e risponde peraltro ad un’esigenza tradizionalmente avvertita anche in Italia, dove i cognomi unici sono sempre stati la grande maggioranza, mentre i cognomi doppi (pur ammissibili, sebbene solo a determinate condizioni64) rappresentano dal cognome della madre e dal cognome del padre. Se i genitori non riescono a compiere una scelta entro il termine di un mese, il tribunale della famiglia concede a un genitore il diritto di scegliere un cognome. La regola è, invece, più complessa se i genitori non sono coniugati (v. sempre il § 1617). Si ricorda inoltre che il § 1355 BGB prevede che i coniugi stabiliscono un cognome di famiglia comune (Ehename) scelto tra i propri cognomi. In mancanza di scelta, ciascun coniuge continua a portare il proprio cognome di nascita. Il coniuge il cui cognome non sia scelto come cognome di famiglia può però scegliere, con dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile, di aggiungere o di anteporre il proprio cognome al cognome familiare. Come detto sopra, il doppio cognome così acquisito non si trasmette, tuttavia, ai figli. 62 Secondo la Ley 40/1999, de 5 de noviembre, sobre nombre y apellidos y orden de los mismos, i figli assumono il cognome di entrambi i genitori, secondo l’ordine da questi stabilito. Inizialmente, la legge prevedeva che, in caso di difetto di accordo sull’ordine di precedenza, la precedenza fosse automaticamente accordata al cognome paterno. Da ultimo, la disciplina è stata tuttavia modificata, nell’ambito della più ampia riforma del Registro civil (Ley 20/2011, de 21 de julio, del Registro Civil, che è entrata in vigore, per la parte che qui interessa, il 30 giugno 2017), stabilendosi che, se i genitori non stabiliscono l’ordine dei cognomi o non vi è accordo tra loro su quale debba essere, decorso il termine di tre giorni sarà l’ufficiale del Registro Civil a dover stabilire il predetto ordine. Il criterio che l’ufficiale dello stato civile deve seguire nel compiere questa delicata scelta è quello del interés superior del menor. 63 La relativa disciplina è contenuta nella Loi no 2003-516 du 18 juin 2003 relative à la dévolution du nom de famille, applicabile a tutti i nati dopo il 1° gennaio 2005. 64 Come già ricordato, la procedura per il cambiamento del cognome prevista dal d.P.R. n. 396/2000, così come è stato modificato dal citato d.P.R. n. 54/2012, può essere, infatti, impiegata anche per aggiungere al cognome paterno quello materno, quando ricorrano valide ragioni (v. in tal senso Consiglio di Stato, 27 aprile 2004, n. 2572, che attribuisce rilievo anche a ragioni di ordine affettivo o sentimentale). La richiesta può tuttavia essere accolta o negata dal prefetto, ferma, in caso di diniego, la possibilità di ricorso di fronte al Tribunale. 1090 The best interest of the child l’eccezione, essendo attribuiti generalmente solo ai figli nati fuori del matrimonio (e negli stretti limiti di cui all’art. 262, comma 2°, c.c.). Tuttavia, la regola del consenso, se astrattamente garantisce l’apporto egualitario di entrambi i componenti della coppia nella decisione, consentendo che la scelta possa cadere indifferentemente sul cognome del padre o su quello della madre, si rivela inidonea, o comunque scarsamente efficace in concreto, rispetto all’obiettivo di promuovere un utilizzo effettivamente paritario dei cognomi di entrambe le linee genitoriali. A dispetto dell’apertura a decisioni condivise, resta, infatti, altamente probabile che, in una società fortemente impregnata dal privilegio patrilineare, radicato con forza nella tradizione, la maggior parte delle coppie, posta di fronte alla richiesta di compiere una scelta consensuale, continui ad orientarsi – sia pure in modo formalmente condiviso – per la perpetuazione del solo cognome paterno65. Considerazioni del tutto analoghe possono valere, d’altronde, pure per il caso (corrispondente alla terza ipotesi sopra individuata) in cui la legge estendesse il potere di scelta anche al doppio cognome, come opzione alternativa al cognome singolo. Anche in questo caso, infatti, è prevedibile che l’apertura ad un impiego paritario di entrambi i cognomi resti tale solo sulla carta, rimanendo l’opzione per il doppio cognome recessiva nell’uso comune. Inoltre, la regola basata sul consenso – comunque declinata (sia che si riferisca alla scelta di un solo cognome, sia che si apra anche alla scelta di un cognome doppio66) – rischia di aprire la strada a dissidi interni al nucleo familiare proprio nel momento più delicato per la vita 65 L’esperienza tedesca dimostra, del resto, che, quando si lascia ai genitori la facoltà di scegliere sulla base della regola del consenso, la scelta si orienta prevalentemente per il rispetto della tradizione, per l’assunzione quindi del solo cognome paterno. Si ricordi che in Germania il figlio nato nel matrimonio assume il cognome di famiglia, se i genitori ne hanno scelto uno, oppure il cognome che viene scelto al momento della nascita, senza che sia possibile attribuire al figlio un doppio cognome. Ebbene, da un recente studio della Gesellschaft für deutsche Sprache (GfdS) è emerso che solo il 6 per cento delle coppie sceglie come nome di famiglia quello della moglie, mentre il 75 per cento sceglie quello del marito, che è quindi quello che si trasmette in genere ai figli (ne dà conto la Suddeutsche Zeitung del 19 dicembre 2018, Nur sechs Prozent aller Paare entscheiden sich für den Namen der Frau, in www.suddeutsche.de; le percentuali restanti si dividono tra coppie che non scelgono alcun cognome familiare, conservando ciascun componente il proprio cognome, e i casi di coppie in cui un coniuge aggiunge al cognome familiare anche il proprio cognome, che però, come anticipato, non si trasmette ai figli). 66 Ma il problema, come diremo nel paragrafo seguente, si pone anche nel caso in cui ai genitori spetti solo di scegliere l’ordine dei cognomi all’interno di un cognome doppio attribuito per legge. Cognome del minore e identità personale 1091 di una famiglia, ossia quello in cui, allargandosi il nucleo originario ad accogliere un nuovo componente, peraltro particolarmente bisognoso di affetto e di attenzioni, la famiglia esige il massimo possibile di unità ed armonia. Non è dunque da escludere che la regola del consenso, per una sorta di eterogenesi dei fini, possa rivelarsi essa stessa causa scatenante di conflitti familiari poi difficilmente sanabili67, evidenziando un contrasto con l’esigenza di unità familiare espressa nell’art. 29 Cost. In ogni caso, quel che pare decisivo è che la regola del consenso, ove si declini specificamente nel senso di imporre la scelta di un solo cognome tra quelli dei due componenti della coppia, comporta la defalcazione di una parte della storia familiare, e priva quindi i figli di una componente essenziale della propria immagine familiare, non solo mortificando la pienezza della loro identità familiare68, ma anche contraddicendo l’esigenza di unità della famiglia. L’unità della famiglia dev’essere intesa, infatti, non come mero scrupolo formale, da ritenersi soddisfatto per il solo fatto che sia sempre lo stesso cognome a trasmettersi da una generazione all’altra. Al contrario, l’unità familiare esprime un valore sostanziale, il quale esige, in particolare, che il cognome offra una rappresentazione il più possibile 67 Per questa ragione, ove si preferisse adottare una regola siffatta, sarebbe comunque opportuno separare il momento della manifestazione del consenso rispetto a quello della nascita dei figli, anticipandolo ad una fase antecedente, che potrebbe essere anche quella della celebrazione del matrimonio. In consonanza con questa idea si pongono le riflessioni di G. Ballarani, Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli (ddl n. 1628), in Dir. fam. e pers., p. 741 ss. (il contributo riproduce il testo dell’Audizione informale resa dall’A. nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi, reperibile in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, p. 17, in senato.it.), il quale, rilevato come la scelta del cognome possa generare conflittualità fra i coniugi, ritiene opportuno “rimettere ai nubendi la scelta del cognome dei figli nella fase prematrimoniale, anziché al momento eventuale della nascita del primo figlio”, e ciò “in linea con l’esigenza di garantire l’unità familiare così come espressa in Costituzione”. 68 Che l’identità del figlio si debba misurare anche con la sua capacità di identificarsi nelle proprie origini familiari è evidenziato anche da G. Ballarani, Disposizioni in materia, cit., p. 741 s., il quale osserva come “il contenuto minimo essenziale della identità personale di qualunque individuo sia indissolubilmente ancorato alle proprie origini e da queste non possa discostarsi, se non a costo di negarne in radice il fondamento; ed è, del pari, di ogni evidenza come il contenuto minimo delle origini sia ancorato, a sua volta, alle tradizioni e alle radici familiari, altrettanto evidente è come la richiamata esigenza ordinamentale di garanzia dell’unità familiare non possa esaurirsi nel solo contesto del rapporto fra i coniugi, ma debba piuttosto leggersi come proiettata anche nel senso della continuità della famiglia e delle tradizioni sue proprie”. L’A. giunge, tuttavia, a conclusioni differenti quanto alla regola che meglio potrebbe soddisfare questa esigenza (v. infra). 1092 The best interest of the child completa dell’effettiva realtà familiare, indicativa dunque di entrambe le linee che convergono nel dare vita al singolo nucleo familiare69: punto, questo, ben colto, come si è anticipato, dalla Corte costituzionale italiana nella pronuncia n. 286 del 2016 (sia pure con una soluzione che, per altri versi, è parziale e insoddisfacente). In aggiunta a queste considerazioni si pone il rilievo che la scelta dei genitori deve essere orientata al perseguimento del migliore interesse del minore70, ed è indubbio che tale interesse non sia adeguatamente perseguito da una scelta che priva il minore di una parte così rilevante della sua complessiva identità familiare71. Né ci pare, tuttavia, in grado di ovviare a questo inconveniente la soluzione intermedia adottata in Francia (e in parte esistente ora anche in Italia per effetto della citata pronuncia della Corte costituzionale), ovvero quella di lasciare i genitori liberi di scegliere tanto un cognome unico quanto il doppio cognome. A parte il “disordine” che può derivare dall’eterogeneità delle scelte che verrebbero a divergere sensibilmente da una famiglia all’altra, in un sistema (quello di attribuzione del cognome) che dovrebbe invece essere informato a certezza, omogeneità e uniformità72, rimane infatti fermo che anche con una 69 Proseguendo idealmente il ragionamento già svolto dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2016, secondo cui è “l’eguaglianza tra i coniugi che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo” (v. già sent. n. 133 del 1970), si può osservare che l’unica regola che assicura piena eguaglianza nella trasmissione del cognome ai figli, e che dunque realizza in massimo grado l’esigenza di unità della famiglia, è quella che prevede l’attribuzione ai figli di entrambi i cognomi, senza sacrificarne nessuno sull’altare dell’unità. La regola dell’accordo è, da questo punto di vista, meno tutelante, anche perché dove si richiede l’accordo ben può insinuarsi il disaccordo e, quindi, il germe della frantumazione dell’unione. 70 V. l’art. 3, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. 71 Sono condivisibili, in proposito, le considerazioni di S. Schivo, Audizione informale nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, p. 43, per la quale “non si comprende (…) come la scelta di identificare la prole con il cognome di uno solo dei genitori possa ritenersi un atto di esercizio della responsabilità genitoriale adeguato a tutelare l’interesse del minore”, posto l’interesse di quest’ultimo “al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità attraverso l’identificazione con il cognome di entrambi i genitori”; non è possibile, infatti, ritenere che la responsabilità genitoriale “attribuisca ai genitori il diritto di compiere scelte anche contrarie alla piena ed effettiva realizzazione dei diritti dei minori, primo fra tutti quello della propria identità personale”. 72 Di soluzione farraginosa ed estranea al sentire comune discorre, in particolare, M. Cognome del minore e identità personale 1093 soluzione siffatta vi sarebbero figli che, per scelta dei loro genitori, sarebbero privati di quella completa rappresentazione della loro identità familiare che si è sin qui auspicata come piena realizzazione del diritto all’identità personale73. 8. La soluzione (preferibile) dell’attribuzione del doppio cognome per previsione inderogabile di legge Alla luce delle considerazioni che precedono, è giocoforza concludere che la preferenza del legislatore debba cadere sul regime di attribuzione ope legis e con previsione inderogabile del doppio cognome, unica soluzione, tra le tante possibili, che garantisce la piena uguaglianza all’interno della coppia e la più completa rappresentazione delle due storie familiari che nel nuovo nucleo familiare si uniscono, pienamente rispondendo anche al principio di bigenitorialità74. Non è, per la verità, una soluzione priva di inconvenienti. Paradiso, I rapporti personali, cit., p. 156 s. 73 Di diverso avviso T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 129 s., il quale, riferendosi alla soluzione adottata dalla Corte costituzionale nel 2016, osserva che “l’obiezione di farraginosità della soluzione dal punto di vista pratico ed estranea al sentire comune, va stemperata in quanto nei rapporti sociali la coppia (coniugata o unita civilmente) sarebbe libera di adottare la soluzione più rispondente alle proprie esigenze, ma dal punto di vista dei principi si introdurrebbe un segnale forte riguardo alla tutela dell’uguaglianza dei suoi componenti”. A nostro avviso, detto segnale potrebbe però essere ben più forte e risolutivo se la legge optasse direttamente per l’imposizione del doppio cognome come regola inderogabile, senza fondare tale scelta sulla mera eventualità dell’accordo né correre il rischio (gratuito) del disaccordo. 74 E. Al Mureden, Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in Fam. dir., 2016, p. 977. Il principio di bigenitorialità è, in particolare, alla base di quelle pronunce che applicano l’art. 262, comma 4°, c.c., nel senso di privilegiare la soluzione della giustapposizione dei cognomi della madre e del padre, in luogo della sostituzione del cognome paterno a quello materno. V., per tutte, Cass., 5 luglio 2019, n. 18161, la quale ha ritenuto insindacabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di optare, fra le possibilità previste dall’art. 262 c.c., comma 2, per la anteposizione del cognome paterno fondando le ragioni di tale scelta sull’intento di “salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l’attribuzione del cognome, il valore della bigenitorialità e negare invece un rilievo al collocamento del minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori”. Si tratta, ha osservato la Corte di legittimità, di “una scelta, chiaramente motivata, che consente al minore di rendere percepibile all’esterno la filiazione da entrambi i genitori e che nell’anteporre anziché aggiungere il cognome paterno ha voluto preservare il minore da una raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori. Una opzione quest’ultima che non può evidentemente ritenersi soggetta al sindacato giurisdizionale di legittimità”. 1094 The best interest of the child Quello più vistoso, ma non per questo insuperabile, è la rottura della tradizione75 che una regola siffatta comporterebbe ove introdotta in Italia. Non ci sembra, tuttavia, che questo pur importante aspetto possa giustificare il sacrificio di istanze superiori, quali quelle dell’uguaglianza e dell’identità personale. D’altronde, la società italiana ha già vissuto momenti di traumatica rottura della tradizione a seguito di mutamenti repentini di legislazione, senza che questo abbia impedito il formarsi, anche in tempi relativamente brevi, di nuovi costumi maggiormente in linea con i ripensati fondamenti del sistema giuridico76. Non va poi dimenticata la fondamentale funzione promozionale del diritto77, che, lì dove necessario, non deve esitare a porsi come motore di innovazione positiva nella società. 75 A questo tema si mostra particolarmente sensibile G. Ballarani, Disposizioni in materia, cit., p. 746, il quale evidenzia come siano “gli stessi principi costituzionali di ragionevolezza e di proporzionalità ad imporre al legislatore così come all’interprete (…) prudenza nella riflessione e continenza nell’intervento, nella consapevolezza che l’attribuzione di nuovi diritti è un percorso univoco e irreversibile anche a fronte di macroscopiche contraddizioni di sistema spesso determinate da una riflessione sommaria connessa ad una eccessiva spinta verso un rapido adeguamento del piano normativo ai nuovi paradigmi che, con sempre maggiore frequenza, emergono nel contesto europeo”. Movendo da queste premesse, l’A. preferisce proporre una soluzione che rimetta all’accordo tra i coniugi (anticipato però all’atto della celebrazione delle nozze) la scelta del cognome familiare composto dai loro cognomi paterni nell’ordine fra di loro concordato, ma che altresì, in caso di mancata scelta, preveda l’applicazione del criterio legale della precedenza del cognome maritale su quello della moglie (ferma, infine, la possibilità per i coniugi di rappresentare all’ufficiale di stato civile la volontà di mantenere il solo cognome del marito, in conformità con la “tradizione giuridica coniugale”). Secondo l’A., una simile previsione, “lungi dal poter essere tacciata di profili discriminatori, (…) ha pieno senso solo a voler considerare come, in un contesto futuro, ma prossimo, di vigenza esclusiva del doppio cognome, i figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti solamente da un genitore sarebbero immediatamente identificabili e qualificabili come tali in quanto portatori di un solo cognome, potendosi per tal via ipotizzare un implicito profilo discriminatorio e, del pari, una contrarietà alle garanzie di eguaglianza così come attuate dal legislatore del 2012 con riguardo alla unicità dello stato di figlio”. La soluzione, per quanto ampiamente argomentata, non sembra tuttavia accoglibile, sia per l’eccessivo peso che attribuisce alla tradizione rispetto all’istanza di uguaglianza tra i coniugi, sia perché, nel paventare una possibile discriminazione tra figli, non tiene conto di come la regola del doppio cognome, almeno una volta entrata a regime, implichi che anche il figlio nato fuori del matrimonio e riconosciuto da un solo genitore acquisti in ogni caso un doppio cognome, ovvero il doppio cognome del genitore che lo ha riconosciuto: non si vede, dunque, come il doppio cognome possa essere fonte di discriminazione al riguardo. 76 Si pensi all’introduzione dell’istituto del divorzio o all’equiparazione completa tra i figli o, ancora, più di recente, al riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. 77 V. N. Bobbio, Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. Cognome del minore e identità personale 1095 Sotto questo specifico profilo, si rafforza la convinzione che in questa materia lo spazio da riservare alla libera scelta dei componenti della coppia non debba essere sopravvalutato nella sua portata taumaturgica, potendo l’affermarsi di condotte concretamente attuative dei principi fondamentali dell’ordinamento meglio essere garantita, almeno in questo caso, da automatismi affidati all’operare di norme inderogabili di legge78. All’inconveniente appena descritto se ne aggiunge semmai un altro, meno appariscente ma più insidioso, ovvero il dato per cui la regola di attribuzione inderogabile del doppio cognome non consente di dare conto in modo completo dell’unità della famiglia nel passaggio da una generazione all’altra. È, infatti, evidente che, ove accolta dall’ordinamento, la regola del doppio cognome dovrebbe accompagnarsi ad una regola che, nella generazione successiva, consenta la trasmissione ai nipoti di uno soltanto dei cognomi che compongono la coppia del cognome di ciascun genitore, dovendosi per ovvie ragioni evitare un allungamento esponenziale dei cognomi tra una generazione e l’altra79. Sennonché, questa soluzione – di per sé inevitabile perché fondata sul buon senso – porta comunque i figli ad acquisire un cognome (doppio) diverso dai cognomi (doppi) dei propri genitori e così via a proseguire con le generazioni successive che progressivamente si distaccheranno sempre di più dai cognomi dei loro avi.80 Nonostante questi inconvenienti, ci sembra tuttavia che la regola di attribuzione automatica e inderogabile del doppio cognome rappresenti un compromesso ragionevole, che, pur non consentendo neanch’essa la realizzazione piena dell’esigenza di unità familiare, garantisce, rispetto alle altre regole possibili, il minor sacrificio di tale esigenza (limitato comunque soltanto alla sua proiezione verticale nel 1312 ss. 78 Come è dimostrato dal constatato fenomeno di fuga dalla comunione legale tra coniugi, istituto introdotto anch’essa proprio allo scopo di consentire l’attuazione concreta del principio di uguaglianza morale e materiale tra coniugi, la promozione di comportamenti virtuosi non sempre si concilia con l’attribuzione di spazi ampi di libertà agli individui. 79 È questo l’argomento di buon senso che, insieme ad altri, ha portato il Bundesverfassungsgericht tedesco a ribadire il divieto per i genitori di attribuire ai figli cognomi doppi o composti (BverfG, Urteil vom 30. Januar 2002, 1 BvL 23/96). 80 Si crea in tal modo comunque una discontinuità (almeno parziale) tra le generazioni e si rende più difficile (anche se non impossibile) cogliere l’unità della famiglia nel passaggio da una generazione all’altra. 1096 The best interest of the child passaggio tra più generazioni) insieme al più ampio grado di attuazione del diritto all’identità personale di tutti i componenti il nucleo familiare e di garanzia dell’uguaglianza tra i genitori. 9. Il criterio per selezionare quale cognome, tra i due che compongono il doppio cognome, si trasmette alla generazione successiva Nella prospettiva di rendere la regola allo stesso tempo più efficiente e massimamente allineata con i principi generali, ci si può in ogni caso interrogare su quale sia il meccanismo più adatto per regolare al meglio la selezione di quale cognome, tra i due che compongono il doppio cognome, si debba trasmettere ai discendenti della generazione successiva. Sono in astratto possibili varie combinazioni. Si può, ad esempio, immaginare che la scelta della posizione dei due elementi sia rimessa ai genitori e che ad essa segua la trasmissione automatica solo del primo elemento ai nipoti, senza possibilità di alcuna scelta ulteriore da parte dei figli. In alternativa si può lasciare che la posizione dei due elementi sia decisa sulla base di una regola automatica che prescinde dal consenso (ad es., precedenza al cognome del padre o a quello della madre, ordine alfabetico, sorteggio, ecc.) e vi sia quindi, anche in questo caso, l’automatica trasmissione solo del primo elemento. Infine, è anche possibile che la scelta della posizione sia rimessa ai genitori e che si lasci però ai figli la possibilità di scegliere quale dei due elementi trasmettere ai nipoti, anche a prescindere dall’ordine originario. La soluzione che prevedesse sempre – ossia come criterio inderogabile – la prevalenza di un dato cognome (quello paterno o quello materno) sull’altro riprodurrebbe, nella sua rigidità, le stesse preoccupazioni sul piano del rispetto dell’uguaglianza tra i due rami genitoriali che portano a preferire, in generale, la regola del doppio cognome rispetto a quella del cognome unico (v. supra). Il criterio che privilegia l’ordine alfabetico, per quanto neutrale rispetto alla scelta del ramo paterno o di quello materno, non sembra invece adeguato per altre ragioni. L’ordine alfabetico (al pari di un criterio basato sul sorteggio) è regola senz’altro conforme al principio di eguaglianza81; tuttavia, se a questa si associasse la regola che implica 81 V. A. Sassi – S. Stefanelli, Audizione informale nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 Cognome del minore e identità personale 1097 trasmissione ai figli solo del primo cognome, si avrebbe un’ingiustificata discriminazione nel tempo dei cognomi che sono collocati più in basso nell’ordine alfabetico e che sarebbero, in quanto tali, sempre recessivi82. Alla luce di queste considerazioni, almeno in questo ristretto ambito, ossia sul piano specifico della scelta dell’ordine dei due cognomi (decisivo per la trasmissione del primo dei due cognomi ai figli), la soluzione preferibile sembra essere quella che attribuisce massima possibilità di scelta dell’ordine dei cognomi ai genitori83. Infatti, una volta garantita la presenza di entrambi i cognomi, e garantita dunque l’uguaglianza nella rappresentazione dei due rami genitoriali nella formazione del cognome del figlio, la posizione del cognome all’interno del doppio cognome e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, in senato.it., p. 36 s.: “La regola dell’ordine alfabetico consente di garantire l’eguaglianza tra i genitori, in quanto ne garantisce il pari trattamento senza distinzione di sesso (art. 3 Cost.)”. 82 Con il rischio che possano finanche gradualmente scomparire dall’uso comune. 83 Se si accoglie questa prospettiva, si ripropone il problema del momento in cui collocare la scelta dell’ordine tra i cognomi. Anche questa scelta, sia pure ridimensionata nella sua portata perché limitata solo all’ordine interno al doppio cognome, potrebbe infatti essere occasione di conflitti. Ciò considerato, è dunque preferibile anticiparla al momento del matrimonio, semmai consentendone la modifica successiva prima della attribuzione del (doppio) cognome al primo figlio. Si tratta, però, ulteriormente di stabilire se la scelta anticipata debba intendersi anche come scelta obbligata di un cognome familiare, in particolare, per le ragioni dette, nella forma del doppio cognome costituito dai primi cognomi dei due coniugi, da compiersi dunque a prescindere dall’esigenza di individuare il cognome da trasmettere ai figli. Non sembra essere questo, per la verità, un esito inevitabile. La nostra tradizione va, per contro, nella direzione di riconoscere la possibilità di conservazione da parte di ciascun coniuge del proprio cognome, almeno sotto il profilo anagrafico, l’esperienza dimostrando che una simile regola non inficia l’unità della famiglia e sottolinea l’autonomia della posizione di ciascun coniuge (v., sul punto, T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 128, il quale richiama anche la regola vigente in Germania, che, pur imponendo ai coniugi la scelta di un cognome comune, prevede come unica conseguenza del mancato adempimento di questo dovere che ciascun coniuge continua a portare il suo cognome di nascita). Per garantire l’uguaglianza tra i coniugi si potrebbe al più estendere anche al marito la regola secondo cui la moglie può aggiungere al proprio cognome quello del coniuge (art. 143 bis c.c.), preferibilmente specificando però sia, in primo luogo, che si tratta di una facoltà e non di un obbligo sia, in secondo luogo, che detta scelta non ha conseguenze sul piano anagrafico, oppure, nell’ottica dell’introduzione del doppio cognome, prevedere la facoltà per gli stessi, ma non l’obbligo, di adottare un doppio cognome formato dall’unione dei propri (primi) cognomi. V. anche T. Auletta, Commento all’art. 1, comma 10, cit., p. 128, per il quale de iure condendo sarebbe ragionevole estendere ai coniugi la soluzione introdotta dall’art. 1, comma 10°, l. n. 76/2016 per le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, consentendo però anche la scelta di un doppio cognome quale cognome comune della famiglia. 1098 The best interest of the child diviene un dato a ben vedere secondario e tendenzialmente neutro, che ben può essere rimesso alla scelta concorde dei genitori84. Ragioni di opportunità portano, per contro, ad escludere che l’individuazione della parte del doppio cognome che si trasmette ai nipoti possa essere rimessa in gioco dai figli stessi, a cui sia consentito di prescindere dall’ordine stabilito dai genitori (mentre agli stessi rimarrebbe sempre la scelta, in sede di determinazione del doppio cognome dei propri figli, dell’ordine in cui il loro primo cognome si debba collocare rispetto al primo cognome del rispettivo coniuge). Una simile soluzione moltiplicherebbe, infatti, a dismisura le variabili relative alle combinazioni possibili di cognomi, conferendo eccessiva incertezza al sistema (e allentando la stessa riconoscibilità dell’unione familiare nel tempo)85. La preclusione di ulteriori scelte conferisce, dunque, maggiore prevedibilità al sistema, altresì evitando ai figli decisioni comunque difficili da prendere sul piano degli affetti. In questa prospettiva che valorizza sì il consenso tra i genitori ma lo fa in misura fortemente ridimensionata, ossia non sul piano della scelta tra cognome unico e cognome doppio, ma esclusivamente sotto il profilo della scelta dell’ordine tra i due (primi) cognomi86, si ripropone però comunque la necessità di individuare una regola alternativa applicabile in caso di difetto di accordo sull’ordine. 84 Come già detto, è altamente probabile che, se si lascia la libertà di scelta, la gran parte delle coppie opti per la soluzione più vicina alla tradizione ossia per anteporre il cognome paterno a quello materno. Riteniamo però che questo sia un vulnus tutto sommato accettabile all’esigenza di garanzia dell’uguaglianza, che, nella misura in cui non incrina in alcun modo l’identità personale (perché comunque entrambi i cognomi sono rappresentati) è in linea con il dettato dell’art. 29, comma 2, Cost. Non sarebbe così se la scelta fosse per un cognome unico, perché in questo caso, come si è già rilevato, vi sarebbe invece il sacrificio di una componente della storia familiare. 85 V. sul punto anche S. Schivo, Audizione informale, cit., p. 45, in commento critico ai commi 3° e 4° dell’art. 1 del d.d.l. n. 1628 che appunto prevedevano una regola siffatta. L’A. osserva peraltro come sia irragionevole porre a carico dei figli l’onere di stabilire quale dei due rami genitoriali sacrificare e quale far sopravvivere nel tempo, mettendoli di fronte ad un irrisolvibile (e finanche crudele) conflitto di affetti, contrario, in definitiva, proprio all’esigenza di unità familiare. 86 In sintesi, se Tizio, che porta il cognome AB (per ordine scelto dai suoi genitori), e Caia, che porta il cognome CD (sempre per ordine scelto dai suoi genitori), sono chiamati a decidere il proprio cognome familiare o comunque il cognome dei propri figli, essi avranno la possibilità di scegliere se adottare il doppio cognome AC o CA (ma non, ad es., i cognomi BD o BC o DB…) e l’ordine da loro scelto farà sì che i loro figli potranno trasmettere ai nipoti (nell’ordine da loro deciso rispetto al primo cognome del loro coniuge) solo, rispettivamente, il cognome A o il cognome C (e non anche il secondo dei due elementi della coppia di cognomi). Cognome del minore e identità personale 1099 Non convince, al riguardo, la soluzione adottata in Spagna a partire dalla riforma del Registro civil (ed entrata in vigore nel 2017), ossia quella che, in caso di difetto di accordo, rimette all’ufficiale dello stato civile la facoltà di scegliere l’ordine dei cognomi sulla base del criterio del superiore interesse del minore. Una siffatta soluzione finisce, infatti, per rimettere un’ampia – e difficilmente giustificabile – discrezionalità agli ufficiali di stato civile rispetto a una questione che, pur coinvolgendo anche interessi pubblici, attiene primariamente alla tutela di interessi personalissimi degli interessati, rispetto alle quali non sembra immaginabile una delega all’ufficiale dello stato civile, che apre peraltro la strada a decisioni irrazionali o comunque ispirate a criteri eccessivamente variabili da caso a caso87. Rimangono dunque solo due opzioni possibili: quella di adottare, almeno in questo più ristretto ambito di efficacia (ossia come criterio sussidiario, applicabile solo in caso di difetto di scelta, e non già come criterio primario inderogabile), il criterio alfabetico; oppure in alternativa, quella di dare precedenza, nuovamente solo in questo ristretto ambito, sempre al (primo) cognome paterno88 o sempre al (primo) cognome materno89. 87 La scelta potrebbe essere fondata, ad esempio, su esigenze di eufonia, di tradizione familiare, di riconoscibilità pubblica del cognome, o su evidenze statistiche, ma è agevole comprendere che qualsiasi motivazione fosse offerta dall’ufficiale dello stato civile si presterebbe, per la sua intrinseca opinabilità, ad essere sindacata in giudizio come arbitraria. 88 La soluzione che privilegia il cognome paterno (fino al 2017 regola vigente in Spagna in caso di difetto di scelta), seppur non pienamente conforme al principio di uguaglianza, si potrebbe forse – ma il condizionale è d’obbligo, data la delicatezza della materia – accettare come residuo (e residuale) ossequio alla tradizione familiare italiana. Ed infatti, se è certamente irragionevole – come sopra si è evidenziato – assegnare priorità al rispetto della tradizione prevedendo che, in assenza di accordo sulla scelta doppio cognome, sia automatica la trasmissione del solo cognome paterno come cognome unico, perché questo comporterebbe un vulnus irrimediabile al principio di eguaglianza, non altrettanto sembra potersi affermare con riguardo all’ipotesi di cui qui si sta discorrendo, ossia quella di un impiego solo residuale ed estremamente contenuto del criterio di precedenza del cognome paterno all’interno di una regola comunque basata sulla trasmissione di entrambi i (primi) cognomi delle due linee genitoriali ai primi figli. Una regola di questo tipo non impedisce che, nel rapporto tra i coniugi, entrambi vedano rappresentato il proprio cognome come cognome della coppia e lo trasmettano ai figli e, nella prospettiva di questi ultimi, che i figli stessi si vedano correttamente rappresentati nelle linee di entrambi i genitori. La prevalenza del cognome paterno varrebbe solo per stabilire un ordine su cui non vi è accordo ma garantirebbe l’unità della famiglia sulla base di un criterio di rispetto della tradizione in sé preferibile rispetto ad una logica puramente alfabetica, che comporterebbe invece il depauperamento progressivo della varietà dei cognomi. 89 Una soluzione siffatta, pur sacrificando la tradizione, consentirebbe di perseguire 1100 The best interest of the child Bibliografia Al Mureden E., L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio in Fam. dir., 2017, p. 213; in Corr. giur., 2017, p. 165. Auletta T., Diritto di famiglia, Torino, 2014, p. 358 Auletta T., I rapporti personali tra uniti civilmente, in Juscivile, 2017, 4, p. 282 Ballarani G., Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli (ddl n. 1628), in Dir. fam. e pers., p. 741 ss. Bianca C.M., Diritto civile, 2.1. La famiglia6, Milano, 2017, p. 50; p. 362 Bobbio N., Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 1312 ss. Carbone V., Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo, in Corr. giur, 2017, p. 165 Carraro L., Della filiazione naturale e della legittimazione, in G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi (cur.), Commentario al diritto italiano della famiglia, IV, Padova, 1992, p. 146 De Cicco M.C., Cognome della famiglia e uguaglianza fra coniugi, in Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2011, p. 1016 ss. De Filippis B. – Casaburi G., La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2000, p. 488 Dolso G.P., La questione del cognome familiare tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., 2014, p. 738 ss. Favale. R., Il cognome dei figli e il lungo sonno del legislatore, in Giur.it., 2017, p. 815 Favilli C., Il cognome tra parità dei genitori ed identità dei figli, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 818 Ferrando G., La filiazione naturale e la filiazione2, in Dir. fam., 1995, p. 1026 Ferrando G., La filiazione naturale e la filiazione2, in Trattato Rescigno, Torino, 1997, 4, III, p. 256 Figone A., La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, p. 11 Finocchiaro M., Diritto famiglia, II, Milano, 1975, p. 1747 ss. Gatto A., Cognome del figlio riconosciuto, in M. Bianca (cur.), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 33 ss. Giardina f., Il cognome del figlio e i colti dell’identità. Un’opinione “controluce”, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 139 ss. Mantovani M., sub art. 262, in Commentario breve al c.c. Cian-Trabucchi10, Padova, 2014, p. 357 al massimo un’esigenza in ogni caso meritevole anch’essa di ampia considerazione, ossia quella di valorizzare (e premiare, anche se solo sotto un profilo residuale – e tutto sommato marginale – del generale regime di attribuzione dei cognomi) il ruolo centrale della madre nella procreazione, in particolare in considerazione della funzione insurrogabile che la stessa riveste come gestante e prima nutrice nei primi mesi di vita del bambino. Cognome del minore e identità personale 1101 Moretti M., Il cognome coniugale, in Trattato di diritto di famiglia, Torino, 2016, I, p. 789 Paradiso M., I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile. Commentario, Milano, 2012, p. 155 Sassi A. – Stefanelli S., Audizione informale nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, in senato.it., p. 36 ss. Schivo S., Audizione informale nell’ambito dei disegni di legge n. 1628 e connessi (disposizioni sul cognome dei figli), in Raccolta contributi. Audizioni sul d.d.l. n. 1628 e connessi, p. 43 Stanzione M.G., Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015, p. 12 ss. Stefanelli S., Diritto all’identità, in A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, Le persone e la famiglia, 4, La filiazione e i minori, in Trattato di dir. civ., Torino, 2018, p. 450 ss. Stefanelli S., Illegittimità dell’obbligo del cognome paterno e prospettive di riforma, in Fam. dir., 2014, p. 224 Tommasini R., sub art. 143 bis, in Commentario del codice civile, Torino, 2010, p. 449 s. Trimarchi M., Il cognome dei figli: un’occasione perduta dalla riforma, in Fam. dir., 2013, p. 243 ss. Troiano S., Unioni civili e ordinamento dello stato civile dopo il d.lgs. 19 febbraio 2017, n. 5 (prima parte), in Studium iuris, 2017, p. 951 ss., e (seconda parte), in Studium iuris, 2017, p. 1124 ss. Villa G., Gli effetti del matrimonio, in Il diritto di famiglia, Torino, 2007, I, p. 346 Zatti P., Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, Torino, 1996, III, p. 71 Zencovich Zeno V., Identità personale in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 294 ss. parte viii L’interesse del minore alla continuità affettiva Contraddizioni e criticità del principio della continuità affettiva nei procedimenti di adozione: continuità affettiva e affido familiare Alida Montaldi Prima di trattare il tema specifico del mio intervento, mi pare interessante raccogliere uno degli spunti di riflessione offerti dal relatore che mi ha preceduto, circa la distinzione tra la valutazione del superiore interesse del minore operata dal legislatore a livello di sistema normativo e la valutazione dell’interesse del minore operata dal giudice in sede di applicazione al caso concreto delle norme di tutela. A questo riguardo mi preme infatti evidenziare che proprio nel confronto, continuo e pregnante, tra questi due piani di valutazione del superiore interesse del minore si radica la specificità delle funzioni del giudice minorile. Questi, in particolar modo nell’applicazione delle norme della legge n. 184/83, volte alla tutela della condizione del minore “a rischio” di abbandono o in stato d’abbandono conclamato, ma anche di quelle relative all’adozione nazionale e internazionale, si trova ad esercitare l’ampia discrezionalità conferitagli da quelle norme proprio per adeguare alle specifiche connotazioni del caso concreto la tutela riconosciuta in via generale. Si tratta di spazi di discrezionalità molto ampi, di volta in volta “gestiti” in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto e non solo dal giudice, giacché la legge n. 184/83 coinvolge più istituzioni negli interventi a tutela dei minori in condizione di disagio familiare, interventi che possono e devono essere effettuati in suo favore nell’ambito della famiglia d’origine, presso un nucleo affidatario o presso strutture di accoglienza o infine, a seguito dell’accertamento del suo stato di abbandono, nell’ambito di una famiglia adottiva. La realizzazione in concreto della tutela prevista dal legislatore con la legge sull’adozione prevede infatti l’attivazione di una “rete” di cui fanno parte, oltre all’autorità giudiziaria, i servizi sociali del territorio, il tutore, pubblico oppure privato, il curatore speciale ed il difensore 1106 The best interest of the child del minore, ove nominati, a ciascuno dei quali è attribuita la responsabilità di valutare o contribuire a valutare quale sia, in concreto, il superiore interesse del minore destinatario di quella tutela. Aggiungo che anche dalla giurisprudenza di legittimità e di legittimità costituzionale che ha riguardato questa normativa emergono con evidenza sia l’esigenza che la obiettiva difficoltà di ricondurre a “sistema” l’interpretazione delle norme a tutela della condizione minorile, proprio in ragione degli ampi spazi di discrezionalità riconosciuti al giudice nella loro applicazione con riguardo alle specifiche connotazioni del caso concreto. Venendo all’oggetto specifico del mio intervento, non vi è dubbio che la tutela della continuità affettiva continua a presentare, nel “sistema” di norme delineato dalla legge n. 184/83, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 173/15, contraddizioni e criticità, le quali richiedono chiarezza proprio nel definire alcune esigenze di tutela “in concreto”, al fine di favorire una interpretazione ed applicazione, almeno tendenzialmente, uniformi delle norme di tutela. L’intervento del legislatore del 2015 ha avuto il merito di riconoscere e tutelare un’esigenza emersa nella prassi giudiziaria con riguardo alle relazioni significative che si instaurano tra minori e famiglie affidatarie, ma lo ha fatto avendo riguardo all’istituto dell’affidamento “tipico”, disciplinato nell’art. 4 della legge n. 184/83. Il complessivo sistema di tutela contenuto nella legge sull’adozione, nella sua pratica applicazione, mette tuttavia il giudice minorile di fronte ad altre situazioni ricorrenti – pure impropriamente definite di “affidamento”– sulle quali la legge sulla continuità affettiva non ha inciso se non indirettamente, vale a dire per il rafforzamento nel “sistema” di un principio che già vi era contenuto: è conforme all’interesse del minore mantenere con continuità ogni relazione per lui significativa dal punto di vista affettivo e, aggiungerei, educativo. L’esigenza di continuità delle relazioni significative del minore si trova riconosciuta ed espressamente tutelata nella legge n. 184/83 innanzitutto con riguardo alla sua famiglia biologica, laddove è indicato come oggetto di prioritaria tutela il diritto di ogni minore a crescere nella propria famiglia d’origine e a mantenere relazioni significative con i propri parenti, diritto al cui effettivo esercizio sono finalizzati gli interventi di sostegno necessari al superamento di situazioni di transitorio di disagio del minore nell’ambito della famiglia di origine. Ciò posto, tutte le altre relazioni “significative” per la sana crescita psicofi- Continuità affettiva e affido familiare 1107 sica di un minore non si limitano a quelle instaurate con gli affidatari di cui all’art. 4 legge n. 184/83, né sono agevolmente predeterminabili in astratto, perché la condizione di un minorenne è di per se stessa estremamente mutevole nel corso della sua minore età, nella vita come nelle procedure giudiziarie instaurate a sua tutela, e vi è per questo l’esigenza di mantenere in stretta connessione gli interventi a sua tutela e la instaurazione o evoluzione di relazioni per lui significative. A titolo esemplificativo della complessità della questione cito un principio di recente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo il quale deve essere riconosciuta come “significativa” per il minore non soltanto la relazione con i parenti della famiglia biologica che, in concreto, egli ha potuto instaurare e sperimentare come tale, ma anche quella di cui è stato privato non per azione colpevole degli stessi parenti. Nel caso sottoposto all’esame della Corte si trattava di un bambino dichiarato in stato di abbandono i cui nonni vivevano in Egitto e non avevano mai incontrato il nipote né prima, né durante il periodo in cui il bambino era stato accolto in un istituto, sebbene nel corso del procedimento per l’accertamento del suo stato di abbandono lo avessero chiesto. In questo caso non vi è dubbio che nel momento in cui l’autorità giudiziaria si è pronunciata sull’adottabilità del bambino egli non aveva una relazione “significativa” con i nonni, ma il sistema di tutela azionato in suo favore ha esso stesso inibito la nascita di quella relazione. La situazione che ho appena descritto focalizza una, a mio avviso evidente, criticità nella tutela della “continuità affettiva” del minore nell’ambito delle procedure di accertamento del suo stato di abbandono, giacché sempre, quando la tutela di un minore richiede l’interdizione o la limitazione dei suoi rapporti con la famiglia di origine, anche la qualità delle sue relazioni con i vari componenti della sua famiglia subisce inevitabili conseguenze. Ad esempio, quando la frequentazione è consentita esclusivamente all’interno di uno spazio protetto, per tutelare il bambino dalle condotte pregiudizievoli dei suoi genitori che hanno determinato il suo allontanamento dall’ambiente familiare, quello spazio protetto è anche, inevitabilmente, uno spazio di osservazione/valutazione della relazione genitori - bambino e questo non sempre favorisce il recupero, o la conservazione, della qualità “affettiva” di quella stessa relazione. Si tratta di una questione a mio avviso molto delicata, su cui mi sono sempre interrogata, nell’esercizio delle mie funzioni di giudice minorile, proprio perché connessa con l’esercizio dell’ampia discrezio- 1108 The best interest of the child nalità attribuita dal “sistema” di tutela del superiore interesse del minore non solo al giudice, ma all’intera “rete” (anche questa un “sistema”) che interviene a tutela di quello stesso interesse, ma valutato in concreto in relazione alla specifica sua condizione e vicenda familiare. E tuttavia, per il contenimento dei possibili effetti collaterali, insidiosi e indesiderati, dei più radicali interventi a tutela dei minori in condizioni di disagio familiare, non vedo personalmente altro rimedio se non pretendere che tutte le componenti della “rete” di tutela – in un sistema di protezione che prevede una comunicazione qualificata tra il giudice che decide e gli enti del territorio che intervengono a tutela della condizione del minore – ne abbiano piena consapevolezza e agiscano con elevata preparazione e deontologia professionale. Ad ulteriore esempio di “criticità” nella tutela della situazione relazionale del minore nell’ambito degli interventi azionati a sua tutela in applicazione della legge n. 184/83, vorrei evidenziare le peculiarità della relazione che si instaura in conseguenza di quello che, nella prassi giudiziaria, viene definito “affidamento a rischio giuridico”. Con questa espressione – alla quale, nell’uso corrente, non sempre si accompagna piena consapevolezza del suo significato – ci si riferisce alla situazione ben definita e definibile, anche sul piano giuridico, in cui vengono a trovarsi spesso minori dei quali è già stato accertato lo stato d’abbandono, ma non in via definitiva, essendo la sentenza che lo ha dichiarato, come ogni altra pronuncia del giudice di merito, suscettibile di impugnazione. In questi casi, quando viene segnalata la condizione di sofferenza del bambino, che spesso si trova già da lungo tempo in una Casa Famiglia e non ha più rapporti con la famiglia di origine, il Tribunale per i minorenni procede ad un cosiddetto “affidamento a rischio giuridico” presso una coppia disponibile e idonea all’adozione del minore nel caso di conferma della sentenza che ha accertato il suo stato di abbandono, ma anche consapevole della possibilità di non conferma della sentenza all’esito dei successivi gradi di giudizio e della conseguente necessità, in questo caso, di reinserimento del minore nella famiglia di origine o quanto meno di ripristino dei suoi rapporti con il nucleo familiare di origine. Si instaura in questi casi, a seguito di una decisione del giudice, una relazione particolarmente significativa per il minore, accompagnata tuttavia da una “precarietà” che rende impegnativa la selezione della coppia e molto delicata la condizione del minore presso di essa durante tutto il tempo necessario a definire il giudizio. Continuità affettiva e affido familiare 1109 Sul piano tecnico-giuridico l’affidamento “a rischio giuridico” non è un’ipotesi tipica di “affidamento”, giacché la legge sull’adozione prevede solo due figure tipiche di “affidamento” di un minore con provvedimento del Tribunale per i minorenni: l’affidamento familiare di cui all’art. 4 della legge n. 184/83, disposto per il tempo necessario al superamento della situazione che impedisce la permanenza del minore nell’ambito della sua famiglia di origine, e l’affidamento preadottivo, di cui all’art. 22 della stessa legge, disposto dopo l’accertamento, con sentenza passata in giudicato, dello stato di abbandono del minore. Esso tuttavia consente di contemperare il “preminente” interesse del minore a crescere in una “famiglia” con il diritto dei suoi familiari biologici ad esperire tutti i mezzi di impugnazione loro riconosciuti avverso la dichiarazione dello stato di abbandono, garanzia ineludibile perché anche il giudizio per l’accertamento dello stato di abbandono possa dirsi un “giusto processo”. All’accertamento definitivo dello stato di abbandono e quindi di adottabilità di un minore si perviene però quasi sempre al termine di un lungo periodo di osservazione e valutazione della sua condizione nell’ambito della famiglia di origine ed il procedimento – spesso preceduto da un’altra procedura instaurata per l’accertamento di condotte pregiudizievoli dei genitori tali da giustificare provvedimenti limitativi o ablativi della loro responsabilità genitoriale ai sensi degli artt. 330 e ss. c.c. – può determinare anche un lungo periodo di permanenza del minore in una Casa Famiglia, ad esempio per tutta la durata del giudizio di primo grado, poi di quello di secondo grado ed eventualmente di legittimità. Per questo motivo, presso il Tribunale per i minorenni di Roma, ma, credo, in tutti i Tribunali per i minorenni, frequentemente si dispone, all’esito del primo grado di giudizio, il collocamento del minore presso una coppia selezionata tra le coppie disponibili all’adozione, ma reso consapevole e reputato in grado di affrontare tutto quanto è connesso con il “rischio giuridico”. Dovendo sempre ricondurre a norme di legge tutti i provvedimenti del giudice, occorre avere chiaro che il provvedimento in questo caso adottato altro non è che un “collocamento provvisorio” presso un nucleo familiare ai sensi dell’art. 10 legge n. 184/83 e che la individuazione di una coppia disponibile e idonea ad adottare il minore nel caso di conferma del suo stato di adottabilità, già dichiarato all’esito del primo grado di giudizio, risponde al superiore interesse del minore. D’altra parte, l’art. 10 della legge sull’adozione attribuisce al giudice dell’adot- 1110 The best interest of the child tabilità, e poi dell’adozione, una discrezionalità amplissima, consentendogli di adottare, con una valutazione “in concreto” del suo interesse, i provvedimenti che ritiene più adeguati a tutela del minore, fra i quali è espressamente indicato il suo collocamento presso un nucleo familiare. È invece l’esperienza giudiziaria ad aver suggerito di individuare il nucleo familiare presso il quale collocare in via provvisoria il minore tra le coppie che aspirano all’adozione e che hanno i requisiti per diventare genitori adottivi di quel minore, proprio per assicurare continuità alla sua condizione di vita e affettiva nel caso di conferma, all’esito dei successivi gradi di giudizio, del suo stato di abbandono e dunque di adottabilità. La legittimità di questo tipo di provvedimento e la sua rispondenza all’interesse preminente del minore non esimono tuttavia dal considerare la delicatezza della condizione in cui viene a trovarsi il minore durante il tempo necessario ad accertare con “efficacia di giudicato” il suo stato di adottabilità, un tempo caratterizzato dalla “precarietà” delle sue relazioni affettive: precaria l’interruzione dei suoi rapporti con la famiglia di origine, precaria l’instaurazione dei suoi rapporti con la famiglia affidataria. Una condizione estremamente delicata, di cui ho acquisito consapevolezza, confesso con una certa inquietudine, dapprima come giudice di secondo grado, avendo avuto per molti anni le funzioni prima di consigliere e poi di presidente della Sezione per i minorenni della Corte di appello di Roma, sapendo quanto la durata del giudizio di secondo grado, e poi eventualmente di quello di legittimità, e poi eventualmente del giudizio di rinvio avrebbero potuto prolungare questa situazione di precarietà. Nei giudizi di impugnazione avverso le sentenze di accertamento dello stato di abbandono celebrati dinanzi alla Sezione per i minorenni della Corte di appello di Roma ho inoltre constatato che il collocamento del minore presso un nucleo familiare a scopo adottivo, anche solo ipotizzato, quando non espressamente disposto con la sentenza di primo grado, ingenerava nelle parti del procedimento di appello il timore, spesso apertamente dichiarato, di un pre-giudizio, il timore cioè che la decisione di appello potesse essere influenzata dal fatto che il minore fosse ormai giù inserito in una famiglia a scopo adottivo e avesse, appunto, instaurato nuove e significative relazioni affettive, percepite come incompatibili con il ripristino dei rapporti con la famiglia di origine. Da un anno e mezzo invece presiedo, ogni settimana, il collegio abbinamenti del Tribunale per i minorenni di Roma, condividendone Continuità affettiva e affido familiare 1111 la responsabilità nella selezione delle coppie presso le quali collocare i minori dei quali è stato accertato lo stato di abbandono, e questa esperienza mi ha reso maggiormente consapevole delle motivazioni, del tutto condivisibili, per le quali spesso si procede al collocamento del minore presso un nucleo familiare anche prima del passaggio in giudicato della sentenza che ne ha dichiarato lo stato di abbandono. Si tratta di situazioni tutte estremamente delicate e complesse, nelle quali si interviene nell’esercizio di un’ampia discrezionalità, con provvedimenti di cui proprio per questo ci si assume la responsabilità, affermando con chiarezza e trasparenza che un bambino non può rimanere in una sorta di “limbo” per due, tre, quattro anni, il tempo necessario a dare piena attuazione al diritto dei suoi familiari biologici di esperire ogni mezzo di reazione loro riconosciuto, quasi fosse ostaggio di questo diritto. La delicata condizione di “precarietà” relazionale in cui ogni minore di cui è stato accertato lo stato di abbandono si trova durante il tempo occorrente per “definire” la sua condizione “giuridica” richiede dunque una valutazione in concreto del suo preminente interesse e l’individuazione dei provvedimenti ad esso più rispondenti. Ma di questa stessa esigenza occorre farsi carico anche in via generale e progettuale, ad esempio promuovendo la formazione di coppie consapevoli ed in grado di accogliere minori in questa condizione di “precarietà relazionale”, individuando gli interventi a sostegno del bambino e della coppia affidataria più adeguati ad accompagnarne la relazione per tutto il tempo necessario alla definizione del giudizio e, nel caso di reinserimento nella famiglia di origine all’esito dei successivi gradi di questo, a tutelare, in concreto, la continuità delle relazioni affettive instaurate. In definitiva situazioni come questa dimostrano come la tutela del superiore interesse delle persone di età minore, di cui si è avuto ormai ampio e consolidato riconoscimento, anche perché rispondente al comune sentire, per essere effettiva richiede anche la condivisione di responsabilità sul piano dell’attuazione in concreto ed estrema attenzione alle specificità del singolo caso, all’adeguatezza degli interventi attuabili nell’interesse di ogni singolo minore e alla elevata qualità, professionale ed umana, di tutti i soggetti che intervengono a sua tutela Un altro esempio di tutela della continuità delle relazioni affettive del minore attuata in conformità al suo preminente interesse, in concreto, è la cosiddetta “adozione mite”, espressione in passato utilizzata per riferirsi a situazioni di affidamento familiare protrattesi per lungo 1112 The best interest of the child tempo e che attualmente è utilizzata nell’esperienza giudiziaria anche per indicare il provvedimento con il quale è il giudice che, accertata la impossibilità non transitoria del minore di crescere nel proprio nucleo familiare di origine per motivi che tuttavia non giustificano la dichiarazione dello stato di abbandono, ne dispone l’affidamento, con il consenso dei genitori, ad una coppia disponibile al mantenimento dei rapporti del minore con la sua famiglia di origine. Nell’esperienza giudiziaria, infatti, è emerso con evidenza che ci sono delle situazioni limite in cui non è ipotizzabile un’evoluzione positiva della situazione che impedisce la sana crescita del minore nella sua famiglia di origine e tuttavia questa non può essere ritenuta “abbandonica”. In tali casi, nei quali la relazione del minore con i suoi genitori è disfunzionale ma affettivamente significativa, non vi sono i presupposti per una rescissione dei rapporti del minore con la sua famiglia di origine. D’altra parte, le relazioni affettive significative vissute nell’ambito del nucleo familiare di origine, anche se disfunzionali, appartengono al patrimonio identitario ed affettivo del minore e dunque risponde al suo interesse mantenerle, ove non sia strettamente necessario, a sua tutela, interdirle. L’affidamento è tuttavia, in questi casi, con tutta probabilità destinato a protrarsi “sine die” e non rispondente alle esigenze transitorie ipotizzate dal legislatore con riguardo all’affidamento di cui all’art. 4 legge n. 184/83. Da ultimo vorrei menzionare, quale esempio di criticità nella tutela della continuità delle relazioni affettive del minore nell’ambito delle procedure di cui alla legge n, 184/83, le difficoltà che nell’esperienza giudiziaria si incontrano, affrontano e risolvono per la tutela della relazione tra fratelli per i quali tutti sia stato accertato lo stato di abbandono. Anche questa è una situazione di estrema delicatezza, nella quale la valutazione dell’interesse ad instaurare una relazione “esclusiva” con i genitori adottivi e la necessità che questi siano posti realmente in grado di far fronte ai bisogni di ciascuno dei fratelli, alcuni dei quali possono essere portatori di bisogni “speciali” o affettivamente più deprivati rispetto agli altri, non consente l’inserimento di tutti i fratelli in uno stesso nucleo familiare. È una decisione non facile, che viene adottata sulla base di una rigorosa valutazione della condizione di ciascuno dei fratelli e sempre accompagnata dalla prescrizione a ciascuna coppia affidataria di consentire e favorire la frequentazione tra di essi, prescrizione che individua una sorta di nucleo familiare allargato idoneo a farsi carico della tutela della fratria. Questa prospettiva di in- Continuità affettiva e affido familiare 1113 tegrazione dei nuclei familiari adottivi richiede, come si può immaginare, un’attenta ed impegnativa selezione delle coppie, devo dire tuttavia con risultati quasi sempre confortanti. Naturalmente, ove è invece possibile, si dispone l’inserimento di più fratelli in un unico nucleo familiare, poiché non vi sono automatismi, né procedure standardizzate. Al contrario, in questa come in tutte le altre delicate situazioni che ho menzionato, si procede senza preconcetti, con un approccio sempre orientato alla ricerca della soluzione più adeguata in concreto all’interesse e ai bisogni di ogni singolo minore e con uno scambio incessante di esperienze e professionalità. L’adozione in casi particolari Melita Cavallo Sommario: 1. Un excursus storico sulla normativa. – 2. L’impossibilità di affidamento preadottivo. –3. Gli effetti dell’adozione in casi particolari. – 4. L’adozione coparentale. – 5. Le contestazioni. –6. Conclusioni. 