Quando Instagram lascia spazio ai sogni

 

“Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce la scambiamo,
allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ci scambiamo queste idee;
allora ciascuno di noi avrà due idee.”
(George Bernard Shaw)

Sempre più spesso pensiamo che per far strada servano esclusivamente numeri, likes, cuoricini e visualizzazioni, perdendo di vista il vero significato di fare community. Ci ritroviamo totalmente focalizzati su una competizione asettica, infondata e spietata solo per arrancare meno degli altri, quando invece basterebbe recuperare il nostro lato umano. Fare cordata di cervelli ed emozioni, mettere sul piatto il proprio talento e le proprie risorse, che poi sono l’unicità che ci contraddistingue, e farle danzare insieme, vedere dove condurranno.

Ecco perché, quando ieri ho visto il progetto di Marta (@zuccaviolina) e Valentina (@val_ina) sono rimasta estasiata e mi è balenata in testa un’idea.
Perché, se è vero che ogni giorno dovrebbe essere speso nel tentativo di migliorare noi stessi, in un’avventura che è la scoperta di quello che ci portiamo dentro, non dovrebbe esser difficile comprendere che con-dividere non è mai privarsi di qualcosa, ma moltiplicare. Costituisce un prezioso arricchimento intellettivo interiore, una crescita esponenziale di meraviglia.

“Condividere ti rende più grande di quello che sei.
Più dai agli altri, più vita sei in grado di ricevere.”
(Jim Rohn)

Accade così. Persone che si incontrano e con coraggio si mescolano in una felice contaminazione creativa dell’esistenza. Ecco perché, al di là di qualsivoglia forma di antagonismo, (ap)paga molto di più il sano divertimento, la voglia di giocare insieme, facendo coesistere differenti prospettive e spunti. Un vitale rinnovamento, insomma, per dar vita, usando le parole di Valentina “a qualcosa che sa di buono, di creatività e dinamismo”. Far convergere insieme immaginazione, ispirazione ed ingegno. Raccogliere poi il tutto e fissarne la bellezza in un fermoimmagine, una fotografia-contenitore di bellezza e umanità.

Per questo motivo ho fatto un sogno ad occhi aperti. Sognavo di poter migliorare me stessa attraverso i mille altrui talenti che mi circondano, come un gioco di vasi comunicanti, favolosa osmosi di cuori.
Mi sono vista in un riflesso iridescente mentre facevo colazione in compagnia di Adele (@adellinaa), addentando un croissant o un pain au chocolat e sorseggiando caffè in Accademia Vergnano. Ero a fare la spesa alla Coop con Valentina (@val_ina), indossavamo arcobaleni sulle spalle come fossero zainetti e facevamo le vasche tra le corsie alla ricerca dei wafer più buoni, ci dilungavamo disquisendo su cioccolate spalmabili e marmellate., promettendoci che saremmo andate a correre intorno al Testone. Preparavo il pranzo sotto lo sguardo attento di Mirco (@mirconfuso), arricciando orecchiette oppure impastando gnocchi e pizza e poi finivamo per pranzare a merenda. Nel pomeriggio, andavo a lezione di pianoforte da Marta (@zuccaviolina), leggevo libri con Mattia (@mattia.tortelli), recitavo poesie con Delia (@deliapagano), sfogliavo albi illustrati con Federica (@quattrocchi91) e Sara (@saritaaak), collezionavo ritagli di giornale con Federica (@lazappi) e componevo meravigliosi collage con Martina (@naive_m). Cercavo di apprendere l’arte dell’illustrazione in compagnia di Giulia (@giuliapintus_illustrazioni), Martina (@momusso) e Serena (@serena_mabilia). La sera, stanca ma felice, sorseggiavo tisane con Cristina (@honeyandjoy) parlando della meraviglia della natura. C’erano anche giorni in cui facevo viaggi immensi: oltrepassavo la linea gialla e prendevo posto accanto a Marina (@sign0rinafantasia), lato finestrino, porgendole un cappuccino fumante e ci perdevamo con lo sguardo fisso all’orizzonte. Evadendo, altrove.

