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RIVISTA GIURIDICA DELL'AMBIENTE AnnobXXVIIbFasc.b3-4b-b2012 FabiobFasani LA RESPONSABILITÀ DEL SINDACO PER LO SCARICO INCONTROLLATO IN ACQUE SUPERFICIALI DEI REFLUI FOGNARI PROVENIENTI DA INSEDIAMENTO URBANO Estratto Milanob•bGiuffrèbEditore ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO 441 comunque necessaria una puntuale motivazione, che escluda un oggettivo arricchimento senza causa a favore del Comune (2). La sentenza del T.A.R. Lombardia, pertanto, sarebbe corretta nelle sue conclusioni avendo ad oggetto un diniego espresso della Pubblica amministrazione opposto alla richiesta di scomputo, ma non nelle sue motivazioni, atteso che la decisione riconduce la legittimità del diniego ad una presunta esclusione di legge (sito diverso dal SIN), che in realtà non sembra sussistere. Il Tribunale lombardo, dunque, avrebbe dovuto incentrare e fondare la propria pronuncia sulle motivazioni addotte dall’Amministrazione comunale a giustificazione del proprio diniego. In conclusione, si auspica in una revisione della linea interpretativa fornita dal T.A.R. Lombardia affinché si ammetta tanto la possibilità astratta di scomputo dei costi di bonifica anche per le aree esterne ai SIN, quanto la possibilità per i Comuni di negarlo, a condizione che sussistano giustificate ragioni per non accogliere la richiesta del privato. FEDERICO VANETTI (2) Sul punto, « il diritto del titolare della concessione edilizia di realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri, non implica una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione volontariamente eseguita dallo stesso al di fuori di un preventivo accordo con il Comune, ma esclude che il medesimo comune possa — senza adeguata motivazione e con oggettivo indebito arricchimento — porre a servizio della collettività e dello stesso concessionario opere da quest’ultimo eseguite, senza che il relativo valore venga scomputato dalla prestazione patrimoniale imposta, di tipo causale — ovvero, finalizzata appunto alla predisposizione di infrastrutture — corrispondente agli oneri di urbanizzazione » (tra le tante, Cons. St., Sez. V, n. 716/2003 e n. 1209/1999). Vedi anche circolare dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture del l’11 maggio 2009 sulla disciplina delle opere a scomputo dopo il terzo decreto correttivo. * * * TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE, 5 maggio 2011 — G.I.P. dott. SCOGNAMIGLIO. Acqua e inquinamento idrico - Scarichi - Acque reflue urbane - Omesso trattamento, assenza di autorizzazione allo scarico e scarico diretto in acque superficiali - Responsabilità del Sindaco ex art. 133 D.Lgs. 152/2006 - Sussistenza - Responsabilità del Sindaco ex artt. 635 e 328 c.p. - Sussistenza. Il Sindaco che ometta il trattamento delle acque reflue urbane e, in assenza dell’apposita autorizzazione, proceda allo scarico diretto delle stesse all’interno di acque superficiali risponde, oltre che delle sanzioni amministrative di cui all’art. 133 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, anche dei delitti di danneggiamento (art. 635 c.p.) e di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c.p.). 442 GIURISPRUDENZA E NOTE Il testo del decreto di sequestro e della relativa richiesta da parte del Pubblico Ministero sono in: www.giuffre.it/riviste/rga La responsabilità del Sindaco per lo scarico incontrollato in acque superficiali dei reflui fognari provenienti da insediamento urbano. 1. I contenuti del provvedimento annotato. — 2. Note di condivisione e spunti critici. 