Difendere il lavoro a colpi di referendum
di Enzo Martino
Articolo pubblicato su Volere la Luna.
Nella data fortemente simbolica del 25 aprile, la CGIL ha iniziato la raccolta delle firme per quattro referendum abrogativi in materia di lavoro. Entro tre mesi ne dovranno essere raccolte cinquecentomila ed a quel punto i relativi quesiti (pubblicati nella GU del 14 aprile) passeranno al vaglio della Corte Costituzionale, che ne valuterà l'ammissibilità.
Se il giudizio della Corte, come ci auspichiamo, sarà positivo, i cittadini saranno chiamati al voto verosimilmente nel giugno 2025 e i referendum saranno ritenuti validi solo se verrà raggiunto il quorum del 50% degli aventi diritto al voto.
Non è la prima volta che il maggior sindacato italiano promuove dei referendum abrogativi, perché ciò avvenne anche all'indomani dell'approvazione del Jobs Act, ma in tale occasione la consultazione non si celebrò, in parte perché uno dei quesiti ( sui licenziamenti) venne dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 26 del 2017), in parte perché sugli altri due ( sui “voucher” e sulla responsabilità solidale del committente negli appalti per le retribuzioni dei dipendenti dell'appaltatore) intervennero delle modifiche normative che evitarono la consultazione, la quale si sarebbe dovuta invece tenere il 28 maggio 2017.
Ma anche se non è la prima volta che viene intrapresa, non può sfuggire la portata e l'importanza politica dell'iniziativa, che travalica i confini del tradizionale campo di intervento delle organizzazioni sindacali, tanto che non sono mancate critiche, anche nel campo progressista, sulla sua opportunità.
Ma, almeno a giudizio di chi scrive, la necessità di una proposta molto forte ed anzi dirompente si imponeva, visto che la deriva negativa ormai trentennale dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori ha, di recente, subito nuove e drammatiche accelerazioni con il Governo di centro destra, dopo una breve parentesi caratterizzata da alcuni interventi o progetti che avevano lasciato intravedere un possibile cambio di rotta, purtroppo concretizzatisi solo in minima parte nel corso del Governo “Conte due” (e anche nel Governo “Conte uno”, è ora di ammetterlo, con riferimento al Decreto Dignità).
I quattro referendum attuali hanno come comune denominatore la lotta alla precarietà del lavoro nonché il tema della sicurezza: non c'è bisogno di sottolineare la centrale importanza di queste tematiche che affliggono in maniera sempre più drammatica il mondo del lavoro e la nostra società nel suo insieme. Nella selezione dei quesiti si è dovuto fare i conti con alcuni problemi tecnici di non poco conto, a partire dal fatto che nel nostro ordinamento il referendum popolare è solo abrogativo e non anche propositivo, cioè può consentire la cancellazione di norme ma non la introduzione di disposizioni nuove.
Pertanto i quesiti dovevano essere il più possibile chiari e lineari, e non eccessivamente “manipolativi” della disposizione di legge su cui si vuole intervenire, pena il rischio di declaratoria di inammissibilità da parte della Corte Costituzionale, così come avvenne nel 2017 con il quesito sui licenziamenti.
Inoltre, i quesiti dovevano essere di forte impatto, perché il raggiungimento del quorum del 50%, nel quadro generale della disaffezione dei cittadini al voto, è un problema veramente serio con cui bisognerà fare i conti.
Infine, i quesiti non potevano essere numerosi, per ovvie ragioni organizzative nella raccolta firme.