Primavera-estate 2024

Attitudine e stile, Jonathan Anderson con Loewe si prende Parigi

Loewe
Loewe (ansa)
In una fashion week dove i brand spesso cercano il clamore lo stilista offre una lezione di creatività intelligente. The Row delle genelle Olsen non sbaglia un colpo, Schiaparelli sorprende ancora
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Facile far parlare di sé stupendo, esagerando, provocando. La passerella è un palcoscenico, su cui i designer mettono in scena la loro visione, dove ci si gioca tutto in pochi minuti. La tentazione di spingersi all'estremo è tanta, anche perché poi nei negozi andrà "il commerciale", la versione quieta e ripulita dei look presentati. Però questo scollamento tra passerella e realtà non è mai positivo; anzi, di solito piace poco ai consumatori, che oggi sono molto più attenti. E, al momento, i consumatori hanno deciso che Loewe è il marchio più giusto in circolazione. Merito dello stilista Jonathan Anderson, capace di essere creativo, eccentrico, culturalmente rilevante e attento al marketing tanto in sfilata quanto sugli scaffali delle boutique. E questa collezione è la summa delle sue doti.

Loewe
Loewe 

Anderson prende ispirazione dalla scultrice Lynda Benglis, che ha realizzato i bijoux in sfilata, e usa il suo modo di vestire in continua trasformazione - maschile, borghese, eccentrico - per costruirci su un guardaroba in cui tutto è plausibile. Magari spiazzante, come nel caso dei pantaloni a vita altissima e dei soprabiti di pelle con un'apertura in cui infilare la borsa, o anche spettacolare come i bustier gioiello; ma comunque plausibile. Ci sono i jeans e le giacche allungati, le gonnelline con le lunghe code, i bermuda oversize chiusi da un unico, lunghissimo spillone, le mantelle tricottate. Tutto è pronto per scendere in strada, spontaneo e vero com'è; Anderson parla di attitudine più che di stile, sottintendendo che il come si indossa qualcosa conta più del pezzo in sé. Nel suo caso, sia l'attitudine che lo stile sono straordinari.

The Row
The Row 

Mary - Kate e Ashley Olsen sulla plausibilità ci hanno costruito un piccolo impero del lusso. Il loro minimalismo che più sofisticato non si può è per pochi, e a loro va benissimo così. Anche perché le vendite le premiano, nonostante i prezzi esorbitanti. Questa collezione non riserva grosse sorprese, il che funziona: le loro donne che escono in pantofole con un trench perfetto buttato sulle spalle, che al posto delle sciarpe usano gli asciugamani di spugna e che sono capaci di rendere chic anche i giubbini di nylon da vela, restano un punto di riferimento per l'eleganza più vera e quieta. Non sbagliano un colpo. Bella prova anche da Issey Miyake, dove Satoshi Kondo ha modellato una versione moderna e pragmatica dell'immaginario del leggendario stilista giapponese. Il risultato è fresco e leggero, che si tratti degli abiti di seta panneggiati che delle giacche dalle spalle enormi ma senza imbottiture. Anche la collezione di Matthew Williams per Givenchy ha un suo senso. Ci sono voluti quasi tre anni perché il designer capisse che alternare streetwear e codici della maison senza un nesso non è la migliore idea, ma ora ci è riuscito, e la collezione, urbana il giusto, ha una sua grazia.

Givenchy
Givenchy 

Da Chloé è andata in scena l'ultima collezione di Gabriela Hearst. Nonostante il successo del suo brand, la stilista uruguayana non è mai riuscita a prendere il ritmo giusto qui a Parigi: questa collezione d'addio, più formale che altro, non fa eccezione. Il finale è però festoso, con lei che balla scatenata assieme a dei danzatori di samba.

Chloè
Chloè 

Giambattista Valli, che in serata è stato insignito del titolo di Cavaliere dell'Ordine delle Arti e delle Lettere, ha decorato la sua collezione con i classici souvenir dei Gran Tour ottocenteschi in giro per l'Italia, dai cammei ai disegni dei giardini. Il risultato è sorprendentemente pulito e, a modo suo, portabile. Come portabile è pure il Rabanne di Julien Dossena, a dispetto delle premesse: i vestiti metallici ideati da Paco non sono esattamente l'epitome del comfort, ma Dossena ormai conosce bene la materia. E così li addolcisce e, facendo largo uso della maglia metallica e delle proporzioni over, offre uno stile inconfondibilmente Rabanne, ma anche sensato.

Giambattista Valli
Giambattista Valli 

Daniel Roseberry è al secondo show di prêt-à-porter di Schiaparelli, e punta al casual. C'è il denim, molto oversize, il jersey drappeggiato sugli scolli a forma di serratura, i tailleur con le gonne pareo, le giacche e i vestiti i cui ricami riproducono il contenuto rovesciato di una borsa da donna - ricordano un po' Franco Moschino, e non è una critica - . L'uso di un lessico più rilassato è comprensibile, ma come tutti i creativi che tendono al fastoso, Roseberry dà il suo meglio quando si trattiene e resta severo.

Schiaparelli
Schiaparelli 

Non è minimale, e spesso nemmeno portabile, la collezione di Balmain, che per la sera propone degli abiti-gabbia. Onore al merito però al brand e al suo designer Olivier Rousteing: 5 giorni prima dello show più della metà della collezione è stata rubata, ma loro sono riusciti lo stesso a sfilare.

Balmain
Balmain 

Applausi, a prescindere dal risultato. Rick Owens sa di non essere la persona più luminosa e ottimista in circolazione, però ha deciso di provare a esserlo, anche per rispetto a chi, in questo momento, vive situazioni ben più pesanti. Da questa decisione è nata una sfilata incorniciata da fumogeni rosa e gialli e petali di rosa, con abiti lunghi e maestosi, tute enormi e leggere, grandi vestiti a palloncino, spalle torreggianti e velette "brutaliste" (sic) sul volto. Inutile chiedersi se siano plausibili o meno: per i suoi molti fan lo sono, e i fatturati lo confermano. Owens è una categoria a parte.

Rick Owens
Rick Owens 

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