1. I contenuti del provvedimento annotato. Con il decreto annotato, il G.I.P. di Santa Maria Capua Vetere dispone, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, il sequestro preventivo della condotta relativa ad un collettore fognario, che convoglia i reflui urbani, provenienti da un centro di circa 16.000 abitanti, e li scarica direttamente nelle acque superficiali di un canale. Il procedimento, nel cui ambito il provvedimento si inserisce, prende le mosse dalle indagini tecniche esperite dalle competenti Autorità sulle acque del canale, le quali appaiono « maleodoranti, con solidi in sospensione, di colore torbido e contenenti agenti inquinanti superiori ai parametri previsti dall’allegato 5 del D.Lgs. 152/2006 » con particolare riferimento a « BOD5, azoto ammoniacale, escherichia coli ». A fronte di questi accertamenti, la Procura procede nei confronti del Sindaco del Comune, ove il collettore di scarico si trova, per i delitti di danneggiamento (art. 635 c.p.) e omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c.p.) e, sulla scorta di questa imputazione, il Pubblico Ministero chiede al G.I.P. di adottare un provvedimento di sequestro preventivo. All’interno di tale decreto, il G.I.P. accoglie pienamente le tesi della Procura, la cui impostazione accusatoria merita di essere meglio analizzata. Desta, in particolare, interesse il profilo del fumus commissi delicti, atteso che in esso è compendiata la possibilità di sussumere le condotte contestate entro le fattispecie astratte individuate nel capo di incolpazione. A tal proposito, va osservato come il Pubblico Ministero parta dal quadro normativo di cui al D.Lgs. 152/2006. Rileva anzitutto il Procuratore richiedente che, ai sensi degli artt. 100, 101 e 105 D.Lgs. 152/2006, « le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto » e che, in ogni caso, tale scarico deve essere autorizzato a norma dell’art. 124 del medesimo decreto. In quest’ottica, nel caso di specie, dall’assenza tanto dell’autorizzazione, quanto del trattamento deriverebbe l’illiceità della condotta del Sindaco. A ciò naturalmente dovrebbe essere aggiunta la violazione dei limiti tabellari, relativi alle diverse sostanze trovate nel canale. Nel tentativo di meglio precisare i contorni di tale « illiceità », peraltro, il Pubblico Ministero giunge ad escludere rilievo, nel caso di specie, a tutte le fattispecie penali contenute nel D.Lgs. 152/2006. Secondo il Magistrato, infatti, al di là della sanzione amministrativa di cui al combinato disposto degli artt. 124, comma 1 e 133, comma 1 T.U.A., nel caso in esame non potrebbero trovare spazio applicativo le sanzioni penali di cui al successivo art. 137 e ciò poiché esse si riferirebbero esclusivamente ai casi in cui esistano degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane (impianti di depurazione) e non anche nei casi di scarico diretto. Giunto a questa conclusione intermedia, l’organo della pubblica accusa esclude che il principio di specialità ex art. 9 L. 689/1981 possa inibire l’applicazione di ulteriori fattispecie di reato in favore della sola applicazione della predetta ipotesi di carattere amministrativo. Sul punto, in sintesi, la possibile contestazione di ipotesi delittuose esterne al T.U.A. viene fatta risalire alla specifica clausola di sussidiarietà di cui all’art. 133, comma 1 D.Lgs. 152/2006, il quale fa espressamente salva la possibilità « che il fatto costituisca reato ». ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO 443 Aperta questa via, il Pubblico Ministero fa ricorso alle fattispecie codicistiche e segnatamente — come visto — ai delitti di danneggiamento e di omissione d’atti d’ufficio, già sfruttati in abbinata e coi medesimi fini da un orientamento giurisprudenziale piuttosto risalente (1). Quanto al reato di cui all’art. 635 c.p., l’organo della pubblica accusa richiama talune pronunce della Suprema Corte in termini (2) ed osserva come sia sempre da ritenere possibile la coesistenza tra tale delitto e la specifica normativa di settore in materia di scarichi. Altro infatti — secondo il Magistrato — sarebbe il complesso di disposizioni teso a regolare « il livello tabellare prima che lo scarico