1. Un excursus storico sulla normativa Per meglio comprendere la normativa sull’adozione in casi particolari può essere utile un breve excursus sull’evoluzione che la materia dell’adozione ha avuto negli ultimi cinquant’anni. La prima legge sull’adozione, la n. 431 del 1967, intese differenziare l’adozione dei bambini di età compresa fra 0 e 8 anni, denominandola “speciale”, da quella dei bambini più grandi di 8 anni e dei maggiorenni, denominata “ordinaria”. L’obiettivo era duplice: 1. contrastare il turpe mercato dei bambini piccoli; 2. svuotare gli istituti, all’epoca affollati soprattutto da bambini in tenera età. Il mercato dei bambini consisteva nel fatto che essi, in particolare quelli piccoli, dietro consenso dei genitori venivano spesso ceduti a persone danarose e desiderose di un figlio, grazie all’intervento di improvvisati mediatori che si aggiravano per paesi e città alla ricerca di famiglie povere con prole numerosa, da una parte, e coppie sterili e danarose, dall’altra, per metterle in contatto e trarne il massimo profitto. La trattativa si chiudeva con un accordo, gestito sempre dal mediatore e omologato, su domanda degli aspiranti genitori adottivi, dalla Corte di appello del luogo di loro residenza, che ne verificava, attraverso l’informativa dei carabinieri, esclusivamente l’assenza di gravi precedenti penali a loro carico; nessuna rilevanza assumeva la differenza di 1116 The best interest of the child età, a volte molto elevata, tra adottanti e adottato, nessuna valutazione sociale o psicologica della coppia in relazione ai bisogni del bambino: praticamente, una compravendita! D’altra parte, gli istituti erano all’epoca affollati soprattutto da bambini molto piccoli, spesso abbandonati alla nascita; perciò la nuova normativa previde gli 8 anni come limite massimo di età del bambino adottabile con adozione speciale, stante l’acclarata e notoria disponibilità delle coppie quasi esclusivamente alla adozione di bambini in tenera età. Il procedimento relativo all’adozione speciale si svolgeva davanti al tribunale per i minorenni, quindi con il massimo delle garanzie in favore dell’adottando. Il procedimento dichiarativo dello stato di adottabilità del bambino doveva provarne l’abbandono materiale e morale da parte dei genitori: furono così dichiarati adottabili tutti i bambini non riconosciuti alla nascita, quelli istituzionalizzati e mai visitati dai genitori, e quelli i cui genitori erano apparsi maltrattanti e abusanti e non in grado di recuperarsi. Restavano però esclusi quelli per i quali, pur essendo piccoli, mai c’era stata una segnalazione perché non apparivano abbandonati alla strada, né maltrattati o abusati, nonostante appartenessero a famiglie fortemente svantaggiate, economicamente e culturalmente molto deboli. Questi bambini, in particolare se molto piccoli, continuavano a essere attirati nell’area del mercato e restavano ancora ceduti a terzi estranei con adozione ordinaria, così come tutti gli altri minori che avevano superato gli 8 anni di età. La legge n. 431, dunque, non riuscì a demolire il mercato dei bambini, che peraltro acquisiva spazio crescente sulla cronaca, come “il più turpe dei mercati”. Fu così che nel 1983 una nuova legge, la n. 184, introdusse sostanziali modifiche: abrogò l’adozione ordinaria relativamente a tutti i soggetti minorenni; portò l’età adottabile al diciottesimo anno; stabilì che i genitori adottivi devono essere coniugati e rispettare determinati limiti di età; previde l’irrevocabilità dell’adozione che, da quel momento in poi, viene denominata non più “speciale” ma “legittimante” perché il figlio adottivo è legittimo di entrambi i genitori. Inoltre il legislatore, al fine di ridurre il mercato dei bambini e dissuadere il passaggio di un bambino dalla famiglia di origine a terzi estranei, introdusse all’art. 9 della richiamata legge il comma 4, che fa divieto di accogliere in affidamento un bambino oltre il tempo di mesi sei a persone che non siano legate al minore da vincolo di parentela entro il quarto grado, disponendo altresì che, qualora la permanenza del minore si protragga oltre sei mesi, l’affidatario di fatto deve darne segnalazione al Procu- L’adozione in casi particolari 1117 ratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. Pari obbligo è posto a carico dei genitori che hanno dato il figlio in affidamento a persone non parenti entro il quarto grado. La mancata osservanza della norma prevede per gli affidatari l’incapacità a ottenere affidi familiari, adozioni e nomina all’ufficio tutelare, e per i genitori la decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio e l’apertura della procedura di adottabilità. Ma il legislatore saggiamente previde la possibilità, malgrado questa norma, di molte situazioni in cui un bambino si sarebbe trovato, da un tempo ben più lungo di sei mesi, presso terzi estranei se la famiglia, improvvisamente in grande difficoltà, lo avesse ceduto per assicurargli maggiore benessere. E in effetti il bambino veniva nella famiglia affidataria di fatto adeguatamente accudito e allevato. Era quindi necessaria una norma di salvaguardia in base alla quale, se il giudice minorile avesse valutato la nuova situazione familiare adeguata ai bisogni del bambino, e quindi idonea a tutelarne pienamente il percorso di crescita, avrebbe potuto non deciderne l’allontanamento, perché tale decisione ne avrebbe pregiudicato il superiore interesse, stante il legame di attaccamento ormai strutturato e consolidato con gli affidatari di fatto. Per questo motivo il legislatore disciplinò, all’art. 44 della legge n. 184, l’“adozione in casi particolari”: una norma aperta nella quale poter ricomprendere i casi riconducibili a queste fattispecie, di volta in volta segnalate, ma troppo tardi…, ai tribunali per i minorenni. L’art. 44 prevedeva all’epoca tre fattispecie: la lettera a), relativa al minore orfano di entrambi i genitori, che poteva essere adottato dal parente entro il sesto grado, o anche da persona a lui legato da rapporto affettivo precedente alla perdita dei genitori; la lettera b), relativa all’adozione del figlio di uno dei coniugi da parte dell’altro coniuge; la lettera c), relativa all’ipotesi di constatata impossibilità di affidamento preadottivo. In presenza di queste tre fattispecie era possibile derogare dagli elementi richiesti per l’adozione legittimante: il rapporto di coniugio degli adottanti, per cui avrebbe potuto adottare anche una persona singola, quale che fosse il sesso; i limiti di età, essendo richiesta soltanto una differenza di età di almeno 18 anni tra adottante e adottato. 2. L’impossibilità di affidamento preadottivo Sul significato di “impossibilità di affidamento preadottivo” s’interrogarono i giudici minorili, e si vennero nel tempo a creare due correnti di pensiero. 1118 The best interest of the child Il termine “impossibilità di affidamento preadottivo”, secondo la maggior parte dei giudici minorili, andava riferito al bambino disabile, che a causa di tale condizione, nonostante fosse stato dichiarato adottabile, non sarebbe mai stato collocato in affidamento preadottivo presso una delle tante coppie, tutte desiderose di ottenere un bambino il più possibile piccolo e sano. Forse avrebbe avuto la possibilità di essere accolto da una persona singola o da coniugi anziani, insomma da persone che non avevano i requisiti previsti dalla legge per l’adozione legittimante. Infatti era accaduto che bambini affetti da malattie abbastanza gravi erano stati accolti chi dall’infermiera che l’aveva conosciuto e curato in ospedale, chi dalla maestra che lo aveva seguito come alunno, chi dalla sua madrina o dall’anziana vicina di casa che si era opposta al suo ricovero in istituto. Ma la stessa situazione di affidamento “fuori norma”, cioè in aperta violazione dell’art. 9 della legge n. 184, si era verificata, così come in passato, anche per bambini non in precario stato di salute ma che, per una difficile situazione familiare, come una grave malattia della madre, una situazione economica disastrata, la morte del padre o il suo improvviso allontanamento da casa, erano stati affidati a terzi estranei i quali, trascorsi alcuni anni, chiedevano di adottare quel bambino ormai grandicello e a loro affettivamente molto legato. E alcuni tribunali per i minorenni individuarono nell’art. 44 lettera c) la norma applicabile per evitare l’allontanamento di quel bambino, che non versava in una situazione di abbandono morale e materiale da parte dei suoi genitori, per cui non era possibile dichiararne lo stato di adottabilità e il conseguente affidamento preadottivo. Infatti essi, consapevoli dei loro limiti educativo-assistenziali, avevano consentito a che il figlio permanesse presso gli affidatari e mantenevano con lui i rapporti, sia pure discontinui e sempre più diluiti nel tempo. Il Tribunale per i minorenni di Bari fu il primo a pronunziare numerose adozioni in casi particolari, conseguenti ad affidamenti rinnovati ogni due anni dal tribunale in favore di affidatari divenuti ormai nel tempo genitori a tutti gli effetti di un bambino ormai quasi adolescente che, sentito in merito alla sua adozione da parte degli affidatari, aveva espresso la volontà di essere da loro adottato, adozione cui i di lui genitori prestavano il loro consenso. La giurisprudenza ormai si orientava su questa seconda interpretazione della norma. Cioè, all’interpretazione restrittiva che valutava la “impossibilità di fatto”, riconducibile a motivo esclusivamente sanitario, si affiancava l’interpretazione più ampia, che valutava la “impossi- L’adozione in casi particolari 1119 bilità di diritto” dell’affidamento preadottivo, afferente a quei bambini affidati a persone che erano andate incontro a famiglie con problemi e che ne avevano allevato e curato i figli con il consenso di genitori. Quando la legge n. 184 fu rivisitata nel 2001 dalla legge n. 149 il legislatore riformulò la lettera c) dell’art. in modo chiaro: essa fa riferimento al bambino disabile che si trova nelle condizioni indicate dall’art. 3 comma 1 della legge n. 104/1992 e sia orfano di padre e di madre; conseguentemente collocò sub lettera d) la tanto discussa norma ex lettera c), il cui testo viene da allora in poi interpretato come la gran parte della giurisprudenza aveva già fatto fino ad allora, ovvero come impossibilità di diritto. In definitiva, la legge n. 149 ha voluto, aggiungendo la lettera d) nell’art. 44 della legge 183, introdurre una valvola di sfogo per dare copertura giuridica a situazioni relative a legami significativi venutisi a creare tra soggetti minorenni in formazione e adulti di riferimento che loro avevano dedicato e dedicavano ogni cura e che, ove interrotti e spezzati, avrebbero prodotto un grave pregiudizio a quel determinato bambino. 3. Gli effetti dell’adozione in casi particolari Come abbiamo già accennato, l’adozione in casi particolari richiede presupposti meno rigorosi rispetto all’adozione legittimante sia relativamente ai requisiti di età, in quanto viene prevista solo una differenza minima di 18 anni tra adottante e adottato, sia in riferimento allo stato civile dell’adottante, che può essere anche una coppia non coniugata o una persona singola. Questa adozione viene decisa dal tribunale per i minorenni, acquisito il consenso dei genitori del minore, e produce effetti limitati rispetto alla adozione legittimante, perché il bambino mantiene formalmente il rapporto con la famiglia di origine e il proprio cognome, al quale può aggiungere quello dell’adottante. È richiesto, come prevede l’art. 57 della legge n. 184, che il Tribunale per i minorenni verifichi in modo approfondito la rispondenza della adozione all’interesse superiore del minore, che quindi si configura come la chiave interpretativa della norma. Va precisato che il minorenne adottato con l’adozione in casi particolari resta escluso dal legame di parentela con i membri della famiglia dei genitori adottivi perché l’art. 55 della legge n. 184 dispone applicarsi alla adozione in casi particolari, quanto agli effetti, le norme relative alla adozione dei maggiorenni. 1120 The best interest of the child E va ricordato che la legge n. 219/2012 relativa alle disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali apporta, conformemente alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, una notevole modifica al concetto di parentela in quanto riscrive l’art. 74 del codice civile e cancella la differenza tra parentela legittima e parentela naturale, inserendo a pieno titolo nella rete parentale il figlio adottivo, con l’unica esclusione del figlio adottato da maggiorenne. E poiché il richiamato art. 55 dispone, quanto agli effetti, applicarsi alle adozioni in casi particolari le norme relative all’adozione del maggiorenne, i bambini adottati ai sensi dell’art. 44 sono esclusi dal legame di parentela con i membri della famiglia dei genitori adottivi. Questa limitazione è senza dubbio ingiusta e contraria alla portata innovatrice della riforma attuata dalla legge n. 219/2012, che ha inteso configurare un unico status di figlio parente comprensivo di tutte le filiazioni biologiche e adottive, nelle quali andava ritenuta inclusa anche la filiazione adottiva in casi particolari. Appare, infatti, stridente sotto il profilo giuridico l’avere assimilato l’adozione in casi particolari del minorenne all’adozione dei maggiorenni perché la prima ha carattere affettivo-relazionale, mentre la seconda ha carattere patrimoniale e successorio. La ratio iuris sta nel fatto che l’adozione in casi particolari, a differenza delle altre tipologie di adozione che riguardano soggetti minorenni, è revocabile. Si potrebbe allora prevedere che il minorenne adottato con adozione in casi particolari, raggiunti gli anni 14, rappresentato da un curatore speciale, possa esprimere il proprio consenso alla conversione della sua adozione in casi particolari in adozione piena, consentendovi, ove in vita, i suoi genitori. 4. L’adozione coparentale Veniamo ora al ricorso presentato al Tribunale per i minorenni di Roma inteso a ottenere l’adozione coparentale proposto da una donna convivente more uxorio da alcuni anni con la sua compagna. Per “adozione coparentale” deve intendersi l’adozione del figlio o della figlia del convivente; essa è riferibile sia alle convivenze di fatto tra persone eterosessuali o omosessuali, sia alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. La ricorrente, assistita da un’avvocata competente e professionale, esponeva ampiamente la situazione familiare di convivenza omosessuale con la sua compagna. Riferiva in sede istruttoria che, con il passare del tempo, sia lei che la compagna avevano pensato, e poi proget- L’adozione in casi particolari 1121 tato, di fare famiglia mettendo al mondo un bambino; dopo aver molto riflettuto avevano deciso che il bambino sarebbe stato portato alla luce dalla più giovane delle due; così, assunta la decisione, si erano recate in Spagna per realizzare il progetto familiare presso una clinica specializzata, che aveva seguito la fase iniziale della gestazione della sua compagna; tornate poi in Italia, quest’ultima, assistita dalla ricorrente, aveva dato alla luce la piccola A. L’avvocata rappresentava la dedizione e la cura che la convivente della madre riservava alla bambina sentendola, anche lei, figlia a tutti gli effetti, e con quanto amore filiale la piccola ricambiava l’affetto. Ma questo legame autentico e significativo non veniva legalmente riconosciuto alla “seconda madre”, costretta nei fatti a presentare, di volta in volta, l’autorizzazione a prelevare la piccola a scuola, a condurla al presidio sanitario per le vaccinazioni, a visitarla e ad assisterla in ospedale quando aveva subito un breve ricovero…, e quando l’aveva condotta una settimana dai propri parenti... Insomma, l’avvocata rappresentava come la sua assistita per i terzi, per la comunità, era una estranea, mentre per quella bambina era una seconda mamma, al pari della compagna. La ricorrente chiedeva, quindi, di adottare la piccola ai sensi e per gli effetti di cui all’adozione in casi particolari ex art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983. Ho sempre ritenuto, nel rispetto della normativa nazionale e internazionale, che l’attività istruttoria del giudice minorile deve avere come obiettivo quello di individuare la soluzione che più delle altre riesce a realizzare l’interesse del bambino. In questo caso c’era una bambina che era cresciuta senza un padre, ma con due madri: quella genetica e la compagna di lei, che le faceva ugualmente da mamma. Il Tribunale per i minorenni di Roma ha quindi istruito il ricorso con la consueta attenzione, nel rispetto di quanto richiesto dall’art. 55 della legge n. 184, avendo cura di far emergere i bisogni della bambina e di verificare la relazione tra la piccola e la ricorrente, e di entrambe le donne tra loro; cioè focalizzando l’attenzione sul funzionamento del nucleo familiare così come composto, e chiedendo ai membri del Collegio di spogliarsi di eventuali pregiudizi prendendone consapevolezza per poi discuterne quando avremmo dovuto assumere la decisione. Ricordo che una collega mi ha chiesto se potevo consigliarle un testo, o dei precedenti, e che io ho risposto: «Guardati intorno…», lasciandola sorpresa. E valutando l’impatto che la sentenza avrebbe potuto avere nella collettività, si è cercato in motivazione di dare un ventaglio di validi argomenti a sostegno della decisione che aveva portato il Collegio ad ac- 1122 The best interest of the child cogliere il ricorso, tenendo ben presente il parere negativo del Pubblico Ministero, nella consapevolezza di doverlo contestare in modo chiaro e stringente perché il provvedimento sarebbe stato sicuramente reclamato. La Procura infatti sposava la tesi dell’affidamento preadottivo di fatto e non di diritto, e chiedeva la nomina di un curatore alla minore stante il possibile contrasto tra la madre biologica e la ricorrente. Il Tribunale ha ritenuto non necessaria la nomina di un curatore in quanto la madre biologica esercitava ritualmente la responsabilità genitoriale sulla figlioletta e consentiva alla richiesta della sua compagna. L’indagine sul nucleo familiare è stata fatta a trecentosessanta gradi: in primo luogo si è ritenuto di verificare la situazione familiare e di accertare quale fosse l’interesse superiore della minore, se questo interesse sarebbe stato riempito di ulteriori contenuti affettivo-relazionali a seguito dell’accoglimento della domanda di adozione della ricorrente. Avremmo poi posto sul tavolo il problema della legittimità della domanda della convivente della madre biologica ad adottarne la figlia con adozione in casi particolari, ovvero se l’adozione in casi particolare ex art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 potesse essere disposta anche nei confronti di una coppia omosessuale. E ciò perché l’accertamento dell’interesse superiore della minore è posto dal legislatore come rilevante chiave di lettura del caso. Ebbene, l’esame dei verbali, molto diffusi e ricchi di particolari concernenti la piccola, erano del tutto tranquillizzanti: le sue maestre e il suo pediatra descrivevano la bambina come socievole, gioiosa, affettuosa, e sulle due madri solo parole di encomio per le modalità con cui seguivano la bambina, accompagnandola, come tutte le altre mamme, ora l’una ora l’altra, di qua e di là tra piscina, festicciole, scuola di inglese La relazione del servizio sociale era assolutamente positiva, la visita domiciliare era stata del tutto rassicurante: la bambina aveva manifestato affettività per entrambe le donne che si prendevano cura di lei, e si rivolgeva all’una come mamma O e all’altra come mamma C, ed appariva serena e felice. Le madri avevano battezzato la bambina, che quindi frequentava anche la parrocchia. Quindi l’interesse della minore appariva provato. Ma questo interesse era forse “inquinato” dalla omosessualità delle due figure parentali, e dalla nostra legge era impedito? *** Il Collegio ha cercato precedenti nella giurisprudenza. La prima riflessione ha riguardato una sentenza emessa dal Tribunale per i mi- L’adozione in casi particolari 1123 norenni di Milano1, che aveva disposto l’adozione in casi particolari di una bambina al compagno della madre che nei fatti le faceva da padre. Il Tribunale così decide: “nel caso di specie la presenza della madre che da sempre si occupa della figlia esclude la configurabilità dello stato di abbandono, e dunque la giuridica impossibilità di procedere ad un affidamento preadottivo consente di ritenere integrato uno dei casi particolari, quello di cui alla lettera d) che consente di far luogo alla adozione che è clausola residuale. Va quindi valutato in concreto ciò che può comportare maggiore utilità per il minore (utilità intesa come preminente somma di vantaggi di ogni genere e specie e minor numero d’inconvenienti) nella prospettiva del pieno sviluppo della personalità del minore stesso e della realizzazione di validi rapporti interpersonali ed affettivi, tenuto conto delle particolarissime situazioni esistenziali che caratterizzano le persone coinvolte”. Tale situazione di fatto è apparsa meritevole di tutela nell’ambito delle ipotesi di adozione in casi particolari nel rispetto dei principi della tutela del minore e del perseguimento del suo esclusivo interesse. Dunque, il Tribunale per i minorenni di Milano non ha ritenuto necessario il rapporto di coniugio ma sufficiente una serena convivenza a rendere possibile l’applicazione della lettera d) dell’art. 44. Si è poi osservato che la Corte Costituzionale, molto tempo addietro, aveva espressamente riconosciuto2, proprio con riferimento a un’adozione in casi particolari, introdotta nel codice civile qualche anno prima, da un lato, “l’esigenza che siano conferiti al giudice poteri sufficienti a consentirgli di individuare la soluzione più idonea a soddisfare gli interessi del minore e, dall’altro, che possano trovare tutela positiva i rapporti creatisi col tempo tra il minore e gli affidatari” essendo pertanto sempre necessario che il giudice valuti “il superiore interesse del minore, in vista del quale la legge, in determinate situazioni, abbandona le soluzioni rigide, prevedendo che la valutazione (…) sia effettuata in concreto dal giudice nell’esclusivo interesse del minore. (…) L’esigenza di adeguata considerazione dei legami di fatto instauratisi trova nella nuova normativa un riconoscimento tanto penetrante da indurre il legislatore a derogare in alcuni casi a un rapporto di convivenza e di coniugio tra gli affidatari”. La Corte Costituzionale chiedeva quindi al giudice di focalizzare l’attenzione sulla situazione psicoaffettiva del bambino e di valutare se per lui sarebbe stato positivo permanere nella situazione familiare in 1 Tribunale per i minorenni di Milano, sentenza n. 626/2007. 2 Corte Cost., sentenza n. 198/1986. 1124 The best interest of the child cui si trovava, perché l’eventuale allontanamento gli sarebbe stato di grave pregiudizio; non gli chiedeva di guardare al sesso degli aspiranti genitori adottivi, ma alla responsabilità educativo-assistenziale nella gestione del ruolo. Se questo è il quadro giuridico di riferimento quando si tratta di coppie conviventi eterosessuali, in esso parimenti deve essere inquadrata la situazione costituita dalla compagna della madre biologica di una bambina, cui la stessa ha fatto da co-madre sin dalla nascita, ove ne richieda l’adozione in casi particolari. Senza dubbio questo approccio è rafforzato dalla lettura dell’art. 3 della nostra Costituzione, che non lascia dubbio alcuno alla possibilità di accoglimento della richiesta, ove la stessa risponda all’interesse superiore della minore, in quanto viene solennemente affermato che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ne consegue che, là dove il richiamato articolo della legge n. 184 si riferisce alla persona singola, può trattarsi sia di un uomo sia di una donna, non essendoci nessuna indicazione sul sesso, ma parità di genere. La richiesta andava quindi valutata, così come avremmo fatto se a richiedere l’adozione fosse stata il compagno, o la compagna, nell’ambito di una coppia eterosessuale. Il Collegio ha tenuto presente anche la sentenza della Corte di Cassazione3 che rigetta il ricorso presentato da un padre contro l’affidamento esclusivo del figlio disposto dalla Corte di appello di Brescia in favore della madre, convivente con una educatrice conosciuta nel corso della sua permanenza in una casa di cura, alla quale si era affettivamente legata: si trattava dunque di una relazione omosessuale. Il ricorso era motivato sul fatto che la relazione omosessuale intrattenuta dalla madre avrebbe recato danno al percorso educativo del figlio. La Suprema Corte così motiva la sua sentenza: “… Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto per il bambino…”. Orbene – osserva il Collegio – se non può presumersi, per un minore inserito in un contesto familiare omosessuale, la dannosità della 3 Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 601/2012. L’adozione in casi particolari 1125 situazione familiare, non può neppure presumersi che l’interesse superiore del minore non possa realizzarsi in tale contesto. Ne discende – continua il Collegio – che un’interpretazione della norma volta a escludere coppie omosessuali dalla possibilità di ricorrere all’adozione ex art. 44, comma 1, lettera d) sarebbe in palese contrasto non solo con la lettera della legge, ma anche con la sua ratio. Una riflessione va fatta anche sulla sentenza della Corte Costituzionale4 in cui la Corte, pur non riconoscendo l’estensione della disciplina del matrimonio alle coppie omosessuali come una modifica costituzionalmente obbligata, afferma che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. La Corte Costituzionale riconosce, pertanto, alle unioni omosessuali il diritto fondamentale di vivere liberamente la propria condizione di coppia, così come è per le unioni di fatto fra persone di sesso diverso. E allora il desiderio di avere dei figli, naturali o adottati, non può non rientrare nel diritto alla vita familiare, nel “vivere liberamente la propria condizione di coppia”, anzi ne diventa una delle espressioni più rappresentative. Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore a essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti a prendersene cura, un’interpretazione dell’art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184 che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali soltanto a motivo della omosessualità, ma al tempo stesso riconoscendo la possibilità di ricorrere a tale istituto alle coppie di fatto eterosessuali, sarebbe un’interpretazione non conforme al dettato costituzionale in quanto lesiva del già richiamato principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del principio della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 Cost.), fra cui la Corte Costituzionale annovera quello delle unioni omosessuali a vivere liberamente la propria condizione di coppia. È anche rilevante il comma 20 dell’art. 1 della cosiddetta legge Cirinnà5, che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso: 4 Corte Cost., sentenza n. 138/2010. 5 Legge n. 76/2016. 1126 The best interest of the child esso dichiara che laddove nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi si ritrovino disposizioni riferite al matrimonio, ovvero contenenti le parole “coniuge” o “coniugi” o termini equivalenti, esse debbano ritenersi applicabili anche alle parti delle unioni civili; tuttavia tale rimando non si applica alle norme contenute nel codice civile che non siano espressamente richiamate dalla legge sulle unioni civili, e neppure a quelle contenute nella legge n. 184/1983 disciplinante la materia delle adozioni. Con chiaro riferimento all’adozione coparentale, viene tuttavia inserito l’inciso: “Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle normative vigenti”. Va sottolineato che, in questi casi, non si tratta di creare una situazione ex novo, ma di dare veste giuridica ad una situazione di fatto già esistente e che comunque la decisione del giudice non cambierebbe, con l’obiettivo di garantire ad un soggetto minorenne una più piena tutela, che maggiormente ne garantisca il superiore interesse. Quindi, a parere del Collegio l’art. 44 si configura come una “porta aperta” sui cambiamenti che la nostra società ci propone con una continuità e una velocità cui il legislatore fatica a tenere dietro, ma cui il giudice minorile non può restare indifferente, se in ogni suo provvedimento deve, effettivamente, assicurare l’interesse superiore del minore. *** Infine, dal punto di vista dei trattati internazionali dall’Italia liberamente sottoscritti la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma testualmente afferma: “… una lettura dell’art. 44, co. 1, lett. d) che escludesse dalla possibilità di ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari coppie di fatto omosessuali a motivo di tale orientamento sessuale si porrebbe in contrasto con gli artt. 14 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Ed infatti, come chiarito dai giudici costituzionali (in particolare con le sentenze 348 e 349/2007 e 317/2009), l’art. 117, primo comma, della Costituzione opera come “rinvio mobile” alle disposizioni della CEDU – nell’interpretazione che ne dà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – che acquistano così titolo di fonti interposte e vanno ad integrare il parametro costituzionale di riferimento. Nel rispetto dei principi costituzionali, spetta quindi al giudice ordinario il compito di operare una “interpretazione convenzionalmente orientata” delle norme nazionali. Qualora questa via non fosse percorribile questi dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte per contrasto con l’art. 117, comma 1, della Costituzio- L’adozione in casi particolari 1127 ne. La Corte Costituzionale attribuisce, perciò, ai giudici nazionali il dovere di “leggere” la norma nazionale muovendo verso un’interpretazione che sia conforme alle disposizioni della CEDU, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, affermando come “un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa – 8 – CEDU certamente non viola gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita e arricchisce il contenuto, innalzando il livello di sviluppo complessivo dell’ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali” (Punto 8 del Considerato in diritto, sentenza n. 317/2009)”. Di conseguenza, una lettura dell’art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 che volesse discriminare in ragione dell’orientamento sessuale esporrebbe l’Italia a un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, così come è avvenuto per l’Austria6. Due donne, unite da una stabile relazione omosessuale, lamentavano il rigetto della richiesta avanzata da una di loro di adottare il figlio della compagna senza rottura del legame giuridico tra madre biologica e figlio. Entrambe erano dedite alla cura attenta e affettuosa del bambino. Ma il giudice austriaco rigetta il ricorso perché in quel paese non è consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e neppure è previsto che in regime di convivenza omosessuale uno dei partner possa adottare il figlio dell’altro. La Corte di Strasburgo, richiamando l’art. 3, par. 1 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York, in base al quale il canone da tenere in maggiore considerazione è costituito dal miglior interesse del minore, ha ritenuto discriminatoria, per violazione dell’art. 14 in combinato disposto con l’art. 8 della CEDU, la legge austriaca, che non consente l’adozione in tali casi, concessa invece alle coppie di fatto eterosessuali. I giudici austriaci – ha sostenuto la Corte – non sono stati messi in grado di esaminare nel merito la domanda di adozione onde valutare se quanto chiesto corrispondesse o meno all’interesse effettivo del minore, dal momento che l’accoglimento della domanda era, comunque, giuridicamente impossibile. Il Governo austriaco non ha, inoltre, ad avviso dei giudici di Strasburgo, dimostrato che la protezione della famiglia, intesa in senso tradizionale, e l’interesse del minore richiedono l’esclusione delle coppie dello stesso sesso dalla cosiddetta second-parent adoption, cui hanno invece accesso le coppie di fatto eterosessuali. La motivazione della sentenza, si fonda, dunque, in parte, sulla discriminazione operata dalla legge austriaca tra coppie di fatto 6 Sentenza della Grande Camera 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria, ric. n. 19010/07. 1128 The best interest of the child eterosessuali e omosessuali, e in parte sulla necessità per il giudice di merito di motivare perché l’interesse superiore del minore non può, nel caso di specie, essere tutelato dalla coppia omosessuale. *** Non è dunque né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliore per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questo ruolo e le responsabilità educative che ne derivano; è l’assenza di conflitto, la progettualità condivisa, ciò che rende i genitori, dei buoni genitori, non il loro sesso! Concordavano i giudici onorari del Tribunale per i minorenni di Roma che hanno partecipato alla decisione sull’adozione coparentale, affermando che il benessere psico-sociale dei membri dei gruppi familiari non è tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e alle dinamiche relazionali che si attuano al suo interno. Chi la pensa diversamente ha un pregiudizio, e il giudice deve essere in grado di abbandonare i pregiudizi, se sa di averli; ma potrebbe non saperlo, è questo il problema!... Italo Cividali, presidente negli anni Ottanta del Tribunale per i minorenni di Bologna, soleva dire: «I giudici che incontrano nel loro lavoro la famiglia dovrebbero andare in analisi, perché se hanno dei pregiudizi non potranno mai fare bene il loro lavoro!». Condivido questo pensiero, e mi augurerei che tutti i giudici, ma in particolare quelli che trattano gli affari familiari, prima di assumere decisioni su materia sensibile, sapessero leggersi dentro per cercare di affrancarsi dai pregiudizi – quelli che Bacone chiamava gli idola – relativamente alle persone coinvolte nei casi sottoposti alla loro decisone: pensiamo non solo agli omosessuali, ma agli zingari, agli immigrati, ai pregiudicati, ai disabili, e cosi via. Il giudizio non può essere inquinato dal pregiudizio. Perciò il Tribunale per i minorenni di Roma decise7 di accogliere la domanda di adozione della piccola A da parte della compagna della madre biologica ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184/1983. La sentenza fu confermata nel 2015 dalla Corte di appello di Roma8, e nel 2016 dalla Corte di Cassazione9. La Suprema Corte ha posto così un pri7 Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza n. 299/2014. 8 Corte di appello di Roma, sentenza decisa il 20 ottobre 2015, depositata il 23 dicembre 2015. 9 Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 12962/2016. L’adozione in casi particolari 1129 mo e importante punto fermo nell’intricato dibattito che negli ultimi anni aveva animato la questione della genitorialità omosessuale e della possibilità di estendere l’adozione in casi particolari anche alle coppie dello stesso sesso, definitivamente confermando la validità della decisione del Tribunale per i minorenni di Roma e il suo fondamento giuridico. 5. Le contestazioni È noto che la sentenza emessa nel 2014 dal Tribunale per i minorenni di Roma è stata diffusamente contrastata e contestata, non solo da parte di quei settori della società in cui alligna il pregiudizio – il che non desta meraviglia –, ma anche da parte di alcuni tribunali per i minorenni, e non solo nella immediatezza della emissione della sentenza di primo grado – la qualcosa era forse ancora comprensibile –, ma anche dopo la sentenza della Corte di Cassazione che nel giugno 2016, confermando la sentenza della Corte di appello di Roma del 2015, definitivamente la “validava”. Ricordiamo a questo proposito la sentenza emessa nel 2017 dal Tribunale per i minorenni di Palermo10, seguita tout court nel 2018 dal Tribunale per i minorenni di Napoli11, la cui sentenza veniva, forse non a caso, depositata l’8 marzo, nel giorno dedicato alla donna. Questi tribunali hanno rigettato i ricorsi intesi a ottenere l’adozione coparentale del figlio del partner, ignorando totalmente la sentenza della Corte di Cassazione del 2016. Le due sentenze motivavano il rigetto con riferimento agli articoli 48 e 50 della legge n. 184/1983. L’art. 48 prevede l’esercizio comune della responsabilità genitoriale nel caso di adozione da parte di una coppia di coniugi o di adozione del figlio del coniuge. Di conseguenza l’adozione coparentale sarebbe riservata solo alle coppie coniugate, perché la persona convivente in unione omosessuale, non essendo coniugata, non potrebbe esercitare la responsabilità se la madre biologica non se ne priva. Quest’ultima, ai sensi dell’art. 50, potrà riacquistarla solo se, per i motivi previsti dalla legge, cessa l’esercizio da parte dell’adottante. In altri termini, non sarebbe possibile l’esercizio congiunto della potestà genitoriale da parte della madre e della di lei compagna. 10 Tribunale per i minorenni di Palermo, sentenza decisa il 3 luglio 2017, depositata il 30 luglio 2017. 11 Tribunale per i minorenni di Napoli, sentenza n. 46/2018. 1130 The best interest of the child Si deve però opporre che gli articoli 48 e 50 non possono, e non devono, essere presi in considerazione nella tematica qui trattata, perché riguardano l’adozione in casi particolari da parte di una coppia coniugata, o di persona coniugata con il genitore del minore, e non attengono all’ipotesi di cui alla lettera d) dell’art. 44, in cui può anche non sussistere il rapporto di coniugio. Correttamente i giudici del Tribunale per i minorenni di Bologna scrivono12 nel 2017 che gli articoli 48 e 50 della legge n. 184 riaffermano il principio della condivisione della responsabilità genitoriale per le coppie coniugate, ma che dai citati articoli non discende il principio opposto per quelle che coniugate non sono. Conseguentemente si può affermare che l’adozione coparentale non comporta la concentrazione della responsabilità genitoriale in capo al solo adottante. D’altra parte l’art. 316 del codice civile prevede la condivisione della responsabilità tra i genitori, e non rileva come lo siano divenuti. Comunque entrambe le sentenze, di Palermo e di Napoli, sono state riformate in appello. In particolare, la sentenza della Corte di appello di Napoli13 ha motivato ampiamente e con grande competenza l’accoglimento del ricorso; la sentenza non è stata impugnata, e quindi è passata in giudicato. 6. Conclusioni In definitiva, possiamo oggi affermare che l’adozione ex art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184/1983 può essere disposta anche a favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore concepito a mezzo di procreazione medicalmente assistita, se trattasi di due donne, o di maternità surrogata, se trattasi di due uomini, sempre che emerga chiaro il progetto di genitorialità condiviso, costituendo famiglia anche quella omoaffettiva. Questa situazione non presuppone lo stato di abbandono morale e materiale dell’adottando, ma l’impossibilità di diritto dell’affidamento preadottivo ove sussista in concreto l’interesse dell’adottando a mantenere la condizione di vita garantitagli dalla madre e dalla di lei compagna, oppure dal padre e dal di lui compagno. 12 Tribunale per i minorenni di Bologna, sentenza decisa il 20 luglio 2017, depositata il 31 agosto 2017. 13 Corte di appello di Napoli, sentenza n. 145/2018, depositata il 4 luglio 2018. L’adozione in casi particolari 1131 Infine, mi rifaccio alla sentenza a Sezioni unite della Corte di Cassazione14 depositata l’8 maggio 2019. Tale sentenza afferma, e profusamente motiva, che non può trovare cittadinanza in Italia la maternità surrogata, in quanto vietata dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004; tale divieto va qualificato come principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto della adozione. La tutela di questi valori fondanti, a giudizio della Corte, prevale sull’interesse del minore, e lo sopravanza nel bilanciamento che il nostro legislatore ha fatto dei due valori. Ma “ conclude la Suprema Corte “ è sempre possibile il ricorso ad altro strumento giuridico, quale l’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983. Non c’è dubbio quindi che la Suprema Corte, a sezione unite, ha decisamente sdoganato l’applicabilità alle coppie omosessuali dall’art. 44, comma 1, lettera d), sia che si tratti di fecondazione medicalmente assistita che di maternità surrogata. C’è, quindi, una risposta di tutela, in attesa di una legge rigorosa che renda possibile anche in Italia l’accesso alle biotecniche e metta fine alla discriminazione che penalizza le coppie economicamente deboli rispetto a quelle danarose che possono consentirsi di recarsi all’estero e sostenere i costi per realizzare il desiderio di essere madre e padre. *** Il quadro giuridico appare dunque, allo stato, chiaro e univoco. Ma allora, perché tanto livore alligna ancora in tanti strati della società contro la famiglia omosessuale? Perché in tanti si ostinano a negare a queste persone il diritto alla genitorialità, a svolgere con serena responsabilità il ruolo di mamme e di padri? Perché pretendono di imporre le proprie scelte agli altri, tendendo a limitarli nella propria libertà personale? Esistono fondamentalmente due limitazioni alla libertà personale e di gruppo: una lesione dei diritti altrui e una possibile danno sociale. L’unione omosessuale lede forse il diritto di qualcuno? Per quanto attiene al danno sociale, non è assolutamente provato che essa possa nuocere alla famiglia cosiddetta tradizionale come esempio alternativo di vita. Qualcuno poi sostiene che il bambino nel suo percorso di vita evidenzierà problematiche riconducibili alla situazione familiare 14 Cass. Civ., Sezioni unite, sentenza n. 12193/2019. 1132 The best interest of the child in cui è stato allevato, e quindi sarebbe a rischio di diventare un adulto incompiuto, con inevitabili risvolti sociali; ma questa tesi è smentita da tutta la letteratura scientifica seria. Pertanto l’ostilità nei confronti delle coppie omosessuali non ha alcun fondamento razionale, e affonda radici in una subcultura radicata nei secoli, in cui il controllo delle coscienze secondo canoni propri era l’obiettivo primario dell’agire politico e sociale. L’unico danno per un bambino allevato nell’ambito di una famiglia omosessuale potrebbe derivargli da un irrazionale e ingiustificato stigma sociale da parte del contesto di appartenenza, che quindi si porrebbe come unico responsabile di un suo eventuale malessere. Si tratta dunque di un problema culturale, radicato nella storia; perciò la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli. Ma l’esito è scontato, se crediamo nella positiva evoluzione dei costumi e dei rapporti sociali. L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi Rosario Carrano Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di interesse del minore e i rischi ad essa connessi. – 3. Segue: la continuità affettiva. – 4. Segue: i rapporti significativi. – 5. Il problema della difficile delimitazione delle varie ipotesi ed il rischio di abusi. – 6. La sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre 2016, numero 225: spunti di riflessione. 1. Premessa Ringrazio la professoressa Bianca che mi ha invitato a questo convegno, e devo subito dire che se mi trovo seduto a questo tavolo, in mezzo a illustri relatori, è solamente grazie alla benevolenza della professoressa Bianca. Sulle tematiche che stiamo affrontando in questi giorni, non posso vantare particolari esperienze o particolari competenze come chi mi ha preceduto e chi mi seguirà, ma posso solamente affermare di condividere la passione per lo studio di queste materie, passione che è comune a molti allievi della scuola Bianca. Passando al merito del mio breve intervento, vorrei innanzitutto evidenziare che ho scelto questo titolo “L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi” con l’intenzione di gettare una piccola luce su quest’altra faccia dell’ampia problematica in questione, ossia i rapporti significativi, e cercare di evidenziare la circolarità che si viene a creare tra queste tre nozioni in gioco: interesse del minore, continuità affettiva e rapporti significativi. A tal fine, vorrei utilizzare alcuni passaggi contenuti nella nota sentenza della Corte Costituzionale, la numero 225 del 2016, la quale, a mio modesto avviso, contiene degli interessanti spunti di riflessione 1134 The best interest of the child che sono utili anche oggi per proseguire e sviluppare ulteriormente il ragionamento. 2. La nozione di interesse del minore e i rischi ad essa connessi Innanzi tutto vorrei partire da una considerazione, un po’ banale se volete, ma utile per impostare il discorso. La nozione di best interest contiene una importante specificazione, e cioè tale interesse viene qualificato come un interesse “del minore” (of the child). In precedenza, è stato già evidenziato questo aspetto, nella parte in cui si è posto l’accento sulla supremazia di tale interesse, da intendersi come la superiorità degli interessi del minore rispetto agli altri interessi, che sono prevalentemente interessi di persone adulte1. Pertanto, è chiaro che quando parliamo di best interest, cioè dell’interesse che deve prevalere sugli altri interessi in gioco, vogliamo fare riferimento all’interesse del minore2. Quando parliamo, invece, di “continuità affettiva” o di “rapporti significativi” qualche dubbio potrebbe sorgere in ordine al fatto di chi sia l’interesse che stiamo tutelando. Il dubbio potrebbe sorgere perché se andiamo a vedere, ad esempio, l’articolo 317 bis del Codice Civile, introdotto con la riforma Bianca del 2012-2013 in tema di unificazione dello stato di figlio3, lì il rapporto significativo è riferito non al minore, ma agli ascendenti, quindi ai nonni, alle persone adulte, anche se poi subito dopo viene specificato che i provvedimenti sono adottati nell’esclusivo interesse del minore4. 1 La legge, in altre occasioni, parla di “esclusivo” interesse del minore: cfr. artt. 317 bis e 337 ter c.c. 2 In realtà, il concetto di best interest, tradotto alla lettera, dovrebbe essere inteso nel senso di “migliore interesse” del bambino, il che risulta essere molto interessante in quanto presuppone, da un lato, l’esistenza di una pluralità di interessi del minore e, dall’altro lato, un’attività di valutazione e comparazione tra i vari interessi dello stesso minore finalizzata alla selezione di quell’interesse che sia “migliore” degli altri. 3 Si tratta della nota riforma attuata con la legge delega del 10 dicembre 2012, n. 219 e del decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154. 4 Cfr. art. 317 bis c.c.: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma”. L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi 1135 È ovvio che i rapporti significativi devono essere visti e valutati alla luce dell’interesse del minore, ma rimane pur sempre il fatto che la legge parla di rapporti significativi riferendosi alle persone adulte. Questa che sembra un’ovvietà, in realtà svela l’esistenza di una serie di problemi, di cui in parte è già stato accennato quando si parlava di “abuso” di questa nozione di best interest. Il vero problema è dovuto dal fatto che spesso può capitare che dietro ad una apparente tutela dell’interesse del minore si celi, in realtà, un diverso e a volte contrapposto interesse di un adulto, che può essere un interesse egoistico non solamente affettivo, ma di qualsiasi altro tipo, come può essere ad esempio un interesse di tipo patrimoniale (si pensi all’istituto dell’adozione come concepito e tramandato nel diritto romano), oppure un interesse ad ottenere un riconoscimento sociale in termini di famiglia rispetto ad un insieme di persone che non rientrano nel modello di famiglia di un determinato contesto storico o culturale, ecc.; in definitiva, il rischio è che dietro questa nozione di interesse del minore si possano celare gli interessi più disparati di persone adulte che non hanno niente a che fare con le reali e concrete esigenze di tutela della persona minore di età. 3. Segue: la continuità affettiva La nozione di continuità affettiva nasce, almeno a livello legislativo interno, dalla legge n. 173 del 2015 che, modificando la legge sull’adozione, inserisce all’art. 4 il comma 5 bis, il quale, in tema di affidamento familiare, stabilisce una sorta di ponte di collegamento con l’istituto dell’adozione. In particolare, il giudice quando deve provvedere all’adozione tiene conto anche dei legami affettivi, significativi, e del rapporto stabile duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria, purché ricorrano sempre le condizioni di cui all’articolo 6 della legge sull’adozione, e cioè le condizioni che consentono poi di procedere all’adozione, ossia che si tratti di una coppia sposata da almeno tre anni e così via5. 5 Cfr. art. 4, comma 5 bis, legge 4 maggio 1983, n. 184, come introdotto dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173: “5-bis. Qualora, durante un prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile ai sensi delle disposizioni del capo II del titolo II e qualora, sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare, il tribunale per i minorenni, nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria”. 1136 The best interest of the child 4. Segue: i rapporti significativi Infine, quando parliamo di rapporti significativi, abbiamo invece la fortuna di poter contare su dei riferimenti codicistici, ed in particolare su tre norme principali. In primo luogo, abbiamo l’art. 315 bis, comma 2, c.c. che rappresenta una sorta di statuto dei diritti e dei doveri e del figlio, una delle perle uscite da questa riforma della filiazione del 2012-2013, in cui sono elencati i contenuti, in maniera chiara, di tutti i diritti e i doveri del figlio, tra cui il diritto di mantenere e conservare i rapporti significativi con i propri parenti. In secondo luogo, abbiamo l’art. 317 bis c.c., già accennato in precedenza, che fa riferimento agli ascendenti, in particolare al diritto degli ascendenti di avere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Infine, abbiamo l’art. 337 ter c.c., come riformulato dalla suddetta riforma della filiazione. Si tratta di una norma che in realtà già esisteva nella sostanza, ma è stata riformulata con la riforma, e prevede questo stesso diritto di mantenere rapporti significativi con i propri parenti, declinandolo però nella fase patologica del rapporto di coppia e quindi in fase di separazione o divorzio, in maniera speculare a quanto avviene nella fase fisiologica dello stesso (art. 315 bis c.c.). 5. Il problema della difficile delimitazione delle varie ipotesi ed il rischio di abusi Orbene, mentre la nozione di continuità affettiva nasce nell’ambito dell’affidamento e dell’adozione, in quanto contenuta in una specifica legge (ci sono state poi varie discussioni e critiche su tale legge, ma allo stato attuale è la legge positiva che prevede ancora e impone le condizioni per l’adozione di cui all’articolo 6), per quanto riguarda invece il concetto di rapporti significativi, si tratta di una nozione che troviamo nell’ambito della famiglia propria del minore, quindi con riferimento al rapporto con i genitori, con i nonni e poi con i parenti in generale. I problemi però si pongono quando ci troviamo al di fuori di queste due ipotesi in cui le suddette nozioni sono state concepite, cioè, quando ci troviamo al di fuori della famiglia affidataria o adottiva, e al di fuori della famiglia propria del minore, ossia quando ci troviamo in quella pluralità di ipotesi, definite famiglie di fatto, dove c’è un altro soggetto che non ha né un legame biologico o di sangue, come ce L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi 1137 l’hanno i parenti della famiglia propria, né un legame giuridico, come ce l’hanno gli affidatari o la famiglia adottiva. In questi casi sussiste un legame che possiamo definire di tipo affettivo, o un rapporto significativo, per usare questa espressione normativa, che però pone dei problemi dal punto di vista giuridico, in quanto è pur sempre necessario delimitare bene le varie ipotesi per evitare possibilità di abusi e, a questo riguardo, entra in gioco la sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre 2016, numero 225. 6. La sentenza della Corte Costituzionale del 20 ottobre 2016, numero 225: spunti di riflessione Con la sentenza n. 225 del 2016, la Corte Costituzionale è intervenuta su una questione sollevata dalla Corte d’Appello di Palermo, in relazione al sospetto di illegittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. Il caso è quello di due donne, una coppia quindi formata da persone dello stesso sesso, che si sono recate all’estero per avere accesso alla procreazione assistita di tipo eterologo, ma che, dopo una convivenza di circa sette-otto anni, hanno visto fallire la loro relazione sentimentale con conseguente disgregazione e dissolvimento della coppia. Dalla procreazione assistita erano nate due bimbe, due gemelline, ed il problema che si poneva, a seguito della disgregazione del rapporto di coppia, era se l’ex partner della madre biologica, potesse continuare a mantenere i rapporti con queste due bambine nate da procreazione medicalmente assistita. Dopo il primo grado di giudizio, si arriva in Corte d’Appello, la quale solleva la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 337 ter c.c., in quanto questa norma parlando di rapporti significativi con i parenti, circoscrive la cerchia di soggetti rispetto ai quali il minore può conservare rapporti significativi, cerchia che viene limitata ed individuata dalla legge solamente nell’ambito della parentela, quindi dei legami di sangue, con conseguente esclusione di tutti quei soggetti che vantano un mero legame affettivo, come nel caso di specie. La Corte quindi solleva la questione di illegittimità costituzionale che però viene respinta dalla Corte Costituzionale, perché infondata, dando però allo stesso tempo una indicazione che, appunto, ritengo sia interessante per i fini che qui interessano. La Corte Costituzionale parte innanzitutto dalla corretta premessa, seguita anche dalla Corte d’appello, secondo cui quando l’art. 337 ter 1138 The best interest of the child c.c. parla di conservare “rapporti significativi”, questi rapporti devono essere circoscritti solamente ai parenti. Questo, appunto, era già stato detto anche dalla Corte d’Appello, ma la novità di questa pronuncia costituzionale è contenuta nella parte in cui ritiene che non ci sia nessun vuoto di tutela con riguardo alla fattispecie esaminata, censurando così la motivazione dei giudici di merito che avevano invece ritenuto sussistente tale vuoto normativo. Ritiene, infatti, la Corte che con riguardo alla posizione dell’ex partner della madre biologica, che possiamo inquadrare nella categoria del c.d. genitore sociale, la paventata assenza di tutela non sussiste6. Il passaggio interessante della sentenza è il punto 3.2 della motivazione, verso la fine, dove si sostiene che “La Corte rimettente trascura, però, di considerare che l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio“, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti“ nel caso concreto” e poi aggiunge “E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione”. Conclude, quindi, la Corte rilevando che “In questo senso, nella fase di primo grado del giudizio a quo, si era, del resto, già orientato il Tribunale di Palermo che – nel disporre la frequentazione delle due minori con l’ex compagna della madre biologica – aveva ritenuto a tal fine necessaria una richiesta del pubblico ministero. 3.3. – Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente. E ciò appunto comporta la non fondatezza della questione su tal presupposto sollevata”. Che cosa ci sta dicendo la Corte costituzionale? Ci sta dicendo che l’interruzione ingiustificata di un rapporto significativo equivale a una condotta pregiudizievole per il figlio, e questa equazione è molto interessante perché ci consente di fare un’operazione al contrario, cioè, 6 Cfr. il punto 3.1. della motivazione: “Muovendo dalla corretta premessa che l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a «conservare rapporti significativi» con persone diverse dai genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337-ter cod. civ., abbia esclusivo riguardo a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale – all’interno, quindi, di un contesto propriamente familiare – il giudice a quo perviene direttamente alla conclusione che esista un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti”. L’interesse del minore tra continuità affettiva e rapporti significativi 1139 quando si tratta di verificare la sussistenza, la portata in concreto, di questo interesse del minore, per evitare possibilità di abusi si potrebbe fare questo ragionamento al contrario suggerito dalla Corte, e cioè domandarsi: ma se questo rapporto venisse interrotto, ci sarebbe un pregiudizio per il figlio oppure no? Se dovessimo rispondere affermativamente, allora è chiaro che sussiste l’interesse del minore a conservare e a continuare questo rapporto; se invece dovessimo rispondere negativamente e cioè a dire, sì, questo rapporto può essere interrotto ma un pregiudizio vero e proprio per il figlio non c’è, allora, a questo punto bisognerebbe fare molta più attenzione, nel senso che il controllo del giudice dovrebbe farsi, a mio avviso, più rigoroso e più attento, proprio perché se non c’è questo pregiudizio, allora potrebbe esserci il rischio che dietro questo interesse per il minore si celi in realtà qualcos’altro, e potrebbe appunto celarsi un interesse dell’adulto7. A ben vedere, però, la strada indicata dalla Corte non rappresenta neanche una vera e propria novità, in quanto si tratta di un sentiero già battuto in precedenza dagli ascendenti prima della riforma della filiazione. Infatti, quando ancora non c’era l’art. 317 bis c.c. sulla tutela del diritto dei nonni, questi ultimi, mediante un percorso un po’ contorto, seguivano quella stessa via indicata dalla Corte Costituzionale, ossia passavano attraverso i procedimenti c.d. de potestate per ottenere un provvedimento del giudice che inibisse al genitore di vietare di frequentare i nipoti. Si trattava in realtà dell’unico modo che avevano gli ascendenti per far valere il loro diritto di visita dei propri nipoti, che doveva passare necessariamente attraverso quella doppia negazione: vietare al genitore di vietare al nonno di vedere i nipoti. In particolare, la giurisprudenza prima del 2012 riteneva che se il genitore vietava al nonno di frequentare il figlio, questa condotta del genitore era da considerare pregiudizievole per il figlio, con la conseguenza che il nonno, in quanto parente, poteva agire ai sensi dell’art. 336 c.c. e quindi ottenere dal giudice una pronuncia limitativa della potestà genitoriale e quindi poter visitare il minore. 7 A questo punto, però, si impongono due ulteriori considerazioni, che qui non possono essere affrontare adeguatamente: la prima attiene alla nozione di “pregiudizio“ per il minore, e cioè occorrerà stabilire quale sia il livello di gravità della lesione richiesto a tal fine; la seconda, riguarda il fatto che, in via generale, la persona umana è dotata di una grandissima capacità di adattamento, la quale le consente di adeguarsi anche ai contesti più sfavorevoli relativizzando così la portata oggettiva del pregiudizio subito. 1140 The best interest of the child Nel caso del c.d. genitore sociale, quindi, la presenza di tale strumento di tutela esclude la sussistenza di un vuoto normativo, potendo il pubblico ministero fare ricorso ai sensi dell’art. 336 c.c. su impulso e nell’interesse del genitore sociale. Mi pare, e concludo, uno spunto davvero interessante per poter proseguire in maniera fruttuosa e costruttiva il complesso dibattito sul tema. L’affido familiare per la crescita di una società generativa Silvia Fornari Sommario: 1. Introduzione. – 2. I primi risultati della ricerca sull’affido in Umbria. – 3. L’importanza dell’affido familiare oggi. – 4. Genitori sociali e generativi. 1. Introduzione La proposta per questo mio intervento parte dal desiderio di presentare l’esperienza dell’Osservatorio sull’affido Familiare della Regione Umbria di cui sono fondatrice e coordinatrice. Gli interessi scientifici e professionali, aver svolto la funzione di giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Perugia per più di dodici anni hanno ispirato la scelta dell’Osservatorio. La tutela dei minori è e rimane al centro dei miei interessi, tanto da decidere anche di entrare a far parte della lista delle persone disponibili all’affido familiare del Comune di Perugia e in quella dei Tutori volontari per i minorenni della Regione Umbria1. Con questo bagaglio di esperienze, ma soprattutto cosciente delle difficoltà che investe oggi la realtà dell’affido familiare ho deciso di presentare la proposta per la valorizzazione dell’istituto. Il progetto dell’Osservatorio sull’affido familiare ha trovato il supporto della Ga1 Concretamente sono stata affidataria “single part time” per due sorelle adolescenti che ho seguito nel passaggio dalla scuola superiore di I° grado a quella di II° grado e per migliorare la relazione con la madre e i fratelli. Ad oggi l’affido si è concluso, ma il legame con le ragazze e la loro famiglia è ancora vivo, tanto da avere un rapporto costante con loro fatto di incontri, affetto e reciprocità. Un’esperienza fondamentale che mi ha permesso di credere ancora di più nella possibilità di attivare concretamente interventi in favore di minori in difficoltà. Sono stata poi nominata dal Tribunale Ordinario tutrice di un ragazzo adolescente e di un bambino di 18 mesi, per i quali sono stati aperti dei fascicoli di tutela. 1142 The best interest of the child rante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione dell’Umbria, Maria Pia Serlupini e della Direttrice del Dipartimento cui afferisco (Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione) prof. ssa Claudia Mazzeschi. Entrambe hanno condiviso il progetto, sia per vocazione istituzionale e sia per l’attenzione a tutti gli ambiti in cui sono al centro i minori e gli adolescenti, decidendo così di presentarlo all’Assessore alle politiche sociali della Regione Umbria. Le parti hanno siglato l’accordo nel febbraio 2017 per la fondazione dell’Osservatorio Regionale sull’affido Familiare, con durata triennale e rinnovabile per un successivo triennio, procedendo alla mia nomina come coordinatrice dello stesso e all’ingresso di diversi partner. L’Osservatorio s’inserisce all’interno del quadro regionale come supporto e stimolo al dibattito sull’affido familiare, pensato come: a) un laboratorio di ricerca permanente per conoscere, attraverso strumenti quantitativi e qualitativi, il sistema famiglia, l’evoluzione dei bisogni e delle domande, l’efficacia delle risposte che i vari servizi e istituzioni sono in grado di fornire; b) un laboratorio di esperienze concrete, di rete, per concorrere a migliorare la qualità della vita delle famiglie, anche attraverso la crescente partecipazione diretta ai luoghi amministrativo-decisionali, per fornire stimoli, orientamenti e strumenti di conoscenza. Data la delicatezza e le tante implicazioni socio-relazionali e psicologiche, l’Osservatorio si propone di svolgere un’azione di tutela dei minori coinvolti nell’affido familiare e nello stesso tempo di promuovere e sostenere una ricerca scientifica per conoscere il fenomeno e proporre interventi culturali e normativi per migliorare quanto già svolto nella nostra Regione. In tal senso l’Osservatorio non è uno strumento di ricerca teorica o puramente ricognitiva, ma operativa, trasformativa, basata cioè sul legame di circolarità tra gli operatori, le istituzioni e i soggetti primi: minori, famiglie ed affidatari. Nella Regione Umbria, in un recente passato era la Provincia a svolgere le attività di coordinamento dell’affido, occupandosi anche della formazione degli operatori e delle famiglie affidatarie sparse nel territorio. Lavoro di concerto con le tante figure coinvolte nel mondo della tutela dei minori: assistenti sociali, psicologi, giudici ordinari e minorili, educatori, famiglie affidatarie, ma anche tutori, avvocati minorili ed associazioni. L’ente regionale ha varato diverse leggi e disposizioni nei confronti della fascia 0-18 e tra queste le linee guida in materia di adozione L’affido familiare per la crescita di una società generativa 1143 nazionale ed internazionale (DGR 1983 del 23/12/2009) recependo le Leggi nazionali (4 maggio 1983 n. 184 e 31 dicembre 1998 n. 476) e le Linee di Indirizzo per l’Affido Familiare del 2012 (http://www.regione. umbria.it/sociale/affidamento-familiare). Queste ultime perseguono i seguenti obiettivi e linee d’indirizzo: - promuovere e realizzare, in modo sistematico, campagne di comunicazione e azioni d’informazione e di sensibilizzazione mirate ad accrescere nella comunità l’attenzione nei confronti delle esigenze delle giovani generazioni e a raccogliere nuove e diversificate disponibilità familiari da attivare con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti; - definire livelli di responsabilità, funzioni ed attività dei diversi soggetti, istituzionali e non, coinvolti a vario titolo nella realizzazione degli interventi di affidamento familiare, individuando forme adeguate di integrazione gestionale, professionale e di collaborazione tra i diversi sistemi dei servizi (giudiziario, sociale, sanitario, educativo, scolastico, ecc…); - individuare e rendere omogenei su tutto il territorio regionale modelli organizzativi metodologici e professionali dedicati alla realizzazione degli interventi di affido familiare (anche attraverso l’assegnazione di specifiche fonti di finanziamento); - assicurare percorsi costanti di formazione rivolti agli operatori dei diversi sistemi istituzionali coinvolti ed un monitoraggio periodico sulle attività dei servizi, sull’evoluzione del fenomeno e sui risultati degli interventi di affido familiare, anche attraverso l’implementazione di una specifica banca dati regionale. I destinatari delle Linee di Indirizzo sono i soggetti istituzionali che esercitano un ruolo integrato nei processi di accoglienza dei minori temporaneamente fuori dalla propria famiglia e chi desidera avvicinarsi al mondo dell’affido. 