È innegabile che se metà dell’elettorato diserta le urne - e la crisi dei partiti è emblematicamente rappresentata nel passaggio da legame ideologico a scambio corporativo -, l’impianto democratico sancito dalla Costituzione è pericolosamente messo in discussione.

Il progressivo superamento delle differenze tra destra e sinistra, malgrado l’insorgere di ingiustizie sociali e disuguaglianze sempre più nette, comporta l’assenza della lettura critica dei processi sociali, politici e culturali.

Quando anche il decisore pubblico è quasi esclusivamente orientato alla massimizzazione del profitto, la sinistra ha perso la partita, con il rischio sempre presente della saldatura tra autoritarismo imprenditoriale e autoritarismo istituzionale. In tale contesto i corpi intermedi finiscono per essere ridimensionati a ruoli ancillari, subordinati al potere decisionale. Il sindacato, il movimento sindacale confederale per la precisione, viene indebolito esacerbando la conflittualità e declinando le problematiche sociali, politiche ed economiche in chiave neocorporativa. 

La democrazia si fa sempre più regime, perdendo la dimensione collettiva e deviando verso una nuova veste costituzionale improntata al presidenzialismo. Fisco e autonomia divisiva-differenziata diventano strumenti fondamentali per questa strategia. Il patto fiscale tra Stato e cittadino sancito dalla Costituzione si trasforma in “scambio fiscale”. Persino il principio fondamentale della progressività viene messo in discussione, producendo distorsioni inaccettabili tra contribuenti e, in definitiva, tra cittadini. 

Tale processo riduce drasticamente le risorse destinate al finanziamento dello Stato Sociale, al fine di assicurare l’erogazione dei servizi alle persone e ai territori, favorendo per contro la spesa privata. Il combinato disposto tra politiche fiscali particolaristico-clientelari e autonomia divisiva-differenziata produce effetti devastanti e al contempo irreversibili nell’impianto stesso della Carta Costituzionale, in un assetto che alcuni definiscono “autoritarismo morbido”.

Ma la crisi della democrazia deriva anche dalla ricerca del consenso senza scrupolo, che asseconda le pulsioni sociali più becere e la retorica più arcaica. Di recente ho letto il libro di Tonia Mastrobuoni che analizza i sovranismi in Europa, in particolare in Polonia e Ungheria, e che è efficacemente intitolato L’erosione

Scopo del volume è quello di richiamare l’attenzione sul pericolo “che l’Italia si incammini sulla china eversiva di Orbàn e Kaczynski”.  Dunque, erosione intesa come lento indebolimento dei pilastri che sorreggono la democrazia. Senza il clamore di un atto violento, Il progressivo sgretolamento dei valori democratici è percepito ma, al contempo, sottovalutato. 

Dal canto nostro, come Spi Cgil nazionale, promuoviamo lunedì 26 giugno un dibattito intitolato “Crisi della democrazia”. Utilizzare la parola “crisi” implica un’urgenza: siamo, infatti, consapevoli che è necessario agire in fretta, e questa consapevolezza trae origine dalla nostra sensibilità e dalla nostra storia.

A confrontarsi con noi su questo tema e nel misurarlo su materie quali fisco, disuguaglianze e autonomia differenziata, rispondendo alle domande della giornalista de l’Espresso Susanna Turco, saranno la costituzionalista Chiara Bologna; Walter Cerfeda, dell’Ires Marche; Christian Ferrari, segretario nazionale della Cgil; il politologo Carlo Galli; l’onorevole Maria Cecilia Guerra; Andrea Morniroli, del Forum Disuguaglianze e Diversità e il segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti

Da un lato lanciamo l’allarme sulla crisi della democrazia, dall’altro vogliamo assumerci la responsabilità di una risposta collettiva nel nome dei nostri valori costituzionali.

Lorenzo Mazzoli, segretario nazionale Spi Cgil