Berlinguer: “Il lavoro del docente è sempre più difficile, ma ci sono nuove straordinarie opportunità. La sua funzione sociale deve essere valorizzata” [VIDEO]

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Lo scorso 27 gennaio, Orizzonte Scuola ha avuto come ospite l’ex ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer. Un’occasione importante di dibattito per tutta la comunità scolastica.

Il diritto allo studio nasce per consentire a tutti l’accesso ai percorsi di istruzione e formazione, aprendo la strada all’istruzione di massa. Oggi l’attenzione si focalizza sul diritto all’apprendimento, inteso come garanzia per lo studente di inclusione nel sistema di istruzione e di successo del percorso formativo. Ciò nonostante, i dati derivanti dalle rilevazioni effettuate dall’Invalsi sui tassi di dispersione scolastica, implicita ed esplicita, nonché sull’incidenza del fattore socioeconomico-culturale delle famiglie di origine degli studenti in formazione, offrono uno scenario caratterizzato da forte disomogeneità e disuguaglianza. Eppure, uno degli obiettivi di un sistema scolastico è promuovere l’equità e l’inclusione scolastica e sociale.

In tal senso le disuguaglianze sociali si esprimono anche attraverso la manifestazione delle iniquità scolastiche, in termini di opportunità di apprendimento, oggi, scandalosamente ancora condizionate dalle condizioni socioeconomiche di appartenenza. Uno degli obiettivi del sistema di istruzione e formazione, in linea con le sollecitazioni europee a riguardo, è proprio garantire equità di opportunità e di percorsi formativi. Oggi le iniquità sono così marcate da condizionare il prosieguo dei percorsi formativi per i ragazzi meno fortunati, che spesso abbandonano il sistema di istruzione o “si disperdono”. La mancata garanzia di inclusione scolastica e sociale, dunque, segna il percorso futuro dei ragazzi con uno svantaggio socioeconomico, non consentendo loro una piena partecipazione alla vita sociale, economica e produttiva della società della conoscenza, in cui il capitale principale è appunto quello umano. Gli studenti che partono svantaggiati ma vogliono integrarsi nel tessuto sociale e produttivo, lottano e fanno grande fatica, ritengo che il sistema scolastico debba adoperarsi per ridurre tale divario di opportunità e di iniquità, consentendo a tutti di veder garantito e realizzato il diritto ad apprendere. La questione scolastica è fortemente connessa alla questione sociale, l’abbandono e la fuoriuscita dei ragazzi dai sistemi di istruzione aumenterà notevolmente il rischio di emarginazione sociale degli stessi. In un’economia della conoscenza, una società che escluda taluni, perderà risorse e ricchezza in termini di capitale umano, consentirà all’ingiustizia sociale di amplificarsi, con una perdita generale di risorse e potenzialità.

La storia della pedagogia del 19° secolo ha sottolineato il valore della figura della madre come prima e migliore educatrice, basti ricordare Froebel o Pestalozzi. E, in effetti, fino a qualche decennio fa, la madre era la figura di riferimento morale e educativa, colei che accompagnava e seguiva i propri figli nei percorsi di istruzione e di educazione, ne presidiava lo svolgimento, fungeva da perno irrinunciabile per la realizzazione ed il prosieguo dei loro studi. La fondamentale funzione sociale della figura materna rendeva possibile anche ai figli di famiglie poverissime di avere opportunità di apprendimento e finanche accedere ai gradi superiori di studi, in uno spirito di sacrificio proteso alla promozione della possibilità magari di prendere quell’ascensore sociale che si pensava fosse fuori dalla propria portata. È grave che oggi, in un momento storico in cui le disuguaglianze sociali sono ahimè paradossalmente aumentate, sulla figura femminile ricadano sovente troppi carichi e responsabilità.

Il decisore politico ha il dovere morale di occuparsi dell’emarginazione sociale anche a partire dal contesto scolastico, prevedendo aiuti concreti e possibilità di accoglienza maggiore per tutti i bambini e i ragazzi con meno possibilità anche pomeridiane di occuparsi del proprio percorso formativo. La solitudine sociale va compensata attraverso un sistema maggiormente supportivo ed articolato.