2. I primi risultati della ricerca sull’affido in Umbria Tenendo fermi i principi cardine degli interventi legislativi, nazionali e regionali, l’Osservatorio ha quindi avviato una prima ricerca volta a fornire un quadro dell’istituto nella nostra Regione. La ricerca sulla realtà dell’affido familiare in Umbria è stata di tipo esplorativo-conoscitivo, per fornire un quadro della situazione. Comprendere chi oggi riesce a dare voce alle persone che vorrebbero diventare affidatari, ma soprattutto comprendere come l’istituto sia seguito 1144 The best interest of the child ed integrato da tutti coloro che sono preposti ad occuparsi dello stesso. Si è proceduto alla formulazione di un questionario per conoscere: i dati concernenti, le diverse tipologie di affidi oggi attivi in Umbria e i numeri dei minori coinvolti; il numero dei professionisti dedicati alle attività dell’affido; la presenza e le modalità della formazione rivolta ai potenziali affidatari e ai professionisti del settore; la presenza o meno del coordinamento nelle attività svolte dagli assistenti sociali dei singoli comuni; i tempi medi della durata degli affidi in Umbria; il numero dei rientri dei minori presso le famiglie d’origine. Domande importanti per riuscire a inquadrare il fenomeno e che avevano bisogno di trovare risposte concrete. La ricerca è stata definita insieme ai partner dell’Osservatorio: Tribunale per i Minorenni di Perugia, Ordine degli Assistenti Sociali dell’Umbria, Ordine degli Psicologi dell’Umbria, Ordine degli Avvocati di Perugia, Anci Umbria. Si è proceduto alla strutturazione di un questionario conoscitivo inviato ai responsabili dei servizi sociali dei 92 comuni della Regione. I questionari sono stati inviati dall’Anci potendo così sollecitare la partecipazione alla ricerca. Tutti i comuni hanno risposto alla richiesta inviata e chi non l’ha fatto, ha demandato al comune capofila della zona sociale di riferimento. La divisione regionale nelle 12 zone sociale permette di poter svolgere anche una funzione di controllo soprattutto per i comuni più piccoli che non potrebbero da soli riuscire ad occuparsi completamente di tutti i compiti loro assegnati. Alcuni comuni hanno comunque risposto singolarmente in quanto, pur non essendo comuni capofila, per cultura e per la presenza di personale dedicato, riescono a far fronte al servizio di affido familiare anche per proprio conto (Bastia Umbra, Todi, Gualdo Tadino), anche con interventi sperimentali, come l’affido professionale2 (Comune di Corciano). Sono poi state svolte anche delle interviste in profondità ai responsabili dei servizi (assistenti sociali, psicologhe, referenti comunali, ecc.) nelle principali zone sociali (Bastia Umbra, Città di Castello, Corciano, Foligno, Narni, Perugia, Terni). I risultati di questa prima fase di lavoro sono stati presentati al Convegno sull’Affido Familiare richiesto dalla Presidente della Regione dell’Umbria in accordo con l’Osservatorio e che si è svolto il 14 novembre 2018 2 L’affido professionale nasce sul territorio della provincia di Milano come sperimentazione nel 2003. Nasce come “nuovo modello di accoglienza” da parte degli operatori, dei servizi pubblici e della cooperazione che iniziano a discutere insieme «di co-progettazione e monitoraggio del progetto in cui pubblico e privato sociale operino in una forma di corresponsabilità» (L.S. Kaneklin - I. Comelli, 2013, p. 160). L’affido familiare per la crescita di una società generativa 1145 alla Sala dei Notari3. Quest’evento è stato l’occasione per riaffermare l’interesse nei confronti della tematica ed ha visto la partecipazione degli operatori dei servizi sociali e specialistici, dell’associazionismo, di esperti di settore che lavorano in altre realtà italiane e che sono stati invitati per presentare le loro singole esperienze (Milano, Prato). La presentazione dei risultati della ricerca esplorativa promossa dall’Osservatorio ha permesso così di approfondire ulteriormente la realtà dell’affido familiare grazie ai lavori svolti nella seconda parte del convegno con gli operatori territoriali di settore. Sistema questo che ci ha permesso non solo di conoscere le diverse esperienze e di poterle condividere, ma anche di poter affermare quanto lavoro e competenze ci siano nella Regione e quante buone pratiche devono continuare ad essere incentivate e valorizzate. I risultati della ricerca hanno mostrato anche le criticità concernenti, la disomogeneità degli interventi a livello regionale e dei loro risultati. Sinteticamente le fragilità del sistema regionale riguardano la mancanza di una banca dati regionale, come prevista nelle linee d’indirizzo; la necessità di unire i due tavoli tecnici in cui sono presenti gli stessi soggetti, che si occupano in maniera separata di adozione e di affido familiare; la disomogeneità nel territorio delle modalità d’informazione, formazione e sostegno delle famiglie/single affidatarie. Sopra tutto questo vi è l’annoso problema degli investimenti economici della Regione e dei comuni rispetto al personale e alle risorse da dedicare a questo specifico settore. Come si evince le problematiche riguardanti la gestione dell’affido familiare, non sono riconducibili solo alla nostra realtà regionale, ma si tratta di aspetti che a diverso grado sono riscontrabili anche in altri contesti italiani. In questo senso e per l’economia del lavoro non sarà possibile analizzarli tutti, ma si è scelto di riferirsi ai soli aspetti concernenti l’approccio culturale e formativo dell’istituto. Le problematiche elencate si legano alle scelte che ogni Regione ha fatto in merito all’istituto dell’affido familiare che com’è noto si distingue da quello dell’adozione. Per quest’ultima è la legge nazionale che obbliga le Regioni e le altre istituzioni, come il Tribunale per i Minorenni di svolgere i compiti di selezione e formazione delle coppie che 3 I dati della ricerca presentati sono stati pubblicati nello spazio dedicato alla documentazione sull’affido familiare nel sito della Regione Umbria, http://www. regione.umbria.it/documents/18/15376592/Affido+familiare+Dott.ssa+Fornari/ c0a64105-aca6-48de-bc41-f913dd40823b. 1146 The best interest of the child presentano domanda di adozione. Così come vi è un personale specifico dedicato, assegnato ai singoli comuni o alle equipe che lavorano di concerto con altri comuni (equipe interzonali, ecc.) per svolgere tutto il lavoro (dall’accoglienza della coppia, la sua conoscenza, indagine socio-familiare, psicologica, ecc.). Ripensare i modelli dell’affido familiare significa lavorare per uniformare i processi che meglio possono rispondere alle richieste delle coppie, delle famiglie e dei single, rispetto ai due percorsi. In Italia possono accedere all’adozione solo coppie eterosessuali sposate e non conviventi, mentre per entrare a far parte delle banche dati degli affidatari non vi sono vincoli rispetto al vivere in coppia, da soli, essere uomini o donne, fatta eccezione dell’indagine socio-ambientale e psicologica di chi fa domanda, per comprendere sia le motivazioni della richiesta sia il tipo di disponibilità a svolgere la propria funzione di affidatario/a. I due istituti a oggi, pur tenendo fede agli aspetti legislativi che le separano, hanno visto però il crescere dei punti di contatto, anche normativi. Ciò si lega anche ad un cambiamento culturale e strutturale delle famiglie con o senza figli, da cui l’esperienza dell’affido familiare può rappresentare una risorsa per entrambi. In questo senso è importante però comprendere quanto l’istituto dell’affido abbia bisogno di essere organizzato «con cura in quanto contiene i destini di bambini, famiglie, operatori, ma anche amministratori, enti ed istituzioni…infatti si tratta di un lavoro clinico-sociale, che si attua nel sociale, attraverso il sociale [ ] trattandosi di un lavoro ad alta complessità e ad alto rischio necessita di essere affiancato da specifici interventi formativi volti a sostenere situazioni di fragilità che si possono evidenziare nel cammino» (L.S. Kaneklin - I.Comelli, 2013, p. 126). Su questo anche la nostra Regione ha accolto e continua a promuovere interventi a favore di tutti quei minori che hanno bisogno di essere affiancati e sostenuti, anche insieme anche ai loro genitori. 3. L’importanza dell’affido familiare oggi La valorizzazione dell’affido familiare oggi è ancora più importante proprio in relazione alle tante fragilità e disuguaglianze che investono la nostra società complessa, dove i cambiamenti delle dinamiche e delle nuove costellazioni familiari, chiedono di essere ascoltate ed accolte. Come docenti, educatori, assistenti sociali, operatori della cura in generale, non possiamo non sentirci parte in gioco di questi cam- L’affido familiare per la crescita di una società generativa 1147 biamenti, non preoccuparci di tutti quei bambini e bambine, ragazzi e ragazze che per diverse ragioni non possono restare nella loro famiglia di origine, ma che hanno il diritto di poter vivere in un ambito familiare diverso, capace di accogliere le loro storie e le loro identità. Sino a un recente passato il controllo della comunità, del vicinato rappresentava una ricchezza per quei genitori in difficoltà a crescere e seguire i loro figli e che nella logica della reciprocità riuscivano a trovare un sostegno fuori dalla propria rete familiare. Nella società individualizzata e liquida gli specialisti sono chiamati a svolgere la funzione di sostegno alle fragilità familiari e ad occuparsi dei figli non propri (educatori, insegnanti, assistenti sociali, ecc.) (P. Sartori, 2013). L’incremento delle famiglie che vivono in uno stato di disagio sociale ed economico e che hanno bisogno di essere sostenute nel loro percorso di vita possono trovare una risposta in una nuova idea di “comunità sociale”? È possibile che ci si possa occupare insieme della crescita dei bambini/e di questa società individualista? (E. Allegri, 2015). Per chi scrive la risposta è certamente positiva e gli istituti dell’affido familiare e dell’adozione sono parte integrante di questo progetto, mantenendo al centro in primis le esigenze del minore per favorire la sua sana crescita psico-fisica. Così com’è necessario che entrambi gli istituti lavorino di concerto anche a proposito dell’applicazione della Legge 173 del 2015, in cui si parla esplicitamente di continuità affettiva, riconoscendo il valore dei legami che si vengono a creare tra affidatario/ a-affidato/a e/o adottando/a -adottato/a4. Intervento traducibile nella possibilità di offrire al minore «relazioni affettive valide come contesto entro cui poter sviluppare le proprie potenzialità di sviluppo, recuperare eventuali ritardi, rimarginare “ferite” ed elaborare esperienze o vissuti traumatici» (R. Cassiba - L.A. Antonucci, 2014, p. 37). Tutto ciò nella consapevolezza che l’affido familiare, come istituto, è stato concepito come uno strumento di aiuto per i bambini e le bambine quando le loro famiglie attraversano un momento di difficoltà. Con 4 La Legge n. 179 del 19 ottobre 2015 è stata introdotta a modifica della Legge n. 184 del 4 maggio 1983 in materia di adozioni. La L. 179 riconosce l’importante principio del diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare. Nello specifico si prevede al comma 5-bis dell’art. 1 che: “qualora la famiglia affidataria chieda di poter adotta il minore, il Tribunale per i minorenni nel decidere sull’adozione, dovrà considerare i legami affettivi ed il rapporto consolidato tra il minore e la famiglia affidataria”. Così come nel comma 5-ter si parla di tutela delle relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento, anche se successivamente il minore faccia rientro presso i propri genitori biologici o venga adottato da altra famiglia. 1148 The best interest of the child l’applicazione della legge n. 184, del 1983, il legislatore riconosce che per i bambini è indispensabile un ambiente familiare per un corretto sviluppo della personalità individuale e sociale. Oggi a più di trent’anni dalla sua approvazione, dopo le modifiche apportate con legge 149 del 2001 che riforma l’istituito dell’affido – sino al più recente intervento con la Legge n. 173 del 19 ottobre 2015 – sulla continuità affettiva si conferma l’interesse nei confronti dei minori, che chiede però di assumere e divenire una pratica consolidata e soprattutto omogeneamente diffusa sull’intero territorio nazionale. L’istituto dell’affido assume la sua principale connotazione giuridica e sociale, divenendo la possibilità di ogni bambino di crescere in una famiglia; una risposta che deve rappresentare un’opportunità di sostegno per la famiglia di origine e di crescita per la famiglia affidataria; un’occasione per esprimere la competenza e la solidarietà della collettività verso chi fa più fatica. Senza dimenticare che le famiglie in difficoltà, che per ragioni diverse non sono in grado di svolgere completamente o per nulla il proprio ruolo genitoriale, possono trovare sostegno nella loro rete familiare e/o amicale, ma vi è anche la possibilità per chi è escluso dalla trama di queste opportunità di entrare in relazione con persone disponibili a supportare le pratiche di cura. Persone o famiglie, che senza un secondo fine, possono rappresentare un riferimento per sostenere i loro figli ed aiutarli a svolgere il loro ruolo genitoriale. Tenendo in considerazione che “dall’analisi della letteratura, per proporre una prima articolazione che si inscrive nella realtà educativa, terapeutica e sociale, la resilienza è la capacità o il processo che una persona o un gruppo hanno di riuscire a evolversi positivamente, continuare a progettare la vita con una forza rinnovata, a dispetto di un avvenimento fortemente destabilizzante, di condizioni di vita difficili, di traumi anche severi in relazione al contesto e alla cultura di appartenenza” (E. Malaguti, 2005, p. 186). L’affido familiare ha in sé i presupposti per aiutare tutti questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze a resistere agli urti della vita per diventare più forti, e quindi svolge un’educazione alla resilienza (E. Malaguti, 2005). 4. Genitori sociali e generativi Una lettura, come quella sin ora condotta, non può non riflettere sull’idea della genitorialità. Che cosa significa oggi essere genitori? L’affido familiare per la crescita di una società generativa 1149 Esiste solo un tipo di genitorialità? Sappiamo, di là dalla nostra formazione, che oltre alla genitorialità biologica, esiste anche una genitorialità sociale. Si può essere genitori anche senza essere madri e/o padri biologici. L’adozione ne è un esempio, ma esistono altri modi per diventare “genitori sociali“, l’affido familiare è un’altra possibilità. È ormai noto che in merito a questo complesso argomento l’Italia è intervenuta con leggi volte a mettere ordine in merito sia all’idea di famiglia (coppie di fatto, unioni civili), con la Legge n. 76 del 2016, sia rispetto alle pratiche volte al sostegno della procreazione (utero in affitto, maternità surrogata, ecc.) con la Legge n. 40 del 2004 e successive modifiche (http://www.biodiritto.org/index.php/item/480-dossiercome-è-cambiata-la-legge-40-2004-2014). I radicali cambiamenti che interrogano le persone sui temi della costituzione della famiglia e della procreazione, assumono oggi la dimensione del “diritto” (P. Serra, 2015, p. 113-118). Se la procreazione è un diritto degli uomini e delle donne, le questioni concernenti, la sterilità e l’infertilità divengono delle patologie da curare. In questo senso la pronuncia n. 162/2014 della Corte Costituzione, quando ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto assoluto di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, come prevista dall’art. 4, comma 3, legge 40/2004, ravvede una «lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli e una violazione dell’art. 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica» (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia. do?anno=2014&numero=162#.). Il legislatore si trova così oggi costretto ad intervenire per rispondere alle complesse domande riguardanti le scelte di vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Così come gli studiosi dell’area umanistica (pedagogisti, sociologi, antropologi, filosofi, giuristi) e non solo, s’interrogano rispetto all’idea della genitorialità, convinti che ci troviamo di fronte ad un nuovo cambiamento “rivoluzionario“ che investe una nuova idea del “figlio“. Se, come scrive l’antropologo francese Marcel Gauchet, “il XX è stato quello della scoperta del bambino reale, il XXI secolo si apre nel segno della sacralizzazione del bambino immaginario” (M. Gauchet, 2009, p. 3). In questo secolo i genitori pensano ai figli in termini individuali e non sociali, tanto da diventare il “risultato di una volontà espressa, di un progetto definito, dove il bambino è diventato un figlio del desiderio, del desiderio di un figlio” (Ivi, p. 4). Il figlio deve rispondere ad 1150 The best interest of the child una procreazione scelta e decisa come valorizzazione della sfera intima e privata, in cui per “la nuova famiglia” “il figlio del desiderio è il simbolo vivente della trasformazione dei legami famigliari”(Ivi, p. 9). Ma se esiste un diritto per tutelare il “diritto” degli uomini e delle donne a diventare genitori e a vedere realizzato il proprio “desiderio di un figlio”, non dobbiamo dimenticare che ci sono anche i figli “non desiderati”. Tutti quei figli che vengono al mondo e non riescono ad essere pensati e sostenuti dai loro genitori. Quei figli chiedono di essere ascoltati e visti quanto quelli desiderati. E se i figli del desiderio non sono figli del mondo «ma di quei genitori o di quel singolo genitore che chiede a quel figlio di rispondere alle sue aspettative. È un figlio desiderato e vissuto come completamento di un proprio processo decisionale. Verrà al mondo quando potrà rispondere a quello specifico desiderio genitoriale» (ivi, p. 68-73). In attesa che si decida di mettere al mondo quei figli del privato della famiglia e si vada a costituire quel desiderio, è nostro compito occuparci di tutti quelli che oggi sono nati e che non possono contare sull’energia e le possibilità di chi li ha messi al mondo. La trasformazione rivoluzionaria del figlio del desiderio ci deve far riflettere, soprattutto nel nostro Paese, che più di altri vive la contrazione generalizzata dei tassi di fecondità, ben al di sotto dei livelli necessari per la sostituzione generazionale. L’allarme dei demografi nei confronti dei cambiamenti riguardanti la struttura per età del paese evidenzia la necessità di intervenire rapidamente nel far crescere i tassi di fecondità, poiché se gli stessi continueranno a mantenersi sotto il livello di sostituzione, il rischio è di mettere in discussione i meccanismi stessi di funzionamento delle nostre strutture sociali (C. Bonifazi - A. Paparusso, 2018)5. L’impossibilità di realizzare il proprio desiderio di natalità trova motivazioni diverse, soprattutto perché “la non-riproduzione spontanea di una popolazione in un contesto nel quale le risorse a disposizione e il livello di sicurezza non potrebbero essere più favorevoli» (M. Gauchet, 2009, p. 69). I fattori che hanno determinato questo ripiega5 L’Italia rientra tra la fascia dei paesi europei con la fecondità più bassa, sotto il livello di sostituzione, che dovrebbe essere in totale uguale o superiore ai 2,1 figli per donna. Secondo gli ultimi dati Istat invece in Italia “nel 2018 si conteggiano 449mila nascite, ossia 9mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017. Rispetto al 2008 risultano 128mila nati in meno. I decessi sono 636mila, 13mila in meno del 2017. In rapporto al numero di residenti, nel 2018 sono deceduti 10,5 individui ogni mille abitanti, contro i 10,7 del 2017. Il saldo naturale nel 2018 è negativo (-187mila), risultando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191mila) (Istat, 2019). L’affido familiare per la crescita di una società generativa 1151 mento demografico sono diversi: economici, sociali e di welfare, psicologici ed individuali. Indubbiamente la fragilità delle strutture sociali, l’esaltazione individualistica a sfavore della comunità e la liquidità sociale sono alcune risposte alle tante difficoltà che uomini e donne incontrano nel loro percorso di vita quando devono fare delle scelte personali e/o lavorative (conciliazione lavoro-famiglia). Chi scrive, crede che in questo quadro il prossimo cambiamento dovrà riguardare il concetto di “generatività“, inteso come modalità per “ripensare“ la società e le sue regole (M. Magatti - C. Giaccardi, 2014). Non potendo contare sulla possibilità repentina di un cambio di rotta radicale, tale da determinare un incremento delle nascite capace di compensare il trend negativo, è però auspicabile una svolta culturale e sociale. Si tratta di riuscire a stimolare un dibattito maturo volto ad accrescere la nostra responsabilità nei confronti dell’idea di famiglia e genitorialità. È indispensabile proporre un nuovo approccio capace di valorizzare le potenzialità degli uomini e delle donne ricostruendo il proprio “essere“ artefici primari della società. Una società coesa e capace di ripensare il valore della comunità “deve“ essere la risposta a società occidentali sempre meno capaci di accogliere l’altro, sia esso lo straniero, ma anche il figlio del mondo. La “soluzione“ è di mettere “in atto interventi strutturali e appropriati di empowerment del ruolo parentale e di conseguenza a sostegno di un’idea comunitaria e positiva di educazione come pilastro e compito della società nel suo insieme, barriera contro le disuguaglianze e presidio della democrazia, piuttosto che come fatto privato, apparentemente riguardante solo la vita intima delle famiglie” (P. Milani, 2018, p. 90). Senza dimenticare che empowerment di fatto è la possibilità di incrementare le capacità di auto-organizzazione dei singoli e al tempo stesso è un’occasione per alimentare la responsabilità sociale. I due termini: empowerment e generatività trovano così a perseguire lo stesso scopo volto alla crescita delle persone come singoli e come parte della società/comunità. Bibliografia Allegri E., Il servizio sociale di comunità, Roma, 2015 Bonifazi C., Paparusso A., Bassa fecondità? Un problema non solo italiano, Neodemos 11 dicembre 2018, in http://www.neodemos.info/articoli/bassafecondita-un-problema-non-solo-italiano/ 1152 The best interest of the child Cassibba R. - Antonucci L.A., I legami multipli nei bambini adottati e in affido, in Minori Giustizia, n. 4/2014, p. 34-40. Cassibba R., Elia L., L’affidamento familiare. Dalla valutazione all’intervento, Roma, 2007 Cassibba R., Legami multipli, Milano, 2003 Chistolini M., Il diritto del figlio di crescere nella propria famiglia e i compiti di sostegno attivati dal tribunale per i minorenni, in Minori Giustizia, n. 2/2014, p. 58-7 Gauchet M., Il figlio del desiderio, Milano, 2009 Istat, Indicatori demografici, in https://www.istat.it/it/archivio/226919 Kaneklin L.S. - Comelli I., Affido familiare. Sguardi e orizzonti dell’accoglienza, Milano, 2013 Magatti M. - Giaccardi C., Generativi di tutto il mondo, unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Milano, 2014 Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Trento, 2005 Milani P., Educazione e famiglie. Ricerche e nuove pratiche per la genitorialità, Roma, 2018 Regione Umbria, Linee di Indirizzo per l’Affido Familiare Regione Umbria, 2012, in http://www.regione.umbria.it/sociale/affidamento-familiare Sartori P. (cur.), Mi affido. Ti affidi. Affidiamoci. L’affido familiare: una chance per la comunità sociale, 2013 Serra P., Maternità e paternità negli ultimi 50 anni: dalla nascita come dono della Provvidenza, alla nascita pianificata dai genitori, alla nascita come diritto dei genitori, in Minori Giustizia, n. 2/2015, p. 113-118 Genitore (e nonno) sociale. Diritti e tutele nell’interesse della persona di età minore? Il cammino della giurisprudenza interna ed europea Maria Giovanna Ruo1 Sommario: 1. Tentativo di definizione di genitorialità e parentela sociale e necessità della tutela. – 2. Il progressivo riconoscimento di genitorialità e parentela sociale. – 2.1. Le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: la tutela del legame affettivo (non solo biologico) indipendentemente dal riconoscimento giuridico. – 2.2. Il riconoscimento legislativo della continuità degli affetti come principio di tutela di the best interest of the child. – 2.3. La Cassazione definisce la famiglia comunità di affetti: Cass. n. 19599/2016. – 2.4. La Corte Costituzionale individua lo strumento interno di tutela della genitorialità sociale: sent. 225/2016. – 2.5. … ma nel merito la tutela non viene accordata: un caso emblematico di genitorialità negata… . – 2.6. Il riconoscimento del “nonno sociale”: Cass., ordinanza 28 luglio 2018, n. 19780. – 3. Maternità surrogata: temi, problemi, provvedimenti e interesse del minore. – 3.1. Maternità surrogata tra illiceità della prassi e tutela dell’interesse del minore nelle relazioni affettive: Corte EDU, Corte Costituzionale e Sezioni Unite della Cassazione. – 4. Alla ricerca di possibili soluzioni normative. – 4.1. Possibili soluzioni normative di tutela della genitorialità sociale nella prospettiva di the best interest of the child: Convenzione di Strasburgo sulle relazioni personali del minore e codificazione dei principi giurisprudenziali. – 4.2. …segue… Possibili soluzioni di tutela… Maternità surrogata: tutela di the best interest diversificata come categoria e nel singolo caso 1 Avvocato del Foro di Roma. 1154 The best interest of the child 1. Tentativo di definizione di genitorialità e parentela sociale e necessità della tutela Il concetto di genitorialità o parentela sociale si è affacciato all’attenzione degli operatori dell’area giuridica che si occupa dei diritti delle persone di età minore negli ultimi anni parallelamente al diffondersi di nuovi modelli di relazioni familiari: famiglie ricostituite, ad es., in cui la convivenza familiare, indipendentemente dal vincolo biologico o giuridico tra alcuni dei suoi componenti, costruisce intorno al figlio minorenne una rete di rapporti affettivi ed educativi di primaria importanza per il suo sviluppo presente e futuro. Accanto alle famiglie ricostituite, ulteriori fenomeni sociali si sono affermati e si stanno affermando quali le omogenitorialità, che non hanno trovato sempre un riconoscimento giuridico o, comunque, nelle quali il riconoscimento giuridico del legame parentale tra quantomeno un genitore intenzionale e figlio può non essere immediatamente riconosciuto, con conseguenze però di necessità di tutela della relazione quando la coppia “genitoriale” entra in crisi. Accanto ed a lato di questi legami parentali, si sviluppano rapporti con la famiglia allargata: fratelli, nonni, zii, cugini, che tali non sono talvolta né biologicamente né giuridicamente, ma con i quali il legame affettivo, la consuetudine di vita e di accudimento è nella prospettiva della persona o delle persone di età minore una dimensione esistenziale importante, necessaria al suo miglior sviluppo psico-fisico e la cui brusca interruzione può comportarle pregiudizio. Possiamo definire genitori sociali coloro che si occupano di una persona di età minore esercitando di fatto la responsabilità genitoriale, costruendo una relazione affettiva accudente, espletando un ruolo educativo e di cura, provvedendo (anche o esclusivamente loro) al suo mantenimento, alla sua istruzione e alla sua assistenza morale e materiale, in un ruolo vicario dei genitori o di un genitore, prima e/o indipendentemente dal riconoscimento di una relazione giuridica e, talvolta, anche del legame biologico. Parenti sociali sono coloro che vivono una relazione familiare con la persona di età minore analoga a quella di fatto vissuta dai parenti biologici e/o giuridici, in una dimensione affettiva e relazionale positiva per il miglior sviluppo psico-fisico della persona di età minore, prima e indipendentemente dal riconoscimento di un legame giuridico e talvolta indipendentemente anche dal legame biologico. I genitori sociali talvolta fanno le veci di genitori, in loro precaria assenza, in una dimensione giuridicamente rilevante (ad es. affidatari); o per una scelta di genitorialità che non può trovare o non ha ancora Genitore (e nonno) sociale 1155 trovato qualificazione giuridica nell’ordinamento (coniuge o unito civilmente o convivente dell’altro genitore o del nonno biologico e giuridico); o perché sussistono impedimenti al riconoscimento giuridico della relazione filiale (come nel caso del genitore biologico del figlio nato nel matrimonio non disconosciuto dal padre giuridico). Se la relazione affettiva è costitutiva dell’identità personale e sociale, costituisce l’humus nel quale la persona di età minore cresce, sviluppa la propria personalità (art. 2 Cost.), attinge forza e fiducia nelle relazioni, è evidente che tali relazioni debbano trovare tutela e riconoscimento nell’interesse della persona di età minore e che eventuali ostacoli debbano essere rimossi (art. 3 Cost.). Difatti il concetto di the best interest of the child, nel nostro sistema costituzionale e subcostituzionale, è quel criterio che si definisce prioritario o determinante2 di giudizio in quanto, in sua forza, nel sistema di tutela debbano essere prioritariamente garantite le migliori condizioni di sviluppo psicofisico della prole minorenne3: ne consegue la necessità di una tutela giuridica anche delle relazioni con i genitori e i parenti sociali, quando sono a ciò funzionali. 2. Il progressivo riconoscimento di genitorialità e parentela sociale 2. 1. Le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: la tutela del legame affettivo (non solo biologico) indipendentemente dal riconoscimento giuridico La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata motore di un processo di continuo ampliamento della tutela delle relazioni familiari e 2 G. Magno, Il minorenne è portatore di un semplice interesse, oppure è titolare di diritti?, in MinoriGiustizia, 2/2011, p. 28-38. 3 Cass. SS.UU., sent. 16 settembre 2013, n. 21108, per. 5., Cass., sent. 30 settembre 2016, n. 19599: L’interesse del minore non è rilevante solo nelle questioni sulla responsabilità genitoriale: ciò non solo è smentito dal dato normativo (art. 3 Conv. New York) ma è stato anche recentemente risottolineato dalla Corte costituzionale (sent. 205/2015, p. 4) che ha ricordato come l’interesse del minore trascenda le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre” reclamando invece una tutela efficace e rafforzata di tutte le esigenze connesse a un compiuto ed armonico sviluppo della personalità”. Si tratta di un principio giuridico di valore preminente che ha permeato di sé una serie di pronunce della Consulta che hanno travolto anche l’automaticità del potere punitivo dello Stato sul piano della responsabilità genitoriale (Corte Cost., sent. 31/2012 e sent. 7/2013). 1156 The best interest of the child dei soggetti vulnerabili al loro interno, prima fra tutte la persona di età minore, soggetto vulnerabile in ragione della sua intrinseca fragilità e alla quale l’ordinamento – nell’equo bilanciamento degli interessi in gioco – deve quindi assicurare tutela rafforzata, perché altrimenti il suo miglior sviluppo psico-fisico sarebbe compromesso. E che le relazioni familiari siano meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento, anche prima e indipendentemente dal vincolo giuridico che unisce le persone che ne sono protagoniste, è una conquista che si deve alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sin dalla nota sentenza Markx c. Belgio (sent. 13 giugno 1979) che costituisce forse la prima consacrazione giuridica della famiglia di fatto. Nell’ambito della tutela garantita dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Diritto alla vita privata e familiare), secondo Strasburgo il legame biologico, se non ancora riconosciuto sul piano giuridico, va valutato sul piano dei legami affettivi e sotto svariati profili: rilevano, in particolare, oltre alla convivenza, anche la natura e la durata del rapporto del figlio minorenne coi genitori, la qualità e la regolarità delle visite nonchè il grado di partecipazione del genitore – che abbia o non abbia riconosciuto il figlio – all’accudimento della persona di età minore; tutti ritenuti elementi idonei a determinare l’esistenza di vita familiare meritevole di tutela ex art. 8 CEDU. Secondo la Corte EDU (A.W. Khan c. Regno Unito, sent. 12 gennaio 2010) i bambini nati o da una coppia sposata o da una coppia di conviventi sono ipso jure parte di questa famiglia fin dal momento della nascita e loro e i genitori esiste una vita familiare. Elementi valutati dalla Corte EDU per legittimare la tutela di cui all’art. 8 a legami di fatto sono stati anche natura e durata del rapporto con i genitori e in particolare se questi avevano previsto di avere un figlio; se il padre avesse riconosciuto il bambino; se avesse contribuito al suo accudimento, alla sua educazione, se vi siano state tanto qualità quanto regolarità nelle visite4. La Corte di Strasburgo, nel richiamare sue precedenti pronunce5 ritiene che violi l’art. 8 della CEDU, il comportamento delle Autorità na4 Nel caso di specie, il ricorrente e la madre della bambina avevano una relazione dal mese di agosto 2005; egli aveva riconosciuto la figlia che portava, così, il cognome del padre sul certificato di nascita. Anche se le condizioni di esecuzione della pena impedivano al ricorrente, sottoposto agli arresti domiciliari, di vivere con la figlia e con la mamma della bambina, vedeva loro quotidianamente. La Corte ha ritenuto, quindi, che il rapporto avesse durata e consistenza sufficiente a creare legami familiari di fatto meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 8. 5 Corte EDU, Lebbink c. Paesi Bassi, sent. 1° giugno 2004; Corte EDU, Kroon e altri c. Genitore (e nonno) sociale 1157 zionali che, in adempimento ai loro obblighi positivi, non procedano al riconoscimento e alla tutela della relazione genitore-figli pretermettendo quindi elementi di fatto quali l’effettivo accudimento e la stessa progettualità della relazione filiale. Insomma la violazione sussiste quando vi sia una genitorialità sociale oltre che biologica e la relazione genitore-figlio invece non venga riconosciuta, protetta, garantita dalle Autorità nazionali. In questa prospettiva, di particolare rilievo la giurisprudenza della Corte EDU in materia di azioni di stato personale. Strasburgo ha ad es. più volte condannato gli Stati per le normative troppo restrittive in tema di accertamento della genitorialità biologica in presenza di un forte legame affettivo anche progettuale. Così ad es. Corte EDU, Backlund c. Finlandia, sent. 6 luglio 2010, in tema di termine di decadenza per la proposizione dell’azione di accertamento della paternità biologica. Strasburgo afferma l’apposizione di un termine non è di per sé contraria alle disposizioni della Convenzione, in quanto è giustificata dalla necessità di assicurare elementi di certezza legale nelle relazioni familiari: in questo senso, gli interessi da bilanciare sono tanto quelli del minore che aspira allo status di figlio, quanto quelli del padre putativo. Tuttavia, anche avuto riguardo al margine di apprezzamento lasciato allo Stato, Strasburgo ritiene che l’applicazione di un rigido termine di decadenza per promuovere il giudizio di accertamento della paternità, previsto da una normativa transitoria che non preveda l’esistenza di casi particolari in deroga a quelli generali previsti dalla legge, interferisce con il diritto dell’individuo al rispetto della propria vita privata e familiare e viola, pertanto, l’articolo 8 della Convenzione6. In Corte EDU, Chavdarov c. Bulgaria, sent. 21 novembre 2010, Strasburgo7, afferma che la Convenzione tende a riconoscere la rilevanza dei legami biologici e, conseguentemente, laddove Paesi Bassi, sent. 27 ottobre 1994; Corte EDU, Keegan c. Irlanda, sent. 26 maggio 1994; Corte EDU, Haas c. Paesi Bassi, sent. 13 gennaio 2004; Corte EDU, Camp e Bourimi c. Paesi Bassi, sent. 03 ottobre 2000. 6 Nel caso concreto il ricorrente aveva ottenuto la certezza scientifica della paternità biologica del suo padre putativo tramite il test del DNA ma si è visto costantemente rigettare le sue istanze, perché tardive, in quanto proposte oltre il termine quinquennale fissato dal The Paternity Act per i bambini nati prima del 1° ottobre 1976, mentre tali restrizioni non si applicavano ai bambini nati dopo tale data. In senso conforme, Corte EDU, Gronmark c. Finlandia, sent. 6 luglio 2010: la Corte ha ribadito che l’applicazione di un termine rigido per l’esercizio della paternità, è contrario al vero rispetto della vita privata e familiare. 7 La Corte EDU dà atto che i procedimenti relativi all’accertamento della paternità 1158 The best interest of the child sussistano, a riconosce l’esistenza di una vita familiare anche nel caso in cui, come nella concreta fattispecie, i figli siano considerati figli del marito della loro madre e questa, essendo da lui separata, conviva col padre biologico dei minori, allo stato privo dei diritti connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale. In questo caso, la presunzione di paternità (e i poteri parentali che ad essa sono connessi), se è difficilmente superabile in base alle previsioni normative interne, può essere quanto meno superata da altri strumenti normativi, quali, ad esempio, l’adozione o la segnalazione ai competenti servizi sociali. Insomma, il legame biologico, insieme alla positiva relazione di fatto tra padre e figli minorenni (genitorialità sociale), deve essere tutelata e protetta, anche se priva di rilevanza giuridica. Nel senso di riconoscere violazione dell’art. 8 della Convenzione indipendentemente dal vincolo giuridico di filiazione la giurisprudenza della Corte EDU è costante sin dagli anni ‘908. La necessità di tutela del legame biologico e affettivo, anche se non giuridico, viene confermato anche nella pronuncia Corte EDU, Anayo c. Germania, sent. 21 dicembre 2010: la mancata tutela della relazione del figlio minorenne con il padre biologico, in forza dei diritti riconosciuti esclusivamente al marito della madre, esercente la responsabilità genitoriale in forza di presunzione di paternità, è violativo dell’art. 8. Il che sarebbe suscettibile di ampie applicazioni anche nel nostro Paese. biologica subiscono consistenti differenze normative e procedurali in tutti i paesi europei che hanno aderito alla Convenzione di Roma. 8 Corte EDU, Keegan c. Irlanda, sent. 26 maggio 1994: il ricorrente è un padre biologico che denunciava la violazione del diritto al rispetto della vita familiare – art. 8 – poiché la compagna aveva deciso a sua insaputa, e ancora prima della nascita, di dare in adozione la loro bambina. A nulla erano valse le opposizioni del padre a tale scelta davanti agli organi competenti e la sua richiesta di affidamento della minore, in quanto le autorità irlandesi avevano ritenuto che le relazioni sporadiche ed instabili tra il signor Keegan e la di lui compagna, terminate prima della nascita della bambina, non fossero tali da potersi dire costituito un valido e stabile rapporto familiare. La Corte, al contrario, rileva essere stato violato l’articolo 8, ritenendo prevalente e significativo il rapporto biologico padre-figlia. Corte EDU, Kroon e altri c. Paesi Bassi, sent. 27 ottobre 1994, considera un caso in cui la relazione tra i genitori non coniugati era stata stabile e duratura, anche senza effettiva convivenza. Ricorrono entrambi i genitori: la madre, coniugata e separata solo di fatto, ed il padre biologico: da tale relazione era nato un bambino il cui riconoscimento da parte del padre naturale, ricorrente, era stato negato in quanto la madre era coniugata, esistendo la presunzione legale di concepimento in costanza di matrimonio. Anche in questo caso la Corte ritiene violato l’art. 8, affermando che il rispetto della vita familiare esige che la realtà biologica e sociale prevalga su una presunzione legale che contrasti sia con i fatti accertati sia con i desideri delle persone interessate, senza realmente giovare a nessuno. Genitore (e nonno) sociale 1159 Nei citati provvedimenti il tratto comune è che, perché il legame biologico – anche se giuridicamente non riconosciuto – sia protetto, ci debbono essere elementi significativi di interesse e di cura per il figlio minorenne: ci deve quindi essere “genitorialità sociale”. In un’altra sentenza nei confronti della stessa Germania, la Corte EDU specifica le condizioni alle quali, pur nella prevalenza dello status di figlio legittimo, il padre biologico possa invocare l’applicazione dell’articolo 8 CEDU e richiedere la tutela della sua relazione con il figlio minorenne. Afferma Strasburgo che, quando il figlio nato da una relazione adulterina sia stato riconosciuto dal marito della madre, assumendo, quindi, lo status di figlio legittimo, per determinare se le doglianze del padre biologico – al quale sia stato negato un qualsiasi contatto col minore – rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione e possano determinare una violazione dello stesso, occorre valutare il grado di interesse che il padre biologico abbia dimostrato nei confronti del bambino. Sembra quindi rilevante anche la progettualità e l’impegno che il Ricorrente abbia profuso nella costruzione del legame parentale e nella conseguente richiesta di sua tutela9. Ma il riconoscimento e la tutela del legame affettivo non sono confinati ai casi in cui sussista il legame biologico tra persona di età minore e genitore sociale. Cosicché anche il principio del favor veritatis può essere sacrificato al superiore interesse del figlio minorenne e alla tutela dei suoi rapporti di fatto. Corte EDU, A.L. c. Polonia, sent. 18 febbraio 2014, non ha ritenuto violativo dell’art. 8 CEDU il comportamento delle Autorità nazionali che abbiano rigettato la domanda volta al disconoscimento della paternità, pur in presenza di risultanze negative sulla compatibilità genetica con il padre giuridico ma non biologico, in presenza di circostanze che depongono per essersi radicato il legame parentale10. 9 Corte EDU, Schneider c. Germania, sent. 15 settembre 2011. In tale prospettiva, la Corte EDU ha ritenuto sussistente tale interesse in base ai seguenti indicatori: esistenza di un progetto di vita tra il padre biologico e la madre del minore che aveva determinato la consapevolezza di mettere al mondo un bambino; interesse e impegno ad assumersi responsabilità nei confronti del bambino, sia prima che dopo la sua nascita; partecipazione del padre biologico ad almeno due visite mediche connesse alla gravidanza della madre; riconoscimento affettivo di essere il padre del bambino; aver ricevuto dalla madre, a richiesta, foto del neonato. 10 Nella fattispecie il bambino – al momento dell’instaurarsi del procedimento – aveva già compiuto dodici anni, e aveva già radicato un’identità affettiva e sociale; inoltre l’attuale marito della madre del bambino non intendeva adottarlo, con la conseguenza che la persona minore d’età sarebbe rimasta priva di legami sociali 1160 The best interest of the child Sempre in funzione della certezza dei legami affettivi e familiari, ancorché non biologici, Corte EDU, Krisztian Barnabas Toth c. Ungheria, sent. 12 febbraio 2016, ha affermato che non costituisce violazione dell’art. 8 negare al padre biologico di agire per il riconoscimento del bambino che sia, nel frattempo, stato adottato dalla moglie del padre legittimo. Corrisponde, infatti, all’interesse del minore mantenere un contesto familiare certo e che, anche in base alle indagini psicosociali condotte, sia un contesto di accudimento idoneo e sereno per la persona minore d’età la quale, in ipotesi di procedimento promosso dal (presunto) padre biologico, si troverebbe a dover subire una privazione di certezza di status e di positivi legami familiari e sociali di cui beneficia11. Analoga decisione nei confronti dell’Italia in Corte EDU, Alle Fall Gueye c. Italia, sent. 31 maggio 2016, relativa all’autorizzazione a un secondo riconoscimento ai sensi dell’art. 250 c.c.12. In altri casi l’interesse superiore del minore è ritenuto coincidente con il diritto dello stesso di conoscere le proprie origini; e quindi non determina una violazione dell’articolo 8 CEDU riconoscere al padre biologico di poter intrattenere rapporti di natura familiare con il figlio e familiari, alla stessa già riconosciuti dalla nascita, ex lege. Pur avendo riguardo al margine di apprezzamento riconosciuto a ciascuno Stato, infatti, la Corte EDU ritiene che, nel bilanciamento tra gli interessi del padre in questo caso giuridico ma non biologico a veder accolta la propria domanda di disconoscimento della paternità e quelli della persona minore d’età ad avere legami familiari giuridici e certi, siano questi ultimi a dover prevalere. 11 Nel caso concreto non sussisteva tra il Ricorrente e il figlio di cui rivendicava la paternità una relazione che potesse essere qualificata come vita familiare o anche come vita privata: non aveva mai chiesto notizie di suo figlio e non aveva mai cercato di allacciare contatti con lui e che, inoltre, aveva un’esistenza precaria e non aveva un alloggio fisso. 12 Tale riconoscimento era stato negato al Ricorrente dalle Autorità nazionali e la Corte EDU ritiene che «nel dichiarare che non fosse nell’interesse superiore del minore stabilire la sua filiazione reale, i giudici nazionali non abbiano oltrepassato il margine di apprezzamento di cui disponevano. Inoltre, quanto alla pretesa discriminazione che il ricorrente asserisce di aver subito essendo un cittadino straniero in situazione irregolare, la Corte, tenuto conto dell’insieme degli elementi in suo possesso, e nella misura in cui è competente a conoscere delle contestazioni mosse, non rileva alcuna parvenza di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dagli articoli della Convenzione. In particolare, ritiene che non si possa qualificare come discriminatorio il fatto che i giudici nazionali si siano riferiti anche alla situazione irregolare del Ricorrente sul territorio italiano nell’esporre i motivi che li hanno indotti a respingere la domanda di riconoscimento presentata dal ricorrente. Al contrario, essi hanno valutato questo fatto dal punto di vista dell’interesse superiore del minore». Genitore (e nonno) sociale 1161 nel frattempo legittimato dal marito della madre del bambino stesso e, in ogni caso, convivente con la madre. In questo senso, infatti, viene riconosciuto il duplice interesse della persona minore di età, nel frattempo divenuta adolescente: quello a preservare l’identità acquisita nella famiglia legittima, e quello di conoscere la verità sulle proprie origini (Corte EDU, Mandet c. Francia, sent. 14 gennaio 2016). Insomma il diritto alle relazioni affettive della persona di età minore diviene l’elemento portante del sistema: e così il padre biologico, pur riconosciuto tale mediante le risultanze delle prove di compatibilità genetica il quale, tuttavia, per sua espressa ammissione, abbia avuto con la madre del bambino una relazione solo sessuale e non anche affettiva, non caratterizzata quindi dalla progettualità di accogliere un figlio, non può invocare alcuna esistenza di vita familiare ai sensi dell’articolo 8 CEDU, essendo questa, al contrario, quella esistente tra la madre del bambino e tra questi e colui che ha riconosciuto il bambino stesso, il quale abbia, dal canto suo, dimostrato durante tutto il procedimento (come indicato anche negli atti del curatore del minore) di avere una relazione affettiva e duratura con la madre da prima che lo stesso venisse concepito (Corte EDU, Ahrens c. Germania, sent. 22 marzo 2012). L’indicazione di carattere generale è quindi che, indipendentemente dalla qualità giuridica o anche dalle caratteristiche della relazione tra i genitori, quando è provato il vincolo biologico, lo Stato deve agire in modo da permettere lo sviluppo della relazione genitori-figli, accordando una protezione giuridica che renda possibile fin dalla nascita l’integrazione del bambino nella sua famiglia. Tuttavia, quando ciò comporterebbe cesura con le relazioni affettive ormai consolidate dal figlio minorenne con altro soggetto che ha espletato di fatto ruolo e funzione genitoriale, e non ci sia un effettivo interessamento del genitore biologico, la tutela di tali relazioni affettive deve prevalere. Se la tutela del legame biologico prevale nella costituzione della relazione figlio-genitore, salvo che non comprometta le relazioni affettive già instauratesi nell’interesse del minorenne, in altra prospettiva la Corte EDU ha riconosciuto relazione familiare degna di tutela ex art. 8 CEDU anche indipendentemente da ogni altro legame, biologico e giuridico come in caso di affidamento familiare. Particolare rilevanza interna ha Corte EDU, sentenza 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia13. Il principio, anche se in diversa prospettiva, è stato confermato in 13 Cfr. commento critico di P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla vita familiare di un 1162 The best interest of the child Corte EDU, Kopf e Liberda c. Austria, sent. 17 gennaio 2012, che tutela la relazione con la famiglia già affidataria del minorenne ricongiuntosi con la madre che aveva recuperato la propria funzione genitoriale. Viene riconosciuto il diritto alla continuità delle relazioni affettive con la famiglia affidataria, attraverso incontri. Ovviamente il superiore interesse del minore anche in questo caso costituisce contenuto e limite di tale diritto alla continuità affettiva e, quindi, la relazione con gli ex affidatari – che sono estranei al legame biologico – va protetta se non reca pregiudizio al benessere psico-fisico della persona di età minore. Ovviamente anche le relazioni tra adottante ed adottato rientrano nell’ambito di applicazione e di protezione dell’articolo 8 della Convenzione EDU. Ne determina quindi violazione disporre l’annullamento dell’adozione, richiesto da un congiunto, ai soli fini di diseredare l’adottato, peraltro – come nel caso di specie – diciotto anni dopo il decesso della madre adottante e trascorsi trentuno anni dalla adozione (così Corte EDU, Zaiet c. Romania, sent. 24 marzo 2015). Annullare un’adozione equivale infatti a disgregare una famiglia e può contrastare con l’interesse del minore; conseguentemente una simile decisione deve essere supportata da ragioni sufficientemente solide e valide nel suo preminente interesse. È quindi necessaria una preliminare severa valutazione sull’impatto che l’annullamento dell’adozione può avere sul futuro benessere psico-fisico della persona di età minore adottata e, in ogni caso, debbono essere ricercate soluzioni alternative, di portata meno incisiva rispetto all’annullamento dell’adozione i cui effetti sul bambino e sui genitori debbono essere valutati con estrema attenzione, in forza di the best interest of the child (Corte EDU, Kurochkin c. Ucraina, sent. 20 maggio 2010). 2.2. Il riconoscimento legislativo della continuità degli affetti come principio di tutela di the best interest of the child A seguito della condanna di cui alla citata sentenza della CEDU Benedetti e Marcelli contro Italia del 27 aprile 2010, vi fu una significativa pressione da parte delle associazioni degli affidatari affinché divenisse legge il principio della agevolazione dell’adozione dei minorenni dichiarati adottabili da parte delle famiglie affidatarie. Il primo DDL14 bambino piccolo affidato, in MinoriGiustizia, 3/2010, p. 248. 14 Proposte di legge C. 3459 Vassallo, C. 3854 Savino, C. 4077 Motta, C. 4279 Lupi e C. Genitore (e nonno) sociale 1163 fu depositato nella XVI legislatura e, pur richiamando il principio di the best interest of the child, appariva fortemente adultocentrico, sottolineando il “diritto” ad adottare degli affidatari e non il diritto della persona di età minore alla continuità delle relazioni nel di lui interesse. Il DDl non giunse ad approvazione durante la legislatura: ma le molte audizioni effettuate in sede parlamentare comportarono che la ripresentazione del DDL nella nuova legislatura tenesse conto di alcune indicazioni nell’interesse della persona di età minore, modificandone significativamente l’impianto. In particolare fu CAMMINO15 che sottolineò come “certamente fosse vero che in molti di questi casi si crea tra affidati e affidatari un legame para-parentale, molto simile a quello tra genitori e figli, anche se l’affidamento etero familiare dovrebbe avere tutt’altro fine, quello di assicurare cure e accudimento a persone minori di età la cui famiglia è solo temporaneamente impossibilitata. È inoltre anche vero che, concretamente, talvolta le famiglie naturali – ritenute recuperabili al momento dell’affidamento – si rivelano poi invece non recuperabili; emergono nel tempo dell’affidamento problemi non emendabili nel corretto esercizio della loro funzione genitoriale. Ne consegue che talvolta le persone minori di età collocate in affidamento etero-familiare – di conseguenza – vengono infine dichiarati adottabili. In questi casi, se l’affidamento si è dimostrato funzionale al loro corretto sviluppo psico-fisico, se si è svolto insomma nel loro superiore interesse, tale affidamento, se pur nato come soluzione temporanea, deve invece ricevere una definitività giuridica con l’adozione, sempre che sussistano anche i requisiti di legge”. Propose quindi vari emendamenti che rafforzassero la posizione del minorenne, anche in relazione ad altre situazioni che non fossero la sua adottabilità: il rientro in famiglia o l’adozione da parte di famiglia diversa da quella degli affidatari, non disponibili all’adozione. Anche in questi casi era ed è infatti da tutelare il legame affettivo positivamente instauratosi dal minorenne affidato con gli affidatari. Nella successiva XVII legislatura il DDL venne così approvato in un testo modificato secondo tali indicazioni: nella L. n. 173 del 19.10.2015. 4326 Giammarco, recanti disposizioni in materia di adozioni da parte delle famiglie affidatarie. 15 All’epoca Camera Nazionale Minorile: audizione del 12 dicembre 2012 in https:// www.cammino.org/wp-content/uploads/allegati-old/A000000128_2012_12_04_ Audizione_Commissione_Giustizia_Camera.pdf 1164 The best interest of the child La relazione del minorenne con gli affidatari – se positiva per il suo sviluppo psico-fisico – viene comunque tutelata sia che venga dichiarato adottabile – e in questo caso gli affidatari debbono essere presi prioritariamente in considerazione quale possibile famiglia adottiva, sempre che abbiano palesato la propria disponibilità ad adottare –, sia che rientri nella propria famiglia di origine, che è la soluzione sul piano normativo, affettivo ed esistenziale auspicabile: in questo caso la relazione con gli ex affidatari deve essere salvaguardata se nel di lui interesse; sia che sia adottato da un’altra famiglia, ed anche in questo caso la relazione va salvaguardata se nell’interesse della persona di età minore. Nei casi concreti purtroppo la persona di età minore che rientra nella sua famiglia dopo anni di cd. “affidamento a rischio giuridico”16 in altra che lo ha accolto e cresciuto amorevolmente – a seguito di revoca dell’adottabilità – viene spesso “lacerata” tra le due realtà familiari, nei cui confronti il bambino ha sviluppato comunque una consuetudine affettiva e rispetto alle quali manifesta un conflitto di lealtà, tanto più profondo e pregiudizievole quanto più ha avuto durata il cd. “affidamento a rischio giuridico” In realtà la continuità degli affetti, in questi casi, non costituisce criterio dirimente perché l’interesse della persona di età minore sarebbe nel conservare entrambe le realtà affettive; il che spesso non è possibile perché confliggono. Emblematico il caso CEDU, Barnea e Caldaru c. Italia, del 22 giugno 2017, proprio in un caso di persona di età minore allontanata – per er16 Il cd. “affidamento a rischio giuridico” non è istituto contemplato dalla normativa. Si tratta invero di una costruzione della giurisprudenza di merito e in particolare dei tribunali per i minorenni i quali – nei tempi lunghi del procedimento di adottabilità – collocano il bambino in una famiglia di aspiranti genitori adottivi, i quali accettano tale collocamento nella prospettiva desiderata che venga dichiarato adottabile e che il suo legame con la famiglia di origine sia rescisso definitivamente. Il bambino cresce quindi nella famiglia “collocataria” (perché al di à del nomen attribuito dalla prassi, di collocamento si tratta, con la conseguenza ulteriori che la famiglia non ha “titolo” ad essere sentita e a partecipare al procedimento) nella prospettiva di una dimensione duratura della relazione, perché i collocatari desiderano adottare e non offrire a un bambino che ne è temporaneamente privo una famiglia sostitutiva in attesa che rientri nella propria. Questi bambini, cresciuti come figli propri, una volta revocata l’adottabilità, debbono essere reinseriti nella famiglia di origine, che può avere abitudini, modalità educative e comportamentali anche molto distanti da quella dei collocatari o affidatari a rischio giuridico. Questi peraltro non hanno nemmeno diritto ad intervenire nel procedimento di adottabilità, a portare la voce del bambino, le abitudini anche affettive da lui maturate negli anni. Di fatto si chiede loro di “collaborare” per il reinserimento di chi hanno accolto ed amato come figlio, li chiama mamma e papà, trovandosi di fronte al dolore e alla lacerazione di chi è stato deprivato dell’affetto e della consuetudine con il proprio figlio. Genitore (e nonno) sociale 1165 rore – molto precocemente dalla sua famiglia, inserita per 7 anni in una famiglia affidataria, dichiarata infine non adottabile (perché in realtà non c’era stato di abbandono), contesa la famiglia di collocatari (o “affidatari a rischio giuridico”) e famiglia di origine, in un continuo intrecciarsi di provvedimenti che rivelano due visioni diverse della continuità degli affetti: chi riteneva che la solidità dei legami familiari originari, comunque sviluppatisi e profondi, dovesse essere prioritariamente salvaguardata; chi riteneva invece che dovessero essere salvaguardati i legami con gli “affidatari a rischio giuridico”, che erano stati per la persona di età minore genitori sociali ed affettivi quasi per tutti gli anni della sua vita. In questo alternarsi di prospettive e di provvedimenti, alla fine la persona di età minore rientra in famiglia. Ma il danno riportato è gravissimo e irreparabile e il nostro Paese viene condannato per violazione dell’art. 8 CEDU. Chi scrive ha presenti vari casi di questo genere, in cui peraltro l’affidamento a rischio giuridico era avvenuto a famiglie affidatarie con cultura molto distante da quella della famiglia di origine con conseguenti conflitti quindi anche culturali e religiosi tra le due realtà familiari che si contendevano il bambino: questo non può che vivere come dramma interiore il conflitto in cui è lacerato, spesso costretto a mentire agli uni e agli altri per evitare l’esplodere delle reciproche rivendicazioni gestendo la situazione di reciproca ostilità dentro di sé. Con quali drammatici risvolti rispetto al suo sviluppo psico-fisico è facile e terribile immaginare17. 2.3. La Cassazione definisce la famiglia comunità di affetti: Cass. n. 19599/2016 Andò sviluppandosi, intanto, il dibattito sulla Step child adoption da parte di coppie omosessuali. Fu il Tribunale per i minorenni di Roma, che con la sua prima storica sentenza del 30 luglio 2014, aprì le porte all’adozione da parte delle coppie omogenitoriali ai sensi dell’art. 44 lett. d). 17 Ci si riferisce al caso di una bambina nata in una famiglia islamica, inserita in una famiglia di ferventi cattolici, battezzata, cresciuta con usanze e costumi europei (andava al mare, indossava il costume, mangiava maiale); revocata l’adottabilità e reinserita nella famiglia d’origine, mantenendo rapporti con gli ex affidatari a rischio giuridico, era costretta a mentire in continuazione ad entrambi i nuclei familiari, per non turbarli ed offenderli con i diversi comportamenti che assumeva a seconda della famiglia con la quale si trovava. 