raggiunga il corso d’acqua »; altro sarebbe « l’effetto di danno sull’ambiente naturale » ben configurabile quale deterioramento di una cosa mobile (l’acqua) ex art. 635 c.p. (3). Dunque, « in astratto, il reato ex art. 635 c.p. di danneggiamento » sarebbe « applicabile a tutti i casi di inquinamento senza nessuna distinzione ed è concorrente o alternativo agli illeciti del decreto 152/2006 ». Quanto, invece, al delitto di omissione d’atti d’ufficio, ex art. 328 c.p., esso sarebbe imputabile al Sindaco in ragione di due specifiche categorie di doveri (disattesi nel caso di specie): i) il dovere di attivarsi al fine di conseguire l’autorizzazione allo scarico e il dovere di effettuare gli opportuni trattamenti sulle acque fognarie (arg. ex artt. 101, 105 e 124 T.U.A.); ii) il dovere di intervenire in presenza di situazioni di inquinamento pericolose per la salute pubblica, in virtù delle proprie funzioni di Autorità sanitaria (arg. ex artt. 217 R.D. 1265/1934, 13 L. 833/1978 e 50 D.Lgs. 267/2000). Ricorrendo alla categoria giurisprudenziale del dolo eventuale, infine, il Pubblico Ministero supera le problematiche concernenti l’elemento soggettivo doloso, richiesto dai delitti contestati. Esclude, infatti, il Magistrato la volontà del Sindaco di inquinare l’ambiente, ma osserva anche che l’omesso adempimento consapevole degli obblighi che la legge gli impone comporta necessariamente l’accettazione del rischio che tale evento si possa verificare con ragionevole probabilità. 2. Note di condivisione e spunti critici. Il provvedimento annotato alterna riflessioni meritevoli di ampia condivisione a soluzioni interpretative che suscitano maggiori perplessità. L’analisi pur breve, che questo lavoro impone, richiede l’esplorazione di quattro differenti nuclei tematici di interesse: i) la responsabilità del Sindaco con riferimento alle sanzioni di cui al D.Lgs. 152/2006; ii) la configurabilità del reato di danneggiamento; iii) la configurabilità del reato di omissione d’atti d’ufficio; iv) la sussistenza del dolo in capo al Sindaco. i) Quanto al primo profilo, appare condivisibile, seppure con alcune precisazioni, la scelta del provvedimento annotato di escludere la configurabilità, in capo al Sindaco, delle sanzioni penali di cui all’art. 137 T.U.A. (4). Sciogliendo la cripticità della richiesta del Pubblico Ministero, deve infatti osser- (1) Cfr. Corte Cass., Sez. VI pen., 21 giugno 1985, n. 8465, in Giust. pen., 1986, II, pp. 1 ss. Sul punto, si consenta il rinvio a F. FASANI, La responsabilità penale dei funzionari ARPA per l’omesso impedimento dei reati ambientali, nota a Corte Cass., Sez. III pen., 1º febbraio 2011, n. 3634, in questa Rivista, 2011, 5, p. 628. (2) A proposito della configurabilità del danneggiamento, il Pubblico Ministero, oltre alla menzionata sentenza, cita Corte Cass., Sez. II pen., 16 gennaio 1984, n. 7201, in C.E.D. Cassazione e Corte Cass., Sez. III pen., 15 novembre 2000, n. 11710, in Amb. ener. lav., 2001, 5, pp. 394 ss. (3) Osserva il Magistrato della pubblica accusa come la violazione dei limiti tabellari, sanzionata ex D.Lgs. 152/2006, non vada necessariamente di pari passo con la creazione di un danno ambientale, rilevante ex art. 635 c.p., essendo teoricamente possibili entrambe le alternative: i) che determinati scarichi danneggino l’ambiente, nonostante il rispetto formale dei criteri quantitativi previsti dal legislatore; ii) che determinatati scarichi extra-tabellari non generino alcun danno al corpo recettore. (4) Sul tema, in generale, cfr. per tutti A.L. VERGINE, pre art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, II Ed., 2007, p. 67 ss.; EAD., La tutela penale delle acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni, in Dir. pen. proc. - Gli speciali, 2010, p. 20 ss. ed opere ivi citate alla nota n. 9; L. BISORI, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Giunta (a cura di), Commento dei reati e degli illeciti ambientali, Padova, 2007, pp. 33 444 GIURISPRUDENZA E NOTE varsi che l’articolo appena menzionato riferisce le proprie previsioni espressamente alle acque reflue industriali (art. 74 lett. h T.U.A.) e non anche a quelle domestiche (lett. g) e a quelle urbane (lett. i), cui invece si applicano le sole sanzioni amministrative di cui all’art. 133 del decreto medesimo (5). Nel caso di specie, solo il passaggio attraverso un depuratore avrebbe reso industriali le acque provenienti dalle condotte fognarie cittadine, laddove l’esistente scarico diretto altro non può convogliare se non acque reflue urbane, come tali sottratte alla disciplina penale del citato articolo (6). Ciò posto, parrebbe correttamente applicabile al sindaco non solo — come indicato dal Pubblico Ministero — il primo comma dell’art. 133, in ragione del superamento dei limiti tabellari nello scarico, ma anche il secondo comma dello stesso articolo, atteso il mancato conseguimento della necessaria autorizzazione allo scarico ex art. 124 T.U.A. In ogni caso, appurata l’astratta configurabilità dei menzionati illeciti amministrativi, correttamente il Pubblico Ministero si pone e risolve il problema circa l’eventuale possibilità di applicare alternativamente sanzioni penali diverse da quelle di cui all’art. 137 T.U.A. Benché l’impostazione del problema appaia metodologicamente non del tutto corretta (7), sembra condivisibile l’assunto conclusivo secondo cui la clausola di sussidiarietà di cui all’art. 133 comma 1 T.U.A., per quanto immediatamente destinata a regolare i rapporto con il successivo art. 137, sia anche testualmente idonea ad escludere l’applicabilità della norma amministrativa che la contiene a favore di qualsivoglia altra disposizione penalmente sanzionata, che risulti applicabile alla condotta del soggetto agente (8). ii) Detta clausola di sussidiarietà apre legittimamente le porte alla valutazione circa la configurabilità, nel caso di specie, di ulteriori fattispecie penali. L’attenzione ricade immediatamente sul delitto di danneggiamento (9), nella cui struttura alle menzionate condotte di scarico si sommerebbe l’evento di danno per le acque, sub specie di deterioramento delle medesime. Il giudizio circa tale qualificazione giuridica, operata dal provvedimento annotato, è necessariamente bipartito. Da un lato, infatti, non si può che essere in disaccordo rispetto alla distorsione ermeneutica che evidentemente comporta la repressione dei fenomeni di inquinamento (idrico) mediante l’utilizzo di una fattispecie come quella di danneggiamento, collocata dal legislatore a tutela del patrimonio ed evidentemente pensata (vista anche la ss.; C. BERNASCONI, La nuova disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue industriali con superamento dei limiti tabellari, in Studium iuris, 2011, pp. 16 ss. (5) Proprio alla natura industriale delle acque scaricate il legislatore ricollega l’operatività dello strumento penale. Sul punto, cfr. da ultimo C. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2011, pp. 73 ss. (6) Benché questa interpretazione garantista paia l’unica compatibile con il principio di legalità, non può sottacersi come essa generi grossolane problematiche di coerenza sistematica. Essendo, infatti, palese che le acque reflue urbane possano anche convogliare acque industriali (arg. ex art. 74 lett. i) T.U.A.), il legislatore si è preoccupato all’art. 137, comma 6 di apprestare una sanzione penale anche per il « gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite ». Nulla ha previsto, invece, con riferimento ai casi, analoghi al presente, in cui gli amministratori locali omettano tout court l’apprestamento di un sistema di trattamento, con la conseguenza che paradossalmente residua l’applicabilità della sola sanzione amministrativa nel caso in cui vi sia uno scarico