Oggi il diritto allo studio si traduce in diritto all’apprendimento. Questo passaggio fondamentale doveva essere garantito dalla riforma dell’autonomia scolastica (Legge n.59 del 1997), nata per scardinare un’organizzazione estremamente piramidale e centralistica dell’amministrazione pubblica, scuola inclusa, e consentire alle scuole di divenire centri autonomi propulsori di formazione ed equità. Ma tale riforma rivoluzionaria, probabilmente, ha incontrato un terreno culturale e amministrativo non ancora pronto e piuttosto resistente, al punto che la grande spinta iniziale si è poi via via affievolita. Si sa che ogni riforma in Italia incontra un certo grado di resistenza; tuttavia, la questione dell’autonomia scolastica era e rimane la più grande opportunità per le scuole di autodeterminarsi e promuovere innovazione didattica.

La legge sull’autonomia aveva un incipit deflagratore: “le scuole sono autonome”.

Enunciazione che aveva una portata rivoluzionaria, sostenuta da una forte spinta riformista anche di derivazione europea, che purtroppo non si è espressa a pieno, rimanendo di fatto, un po’ incompiuta.

“Le scuole devono desiderare di essere autonome perché ne hanno diritto!”

La spinta che ora serve per rimettere in moto la macchina del processo autonomistico deve giungere dal corpo docenti, poiché l’autonomia valorizza e consente la promozione di innovazione didattica e metodologica. Il focus dell’intero processo autonomistico è rappresentato dalla didattica, che oggi appare necessario innovare verso metodologie più partecipative e coinvolgenti. Il modello didattico di trasmissione delle conoscenze non è più adatto a promuovere il ventaglio di competenze necessario ai giovani per il loro inserimento nel tessuto sociale e produttivo. I docenti, corpo e anima delle scuole, sono chiamati ora più che mai ad innovare e a porre la questione metodologica come centrale e base dell’intero processo di insegnamento/apprendimento. Promuovere l’amore per la conoscenza è il viatico essenziale per sostenere i percorsi formativi, una modalità coinvolgente di insegnamento/apprendimento solleciterà negli studenti curiosità e motivazione, gli consentirà di amare ciò che apprendono.

Fino ad ora la funzione docente è stata focalizzata unicamente sul processo di insegnamento, inteso come trasferimento di conoscenze, oggi il focus si sposta sul processo di apprendimento e, a fronte di tutte le conoscenze e le ricerche scientifiche che consegnano evidenze su come esso si svolge, è necessario tenerne conto per costruire percorsi e modalità più adatte a sviluppare le potenzialità di ogni discente.

Ogni studente è portatore di ricchezza e di diversità, rappresenta una risorsa che deve essere potenziata affinché possa portare il suo contributo al mondo produttivo e sociale. La popolazione scolastica oggi si presenta estremamente complessa ed eterogenea e richiede uno sforzo poliedrico da parte del docente che la incontra, il quale deve possedere una “cassetta degli attrezzi” ben più fornita che nel passato. Il docente è oggi chiamato a coinvolgere, motivare e incuriosire, fare in modo che la relazione educativa sostenga una conoscenza viva e non inerte, in modo da sollecitare la crescita e l’espressione delle potenzialità di ciascuno studente.

“Il lavoro dell’insegnante sta diventando certamente più ricco ma anche più complesso, soprattutto in questo periodo di pandemia da covid 19, in passato era più semplice e camminava più per tradizione, oggi sono emersi nuovi bisogni ma anche nuove straordinarie opportunità, tra cui l’ingresso della tecnologia sulla scena didattica”.

La tecnologia che invade le nostre vite deve necessariamente essere inclusa nella pratica didattica e nei curricoli scolastici, nell’idea che essa rappresenti un’opportunità di potenziamento delle modalità di apprendimento che divengono molteplici ed eterogenee, con indubbi vantaggi sia cognitivi ma anche sociali, se i percorsi di implementazione delle tecnologie nella didattica sono adeguatamente progettati. Nessuno deve restare indietro. Il digitale è un linguaggio che non si può escludere dal mondo della scuola, lo si deve accogliere e sfruttarne le potenzialità, nella consapevolezza che ormai anche le occasioni lavorative si muovono in quel mondo.

La funzione del docente nella società di oggi è divenuta dunque molto più complessa, estremamente lontana dal docente che saliva sulla pedana della cattedra e “faceva lezione”, è una funzione sociale cardine che ha la responsabilità di formare i cittadini competenti di domani e che pertanto deve essere adeguatamente valorizzata e supportata. Le famiglie devono divenire interlocutori costruttivi, che partecipano al dialogo educativo e contribuiscono, come possono, allo svolgimento del percorso di apprendimento dei propri figli.

A cura di Angela Ferraro, Olga Napoli e Antonio Fundarò.

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