1166 The best interest of the child La decisione si basa su un’interpretazione evolutiva della norma (per impossibilità di affidamento adottivo ai sensi del citato art. 44, lett. D), l. 184/1983 si deve intendere anche l’impossibilità giuridica di applicazione di tale istituto per non essere il minorenne abbandonato e quindi in stato di adottabilità, in quanto congruamente accudito alla madre biologica, genetica e giuridica in quel caso) ma la motivazione – di questa sentenza e ancor più delle sentenze che seguiranno sulla stessa lunghezza d’onda – rimanda alla relazione parentale, affettiva e sociale tra ricorrente e figlioletta minorenne quale reale motivazione sottesa e subliminale, al progetto di genitorialità, alla sua condivisione tra “secondo genitore” e “primo genitore”, che muove alla ricerca di una soluzione interna all’ordinamento per legittimare la seconda genitorialità tramite lo strumento adottivo. Il tema giunge però a sua miglior definizione in relazione a una diversa fattispecie: quella della trascrivibilità di un atto di nascita con due omogenitori legittimamente formato all’estero. Se ne occupa la Cassazione con la sentenza n. 19599/2016 in una particolare situazione di genitorialità sociale in coppia omogenitoriale femminile18, la Suprema Corte afferma che il criterio dell’ordine pubblico – richiamato al Pubblico Ministero ricorrente per la cassazione della Corte di appello di Torino che aveva autorizzato la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero del minore ivi nato – va comunque storicizzato, che quello del superiore interesse del minore è prevalente ed obbliga a considerare la relazioni familiari come meritevoli di tutela se funzionali al miglior sviluppo psico-fisico della persona di età minore, come sono le relazioni genitoriali se positive. Definendo la famiglia come comunità di affetti, la Suprema Corte implicitamente riconosce anche la genitorialità sociale come meritevole di tutela se nell’interesse della persona di età minore e cioè funzionale al suo miglior sviluppo in quanto idoneamente accudente. È quindi sempre il criterio del superiore interesse del minore ad essere centrale 18 Nella coppia di omogenitori donne, colei che ha partorito ha concepito con la Procreazione Medicalmente Assistita eterologa; donatrice di ovociti che è l’altra partner. Ovviamente vi è un donatore di gameti che resta anonimo. L’atto di nascita formato all’estero riportava entrambe le genitrici; l’Ufficiale di Stato civile di Torino ne rifiutò la trascrizione; le genitrici impugnarono davanti al Tribunale di Torino che confermò l’interpretazione dell’Ufficiale di stato civile affermando la contrarietà all’ordine pubblico internazionale di tale trascrizione. La Corte di appello di Torino è di contrario avviso e riforma il provvedimento con sentenza contro cui il Pubblico Ministero propone ricorso in cassazione. Genitore (e nonno) sociale 1167 nel sistema, anche ai fini della costruzione della sua identità personale e sociale, oltre che in generale il diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia. Si tratta di valori presenti nella nostra Costituzione, rafforzati dalle fonti di diritto sovranazionale che a loro volta concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale19. In definitiva la Suprema Corte evoca il concetto di responsabilità personale affermando che non si può escludere lo status filiationis di un minore “a causa della scelta di coloro che lo hanno messo al mondo mediante una pratica di procreazione assistita non consentita in Italia: dalle conseguenze di tale comportamento, imputabile ad altri, non può rispondere il bambino che è nato e che ha un diritto fondamentale alla conservazione dello status legittimamente acquisito all’estero. Vi sarebbe altrimenti una violazione del principio di uguaglianza, intesa come pari dignità sociale di tutti i cittadini e come divieto di differenziazioni legislative basate su condizioni personali e sociali”. Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte per affermare la trascrivibilità dell’atto nato da una donna che l’ha partorito e dall’altra che ha donato l’ovocita per la PMA eterologa, fa infatti riferimento al “principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis validamente acquisito all’estero (nella specie, in un altro paese della UE)” ancorché tale principio non può prevalere sempre e comunque sugli altri 19 Ricorda la Suprema Corte che il principio di the best interest of the child trova riconoscimento espresso nella Convenzione sui diritti del fanciullo (20.11.1989 ratificata con l. 176/1991), nella Convenzione sull’esercizio dei diritti del minore, data a Strasburgo il 25.1.1996 e ratificata con l. 77/2003, nella Carta di Nizza (7.12.2000 e riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) nonché nell’ordinamento interno, nel quale tale criterio ha assunto gradualmente carattere di centralità nell’ordinamento, sin dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975, attraverso la legge sull’adozione (l. 184/1983 e successive rivisitazioni), la riforma della filiazione (l. 125 219/2012 e d.lgs. 154/2013) e, infine, la l. 173/2015 sulla continuità degli affetti. Afferma la Suprema Corte (cfr. supra nota 2) che l’interesse del minore non è rilevante solo nelle questioni sulla responsabilità genitoriale: ciò non solo è smentito dal dato normativo (art. 3 Conv. New York) ma è stato anche recentemente risottolineato dalla Corte costituzionale (sent. 205/2015, p. 4) che ha ricordato come l’interesse del minore trascenda le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre “reclamando invece una tutela efficace e rafforzata di tutte le esigenze connesse a un compiuto ed armonico sviluppo della personalità”. Si tratta di un principio giuridico di valore preminente che ha permeato di sé una serie di pronunce della Consulta che hanno travolto anche l’automaticità del potere punitivo dello Stato sul piano della responsabilità genitoriale (Corte Cost., sent. 31/2012 e sent. 7/2013). 1168 The best interest of the child interessi primari in gioco, perché diverrebbe un principio “tiranno” (Corte EDU, Jeunesse c. Olanda, 3 ottobre 2014, p. 109) rispetto ad altre situazioni giuridiche costituzionalmente garantite che costituiscono nel loro insieme la tutela della dignità della persona. Ma nel caso di specie, non rinviene principi che non siano recessivi rispetto all’interesse del minore alla trascrizione dell’atto di nascita: il modello di famiglia è quello di una comunità di affetti, non necessariamente coincidente con la relazione biologica ed è fondato sulla libertà delle persone di autodeterminarsi. 2.4. La Corte Costituzionale individua lo strumento interno di tutela della genitorialità sociale: sent. 225/2016 È sempre in tema di coppie omosessuali che la genitorialità sociale riceve dalla Consulta ulteriore conferma di situazione meritevole di tutela nell’interesse della persona di età minore. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Corte di appello di Palermo in un procedimento nel quale erano contrapposte due donne, una madre biologica e giuridica e l’altra sociale per avere condiviso e portato avanti il progetto di genitorialità fino a divorzio con l’altra, sposata in Spagna, relativamente al diritto della seconda di intrattenere rapporti con la figlia minorenne della coppia20. 20 Quest’ultima si era opposta alla tutela e disciplina della relazione con la Ricorrente, nel procedimento di primo grado svoltosi dinanzi al Tribunale di Palermo che ne aveva accolto le istanze, fatte proprie dal Pubblico Ministero. La madre genetica e giuridica aveva reclamato il decreto reso ai sensi dell’art. 337 ter c.c., secondo un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, davanti alla Corte di appello di Palermo. Secondo l’Autorità rimettente l’art. 337 ter c.c. avrebbe violato l’art. 2 Cost. che ricomprende tra le formazioni sociali anche le famiglie di fatto, incluse quelle formate da persone dello stesso sesso; sarebbe incompatibile con i principii di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost. e “con il diritto del minore a una famiglia (artt. 2, 30 e 31 Cost.) e in particolare a mantenere rapporti significativi con l’ex partner biologico, compresi i casi di famiglie omogenitoriali”. Contrasterebbe, infine, “con l’art. 117 Cost., comma I Cost., che obbliga il legislatore italiano a rispettare i vincoli giuridici impostigli dal diritto dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali (quali la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e ratificata in Italia con l. 176/1991, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con l. 77/2003, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di Nizza) nonché con l’art. 8 CEDU, quale norma interposta, come viene interpretata in modo costante dalla Corte EDU, in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto, a mantenere Genitore (e nonno) sociale 1169 La Corte di appello di Palermo aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. affermando che questo include nell’area di protezione le sole relazioni del minore con ascendenti e parenti e, quindi, non sarebbe consentita un’interpretazione estensiva volta alla tutela del rapporto del minore con un non parente. La Consulta, non condividendo le motivazioni dell’ordinanza remissiva, ha osservato che l’intervento additivo richiestole nel corpus dell’art. 337 ter c.c., non postula la parificazione dell’ex partner del genitore biologico alla figura del genitore (naturale o adottivo) nei cui confronti il minore ha diritto di ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza morale, “ma più propriamente auspica che il soggetto che – nell’ambito di una (poi interrotta) unione (anche omosessuale) con il genitore biologico di un minore – abbia instaurato un legame affettivo con il minore medesimo, sia equiparato ai “parenti” ai fini della garanzia di conservazione di quel “significativo” rapporto”. Il denunciato vuoto di tutela quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente trattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti, non sussiste perché “l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano suoi parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione al quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare ‘i provvedimenti convenienti’ al caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 c.c.) e anche dell’adulto non parente coinvolto nel rapporto in questione”. Dichiara quindi non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello palermitana. 2.5. … ma nel merito la tutela non viene accordata: un caso emblematico di genitorialità negata… La portata anche pratica della pronuncia della Consulta è molto rilevante: la genitorialità sociale, se nell’interesse del minore, riceve quindi già tutela nell’ordinamento ex art. 333 c.c. e il comportamento del genistabili relazioni, anche nell’ipotesi di crisi della coppia, avuto riguardo sempre al preminente interesse del minore”. 1170 The best interest of the child tore che la ostacola è di per sé da considerarsi contrario al suo interesse e per ciò contrastato dall’ordinamento. Legittimato a richiedere la tutela sono sia il Pubblico ministero (evidentemente davanti dal Tribunale per i minorenni ex art. 38 disp. att. c.c.) e “l’adulto non parente c coinvolto nel rapporto in questione”, cioè il genitore sociale cui il rapporto viene negato dall’altro genitore, ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., essendo stata esclusa l’applicazione dell’art. 337 ter c.c. Tuttavia tale prospettiva non ha trovato condivisione presso il giudice di merito. È quello che è successo a un padre (oltre che sociale anche biologico) e a sua figlia dinanzi a un giudice minorile, dopo che già alla genitorialità giuridica ancor prima che sociale era stato inferto un vulnus molto significativo anni fa dal PM dinanzi al Tribunale ordinario. La fattispecie è la seguente: una donna sposata ha una relazione con un altro uomo dalla quale nasce una persona di età minore. La donna non aziona il disconoscimento (entro il termine brevissimo di 6 mesi dalla nascita) e il marito, padre giuridico, non volle azionare il disconoscimento21 per anni fino a che non fu promossa da un curatore speciale del figlio minorenne la cui nomina era stata richiesta dal Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario22. Contestualmente la relazione tra la donna e il padre biologico continuò; la persona di età minore imparò a chiamare papà l’uomo che tale era biologicamente e con il quale aveva consuetudine affettiva e relazionale, per anni, fino a che anche il rapporto di questi con la madre entrò in crisi e la donna iniziò a ostacolare il rapporto padre biologicofiglia compromettendo il diritto della prole minorenne alla continuità affettiva. 21 Anni addietro il padre, unitamente con la madre – per la quale era decorso il termine semestrale per il disconoscimento – aveva presentato istanza al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario perché ricorresse per la nomina di un curatore speciale: ma il Procuratore della Repubblica, con proprio decreto in data 12 marzo 2010, aveva ritenuto non essere nell’interesse della minore il disconoscimento e non aveva proceduto quindi alla richiesta di nomina di curatore speciale per promuovere l’azione di disconoscimento. 22 Dopo il primo rifiuto del PM di richiedere la nomina di un curatore speciale per azionare il disconoscimento, la relazione nella coppia coniugale entrò in crisi e madre e marito-padre giuridico si separano e poi divorziano. Seguì – pendente il procedimento di separazione – denuncia per molestie sessuali alla minore da parte del marito padre giuridico e nuova istanza al PM da parte della madre per la nomina di un curatore speciale per azionare il disconoscimento: questa volta i PM ritenne sussistente l’interesse del minore e chiese la nomina del curatore speciale che promosse azione di disconoscimento che grazie all’opposizione del marito-padre si concluse in cassazione dopo anni. Genitore (e nonno) sociale 1171 Il padre biologico chiese quindi al Tribunale per i minorenni tutela di tale continuità affettiva ai sensi dell’art. 333 c.c., come indicato dalla Corte Costituzionale, ma il giudice specializzato minorile capitolino, con decreto del 30 maggio 2018 dichiarò inammissibile il ricorso per asserita carenza di legittimazione attiva del padre (senza nemmeno un’udienza), asserendo che: “Il ricorso è inammissibile. A tal proposito è sufficiente rilevare che la domanda ex art. 333 c.c. può essere proposta, oltre che dal PMM, dall’altro genitore o dai parenti; il genitore, tuttavia, non è genitore dal punto di vista giuridico e, quindi, l’inadeguatezza della madre della minore, sotto il profilo dell’ostacolo al mantenimento del rapporto affettivo con il genitore biologico, poteva essere fatta valere ex art. 333 c.c. dal PMM che, tuttavia, non ha presentato ricorso sul punto”. Venne quindi proposta dal padre (biologico e sociale, ma non giuridico) autonoma istanza al Pubblico ministero minorile perché procedesse alla richiesta di tutela: ma il PMM archiviò senza nessuna istruttoria. La questione è stata superata con un accordo (definita l’azione di disconoscimento, la madre ha consentito al riconoscimento del padre biologico ed è stato poi presentato ricorso congiunto al Tribunale ordinario ai sensi dell’art. 337 ter c.c.). Ma le Autorità nazionali non sono state in grado di garantire la genitorialità sociale – in questo caso del padre anche biologico – dal 2010 al 2018. 2.6. Il riconoscimento del “nonno sociale”: Cass., ordinanza 28 luglio 2018, n. 19780 La tutela della continuità affettiva non riguarda solo il genitore sociale, ma anche il nonno sociale, che sia coniugato o meno con il nonno biologico e giuridico. La Cassazione, con l’ordinanza del 28 luglio 2018, n. 19780 ha infatti affermato che alla luce dei principi desumibili dall’art. 8 della Convenzione EDU, dall’art. 24, co 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 2 e 3 Costituzione, il diritto degli ascendenti azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art. 317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso coniuge o convi- 1172 The best interest of the child vente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo a instaurare con i minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio su piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico. Nella fattispecie de qua, il ricorso al Tribunale per i minorenni, volta al ripristino della relazione nonni-nipoti ostacolato da entrambi i genitori, era stato presentato dal nonno biologico e giuridico e dalla sua seconda moglie, legata ai nipotini minorenni da una relazione affettiva ma non giuridica e nemmeno biologica. Il giudice specializzato minorile aveva accolto parzialmente la domanda del nonno, giuridico e biologico, e aveva dichiarato il ricorso della nonna sociale inammissibile reputando insuperabile la lettera dell’art. 317 bis c.c., che legittima solo gli ascendenti, ossia le persone legate alle minori da parentela in linea retta. L’inammissibilità era stata confermata in secondo grado. Ricorsero in cassazione sia il nonno –giuridico e biologico – sia la nonna sociale. La Suprema Corte ritiene errato considerare solo il dato letterale di cui all’art. 317 bis c.c., affermando che la norma deve essere considerata sistematicamente, alla luce delle disposizioni costituzionali (artt. 2 e 30 Cost.), europee (art. 24 della Carta di Nizza) ed internazionali (art. 8 della CEDU), che formano il nuovo quadro normativo di riferimento multilivello (art. 117 Cost.) dal quale non si può prescindere. Citando la Corte di Strasburgo per la rilevanza della tutela di cui all’art. 8 CEDU per la relazione nipoti-nonni (Manuello e Nevi c. Italia, sent. 20.01.2015; Beccarini e Ridolfi c. Italia, 7.12.2017 ) sia la Corte di giustizia (Vlacheva c. Babanarakis, 31.05.2018), la Suprema Corte afferma che “se, dunque, la giurisprudenza europea succitata ha evidenziato la necessità di ampliare il più possibile i contatti del minore con persone appartenenti al suo nucleo familiare allargato, nella misura in cui tali relazioni si traducono in un beneficio per l’equilibrio psico-fisico del medesimo, è la nozione stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla giurisprudenza” europea. Essendo la nozione di famiglia una nozione di fatto in cui la relazione è sufficientemente stabile. Pur ripercuotendosi tale nozione soprattutto nel rapporto genitori-figli, in relazione ai quali la Corte EDU non opera alcuna distinzione tra legami di sangue e rapporti “sociali”, purché connotati da una stabile relazione affettiva. Genitore (e nonno) sociale 1173 3. Maternità surrogata: temi, problemi, provvedimenti e interesse del minore 3.1. Maternità surrogata tra illiceità della prassi e tutela dell’interesse del minore nelle relazioni affettive: Corte EDU, Corte Costituzionale e Sezioni Unite della Cassazione In materia di maternità surrogata, Strasburgo ha posizione differenziata rispetto ai genitori intenzionali e al figlio minorenne: ritiene infatti che la relazione dei primi nei confronti del bambino non sia meritevole di tutela ai sensi dell’art. 8 della Convenzione di Roma mentre, viceversa, ritiene necessario che la relazione del figlio con loro, nel suo esclusivo interesse, se positivamente instaurata, sia protetta e garantita. I leading cases sono Corte EDU, Menesson c. Francia e Labassee c. Francia, sentenze entrambe del 26 giugno 2014. Strasburgo ha ritenuto che le Autorità nazionali avessero ecceduto dal margine di apprezzamento loro riconosciuto rifiutando di riconoscere il rapporto di filiazione tra padre biologico e figli nati all’estero (USA) da maternità surrogata nello Stato in cui i bambini erano nati. Le due coppie avevano esaurito i ricorsi interni e la Cassazione aveva ritenuto, con sentenza del 6 aprile 2011, che il riconoscimento di rapporti di filiazione avrebbe significato dare esecuzione a contratti nulli, vietati dall’ordinamento interno per ragioni di ordine pubblico. In ogni caso ai bambini sarebbe stato consentito di vivere con i genitori non sussistendo quindi violazione, secondo la Suprema Corte francese, per quel che riguarda il loro diritto alla vita privata e familiare. La Corte EDU non ha però condiviso tale impostazione in considerazione del fatto che tra i bambini e i genitori intenzionali si fosse instaurato un legame affettivo tale da poter essere definito familiare, ha ritenuto l’ingerenza dello Stato nella vita familiare dei genitori intenzionali legittima, conformemente alla legge nazionale, in quanto perseguiva il legittimo scopo della tutela della salute e della tutela dei diritti e delle libertà altrui. Pur sottolineando, ex latere minoris, il largo margine di apprezzamento che bisogna lasciare agli Stati relativamente alla maternità surrogata, Strasburgo ha invece rilevato come il margine di discrezionalità debba essere ridotto quando entrano in gioco il diritto alla costruzione della propria identità e l’interesse della persona di età minore a veder riconosciuti e tutelati i propri legami 1174 The best interest of the child familiari sottolineando come il mancato riconoscimento giuridico del legame di questi con i genitori sociali ne infici vita familiare e identità sociale. La violazione da parte della Francia – consistente nell’aver superato il proprio margine di apprezzamento senza tener conto di the best interest of the child – si è così manifestata nei confronti dei figli minorenni, violando il loro diritto di identità sociale e alla tutela della relazione parentale, e non delle coppie che erano ricorse al contratto di maternità surrogata, nullo per il diritto francese. Identica prospettiva nel caso di cui alla sentenza Corte EDU, Paradiso e Campanelli c. Italia, 27 gennaio 2015, e poi alla successiva della Grande Camera, 24 gennaio 2017. Il bambino era nato in Russia con la pratica di maternità surrogata: era stato registrato in quello Stato, conformemente alla normativa nazionale, come nato dai due genitori intenzionali. Non sussisteva alcun legame biologico nemmeno con il padre del bambino, sicché i due coniugi furono sottoposti a procedimento penale e, sul piano civile, fu giudiziariamente confermato il rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile di trascrivere l’atto di nascita per contrarietà ai principi di ordine pubblico. Il bambino venne allontanato dopo sei mesi e, quindi, affidato a terzi; fu eliminato dal suo stato civile il cognome dei genitori intenzionali (e per oltre un anno non gliene fu attribuito altro). I Ricorrenti ricorsero a Strasburgo lamentando l’allontanamento del bambino, il suo affidamento ad altri e il mancato riconoscimento della relazione filiale, nonostante si fosse instaurata una relazione affettiva. Strasburgo osserva che l’ingerenza delle Autorità nazionali è stata motivata dall’esigenza di porre termine a una situazione illegittima; ma rileva che il principio dell’ordine pubblico internazionale non può essere applicato automaticamente, senza la prioritaria considerazione dell’interesse del minorenne. L’ordine pubblico internazionale non può essere considerato un passe-partout per ogni misura: prioritariamente deve essere tutelato the best interest of the child rispetto alla relazione con i genitori, che sussista un rapporto genetico o altro. Allontanare un figlio minorenne dalla propria famiglia è una misura estrema che può essere giustificata solo da un danno imminente per il figlio minorenne, il che nel caso concreto non sussisteva. Al contrario, la mera applicazione del principio di ordine pubblico internazionale non può giustificare l’allontanamento di un figlio minorenne dalla sua famiglia. Genitore (e nonno) sociale 1175 La sentenza fu riformata dalla Grande Camera circa due anni dopo (Paradiso e Campanelli c. Italia 24 gennaio 2017) che in realtà conferma la posizione della Corte EDU: nel caso concreto non ritiene infatti violativo del diritto ex art. 8 CEDU il comportamento delle Autorità nazionali nei confronti dei genitori intenzionali, ritenendo insussistente per loro la vita familiare e che la violazione della vita privata sia giustificata dalla contrarietà all’ordine pubblico del loro comportamento. Afferma, per quanto concerne il bambino, che il ricorso non era stato presentato anche nel suo interesse. Sul tema della maternità surrogata a distanza di meno di un anno si è espressa la Corte Costituzionale con sent. 272 del 18 dicembre 2017 in materia di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità che costituisce da un lato ulteriore conferma della rilevanza della continuità affettiva nella prospettiva di the best interest of the child, dall’altra la particolare intrinseca contrarietà dell’ordinamento alla pratica della gestazione per altri che tuttavia non cancella the best interest of the child. La Consulta afferma che anche nel caso dell’impugnazione per difetto di veridicità è ineludibile la valutazione comparativa tra l’interesse alla verità e l’interesse del minore. Vi sono casi in cui quest’ultimo è valutato a priori dalla legge (come ad es. nel caso di disconoscimento del figlio nato da PMA eterologa, vietato dalla l. 40/2004) ed altri “in cui il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato”. Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione è dunque più complessa della sola alternativa vero/falso. Tra le variabili di cui tener conto, “oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione” e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra anche la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Perciò la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Milano sull’art. 263 del Codice civile. 1176 The best interest of the child Infine la Grande Camera della Corte EDU si è espressa sull’argomento il 10 aprile 2019 con il primo parere reso ai sensi del Protocollo 1623. Secondo la CEDU, si dicono “genitori intenzionali” quelli sociali, perché hanno l’intenzione di costruire una famiglia tramite maternità surrogata. Il parere è stato richiesto dalla Corte di Cassazione francese sulla necessaria o meno trascrivibilità dell’atto di nascita formato legittimamente in uno stato estero, in cui la gestazione per altri è lecita, di un bambino nato con tale pratica. La Corte EDU, pur non ritenendo non necessaria la trascrizione di detto atto di nascita, ha affermato che il legame affettivo debba essere tutelato anche con il genitore intenzionale non biologico, eventualmente tramite l’istituto dell’adozione (nel nostro Paese ai sensi dell’art. 44 l. 184/1983). Il tutto purché le condizioni previste dalla legge nazionale ne garantiscano l’efficacia e la rapidità di attuazione, in conformità al superiore interesse del bambino. Strasburgo ha contestualmente invitato la Francia a superare i limiti legati all’adozione, concessa solo alle coppie sposate e vi sono dubbi sul previo consenso della madre surrogata24. A meno di un mese dal parere della Corte EDU, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019 in piena sintonia hanno affermato che il riconoscimento della efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità ex art. 12, 6° comma, L. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto della adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici quali l’adozione in casi particolari (art. 44, 4° comma, lett. D), L. n. 184/1983). 23 Parere consultivo sul riconoscimento nel diritto nazionale di una relazione di filiazione tra un bambino nato in maternità surrogata praticata all’estero e la madre dell’intenzione» (P16-2018-001). 24 Cfr. http://www.dirittoegiustizia.it/news/17/0000093703/La_CEDU_sui_diritti_del_ minore_nato_da_maternita_surrogata.html Genitore (e nonno) sociale 1177 Tuttavia il turismo procreativo esiste, e vi sono casi sempre più numerosi in cui coppie, omo ed etero si rivolgono alla pratica della maternità surrogata o gestazione per altri in Paesi in cui è ritenuta lecita. E può anche capitare che, prima della promozione dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, possano intercorrere anni, in cui intanto gli affetti e le consuetudini si radicano. Ciò anche grazie a un sistema di giustizia frazionato tra più giudici, in cui ai sensi dell’art. 74 l. 184/198325 la segnalazione del riconoscimento inveritiero viene effettuata al Pubblico Ministero minorile. Questi poi segnala al Pubblico ministero presso il Tribunale ordinario il quale richiede a sua volta la nomina di un curatore speciale che dovrà impugnare il riconoscimento: ciò può succedere dopo anni di radicamento affettivo26. Né vale il termine di prescrizione ultraquinquennale, perché il curatore agisce come figlio e, quindi, per lui l’azione è imprescrittibile. Ciò comporta veri e propri casi di coscienza e drammi familiari: giuridicamente, e per dirla con la Corte EDU, l’equo bilanciamento degli interessi in gioco necessario in uno stato democratico, può portare comunque alla distruzione di un mondo affettivo, identitario, relazionale e sociale radicatosi per anni27 di persone di età minore in ragione di dissennate scelte dei loro genitori che ne hanno commissionato la nascita con pratiche illecite? Non si ravvisa in questi casi l’attuazione dell’antico brocardo summum ius, summa iniuria? 25 L. 184/1983, art. 74: “Gli ufficiali di stato civile trasmettono immediatamente al competente tribunale per i minorenni comunicazione, sottoscritta dal dichiarante, dell’avvenuto riconoscimento da parte di persona coniugata di un figlio naturale non riconosciuto dall’altro genitore. Il tribunale dispone l’esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicità del riconoscimento. Nel caso in cui vi siano fondati motivi per ritenere che ricorrano gli estremi dell’impugnazione del riconoscimento il tribunale per i minorenni assume, anche d’ufficio, i provvedimenti di cui all’articolo 264, secondo comma, del codice civile”. 26 In un caso verificatosi nella capitale, il “transito” della pratica da Via dei Bresciani (sede del Tribunale per i minorenni) a Viale Giulio Cesare (sede del Tribunale ordinario) e la conseguente nomina del curatore speciale, ha impiegato ben 6 anni! 27 Il riferimento è a un caso concreto in cui i tempi di trasmissione dal Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni alla nomina del curatore speciale da parte del Presidente del Tribunale ordinario sono stati di ben 6 anni. Il curatore speciale nel promuovere l’azione ha chiesto la valorizzazione dei legami affettivi e che, in caso non fosse confermata la genitorialità biologica, il legame parentale fosse comunque mantenuto se nell’interesse delle figlie minorenni della coppia dei genitori asseritamente intenzionali. 1178 The best interest of the child 4. Alla ricerca di possibili soluzioni normative 4.1. Possibili soluzioni normative di tutela della genitorialità sociale nella prospettiva di the best interest of the child: Convenzione di Strasburgo sulle relazioni personali del minore e codificazione dei principi giurisprudenziali La genitorialità e la parentela sociale hanno ricevuto ormai riconoscimento dalla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito, anche secondo le indicazioni della Corte di Strasburgo. Tuttavia la giurisprudenza di merito (come nei casi citati) non sempre è stata pronta ad adeguarsi tanto da far ritenere necessaria una riforma legislativa che, nel consacrare normativamente tali situazioni, stabilisca anche con certezza criteri e limiti di tale tutela, codificando le ormai numerose pronunce in tale senso. Sembra insomma venuto il momento di un riconoscimento normativo per evitare disuguaglianze di tutela a seconda della sensibilità del singolo giudice e anche per evitare il trascorrere di tempi che potrebbero radicare invece situazioni contrarie all’interesse della persona di età minore, ma che rescindere successivamente potrebbe anche comportare un ancor più grave pregiudizio proprio per la stessa, una volta radicatisi affetti, consuetudini, identità, relazioni parentali. Una possibile soluzione potrebbe essere costituita dalle indicazioni della “Convenzione di Strasburgo sulle relazioni personali del minore”. Tale Convenzione, adottata il 3 maggio 2002 a Vilnius dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, aperta alla firma a Strasburgo a partire dal 14 ottobre 2002, ha terminato la sua validità nel 2013. Tuttavia potrebbe costituire fonte di ispirazione per il legislatore interno, anche per altre situazioni che sempre più frequentemente si presentano all’attenzione della giurisprudenza, nazionale e internazionale. Ci si riferisce in particolare al divieto di libero accesso da parte del genitore convivente all’altro genitore, fenomeno noto con il discusso termine di Sindrome da Alienazione Parentale. La suddetta Convenzione sulle relazioni personali aveva come finalità quella di rafforzare il diritto fondamentale dei minori, dei loro genitori e delle persone legate al minore da vincoli familiari ad intrattenere relazioni regolari. A questo fine, la Convenzione sulle relazioni personali, tra l’altro, fissa anche dei principi generali da applicare alle decisioni in materia di relazioni tra i minori ed i loro genitori o fa- Genitore (e nonno) sociale 1179 miliari, prevedendo misure di salvaguardia e garanzia per assicurare l’esercizio adeguato del diritto alla relazione da parte dei soggetti interessati, prima di tutto i genitori. 4.2. …segue… Possibili soluzioni di tutela… Maternità surrogata: tutela di the best interest diversificata come categoria e nel singolo caso Certamente la maternità surrogata o gestazione per altri è prassi ex se contraria all’interesse della persona di età minore: molto è stato detto e scritto sulla assoluta contrarietà di tale prassi alla dignità della donna gestante, ridotta ad incubatrice vivente, di solito soggetto vulnerabile che si presta alla pratica per fragilità economica. Sulla contrarietà all’interesse della persona di età minore si è sostanzialmente posto l’accento al fraudolento superamento della normativa sull’adozione, volta a dare alla persona di età minore una famiglia idonea, scelta in base ai canoni di legge, quando è priva della propria. Ma vi sono anche altri aspetti che non sono considerati: la vita intrauterina è il primo grande momento di sviluppo psico-fisico del bambino, che si “nutre” anche dello scambio psicologico con la madre. Tale vita intrauterina non è neutra e indifferente alla sua crescita, alla capacitazione delle sue potenzialità. Se priva di stimoli affettivi, come probabilmente è quella in una donna gestante che espleta una funzione meramente contrattuale e non ha alcuna intenzione di radicare una consuetudine affettiva per quel feto che porta in grembo e che resterà estranea alla sua vita, per la quale non ha alcun progetto di genitorialità, è di per sé pregiudizievole per la persona di età minore che in quella gestazione si forma. Inoltre viene violato il suo diritto alla dignità, per la mercificazione della sua persona che è parte costitutiva dell’accordo e sua causa; del suo diritto all’identità, nella negazione della conoscenza delle sue origini. Ancora non viene adeguatamente tutelato il suo diritto alla salute psico-fisica anche in relazione alla anamnesi familiare, che tanto ha rilievo per ciò che è la predisposizione genetica ad alcune situazioni patologiche. La pratica della maternità surrogata è quindi al di fuori di qualsiasi contesto di civiltà giuridica, anche nell’interesse della persona di età minore e non solo della gestante, violativa di suoi diritti fondamentali. Per ciò stesso è contraria all’interesse della persona di età minore come categoria, perché la sua legittimazione comporterebbe un vulnus ai diritti fondamentali di tutte le persone di età minore. 1180 The best interest of the child Tuttavia, nel caso concreto di ogni bambino nato da questa pratica, è altrettanto innegabile che la situazione affettiva e sociale di fatto che si viene a creare tra persona di età minore e genitori intenzionali – una volta radicatisi positivi affetti, consuetudini anche educative, identità sociale e relazionale – non può essere rescissa senza ulteriore danno per il bambino che si troverebbe ad essere orfano due volte, con una ferita interna difficilmente rimarginabile e una grave compromissione del suo miglior sviluppo psico-fisico che coincide con the best interest. Allora vi è da considerare se una possibile tutela non sia da attuare che su due diversi fronti e diversificata, riguardando al criterio nell’interesse della categoria delle persone di età minore da una parte e della singola persona di età minore nata dalla pratica dall’altra: ex ante, comminando per tale pratica severe rilevantissime sanzioni pecuniarie (da destinarsi a un fondo per l’infanzia) quale deterrente e quale pena concreta per chi – avvalendosene – travalica il limite di intrinseca antigiuridicità della prassi; ex post tutelando e garantendo la relazione, se ed in quanto costruitasi in modo positivo per lo sviluppo psico-fisico di quel minore nato con tale pratica con i suoi genitori intenzionali, tramite adozione come d’altronde indicato sia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sia dalle Sezioni Unite della Cassazione. Bibliografia Magno G., Il minorenne è portatore di un semplice interesse, oppure è titolare di diritti?, in MinoriGiustizia, 2/2011, p. 28-38 Morozzo della Rocca P., Il diritto alla vita familiare di un bambino piccolo affidato, in MinoriGiustizia, 3/2010, p. 248 Due modelli giurisprudenziali e due ipotesi a confronto in tema di continuità affettiva Rosita Lifrieri Sommario: 1. Il caso Moretti e Benedetti c. Italia. – 2. La legge 19 ottobre 2015, n. 173. – 3. Il caso del Tribunale di Salerno per i Minorenni. – 4. Il diritto alla continuità affettiva: il ruolo del genitore sociale. – 5. Conclusioni. 1. Il caso Moretti e Benedetti c. Italia Il diritto dei minori affidati a conservare la continuità affettiva con la famiglia affidataria costituisce una questione preminente nel panorama della giurisprudenza minorile. Ad obbligare il sistema statale a riflettere verso una spinta al rinnovo della materia fu la nota sentenza Moretti e Benedetti c. Italia1. La vicenda trae origine dall’affidamento temporaneo, ai coniugi Moretti e Benedetti, di una neonata abbandonata dalla mamma tossicodipendente subito dopo la nascita, a seguito della decisione del Tribunale per i Minorenni di Venezia. Il 26 ottobre 2004 i ricorrenti presentano una domanda di adozione in casi particolari, ex art 44, lett. d) l. 184/1983, per constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Le autorità però non danno nessun riscontro a questa domanda, cosicché i ricorrenti ritirano la domanda di adozione speciale. Nel 2005 il Tribunale per i Minorenni, inizia a svolgere ricerche, per individuare una famiglia adottiva, diversa da quella dei ricorrenti affidatari, tanto da respingere sia la prima che la seconda domanda di adozione dei sig.ri Moretti e Benedetti. 1 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 27.4.2010, n. 16318. 1182 The best interest of the child La scelta della nuova famiglia viene giustificata dall’interesse superiore del minore2. I ricorrenti propongono appello ma la Corte d’Appello, non annulla il decreto di affidamento ad una nuova famiglia, consentendo l’adozione a quest’ultima, in virtù dell’interesse superiore del minore. I coniugi allora successivamente adiscono la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art 8 CEDU che tutela il rispetto alla vita privata e familiare; dell’art 6 CEDU (diritto ad un equo processo); dell’art. 13 CEDU (diritto ad un ricorso effettivo). La Corte condanna l’Italia perché, dal punto di vista procedurale, non è stata valutata tempestivamente la domanda di adozione in casi particolari della coppia affidataria e per violazione dell’art 8 CEDU. Il rapporto instaurato tra la bambina e la famiglia affidataria rientra nella nozione di vita familiare privata, in quanto la coppia, pur in assenza di un rapporto giuridico di parentela, ha vissuto con la minore importanti tappe della vita di lei e per un tempo apprezzabile. Il caso Moretti e Benedetti c. Italia, ha rilevato una vera e propria falla nel sistema e cioè il diritto del bambino a non vedere violato il rapporto affettivo con coloro che lo hanno cresciuto o allevato fino all’adozione. Per far fronte a questa problematica è stata introdotta la legge n. 173/2015, tesa ad apportare modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 1843, al fine di valorizzare la continuità affettiva e le relazioni familiari. 2. La legge 19 ottobre 2015, n. 173 Con la legge n. 173/2015 si stabilisce un importante principio: il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare4. Ciò in quanto la permanenza in un nucleo familiare, di minori dati in affidamento familiare, perché temporaneamente privi di un ambiente 2 Il principio del superiore interesse del minore è stato espressamente previsto per la prima volta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989, nell’art 3, par. 1 secondo cui: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. 3 La l. 1983, n. 184 è stata modificata dalla l. 149 del 2001: “Modifiche alla legge 4 maggio, 1983, n. 184”, recante: “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro Primo del codice civile”. 4 V. M. Velletti, Interesse del minore e genitorialità” consultabile su: www.treccani.it/ enciclopedia/interesse-del-minore-e-genitorialità. Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1183 familiare idoneo in cui vivere e crescere, crea legami che prescindono dai caratteri formali dei singoli istituti giuridici5 . Pertanto i giudici nazionali non possono non tenerne conto. In questo senso l’art. 1 della legge n. 173/2015 prevede l’inserimento nell’art. 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184 del comma 5-bis. Qualora durante un periodo prolungato di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile e sussistono i requisiti previsti dalla legge, la famiglia affidataria chiede di poterlo adottare, il Tribunale per i Minorenni nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami significativi e del rapporto affettivo stabile e duraturo, consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. Altresì anche se il minore fa ritorno nella famiglia d’origine oppure viene dato in affidamento ad un’altra famiglia, le relazioni socio-affettive consolidate tra questo e gli affidatari, devono essere mantenute positivamente (comma 5-ter). Dunque il rapporto affettivo tra la famiglia affidataria ed il minore, è di particolare rilevanza se risponde all’interesse di quest’ultimo, al the best interest of the child. Il principio del the best interest of the child esprime protezione, tutela nei confronti del fanciullo, motivo per cui, è fondamento delle decisioni giurisdizionali6. Il giudice, deve infatti, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 173/2015, tener conto delle valutazioni documentate dai servizi sociali, successive all’ascolto del minore7 (comma 5-quater). Una disposizione questa che si pone in correlazione con quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 336-bis c.c. e 38-bis disp.att. c.c8. 5 Sull’affidamento familiare C.M. Bianca, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, consultabile su www.juscivile.it, rileva che “L’affidamento ha, e deve conservare, una presenza centrale nell’area delle forme di intervento a favore dei minori, ma occorre che ne sia garantita l’applicazione conforme alla sua funzione. Pure se previsto per sopperire alle situazioni in cui il minore è temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, l’affidamento familiare inserisce il minore in una famiglia, che deve assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno (art .2¹ l. adoz).Gli enti e le strutture giuridiche non sono in grado di assolvere questi compiti e soprattutto non sono in grado di prestare quella cura affettiva che può essere prestata solo attraverso uno stabile rapporto personale. Di questa cura il minore ha bisogno essenziale per la sua crescita armoniosa”. 6 V. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Rivista di diritto civile, 1/ 2016, p. 88: “Il giudice deve infatti scegliere la miglior soluzione per la vita futura di un determinato minore; deve tener ovviamente conto degli eventi passati, accertati nel corso dell’istruzione probatoria, ma la sua decisione è rivolta al futuro”. 7 Tra le innumerevoli pronunce si veda, ad esempio, Corte eur. dir. uomo, Gnahore c. Francia, ricorso n. 40031/98, in cui si afferma che “child’s interest must come before all other considerations” (par. 59). 8 V. M. Velletti, in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 137 ss. 1184 The best interest of the child L’ascolto, in siffatto quadro normativo, si inserisce tra i diritti inviolabili9 della persona minore di età, costituendo un vero e proprio diritto soggettivo assoluto (valevole erga omnes) di quest’ultimo10. Dalla nozione di diritto soggettivo11,quale posizione giuridica di vantaggio, riconosciuta ad un soggetto per tutelare un suo interesse, può ricavarsi che: il contenuto che identifica la posizione del titolare è l’esercizio delle facoltà, delle pretese del minore; l’interesse si identifica invece nel fatto che le opinioni liberamente espresse dal minore12 devono avere valore preminente, al fine di garantire il suo sano sviluppo psicofisico. 3. Il caso del Tribunale di Salerno per i Minorenni Tuttavia, c’è da dire che sul piano pratico-operativo occorre riconoscere come delle volte la vita ci possa mettere dinanzi all’analisi di casi peculiari, casi limite. Il riferimento va ad una sentenza del Tribunale di Salerno13 per i Minorenni, la quale ha suscitato una grande risonanza mediatica. La madre naturale di una bambina, dall’età di cinque mesi, lascia quest’ultima ad una tata, da lei assunta alle proprie dipendenze. La signora che avrebbe dovuto fare da tata alla minore, solamente per qualche ora al giorno e guadagnare qualcosa, si ritrova ad accogliere e accudire gratuitamente la minore a tempo pieno. A prendersi cura della minore sono la tata e il marito, in quanto la madre naturale alterna periodi di assenza e di visite saltuarie. Dopo circa un anno il presunto padre, di origini straniere, con l’intento di conoscere il minore, chiede di vederlo un’unica volta. Proprio in quell’occasione gli scatta delle foto e dichiara di volerle caricare su Internet. A questo punto i due coniugi (tata e marito) iniziano a preoccuparsi per la minore. Una preoccupazione che viene amplificata dalla richie9 Art. 24 Carta di Nizza, rubricato: “Diritti del minore”. 10 Sul tema si veda lo scritto di G. Ballarani, L’ascolto come diritto soggettivo assoluto del minore”, in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 131 ss. 11 V. C.M. Bianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2018, p. 59. 12 Cfr. Corte Eur. Dir. Uomo, Pini e Bertani c. Romania 22 settembre 2004, par. 164: “The children’s interests dictated that their opinions on the subject should have been taken into account once they had attained the necessary maturity to express them”. 13 V. nota di A. De Luca – O. Caponigro, in Diritto 24, 2017 a S.T rib. min. Salerno, 22 dicembre 2016, n. 82. Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1185 sta della madre naturale di ottenere un certificato valido per l’espatrio della bambina. Forte è il desiderio, dei coniugi, di denunciare il tutto alle autorità, ma la paura è che la minore possa essere collocata presso una casa famiglia, o possa tornare dalla madre o dal padre naturale. La prima inadeguata; il secondo ambiguo. Nel 2004 i coniugi chiedono alla madre naturale di prestare il consenso per l’affidamento legale in loro favore. La risposta è negativa poiché il presunto padre biologico intende portare nel suo paese la minore. Allora i coniugi, temendo il peggio per la bambina (vendita di organi, pedofilia), presentano un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. Contemporaneamente avanzano istanza di affidamento a tempo indeterminato. A seguito dell’esposto però emerge che i coniugi hanno omesso di denunciare lo stato di abbandono, entro i sei mesi14. Rischiano così di essere inidonei per una futura adozione. Dall’attività istruttoria, si evince in primo luogo l’irrilevanza penale della condotta dei coniugi collocatari15. In secondo luogo si ricava la condotta di abbandono della madre naturale e del presunto padre biologico. Ciò porta ad un provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, ai sensi dell’art 330 c.c., secondo cui il giudice può pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri16 ad essa inerenti oppure abusa dei relativi poteri17, arrecando un grave pregiudizio al figlio. Altresì entrambi i genitori naturali sono convenuti in un procedimento penale per abbandono del minore18. 14 Art. 9 co. 4° legge 184/1983 “Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare”. 15 Cfr. artt. 71 e segg. l. 184/1983. 16 Cfr. l’art. 147 c.c. “Doveri verso i figli”; art. 30 Cost. 17 Cfr l’art. 320 c.c. in tema di rappresentanza e amministrazione. 18 V. per alcune osservazioni critiche C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, Milano, 2017, p. 460 ss. 1186 The best interest of the child Con il passare del tempo la bambina, instaura un rapporto affettivo importante con la famiglia affidataria, tanto da chiamare mamma e papà i coniugi collocatari; imita i figli di questi ultimi e li considera come se fossero fratelli, sorelle. Orbene, il Tribunale per i Minorenni, con provvedimenti provvisori e successivamente alle valutazioni e verifiche degli assistenti sociali, dispone la collocazione temporanea della minore presso i coniugi denuncianti, con inibizione dei genitori naturali a far visita alla minore. Tuttavia i coniugi collocatari rischiano, ai fini dell’adozione, di non risultare idonei per i seguenti motivi: essi hanno omesso di denunciare lo stato di abbandono nei termini stabiliti dalla legge; godono di un patrimonio economico limitato, costituito da scarse risorse economiche; non possiedono il requisito di età del limite massimo di quaranta anni19 tra loro ed il minore; manca l’assenso dei genitori naturali all’adozione20. La coppia affidataria allora presenta istanza di adozione in casi particolari, ex legge 184/1983. Presupposti dell’istanza sono da un lato l’impossibilità dell’affidamento preadottivo, ex art. 44 lett. d), dall’altro i principi sulla continuità degli affetti, previsti dalla legge n. 173 del 2015. Tuttavia occorre dire che ai sensi dell’art 46, co. 2°, l. 184/1983, il giudice può pronunciare ugualmente l’adozione, a prescindere dal rifiuto dei genitori naturali, essendo questi ormai decaduti dalla responsabilità genitoriale. Riguardo poi il requisito del sopracitato limite di età di 40 anni tra i coniugi adottanti ed il minore, non può non tenersi conto dell’intervento della Corte Costituzionale, con sentenza n. 283/199921. 19 Art. 6 co. 2° legge 184/1983: “L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quaranta anni l’età dell’adottando”. 20 V. riflessioni di T. Auletta, La famiglia rinnovata: problemi e prospettive, in C.M. Bianca – M. Malagoli – Togliatti A.L. Micci, Interventi di sostegno alla genitorialità nelle famiglie ricomposte, Milano, 2005, p. 53 ss. 21 La citata sentenza del 1999 riguarda il rigetto, da parte della Corte d’Appello di Roma, dell’istanza di adozione dei ricorrenti, nonché aspiranti alla dichiarazione di idoneità all’adozione di un minore straniero, perché la differenza di età tra essi e il minore era superiore a quaranta anni. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, secondo comma, della l. 1983 n. 184, nella parte in cui non prevede che il giudice può disporre l’adozione, valutando esclusivamente l’interesse del minore , quando l’età dei coniugi adottanti supera di oltre quaranta anni, l’età dell’adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla mancata adozione deriva un danno grave e non evitabile per il minore. Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1187 La Corte Costituzionale ha stabilito che tale differenza massima di età non può essere considerata un requisito assoluto. Per tutte queste ragioni, il Tribunale per i Minorenni, accoglie l’istanza di adozione, ex art. 44 lett. d) legge 1983/184, presentata dai coniugi affidatari. Nello specifico l’adozione del minore in casi particolari, in favore dei coniugi affidatari, è dichiarata considerato22 che: i ricorrenti hanno già da tempo in affidamento la minore e che questa ha stabilito con loro e con l’intero nucleo familiare un rapporto affettivo estremamente significativo. Giorno per giorno, si è indebolito invece, il legame affettivo con la famiglia naturale. Considerato che i genitori naturali sono decaduti dalla responsabilità genitoriale e che pur mancando l’assenso degli stessi all’adozione, può comunque essere pronunciata l’adozione in casi particolari, dovendosi considerare il rifiuto contrario all’interesse dell’adottanda. Rifiuto ingiustificato anche alla luce del disinteresse mostrato dalla madre e dall’irruzione tardiva, nella vita della minore, da parte del padre. Altresì l’accoglimento dell’adozione in casi particolari risulta essere avallata dalle relazioni dei servizi sociali, dal curatore della minore. Inoltre il tribunale per i minorenni, per le ragioni illustrate, conclude disponendo che la bambina deve assumere come primo cognome quello dei coniugi, anteponendolo al proprio (art. 299 c.c.; art. 55 l. adoz.). L’analisi del caso illustrato, fa capire che è interesse primario del minore custodire il rapporto affettivo che egli ha instaurato con chi, come un arciere, lo ha aiutato nel volo della crescita, inquadrando come unico bersaglio il suo sano sviluppo psicofisico. A tal riguardo Kahlil Gibran ci dice che i figli non sono proprietà dei loro genitori ma come frecce volano verso il futuro23. In altre parole, secondo l’autore, i figli pur venendo al mondo grazie ai genitori e ricevendo da questi tutto l’amore necessario, non vi appartengono. I figli sono della vita stessa e il genitore, così come l’arciere che si preoccupa di lanciare la sua freccia il più lontano possibile, si preoccupa di accompagnare il figlio lungo il percorso della vita, affinché possa essere autonomo nella propria esistenza e raggiungere i traguardi personali più importanti. 22 Tribunale per i Minorenni di Salerno, 22 dicembre 2016, n. 82. 23 V. Il Profeta di Kahlil Gibran, New York, 1923. 1188 The best interest of the child 4. Il diritto alla continuità affettiva: il ruolo del genitore sociale Oggigiorno, alla luce dei numerosi casi di affidi familiari, sorge spontaneo chiedersi: come mai “l’arciere” non è necessariamente e solamente colui che genera il figlio, ma anche chi instaura con il minore un rapporto stabile e duraturo? L’espressione “rapporto stabile e duraturo”24 è pero un’espressione troppo ampia che finisce con il comprendere un’ampia categoria di persone: zie, amici di famiglia oppure tate, proprio come nel caso del Tribunale per i Minorenni di Salerno. Dunque la domanda che occorre porre all’interprete è la seguente: fino a che punto il rapporto affettivo, sicuramente importante e rilevante per il minore, può tramutarsi in rapporto giuridico? Il quadro normativo appare investito da un problema fisiologico che riguarda il mantenimento e la responsabilità genitoriale. Il genitore sociale deve mantenere? Il genitore sociale deve garantire la continuità nella casa di abitazione? In considerazione dell’adozione in casi particolari, se il minore è adottato da due coniugi o dal coniuge del genitore25: la responsabilità spetta ad entrambi. Il principio della condivisione della responsabilità si rinviene nell’art. 48 della legge sull’adozione. Tale articolo al 1° comma, prevede che se il minore è adottato da due coniugi o dal solo coniuge del genitore, la responsabilità genitoriale26 ed il relativo esercizio, spettano ad entrambi. Al 2° comma, prosegue stabilendo che, in ossequio all’art 147 c.c., l’adottante ha l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo. Ciò costituisce la ratio del procedimento riguardante l’adozione in casi particolari, il quale richiede appunto che il tribunale verifichi le condizioni e i requisiti legali dell’adottante. A quest’ultimo spettano i doveri di cui all’art. 315-bis c.c.: il figlio ha diritto ad essere educato, mantenuto, assistito moralmente nel rispetto delle sue capacità. 24 Il riferimento è all’art. 1, l. n. 173 del 2015. 25 Art. 44., l. 184/1983 lett. b), secondo cui i minori possono essere adottati “dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”: c.d. stepchild adoption. 26 Il concetto di responsabilità genitoriale, ha sostituito quello di potestà ed è stato introdotto dal d.lgs. n. 154 del 2013, che ha modificato l’art. 316 c.c. rubricato “Responsabilità genitoriale”. Per ulteriore approfondimento sul tema si veda M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014. Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1189 Pertanto è necessario verificare i motivi dell’adozione, l’ambiente familiare e le condizioni personali, economiche degli adottanti, nonché la loro capacità di educare, istruire i figli. Emerge in primo luogo come a fondamento della sopracitata responsabilità genitoriale, prevista dalla legge 1983 n. 184, vi è il rapporto coniugale, con la conseguenza che il minore non può essere adottato da coloro che sono conviventi di fatto27. Infatti l’art. 294 c.c. stabilisce al 2° comma che nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo che gli adottanti siano marito e moglie. Tale articolo è applicabile anche all’adozione in casi particolari, come risulta dall’art. 55 legge 1983, n. 184. In secondo luogo è preclusa l’adozione in casi particolari anche da parte di coloro che sono uniti civilmente. L’art. 1. co. 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76 esclude che le norme disciplinanti l’adozione possono essere applicate agli uniti civili28. Tuttavia la giurisprudenza, in virtù dell’interesse superiore del minore, ha ammesso che il convivente può adottare (ai sensi dell’art 44, lett. d), legge 1983 n. 184) il figlio dell’altra persona convivente dello stesso sesso29 . Risultano così tutelati i legami affettivi instaurati tra il 27 V. proposta di legge Marzano “Modifiche alla legge 4 maggio in materia di adozione dei minori da parte delle famiglie e delle persone singole affidatarie”, presentata l’8 aprile 2015 in cui si osserva: “la famiglia affidataria può infatti fare domanda di adozione – prevedono i progetti di legge – solo se sussistono i requisiti previsti dall’articolo 6 della legge n. 184 del 1983, ossia solo nel caso si in cui si tratti di coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. E i bambini affidati a famiglie con coppie conviventi? E i bambini affidati a persone singole? Non stabiliscono anch’essi legami affettivi che meriterebbero di essere preservati? Come spiegare loro che, nel caso in cui siano stati affidati a una coppia sposata tutto andrà bene, forse resteranno con essa e non saranno costretti a ricominciare con altre famiglie, mentre nel caso in cui siano stati affidati a una coppia non coniugata o a una donna o a un uomo che vivono da soli non hanno garanzie per il futuro, i loro legami affettivi non valgono nulla e dovranno cominciare tutto di nuovo presso un’altra famiglia?”. 28 V. i commenti a questa parte della norma di M. Bianca, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 271. Si veda anche, in senso contrario alla legge 20 maggio 2016, n. 76, la proposta di legge Rosato n. 630, “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 e delega al Governo per la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento e l’adozione di minori”, presentata il 15 maggio 2018. Tale proposta estende, all’art 44 legge 1983, n. 184, lett. b), la possibilità di adozione, all’unito civilmente, al convivente di fatto, nel caso nel caso in cui il minore sia figlio dell’altro unito civilmente o del convivente di fatto, previo accertamento del significativo legame affettivo tra adottato e adottante. 29 Sentenza Tribunale Minorenni di Roma, 30 luglio 2014, n. 299 avente ad oggetto l’adozione in casi particolari di una bambina, nata a seguito di un progetto di procreazione assistita, intrapreso da due donne conviventi, iscritte nel Registro delle Unioni Civili e che hanno contratto matrimonio in Spagna. L’adozione proposta dalla donna ricorrente e riguardante la figlia della propria convivente è stata accolta, 1190 The best interest of the child minore e il convivente, quale partner del genitore biologico; il requisito del vincolo coniugale è superato, venendosi a prospettare la richiesta di adozione del partner, come una richiesta da parte di persona singola, per impossibile affidamento preadottivo del minore, ex art. 44, lett. d, legge 1983, n. 18430. La Suprema Corte di Cassazione31, quale faro illuminante sul punto, ha chiarito che, nel caso dell’adozione ex art. 44 legge 1983/184 lett. d), “si prescinde dal preesistente stato di abbandono del minore ed è sufficiente” l’impossibilità di diritto “di procedere all’affidamento preadottivo del minore”. Possono quindi accedere a tale adozione persone singole o coppie di fatto, senza che la verifica dei requisiti determinati dalla legge sia influenzata dall’orientamento sessuale del richiedente, della coppia. La Corte aggiunge che nel caso di specie la domanda di adozione della partner della madre biologica, con la quale ha intrapreso una stabile convivenza, non genera in astratto nessun conflitto tra genitore sociale e adottando; un eventuale conflitto deve essere accertato dal giudice32. Ratio legis è assicurare il mantenimento dei rapporti affettivi significativi per il minore con la famiglia omosessuale che lo ha cresciuto; a ciascun bambino, sia con due mamme, sia con due papà, occorre garantire eguale tutela. Proseguendo, non appare superfluo precisare, che il genitore legato da vincolo di sangue con il minore ha l’obbligo alimentare verso quest’ultimo; è dispensato invece dall’obbligo di mantenimento33, eccetto il caso in cui vi sia sopravvenuta insufficienza dei mezzi dell’adottante e del coniuge. Ciò trova una valida giustificazione, considerata la natura dell’adozione in casi particolari che è volta a non interrompere i rapporti tra minore e famiglia d’origine. A tal proposito l’art 315-bis, 3° comma, c.c., specifica che il figlio ha diritto a mantenere rapporti signiin quanto risponde all’interesse superiore della minore, essendosi negli anni tra la minore e la ricorrente, creato un rapporto affettivo stabile e solido. 30 Sul punto C.M. Bianca, Diritto Civile 2.1, cit., p. 504, rileva che “questa configurazione urta contro il testo della norma , che fa riferimento alla constatata impossibilità di affidamento preadottivo, cioè alla accertata impossibilità di fatto del minore dichiarato in stato di adottabilità di essere accolto da una famiglia in adozione”; si consideri anche A. Morace Pinelli, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 314 ss. V. anche A. Bellelli, in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 321 ss. 31 Cass. 22 giugno 2016, n. 12962. 32 In senso contrario Trib. Min. Milano, 17 ottobre 2016, n. 261. 33 V. Cass. 30 gennaio 1998, n. 978. Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1191 ficativi con i parenti34. Tuttavia dall’applicazione del 3° comma dell’art. 315-bis c.c., rileva però un’importante criticità: ai minori, adottati con il procedimento dell’adozione in casi particolari, è precluso il legame di parentela dei membri appartenenti alla famiglia, della madre o del padre, sociale. Una preclusione, questa, che sembra essere ingiusta se si considera la Riforma della Filiazione del 2012 (legge n. 219, 10 dicembre). Essa ha proclamato l’uguaglianza dello status filiationis35; ha modificato l’art. 74 c.c. sulla nozione di parentela, aggiungendo che per parentela deve intendersi il vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso di filiazione legittima, sia nel caso di filiazione naturale, sia nel caso di filiazione adottiva. Da ultimo, ove non si voglia o non si possa procedere con l’adozione in casi particolari, il genitore sociale non ha alcun titolo per esercitare la responsabilità genitoriale. Sul complesso tema della responsabilità genitoriale nel 2015 è stato presentato il disegno di legge 16 febbraio 2015 n. 1320 intitolato: “Modifiche al codice civile in materia di delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale”36. Il presente disegno di legge nasce con l’intento di riconoscere al genitore non biologico, rispetto ai bambini che crescono in nuclei familiari atipici, alcuni diritti e doveri volti ad assicurare il pieno sviluppo del minore. Tali diritti devono essere espressamente delegati dal genitore naturale attraverso un atto, soggetto ad autorizzazione del tribunale. Cosi l’art. 1 del disegno legge n. 1320/2015 prevede nel libro primo del codice civile, dopo il titolo VII, l’inserimento del Titolo “VII-bis”: “Della delega all’esercizio della responsabilità genitoriale”, ed i successivi artt.: 290-bis (requisiti e forma della delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale); 290-ter (effetti della dichiarazione); art. 290-quater (provvedimenti nei confronti del minore)37. Sostanzialmente ciò che si evince dalla lettura delle sopramenzionate norme giuridiche è l’applicazione, nei confronti del soggetto delegato, delle norme del codice civile relative all’esercizio della responsabilità, dell’amministrazione e della rappresentanza, eccetto quelle 34 V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, cit., p. 230. 35 V. M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012”, in Giustizia Civile, 2013, Fasc. 5-6. 36 Disegno di legge a cura dei senatori Manconi, Palermo e Lo Giudice, presentato in data 19 febbraio 2014; assegnato (non ancora iniziato l’esame) alla 2° Commissione permanente (Giustizia) in sede referente il 16 febbraio 2015. 37 www.senatodellarepubblica.it 1192 The best interest of the child dell’usufrutto legale. Nel caso in cui la persona delegata o il genitore, vengano meno agli obblighi derivanti dalla delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale, i genitori esercenti a responsabilità genitoriale possono proporre ricorso al tribunale al fine di ottenere l’adempimento degli specifici obblighi. Conseguentemente al soggetto delegato può essere riconosciuto un tempo per far visita al minore, in virtù dell’interesse del minore e del suo diritto alla continuità affettiva. Emerge quindi chiaramente nel diritto interno, l’intento del legislatore di riconoscere un diritto alla continuità affettiva, di cui alla legge n. 173 del 2015, a tutela dell’interesse superiore del minore; al contempo però non si offre un rimedio come risulta dalla mancata approvazione del disegno di legge n. 1320/2015. Inoltre occorre aggiungere, che nella pratica, si sono registrati dei casi in cui, né il tribunale, né i servizi sociali, hanno fornito delle indicazioni da osservare, per assicurare la continuità degli affetti, tra il minore e la famiglia, che lo ha avuto in affidamento per un determinato periodo di tempo. La regolamentazione delle modalità e dei tempi di visita tra il bambino e gli ex affidatari, è stata così assoggettata alla discrezionalità dei nuovi referenti38. Il diritto quindi alla continuità affettiva previsto dalla legge n. 173/2015 nel concreto necessità di un’applicazione più omogena, volta ad eliminare ombre e penombre sulla materia trattata. Diverso è il panorama del diritto internazionale. Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, fermo restando che la competenza regolamentare in materia è degli Stati Membri39, il concetto di vita familiare, di cui all’art 8 CEDU, deve includere tutti quei legami affettivi stabili e duraturi, preminenti per l’interesse del minore, a prescindere dai vincoli formali e di sangue. Restano esclusi invece, avendo un’importanza secondaria, tutti quei legami tesi ad attuare unicamente lo sviluppo della vita familiare dei referenti del bambino. A testimonianza di ciò si ricorda la nota sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia40. La 38 Per queste riflessioni si rinvia al volume “La continuità degli affetti nell’affido familiare”, documento elaborato dal Gruppo di lavoro sulla continuità degli affetti nell’affido familiare, attivato nell’ambito della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni, istituita e presieduta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Roma, 21 dicembre 2017. 39 V. Art. 8 Convenzione sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la legge del 27 maggio 1991 n. 176. 40 Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 gennaio 2017(ricorso n. 25358/12). Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1193 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che nella valutazione di tutti gli interessi, sottesi al caso in esame, quello che occupa uno spazio maggiore è l’interesse del minore; dovendosi invece attribuire un’importanza inferiore all’interesse dei ricorrenti, allo sviluppo della propria vita personale, attraverso la relazione con il minore41. Nella suddetta causa, la Corte è giunta a queste conclusioni, tenuto conto della mancanza di un legame biologico e di un solido rapporto affettivo tra i ricorrenti e il bambino. Iniziando dal primo fattore è cioè dalla mancanza di un legame biologico, il bambino, è nato da un embrione ottenuto da una donazione di ovociti e di sperma, da parte di donatori sconosciuti. Il bambino è stato poi partorito da una donna in Russia che ha rinunciato ad ogni diritto su di lui. A seguito i ricorrenti hanno pagato una determinata somma di denaro per ricevere il minore. In questo caso emerge la cosiddetta genitorialità di intenzione. Sono genitori di intenzione coloro che desiderano diventarlo, partecipando a vario titolo al procedimento di nascita, pur in mancanza del dato biologico42. La figura del genitore di intenzione assume rilievo solo quando la persona in questione è divenuta genitore sociale, in virtù del forte e stabile rapporto affettivo, instaurato con il minore43. Rapporto affettivo stabile e duraturo che, secondo la Corte, nella vicenda Paradiso e Campanelli, manca44. Il bambino infatti ha trascorso solo qualche mese (8 mesi) con la coppia, poi è stato collocato presso 41 Importante passaggio di quel parere si rinviene al par. 215: “Toutefois, l’intérêt général en jeu pèse lourdement dans la balance, alors que, comparativement, il convient d’accorder une moindre importance à l’intérêt des requérants à assurer leur développement personnel par la poursuite de leurs relations avec l’enfant.”. 42 Così testualmente M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite, Ordine pubblico versus superiore interesse del minore ?, in Familia, 2019, p. 383. 43 Sul punto M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite, Ordine pubblico versus superiore interesse del minore ?, cit. p. 383 ss. 44 Al contrario sul punto la Corte Europea dei Diritti dell’uomo nella pronuncia del 25/01/2015, riguardo il caso Paradiso e Campanelli, ha affermato che le autorità italiane, nel disporre la collocazione del bambino presso i servizi sociali, hanno violato l’art 8 CEDU. Il bambino, nato a seguito di maternità surrogata, pur non avendo con entrambi i genitori committenti un legame biologico, ha trascorso un breve ma significativo periodo di tempo con la coppia, ossia i suoi primi sei mesi di vita. Pertanto l’adozione di tale misura si pone in contrasto con l’interesse del minore. La Corte così afferma: “la référence à l’ordre public ne saurait toutefois passer pour une carte blanche justifiant toute mesure, car l’obligation de prendre en compte l’intérêt supérieur de l’enfant incombe à l’État indépendamment de la nature du lien parental, génétique ou autre.” (par. 80). 1194 The best interest of the child i servizi sociali. Rileva in primo luogo la durata breve del rapporto. Inoltre sono mancate da parte della coppia tutte le cure, l’accudimento continuato, la coabitazione e la solidarietà materiale. Trattasi di elementi questi necessari, affinché un rapporto possa considerarsi personale stretto ed avere una rilevanza giuridica, ai fini delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di diritto alla continuità affettiva. Il non voler riconoscere la prosecuzione di tale rapporto, tra il bambino e i ricorrenti, non costituisce, pertanto, una lesione al the best interest of the child 45. 5. Conclusioni Alla luce di quanto esposto, ne deriva un quadro normativo costituito da grossi punti interrogativi. Sicuramente, però, il più importante tra tutti, che merita di addivenire ad una risposta certa, è il seguente: come deve coniugarsi il principio del the best interest of the child, in tema di continuità affettiva, con i nuovi modelli familiari 46, affermatisi nella società odierna? Il concetto di famiglia è un concetto in continua evoluzione. Se, ai sensi dell’art 29 Cost., la Repubblica riconosce e garantisce i diritti della famiglia come una società naturale, basata sul matrimonio, (il quale è ordinato sull’uguaglianza morale, giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge per garantire l’unità familiare) occorre prendere atto, oggigiorno, che lo spazio occupato dalle famiglie, diverse da quella nucleare, è sempre maggiore. Ecco allora che il the best interest of the child, in tale cornice normativa, non può non essere il principio pilota nel rapporto diritto nazionale-internazionale; il file rouge del dialogo tra giudici nazionali e giudici della Corte Europea dei diritti dell’uomo47, per un corretto bilanciamento degli interessi contrapposti. 45 V. al riguardo gli studi di G. Luccioli, Questioni eticamente sensibili, quali diritti e quali giudici. La maternità surrogata, consultabili su www. giurcost.org, la quale rileva che: “Come è stato efficientemente osservato in dottrina, piuttosto che al superiore interesse di quel minore la sentenza definitiva ha avuto riguardo alla tutela della categoria dei minori complessivamente intesa (the interest of the children piuttosto che the interest of the child).”. 46 V. M. Bianca, I nuovi modelli familiari, in E. Al Mureden – R.rovatti ( a cura di), Gli assegni di mantenimento tra disciplina legale e intelligenza artificiale, Torino, 2020, 3 e ss. . 47 Ci si riferisce in particolare all’art. 35, 1° co., della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, rubricato: “Condizioni di ricevibilità” stabilisce che: “La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi Due modelli giurisprudenziali in tema di continuità affettiva 1195 Così come il termine ohana significa famiglia in senso ampio (comprendendo tutti i legami stretti e significativi) comportando che nessuno viene abbandonato ma tutti devono ricordarsi gli uni degli altri, così il minore, ha diritto di ricevere amore e mantenere quei rapporti affettivi con coloro che gli hanno teso la mano nel tempo della sua formazione fisica e morale48 . Bibliografia Auletta T., La famiglia rinnovata: problemi e prospettive, in C.M. Bianca – M. Malagoli – Togliatti A.L. Micci, Interventi di sostegno alla genitorialità nelle famiglie ricomposte, Milano, 2005, p. 53 ss. Ballarani G., L’ascolto come diritto soggettivo assoluto del minore”, in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 131 ss. Bellelli A., in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 321 ss. Bianca C.M., Diritto Civile 2.1, Milano, 2017, p. 504 Bianca C.M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2018, p. 59 Bianca C.M., Note per una revisione dell’istituto dell’adozione”, in www.juscivile.it Bianca M., I nuovi modelli familiari, in E. Al Mureden – R.rovatti ( a cura di), Gli assegni di mantenimento tra disciplina legale e intelligenza artificiale, Torino, 2020, 3 e ss. . Bianca M., L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, p. 214-215 Bianca M., La tanto attesa decisione delle Sezioni unite, Ordine pubblico versus superiore interesse del minore ?, in Familia, 2019, p. 383 e ss. Bianca M., Commento all’art. 1, comma 20, in Bianca C.M., (cur.) Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 271 De Luca A. – Caponigro O., in Diritto 24, 2017 Gibran K., Il Profeta, New York, 1923 di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.” 48 V. M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, p. 214-215: “l’espressione “diritto all’amore” è significativa di un percorso culturale e giuridico che, con specifico riferimento ai figli, ha consentito l’ingresso dei sentimenti nel mondo del diritto, elevandoli a valori dell’ordinamento e accogliendo il monito che attenta dottrina predica da tempo, ovvero “l’idea che occorre aver riguardo al bisogno del minore di ricevere quella carica affettiva di cui l’essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione”; si rinvia alle riflessioni di C.M. Bianca, al Convegno tenutosi al Senato: “La posizione giuridica del minore in Italia e in Europa” il 31 marzo 2017, il quale cita le parole di un presidente del Tribunale dei minori: “Nella mia esperienza posso dire che un bambino che vive senza l’amore dei suoi genitori è come una pianta senza acqua”. 1196 The best interest of the child Lenti L., Note critiche in tema di interesse del minore, in Rivista di diritto civile, 1/ 2016, p. 88 Luccioli G., Questioni eticamente sensibili, quali diritti e quali giudici. La maternità surrogata, in www. giurcost.org, Morace Pinelli A., in C.M. Bianca (cur.), Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, p. 314 ss. Velletti M., in M. Bianca (cur.), Filiazione commento al decreto attuativo, Milano, 2014, p. 137 ss. Velletti. M., Interesse del minore e genitorialità”, in www.treccani.it/enciclopedia/interesse-del-minore-e-genitorialità parte ix L’interesse del minore e il diritto alla stabilità territoriale. Il problema del minore migrante The best interest of the child “to be, or not to be” adopted. Intercountry adoptions, intercultural discriminations Mario Ricca Summary: 1. “Being” and the “Best Interests” of the Child: Entification vs. Relationality? – 2. Parent-child Relationship, the Idolatric Iconization of the “Blood Family” and Its Fallacious Cultural Foundations. – 3. Hybridization and the Inconsistencies between Blood Ties and a Universal Commitment to Childhood in Intercountry Adoption. 1. “Being” and the “Best Interests” of the Child: Entification vs. Relationality? An essay on the “best interests” of the child in intercountry adoption should ordinarily be focused on questions such as, “What is to be considered as best interests and how should they be assessed?”, “How do they address the child’s autonomy, identity, right to live with the birth family, need for care and protection in the light of her/his vulnerability, right to health and education, etc.?”, “Are these “best interests” “paramount criteria” in adoptive procedures, or are they rather of primary relevance to be balanced, however, with other factors?” and so on. All the above questions generally emerge from the UN Convention of the Rights of the Child (CRC, 1989), and specifically Articles 31 and 21, as well as the Hague Convention on Intercountry Adoption (HCIA, 1993). I have to warn in advance that I will not attempt to answer these 1 But see also General Comment No. 14 (2013) on the right of the child to have his best interests taken as primary consideration (art. 3, para. 1), which was adopted by the Committee at its sixty-second session (14 January-1 February 2013), where it is stated that the “best interests of the child” deserve “primary consideration” in all actions and decisions concerning her/him and that it comprises a threefold concept including and providing a right, a principle and a rule of procedure. See https://www2.ohchr. org/English/bodies/crc/docs/GC/CRC_C_GC_14_ENG.pdf , specifically p. 2. 1200 The best interest of the child questions in the way that might be expected. This is because in my view most of the queries orbiting around the “best interests of the child” miss the mark in their attempt to ascertain the signification of “best interests” in the absence of any previous investigation into the meaning of the word “child.” In the literature on both domestic and intercountry adoptions the answer to the cornerstone question “Who is the child?” is too often taken for granted – at least from an anthropological perspective. Meanwhile the silent assumptions underlying the various conceptualizations of “the child” are too often fraught with cultural prejudices and paternalistic attitudes. As far as the methodology is concerned, any quest into “best interests” should be hinged on a previous explicit and critical clarification of exactly “who” is the bearer of said interests. On the other hand, it is impossible to aprioristically define the category “child” without considering the experiential and communicative relational network within which each “real” child lives. These relationships include even what is “in-between” along the threads joining the individual child with other subjects in her/his environment. But such “in-betweens”, in turn, equal precisely the “inter – esse,” which etymologically provides the inner signification of the (English) word “interest.” Hence it makes little sense to consider the “child” on one side and her/his interests on the other, as if they were two semantically and experientially divorced conceptual entities. What and who a child is, cannot be detached from her/his “inter-being” (and not only “interplaying”) with her/his relational environment. This is because the “child,” any child, is a subject who is “gushing out,” and in a sense is being conceptually excerpted, from the stream of experiential and communicative relationships that s/he proactively shares with others. In the same vein, not even a child body could be assumed as aprioristically existing with her/his own kind. “Nurture” and “care” are prerequisites of human life. But their meaning would be unthinkable outside inter-subjective relations. Specific biological features, such as the ability to acquire linguistic competence, simply would not exist without the communicative interchange between the child and the adults who care for her/him from the earliest days and certainly for the first four years of life. The “child” can be singled out categorically only by means of an implicit assumption about the existence of all the relationships that gradually weave the phenomenal fabric underlying the entity we experience as, and summarizing call, “child.” From a semiotic To be or not to be adopted 1201 point of view, even individual DNA comprises a sequence of information which would have no consequence if there were no surrounding environment suitable for its development and communication2. Therefore, the “being” of the child encapsulates also her/his “inter-esse” (inter-est), and vice-versa. In other words, the “interesse” (or inter-being) is co-constitutive of the child’s “esse,” or “being”. Consequentially, assessing the “best interests” of the child is another way to “assess,” and some cases determine, “what and who” the child is, or ought to be3. The interpenetration of “being” and “relationality” in the conceptualization of the “children” and their best interests means that “nature” and “culture” should be taken as two sides of the same coin when the well-being of a child is at stake4, “Natural aspects” of the child’s biological make-up, as for example the development of the brain areas related to language, can reach their full development only if the individual is exposed to linguistic stimuli, that is, to cultural phenomena and factors including language. If the developmental conflation of nature and culture is considered comprehensively, it reveals that both the issues “what and who each child is” and “which are her/his best interests” cannot find meaningful resolution without a serious cultural investigation. The cultural environment is part and parcel of the child’s being and well-being. Consequentially, no assumed natural feature can legitimately serve as supporting evidence to reify characteristics that are however imbued with culture. 2 H. Cronin (1991); T. Sebeok (2001). 3 From this point of view, I think that the provision included in para. 6 (a, b, c) of the General Comment No. 14 (2013), in defining the “best interests of the child” as, simultaneously, a substantive right, a fundamental principle and a rule of procedure, neither adds to nor detracts from the issue of the “relational being” of each, and the schemes used to assess “who s/he is” in view of the adoption, and especially the intercountry adoption. This does not mean that the “perception” of the importance of the universe of relationships surrounding the child remains outside the judges” and the social workers” reasoning when they are called upon to ascertain the life conditions of children and the suitability of a specific adoptive path. Nonetheless, the constitutiveness of relationality regarding the “child’s being” is often ignored, or only implicitly considered. But this is not without relevant consequences to the judicial decision. This “side” position assigned to the “relational being” of the child can also be traced in scientific approaches. In this regard, see, for example, two very insightful essays, respectively, by M. Skivenes (2010) and M. Skivenes – L.M. Søvig (2018): both of them have the merit of combining a sociological approach and legal logic in the analysis of the courts’ decision about the best interests of the child without, however, assuming the “child’s relational being” as the orbital axis of the arguments they develop. 4 T. Ingold (1989, 2000). 1202 The best interest of the child If the above conclusions are correct, intercountry adoption could be taken as a testing ground to assess and, even before, provide awareness of the cultural imageries nestled in the ideas and practices of adoption and, most importantly, in the role of parentage. Any decision on the displacement of a child that seeks to assure her/him a family and ensure the protection of her/his best interests must rely upon a comparison of patterns of childhood, parentage, family, and social environment. Such assumptions can be explicit or implicit, but in any case they play a pivotal role in the process that culminates in the declaration of the state of adoptability and the evaluation of the foreign prospective adoptive family. The cultural features of the ideal family and, thereby, the more suitable developmental path for the child are, nonetheless, not universal. The “transferal” of a child from one cultural environment to another is a proactive prophecy on her/his future, who s/he will become and, then, who s/he will be.5 In many cases, the geographical transfer is also a cultural translation between different schemes of parentage and childhood: that is, principally, different patterns of subjectivity. A change in the relational environment of a child unavoidably entails what the child “is to be.” Thus, the assessment of the best interests of a child with regard to adoption encapsulates, in every case, a decision about what/who that child will “be or not be.” The major danger that lies in the processes of decision-making around intercountry adoption is the risk of engendering a cultural unbalancing. This is because intercountry adoption should always be defined, or at least considered, as an “intercultural adoption.” Who and what the adoptable child “is” and “will be” as a result of the adoption should be translated into one another so as to define an intercultural existential pattern functioning as an evaluative standard (without prejudice to the particular exigencies connoting each specific case). The child’s present and future, in other words, should be interculturally 5 See, in this regard, para. 84 of General Comment No. 14 (2013) on the right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration (Art. 3, para. 1) adopted by the Committee on the Rights of the Children: “84. In the best-interests assessment, one has to consider that the capacities of the child will evolve. Decision-makers should therefore consider measures that can be revised or adjusted accordingly, instead of making definitive and irreversible decisions. To do this, they should not only assess the physical, emotional, educational and other needs at the specific moment of the decision, but should also consider the possible scenarios of the child’s development, and analyse them in the short and long term. In this context, decisions should assess continuity and stability of the child’s present and future situation.”. To be or not to be adopted 1203 synthetized and re-conceptualized, each in the light of the other. This translational task should be considered as an indispensable element in the understanding of what the transnationally adoptable child could gain or lose along her/his displacement and, consequently, the cultural/educational commitments/duties of the “destination parents.” Insofar as the child is a relational subject, her/his relationality is to be mirrored in the intersecting relationships s/he has woven, and will develop, with both the birth and the adoptive families, as well as the related socio-cultural environments. As stated above, if the “being” of the child is inherently relational, then negotiating the adoptive process with regard to “who” and “what” s/he is and will be, becomes even more challenging. The reason for such increasing difficulty stems from the need to include the relationships from both the child’s “source and target” cultural environments, or her/his whence and whither, in coming to an understanding of her/his inner relational “essence.” Intercountry adoption compels the legal interpreters and social workers involved in the adoptive process to take into account not only the different imageries tied to parentage and its function, but also the power relations and in many cases the ethnic, or even worse, racial prejudices between the cultures of the child’s place of origin and place of arrival. Just to avoid any misunderstanding, it should be said that the issue of intercultural relationships6 is crucial even when the adoptee is an infant because her/his body appearance and/or skin color will influence her/his social relationships with the environment where s/ he will grow up. The potential conflict between “who” s/he feels on the inside and how others will see her/him will mirror encapsulate the relationships between the “original” and “arrival” cultures and their reifications7. When the adoptee goes to school, it will be enough to have almond-shaped eyes or black skin for her/him to be considered Asian or African by her/his classmates and peers, even if the adoptee never had any contact with her/his birth family’s culture. In such cases, the child and then the boy/girl shall face the relational discrepancies between her/his inner being and the psychosocial features that others will persist in, or prejudicially infer from, her/his bodily aspect. The 6 As for interculturality and intercultural law I refer to my previous works, among which see M. Ricca (2014, 2016, 2016b), and further M. Ricca (2008, 2013). 7 D. Marr (2016, p. 226 ff.), T. Hübinette (2016, p. 221 ff.). See these very insightful essays for further bibliographical references on critical adoption studies focusing on race and/ or racial differences as sources of the psycho-social disease of intercountry adoptees. 1204 The best interest of the child “relational being” of the child will transmute, in this way, into a quest for finding an answer to the vital question “who am I?” The answer, however, will ineluctably also rebound on his/her relationship with the adoptive parents and the meanings conferred upon them, against the foil of the overall social environment where the adopted child’s subjectivity is to develop and unfold. All the above observations lead to the conclusion that the assessment of the “best interests” of the child in intercountry adoption is a multi-factor function in which culture and cultural relationships hold a “key role”. Nonetheless, it is very difficult to find any reference to the constitutive relationality of the child’s “being” in the official comments and in the jurisprudential implementations of Art. 3 of the CRC. A reference text, in this sense, can be found in General Comment No. 14 (2013) by the Committee on the Rights of the Children. Actually, this Comment relies upon an individualistic interpretation of the “child” foreshadowing an underlying “entification” of what it means “to be a child.” In this text, it is possible to come upon, here and there8, occasional referrals to relational aspects, such as the child’s living context, environment and family; even so, all these relational elements or “circumstances” appear to have been taken in consideration merely as surrounding connotations of a pre-determined “entity”: precisely the “child”. The final result is that the relational ends also become reified and essentialized, especially when their consideration falls under the lens of a broader comparison with other environmental/ relational circumstances that are inescapably involved in intercountry adoption. In other words, relationality and its components are treated as attributes, and thereby mere additions, of the entity “child” rather than as constitutive factors reciprocally interacting and giving rise to the mobile point of psycho-phenomenal confluence that we define “a child”. The main consequence of the above almost Aristotelian distinction/ opposition between “substance” and “accidents” is that the child’s social context, cultural habits, family framework, religious inclinations, etc., will be ossified in a sort of “thinghood” and as such grafted onto the assessment of her/his “best interests to be adopted.” In so doing, however, the birth and arrival environments will each be put against one another without any possibility to reciprocally translate them so as to achieve a meaningful synthesis serving as evaluative ground for the child’s development. 8 See General Comment No. 14 (2013), especially para. 48, 55-57. To be or not to be adopted 1205 Adoption is an ongoing translational process that can last for the entire life of an individual. Intercountry adoption, particularly, comprises a geographical translation, which is accompanied and followed by a semantic one. But if the adoptee as well as the other actors embroiled in this translational challenge (parents, experts, teachers, peers, social contexts, etc.) assume environmental and psycho-cultural factors at play as reified entities rather than as relational threads and clues to the child’s personal development, no genuine translation can take place. On the contrary, silent prejudicial assumptions, stereotyping schemes of judgment, and asymmetrical gazes on Otherness will work as a rudder in steering the identification and selection of the elements to be used as axes for the translation that will occur. The final result could be, then, that the adoptee will remain ensnared in a tangle of dialectical oppositions that will be heightened and stiffened rather than dissolved and creatively overcome. Cultural and religious features – just to consider two relevant and divisive factors – are often assumed as ossified qualities affecting the “individual”, almost as if they were psycho-behavioral equipment. They are not narratively discomposed in their semiotic elements and thus subjected to a creative process of metaphorical transposition as functional tools for the construction of a specific child’s personality9. Idiomatic evidence of this reifying and dialectical approach can be seen, for example, in Art. 9, para. 4 of the CRC and No. 56 of the General Comment. The last provision specifically states: 56. Regarding religious and cultural identity, for example, when considering a foster home or placement for a child, due regard shall be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing and to the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background (art. 20, para. 3), and the decision-maker must take into consideration this specific context when assessing and determining the child’s best interests. The same applies in cases of adoption, separation from or divorce of parents. Due consideration of the child’s best interests implies that children have access to the culture (and language, if possible) of their country and family of origin, and the opportunity to access information about their biological family, in accordance with the legal and professional regulations of the given country (see art. 9, para. 4). 9 As for the methodology of intercultural translation I must refer, here, to my previous works. See M. Ricca (2008, 2013, 2014, 2016, 2016b). 1206 The best interest of the child In the above text, cultural habits, religious beliefs, and behavioral attitudes are taken as if they were material relics to be nestled, in one way or another, in the arrival family and social context of the adoptee. The possibility of a creative intercultural reinvention seems to be aprioristically out of reach. But this sort of intercultural blindness is only one expression, with specific regard to the adoptive context, of a general inability to conceive of an intercultural approach as a recipe to attune daily issues on a planetary scale within the present human experience. Translational problems merely reveal how individuals involved in intercountry adoption processes are among the countless “impact points” suffering the unpleasant consequences of a lack of intercultural awareness and skillfulness in contemporary global and state political practice. Many intercountry adoptive parents believe it to be their duty to allow their child to learn the customs, language, religion, artifacts, music, food, etc., from her/his country of origin. They presume that encouraging such retrospective cultural contacts is a way to respect their child’s identity. However, in so doing, the other culture, namely their child’s allegedly “original” culture, is conceptualized as something alien or distant, and represented by means of the mere morphological appearances of material objects or behavioral dispositions. This kind of reification leaves a kind of schism between the past and the present of the adopted individual, marginalizing her/his cultural Otherness in an imaginary and geographical elsewhere which is tragically doomed to be left in a faraway place and, at the same time, to survive underground in the child’s “being”. It is extremely difficult for intercountry adoptive parents to draw out from themselves their own cultural habits and relativize them within a symmetrical creative interchange with the adoptee. On the contrary, the parents are prone, at least on average, to recast the adopted child into a kind of surrogate of the child they never had. Paradoxically, this strategy of assimilation and often unaware silencing of the child’s Otherness is lived and acted out as a projection of the adoptive parents’ love. From the first days in the new family, the adopted child is somehow psycho-psychically re-invented, as if s/he underwent a re-birth or a transfiguration10. Nonetheless, bodily appearances cannot be erased or dissimulated, especially in the eyes of those outside the adoptive 10 See J.M. Schachter (1994, p. 2 ff.), S. Howell (2006) icastically defines this process of assimilation and/or re-naturalization as the “kinning of foreigners”. More specifically, she observes that the child, at least in the eyes of her/his adoptive parents, goes through a sort of “transubstantiation”, which radically renews her/his To be or not to be adopted 1207 family circle. These “outsiders” serve as a reminder of the child’s cultural Otherness. Despite the parents freely undertaken choice to adopt from another country, Otherness will remain, however, in an ambiguous condition: in most cases it will be overtly included but simultaneously distanced from the inter-subjective interplay between parents and the adoptee. If we consider the relational gist of all children, this ambiguity will lurk inside the adopted subject, ready to break up her/ his personal identity at the first conflict with the social environment and its impact on the family life. Neither the adoptee’s past nor the parents’ cultural habits can be reconciled through unilateral efforts or the use of relational formulas made of reified folkloristic scraps from the alleged cultural environment of the adoptee. Things and practices have little if anything to do with the skin or bodily appearance. Their relatedness is, instead, a cultural construction. Including them inside the familiar spaces or the social surroundings of the adopted child (for example, allowing her/him to attend a school to study her/ his birth parents’ language, or arranging interactions with other people from her/his country of origin) will only serve to put up semantic barriers and hurdles between the parents and the adoptee, as well as inside the multiple folds of her/his inner “landscape.” To avoid these discrepancies and relational syncopations the vital game called “family” is to be psycho-culturally played by its members on equal terms. But for that to be the case, the semantic rules of familial coexistence should be renewed and rewritten symmetrically. This implies that the adoptive parents should also undertake a psycho-cultural transformation so as to build an intercultural family environment. Psycho-cultural equality and symmetry are achievable only when the lexicon and the ground for coexistence is the outcome of a process of co-construction. This is true for both the society at large and the family context. Otherwise, coexistence will end up being defined by the sad adage that “equal individuals are born not made”. In intercultural encounters, if the lexicon, the living context of equality, and the existential grammar in use remain one-sided, the result may never be more than a dissimulated but nevertheless radical imbalance. The only way to share cultural “substance”. Of course, this is nothing but an illusion. See also B. Yngvesson (2009, p. 105 ff.). 1208 The best interest of the child differences is the reciprocal reinvention of a common cultural lexicon, which means the reactivation of the attitude to produce culture inclusive to, at least potentially, all human beings. The last considerations, furthermore, are to be applied also to the child adopted in their first months of life. The reason is that the absence of a co-construed intercultural awareness and understanding between the adoptee and her/his parents would make the family relationships vulnerable to the social, and often prejudicial, representation of her/his inner cultural and ethnic diversity. Without any intercultural equipment, pigeon-holing social representations and the ensuing psychical pressure would impinge on the relational fabric of the family members, confusing and interfering with their “identity icons”. The intercountry adoptee would become, in this way, an interface through which the society at large would hurl all its flaws affecting the coexistence among cultural and ethnic differences, to then be replicated inside the family structure. But this would be nothing but a consequence of a psycho-social condition marked by a widespread deficiency of intercultural awareness and abilities. The family members’ failure to elaborate their reciprocal ethnic and cultural differences in an intercultural way should be considered, in turn, a result of the absence in the surrounding social environment of a sufficient degree of education to interculture. What is at work here is a sort of malignant and infectious circularity. The psycho-social problems experienced by family members constitute the flip side of what is increasingly being proved as an almost global political unreadiness to combine democracy and human rights, on one side, and cultural/ethnic differences, on the other. The price of this intercultural unreadiness, and the prejudices, more or less silently nurturing it, is paid primarily by intercountry adoptees. Among all the other categories of victims of discrimination, only the child adopted from abroad experiences the paradoxical condition of a double-natured being. If the adopting parents tend to dissimulate her/ his diversity through a process of fictitious naturalization, the surrounding social actors are often prone to undertake a de-normalization of her/ his belonging to the adoptive family because of his bodily features and the cultural origins that they epitomize and recount. From this perspective, I think it is not excessive to say that the intercountry adoptee’s psychosocial difficulties can be seen as a litmus test of the tragic inadequacy of contemporary humankind and its civilizations to manage the coexistence of cultural differences and in a globalized world. To be or not to be adopted 1209 Actually, the relationality inherent in the child is accompanied and influenced by the relationality between the family and the adoptee, on one side, and the multifaceted interactions of both the family and the adoptee with their social context, on the other. These circuits of relationality interpenetrate one another so as to engender a relational continuum from which the “real” shape of the child’s subjectivity and its problems emerge. The more an intercultural approach to these relations is thwarted or ignored, the more the child’s development will run the risk of being beset by obstacles crammed with ethno-cultural prejudices. But this observation conveys the further inference that the assessment of the best interests of the child, when attuned to a multicultural and transnational scale, is basically impossible to accomplish in the absence of a well-considered intercultural lexicon. As alluded previously, it should be emphasized that the ethno-cultural difficulties adoptees face are, in turn, consequences of the uneven and discriminatory situation extant at a global level in the relationships between different countries and cultures. In a sense, these kinds of imbalances skulk at the sources of many intercountry adoptions insofar as they are fueled by conflicts, famine, poverty, social unrest, etc. Intercountry adoptions are often represented as acts of generosity on behalf of poor children otherwise condemned to tragic lives of underdevelopment, or worse even death. This “altruism”, however, may conceal a poisonous attitude of othering birth families and their socio-cultural environments. The incompatibility of intercountry adoption to be qualified as a genuinely altruistic act is proved by the contrastive relation of belonging that the adopted child faces as a result of the cultural reification of her/his bodily appearance. The double belonging s/he experiences because of her/his bodily features implies a simultaneous non-belonging, or alienness to both the adoptive and birth families and the related world, seen as oppositional. The adopted child is, at the same time, assimilated and distanced precisely because her/his own world of origin is considered by the adopting family as something remote, non-translatable and, therefore, destined to be confined to an “elsewhere” 11. On the other hand, the birth family or the socio-political context of origin see the adoptive family’s world as hopelessly distant, at once unreachably better and irremediably alien. 11 A. Anagnost (2000, p. 402 ff.). B. Yngvesson (2010, p. 545 ff., p. 566 ff.); F. Juffer – W. Tieman (2016, p. 212 ff.; p. 220 ff.). 1210 The best interest of the child As long as the allegedly altruistic adoption includes this othering effect, it will deny the spatial-semantic continuity embodied by the child and her/his best interests. The child’s self-perception as something sundered into two incommensurable and untranslatable halves is nothing but the direct result of the cultural and political rift between her/his two worlds of (presumed) belonging. But the child’s need to be adopted, according to her/his best interests, is in most cases the consequence of a blindness to the ethical, political and spatial continuum that bind all the inhabitants of the planetary human landscape. In this sense, the HCIA (1993) as well as the jurisprudence of the ECHR12 pave the way to the recognition of that continuum when they give priority to the right of the child to grow up within her/his birth family and qualify intercountry adoption as only a secondary option to protect her/his best interests. Through these statements, the supranational authorities and institutions seem to urge a global commitment to support all families compelled to find alternative homes for their children due to socio-economic hardship. The other side of this tendency is the contrast to the phenomenon of child trafficking and the attempt to deter the increasing economic interests escalating around intercountry adoption13. The outcomes of the HCIA14 and ECHR’s statements have been, however, ambivalent. In order to comply with these international and supranational guidelines, the wealthiest countries in the world – which inter alia host almost all intercountry adoptions – would need to see the socio-economic situations of the prospective adoptees” birth families as a kind of shared responsibility. But this would imply a socio-cultural and geo-political imagery that is utterly different from the ethno-national profile that currently dominates the global scene. Only when the “best interests” of the children in their countries and family of birth is universally considered as a shared and ubiquitous problem 12 … based on Art. 8 of the European Convention on Human Rights on the “Right to respect for private and family life”. See M. Skivenes – L.M. Søvig (2016), but also, as for the national implementation of the CRC and the Hague Convention, M. Henaghan (2016, p. 81 ff.). Moreover, with regard to the general judicial implementation of the child’s rights, J. Eekelaard (2016, p. 100 ff.). 13 On the child trafficking orbiting around intercountry adoptions see the essays included in the collection edited by D. Marr and K.S. Rotabi (2016). See, moreover, B.D. Mezmur (2010), D.M. Smolin (2010), and, for an overall view, K.S. Rotabi – N.F. Bromfield (2017). 14 The Hague Convention on the Protection of Children and Co-operation in Respect of Intercountry Adoption (1993). To be or not to be adopted 1211 for all human beings will there be room for a genuine form of transnational altruism. Of course, such a level of global ethical responsiveness to children’s needs would require the overcoming of all racial, ethnic, religious, and cultural prejudices as well as political-economic discriminations, which would also involve the development of an intercultural global responsiveness. Only in a world where the socio-economic problems of Others are deemed to be part of the political task of each country could the best interests of the child, if correctly understood according to their relational core, be effectively and transparently protected. By contrast, if geographical, cultural and religious differences continue to be seen as signs of an “alien Otherness”, liable to be disregarded, belittled or even despised, then the best interest of the children living in the poorest or least developed social environments will be implicitly impossible to genuinely pursue. I think that the children in need of protection and support all over the world embody in themselves a function much like that of a semantic-geographical pantograph, capable of re-drawing the relations of remoteness and proximity among the different regions and cultures distributed on the Earth. Their existential relationality makes intelligible the semantic-spatial continuity and interpenetration extant among the different parts of the world and the events taking place in each of them. Giving in to the temptation to deny this phenomenal and semantic continuity through the stiffening of categorical, racial, geographical barriers and boundaries culminate in a lack of understanding of the best interests of all the children living on our planet. The best evidence of the just outlined eventuality is the transformation of the signification and use of intercountry adoptions, which can end up producing a form of commoditization of the prospective transnationally adopted child. The children of the poorest underdeveloped countries become “goods”, objects of longing for couples living in the richest countries of the world. Despite its generous or altruistic profile, intercountry adoption reveals itself as the final act of a complete disregard for the problems of suffering populations, in several cases caused by the exploitative politics imposed by the most powerful countries at a global level. In different and more corrosive words, it should be said that the “intercountry adopting countries” first create poverty, leaving the most fragile underdeveloped ethno-social areas to destitution, and then camouflage as altruistic acts the adoptive appropriation of 1212 The best interest of the child their children, perhaps through commoditizing proposals of economic support on behalf of the desperate families or communities unable to care for their offspring. In these cases, rather than reduce the distances among cultures in the name of the best interests of children, intercountry adoption instead increases the intensity of cultural othering. The rhetoric of the “better life” assured to poor and disadvantaged children through intercountry adoption is often the triggering factor for their abandonment by their birth parents, who typically give them away because of the impossibility of providing for their health and education. The declaration of the state of adoptability is usually the final step of a long process punctuated by intercultural and transnational imbalance, the last and worst effects of which fall on the weakest members of poorest societies: precisely women and children. Deplorably, the above scenario is everything but an abstract fantasy. Among the ambiguous consequences of the HCIA and its implementation by many national states, there is undoubtedly an effective impact to child trafficking but also a dramatic decrease in intercountry adoptions15. Nevertheless, it would be a mistake to consider the commoditization of prospective adopted children as something strictly associated with child trafficking16. Such phenomena are instead an overall consequence of the intercultural blindness and the ensuing othering attitude towards different cultural and geographical contexts17. The child is commoditized primarily because the societies hosting her/his prospective adopting parents persist in perceiving and regarding her/ his socio-cultural environment as something other, discontinuous and remote from themselves. As mentioned previously, this perception is also the reason for which the process aimed to include the child in the adoptive family is affected by a dramatic lack of intercultural awareness and preparedness. Actually, there are no translational efforts being made between the difficult conditions faced by many families in the world, which result in the death of parents or in the forced abandonment of children, and the standard of life enjoyed by the prospective adopting families in the wealthy countries of the world. Those difficulties remain “alien” to the wealthy families exactly as the others” 15 As for the intercountry adoption trends see P. Selman (2009, 2015, 2016). 16 See K. Hermann (2010), B.D. Mezmur (2010), D.M. Smolin (2010), N.H. Goodno (2015). 17 M. Strathern (1997, p. 302), B. Yngvesson (2002, p. 228 ff.), S. Dorow (2006, p. 205 ff., p. 262 ff.). To be or not to be adopted 1213 culture does. Even worse, the best interests of the child are “gauged” on the life conditions that the richer countries” families are typically able to assure. Arriving, then, to this (not only argumentative) point, as in a circle, the perfect crime appears to be definitively executed. Thereafter, cultural prejudice can continue undisturbed to tower over any anti-discriminatory imperative, while the pattern of familial relationships practiced in the dominating countries on the global scene – generally western – assumes a sort of ontological significance. Imbalance dominates the scene so entirely that the Western family pattern is elevated to the status of an anthropological universal to be used as a yardstick against which to measure all other differing familial experiences. What is Other with respect to this iconized standard is consequently objectivized, distanced and divested of any chance of translation. But denying translation equals, and hides in itself, the negation of any relationship. Divested of her/his inner relational being, the child becomes thereby a neutral unity, an entity subject to quantitative and/or functional evaluation, one whose well-being can miraculously match the wealthy country families” desire for children. The final result is, not surprisingly, the myth of the naturalization of the adoptee and her/his transformation into a sort of surrogate of a “virtual” genetic child18. Thereby, the dramatic corollary of the theorem of the assimilating adoptive relationship with the new parents and their culture is that the child’s double cultural identity will be destined to remain frozen in their reciprocal unrelatedness. They will be understood and used only as referrals (or referents) of a double belonging: on one side, that related to the adoptive family and social context; on the other, that recounted by the “alien” bodily features of the adoptee, which are reified as markers of her/his indelible ties with the birth cultural environment. These different belongings will reside as divorced entities inside the relational circuit that is the child’s “being”: two subjects in only one body. This psychologically tragic outcome is rooted, however, in the same pre-conditions that make possible the commoditization of the child within the intercountry adoptive process. Were the referents of double belonging not separated and instead interculturally translated, the neutralization-objectification of the child could not work. More specifically, what could not take place is the assumption of an allegedly universal 18 See, in this sense, W. Duncan (1993, p. 50 ff.), J.M. Schachther (1994, p. 22 ff.), B. Yngvesson (2009, p. 105-115). 1214 The best interest of the child and objective measure of well-being or health as a yardstick – a sort of item of exchange – to combine and legitimize the child’s needs and the prospective adoptive parents” desire to have a child: two elements that seem to be alternatively and mutually treated as the two wings of a supply-demand game played on an international scale. But just as in the case of financial exchange, only “goods” or “entities” can be equivocated, items with meanings that are definitively fixed and categorically unrelated19. On the contrary, any genuine translation and/or metaphorical re-categorization would prevent the use of an objective measure of evaluation. This means that any translation anchored to an exchange pattern can translate only quantities, and never relations or qualitative aspects20. The non-quantifiable aspects and connotations, on the contrary, will remain overshadowed by the dazzling evidence of the alleged objectivity or objective features comprising the neutralized matter of exchange: in this case, the child. If the above considerations should appear too emphatic or exaggerated, it could be useful to analyze the tendency of many courts in the “child-providing-countries” to bio-medicalize the reasons legitimizing the declaration of legal orphan status so as to construe a sort of empirical reference for their decisions21. The assessment of a medical prerequisite for intercountry adoption functions as a sort of final counter-check of the “inaptitude” of the birth family (or the fostering institution) to provide for the child’s needs. The overriding health reasons assure the relativization, if not also the silencing, of all the relational and cultural determinants of the child’s disadvantaged condition and any possibility to give room to an interculturally-based understanding of the child’s best interests and, even more importantly, her/his being. In this regard, it should be highlighted that the criticism about the “best interests of the child” standard, because of its semantic inde19 Very instructive, in this sense, is a case reported by B. Yngvesson (2010, p. 2284) regarding a girl adopted in Sweden. After many years, she found her birth mother in Korea but decided to carry on the relationship with her recovered mother by providing monetary support. This choice was justified by the girl with the possibility to discharge her duties of solidarity with the poor and sick mother without calling into question the identity she construed inside her adoptive family and sociocultural context. Needless to say, this strategy was only an illusory solution that left two divorced and defective cultural subjectivities within only one person. 20 B. Yngvesson (2010, p. 995 ff.) and there for further bibliographical references. 21 In this sense, see the Peruvian experience: J.B. Leinaweaver (2009, p. 190). More broadly, however, regarding the medical status of the adoptees in intercountry adoption see L.C. Miller (2012, p. 187 ff.). To be or not to be adopted 1215 terminacy, should also be addressed to all the situations in which the (apparent) objectivity of its referents hides and/or dissimulates a complete ignorance or disregard for the relational profiles of the child’s condition22. Consequently, the commoditization of her/his “being” and best interests, unfortunately, go almost unnoticed, even if it is one of the primary sources of the discriminatory attitude nestled in the intercountry adoption process. Actually, the drift towards commoditization silently slips into the institutional decisions on adoption even at the crossroads between the opposing interpretations of the child’s best interests as deserving “paramount” or, instead, “primary” consideration. In my view, the leaning toward one rather another interpretation is nothing but a bogus choice stemming from an absurd contraposition previously and artificially established. On closer examination, it is a mere byproduct of the reifying assumptions that stiffen the categorization of the elements (subjects, rights, needs, etc.) put under the dome of what is passed off, in turn, as “paramount” or “primary” despite their inherent relationality. In the same vein, what is to be underscored here is that child trafficking is to be considered an epiphenomenon, although flatly deplorable, of the child’s cultural commoditization. No one would pay for a “baby” if s/he were not covered by a kind of thinghood23. But this transmutation of the child is directly implied by the eradication from her/his relational constituents and the cultural/spatial interplay between both the countries involved in the adoptive process. Actually, blindness to the child’s “relational being” is the main cause of the already emphasized psycho-social problems that intercountry adoptees undergo during their development making them “alien individuals” (in turn, African, Latinos, Asiatic, etc.) precisely because they cannot hide their condition of adoption. Of course, there is no coincidence between one’s own bodily features and the condition of being discriminated against. Abstractly, no one is ontologically “alien” with respect to anyone else; it is only their encounter or coexistence which makes the quest for equality a problem. The creeping racialized difference-issue seems to burst forth 22 As for the opportunity to adopt an ecological approach to the development of the adopted child see A.L. Baden – J.L. Gibbons – S.L. Wilson – H. MaGinnis (2015, p. 104), N.E. Dowd (2016, p. 114 ff.). 23 On the commoditization of children in the intercountry adoptive process see B. Yngvesson (2010, p. 995; p. 2706 ff.; p. 2797 ff.), and there, too, for further bibliographical references on this topic. 1216 The best interest of the child at the exact moment that the adoptee with exotic bodily features enters another ethno-social context. There is, however, also an underlying presence at work, a cultural background that triggers the pathogenesis of “alienness:” namely, the paradigm of ethno-nationality. By saturating the way in which humans still experience global political geography today, it dramatically hinders the achievement of the intercultural awareness necessary for the peoples of the world to realize the semantic-spatial (or “chorological” – as I otherwise call it)24 interpenetration that holds together, in many respects, the destinies of all their children. 