diretto di acque urbane, laddove può insorgere un rischio penale nel caso, meno grave, in cui a seguito del passaggio da un depuratore permangano nelle acque di scarico valori extra-tabellari. Avvertono l’incoerenza sistematica anche L. BISORI-L.PRATI, sub art. 133 D.Lgs. 152/2006, in Giunta (a cura di), Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, cit., p. 16. (7) Prima di valutare la portata della clausola di sussidiarietà, occorrerebbe infatti avere appurato l’esistenza di un rapporto di specialità ex art. 9 L. 689/1981 tra l’art. 133 T.U.A. e la norma penale presa in considerazione, apparendo altrimenti ultronea e meramente ipotetica qualsiasi riflessione sul punto. (8) Così, ancora, L. BISORI-L.PRATI, op. cit., p. 17. (9) Appare, invece, incomprensibile il riferimento all’art. 639 bis che non richiama il delitto di danneggiamento, essendo per contro l’aggravamento della pena e la procedibilità d’ufficio dati dal combinato disposto degli artt. 635, comma 3 e 625 n. 7 c.p. ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO 445 comminatoria edittale) per scopi politico-criminali del tutto difformi. Tale ipotesi delittuosa ha forse potuto svolgere l’emergenziale funzione di « norma d’attesa » (10), allorquando l’assenza di una normativa specifica di settore rendeva del tutto prive di repressione condotte gravissime di inquinamento ambientale. Non pare, per contro, possa continuare ad essere sfruttata per colmare lacune di normative specifiche e dettagliate o (peggio ancora) per rinvigorire la tutela espressamente fornita da esse, sulla scorta dell’evidente preconcetto che le stesse non siano sufficientemente repressive. Dall’altro lato, tuttavia, non si può nemmeno coprire con le speranze la realtà. È infatti innegabile che tanto la giurisprudenza, quanto una parte della dottrina non hanno mai smesso di ritenere applicabile ai casi di inquinamento il reato di danneggiamento, da solo o in concorso con gli specifici illeciti ambientali. In dottrina, opere monografiche (11) e manualistiche (12), datate e recenti, in materia di inquinamento (idrico) continuano a propugnare — senza particolari perplessità — la possibile strada della repressione delle condotte di inquinamento delle acque tramite lo strumento offerto dall’art. 635 c.p. In giurisprudenza, invece, il filone favorevole alla contestazione del danneggiamento nei casi de quibus è abbastanza ristretto, ma inestinguibile e, partendo da vecchie pronunce di merito (13), giunge sino a recentissime sentenze di legittimità (14), passando attraverso la giurisprudenza citata dal Pubblico Ministero nella richiesta annotata. In definitiva, la contestazione del provvedimento annotato, in punto di configurabilità del danneggiamento, sta e cade insieme alla contestazione dell’intero filone giurisprudenziale in discorso, il quale appare, ribadiamo, ben lungi dall’estinguersi. iii) Abbastanza condivisibile è invece la contestazione del rifiuto d’atti d’ufficio, addebitato al Sindaco in virtù dei suoi doveri a) di attivarsi al fine di conseguire l’autorizzazione allo scarico (art. 124 T.U.A.); b) di effettuare gli opportuni trattamenti sulle acque fognarie (arg. ex artt. 101, 105 T.U.A.); c) di intervenire urgentemente per risolvere gravi situazioni di inquinamento. Si tratta, infatti, nel complesso, di situazioni che chiamano in causa le funzioni di Autorità sanitaria del primo cittadino (arg. ex artt. 217 R.D. 1265/1934, 13 L. 833/1978 e 50 D.Lgs. 267/2000); che impongono urgenti condotte attive non discrezionali e che trovano nell’art. 328 c.p. precisi riferimenti nell’endiadi « igiene e sanità ». Anche in questo caso, oltretutto, la giurisprudenza conforme è copiosa (15). iv) Perplessità molto maggiori suscita il profilo dell’elemento soggettivo doloso, che — come visto — il Giudice ritiene ravvisabile sub specie di dolo eventuale, quale accettazione (del rischio) della