Ansia da pres(en)tazione

Ieri ho fatto capolino tra le Stories di Instagram. Non ho scelto un giorno a caso, ma la ricorrenza di halloween. Sempre per andare contro corrente, in una giornata in cui tutti si dilettano a mascherarsi, ho deciso di smascherarmi, palesandomi per quella che sono. Caschetto e occhiali tondi per un metro e 55 scarsi di creatività, fantasia ma anche tanta ansia da prestazione. Ho scoperto che questa ansia da prestazione è un po’ ansia da pres(en)tazione. Lo so, può sembrare un contorto gioco di parole, ma cercherò di spiegarmi meglio. Tutti i giorni interagiamo con le persone, più o meno conosciute, senza porci troppo il problema di quello che siamo, di come possiamo apparire. Badate bene, ho scritto “senza porci troppo il problema”, il che significa che non siamo le persone più sicure sulla faccia della terra, ma cerchiamo di cavarcela, di sfangare le arcinote insicurezze, alla meno peggio. Ci camuffiamo bonariamente alla ricerca di un po’ di sicurezza, una “spintarella”, una qualsivoglia “stampella psicologica” che ci aiuti a relazionarci, facendoci sentire meno vulnerabili. Parlo banalmente della cosmesi, di un abbigliamento curato e ricercato, e perché no, di un buon profumo. La maggior parte delle volte vinciamo la timidezza per ingenua mancanza di consapevolezza. Quante volte ci ritroviamo catapultati nel vortice inarrestabile degli eventi della quotidianità? Capita di non avere quasi il tempo di realizzare cosa sta accadendo che dobbiamo agire, far fronte a quanto ci si presenta davanti. Interagire con qualcuno, per esempio: state camminando per strada e qualcuno vi interpella per chiedervi un’informazione. Penso a tutti i poveri turisti che, ignari e per loro sfortuna, si sono affidati al mio inesistente senso dell’orientamento. In quegli istanti non si ha nemmeno il tempo materiale per domandarsi come possiamo apparire ad occhi altrui. Veniamo visualizzati, presi in considerazione, ma non ci poniamo il problema di quale sia stato il processo mentale che li ha spinti a “scegliere” proprio noi. Accade e basta, dopodiché tanti saluti e grazie, ci si saluta e si procede per la propria strada.

Il vero problema sembra sorgere con l’evoluzione digitale. Questo mondo social, perennemente presente nelle nostre vite, sembra realizzare la profezia warholiana dei 15 minuti di notorietà convertiti nei 15 secondi di una storia su Instagram. Qui il contrasto si avverte evidente: non è semplice parlare con il telefono in mano, vedendoci, ascoltandoci in anteprima, consapevoli che poi “verremo recepiti così”. Di fatto, così facendo, abbiamo il tempo fisico di realizzare quello che verrà divulgato, di “filtrarci”, in qualche modo (cosa che, di per sé, non sarebbe neppure un male). La timidezza gioca, quindi, a sfavore di chi soffre di ansia da pres(en)tazione perché, non solo preclude un atteggiamento spontaneo, ma porta a non essere mai sicuri di aver parlato bene, in modo chiaro o di essersi presentati adeguatamente. Seguendo il filo di questa riflessione mi sono resa conto di quanto, in fin dei conti, sia un problema principalmente personale, di auto-giudizio. Il pregiudizio di cui abbiamo maggior timore è il nostro, quello che alimentiamo con una serie di idealizzazioni, operazioni di confronto e schematismi che ci irrigidiscono. Gli altri non sanno cosa o chi aspiriamo essere, a volte anche assomigliare. La ricezione altrui è per così dire scevra di quei canoni che non consideriamo imprenscindibili ma che, in realtà, non sono affatto necessari. Assumiamo atteggiamenti affettati e costruiti per sentirci sicuri di poter essere accettati, quando la cosa migliore da fare sarebbe essere semplicemente (seppur semplice non lo sia mai) se stessi. Forse, bisognerebbe partire da un assunto di fondo, pensare e focalizzarci su quale potrebbe essere il nostro reale obiettivo. Per me, personalmente, è di fondamentale importanza riuscire a porre le basi per costruire un rapporto di comunità con chi mi visualizza, condividendo stralci di vita, pensieri estemporanei, richieste di confronto. Quindi, farò pace con l’idea di finire per 24 ore in bacheca, nel tentativo di affezionare, di intessere ed alimentare rapporti in modo più reale e meno digitale. Perché ho scoperto che stingere un legame d’affetto va ben oltre la preoccupazione di pensare a come potremmo apparire. Perché essere ed esserci è molto più importante!

E voi cosa ne pensate?

Ci vediamo su Instagram?

Vi aspetto!

Francesca

#COLORALALUCE @Galleria Civica Cavour

Tempo fa ho letto una frase speciale:

<< Devi F A R  S U C C E D E R E, non “aver successo” >>

Ci ho riflettuto su e ho capito quanto questo punto di vista cambi tutto.
Così ho interiorizzato e fatto mio questo invito alla vita
e spesso lo ripeto come una sorta di mantra scacciapensieri.

Beh, ora arrivo al punto.
Ho capito che se voglio qualcosa – non ci sono scuse – devo darmi da fare per ottenerlo.
Ecco perchè oggi posso condividere questa gioia:
ho partecipato ad un challange fotografico indetto daROSSO PADOVA,
in cui veniva chiesto di interpretare l’hashtag #COLORALALUCE.
Hanno partecipato tantissime persone, da tutta Italia.
Tra 760 foto ne sono state selezionate 30 finaliste
fra le quali fa capolino anche un MIO scatto.

sailor moon_thumb[1]

Le foto finaliste sono state esposte in Galleria Cavour
(Piazza Camillo Benso Conte Di Cavour, 73b)
e rimarranno in esposizione fino a domenica 10 maggio 2015,
in concomitanza alla durata dell’esposizione “Viaggio verso la luce” di Gesine Arps.

Sabato 9 maggio, alle ore 18.00, in Galleria Cavour
ci sarà la premiazione dei 5 vincitori.

Processed with VSCOcam[PH EffeFrancesca © 2015 EffeFrancesca Tutti i diritti riservati]

Che dite, fate un salto pure voi?
Noi vi aspettiamo numerosi!

A presto,

Francesca