2. Parent-child Relationship, the Idolatric Iconization of the “Blood Family” and Its Fallacious Cultural Foundations Given the arguments put forward so far, the reader might be inclined to assume that I hold a generic opposition to intercountry adoption. As I will try to argue, however, this is not at all my position. Articulating a wide-ranging complaint about the creeping commoditization of children underlying the current status of intercountry adoptive processes does not in any way entail a radical opposition to adoption as pattern of filiation. My view is exactly the opposite. In deploying the considerations that led me to this legal-anthropological tenet, I would like to start from a historical-empirical fact. As is well known, the implementation of the HCIA by the majority of countries has been followed by a huge decrease in the number of intercountry adoptions. The institutionalization and management of adoptive practices, the proliferation of prerequisites and controls stated by this Convention, the national enforcements designed to assure transparency, the absence of any kind of bribery or exploitation to adoptive proceedings, and finally the instruments developed to directly combat child trafficking, all these factors taken together seem to have reduced the “illness” – namely, intercountry adoption – to ashes rather than healing it. What seems really odd is that although child trafficking seems to have recorded a real setback, the drop in illegal practices orbiting around intercountry adoption has not increased the rates of adoptive practices. Paradoxically, instead, the overall outcome of this struggle against the illicit sourcing of children and other exploitative practices has been 24 See M. Ricca (2016, 2017). To be or not to be adopted 1217 an increasing withdrawal from intercountry adoptions, or even more meaningful, an explicit opposition by some national states and the related legislative statements. How can the above data be explained if the starting point of any analysis is to be the prospective adopting parents” altruistic and dispassionate commitment to the well-being of the underprivileged and abandoned children of the world? Could it be the case that there is something wrong in this preliminary teleological assumption? Is it possible, conversely, that the strategies designed to fight child trafficking and other exploitative practices have also inhibited the ontological commoditization of children and their best interests silently encapsulated in intercountry adoption? Could it be that the HCIA provisions and procedural steps have “simply” obstructed the exchange logic underpinning the “miraculous” harmony between the infertility of wealthy developed-nation couples and the neediness of families from the “child-rich” areas of the world? When called to weigh the effects of the HCIA, scholars have developed different assessments about its scope and efficaciousness25. Some have focused on its quantitative effects, and specifically the decrease of intercountry adoption, casting such an outcome in negative terms, that is, as a lost chance to rescue many children in urgent need of familial support. The cornerstone of this approach is that entrusting children to fostering institutions has proven over time to be the worst solution for their psychological and even physical development. In no corner of the earth has the orphanage been found to be the best place to grow up. From this perspective, therefore, if the danger of illicit sourcing or exploitative practices is the price that must be paid for a successful intercountry adoption practice, then it should be accepted as the lesser of two evils. The need for, and the right to, a family environment constitutes, according to this view, the essential core of the best interests of the child and is a prerequisite existing prior to all other possible forms of this evaluative standard26. Both scholars and national legislation sometimes recognize the right to family of abandoned children as a direct inference from Articles 7 and 20 of the CRC. However, it has also been argued, in strictly legal 25 See, as a paradigmatic example, the dispute between Elizabeth Bartholet and David Smolin. A dialogue between their views can be found in E. Bartholet – D.M. Smolin, (2016, p. 233-251). But see also E. Bartholet (2015) and D.M. Smolin (2005, 2007, 2015). 26 See E. Bartholet (2016). 1218 The best interest of the child terms, that these two provisions do not explicitly configure the child’s right to a family but rather the right to receive parental care from her/ his own genetic parents or, when it is impossible, to be supported by the state through alternative solutions “also including” adoption by another family27. In any case, the sociological critique of the effects of the HCIA is that there are scores of families around the world desperate to adopt a child and that the obstacles imposed by the convention condemn hundreds if not thousands of children to languish in orphanages or other detrimental life contexts. By contrast, other voices have hailed the HCIA and its implementation by states as the end of a sort of planetary plague, more explicitly the final chapter of an endless chain of acts of exploitation, corruption, ethnocentric dominance and child trafficking, all together culminating in a systematic disregard for the child’s right to live in her/his own birth family and socio-cultural environment28. In short, these scholars maintain that intercountry adoption surreptitiously transformed the social conditions of underdeveloped countries and their families into a kind of anthropological and ethical guilt, the sanction of which is the loss and the displacement of their children to satisfy the yearning for parentage of the wealthiest countries” couples. I consider the HCIA a necessary set of legal tools to combat exploitative interests surrounding intercountry adoption. Still, both sides of the above contrasting opinions are by turns reasonable and defective. It is so, I argue, because both of them remain ensnared in a sort of mythologizing of the family, which is subsequently grafted onto an underlying cultural biogenetic preconception about what the adoptive family is, or ought to be. If we consider the idea advocated by HCIA critics29 that the child has an absolute and essential right to a family unit, it is very difficult not to see in the backdrop of such an emphatic assumption the transposition of the genetic family pattern, together with its idolatric iconization30, onto the adoptive family. The conviction silently at work in the claim for the child’s absolute right to a family is that the “natural” place for her/him to grow up and develop is the family “ecosystem.” On the other hand, this is in line with the 27 See N. Cantwell (2011, p. 13). 28 D.M. Smolin (2005, 2007, 2010, 2015, 2016). 29 E. Bartholet (2012). 30 As for the notion of idolatric iconization see M. Ricca (2018). To be or not to be adopted 1219 adoptive parent’s tendency to “naturalize” the adopted child, treating her/him as a surrogate of their “missing” genetic child. The main problem with such assumptions is that they are implicitly based on a specific relationship of belonging. They imply that every child should belong to a family, and this is the other side of the child’s right to a family. Unfortunately, this other side could reveal itself as a dark side. The question could also be put as follows: why would two outsiders to the child’s birth family environment be committed to rear and educate her/him? And then, what makes an alien family unit equivalent to the child’s birth family? And why couldn’t a single individual or even an extended group of people be likewise suited to accomplish the same function? I suppose there is no other answer to these questions than the underground cultural/ideological assumption of the traditional genetic family (namely, one father, one mother and one or more children) as a normative paradigm. The adoptive family, therefore, is almost unconsciously treated as the substitute of the traditional genetic family or what it should have been, but was not. However this is a mental icon that fuels, at the same time, many of the problems related to the relationships between adoptive parents and their children of different ethnic or racial origins –not to mention the prerequisites for the declaration of the state of adoptability with regard to the children bereft of their genetic parents but included in extended family groups. The absoluteness with which the child’s bright to a family is presented conjures up an almost idolatric attitude toward “blood ties” taken as the source of an ethical linkage between parents and their offspring31. The adoptive family must therefore necessarily mimic those blood ties if it is to be the secure source of affective stability and care for the child, and consequently the “natural receptacle” for the child’s right to all that a (natural) family can provide. In this way, the transmutation of the adopted child into an (almost) natural one is molded and legitimized, cementing all the mistakes and fallacies ensuing from the adopting parents’ assimilatory conviction that the ethno-racial difference of the adopted child can be transfigured by means of their love. On the opposite side are the supporters of the HCIA’s hindrances to the spread of intercountry adoption, who consider it to be the root of all evil, responsible for aggravating the conditions of the abandoned or disadvantaged children living in the poorest countries. In 31 C. Legrand (2009, p. 246 ff.). 1220 The best interest of the child their view, the mere possibility of intercountry adoption as a kind of “escape hatch” works as a negative factor deterring the enactment at both national and supranational levels of efficient strategies to support the families and institutions of the children’s birth context. The consequence is – in their opinion – the frustration of the possibility for these children to remain in their original cultural and social environment and their transformation into “human objects” destined to be displaced in the name of an ethnocentric interpretation of human rights and children’s best interests. From another angle, these scholars think that there is no legal tool efficacious enough to utterly uproot the danger of child trafficking or, at least, an exploitative practice by institutional agencies involved in intercountry adoption procedures. All the above concerns can, of course, be fully validated. It is to be recognized, moreover, that they echo Art. 20.3 of the CRC, which states that “when considering solutions [to the possibility that a child is temporarily or permanently deprived of his or her family environment], due regard shall be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing and to the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background.”. Nonetheless it should also be noted that no critical foundation is provided to demonstrate the desirability that the manifold possible solutions designed to help abandoned children assure ethnic, religious, cultural and linguistic continuity with their background of origin. Actually, behind the self-evidence that the CRC assumes by virtue of its legal authority, another reifying (and dangerous) double assumption seems to lie. I refer to the two-faced idea that a) all human beings, and thereby also children, belong to a culture, which is in turn intended as something past, already determined and self-bounded; and b) the birth family is the privileged place where the transmission of this culture can be assured. Against these implicit suppositions, I first argue that cultures are means for the development of individuals as well as groups, and therefore no one belongs to a culture but rather cultures belong to human beings. Furthermore, I would contest that the birth family (meaning “blood ties”) is always the best equipped to transmit cultural knowledge, and most importantly, is endowed with the creative ability to produce culture, which is the only reliable gauge of a genuine flourishing of human potentialities. The binomial “cultural safeguard/birth family” seems to embody the essentializing culturalism affecting the multicultural approach, and strengthens, rather than relativizes, the fallacious connection between blood ties and the cultural attitudes of individuals. To be or not to be adopted 1221 Actually, a misoneistic reading of culture is an idiomatic, even if dissimulated, hallmark of multiculturalism32. Initially it was due to the need to resist and dismantle the assimilationist inflections of anthropological and legal universalism which, under the dome of a false equality, ended up legitimizing the annihilation of minority cultures. Nonetheless, such an approach brought– despite the several contemporary attempts to deny it– and is still producing, as an epiphenomenon, a frozen image of cultural belonging and its interpretation in a normative/legal sense. Needless to say, this approach is detrimental to a proactive use of cultural competence and the creative interpretation of one’s own culture by individuals as well as groups. The main argument against an open and fluid understanding of cultural belonging is that without precise semantic boundaries, the assimilationist influence of the dominant groups and most powerful political subjects would have an easy time dissimulating a complete disregard for the rights of cultural minorities. There are more than some kernels of truth in this concern. On the other hand, however, ossifying our conception of what “culture” is just to forestall dominant groups and nations has, over time, proven to be a remedy that is worse than the disease. Not only does such a strategy freeze cultural creativity, giving relevance to culture only for what it has already been rather than (also) for what it can become, but it winds up indirectly legitimizing the mystifying assimilationist tendencies inherent in all phenomena of cultural and political dominance as naturally unavoidable. Although this can appear to be a paradox, in practice it is far from it. The transformation of Others (or the weakest cultural subjects) into museumified waxed dummies in the hope, and sometimes on the pretext, of saving them from the engulfing greed of dominant groups dangerously conceals a sneaky self-absolution. Actually, suppressing cultural creativity exacerbates problems, rather than commuting in a source of reciprocal understanding with regard to their causes and real antidotes. The idea that living with one’s own birth family is always the best solution because “blood relationships” cement the maintenance of cultural continuity, 32 As regards the dialectics between multiculturalism and interculturality, in a huge literature, see most recently N. Meer – T.Modood – R.Zapata-Barrero (2016). My approach to intercultural law and, more generally, to interculturality is, however, very distant from the “interculturalism” discussed in the above work, as well as in the majority of texts related to this topic. For an elaboration of my position, among other works, I refer to M. Ricca (2014, 2016, 2016b); and, further, M. Ricca (2008, 2013). 1222 The best interest of the child taken as an absolute value, is a bad byproduct of the world’s intercultural deficiency rather than a medicine against its swarming negative consequences. I shall return to this topic below, but first there are some other preliminary issues to address. The idolatric iconization of birth family and blood ties has to do, inter alia, with the obsession with descent and its ideological iniquitous degenerations. The conviction that the “blood family” is inherently better is only a corollary of the assumption that “blood” is a bio-natural source of ethical value. Unfortunately, “blood” is also the imaginative motor that triggers racism, ethno-nationalism, ethno-religious ties and boundaries, ethnocentric culturalism, the psycho-social obsession with having genetic descendants, the representation of family or familiar groups as tribes or pseudo-tribes based on blood-duties which cannot be transgressed, and other “well-springs” of hatred and violence. The list of the dramatic implications of the “blood equals value” thesis could go on and on. In any case, one of its features is the assumption of the blood family as the yardstick against which it would be exclusively possible to measure the legitimacy of adoptive parentage. Of course, this is not a universal a priori. Anthropological research has provided a great deal of data that confutes that genetic ties are everywhere in the world the cornerstone of familial relationships and parentage33. If the critics of the HCIA get trapped, despite their divergent opinions, in the stereotype of blood family and the ensuing view of adoption as “lesser”, this is because all the international and western legal sources rely, with a sort of anthropological absoluteness, on a paradigm of family influenced by the monotheistic religious traditions of the world: first and foremost, the Christian one. Western tradition has undoubtedly left a deep impression on the cultural background underlying the international rules on the protection of children’s rights and intercountry adoption. Despite the referrals to extended families, traceable even in international legal texts, conceptions, guidelines, etc., the anthropological pattern of two parents and their genetic offspring is regarded as the ideal landmark of all these provisions. The icon of the sacred family doubtless constitutes the imaginative bedrock on which the defense of the so-called traditional 33 See S. Howell (2006, 2009, p. 149 ff.; spec. p. 162). C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 158), and there for further bibliographical references. For a comparative analysis, see also the essays included in F. Bowie (2004). To be or not to be adopted 1223 family finds its foundations and from which it moves against LGBTI families and adoptions34. Against this view, I will argue that the Christian sacred family – namely, Joseph, Mary, and Jesus – underwent a fallacious idolatrizing misrepresentation. Conversely, I think that an unbiased reading of the Gospels could subvert the primacy of bio-genetic or blood parentage with respect to adoption, giving a paradigmatic ethical signification to adoptive affective links. According to some scholars, the prototypical value associated with biological parentage is a consequence of a presumptive “Euro-American doctrine of genealogical unity of mankind” 35. By contrast, my opinion is that the idolatrizing genetic interpretation of the “Sacred Family” is very far from the Gospel’s message that teleologically and anthropologically looms behind it. In this regard, consider, firstly, the “Immaculate Conception”. It is, in a sense, radically incommensurable with the starting act of any family based on genetic ties, and thereby rooted in blood relationships. Even if the Book of Matthew lingers long on Jesus” genealogical lineage, it remains that no man is his father. Joseph is only his adoptive father. Nevertheless, the young carpenter felt a sort of duty to take care of Jesus. This occurs – according to the Gospel – either due to the oneiric intervention of the Holy Spirit and/or because of a sense of kinship with the newborn baby. Mary told Joseph that she learned of her unexpected condition from an angel. In any case, this means that in Joseph’s eyes the baby would belong to mankind in the same way that all human beings are creatures of God. Furthermore, and most importantly in this story, the marriage between Joseph and Mary is subsequent to the Immaculate Conception – from both a theological and chronological point of view – and not its presupposition. By virtue of Mary’s body, Jesus is the Godson but also a son of God as all human beings are. Jesus, actually, will define himself – according to the Gospels–as “Son of man”36. The expression “Son of man” has its equivalent in Hebrew and Aramaic, respectively: ben-adhàm and bar’enash37. The biblical uses of this allocution refer, in sequence, to an individual descending from a 34 With regard to LGBTI intercountry adoption see M. Gross (2009), L. Eekelaar (2016); from a broader perspective including all the forms of surrogacy, see also N.F. Bromfield – K.S. Rotabi (2017). 35 See S. Howell (p. 38), who refers, in turn, to Schneider (1984, p. 174). 36 On the meaning and the hermeneutic tradition of the expression “Son of man” see D.R.A Hare (1990); M.P. Casey (1995, 2009). 37 See G. Vermes (1978), M.P. Casey (1987). But see also the previous note. 1224 The best interest of the child whole community, an idealized man invested by God with authority and grace, the ontological and prototypical conflation in him between man and God, a descendant of Adam intended as the first human being as such progenitor of all humankind caught in his Edenic condition before the fall from Heaven, a member of the overall set of the saints of the Most High, and finally the symbolic embodiment of offspring from the Jewish people. Regardless of the meaning to be considered as preferable, the expression “Son of man” emphasizes that Jesus is not the child of Joseph and Mary but rather, even if through Mary’s Immaculate Conception, the descendant of a whole category of subjects. Such belonging, however, does not proceed only from a social bind, but is both universally and authentically genetic. It is because he ascribes his sonship to a “genus,” and by means of this genealogy, the coming into the world of his body epitomizes all the humankind. I think that it would be very difficult to find a more precise and, at the same time, poetic figuration of the meaning of the human genetic code than the expression “Son of man”. The Gospel proposes a revolutionary idea that rearticulates the naturalistic fallacy implicitly encapsulated in the idolatric iconization of the blood family: that is, the derivation of the parents’ duty to take care of their “blood-tie children”, as well as the symmetric conviction that children are to respect their parents because they have given them life through the transmission of their own blood. In the Gospel, the broadening of the nature/ethical duty to take care of children, however, commutes in a further and unexpected transcending of the “blood fallacy” because it subverts the order of derivation. The genetic ties extant among all human beings are a consequence, from the biblical perspective, of God’s Free Creational Act, namely an act of love. In this sense, nature – that is, “Being” – comes from an ethical choice freely adopted by God. His care for human descent is to be viewed as a prolongation of the original creational act. Reiterating this prolongation is a task left to all human beings on behalf of all the children of humankind because of the universal divinization/salvation of all humans which occurred by virtue of Jesus making himself a human being. Through Jesus, God becomes Son of man and, as a consequence, human beings are elevated to the role of parents of God and of all humankind: which implies that hereinafter they are responsible for all the offspring of God’s creational act, as such already inscribed (and prophesied) in human DNA. To be or not to be adopted 1225 The locution “Son of man” tells Christians that Joseph had a duty to adopt Jesus because the baby was related to him both genetically and, most importantly, by virtue of God’s creational act of love. Jesus embodies the inner relatedness of Joseph to all of humankind regardless of his belonging to a specific family, a social unit which is only an itemization of a broader natural-genetic and simultaneously ethical tie. In other words, nature itself, by means of being rooted in God’s free love, becomes a source of the duty to adopt. This duty, in turn, encapsulates the relation of all human beings to Adam before his fall from Heaven with the prototype of humankind, as such, embodying also the coinage of humankind. This kind of relatedness exists irrespective of genetic provenance, meaning being children of a specific individual rather than another. On the other hand, the idea of a universal brotherhood – shared by both Christianity and Islam –evidently recalls the common filiation from the Creator. As is written in the gospel of John, he who believes that Jesus is God’s son will be in him, namely in God, and God will be in him: this means that in the Christian imagery the Immaculate Conception signifies that all human beings are ontologically and reciprocally father and child of each other. Within this framework, faith and nature, social and bio-genetic ties do not constitute, therefore, a binary or dualistic couple. Conversely, from the biblical perspective they appear radically intermingled. This is because in and through Jesus, it is all of humankind that finds its genetic/social salvation, and he is prototypically and simultaneously both father and son. The consanguinity of all human beings and its ethical implications is unrelated to family relationships based on the procreative union of two individual – male and female–bodies. Human beings are all linked by and through their blood–a sort of meta-consanguinity – even if history shows them as unable to recognize and rather prone to neglect the ethical consequences of these transcendent ties. All this casts, however, a paradoxical shadow on both Western Christian and Islamic cultures insofar as both of them see consanguinity as restricted to two genetic parents who form the prototype of the child’s family of belonging; which is to be used, as such, as the anthropological and normative yardstick to measure the legitimacy of adoption and, at the same time, to assess differing parental relationships framed by other cultures. To raise the argumentative bar higher, I would go so far as to propose a parallel between the genetic significance of the Immaculate Conception and contemporary methodologies of heterologous fertilization. I 1226 The best interest of the child think that it would not be merely provocative to say that the Immaculate Conception in a sense prefigures the ever-controversial artificial insemination. If mirrored in the expression “Son of man”, perhaps even Christian believers could see in this methodology something “natural”. Its biological feasibility is nothing but a consequence of the genetic unity of humankind. A unity that was embodied and signified by the God-Sons birth from Mary, that is, from a human being and his self-definition as “Son of man”. The apparent artificiality of modern methods of fertilization is rooted, in my opinion, in the natural and genetic “continuity” of all human beings inscribed in their genetic code. Contemporary scientific knowledge does nothing but confirm and give practical consequences to the universal signification of the Immaculate Conception. From this simultaneously ethical and genetic perspective, however, artificial fertilization and adoption would appear to be the same. But such a conclusion – I am well aware – is very difficult for some people to accept, given their tendency to see the artificial methodologies as a hyper-surrogate to “natural” reproduction, and in that sense as something much worse than adoption. By contrast, however, the Gospel seems to implicitly to suggest that if Joseph must adopt Jesus, it is only because of a representational fallacy of humans and the misleading relevance they give to concepts such as group, community, family, etc. As noted previously, Joseph is already, in and of himself, son and father of Jesus. The adoption of Mary’s baby is only an invention: a mere social consequence of sin and human beings’ blindness to the Other-than-Self, who is instead genetically and ethically the Other of Self. From a broader perspective, then, this Othering blindness is an idiomatic consequence of what could be defined as the “Babel effect”. It is a byproduct of the obsessive pursuit of an ultimate and endless political unity, the existential and social absoluteness of which is signified by the mythical tower. The unity of humankind embodied by that overambitious building fatally transmutes in an individualistic attempt to pass off self-identity as universality. This is the source of the discord stemming from the misleading conviction that being equal, homologous, if not even identical, is a political achievement that can be taken for granted and thereby wielded by everyone against each other. Human beings – this is Babel’s lesson – are not equal in their effectiveness and topical features but rather in their potentialities and origins, otherwise there would no room for any qualitative multiplicity. The deepest, post-Babel challenge inherent in adoption is the To be or not to be adopted 1227 acquisition of the cognitive and emotional disposition to recognize the common kinship, original unity, and belonging with respect to the human DNA through, and despite, the varieties and differences stemming from its bio-psycho-historical unfolding. The Gospel’s radical message is the idea of a universal (duty of) adoption beyond any biological, racial, political, geographical, etc., difference. The acceptance of this general human commitment to the care of children comes from an understanding of what is commonly “in-divisible un-divided”, lying beneath the apparent uniqueness and individuality of each “human animal”. Unearthing a human genetic commonality implies a noetic journey towards the origin necessarily involving a re-creation, a prosecution through altruism and charity of God’s primogenital creation (according also to the meaning of charity traceable in both Judaic and Islamic sacred texts)38. Many legal regulations on adoption, both national and international, silently enshrine this Christian lesson, but only partially, because they merge it with the distorted idolatrous iconization of the blood family, falsely superimposed by the Western tradition onto the image of “Sacred Family”. This distortion is likely the other side of a long-time resistance to the radically revolutionary idea implicitly expressed by the bodily irrationality of the “Immaculate Conception” 39. It could not be a mere coincidence, indeed, if the denomination “Son of man” does not appear in any of the major sacred and theological texts subsequent to the Bible40. The etiolating of such a powerful and socially subversive message (at least, with regard to the majority of the Western Ancient World’s conceptions of family) was paradoxically compensated for by the historical bio-geneticization of the Sacred Family and the “naturalization” of this transfigured model. 38 As for Islam it should be noted that the prohibition to adopt others” children is compensated for, even if only partially, by the provision of the kafalah, which is in turn based precisely on the duty of charity and a universal responsibility for children. On kafalah, its meaning and international legal recognition see, for a conceptual and comparative analysis, the collection of essays edited by N. Yassari – L.M. Moller – M.C. Majm (2019); F. Kutty (2015, p. 527 ff.) 39 An interesting review of the ancient western cultural and religious sources of the idea that blood ties inherently (or by nature) produce affective and ethical bonds can be found in L.M. Kohm (2008, p. 337 ff.). 40 An exception, even if indirect, can be found in Acts, 7:55-56, with regard to the martyrdom of St. Stephan: 55 But Stephen, full of the Holy Spirit, looked up to heaven and saw the glory of God, and Jesus standing at the right hand of God. 56 “Look,” he said, “I see heaven open and the Son of man standing at the right hand of God”. 1228 The best interest of the child “Two genetic parents and one or more children” is the motto of all conservative movements that struggle against any kind of different conception or experience of family, charged with being “unnatural”, as if the empirical prevalence of a phenomenon could be taken as an absolute source of legitimacy or value. Actually, were the “genetic-naturalistic” qualification of the sacred family to be taken as a normative pattern, it should be recognized that the history of Christendom began under the aegis of a complete illegitimacy and unnaturalness. But Western culture, with its prominent role in the elaboration of the dominant legal standards for adoption, seems to be unable to see this radical contradiction at the roots of its conception of family, both “genetic” and “adoptive”. I think that such a deficiency is to be considered, perhaps surprisingly, as an indirect outcome of secularization and the ensuing ideological refusal to admit the cultural-anthropological imprint that the Christian moral theology left upon Western modern socio-political imagery and particularly in its secular legal instruments. I think that things could appreciably change if Western legal culture acknowledged the resilience of many religious conceptual “relics” inside its allegedly (utterly) secularized categories and took on the renewed awareness of this silent legacy to critically rearticulate its cultural future. This could be, inter alia, a starting point to genuinely re-evaluate the pan-parental signification emerging from the expression “Son of man” and the fallacy of the naturalistic idolatric iconization of the genetic family as a foundational anthropological-legal pattern directly rooted in Christian revelation. Along the same path, the world’s legal thought could find the argumentative tools to curtail the steadfast ethnocentric temptation to superimpose the Western notion of a consanguineous family as a universal measure for the legitimacy of parentage and family structures developed by other cultures. Jesus’ self-definition, in a sense, inverts or, at least, equalizes bio-genetic and adoptive parentage, divesting the contemporary formula “fictive kinship” of its presumed “nature-based counter-evidence”: that is, its prejudicial diversity from the historically fictitious “bio-genetic sacred family” and the related universal iconization. From this perspective, there is an anthropologically relevant observation concerning the legal distinction between “natural” (genetic) filiation, adoption, and foster care. In many cultures –including native To be or not to be adopted 1229 communities in Hawaii –41 that distinction has no place, to the point that many families are comprised of several members who are qualified as children of the family regardless of whether they are adopted, foster sons and daughters, or genetic children. The source of this kind of inter-categoriality is an inter-family solidarity and a conception of adult duties towards children that are not exclusively rooted in genetic parentage. Needless to say, these non-Western populations assume that their family patterns are quite “natural”. As regards “naturalness” in and of itself, we could argue that there is nothing natural outside a representational framing, which inevitably “culturalizes” anything individuals, groups, or peoples can presume to be natural. Beyond this general epistemological consideration, however, the dichotomy between the natural family and the adoptive one is internally dialectical. This means that the opposition between the two alternatives is grounded in a pre-figured scheme of parentage. If blood ties were delineated in universal genetic terms–as the biblical expression “Son of man” suggests –then the bonds of nourishment and care arising from these ties and the related children’s rights should be, at least potentially, the responsibility of all adults able to provide them. Taking the Bible’s suggestion seriously, parentage would stem from, and consist of, a concrete taking of responsibility and actual assistance that on a case-by-case basis each adult would be called upon to accomplish on behalf of one or more children. In other words, all adults should be deemed responsible for every child living on the Earth. In turn, every adult should be considered an “actual” – and not only potential – parent because of what s/he does in order to nurture and take care of a child. This alternative framework of “naturality” relocates the “blood issue” – and its definition in terms of exclusiveness and possessiveness – to the backdrop of a real behavioral relationship between adults and children. Conversely, only those who presently act as parents should be considered as such, that is, as an adult responsive to the universal duty to take care of children. If the dialectical opposition between a genetic/natural family and an adoptive one were universally understood according to the above terms, the division and ensuing conflicts would surely dissolve. Both family patterns would hinge on the actual ability of “parents” to act in order to take universal responsibility for the well-being of all of the 41 See J.M. Schachter (2009, p. 52). 1230 The best interest of the child earth’s children. Consequently, the entitlement to retain their role as parents in action would become aligned with their real behavior: the same which should be assumed as the source of the fundamental right of all adults and children to pursue, and not to be excluded from, the relational ties already established. The “right to continue in the extant and fruitful relationship” is, in my view, what should undergird the primacy of the child’s living with her/his birth family rather than with an adoptive one. At the same time, it is the ascertained failure of such continuation to assure the child’s flourishing that could prudently legitimate her/his displacement from the birth family. Conversely, if considered against the foil of universal adult responsibility for all human children, insofar as they are all genetically sons and daughters of humankind, the implicit understanding of the adoptive family as a surrogate of the genetic-natural one would make little sense. In different terms, this conclusion would mean the end of another broader dichotomy, precisely that embodied by the oppositional couple “social relationship/natural-genetic one”, otherwise dubbed as the nature/nurture divide. If being a parent is to be considered immanent to the relation of care, then this being is inherently relational. This only apparent tautology brings to the surface a too often neglected fact: namely that even material feeding, if and when springing from a sincere affection, involves the transferal/ translation of one’s own spiritual and material being. A genuine parent always transfers her/his own nature, knowledge and experience along with the food s/he provides. Even if it is taken in its materiality, the food given with true dedication to a child is however an epitome of a specific, utterly personal, way of acquiring, arranging and cooking for the recipient and in view of both her/his individual exigencies and his/her likes and dislikes. I am really not sure that the mythologized transferal of sperm and oocytes, with their genetic information, involves a transformative “giving” that is broader or more significant than the provision of food, an environmental habitat in which to grow, and the experiential training that any adult can responsibly and lovingly bestow upon a child. A zoological gaze cast on human beings and other animals could allow us to relativize coupling as the main distinctive trait of human parenting. Humans are cultural animals in a much more expansive sense than other species. For this reason, the specific making of each human individual and her/his nature are centered on the acquisition To be or not to be adopted 1231 of cultural habits. The methods of bodily reproduction are common to all animals, in the end. But not all animals group into families to rear their young, and even when they do, families are not necessarily constituted of a heterosexual couple and its offspring. What is idiomatically essential to human beings, conversely, is an education achieved through symbolic communication with adults acting as cognitive and behavioral interfaces between children and their environment. Without this intermediation there would be no human life. For humans, knowledge and matter are two sides of one coin. The contemporary understanding of the semiotic/informational substance of “blood”, namely the DNA, should prompt us to come full circle and realize that both knowledge and DNA are common goods of all humankind, and serve to sustain its life on planet Earth. Ironically, the idolatric iconization of the “blood family” leads human culture to a compulsive reading of individual descent. This inclination can be captured even through attentive listening to the narrative commentary of wildlife documentaries. Succumbing to the human instinct to anthropomorphize other animals, these commentaries often end up ascribing human obsessions and even neuroses to them. So, it is not at all uncommon to hear the commentator tell us that a lion, a whale, etc., “in its quest to assure the descent of its own exclusive genetic makeup, fights rival members of the species, and kills outsider pups”, and so on. Of course, the animals, so long as they have not developed an ascertainable language and biographical conscience, will remain completely unable to even grasp instinctively what “descent” is. While they surely perceive smells or other bodily signals that prompt them to assume particular behaviors, there is no evidence of a transgenerational teleological goal. The problem, of course, does not pertain to animals, but rather exclusively to humans’ cultural inclination and their related conception of the transmission of individual blood connotations as the all-comprehensive end of life and its cornerstone as well. The senselessness of ascribing to animals an intentional pursuit of descent connoted by an exclusory interpretation of blood ties is a distinctive sign of the obsessiveness marking the Western understanding of parentage and family as genetically bounded corrals. Nevertheless, the continued existence of adoptive practices shows a deep anthropological crevice in the understanding of blood ties as the unique source of the parenting relationship. 1232 The best interest of the child But let me set aside, for the moment, the thought experiment I have tried to conduct so far by implicitly imagining a Western culture newly cognizant of the relativeness inherent in its “blood family” pattern when mirrored in the Bible’s message and in Jesus” self-definition as “Son of man”. I think that, even outside such a retrospective realization, history shows that the anthropological habits of the Western tradition are not entirely out of tune with the biblical depiction of human filiation. Throughout history, the universal concern for abandoned children, or those in difficult situations, and therefore the confutation of “blood exclusiveness”, seems to go hand in hand with its opposite, namely the “bio-genetic family”. As I will try to point out below, this ambiguity is widely traceable also in the legal texts, both international and national, which rule adoption. The two-track imagery underlying the parallel coexistence of the “family bounded” responsibility for children and a universal one is the main source of all the ambiguities affecting the psycho-social condition of adoptees, especially those from different geographical, racial and ethno-cultural contexts. The failures –elucidated in the first section of the essay – to grasp the relational signification of the child’s being as well as her/his best interests stem, in my view, from the obstacles that those ambiguities place in the way of a plain recognition of a universal rather than exclusory responsibility for all children. Were the Western drafters of international rules on intercountry adoption able to cast a deconstructive gaze on the questionable religious icons nestled in their basic assumptions, it would be possible, perhaps, to find, in the very same sources of a reconsidered Christian-Western tradition, the ethical and anthropological motivations to architect a rationally and emotionally supported structure of universal responsibility. Be as that it may, there is nevertheless a close connection between the development of a universal sense of parentage and a relational understanding of the child’s being and exigencies. A widespread and continuous concern for others’ children, as something directly affecting us as human beings, could and should bring people from different cultural and geographical areas closer together. This coming together could also pave the way to an intercultural rapprochement, if only because taking care of others’ children implies necessarily taking an interest in their contexts of life, mental paths and habits, intersubjective relationships, economic conditions and their determinants. Each child, actually, bears inside her/ himself from birth countless relationships that will mold her/his future environment. S/he is an epitome and a prophecy at once. I will imme- To be or not to be adopted 1233 diately explain what I mean with this apparently aphoristic assertion. Consider the case of disadvantaged and poor countries where people are often compelled to give their children up for adoption. In the relations and determinants summarized in the displacement of these children, there should also be included the historical and present causes of poverty and underdevelopment, from colonialism to the lack of humanitarian aid, from the exercise of power by dominant countries in the exploitation of resources, both environmental and human, to the political instability spurring corruption and wrought by multinational interests. Whether we like it or not, any child in need or abandoned on the Earth is the epitome of all these relationships as well as those which will mark her/his future life. If we assume the existence or at least the ethical need for a universal concern for them, no one could consider others’ culture, race, social environment, etc., as something remote, detached from her/his own interests and commitment to understand her/his life environment. In other words, the universal responsibility for children would implicitly entail intercultural awareness, knowledge and commitment. On another side, precisely because a child is a convergence point for all these relational and global factors and their effects, s/he should be pedagogically prepared to understand the range of people called upon to be responsible for her/him. But the acquisition of such an ability would bring with it an understanding of others” cultures, relational contexts, and so on: in short, an intercultural education. But this implies that the best interests of the child and her/his present/future “being” should be assessed by taking into account all the factors that could promote the development of such intercultural awareness and knowledge. This would be a basic prerequisite for the child to acquire the cognitive potentialities needed to transform her/his into a subject who is at least minimally aware of the global scale of events and causes determining her/his condition as an inhabitant/citizen of the Earth. Prospective and current intercountry adoptees embody in themselves the contemporary human condition. Through their being potentially or actually astride different and geographically distant cultural environments, ethno-racial networks, etc., with all the problems that such a condition causes them, these children make evident the inappropriateness of all the nationalistic, racial, culturalizing, essentializing, localizing conceptions of social and political identity42. They 42 From this holistic point of view, my view is utterly aligned with the conclusions 1234 The best interest of the child tacitly unveil all the evil, if not stupidity, proceeding from the selective idea of blood ties and its metaphorical – but for this no less real – transmutation into categorical boundaries and geographical frontiers. From this point of view, it could be said that intercountry adoption is a prism or a kaleidoscope through which we can see the dramatic cognitive and ethical challenges inherent in the global interrelatedness of the contemporary human experience. In each intercountry adoptee’s mind and body, there are reciprocal “elsewheres” conflating and overcoming all territorial, cultural, religious, etc. divides. Symmetrically and unfortunately, all the psychosocial problems s/he has to face because of her/his difference stem from the current unsuitability of social imageries to translate the “elsewheres” in the sense of “here”. which means nothing but a self-transformation of local subjectivities capable of providing individuals with an aware agency, attuned to the global scale of the events affecting people’s lives. The inability to achieve such a cognitive and ethical gaze on the world and themselves is the other side of a still widely common intercultural blindness, which takes place, as I emphasized above, even inside domestic walls, wedging into the relationships between adoptive parents and adoptee. Of course, everything could change if each human being, regardless of her/his geo-political allocation or adoptive intention, were trained to feel at least potentially committed to understanding the life conditions of children living elsewhere. This knowledge could urge people, wherever they were, to provide for children’s well-being, so as to support, if possible, their birth families or, in perfect continuity with this option and a sense of universal responsibility, offer her/himself as a parent. To be clear: the above commitment is not a naive expression of a utopian dream, but rather a description of the consequence of focusing on the anthropological motor that drives the phenomenon of intercountry adoption, even before its regulation. This signifies nothing other than pursuing the best interests of children while fostering the intercultural-spatial continuity of their “relational being”, rather than exclusory blood ties and duties. At this point, however, a question comes necessarily to the fore. To what extent is the legal international and national ensemble in tune with the above composition of intercultural-spatial continuity and proposed by B. Yngvesson (2009, p. 115). To be or not to be adopted 1235 universal responsibility when it comes to intercountry adoption? Were one being exceedingly optimistic, it could be said that the “landscape” shows both light and shadow. A sincere assessment, however, that looks beyond the rhetorical openness of some legal statements, reveals a law-in-action primarily at odds with this view, with only two small exceptions: a) the child’s right to be supported in her/his possibility to live fruitfully with the birth family; and b) some hesitant consideration for the experience of the practice of so-called open adoption, which I will briefly address below. 3. Hybridization and the Inconsistencies between Blood Ties and a Universal Commitment to Childhood in Intercountry Adoption Unfortunately, the relationality between the child’s “here” and “elsewhere,” as well as her/his “before” and “after,” is decidedly deficient in the international and national regulation on intercountry adoption. This is due to the – perhaps culturally unaware – attempt to legally hybridize the reifying consequences of the biogenetic conception of parentage with the anthropological relevance of the widespread human concern for the destiny of infants, even if born from Others. Despite the exhortation to enable the adoptee to maintain her/ his relationships with the context of origin, the whole system of intercountry adoption seems to assume the cultural discontinuity between the “adopting social world” and the “child-providing one” as a “given”, a kind of anthropological pre-condition43. Hence, even if for comprehensible reasons, the numerous regulations are focused on the adoptive parents’ duties, and oriented to assure the highest degree of inclusion for the adopted child in her/his new family. However, this push toward affective inclusion tends – as illustrated above – to morph, in practice, into a kind of “naturalized kinning”, also because of the lack of intercultural approach among adoptive parents, social workers44 and the social fabric at large. 43 F.R. Ouellette (2009, p. 78). 44 See A.L. Baden – J.L. Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 84 f.; p. 104); F. Juffer – W. Tieman (2016, p. 220), who advocate the development of an intercultural awareness among the social workers involved in intercountry adoption processes. Some suggestions regarding the support that social agencies could provide to intercountry adopting parents in order to protect the adoptees’ cultural identity 1236 The best interest of the child With the exception of a few selected exoticizing material reminders of the child’s native culture or environment of origin, the adoptive parents often end up ignoring the landscapes of sense that the adoptee retains, and miss out on the opportunity to creatively and pro-actively combine their cultural knowledge with the child’s’ knowing to do”45. Despite any superficial convictions, this ignorance on the part of adoptive parents plays a considerable role in the psychosocial relationships of children adopted in their first months of life. The culturalization of their bodily features is inescapably and prejudicially cast on them by their “receiving social context” (especially peers and teachers, but also simple acquaintances, or even passers-by). This has the effect of transforming the alternatives available to a) being/not being adopted, versus b) being culturally and radically someone else. Undertaking intercountry adoption implies, in other words, an anthropological transmutation which ultimately winds up developing delivering an out-out, or lose-lose, logic. As for what has been just outlined, I think that a crucial factor is the legal qualification of the prospective adopted child as orphaned or abandoned. Being defined in this way transforms the child into a subject “in need”. This categorization, albeit useful as a legal prerequisite to the possibility of adoption, conceals a dark side. More precisely, I refer to the attendant identitarian de-qualification of the prospective adoptee’s (original) relational and cultural features. In other words, when the child starts the adoptive path, s/he falls into a sort of psycho-cultural limbo. Even the legal provisions seem to assume that the child involved in the first stages of the intercountry adoptive process is waiting for an identity: and this is implicitly the same identity that s/he will be “given” by the adoptive family, along with the necessary material support. In effect, adoption is somehow parallel to a Christian baptism. It is a renewal, the giving of a new “nature”. The prospective adopted child is the subject who will be; or, to better emphasize can be found in Bayley (2006). Bayley’s model is to be taken, in my view, only as one step towards the development of the social workers’ and agencies intercultural awareness and skill. 45 F.R Ouellette – H. Belleau (2001, p. 27), who emphasizes, “Hence, for example, converted into a question of origins, the original filiation takes the form of documents, photographs and other souvenirs kept by the parents to be shown to the child. Birth ties are recognized in these records of adoption but are de-activated, objectivized. They become a set of leads upon which to build a personal history.” See, similarly, S. Howell (2006, p. 31). To be or not to be adopted 1237 the inconsistency inherent in such a condition, s/he is considered and categorized at present in view of the subject who will have been, rather than in the light of the subject who is now because of her/his having been before. The verbal tense “future perfect” best signifies the imaginative retroactive renewing effect, a kind of “re-naturing”, attached to intercountry adoption by virtue of the concoction resulting from the current legal provisions and the predominant blood-based conception of family. Of course, there is nothing “natural” in all this, but instead a cultural view that is fictively – and not even surreptitiously – camouflaged under the guise of natural law, for which adoption serves as a surrogate. According to the current legal provisions, apart from some vague recommendations46, adoptive parents seem to have no specific psycho-anthropological duty to recognize, but above all to translate and integrate the child’s past, alive and well in her/his mind, into the cultural frames of the new family’s life. In practice, the legally defined adoptive process treats the intercountry adoptee as a subject bereft of any past, or origin. I realize how harsh this last assertion could sound. Nonetheless, it reflects fairly accurately the institutional/educational practices and the cognitive/cultural approach typically employed in intercountry adoption. On the other hand, even if understood as the by-product of an anthropological and intercultural unawareness, these practical behaviors and effects cannot be dismissed or absolved. Conversely, justifying even a pervasive ignorance would be worse than the effects of the denial of any possibility of continuity with the child’s past resulting from the national disciplines on adoption. But such an “innocent” presumption would be even more damaging and absolute than an explicit attempt to erase that past. It is so because it would come from a “genuine and pervasive” ignorance about its anthropological significance, and the related long-term psycho-existential implications. From another perspective, it should not be overlooked that defining children who are abandoned, or in state of adoptability as “needy subjects” fuels and, at the same time, legitimizes adoptive practice if only because this qualification bathes adoption in an aura of altruism and even humanitarian necessity. Nonetheless, need is not synonymous with interest47. The transition from the imagery of interests to the 46 …which I will analyze more closely below. 47 A referral to the imagery of needs can also be found, according to M.A. Failinger (2015, p. 485 ff.), in the Lutheran perspective on Intercountry Adoption. Nonetheless, 1238 The best interest of the child imagery of needs has matured during modernity as a consequence of the political and cultural influence exerted by Marxism. This transition made sense insofar as it was combined with the promotion of individual creativity within a reasonable context of social practices where the subject is imagined, at least potentially, as an actor of continuous processes of emancipation and self-emancipation. The prototype of this ideal horizon coincides with Marxist communism, according to which knowledge and political participation interplay as elements of a kind of hendiadys. In the historical experience of social-democratic welfare, however, the category of “need”, despite its major significance in terms of social solidarity and support, has been shown to be prone to political instrumentalization. This transfiguration is due to the dominant groups” tendency to give an aprioristic and top-down framing to people’s actual exigencies and expectations. From this perspective, the political imagery corresponding to a “society of needs” has proven unable to effectively include in itself the autonomy and independence that idiomatically qualifies the liberal “society of interests”. But this failure is even more serious since the passage from one imagery to the other was crucial in order to deconstruct the false conscience nestled in a representation of the modern liberal society. And this because this view relied upon the mystifying assumption that the social actors could give course to their interests entirely and exclusively by virtue of the formal freedom to claim for them in their contracting practices. The awkward legacy of the conflict between those two socio-political imageries, which remains unsolved in contemporary societies, can also be traced in the discipline of adoption, and specifically in the creeping tension between the needs of the prospective adopted child and her/his right to be heard when his/her best interests in being adopted or not are at stake48. Connecting “best interests” to the child’s status of abandonment, assuming that Failinger’s recount corresponds to the overall Lutheran approach to intercountry adoption, it seems to lean excessively toward an ecumenical solution. Actually, the Lutheran view seems to reach for a sort of negotiated accommodation between the needs of orphans or abandoned children and the suffering of infertile couples wishing to have a child. Unfortunately, this apparently innocent and wellmeaning approach to the “circulation of children” throughout the world unleashes a commutative logic of needs that ineluctably transmutes, and at the same time dissimulates, the commoditization of children living in disadvantaged contexts. 48 With regard to the child’s right to be heard, see para. no. 12 and 90 of the General Comment No. 14 (2013) cit. As for the conflictive relationships between the child’s best interest and her/his human rights, including the one to be heard, see L. Eekelaar (1994, 2016), J. Fortin (2009, p. 19 ff.), E.E. Sutherland (2016, p. 33 ff.). To be or not to be adopted 1239 and thereby to a condition of almost integral “being in need”, the danger is precisely that of giving room to aprioristic cognitive and axiological schemes of judgment. Particularly in intercountry adoption, that risk of apriorism tends to fatally morph into ethnocentrism. On the other hand, the slippage towards ethnocentrism is an almost inevitable consequence of any equivalence between the child’s best interests and a configuration of her/his needs as conceptually reified and culturally gauged on “who the child could be and presumably will have been as a result of her/his adoptive path”. This imbalance toward the future adoptive condition conceals the possibility that a cultural removal provokes an amputation of all those elements of the child’s best interests that are ingrained in her/his pre-adoptive experiences. And what is worse, such an amputation would be performed in silence. Insofar as it is rooted in a cognitive reification of the child’s “being” as a subject in need, such a severing would be “inaudible” and/or almost unconceivable because it would be represented as something simply coextensive to a factual condition of geographical and cultural distance. Under these guises, cultural dominance sneaks into the intercountry adoptive process and is placed as a burden on the child’s shoulders in the most terrible way in which power expresses itself: namely, by imposing not so much what is to be done, but rather neutrally stating “what is” and “what is not”. The legal implications of this attitude can also be traced in intercountry adoption. In many national laws, the state of abandonment, qualified as a prerequisite to the declaration of the state of adoptability, seems to be paired with the conviction that the child’s preexisting parental relationships should be divested of any relevance. Even if in some states – as in the UK and recently, even if in different terms, the US – the adoptee is allowed to search for her/his birth parents, conversely in many others – like, for example, Italy, which has the second highest number of intercountry adoptions in the world after the US – knowledge of the genetic mother and father is expressly prevented by law, at least until the adoptee is 25 years old: even then, it can be authorized by the courts only for serious and substantiated reasons. In all other cases (in Italy) the public authorities must keep any information about the birth parents sealed, because of their right to privacy, and also for cases where the state of origin allows the mother to remain anonymous. The only exception is the necessity to know the birth parents’ identity due to health reasons49. 49 See Article 28 of the Italian law no. 184/1983, as it has been modified by the 1240 The best interest of the child Such restrictions divulge a latent contradiction between the international provisions for intercountry adoption and the national laws aimed to implement them50. Nonetheless, it would be superficial to say that what is at stake is simply a radical antagonism between different ideal patterns of adoptive relationship. In many countries – including Italy – it is possible to find an openness to different schemes of adoption. This is the case in co-parent adoption, step-child-adoption and, most relevant, the so-called open adoption based on the judicial ascertainment of the child’s condition of semi-abandonment, comprising a two-step process that includes pre-adoption foster-care followed by, if possible and necessary, a final adoption51. That the last of these new practices is also taking place in Italy is very interesting, as it is in apparent contrast with the cultural Catholic mindset that influences so many state legal policies. There is, however, a possible explanation for these presumed contradictions. All these new formulas seem to undermine the traditional exclusive conception of the adoptive family insofar as they give room–and especially the last – to a kind of trans-familiar responsibility for children. This attitude, however, is not in contrast – as expounded above – with the universal concern for children symbolically expressed in the Gospels, the Immaculate Conception, the adoption of Jesus by Joseph and, finally, the self-definition of Christ as the subsequent law no. 149/2001. In many countries, among which also the United States, the national legislation does not prevent children from know their birth parents. For a comparative analysis combined with an assessment of the psychoanthropological implications of the different legislative schemas see F.R. Oullette (2009). But as concerns the possessive logic of exclusiveness and the secrecy of the adoptee’s origins, see W.E. Carp, (1998, p. 102 ff.); C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 160 f.). 