verificazione di un danno strutturale delle acque superficiali. La sensazione di disagio, che questa impostazione genera, è senz’altro mitigata (10) Con queste parole quarant’anni fa, prima dell’introduzione della legge Merli, un maestro del diritto penale (ambientale) chiudeva un’avvincente nota a sentenza sul tema: R. BAJNO, Evento e dolo nel delitto di danneggiamento di acque pubbliche, nota a Pret. Abbiategrasso, 19 maggio 1972, in Riv. it. dir. proc. pen., 1972, p. 898. (11) V. già, sul punto, G. BUSETTO-V.CASTIGLIONE, Inquinamento idrico e responsabilità penale, Milano, 1974, pp. 61 ss. (12) Cfr., ancora, C. RUGA RIVA, op. loc. cit., pp. 87 ss. (13) V. ad esempio Pret. Schio, 14 marzo 1985, in A. ABRAMI-B.CASTAGNOLI, Guida all’ambiente, Padova, 1987, pp. 129 ss. e Pret. Abbiategrasso, 19 maggio 1972, cit. (14) Si vedano Corte Cass., Sez. III pen., 14 maggio 2002, n. 23369, in C.E.D. Cassazione e, da ultimo, Corte Cass., Sez. IV pen., 21 ottobre 2010, n. 9343, in C.E.D. Cassazione, la quale accerta come, nel caso di specie, « la condotta posta in essere » avesse « determinato un danno strutturale ai corsi d’acqua, integrante l’elemento oggettivo del delitto di danneggiamento, nella forma aggravata di cui all’art. 635 c.p., comma 2 ». (15) Oltre alle pronunce già citate, si vedano, tra le tante, Corte Cass., Sez. III pen., 30 novembre 1987, n. 820, in C.E.D. Cassazione; Corte Cass., Sez. III pen., 16 novembre 1993, n. 3112, in Dir. giur. agr. amb., 1996, pp. 785 ss. con nota di V. PERRI, Scarichi extra-tabellari: spunti di riflessione critica in ordine alla natura del reato in esame ed al rapporto tra le fattispecie di cui agli articoli 21, terzo comma e 15, penultimo comma della legge Merli e più di recente, seppure in un caso non del tutto sovrapponibile, Corte Cass., Sez. VI pen., 12 febbraio 2009, n. 12147, in C.E.D. Cassazione. 446 GIURISPRUDENZA E NOTE dalla natura cautelare del giudizio, destinato a ben altri approfondimenti nel prosieguo del procedimento. Restano infatti affidate al Giudice del dibattimento questioni di cruciale importanza quali: a) l’accertamento del grado si consapevolezza del Sindaco circa la reale situazione dello scarico in discussione; b) l’accertamento del grado si consapevolezza del Sindaco circa i potenziali eventi di danno all’ambiente, eziologicamente connessi allo scarico medesimo; c) l’accertamento della posizione psicologica del Sindaco rispetto a tale potenziale danno, sondata attraverso l’applicazione delle più accreditate regole di giudizio e segnatamente delle formule di Frank (16); d) l’eventuale esistenza di apposite deleghe di funzioni sul punto. Solo un’accorta soluzione delle questioni appena poste potrà fornire certezze soddisfacenti in materia di sussistenza del necessario elemento soggettivo doloso, sventando il rischio che — per una volta ancora — si finisca per confondere la colpa con il dolo. FABIO FASANI (16) Ancora di recente, in settori scottanti quali la sicurezza sul lavoro ed i sinistri stradali, la Suprema Corte ha ribadito la vitalità delle formule di Frank, pur non facendone sempre un uso accorto. Sul punto, v., ad esempio, Corte Cass., Sez. IV pen., 18 febbraio 2010, n. 11222, in Guida dir., 2010, 17, pp. 80 ss. con nota di G. AMATO, Circolazione stradale: per il reato di omicidio volontario occorre la prova dell’accettazione del rischio mortale. La percezione dell’esistenza del pericolo generico è insufficiente per far scattare il dolo eventuale ed in Foro it., 2010, 6, p. II, cc. 306 ss. con nota di F.P. DI FRESCO, Incidente mortale causato da una condotta di guida sconsideratamente spericolata: omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento? ed anche Corte Cass., Sez. I pen., 1º febbraio 2011, n. 10411. Da ultimo segnaliamo le importanti pagine dedicate alla problematica da FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.