50 As for the adoptees’ right to know their origins and the weak protection that such right has still found in international law and especially in national provisions, see G. Mathieu (2016, p. 130 ff.). This author underlines the vagueness and ambiguity connoting the international and supra-national provisions regarding the individual’s right to know her/his origin, which leads the European Court of Human Rights to deny the absolute signification of this fundamental (sometimes even defined by the same Court as “vital”, according to the ECHR Art. 8). 51 Sometimes Italian judges have given shape to open adoption processes by exploiting the interpretive potentialities provided by Art. 44 of law no. 83/1984. Nonetheless, in some respects, the result is a hermeneutic of dubious legitimacy. The whole practice would need specific regulation, which in turn would require a whole re-thinking of the axiological and anthropological grounds underlying the idea of adoption. Open Adoption is also practiced in other countries, for example the United States, Belgium and France. On the anthropological significance of open adoption, particularly with regard to the relationship between the adoptee and her/his birth family and/or environment, see: J.H. Hollinger (2000), J.M. Schachter (2001), F.R. Oullette (2009). To be or not to be adopted 1241 “Son of man”. These recent developments, in another words, despite their distance from the blood-family pattern, seem to have ancient anthropological roots that are anything but alien to the Christian religion and its cultural resilience in modern Western cultures. In co-parent adoption, stepchild adoption, and open adoption, the pivotal element that underpins and legitimizes the final adoption in the best interests of the child is the previous non-exclusive onset of an inter-subjective relationship of coexistence and care. Furthermore, the acquisition of adoptive status does not prevent, in these cases, the possibility for the adoptee to maintain her/his relationship with the family of origin: which is exactly the opposite of what ensues, on average, from plenary adoption. The existence of such a latent inconsistency in the overall legal discipline of adoption lifts the veil on many silenced issues and makes visible many ambiguities lying under the sharp discontinuity that traditional plenary adoption determines in the relationship between the adoptee and the birth family. At first, it could appear almost obvious that the state of abandonment or orphanage excludes, in itself, the existence of inter-subjective or para-parental relationships. The socio-anthropological reality overshadowed by the regime and the practice of intercountry adoption shows, however, a very different and more variegated reality. In many disadvantaged social contexts, the abandonment or the state of adoptability are not so much a consequence of the absence of parental or para-parental relationships as rather the inescapable circumstance of being unable to assure the well-being of children. It is no coincidence that the HCIA alongside many national disciplines on adoption highlight, among their major concerns, precisely the protection of the child’s right to live with her/his birth family. And yet, beyond any outward appearances, assuming the state of abandonment as the prerequisite for the declaration of the adoptability status, even if based on justifiable reasons, is not necessarily in tune with the effective protection of that right. This is because the state of abandonment seems to conjure up guilt and thereby the liability to charge the birth parents for their presumed negligence in caring for their children. In many cases, such a prejudicial attitude is doubtless disguised, but just for this reason, it is difficult to unveil even when it is entirely groundless. On the other hand, the alleged guilt of the genetic parents or the extended family bestows the intervention of the adoptive parents with a salvific aura, and encourages their inclination to erase any 1242 The best interest of the child traces of the original family relationships insofar as they are assumed to be harmful. In the co-parent, stepchild, and open adoptions, the contrastive attitude between the adoptive and the genetic parents is nonexistent. On the contrary, the positivity of the psycho-affective relationships taking place with subjects different from the genetic parents is assumed cumulatively, in addition to the maintenance of the previous parental ties, as a cornerstone for the subsequent adoption and its legitimacy as being in the child’s best interests. The co-responsibility of genetic and adoptive parents towards the pursuit of the child’s best interests, if applied to intercountry adoption, could help the intercultural application of its practice. In the contexts of origin, when attendant economic difficulties or other serious situations prompt the consideration of outside assistance with child rearing, the genetic parents often contemplate the possibility of entrusting their child to another family member/group for a transitional period. Similarly, the basic conviction of many mothers offering their children up for intercountry adoption is that they can eventually come back home. In other words, mothers presume the non-definitiveness of entrusting their child to Others, only to find that once the intercountry adoption has been finalized, this becomes impossible. Their betrayed expectations are, however, the outcome of a dramatic lack of intercultural translation between different anthropological patterns of parentage: an observation that could be made for many non-Western contexts52. In such areas, moreover, it is very difficult to draw a sharp line of distinction between adoption and foster care precisely because the blood-family pattern is absent or not perceived as the exclusive one53. In all these situations, the absence of love and the negligence in taking care of one’s own children are only a Western prejudicial ethnocentric assumption that has very little to do with the actual process leading to the final institutional declaration of the state of abandonment. However slow and hesitant, the diffusion of both the co-parent and open adoptions in the Western legal experience, together with the lack of inter-family discontinuity which connotes them, could promote the 52 See L. Kendall (2005, p. 162 ff.), R. Högbacka (2011, p. 129 ff.); A.L. Baden – J.L. Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 84 f.). 53 On this topic see the comparative analysis proffered in the collection edited by J.L. Gibbons – K.S. Rotabi (2016); see also R. Högbacka (2011, p. 129 ff.), C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 158 ff.), and there for further bibliographical references. To be or not to be adopted 1243 phasing out of the “abandonment script” and the implicit de-parenting effect ensuing the finalization of adoptions in the intercountry adoptive regulation and practice. Should the above prefigured change take place, it could prompt, at the same time, a different attitude toward the understanding and management of the intercultural challenges that intercountry adoptive parents and their children must face. This paradigm shift could allow for an overcoming of ignorance of the child’s cultural context of origin, and the development of serious interpenetrative educative efforts inspired by a genuine commitment to an intercultural reciprocal translation/transformation learning process between adoptive parents and their children coming from elsewhere. This change of perspective would also be relevant towards the conceptualization and the implications of the fundamental rights of children insofar as it could affect the inclination to naturalize not only the specific and local categorizations of the child’s “being” but also the educational models to be applied in the countries hosting adoptions. Each culture falls prey to the illusion that only its own views on children and their education are “natural”. The consequence of this dogmatic pluralism is, however, that the dominant cultures of the world do not resist the “temptation” to superimpose their own patterns on Others”, not infrequently stigmatized as outlandish, bigoted or even abnormal. All this has heavy consequences on human rights and the way in which they are implemented with regard to children, as the naturalization of educational patterns is closely related to their interpretation. The interplay between rights and educative practices can lead to a prototypical configuration and use of Western schemes, which results in a metonymical substitution between these interpretations and the alleged universal and authentic meaning of children’s human rights. The final outcome of this practice is an ethnocentric and exclusionary reading of rights, the universality of which is defined as the conformity to those (self-centered) prototypical assumptions. In other words, the identity with oneself is passed off as universality. Hence, if an educational model is raised to a paradigm for the implementation of human rights, anything that is not compliant with it will be transitively branded because of its presumptive contrast with human rights in themselves, and then likely to be qualified as inhuman or dehumanizing. Such partisan misinterpretation and instrumentalization of human rights can be found across social and legal experiences whenever different cultures come into contact. 1244 The best interest of the child When the just described metonymic substitution is allowed to perform an active role within intercountry adoptive practices, children from cultures different than that of the adoptive parents could suffer dramatic discriminatory consequences. As stated above, the logic of needs does not prevent the essentialization and ontologization of the features of subjectivity, which means, from a legal perspective, the danger of a drift towards the dogmatic stiffening of a cultural and local interpretation of human rights statements. The monitoring agencies responsible for the supervision of intercountry adoptive processes are prone, on average, to provide an objectifying interpretation of humanitarian standards that is then transfused into parental care models and practices. But this propensity to an “alleged objectivity” bears with it the straitjacketing of individual subjectivities into top-down patterns, leaving little room for diversity, singularity, or even eccentricity with respect to moral schemes that are assumed as semantically molar, namely self-evident or natural, within a specific culture, especially when this is a dominant one. Unfortunately, the evaluative standard “best interests of the child” functions, in many cases, as a device designed to provide an epitome of the pedagogical implementations of human rights. In a sense, it embodies all the (imagery about the) child’s subjectivity. But this entails also that the inclination toward an ontologizing framing of the subject-child winds up substantiating the identification of her/his best interests with the reified and naturalized cultural figure of subjectivity molded by Western thought; and, what is even worse, it does so as if this figure were validated by human rights54. The above cultural conflation of a possibly ethnocentric reading of human rights and the best interests of the child engenders two important consequences. The first has to do with the stigma tacitly connoting the child’s abandonment – as outlined above. The social contexts within which the abandonment of children is not uncommon are considered underdeveloped, without humanitarian sensibility and pedagogically irresponsible55. Fortunately, (and this is a not insignificant aspect of the rhetoric of intercountry adoption) there are adoptive parents from developed countries who intervene to “rescue” children. 54 Albeit dated, the arguments proposed on this topic by P. Alston (1994) and A. AnNa’im (1994) are still interesting. See also N. Cantwell (2016, p. 18 ff.). 55 As for the tendency to cast a tacit stigma on the abandoning/giving birth mothers see A.L. Baden – J.L. Gibbons – S. L. Wilson – H. McGinnis (2015, p. 85 ff.). To be or not to be adopted 1245 Assuming that such a narrative includes some truth, such a depiction of the sequence of events culminating in intercountry adoption opens the door to a radical cultural asymmetry in the relationships between adoptive parents and adopted children. On the other hand, it cannot be passed over in silence that the interest in intercountry adoption stems also from the specific socio-cultural conditions of the richer countries, especially the Western ones. These include the availability of contraceptives, abortion, and overall societal conditions that make the abandonment of children for economic reasons fairly infrequent; the relative emancipation and empowerment of women that tends to delay the age of procreation, subsequently leading to infertility issues; all these factors together make both the adoption of Western children and the pursuit of children from other countries more and more difficult56. The existence of such determinants makes it necessary to recalibrate the tacit stigma attached to all countries and cultures from which the adopted, and previously abandoned, children come. The difference at stake seems to be economic rather than ethical. Nonetheless, in saying this, I do not mean to exclude that welfare conditions can profoundly influence affectivity and emotive habits. Rather, I mean that conjecturing about such influence cannot legitimize any reification of other populations or the fabrication of ontological marks that discredit their educative practices. Cultural uses are not coextensive with cultural potentialities. Love for children is not necessarily absent from a cultural context only because it is unable to avert their abandonment. Actually, in the past, also the “baby-loving-West” experienced situations similar to those the “giving countries” currently undergo. Perhaps instead of fostering tacit stigma, Western countries should question their own responsibility – as to what they have done, continue to do and not do – towards the creation of all the conditions which impel non-Western parents to abandon their children. 56 L. Briggs – D. Marre, (2009, p. 16 ff.), where the authors, by echoing a phrase previously coined by the anthropologist Shelee Colen (2005), refer to an internationally stratified system of reproduction between the richest countries and the poorest ones. By virtue of this socio-political stratification, the women living in the more developed countries would “outsource” the childbearing to the disadvantaged fertile women dwelling elsewhere, in conditions of misery and low levels of subsistence, in exchange for economic support; in the same vein, see also A. Anagnost (1995), R. Högbacka (2009). With specific regard to LGBTI see A. Cadoret (2009), C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 166 f.). 1246 The best interest of the child To be more explicit: is it entirely baseless to wonder if a serious global aid program and a redistribution of wealth on a planetary scale could defeat the scourge of child abandonment? Were the answer at least partially positive – as it actually is – it would be impossible to disregard the existence of a vicious circle between the pauperization of those countries from which adopted children come and the philanthropic disposition toward intercountry adoption of Western ones. And if it is so, a dark shadow looms over the entire operation of international adoption. Essentially, the factory of the abandonment does not reside in the places from which the children come, but rather in the countries where they finally land under the guise of “abandoned individuals” rescued by foreign adoptive parents. In the end, world politics, as happens all too often, begets victims only to commit itself to their salvation57, a paradox which by no means comes at zero cost from an existential and emotive point of view, for both children and the families who give them away. Regrettably, part of the success of intercountry adoption is linked to an implicit equivalence between the state of abandonment and the possibility to “de-parent” children declared as such. De-parenting and spatial distance tend to cumulatively create a remoting effect, that is, a time fracture between the present and the past of the adopted child: a fracture that is chronological and cognitive at the same time. It is so because it immunizes both the adoptive parents and their social context from any concern for an intercultural translation, producing a kind of syncope of meaning between what the prospective adopted child has been and what s/he is about to become. To put it differently, the inter-space of translation–which is a metaphor for the spatial translation (namely transposition) that the child undergoes–is annihilated, and allows the new parents, and the hosting country, to immunize and exonerate themselves from any duty to grapple with the child’s cultural Otherness and the “Elsewheres/he brings with and in her/himself. Conversely, this temporal and spatial elsewhere is addressed through the spectrum of a stigmatizing attitude. These “elsewheres” are often treated as the etiological matrix of an adjustment disorder of the adopted child to the new situation and, for this reason, identified as sources of trauma, dis – or an-affective behaviors, psychic instability, etc. This argument, however, indirectly overshadows and ends up obscuring all 57 L. Briggs – D. Marre (2009, p. 16 ff.), A. Cadoret (2009, p. 271). To be or not to be adopted 1247 the problems – and they are significant problems – caused by the lack of intercultural translation and co-constructive attitude inside adoptive families and the social contexts they inhabit. As harsh as the above observations may sound, on the other side they may dilute the apparent contradiction between the convergence of the recent anti-immigration trend in Western countries and the tendency, although in dramatic decline, to undertake intercountry adoption. Although the claim may appear provocative, intercountry adoption is, in many respects, only falsely aligned with a genuine disposition to allophilia (love for Others and/or Aliens) or an openness to cultural Otherness. In fact, this false narrative has been blatantly discredited in Scandinavia where a misguided aspiration for a multicultural society in the 70’s fueled unfettered access to intercountry adoption. Sadly, an anti-immigration attitude lurks even in these adoptive practices insofar as it is the other side of a tendency to distance the child’s place and culture of origin due to an often dissimulated belief that such distancing serves to ameliorate the risk of problematic contacts with the birth family. Despite the apparent consonance between intercountry adoption and an openness to Otherness/Elsewhere–geographical, racial and cultural–in too many cases, it holds only as long as what is “Other” remains distant from the adoptive socio-cultural space58. This implies, sadly, that the same Otherness that dwells inside the adopted child risks being silenced. Also, thanks to the rhetoric of aid and the several national legal provisions legitimizing a radical hiatus in relationships with the birth family, the geographical remoteness, as if it were an empirically insurmountable hurdle, winds up legitimizing the cultural novation of the subject entering a new family and country59. From the perspective of the best interests of the child, this way of thinking could lead, however, to mistaking the “child’s right” for the parents” right to have their own child, according to a possessive logic60. Without the underlying tendency to deny Otherness, geographical and cultural distance would never transmute into the annihilation of the adopted child’s past. And, as paradoxical as it may seem, a genuine, 58 B. Yngvesson (2010, p. 260 ff.; p. 453 ff.; p. 577 ff., p. 1340 ff.). 59 F.R. Oullette (2009, p. 69). 60 As for the morphing of adoption towards a proprietary logic inspired by the blood exclusiveness of the Western (so-called) “nuclear family,” see C. Fonseca – D. Marre – B. San Román (2015, p. 60); with particular regard to the United States, see W.E. Carp, (1998, p. 102 ff.). 1248 The best interest of the child planetary openness to Otherness, at least in my view, would demotivate applications for intercountry adoption. In that case, then, the amazing coincidence between increasing anti-immigration sentiment, sometimes now even falling into a sort of crimigrationism, and the large number of intercountry adoptions would both vanish simply because they would exclude each other. I can well imagine that the above argument could be criticized by citing the express prohibition of any discrimination in all the international and national legal disciplines on intercountry adoption. Unfortunately, however, the non-discrimination principle is interpreted, almost exclusively, only in negative terms. When related to intercountry adoption, it aims to prevent parents from refusing to adopt children of another race, culture, religion, etc. Nothing is stated, conversely, about the parents’ duty to know and recognize, through a process of self-transformation, the child’s Otherness as a necessary means to avert discrimination. I suspect that disregard for the “substance” of Otherness is a flaw common to all non-discrimination disciplines. They make use of both the categories “direct discrimination” and “indirect discrimination” precisely in order to prevent the discriminatory attitudes camouflaged under the guise of general rules or norms tailored exclusively to the cultural features of the dominant groups. Nevertheless, in these legal texts there is no room for the objective discrimination that comes from a “simple” ignorance of the Other and the complete absence of any duty to provide oneself with the cognitive tools necessary to address this lack of knowledge61. On the other hand, such an inclination is also 61 Very interesting remarks on this topic can be found in N.E. Dowd (2016, p. 121 ff.). The author focuses on the fallacy of a “neutral developmental perspective” so often pervading the educative attitude assumed by adoptive parents and the hosting society, as well. More specifically, she emphasizes how the myth of neutrality, when applied to the cultural habits of the “receiving society”, can compromise the effectiveness of the principle of non-discrimination stated by Art. 2 CRC. She states: “The litany of examples of discrimination among children unfortunately is a long list. Added to that would be a global comparison that finds disadvantage and exploitation concentrated along race, gender and class lines. The persistence of those patterns, I would argue, should generate a shift in our developmental lens in order to achieve the goal of children’s equality. Where inequalities exist among children, Article 2 should trigger examination of the developmental consequences of those inequalities and the role of the state in perpetuating inequality, in order to ensure that children’s Article 3 best interests are served in maximizing their developmental potential. Where there are demonstrable differences in children’s developmental outcomes that fall along race, gender and/or class lines, a developmental lens To be or not to be adopted 1249 borne out by intercountry adoption. So, for example, if we consider the protocols regarding post-adoptive monitoring by social workers, what pops out immediately is the complete lack of concern for the intercultural practices of inclusion that the adoptive parents should be ready to address in order to support the child’s adaptive path. All these circumstances, when taken together, make the asymmetry inherent in the educative relationship (something that however regrettable, seems impossible to eliminate entirely) between parents and children amalgamate into a cultural asymmetry that ends up poisoning intercountry adoption. Precisely from the cultural perspective, by contrast, it would be essential to emphasize that educative relationships, if genuinely carried out in the child’s best interests, must necessarily be bi-directional. It is not only the child who “must” change: if the adoptive parents are to successfully educate a child from a different culture, they, too, must change in tune with the child. A dynamic relationship is required, inspired by the regulative ideal of reciprocal giving. For the same reason, any definition of the families resulting from intercountry adoption practices as “multi-ethnic” or “multicultural” is to be deemed seriously misleading. Multi-ethnicity or multi-culturality can be assumed only as initial conditions. The “processive teleological target” of those families should to be, instead, the invention of a common intercultural dome, as such equidistant from both the parents and the child. Only based on this figuration of past, present and future can all the adoptive family members grow together and advance their personal development. As regards adoption, I would like to be adamantly clear: education does not mean being the “God” of the child who is to be educated. Parents and children, at least from a cultural point of view, must be considered to occupy a level playing field. Otherwise the educative relationship will be doomed to fail or fall prey to tragic imbalances – often long dormant but destined to erupt even in the medium term. Conversely, turning towards the Other and intercultural translation efforts is to be intended as a mutual commitment without making any concessions to a misoneist or oneiric maintenance of the original psycho-cognitive informed by the consequences of those developmental challenges should be used to not only counter the effects of discrimination, but more importantly, to trigger obligations and responsibilities to dismantle those structures in the ecology that generate those disproportionate challenges, and implement systems that support children’s equal development.” . 1250 The best interest of the child condition of the adopted. Origins, and especially cultural ones, are not a fixed point in time and space. They are, rather, a function in the process of a renewing and ongoing conceptualization of the past in view of the construction of a fruitful relationship between any individual and her/his present life environment. For this reason, the disregard of the cultural origins of both the adoptive parents and the adopted child would mean losing access to a toolkit that is essential to achieving the intercultural transformation inherent in any process of personal growth among subjects called to coexist despite their differences. Quite the contrary, the international legislation on children’s rights and intercountry adoption neither helps nor promotes the development of widespread awareness about the importance of intercultural commitment. If one considers, for example, the sixth and seventh “principles” of the CRC, a complete indifference for the phenomenon of the extended families is obvious, despite the fact that in many cultures the people who are called “mother” do not exclusively coincide with the genetic one. As emphasized above, the subsequent tenth principle does not even consider the discriminatory consequences of ignorance about the children’s culture with regard to intercountry adoptive practices; in the same vein, we could consider the provision stated in Art. 2 of the CRC. The situation does not get any better if one looks at points five, six and seven of the CRC Preamble where the description of family life and the individual development of the child are almost exclusively focused on the Western conceptualization of family and personal subjectivity. Some further problems, then, arise with regard to Art. 5 of the CRC, where – apparently in contradiction with the previous principles and points – there is a specific referral to extended families. Actually, it is very difficult to infer from this provision how to combine the recognition of the extended family and the declaration of the state of abandonment of children as a prerequisite for their adoptability. Even if one compares this article to the HCIA statements, the question of whether a child included in an extended family can be declared to have a status of adoptability when s/he has lost her/his genetic parents remains quite ambiguous. Article 7 of the CRC establishes the fundamental right of a child to know her/his parent. Nonetheless this principle does not seem to be adequately connected with all the legislation on intercountry adoption (and not only) that instead exclude the right of the adopted children to know their birth parents. Another very problematic point, then, is To be or not to be adopted 1251 the interpretation of Art. 8 and the related protection of the identity, nationality, name and familiar relationships of the child in cases where this provision is to be combined with the inevitable transformations inherent in adoptive practices, especially the intercountry ones. If we consider the specific topic of this essay, Art. 20 of the CRC, and particularly its third paragraph, is of the utmost importance. This statement reads: 3. Such care could include, inter alia, foster placement, kafalah of Islamic law, adoption or if necessary placement in suitable institutions for the care of children. When considering solutions, due regard shall be paid to the desirability of continuity in a child’s upbringing and to the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background. In the above provision, what seems to be almost a conundrum is how the interpreters should understand “continuity” in the child’s ethnic, religious, cultural and linguistic background without any referral to the intercultural transformations that the adoptive parents and the adopted child are destined to undergo and manage. Something similar, however, is to be said with respect to Art. 21. Though this provision is to be commended for attempting to provide a real remedy against the speculative practices germinated in the past around intercountry adoption, subparagraphs c) and, indirectly, b) are almost indecipherable, at least without any connection to a (presumably lacking) preexisting and well-established intercultural competence. The subparagraphs at issue establish: a) Recognize that inter-country adoption may be considered as an alternative means of child’s care, if the child cannot be placed in a foster or an adoptive family or cannot in any suitable manner be cared for in the child’s country of origin; b) Ensure that the child concerned by inter-country adoption enjoys safeguards and standards equivalent to those existing in the case of national adoption. My question is: how is it possible to ask for a comparative assessment of the condition of the child’s safeguards and standards without any prior development of an intercultural understanding of the “relational being” of the child and his/her family relationships so as to promote their flourishing? In this vein, another critical point has to do with the necessity to coordinate Art. 17 of the CRC with Art. 29. In Article 17, the aim of the CRC is to underscore the role of mass media in the education of 1252 The best interest of the child the child and, particularly, in order to assure her/his attendant cultural life. But what cultural life is at issue if the child is adopted? Art. 17, as a matter of fact, includes some referrals to the international and multicultural sources of information to be made available for children. Of course, these referrals are dramatically insufficient to face the cultural hindrances that an intercountry adopted child could experience. On the other hand, Art. 21 seems, from this point of view, to confuse things even further: 1. States Parties agree that the education of the child shall be directed to: a) The development of the child’s personality, talents and mental and physical abilities to their fullest potential; b) The development of respect for human rights and fundamental freedoms, and for the principles enshrined in the Charter of the United Nations; c) The development of respect for the child’s parents, his or her own cultural identity, language and values, for the national values of the country in which the child is living, the country from which he or she may originate, and for civilizations different from his or her own; d) The preparation of the child for responsible life in a free society, in the spirit of understanding, peace, tolerance, equality of sexes, and friendship among all peoples, ethnic, national and religious groups and persons of indigenous origin; e) The development of respect for the natural environment. 2. No part of the present article or article 28 shall be construed so as to interfere with the liberty of individuals and bodies to establish and direct educational institutions, subject always to the observance of the principle set forth in paragraph 1 of the present article and to the requirements that the education given in such institutions shall conform to such minimum standards as may be laid down by the State. The article begins: “States Parties agree that the education of the child shall be directed to”62. If one focuses attention on subparagraph (c) and relates it to intercountry adopted children, the question of interculturality immediately pops into his/her mind but, unfortunately, remains entirely unanswered. According to the regulation, everything 62 My italic. To be or not to be adopted 1253 should proceed without impediment for the intercountry adopted child, except the mammoth difficulty of combining “the development of respect for his or her own cultural identity, language and values, for the national values of the country in which the child is living, the country from which he or she may originate, and for civilizations different from his or her own” in a hosting society plagued with cultural conflicts. Once again, interculturality seems to be the great absentee from legal concerns. Even the HCIA does not provide the answer that the CRC evades. Aside from a few statements relating to the child’s identity and ethnic, cultural, and religious background, as necessary information to be included by the Central Authority of the State of origin in its report about the prospective adopted child, nothing else can be found in this legal text with regard to culture or intercultural issues. Many further considerations could be proposed with regard to the so-called “distance adoption” as well as to “international foster care” and their relationships with traditional plenary adoption. But these issues, although closely linked to the argument at stake, are beyond the reach of this essay. The legal instruments analyzed here, however, concur to unearth the pervasive inconsistency that goes hand in hand with the parallel histories of adoption and the “blood family” icon. They seem to illustrate how the universal responsibility for children is increasingly becoming the cornerstone of a widespread duty for care perceived beyond reproductive blood linkages. On the other hand, interculturality is to be assumed as the necessary flip side of the dissemination of such practices insofar as they traverse distances, borders, races, cultures, religions and other differences. Although the ideal of color-blind adoption has often been branded as a utopian expectation63, the overcoming of exclusive adoptive parentage as the only remedy to the orphaning or abandonment of children comes to the fore as both a possible anthropological transformation and an already extant historical practice. Adoption, in other words, seems to be increasingly intended no longer as a surrogate of blood ties and parentage that is prototypically rooted in genetic derivation. The possibility of wriggling free from the straitjacket of blood parentage and descent and all its imagery should be championed, at least in my view, as a first and yet crucial step on the 63 See T. Hübinette (2016, p. 229). 1254 The best interest of the child thorny road towards the eradication of racism. My conviction is that if the day comes when all adult human beings are able to feel themselves to be, at least potentially, responsible for each child inhabiting the Earth, and to see in some sense all children as their own, the journey toward detoxifying the mind from racism will have begun. In spite of all its inner contradictions, or maybe because of them, the current adoptive legal experience seems to give a hint of hope that this possibility could be more than a utopian fantasy. Bibliography Alston P., The Best Interests Principle: Towards a Reconciliation of Culture and Human Rights, in International Journal of Law, Policy and the Family, 8, 1, April 1994, p. 1, https://doi.org/10.1093/lawfam/8.1.1 An-Na’im A., Cultural Transformation and Normative Consensus on the Best Interests of the Child, in International Journal of Law, Policy and the Family, 8, 1, April 1994, p. 62, https://doi.org/10.1093/lawfam/8.1.62 Anagnost A., A Surfeit of Bodies: Population and the Rationality of the State in Post-Mao China, in F.D. Ginsberg – R. Rapp (eds.), Conceiving the New World Order: The Global Politics of Reproduction, Berkeley, 1995, p. 22 Anagnost A., Scenes of Misrecognition: Maternal Citizenship in the Age of Transnational Adoption, in positions Asia critique, 8 (2), 2000, p. 389 Baden A.L. – Gibbons J.L. – Wilson S. L. – McGinnis H., Pre – and Post-Adoption Counseling Needs in International Adoption: Understanding the Social Ecology of Triad Members, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 81 Bailey J.D., Practice Model to Protect the Ethnic Identity of International Adoptees in journal of Family Social Work, 10 (3), 1, 2007, doi: 10.1300/J039v10n03_01 Bartholet E. – Smolin D.M., The Debate, in J.L. Gibbon – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016, p. 233 Bartholet E., The Hague Convention: Pros, Cons, and Potential, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 239 Bowie F. (ed.), Cross-Cultural Approaches to Adoption, New York, 2004 Briggs L. – Marre D., Introduction: The Circulation of Children, in L. Brigg. – D. Marre, (eds.), Global Inequalities and The Circulation of Children, New York-London, 2009, p. 1 Bromfield N.F. – Rotabi K.S., From Intercountry Adoption to Global Surrogacy: A Human Rights history and New Fertilitied Frontiers, Abingdon, Oxon – New York, 2017 To be or not to be adopted 1255 Cadoret A., Mothers for Others Between Friendship and the Market (translated by M. Dunham), in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 271 Cantwell N. (prepared by), Adoption and Children: A Human Rights Perspective. Council of Europe – Commissioner for Human Rights, CommDH/IssuePaper (2011)2 in https://rm.coe.int/adoption-and-children-a-human-rightsperspective-issue-paper commissio/16806dac00 Cantwell N., The concept of the best interests of the child: what does it add to children’s human rights?, in M. Sormunen (ed.), Council of Europe, The best interests of the child – A dialogue between theory and practice Milka Sormunen © Council of Europe, March 2016 Carp W.E., Family Matters: Secrecy and Disclosure in the History of Adoption, Cambridge, MA-London, 1998 Casey M.P., General, Generic and Indefinite: the Use of the Term ‘Son of man’ in Aramaic Sources and in the Teaching of Jesus, in Journal for the Study of the New Testament, 9 (29), 1987, p. 21 Casey M.P., Idiom and Translation: Some Aspects of the Son of man Problem, in New Testament Studies 41(2), 1995, p. 164 in http://dx.doi.org/10.1017/ S0028688500021226 Casey M.P., The Solution to the “Son of man Problem”, London, 2009 Colen S.,“Like a Mother to Them”: Stratified Reproduction and West Indian Childcare Workers and Employers in New York, in F.D. Ginsberg – R. Rapp (eds.), Conceiving the New World Order: The Global Politics of Reproduction, Berkeley, 1995, p. 78 Cronin H., The Ant and the Peacock: Altruism and Sexual Selection from Darwin to Today, New York, 1991 Dorow S., Transnational Adoption: A Cultural Economy of race, Gender, and Kinship, New York, 2006 Dowd N.E., A Developmental Equality Model for the Best Interests of Children, in E.E. Sutherland – L.A.B. Macfarlane (eds.), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, New York, 2016, p. 112 Duncan W., Regulating Inter-Country Adoption: An International Perspective, in A. Bainham – D.S. Pearl (eds.), Frontiers of Family Law, London, 1993, p. 46 Eekelaar J., The Interests of the Child and the Child’s Wishes: The Role of Dynamic Self-Determinism, in International Journal of Law and the Family, 8, April 1994, p. 42 https://doi.org/10.1093/lawfam/8.1.42 Eekelaar J., Two Dimensions of the Best Interests Principle: Decisions About Children and Decisions Affecting Children, in E.E. Sutherland – L.A.B. Macfarlane (eds.), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, New York, 2016, p. 50 Failinger M.A., Co-creating Families in an Interdependent World: A Lutheran Perspective on Intercountry Adoption Law, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. 1256 The best interest of the child Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 475 Fonseca C. – Marre D. – San Román B., Child Circulation in a Globalized Era: Anthropological Reflections, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 157 Fortin J., Children’s Rights and the Developing Law, Cambridge, 2009 Gibbons J.L. – Rotabi K.S., Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016 Goodno N.H., The Hague: An Endless Balancing Act of Preventing Intercountry Adoption Abuses and Finding Permanent Homes for Orphans, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 207 Gross M., The Desire for Parenthood among Lesbians and Gay Men (Translated by Léo Thiers-Vidal), in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York-London, 2009, p. 87 Hare D.R.A., The Son of man Tradition, Minneapolis, 1990 Henaghan M., Final Appeal Courts and Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: What Do the Best Interests of the Particular Child Have to Do with It?, in E.E. Sutherland – L.A.B. Macfarlane (eds.), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, New York, 2016, p. 81 Hermann K., Reestablishing the Humanitarian Approach to Adoption: The Legal and Social Change Necessary to End the Commodification of Children, in Family Law Quarterly, 44, 3, 2010, p. 409 Högbacka R., Maternal Thinking in the Context of Stratified Reproduction: Perspectives of Birth Mothers from South Africa, in J.L. Gibbons – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016, p. 143 Högbacka R., Transnational adoption and the exclusivity and inclusivity of families, in R. Jallinoja – E.D. Widmer (eds.), Families and kinship in contemporary Europe: Rules and Practices of Relatedness, New York, 2011, p. 129 Hollinger J.H., L’adoption ouverte aux États-Unis, in A. Fine – C. Neirinck (eds.), Parents de sang, parents adoptifs: Approches juridiques et anthropologiques de l’adoption – France, Europe, USA, Canada, Paris, 2000, p. 45 Howell S., Adoption of the Unrelated Child: Some Challenges to the Anthropological Study of Kinship, in Annual Review of Anthropology, 38 (1), 2009, p. 149 https://doi.org/10.1177/0142064X8700902902 Howell S., The Kinning of Foreigners: Transnational Adoption in a Global Perspective, New York-Oxford, 2006 Hübinette T., Post-Racial Utopianism, White Color-Blindness and “the Elephant in the Room”: Racial Issues for Transnational Adoptees of Color, in J.L. Gibbons To be or not to be adopted 1257 – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016, p. 221 Ingold T., An Anthropological Looks at Biology, in Man, XXV, 2, 1989, p. 208 Ingold T., Evolving Skills, in H. Rose – S. Rose – J. Cape (eds.), Alas, Poor Darwin: Arguments against the Evolutionary Psychology, London, 2000; also published as Three in One: On Dissolving the Distinction between Body, Mind and Culture, free downloadable at http://lchc.ucsd.edu/mca/Paper/ingold/ingold2.htm Juffer F. – Tieman W. Families with Intercountry Adopted Children: Talking About Adoption and Birth Culture, in J.L. Gibbons – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016, p. 211 Kendall L., “Birth Mothers and Imaginary Lives”, in T.A., Volkman (ed.), Cultures of Transnational Adoption, Durham-London, 2005, p. 162 Kohm L.M., Tracing the Foundations of the Best Interests of the Child Standard in American Jurisprudence, in Journal of Law & Family Studies, 10, 2008, p. 337, doi:10.2139/ssrn.1957143, Kutty F., Kafalah, Raadah, Istilhaq and the Best Interest of the Child, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 527 Legrand C., Routes to the Roots: Toward an Anthropology of Genealogical Practices, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 246 ff. Leinaweaver J.B., The Medicalization of Adoption in and from Peru, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 190 Marre D., “We Do Not Have Immigrant Children at This School, We Just Have Children Adopted from Abroad”: Flexible Understandings of Children’s “Origins”, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 226 Mathieu G., The child’s best interests and the right to know his or her origins, in The best interests of the child – A dialogue between theory and practice – Council of Europe. Strasbourg, 2016, p. 130 Meer N. – T. Modood – R. Zapata-Barrero (eds.), Multiculturalism and Interculturalism: Debating the Dividing Lines, Edinburgh, 2016 Mezmur B.D., “The sins of the “saviours”: Child Trafficking in the Context of Intercountry Adoption in Africa, 2010, Paper presented at the Special Commission of the Hague Conference on Private International Law, The Hague Netherlands, 3, https://www.hcch.net/en/publications-and-studies/ details4/?pid=6162&dtid=57. Miller L.C., Medical Status of Adopted Children, in J.L. Gibbons – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London-New York, 2016, p. 187 1258 The best interest of the child Ouellette F.R – Belleau H, The Social Temporalities of Adoption and the Limits of Plenary Adoption, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 69 Ouellette F.R – Belleau H., Family and Social Integration of Children Adopted Internationally: A Review of the Literature, Montrèal: INRS-Urbanisation, Culture et Société Institut national de la recherche scientifique Université du Québec, 2001 in http://espace.inrs.ca/5011/1/rap2001_01a.pdf Ricca M., Culture interdette. Modernità, migrazioni, diritto interculturale, Torino, 2013 Ricca M., Cultures in Orbit, or Justi-fying Differences in Cosmic Space: On Categorization, Territorialization and Rights Recognition, in International Journal for the Semiotics of Law, 31, 2018, p. 829, https://doi.org/10.1007/s11196018-9578-5 Ricca M., Errant Law: Spaces and Subjects, 2016, in SSRN: https://ssrn.com/ abstract=2802528 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2802528 Ricca M., How to Make Space and Law Interplay Horizontally: From Legal Geography to Legal Chorology, 2017, in SSRN: https://ssrn.com/abstract=2926651 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2926651 Ricca M., Intercultural Law, Interdisciplinary Outlines: Lawyering and Anthropological Expertise in Migration Cases Before the Courts, in E/C Rivista Telematica dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, March 2014. http://www.ec-aiss. it/index_d.php?recordID=709 Ricca M., Klee’s Cognitive Legacy and Human Rights As Intercultural Transducers: Modern Art, Legal Translation, and Micro-Spaces of Coexistence, in Calumet – Intercultural Law and Humanities Review, 2016b, in http://www.windogem. it/calumet/upload/pdf2/mat_51.pdf Ricca M., Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Bari, 2008 Schachter J.M., International Adoption: Lessons from Hawaii, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 52 Schachter J.M., Kinship with Strangers: Adoption and Interpretations of Kinship in American Culture, Berkeley, 1994 Schachter J.M., Open Adoption: Extending Families, Exchanging Facts, in New Directions in L., Stone (ed.), Anthropological Kinship, Lanham, 2001, p. 236 Sebeok T., Global Semiotics. Bloomington, 2001 Selman P., Global Trends in Intercountry Adoption: 2003-2013, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 9 Selman P., The Movement of Children for International Adoption Developments and Trends in Receiving States and States of Origin, 1998–2004, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 32 To be or not to be adopted 1259 Selman P., The Rise and Fall of Intercountry Adoption in the 21st Century: Global Trends from 2001 to 2010, in J.L. Gibbons – K.S. Rotabi, Intercountry Adoption: Policies, Practices, and Outcomes, London – New York, 2016, p. 7 Skivenes M. – Sørsdal L.M., The Child’s Best Interest Principle across Child Protection Jurisdictions, in A. Falch-Eriksen – E. Backe-Hansen (eds.), Human Rights in Child Protection, Cham, 2018, https://doi.org/10.1007/978-3-31994800-3_4 Skivenes M. – Søvig K.H., Judicial Discretion and the Child’s Best Interests: The European Court of Human Rights on Adoptions in Child Protection Cases, in E.E. Sutherland – L.A.B. Macfarlane (eds.), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, New York, 2016, p. 341 Skivenes M., Judging the Child’s Best Interests: Rational Reasoning or Subjective Presumptions?, in Acta Sociologica, 53(4), 2010, p. 339, doi: 10.1177/0001699310379142 Smolin D.M., Abduction, Sale and Traffic in Children in the Context of Intercountry Adoption, 2010, Paper presented at the Special Commission of the Hague Conference on Private International Law, The Hague Netherlands. Free downloadable at https://www.hcch.net/en/publications-and-studies/ details4/?pid=6162&dtid=57. Smolin D.M., Can the Center Hold? The Vulnerabilities of the Official Legal Regimen for Intercountry Adoption, in R.L. Ballard – N.H. Goodno – R.F. Cochron – J.A. Milbrandt (eds.), The Intercountry Adoption Dabate: Dialogues Across Disciplines, Newcastle, 2015, p. 245 Smolin D.M., Intercountry Adoption and Poverty: A Human Rights Analysis, in Capital University Law Review, 36 (Winter 2007), p. 415 Smolin D.M., The Two Faces of Intercountry Adoptions: The Significance of the Indian Adoption Scandals, in Seton Hall Law Review, 35, 2005, p. 403 Strathern M., Partners and Consumers: Making Relations Visible, in A.D. Schrift (ed.), The Logic of the Gift: Toward an Ethic of Generosity, New York, 1997, p. 292 Sutherland E.E., Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: The Challenges of Vagueness and Priorities, in E.E. Sutherland – L.A.B. Macfarlane (eds.), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, New York, 2016, p. 21 Vermes G., The “Son of man” Debate, in Journal for the Study of the New Testament, 1978, 1 (1), p. 19, https://doi.org/10.1177/0142064X7800100103 Yassari N. – Mollere L.M. – Majm M.C. (eds.), Filiation and the Protection of Parentless Children: Toward a Social Definition of the Family in Muslim Jurisdiction, Hamburg-Beirut, 2019 Yngvesson B., Belonging in an Adopted World: Race, Identity, and Transnational Adoption. Chicago-London, 2010 1260 The best interest of the child Yngvesson B., Placing the “Gift Child” in Transnational Adoption, in Law & Society Review, 2002, 36, no. 2, p. 227. Yngvesson B., Refiguring Kinship in the Space of Adoption, in D. Marre – L. Briggs, (eds.), International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York – London, 2009, p. 103 Tutela degli interessi del minore e normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare Adelina Adinolfi Sommario: 1. Interessi del minore e diritto al ricongiungimento familiare: i vincoli posti dalle convenzioni internazionali. – 2. Interessi del minore e protezione della vita familiare nelle fonti dell’Unione sulla tutela dei diritti fondamentali. – 3. Ricongiungimento familiare e libertà di circolazione delle persone. – 4. Il ricongiungimento familiare dei cittadini dell’Unione. – 5. Il ricongiungimento familiare dei cittadini Stati terzi. – 6. Qualche osservazione conclusiva. 1. Interessi del minore e diritto al ricongiungimento familiare: i vincoli posti dalle convenzioni internazionali Nel caso di trasferimento di un genitore (o di entrambi) in uno Stato diverso da quello di residenza, la tutela dell’interesse superiore del minore può trovare concreta espressione attraverso le regole che disciplinano il ricongiungimento familiare. È infatti attraverso tali regole che si consente di ricomporre la famiglia e di garantirne l’unità, permettendo al minore di accompagnare o di raggiungere il genitore nello Stato in cui quest’ultimo si è stabilito1. 1 Si omettono, per ragioni di spazio, riferimenti a contributi della dottrina in relazione ai diversi aspetti di seguito considerati. Limitandosi ad alcuni lavori monografici, cfr. E. Bergamini, La famiglia nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2012; B. Nascimbene – F. Rossi dal Pozzo, Diritti di cittadinanza e libertà di circolazione nell’Unione europea, 2012; R. Palladino, Il ricongiungimento familiare nell’ordinamento europeo, Bari, 2012; C. Morviducci, I diritti dei cittadini europei, Torino, 2014; C. Costello, The Human Rights of Migrants and Refugees in European Law, Oxford, 2016; C. Berneri, Family reunification in EU Law, Oxford, 2017; R. Friedery – L. Manca – R. Roskopf, Family Reunification: International, European and National Perspectives, Berlin, 2018. 1262 The best interest of the child La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza impone agli Stati parti di assicurare che il minore non sia separato dai propri genitori (art. 9, par. 1), precisando che da ciò discende l’obbligo di considerare le domande di ricongiungimento familiare “in a positive, human and expeditious manner” (art. 10, par. 1). Inoltre, l’obbligo generale di assicurare il rispetto dei “best interests” del minore in tutte le decisioni che lo concernono (art. 3, par. 1) comporta che a tali interessi debba essere data preminenza anche nell’esame delle domande di ricongiungimento. Rileva altresì il diritto alla vita familiare, enunciato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU)e, negli stessi termini, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea2; la Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti riconosciuto che “mutual enjoyment by parent and child of each other’s company constitutes a fundamental element of family life”, ed ha perciò ritenuto che “domestic measures hindering such enjoyment amount to an interference with the right protected by Article 8”3. Tale quadro normativo rende evidente l’incidenza che gli obblighi internazionali relativi al rispetto della vita familiare e al diritto del minore a non essere separato dai propri genitori producono rispetto alle normative di carattere restrittivo che regolano, nei Paesi europei, l’ammissione degli stranieri. Come ha chiarito la Corte di giustizia dell’UE, il diritto alla vita familiare comporta, infatti, per gli Stati membri, degli obblighi “che possono essere di carattere negativo, qualora uno di essi sia tenuto a non espellere un soggetto, ovvero di carattere positivo, quando l’obbligo sia quello di consentire ad un soggetto di fare ingresso e di risiedere sul proprio territorio”4. Il diritto dell’Unione europea impone agli Stati membri dei vincoli assai rilevanti in merito al ricongiungimento familiare del cittadino dell’Unione che soggiorni in un Paese membro diverso da quello di appartenenza; le regole sulla libertà di circolazione delle persone, delle quali si dirà poco oltre, conferiscono, infatti, al cittadino di uno Stato membro il diritto di farsi accompagnare o raggiungere dai propri fa2 L’art. 7 della Carta è ispirato all’art. 8 della CEDU, come chiariscono le Spiegazioni elaborate dal Praesidium della Convenzione europea. È opportuno ricordare che queste indicano le fonti delle disposizioni enunciate dalla Carta e hanno una funzione di carattere interpretativo come richiede l’art. 6, par. 1, TUE, secondo il quale la Carta deve essere interpretata “tenendo in debito conto le Spiegazioni”. 3 Così nel caso Monory v. Romania and Hungary, ricorso n. 71099/01, 5 aprile 2005, par. 70. 4 Sent. 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, causa C-540/03, par. 52. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1263 miliari, indipendentemente dalla nazionalità di questi ultimi5. Riguardo al ricongiungimento del cittadino di un Paese terzo con i propri familiari è invece lasciato agli Stati membri dell’Unione, nonostante l’adozione nel 2003 di una direttiva europea6, un ampio spazio discrezionale. Ne consegue che l’istituto del ricongiungimento familiare si articola variamente nell’ordinamento europeo allorché concerna i cittadini dell’Unione ovvero gli “extracomunitari”, determinando, perciò, un diverso grado di tutela dei medesimi diritti fondamentali ai quali esso dà concreta espressione; rispetto ai cittadini di Paesi terzi l’istituto si declina in modo ulteriormente differenziato in relazione, tra l’altro, allo status di soggiornante di lungo periodo7 o di rifugiato8 ovvero in ragione di particolari vincoli assunti dall’Unione sulla base di accordi di associazione e di cooperazione con Stati terzi9. È opportuno ricordare che tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono parti della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; essi sono, perciò, vincolati dai principi che questa enuncia anche allorché provvedono a dare applicazione o attuazione alle regole europee relative al ricongiungimento familiare. Inoltre, come sarà più oltre posto in rilievo, la Convenzione costituisce un importante punto di riferimento per il diritto dell’Unione, sia nella definizione del contenuto delle fonti primarie di tutela dei diritti umani, sia nell’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni; il diritto al ricongiungimento familiare previsto dalle normative dell’Unione esprime, in effetti, alcuni dei principi enunciati dalla Convenzione e ora “trasposti” nella Carta dei diritti fondamentali, attribuendo ad essi un 5 La normativa sul ricongiungimento presenta particolare incidenza pratica qualora il familiare per il quale è richiesta l’autorizzazione all’ingresso o al soggiorno non sia cittadino dell’Unione. Allorché il familiare sia, invece, cittadino di uno Stato membro, il ricongiungimento assume rilevanza solo quando tale cittadino sia privo dei requisiti ai quali è subordinato il diritto “primario” al soggiorno. 6 Direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, sulla quale cfr. infra, par. 5. 7 Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, regolamento 1560/2003, sulle modalità di applicazione del regolamento sullo Stato competente a esaminare le domande di protezione internazionale, con riguardo alla clausola umanitaria. 8 Il capo V della direttiva 2003/86 enuncia disposizioni più favorevoli per il ricongiungimento familiare dei rifugiati. Rilevano anche disposizioni della c.d. direttiva qualifiche (2011/95/UE) sul riconoscimento della protezione internazionale. 9 Ad es., l’accordo di associazione con la Turchia e le decisioni adottate in applicazione di questo. 1264 The best interest of the child contenuto concreto. Tuttavia, il ruolo che l’interesse del minore svolge in relazione al diritto al ricongiungimento non risulta con evidenza dal diritto dell’Unione, che è orientato a valorizzare, invece, la prospettiva di tutela della vita familiare del genitore; solo nella giurisprudenza più recente – che ci si propone di seguito di ricostruire brevemente al fine di individuarne le attuali linee di sviluppo – l’interesse del minore inizia ad apparire come un principio con caratteristiche di autonomia piuttosto che ricevere tutela indirettamente attraverso la realizzazione di differenti obiettivi normativi, quali la libertà di circolazione delle persone o l’integrazione sociale del lavoratore migrante. 2. Interessi del minore e protezione della vita familiare nelle fonti dell’Unione sulla tutela dei diritti fondamentali Nell’ordinamento dell’Unione europea, la vita familiare e gli interessi superiori del minore risultano tutelati, anzitutto, in quanto principi generali di cui la Corte di giustizia, secondo un consolidato orientamento, garantisce l’osservanza. La protezione dei diritti fondamentali è stata infatti definita, sin dalle origini della Comunità europea, attraverso fonti non scritte, sovraordinate agli atti normativi, ricostruite in via interpretativa nella giurisprudenza della Corte di giustizia. I principi generali – enunciati inizialmente anche al fine di compensare la mancanza di un elenco dei diritti fondamentali nel Trattato CE – svolgono, nel sistema delle fonti dell’Unione, la funzione di parametro di legittimità degli atti delle istituzioni e di criterio per la loro interpretazione ed integrazione. Secondo una giurisprudenza costante, i principi generali enunciati dalla Corte di giustizia devono essere rispettati anche dalle autorità nazionali – sia amministrative sia giudiziarie – qualora la normativa interna rientri nel “campo applicativo” del Trattato10. Per l’aspetto che qui interessa, ne deriva che, in presenza di tale condizione, le autorità nazionali sono tenute, allorché applichino norme interne che concernono il ricongiungimento familiare, a rispettare i diritti fondamentali nell’interpretazione accolta dalla Corte di giustizia. 10 Così, tra l’altro, nella sentenza 18 giugno 1991, ERT, causa C-260/89, par. 42. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1265 Ai fini dell’individuazione dei principi generali, la Corte si fonda sia sulle convenzioni internazionali alle quali gli Stati membri hanno cooperato o aderito, sia sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, secondo il metodo che è stato poi codificato, da ultimo, con il Trattato di Lisbona11. Richiamandosi al principio enunciato dall’art. 8 della CEDU, la Corte di giustizia ha più volte affermato che il rispetto della vita familiare “fa parte dei diritti fondamentali che (…) sono tutelati nell’ordinamento giuridico comunitario” (par. 41)12. La circostanza che l’art. 6, par. 3, del Trattato sull’Unione europea richiami solo la CEDU tra le fonti convenzionali utilizzate ai fini della ricostruzione dei principi generali non ha precluso alla Corte di riferirsi ad altri trattati pertinenti, quale, per ciò che qui rileva, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza13. Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, il quadro delle fonti di tutela dei diritti fondamentali si è arricchito per effetto dell’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dello stesso valore giuridico delle disposizioni dei Trattati istitutivi. I diritti enunciati dalla Carta, tra i quali figurano il rispetto della vita familiare (art. 7) e i principi di protezione del minore (art. 24), assumono così il rango di diritto primario dell’Unione, configurandosi come un ulteriore parametro di legittimità e di interpretazione degli atti derivati. Al rispetto della Carta sono tenuti anche gli Stati membri, “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione”, cioè nell’ambito definito dalla Corte di giustizia secondo criteri analoghi a quelli utilizzati ai fini dell’applicazione dei principi generali14. Non vi è dubbio, perciò, 11 Benché la formula utilizzata ai fini della codificazione non sia perfettamente coincidente con il metodo seguito dalla Corte, questa ha mantenuto la continuità del proprio orientamento; mi permetto di rinviare in proposito a La Corte di giustizia dell’Unione europea dinanzi ai principi generali codificati, in A. Annoni – S. Forlati – F. Salerno (cur.), La codificazione nell’ordinamento internazionale e dell’Unione europea, Napoli, 2019, p. 558 ss. 12 V., tra le altre, la sentenza 11 luglio 2002, Carpenter, causa C-60/00, par. 41. 13 Occorre però considerare che i richiami della giurisprudenza concernono talora atti normativi che contengono nel preambolo o nel testo un espresso richiamo alla Convenzione; v. ad es. la sent. 22 maggio 2012, P.I. c. Oberbürgermeisterin der Stadt Remscheid, causa C-348/09, che richiama la Convenzione di New York in quanto menzionata sia nel testo della direttiva 2004/38, sia nel preambolo della direttiva 2011/93 sulla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori. 14 Come affermato nella sentenza Åkerberg Fransson (26 febbraio 2013, causa C-617/10), “i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”, 1266 The best interest of the child che le normative e le prassi nazionali di attuazione delle direttive sul ricongiungimento familiare debbano essere conformi alla Carta, nell’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia. Sotto il profilo del contenuto, la Carta ha definito una tutela specifica dei diritti dei minori, ed ha altresì valorizzato il nesso con la Convenzione delle Nazioni Unite. Le Spiegazioni relative all’art. 24 della Carta chiariscono, infatti, che “questo articolo si basa sulla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (…) e in particolare sugli articoli 3, 9, 12 e 13 di detta Convenzione”. I diritti che la Carta afferma all’art. 24 coincidono in gran parte, benché espressi in modo più generale, con alcuni dei diritti tutelati dalla Convenzione. Tra questi, per ciò che qui interessa, la Carta enuncia, con una formulazione quasi identica a quella di cui all’art. 9, par. 3, della Convenzione, il diritto del minore di “intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse” (art. 24, par. 3)15. Di particolare importanza appare la “incorporazione” all’interno della Carta del principio dei best interests of the child, ponendo l’obbligo alle autorità pubbliche e alle istituzioni private di considerare preminente l’interesse superiore del minore in qualsiasi atto che lo riguardi (art. 24, par. 2). Nell’interpretazione della Carta, la Corte di giustizia ha di recente evidenziato il collegamento sostanziale tra il diritto alla protezione della vita familiare e l’obbligo di considerare l’interesse preminente del minore, costruendo così un sistema coerente di tutela fondato sui principi enunciati, rispettivamente, dalla CEDU e dalla Convenzione di New York. In una sentenza del 26 marzo 2019 essa ha affermato, infatti, che “l’articolo 7 della Carta deve essere (…) letto congiuntamente all’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima”; da tale schema interpretativo la Corte ha fatto discendere la conseguenza che, ricorrendo certe condizioni, un minore soggetto alla kafala algerina debba ottenere un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di vivere con il suo tutore nello Stato membro in cui questi si sia trasferito. per cui “l’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta”. 15 Come la Corte ha affermato in un caso riguardante la sottrazione internazionale di un minore, tale diritto ammette deroghe solo nell’interesse dello stesso minore: sent. 23 dicembre 2009, Detiček, causaC403/09 PPU. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1267 3. Ricongiungimento familiare e libertà di circolazione delle persone Il ricongiungimento familiare ha costituito il primo ambito del diritto dell’Unione in cui ha trovato espressione il diritto alla vita familiare ed hanno altresì assunto rilevanza i principi di protezione degli interessi del minore. La libertà di circolazione riconosciuta ai cittadini di Stati membri – inizialmente ai soli lavoratori migranti e poi collegata al possesso della cittadinanza dell’Unione – ha infatti, sin dall’avvio del processo di integrazione, posto l’esigenza, pur in mancanza di qualsiasi disposizione al riguardo nei Trattati istitutivi, di conferire al migrante il diritto di sviluppare la propria vita familiare nello Stato membro di trasferimento della residenza. Nella prospettiva dell’ordinamento dell’Unione, il diritto al ricongiungimento conferito ai cittadini di Stati membri persegue il fine precipuo di consentire al genitore che esercita la libertà di circolazione di tenere con sé il proprio figlio; si intende, quindi, tutelare il diritto del genitore alla propria vita familiare, piuttosto che la correlativa esigenza del figlio minore di intrattenere relazioni stabili con il genitore. Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia si è orientata nel senso di intendere il ricongiungimento familiare come un istituto funzionale alla libertà di circolazione delle persone piuttosto che quale espressione di un diritto fondamentale. È vero che la Corte non ha trascurato, sin dalle prime pronunce in materia, la rilevanza che il ricongiungimento presenta per il cittadino che trasferisca la propria residenza; così, ad esempio, in una sentenza resa nel 1989 in un procedimento di infrazione contro la Germania, essa ha riconosciuto che “il Consiglio ha preso in considerazione (…) l’importanza che riveste dal punto di vista umano, per il lavoratore, la riunione al suo fianco della famiglia”16. Tuttavia, la vita familiare è stata tutelata, coerentemente con gli obiettivi espressi sin dall’origine dal Trattato CEE, al fine di evitare gli ostacoli all’esercizio della libertà di circolazione che potrebbero sussistere qualora il lavoratore fosse privo della possibilità di condurre con sé i propri familiari. A tale argomento si è affiancata l’esigenza, in una giurisprudenza piuttosto ampia resa soprattutto negli anni Settanta, di garantire la piena parità di trattamento del lavoratore migrante riguardo anche ai benefici sociali previsti a vantaggio dei figli, facilitando l’integrazione della famiglia nello Stato membro ospitante17. 16 Sent. 18 maggio 1989, Commissione c. Germania, causa 249/86. 17 L’interesse del minore si riflette anche nella possibilità, che non è qui considerata, 1268 The best interest of the child Il carattere strumentale della riunificazione familiare è apparso, quindi, come un elemento ben consolidato nella giurisprudenza della Corte, ove si è affermata una particolare formula interpretativa che manifesta la volontà di far convergere la tutela del diritto fondamentale alla vita familiare verso l’obiettivo di garantire in modo effettivo e senza ostacoli la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. Tale formula si riscontra, ad esempio, nella sentenza del 2000 nel caso Carpenter ove è affermato che “il legislatore comunitario ha riconosciuto l’importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato” (par. 38)18. Anche in pronunce più recenti, sviluppate dopo un’evoluzione del sistema comunitario che ha portato sia a delineare la nozione di cittadinanza dell’Unione collegando a questa la libertà di circolazione, sia a sviluppare la tutela dei diritti fondamentali, si riscontra, tuttavia, un approccio volto a mantenere lo schema argomentativo tradizionale, fondato sul carattere strumentale del ricongiungimento familiare19. Tale particolare costruzione dell’intento del legislatore dell’Unione può destare perplessità sul piano teorico in quanto lascia intendere che il riconoscimento dei diritti fondamentali sia volto ad agevolare la libertà di circolazione piuttosto che svolgere il ruolo di parametro di legittimità nella definizione delle regole materiali. Inoltre, in una prospettiva di politica giudiziaria, una visione che configuri il diritto al ricongiungimento familiare in funzione essenzialmente strumentale rispetto all’esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione può sembrare espressione di una concezione ormai superata dell’integrazione europea, accentuando la centralità degli obiettivi volti alla realizzazione del mercato unico. D’altra parte, non si può trascurare che il diritto che egli permanga nello Stato in cui il genitore ha in precedenza soggiornato in modo da poter terminare il ciclo di studi avviato; a ciò si accompagna un diritto di soggiorno derivato a favore del genitore cittadino di uno Stato terzo che si prenda cura del figlio fino al momento in cui quest’ultimo raggiunge la maggiore età; cfr., tra le altre, 23 febbraio 2010, Ibrahim, causa C-310/08. 18 Cit., par. 38. V. anche, tra le altre, 29 aprile 2004, Orfanopoulos, causa C-482/01 e C-493/01, 9 gennaio 2003, Givane, causa C-257/00,e25 luglio 2008, Metock, causa C-127/08. 19 Cfr., tra le altre, la sent. 11 dicembre 2007, Eind, causa C-291/05, e la sent. Metock (cit.) ove si legge che “se i cittadini dell’Unione non fossero autorizzati a condurre una normale vita di famiglia nello Stato membro ospitante, sarebbe seriamente ostacolato l’esercizio delle libertà loro garantite dal Trattato” (par. 62). Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1269 al ricongiungimento enunciato dagli atti comunitari e poi dell’Unione è stato interpretato estensivamente dalla Corte di giustizia in quanto funzionale alla libertà di circolazione20, e che proprio il collegamento con il diritto di ingresso e soggiorno ha portato a riconoscere a tale istituto una portata più estesa di quella che potrebbe derivare dal riferimento alla tutela del diritto fondamentale alla vita familiare sulla base della CEDU21. Mentre, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo considera, in via di principio, che il diritto fondamentale sia rispettato allorché la vita familiare possa essere ricostituita altrove22, per la Corte di giustizia, invece, il diritto al ricongiungimento deve, coerentemente con la libertà di circolazione, essere riconosciuto nello Stato membro che è stato scelto dal cittadino dell’Unione ai fini della propria residenza. Da tale schema interpretativo derivano, come sarà di seguito indicato, importanti conseguenze riguardo alla portata del diritto di soggiorno riconosciuto ai minori aventi la cittadinanza di uno Stato membro. 4. Il ricongiungimento familiare dei cittadini dell’Unione Pur in mancanza di un fondamento giuridico specifico all’interno del Trattato CEE, il diritto ad essere accompagnati o raggiunti dai propri familiari è stato riconosciuto ai lavoratori migranti già con il regolamento 1612/1968, poi esteso ai lavoratori autonomi con la direttiva 73/148 e, negli anni Novanta, a seguito dell’ampliamento progressivo 20 V., tra le altre, sentenze 12 marzo 2014, O. e B., cause riunite C-456/12, C-258/12, par. 35, 5 giugno 2018, Coman e a., causa C-673/16, par. 18 e 10 luglio 2014, Ogieriakhi, C-244/13, par. 40. 21 Benché i diritti enunciati dalla Carta corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU debbano avere “significato e (…) portata” uguali a quelli enunciati dalla Convenzione (art. 52, par. 3), d’altra parte la stessa disposizione consente una tutela più favorevole a livello dell’Unione. 22 Cfr., tra le altre, sent. 28 maggio 1985, Abdoulaziz, Cabali and Balkandali v. The United Kingdom, ricorsi 9214/80, 9473/81, 9474/81, ove si afferma che dall’art. 8 non può risultare un obbligo generale dello Stato “to respect the choice by married couples of the country of their matrimonial residence and to accept the non-national spouses for settlement in that country”, specie qualora i coniugi “have not shown that there were obstacles to establishing family life in their own …home countries…” (par. 68). La Corte europea ha tuttavia indicato che circostanze eccezionali possono richiedere un diverso orientamento: v. ad es. 3 ottobre 2014, Jeunesse v. the Netherlands, n. 12738/10, par. 107, ove si ribadisce l’interpretazione sopra riferita dell’art. 8, aggiungendo che, tuttavia, “in a case which concerns family life as well as immigration, the extent of a State’s obligations to admit to its territory relatives of persons residing there will vary according to the particular circumstances of the persons involved and the general interest”. 1270 The best interest of the child dei beneficiari della libertà di circolazione, conferito a categorie di cittadini dell’Unione in possesso di determinati requisiti23, per essere infine regolato in modo unitario dalla direttiva 2004/38. La direttiva prevede il diritto del cittadino dell’Unione al ricongiungimento con i familiari che vi sono elencati, tra i quali, per ciò che qui interessa, “i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b”. L’estensione del diritto al ricongiungimento anche rispetto ai figli del coniuge o del partner persegue indirettamente la protezione degli interessi del minore, il quale potrà riunirsi al proprio genitore (anche se cittadino di Stato terzo) allorché quest’ultimo sia ammesso al soggiorno in ragione del proprio legame con un cittadino dell’Unione. La Corte ha precisato che il legame di filiazione dev’essere inteso in senso ampio, comprendendo quello “di natura biologica o giuridica”; di conseguenza, la nozione di discendente diretto di un cittadino dell’Unione ai sensi della direttiva include “tanto il figlio biologico quanto il figlio adottivo (…), allorché è dimostrato che l’adozione crea un legame di filiazione giuridica tra il minore e il cittadino dell’Unione interessati”; la nozione non si estende, invece, a particolari forme di affidamento del minore, come la kafala algerina, ritenute non equiparabili ad un rapporto di filiazione24. Le regole enunciate dalla direttiva si applicano soltanto ai cittadini dell’Unione che esercitano la libertà di circolazione, restando perciò escluse in via di principio le situazioni meramente interne ad uno Stato membro; al cittadino che non si trasferisca dallo Stato di appartenenza si applicheranno, pertanto, le normative nazionali – eventualmente meno favorevoli di quelle enunciate dalla direttiva25 – ai fini del ricongiungimento familiare. Tuttavia, dall’esigenza di garantire in modo effettivo e senza ostacoli i diritti conferiti ai cittadini dell’Unione la Corte di giustizia ha tratto due conseguenze di grande rilievo sotto il profilo dell’unità familiare e dei diritti dei minori. 23 A ciò hanno provveduto le tre direttive sul soggiorno 90/364/CE, 90/365/CE e 93/96/ CE, poi abrogate dalla direttiva 2004/38/CE. 24 Sent. 26 marzo 2019, SM c. Entry Clearance Officer, UK Visa Section, causa C-129/18. 25 Talora gli Stati membri, al fine di evitare “discriminazioni al rovescio” (cioè, a danno dei cittadini che non esercitano la libertà di circolazione) allineano ai criteri previsti dalla direttiva la normativa nazionale applicabile alle situazioni meramente interne; cfr. in proposito sent. 7 novembre 2018, C, A, causa C-257/17. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1271 In primo luogo, il cittadino può far valere l’applicazione della direttiva verso il proprio Stato di appartenenza qualora vi rientri dopo aver esercitato la libertà di circolazione26; ciò comporta, in sostanza, che il soggiorno dei familiari nello Stato membro di cui è cittadino il titolare del diritto al ricongiungimento non potrà essere soggetto a condizioni più rigorose di quelle definite dalla direttiva27. Nella prassi, tale eventualità può risultare assai rilevante considerato che le condizioni per il ricongiungimento previste sulla base di normative nazionali possono essere più restrittive di quelle enunciate dalla direttiva e, inoltre, che anche brevi periodi di soggiorno in un altro Stato membro sono idonei, secondo la giurisprudenza della Corte, a consentire al cittadino l’acquisizione dello “status” di beneficiario della libertà di circolazione28. In secondo luogo, la Corte ha recentemente costruito una sorta di ricongiungimento “al rovescio” fondandosi sul diritto del figlio minore, cittadino dell’Unione, di risiedere in uno Stato membro; da tale diritto la Corte ha tratto l’obbligo degli Stati membri di consentire il soggiorno del genitore, cittadino di un Paese terzo, che si prende cura del minore qualora quest’ultimo sarebbe altrimenti costretto a lasciare l’Unione. Tale particolare filone giurisprudenziale ha preso avvio con la sentenza Chen29 nella quale la Corte ha affermato che le norme dell’Unione “conferiscono al cittadino minorenne in tenera età di uno Stato membro, coperto da un’adeguata assicurazione malattia ed a carico di un genitore, egli stesso cittadino di uno Stato terzo, le cui risorse siano sufficienti affinché il primo non divenga un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante, un diritto di soggiorno a durata indeterminata sul territorio di quest’ultimo Stato”; in tal caso, il diritto dell’Unione permette altresì “al genitore che ha effettivamente la custodia di tale cittadino di soggiornare con quest’ultimo nello Stato membro 26 V. tra le altre la sent. Eind, cit., par. 45. Una situazione analoga si crea allorché il cittadino dell’Unione acquisisca la cittadinanza dello Stato membro in cui si è trasferito; benché non sia applicabile il tal caso la direttiva 2004/38, il diritto di soggiorno può essere tratto dall’art. 21, par. 1, TFUE: sent. 14 novembre 2017, Toufik Lounes, causa C-165/16, par. 62. 27 Cfr. le sentenze 12 marzo 2014, O. e B., C456/12, par. 50 e 10 maggio 2017, ChavezVilchez, causa C-133/15, par. 54. 28 La Corte ha ritenuto che anche un’attività lavorativa “esercitata a tempo determinato per un periodo di due mesi e mezzo” potesse attribuire al cittadino di uno Stato membro la qualifica di lavoratore: sent. 6 novembre 2003, Ninni-Orasche, causa C-413/01, par. 32. 29 Sent. 19 ottobre 2004, Chen, causa C-200/02. 1272 The best interest of the child ospitante” (par. 47). Il principio così enunciato ha trovato più compiuta espressione nel caso Zambrano30; la Corte ha affermato che gli Stati membri sono tenuti ad autorizzare il soggiorno dello straniero che sia genitore di cittadini dell’Unione in tenera età per evitare che questi ultimi siano privati “del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione” (par. 42). Seguendo un orientamento pragmatico basato sul principio interpretativo dell’effetto utile, la Corte si fonda, quindi, sul presupposto che il diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione di minore età verrebbe inevitabilmente vanificato se non fosse consentita la presenza, nello Stato membro di residenza, del genitore che se ne prende cura. La giurisprudenza successiva31 ha fornito importanti precisazioni, sottolineando, tra l’altro, il carattere “eccezionale” di tale meccanismo, ma chiarendo, d’altro lato, che esso trova applicazione anche quando il minore non abbia previamente esercitato la libertà di circolazione. È stato altresì dichiarato che spetta al giudice del rinvio verificare se dal diniego dell’autorizzazione al soggiorno a delle cittadine di paesi terzi “potrebbe risultare una restrizione dei diritti che sono conferiti ai loro figli dallo status di cittadino dell’Unione, in particolare del diritto di soggiorno, dato che detti figli potrebbero essere costretti ad accompagnare la loro madre e dunque a lasciare il territorio dell’Unione, globalmente considerato”32. Tale recente orientamento comporta per il giudice nazionale il difficile compito di individuare gli elementi che consentono di ritenere che senza le cure del genitore cittadino di uno Stato terzo il figlio sarebbe costretto a lasciare l’Unione venendo così privato dei diritti connessi al possesso della cittadinanza europea. Se si tratta senza dubbio di una valutazione che può essere condotta solo in relazione alle particolarità dei singoli casi, tuttavia alcune indicazioni possono trarsi dalla giurisprudenza della Corte. Così, nella sentenza del 2012, O e a.33, la Corte 30 Sent. 8 marzo 2011, Zambrano, causa C-34/09. Sotto il profilo sostanziale, non ha implicazioni di rilievo la circostanza che il fondamento dell’argomentazione della Corte sia nell’art. 20 TFUE (come nel caso Chen) o nell’art. 21 (come nel caso Zambrano). 31 V., tra le varie sentenze, 15 novembre 2011, Dereci e a., causa C-256/11, 8 novembre 2012, Iida, causa C-40/11, 8 maggio 2013, Ymeraga e a., causa C-87/12, 10 ottobre 2013, Alokpa e Moudoulou, causa – C86/12, 13 settembre 2016, Rendón Marín, causa C-165/14, 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez, cit. 32 Sent. Chavez-Vilchez, cit., par. 65. 33 Sent. 6 dicembre 2012, O., S., cause riunite C-356/11 e C-357/11. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1273 ha dato rilievo all’affidamento del figlio e alla circostanza che l’onere giuridico, finanziario o affettivo correlato al figlio sia sopportato dal genitore cittadino di un paese terzo (par. 51). Appare rilevante che la Corte non si limiti a considerare elementi di carattere formale (l’affidamento) ed economico (il mantenimento del figlio), ma valorizzi il legame affettivo del minore con il genitore. È infatti “la relazione di dipendenza tra il cittadino dell’Unione in tenera età e il cittadino di un paese terzo al quale è negato un diritto di soggiorno che può mettere in discussione l’efficacia pratica della cittadinanza dell’Unione dal momento che è tale dipendenza a far sì che il cittadino dell’Unione sia costretto, di fatto, ad abbandonare non soltanto il territorio dello Stato membro del quale è cittadino, ma anche quello dell’Unione considerato nel suo complesso, come conseguenza di una siffatta decisione di diniego” (par. 56). Ne deriva, come affermato in una pronuncia del 2018 ai fini dell’interpretazione della direttiva rimpatri, che “l’esistenza di un vincolo familiare con tale cittadino, di tipo biologico o giuridico, non è sufficiente” e che, d’altra parte, la convivenza è uno degli elementi da prendere in considerazione ma non è ritenuta necessaria affinché sussistano le condizioni ritenute necessarie ai fini della costruzione di un diritto di soggiorno derivato a favore del genitore34. È evidente come nel procedere all’accertamento delle condizioni enunciate dalla Corte non possa essere trascurata la situazione dell’altro genitore, specie quando questo sia cittadino dell’Unione. A tale riguardo la Corte ha rilevato, nella sentenza Chavez-Vilchez, che, “ai fini di tale valutazione, il fatto che l’altro genitore, cittadino dell’Unione, sia realmente capace di – e disposto ad – assumersi da solo l’onere quotidiano ed effettivo del figlio minorenne costituisce un elemento pertinente, ma che non è di per sé solo sufficiente per poter constatare che non esiste, tra il genitore cittadino di un paese terzo e il minore, una relazione di dipendenza tale per cui quest’ultimo sarebbe costretto a lasciare il territorio dell’Unione qualora al suddetto cittadino di un paese terzo venisse rifiutato un diritto di soggiorno”. Ne discende che la circostanza che all’accudimento del figlio possa provvedere il genitore cittadino dell’Unione non esclude di per sé l’esigenza di costruire un diritto di soggiorno dell’altro genitore privo di tale cittadinanza. Infatti, una decisione che neghi tale esigenza “deve essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del minore di cui trattasi, 34 Sent. 8 maggio 2018, KA e al., causa C-82/16, par. 72 e 73. 1274 The best interest of the child dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, dell’età del minore, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva sia con il genitore cittadino dell’Unione sia con il genitore cittadino di un paese terzo, nonché del rischio che la separazione da quest’ultimo comporterebbe per l’equilibrio di tale minore”. Tale importante affermazione sembra essere il punto di arrivo di un’evoluzione giurisprudenziale che, muovendo dalla libertà di circolazione delle persone, porta in sostanza a prescindere dal previo esercizio di tale libertà, e consente, benché sulla base di criteri di non facile individuazione, di tutelare l’interesse del minore a risiedere nell’Unione. Ne deriva che se, quindi, il diritto al ricongiungimento si impernia sulla tutela della vita familiare del genitore, tale recente giurisprudenza valorizza, invece, la posizione del figlio minore in quanto titolare dei diritti derivanti dal possesso della cittadinanza dell’Unione. 5. Il ricongiungimento familiare dei cittadini Stati terzi La direttiva 83/2006 riconosce, in presenza di determinate condizioni, il diritto del cittadino di uno Stato terzo di farsi raggiungere o accompagnare dai propri familiari; la tutela della vita familiare è in questo caso – diversamente da quanto sopra rilevato in relazione ai cittadini degli Stati membri –l’obiettivo prioritario a cui tende il legislatore dell’Unione, insieme alla volontà di favorire l’integrazione dello straniero nello Stato di residenza. Tra i familiari ammessi al ricongiungimento si elencano, prendendo in considerazione ai nostri fini solo i discendenti, i figli comuni del soggiornante e del coniuge ed anche quelli del solo soggiornante o del solo coniuge dei quali essi abbiano, rispettivamente, l’affidamento e con il consenso dell’altro genitore35; i figli “devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati”. L’obbligo degli Stati membri, nell’esame della domanda di ricongiungimento, di tenere “nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori” è enunciato espressamente dalla direttiva (art. 5, par. 5). Senza voler qui descrivere i contenuti di tale atto, è tuttavia utile ricordare che il diritto al ricongiungimento è attribuito in via di principio al cittadino di uno Stato terzo che sia in possesso di un permesso di soggiorno di durata almeno annuale ed abbia “una fondata prospettiva 35 Cfr. l’art. 4 della direttiva. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1275 di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile”. Tuttavia, gli Stati membri possono prevedere o mantenere ulteriori condizioni, quali la disponibilità di un alloggio, di un’assicurazione per le malattie, di risorse stabili, regolari e sufficienti, e anche il superamento di un “esame di integrazione” da parte del familiare; può inoltre essere richiesto che lo straniero abbia già soggiornato per un certo periodo di tempo (non oltre due anni) nello Stato membro di residenza. È evidente, perciò, che se la direttiva intende conferire agli stranieri il diritto al ricongiungimento, quest’ultimo può avere tuttavia una portata assai ridotta in ragione della presenza di numerosi requisiti che gli Stati membri possono introdurre o mantenere. La formulazione generica di alcune delle condizioni apre, peraltro, ampi spazi di discrezionalità, realizzando, in definitiva, un’armonizzazione alquanto ridotta degli ordinamenti nazionali; i requisiti indicati riflettono, infatti, quelli che già erano previsti in alcuni Stati membri, secondo una tecnica normativa volta ad agevolare il raggiungimento del compromesso politico necessario ai fini dell’adozione della direttiva. È altrettanto evidente che le varie condizioni ulteriori che gli Stati possono prevedere implicano il rischio, se non intese in modo rigoroso, di pregiudicare i diritti fondamentali, con riguardo, in particolare, alla protezione della vita familiare e alla tutela degli interessi superiori del minore. Tale rischio, apparso sin dal momento dell’adozione dell’atto, ha indotto il Parlamento europeo ad impugnare la direttiva deducendone l’illegittimità per contrasto con i diritti fondamentali del minore36. I principali vizi di legittimità dedotti riguardavano la possibilità di subordinare il ricongiungimento dei figli di più di 12 anni a condizioni relative alla loro capacità di integrazione e di prevedere che le domande di ricongiungimento siano presentate prima del quindicesimo anno d’età se così già stabilito nell’ordinamento nazionale. Senza entrare nel merito della pronuncia, basti qui ricordare che la Corte ha escluso l’illegittimità dell’atto in quanto esso consente di essere interpretato in modo conforme ai diritti fondamentali. Infatti, il margine discrezionale lasciato agli Stati membri “è sufficientemente ampio per consentire loro di applicare le regole della direttiva in senso conforme alle esigenze derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali” (par. 104). Perciò, gli Stati membri “devono (…) provvedere (…) a prendere debitamente in considerazione l’interesse superiore del minore (parr. 63 e 101). 36 Sent. 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, causa C-540/03. 1276 The best interest of the child Tale pronuncia non si sottrae a rilievi critici nei confronti di una soluzione interpretativa che affida agli Stati membri il compito di assicurare il rispetto degli standard di tutela, “spostando” così le garanzie sul rispetto dei diritti fondamentali alla fase dell’attuazione e dell’applicazione dell’atto. In una prospettiva pragmatica, è tuttavia innegabile che se la Corte avesse annullato l’atto (o parte di esso) ben difficilmente si sarebbe raggiunto il consenso politico necessario per l’adozione di una nuova direttiva: “salvare” l’atto ha invece consentito alla Corte, come mostra l’evoluzione giurisprudenziale più recente, di valorizzarne il contenuto e di espanderne le potenzialità di tutela, orientando l’interpretazione, grazie ai rinvii pregiudiziali proposti, verso una definizione comune dei diritti fondamentali. La Corte ha infatti sviluppato uno schema interpretativo che si richiama alla finalità della direttiva, evidenziando che poiché essa è volta ad agevolare il ricongiungimento familiare, deve correlativamente essere accolta un’interpretazione restrittiva delle condizioni e dei limiti e ai quali il diritto può essere soggetto37. Pertanto, la discrezionalità riconosciuta agli Stati membri non può “essere impiegata dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva, che è di favorire il ricongiungimento familiare, e il suo effetto utile”38 (par. 43). Su tale argomento la Corte si è fondata per dichiarare, tra l’altro, nella stessa sentenza, che “essendo l’autorizzazione al ricongiungimento familiare la regola generale”, la condizione relativa alla disponibilità di risorse sufficienti “dev’essere interpretata restrittivamente” (par. 43). Al criterio teleologico si affianca un’interpretazione orientata alla tutela dei diritti fondamentali, come emerge con chiarezza da una successiva pronuncia39 nella quale la condizione della disponibilità di risorse adeguate è stata valutata tenendo conto non soltanto degli obiettivi della direttiva e dell’esigenza di assicurarne l’effetto utile, ma anche alla luce del principio che impone “agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento in questione nell’interesse dei minori di cui trattasi e nell’ottica di favorire la vita familiare” (par. 80). 37 Senza poterne qui dare conto, non può trascurarsi l’importanza che rivestono (anche ai fini della decisione di avviare un procedimento di infrazione) le posizioni espresse dalla Commissione europea; v. in particolare la Comunicazione concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE (COM(2014) 210 def., 3 aprile 2014). 38 Sent. 4 marzo 2010, Chakroun, causa C-578/08. 39 Sent. 6 dicembre 2012, O., S., cit. Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1277 Sulla base di tale schema interpretativo anche il potere discrezionale che la direttiva, nella sua formulazione letterale, accorda agli Stati membri in relazione all’esame di integrazione è stato inteso in modo rigoroso; questo deve tendere a promuovere l’inserimento del familiare nel contesto sociale dello Stato, mentre non sarebbe ammissibile qualora “impedisse automaticamente il ricongiungimento (…) dei familiari del soggiornante laddove, pur non avendo superato l’esame di integrazione, questi ultimi abbiano fornito la prova della loro volontà di superare tale esame e degli sforzi compiuti a tale scopo”. Infatti, le misure di integrazione previste dalla direttiva “devono avere come finalità non quella di selezionare le persone che potranno esercitare il loro diritto al ricongiungimento familiare, ma facilitare l’integrazione di queste ultime negli Stati membri”40. All’interpretazione rigorosa delle condizioni limitative si accompagna, nella giurisprudenza recente, la costruzione di un diritto al ricongiungimento correlativo all’obbligo posto agli Stati membri dalla direttiva; quest’ultima, infatti, “impone agli Stati membri obblighi positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti” e, dunque, richiede ad essi “di autorizzare il ricongiungimento familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di discrezionalità in proposito”41. 6. Qualche osservazione conclusiva La breve ricognizione che si è svolta esaminando la normativa e la giurisprudenza sul ricongiungimento familiare dall’angolo visuale della tutela dell’interesse del minore, induce anzitutto ad osservare come la “incorporazione” nel diritto dell’Unione della regola relativa al miglior interesse del minore rafforzi in sostanza, in virtù del principio del primato, l’efficacia che la regola espressa dalla Convenzione di New York produce nei rapporti con le normative nazionali. Il principio della tutela degli interessi superiori del minore acquista, infatti, la medesima efficacia della fonte del diritto dell’Unione che lo enuncia: pertanto, esso si colloca ormai a livello di diritto primario per il tramite dell’art. 24 della Carta, e trova altresì specifica espressione in atti normativi concernenti diverse aree di competenza dell’Unione, da quella 40 Sent. 9 luglio 2015, K,A, causa C-153/14. 41 Ivi, par. 46. 1278 The best interest of the child internazionalprivatistica, a quelle relative alla protezione internazionale, alla politica dell’immigrazione, al contrasto della criminalità, alla libertà di circolazione delle persone42. La giurisprudenza della Corte di giustizia più sopra esaminata ha messo in luce le importanti conseguenze che derivano dall’interpretazione della normativa dell’Unione sul ricongiungimento familiare in conformità al principio del migliore interesse del minore. Riguardo al ricongiungimento dei cittadini dell’Unione, il riconoscimento del diritto di soggiorno del minore contribuisce ad una progressiva erosione delle situazioni puramente interne, sviluppando, benché in base ad un criterio incerto e di non facile definizione da parte delle autorità nazionali, un orientamento che consente al genitore che provvede alla cura del minore di soggiornare nello Stato membro in cui il figlio risiede; benché tale giurisprudenza sia motivata dalla volontà di assicurare i diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione, essa porta a far prevalere l’interesse del minore poiché richiede, secondo le pronunce più recenti, di tenere in debito conto la relazione affettiva con ciascuno dei genitori e di valutare i rischi che per l’equilibrio del minore comporterebbe la separazione dal genitore cittadino di un paese terzo. Il ruolo svolto dal principio di tutela degli interessi del minore appare con maggiore evidenza riguardo al diritto al ricongiungimento dei cittadini di Stati terzi, rispetto al quale esso ha portato ad intendere in modo molto rigoroso le condizioni limitative, grazie anche ad uno stretto raccordo interpretativo con il diritto alla vita familiare. Il principio del miglior interesse del minore contribuisce, in tal caso, non solo a determinare un’interpretazione restrittiva di limiti e condizioni del ricongiungimento, ma rafforza anche, per il tramite del diritto dell’Unione, l’efficacia dell’obbligo posto agli Stati membri dall’art. 3, par. 1, della Convenzione delle Nazioni Unite. Su un piano più generale, il ruolo svolto da tale principio nella giurisprudenza della Corte di giustizia evidenzia come la “codificazione”, all’interno della Carta, di diritti fondamentali che trovano la propria origine in fonti diverse di protezione dei diritti umani consenta più agevolmente di sviluppare un’interpretazione sistematica, favorendo l’applicazione uniforme dei principi nel contesto europeo. 42 Rinvio per qualche precisazione al riguardo a La rilevanza della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia nell’ordinamento dell’Unione europea, in I trent’anni della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (in corso di stampa). Normativa dell’unione europea sul ricongiungimento familiare 1279 Bibliografia Annoni A. – Forlati S. – Salerno F. (cur.), La Corte di giustizia dell’Unione europea dinanzi ai principi generali codificati, La codificazione nell’ordinamento internazionale e dell’Unione europea, Napoli, 2019, p. 558 ss. Bergamini E., La famiglia nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2012 Berneri C., Family reunification in EU Law, Oxford, 2017 Costello C., The Human Rights of Migrants and Refugees in European Law, Oxford, 2016 Friedery R. – Manca L. – Roskopf R., Family Reunification: International, European and National Perspectives, Berlin, 2018 Morviducci C., I diritti dei cittadini europei, Torino, 2014 Nascimbene B. – F. Rossi dal Pozzo, Diritti di cittadinanza e libertà di circolazione nell’Unione europea, 2012 Palladino R., Il ricongiungimento familiare nell’ordinamento europeo, Bari, 2012 Minore migrante e tutela dei diritti umani Silvia Albano L’art. 2 della Costituzione italiana testualmente recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia all’interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale”. Nell’art. 2 si trova il solenne riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo nei confronti dello Stato Italiano. Con esso viene affermato il principio che persino il potere sovrano si deve arrestare davanti a questi diritti della persona. Nonché l’inscindibile legame tra i diritti fondamentali ed il dovere di solidarietà, senza il quale non è possibile l’inveramento dei primi. Il riferimento alle formazioni sociali ove si svolge la personalità consente di ritenere anche il minore direttamente titolare di diritti fondamentali (all’epoca dell’adozione della Costituzione non era scontato). La potenza del dovere di solidarietà, in stretta correlazione con i diritti fondamentali ed inviolabili – aventi, insieme, carattere fondativo della stessa democrazia –, si è dispiegata in vari ambiti interpretativi ed i giudici ne hanno fatto diverse applicazioni (dall’abuso del diritto, alle relazioni familiari ed economiche), Rodotà, nel celebre libro “solidarietà un’utopia necessaria”, ne ha disvelato il valore universalistico, legato alla persona in quanto tale: il carattere cosmopolita del dovere di solidarietà. Rodotà riteneva che il ripudio della solidarietà e le politiche di esclusione dessero luogo a conflitti insanabili e l’unico modo di superare e governare i conflitti fosse fare buona applicazione del concetto universalistico di solidarietà, affermato dalle nostre costituzioni. Quanto oggi sta avvenendo nel mondo e che ha spinto Papa Francesco a parlare di terza guerra mondiale, sta lì a ricordarcelo. 1282 The best interest of the child Tutti gli stranieri godono della protezione dei diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme interne, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, ai sensi dell’articolo 2 del Testo Unico sull’immigrazione e dell’articolo 10, comma 1, della Costituzione. I diritti fondamentali appartengono, infatti, all’umanità in quanto tale. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, diventata vincolante per gli stati grazie al Trattato di Lisbona, enuncia un nucleo di diritti fondamentali che investono la persona in quanto tale e che definiscono anche la sfera di libertà di ciascuno, che nessun potere esterno può penetrare, sottraendo così i diritti fondamentali alla tirannia di qualsiasi maggioranza. La Carta riprende in un unico testo, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, i diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei nonché di tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione. Il costituzionalismo moderno, attraverso la rilevanza primaria attribuita alla dignità umana, ha voluto reagire ad una concezione di umanità fondata sull’esclusione di chi non corrispondeva ad un determinato modello, che aveva portato agli esiti infausti che abbiamo conosciuto e culminati nella seconda guerra mondiale. Hannah Arendt, nel suo “Le origini del totalitarismo”, ci ricorda che il diritto ad avere diritti od il diritto di ogni individuo all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa. La dignità umana, nell’evoluzione del pensiero e del diritto, è divenuta fondamento di tutti i diritti, facendo corpo con i diritti fondamentali di libertà, eguaglianza e solidarietà in una logica di indivisibilità nella loro interpretazione (come afferma Stefano Rodotà nel suo “Il diritto di avere diritti”). La tutela dei diritti umani è quindi universale, derivante dal diritto alla dignità umana inerente ad ogni essere umano, e deve, pertanto, essere garantita ai migranti in quanto tali, qualsiasi sia la ragione della migrazione. Tra le categorie vulnerabili di migranti bisognose di particolare protezione sono senz’altro ricomprese le persone minori di età. La convenzione di New York sui diritti del fanciullo obbliga lo Stato che la ha ratificata ad applicarla a tutti i fanciulli che si trovano sul suo territorio, anche se non in modo stabile e prescindendo dal fatto che essi abbiano un valido titolo per soggiornarvi. In altre parole, le garanzie ed Minore migrante e tutela dei diritti umani 1283 i principi generali ivi previsti (in particolare i principi di non discriminazione (art. 2); il principio del superiore interesse del minore (art. 3); il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art. 6), ed il diritto alla partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12)) devono essere assicurati dagli Stati non solo ai propri cittadini, ma a tutti i minori che si trovano sotto la sua giurisdizione, indipendentemente dalla regolarità di soggiorno. La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 19 dicembre 2017, resa pubblica il 29 gennaio 2018, ha ribadito tali principi invitando gli Stati membri a promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti i migranti, a prescindere dal loro status migratorio, raccomandando un’attenzione particolare per le donne ed i minori ed evitando approcci che potrebbero minare ulteriormente la vulnerabilità dei migranti stessi. Raccomanda, poi, a tutti gli stati di mettere in atto azioni e procedure che diano concreta attuazione all’interesse superiore del minore, che deve avere considerazione primaria in tutte le azioni e decisioni riguardanti i minori migranti, indipendentemente da loro status migratorio, e mettano fine alla detenzione di minori migranti. Nella risoluzione del Parlamento europeo del 3 maggio 2018 sulla protezione dei minori migranti si invitano “gli Stati membri a dare attuazione al principio dell’interesse superiore del minore in tutte le decisioni che lo riguardano, indipendentemente dal suo status” e si prevedono una serie di raccomandazioni agli stati al fine di darne effettiva attuazione (dal sistema di accoglienza all’accesso ai servizi ed alle politiche di integrazione), rilevando che “un anno dopo la pubblicazione della comunicazione della Commissione sulla protezione dei minori migranti del 12 aprile 2017, gli Stati membri si trovano ancora a dover affrontare sfide nell’attuazione delle sue raccomandazioni”. Si sottolinea, altresì, l’importanza di elaborare un piano individuale basato sulle necessità e altre vulnerabilità specifiche a ciascun minore, tenendo conto del fatto che la qualità di vita e il benessere dei minori richiedono anche un’integrazione precoce, un sistema di sostegno comunitario e il fatto di avere l’opportunità di realizzare appieno il proprio potenziale. L’ONU sta lavorando al “Global Compact for Migration”, un accordo intergovernativo che dovrebbe regolare le migrazioni internazionali. Il Comitato direttivo dell’Iniziativa per i diritti dei minori (Initiative for Child Rights) nei Patti mondiali, ha stilato un documento di lavoro intitolato “I diritti dei minori nei Patti mondiali: raccomandazioni per proteggere, 1284 The best interest of the child promuovere ed applicare i diritti umani dei minori migranti nei Patti mondiali proposti”. Il documento di lavoro – pubblicato a fine giugno 2017 – si basa sulla Dichiarazione di New York su migranti e rifugiati, sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), sulle disposizioni del diritto internazionale e altri quadri normativi, per proporre obiettivi, traguardi e indicatori da inserire nei Patti mondiali per una migrazione sicura, ordinata e regolare e nei Patti mondiali per i rifugiati. Riguarda i minori migranti in quanto tali, a prescindere dal loro status e dalla regolarità della loro presenza in un determinato territorio. Sono sei le aree tematiche intorno alle quali si articola il documento di lavoro: 1) Non discriminazione (che riguarda non solo il razzismo e la violenza di cui possono essere bersaglio i minori e la necessità di percorsi di integrazione, ma anche la diversa tutela dei diritti e l’accesso ai servizi da parte dei minori a seconda che siano regolari o meno sul territorio); 2) l’interesse superiore del minore (a fronte del fatto che tutti i minori rifugiati e migranti sono regolarmente colpiti da politiche e pratiche che non considerano preminente l’interesse superiore del minore); 3) la tutela del minore da parte degli stati nazionali (i minori rifugiati e migranti devono essere presi in carico e sostenuti da un sistema nazionale di tutela del minore, basato su un quadro giuridico, nonché su strutture formali e informali, capace di proteggerli dalla violenza, dagli abusi, dallo sfruttamento e dall’abbandono); 4) la detenzione dei minori migranti e delle loro famiglie (al fine di rafforzare l’impegno a mettere fine alla detenzione dei minori migranti. Indipendentemente dai motivi di detenzione per immigrazione –identificazione, salute, ecc. – gli studi hanno dimostrato che la detenzione di minori ha un impatto profondo e negativo sulla loro salute e sul loro benessere); 5) Accesso ai servizi (da garantire a tutti i minori migranti, indispensabile per lo sviluppo della personalità del minore); 6) le soluzioni sostenibili nell’interesse superiore del minore (confermando il diritto del minore a partecipare alla presa di decisioni che lo riguardano; le opzioni disponibili dovrebbero comprendere comunque il soggiorno permanente e l’inserimento, quando questa opzione si trova ad essere nell’interesse superiore del minore). Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato nel 1997 una Risoluzione sui minori stranieri non accompagnati. In questa si stabilisce l’obbligo degli Stati membri di garantire a ogni minore non accompagnato accoglienza temporanea e un’idonea rappresentanza attraverso tutela legale o un organismo che si occupi della cura e del benessere dei minori. Minore migrante e tutela dei diritti umani 1285 Nel contesto del “fenomeno migratorio”, infatti, i minori stranieri non accompagnati rappresentano la categoria di soggetti con bisogno di protezione e tutela maggiore rispetto alla generalità di migranti, perché sono i più vulnerabili e fragili. Sono soggetti migranti, soli e minori, che arrivano sul nostro territorio senza adulti accanto a loro in grado di assisterli e accudirli. Il minore che fa ingresso nel territorio dell’Unione europea deve essere accolto sulla base del superiore interesse del fanciullo e deve essergli assicurato il rispetto delle garanzie procedurali per l’adozione di provvedimenti finalizzati al ricongiungimento familiare. Gli Stati membri devono assicurare un livello di vita adeguato allo sviluppo psicofisico del minore, in particolar modo devono fornire assistenza riabilitativa a coloro i quali abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante, ovvero che siano predisposte, se necessario, misure di assistenza psichica e consulenza qualificata. Alcuni di questi principi hanno trovato parziale attuazione nel nostro ordinamento attraverso il divieto di espulsione della persona minore di età, l’autorizzazione al soggiorno – a certe condizioni – degli adulti che accompagnano il minore, la normativa sul ricongiungimento familiare, le disposizioni in materia di identificazione e di accoglienza, il divieto di trattenimento, e la recente legge sui minori stranieri non accompagnati (c.d. legge Zampa), che ha apportato importanti aspetti di innovazione e sistematizzazione alla materia, introducendo garanzie e specifiche misure di supporto in diversi momenti del percorso dei minorenni migranti provenienti da paesi esterni all’Unione Europea, presenti in Italia privi di figure genitoriali o altri adulti legalmente responsabili. I minori di età, soli od accompagnati, costituiscono poi una componente significativa e particolarmente vulnerabile delle procedure di protezione internazionale. Le ragioni che consentono la protezione internazionale dello straniero possono, in modo anche più intenso in quanto soggetto particolarmente vulnerabile, riguardare il minore migrante: sovente vittima di tratta, sfruttamento sessuale e lavorativo, mutilazioni genitali femminili, torture, schiavitù, conflitti, ecc. Le specifiche misure di protezione per casi simili non sono, infatti, alternative alla protezione internazionale. Il D.Lgs. 251/2007 (attuazione della c.d. direttiva qualifiche) include tra i possibili atti di persecuzione rilevanti al fine del 1286 The best interest of the child riconoscimento dello status di rifugiato, quelli specificamente diretti contro l’infanzia (si pensi ad es. al fenomeno dei cd. bambini soldato). La nostra Costituzione, tra i diritti fondamentali, all’art. 10, terzo comma, annovera il diritto di asilo, attribuito, senza condizioni ed eccezioni, né vincolo di reciprocità, allo “straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Come è noto, nelle costituzioni contemporanee le libertà non sono soltanto quelle negative della tradizione liberale, ma anche quelle positive, volte a rendere la vita delle persone, di qualunque condizione od origine, degna di essere vissuta. I diritti fondamentali non possono essere artificiosamente distinti, quanto alla protezione degli stranieri, in civili, politici e sociali, in quanto le “libertà democratiche”, di cui parla l’art. 10, terzo comma, della Costituzione italiana, hanno un senso solo se la persona abbia un minimo di condizioni di sussistenza, indispensabili alla tutela della sua dignità (così Gaetano Silvestri, relazione al corso della Scuola Superiore della magistratura, Catania, 12-14 settembre – principio sostanzialmente affermato anche nella nota sentenza della Cassazione sulla protezione umanitaria n. 4455/2018). L’istituto del diritto di asilo non coincide, ma è più ampio, con il riconoscimento dello status di rifugiato, introdotto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (per l’acquisto di tale condizione non è sufficiente che lo straniero dimostri che nel proprio paese i cittadini non godono dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ma è necessario che ricorra il “giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche”). Più ampio anche dell’istituto della protezione sussidiaria, introdotto successivamente dalla normativa europea (che tutela coloro che, pur non potendo dimostrare di aver subito specifici atti persecutori, abbiano ugualmente il fondato timore di dover subire un grave danno, se facessero ritorno nel proprio paese d’origine). La Convenzione ONU del 1951 e il Protocollo del 1967 che prevedono le Procedure e i Criteri per la Determinazione dello Status di Rifugiato non contengono specifiche disposizioni riguardanti lo status di rifugiato per i minori. L’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha predisposto delle linee guida per determinare lo status di rifugiato del minore: in tali linee guida si affronta la questione del livello di sviluppo e maturità mentale del minore non accompagnato, in particolare se Minore migrante e tutela dei diritti umani 1287 trattasi di bambini al di sotto dei 16 anni, solitamente considerati non sufficientemente maturi. Ogni caso, poi, varia in base alle condizioni del paese d’origine e a fattori personali specifici relativi al singolo richiedente asilo. La disposizione di maggior impatto per la materia in esame (minori migranti richiedenti asilo) è inserita nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989: obbliga gli Stati parti ad adottare misure adeguate affinché il fanciullo, che cerca di ottenere lo status di rifugiato ovvero considerato come rifugiato, solo o accompagnato, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla Convenzione stessa e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo o di natura umanitaria di cui gli Stati sono parti. Per questo fine, gli Stati parte collaborano a tutti gli sforzi compiuti dalle organizzazioni intergovernative delle Nazioni Unite ovvero non governative competenti, per proteggere ed aiutare i fanciulli; con riguardo ai fanciulli non accompagnati vincola gli Stati ad aiutarli a ottenere informazioni necessarie per il ricongiungimento familiare (Cfr. Art. 22 Convenzione sui diritti del fanciullo 1989). Gli artt. 78, 79 e 80 TFUE delineano quale dovrebbe essere la politica comune in materia di asilo, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il principio di non respingimento, che dovrebbe essere fondata sul principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità degli Stati membri. Al riconoscimento legale della particolare vulnerabilità connessa alla minore età, consegue l’obbligo di tenere conto di tale vulnerabilità nell’applicazione dell’intera disciplina sull’attribuzione delle misure di protezione internazionale, al di là dei singoli obblighi previsti specificamente dalla normativa interna e dalla cd. direttiva procedure: quali quello di tener conto del grado di maturazione e di sviluppo personale raggiunti, nella valutazione della attendibilità del minore, la necessità che l’esame del richiedente sia svolto da personale con la competenza necessaria a trattare i particolari bisogni dei minori, la previsione di procedure accelerate e l’eccezionale rilevanza del diritto alla vita familiare. Anche la motivazione del provvedimento in materia di protezione internazionale dovrà indicare il ragionamento svolto dal giudice di merito e in modo particolare di come abbia applicato al caso concreto il principio del best interest. Il diritto del minore all’ascolto in tutte le 1288 The best interest of the child procedure che lo riguardano dovrà trovare piena applicazione, anche in deroga alla disciplina generale della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, che attualmente prevede che l’audizione del richiedente innanzi al giudice sia solo eventuale. Infatti l’art 19 del D.Lgs. n. 25/2008 prevede esplicitamente il diritto all’ascolto solo innanzi alla commissione territoriale. Ma sarebbe necessario prevedere canali di ingresso legale che evitino ai minori il terribile percorso migratorio, che li espone ad ulteriori pericoli di essere sottoposti ad abusi, traffico sessuale, sfruttamento lavorativo, torture (quali quelle che subiscono durante il passaggio in Libia), o addirittura alla morte. Proteggere i minori migranti è, come abbiamo visto, una priorità in tutte le fasi della migrazione, indipendentemente dal loro status. Secondo le stime dell’OIM, nel mondo ci sono circa 28 milioni di minori costretti a fuggire per i conflitti che interessano il proprio paese, e molti di questi rischiano di finire nelle mani di trafficanti di essere umani. L’Unicef ha più volte evidenziato come una delle tratte migratorie più pericolose sia quella del Mediterraneo Centrale, che collega l’Italia alla Libia. Lo scorso 24 novembre, un report dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), ha definito il Mediterraneo l’area attraversata dai flussi migratori più mortale al mondo, con un numero di decessi dal primo gennaio al 13 dicembre 2017 pari a 3.095. Nello stesso periodo, sono stati 15.000 i migranti bambini non accompagnati che hanno percorso tale tratta, di cui almeno 400 sarebbero morti nella traversata verso l’Europa. Nonostante gli impegni maturati a livello politico e gli obblighi scaturenti dall’ordinamento giuridico, in primo luogo internazionale, la condizione reale dei minori che arrivano in Europa è tuttora molto distante dai piani e dai progetti implementati. L’esclusione e la marginalizzazione, nel paese di accoglienza, costituiscono dei rischi verosimili. Ad esempio l’educazione di base, che come diritto è affermata nelle normative UE relative alla migrazione, dipenderà dallo stato di avanzamento della procedura di asilo più che dal diritto all’istruzione in sé. Inoltre, la condizione vissuta da un minore richiedente asilo non sarà comparabile a quella di un minore privo di documenti: per quest’ultimo sarà molto peggiore. Compito degli operatori del diritto, dei giudici in particolare, è avere ben chiari la gerarchia delle fonti ed il proprio compito, che è quello di garantire e rendere effettivi i diritti fondamentali delle persone, da Minore migrante e tutela dei diritti umani 1289 qualsiasi parte del mondo provengano. Ciò comporta tenere necessariamente conto degli elementi di vulnerabilità che potrebbero inficiare la possibilità stessa di esercitare tali diritti, in attuazione piena del principio fondamentale di eguaglianza. Se la condizione di migrante costituisce già di per sé un fattore di vulnerabilità, la condizione di minore migrante lo amplifica a dismisura, con la conseguenza che ancora di più in tale materia occorrerà fare buona applicazione del principio della prevalenza del superiore interesse del minore. Aspetti penalistici della tutela del minore migrante Pasquale Bronzo Sommario: 1. Premessa. – 2. La c.d. “Legge Zampa”. – 3. I problemi applicativi. – 4. Quale futuro per la tutela del minore migrante? 1. Premessa Occupandomi di materie penali, farò qualche rilievo sui profili penalistici del problema dei minori stranieri non accompagnati, che sicuramente è – e deve essere, prima di tutto – un problema di tutela di diritti e di protezione della persona fragile del minore ma è anche un problema di politica criminale, segnatamente di prevenzione della criminalità, visto che i migranti minorenni, accompagnati o meno che siano, quando sfuggono al reticolo di tutele, controlli e protezioni che la legge oggi prevede, sono fatalmente destinati – spesso si tratta di ‘grandi minori – a essere sfruttati dalla criminalità, e soprattutto dalla criminalità organizzata. 2. La c.d. “Legge Zampa” Le norme oggi esistono: la l. n. 47 del 2017 la c.d. legge Zampa si è preoccupata di garantire al minore la permanenza nel nostro Stato, introducendo nell’art. 19 del Testo unico stranieri, in aggiunta al già previsto divieto di espulsione dei minori (divieto che trova eccezione solo per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato), il divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei non accompagnati; il minore non accompagnato ha diritto di ottenere il permesso di soggiorno anche prima della nomina di un tutore; ottenuto questo permesso, viene inserito nel sistema di c.d. prima accoglienza presso strutture 1292 The best interest of the child dedicate, il cui fine principale è quello di accertare l’età, identificare il minore e informarlo dei propri diritti; i tempi di prima accoglienza sono stati ridotti – sempre nelle norme – da sessanta a trenta giorni, ed è stata introdotta una procedura identificativa unificata da concludersi entro dieci giorni dall’arrivo in struttura. Le cronache ci raccontano una realtà diversa: minori negli hotspot – cioè in strutture che non sono state pensate per accogliere a medio-lungo termine minori o persone bisognose di protezione –, detenzioni promiscue con gli adulti, respingimenti, e – per quanto riguarda il problema specifico criminalità – un numero elevatissimo di “sparizioni”, di minori che diventano invisibili ai controlli. Gran parte di queste sparizioni dipendono dalla mancanza di azioni di relocation in altri paesi dell’Unione europea, nei paesi che spesso rappresentano la destinazione finale auspicata del viaggio che viene fatto intraprendere a questi ragazzi. Quelle sparizioni non solo segnano il fallimento delle politiche di protezione, ma pongono anche le premesse per lo sfruttamento di questi giovanissimi da parte delle organizzazioni malavitose. Pesa qui il ritardo della nomina dei tutori legali, spesso dovuto ai frequenti trasferimenti dei ragazzi da un centro all’altro. In verità, oltre allo sfruttamento dei minori come comoda manovalanza da parte del crimine organizzato, c’è anche un problema di criminalizzazione di tipo diverso: i minori che non sono adeguatamente assistiti, ma lasciati alla detenzione promiscua e negli hotspot, affrontano un rischio ulteriore di criminalizzazione – “interno” alle strutture detentive – che passa attraverso il coinvolgimento nelle tensioni e nei tumulti che caratterizzano le strutture detentive, che portano alle frequentissime chiamate degli operatori di polizia, le risse, fino ai tentati suicidi. Tuttavia, quello della criminalizzazione dall’esterno rappresenta senz’altro il problema più acuto, e dunque i problemi principali sono quelli delle “sparizioni”, e prima ancora del mancato ritrasferimento dei minori: quando le frontiere vengono chiuse, o i controlli delle frontiere, nei paesi diversi dai nostri sono poco sensibili alle esigenze di protezione del migrante, ecco che noi diventiamo un bacino per la nascita di nuove criminalità. Questo è il motivo per cui la tutela del minore – anche dal punto di vista delle p